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71-LOTTO INTERCLUSO
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85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
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87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
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97-RUDERI
98-
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dossier INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
novembre 2021

INCARICHI PROFESSIONALIConsiglio di Stato, ok alle consulenze gratuite ma solo con procedure selettive trasparenti.
Le pubbliche amministrazioni possono richiedere prestazioni a titolo gratuito a professionisti esterni, a condizione che sia previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione.

Lo afferma la IV Sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 09.11.2021 n. 7442.
La contesa
Alcuni ordini professionali forensi hanno impugnato l'avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, ritenuto lesivo dei loro interessi e di quelli degli iscritti in violazione della disciplina dell'ordinamento della professione forense.
Il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo che la gratuità è compatibile con le norme e i principi del diritto interno ed europeo e che i professionisti possono trarre vantaggi di natura diversa dall'espletamento dell'attività a titolo gratuito, in termini di maturazione di esperienze personali e di arricchimento professionale. Né la prestazione offerta dal professionista si pone in rapporto di alternatività o concorrenzialità con quella che potrebbero prestare altri consulenti.
Gli ordini hanno impugnato la sentenza, deducendo la violazione della normativa in materia di contratti pubblici, delle linee guida di Anac sull'affidamento dei servizi legali, della disciplina legislativa in materia di equo compenso ma anche dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia dell'attività amministrativa.
La IV Sez. del Consiglio di Stato si è pronunciata sull'appello ritenendolo fondato solo per la parte concernente la formazione dell'elenco dei professionisti e l'affidamento degli incarichi, non per la gratuità della prestazione.
Ok agli incarichi gratuiti
In ordine alla pretesa violazione delle norme poste a presidio della dignità della professione forense, i giudici di Palazzo Spada affermano che l'articolo 36 della Costituzione ha un ambito di efficacia che non riguarda la richiesta di prestazioni lavorative gratuite ma è costruita intorno al presupposto di fatto che il lavoratore presti un'attività lavorativa che è (o deve essere) necessariamente retribuita per potere soddisfare le esigenze minime, basilari, irrinunciabili di vita, per sé o per la propria famiglia.
Del pari, la normativa sull'equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi l'assai diverso corollario che lo stesso debba essere sempre previsto.
Quanto alla violazione delle norme e dei principi, anche europei, in tema di onerosità dei contratti pubblici, le caratteristiche della collaborazione –del tutto eventuale, basata su un impegno di confidenzialità, che non determina alcun diritto per i professionisti, con modalità di effettuazione della prestazione altamente deformalizzata– non corrispondono ad alcuno degli elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro autonomo o l'affidamento mediante appalto dei servizi legali.
La centralità dei criteri
La falla viene scovata dal Consiglio di Stato nella violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell'azione amministrativa, sia sotto l'aspetto della formazione dell'elenco da cui attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti.
Pur ammettendo la legittimità degli incarichi resi a titolo gratuito, la relativa funzione amministrativa, si legge nella sentenza, «non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi».
Per cui è ammissibile solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo «nuovo mercato» delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 25.11.2021).

INCARICHI PROFESSIONALIPa, sì all' incarico legale gratuito ma con criteri certi e trasparenti.
Due binari. Alcune prestazioni degli avvocati sono escluse dal Codice appalti. Per gli altri professionisti, invece, il conseguimento di vantaggi anche indiretti (per reputazione e pubblicità) lascia pochi margini.

Via libera, con qualche cautela, del Consiglio di Stato, alla possibilità per le stazioni appaltanti di procedere ad affidamenti di prestazioni legali gratuite (sentenza 09.11.2021 n. 7442 della IV Sez.). La Pa può chiedere ai professionisti (non solo gli avvocati) di lavorare gratis, ma deve farlo con il Codice degli appalti alla mano.
Il caso
Il ministero dell'Economia aveva predisposto un avviso per la ricerca di "professionalità altamente qualificate" in materia di diritto societario, finanziario ed europeo. L'avviso indicava i requisiti necessari (giuristi, non solo avvocati, con consolidata esperienza accademica o professionale; lingua inglese fluente). L'incarico sarebbe stato gratuito e senza alcun obbligo da parte dell'amministrazione di avvalersi concretamente della consulenza. Per converso, il professionista era libero di recedere con un breve preavviso. In buona sostanza si trattava di un contratto davvero atipico.
Gli Ordini degli avvocati di Roma e Milano hanno impugnato l'avviso.
In primo luogo, secondo il Consiglio di Stato, i ministeri possono richiedere consulenze esterne, non essendovi un obbligo di rivolgersi all'Avvocatura di Stato. È però necessaria la motivazione circa l'assenza all'interno della struttura delle professionalità competenti negli specifici ambiti di interesse.
Inoltre, secondo la sentenza, non ci sono norme che vietano un incarico legale senza corrispettivo economico, neppure quelle sul cosiddetto equo compenso. Piena libertà dunque di offrire i propri servizi all'amministrazione perché il professionista riceve "vantaggi indiretti" curriculari, di prestigio o di esperienza.
Il perimetro del Codice appalti
Il problema si sposta, dunque, dal "se" al "come" le pubbliche amministrazioni possono affidare incarichi senza compenso monetario. La questione va anche oltre il caso dei servizi legali e riguarda molti altri tipi di consulenze. La questione è: in che misura si applicano le procedure del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 50/2016)?
Anzitutto la definizione generale di "appalto pubblico" contenuta nel Codice prevede l'onerosità. L'onerosità è esclusa solo se il contratto, senza compenso monetario, non comporti alcun vantaggio neppure indiretto. Solo in questo (raro) caso l'amministrazione dovrebbe ritenersi libera di accettare l'offerta del prestatore di servizi.
Qualora, invece, sussista un vantaggio indiretto per il professionista in termini reputazionali e curriculari senza compensi monetari, l'amministrazione dovrebbe, dunque, applicare il Codice, che distingue tra appalti "sopra soglia", che ricadono nel campo di applicazione delle direttive europee, e contratti "sotto soglia" (oggi entro il limite di 150mila euro), regolati dal diritto nazionale. Questi ultimi possono essere stipulati senza bisogno di alcuna gara (cioè, in gergo, per affidamento diretto). Per gli affidamenti sopra soglia si dovrebbero, invece, applicare le regole ordinarie (bando europeo, domande di partecipazione, valutazione delle offerte, aggiudicazione).
Prestazioni legali
Ai servizi legali, come chiarisce la sentenza, si applicano regole particolari già individuate dallo stesso Consiglio di Stato nel precedente parere 03.08.2018 n. 2017. Se la consulenza è di tipo continuativo con organizzazione dei mezzi necessari e assunzione del rischio, occorre esperire una procedura "alleggerita" prevista dal Codice (articoli 140 e seguenti).
Invece, le prestazioni legali indicate dal Codice in un elenco (per esempio l'incarico a difendere l'amministrazione in una singola causa) rientrano tra quelli che nel gergo sono definiti come "contratti esclusi", cioè non rientranti nella disciplina del Codice e, dunque, la Pa può chiedere all' avvocato di prestare la propria opera gratuitamente.
Il Consiglio di Stato, però, precisa che in questo caso l'amministrazione deve mettere a punto un procedimento che garantisca «prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità oggettiva ed imparzialità dei criteri di formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi».
L'avviso di gara del Mef non conteneva tali criteri e per questa ragione è stato annullato. La Pa, insomma, dovrà essere molto cauta nel bandire le procedure per incarichi gratuiti perché dovrà adeguatamente motivare questa scelta, assicurando i principi di trasparenza e imparzialità (articolo Il Sole 24 Ore del 22.11.2021).

INCARICHI PROGETTUALIConsulenze gratuite, Oice: il Parlamento intervenga subito per tutelare la dignità dei professionisti
Dopo la sentenza 09.11.2021 n. 7442 del Consiglio di Stato, Sez. IV, che ha respinto il ricorso degli ordini forensi e ha dichiarato legittimo un avviso per manifestazione di interesse per consulenze gratuite verso il Mef, l'Associazione confindustriale delle società di ingegneria e architettura esprime la propria preoccupazione per le ricadute sul settore dell'ingegneria e architettura dei principi affermati nella sentenza.
Per Gabriele Scicolone, presidente Oice, «pur rilevando che la sentenza riguarda consulenze legali, non possiamo non notare come si tratti di una vicenda assolutamente assurda e dagli effetti potenzialmente devastanti se traslati in settori come quelli della progettazione e dei servizi tecnici. Nel nostro settore sono in ballo principi come la sicurezza dei cittadini, che esigono che chi progetta debba assicurare qualità e professionalità elementi che, a loro volta, sono frutto di investimenti in formazione, ricerca e innovazione. Pensare soltanto lontanamente che un corrispettivo possa essere di natura diversa da un compenso economico (equo), sia pure frutto di dinamiche concorrenziali, vuole dire stare su un altro pianeta. Un consulente o un professionista non deve potere legittimamente regalare la propria prestazione perché in determinati settori la tutela di superiori principi, costituzionalmente garantiti, deve prevalere sulla libertà di ogni singolo individuo. Questo anche per evitare l'insorgere di dinamiche opache, non consone al settore pubblico ove non riteniamo debbano essere fatti passi indietro in termini di trasparenza e concorrenza, regole auree da difendere».
Scicolone precisa inoltre che occorre evitare che «la sentenza dia nuovamente spazio alle follie che abbiamo visto negli ultimi anni in alcuni bandi pubblici cui modifiche del codice appalti hanno cercato di porre rimedio, evidentemente invano visto che poi basta la sentenza di un collegio giudicante, sia pure autorevole, a passare sopra quanto lo stesso legislatore ha fatto e adesso sta facendo con la nuova legge sull'equo compenso. Chiediamo che il Parlamento ponga fine a questo delirio: inutile chiedere al mondo professionale di formarsi, aggiornarsi, investire per poi lasciare campo libero alla follia di qualche consulente o professionista compiacente, nella migliore delle ipotesi, nei confronti di un committente pubblico o privato».
Il Presidente dell'Oice chiede quindi a gran forza «a tutte le forze parlamentari di intervenire normativamente per inserire a chiare lettere nell'ordinamento italiano una disposizione che vieti prestazioni professionali rese gratuitamente e non eque nell'ambito delle attività professionali in generale e soprattutto in quelle tecniche a tutela della sicurezza degli individui sia nel settore pubblico, sia in quello privato. Ne va della dignità dei lavoratori e della sicurezza dei cittadini» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 12.11.2021).

INCARICHI PROGETTUALI: Lavorare gratis per la Pa si può, il Consiglio di Stato dà l'ok ai bandi senza compenso economico.
Lavorare gratis per la pubblica amministrazione si può. Il Consiglio di Stato torna con una nuova sentenza sull'annosa questione dei bandi di gara che prevedono l'esecuzione di prestazioni a titolo gratuito, senz'altro compenso che il ritorno di immagine (e naturalmente di rapporti) per il professionista incaricato di svolgere quel particolare ruolo.
La vicenda parte dal ricorso promosso dagli ordini degli avvocati di Roma e di Napoli contro l'avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito promosso da un dipartimento del ministero dell'Economia, alla ricerca di consulenti, altamente qualificati, pronti a svolgere incarichi gratis nelle aree legali ed economiche.
Per gli ordini, l'avviso sarebbe stato contrario alle norme sull'equo compenso e al codice dei contratti pubblici, oltre che le norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell'azione amministrativa.

Il Consiglio di Stato (Sez. IV - con la sentenza 09.11.2021 n. 7442) ha bocciato le obiezioni degli avvocati relative alla richiesta di prestazioni gratuite, aprendo di nuovo la strada alle amministrazioni intenzionate ad andare a caccia di professionisti pronti a svolgere attività senza ottenere in cambio un compenso di tipo economico.
Il compenso non deve essere per forza di tipo economico
Le norme sull'equo compenso, hanno spiegato i giudici , non prevedono che debba essere previsto un ritorno di tipo economico per i professionisti, ma «soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l'ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti)».
I giudici aggiungono anche che «nell'ordinamento non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce o altrimenti ostacola l'individuo nella facoltà (essa sì espressione dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti) di compiere scelte libere in ordine all'an, al quomodo e al quando di impiegare le proprie energie lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa».
Ma gli incarichi devono essere affidati in modo imparziale e trasparente
È stata invece accolta la parte del ricorso che sollevava dubbi sulla legittimità delle procedure di formazione dell'elenco a valle dell'avviso di manifestazione di interesse. Da questo punto di vista, i giudici hanno ritenuto il ricorso «fondato nella parte in cui lamenta la violazione delle regole che presiedono all'imparzialità dell'azione amministrativa, sia sotto l'aspetto della formazione dell'elenco da cui attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare di volta in volta per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti».
«Se è vero (come è vero) -si legge nella sentenza- che nel quadro costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e che il ‘ritorno' per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi».
Mentre, l'avviso impugnato, secondo il Consiglio di Stato, è da considerare illegittimo perché non garantisce «criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti» in quanto «non sono stati testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e regole oggettive e predeterminate e non disciminatorie».
Con la conseguenza che, nonostante il semaforo verde ai bandi per prestazioni gratuite, l'avviso impugnato alla fine è stato annullato. «L'Amministrazione -si legge in conclusione del provvedimento- in sede di esecuzione della presente sentenza, valuterà se o meno riesercitare il proprio potere e potrà bandire un nuovo invito ad offrire manifestazioni di interesse, nel rispetto dei principi affermati con la presente sentenza» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 11.11.2021).
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SENTENZA
1. L’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Avvocati di Napoli hanno impugnato l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, attraverso il quale la Direzione IV del Dipartimento del Tesoro “Sistema Bancario e Finanziario - Affari Legali” del Ministero dell’economia e delle finanze ha reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente qualificate, che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura, al fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza .
Più in particolare, la consulenza richiesta ha ad oggetto “la trattazione di tematiche complesse attinenti al diritto –nazionale ed europeo– societario, bancario e/o dei mercati e intermediari finanziari in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari”.
L’avviso ha disposto che possono far pervenire la manifestazione d’interesse coloro che, alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande (ovverosia, dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze; la pubblicazione è avvenuta in data del 27.02.2019), abbiano una consolidata e qualificata esperienza accademica o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari.
È richiesta, inoltre, la padronanza della lingua inglese fluente.
L’avviso prevede, altresì, che, all’esito della valutazione dei curricula presentati, nonché dell’accertamento dell’insussistenza di cause di incompatibilità ovvero di conflitto di interesse, il Dirigente Generale della Direzione IV stipuli con ciascuno dei professionisti selezionati un apposito accordo contrattuale, con indicazione in sede negoziale dell’oggetto e dei termini di svolgimento dell’incarico proposto.
È prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.
L’incarico è a titolo gratuito, con esclusione di ogni onere a carico dell’Amministrazione.
2. Gli Ordini professionali forensi hanno ritenuto l’avviso illegittimamente lesivo dei loro interessi e di quelli degli iscritti e lo hanno impugnato (con ricorso rubricato al n.r.g. 3632/2019 dinanzi al Tar del Lazio, sede di Roma), in uno al comunicato stampa fatto pervenire dal Ministero dell’economia e delle finanze in risposta a talune rimostranze promosse dagli stessi professionisti successivamente alla pubblicazione dell’avviso.
3. A sostegno delle proprie pretese, gli Ordini professionali hanno lamentato:
3.1. Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art. 13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16.10.2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017.
3.2. Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018.
3.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria - Difetto di motivazione.
4. Il Tar, con la sentenza impugnata di cui all’epigrafe, ha esaminato partitamente le censure proposte e le ha respinte in toto, compensando le spese di lite.
Più nel dettaglio, il primo giudice:
   a) ha escluso che, all’esito della valutazione dei curricula inviati dai professionisti, si instauri alcun rapporto di lavoro tra i suddetti professionisti e la Pubblica Amministrazione, ovvero un obbligo di fornitura di un servizio professionale ai sensi del Codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.), dal momento che:
      a.1) è prevista la facoltà del professionista di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento (ad avviso del Tar, il termine di preavviso di durata pari a trenta giorni risponde ad una mera esigenza organizzativa, e non condiziona, né altrimenti limita, la libera facoltà di recesso del professionista);
      a.2) non è previamente indicato il numero di incarichi da conferire; non è puntualmente definito l’oggetto della consulenza o dell’affare; l’incarico è conferito al professionista senza svolgimento di procedura selettiva, nemmeno in senso ampio, e senza che sia stata formata alcuna graduatoria. Ad avviso del Tar, in sostanza, l’estrema genericità dell’avviso e dell’incarico da –eventualmente– conferire, rappresentano tratti distintivi che connotano e rafforzano la legittimità dell’atto, piuttosto che rappresentare, invece, una causa della sua illegittimità.
   b) ha ritenuto che la gratuità dell’attività da prestare è compatibile con le norme e i principi del diritto interno ed europeo, rilevando che:
      b.1) non si rinvengono specifici divieti in tal senso nell’ordinamento, neppure sulla base delle previsioni settoriali del Codice deontologico;
      b.2) la disciplina dell’equo compenso invocata dagli Ordini ricorrenti a sostegno della propria tesi non si attaglia alla fattispecie concreta e, comunque sia, non è di ostacolo a che i professionisti prestino attività di carattere gratuito. Resta fermo che –ad avviso del Tar- laddove la prestazione si svolga a titolo oneroso, il compenso pattuito debba necessariamente essere equo sulla base del quadro normativo vigente (art. 36 Cost.; art. 13-bis, comma 2, legge n. 247/2012);
      b.3) i professionisti ritraggono vantaggi di natura diversa dall’espletamento dell’attività a titolo gratuito, in termini di maturazione di esperienze personali, di arricchimento professionale, curriculare.
      b.4) la previsione della gratuità non contrasta neppure con i principi in tema di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), non essendo affatto dimostrato alcun nesso di (negativa) influenza tra l’assunzione di un incarico gratuito da parte del professionista e il suo svolgimento in maniera competente, professionale, decorosa e dignitosa (artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice deontologico).
Inoltre, la prestazione offerta dal professionista non si pone in rapporto di alternatività o concorrenzialità con quella che potrebbero prestare altri consulenti.
5. Gli Ordini forensi, nell’impugnare la sentenza, hanno dedotto le seguenti censure:
5.1. Illegittimità della sentenza per erroneità e/o carenza della motivazione, contrasto con gli art. 112 c.p.c. e 101 c.p.a., erronea applicazione delle previsioni di cui all’art. 13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247 e al D.lgs. n. 50/2016, illogicità e contraddittorietà manifesta.
La sentenza impugnata sarebbe ingiusta sia nella parte in cui ha motivato che la genericità dell’avviso censurata dagli Ordini ricorrenti “non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo”, sia in quella in cui ha concluso che “Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della consulenza appare legittimo”.
Inoltre, la sentenza non spiegherebbe la natura giuridica del rapporto nascente tra l’Amministrazione e il singolo professionista, poiché vengono escluse le tipologie del rapporto di lavoro alle dipendenze e dell’appalto di fornitura di servizi –peraltro, si sostiene, senza alcuna motivazione a supporto da parte del Tar– e non vengono indicate le eventuali diverse fattispecie in cui il rapporto dovrebbe essere inquadrato.
L’avviso pubblico impugnato sarebbe elusivo, invece, a loro dire:
   - della normativa in materia di contratti pubblici, e in particolare del d.lgs. n. 50/2016;
   - delle linee guida ANAC n. 12 sull’Affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018;
   - della disciplina legislativa in materia di equo compenso.
Per di più, il ragionamento logico giuridico seguito dal giudice di prime cure si porrebbe in contraddizione, oltre che con i supremi principi costituzionali contenuti negli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., anche con l’art. 13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247, (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16.10.2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni a mente del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017, che prevede che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La sentenza non avrebbe specificamente illustrato, inoltre, le ragioni per le quali non sussiste l’eccesso di potere, non recando alcuna motivazione in ordine alle doglianze articolate avverso il comunicato stampa diffuso dal Ministero dell’economia in risposta alle proteste provenienti dai professionisti del libero foro.
In particolare, la sentenza non avrebbe dato conto dell’erroneità dei presupposti da cui avrebbe preso le mosse l’azione amministrativa, ritenendo che la disciplina dell’equo compenso si applicasse soltanto al settore privato.
Il Tar avrebbe inoltre errato a qualificare due importanti elementi di fatto, e cioè il preavviso per il recesso e l’obbligo di portare a termine l’incarico già iniziato, elementi che invece -secondo la prospettazione difensiva seguita dagli ordini professionali- starebbero anzi a comprovare la natura professionale dell’attività prestata.
Anche a volere ritenere, per pura ipotesi, che una remunerazione possa non tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque illegittima la previsione di un incarico svolto totalmente in perdita (senza quindi neppure una forma di contributo alle spese sostenute), non potendosi nella specie individuare –anche tenuto conto dell’indeterminatezza dell’incarico– quali e quante “utilità economiche lecite e autonome” il professionista possa figurarsi di trarre dalla collaborazione richiesta dal MEF a titolo di corrispettivo non finanziario della prestazione.
Ciò si tradurrebbe, nella pratica, anche in un ulteriore ostacolo alla serietà e qualità del servizio prestato.
5.2. Erroneità della sentenza per contrasto con gli artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice Deontologico Forense in relazione quanto previsto dall'art. 36 della legge 31.12.2012, n. 247, nonché dall’art. 362 c.p.c., illogicità, contraddittorietà e perplessità manifesta.
La sentenza sarebbe altresì illegittima nella parte in cui ha statuito che “Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro”.
Si sostiene che il Tar non ha giurisdizione in materia deontologica e sanzionatoria forense.
Ai sensi della legge professionale e del Codice Deontologico Forense, spetta soltanto agli Organi disciplinari forensi la potestà di conoscere, valutare e applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme pertinenti, la normativa deontologica, anche in via sanzionatoria.
La cognizione esclusiva dei Consigli Distrettuali di Disciplina (in via amministrativa) e del Consiglio Nazionale Forense (in via giurisdizionale, essendo il CNF giudice speciale secondo quanto previsto dall’art. 36 della legge 31.12.2012, n. 247) in ordine agli aspetti disciplinari e alle violazioni del Codice deontologico si configura alla stregua di una giurisdizione domestica.
5.3. Erroneità della sentenza per violazione e/o erronea applicazione della normativa sull’equo compenso, in particolare dell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017 in relazione agli artt. 35, 36 e 97 della Costituzione. Illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione.
La sentenza è criticata anche nella parte in cui ha escluso, a carico dei professionisti, l’esistenza di divieti o impedimenti a rendere prestazioni di natura gratuita.
Non avrebbe senso -si sostiene- che la disciplina sull’equo compenso e i principi ad essa sottesi si applichino ai soli casi in cui il compenso stesso è previsto, sia pure in forma simbolica, e che –viceversa– venissero esclusi in toto dall’ambito di applicazione i casi in cui non è prevista alcuna forma di retribuzione.
Il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4614/2017, al di là della diversità di circostanze (una su tutte quella relativa alla previsione, in quel caso, di un rilevantissimo importo di euro 250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella specie inesistente), non potrebbe applicarsi alla fattispecie de qua, poiché relativo ad un contenzioso nato prima dell’introduzione dell’art. 13-bis nel corpo della legge di riforma professionale n. 247 del 2012.
6. Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito per resistere al gravame ed ha contestato le deduzioni difensive articolate dagli Ordini appellanti, instando per la conferma della sentenza impugnata.
7. L’Associazione dei giovani amministrativisti (associazione nata per la promozione e lo sviluppo dello studio e della pratica del diritto amministrativo, nonché per contribuire a facilitare l’accesso e l’esercizio della professione di avvocato ai giovani professionisti che operano nei settori del diritto pubblico e del diritto amministrativo) è intervenuta ad adiuvandum degli Ordini professionali anche nel presente grado di appello, sostenendone le ragioni dell’impugnazione.
8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di memorie, ed hanno anche interloquito sull’ulteriore tema difensivo indicato a verbale dal Presidente della Sezione all’udienza pubblica del 04.02.2021, ovverosia “che si potrebbe ravvisare un profilo di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, poiché –qualora si dovesse ritenere che l’attività degli avvocati debba essere necessariamente retribuita in linea di principio in base all’avviso pubblico in questione– andrebbe valutata la portata applicativa delle disposizioni sul patrocinio della Avvocatura dello Stato, con la conseguente questione sul ‘se’ sia radicalmente preclusa agli avvocati medesimi ogni forma di consulenza, anche gratuita, a favore delle Amministrazioni dello Stato.”.
...
10. La Sezione ritiene che l’appello sia in parte fondato e in parte non fondato, nei sensi che di seguito si illustrano.
11. Innanzitutto, va perimetrato l’oggetto dell’impugnazione ai fini della verifica della sussistenza (o meno) dell’interesse a ricorrere da parte degli Ordini professionali forensi.
12. Il ricorso di primo grado ha censurato l’avviso pubblico del Ministero dell’economia e delle finanze sotto diversi profili, tutti in vario modo riconducibili all’illegittimità della pretesa del Ministero stesso -si asserisce– ad ottenere prestazioni professionali gratuite da parte di professionisti dotati di specifiche competenze in talune materie e ambiti di interesse per l’Amministrazione.
In particolare, gli Ordini forensi di Roma e Napoli hanno articolato svariate censure nei limiti del loro interesse all’impugnazione, vale a dire l’interesse collettivo e generale dell’Ordine professionale e l’interesse personale degli iscritti, ovverosia gli avvocati esercenti la libera professione forense (cd. avvocati del libero foro).
Le doglianze hanno riguardato, in sintesi:
   a) la disciplina dell’equo compenso recata dalla vigente legge di riforma professionale forense n. 247/2012;
   b) la legislazione sugli appalti pubblici di fornitura di servizi, tra cui rientrano i servizi legali ai sensi del codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016), delle direttive europee e dei principi e delle norme dei Trattati;
   c) la genericità del contenuto dell’avviso, l’erroneità della motivazione, l’assenza di istruttoria.
13. L’avviso oggetto di impugnazione, tuttavia, non era rivolto soltanto agli avvocati del libero foro, ma anzi ha orientato la selezione - sulla base delle competenze professionali richieste e non presenti all’interno della struttura del MEF - di giuristi che hanno sviluppato competenze specialistiche in determinati ambiti del diritto (“professionalità altamente qualificate che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura” in “materia di diritto societario, diritto bancario e dei mercati e degli intermediari finanziari”).
14. L’ampia platea di destinatari presa in considerazione dall’avviso impugnato consente di sgombrare il campo dal dubbio che, alla luce delle disposizioni che definiscono gli ambiti applicativi delle funzioni dell’Avvocatura dello Stato, sia precluso agli avvocati del libero foro di prestare forme di consulenza in favore delle Amministrazioni dello Stato, quale quella –per quanto qui rileva ai fini della decisione– interessata alle prestazioni di cui all’avviso pubblico impugnato, ovverosia il MEF.
In primo luogo, il R.D. 30.10.1933, n. 1611 (recante “Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell'Avvocatura dello Stato”), distingue tra il patrocinio legale obbligatorio (e le connesse attività di studio e consulenza) e la consulenza lato sensu intesa.
Più nel dettaglio, l’art. 1 prevede che:
1. La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato.
Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità
”.
Il patrocinio obbligatorio non è sempre assoluto o inderogabile.
Per quanto riguarda la rappresentanza e difesa in giudizio, l’art. 2 del cit. R.D. n. 1611 prevede la facoltà di delega “in casi eccezionali anche procuratori legali” esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio “per quanto concerne lo svolgimento di incombenze di rappresentanza nei giudizi, civili e amministrativi che si svolgono nelle sedi degli uffici dell'Avvocatura generale dello Stato o delle avvocature distrettuali, relativi a materie riguardanti enti soppressi”.
L’art. 5 del medesimo R.D. n. 1611 prevede, invece, la possibilità di richiedere “l’assistenza di avvocati del libero foro per ragioni assolutamente eccezionali”.
Viceversa, l’attività di consulenza è più ampia e rientra in senso lato nelle “funzioni dell’Avvocatura dello Stato”, ed è disciplinata dal successivo art. 13, per il quale “L'Avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle Amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d’accordo con le Amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle Amministrazioni: prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio”.
In questo caso -diversamente rispetto al patrocinio legale e alla connessa attività di studio, assistenza e consulenza– l’espletamento dell’attività ‘consulenziale’ si ispira al principio della “espressa richiesta” che proviene dall’Amministrazione interessata, piuttosto che al principio dell’obbligatorietà secundum legem.
Ciò significa che, come in effetti è avvenuto nel caso di specie, la Pubblica Amministrazione può decidere di rivolgersi anche a consulenti esterni per affidare incarichi di consulenza.
Il principio è stato enunciato anche da Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 780 del 03.02.2011, in relazione ad un caso pratico concernente la distinzione tra l’attività giudiziale istituzionalmente deputata ad essere svolte dall’Avvocatura dello Stato, e l’attività stragiudiziale, anche precontenziosa.
In particolare, si è affermato che “l’attività stragiudiziale possa essere anche conferita a terzi mediante procedura concorsuale o para concorsuale, ma previa esternazione delle ragioni che inducono ad una scelta siffatta” e che “pur non essendo rinvenibile una norma espressa nel r.d. n. 1611/1933 atta ad imporre il patrocinio obbligatorio all’Avvocatura dello Stato, non di meno era dato ritenere la sussistenza, nell’ordinamento, di una serie di norme idonee a consentire alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al “mercato” dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti –tra l’altro- ad affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri e, in particolare, alla stessa Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato in sede consultiva; con l’aggiunta che l’art. 7, comma 6, del d.lgs n. 165/2001 prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche, “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria…”, che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7, comma 6-bis).”.
Nella specie, il MEF ha esplicitato nell’avviso le specifiche ragioni che suggerivano l’opportunità di reperire all’esterno le professionalità competenti negli specifici ambiti di interesse, in quanto non presenti all’interno della struttura ministeriale.
La effettiva sussistenza delle suddette ragioni e delle modalità con le quali le stesse sono state soddisfatte è, per l’appunto, al vaglio della Sezione.
15. Ciò detto, l’interesse a ricorrere degli Ordini professionali sussiste anche per un’altra ragione.
Il conseguimento del titolo di avvocato che abilita alla difesa in giudizio è di pari rango (semmai, anzi, è qualcosa ‘di più’ e non ‘di meno’) rispetto alla qualifica di ‘giurista’, ‘esponente del mondo accademico’, ‘professionista altamente qualificato’, ai quali si rivolge l’avviso.
Non sarebbe possibile ritenere, dunque, che un giurista, per il solo fatto di aver conseguito anche il titolo di avvocato (e di essere iscritto a un Ordine professionale), non possa, per ciò solo, prestare la propria opera professionale ed intellettuale nei confronti delle Amministrazioni statali in ogni ambito stragiudiziale, laddove –invece- tale preclusione non varrebbe per altre figure professionali altamente specializzate (professori universitari, ricercatori o, semplicemente, esperti del settore) alle quali il MEF si è voluto rivolgere senza prevedere requisiti specifici in termini di titoli di studio o di abilitazione.
Sotto questo specifico aspetto, pertanto, sono condivisibili le prospettazioni difensive articolate dagli Ordini appellanti nell’ultima memoria difensiva depositata in data 03.04.2021, secondo cui –ove la Sezione giungesse a difformi conclusioni in punto di sussistenza dell’interesse a ricorrere– si prospetterebbe effettivamente un serio dubbio di legittimità costituzionale (sotto il profilo dell’eguaglianza di trattamento tra le varie figure di ‘giuristi’, ‘esperti’ e ‘rappresentanti del mondo accademico’) della normativa sul patrocinio legale e sull’attività di consulenza anche stragiudiziale in favore delle Amministrazioni statali, laddove la stessa venisse interpretata o applicata nel senso di impedire agli avvocati del libero foro di manifestare interesse e rispondere all’invito ad offrire di cui all’avviso impugnato.
16. Ciò detto in punto di sussistenza dell’interesse a ricorrere, va ora esaminato il merito dell’appello.
17. Gli Ordini professionali lamentano, nella sostanza, tre ordini di questioni:
   a) la violazione delle norme poste a presidio del decorso e della dignità della professione forense;
   b) la violazione delle norme e dei principi, anche europei, in tema di onerosità dei contratti pubblici;
   c) la violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.
18. Per quanto riguarda il profilo sub a), essi richiamano sia le disposizioni di rango costituzionale (art. 36), sia quelle di rango primario (art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, il diritto del professionista alla retribuzione commisurata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e l’obbligo anche per le Pubbliche Amministrazioni di garantire il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese da professionisti in esecuzione di incarichi conferiti.
19. Per quanto concerne il profilo sub b), essi lamentano invece la violazione della disciplina dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 150/2016 e delle linee guida dell’ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali.
A loro giudizio, l’attività di consulenza richiesta configura un contratto pubblico di servizi sub specie di prestazione d’opera professionale, ovvero di servizi di consulenza legale.
Gli appellanti sostengono che la scelta del consulente/contraente prefigurata dal MEF nell’avviso impugnato viola i criteri di aggiudicazione (che, a loro avviso, non devono esaurirsi nella sola valutazione dell’esperienza curriculare) e di selezione (che, sempre a loro avviso, devono presupporre l’offerta di un prezzo, ed anzi, vista l’importanza degli interessi coinvolti, l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo anche per gli affidamenti di minor valore).
20. Infine, per quanto concerne il profilo sub c), gli appellanti lamentano l’irragionevolezza e l’illogicità di reperire figure professionali esterne alle quali affidare incarichi solo genericamente indicati, senza una puntuale disciplina della responsabilità giuridica dei professionisti stessi, a tutela dell’erario pubblico.
21. Ad avviso della Sezione, nessuno degli assunti difensivi appena sintetizzati va condiviso, per le ragioni che di seguito si espongono.
22. Per quanto concerne il profilo sub a), la normativa di cui gli appellanti invocano l’applicazione riguarda fattispecie giuridiche del tutto differenti da quella che è oggetto del presente contenzioso, sia in relazione ai presupposti applicativi, sia con riguardo alle conseguenze giuridiche che i medesimi vorrebbero trarne. Segnatamente:
   I) l’art. 36 Cost. ha un ambito di efficacia soggettivo e oggettivo ben delimitato, che non riguarda la richiesta di prestazioni lavorative gratuite di cui all’avviso ministeriale impugnato.
Più nel dettaglio, la disposizione costituzionale tutela la proporzionalità e l’adeguatezza della retribuzione in modo da garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; preserva il sano svolgimento della prestazione lavorativa (sotto il profilo della durata massima della giornata lavorativa e della fruizione del riposo settimanale e delle ferie annuali).
La disposizione è chiaramente costruita intorno al presupposto di fatto (che non sussiste affatto nella fattispecie all’esame) che il lavoratore presti un’attività lavorativa che è (o che deve essere) necessariamente retribuita per potere soddisfare le esigenze minime, basilari, irrinunciabili di vita, per sé o per la propria famiglia.
Nell’ordinamento non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce o altrimenti ostacola l’individuo nella facoltà (essa sì espressione dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti) di compiere scelte libere in ordine all’an, al quomodo e al quando di impiegare le proprie energie lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa.
Tale divieto, ostacolo o impedimento non può trovare fondamento nell’art. 36 Cost., disposizione che è posta a presidio ed irrinunciabile baluardo di ben altre istanze di tutela dell’individuo.
Altrimenti opinando, si dovrebbe ritenere ex sé illegittima (o addirittura illecita) la prestazione, oltre che delle attività gratuite, anche di quelle liberali, le quali anzi, a differenza delle altre, nemmeno contemplano la possibilità di ricavare dei vantaggi, neppure indiretti, dallo svolgimento delle attività medesime, essendo effettuate in maniera del tutto spontanea e con spirito di arricchire l’altro senza alcun vantaggio per se stessi: ma una tale tesi non è stata sostenuta nemmeno dagli appellanti.
Nel caso di specie, invece, l’adesione del professionista, all’invito ad offrire contenuto nell’avviso impugnato, reca indubbiamente –a chi ha la volontà, il tempo, il modo e la possibilità (oltre alla capacità professionale) di svolgere la consulenza richiesta- una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio personale, fattivo e utile contributo alla “cosa pubblica”.
   II) Il richiamo alla disciplina dell’equo compenso di cui all’art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies del d.l. n. 148/ 2017, è questione che non rileva specificamente per definire la fattispecie in decisione.
La suddetta disposizione prevede che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Anche in questo caso, il presupposto di fatto -imprescindibile per tentare un confronto fra la fattispecie all’esame e la disciplina dell’equo compenso- è che sia prevista la prestazione retribuita.
Al di fuori di questo perimetro, che è logico prima ancora che giuridico, non può essere effettuato alcun raffronto, proprio perché l’attività di sussunzione di una fattispecie concreta rispetto al paradigma legale generale ed astratto poggia, prima di tutto, sulla raffrontabilità in fatto degli schemi logici.
Pertanto, occorre concludere che la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti).
Il riferimento soggettivo previsto dall’art. 13-bis cit. alla “pubblica amministrazione” e quello oggettivo agli “incarichi conferiti” stanno piuttosto a significare -a tutela del professionista- che il compenso deve essere equo e che l’interesse privato non può essere sacrificato rispetto a quello pubblico e generale fino al punto di travalicare –nel bilanciamento dei contrapposti interessi- l’equità della remunerazione.
La disposizione non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso –qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso– allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità indirette).
   III) Piuttosto, occorre osservare come la modifica da ultimo inserita nella legge professionale forense è sorretta da una ratio legis autonoma ed ha voluto rappresentare un equo, ragionevole e ‘giusto’ punto di equilibrio a tutela dei liberi professionisti, ed in particolare dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, a seguito della abrogazione dei minimi tariffari e dell’apertura al libero mercato, anche nel quadro euro-unionale.
In quest’ottica prospettica, il sopra riportato comma 3 esprime l’attenzione del legislatore ordinario per le libere professioni quando l’attività è esercitata al di fuori dei rapporti di lavoro dipendente, che di per sé ricadono sotto la copertura costituzionale dell’art. 36 Cost., in relazione alla necessità della congruità del compenso, ma ciò sull’evidente presupposto che compenso vi sia.
In altre parole, la disciplina sull’equo compenso ha completato e colmato quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha provocato nel settore delle libere professioni una deminutio di tutela per coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e retributiva.
23. Per quanto concerne il profilo sub b), la Sezione ritiene che il giudice di prime cure abbia correttamente escluso la violazione della disciplina dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 150/2016 e delle linee guida dell’ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali.
L’incarico a cui fa riferimento l’avviso impugnato consiste:
   a) nel prestare attività di consulenza su tematiche complesse attinenti al diritto, nazionale ed europeo, societario, bancario, dei mercati e degli intermediari finanziari;
   b) nel supportare il MEF nel compimento di attività particolarmente complesse ed elevate a livello intellettuale, sia dal punto di vista teorico-dogmatico, sia sul piano pratico, ‘prestando’ competenze professionali di cui spesso le Pubbliche Amministrazioni sono sguarnite;
   c) nel collaborare all’adozione o all’integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini -tra le altre cose- dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari;
   d) nel prestare il proprio impegno per una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, e con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.
Più nel dettaglio:
   e) lo scopo dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse è quello di raccogliere la generica disponibilità di soggetti particolarmente qualificati a dare un contributo, ove mai l’Amministrazione lo ritenesse necessario e sulla base di un impegno di confidenzialità, per consentire un immediato ed agevole scambio di informazioni;
   f) la collaborazione richiesta è del tutto eventuale ed occasionale e viene attivata se e quando sia ritenuta necessaria, a discrezione dell’Amministrazione finanziaria;
   g) i professionisti che manifestano l’interesse a termini dell’avviso non sono titolari di alcun diritto o situazione di legittimo affidamento a che siano, di poi, effettivamente chiamati a rendere la prestazione indicata;
   h) la modalità di effettuazione della prestazione è altamente deformalizzata e può esaurirsi anche in un semplice scambio telefonico, ovvero in una breve interazione per via telematica, e cioè al solo scopo di ottenere un agile ed immediato riscontro, senza ulteriori vincoli;
   i) non è richiesta la presenza fisica presso la struttura ministeriale; non sono previsti orari prestabiliti o una disponibilità continuativa; non sono necessarie trasferte, né missioni; anche per questa ragione nell’avviso è espressamente escluso che possano essere posti a carico dell’Amministrazione oneri di qualunque tipo, ivi compresi i rimborsi spese; in altre parole, è esclusa alla radice la possibilità che i professionisti possano ricavare utilità economiche o vantaggi economici, anche indiretti, sotto forma di rimborso spese o gettoni di presenza.
Le caratteristiche sin qui elencate non corrispondono ad alcuno degli elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro autonomo o l’affidamento mediante appalto dei servizi legali.
Il rapporto di lavoro autonomo per le Pubbliche Amministrazioni è ammissibile solo se sussistono i presupposti indicati dall’art 7, comma 6 e comma 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001.
L’articolo 140, contenuto nel Capo I dedicato agli «Appalti nei settori speciali», assoggetta ad un particolare regime pubblicitario i servizi di cui all’Allegato IX del Codice dei contratti pubblici, nei quali rientrano anche i «Servizi legali, nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’articolo 17, comma 1, lettera d)».
I relativi affidamenti costituiscono appalti e comprendono i servizi non ricompresi da un punto di vista prestazionale nell’ambito oggettivo di applicazione dell’articolo 17 (ad esempio, le consulenze non collegate ad una specifica lite), ovvero che, su richiesta delle stazioni appaltanti e nei limiti delle istruzioni ricevute, i fornitori realizzano in modo continuativo o periodico ed erogano organizzando i mezzi necessari e assumendo il rischio economico dell’esecuzione, come nell’ipotesi di contenzioso seriale affidato in gestione al fornitore.
L’Allegato IX individua l’ambito di applicazione non solo delle disposizioni di cui al richiamato articolo 140, ma anche di quelle contenute negli articoli 142, 143 e 144 che, dettando un regime “alleggerito”, complessivamente integrano la Parte II, Titolo VI, Capo II del Codice dei contratti pubblici, rubricato «Appalti di servizi sociali e altri servizi nei settori ordinari».
L’articolo 17, comma 1, lettera d), del Codice dei contratti pubblici, rubricato «Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi», elenca alcune tipologie di servizi legali che esclude dall’ambito oggettivo di applicazione delle disposizioni codicistiche.
Le Linee Guida Anac –che i ricorrenti invocano però a sostegno della propria tesi difensiva– prevedono che:
1.1.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 1 gli incarichi di patrocinio legale conferiti in relazione ad una specifica e già esistente lite.
1.1.2 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 2 i servizi di assistenza e consulenza legale preparatori ad un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, anche solo eventuale.
(…).
1.4.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 5 del Codice dei contratti pubblici i servizi legali strettamente legati all’esercizio di pubblici poteri, che rappresentano un presupposto logico dell’esercizio del potere, ponendosi alla stregua di una fase del procedimento in cui il potere pubblico è esercitato. A titolo esemplificativo, può considerarsi connesso all’esercizio di pubblici poteri l’affidamento del singolo incarico di collaborazione per la redazione di proposte di elaborati normativi, di natura legislativa e regolamentare
”.
Le menzionate Linee Guida sono state redatte, in particolare, sulla base del parere n. 2017 del 03.08.2018 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto che l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto, con conseguente applicabilità dell’allegato IX e degli articoli 140 e seguenti del Codice dei contratti pubblici, qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola il triennio).
L’incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 (contratti esclusi).
24. L’ultimo profilo sub c) censura, invece, la violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.
La Sezione ritiene che il profilo sia fondato nella parte in cui lamenta la violazione delle regole che presiedono all’imparzialità dell’azione amministrativa, sia sotto l’aspetto della formazione dell’elenco da cui attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare di volta in volta per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti.
Se è vero (come è vero) che nel quadro costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e che il ‘ritorno’ per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi.
La tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni gratuite da parte delle Pubbliche Amministrazioni si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo ‘nuovo mercato’ delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.
La Sezione ritiene che l’atto impugnato, sotto questo aspetto, difetti della necessaria determinatezza che –sola– può assicurare la soglia inderogabile dell’imparzialità dell’azione amministrativa, poiché non sono stati testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e regole oggettive e predeterminate e non disciminatorie.
25. In definitiva, alla luce delle considerazioni appena illustrate, l’appello va accolto limitatamente alla censura di difetto di istruttoria e di motivazione e soltanto circa l’aspetto concernente la formazione dell’elenco dei professionisti e l’affidamento degli incarichi, mentre va respinto per il resto.
Nondimeno, l’accoglimento di tale censura comporta l’annullamento integrale degli atti impugnati, poiché la tipologia del bando impugnato in primo grado può risultare conforme ai principi basilari dell’ordinamento solo se sono contestualmente fissati i criteri ispirati alla trasparenza e sono individuate le regole oggettive predeterminate e non discriminatorie.
26. L’Amministrazione, in sede di esecuzione della presente sentenza, valuterà se o meno riesercitare il proprio potere e potrà bandire un nuovo invito ad offrire manifestazioni di interesse, nel rispetto dei principi affermati con la presente sentenza.
L’Amministrazione, nella sua discrezionalità, qualora ritenga di indire un una nuova selezione, sceglierà le modalità pratiche ed operative più opportune per attuare i principi sopra enunciati, le quali dovranno essere:
   a) efficaci, cioè produrre un effetto utile per i soggetti interessati;
   b) oggettive, cioè basate su criteri verificabili e attinenti ai dati curriculari;
   c) trasparenti, cioè basate su dati e documenti amministrativi accessibili;
   d) imparziali, cioè tali da consentire la valutazione equa ed imparziale dei concorrenti;
   e) procedimentalizzate, cioè idonee ad assicurare, anche mediante protocolli e modelli di comportamento, che non si verifichino favoritismi o, all’inverso, discriminazioni, nella selezione e nella attribuzione degli incarichi;
   f) paritarie, cioè che le distinzioni di trattamento debbono rispondere a criteri di stretta necessità, proporzionalità ed adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo;
   g) proporzionali, cioè tali da assicurare la rispondenza relazionale tra il profilo professionale scelto e l’oggetto dell’incarico, anche sulla base del dato curriculare e di esperienza;
   h) pubbliche, cioè prevedibili e conoscibili;
   i) rotative, compatibilmente con la necessità di rendere efficace ed effettiva l’azione amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.11.2021 n. 7442 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILavorare gratis per la Pa? Si può. Ok ai bandi pubblici senza corrispettivo. Basta la gloria. Palazzo Spada annulla l’avviso del Mef ma non per il mancato rispetto dell’equo compenso.
La Pubblica amministrazione può emettere bandi che non prevedano compensi per i professionisti. Infatti, la norma sull'equo compenso sta a significare soltanto che «laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l'ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba sempre essere previsto».
E' la conclusione a cui è giunta la sezione quarta del Consiglio di stato con la sentenza 09.11.2021 n. 7442.
La sentenza conclude la vicenda legata a un bando del ministero dell'economia delle finanze del marzo 2019 (si veda ItaliaOggi del 05.03.2019) che è stato effettivamente annullato da palazzo Spada. Alla base dello stop, però, non una violazione della norma sull'equo compenso ma una mancanza nei criteri di trasparenza nel processo di selezione previsto dal bando.
L'avviso del Mef era finalizzato alla ricerca di consulenze di professionalità altamente qualificate, che potessero dimostrare una «consolidata e qualificata esperienza accademica e professionale documentabile di almeno 5 anni». L'incarico, di durata biennale, era a titolo gratuito, con l'esclusione di ogni onere a carico dell'amministrazione. Contro il bando hanno presentato ricorso gli ordini degli avvocati di Roma e di Napoli che, dopo la bocciatura del Tar Lazio con la sentenza n. 3015/2019 hanno visto il loro ricorso accolto in parte dal Consiglio di stato che ha infatti, come detto, annullato il bando. Stabilendo, tuttavia, che lo stesso non violasse la norma sull'equo compenso.
Come già affermato dal Tar, in sostanza, l'equo compenso è applicabile solo quando è previsto un corrispettivo per l'attività svolta. Nel caso in cui, invece, lo stesso non sia proprio stabilito dall'inizio, la norma non trova applicazione. Secondo palazzo Spada «l'adesione del professionista… reca indubbiamente… una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio... contributo alla cosa pubblica». Quindi, la Pa sarà libera di emettere bandi in cui non è prevista la paga per il professionista, ma altre tipologie di gratificazioni.
L'avviso, però, è stato comunque annullato per una mancanza di imparzialità nella selezione dei professionisti: «La tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni gratuite da parte delle pa», si legge ancora nella sentenza, «si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie sul fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti». Per questo aspetto, il ricorso è accolto e il bando quindi annullato. Per i compensi, invece, no (articolo ItaliaOggi del 10.11.2021).

luglio 2020

INCARICHI PROGETTUALIPer l’Ad. plen. il progettista indicato va qualificato come professionista esterno e non può quindi fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, il progettista indicato ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo e, non rientrando nella figura del concorrente né in quella di operatore economico, non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici previgente ed oggi è vietato dal d.lgs. n. 50 del 2016.
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Contratti pubblici – Appalto integrato di lavori – Progettista indicato – Avvalimento – Esclusione
Il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo.
Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta (1).

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   (1) I. – L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha formulato il principio di diritto per cui il progettista indicato ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto e non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea.
Non può, pertanto, utilizzare l’istituto dell’avvalimento, sia perché tale istituto è riservato all’operatore economico in senso tecnico sia perché l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice previgente.
   II. – La questione era stata rimessa all’attenzione dell’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sezione V, ordinanza, 09.04.2020, n. 2331 (oggetto della News US, n. 49 del 22.04.2020, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimento, ma sulla quale si veda amplius, infra, § q), che aveva formulato il seguente quesito “se, nell’ambito dell’appalto integrato come ammesso nel sistema normativo di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, il progettista eventualmente “indicato” dalla impresa concorrente, in caso di assenza in capo ad esso dei prescritti requisiti professionali ed organizzativi, possa a sua volta ricorrere all’istituto dell’avvalimento”.
La controversia muove da una procedura di gara per l’aggiudicazione dell’appalto di progettazione e realizzazione di una centrale di teleriscaldamento, alimentata a biomasse, per gli abitanti della città di Tarvisio; in particolare:
      a) il progettista “indicato” dalla impresa che avrebbe poi provveduto alla costruzione della centrale non era in possesso dei requisiti tecnico-professionali (appalti per un certo importo nell’ultimo decennio di attività) ed organizzativi (numero minimo di dipendenti) prescritti dal bando di gara.
Di qui il ricorso all’avvalimento di altri soggetti professionali (c.d. avvalimento “a cascata”). La successiva aggiudicazione in favore di tale impresa provocava il ricorso, proprio su tale punto specifico, ad opera della seconda classificata;
      b) in primo grado il Tar per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza 11.01.2013, n. 18, respingeva il ricorso sostenendo che, in applicazione dei “principi di livello europeo e nazionale, sulla base dell'articolo 49 del codice dei contratti e degli articoli 47 e 48 della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”, “l’avvalimento deve ritenersi ammesso anche a favore della figura del professionista che si incarica formalmente di eseguire la progettazione di determinati lavori”;
      c) la sentenza veniva appellata dinanzi al Consiglio di Stato il quale, con sentenza non definitiva n. 4849 del 22.10.2015 della quinta sezione, disponeva in un primo momento la sospensione (impropria) del giudizio in quanto nell’ambito di un diverso e parallelo processo era stato sottoposto, dinanzi alla Corte di giustizia UE, un quesito circa la compatibilità comunitaria della normativa interna nella parte in cui quest’ultima non sembra consentire un simile avvalimento di secondo grado;
      d) poiché quel procedimento veniva dichiarato estinto (per rinunzia della parte appellante), la causa di sospensione veniva meno. A questo punto lo stesso Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4982 del 30.10.2017 della quinta sezione, sottoponeva alla stessa Corte di giustizia analogo quesito circa la compatibilità “con l’art. 48 direttiva CE 31.03.2004, n. 18 di una norma, come quella di cui all’art. 53, comma 3, d.lgs. 16.04.2006, n. 163, che ammette alla partecipazione un’impresa con un progettista indicato’ il quale ultimo, a sua volta, non essendo concorrente, non può ricorrere all’istituto dell’avvalimento”. Veniva dunque reiterata l’interinale sospensione del giudizio.
Tale quesito era tuttavia dichiarato irricevibile, con sentenza della Corte di giustizia UE, sez. IX, 14.02.2019, C-710/17 (oggetto della News US, n. 25 del 22.02.2019 cui si rinvia per ogni approfondimento), dal momento che si trattava di un appalto c.d. sotto soglia peraltro privo di un “interesse transfrontaliero certo” (nel caso di specie –precisava la Corte– “la domanda di pronuncia pregiudiziale è diretta unicamente all’interpretazione della direttiva 2004/18 e non delle disposizioni e dei principi fondamentali del Trattato FUE”);
      e) con la citata ordinanza della sezione V, 09.04.2020, n. 2331, la questione era quindi rimessa al vaglio dell’Adunanza plenaria.
   III. – Con la sentenza in rassegna il collegio, dopo aver ricostruito la vicenda processuale, ha osservato quanto segue:
      f) la questione sostanziale, sulla quale il collegio è chiamato a pronunciarsi, consiste nello stabilire quale sia la qualificazione giuridica del progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 e se questi possa ricorrere a un progettista terzo, utilizzando a sua volta la qualifica di altro professionista, singolo o associato. Solo nell’ipotesi in cui il progettista originariamente indicato dal costituendo raggruppamento sia da qualificare come ausiliario in senso tecnico, ossia come l’effetto del meccanismo proprio dell’avvalimento, si pone l’ulteriore questione se vi possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un duplice e consequenziale avvalimento di professionisti;
      g) in punto di fatto:
         g1) il costituendo raggruppamento temporaneo che ha partecipato alla gara era costituito da due soggetti, privi, nelle loro attestazioni SOA, della qualificazione per le prestazioni di progettazioni;
         g2) gli operatori hanno pertanto indicato congiuntamente un progettista esterno, non facente parte del R.T.I.;
         g3) il progettista indicato ha, a sua volta, presentato un contratto di avvalimento stipulato con altra società, allo scopo di utilizzarne i requisiti, avendo dichiarato espressamente di essere privo di taluni dei requisiti previsti dal bando, analiticamente indicati;
      h) l’istituto dell’avvalimento, di origine comunitaria è stato disciplinato per la prima volta dall’abrogato codice dei contratti pubblici, il quale prevedeva che:
         h1) all’art. 49, “Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell’articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto”;
         h2) all’art. 53, comma 3, “Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti, secondo quanto previsto dal Capo IV del presente Titolo (progettazione e concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione comprese nell’importo a base del contratto”;
         i) dal confronto tra le due norme risulta come, mentre quella generale ha individuato nel concorrente il soggetto legittimato ad avvalersi dell’istituto, quella speciale ha adoperato l’espressione “operatori economici”, che può essere considerata come la sintesi dei soggetti così come intesi dalla prima norma riportata oppure come una disposizione polisemica, capace di allargare la legittimazione fino a ricomprendervi anche il progettista esterno alla compagine che ha formulato l’offerta;
         i1) l’espressione “concorrente” non può che avere il significato proprio di chi effettua l’offerta;
         i2) quindi, ai sensi dell’art. 3, commi 19 e 22, d.lgs. n. 163 del 2006, è tale “colui che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi”, ossia l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi;
         i3) pur optando per una lettura ampia delle parole adoperate dal legislatore, essa non porta necessariamente ad includere tra i concorrenti il professionista indicato per la progettazione, data la sua particolare posizione nel meccanismo dell’offerta dell’evidenza pubblica e nell’economia generale della specifica vicenda;
      j) come si ricava dalla scienza economica e dal diritto commerciale, l’operatore economico:
         j1) è l’imprenditore, singolo (art. 2082 c.c.) o collettivo (art. 2247 c.c.), che, operando professionalmente nel mercato, offre o acquista beni o servizi al fine di conseguire utili;
         j2) ad esso si contrappone il consumatore, cui manca la finalità indicata e l’organizzazione d’impresa;
         j3) il prestatore d’opera professionale, di cui all’art. 2229 c.c., il cui contratto può essere concluso anche da una società di capitali, i cui soci esercitino professioni c.d. protette, che prevedono l’iscrizione ad un albo, è caratterizzato dalla autonomia rispetto al committente, dalla retribuzione commisurata alla qualità e alla quantità della prestazione, che è di mezzi e non di risultato. Il professionista non partecipa agli utili del committente quando questi rivesta la qualità di imprenditore, che è tenuto comunque alla corresponsione della retribuzione, essendo il rischio del lavoro del professionista a carico del committente.
Infatti, all’art. 53 del codice è stato aggiunto il comma 3-bis, che prevede per la stazione appaltante la corresponsione diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione;
      k) il significato da attribuire all’espressione “operatore economico” nel caso di specie viene fornita dallo stesso legislatore, all’art. 3, comma 22, d.lgs. n. 163 del 2006, dove si prevede che “Il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi”;
      l) è naturale pertanto concludere nel senso che il professionista indicato non rientri tra i soggetti legittimati ad utilizzare l’istituto dell’avvalimento, non essendo un operatore economico nel senso previsto dalla disciplina dei contratti pubblici:
         l1) la posizione giuridica del progettista indicato dall’impresa, che ha formulato l’offerta con la conseguente aggiudicazione e che si ricava dalla legge di gara, è quella di un prestatore d’opera professionale che non entra a far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera e non rientra nella struttura societaria quando questa formula l’offerta;
         l2) si tratta di due soggetti separati e distinti che svolgono funzioni differenti con conseguente diversa distribuzione delle responsabilità;
         l3) tale situazione non muta neanche in caso di appalto c.d. integrato, caratterizzato dal fatto che l’oggetto negoziale è unico, nel senso che non vi è doppia gara, una per la progettazione e un’altra per l’esecuzione dei lavori, poiché il contratto viene sottoscritto unicamente da chi si è aggiudicato la gara; in ogni caso, per l’appalto integrato la legge non configura un meccanismo diverso da quello previsto in generale.
Anche l’impresa ausiliaria, in caso di avvalimento, rimane sempre estranea alla vicenda dell’aggiudicazione e del conseguente contratto di appalto o di servizi, nonostante la legge fissi una forma di responsabilità solidale che viene assunta in adempimento del contratto di avvalimento e, al tempo stesso, è la riprova di una soggettività separata e distinta.
Il contratto ha come contenuto la promessa dell’obbligazione (o fatto) del terzo (art. 1381 c. c.) e la dichiarazione dell’ausiliario di impegno verso la stazione appaltante ne costituisce l’esecuzione; senza tale dichiarazione non vi sarebbe nessuna possibilità per la stazione appaltante di pretendere il coinvolgimento dell’ausiliaria nell’esecuzione del contratto attraverso la messa a disposizione dei mezzi e delle qualifiche e men che meno vi sarebbe la responsabilità solidale. La dichiarazione dell’ausiliaria costituisce il punto di contatto giuridico tra la fase negoziale e il subprocedimento dell’avvalimento che si apre nella fase dell’offerta di gara”;
         l4) inoltre, secondo la giurisprudenza dell’Unione europea, l’avvalimento si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in gara;
      m) pertanto, il professionista esterno indicato dal raggruppamento che ha formulato l’offerta assume un rilievo tale per cui deve possedere in proprio i requisiti richiesti per eseguire la prestazione professionale e gli è anche preclusa la possibilità di sopperire ad eventuali lacune utilizzando i requisiti posseduti da altro professionista, singolo o associato. Nel caso di specie:
         m1) il raggruppamento risultato aggiudicatario ha indicato solamente un ingegnere e non anche la società di cui quest’ultimo si è avvalsa;
         m2) ne discende che il collegio non può riqualificare il contratto di avvalimento intervenuto tra i due soggetti come l’espressione, sia pure anomala, di una forma di associazione temporanea tra professionisti, che complessivamente avrebbero posseduto i requisiti richiesti dal bando;
         m3) pertanto, stante il meccanismo utilizzato, l’ingegnere indicato avrebbe dovuto possedere in proprio detti requisiti. Questa è la regola d’altro canto nel caso di incarico professionale, non avendo molto senso indicare un professionista sprovvisto dei requisiti, dato il carattere normalmente fiduciario del rapporto tra il committente e il professionista stesso, specie nel procedimento dell’evidenza pubblica, nel quale occorre garantire l’amministrazione circa l’affidabilità dell’appaltatore nella sua struttura complessiva anche in vista dell’esecuzione dell’opera progettata;
      n) la soluzione indicata dal collegio consentirebbe di non affrontare il tema dell’avvalimento c.d. “a cascata”. Infatti, se il rapporto tra il professionista indicato e il raggruppamento partecipante alla gara attraverso l’offerta non integra l’ipotesi dell’avvalimento, il contratto di avvalimento presentato dal professionista rimane privo di effetti, non essendoci rapporto, nemmeno indiretto, tra la società ausiliaria e l’amministrazione aggiudicatrice. Tuttavia, si tratta di un punto di diritto sul quale il collegio è stato chiamato a pronunciarsi;
      o) sull’ambito di applicazione dell’istituto dell’avvalimento:
         o1) va registrato un primo contrasto tra la giurisprudenza interna e quella comunitaria addensatosi intorno al significato da attribuire all’art. 49, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006, in base al quale solo in ipotesi eccezionali e solo qualora il bando di gara lo prevedesse, era possibile l’avvalimento multiplo o plurimo, ossia da parte di più di un soggetto all’interno di un’unica categoria di lavorazione;
         o2) era invece vietato l’avvalimento frazionato, ossia la possibilità di cumulare tra concorrente e impresa ausiliaria i singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi;
         o3) in questo contesto si è affermata la differenza tra avvalimento: plurimo, in cui ci sia avvale di più di un soggetto; frazionato, in cui il concorrente si avvale di un solo soggetto, con la particolarità che ognuno di essi da solo non possiede il requisito o i requisiti di partecipazione ed è solo cumulando i propri con quelli dell’altro che viene raggiunta la soglia richiesta;
         o4) si sono poi aggiunte ulteriori classificazioni come gli avvalimenti interni plurimi e incrociati e l’avvalimento ad abundantiam, oltre alle distinzioni fondate sul contenuto del contratto, ossia l’avvalimento operativo e quello di garanzia;
         o5) in questo contesto, la giurisprudenza interna: diffidando del nuovo istituto, aveva dato piena applicazione alle limitazioni e ai divieti ricavabili dal citato art. 49; però, già nel vigore della citata disposizione, aveva ritenuto che tale norma non poneva alcuna limitazione al ricorso all’istituto dell’avvalimento se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, estendendolo anche per la certificazione di qualità;
         o6) la giurisprudenza europea (in particolare, sentenza 10.10.2013, C-94/12, in Guida al dir., 2013, fasc. 43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2630; Appalti & Contratti, 2013, fasc. 11, 84, con nota di TRAMONTANA; Nuovo notiziario giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014, 147, con nota di CARANTA; Giurisdiz. amm., 2013, III, 746), tuttavia, ha affermato che gli artt. 47, par. 2, e 48, par. 3, della direttiva 2014/18/CE devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione nazionale che vieti, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, della capacità di più imprese.
In tale sentenza era stato in particolare evocato il principio della piena apertura concorrenziale con quello dell’effettiva messa a disposizione dei requisiti necessari, richiamando il generale obiettivo dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella considerazione che l’ampio ricorso all’istituto dell’avvalimento è anche idonea a facilitare l’accesso delle piccole medie imprese agli appalti pubblici.
Con ulteriori interventi, la giurisprudenza europea ha ancora confermato la valenza generale dell’istituto dell’avvalimento e i limitati margini riconosciuti ai legislatori nazionali nel limitarne il campo di estensione;
         o7) la legge delega 28.01.2016, n. 11, ha dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento, all’art. 1, comma 1, lett. zz), stabilendo sia l’esclusione della possibilità di fare ricorso al c.d. avvalimento a cascata, sia il divieto che oggetto dell’avvalimento possa essere il possesso della qualificazione dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare;
         o8) l’art. 89 d.lgs. n. 50 del 2016, quindi, vieta al comma 6 espressamente il cosiddetto avvalimento a cascata, consentendo quello plurimo o frazionato, con possibilità, in via eccezionale, di non consentire l’avvalimento, purché venga indicato nel bando con il rispetto del principio di proporzionalità;
         o9) tale evoluzione normativa rende nuovamente di attualità la giurisprudenza formatasi nel vigore del precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è consentito avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di altro soggetto, sia pure ad esso collegato; “una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla possibilità per la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e immediato con l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice dichiarazione dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con l’impresa ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità solidale delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare”;
         o10) il divieto contenuto nel codice dei contratti pubblici del 2016, pur non essendo direttamente applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento per l’interprete, che deve tenere in debito conto le tendenze evolutive dell’ordinamento;
      p) pertanto, con riferimento all’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006, nonostante non esistesse nel precedente codice un divieto espresso di avvalimento a cascata, la giurisprudenza maggioritaria già propendeva per la sua non ammissibilità, sulla base della decisiva considerazione per cui, pur essendo pacifico il carattere generalizzato dell’avvalimento, strumentale ai principi comunitari della massima partecipazione nelle gare di appalto e dell’effettività di concorrenza, l’applicazione dell’istituto deve essere comunque contemperata con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto.
   IV. – Per completezza si osserva quanto segue:
      q) come anticipato, la questione è stata rimessa all’attenzione dell’Adunanza plenaria dalla citata Cons. Stato, sez. V, ordinanza, 09.04.2020, n. 2331, oggetto della News US, n. 49 del 22.04.2020, cit., alla quale si rinvia, in particolare: §§ g) e h), sulla giurisprudenza e dottrina in tema di avvalimenti “a cascata”; § i), in generale, sul favor espresso dalla giurisprudenza europea sull’istituto dell’avvalimento;
      r) sulla nozione di operatore economico ai fini degli appalti pubblici e dei servizi di progettazione, si veda Corte di giustizia UE, sez. IX, 30.06.2020, C-618/19, Ge.Fi.L.; Corte di giustizia UE, sez. X, 11.06.2020, C-219/19, Parsec (oggetto della News US, n. 70 del 10.07.2020) secondo cui “L’articolo 19, paragrafo 1, e l’articolo 80, paragrafo 2, della direttiva n. 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, letti alla luce del considerando 14 della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che esclude, per enti senza scopo di lucro, la possibilità di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, sebbene tali enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi oggetto dell’appalto di cui trattasi”.
In linea con la precedente giurisprudenza, la Corte di giustizia UE ha affermato che, qualora un ente sia abilitato in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura nello Stato membro interessato, esso non può vedersi negato il diritto di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico avente ad oggetto la prestazione degli stessi servizi, e ciò anche quando tale preclusione sia determinata da specifiche presunzioni discendenti dalla sua forma giuridica, quale quella di ente senza scopo di lucro.
La Corte ha, altresì, evidenziato che lo svolgimento a titolo professionale delle prestazioni di architettura e ingegneria in via continuativa e remunerata non veicola, ex se, una presunzione di maggiore affidabilità del soggetto e non potrebbe giustificare, dunque, le correlate limitazioni soggettive poste dalla legislazione nazionale che disciplina le procedura di affidamento: se un soggetto è abilitato a svolgere determinate prestazioni deve, in sintesi, poter rendere le stesse anche nei confronti di committenti pubblici. Alla citata News US, n. 70 del 10.07.2020, si rinvia, oltre che per una ricostruzione della vicenda processuale sottesa:
§§ a), b), c), d) ed e), per l’analisi delle argomentazioni della Corte sulla nozione di operatore economico;
§ f), sul rapporto tra enti che non perseguono scopo di lucro e la nozione di operatore economico per il diritto europeo;
§ g), sulla nozione di operatore economico nel particolare ambito dei servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza;
§§ h) e i), sulla nozione di operatore economico nella giurisprudenza nazionale e sul principio di “neutralità della forma”;
§§ k) e l), per le interpretazioni dottrinali sulle singole categorie di operatori economici;
§ m), sulla genesi e l’evoluzione dell’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016, anche alla luce delle novità introdotte dal d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito con modificazioni in l. 14.06.2019, n. 55 (oggetto della News normativa, n. 74 del 10.07.2019) (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 09.07.2020 n. 13 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALIL’Adunanza plenaria afferma che il progettista ex art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 non può ricorrere all’istituto dell’avvalimento.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Progettazione – Progettista ex art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 – É professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo – Conseguenza – Avvalimento – Esclusione.
Il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo; pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea, con la conseguenza che non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal d.lgs. n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta (1).
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   (1) Ha ricordato l’Alto Consesso che la legge delega 28.01.2016, n. 11, ha dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento (criterio di cui all’art. 1, comma 1, lett. zz), in attuazione dell’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE), stabilendo sia l’esclusione della possibilità di fare ricorso al cosiddetto “avvalimento a cascata”, sia il divieto che oggetto dell’avvalimento possa essere “il possesso della qualificazione dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare”. Le disposizioni sono poi penetrate nell’art. 89 del nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, che, al comma 6, vieta espressamente il cosiddetto avvalimento “a cascata”, consentendo invece quello plurimo e frazionato; con possibilità, in via eccezionale, di non consentire l’avvalimento, purché venga indicato nel bando con il rispetto del principio di proporzionalità.
Questo rende nuovamente di attualità la giurisprudenza formatasi nel vigore del precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è consentito avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato. Ciò, in quanto una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla possibilità per la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e immediato con l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice dichiarazione dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con l’impresa ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità solidale delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare.
In proposito il collegio osserva come il divieto contenuto nel Codice dei contratti pubblici attualmente in vigore, pur non essendo direttamente applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento per l’interprete, che è tenuto a tenere nel debito conto le tendenze evolutive dell’ordinamento.
In sintesi, quanto all’art. 53, comma 3, d.lgs. n 163 del 2006, nonostante non esistesse nel vecchio codice dei contratti pubblici un divieto espresso del cosiddetto “avvalimento a cascata”, la giurisprudenza maggioritaria già propendeva per la non ammissibilità. Era ritenuta decisiva la considerazione che, pur essendo pacifico il carattere generalizzato dell’avvalimento strumentale ai principi comunitari della massima partecipazione nelle gare di appalto e dell’effettività della concorrenza, l’applicazione dell’istituto deve essere comunque contemperato con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; id., sez. V, 13.03.2014, n. 1251) (Consiglio di Stato, A.P., sentenza 09.07.2020 n. 13 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
12- La questione sostanziale, sulla quale il collegio è chiamato a pronunciarsi, consiste nello stabilire quale sia la qualificazione giuridica del progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia del citato art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006, e se questi possa ricorrere a un progettista terzo, utilizzando a sua propria volta la qualifica di altro professionista, singolo o associato.
Pertanto solamente nell’ipotesi in cui il progettista originariamente indicato dal costituendo raggruppamento sia da qualificare come ausiliario in senso tecnico, ossia come l’effetto del meccanismo proprio dell’avvalimento (art. 49 e 53, comma 3, d.lgs. n. 163/2006), si pone l’ulteriore questione se vi possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un duplice e consequenziale avvalimento di professionisti.
13- In punto di fatto, il costituendo raggruppamento temporaneo che ha partecipato alla gara era composto dalla società In.Co.s S.r.l., quale mandataria, e dalla Id. F.lli So.; non rientrando nelle loro attestazioni SOA la qualificazione per le prestazioni di progettazione, hanno congiuntamente indicato un progettista esterno, l'Ing. Ga.In., non facente parte del R.T.I. Quest’ultimo a sua volta ha presentato un contratto di avvalimento stipulato con la Pr.En. S.r.l. (come soggetto ausiliario) all’evidente scopo di utilizzarne i requisiti, avendo dichiarato espressamente di essere privo di taluni di quelli richiesti dal bando, analiticamente indicati.
Più in dettaglio, il bando di gara, all’art. 12, stabilisce che: «qualora l’attestazione SOA dell’impresa concorrente non includa anche la qualificazione per prestazioni di progettazione, l’impresa potrà partecipare alla gara soltanto avvalendosi di un soggetto qualificato da indicare nell’offerta ovvero creando un raggruppamento temporaneo con soggetti qualificati per la progettazione di cui all’articolo 90, comma 1, lettere da d) a h), del D.Lgs. n. 163/2006. In tal caso il progettista associato o individuato dovrà […] essere in possesso dei requisiti di ordine generale […] nonché dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi previsti dalle norme per la partecipazione alla gara».
L’art. 14.1.2. del medesimo bando stabilisce: «relativamente alla progettazione esecutiva qualora l’attestazione SOA dell’impresa concorrente non includa anche la qualificazione per prestazioni di progettazione, l’impresa potrà partecipare alla presente gara soltanto avvalendosi di un soggetto qualificato da indicare nell’offerta… In tal caso il progettista associato o individuato dovrà essere in possesso dei requisiti economico finanziari e tecnico organizzativi previsti dalle norme per la partecipazione alla gara al punto A “OFFERTA” […]».
Ai sensi della lettera A) delle norme per la partecipazione alla gara (disciplinare) si stabilisce: «nella busta A…devono essere contenuti a pena di esclusione i seguenti documenti: […] 7.3 dichiarazione in ordine al possesso dei requisiti di capacità tecnico professionale (vedasi modello F) […] resa e sottoscritta: […] dal professionista singolo… in cui deve essere dichiarato pena l’esclusione: […]».
Dall’istanza di ammissione alla gara ufficiosa e dalle dichiarazioni sostitutive (in atti) presentate dall’impresa Id. F.lli So., mandante del costituendo raggruppamento risultato poi aggiudicatario, si evince, nella parte del modulo relativa al possesso dei requisiti per le prestazioni di progettazione, che è stata barrata la dicitura “sono posseduti da progettisti esterni di cui all’articolo 90, comma 1, da d) a h), del D.Lgs. n. 16/2006, e a tale scopo allega apposita dichiarazione compilate sugli allegati modelli C e seguenti”.
Sempre dagli atti risulta quanto sopra detto, ovvero che le società del costituendo raggruppamento hanno dichiarato di avvalersi del progettista Ing. Ga.In.; più esattamente il documento è intitolato “nomina del progettista” e la dicitura adoperata nel testo è: “dichiarano di avvalersi del progettista…” (doc. 7 degli atti allegati dall’appellato).
14- Il collegio rileva ancora che dai richiamati atti di gara emerge pacificamente come la nomina del progettista sia stata semplicemente indicata dal raggruppamento aggiudicatario, senza che sia stato prodotto un contratto di avvalimento con il professionista originario. Questo è avvenuto del tutto legittimamente, in quanto la normativa generale e la “legge” della procedura consentivano di utilizzare un professionista esterno, senza la necessità di stipulare con lo stesso un formale contratto di avvalimento; ciò, nonostante nel sistema generale la semplice dichiarazione venga ritenuta sufficiente in luogo del contratto solamente quando il soggetto che fornisce i requisiti faccia parte del gruppo o del raggruppamento, a ulteriore riprova che nel caso di specie si tratti di una semplice prestazione professionale autorizzata. Tant’è che solo nel caso in cui i requisiti necessari per la parte progettuale non fossero posseduti dal soggetto legittimato a formulare l’offerta, era necessaria la nomina del progettista esterno in possesso dei requisiti richiesti; cosa che è stata regolarmente effettuata (doc. n. 7 degli atti prodotti dall’odierno appellante).
In ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che la nomina era da intendersi come un avvalimento in senso tecnico, la mancanza del contratto tra l’odierna appellata e il professionista indicato renderebbe l’offerta illegittima per questa ragione, trattandosi pacificamente di soggetto estraneo al raggruppamento (Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2014, n. 1251).
Questo serve a chiarire come nel caso di specie viene in rilievo non tanto la questione generale se sia possibile un avvalimento di avvalimento (c.d. “avvalimento a cascata”), bensì se sia legittimo da parte di un professionista indicato, come tale non offerente, avvalersi, con l’esibizione di tale specifica tipologia di contratto, di altro soggetto in possesso dei requisiti di cui egli è sprovvisto.
15- Il collegio ritiene che il meccanismo posto in essere dal raggruppamento aggiudicatario (in questa sede appellato) sia illegittimo per i motivi che seguono.
L’istituto dell’avvalimento, di origine comunitaria, è stato disciplinato per la prima volta dall’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, agli artt. 49, 50 e 88 del dpr. n. 207 del 2010. L’art. 49 stabiliva, al comma 1: «Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell’articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto».
L’articolo 53 del medesimo codice, che è quello di cui la stazione appaltante ha fatto applicazione nel caso di specie, stabiliva, al comma 3: «Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti, secondo quanto previsto dal Capo IV del presente Titolo (progettazione e concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione comprese nell’importo a base del contratto».
Dal confronto delle due norme risulta come, mentre quella generale ha individuato nel “concorrente” il soggetto legittimato ad avvalersi dell’istituto, quella speciale ha adoperato l’espressione “operatori economici”, che può essere considerata come la sintesi dei soggetti così come intesi dalla prima norma riportata oppure come un’espressione polisensa, capace di allargare la legittimazione fino a ricomprendervi anche il progettista esterno alla compagine che ha formulato l’offerta.
L’espressione “concorrente” non può che avere il significato proprio di chi effettua l’offerta, che per il sistema della legge dell’evidenza pubblica e per l’art. 3, commi 19 e 22, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, non può che essere «colui che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi», ossia l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi.
Il collegio osserva che la questione non va risolta sulla base delle parole adoperate dal legislatore, che pure hanno il loro peso in sede di interpretazione, bensì sulla base della realtà giuridica. Anche perché quand’anche si dovesse optare per la lettura più larga, essa non necessariamente porta ad includere tra i concorrenti il professionista indicato per la progettazione, data la sua particolare posizione nel meccanismo dell’offerta dell’evidenza pubblica e nell’economia generale della specifica vicenda.
15.1- In ogni caso, come si ricava dalla scienza economica e dal diritto commerciale, l’operatore economico è l’imprenditore, singolo (2082 c.c.) o collettivo (2247 c.c.), che, operando professionalmente nel mercato, offre o acquista beni o servizi al fine di conseguire utili. Ad esso si contrappone il consumatore, cui manca la finalità indicata e l’organizzazione d’impresa.
In questo quadro si inserisce il prestatore d’opera professionale (2229 c.c.), il cui contratto può essere concluso anche da una società di capitali, i cui soci esercitino professioni c.d. protette, che prevedono l’iscrizione ad un albo. Esso è caratterizzato dalla autonomia rispetto al committente, dalla retribuzione commisurata alla qualità e alla quantità della prestazione, che è di mezzi e non di risultato.
Per quel che qui interessa, il professionista non partecipa agli utili del committente quando questi rivesta la qualità di imprenditore, che è tenuto comunque alla corresponsione della retribuzione, essendo il rischio del lavoro del professionista a carico del committente. Non è casuale, per rimanere alla fattispecie in esame, che all’art. 53 sia stato aggiunto il comma 3-bis, che prevede per la stazione appaltante la corresponsione diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione.
Il richiamo di tali nozioni si è reso necessario, avendo le difese dedotto non poco sul significato da attribuire all’espressione “operatore economico”.
15.2- Tuttavia il collegio osserva come il significato da attribuire a tale espressione, nel caso di specie, ci viene dallo stesso legislatore, laddove all’art. 3, comma 22, del codice dei contratti pubblici, più volte richiamato e applicabile ratione temporis, stabilisce che: «Il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi». Non a caso in dottrina comincia a farsi strada l’idea che l’avvalimento rientri nei contratti d’impresa.
Pertanto è naturale concludere che il professionista indicato non rientra nei soggetti legittimati ad utilizzare l’istituto dell’avvalimento, non essendo un operatore economico nel senso voluto dalla disciplina dei contratti pubblici.
La posizione giuridica del progettista indicato dall’impresa, che ha formulato l’offerta con la conseguente aggiudicazione e che si ricava dalla “legge” di gara, è, come già anticipato, quella di un prestatore d’opera professionale che non entra a far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera, e men che meno rientra nella struttura societaria quando questa formula l’offerta. Rimangono due soggetti separati e distinti, che svolgono funzioni differenti con conseguente diversa distribuzione delle responsabilità.
15.3- Tale situazione non muta neppure nel caso di appalto c. d. integrato, caratterizzato dal fatto che l’oggetto negoziale è unico, nel senso che non vi è una doppia gara, una per la progettazione e un’altra per l’esecuzione dei lavori, poiché il contratto viene sottoscritto unicamente da chi si è aggiudicato la gara; e in ogni caso la legge non configura un meccanismo diverso da quello previsto in generale.
D’altronde, anche l’impresa ausiliaria, figura propria dell’avvalimento, rimane sempre estranea alla vicenda dell’aggiudicazione e del conseguente contratto di appalto o di servizi, nonostante la legge fissi una forma di responsabilità solidale che viene assunta in adempimento del contratto di avvalimento e al tempo stesso è la riprova di una soggettività separata e distinta.
Il contratto ha come contenuto la promessa dell’obbligazione (o fatto) del terzo (art. 1381 c. c.) e la dichiarazione dell’ausiliario di impegno verso la stazione appaltante ne costituisce l’esecuzione; senza tale dichiarazione non vi sarebbe nessuna possibilità per la stazione appaltante di pretendere il coinvolgimento dell’ausiliaria nell’esecuzione del contratto attraverso la messa a disposizione dei mezzi e delle qualifiche e men che meno vi sarebbe la responsabilità solidale. La dichiarazione dell’ausiliaria costituisce il punto di contatto giuridico tra la fase negoziale e il subprocedimento dell’avvalimento che si apre nella fase dell’offerta di gara.
15.4- Occorre precisare che, come si vedrà oltre, per la giurisprudenza dell’Unione europea, l’avvalimento si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in gara (si veda da ultimo Corte di giustizia CE, sez. X, 11.06.2020, C-219/19 Parsec, che, in linea con la nozione ampia di operatore economico, va incluso in detta categoria qualunque persona o ente collettivo che operi sul mercato <<a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha deciso di operare>>). Il che ha talora indotto ad optare per l’orientamento più permissivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.10.2014, n. 4929, cit.).
A tal proposito è sufficiente osservare come, per le ragioni spiegate, anche nel diritto dell’Unione il significato di operatore economico non è stato mai esteso alla figura del professionista, che anche in quell’ordinamento ha la stessa connotazione giuridica dell’ordinamento interno, ossia non è operatore del mercato nell’accezione tecnica indicata.
16- L’aggiudicazione è illegittima anche per un’altra doppia serie di motivi.
16.1- Dalla configurazione che il collegio ha ritenuto di dare alla figura del professionista esterno indicato dal raggruppamento che ha formulato l’offerta, discende che questi assume un rilievo tale per cui deve possedere in proprio i requisiti richiesti per eseguire la prestazione professionale e, per altra via, gli è anche preclusa la possibilità di sopperire ad eventuali lacune utilizzando i requisiti posseduti da altro professionista, singolo o associato, come avvenuto nel caso di specie.
Infatti, il raggruppamento risultato aggiudicatario ha indicato solamente l’ingegner In. e non anche la società Pr.En. S.r.l. Questo esclude anche che il collegio possa eventualmente riqualificare il contratto di avvalimento intervenuto tra i due soggetti come l’espressione, sia pure anomala, di una forma di associazione temporanea tra professionisti, che complessivamente avrebbero posseduto i requisiti richiesti dal bando.
Pertanto, stante il meccanismo utilizzato, l’ingegnere indicato avrebbe dovuto possedere in proprio detti requisiti. Peraltro questa è in genere la regola nel caso di incarico professionale, non avendo molto senso indicare un professionista sprovvisto dei requisiti, dato il carattere normalmente fiduciario del rapporto tra il committente e il professionista stesso. Ciò è tanto più necessario per il procedimento dell’evidenza pubblica, nel quale occorre garantire l’amministrazione circa l’affidabilità dell’appaltatore nella sua struttura complessiva anche in vista dell’esecuzione dell’opera progettata.
16.2- La soluzione che il collegio ha ritenuto di dare al caso di specie consentirebbe in astratto di escludere l’esame della questione relativa al cosiddetto avvalimento “a cascata”, su cui egualmente gli scritti difensivi hanno molto indugiato.
Infatti, se il rapporto tra il professionista ‘indicato’ e il raggruppamento partecipante alla gara attraverso l’offerta non integra l’ipotesi dell’avvalimento, il contratto di avvalimento presentato dal professionista rimane privo di effetti, non essendoci rapporto, nemmeno indiretto, tra la società -sua- ausiliaria e l’amministrazione aggiudicatrice.
Avendo al contrario il giudice territoriale considerato la fattispecie come rientrante nello schema dell’avvalimento e in particolare nella sottospecie cosiddetta “a cascata”, ne è conseguita l’affermata legittimità dell’aggiudicazione, pur nella consapevolezza del contrasto giurisprudenziale registrabile sull’ammissibilità dell’istituto nel vigore dell’abrogato codice dei contratti pubblici. Questo giustifica l’estensione della motivazione ad aspetti non rigorosamente necessari per salvaguardarne la congruità e la sufficienza, pur rimanendo la questione dell’avvalimento “a cascata” il punto di diritto su cui il collegio è stato chiamato a pronunciarsi.
16.3- Sin dalla prima apparizione dell’istituto dell’avvalimento nel panorama ordinamentale europeo e nazionale, la giurisprudenza si è dovuta occupare –oltre a tante altre, larga parte delle quali sono state risolte dalla sentenza Ad. Plenaria n. 23 del 04.04.2016– delle due questioni che vengono ora in rilievo, ossia l’applicazione generalizzata (e non come eccezione ammessa nella singola gara) e l’ammissibilità della fattispecie in cui il soggetto che ‘presta’ i requisiti all’impresa ausiliata possa a sua volta avvalersi dei requisiti di altra impresa ausiliaria.
In particolare, va registrato un primo contrasto tra la giurisprudenza interna e quella comunitaria addensatosi intorno al significato da attribuire all’art. 49, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, in base al quale solo in ipotesi eccezionali e solo qualora il bando di gara lo prevedesse, era possibile l’avvalimento cosiddetto multiplo o plurimo, ossia da parte di più di un soggetto all’interno di un’unica categoria di lavorazione. Era invece vietato l’avvalimento frazionato, ossia la possibilità di cumulare tra concorrente e impresa ausiliaria i singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi.
Proprio in questo contesto si è affermata la differenza concettuale tra avvalimento plurimo e frazionato; dove nel primo caso ci si avvale di più di un soggetto, mentre nella seconda ipotesi il concorrente si avvale di un solo soggetto, con la particolarità che ognuno di essi da solo non possiede il requisito o i requisiti di partecipazione ed è solo cumulando i propri con quello dell’altro che viene raggiunta la soglia richiesta. Successivamente a questa iniziale distinzione si sono aggiunte altre sottospecie come gli avvalimenti interni plurimi e incrociati e l’avvalimento ad abundantiam, oltre alle classiche distinzioni fondate sul contenuto del contratto, ossia l’avvalimento operativo e quello di garanzia.
In quel contesto la giurisprudenza interna, diffidando del nuovo istituto, aveva dato piena applicazione alle limitazioni e ai divieti della norma indicata (Cons. Stato, Sez. VI, 13.06.2011 n. 3565, Sez. IV, 17.10.2012, n. 5340; id., 24.05.2013, n. 2832; Sez. III, 01.10.2012, n. 5161; Sez. V, 24.01.2013, n. 439).
Una timida apertura era contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 08.02.2011, n. 857, che mostrava un certo favore per l’affermazione del principio della più ampia partecipazione delle imprese alle gare. In realtà, già in precedenza la medesima Sezione, con sentenza del 28.09.2005, n. 5194, aveva affermato la portata generale del principio dell’avvalimento, ritenendolo valevole per tutti i tipi di contratti pubblici, avuto riguardo anche alle attestazioni SOA; pur precisando poi, con riferimento alla concessione di servizi, che ciò deve risultare chiaramente da parte dell’amministrazione aggiudicatrice attraverso l’espresso richiamo nel bando di gara dell’art. 49 del Codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.05.2013, n. 2385).
In ogni caso, dunque, già nel vigore del più volte richiamato art. 49 del codice del 2006 la giurisprudenza riteneva che tale norma non poneva alcuna limitazione al ricorso all’istituto dell’avvalimento se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, estendendolo anche per la certificazione di qualità (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2013, n. 911; id., 06.03.2013, n. 1368; Sez. IV, 01.08.2012, n. 4406; id., 17.10.2012, n. 5340).
16.4- In quel contesto la Corte di giustizia europea, con la sentenza 10.10.2013, numero C-94/12, cambia il quadro normativo interno e quindi anche il quadro giurisprudenziale, laddove afferma che gli articoli 47, par. 2 e 48, par. 3 della direttiva 2004/18/CE devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione nazionale che vieti, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, della capacità di più imprese; la pronuncia si era formata a proposito di una controversia dove il raggruppamento temporaneo di imprese era stato escluso dalla gara d’appalto in considerazione del divieto generale di avvalimento all’interno della medesima categoria di qualificazione, ai sensi dell’articolo 49, comma 6, del Codice dei contratti pubblici del 2006. Una prima applicazione dei principi contenuti nella pronuncia si è avuta con Cons. Stato, Sez. V, 09.12.2013, n. 5874.
In tale sentenza la Corte di Lussemburgo ha evocato il principio della piena apertura concorrenziale con quello dell’effettiva messa a disposizione dei requisiti necessari, richiamando il generale obiettivo dell’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella considerazione che l’ampio ricorso all’istituto dell’avvalimento è anche idonea a facilitare l’accesso delle piccole medie imprese agli appalti pubblici. La Corte di giustizia ha poi confermato la valenza generale dell’istituto dell’avvalimento e i limitati margini riconosciuti ai legislatori nazionali nel limitarne il campo di estensione (sentenza del 07.04.2016 in causa C-324/14; 14.09.2017 in causa C-223/16). Tuttavia, la Corte di giustizia nelle sentenze indicate ammonisce che i principi di parità di trattamento e di non discriminazione vanno sempre conciliati con l’obbligo di trasparenza, che non consente trattative fra le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici.
16.5- Successivamente, come è noto, la legge delega 28.01.2016, n. 11, ha dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento (criterio di cui all’art. 1, comma 1, lett. zz), in attuazione dell’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE), stabilendo sia l’esclusione della possibilità di fare ricorso al cosiddetto “avvalimento a cascata”, sia il divieto che oggetto dell’avvalimento possa essere “il possesso della qualificazione dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare”. Le disposizioni sono poi penetrate nell’art. 89 del nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, che, al comma 6, vieta espressamente il cosiddetto avvalimento “a cascata”, consentendo invece quello plurimo e frazionato; con possibilità, in via eccezionale, di non consentire l’avvalimento, purché venga indicato nel bando con il rispetto del principio di proporzionalità.
Questo rende nuovamente di attualità la giurisprudenza richiamata, formatasi nel vigore del precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è consentito avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato. Ciò, in quanto una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla possibilità per la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e immediato con l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice dichiarazione dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con l’impresa ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità solidale delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto da aggiudicare.
In proposito il collegio osserva come il divieto contenuto nel Codice dei contratti pubblici attualmente in vigore, pur non essendo direttamente applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento per l’interprete, che è tenuto a tenere nel debito conto le tendenze evolutive dell’ordinamento.
16.6- In sintesi, quanto all’articolo 53, comma 3, applicato nella vicenda in esame, nonostante non esistesse nel vecchio codice dei contratti pubblici un divieto espresso del cosiddetto “avvalimento a cascata”, la giurisprudenza maggioritaria già propendeva per la non ammissibilità. Era ritenuta decisiva la considerazione che, pur essendo pacifico il carattere generalizzato dell’avvalimento strumentale ai principi comunitari della massima partecipazione nelle gare di appalto e dell’effettività della concorrenza, l’applicazione dell’istituto deve essere comunque contemperato con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto ( cfr. ex multis le già citate Cons. Stato, Sez.III, 07.03.2014, n. 1072 e Sez. V, 13.03.2014, n. 1251).
17- Alla luce delle considerazioni svolte l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto:
il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo. Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea.
Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta.

maggio 2020

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Le scelte degli amministratori pubblici, dovendo conformarsi ai criteri di legalità ed a quelli giuridici di economicità, di efficacia e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti.
Nei giudizi di responsabilità amministrativa, poiché in via generale l'amministrazione deve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri, la Corte dei Conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, e la verifica della legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti.
Inoltre,
la discrezionalità riconosciuta agli amministratori pubblici nell'individuazione della soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l'interesse pubblico perseguito (causa e limite intrinseco e funzionale dell'attività della P.A.) è legittimamente esercitata in quanto risultino osservati i criteri giuridici informatori dell'agere della P.A. dettati dalla Costituzione (art. 97),
   - codificati all'art. 1, comma 1, L. n. 20 del 1994 («L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità»), come modificato dall'art. 3 L. n. 546 del 1993 («ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali»),
   - ribaditi dall'art. 1 d.lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 1, comma 1, L. n. 286 del 1999 [«Le pubbliche amministrazioni devono: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione)»].

Pertanto,
le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di efficacia (idoneità dell'azione amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale) e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti, in quanto assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell'azione amministrativa.
A tale stregua,
non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l'amministratore abbia compiuto l'attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell'ente, ma anche se nell'agire amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici, sicché la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della «riserva di amministrazione» (da intendere come preferenza tra alternative, nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell'interesse pubblico) nel controllare anche la giuridicità sostanziale (e cioè l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale) dell'esercizio del potere discrezionale.
Non travalica, dunque, il limite esterno della giurisdizione contabile né quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronunzia con la quale la Corte dei Conti ravvisi la non adeguatezza o esorbitanza rispetto al fine pubblico da perseguire.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comporta, infatti, che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa.
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Sotto altro profilo, con riferimento alle decisioni del giudice amministrativo si è da queste Sezioni Unite posto in rilievo che le stesse possono dirsi essere viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, soltanto laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito (riservato alla P.A.), compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima la volontà dell'organo giudicante di sostituirsi a quella dell'amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2013, n. 24468).
Si è altresì sottolineato che nei giudizi di responsabilità amministrativa, poiché in via generale l'amministrazione deve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri, la Corte dei Conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, e la verifica della legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti (cfr., per la negazione che violi i limiti esterni della giurisdizione contabile e quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronuncia con la quale la Corte dei Conti ritenga illegittimo il ricorso ad incarichi esterni in assenza dei presupposti previsti dalla legge, Cass., Sez. Un., 23/11/2012, n. 20728; Cass., Sez. Un., 23/01/2012, n. 831).
Si è in proposito ulteriormente osservato come la discrezionalità riconosciuta agli amministratori pubblici nell'individuazione della soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l'interesse pubblico perseguito (causa e limite intrinseco e funzionale dell'attività della P.A.) è legittimamente esercitata in quanto risultino osservati i criteri giuridici informatori dell'agere della P.A. dettati dalla Costituzione (art. 97), codificati all'art. 1, comma 1, L. n. 20 del 1994 («L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità»), come modificato dall'art. 3 L. n. 546 del 1993 («ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali»), ribaditi dall'art. 1 d.lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 1, comma 1, L. n. 286 del 1999 [«Le pubbliche amministrazioni devono: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile); b) verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di gestione)»].
Pertanto, le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di efficacia (idoneità dell'azione amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale) e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti, in quanto assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell'azione amministrativa.
A tale stregua, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l'amministratore abbia compiuto l'attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell'ente, ma anche se nell'agire amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici, sicché la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della «riserva di amministrazione» (da intendere come preferenza tra alternative, nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell'interesse pubblico) nel controllare anche la giuridicità sostanziale (e cioè l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale) dell'esercizio del potere discrezionale.
Non travalica dunque il limite esterno della giurisdizione contabile né quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronunzia con la quale, come nella specie, la Corte dei Conti ravvisi la non adeguatezza o esorbitanza rispetto al fine pubblico da perseguire (cfr., con riferimento alla diversa ipotesi dell'illegittimità del ricorso ad incarichi esterni in assenza dei presupposti previsti dalla legge, nonché con riferimento a consulenze, pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da perseguire, Cass., Sez. Un., 05/03/2009, n. 5288; Cass., Sez. Un., 09/05/2011, n. 10069; Cass., Sez. Un., 13/06/2011, n. 12902; Cass., Sez. Un., 23/01/2012, n. 831; Cass., Sez. Un., 13/02/2012, n. 1979; Cass., Sez. Un., n. 20728 del 2012; Cass., Sez. Un., n. 4283 del 2013; ancora, con riferimento all'attività amministrativa di potenziamento del servizio 118, Cass., Sez. Un., 14/05/2014, n. 10416).
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comporta, infatti, che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa (v. Cass., Sez. Un., 28/06/2018, n. 17121) (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 13.05.2020 n. 8848).

aprile 2020

INCARICHI PROGETTUALIAll’Adunanza plenaria la possibilità di supplire alla carenza di requisiti speciali nel progettista incaricato ed indicato ai sensi dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante avvalimento.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Progettista incaricato ed indicato ai sensi dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 – Dubbio in giurisprudenza - Rimessione all’Adunanza plenaria.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla possibilità, nel caso in cui il contratto abbia per oggetto anche la progettazione, di supplire alla carenza di requisiti speciali nel progettista incaricato ed indicato ai sensi dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante avvalimento (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che sull’ammissibilità dell’avvalimento in tale situazione, la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è pronunciato in modo difforme.
La sentenza della sez. V Sezione, 02.10.2014, n. 4929, ha affermato che, in ordine agli artt. 49, 53 e 90, d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 92, d.P.R. n. 207 del 2010, l’avvalimento, in conformità alla sentenza CGUE, 10.10.2013, in C-94-2012, si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in sede di gara.
Per contro, Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072 ha ritenuto che il raggruppamento di professionisti non possa ricorrere all’avvalimento, poiché tale possibilità è riservata dall’art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006 al solo operatore economico che domanda di partecipare alla gara e questo, se intende farvi ricorso, deve dichiarare il possesso dei requisiti da parte del soggetto ausiliario; inoltre, secondo Cons. Stato, sez. V, 01.10.2012, n. 5161, per il ricorso all’avvalimento, l’art. 49, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, si riferisce, facendo parola di «concorrente», al solo operatore economico che domanda di partecipare alla gara, il quale deve dichiarare e allegare il possesso da parte del soggetto avvalso dei requisiti che, sommati ai suoi, integrano la prescrizione del bando.
Per consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072), pur essendo pacifico il carattere generalizzato dell’avvalimento –strumentale alla massima partecipazione nelle gare di appalto e all’effettività della concorrenza per i principi eurocomuni– si tratta di un istituto deve essere comunque contemperato con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto.
Perciò, la questione sostanziale consiste nello stabilire se il progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia del citato art. 53, comma 3, possa ricorrere a un progettista terzo, utilizzando a sua propria volta l’avvalimento. In sostanza, se vi possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un duplice e consequenziale avvalimento di professionisti.
Il citato art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che «quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti, secondo quanto previsto dal capo IV del presente titolo (progettazione e concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione comprese nell’importo a base del contratto».
La giurisprudenza, sopra richiamata, del Consiglio di Stato ha negato che il progettista “indicato” ai sensi di quella previsione possa a sua volta fare uso di avvalimento, regolato dall’art. 49. Infatti:
   a) vi osta la lettera dell’art. 49, per il quale solo «il concorrente» singolo, consorziato o raggruppato può ricorrere all’avvalimento quale istituto di soccorso al concorrente in gara; sicché va escluso chi si avvale di soggetto ausiliario a sua volta privo del requisito richiesto dal bando;
   b) il fatto che, se già il progettista indicato non è legato da un vincolo negoziale con la stazione appaltante, a maggior ragione non ne è legato il suo ausiliario, il quale è un terzo che per la sua posizione non può offrire garanzie all’Amministrazione: invero, solo il concorrente che va a stipulare il contratto va ad assumere obblighi contrattuali con l’amministrazione appaltante: e l’ausiliario, per l’art. 49, comma 2, lett. d), si obbliga verso il concorrente e la stazione appaltante a mettere a disposizione le risorse necessarie che mancano al concorrente, mediante apposita dichiarazione; inoltre l’ausiliario diviene ex lege responsabile in solido con il concorrente per le prestazioni oggetto del contratto (art. 49, comma 4) e la responsabilità solidale, che è garanzia di buona esecuzione dell’appalto, può sussistere solo sulla base che l’impresa ausiliaria sia collegata contrattualmente al concorrente, al segno che l’art. 49 prescrive l’allegazione, già con la domanda di partecipazione, del contratto di avvalimento.
Inoltre, dall’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 si evince che la norma statuisce che il progettista qualificato, del quale l’impresa concorrente intenda “avvalersi” in alternativa alla costituzione di un’A.T.I., va solo indicato, senza prescrivere che debbano anche prodursi le dichiarazioni dell’art. 49 per l’avvalimento, e imposte all’impresa ausiliaria (dichiarazione dell’impresa avvalente di impegno a mettere a disposizione dell’impresa avvalsa le risorse necessarie all’esecuzione del contratto; dichiarazione dell’impresa avvalente di non partecipare alla gara in proprio o quale associata o consorziata e di non trovarsi in situazioni di controllo ex art. 34, comma 2 con altra impresa contestualmente partecipante alla gara, ecc.) o all’impresa partecipante avvalsa (contratto di avvalimento intercorso con l’impresa ausiliaria avvalente).
Da ciò sembra discendere che, nel caso del sistema di selezione costituito dall’appalto integrato, il progettista prescelto dall’impresa partecipante e indicato alla stazione appaltante non assuma la qualità di concorrente: questa spetta solo all’impresa concorrente, e il primo resta solo un collaboratore esterno, la cui posizione non ha diretto rilievo con l’Amministrazione appaltante.
Se poi è lo stesso progettista indicato a ricorrere a sua volta a requisiti posseduti da terzi, si avrebbe in sostanza una catena di avvalimenti di “ausiliari dell’ausiliario”: il che non solo amplifica la carenza di rapporto diretto verso l’amministrazione appaltante: ma è anche è di ostacolo, a tutto concedere, a un agevole controllo da parte della stazione appaltante sul possesso dei requisiti dei partecipanti (Cons. Stato, sez. III, 01.10.2012, n. 5161, che rileva che, trattandosi di un istituto di soccorso al concorrente in gara, è da escluderne l’applicabilità all’impresa ausiliaria a sua volta priva dei requisiti, altrimenti si avrebbe una catena di avvalimenti di ausiliarie dell’ausiliaria tale da ostacolare quel controllo agevole sul possesso dei requisiti).
Nella stessa prospettiva, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1251) ha affermato che l’avvalimento è già una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione alla gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente. Ne segue che sarebbe irrinunciabile la sussistenza di un rapporto diretto e immediato tra l’ausiliario e l’ausiliato, legati da vincolo di responsabilità solidale per l’intera prestazione dedotta nel contratto.
La fattispecie di avvalimento a cascata non sarebbe, perciò, permessa, giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e ausiliata, così allungando e indebolendo la catena giuridica che legai vari soggetti, con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale, per il soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via diretta dei requisiti da concedere.
Nondimeno, in generale, per la giurisprudenza eurounitaria l’avvalimento si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in gara. Il che ha talora indotto ad optare per orientamento più permissivo (Cons. Stato, sez. V, 02.10.2014, n. 4929 cit.) (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 09.04.2020 n. 2331 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

INCARICHI PROGETTUALIDirezione lavori e procedura semplificata.
Domanda
In relazione ai servizi di “Direzione Lavori” per importi pari a 80mila euro è possibile ricorrere all’affidamento diretto oppure si impone l’esigenza di invitare un numero minimo di soggetti?
Risposta
In relazione ai “servizi” di direzione lavori (diversi da quelli richiamati nel primo periodo del comma 2 dell’articolo 23) dispongono l’articolo 157 e le linee guida ANAC n. 1 (che confermano, evidentemente, il dato normativo).
In particolare, nel caso che qui interessa, il comma 2 dell’articolo 157 in cui si chiarisce che nelle fasce d’importo comprese tra i 40/100mila euro gli incarichi devono essere affidati “a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 36, comma 2, lett. b)” e “l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti”.
Quindi al netto di situazioni particolari, che il RUP avrà cura di motivare debitamente con la determinazione di affidamento, l’assegnazione diretta per gli importi sopra pari o sopra i 40mila euro si presenta del tutto particolare ed “eccezionale”.
Da rammentare che in tema è intervenuta la recente “deroga” prevista con la legge 160/2019 (legge di bilancio per il 2020).
Più nel dettaglio (comma 258) si prevede che “Al fine di assicurare l’esecuzione degli interventi di edilizia scolastica, è destinata quota parte, pari a 10 milioni di euro, delle risorse non impegnate di cui all’articolo 1, comma 1072, della legge 27.12.2017, n. 205, già assegnate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28.11.2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 02.02.2019, in favore del Ministero dell’istruzione, del l’università e della ricerca per la messa in sicurezza degli edifici scolastici per l’annualità 2023”.
In relazione a quanto –e senza possibilità di estensione analogica– il successivo comma 259 consente una minima competizione (interventi di progettazione periodo 2020/2023) la possibilità di utilizzare la prerogativa di cui alla lettera b), comma 2, articolo 36 (5 operatori) fino a tutto il sottosoglia e non solo in relazione ad importi inferiori ai 100mila euro (08.04.2020 - link a www.publika.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Linee guida n. 1 recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”. Parere in materia di dimostrazione dei requisiti di capacità tecniche e professionali.
Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, il libero professionista può dimostrare:
   (i) i requisisti di capacità economico-finanziaria di cui alle Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettera a), mediante il fatturato correlato ai servizi professionali dallo stesso svolti quale componente di un’associazione professionale e
   (ii) i requisiti di capacità tecniche e professionali di cui alle Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettere b) e c), mediante le attività dallo stesso svolte quale componente di un’associazione professionale a condizione che il professionista medesimo abbia sottoscritto gli elaborati correlati alle attività svolte.

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Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’adunanza del 01.04.2020,
   VISTA la richiesta di parere formulata dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, con nota protocollo U-fs/1338/2020 del 19.02.2020, assunta in pari data al protocollo dell’Autorità n. 14058, in merito alla possibilità di spendere quale libero professionista i «requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnica conseguiti dall’associazione professionale composta da n. 2 professionisti, di cui si faceva parte, in assenza di una chiara disciplina legislativa della problematica»;
   VISTO il Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 come modificato dal decreto legislativo 19.04.2017, n. 56, e, in particolare l’articolo 46 che individua gli operatori economici ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria;
   VISTO il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 02.12.2016, n. 263 (Regolamento recante definizione dei requisiti che devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria e individuazione dei criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee, ai sensi dell'articolo 24, commi 2 e 5 del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50), che, in applicazione dell’articolo 24, comma 2, del predetto codice dei contratti pubblici ha definito i requisiti che devono possedere i soggetti di cui al predetto articolo 46;
   VISTE le Linee guida n. 1 recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 973 del 14 settembre 2016 e aggiornate con delibera del Consiglio dell’Autorità n. 138 del 21.02.2018, e in particolare la Parte IV, punto 2.2.2., ove sono definiti i requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento;
   VISTO l’articolo 10 della legge 12.11.2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2012) che, al comma 11, ha abrogato la legge 23.11.1939, n. 1815 (Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza) e, al comma 9, ha fatto salve le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della legge medesima;
   VISTO l’articolo 2 del decreto del Ministero della giustizia 08.02.2013, n. 34 (Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell’articolo 10, comma 10, della legge 12.11.2011, n. 1839) che ha confermato l’applicabilità dell’articolo 10, comma 9, della richiamata legge 12.11.2011, n. 183 per le associazioni professionali e le società tra professionisti costituite secondo modelli vigenti alla data di entrata in vigore della legge medesima;
   VISTO l’articolo 5, comma 3, del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), secondo il quale, ai fini delle imposte sui redditi, il reddito delle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni è imputato a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili;
   CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 24, comma 5, del codice dei contratti pubblici, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario, «l’incarico è espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell’offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali»;
   CONSIDERATO che le Linee guida n. 1 consentono, ai fini della dimostrazione dei requisiti di capacità tecniche e professionali, di utilizzare anche i servizi di consulenza aventi ad oggetto attività accessorie di supporto alla progettazione nonché quelli inerenti la redazione di varianti «a condizione che si tratti di attività svolte nell’esercizio di una professione regolamentata per le quali è richiesta una determinata qualifica professionale, come indicato dall’art. 3 della direttiva 2005/36/CE», che «il servizio svolto risulti formalizzato in un elaborato sottoscritto dal progettista che intende avvalersene e che la stazione appaltante attesti la variante, formalmente approvata e validata, e il relativo importo» o che «l’esecuzione della prestazione, in mancanza della firma di elaborati progettuali, sia documentata mediante la produzione del contratto di conferimento dell’incarico e delle relative fatture di pagamento»;
   RITENUTO che il requisito di capacità tecniche e professionali di cui alla Parte IV, paragrafo 2.2.2.1, lettera e), delle Linee guida n. 1, inerente il numero di unità minime di tecnici, è riferibile al momento della presentazione dell’offerta, non rilevando in tal caso l’organico del personale tecnico utilizzato negli anni precedenti
   SENTITO il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   DELIBERA
   • di ritenere ammissibile, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di un libero professionista, la dimostrazione dei requisiti di capacità economico-finanziaria di cui alle Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettera a), mediante il fatturato correlato ai servizi professionali dallo stesso svolti, nell’esercizio di una professione regolamentata per le quali è richiesta una determinata qualifica professionale, come indicato dall’art. 3 della direttiva 2005/36/CE, quale componente di un’associazione professionale;
   • di ritenere opportuna, al fine di garantire il rispetto del principio della non duplicazione dei requisiti, l’adozione di un atto sottoscritto da tutti i professionisti dello studio associato con il quale si procede, in caso di scioglimento dell’associazione professionale, all’attribuzione del fatturato ai singoli componenti dello studio e, nel caso in cui l’associazione continui ad operare, all’attribuzione allo studio associato e ai professionisti uscenti;
   • di ritenere ammissibile, ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di un libero professionista, la dimostrazione dei requisiti di capacità tecniche e professionali di cui alle Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettere b) e c), mediante le attività dallo stesso svolte, nell’esercizio di una professione regolamentata per le quali è richiesta una determinata qualifica professionale, come indicato dall’art. 3 della direttiva 2005/36/CE, quale componente di un’associazione professionale, a condizione che il professionista medesimo abbia sottoscritto gli elaborati correlati alle attività svolte
(delibera 01.04.2020 n. 290 - link a www.anticorruzione.it.

ottobre 2019

INCARICHI PROFESSIONALI: Prestazioni professionali a titolo gratuito: i Professionisti Tecnici attaccano la sentenza del TAR.
Il commento della Rete Professioni Tecniche sul pronunciamento dello scorso 30 settembre del Tar Lazio che dichiara legittimo un bando del Ministero dell’Economia che non prevedeva compenso (31.10.2019 - link a www.casaeclima.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Attività professionali a titolo gratuito e sentenza TAR: presentata interrogazione al Senato.
La questione sollevata dal TAR Lazio è giunta all’attenzione del Parlamento, del Ministro della Giustizia e del MEF
(14.10.2019 - link a www.casaeclima.com).
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Al riguardo, si legga l'interrogazione a risposta scritta Atto n. 4-02259 pubblicato il 09.10.2019, nella seduta n. 153, a firma dei Senatori De Bertoldi e Ciriani (link a www.senato.it).

INCARICHI PROFESSIONALIPubblicazione dati sugli incarichi professionali.
Domanda
Abbiamo notato che nel nostro ente non c’è una applicazione uniforme, tra i vari settori, in merito agli obblighi di pubblicità e trasparenza per gli incarichi professionali. I dati e documenti da pubblicare vanno trattati in base all’art. 15 o all’art. 37 del decreto trasparenza?
Risposta
Il quesito pone in evidenza una delle vicende più controverse di tutta la normativa in materia di trasparenza che le pubbliche amministrazioni sono chiamate ad affrontare. La consultazione costante dei siti web dei comuni e delle province, conferma che l’argomento merita un giusto approfondimento.
Per gli incarichi di “collaborazione e consulenza”, ai fini della trasparenza, è necessario prendere a riferimento l’art. 15, del d.lgs. 14.03.2013, n. 33, che disciplina la pubblicazione dei dati relativi agli incarichi conferiti e affidati a soggetti esterni a qualsiasi titolo, sia oneroso che gratuito.
La base giuridica degli incarichi –nella normativa applicabile agli enti locali– è rinvenibile nell’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. 165/2001 e nell’art. 110, comma 6, del TUEL 267/2000.
Sempre a livello normativo, per l’affidamento di un incarico di collaborazione è necessario riferirsi all’articolo 3, comma 55, della legge 24.12.2007, n. 244, come sostituito dall’art. 46, comma 2, del d.l. n. 112/2008, che testualmente recita: “Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
Altre disposizioni in materia sono rinvenibili nell’art. 3, commi 54, 56 e 57, della legge 24.12.2007, n. 244.
Per ogni incarico di collaborazione e consulenza i dati da pubblicare (art. 15, comma 1, d.lgs. 33/2013), sono i seguenti:
   a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico;
   b) il curriculum vitae;
   c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali;
   d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato
A tali obblighi, si aggiunge quanto previsto dall’art. 53, comma 14, del d.lgs. 165/2001, il quale prevede l’obbligo di pubblicare l’attestazione dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni di conflitto di interessi, anche potenziale.
Si ricorda che i compensi sono da pubblicare al lordo di oneri sociali e fiscali a carico del collaboratore e consulente.
Si ritiene utile sottolineare, inoltre, che all’interno della sotto-sezione “Consulenti e collaboratori”, devono essere pubblicati i dati relativi agli incarichi e alle consulenze che non siano riconducibili al “Contratto di appalto di servizi” assoggettato alla disciplina dettata nel codice dei contratti (d.lgs. 18.04.2016, n. 50).
Diversamente, qualora i dati si riferiscano ad incarichi riconducibili alla nozione di appalto di servizio (affidamento con Codice Identificativo di Gara – CIG), si applica l’art. 37, del d.lgs. 33/2013, prevedendo la pubblicazione dei dati ivi indicati nella sotto-sezione di primo livello “Bandi di gara e contratti”.
Giova, altresì, sottolineare che gli incarichi conferiti o autorizzati da un’amministrazione ai propri dipendenti rimangono disciplinati dall’art. 18, del d.lgs. 33/2013 e devono essere pubblicati nella diversa sotto-sezione Personale > Incarichi conferiti e autorizzati ai dipendenti.
Tenuto conto della eterogeneità degli incarichi di consulenza e dell’esistenza di fattispecie di dubbia qualificazione come tali (si pensi, ad esempio, agli incarichi legali), si rammenta che l’ANAC ha già ricondotto agli incarichi di collaborazione e consulenza, di cui assicurare la pubblicazione sui siti, quelli conferiti:
   • ai commissari esterni membri di commissioni concorsuali;
   • ai componenti del Collegio sindacale;
   • ai componenti del Collegio dei revisori dei conti;
   • ai collaboratori occasionali.
Per questa tipologia di incarichi, le informazioni richieste vanno pubblicate entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e devono essere mantenute per i tre anni successivi alla cessazione (art. 15, co. 4, d.lgs. 33/2013).
La mancata pubblicazione degli estremi degli atti di conferimento degli incarichi e dell’attestazione ex art. 53 d.lgs. 165/2001, comporta inefficacia dell’atto, non consentendo, quindi, né l’utilizzo della prestazione eventualmente resa, né la liquidazione del compenso.
Nel caso in cui il pagamento della prestazione sia stato comunque corrisposto si determina responsabilità in capo a chi l’ha disposto e l’irrogazione di una sanzione pari alla somma pagata.
Ricapitolando:
   • se l’incarico professionale è inteso come affidamento appalto di servizio, ai sensi del d.lgs. 50/2016, quindi con CIG: i dati vanno pubblicati su Amministrazione trasparente > Bandi di gara e contratti;
   • se l’incarico affidato è un rapporto di collaborazione o consulenza (art. 7, comma 6 e seguenti, d.lgs. 165/2001) i dati vanno pubblicati su Amministrazione trasparente > Collaboratori e consulenti.
Avendo consultato direttamente il sito web del comune interpellante, si consiglia di eliminare dalla sezione Collaboratori e consulenti tutti gli incarichi affidati con CIG (08.10.2019 - tratto da e link a www.publika.it).

INCARICHI PROFESSIONALITar Lazio: legittima la previsione di attività professionali a titolo gratuito.
Dichiarato legittimo l'avviso pubblico del Ministero dell'Economia nel quale si chiedeva la manifestazione di interesse per incarichi di consulenza a costo zero
(03.10.2019 - link a www.casaeclima.com).

settembre 2019

INCARICHI PROFESSIONALIIl professionista può fare anche gratis consulenze per la PA. Il Tar Lazio boccia il ricorso sul bando Mef. Non conta neanche l’equo compenso.
Il rapporto tra un’amministrazione pubblica e un professionista può essere a titolo gratuito, se la consulenza ha regole molto flessibili e dà porta arricchimento professionale.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II, con la sentenza 30.09.2019 n. 11411, torna sul tema, delineando le condizioni perché sia possibile una collaborazione senza compenso.
La pronuncia si riferisce a un avviso pubblicato a febbraio dal ministero dell’Economia alla ricerca di un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari (in vista anche dell’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario).
L’avviso era rivolto a esponenti del mondo accademico e professionisti (requisito di ammissione era una consolidata esperienza di almeno cinque anni nel rispettivo settore) e prevedeva una durata biennale del rapporto, senza rinnovo e con possibilità per il professionista di recedere (con preavviso di 30 giorni) ma con obbligo di portare a termine un eventuale studio che avesse iniziato.
Il Tar evidenzia anzitutto che l’avviso aveva ad oggetto una consulenza eventuale e occasionale (seppure da svilupparsi in due anni), che, proprio per tale condizione di fondo, non poteva qualificarsi come contratto di lavoro autonomo.
Le modalità di affidamento in base all’articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001 non sono quindi applicabili, anche perché l’avviso prevedeva la possibilità, per il professionista, di recedere in ogni momento.
Secondo i giudici, l’obbligo di preavviso obbedisce a mera esigenza organizzativa (l’amministrazione ha necessità di conoscere ex ante su quali professionalità può contare in un determinato periodo), mentre l’obbligo di concludere l’incarico è funzionale ad un’azione della pubblica amministrazione efficace, che persegue il buon andamento: un’interruzione potrebbe causare perdite di tempo e degli apporti qualificati.
Il Tar ha pure chiarito che il rapporto non può configurarsi come appalto di servizi professionali: mancavano nell’avviso la previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché una selezione vera e propria, con graduatoria finale.
Così il Tar afferma quindi la legittimità del carattere gratuito della consulenza, rilevando che nel nostro ordinamento non c’è alcun divieto in tal senso. E precisa che la disciplina dell’equo compenso non si applica, proprio perché il compenso non c’è. Nulla impedisce al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.
Il professionista può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae. Tale miglioramento professionale riguarda peraltro sia i giovani professionisti, sia i soggetti con maggiore esperienza (articolo Il Sole 24 Ore del 02.10.2019).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi professionali a titolo gratuito nella P.A.: quando sono legittimi. Il Tar Lazio chiarisce a quali condizioni è possibile affidare a dei professionisti incarichi privi di compenso economico e consulenze a titolo gratuito.
Non esiste un divieto per le Pubbliche Amministrazione di conferire incarichi professionali a titolo gratuito, in particolare se si tratta di consulenza a carattere eventuale ed occasionale, mentre il professionista ottiene vantaggi curriculari e di crescita professionale.
La giustizia amministrativa torna sulla questione della legittimità delle procedure di affidamento di incarichi professionali a professionisti senza un compenso, contro i quali gli ordini professionali hanno in questi anni intrapreso una lotta decisa.
Secondo il Tar Lazio, è legittima la procedura del Ministero dell’Economia, con la quale veniva ricercato un soggetto altamente specializzato, al fine di svolgere consulenze a titolo gratuito, che avevano ad oggetto “il diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie”.
A parere dei giudici amministrativi, per le Pubbliche Amministrazioni non esiste un divieto di incarichi a titolo gratuito, neanche per effetto dell’obbligo di equo compenso.
Nulla impedisce, infatti, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza senza pretendere e ottenere alcun corrispettivo in denaro, mentre il professionista stesso può ricavare stimoli professionali e vantaggi curriculari.
La consulenza occasionale non è un incarico di lavoro autonomo o un appalto professionale
L’incarico affidato dal Ministero dell’Economia era di durata biennale, era previsto senza possibilità di rinnovo, ma con possibilità, per il professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni, fermo restando l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale studio che avesse iniziato.
A parere della sentenza in commento, il carattere eventuale ed occasionale della consulenza, seppure nell’arco temporale ordinariamente di due anni, non la rende qualificabile come contratto di lavoro autonomo.
Ciò viene desunto anche dalla previsione della possibilità, per il professionista, di porre comunque fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento, senza che militino in senso contrario il preavviso di 30 giorni per esercitare tale diritto né la previsione dell’obbligo, per il professionista, di concludere la propria attività su eventuali questioni in corso.
L’obbligo di preavviso non eliminerebbe il carattere eventuale della consulenza, ma obbedirebbe ad una mera esigenza organizzativa: in altre parole, l’Amministrazione ha necessità di conoscere ex ante sull’apporto di quali professionalità nell’esame di questioni rilevanti può contare in un determinato periodo, dato che un’interruzione potrebbe determinare perdite di tempo e degli apporti qualificati già conferiti dai professionisti che non intendano più portare avanti la consulenza.
Dall’altro lato, la procedura non era un servizio professionale da svolgere sulla base del codice appalti, data l’assenza di una previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché mancando una selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
La possibilità di un incarico a titolo gratuito non è vietato dalla legge, e anzi è nell’interesse del professionista
Secondo la sentenza del Tar Lazio, nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto di conferire incarichi a titolo gratuito.
Infatti lo stesso obbligo di un equo compenso deve intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo. Mentre non si può desumere un obbligo implicito di onerosità di tutte le prestazioni.
E pertanto nessuna norma impedisce al professionista (secondo il TAR senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico) di prestare la propria consulenza senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.
I vantaggi per il professionista che presta la propria opera a titolo gratuito
L’attività di consulenza, pur non dando vantaggi economici, potrebbe arrecare vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae, in particolare per professionisti ancora giovani che, sebbene qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari, oggetto della consulenza (02.10.2019 - commento tratto da www.giurdanella.it).
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... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 27.02.2019, di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari;
...
I - Con avviso pubblicato in data 27.02.2019 sul sito web del Ministero dell’Economia e delle Finanze, detta Amministrazione ha reso noto che intendeva cercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari.
Detto avviso era diretto ad esponenti del mondo accademico e professionisti. Ed infatti, quale requisito di ammissione, veniva richiesta “consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari; lingua inglese fluente”.
Era prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con possibilità, per il professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni, fermo restando l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale studio che avesse iniziato.
II - Avverso tale avviso il ricorrente, che dichiara di essere avvocato con esperienza ultratrentennale nelle materie in questione, ha proposto il gravame in esame, rappresentando di non avervi aderito, stante il carattere gratuito dell’incarico, che contesta in questa sede.
I motivi di censura dedotti sono i seguenti:
   1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001 - omissione o carenza dei requisiti essenziali dell’atto amministrativo - omessa o carente motivazione - violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990 e dei principi di legge e regolamento in materia di azione amministrativa - eccesso di potere - eccesso di potere per violazione dei canoni di congruità, adeguatezza, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa - carenza di istruttoria e motivazione - violazione del principio di par condicio.
L’oggetto dell’avviso sarebbe una prestazione lavorativa di natura professionale.
La stipula di un contratto scritto, la durata prolungata e predeterminata, l’obbligo del preavviso di 30 giorni in caso di rescissione, e ancor di più “l’obbligo del consulente di concludere la propria attività su eventuali questioni in corso” sarebbero tutti elementi che concorrono ad affermare che la consulenza in parola sia appunto, come dice la parola stessa, una “consulenza”, ossia una prestazione professionale.
Essendo prevalente il “carattere personale o intellettuale della prestazione richiesta”, anziché quello imprenditoriale, l’incarico al professionista esterno sarebbe riconducibile al contratto d’opera (art. 2222 cod. civ.), in particolare, al contratto d’opera intellettuale (art. 2229 cod. civ.),
Dall’esame degli atti si dedurrebbe inoltre che il Ministero intimato intende conferire un incarico individuale ai sensi dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001.
In tal senso deporrebbero, oltre alla natura della prestazione ed ai requisiti richiesti, che ricalcano quelli della norma citata, anche la pubblicazione nella Sezione Concorsi del sito web, la previsione di un incarico biennale non rinnovabile, la specificazione che la competenza “non è rinvenibile nella struttura”, la predeterminazione di “durata, oggetto e compenso della collaborazione”.
Essa costituirebbe certamente una prestazione lavorativa resa in un rapporto di lavoro autonomo di natura professionale.
Ciò comporterebbe che al rapporto di specie si applicheranno certamente l’art. 36 Cost. e la nuova disciplina dell’equo compenso, che escludono in radice la possibilità di stipulare un contratto professionale a titolo gratuito tra professionista e Pubblica Amministrazione.
In ogni caso, anche considerando la fattispecie in esame come appalto di servizi, pur se inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 57, comma 2, lettera b), del d.lgs. 163/2006 ed all’art. 36, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 50/2016, o comunque rientrante nella categoria dei “contratti esclusi” ai sensi degli artt. 17 e 4 del medesimo decreto, avrebbero dovuto osservarsi i principi generali dell’agere amministrativo (art. 97 Cost.), ovvero dell’economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità, e si sarebbe comunque dovuta applicare la disciplina dell’equo compenso, che ad oggi è estesa ad ogni rapporto tra professionisti e Pubblica Amministrazione.
Come ampiamente motivato in precedenza, troverebbero applicazione la disciplina generale di cui all’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001 e le disposizioni normative nel frattempo intervenute in materia di incarichi.
Perciò l’Amministrazione dovrebbe: a) verificare che la prestazione richiesta sia inerente alle proprie finalità istituzionali (c.d. inerenza); b) avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno (c.d. non intraneità); c) sul piano qualitativo, essere motivata da una particolare expertise di carattere particolarmente qualificato (c.d. specialità) disponibile solo sul mercato, per l’espletazione dell’incarico esterno.
L’avviso sarebbe completamente carente di motivazione, atteso che non solo questa mancherebbe in ordine all’accertamento reale sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’Ente, in grado di espletare l’incarico –essa si limiterebbe al solo mero inciso “non rinvenibile all’interno della struttura”-, ma soprattutto non sarebbe stato neanche mai chiarito il riferimento normativo della procedura avviata.
Nella specie tra gli elementi essenziali dell’atto amministrativo sarebbero assenti il preambolo, la motivazione (come già evidenziato prima), il luogo e la data in cui è stato emanato il provvedimento e la determinazione del compenso.
Correlato all’obbligo di determinare il compenso vi sarebbe quello di acquisire il parere obbligatorio del Collegio dei revisori dell’Ente, ai sensi dell’art. 1, comma 42, della legge n. 311/2004, prima di emanare il relativo avviso, il che nel caso in esame non sarebbe avvenuto o, quanto meno, non risulta richiamato nell’atto.
A questo si aggiungerebbe il necessario carattere eccezionale e temporaneo dell’incarico de quo, che non sembrerebbe rispettato, stante la durata biennale del contratto.
   2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001 - violazione della legge n. 247/2012 - violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016 - violazione del D.M. n. 55/2014 - violazione della legge 04.12.2017, n. 172 - violazione dell’articolo 19-quaterdecies, comma 3, del decreto legge 16.10.2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172 - violazione del diritto all’equo compenso - eccesso di potere per travisamento dei presupposti, sviamento, disparità di trattamento, manifesta illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia.
L’avviso propone un affidamento a titolo gratuito per tutti gli incarichi di consulenza; ciò sarebbe abnorme ed irragionevole.
L’impugnata clausola in esame ricadrebbe nella categoria delle “clausole immediatamente escludenti”, da impugnare immediatamente con il bando di indizione della procedura selettiva, senza attendere l’atto di approvazione della graduatoria definitiva o l’aggiudicazione, che definisce la procedura concorsuale.
Sussisterebbe un netto contrasto con la recente riforma dell’equo compenso.
La legge n. 172/2017, di conversione del d.l. n. 148/2017 (c.d. Decreto Fiscale), con l’art. 19-quaterdecies ha introdotto l’art. 13-bis alla Legge Forense (legge n. 247/2012), sull’equo compenso. Il medesimo articolo ha esteso a tutti i lavoratori autonomi l’applicazione della previsione originariamente a favore degli avvocati e al contempo ne ha previsto l’applicazione anche nei confronti delle prestazioni a favore della Pubblica Amministrazione.
La Legge di Bilancio 2018 (legge n. 205/2017), ai commi 487 e 488 dell’art. 1, ha allargato ulteriormente questa disciplina, modificando l’art. 13-bis.
In particolare, vengono presunti non equi (con presunzione che non ammette prova contraria) i compensi inferiori a quelli previsti dalle apposite tabelle ministeriali: per gli avvocati si deve fare riferimento ai “parametri” individuati in base al D.M. del 2014.
Tali compensi sarebbero da considerare nulli, proprio in quanto non equi, senza possibilità di derogare a tale disciplina.
La norma parla di “prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti”, per cui non distingue tra appalti di servizi, incarichi legali fiduciari o incarichi professionali ex art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001.
La più recente giurisprudenza amministrativa, in un caso simile a quello qui in esame, ha chiarito che la P.A. non può richiedere prestazioni gratuite ai professionisti ed è illegittimo il bando che prevede prestazioni professionali a titolo gratuito (Tar Campania–Napoli - sezione I - ordinanza 24-25.10.2018, n. 1541).
Alla luce di quanto sopra, sarebbe priva di qualsiasi fondamento la dichiarazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel suo comunicato stampa, secondo cui: “Esula completamente da questi rapporti, quindi, il tema dell’equo compenso che si riferisce a rapporti professionali di lavoro nell’ambito del settore privato”.
La gratuità non sarebbe compatibile con l’obbligo di garantire il principio dell'equo compenso che la legge impone ora alle Pubbliche Amministrazioni.
Questo principio è stato già affermato dalla più recente giurisprudenza amministrativa: “La l. 04.12.2017, n. 172, nel convertire d.l. 16.10.2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19-quaterdecies, il quale, al comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della citata legge di conversione” (Tar Calabria, sentenza n. 1507/2018).
Peraltro l’equo compenso è applicabile, oltre che alle prestazioni degli avvocati, anche a quelle degli altri professionisti di cui all’art. 1 della legge 22.05.2017, n. 81, comprendendo iscritti agli ordini e collegi. E sul punto l’art. 1 della legge n. 81/2017 fa esplicitamente riferimento “ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile”, ossia proprio ai contratti d’opera stipulati da qualsiasi professionista, in cui rientrano certamente anche gli incarichi ex art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, di cui al caso di specie.
Nonostante l’avviso impugnato si rivolga ai professionisti in genere, senza specificare una categoria in particolare, dal momento che esso ha ad oggetto un incarico di consulenza legale, esso risulterebbe indirizzato essenzialmente agli avvocati (art. 2 l. 247/2012).
Il D.M. 55 del 2014, che pone i parametri per la professione forense, inclusi quelli per consulenze stragiudiziali, fissa come principio generale che “il compenso dell’avvocato e proporzionato all’importanza dell’opera” (art. 2).
Un’offerta pari a zero sarebbe quindi in palese contrasto con tale principio.
Il D.M. parametri n. 37, approvato l’08.03.2018 ed in vigore a partire dal 27 aprile del medesimo anno, ha fissato dei minimi inderogabili nella liquidazione giudiziale del compenso degli avvocati, proprio in applicazione del principio dell’equo compenso.
Quindi l’illegittimità del bando riguarderebbe non soltanto la proposta di una prestazione a titolo gratuito, ma anche il mancato rispetto dei parametri professionali.
   3) Violazione degli artt. 1, 4, 35, 36 e 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza - violazione dell’art. 2233 c.c. e degli artt. 6, 9, 23 e 43 del Codice deontologico - eccesso di potere sotto i seguenti profili: sviamento dalla causa tipica, illogicità, ingiustizia manifesta, travisamento ed erroneità dei presupposti - violazione dei principi in materia di indipendenza ed autonomia dei professionisti.
Il compenso previsto nel bando, pari a zero euro, e senza alcun rimborso spese, sarebbe incostituzionale, irragionevole e sproporzionato rispetto all’enorme mole del lavoro e alla quantità e qualità dell’attività richiesta. Ne conseguirebbero la lesione del decoro e del prestigio del professionista, nonché un danno ai suoi diritti costituzionali.
Al riguardo l’art. 2233 del codice civile, con riferimento all’art. 36 Cost., statuisce che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.
Vi sarebbe quindi un coerente sviluppo normativo ed interpretativo giurisprudenziale che conferma l’obbligo del rispetto di soglie numeriche minime, volto a delineare un compenso equo, e quindi legittimo, perché proporzionato all’opera e conforme al decoro professionale, per cui non potrebbero farsi distinzioni, in ordine all’equità del compenso, tra incarichi di lavoro autonomo, incarichi fiduciari ed appalti di servizi.
   4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, lett. ii), 4, 95, 97 del d.lgs n. 50/2016; degli artt. 3 e 97 Cost. e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990 - eccesso di potere per illogicità, erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti.
L’offerta economica proposta dall’Amministrazione, che offre un compenso pari a zero per una consulenza di natura biennale e altamente specialistica, sarebbe anche distorsiva della competizione concorrenziale.
La compatibilità di un contratto “a titolo gratuito” o a prezzo simbolico con i principi fondamentali del nuovo Codice appalti è stata più volte criticata dalla giurisprudenza amministrativa, e in particolare il Tar Calabria, in una recentissima pronuncia (Tar Calabria, sentenza 418/2018 del 16.07.2018)
Il Tar, dopo aver premesso che l’operatore economico è esonerato dal poter o dover proporre la domanda di partecipazione alla gara in caso di offerta dal valore meramente simbolico e che il bando “impone condizioni negoziali tali da rendere il rapporto contrattuale economicamente non conveniente e matematicamente in perdita”, ha ritenuto: “Ne deriva che coglie nel segno la difesa della ricorrente laddove afferma che l’abnorme base d’asta fissata viola il principio della concorrenza effettiva fissato dall’art. 95, comma 1, del codice degli appalti.”.
Il potere discrezionale della P.A. di definire l’importo a base d’asta non sarebbe dunque libero o assoluto, ma sarebbe sindacabile attraverso il parametro della logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, nella misura in cui non viene contestualizzato o filtrato attraverso una corretta analisi di mercato ed un’attenta valutazione dei prezzi.
Sarebbe evidente l’effetto distorsivo della concorrenza e del mercato di un bando che obbliga i partecipanti a prestare la propria opera gratuitamente.
L’affidamento degli incarichi di consulenza legale deve assolutamente privilegiare il profilo curriculare del professionista rispetto al solo criterio economico. Tale principio sarebbe già stato affermato dal Tar Lecce che, accogliendo la richiesta di sospensione proposta nei confronti di un bando per servizi legali, ha ritenuto il sistema dell’aggiudicazione in base al criterio del minor prezzo non coerente con il vigente ordinamento e, comunque, in contrasto con il decoro della professione forense (cfr. Tar Lecce, ordinanza n. 21/2017).
Nel caso di specie la proposta di una consulenza a titolo completamente gratuito, in contrasto con il decoro della professione, non favorirebbe la partecipazione dei migliori e dei più capaci, violando il principio di massima partecipazione.
Peraltro, ad aggravare l’irragionevolezza del bando, la P.A. consente la partecipazione solo a professionisti altamente qualificati, quelli che probabilmente grazie all’esperienza acquisita e all’avviamento professionale consolidato sono i meno interessati a svolgere incarichi per compensi irrisori o addirittura gratuiti.
Perciò l’avviso impugnato, oltre a ledere i diritti dei ricorrenti, non favorirebbe ma anzi danneggerebbe l’interesse della Pubblica Amministrazione.
   5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 23 della legge n. 247/2012, violazione delle norme a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei professionisti e degli avvocati, eccesso di potere per traviamento, erroneità dei presupposti e sviamento - violazione dell’art. 36 Cost. dell’art. 2233 c.c., degli artt. 6, 9 e 29 del Codice deontologico, dei principi di autonomia e decoro dei professionisti - violazione dell’art. 97 Cost., nonché dei principi in materia di fissazione della base d’asta e delle regole della massima partecipazione e della leale concorrenza - indeterminatezza della consistenza quantitativa oggettiva dell’attività professionale da fornire.
Il bando si caratterizzerebbe anche per l’indeterminatezza della consistenza quantitativa oggettiva dell’attività professionale da fornire.
Esso parlerebbe solo di attribuzione degli incarichi, ponendo come unico limite la durata biennale del contratto, senza chiarire quali e quante siano le attività rientranti nel conferimento dell’incarico, le modalità di svolgimento e la forma.
L’indeterminatezza del contenuto delle prestazioni richieste e la gratuità del compenso sarebbero in grado di compromettere, con il decoro dell’ordine e dei professionisti, il meccanismo della competizione ed in ogni caso non consentirebbero agli operatori economici, e nello specifico alla parte ricorrente, di formulare una seria domanda di partecipazione alla procedura sulla base di un effettivo calcolo di convenienza.
...
VI - Preliminarmente occorre accertare se il ricorso sia o meno ammissibile, tenuto conto che il ricorrente, in possesso dei requisiti, non ha presentato la propria adesione all’avviso oggetto di contestazione in questa sede.
VI.1 - In proposito si rammenta l’eccezione di inammissibilità opposta dall’Amministrazione resistente, sul rilievo che la mancata partecipazione priverebbe il ricorrente della legittimazione processuale, non essendo lo stesso titolare di una posizione differenziata qualificata.
Deve considerarsi che, secondo la prospettazione del ricorrente, la previsione, in particolare, del carattere gratuito della ‘prestazione’ richiesta renderebbe l’offerta abnorme ed irragionevole.
Da ciò deriverebbe il carattere escludente della clausola in questione, che conseguentemente sarebbe immediatamente impugnabile, anche in assenza di partecipazione.
VI.2 - Il Collegio ritiene che, ai soli fini dell’individuazione della legittimazione processuale e della conseguente ammissibilità del ricorso e fatto salvo naturalmente l’accertamento nel merito, la richiamata prospettazione induce logicamente a sostenere che il ricorso sia ammissibile, attesa la natura asseritamente escludente, nei sensi sopra specificati, della previsione della gratuità dello ‘incarico’.
VII - Evidenziata l’ammissibilità del ricorso, se ne deve, tuttavia, affermare l’infondatezza.
VIII - Occorre inquadrare correttamente l’oggetto dell’avviso, impugnato col ricorso in esame.
Con il predetto avviso, diretto a giuristi del mondo accademico e/o forense, in possesso di esperienza di almeno 5 anni documentabile, anche a livello europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell'economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari, si chiede agli stessi una mera manifestazione di interesse a prestare, senza che sia prefissata la frequenza e l’entità dell’eventuale ‘prestazione’ nell’arco temporale di due anni, la propria consulenza nelle stesse suddette materie “in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell'adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari”.
VIII.1 - La genericità non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo.
Come, infatti, è stato anche precisato con il comunicato stampa che ha fornito i dovuti chiarimenti in ordine alla sua portata, all’esito della valutazione dei curricula obbligatoriamente inviati dai su indicati professionisti, non s’instaura alcun rapporto di lavoro né è prevista la fornitura di un servizio professionale.
IX - Proprio in ragione del carattere eventuale ed occasionale della consulenza, seppure nell’arco temporale ordinariamente di due anni, non può questa qualificarsi come contratto di lavoro autonomo, che, rispetto alle Pubbliche Amministrazioni, è ammissibile se si ravvisano tutti i presupposti indicati all’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001, di cui in questa sede si lamenta la violazione.
IX.1 - Ciò si desume ulteriormente dalla previsione della possibilità, per il professionista, di porre comunque fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento.
IX.2 - Non militano in senso contrario né il prescritto preavviso di 30 giorni per esercitare tale diritto né la previsione dell’obbligo, per il professionista, di concludere la propria attività su eventuali questioni in corso.
Per quanto concerne il preavviso, esso obbedisce ad una mera esigenza organizzativa: in altre parole, l’Amministrazione ha necessità di conoscere ex ante sull’apporto di quali professionalità nell’esame di questioni rilevanti può contare in un determinato periodo.
L’obbligo di concludere l’incarico è funzionale ad un’azione della Pubblica Amministrazione efficace, che persegue il buon andamento: un’interruzione potrebbe, infatti, determinare perdite di tempo e degli apporti qualificati già conferiti dai professionisti che non intendano più portare avanti la consulenza.
IX.3 – Alla luce di quanto evidenziato non si ravvisa la dedotta violazione delle norme appena citate.
X - Non si tratta neppure di servizio il cui affidamento è sottoposto alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici.
X.1 - Conduce a tale conclusione l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
Perciò è evidente che nessun obbligo di applicare le norme del d.lgs. n. 50/2016 sussisteva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
X.1 - La prescrizione di requisiti minimi si rendeva invece evidentemente necessaria per acquisire manifestazioni di interesse solo da parte di soggetti qualificati che, ove ritenuti idonei sulla base della valutazione dei propri curricula, possano effettivamente dare un contributo rilevante nelle materie e nell’ambito delle attività indicate nell’avviso censurato.
XI - Alla luce dei rilievi svolti sinora,
il carattere gratuito della consulenza appare legittimo.
XI.1 -
Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.
XI.2 -
Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso, diffusamente ed analiticamente descritta dalla parte ricorrente ed erroneamente invocata a sostegno delle proprie tesi, presenti tale carattere ostativo. Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo.
XI.3 -
Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.

XII - Dalle argomentazioni svolte nella presente disamina deriva che l’avviso impugnato è legittimo ed il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 30.09.2019 n. 11411 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: E' legittimo l'avviso pubblico (nella fattispecie del MEF) per il conferimento di incarichi di consulenza legale a titolo gratuito.
Il carattere gratuito della consulenza appare legittimo.
Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.
Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso presenti tale carattere ostativo. Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo.
Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.
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... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 27.02.2019, di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari;
...
I - Con avviso pubblicato in data 27.02.2019 sul sito web del Ministero dell’Economia e delle Finanze, detta Amministrazione ha reso noto che intendeva cercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari.
Detto avviso era diretto ad esponenti del mondo accademico e professionisti. Ed infatti, quale requisito di ammissione, veniva richiesta “consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari; lingua inglese fluente”.
Era prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo ma con possibilità, per il professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni, fermo restando l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale studio che avesse iniziato.
II - Gli Ordini degli Avvocati di Roma e di Napoli hanno impugnato il predetto avviso, unitamente ai chiarimenti dati su di esso dall’Amministrazione, deducendo i seguenti motivi di doglianza:
   1) Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art. 13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16.10.2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017.
La previsione della gratuità delle prestazioni che il Ministero intimato intende acquisire con la pubblicazione dell’avviso si porrebbe in contrasto con le prescrizioni impartite dalle menzionate disposizioni costituzionali e legislative, che riconoscerebbero l’equo e giusto compenso come principio di carattere generale nel nostro ordinamento.
Il diritto all’equo compenso nello svolgimento di incarichi, anche nei confronti della Pubblica Amministrazione, sarebbe, infatti, garantito sia dalla Costituzione, che tutela il diritto del professionista “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” (art. 36), sia dalla legge, che correla la retribuzione professionale al “contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale” (art. 13-bis, co. 2, L. 247/2012).
La previsione della gratuità dell’incarico contenuta nell’avviso violerebbe la normativa costituzionale e legislativa anche sotto il profilo del buon andamento dell’organizzazione amministrativa e della ragionevolezza dell’operato della P.A..
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze intende acquisire servizi di consulenza da parte di professionisti dotati di “consolidata e qualificata esperienza accademica e/o professionale” e, nel contempo, pretende di farlo senza esborsi ed oneri a carico dell’Amministrazione.
Tale pretesa violerebbe il principio di proporzionalità e denoterebbe l’omessa o comunque l’erronea ed irrazionale ponderazione di tutti gli interessi compresenti, nonché la mancata considerazione delle conseguenze cui l’Amministrazione espone sia il professionista sia sé stessa ed il pubblico Erario.
Infatti, richiedendo al professionista di sottoscrivere e dunque accettare condizioni lontane da una retribuzione o da un equo compenso, comporterebbe per il medesimo, all’atto della sottoscrizione, la violazione degli artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice Deontologico vigente.
Tali disposizioni, da un lato, stabiliscono il divieto di accettazione di un compenso iniquo o lesivo della dignità e del decoro professionale, dall’altro, impongono che le condizioni contrattuali per i servizi legali e per l’attività difensiva non possano tradursi in clausole lesive della dignità e del decoro del professionista.
Inoltre detta pretesa esporrebbe l’Amministrazione al rischio di ricevere prestazioni di scarsa qualità, in quanto non considera il costo/opportunità del professionista a rendere prestazioni in misura correlata al compenso ricevuto, anche in ragione dell’assunzione di responsabilità che comporta lo svolgimento di tale attività.
Eliminare qualunque tipologia di compenso comporterebbe che l’incarico (e quindi l’Amministrazione che ne beneficia) sia sottoposto all’alea della indisponibilità (anche sopravvenuta) a ricoprirlo (ed infatti, l’avviso prevede il diritto di recesso ad nutum, con preavviso di 30 giorni), determinando eventuali avvicendamenti dannosi per il buon andamento dell’Ufficio, lasciando comunque in capo al professionista l’obbligo di “concludere la propria attività su eventuali questioni in corso”.
Nel contempo, la pattuizione di gratuità esporrebbe l’Amministrazione a comportamento opportunistici e, in ipotesi, persino all’azione di nullità del contratto e a quella generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. per l’indennizzo della diminuzione patrimoniale subìta dal professionista nell’adempimento di una prestazione resa ad esclusivo vantaggio dell’Amministrazione.
L’Amministrazione non potrebbe utilmente invocare il precedente del Consiglio di Stato n. 4614/2017. Al di là della diversità di circostanze (una su tutte quella relativa alla messa a disposizione, in quel caso, di un rilevantissimo importo di euro 250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella specie inesistente), il precedente è stato emesso in relazione ad un procedimento indetto prima dell’introduzione dell’art. 13-bis nella legge 247/2012.
Inoltre la scelta del Ministero, contenuta nell’avviso impugnato, di non remunerare i propri consulenti discriminerebbe irragionevolmente i futuri ed eventuali titolari di tali incarichi rispetto ad altri consulenti, anche della stessa Amministrazione, che già svolgono analoghi compiti di consulenza variamente retribuiti.
Da qui il contrasto anche con l’art. 3 Cost..
   2) Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018.
I servizi che il Ministero intimato intende acquisire sono “servizi legali” contemplati dall’Allegato IX del Codice dei Contratti pubblici (nell’ambito del quale rientrano tutti i servizi giuridici che non sono esclusi a norma dell’articolo 17, comma 1, lettera d, del Codice dei contratti pubblici).
Come affermato dall’ANAC nelle menzionate Linee Guida, i relativi affidamenti, non essendo ricompresi, da un punto di vista prestazionale, nell’ambito oggettivo, costituirebbero “appalti”, svolti su richiesta delle stazioni appaltanti nei limiti delle istruzioni ricevute.
Tuttavia la configurazione di un appalto pubblico gratuito, nei termini ivi prefigurati, sarebbe elusiva della normativa pertinente.
Al riguardo si rileva anzitutto che tutto il sistema della contrattazione pubblica è imperniato sulla sinallagmaticità del contratto di appalto, per cui l’esistenza del corrispettivo sarebbe imprescindibile.
Il corrispettivo dovrebbe non soltanto esistere, ma anche essere congruo in relazione all’impegno profuso dal contraente ed essere equo.
Ciò sarebbe garantito dalla Costituzione ed imposto dalla legge.
In proposito le Linee Guida Anac prevedono che, anche per i contratti esclusi ex art. 17, l’Amministrazione debba garantire “l’equità del compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto ministeriale 08.03.2018, n. 37”, atteso che “il risparmio di spesa non è il criterio di guida nella scelta che deve compiere l’amministrazione”.
In ogni caso, anche a voler per ipotesi concedere che una remunerazione possa non tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque inammissibile prevedere che l’incarico sia svolto in perdita, senza quindi una forma di contributo alle spese sostenute.
Peraltro, al di là della gratuità, la scelta del contraente/consulente prefigurata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’avviso impugnato sulla base della sola valutazione curriculare e senza la previsione di un prezzo violerebbe i principi e le disposizioni di cui agli artt. 140 ss. del d.lgs. 50/2016 e, in particolare, quelli sottesi all’articolo 95 in riferimento al criterio di aggiudicazione.
La disciplina dei contratti pubblici prevede che, fra i criteri di aggiudicazione, vi siano il prezzo ed altresì la qualità dell’offerta. In proposito, come affermato da ANAC sempre nelle linee guida n. 12, “la natura dei servizi in questione e l’importanza degli interessi coinvolti suggeriscono, anche per gli affidamenti di minor valore, l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
Le disposizioni in questione risulterebbero violate anche in quanto l’Amministrazione non ha predeterminato i criteri sulla base dei quali procederà alla selezione, limitandosi alla “valutazione dei curricula”.
L’assenza di una comparazione sulla scorta di criteri predeterminati sarebbe peraltro comprovata dalla mancata previsione di una graduatoria di merito o dell’attribuzione di punteggi.
Si verificherebbe inoltre un’evidente sproporzione tra l’individuazione di requisiti di partecipazione particolarmente qualificanti e il “valore” della commessa.
L’avviso sarebbe altresì irragionevolmente carente dell’indicazione del fabbisogno numerico di professionisti da contrattualizzare e dell’ambito dell’incarico, non essendo specificate le prestazioni richieste, la cui individuazione è rimessa al contratto.
Non consterebbe inoltre che il Ministero abbia fornito motivazioni circa la gratuità e le particolari ragioni di urgenza o emergenza, in virtù delle quali si potrebbe eventualmente giustificare, limitatamente alla procedura così indetta, il ricorso ad una selezione “indeterminata” quanto alla procedura ed all’esito.
Tali circostanze violerebbero l’art. 142, comma 5-quater, del d.lgs. n. 50/2016, in combinato disposto con l’art. 21, che impongono alle Amministrazioni di dotarsi di strumenti di programmazione e di predeterminazione del fabbisogno.
Il provvedimento violerebbe anche il principio di pubblicità degli avvisi, che impone il rispetto delle misure di cui all’art. 142 del d.lgs. 50/2016 e comunque richiede che i soggetti interessati abbiano un agevole accesso, in tempo utile, a tutte le informazioni necessarie relative alla procedura prima che essa sia aggiudicata, in modo da consentire l’eventuale manifestazione di interesse da parte dei professionisti.
   3) Eccesso di potere per difetto di istruttoria - difetto di motivazione.
L’Amministrazione non avrebbe svolto una verifica adeguata né in ordine all’opportunità di individuare un meccanismo di selezione diverso né in relazione alla reale necessità di coinvolgere specifiche professionalità in funzione di impegni determinati.
Inoltre non si comprenderebbe l’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione, all’esito del quale essa ha pubblicato l’avviso de quo.
L’Amministrazione non potrebbe neppure invocare il principio del contenimento della spesa pubblica, in quanto quest’ultimo obiettivo non può essere assicurato violando altre norme di legge, anche e soprattutto di rango costituzionale.
Si impugna anche la nota n. 48 dell’08.03.2019 dell’Ufficio Stampa del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la quale l’Amministrazione ha specificato –a fronte delle polemiche suscitate– che i) l’avviso “non costituisce un’opportunità lavorativa”; ii) la consulenza “non è da intendersi come rapporto di lavoro o fornitura di un servizio professionale”; iii) “l’invito è rivolto a personalità affermate, principalmente provenienti dal mondo accademico, che, in ottica di collaborazione istituzionale, desiderino offrire la propria esperienza in termini di idee e soluzioni tecniche in materie molto complesse”; iv) “la procedura posta in essere dal MEF garantisce al Paese che l’Amministrazione, prima di elaborare norme e disegnare strumenti, assicuri un doveroso confronto con gli esperti di alto profilo competenti in materia che l’Italia sa offrire” e v) che “esula completamente da questi rapporti, quindi, il tema dell’equo compenso che si riferisce a rapporti professionali di lavoro nell’ambito del settore privato”.
I suddetti chiarimenti darebbero ragione di tutti i vizi denunciati innanzi.
Un “confronto con gli esperti di alto profilo competenti in materia” assunto “prima di elaborare norme e disegnare strumenti” sarebbe una richiesta di prestazione d’opera intellettuale e, nello specifico, un servizio di consulenza legale.
Non sarebbe vero nemmeno che l’invito sia rivolto a “personalità affermate, principalmente provenienti dal mondo accademico”: i requisiti di partecipazione menzionati nell’avviso indicano 5 anni di esperienza nel settore giuridico di competenza, alternativamente in ambito accademico o professionale.
Non si tratterebbe di una “collaborazione istituzionale”, ai fini della quale il Ministero avrebbe potuto rivolgersi in via diretta e con altre modalità alle istituzioni preposte, una su tutte agli Ordini degli Avvocati ricorrenti.
Anche a voler, per ipotesi, concedere che si tratti di una diversa, quanto nuova, atipica ed indeterminata forma di collaborazione “istituzionale”, l’apporto consulenziale comunque accordato dal singolo professionista non troverebbe in alcun modo una giustificazione causale.
Sarebbe palesemente illegittimo l’assunto finale del Ministero secondo il quale esulerebbe da questi rapporti il tema dell’equo compenso “che si riferisce a rapporti professionali di lavoro nell’ambito del settore privato”, essendo ormai pacifico che l’applicazione del menzionato principio rappresenta –per espresso riconoscimento legislativo (art. 19-quaterdecies, comma 3, del D.L. n. 148/2017)– un dovere anche per tutte le Amministrazioni pubbliche.
Infine, anche alla luce del chiarimento, l’Amministrazione non potrebbe invocare nemmeno l’art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, atteso che, in forza della normativa menzionata, anche tali incarichi beneficerebbero della garanzia di un equo compenso.
Infine l’art. 7 del d.lgs. 165/2001 sarebbe inconferente, in quanto riguarda “contratti di lavoro autonomo”, nella specie non configurabili.
...
IV - Il ricorso è privo di fondamento per le ragioni di seguito esposte.
V - Occorre inquadrare correttamente l’oggetto dell’avviso, impugnato col ricorso in esame.
Con il predetto avviso, diretto a giuristi del mondo accademico e/o forense, in possesso di esperienza di almeno 5 anni documentabile, anche a livello europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell'economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari, si chiede agli stessi una mera manifestazione di interesse a prestare, senza che sia prefissata la frequenza e l’entità dell’eventuale ‘prestazione’ nell’arco temporale di due anni, la propria consulenza nelle stesse suddette materie “in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell'adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari”.
V.1 - La genericità non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo.
Come, infatti, è stato anche precisato con il comunicato stampa che ha fornito i dovuti chiarimenti in ordine alla sua portata, all’esito della valutazione dei curricula obbligatoriamente inviati dai su indicati professionisti, non s’instaura alcun rapporto di lavoro né è prevista la fornitura di un servizio professionale.
VI – Si deve ulteriormente evidenziare la previsione della possibilità, per il professionista, di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento.
VI.1 - Il prescritto preavviso di 30 giorni per esercitare tale diritto obbedisce ad una mera esigenza organizzativa: in altre parole, l’Amministrazione ha necessità di conoscere
ex ante sull’apporto di quali professionalità nell’esame di questioni rilevanti può contare in un determinato periodo.
VI.2 - L’obbligo, per il professionista, di concludere la propria attività su eventuali questioni in corso è invece funzionale a garantire un’azione della Pubblica Amministrazione efficace, che persegue il buon andamento: un’interruzione potrebbe, infatti, determinare perdite di tempo e degli apporti qualificati già conferiti dai professionisti che non intendano più portare avanti la consulenza.
VI.3 – Sono elementi che fanno escludere la riconduzione della consulenza all’ambito dei servizi, il cui affidamento è sottoposto alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici.
VI.4 - Conduce a tale conclusione anche l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
VI.5 - Perciò è evidente che nessun obbligo di applicare le norme del d.lgs. n. 50/2016 sussisteva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
VII - La prescrizione di requisiti minimi si rendeva invece evidentemente necessaria per acquisire manifestazioni di interesse solo da parte di soggetti qualificati che, ove ritenuti idonei sulla base della valutazione dei propri curricula, possano effettivamente dare un contributo rilevante nelle materie e nell’ambito delle attività indicate nell’avviso censurato.
VIII - Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della consulenza appare legittimo.
VIII.1 - Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.
VIII.2 - Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso, diffusamente ed analiticamente descritta dalla parte ricorrente ed erroneamente invocata a sostegno delle proprie tesi, presenti tale carattere ostativo. Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo.
VIII.3 - Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.
IX - Dalle argomentazioni svolte nella presente disamina deriva che l’avviso impugnato è legittimo ed il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 30.09.2019 n. 11410 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

INCARICHI PROGETTUALI«No» al finanziamento delle sole spese di progettazione dell'opera senza le fasi successive.
Stop al finanziamento delle sole spese di progettazione svincolate dalle successive fasi di esecuzione dei lavori e finalizzazione dell'opera; l'affidamento di un incarico di progettazione va necessariamente correlato non solo a un'opera che sia stata programmata, ma anche a un'indicazione sulla effettiva reperibilità delle risorse necessarie per la sua realizzazione.

Con il parere 12.09.2019 n. 352, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia affronta, su richiesta di un Comune, la pratica diffusa tra gli enti, a fronte della mancanza di disponibilità di risorse per l'intera opera, di conferire un incarico per le sole spese relative alla progettazione, imputandole al titolo II, nella speranza di reperire in un momento successivo quelle necessarie per il finanziamento dell' opera intera.
Dopo le novità del Dm 01.03.2019, la contabilizzazione, tra gli investimenti, delle spese per il livello minimo di progettazione, richiede che i documenti di programmazione dell'ente, che definiscono gli indirizzi generali riguardanti gli investimenti e la realizzazione delle opere pubbliche (Dup, Defr o altri documenti di programmazione), individuino in modo specifico l'investimento a cui la spesa di progettazione è destinata, prevedendone, altresì, le necessarie forme di finanziamento. Secondo i giudici contabili, la contabilizzazione deve discendere da una chiara e trasparente programmazione dell'opera da realizzare, dove l'indicazione «specifica» delle «necessarie» forme di finanziamento ha un ruolo di particolare rilievo.
In una fase successiva rispetto alla verifica del livello di progettazione minima, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese sono stanziate nel titolo II del bilancio di previsione, con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva. Ciò che rileva, dunque, per la corretta contabilizzazione della spesa di progettazione è il riferimento agli stanziamenti «riguardanti l'opera complessiva» a cui la fase progettuale è funzionalmente e strutturalmente correlata.
Va evidenziato inoltre che la progettazione di un'opera, seppur articolata secondo livelli, non può prescindere da un quadro trasparente determinato a monte, relativo alla sua realizzazione e, sotto il profilo contabile, a una chiara previsione ed effettiva individuazione delle forme di finanziamento.
La Corte dei conti ritiene, pertanto, che il conferimento di un incarico relativo alle spese di progettazione, da contabilizzare tra le spese di investimento, vada inserito nell'ambito di una effettiva e concreta programmazione dell'opera, ove, di conseguenza, anche le risorse e i mezzi finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o conoscibili ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare che si faccia ricorso a un affidamento non finalizzato al perseguimento di un concreto interesse pubblico.
Risulta, altresì, indispensabile, proseguono i giudici, l'accertamento della fattibilità e della finanziabilità dell'opera pubblica, quale condizione minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di progettazione, al fine di evitare una spesa di denaro pubblico inutile, nel rispetto del più generale criterio di diligenza, che deve sempre caratterizzare l'agire pubblico. Ciò vale anche nell'ipotesi in cui si decida di far rientrare l'affidamento dell'incarico tra le spese correnti.
Conferimento dell'incarico
Infine, i giudici si soffermano sulle ipotesi vagliate dalla giurisprudenza in tema di conferimento di incarichi subordinati alla concessione di finanziamenti per la realizzazione di un' opera pubblica. L'inserimento nel contratto d'opera professionale di una clausola di copertura finanziaria, in base alla quale l'ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso al professionista alla concessione di un finanziamento, non consente di derogare alle procedure di spesa, che non possono essere differite al momento dell'erogazione del finanziamento; in mancanza di finanziamento, il rapporto obbligatorio non è riferibile all'ente ma intercorre tra il privato e l'amministratore o funzionario che abbia assunto l'impegno.
L'articolo 24, comma 8-bis, del Dlgs 50/2016, da ultimo, prevede che le stazioni appaltanti non possono subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse, all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata. Nella convenzione stipulata con il soggetto affidatario sono previste le condizioni e le modalità per il pagamento dei corrispettivi (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 10.10.2019).
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La Sezione si pronuncia sul conferimento e sulla contabilizzazione di incarichi di progettazione, anche alla luce delle modifiche introdotte dal D.M. 01.03.2019 all’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118/2011.
La Sezione evidenzia che per la corretta contabilizzazione della spesa di progettazione rileva il riferimento agli stanziamenti sull’opera complessiva, a cui la fase progettuale è funzionalmente e strutturalmente correlata.
Va, altresì, rimarcato che la progettazione di un’opera, seppur articolata secondo livelli, non può prescindere da un quadro trasparente e determinato a monte, relativamente alla sua realizzazione e, sotto il profilo contabile, relativamente ad una chiara previsione ed effettiva contezza delle relative forme di finanziamento.
Il conferimento di un incarico relativo alle spese di progettazione, secondo le regole predette e da contabilizzare tra le spese di investimento, pertanto, va inserito nell’ambito di una effettiva e concreta programmazione dell’opera, ove anche le risorse e i mezzi finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o conoscibili ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare che si faccia ricorso ad un affidamento non funzionalizzato al perseguimento di un concreto interesse pubblico.
Risulta, altresì, indispensabile l’accertamento della fattibilità e della finanziabilità dell’opera pubblica, quale condizione minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di progettazione; ciò vale anche nell’ipotesi in cui si decida di far rientrare l’affidamento dell’incarico tra le spese correnti, dovendo l’ente, se del caso, valutare attentamente tale possibilità, pur sempre nel rispetto dei principi e delle regole contabili e del perseguimento dell’interesse pubblico della comunità amministrata.
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Il Sindaco del Comune di Trescore Balneario (BG) chiede un parere in merito al seguente quesito.
Il principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria di cui all’Allegato n. 4/2 del D.Lgs. 118/2011, così come modificato dal decimo decreto correttivo del 01.03.2019, al punto 5.3.14 prevede, con riferimento alla registrazione contabile delle spese per interventi inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e nell’elenco annuale che “A seguito della validazione del livello di progettazione minima previsto dall’articolo 21 del d.lgs. 50 del 2016, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese sono stanziate nel Titolo II del bilancio di previsione. L’inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici consente l’iscrizione nel bilancio di previsione degli stanziamenti riguardanti l’ammontare complessivo della spesa da realizzare, nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata. Gli stanziamenti sono interamente prenotati a seguito dell’avvio del procedimento di spesa e sono via via impegnati a seguito dei contratti concernenti le fasi di progettazione successive al minimo o la realizzazione dell’intervento. Gli impegni sono imputati contabilmente nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata”.
Il nostro ente ha attualmente la disponibilità di risorse per le sole spese di progettazione (di livello minimo e successive al livello minimo) e non anche per il finanziamento dell’intera opera cui la progettazione si riferisce.
Considerate tali premesse e considerato che molto spesso per ottenere punteggi più elevati nell’ambito di finanziamenti a fondo perduto è necessario disporre di un progetto definitivo ed esecutivo, è possibile conferire un incarico per le sole spese relative alla progettazione imputandole al titolo II, nella speranza di reperire in un momento successivo le necessarie risorse per il finanziamento dell’intera opera?
”.
...
2.1. Il D.M. 01.03.2019 (pubblicato in G.U. 25.03.2019, n. 71), all’articolo 3, ha apportato diverse modifiche al principio contabile applicato, concernente la contabilità finanziaria di cui all’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118/2011.
Tra le modifiche introdotte, va segnalato l’inserimento dei paragrafi 5.3.12, 5.3.13 e 5.3.14.
In particolare, il paragrafo 5.3.12 riguarda la registrazione contabile delle spese per il livello minimo di progettazione richiesto per l’inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici e nell’elenco annuale e prevede che “La spesa riguardante il livello minimo di progettazione, richiesto ai fini dell'inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici, è registrata nel bilancio di previsione prima dello stanziamento riguardante l'opera cui la progettazione si riferisce. Per tale ragione, affinché la spesa di progettazione possa essere contabilizzata tra gli investimenti, è necessario che i documenti di programmazione dell'ente, che definiscono gli indirizzi generali riguardanti gli investimenti e la realizzazione delle opere pubbliche (DUP, DEFR o altri documenti di programmazione), individuino in modo specifico l'investimento a cui la spesa di progettazione è destinata, prevedendone altresì le necessarie forme di finanziamento. In tal caso, la spesa di progettazione "esterna", consistente in una delle fattispecie previste dall'art. 24, comma 1, esclusa la lettera a), del d.lgs. n. 50 del 2016, è registrata, nel rispetto della natura economica della spesa, al Titolo II della spesa, alla voce U.2.02.03.05.001 "Incarichi professionali per la realizzazione di investimenti" del modulo finanziario del piano dei conti integrato previsto dall'allegato 6 al presente decreto. I principi contabili riguardanti la progettazione esterna si applicano anche alle ipotesi di ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati. Nel caso di progettazione "interna", di cui al comma 1, lettera a), dell'art. 24, d.lgs. n. 50 del 2016, le relative spese sono contabilizzate secondo la natura economica delle stesse al Titolo I o al Titolo II della spesa. La capitalizzazione delle spese riguardanti il livello minimo di progettazione è effettuata attraverso le scritture della contabilità economico patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in contabilità finanziaria. Nel caso in cui la copertura dell'intervento sia costituita da un contributo per il finanziamento dell'opera, comprensivo della spesa di progettazione, concesso nell'esercizio successivo a quello in cui è stata impegnata la spesa concernente la progettazione, per la quota riguardante la progettazione il contributo è gestito come entrata libera, in quanto il relativo vincolo è già stato realizzato e può essere destinato alla copertura di spese correnti”.
Il paragrafo 5.3.13 riguarda la registrazione contabile delle spese di progettazione riguardanti lavori di valore stimato, inferiore a 100.000 euro, prevedendo che “La spesa concernente gli interventi di valore stimato inferiore a 100.000 euro è stanziata in bilancio anche se detti interventi non sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici. In tali casi, la spesa di progettazione è registrata nel Titolo II della spesa, con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel caso di progettazione interna che di progettazione esterna, in attuazione dell'art. 113, comma 1, del Codice, il quale prevede "Gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione quando previsti ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, alle prestazioni professionali e specialistiche necessari per la redazione di un progetto esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti previsti per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti". In ogni caso, gli stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione sono classificati tra le spese di personale (spesa corrente). La capitalizzazione di tali spese è effettuata attraverso le scritture della contabilità economico patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in contabilità finanziaria”.
Infine, il nuovo paragrafo 5.3.14 –relativo alla registrazione contabile delle spese per gli interventi inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e nell’elenco annuale– prevede che “A seguito della validazione del livello di progettazione minima previsto dall'articolo 21 del d.lgs. 50 del 2016, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese sono stanziate nel Titolo II del bilancio di previsione. L'inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici consente l'iscrizione nel bilancio di previsione degli stanziamenti riguardanti l'ammontare complessivo della spesa da realizzare, nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata. In particolare, nei casi in cui la copertura di tali spese risulti costituita da entrate esigibili nel medesimo esercizio in cui sono esigibili le spese correlate, nel bilancio di previsione gli stanziamenti di entrata e di spesa sono iscritti distintamente con imputazione ai singoli esercizi di esigibilità. Nei casi in cui la copertura di tali spese risulti costituita da entrate esigibili anticipatamente rispetto all’esigibilità delle spese correlate, nel bilancio di previsione è iscritto il fondo pluriennale vincolato di spesa. Gli stanziamenti sono interamente prenotati a seguito dell'avvio del procedimento di spesa e sono via via impegnati a seguito della stipula dei contratti concernenti le fasi di progettazione successive al minimo o la realizzazione dell'intervento. Gli impegni sono imputati contabilmente nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata. La spesa di progettazione riguardante i livelli successivi a quello minimo richiesto per l'inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici è registrata nel titolo secondo della spesa, con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel caso di progettazione interna che di progettazione esterna, in attuazione dell'art. 113, comma 1, del Codice, il quale prevede "Gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione quando previsti ai sensi del decreto legislativo 09.04.2008 n. 81, alle prestazioni professionali e specialistiche necessari per la redazione di un progetto esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti previsti per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti". In ogni caso, gli stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione sono classificati tra le spese di personale (spesa corrente). La capitalizzazione di tali spese è effettuata attraverso le scritture della contabilità economico patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in contabilità finanziaria”.
2.2. Dalle modifiche introdotte e sopra riportate, emerge che
per la contabilizzazione, tra gli investimenti, delle spese per il livello minimo di progettazione, è necessario che i documenti di programmazione dell'ente, che definiscono gli indirizzi generali riguardanti gli investimenti e la realizzazione delle opere pubbliche (DUP, DEFR o altri documenti di programmazione), individuino in modo specifico l'investimento a cui la spesa di progettazione è destinata, prevedendone, altresì, le necessarie forme di finanziamento.
In tal caso, la spesa di progettazione "esterna", consistente in una delle fattispecie previste dall'art. 24, comma 1, esclusa la lettera a), del d.lgs. n. 50 del 2016, è registrata, nel rispetto della natura economica della spesa, al Titolo II della spesa, alla voce U.2.02.03.05.001 "Incarichi professionali per la realizzazione di investimenti" del modulo finanziario del piano dei conti integrato previsto dall'allegato 6 al presente decreto.
Nel caso di progettazione "interna", di cui al comma 1, lettera a), dell'art. 24, d.lgs. n. 50 del 2016, le relative spese sono contabilizzate secondo la natura economica delle stesse al Titolo I o al Titolo II della spesa.

Ne deriva che
la contabilizzazione in parola consegue ad una chiara e trasparente programmazione dell’opera da realizzare, rispetto a cui l’indicazione “specifica” delle “necessarie” forme di finanziamento ne costituisce parte integrante.
Le previsioni di cui al paragrafo 5.3.14 attengono, sotto il profilo cronologico, ad una fase successiva rispetto alla validazione del livello di progettazione minima, previsto dall'articolo 21 del d.lgs. 50 del 2016, con la conseguenza che, a seguito di tale validazione, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese sono stanziate nel Titolo II del bilancio di previsione.
In particolare, la spesa di progettazione riguardante i livelli successivi a quello minimo richiesto per l'inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici è registrata nel Titolo II della spesa, con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel caso di progettazione interna che di progettazione esterna. In ogni caso, gli stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione sono classificati tra le spese di personale (spesa corrente).
Ciò che rileva, dunque, per la corretta contabilizzazione della spesa di progettazione è il riferimento agli stanziamenti “riguardanti l’opera complessiva” a cui, in definitiva, la fase progettuale è funzionalmente e strutturalmente correlata, ai fini del rispetto delle previsioni dei principi contabili in parola.
In linea generale, inoltre, va evidenziato che
la progettazione di un’opera, seppur articolata secondo livelli, non può prescindere da un quadro trasparente e determinato a monte, relativamente alla sua realizzazione e, sotto il profilo contabile, relativamente ad una chiara previsione ed effettiva contezza delle relative forme di finanziamento.
La Sezione ritiene, pertanto, che il conferimento di un incarico relativo alle spese di progettazione, secondo le regole predette e da contabilizzare tra le spese di investimento, vada inserito nell’ambito di una effettiva e concreta programmazione dell’opera, ove, di conseguenza, anche le risorse e i mezzi finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o conoscibili ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare che si faccia ricorso ad un affidamento –e quindi vengano utilizzate risorse pubbliche– non funzionalizzato al perseguimento di un concreto interesse pubblico.
2.3. Occorre, altresì, aggiungere che lo stesso D.M. 01.03.2019, a seguito delle previsioni normative di cui alla legge n. 145/2018 (articolo 1, commi 909-911), ha apportato modifiche anche in tema di formazione del Fondo Pluriennale Vincolato (FPV), evidenziando l’importanza del principio di correlazione dell’acquisizione delle risorse con il reale e monitorato programma di sviluppo della spesa stessa, ove assume particolare rilievo l’esatta e specifica declinazione delle fasi che attraversano l’arco temporale che va dall’inserimento dell’opera nel programma triennale fino alla esecuzione della stessa.
Sul punto, nella deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 19/SEZAUT/2019/INPR, del 24.07.2019, si fa presente che “Le modifiche apportate dal predetto provvedimento anticipano i tempi di costituzione del FPV a quello dell'affidamento della progettazione successiva al livello minimo, consentendo la prenotazione dell’intero stanziamento di spesa iscritto in bilancio dopo l’inserimento dell’intervento nel programma triennale delle opere pubbliche. È quanto mai opportuno alla luce di queste novità ricordare che il Fondo funziona ed assolve al suo ruolo di contenitore dinamico dell’acquisizione ed impiego di risorse nella misura in cui realmente è correlato allo sviluppo del programma di spesa. Misuratore di efficacia di questo istituto è il suo effettivo utilizzo. Le modifiche apportate al principio contabile applicato impongono attenzione proprio su detto profilo, portando in primo piano la necessità di un costante monitoraggio dello sviluppo dei programmi di spesa per giustificare le ragioni della sua conservazione e per garantire il corretto utilizzo del FPV. È evidente, infatti, che più si dilata lo spazio temporale tra acquisizione delle risorse e utilizzo delle stesse, più cresce l’esigenza di monitoraggio. Questo spazio è teoricamente individuato nella declinazione delle fasi che attraversano l’arco temporale che va dall’inserimento dell’opera nel programma triennale fino alla esecuzione della stessa. Risulta, dunque, necessario che detto arco temporale venga mantenuto in limiti fisiologici affinché il complessivo sviluppo della filiera procedimentale non sbiadisca la natura tipica del FPV quale strumento di rappresentazione della programmazione e previsione delle spese pubbliche territoriali che possa evidenziare con trasparenza e attendibilità il procedimento di impiego delle risorse acquisite dall’ente. Detta esigenza risulta garantita se e nella misura in cui il tempo che trascorre identifica sempre il tempo dell’adempimento della prestazione contenuto dell’obbligazione in via di perfezionamento. Secondo la disciplina del riformato principio contabile la legittima conservazione delle risorse accantonate nel fondo a copertura di spese di investimento non impegnate, presuppone sempre e comunque due condizioni e cioè l’intero accertamento delle relative entrate e l’inserimento dell’intervento nel programma triennale, con l’eccezione dei lavori pubblici di importo tra 40 e 100mila euro. A queste condizioni indispensabili e contestualmente verificate si aggiungono talune qualificate situazioni alternative di seguito indicate quali l’impegno parziale del quadro economico sulla base di precise obbligazioni giuridicamente perfezionate ovvero l’attivazione delle procedure di affidamento dei livelli di progettazione successivi al minimo e l’attivazione delle procedure di affidamento dell’intervento da realizzare avviate dopo la validazione del progetto da porsi a base della gara stessa.”.
2.4. Le disposizioni del d.lgs. n. 50/2016 -da ultimo modificato dal D.L. n. 32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 55/2019– confermano tale impostazione, laddove, all’articolo 21, comma 1, si prevede che le amministrazioni aggiudicatrici adottano il programma triennale dei lavori e che tali programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e in coerenza con il bilancio e, “per gli enti locali, secondo le norme che disciplinano la programmazione economico-finanziaria degli enti”.
Al successivo comma 3, l’articolo 21 stabilisce, altresì, che il programma triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali contengono i lavori il cui valore stimato sia pari o superiore a 100.000 euro e “indicano, previa attribuzione del codice unico di progetto.., i lavori da avviare nella prima annualità, per i quali deve essere riportata l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici…”.
Ancora, l’articolo 23 del d.lgs. n. 50/2016, nel prevedere che la progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici (progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo), pone l’accento sulla rilevanza della quantificazione delle spese per la realizzazione dell’opera e del relativo cronoprogramma.
Ne deriva, dunque, che
la progettazione di un’opera pubblica non può costituire un’attività fine a sé stessa e svincolata dalle successive fasi di esecuzione dei lavori e finalizzazione dell’opera, con la conseguenza che l’affidamento di un incarico di progettazione va ontologicamente correlato non solo ad un’opera che sia stata programmata, ma anche ad un’indicazione sulla effettiva reperibilità delle risorse necessarie per la sua realizzazione.
Risulta, altresì, indispensabile l’accertamento della fattibilità e della finanziabilità dell’opera pubblica, quale condizione minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di progettazione, al fine di evitare una spesa di denaro pubblico inutile (vd. Corte dei conti Sicilia, Sez. App., 24/11/2008, n. 364) e nel rispetto del più generale criterio di diligenza, che deve sempre caratterizzare l’agere pubblico.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui si decida di far rientrare l’affidamento dell’incarico tra le spese correnti, dovendo l’ente, se del caso, valutare attentamente tale possibilità, pur sempre nel rispetto dei principi e delle regole contabili e del perseguimento dell’interesse pubblico della comunità amministrata.
2.5. Da ultimo, ed al solo fine di riferire circa le ipotesi vagliate dalla giurisprudenza in tema di conferimento di incarichi subordinati alla concessione di finanziamenti per la realizzazione di un'opera pubblica,
si rammenta che, ai sensi dell’articolo 191 del TUEL, “Gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria di cui all'articolo 153, comma 5… Fermo restando quanto disposto al comma 4, il terzo interessato, in mancanza della comunicazione, ha facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i dati non gli vengano comunicati” e che l’inserimento nel contratto d’opera professionale di una clausola di cd. copertura finanziaria –in base alla quale l’ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso al professionista incaricato della progettazione di un’opera pubblica alla concessione di un finanziamento– non consente di derogare alle procedure di spesa, che non possono essere differite al momento dell’erogazione del finanziamento; in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno (vd. Cass., 18/12/2014, n. 26657; Cass. civ., Sez. I, ord. 20/03/2018, n. 6970; Cass. civ., ord. 11/03/2019, n. 6919).
Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 24, comma 8-bis, del d.lgs. n. 50/2016 (comma aggiunto dall'art. 14, comma 1, lett. d), d.lgs. 19.04.2017, n. 56) “
Le stazioni appaltanti non possono subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata. Nella convenzione stipulata con il soggetto affidatario sono previste le condizioni e le modalità per il pagamento dei corrispettivi con riferimento a quanto previsto dagli articoli 9 e 10 della legge 02.03.1949, n. 143, e successive modificazioni”.

luglio 2019

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Danno erariale al segretario comunale che autorizza l'incarico professionale esterno a un dipendente dell'Ente.
I dipendenti della Pa a tempo parziale -che svolgono un orario lavorativo non superiore alle 18 ore settimanali- possono essere autorizzati dall'ente di appartenenza anche a svolgere altra attività lavorativa, inclusa quella professionale a partita Iva. Tuttavia, l'amministrazione non può conferire un incarico professionale esterno al medesimo dipendente.
Queste sono in sintesi le conclusioni della Corte dei conti - Sez. giurisdiz. Puglia (sentenza 31.07.2019 n. 501) che ha condannato per danno erariale in solido il responsabile del servizio finanziario e il segretario comunale che ha autorizzato l'incarico esterno di resistenza nei giudizi tributari al medesimo responsabile del servizio finanziario e dei tributi.
La vicenda
Il commissario straordinario di un Comune di modeste dimensioni aveva attivato le procedure di recupero delle somme indebitamente corrisposte al responsabile finanziario e dei tributi per l'incarico professionale di resistenza in giudizio davanti alle commissioni tributarie.
In considerazione del mancato versamento degli importi, la Procura della Corte dei conti ha chiamato a rispondere di danno erariale sia il segretario comunale, per aver espresso parere favorevole all'incarico professionale al dipendente, sia il responsabile finanziario e dei tributi che, pur a conoscenza della normativa, ha formalizzato e ricevuto le parcelle professionali.
Nel caso di specie, la Procura ha contestato un reale conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo soggetto, in quanto l'attività di recupero tributario, non può che rientrare nelle funzioni istituzionali dell'ente e del responsabile del settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo stesso soggetto che svolge, all'interno, le funzioni di responsabile del servizio.
La difesa dei convenuti
Nelle memorie di costituzione in giudizio è stato rilevato come il responsabile finanziario fosse un dipendente in part-time, con orario non superiore alla metà del tempo pieno, autorizzato dall'ente a svolgere attività professionale esterna.
La disposizione legislativa -articolo 11, comma 3, Dlgs 546/1992– prevede espressamente che «L'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi …», mentre l'articolo 15, comma 2-bis, dispone che «Nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto».
La decisione del collegio contabile
I giudici contabili pugliesi oltre a ritenere fondate le conclusioni cui è giunto il Pm contabile, di un reale conflitto tra le due posizioni assunte dal responsabile finanziario -da un lato resistente in giudizio in quanto dirigente dell'ufficio tributi e dall'altro lato in qualità di libero professionista- hanno anche accertato l'inconsistenza del pagamento previsto dalla normativa.
L'Aran ha, infatti, da sempre chiarito che, per l'attività di difesa avanti alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta un'integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico intervento di regolazione nell'ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, ha precisato il collegio contabile, non c'è stato alcun iter contrattuale per forme integrative di incentivi al personale, bensì l'affidamento al dirigente responsabile del settore finanziario di due incarichi esterni di rappresentanza del Comune davanti alle commissioni tributarie, in palese violazione di legge.
Inoltre, stante la consapevolezza dei convenuti di tenere un comportamento vietato dalla legge, si rientra nell'ipotesi di dolo con conseguente responsabilità solidale dei convenuti al pagamento delle somme indebitamente corrisposta al responsabile finanziario (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 26.08.2019).
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MASSIMA
Il thema decidendum del presente giudizio riguarda l’accertamento della responsabilità dei convenuti –in qualità di dipendenti del Comune di Roseto Valfortore- per il danno patrimoniale, asseritamente arrecato all’ente, in conseguenza dell’indebito affidamento di incarico professionale al responsabile del settore finanziario dott. MI., in difetto dei presupposti di legge.
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2. Nel merito, la domanda è fondata.
Occorre premettere che
l’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere ai compiti istituzionali con la propria organizzazione e con il proprio personale, costituisce regola fondamentale dell’ordinamento, codificata da specifiche disposizioni di legge.
In particolare, l’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, recependo quanto già previsto dal d.lgs. n. 29 del 1993, ha rafforzato il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni, stabilendo che il trattamento economico contrattualmente determinato remunera tutte le funzioni e i compiti loro attribuiti, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o, comunque, conferito dall’Amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa.
Pertanto, risulta in primo luogo violato il principio di onnicomprensività della retribuzione, svolgendo il Mi. l’incarico di dirigente a tempo determinato ex art. 110, comma 2, del d.lgs n. 267 de 2000.
Egli, seppure in regime di part-time, svolgeva le funzioni di responsabile del settore finanziario e, come tale, era responsabile anche della gestione dei tributi, ivi compresa, appunto, tutta l'attività relativa al loro recupero.
Invero, in quanto titolare di posizione organizzativa, al Mi. era già attribuita l'indennità di posizione, l'indennità di risultato e la specifica indennità ad personam prevista dall'art. 110, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000, oltre ad un rimborso spese di viaggio per raggiungere la sede di servizio (deliberazione della Giunta comunale n. 116 del 13.11.2002).
In merito alle attività attribuite alla responsabilità dell’odierno convenuto, inoltre, il decreto del Sindaco del Comune di Roseto Valfortore, n. 5912 del 13.11.2002 dispone espressamente che il dott. Mi. dal 01.01.2003 veniva chiamato o svolgere le funzioni di responsabile del Settore economico–finanziario, “comprendente tutti servizi economico e finanziari esemplificativamente riferiti a: ….tributi ed entrate patrimoniali (gestione di tutte le fasi compreso controllo riscossioni in concessione)”.
Di conseguenza, la rappresentanza dell’ente avanti alle Commissioni tributarie rientrava appieno tra i compiti istituzionali affidati al Mi., con ciò smentendo tutte le eccezioni opposte dai convenuti circa la legittimità dell’affidamento dell’incarico professionale. Né vi è prova che l’Amministrazione non fosse in grado di provvedervi per l’eccessivo carico di lavoro, meramente enunciato dal Mi..
Al riguardo, l'art. 11, comma 3, del D.Lgs 546/1992, come modificato dall'art. 3-bis del D.L. 31.03.2005, n. 44 prevede espressamente che "L'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio".
Il Procuratore regionale, pertanto, ha correttamente contestato agli odierni convenuti un reale conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo soggetto (art. 6, comma 2, d.p.c.m. 117/1989). In particolare, l’attore pubblico ha osservato che l’attività di recupero dell'ICI, non può che rientrare nelle funzioni istituzionali dell'ente e del responsabile del settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo stesso soggetto che svolge, all'interno, le funzioni di responsabile del servizio.
Il Collegio non può che condividere tale assunto.
Per l’attività in questione, al dirigente non spettava alcun compenso.
Priva di pregio appare, al riguardo l’eccezione opposta da parte convenuta secondo cui il compenso sarebbe comunque spettato al Mi. ex art. 15, comma 2-bis (ora comma 2-sexies) del d.lgs n. 546 del 1992 che dispone “Nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto”.
Non vi è dubbio, infatti, che la liquidazione delle spese di difesa avviene nei confronti dell’Amministrazione, risultata vittoriosa nel giudizio tributario, e non già nei confronti del soggetto che la rappresenta. Sulla questione, l'ARAN (RAL 1660) ha chiarito che, per l’attività di difesa avanti alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta un’integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico intervento di regolazione nell’ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, non vi è stata alcun iter contrattuale per forme integrative di incentivi al personale, bensì vi è stato l’affidamento al dirigente responsabile del settore finanziario di due incarichi esterni di rappresentanza del Comune avanti alle Commissioni tributarie, in palese violazione di legge.
Sicché
il compenso che è stato erogato al Mi., nella veste di professionista esterno, rappresenta certamente un’indebita spesa sostenuta dal Comune.
Il danno risarcibile ammonta a complessivi euro 163.991,74.
Responsabili in solido di tale indebita spesa risultano entrambi i convenuti a titolo di dolo. Al riguardo, occorre chiarire che,
nel processo contabile, per dolo deve intendersi la consapevolezza dell’agente di tenere un comportamento vietato dalla legge.
Il Mi. è responsabile per aver scientemente lucrato il compenso per la difesa del Comune, pur nella piena consapevolezza di aver assunto l’obbligo di svolgere tale attività in veste di dirigente responsabile del settore finanziario.
La dott.ssa Ce., in qualità di
Segretario generale dell’ente, per il ruolo rivestito di garante della legittimità dell’azione amministrativa del Comune, che nulla ha obiettato a tutela della corretta e proficua gestione del denaro pubblico, esprimendo per di più parere favorevole per l’affidamento dell’incarico in questione e provvedendo ad impegnare e liquidare il compenso de quo.
L’indebita spesa, pari a complessivi euro 163.991,74, erogata dal Comune di Roseto Valfortore è la conseguenza unica e diretta delle
condotte tenute dai convenuti, nella piena consapevolezza del totale dispregio degli interessi dell’Amministrazione.
Ai soli fini della ripartizione interna delle quote di danno, per cui ciascuno potrà eventualmente rivalersi nei confronti dell’altro responsabile in solido, per il ruolo preponderante rivestito nella vicenda dal dott. Mi., a lui compete la maggior quota di danno pari al 70 per cento del danno risarcibile, mentre il restante 30 va attribuito alla responsabilità della dott.ssa Ce..
Trattandosi di responsabilità per dolo deve essere escluso il ricorso al potere riduttivo dell’addebito.
Sull’importo di euro 163.991,74 per cui è condanna va computata la rivalutazione monetaria dalla data dei pagamenti e fino alla pubblicazione della presente sentenza. Per tutte le ragioni espresse, la domanda è accolta.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, definitivamente pronunciando, accoglie la domanda attrice e, per l’effetto,
CONDANNA
I signori Ma.MI. e Ma.Ce.An.CE. al pagamento in solido della complessiva somma di euro 163.991,74 (centossessantatremilanovecentonovantuno/74), oltre rivalutazione monetaria, in favore del Comune di Roseto Valfortore.

Sulle somme rivalutate spettano all’Amministrazione gli interessi al tasso legale decorrenti dalla data di deposito della sentenza e fino al totale soddisfo.

aprile 2019

INCARICHI PROGETTUALI: Indebito arricchimento verso la Pubblica Amministrazione per attività svolta dal professionista senza contratto scritto.
L'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d'un privato, né in base all'onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d'un contratto valido.
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 5. Con il secondo motivo, l'Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2041 c.c., nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto corretta la determinazione dell'indennità a titolo di arricchimento senza causa sulla base delle tariffe professionali prodotte in giudizio dagli attori (rectius, della parcella professionale redatta e vistata dal competente ordine professionale), e non già sulla base dell'effettivo impoverimento dagli stessi subiti a seguito della prestazione svolta nell'interesse della pubblica amministrazione.
6. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 18 della legge n. 109/1994; dell'art. 4, co. 12-bis, del d.l. n. 65/1989 conv. nella legge n. 155/1989; dell'art. 6 della legge n. 404/1977 e della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 12/11/1987, nonché per omessa motivazione circa un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale trascurato di tener conto, ai fini della determinazione dell'indennità ex art. 2041 c.c., delle norme richiamate in epigrafe, nonché per aver riconosciuto, in favore delle controparti, somme a titolo di rimborso-spese non adeguatamente documentate in conformità alle previsioni di legge.
7. Il secondo motivo è fondato e suscettibile di assorbire la rilevanza del terzo.
8. Osserva il Collegio come,
secondo l'orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di azione d'indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, conseguente all'assenza di un valido contratto di appalto d'opera tra la pubblica amministrazione e un professionista, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 - 01).
9. Pertanto,
ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto al professionista non possono essere assunte come parametro le tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall'ordine competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista in base un valido contratto d'opera con il cliente (Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 - 01, cit.).
10. Il richiamato insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (che questo Collegio integralmente condivide e fa proprio, al fine di assicurarne continuità, in consonanza con il successivo orientamento confermativo assunto da Sez. 3, Sentenza n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195 - 01) ha con ampia motivazione dimostrato per quali ragioni la opposta tesi sia insostenibile.
11. Dall'affermazione secondo cui l'indennizzo dovuto all'impoverito, ai sensi dell'art. 2041 c.c., non possa comprendere il lucro che questi avrebbe realizzato se il contratto stipulato con la p.a. fosse stato valido ed efficace, la giurisprudenza successiva ha tratto il necessario corollario secondo cui l'impoverimento non può essere determinato (neppure indirettamente quale parametro: cfr. Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, cit., in motivazione, là dove richiama Sez. 2, Sentenza n. 9243 del 12/07/2000, Rv. 538406 - 01) sulla base della tariffa professionale applicabile alle prestazioni eseguite dall'impoverito. Applicare quella tariffa, infatti, significherebbe accordargli un indennizzo esattamente pari a quanto avrebbe avuto diritto di pretendere dalla pubblica amministrazione nell'ipotesi di stipula con essa d'un contratto valido (così si sono pronunciate Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 18/02/2010, Rv. 611568; Sez. 3, Sentenza n. 23780 del 07/11/2014, Rv. 633449; Sez. 3, Sentenza n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195 - 01).
12. Questo Collegio non ignora che, dopo l'intervento delle Sezioni Unite, alcune decisioni delle singole sezioni di questa Corte sono tornate ad affermare che la tariffa professionale possa essere utilizzata per la stima dell'indennizzo dovuto, ex art. 2041 c.c., a chi abbia lavorato per la pubblica amministrazione senza la previa stipula d'un contratto scritto.
13. Tali decisioni, tuttavia non possono essere affatto condivise.
14. Non può essere condivisa, in primo luogo, la decisione pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548: sia perché si pone in contrasto inconsapevole con la pronuncia delle Sezioni Unite sopra ricordata (nonché con Sez. U, Sentenza n. 23385 del 11/09/2008, Rv. 604467 - 01), senza spendere una parola per motivare la propria opinione dissenziente; sia soprattutto perché l'affermazione del principio (secondo cui l'indennizzo può essere liquidato in base alle tariffe professionali) è compiuta in modo apodittico e non corredato da ragioni giustificatrici.
15. Per le stesse ragioni non può essere condiviso il decisum di Sez. 3, Sentenza n. 26193 del 06/12/2011 (non massimata) e di Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 351 del 10/01/2017 (Rv. 642780 - 01): anch'esse infatti ignorano di fatto le indicazioni delle Sezioni Unite e non sono sorrette da alcuna approfondita motivazione.
16. Non costituisce, invece, una dissenting opinion rispetto alle decisioni delle Sezioni Unite sopra ricordate la sentenza pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 21227 del 14/10/2011, Rv. 619902.
Nel caso ivi deciso, infatti, il giudice di merito aveva negato la possibilità di liquidare l'indennizzo ex art. 2041 c.c. in base alla tariffa professionale, e la Corte di cassazione ritenne che "tale ratio decidendi [fosse] da condividersi".
17. È appena il caso di rilevare come le opinioni dissenzienti appena ricordate, oltre che isolate, neppure avrebbero potuto essere ritualmente pronunciate, ostandovi il divieto di cui all'art. 374, co. 3, c.p.c. (secondo cui "se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso").
18. Essendosi il giudice a quo espressamente uniformato all'orientamento fatto proprio da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548 (qui motivatamente confutato), in accoglimento del secondo motivo del ricorso (rigettato il primo ed assorbito il terzo), dev'essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui è rimesso di provvedere, sulla base degli elementi di fatto acquisiti al processo, alla decisione dell'odierna controversia in applicazione del seguente principio di diritto: "
L'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore d'un privato, né in base all'onorario che la p.a. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d'un contratto valido" (Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 04.04.2019 n. 9317).

marzo 2019

INCARICHI PROFESSIONALIParcella a rischio se non è dettagliata nelle voci di spesa. L’ente pubblico effettua spese solo se esiste l’impegno contabile.
Acque ancor agitate per le retribuzioni dei professionisti che ottengano incarichi da pubbliche amministrazioni: la Corte di Cassazione, Sez. I civile, con ordinanza 11.03.2019 n. 6919 afferma che gli enti locali possono effettuare spese solo se esiste un dettagliato impegno contabile. È stata quindi respinta la richiesta di un architetto progettista e direttore lavori che voleva essere retribuito per una struttura espositiva realizzata nell’interesse di un Comune.
L’amministrazione si è difesa affermando di aver previsto la copertura finanziaria dell’intera opera, ma di aver esaurito i fondi, avendo modificato il progetto originario. La Cassazione ritiene che questa motivazione sia sufficiente a negare il pagamento, perché l’ente avrebbe dovuto identificare le diverse voci che compongono l’opera (spese generali, tecniche, per compensi professionali...), e i mezzi per farvi fronte. Secondo i giudici, qualora manchi la dettagliata previsione di spesa, al professionista non rimangono che due strade: o rivolgersi (in proprio) al singolo amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura del servizio, oppure non eseguire la prestazione.
L’orientamento della Cassazione si presta a più critiche: innanzitutto impone al professionista un’indagine approfondita sulla contabilità del committente; inoltre, è vero che l’articolo 191 del Dlgs 267/2000 impone una rigida contabilità ai Comuni, ma è anche vero che l’articolo 194 della stessa norma prevede la possibilità di ottenere un riconoscimento di “debito fuori bilancio” se si accerti e dimostri che la prestazione professionale abbia arrecato un’utilità e un arricchimento per l’ente.
Inoltre esistono vari elementi di elasticità per le retribuzioni dei professionisti, quali ad esempio il contratto condizionato all’ottenimento del finanziamento: una norma del codice degli appalti ostacola le prestazioni con pagamento subordinato al finanziamento (articolo 24, comma 8-bis, del Dlgs 50/2016), ma solo per gli appalti comunitari e, sottolinea il Consiglio di Stato (5138/2018), privi di forma scritta.
Oltretutto, il caso deciso dalla Cassazione 6919/2019 fa eco ad altri precedenti (22481/2018) che non danno nemmeno rilievo a una riduzione di alcune voci nel corso dei lavori e all’innalzamento di altre, quali quelle per competenze professionali: diventa quindi irrilevante che l’ente abbia reperito le risorse per pagare il professionista con dei risparmi in corso d’opera (peraltro, probabilmente ottenuti grazie all’impegno proprio del progettista direttore dei lavori).
In sintesi, l’orientamento della Cassazione è improntato ad assoluta rigidità a tutela della finanza locale, giungendo addirittura a escludere la possibilità che il professionista ottenga dal giudice il riconoscimento di un indebito arricchimento dell’ente locale. Altre volte, invece, proprio attraverso il riconoscimento dell’utilità conseguita dall’ente locale, si è ottenuta una delibera di pagamento, seppur per debito fuori bilancio e quindi con il rischio di giudizi di responsabilità contabile per i pubblici amministratori (articolo Il Sole 24 Ore del 12.03.2019).
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MASSIMA
8. Tanto premesso, le censure -che possono essere esaminate congiuntamente per la loro connessione- sono complessivamente fondate.
8.1. L'art. 191, comma 1, T.U.E.L. dispone che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria, comunicati dal responsabile del servizio al terzo interessato che -ferma l'obbligazione a carico dell'amministratore, funzionario o dipendente dell'ente che abbia consentito la fornitura del bene o servizio in violazione della norma (comma 4)- ha facoltà, in mancanza della comunicazione suddetta, di non eseguire la prestazione.
8.2. Per quanto qui interessa, la norma chiude un risalente percorso sviluppatosi a partire dagli artt. 284 e 288 del r.d. 03.03.1934, n. 383 (T.U. della legge comunale e provinciale) e scandito dall'art. 23 del di. 02.03.1989, n. 66 (conv., con modif., dalla legge 24.04.1989, n. 144), inserito nel titolo IV dedicato al risanamento finanziario delle gestioni locali, e quindi dall'art. 55 della legge 08.06.990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali), in attuazione del principio costituzionale di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost.
Dette previsioni -e, in particolare, l'art. 191 T.U.E.L., che ne riassume da ultimo la portata precettiva-, nell'imporre l'indicazione dell'ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte, a pena di nullità delle relative deliberazioni adottate in violazione di legge (si v. al riguardo Sez. U, 10.06.2005, n. 12195, Sez. U, 28.06.2005, n. 13831 e successive conformi), tutelano, con tutta evidenza, il preminente interesse pubblico all'equilibrio economico-finanziario delle amministrazioni locali in un quadro di certezza della spesa secondo le previsioni di bilancio e di trasparenza dell'azione amministrativa.
8.3. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, sì come presidiato dall'orientamento rigoroso a più riprese espresso da questa Corte (tra le molte: Sez. 1, 28.12.2010, n. 26202, sulla radicale nullità della delibera non munita di copertura finanziaria e del conseguente contratto di conferimento dell'incarico professionale; Sez. 1, 02.12.2016, n. 24655, sulla necessaria cogenza del principio di equilibrio di bilancio anche a fronte della tutela del diritto, di rango costituzionale, all'assistenza socio-sanitaria; Sez. U, 18.12.2014, n. 26657 e Sez. 1, 20.03.2018, n. 6970, sulla generale inderogabilità della previa provvista finanziaria), erra la Corte di appello nel ritenere (p. 7 della sentenza) il diritto del Ca. al compenso richiesto indebitamente inciso in conseguenza della modifica del progetto originario (e, deve aggiungersi, dell'adozione della delibera giuntale n. 39/2007 cit.), come sostenuto dall'appellante Ca. e dallo stesso ribadito anche nella presente sede di legittimità.
La Corte di appello, infatti, recependo meccanicamente gli assunti dell'appellante e senza confrontarsi con il detto quadro normativo come interpretato da questa Corte, ha infondatamente ritenuto che le delibere comunali anteriori a quella del 2007 avessero rispettato l'art. 191 T.U.E.L. mercé la mera indicazione dell'impegno di spesa di lire 2.200.000.000 «comprensive dei costi per la realizzazione dell'opera pubblica e dei compensi spettanti al professionista» (p. 6), assumendo apoditticamente la sussistenza della prova del conferimento dellfincarico (e dell'impegno di spesa) senza tuttavia spiegarne le ragioni e soffermandosi solo sull'aspetto della determinabilità del compenso alla stregua delle tariffe professionali.
8.4. Ora, secondo il controricorrente Ca., l'importo complessivo degli onorari per il primo e secondo stralcio dei lavori assicurava ampiamente la previsione di spesa occorrente per il compenso dovuto al professionista in seguito complessivamente quantificato dall'ordine degli architetti (cfr. pp. 8-9 del controricorso) e «dalla lettura di tutte le delibere di conferimento incarico (...), è riscontrabile l'indicazione dell'ammontare dei compensi dovuti al professionista, contemplati nelle voci "spese generali" e "somme a disposizione" e l'indicazione dei mezzi per farvi fronte come risulta dai quadri economici dell'opera in precedenza riprodotti» (p. 11).
Ma una siffatta modalità di indicazione della spesa, con la quale si coacervano indistintamente le spese tecniche senza la precisa preventiva indicazione di quelle per gli onorari professionali, non soddisfa affatto la prescrizione dell'art. 191, comma 1, T.U.E.L., dovendosi ribadire l'insegnamento -da ultimo compiutamente espresso da Sez. 1, 24.09.2018, n. 22481 sulla scorta dei principi via via affermati dalla giurisprudenza di legittimità, cui si è fatto sinteticamente cenno in precedenza- secondo il quale «
La delibera comunale di conferimento di incarico ad un professionista deve indicare l'ammontare della spesa, mediante l'identificazione e la distinzione delle diverse voci che la compongono (spese generali, tecniche, per compensi professionali, ecc.), ed i mezzi per farvi fronte, ugualmente identificati e distinti analiticamente, cosi da creare un doppio e congiunto (non alternativo) indice di riferimento che vincola l'operato dell'ente locale in relazione alle spese stabilite anticipatamente, in ragione dell'interesse pubblico all'equilibrio economico e finanziario, e quindi al buon andamento della P.A.», che -prosegue la citata decisione in motivazione- «in caso contrario la previsione normativa risulterebbe aggirata; invero non è sufficiente che sussistano i mezzi economici, comunque previsti, anche se a seguito di un risparmio di spesa, perché sia giustificato il loro utilizzo per spese che non siano state previste e stabilite anticipatamente».

febbraio 2019

INCARICHI PROGETTUALIAlla CGUE l’individuazione degli operatori economici che possono partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.
Il Tar per il Lazio rimette alla Corte di giustizia UE il quesito interpretativo diretto a verificare se il diritto europeo osti a una normativa nazionale che non consente di partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria agli operatori economici che eroghino tali prestazioni facendo ricorso a forme diverse da quelle indicate dal legislatore nazionale
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Contratti pubblici – Affidamento servizi di architettura e ingegneria – Operatori economici – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
Deve essere rimesso alla Corte di giustizia UE il seguente quesito interpretativo: se il combinato disposto del “considerando” n. 14 e degli articoli 19, comma 1, e 80, comma 2, della Direttiva 2014/24/UE ostino ad una norma come l’art. 46 del Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, a mezzo del quale l’Italia ha recepito nel proprio ordinamento le Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, che consente ai soli operatori economici costituiti nelle forme giuridiche ivi indicate la partecipazione alle gare per l’affidamento dei “servizi di architettura ed ingegneria”, con l’effetto di escludere dalla partecipazione a tali gare gli operatori economici che eroghino tali prestazioni facendo ricorso ad una diversa forma giuridica (1).
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   (1) I. – Il Tar per il Lazio, con l’ordinanza in rassegna, ha rinviato alla Corte di giustizia UE la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con il diritto europeo della normativa interna nella parte in cui consente ai soli operatori economici costituiti nelle forme giuridiche indicate dall’art. 46 d.lgs. 18.04.2016, n. 50, c.d. codice dei contratti pubblici, di partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria.
   II. – Una fondazione di diritto privato, costituita ai sensi dell’art. 14 c.c., desiderando partecipare a gare d’appalto indette da amministrazioni locali per l’affidamento del servizio di classificazione del territorio in base al rischio sismico, trasmetteva all’Anac il modulo necessario per essere iscritta nell’elenco dei soggetti ammessi a partecipare alle gare per l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria, previsto dall’art. 46 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Tuttavia, l’Anac, nel respingere la relativa richiesta, osservava che le fondazioni non rientrano tra i soggetti previsti dall’art. 46, primo comma, d.lgs. n. 50 del 2016, precisando che i soggetti tenuti agli obblighi di comunicazione dei propri dati all’Autorità sono solo quelli previsti dall’art. 6 del decreto 02.12.2016, n. 263 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. La ricorrente proponeva quindi ricorso avverso tale nota.
   III. – Con l’ordinanza in rassegna, il collegio, dopo aver analizzato la normativa interna ed europea, ha osservato che:
      a) con riferimento al diritto nazionale:
         a1) l’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016 individua gli operatori economici che possono partecipare alle gare per l’affidamento dei contratti;
         a2) il citato d.m. n. 263 del 2016 disciplina in maniera differenziata i soggetti che intendono partecipare a gare per l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria, distinguendo i vari operatori economici in “professionisti singoli o associati”, “società di professionisti”, “società di ingegneria”, “raggruppamenti temporanei” e “consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria e dei GEIE”, ponendo per ciascuno di essi l’obbligo di inserire ed indicare, nell’organigramma, i soggetti impiegati per funzioni professionali e tecniche;
         a3) i servizi attinenti alla sismologia e alla classificazione del territorio in base al rischio sismico rientrano, a tutti gli effetti, nel concetto di servizi di architettura e ingegneria e altri servizi tecnici di cui all’art. 3, comma 1, lett. vvvv), d.lgs. n. 50 del 2016;
         a4) l’art. 45 d.lgs. n. 50 del 2016 accoglie una concezione molto vasta di operatore economico tale da potervi astrattamente includere anche gli enti senza scopo di lucro;
         a5) tuttavia, il citato art. 46 stabilisce che alle gare per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria sono ammesse solo persone fisiche che rendono tali servizi a titolo professionale ovvero società di ingegneria o comunque società costituite tra simili professionisti; deve trattarsi di società con finalità di lucro costituite ai sensi del Libro V del Codice civile. Possono poi concorrere i gruppi europei di interesse economico, ovvero raggruppamenti temporanei o consorzi stabili, costituiti comunque tra società di ingegneria o società regolate dal Libro V del Codice civile italiano;
         a6) il citato art. 46 –norma speciale rispetto all’art. 45– quindi, non include le fondazioni e, in generale, gli enti senza scopo di lucro tra i soggetti ammessi a partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi in questione. Tale interpretazione è confermata dal d.m. n. 263 del 2016 che, nell’indicare i requisiti che devono possedere i soggetti che intendono partecipare a gare per l’affidamento dei detti servizi, prende in considerazione solo i soggetti indicati dall’art. 46;
         a7) la limitazione posta dal legislatore interno si può spiegare con la delicatezza dei servizi in questione, l’elevata professionalità richiesta per garantirne la qualità e la presunzione che i soggetti che erogano tali servizi in via continuativa a titolo professionale e remunerato siano maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento professionale;
      b) con riferimento al diritto europeo, la direttiva 2014/24/UE prevede tra l’altro che:
         b1) al “considerando” n. 14, “la nozione di «operatori economici» dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. Pertanto imprese, succursali, filiali, partenariati, società cooperative, società a responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di enti diverse dalle persone fisiche dovrebbero rientrare nella nozione di operatore economico, indipendentemente dal fatto che siano «persone giuridiche» o meno in ogni circostanza”;
         b2) all’art. 19, primo comma, “Gli operatori economici che, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a fornire la prestazione di cui trattasi, non possono essere respinti soltanto per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è aggiudicato l’appalto, essi avrebbero dovuto essere persone fisiche o persone giuridiche. Tuttavia, per gli appalti pubblici di servizi e di lavori nonché per gli appalti pubblici di forniture che comportano anche servizi o lavori di posa in opera e di installazione, alle persone giuridiche può essere imposto d’indicare, nell’offerta o nella domanda di partecipazione, il nome e le qualifiche professionali delle persone incaricate di fornire la prestazione per l’appalto di cui trattasi”;
         b3) all’art. 80, secondo comma, “L’ammissione alla partecipazione ai concorsi di progettazione non può essere limitata: al territorio di un solo Stato membro o a una parte di esso; dal fatto che i partecipanti, secondo il diritto dello Stato membro in cui si svolge il concorso, debbano essere persone fisiche o persone giuridiche…”;
      c) durante la vigenza della direttiva 2004/18/CE, con riferimento all’art. 34 del d.lgs. n. 163 del 2006, la Corte di giustizia CE, sezione IV, 23.12.2009, C-305/08, Cons. naz. interuniversitario scienze mare c. Reg. Marche (Urbanistica e appalti, 2010, 551, con nota di DE PAULI; Appalti & Contratti, 2010, fasc. 1, 96, con nota di DE NARDI; Foro amm.-Cons. Stato, 2009, 2776; Giurisdiz. amm., 2009, III, 970; Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2010, 861, con nota di DORACI; Dir. e pratica amm., 2010, fasc. 5, 48, con nota di PETULLÀ; Rass. avv. Stato, 2010, fasc. 1, 54; Arch. giur. oo. pp., 2010, 207; Riv. amm. appalti, 2010, 51; Raccolta, 2009, I, 12129) ha ritenuto che le norme europee dovevano essere interpretate nel senso che:
         c1) consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare a un appalto di servizi;
         c2) ostano a una normativa nazionale che vieti a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto considerato;
      d) l’ampio concetto di operatore economico disegnato dalla Corte di giustizia risulta accolto dal legislatore italiano nell’art. 45 d.lgs. n. 50 del 2016, che ha tuttavia adottato un concetto più ristretto per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria;
      e) la giurisprudenza europea riguarda una norma di portata generale, ma può dubitarsi del fatto che tale principio debba trovare sempre automatica applicazione o se, invece, possa essere derogato in taluni specifici casi;
      f) il tenore letterale degli artt. 19, comma 1, e 80, comma 2, della direttiva 2014/24/UE sembra implicitamente lasciare spazio alla possibilità che uno Stato membro possa circoscrivere la partecipazione solo a persone fisiche o a determinate persone giuridiche, peraltro precisando che l’operatore economico straniero, autorizzato nel proprio paese ad erogare la prestazione oggetto di gara sotto una diversa forma giuridica, debba comunque essere ammesso alla gara;
      g) pertanto, sembra possibile ritenere che la direttiva 2014/24/UE abbia lasciato agli Stati membri la possibilità di adottare, con riferimento a determinate prestazioni, un concetto di operatore economico circoscritto, includente solo determinate forme giuridiche;
      h) con riferimento all’interesse transfrontaliero della questione,
         h1) operatori economici stranieri potrebbero sentirsi obbligati, al fine di concorrere a questo tipo di gare indette da un’amministrazione aggiudicatrice italiana, a stabilirsi preventivamente in Italia, assumendo una delle forme giuridiche indicate dall’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016;
         h2) l’esclusione di alcuni operatori economici nazionali dalla possibilità di partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria è comunque idonea a creare un effetto distorsivo della concorrenza rispetto ad una tipologia di servizi che rappresenta un settore di indubbio interesse anche per gli operatori economici stranieri.
   IV. – Per completezza si segnala che:
      i) con riferimento alla nozione di operatore economico nella giurisprudenza europea, si veda Corte di giustizia CE, sezione IV, 23.12.2009, C-305/08 Cons. naz. interuniversitario scienze mare c. Reg. Marche, cit., secondo cui, tra l’altro:
         i1) “la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa osta all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro, di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell'appalto considerato”;
         i2) “le disposizioni della direttiva del parlamento europeo e del consiglio 31.03.2004, 2004/18/Ce, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, n. 2, lett. a), e 8, 1º e 2º comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e p.a., di partecipare ad un appalto pubblico di servizi”;
      j) con riferimento alla fornitura dei servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza si vedano:
         j1) Cons. Stato, sezione III, ordinanza 05.11.2018, n. 6264 (oggetto della News US, in data 15.11.2018, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), secondo cui vanno rimesse alla Corte di giustizia UE “le seguenti questioni pregiudiziali: se, nel caso in cui le parti sono entrambi enti pubblici, il 28° considerando, l’art. 10 e l’art. 12, par. 4, della direttiva 2014/24/UE ostino alla applicabilità di una norma nazionale (quale l’art. 5, in combinato disposto con gli artt. 1, 2, 3 e 4, della legge della Regione Veneto n. 26 del 2012) che, per l’affidamento del servizio di trasporto ordinario dei pazienti in ambulanza, impone –anziché meramente facoltizzare– il convenzionamento tra diversi enti pubblici, secondo lo schema del partenariato c.d. pubblico-pubblico (di cui al predetto art. 12, par. 4, ed agli artt. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016 e 15 della legge n. 241 del 1990), in luogo dello svolgimento di una gara ad evidenza pubblica; se, nel caso in cui le parti sono entrambi enti pubblici, il 28° considerando, l’art. 10 e l’art. 12, par. 4, della direttiva 2014/24/UE ostino alla applicabilità delle richiamate disposizioni della legge della Regione Veneto n. 26 del 2012, sulla base del partenariato pubblico-pubblico di cui al predetto art. 12, par. 4, ed agli artt. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016 e 15 della legge 241/1990, nel limitato senso di obbligare la stazione appaltante ad esternare la motivazioni della scelta di affidare il servizio di trasporto sanitario ordinario mediante gara, anziché mediante convenzionamento diretto”;
         j2) Corte di giustizia UE, sezione V, 28.01.2016, C-50/14, Casta (in Foro it., 2016, IV, 142, nonché in Guida al dir., 2016, 9, 104, con nota di CASTELLANETA), secondo cui “qualora uno Stato membro consenta alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, un’autorità pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non è tenuta, ai sensi del diritto dell’Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni” e che, qualora dette associazioni siano altresì autorizzate, dalla normativa interna, ad esercitare anche determinate attività commerciali, spetta allo Stato membro di “fissare i limiti entro i quali le suddette attività possono essere svolte; detti limiti devono tuttavia garantire che le menzionate attività commerciali siano marginali rispetto all’insieme delle attività di tali associazioni, e siano di sostegno al perseguimento dell’attività di volontariato di queste ultime”;
         j3) Corte di giustizia UE, 11.12.2014, C-113/13, Asl 5, Spezzino c. Soc. coop. sociale S. Lorenzo (Giurisdiz. amm., 2014, ant., 489; Foro it., 2015, IV, 145, con nota di ALBANESE, La Corte di giustizia rimedita sul proprio orientamento in materia di affidamento diretto dei servizi sociali al volontariato (ma sembra avere paura del proprio coraggio); Quaderni dir. e politica ecclesiastica, 2015, 554; Urbanistica e appalti, 2015, 508, con nota di CARANTA; Ragiusan, 2015, fasc. 369, 74; Rass. dir. farmaceutico, 2015, 198; Dir. comm. internaz., 2015, 809, con nota di GRECO), secondo cui, tra l’altro, “gli art. 49 Tfue e 56 Tfue devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che, come quella in discussione nel procedimento principale, prevede che la fornitura dei servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza debba essere attribuita in via prioritaria e con affidamento diretto, in mancanza di qualsiasi pubblicità, alle associazioni di volontariato convenzionate, purché l'ambito normativo e convenzionale in cui si svolge l'attività delle associazioni in parola contribuisca effettivamente alla finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio su cui detta disciplina è basata”;
      k) osserva ALBANESE, La Corte di giustizia rimedita sul proprio orientamento in materia di affidamento diretto dei servizi sociali al volontariato (ma sembra avere paura del proprio coraggio), cit., che:
         k1) le pronunce della Corte di giustizia, in passato, erano caratterizzate: dalla costante affermazione della rilevanza economica dei servizi di trasporto sanitario di malati, in quanto riferibili a prestazioni offerte sul mercato, rientrando quindi nell’ambito di applicazione delle direttive europee sugli appalti; dal fatto che la natura non lucrativa dei soggetti che erogano i servizi di trasporto sanitario non impedisce che essi vadano qualificati come imprese quando svolgono attività economiche e che, quindi, anche ad esse possano essere applicate procedure di selezione per l’affidamento dei servizi economici di interesse generale previste dalle direttive europee;
         k2) i servizi di trasporto sanitario, di urgenza e non, vengono svolti in molti paesi europei prevalentemente da organizzazioni di volontariato, in collaborazione con le amministrazioni pubbliche preposte al settore, con affidamento in modo diretto e senza procedure selettive aperte agli operatori economici.
Tale scelta era giustificata dal convincimento che l’attività svolta senza scopo di lucro e per motivazioni solidaristiche si attagli alle finalità sociali delle prestazioni erogate meglio di quella di operatori commerciali e dal presupposto per cui l’azione delle associazioni di volontariato si pone al di fuori delle dinamiche del mercato, poiché esse non percepiscono compensi remunerativi, ma solo il rimborso delle spese sostenute;
         k3) la giurisprudenza amministrativa, muovendo da tali considerazioni, era propensa a sostenere l’inammissibilità della partecipazione delle associazioni di volontariato alle gare di appalto, poiché la gratuità delle prestazioni che ne caratterizza l’azione le rende strutturalmente incompatibili con le dinamiche concorrenziali, poiché estranea al mercato;
         k4) il presupposto della gratuità dell’attività delle organizzazioni è stato messo in dubbio dalla giurisprudenza europea che ha spinto i giudici amministrativi italiani a mutare orientamento;
         k5) la sentenza annotata afferma la legittimità della normativa ligure sottoposta al suo esame che prevedeva che i servizi di trasporto sanitario venissero affidati prioritariamente alle organizzazioni no profit a fronte di rimborsi non forfetari, giustificati in base alle spese effettivamente sopportate.
La sentenza muove dal carattere oneroso dei contratti di riferimento e asserisce che la natura no profit dei soggetti affidatari dei servizi non può portare ad escludere l’applicazione delle regole di pubblicità e selezione dei concorrenti, disposte dalle direttive appalti. Tuttavia, la Corte, argomentando dalla Costituzione italiana e dalla normativa italiana che promuove e sostiene il volontariato e le sue finalità, ritiene sussistenti ragioni che consentono di escludere l’applicazione delle norme dell’UE poste a tutela della concorrenza;
         k6) “il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., nonché quello di solidarietà, sottesi alla legislazione che disciplina la partecipazione delle organizzazioni di volontariato all’erogazione di servizi sanitari, mirano a realizzare finalità sociali e a garantire l’accessibilità e l’universalità delle prestazioni destinate a tutelare la salute pubblica. Esse inoltre concorrono ad assicurare le prestazioni sociali in condizioni di equilibrio economico di bilancio. «Obiettivi di tal genere», sostiene con decisione il giudice europeo, «sono presi in considerazione dal diritto dell’Unione» e l’affermazione non allude evidentemente soltanto all’efficienza economica e al controllo dei costi, assicurati dalla presenza delle organizzazioni non profit (pur ripetutamente ricordati e sottolineati nella motivazione), bensì anche alla necessaria attuazione delle finalità sociali, cui tende la legislazione richiamata”;
         k7) “la corte, in definitiva, nella pronuncia in epigrafe, affermando che la considerazione di valori quali la solidarietà, la sussidiarietà, le finalità sociali, possono condurre a ridimensionare la portata delle garanzie accordate dal diritto Ue alla libertà di prestazione dei servizi, pone in dubbio anche l’idea che «l’efficienza» prodotta dall’applicazione rigida delle regole della concorrenza comporti sempre anche il raggiungimento di risultati di benessere. Anzi, le argomentazioni della corte sembrano per contro sorrette dalla convinzione che la competizione sul mercato difficilmente consenta di assicurare tutela adeguata a «beni di importanza primaria», quali la salute. Altrettanto significativa appare un’ulteriore conseguenza dell’affermazione secondo cui la partecipazione delle organizzazioni di volontariato ai servizi in questione contribuisce al controllo dei costi e all’efficienza economica nell’erogazione di «cure sanitarie di qualità»: essa sembra a contrariis supporre che le regole concorrenziali, generalmente invocate a contrasto degli sprechi e dello sperpero di risorse, non garantiscono sempre e necessariamente tale risultato”;
         k8) anche il diritto europeo lascia quindi uno spazio per gli obiettivi sociali e per la solidarietà, ma lo fa richiamando esclusivamente il diritto interno del nostro Stato;
         k9) al giudice europeo, tuttavia, è mancato il coraggio di andare fino in fondo in quanto “con uno scarto notevole rispetto all’affermazione secondo cui il diritto dell’Unione prende in considerazione «tali obiettivi», la corte suffraga la legittimità della deroga alla direttiva appalti, nel caso della legge ligure, ricordando che il diritto Ue riconosce l’esistenza di uno spazio intangibile di competenza statale nell’organizzazione dei sistemi di sanità pubblica e previdenziali, nel quale è consentito ad uno Stato membro di fondare il proprio sistema sanitario e previdenziale sui valori della solidarietà, anche introducendo restrizioni (purché giustificate) al godimento da parte degli operatori economici dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal trattato per garantire un livello di tutela adeguato ed economicamente sostenibile a diritti sociali, quali la salute”.
In definitiva “sembra che la Corte di giustizia non riesca a trovare altro modo per affermare la rilevanza della solidarietà e delle finalità sociali per il diritto europeo, se non quello di demandarne l’attuazione in esclusiva agli Stati membri, dichiarando anzi che gli ambiti in cui essi possono trovare applicazione appartengono alla sfera «riservata» agli Stati, e così, in definitiva, espellendoli nuovamente dalla sfera di pertinenza del diritto Ue”;
      l) in dottrina, sulle singole categorie di operatori economici qualificati per l’affidamento di servizi di ingegneria ex art. 46 del d.lgs. n. 50 del 2016 e sugli enti privati senza scopo di lucro quali operatori economici idonei in generale, si veda R. DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici, Bologna, 2017, 393 ss., e 724 ss., la quale precisa tra l’altro che:
         l1) l’art. 46, primo comma, lett. a), individua la categoria generale dei prestatori di servizi di ingegneria e architettura e le tipologie di prestazioni che rientrano nella loro sfera di attività, mentre nelle successive lettere viene data una più puntuale definizione di alcune delle categorie menzionate, ivi compresa quella generale dei prestatori di servizi;
         l2) nel dettaglio, per i soggetti stabiliti in Italia, sono operatori economici ammessi quelli rientranti nella citata lett. a), mentre per i soggetti stabiliti in altri Stati membri, gli operatori economici ammessi devono avere la qualità di prestatore di servizi inerenti l’ingegneria e l’architettura secondo l’ordinamento di provenienza;
         l3) a un decreto ministeriale attuativo è demandata la fissazione dei requisiti che devono possedere i soggetti di cui all’art. 46, primo comma, e dei criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee;
         l4) nella giurisprudenza più recente si ritiene che gli enti privati senza fine di lucro possano partecipare alle gare per l’affidamento di appalti pubblici diversi dai servizi di architettura e ingegneria. L’assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici, come costantemente ritenuto anche dalla giurisprudenza europea.
Nel caso in cui il bando richieda come requisito soggettivo il possesso dell’iscrizione alla Camera di commercio, di cui tali associazione normalmente difettano, tale prescrizione si pone, in difetto di impugnazione e annullamento del bando, come causa ostativa alla partecipazione; nel caso in cui il bando non dica nulla, si ritiene che il certificato di iscrizione non sia requisito indefettibile e le amministrazioni possano essere ammesse alla gara.
Ulteriore questione è quella della disparità di trattamento tra operatori economici che potenzialmente deriva dalla partecipazione alle gare degli enti no profit, atteso che normalmente gli enti senza fini di lucro fruiscono di finanziamenti pubblici di cui non fruiscono gli imprenditori e che li pongono in condizione di formulare offerte più basse, ma la questione impone una soluzione caso per caso. In particolare, il diritto comunitario: non impedisce la partecipazione agli appalti di enti senza scopo di lucro; consente che possa partecipare a una gara di appalto un soggetto che fruisce di aiuti di stato, purché tali aiuti siano lecitamente conseguiti; richiede che sia fornita la prova concreta che l’ente sia in una posizione di vantaggio;
      m) sulla genesi e l’evoluzione dell’art. 46, anche alla luce delle novità introdotte dal d.l. 18.04.2019, n. 32, “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (cd. “Sblocca cantieri”), convertito con modificazioni in l. 14.06.2019, n. 55 (oggetto della News normativa, n. 74 del 10.07.2019, alla quale si rinvia per approfondimenti), e sul carattere derogatorio, rispetto all’art. 45, dell’elenco dei soggetti abilitati a partecipare alle selezioni per gli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, S. TOSCHEI, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLLI – R. DE NICTOLIS, Milano, 2019, I, Fonti e principi, ambito, programmazione e progettazione, 1393 (TAR Lazio-Roma, Sez. I, ordinanza 28.02.2019 n. 2644 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Corte dei Conti, gratuiti gli incarichi nelle fondazioni finanziate dagli Enti Locali.
Solo nel caso in cui la fondazione non riceva finanziamenti pubblici è possibile prevedere la remunerazione in favore degli amministratori, altrimenti spetta loro il solo rimborso delle spese documentate.

Lo afferma la sezione regionale di controllo per la Sicilia della Corte dei conti con il parere 22.02.2019 n. 52.
Il quesito
La richiesta di parere riguarda la corretta applicazione dell'articolo 6, comma 2, del Dl 78/2010 in base al quale la partecipazione agli organi collegiali degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche e la titolarità di organi è onorifica e può dar luogo al solo rimborso delle spese sostenute, ove previsto. I gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera.
Il caso di specie riguarda una fondazione senza finalità di lucro, costituita dal Comune per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e monumentale, per la quale si chiede se sia possibile prevedere un compenso per i componenti del Cda, eventualmente finanziato non con fondi comunali ma attraverso le risorse private acquisite dalla fondazione stessa per le proprie finalità istituzionali.
La Corte dice no
La sezione siciliana della Corte dei conti ha ricordato che l'ambito applicativo dell'articolo 6, comma 2, è riferito a tutti gli enti, con personalità giuridica di diritto pubblico e privato, anche non ricompresi nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, che sono destinatari di risorse pubbliche, per cui preclude di erogare qualsiasi compenso in favore degli amministratori qualora ricevano contributi pubblici.
Vengono esclusi i soli soggetti indicati nell'ultimo periodo del comma 2, ossia pubbliche amministrazioni, università, enti e fondazioni di ricerca, camere di commercio, enti del servizio sanitario nazionale, enti previdenziali e assistenziali nazionali, Onlus, associazioni di promozione sociale, enti pubblici economici. Di conseguenza, i vincoli si applicano anche nei confronti delle istituzioni che promanano da enti locali, quali le fondazioni, tenute ad applicare le stesse misure di contenimento dei costi, considerato che le risorse che le stesse utilizzano provengono in buona misura, se non prevalentemente, dall'ente locale di riferimento.
I soldi pubblici
Il criterio per stabilire l'applicabilità o meno dei vincoli di legge è dunque esclusivamente quello dell'erogazione di contributi pubblici. Ne consegue che solo nel caso in cui la fondazione non riceva finanziamenti pubblici è possibile prevedere una remunerazione in favore degli amministratori, fermo restando il rimborso delle spese documentate.
Remunerazione che i magistrati contabili siciliani comunque esigono sia "limitata", probabilmente a ragione dello spirito che anima le disposizioni di riferimento, quelle del Dl 78/2010, che hanno dato il via alla lunga stagione della spending review, con l'altrettanto consistente scia di misure volte alla riduzione del costo degli apparati pubblici e al contenimento delle spese (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 05.04.2019).

gennaio 2019

INCARICHI PROGETTUALIPrestazione professionale senza iscrizione all'Albo: niente compenso. Cassazione: è irrilevante la circostanza che l’elaborato sia controfirmato da un altro professionista competente in materia.
Con l'ordinanza 24.01.2019 n. 2038, la Corte di Cassazione -Sez. II civile- ha confermato che l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale, effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, in contrario non rilevando la circostanza che il progetto dell'opera realizzando risulti redatto da altro professionista (un ingegnere) cui quello incaricato (un geometra) si sia al riguardo rivolto, dal personale possesso del titolo abilitante da parte di quest'ultimo dipendendo la validità del negozio.
Secondo l'orientamento giurisprudenziale della suprema Corte, ricorda la sentenza, “la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri e degli architetti sono illegittime, cosicché a rendere legittimo un progetto redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione, trattandosi di incombenze che devono essere inderogabilmente affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità” (commento tratto da www.casaeclima.com).
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MASSIMA
10. Con il quinto motivo, il ricorrente Lo.Sa., lamentando la violazione e l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, dell'art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell'art. 2 della l. n. 1086 del 1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo che il contratto di prestazione d'opera professionale stipulato da un geometra, tutte le volte in cui il progetto prevede l'adozione, anche in minima parte, di strutture in cemento armato in una futura costruzione civile, è nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c., per violazione di una norma imperativa, e non dà diritto ad alcun compenso, laddove, al contrario, in base alle norme previste dal r.d. n. 274 del 1929, che disciplina le competenze professionali del geometra, dalla l. n. 144 del 1949, che ha approvato la relativa tariffa, dal r.d. n. 2229 del 1939, dalla successiva l. n. 1086 del 1971 e dalla l. n. 64 del 1964, rientra nella competenza dei geometri anche la progettazione di costruzioni di cemento armato, purché, secondo un'indagine da svolgere caso per caso, tali costruzioni, sotto il profilo tecnico-qualitativo, rientrino, per i problemi tecnici che implicano, nella loro competenza professionale, al pari della direzione dei relativi lavori, e che, secondo il criterio economico-quantitativo, non comportino pericoli per l'incolumità pubblica.
11. Il motivo è infondato.
Il ricorrente, infatti, ha riproposto argomenti già più volte esaminati e disattesi dal
la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale ha costantemente evidenziato come ai geometri sia solo consentita, ai sensi della norma contenuta nell'art. 16, lett. m), del r.d. n. 274 del 1929, la progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione in ogni caso di opere che prevedono l'impiego di strutture in cemento armato, a meno che non si tratti di piccoli manufatti accessori, nell'ambito di fabbricati agricoli o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per l'incolumità pubblica.
Peraltro, trattandosi di una scelta inequivoca del legislatore dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse,
i limitati margini di discrezionalità accordati all'interprete attengono soltanto alla valutazione dei requisiti della modestia delle costruzioni, della non necessità di complesse operazioni di calcolo ed all'assenza di implicazioni per la pubblica incolumità, mentre invece, per l'altra condizione, costituita dalla natura di annesso agricolo o industriale agricolo dei manufatti, eccezionalmente progettabili dagli anzidetti tecnici anche nei casi di impiego di cemento armato, non vi sono margini di sorta, attesa la chiarezza e tassatività del precetto normativo, esigente un preciso requisito (la suddetta destinazione), che o c'è o non c'è.
Disattesa, per le suesposte considerazioni, la possibilità di un'interpretazione estensiva della citata disposizione, deve altresì escludersi, ai sensi dell'art. 14 disp. gen., l'applicabilità analogica della deroga, contenuta nell'art 16, lett. m), del r.d. cit., al generale divieto di progettazione di opere in cemento armato, in considerazione della evidenziata natura eccezionale della norma, che pertanto non si presta, de iure condito, ad adattamenti di tipo "evolutivo", quale che sia la meritevolezza delle esigenze al riguardo prospettate.
Va ancora precisato, per completezza, che di nessun apporto alla suddetta tesi è il richiamo alle previsioni contenute nei testi normativi disciplinanti le costruzioni in cemento armato e quelle nelle zone sismiche, considerato che sia l'art. 2 della l. n. 1086 del 1971, sia l'art. 17 della l. n. 64 del 1974 fanno riferimento, per quanto attiene alla progettazioni in questione da parte delle varie categorie di professionisti, ai limiti delle rispettive competenze, così chiaramente rinviando, senza introdurre autonomi ed innovativi criteri attributivi di competenza, alle previgenti rispettive normative professionali di riferimento, tra le quali, dunque, per quanto riguarda i geometri, quella in precedenza esaminata, che è rimasta immutata (Cass. n. 19292 del 2009; conf., Cass. n. 27441 del 2006; Cass. n. 6649 del 2005; Cass. n. 3021 del 2005; Cass. n. 5961 del 2004; Cass. n. 15327 del 2000; Cass. n. 5873 del 2000; Cass. n. 3046 del 1999; Cass. n. 1157 del 1996).
Ne
consegue la nullità del contratto di affidamento della direzione dei lavori di costruzioni civili ad un geometra, ove la progettazione richieda l'esecuzione, anche parziale, dei calcoli in cemento armato, trattandosi di attività demandata agli ingegneri, attese le limitate competenze attribuite ai geometri dall'art. 16 del r.d. n. 274 del 1929 (Cass. n. 5871 del 2016; Cass. n. 19989 del 2013, per cui il contratto di progettazione e direzione dei lavori relativo a costruzioni civili che adottino strutture in cemento armato stipulato da un geometra anteriormente all'abrogazione -ad opera del d.lgs. n. 212 del 2010- del r.d. n. 2229 del 1939, è nullo in quanto contrario a norme imperative, sul rilievo che la menzionata abrogazione, comportando l'introduzione di una disciplina innovativa e non già interpretativa della normativa previgente, non ha prodotto effetti retroattivi idonei ad incidere sulla qualificazione degli atti compiuti prima della sua entrata in vigore e non ha, dunque, influito sulla invalidità del contratto, regolata dalla legge del tempo in cui lo stesso è stato concluso).
La decisione impugnata è, dunque, sul punto giuridicamente corretta: la corte d'appello, infatti, dopo aver accertato, in fatto, che l'edificio progettato dal ricorrente era destinato ad abitazione e richiedeva la realizzazione di opere in cemento armato, ha giustamente ritenuto la nullità del relativo contatto trattandosi di progetto redatto da un geometra in materia estranea alla relativa competenza professionale.
...
14. Con il settimo motivo, il ricorrente Lo.Sa., lamentando la violazione e l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, dell'art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell'art. 2 della l. n. 1086 del 1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, in accoglimento dell'eccezione di nullità contrattuale, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo irrilevante che l'attività di progettazione e di direzione dei lavori delle strutture in cemento armato fosse stata eseguita, in accordo con i committenti, dall'arch.
Da., laddove, in realtà, ove il tecnico laureto abbia assunto, in modo esplicito, sia nei confronti del committente privato, che della pubblica amministrazione, la responsabilità per tutti quei profili che nell'ottica della tutela della pubblica incolumità richiedono specificamente il suo intervento, la normativa di legge sulle competenze professionali non può dirsi violata.
15. Il motivo è infondato.
Escluso, infatti, per quanto in precedenza esposto, ogni rilievo ai fatti che la sentenza non ha espressamente rappresentato quali oggetto del suo accertamento, non avendo il ricorrente dedotto il come e il quando ne avesse fatto allegazione nel corso del giudizio di merito, la Corte non può che ribadire il principio per cui il progetto redatto da un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri è illegittimo, a nulla rilevando né che sia stato controfirmato da un ingegnere, né che un ingegnere abbia eseguito i calcoli del cemento armato e diretto le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione, assumendosi la relativa responsabilità.
Ne consegue che, nella suddetta ipotesi, il rapporto tra il geometra ed il cliente è radicalmente nullo ed al primo non spetta alcun compenso per l'opera svolta, ai sensi dell'art. 2231 c.c. (Cass. n. 6402 del 2011).
È appena il caso di ricordare che nell'ambito della disciplina normativa sopra evidenziato, dal quale emerge una chiara ripartizione di competenze tra geometri ed altri professionisti in riferimento alla progettazione ed alla direzione di opere relative a costruzioni ed edifici, trova fondamento l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri e degli architetti sono illegittime, cosicché a rendere legittimo un progetto redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione, trattandosi di incombenze che devono essere inderogabilmente affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità.
Anche per tale ragione, dunque, correttamente la sentenza impugnata ha concluso per la nullità del contratto (Cass. n. 3021 del 2005, secondo cui,
per il disposto dell'art. 2231 c.c., l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, in contrario non rilevando la circostanza che il progetto dell'opera realizzando risulti redatto da altro professionista (nel caso, un ingegnere) cui quello incaricato (nel caso, un geometra) si sia al riguardo rivolto, dal personale possesso del titolo abilitante da parte di quest'ultimo dipendendo la validità del negozio).

dicembre 2018

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi esterni, illegittimi senza verifica delle carenze di risorse interne alla PA.
Nuovo intervento della magistratura contabile sugli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'ente pubblico sulla base dell'articolo 19, comma 6, del Dlgs 165/2001, che in via eccezionale consente il conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato «a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione».

In linea con i precedenti giurisprudenziali in materia, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, con la deliberazione 05.12.2018 n. 71 interpreta in chiave restrittiva la facoltà per l'ente di utilizzare l’istituto per sopperire al fabbisogno di personale occorrente al funzionamento della Pa.
La questione
In questo caso, la Sezione ricusa il visto e la registrazione del decreto di nomina triennale di un funzionario del Miur a dirigente di livello non generale, con funzione tecnico-ispettiva, per la carenza del richiamo, all'interno del provvedimento, del previo espletamento di procedure di interpello interno volte ad accertare la non sussistenza di risorse dirigenziali interne corrispondenti a quella oggetto del decreto di nomina.
Questo perché l'articolo 19, comma 6, del Dlgs 165/2001 consente il conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni alla Pa in subordine al verificarsi seguenti condizioni:
   a) non rinvenibilità di competenze analoghe all'interno dell'amministrazione conferente;
   b) particolare e comprovata qualificazione professionale del soggetto prescelto.
La verifica
Per verificare la sussistenza del requisito di cui al punto a) è pertanto indispensabile verificare previamente la carenza di risorse dirigenziali interne dotate di quella professionalità che si cerca, in vista dello specifico incarico da attribuire.
Il presupposto ha un'importanza fondamentale, tanto che il testo unico sul pubblico impiego lo prevede, più in generale, per tutti gli incarichi esterni, là dove l'articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001 dispone che «le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, a esperti di particolare e comprovata specializzazione», solo dopo «aver preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno».
La decisione
Con la delibera in commento la Corte ribadisce il carattere essenziale della verifica interna alla Pa, sulla base del principio secondo cui «è onere dell'amministrazione utilizzare al massimo il personale in servizio e ricorrere a contratti esterni solo nell'ipotesi di assoluta carenza di quel tipo di specializzazione».
La limitazione del ricorso a contratti al di fuori di ruoli dirigenziali deve essere perseguita, secondo una costante giurisprudenza, in ossequio a una serie di esigenze concomitanti che spaziano dalle ragioni di contenimento della spesa pubblica alla necessità di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico, nonché, da ultimo, per non mortificare le aspettative professionali dei dirigenti interni che aspirino a ricoprire il posto di lavoro in argomento.
Come si legge nella pronuncia, trova perciò conferma il principio secondo cui «il sistema di provvista dirigenziale disciplinato dal citato d.lgs. n. 165/2001 considera come assolutamente eccezionale l'affidamento di funzioni dirigenziali a soggetti che non abbiano superato il prescritto percorso di qualificazione concorsuale per l'inserimento nel ruolo dirigenziale, che resta la modalità di reclutamento “fisiologica”, coerente con il dettato costituzionale posto a garanzia del migliore andamento dei pubblici uffici».
Va notata, peraltro, la convergenza della posizione dei giudici contabili con gli indirizzi della Suprema Corte, là dove questa ha asserito che «in tema di conferimento di incarichi dirigenziali, costituisce regola immanente al sistema, corrispondente ad una finalità di economicità, efficienza e buona amministrazione, il principio, esplicitato dal terzo periodo del comma 6 dell'articolo 19 del dlgs 165/2001 (…) secondo cui la nomina di un soggetto esterno alla Pa è condizionata alla previa verifica dell'insussistenza, all'interno dei ruoli organici, di una professionalità equivalente» (Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4621/2017) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.01.2019).

novembre 2018

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: CV collaboratori e privacy.
Domanda
La deliberazione ANAC n. 1310 del 28/12/2016 “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016” prevede la pubblicazione, nella sezione web di “Amministrazione Trasparente” – Sottosezione “Consulenti e collaboratori”, del curriculum vitae in formato europeo di ogni consulente o collaboratore al quale viene conferito un incarico esterno.
Questo obbligo normativo è in contrasto con quanto previsto dal Regolamento UE 679/2016 (GDPR) e dal decreto legislativo n. 101 del 10.08.2018?
Risposta
Il 25.05.2018, ha dispiegato tutti i suoi effetti il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27.04.2016 «relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati)» (di seguito GDPR).
In seguito, il 19.09.2018, è entrato in vigore il decreto legislativo 10.08.2018, n. 101 che adegua il Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30.06.2003, n. 196) alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679.
Con riferimento al quesito posto, occorre anzitutto evidenziare che l’articolo 2-ter, del decreto legislativo 196/2003 –introdotto dal decreto legislativo 101/2018– dispone al comma 1 che la base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, ai sensi dell’art. 6, paragrafo 3, lett. b) del Regolamento (UE) 2016/679, «è costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento».
Ciò sta a dimostrare che il regime normativo per il trattamento di dati personali da parte dei soggetti pubblici è rimasto sostanzialmente inalterato, restando fermo il principio per cui lo stesso trattamento sia consentito unicamente se ammesso da una norma di legge o di regolamento.
Pertanto, occorre che l’ente, prima di mettere a disposizione sul proprio sito web istituzionale dati e documenti in forma integrale o per estratto –allegati compresi– contenenti dati personali, verifichi che la disciplina in materia preveda l’obbligo di pubblicazione e, in più, accerti il rispetto di tutti i principi applicabili al trattamento dei dati personali contenuti all’art. 5 del Regolamento (UE) 2016/679.
In particolare, assumono rilievo i principi di adeguatezza, pertinenza e limitazione a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali i dati personali sono trattati («minimizzazione dei dati») (par. 1, lett. c) e quelli di esattezza e aggiornamento dei dati, con il conseguente dovere di adottare tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i dati inesatti (o non pertinenti) rispetto alle finalità per le quali sono trattati (par. 1, lett. d).
Nel caso di specie prospettato dal quesito, dovrà essere obbligatoriamente pubblicato il curriculum vitae dell’incaricato (secondo l’articolo 15, comma 1, lettera b), decreto legislativo 33/2013, avendo cura di oscurare le informazioni non direttamente connesse all’attività professionale, come ad esempio la data di nascita, la residenza privata, la casella mail e il numero di telefono privato del professionista (27.11.2018 - tratto da e link a www.publika.it).

ottobre 2018

INCARICHI PROFESSIONALIDanno erariale per la consulenza esterna che prova a superare il parere negativo dei revisori.
L'ente non è abilitato a superare il parere negativo dell'organo di revisione contabile ricorrendo a una consulenza esterna, sia per l'autosufficienza della struttura interna a risolvere le problematiche sollevate, sia in quanto non è possibile duplicare le attività di esclusiva competenza dei revisori dei conti.

Queste le conclusioni cui giunge la Corte dei conti della Lombardia con la sentenza 31.10.2018 n. 214.
L'impasse dell'ente a causa del parere negativo dei revisori
Dovendosi approvare il bilancio consuntivo, il collegio dei revisori dei conti rilevava una non corretta contabilizzazione di alcune poste riferite, in particolare, a una discordanza tra valori inseriti in bilancio e nella delibera dei lavori commissionati, oltre a un’errata contabilizzazione di interventi di manutenzioni interamente spesati nell'esercizio pur avendo natura pluriennale. Il parere negativo sul consuntivo si ripercuoteva anche sul bilancio di previsione, con il particolare rischio di non permettere all'ente di rispettare le scadenze previste per la loro approvazione.
Le motivazioni per l'affidamento dell'incarico esterno
Per sbloccare l'iter di approvazione del bilancio consuntivo e del preventivo, il responsabile della spesa oggetto di contestazione, unitamente al responsabile finanziario e al direttore generale, anche a fronte dell'imminente scadenza dei termini previsti dalla legge, affidavano in via diretta un incarico a una società di revisione esterna. Ciò sia per controllare la correttezza dei rilievi avanzati dall'organo di revisione, sia per porre un eventuale rimedio contabile nell'ipotesi di veridicità delle annotazioni negative sull'operato dell'ente.
Il direttore generale, inoltre, riteneva legittimo affidare a un terzo indipendente la valutazione delle poste di bilancio in contestazione, in quanto tale tipologia di verifica rappresenta, a suo dire, la modalità normalmente utilizzata anche nel settore delle imprese laddove si manifesti un contrasto tra amministratori e organi di controllo.
I rilievi dell'organo di revisione contabile -tra i cui compiti rientra anche quello di garantire la legittimità e la correttezza dell'azione amministrativa e contabile- sull'inutile spesa sopportata dall'ente, mediante duplicazione delle attività riservate in via esclusiva al controllo interno, causavano il rinvio a giudizio per danno erariale dei soggetti che a vario titolo avevano operato illegittimamente.
Le conclusioni
Secondo la Corte dei conti Lombardia non può non essere rilevato come nel nostro ordinamento giuridico le amministrazioni pubbliche debbano prioritariamente provvedere ai propri compiti e funzioni con la propria organizzazione e con proprio personale, salvo il ricorso a consulenti esterni nelle limitate ipotesi previste dalla legge, stante il loro carattere eccezionale e riguardante situazioni di assoluta mancanza di professionalità interne.
Nel caso specifico, la controversia riguarda i rilievi dell'organo di revisione contabile, questioni di non elevata complessità e, dunque, prive di quelle peculiari connotazioni che avrebbero potuto consentire di poter percorrere la strada alternativa del ricorso all'ausilio di terzi a titolo oneroso.
In presenza di divergenze, tra organo di amministrazione attiva e organo di controllo interno, che rappresenta una situazione di normale conflittualità, la soluzione avrebbe dovuto obbligatoriamente essere ricercata tra l'ente e l'organo di revisione, non certo ricorrendo a prestazioni esterne di tipo oneroso.
In conclusione, per la Corte dei conti le spese sostenute per l'affidamento dell'incarico esterno vanno considerate quale danno erariale, in considerazione della deviazione ai principi di sana gestione amministrativa. Il danno va addebitato ai soggetti che tale inutile spesa deciso (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 06.11.2018).
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DIRITTO
Non essendoci questioni in rito da affrontare si può passare alla disamina del merito del giudizio.
Il Collegio evidenzia al riguardo che, in condivisione delle considerazioni svolte dalla Procura,
opera un principio basilare nel nostro ordinamento giuridico, da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza contabile, in virtù del quale le Amministrazioni pubbliche debbono prioritariamente provvedere ai propri compiti ed alle proprie funzioni con la propria organizzazione e con proprio personale, riservando ad ipotesi eccezionali e puntualmente disciplinate dal legislatore ogni eventuale deroga al principio stesso.
Si tratta di un principio che trova il proprio fondamento nei principi, con copertura costituzionale, del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, corroborati dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
In altri termini,
la facoltà di ricorrere a consulenti esterni non può considerarsi una prerogativa arbitraria di chi amministra, ma va collocata nell’ambito di precisi contesti normativi predisposti dal legislatore, il quale la consente solo in termini assolutamente residuali, con rigorose garanzie procedimentali, e per periodi limitati.
Al riguardo, in condivisione dei richiami giurisprudenziali di cui all’atto di citazione (in particolare, pag. 15), deve farsi pregnante riferimento a quanto già affermato da questa Corte, con le ampie ed articolate motivazioni di cui alla sentenza 18.04.2017 n. 112 della I Sezione centrale d’Appello (cfr. anche la richiamata sentenza 18.04.2012 n. 303 della III Sezione centrale d’Appello), cui può sostanzialmente rinviarsi, anche ai sensi dell’art. 17 delle norme di attuazione del codice della giustizia contabile.
Sul piano fattuale non può che rilevarsi che la fattispecie controversa (rectius: i rilievi dei revisori) si riferisce ad una problematica circoscritta e di non particolare complessità, e, dunque, priva di quelle peculiari connotazioni che avrebbero potuto consentire percorrere la strada alternativa del ricorso all’ausilio di terzi a titolo oneroso. Di fatto, nella fattispecie, si trattava di dover esaminare le valutazioni, mirate su questioni specifiche, divergenti da quelle dell’Amministrazione attiva, dell’organo di controllo interno, e quindi risolvere nella maniera più appropriata le questioni emerse in sede di interlocuzione interna tra organi aventi funzione diversa, già compensati con esborso a carico del pubblico bilancio.
L’ Amministrazione avrebbe dovuto, poiché non si ignorano comunque le problematiche nascenti da rapporti conflittuali che possono insorgere tra organi di amministrazione attiva e organo di controllo interno, ricercare una soluzione proporzionata e adeguata, senza ricorrere onerosamente ad un soggetto esterno, a titolo oneroso, e ciò al di là del nomen utilizzato per qualificare la prestazione di c.d. limited review richiesta all’esterno, che, peraltro, risultando affidata ad un organo di esclusiva scelta dell’Amministrazione attiva, nemmeno garantiva, ex ante, la rivendicata imparzialità di un (pur comunque non ammissibile) parere di tipo “arbitrale” diretto a regolare e ad eventualmente conciliare le opposte posizioni che si confrontavano nella fattispecie.
Per l’effetto,
si ravvisano, allo stato, in capo agli odierni convenuti pienamente sussistenti gli elementi costitutivi della responsabilità per il danno erariale arrecato all’Azienda Ospedaliera:
   1) il rapporto d’impiego e/o di servizio in ragione del quale si è verificato il comportamento pregiudizievole foriero di danno;
   2) il danno erariale cagionato all’Amministrazione di appartenenza;
   3) il nesso di causalità tra l’evento lesivo e il comportamento posto in essere;
   4) l’elemento soggettivo della colpa grave.

Nel dettaglio, come già nell’invito a dedurre e poi nell’atto introduttivo, l’attrice Procura ha rappresentato con riferimento alle singole responsabilità, l’importo che ciascun convenuto è tenuto a risarcire alla stregua del ruolo e della funzione svolta nella vicenda in esame.
Il dott. PE., nella sua qualità di responsabile della U.O.C. Approvvigionamenti Logistica e Servizi Alberghieri della A.O. Bolognini di Seriate (BG), ha adottato la determinazione n. 7 del 07.02.2012, avente ad oggetto l’illegittima acquisizione in affidamento diretto del servizio di attività di limited review per l’U.O.C. Ragioneria allo Studio KPMG S.p.A. L’incidenza causale di siffatta condotta, costituita dall’emanazione dell’atto illecito, è stata quantificata in misura pari al 40% dell’esborso, ossia per Euro 3.630,00, oltre accessori.
Il dott. DO., nella sua qualità di responsabile della U.O.C. Ragioneria della A.O. Bolognini di Seriate (BG), ha richiesto l’affidamento del servizio di limited review ad una società esterna, come richiamato nella stessa determinazione in contestazione e come emerge dall’e-mail del 01.02.2012 con cui il medesimo inviava al dott. Pe. e al dott. Ve. l’elenco delle aziende da invitare, corredato da un capitolato del servizio di limited review da commissionare. L’incidenza causale di questa condotta, costituita dalla proposta dell’atto illecito, tenendo conto che si trattava di supportare proprio la U.O.C. di cui il Do. era direttore, è stata quantificata in misura pari al 40% dell’esborso, ossia per Euro 3.630,00, oltre accessori.
Il dott. VE., nella sua qualità di Direttore Amministrativo dell’A.O. Bolognini, ha avallato la proposta di affidare l’incarico in contestazione. si richiama l’e-mail del 01.02.2012 inviata alla Regione Lombardia con cui l’Amministrazione regionale veniva informata delle intenzioni della A.O. di affidare l’attività ad una società esterna nei seguenti termini: “in considerazione del permanere della valutazione negativa da parte del Collegio Sindacale si informa che l’Azienda intende attivare una limited review affidata ad una società di revisione indipendente, a cui verrà chiesto di esprimere una valutazione (limitata ai punti in contestazione del bilancio consuntivo 2010)..”. L’incidenza causale di siffatta condotta è stata quantificata in misura pari al 15% dell’esborso, ossia per Euro 1.361,25, oltre accessori.
Il dott. AM., nella sua qualità apicale di Direttore Generale dell’A.O. Bolognini, a conoscenza dell’intera vicenda, è stato destinatario della segnalazione da parte del Presidente del Collegio Sindacale dell’illegittimità dell’incarico in contestazione. La Procura ha richiamato in proposito la nota n. 6970 del 29.02.2012 indirizzata al Presidente del Collegio Sindacale, ove il D.G. sosteneva la legittimità dell’incarico esterno, facendo proprie le motivazioni alla base della limited review, consistita nell’“affidare a un terzo indipendente la valutazione delle poste di bilancio in contestazione. Tale tipologia di verifica rappresenta la modalità normalmente utilizzata anche nel settore delle imprese laddove si manifesti un contrasto tra amministratori e organi di controllo…Per tutto quanto sopra esposto, non si ravvedono profili di “illegittimità” o di “anomalia” nella determinazione n. 7 del 07.02.2012".
L’incidenza causale di siffatta duplice condotta omissiva è stata quantificata in misura pari al 5% dell’esborso, ossia per Euro 453,75, oltre accessori.
Tuttavia, quanto alla sussistenza e all’entità del danno (elemento oggettivo), sussistente nella fattispecie, la Sezione reputa che –valutate le singole responsabilità- possa trovare applicazione l’istituto della riduzione dell’addebito, attesa la peculiarità del contesto, evidenziata dettagliatamente dai difensori dei convenuti, nel quale è maturata la vicenda all’esame della Sezione, con particolare riferimento all’impellenza di giungere all’approvazione del bilancio consuntivo 2010 evitando le conseguenze negative che la mancata approvazione avrebbe avuto a cascata anche sul bilancio consuntivo 2011.
Non si è dunque trattato di una sprezzante violazione delle regole contabilistiche formali e sostanziali che disciplinano la spesa pubblica, bensì della ricerca di una soluzione prospetticamente rivolta alla composizione di contrasti, la quale, se pur illegittima e dannosa, va valutata con proporzionalità e congruità.
Ritiene pertanto il Collegio che, anche in considerazione dell’attività comunque svolta in favore dell’Ente e dei risultati realizzati, nonché tenuto conto del comportamento non collaborativo dei revisori, i convenuti vadano condannati a risarcire all’ Azienda Ospedaliera Bolognini un importo ridotto del 50% (€ 4.537,50) rispetto a quello indicato dalla Procura attrice, già rivalutato, oltre agli interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo, da imputarsi in via parziaria e nelle stesse percentuali di ripartizione indicate dalla Procura stessa.
P.Q.M
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Lombardia
CONDANNA
I convenuti al pagamento della somma complessiva pari ad € 4.537,50 a favore dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate così suddivisa:

FE.PE. € 1.815,00 (pari al 40%);
AL.DO. € 1.815,00 (pari al 40%);
GI.VE. € 680,62 (pari al 15%);
AM.AM. € 226,87 (pari al 5%), già rivalutata, oltre ad interessi legali dal deposito della presente sentenza fino al soddisfo.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza e si liquidano nelle stesse percentuali a carico dei convenuti in € 380,54 (trecentottanta/54) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 31.10.2018 n. 214).

settembre 2018

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Non sussiste la responsabilità erariale circa l'affidamento all'esterno dell'ente dell'incarico di frazionamento catastale di una strada allorché detto incarico risulti effettivamente non affidabile all’interno dell’amministrazione per ragioni puntualmente esposte.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa,
le Amministrazioni pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto
.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A., costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa, la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta, non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.

Infatti,
l’art. 20 della L.P. n. 23/1996, concernente l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre attività tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella formulazione applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente “compatibilmente con la quantità e la qualità di risorse professionali e tecnologiche effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre
la citata norma prevede (art. 20, comma 3) che solo nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di complesse questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o di competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente dai dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti esterni.
Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico.
Ciò posto,
osserva il Collegio come la delibera di giunta municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze
non può, pertanto, ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
---------------

2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato, secondo la tesi attorea, in violazione dei principi di cui all’art. 7, c. 6, del D.lgs. n. 165/2001.
In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha contestato ai convenuti –nelle qualità di componenti della Giunta comunale che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 44/2016) e di Segretario che ne ha avallato la legittimità– di aver cagionato il danno erariale di euro 2.325,71, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno dell’attività di frazionamento (inerente una strada) che avrebbe dovuto essere svolta dal personale assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, “solo in via meramente secondaria”, ha riferito il contestato danno anche alla violazione delle regole sulla concorrenza, essendo stato l’incarico affidato a trattativa privata senza un previo confronto concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione del provvedimento sussisteva un oggettivo deficit strumentale nell’ambito dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la ragionevole scelta di esternalizzare il servizio, a fronte anche di un ingente spesa, all’incirca di 20.000,00 euro, necessaria per acquistare la particolare apparecchiatura GPS satellitare.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7, comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto, in virtù di tale normativa,
le Amministrazioni pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto (cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A., costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa, la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta (cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id. n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015; id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzitutto, rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca, consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n. 23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio, per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto, in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4 dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n. 26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso,
reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti,
l’art. 20 della L.P. n. 23/1996, concernente l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre attività tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella formulazione applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente “compatibilmente con la quantità e la qualità di risorse professionali e tecnologiche effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre
la citata norma prevede (art. 20, comma 3) che solo nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di complesse questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o di competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente dai dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti esterni.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico (Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto,
osserva il Collegio come la delibera di giunta municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze
non può, pertanto, ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
Né ritiene il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che i componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale, secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, non provvedendo all’ordinaria strumentazione di un Ufficio Tecnico di rilevanti dimensioni “in concorso con il responsabile dell’Ufficio Tecnico” al fine di “compiacere la volontà di favorire professionisti esterni”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio 2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a provare il prospettato “concorso” illecito per favorire soggetti terzi.
Per quanto già evidenziato, deve ritenersi che all’atto dell’assunzione della delibera n. 44/2016, l’Ufficio Tecnico del Comune di Cavalese non fosse, oggettivamente, nelle condizioni di effettuare l’attività di frazionamento della strada non possedendo la necessaria strumentazione. Inoltre, le difese hanno provato –depositando il preventivo di una ditta specializzata– che tale strumentazione aveva un costo particolarmente elevato, di molto superiore a quanto corrisposto al professionista esterno per effettuare il necessario singolo frazionamento e tanto consente di escludere, in assenza di prova contraria da parte della Procura, che la scelta di esternalizzare l’incarico possa configurarsi come irragionevole e, in definitiva, dannosa per l’Ente.
Ciò posto, deve essere respinta la domanda risarcitoria formulata in via principale da parte attrice, con riguardo alla violazione della normativa in materia di incarichi esterni, non sussistendo i presupposti della responsabilità amministrativa dei convenuti.
Né può trovare accoglimento la domanda risarcitoria formulata dal P.M. “in via meramente secondaria”, in relazione al mancato rispetto delle regole della concorrenza, non risultando in alcun modo provata, anche con riguardo a tale prospettazione subordinata, la sussistenza dell’esistenza di un danno erariale.
Conclusivamente, sulla base delle esposte considerazioni, assorbita ogni altra questione e disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, i convenuti vanno mandati assolti dagli addebiti di responsabilità contestati nell’atto di citazione.
Avuto riguardo al proscioglimento nel merito, il Collegio deve provvedere alla liquidazione delle spese di difesa, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016).
Ai sensi di tale disposizione, con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero della violazione degli obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il Giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e deve liquidare, a carico dell’Amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa.
Sulla base della citata norma, esaminati gli atti di causa e facendo applicazione dei parametri contenuti nel D.M. n. 55/2014 (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense”) si quantificano le spese legali, da porre a carico del Comune di Cavalese, in favore della difesa del convenuto Gi.Ma. nell’importo di euro 270,00 per compensi oltre spese generali (15%), c.n.p.a. e I.V.A nonché in favore della difesa, unitariamente considerata, degli altri convenuti We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Ma. e Va.Or., nell’importo complessivo di euro 486,00 per compensi oltre spese generali (15%), c.n.p.a. e I.V.A .
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di Trento, definitivamente pronunciando, assolve i convenuti We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma. (Corte dei Conti, Sez. giursidiz. Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 21.09.2018 n. 35).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Sussiste la responsabilità per danno erariale nel caso di affidamento, a professionista esterno all’amministrazione, di un incarico di direzione lavori e di coordinamento della sicurezza in fase esecutiva n assenza di adeguata e congrua motivazione che esponga in termini puntuali le ragioni per le quali risulta l’impossibilità di utilizzo del personale interno o dell’attrezzatura necessaria.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa,
le Amministrazioni pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto
.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A., costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa, la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta, non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.

Infatti,
l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante “incarichi di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di norma affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni aggiudicatrici in possesso delle necessarie professionalità”, soggiungendo (comma 5) che “la direzione dei lavori può essere costituita anche nella forma del gruppo misto di direzione formato da dipendenti dell’Amministrazione e da professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che
la normativa in riferimento prevede, in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma) alla disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n. 23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di complesse questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze organizzative delle Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze anche temporanee di organico o di competenze specifiche, attestate motivatamente dai dirigenti dei servizi competenti d’intesa con il dirigente generale” la possibilità di avvalersi, anche parzialmente, di soggetti di riconosciuta e specifica competenza.
In definitiva,
solamente in presenza di comprovate carenze organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi, l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione, di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
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Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento, appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento -allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico.
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Sul punto giova ricordare la diversità dei compiti assegnati alle figure del direttore dei lavori e del coordinatore della sicurezza, considerato che il primo è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è tenuto a verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma 1, del D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al committente ed al responsabile dei lavori le eventuali inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed imminente.
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La questione dedotta in giudizio integra la fattispecie esaminata dalla citata giurisprudenza, ovvero il caso di una delibera assunta in assenza di qualsiasi congrua motivazione rispetto ai vincoli espressamente previsti dal Legislatore per il conferimento di incarichi esterni.

Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso l’Ufficio Tecnico.
Sicché,
devono ritenersi integrati i presupposti della responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo,
non appare revocabile in dubbio che la condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva, con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza, negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.

La totale mancanza di una motivazione che potesse giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente, invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane interne.
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2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato, secondo la tesi attorea, in violazione dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. n. 165/2001.

In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha contestato ai convenuti -nelle qualità di componenti della Giunta comunale che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 19/2016) e di Segretario che ne ha avallato la legittimità- di aver cagionato il danno erariale di euro 17.472,02, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno della direzione lavori e del coordinamento della sicurezza in fase esecutiva delle opere concernenti la realizzazione di un nuovo tratto di fognatura comunale (in località Salanzada), che avrebbe dovuto essere svolto dal personale assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, solo in “via meramente secondaria”, ha riferito il contestato danno alla violazione delle regole sulla concorrenza, essendo stato l’incarico affidato a trattativa privata senza previo confronto concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione della stessa sussisteva un deficit organizzativo e strumentale, nell’ambito dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la scelta di esternalizzare il servizio.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7, comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto, in virtù di tale normativa,
le Amministrazioni pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto (cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A., costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa, la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta (cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id. n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015; id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzi tutto, rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca, consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n. 23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio, per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto, in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4 dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n. 26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso,
reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti,
l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante “incarichi di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di norma affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni aggiudicatrici in possesso delle necessarie professionalità”, soggiungendo (comma 5) che “la direzione dei lavori può essere costituita anche nella forma del gruppo misto di direzione formato da dipendenti dell’Amministrazione e da professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che
la normativa in riferimento prevede, in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma) alla disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n. 23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di complesse questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze organizzative delle Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze anche temporanee di organico o di competenze specifiche, attestate motivatamente dai dirigenti dei servizi competenti d’intesa con il dirigente generale” la possibilità di avvalersi, anche parzialmente, di soggetti di riconosciuta e specifica competenza.
In definitiva,
solamente in presenza di comprovate carenze organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi, l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione, di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
Va, poi, evidenziato come la normativa provinciale di cui alla L.P. n. 26/1993 all’art. 22, comma 6, preveda la possibilità sia di tenere unite che di separare le funzioni di direzione lavori e di coordinamento della sicurezza (mentre la successiva L.P. n. 2 del 09.03.2016, all’art. 10, recante “disposizioni per la progettazione e gli incarichi relativi all’architettura e all’ingegneria”, opta per una tendenziale separazione prevedendo che “gli incarichi di coordinatore per la sicurezza sono affidati ad un soggetto diverso dal progettista e dal direttore dei lavori, a meno che il responsabile del procedimento non ritenga opportuna la coincidenza tra queste due figure”).
Sul punto
giova ricordare la diversità dei compiti assegnati alle figure del direttore dei lavori e del coordinatore della sicurezza, considerato che il primo è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è tenuto a verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma 1, del D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al committente ed al responsabile dei lavori le eventuali inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed imminente.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento -allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico (Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di Giunta municipale n. 19/2016 -votata dai convenuti We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e la cui legittimità è stata avallata dal Segretario comunale dott. Gi.- non rechi alcuna motivazione, così come invece previsto dalla stessa L.P. n. 26/1993, in ordine all’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse interne dell’Ufficio Tecnico Comunale, risultando del tutto inconferente la circostanza, evidenziata nella parte motiva del provvedimento, che il geometra cui veniva affidato la direzione lavori ed il coordinamento della sicurezza avesse già redatto la progettazione esecutiva dell’opera in base ad un precedente incarico.
Pertanto,
la questione dedotta in giudizio integra la fattispecie esaminata dalla citata giurisprudenza, ovvero il caso di una delibera assunta in assenza di qualsiasi congrua motivazione rispetto ai vincoli espressamente previsti dal Legislatore per il conferimento di incarichi esterni.
Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso l’Ufficio Tecnico.
Giova, in proposito, ricordare come nei compiti ordinari di tali dipendenti rientrasse, in base alle stesse indicazioni contenute nel P.E.G. (cfr. punto E.1/Adempimenti amministrativi e tecnici) l’attività relativa al “progettare/dirigere e controllare sotto il profilo della sicurezza le opere di competenza dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione”.
Al fine di provare, in giudizio, la pretesa impossibilità del personale interno di svolgere le ricordate funzioni ordinarie, i convenuti hanno prodotto le dichiarazioni rese, in data 27/09/2017, dai dipendenti dell’Ufficio Tecnico.
Questi ultimi hanno riferito, in particolare, di non disporre dell’apparecchiatura necessaria per verificare l’inclinazione delle tubature e di non aver avuto il “tempo necessario” per occuparsi della prestazione esternalizzata, in quanto tale attività li avrebbe distolti “dalle incombenze ordinarie”. Inoltre, hanno dichiarato di non aver mai acquisito le certificazioni in materia di sicurezza.
Rileva il Collegio come in tali dichiarazioni non siano state indicate dettagliatamente né le altre incombenze asseritamente preclusive dell’espletamento delle mansioni rientranti negli ordinari compiti dell’Ufficio Tecnico, né il costo dell’attrezzatura mancante, né tanto meno l’incidenza dell’utilizzo di tale strumentazione nell’ambito dell’attività esternalizzata.
Con riguardo, poi, alla dichiarazione dei dipendenti concernente la mancanza, all’atto dell’assunzione della delibera n. 19/2016, dei requisiti per svolgere il ruolo di Coordinatore della sicurezza, di cui all’art. 98 del Dlgs n. 81/2008 -non avendo i dipendenti dell’U.T.C. mai frequentato i previsti corsi e, quindi, acquisito la necessaria certificazione- deve rilevarsi come tale carenza non precludesse, vista la possibilità di separare le funzioni di D.L. e di Coordinatore della sicurezza, di affidare ad almeno uno dei numerosi professionisti interni (tre geometri ed un architetto), l’attività di direzione lavori.
In ragione di quanto innanzi esposto,
devono ritenersi integrati i presupposti della responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo,
non appare revocabile in dubbio che la condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva, con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza, negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.

Non ritiene, invece, il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che i componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale e che, in particolare, secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, “la mancata acquisizione (…) dell’attestato inerente al coordinamento sicurezza (benché normale bagaglio del geometra professionista) risponda alla precisa volontà dell’Amministrazione di favorire professionisti esterni (con la connivenza delle risorse interne dell’Ufficio Tecnico Comunale)”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio 2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a provare il prospettato “concorso” illecito volto a favorire soggetti terzi.
La totale mancanza di una motivazione che potesse giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente, invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane interne.
Tale circostanza risulta evidenziata nella stessa relazione del dirigente del Servizio Autonomie Locali della Provincia Autonoma di Trento ed è accennata anche nelle dichiarazioni rese innanzi al P.M, in data 24/10/2017, dal consigliere comunale che ha dato avvio, con il proprio esposto, all’indagine della Procura contabile.
Reputa il Collegio che quest’ultima acquisizione istruttoria, contrariamente a quanto sostenuto dalle parti convenute, sia stata ritualmente assunta dalla Procura Regionale in piena osservanza dell’art. 67, settimo comma, del Codice di Giustizia Contabile. Disposizione, quest’ultima, che consente all’Inquirente di svolgere attività istruttoria anche successivamente all’invito a dedurre nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, vi sia stata la necessità di compiere accertamenti su ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni.
Vanno pertanto respinte le eccezioni delle difese in ordine all’inutilizzabilità di tale atto istruttorio, dovendo altresì rilevarsi come il contenuto di tali dichiarazioni non risulti, peraltro, determinante al fine del decidere, emergendo per tabulas l’illegittimità della delibera di Giunta.
2.5 Non è poi revocabile in dubbio il danno subito dal Comune di Cavalese che, in esecuzione dell’illegittima delibera n. 19/2016, ha sostenuto, per remunerare il professionista esterno, la complessiva spesa di euro 17.472,02, di cui euro 13.057,98 per la direzione lavori ed euro 4.414,04 per l’attività di coordinamento della sicurezza.
Ai fini della misura del risarcimento eziologicamente imputabile alla condotta dei convenuti ritiene poi il Collegio, per le considerazioni che si andranno di seguito ad esporre, di addivenire ad una minore quantificazione rispetto al petitum richiesto da parte attrice.
Giova, al riguardo, premettere che
nel giudizio di responsabilità amministrativa, ove si tratti di responsabilità per colpa grave, la natura personale e parziaria dell’obbligazione risarcitoria consente al Giudice di tener conto di eventuali comportamenti concorrenti di soggetti estranei al giudizio che costituendo, anche in parte, il motivo dell’insorgenza del nocumento lamentato dall’Amministrazione riducano la responsabilità del convenuto (Corte conti, Sezione Prima Centrale d’Appello n. 435/2015; id. Sezione Seconda Centrale d’Appello n. 156/2013; id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 156/2010).
Sostanzialmente ricognitiva di tale orientamento giurisprudenziale risulta la disposizione di cui all’art. 83 del Codice di Giustizia Contabile (D.L.gs. n. 174/2016) che, pur vietando la chiamata in giudizio su ordine del Giudice, gli consente di eseguire un accertamento incidentale su eventuali condotte concausali, ai soli fini dell’esatta determinazione delle quote di danno da porre a carico dei soggetti evocati in giudizio, con l’ulteriore previsione, nei casi in cui emergano fatti nuovi rispetto a quelli posti a base dell’atto introduttivo -circostanza, quest’ultima non concretatasi nel caso di specie- della trasmissione degli atti al P.M.
Nello specifico, il danno azionato in via principale da parte attrice appare il frutto del concorso di diverse responsabilità imputabili ai vari organi dell’Ente, tra le quali vanno considerate anche quelle riferibili alle evidenti disfunzioni organizzative presenti nell’Ufficio Tecnico Comunale.
A tal proposito è significativo rilevare come nessuno dei dipendenti in servizio presso tale Ufficio, in possesso dei prescritti requisiti (diploma di geometra o di laurea in architettura), abbia mai partecipato ai corsi necessari a conseguire le certificazioni in materia di coordinamento della sicurezza dei lavori pubblici, nonostante nei compiti ordinari degli stessi rientrasse quello di “controllare sotto il profilo della sicurezza le opere di competenza dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione” (cfr. PEG 2015 e 2016).
A tale carenza della formazione del personale, con riguardo al delicato e rilevante settore della sicurezza delle opere comunali, così come con riferimento alla generale efficienza del Settore, avrebbero dovuto porre cura e rimedio, in primo luogo, i responsabili dell’Ufficio Tecnico.
Oltre che del cennato contributo causale da parte di soggetti estranei al giudizio, ai fini della corretta imputazione del danno ai convenuti, reputa il Collegio di considerare anche la parziale utilitas conseguita dall’Amministrazione danneggiata in relazione allo svolgimento dell’attività concernente il coordinamento della sicurezza dei lavori, remunerata al geometra incaricato con l’importo di euro 4.414,04, che i dipendenti dell’Ufficio Tecnico, oggettivamente, non potevano svolgere in relazione al provato mancato conseguimento delle necessarie certificazioni previste dall’art. 98 del D.Lgs. n. 81/2008.
Come evidenziato da recente giurisprudenza del Giudice di appello, con la norma di cui all’art. 1, comma 1-bis. della legge n. 20/1994 –secondo la quale “
nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata, in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”- il Legislatore ha inteso affermare la natura sostanziale, e non meramente formale, della responsabilità amministrativa, sicché il Giudice contabile non può “denegare l’ingresso alla valutazione dei vantaggi conseguiti dall’Amministrazione sul presupposto dell’illegittimità delle condotte, poiché trattasi di un ragionamento tautologico, che esclude l’inequivoca applicazione dell’art. 1-1-bis della legge n. 20 del 1994 (cfr. Sezione Prima Centrale d’Appello n. 508/2017).
Ciò posto, in accoglimento della domanda risarcitoria formulata in via principale dal Pubblico Ministero -e ritenuta assorbita la domanda subordinata prospettata dal Requirente “solo in via meramente secondaria” con riferimento al danno alla concorrenza (da ritenersi, quest’ultimo, non provato)- reputa il Collegio che il danno imputabile alle condotte gravemente colpevoli dei convenuti, con riguardo al nocumento derivato al bilancio del Comune di Cavalese per la violazione della normativa in materia di incarichi esterni, debba limitarsi, per le ragioni innanzi esposte (concorso causale nel danno da parte di soggetti estranei al giudizio e parziale utilitas conseguita dal Comune) alla quota del 50% del richiesto importo di condanna.
Non sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del generale potere riduttivo, in relazione all’evidente gravità delle condotte, per la macroscopica violazione delle procedure di legge concernenti l’esternalizzazione degli incarichi.
Conclusivamente, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, deve disporsi la condanna dei convenuti al pagamento, in favore del Comune di Cavalese, del complessivo importo di euro 8.736,00 (ottomilasettecentotrentasei/00), da suddividersi in parti uguali fra gli stessi (per un settimo ciascuno, ovvero euro 1248,00 a carico di ogni convenuto). Tale importo va maggiorato della rivalutazione monetaria dalla data dell’indebito esborso (di cui al mandato di pagamento n. 1051 del 06/04/2017) sino alla pubblicazione della sentenza e degli interessi legali, sulla sorte capitale rivalutata, da quest’ultima data all’effettivo soddisfo.
In ragione della soccombenza in giudizio, i convenuti sono condannati al pagamento, in solido, delle spese di giudizio in favore dello Stato nella misura determinata in dispositivo.
In ordine alle statuizioni di condanna nei confronti dei convenuti si ordina, a cura della Segreteria, la spedizione di copia della presente sentenza in forma esecutiva all’ufficio del P.M., ai sensi dell’art. 212 del Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016), per gli ulteriori incombenti di sua competenza di cui agli artt. 213 e seguenti C.G.C.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di Trento, definitivamente pronunciando, condanna i convenuti We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma. al pagamento, da suddividersi in parti uguali fra gli stessi, della complessiva somma di euro 8.736,00 (ottomilasettecentotrentasei/00) in favore del Comune di Cavalese, oltre rivalutazione monetaria, per come in motivazione, ed interessi legali dalla pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo e, per l’effetto, li condanna in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore dello Stato, che sono liquidate in euro 1.083,36 (euro milleottantatre/36) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 21.09.2018 n. 34).

agosto 2018

INCARICHI PROGETTUALIStop ai bandi pubblici senza compenso per il professionista. Dal Tar Calabria stop ai bandi pubblici gratis.
A ribadire il concetto è il TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, che, con la sentenza 02.08.2018 n. 1507, ha annullato la delibera della giunta del comune di Catanzaro n. 33 del 17.02.2016 dedicata alla realizzazione del piano strutturale comunale.
La sentenza del tribunale è contraria a quanto dichiarato dal Consiglio di stato con la sentenza 4614/2017, che aveva dichiarato legittimo il bando emesso dal comune calabrese.
Il bando in questione, e la successiva sentenza del Cds, sono state tra le cause scatenanti della manifestazione organizzata dalle varie categorie alla fine del 2017 per la definizione di una norma per tutelare i compensi dei lavoratori autonomi e alla conseguente riapertura della discussione sul tema, conclusasi poi con l'approvazione della norma sull'equo compenso per i professionisti avvenuta con la legge di bilancio 2017.
Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso contro il bando comunale presentato da un ingegnere, peraltro neanche abilitato a poter prendere parte alla gara. Il ricorso si basava sul fatto che, per l'espletamento delle attività preposte nel bando, non vi fosse previsto un compenso per il professionista incaricato ma solo un rimborso spese (seppur di 250 mila euro).
Secondo il tribunale la gratuità del bando non è legittima perché in violazione del codice degli appalti (dlgs 50/2016), in particolare nella parte in cui viene stabilita l'essenziale onerosità degli appalti pubblici e l'illegittimità di quelli che prevedano solo forme di rimborso spese o di forme di compenso non finanziarie.
Se il codice degli appalti è il pilastro su cui si basa la sentenza del Tar Calabria, nel dispositivo viene fatto uno specifico riferimento alla norma sull'equo compenso approvata in legge di bilancio. La disposizione non può trovare applicazione nel caso in questione, in quanto avvenuto prima dell'approvazione della norma.
Però «le ricordate disposizioni (equo compenso), non direttamente applicabili alla vicenda in esame, nondimeno lasciano emergere come nell'ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo, una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto»
(articolo ItaliaOggi del 14.08.2018).
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MASSIMA
1. – Gi.An., ingegnere, ha impugnato d’innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale il bando e il disciplinare di gara con i quali il Comune di Catanzaro ha messo a gara l’affidamento dell’incarico per la redazione del nuovo piano strutturale comunale, nonché le delibere prodromiche all’indizione della gara.
Con motivi aggiunti egli ha impugnato anche gli atti attraverso i quali si è giunti all’affidamento dell’incarico al R.T.I. St.As. d:rh architetti ed associati / Cr. S.r.l. Società di Ingegneria.
...
6. – Gi.An. ha impugnato la legge speciale di gara anche nella parte in cui prevede che l’incarico sia a titolo gratuito, salvo un rimborso delle spese sino ad un ammontare massimo di € 250.000,00.
6.1. – Egli ritiene che tale clausola sia illegittima sotto vari profili e, in particolare, si ponga in contrasto con le norme del codice civile e del d.lgs. 18.04.2016, n. 50, dalle quali si ricaverebbe l’essenziale onerosità degli appalti pubblici.
Tale illegittimità precluderebbe una seria partecipazione alla gara e, pertanto, potrebbe essere fatta valere impugnando immediatamente il bando di gara, senza la necessità di presentare domanda di partecipazione alla procedura.
6.2. –
Il Collegio conviene che la clausola che preveda la gratuità della prestazione in favore dell’amministrazione pubblica sia, ove effettivamente risulti essere illegittima, immediatamente lesiva della posizione giuridica soggettiva dell’operatore che, pur essendo interessato a svolgere il servizio, non intenda prestare gratuitamente la propria opera.
Si tratta, invero, di una clausola preclusiva della partecipazione, in quanto impedisce di presentare un’offerta economicamente valida a colui che non intenda prestare gratuitamente la propria opera.
La clausola è, pertanto, immediatamente impugnabile e Gi.An., pur non avendo partecipato alla procedura, è legittimato a ricorrere al giudice amministrativo per farne valere l’illegittimità.

7. – Nel merito della questione,
il Tribunale, pur consapevole del diverso avviso espresso dal giudice dell’appello (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 03.10.2017, n. 4614), ritiene di dover ribadire il proprio orientamento, espresso con la sentenza del 13.12.2016, n. 2435, con la quale, su ricorso degli ordini professionali interessati, era stato ritenuto illegittimo proprio il bando nuovamente oggetto di sindacato.
8. – Possono dunque richiamarsi le motivazioni già rassegnate, con cui è stata data risposta negativa alla questione giuridica concernente la configurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito, ovvero “atipico” rispetto alla disciplina normativa di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.
9. – In effetti,
la qualificazione dell’oggetto della gara in esame –peraltro formalmente riconosciuta dalla stessa Amministrazione nel richiamo alle diverse norme del d.lgs. n. 50 del2016– quale appalto di servizi è desumibile dalla natura imprenditoriale che si richiede all’organizzazione delle risorse, soprattutto umane, da parte dell’operatore economico partecipante, in considerazione della peculiare complessità dell’oggetto della specifica organizzazione e dalla predeterminazione della sua durata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2012, n. 2370; Cons. Stato, Sez. IV, 24.02.2000, n. 1019).
L’affidamento ha infatti ad oggetto la “elaborazione, stesura e redazione integrale del Piano Strutturale del Comune di Catanzaro” e di tutte le norme, discipline, atti, piani, programmi e accordi di governo del territorio, di settore e di programmazione, comunque correlati (ivi compresa la redazione del regolamento edilizio e urbanistico); ovvero la redazione di un atto di pianificazione territoriale, compresa la relativa necessaria “Valutazione Ambientale Strategica”, che non tenga conto solo del profilo urbanistico, ma anche dei diversi profili connessi (specificatamente indicati: geologici, idrogeologici, sismici, ambientali, culturali, tecnologici, storico-architettonici, socio-demografici, economici); la natura organizzativo-imprenditoriale è peraltro imposta dalla stessa stazione appaltante che richiede specificamente all’operatore di avvalersi di una pluralità di figure professionali, specializzate in funzione delle diverse competenze tecniche richieste dalla particolare complessità del servizio di progettazione (cfr. art. 1, lett. b, n. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, del capitolato speciale di appalto.
L’appalto pubblico di servizi rientra, come è noto, nella categoria dei “contratti speciali di diritto privato” connotata da una disciplina, di derivazione europea, derogatoria dei contratti di diritto comune, in ragione degli interessi pubblici sottesi e della natura soggettiva del contraente pubblico, e che trova la sua principale fonte nel cd. Codice di Contratti Pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016). Non vi è dubbio che, alla stregua di tale normativa speciale, il contratto di appalto sia contraddistinto dalla necessaria “onerosità” e sinallagmaticità delle prestazioni, essendo connotato sia dalla sussistenza di prestazioni a carico di entrambe le parti che dal rapporto di reciproco scambio tra le stesse.
E’ sufficiente sul punto richiamare la definizione normativa di cui all’art. 3, co. 1, lett. ii), di “appalti pubblici” di cui al d.lgs. n. 50 del 2016 quali contratti a titolo oneroso e stipulati per iscritto; e, quanto alla tipologia dei “servizi di architettura ed ingegneria e altri servizi tecnici” alla definizione rinvenibile nell’art. 3 lett. vvvv) come quelli “riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 2005/36/CE”.
A tale specifica tipologia di servizi fa inoltre riferimento anche la norma di cui all’art. 95, co. 3, lett. b), del d.lgs. n. 50 del 2016 che stabilisce come obbligatorio il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, nell’ipotesi di contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, e degli altri servizi di natura tecnica ed intellettuale, di importo superiore a € 40.000,00, così confermando la necessità che sia specificato il valore della prestazione richiesta, ovvero che sia previsto come elemento essenziale del contratto il corrispettivo.

Sul punto, come correttamente rappresentato da parte ricorrente, assumono particolare rilievo le linee guida n. 1 e 2 adottate dall’ANAC, rispettivamente con delibera del 14 e del 21.09.2016.
Con le prime, recanti Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, e dirette a garantire la promozione dell’efficienza, della qualità delle stazioni appaltanti, della omogeneità dei procedimenti amministrativi ex art. 213, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, si sottolinea l’esigenza che il corrispettivo degli incarichi e servizi di progettazione ai sensi dell’art. 157 del Codice degli Appalti venga determinato secondo criteri fissati dal decreto del Ministero della Giustizia 17.06.2016 “nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9, co. 2, del decreto 24.01.2012 n. 1, convertito con modificazioni dalla Legge 24.03.2012 n. 27, così come ulteriormente modificato dall’art. 5 della legge 134/2012”, al fine di garantire anche il controllo da parte dei potenziali concorrenti della congruità della remunerazione”.
Con le Linee Guida n. 2 “Offerta economicamente più vantaggiosa”, si specifica che la valutazione dell’offerta sulla base di un prezzo o costo fisso è ammessa solo entro i limiti rigorosi dell’art. 95, comma 7, del Codice, ovvero o nell’ipotesi in cui esso sia rinvenibile sulla base di “disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici”, o, in mancanza, “valutando con attenzione le modalità di calcolo o di stima del prezzo o costi fisso. Ciò al fine di evitare che il prezzo sia troppo contenuto per permettere la partecipazione di imprese “corrette” o troppo elevato, producendo danni per la stazione appaltante”; fermo restando, in questa ultima ipotesi, l’obbligo di un particolare impegno motivazionale dal quale emerga l’iter logico comunque seguito per la determinazione del prezzo fisso, a garanzia della imparzialità della scelta del contraente e in generale dell’obiettivo che la concorrenza si svolga nel rispetto della sostenibilità economica e quindi “serietà” delle offerte.
La necessaria predeterminazione del prezzo del servizio oggetto di appalto, anche quando tale componente quantitativa sia valutata unitamente a quella qualitativa, nell’ottica del legislatore sia nazionale che europeo, è funzionale a garantire il principio di qualità della prestazione e della connessa affidabilità dell’operatore economico, rispetto al quale va contemperato e per certi versi anche “misurato” il principio generale di economicità, cui solo apparentemente sembra essere coerente il risparmio di spesa indotto dalla natura gratuita del contratto di appalto “atipico”.
Il principio della qualità delle prestazioni che l’amministrazione aggiudicatrice intende acquistare sul mercato e che, in termini economici, si traduce nella “serietà” dell’offerta sotto il profilo quantitativo, è infatti alla base della regolamentazione specifica dell’anomalia dell’offerta (ora disciplinata dall’art. 97 del Codice degli Appalti), poiché, anche nella prospettiva del perseguimento da parte dell’amministrazione del “risparmio di spesa”, le offerte che appaiono “anormalmente basse rispetto ai lavori, alle forniture o ai servizi potrebbero basarsi su valutazioni o prassi errate dal punto di vista tecnico, economico o giuridico” (considerando 103 della Direttiva 2014/24 UE), così rischiando di rivelarsi, nel lungo periodo, poco convenienti, foriere di ritardi, inadempimenti, contenziosi giurisdizionali (cfr. Corte Cost. 05.03.1998 n. 40 i cui principi sono applicabili anche nel vigore delle norme attuali; cfr. anche TAR Lombardia–Brescia, Sez. I, 09.07.2007 n. 621).
10. – Alla luce della natura essenzialmente onerosa del contratto di appalto pubblico di servizi, devono ritenersi pertanto fondate le censure di violazione delle norme del Codice degli appalti sopra indicate, che, come indicato in premessa, costituiscono applicazioni specifiche del principio di onerosità del contratto di appalto di servizi.
11. – Per mera completezza di motivazione pare opportuno aggiungere che ad una diversa figura contrattuale, quella del contratto di opera di prestazione professionale intellettuale ex art. 2230 e ss.cc. si riferisce invece la delibera della Corte dei Conti sezione regionale di controllo per la Calabria del 29.01.2016 n. 6, cui rinvia espressamente la determinazione del Comune del 24.10.2016, n. 3059.
La considerazione che, almeno per una parte della giurisprudenza civilistica, il corrispettivo in tale tipo contrattuale sia considerato quale elemento “naturale” e non essenziale del contratto non rileva nel caso di specie, poiché, anche alla stregua della disciplina civilistica, il contratto in controversia deve essere invece qualificato come appalto di servizi, poiché connotato dalla organizzazione dell’attività di servizi in forma imprenditoriale (cfr. Cass. 12519/2010); in quanto tale “tipicamente” oneroso e commutativo anche secondo la disciplina civilistica, come attestato dall’art. 1657 c.c. che, in caso di mancata determinazione del corrispettivo, rimette in via sussidiaria tale determinazione al giudice; né il contratto di appalto pubblico di servizi “gratuito” potrebbe essere configurato facendo leva sulla generale capacità dell’amministrazione di stipulare contratti atipici ex art. 1322 c.c., la quale deve essere comunque esercitata compatibilmente la realizzazione degli interessi pubblici, ostandovi, da un lato, la natura “speciale” e vincolante della disciplina pubblicistica dei contratti di appalto; dall’altro, la considerazione che, proprio alla luce dei principi di imparzialità, tutela della concorrenza ed economicità dell’azione amministrativa cui risponde il requisito della “onerosità” del contratto di appalto di servizi come sopra indicato, il contratto di appalto pubblico di servizi “atipico” perché gratuito non supererebbe comunque il vaglio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2 c.c..
12. – Riportate, ai §§ 9-11, le motivazione della sentenza del 13.12.2016, n. 2435, si intende operare qualche ulteriore riflessione, anche alla luce delle sopravvenienze normative, che a parere del Collegio avvalorano la soluzione cui in quella sede si era giunti.
12.1. – In primo luogo, con la l’art. 12 l. 22.05.2017 n. 81, la quale reca “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, è stato imposto alle amministrazioni pubbliche di promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi nelle gare di appalti pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l’assegnazione di incarichi. In tal modo, viene espressamente riconosciuto un notevole rilievo ai lavoratori autonomi nella dinamica delle relazioni economiche.
12.2. – Più significativamente, la l. 04.12.2017, n. 172, nel convertire d.l. 16.10.2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19-quaterdecies, il quale, al comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della citata legge di conversione.
Il compenso si intende equo, ai sensi del comma 2 dell’art. 13-bis l. 31.12.2012, n. 247, che proprio il citato art. 19-quaterdecies ha introdotto e reso applicabile a tutti i professionisti, se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.
12.3. – Le ricordate disposizioni, non direttamente applicabili –lo si ribadisce– alla vicenda in esame, nondimeno lasciano emergere come
nell’ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
Non a caso, l’art. 35 Cost. tutela il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, mentre il successivo art. 36, nell’occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro.
12.4. – Ebbene,
la configurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito si pone in disarmonia rispetto a tale affresco, tenuto conto che non ogni servizio prestato reca con se vantaggi curricolari e di immagine tali da garantire, sia pure indirettamente, vantaggi economici tali da soddisfare il diritto a un equo compenso.
Ciò, invero, pare al Collegio avvalorare la ricostruzione del sistema adottata da questo Tribunale.
13. – In conclusione, il ricorso va accolto e gli atti oggetto di impugnazione annullati.
Le parti non hanno dedotto che sia stato stipulato il contratto tra l’amministrazione e il soggetto aggiudicatario, cosicché non occorre su di esso pronunziare.

luglio 2018

INCARICHI PROFESSIONALISplit Payment Professionisti.
Domanda
Ho letto sul recente d.l. 87/2018, cd. “Decreto Dignità” che si introducono modifiche all’attuale disciplina dello split payment. In cosa consistono? Sono già in vigore? Come mi devo comportare nel pagare fatture emesse prima dell’entrata in vigore del decreto legge?
Risposta
L’art. 12 del d.l. 87 del 12/07/2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13/07/2018 (reperibile al seguente link: www.contabilmente.it/files/74n_DL_Dignit_GU.pdf) introduce talune modifiche alla disciplina della scissione dei pagamenti (c.d. split payment) per le prestazioni di servizi, rese nei confronti della Pubblica amministrazione, che siano assoggettate a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito, ovvero a titolo di acconto.
La norma infatti introduce il comma 1-sexies dell’art. 17-ter, del DPR 633/1972 che testualmente recita: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle prestazioni di servizi rese ai soggetti di cui ai commi 1, 1-bis e 1-quinquies, i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a ritenuta a titolo di acconto di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 600”.
Il nuovo regime, che rappresenta un sostanziale ritorno al passato, ovvero alla disciplina vigente fino allo scorso 30.06.2017, è in vigore dal giorno 14/07/2018. L’art. 15 del decreto stabilisce infatti che le norme in esso contenute entrano in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il giorno 13/07/2018.
In sostanza, per i professionisti scompare l’attuale regime di doppia ritenuta alla fonte (IRPEF e IVA) operato dagli uffici ragioneria in fase di emissione del relativo ordinativo di pagamento. Al professionista verrà trattenuta la sola ritenuta d’acconto IRPEF, mentre verrà pagata l’IVA.
Il mandato continuerà ad essere emesso al lordo di entrambe le imposte e sarà accompagnato da una sola reversale, relativa alla ritenuta a titolo di acconto IRPEF, con imputazione al titolo 9 dell’entrata, tipologia 100, categoria 1 (Altre ritenute), con Piano finanziario di IV livello E.9.01.01.99.000 e Piano finanziario di V livello E.9.01.01.99.999.
Al comma 2 del medesimo articolo, il Legislatore chiarisce che l’abolizione del regime di scissione dei pagamenti si riferisce alle fatture emesse successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. Pertanto nel caso di una fattura emessa nel mese di giugno 2018 e pagata in data 30/07/2018 troverà ancora applicazione l’attuale regime di scissione dei pagamenti, con trattenuta da parte del soggetto committente di IRPEF e IVA. In questa fase transitoria, pertanto, gli uffici ragioneria dovranno prestare la massima attenzione alla data di emissione della fattura, fino ad esaurimento di quelle emesse prima del 14/07/2018.
Il Legislatore estende inoltre l’esclusione dall’assoggettamento al regime dello split payment delle medesime tipologie di prestazioni rese dalle società partecipate o controllate da amministrazioni pubbliche, nonché da enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona. Sono questi i soggetti elencati all’interno del comma 1-bis dell’art. 17-ter del dPR 633/1972, dalla lettera 0a) alla lettera d).
Si prevede altresì la disapplicazione del regime di split payment anche per le prestazioni rese dai soggetti di cui al comma 1-quinquies del medesimo articolo. Trattasi degli enti pubblici gestori di demanio collettivo, limitatamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi afferenti alla gestione dei diritti collettivi di uso civico che, tuttavia, erano già esclusi in precedenza. Con tutta probabilità siamo di fronte ad un refuso del Legislatore.
Il testo del decreto verrà ora trasmesso al Parlamento per la conversione in legge, che dovrà avvenire entro il termine perentorio di sessanta giorni. Non resta che attendere il completamento di questo iter che potrà apportare ulteriori modifiche alla nuova disciplina normativa (23.07.2018 - tratto da e link a www.publika.it).

aprile 2018

INCARICHI PROGETTUALI: Raggruppamento e servizi svolti.
Domanda
Nel caso di gare di progettazione come possono essere richiesti i requisiti di partecipazione, in particolare quelli che attengono all’avvenuto espletamento dei servizi svolti, anche di “punta” nel caso di raggruppamenti?
Risposta
Le linee guida n. 1 di attuazione del d.lgs. 18.04.2016 n. 50 “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria” approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 973 del 14.09.2016 e aggiornate al d.lgs. 56/2017 con delibera del Consiglio dell’Autorità n. 138 del 21.02.2018 definiscono al paragrafo 2.2.2 i requisiti di partecipazione, tra cui rientrano i servizi svolti, anche c.d. “di punta”.
Preliminarmente occorre individuare l’oggetto dell’affidamento. Sul punto l’ANAC è più volte intervenuta affermando che nei bandi ed avvisi per l’affidamento di servizi di architettura ed ingegneria, all’onere di specificazione dell’attività principale e delle attività secondarie può assolversi anche mediante la mera individuazione delle classi e categorie di progettazione, con i relativi importi (delibera n. 431 del 24.04.2017). All’art. 5 delle sopra citate linee guida, rubricato “Classi, categorie e tariffe professionali” l’Autorità fornisce delle indicazioni sulla classificazione delle prestazioni, e sull’elasticità nella valutazione del possesso dei requisiti.
Con riferimento alla partecipazione dei raggruppamenti le linee guida si limitano ad affermare che i requisiti finanziari e tecnici di cui al paragrafo 2.2.2 devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento, senza specificare se il possesso del requisito debba essere limitato ai lavori della classificazione prevalente per importo, o estesa a tutte le lavorazioni.
In particolare, si ritiene che il requisito di partecipazione di cui al sopra citato quesito, debba essere differentemente disciplinato a seconda che si faccia riferimento a raggruppamenti di tipo orizzontale, oppure verticale. Pertanto:
   1. nel caso di raggruppamenti di tipo orizzontale:
• requisito di cui al punto 2.2.2.1 lett. b): Il requisito deve essere posseduto dal raggruppamento nel suo complesso. Tutti gli operatori riuniti devono essere qualificati in ognuna delle prestazioni previste (principale e secondarie). Il mandatario in ogni classe e categoria deve possedere ed eseguire il rispettivo requisito in misura percentuale superiore ed il o i mandanti in ogni classe e categoria devono possedere cumulativamente il rispettivo requisito nella restante percentuale;
• requisito di cui al punto 2.2.2.1 lett. c): deve essere posseduto per intero dalla mandataria che esegue in misura maggioritaria (requisito non frazionabile);
   2. nel caso di raggruppamento di tipo verticale:
• requisiti di cui al punto 2.2.2.1 lett. b e c): devono essere posseduti dal raggruppamento nel suo complesso. Il mandatario deve possedere il requisito nella percentuale del 100% con riferimento alla prestazione principale ed ogni mandante deve possedere i requisiti nella percentuale del 100% con riferimento alla classe e categoria della prestazione secondaria (04.04.2018 - link a www.publika.it).

febbraio 2018

INCARICHI PROFESSIONALIIl revisore del Comune ha segnalato che la Società di cui il Comune è socio al 100% (gestrice della Casa di riposo) ha affidato, con atto dell'Amministratore unico, l'incarico di tenere la contabilità della Società pubblica ad un commercialista che risulta essere socio di una società privata in cui è socio anche l'amministratore unico.
L'incarico è stato affidato alla persona fisica e non alla società di cui anche l'amministratore unico è socio.
Si chiede se tale affidamento sia legittimo sia per quanto riguarda l'eventuale conflitto di interesse sia per la eventuale necessità di motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la contabilità con propri dipendenti.

Il quesito in esame attiene, primariamente, all'eventuale sussistenza di un "conflitto di interessi" in una peculiare fattispecie, concretamente segnalata. In secondo luogo, viene chiesto di individuare i corretti presupposti per un legittimo affidamento all"'esterno" di attività di competenza propria di una società pubblica.
Principiamo dal primo problema, afferente, come detto, la sussistenza di un conflitto di interesse. In via preliminare, è necessario definire il concetto.
Secondo attenta e pacifica dottrina (Di Carlo E., "Il conflitto di interessi nelle organizzazioni produttive", Rivista di politica economica, 2012), il "conflitto di interessi" (sussistente o potenziale) individua la situazione in cui l'interesse secondario (interesse privato, finanziario o non finanziario) di un soggetto (agente o funzionario pubblico) tende a interferire negativamente con l'interesse primario (interesse pubblico), che deve essere perseguito dal medesimo soggetto.
Quindi, affinché ci sia "conflitto di interessi", occorre la presenza di tre elementi chiave:
   a) Una relazione di agenzia, tra un soggetto delegante (Pubblica Amministrazione) e uno delegato (Funzionario), in cui il secondo ha il dovere di agire nell'interesse (primario) del primo;
   b) La presenza di un interesse secondario nel soggetto delegato (di tipo finanziario o di altra natura);
   c) La tendenza dell'interesse secondario ad interferire, negativamente, con l'interesse primario. Il termine "tende a interferire" vuole sottolineare che l'interferenza si presenta con diversa intensità a seconda dell'agente portatore dell'interesse secondario e della rilevanza assunta da tale interesse.
Definito il concetto di "conflitto di interesse", veniamo alla concreta fattispecie. Il quesito fa riferimento ad una situazione in cui interagiscono tre soggetti (persone fisiche e/o giuridiche). Precisamente:
   1) Una
società pubblica, che gestisce una Casa di riposo. Tale società è partecipata al 100% da un Comune.
   2) L'
amministratore unico di tale società pubblica.
   3) Un
commercialista, che risulta essere anche socio di una società privata, nella quale è socio anche l'amministratore unico.
I tre soggetti sono stati opportunamente grassettati al fine di porli in giusta evidenza.
E' stata, poi, sottolineata una data situazione di fatto (sussistenza di una società privata, che vede soci due dei tre soggetti), che dovrà essere esaminata con attenzione.
Ora, accade che l'Amministratore unico della società pubblica conferisce (non è dato sapere se a seguito di gara o, peggio, mediante affidamento diretto senza alcuna preventiva selezione) al commercialista l'incarico di "tenere" la contabilità della medesima società pubblica.
Sussiste un conflitto di interesse in siffatta fattispecie? La risposta non può che essere duplice.
Da un punto di vista teorico generale, è ben evidente che l'amministratore unico riveste una duplice posizione in due distinte società (una pubblica ed una privata) tendenzialmente foriera di conflitti. In fattispecie, appare ben evidente che l'amministratore unico, "strumentalizzando" il suo potere all'interno della società pubblica, favorisce il proprio collega socio della distinta società privata (ove sono entrambi soci), conferendogli un incarico, si suppone senza gara.
La sussistenza del conflitto, quindi, da un punto di vista teorico generale, sussiste senza ombra di dubbio l'amministratore unico si fa "dominare" dall'interesse secondario (privato), che condiziona e pregiudica l'interesse primario all'imparzialità ed alla trasparenza.
Da un punto di vista prettamente giuridico, i riferimenti ed i fondamenti devono essere rinvenuti nel D.P.R. 16.04.2013, n. 62, regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Orbene, proprio in relazione alla concreta fattispecie, occorre tener conto dell'art. 2, comma 3, del citato D.P.R., ove viene stabilito che le Pubbliche amministrazioni estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione. Siffatta prescrizione normativa è importante, in quanto soprattutto il "commercialista" non risulta essere dipendente della società pubblica.
A questo punto, si impone un importante chiarimento. Precisamente, ai sensi dell'art. 2, comma 1, del citato D.P.R., il Codice di comportamento si applica, primariamente, ai pubblici dipendenti. Nei confronti di coloro che non sono pubblici dipendenti, trova applicazione la riportata disposizione (art. 2, comma 3, D.P.R. 16.04.2013, n. 62), in osservanza della quale le Pubbliche amministrazioni devono estendere gli obblighi di condotta, previsti dal Codice, ad altri soggetti, fra cui: a) il titolare di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche; b) tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo.
Ora, seppure non qualificassimo l'amministratore unico della società pubblica quale "dipendente" della medesima (ma potremmo anche addivenire a tale qualificazione), non vi è dubbio che il medesimo rientra nella categoria "a". Parimenti, non vi è dubbio che il commercialista rientra nella categoria "b".
Quindi, è ben possibile affermare che gli obblighi previsti dal D.P.R. 16.04.2013, n. 62 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici) trovano tendenziale e piena applicazione anche nei riguardi di "altri" soggetti, non propriamente dipendenti pubblici.
A questo punto, occorre tener conto dell'art. 7 del Codice, disciplinante l'obbligo di astensione, il quale stabilisce che il dipendente (o altra figura, come prima evidenziato) "si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza".
Ora, non vi è dubbio che l'amministratore unico della società pubblica si trova in palese situazione di conflitto di interesse, in quanto, da un lato riveste la predetta carica in una società pubblica, dall'altro è socio di un'altra società (privata), nella quale il beneficiato commercialista è anche socio. Appare ben evidente che, nei riguardi dell'amministratore unico, il conflitto di interessi si manifesta, gravemente, in una duplice forma:
   - in una forma diretta, in quanto si potrebbe ben sospettare che l'amministratore unico, conferendo al "proprio amico" socio dell'altra società privata, coltiva un "interesse proprio";
   - in una forma indiretta, in quanto il suo affidamento (si sospetta senza gara!) è stato effettuato in favore di un professionista, guarda caso socio in una distinta società privata, ove anche egli è socio.
Giustamente, in sede di quesito, si pone in evidenza il fatto che l'incarico è stato affidato al commercialista, quale persona fisica, e non alla società privata, che conosce la nefasta (in termini di conflitti di interesse) compresenza dei due soggetti.
Pertanto, non sembrano sussistere dubbi in merito alla sussistenza di un chiaro conflitto di interesse, confermato anche da un ulteriore elemento di analisi.
Precisamente, occorre tener conto che, per costante giurisprudenza, le situazioni di conflitto di interesse non sono tassative: "Il Collegio ritiene di poter fare applicazione, in quanto non contraddetto dalla disciplina attualmente vigente, del costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 19.09.2006, n. 5444) per cui "le situazioni di conflitto di interessi, nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite" (Cons. Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415).
Quindi, al di là della corretta riferibilità della concreta situazione all'art. 7, D.P.R. 16.04.2013, n. 62, occorre tener conto delle considerazioni generali e teoriche prima effettuate, che testimoniano la sussistenza di un palese conflitto di interessi.
Per quanto concerne l'altra parte del quesito, cioè "la eventuale necessità di motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la contabilità con propri dipendenti", è possibile solo formulare considerazioni generali, in quanto non sono stati forniti elementi conoscitivi. Allora, in linea generale, occorre osservare che la "cura e la tenuta" della contabilità di una società pubblica costituisce attività propria ed istituzionale dell'Ente. Conseguentemente, occorre, senza dubbio, una congrua motivazione per l'affidamento "esterno" dell'attività.
Precisamente, la società pubblica avrebbe dovuto ben illustrare le puntuale ragioni, in base alle quali la struttura interna non è in grado di effettuare l'indicata attività. Ciò, in base ad un principio generale, ben espresso dall'art. 7, comma 6, lett. b), D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, secondo cui, in caso di "incarichi esterni", l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno
".
In altri termini, l'ente pubblico deve, innanzitutto, verificare se vi siano al proprio interno dipendenti in possesso delle professionalità specificamente richieste e, in caso affermativo, accertare se queste ultime possano essere adibite allo svolgimento dell'incarico. La giurisprudenza contabile, da tempo, richiede una rigorosa motivazione in merito.
Infatti, la sezione regionale di controllo per il Molise, con la deliberazione 23.07.2009, n. 33, ha ben specificato come la rigorosa motivazione, relativa alla necessità di ricorrere ad un apporto esterno, debba anche dare atto dell'impossibilità di non avere potuto fare fronte all'esigenza mediante il migliore o più produttivo impiego delle risorse umane a disposizione dell'ente.
Ne consegue che l'ente non potrà limitarsi, nel motivare il ricorso all'incarico, ad evidenziare l'indisponibilità del proprio personale, in quanto "sovraimpegnato per la parte ordinaria", o "impegnato nel perseguimento di altri obiettivi programmatici" (in tal senso: C. Conti, Trentino-Alto Adige, sede di Trento, Sez giurisdizionale sentenza 19.02.2009, n. 6).
Pertanto, non sussiste alcun dubbio in relazione alla necessità di una rigorosa motivazione.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 2 - D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 7 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 7 - Cons. Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415
Documenti allegati

C. Conti, Molise, Sez. controllo, 23.07.2009, n. 33
(01.02.2018 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

gennaio 2018

ENTI LOCALI: Richiesta parere "Regolare funzionamento dei servizi comunali dell'Area amministrativa-contabile".
Gli enti locali possono ricorrere al mercato esterno di soggetti specializzati in grado di fornire un’attività di mero supporto e assistenza agli uffici comunali, mediante proprio personale, nel rispetto della vigente normativa disciplinante le modalità e procedure da seguire per la corretta stipulazione di detti contratti d’appalto, accertata comunque la compatibilità con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di affidare a soggetti terzi lo svolgimento di attività di supporto e di assistenza all’area amministrativa-contabile (gestione biblioteca, assistenza gestione tributi).
L’Ente rappresenta di versare in una situazione di oggettiva difficoltà operativa, a causa di una rilevante carenza di personale, e manifesta pertanto l’intenzione di provvedere a fornire supporto ad alcuni uffici mediante l’affidamento a ditte specializzate di determinate attività, al fine di consentire l’espletamento delle funzioni di competenza.
Si precisa inoltre che le attività di supporto avverranno sotto la direzione ed il coordinamento dei responsabili dei settori interessati e che la ditta aggiudicataria dovrà attenersi alle indicazioni dell’Amministrazione. Le modalità di prestazione dei servizi, da parte della ditta aggiudicatrice, saranno stabilite in un capitolato d’oneri accettato da entrambe le parti.
In via preliminare, si ritiene doveroso evidenziare che l'attività dello scrivente Servizio consiste nel fornire un ausilio giuridico in termini generali agli enti locali per le questioni che si presentano nel loro concreto operare, affinché questi possano assumere autonomamente le decisioni più opportune in relazione alle particolarità delle singole fattispecie da affrontare.
Alla luce di un tanto, si esprimono le considerazioni che seguono, inquadrando in linea generale la materia in esame, sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali reperiti al riguardo.
E’ da osservare che la magistratura contabile
[1] ha rimarcato che l’ambito di estensione dell’istituto concernente l’esternalizzazione dei servizi locali può riguardare tutti i cosiddetti servizi pubblici di rilevanza economica, rimanendo però escluse da tali fattispecie le funzioni pubbliche essenziali che il Comune deve svolgere direttamente tramite le proprie strutture, non potendo le medesime essere appaltate a soggetti esterni, in quanto si tratta di funzioni strettamente connaturate al soggetto pubblico che ne è titolare.
Ne consegue che per gli enti locali è possibile procedere all’attivazione di processi di esternalizzazione di servizi pubblici a rilevanza economica, purché tale scelta produca “economie di gestione”, dovendo invece necessariamente continuare ad essere svolte in via diretta, mediante l’imputazione dell’attività amministrativa alle proprie strutture, quelle attività che sono connaturate all’esistenza stessa dell’Ente, incluse tra queste ultime le attività dell’area economico-finanziaria e di redazione del bilancio.
Nell’esaminare poi, nello specifico, la problematica inerente all’affidamento a terzi, anche disgiunto, dell’accertamento e della riscossione dei tributi comunali, la magistratura amministrativa ha fornito importanti delucidazioni. Ha precisato ad esempio la distinzione tra l’attività di riscossione in senso stretto delle entrate (tributarie e non) degli enti locali (per la quale è richiesta l’iscrizione all’albo ex art. 53 del d.lgs. 446/1997) e l’affidamento delle attività di supporto alla gestione, accertamento e riscossione delle predette entrate, evidenziando che qualora l’oggetto dell’appalto sia costituito dall’attività di supporto alla gestione, ecc., e non già dall’affidamento di una concessione del servizio di gestione, ecc., non viene in rilievo l’attribuzione di funzioni pubbliche, mentre si configura una mera attività di supporto alla gestione, accertamento e riscossione quando “il controllo e la responsabilità su tutte le attività di accertamento e riscossione rimane in capo alla stazione appaltante, attraverso l’utilizzo di modelli da questa predisposti, nonché attraverso il controllo e l’assunzione di responsabilità da parte del funzionario responsabile del Comune su tutte le attività svolte dall’aggiudicataria”.
[2]
In conclusione si ritiene percorribile quanto esplicitato da codesto Comune, in considerazione del fatto che, nella fattispecie prospettata, si tratta di garantire comunque un’attività di mero supporto agli uffici comunali, in un momento di incontestabile difficoltà, e non si configura la diversa ipotesi di esternalizzazione di servizi.
Appare possibile pertanto, alla stregua di quanto sopra riportato, il ricorso al mercato esterno di soggetti specializzati in grado di fornire un’attività di mero supporto e assistenza agli uffici comunali, mediante proprio personale, ovviamente nel rispetto della vigente normativa disciplinante le modalità e procedure da seguire per la corretta stipulazione di detti contratti d’appalto, accertata comunque la compatibilità con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
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[1] Cfr. Corte dei conti, sez. di controllo della regione Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 4/2017/PAR.
[2] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, sentenza n. 5952/2012 e TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 1105/2016. Tale orientamento è stato confermato anche dall’ANAC (cfr. parere n. 170 del 23.10.2013)
(10.01.2018 - link a
www.regione.fvg.it).

novembre 2017

INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Danno erariale per il Comune che delibera consulenze legali a tutto campo.
Non possono ritenersi ammissibili le cosiddette «consulenze globali», e cioè quelle che hanno ad oggetto la generalità delle problematiche giuridiche che possano interessare tutta l’attività istituzionale di un Comune atteso che i compiti di collaborazione e le funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’Ente, fra cui è compreso il Sindaco, sono affidati per legge al Segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal Sindaco stesso.
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Come noto, “in materia di consulenze, ampia e consolidata giurisprudenza di questa Sezione, ha ricordato che l'acquisizione di professionalità esterne da parte delle pubbliche amministrazioni in epoca più risalente costituiva fenomeno del tutto occasionale e legato ad esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di peculiare e sistematica regolazione, ma di singole norme di settore".
Nel corso del tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs. n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, statuendosi la possibilità per tutte le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto "per esigenze cui non possono far fronte con il personale in servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione".
In altre parole,
le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture, e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi professionalità e/o idoneità specifica).
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La vicenda oggetto del presente giudizio si inserisce a pieno titolo in un filone giurisprudenziale che considera pacificamente illegittime, oltre che foriere di danno erariale, tutte quelle consulenze a carattere globale (per rendere i pareri di volta in volta richiesti in una o più materie) a cagione del loro contenuto inevitabilmente generico e del conseguente difetto del necessario requisito dell’eccezionalità dell’incarico (cfr.,
ex plurimis, Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la risoluzione di questioni di particolare complessità, il ricorso ad una consulenza giuridica di carattere specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza legale non faccia eccezione ai principi normativi e giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben individuate che non risultino utilmente fronteggiabili mediante l’impiego del personale in servizio. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che hanno ad oggetto la generalità delle problematiche giuridiche che possano interessare tutta l’attività istituzionale di un ente pubblico).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali per il conferimento incarichi di consulenza non implica soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per l’illiceità della relativa spesa.
Peraltro,
al cospetto di siffatti incarichi esterni il pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente duplicazione dei costi) [e] della menomazione e demotivazione della professionalità del personale interno”, essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una struttura di consulenza esterna che non risponda ad effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale, possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e svilire il personale entrato a far parte dell'organico dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio”.
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In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico incarico oggetto del presente giudizio, va altresì sottolineato come “il modulo organizzativo risultante da tale generica forma di collaborazione risulta, nella sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti” (articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli incarichi controversi- il principio generale secondo cui non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso”.
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   (A) Il presente giudizio ha ad oggetto l’azione di responsabilità intentata dalla Procura contabile nei confronti di sei amministratori e due segretari comunali del Comune di Presenzano in relazione ad un presunto danno erariale di € 22.470,80-, che sarebbe stato da questi cagionato all’Ente di appartenenza a causa di un incarico esterno conferito ad un legale -e prorogato più volte nel tempo– per consulenze “in materia di diritto civile, penale e amministrativo, esternat[e] in pareri scritti e orali, a richiesta del sindaco, del segretario e dei funzionari responsabili delle posizioni organizzative”.
   (B) In via preliminare va respinta l’eccezione di prescrizione sollevata da tutti i convenuti, ad eccezione del NA., in quanto manifestamente infondata.
Invero, i pagamenti per cui è causa sono stati tutti effettuati a partire dal 14/07/2010 (cfr. mandato n. 836/2010), per cui, “essendo il primo atto interruttivo datato 23/12/2014”, non appare decorso infruttuosamente il termine quinquennale previsto dall’art. 1, co. 2, della Legge n. 20/1994, secondo cui “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato fatto dannoso”.
   (C) Nel merito la domanda è fondata.
Come noto, “
in materia di consulenze, ampia e consolidata giurisprudenza di questa Sezione (ex multis sent. n. 1899/2011 e n. 533/2012), ha ricordato che l'acquisizione di professionalità esterne da parte delle pubbliche amministrazioni in epoca più risalente costituiva fenomeno del tutto occasionale e legato ad esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di peculiare e sistematica regolazione, ma di singole norme di settore".
Nel corso del tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs. n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 (recante il testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento del lavoro dei pubblici dipendenti), statuendosi la possibilità per tutte le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto "per esigenze cui non possono far fronte con il personale in servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione" (cfr. Sezione giur. Campania, sent. n. 291 del 2017, cui si rinvia per un più ampio excursus normativo).
In altre parole,
le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture, e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi professionalità e/o idoneità specifica) (cfr. Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 339 del 2012).
Ciò premesso,
la vicenda oggetto del presente giudizio si inserisce a pieno titolo in un filone giurisprudenziale che considera pacificamente illegittime, oltre che foriere di danno erariale, tutte quelle consulenze a carattere globale (per rendere i pareri di volta in volta richiesti in una o più materie) a cagione del loro contenuto inevitabilmente generico e del conseguente difetto del necessario requisito dell’eccezionalità dell’incarico (cfr., ex plurimis, Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la risoluzione di questioni di particolare complessità, il ricorso ad una consulenza giuridica di carattere specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza legale non faccia eccezione ai principi normativi e giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben individuate che non risultino utilmente fronteggiabili mediante l’impiego del personale in servizio. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che hanno ad oggetto la generalità delle problematiche giuridiche che possano interessare tutta l’attività istituzionale di un ente pubblico (C.d.C., Sez. III n. 75/2009; id. Sez. III n. 9/2003; id. Sez. Liguria n. 912/2003; id. Sez. Abruzzo n. 679/2004)”; cfr. altresì Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 204 del 2011; Sezione giur. Bolzano, sent. n. 32 del 2011; Sezione giur. Lazio, sent., n. 123 del 2015; Prima Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 127 del 2014).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali per il conferimento incarichi di consulenza non implica soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per l’illiceità della relativa spesa (Sezione giur. Campania, sent. n. 982 del 2013; sent. n. 60 del 2012; Sezione giur. Sicilia, sent. n. 4037 del 2011; Sezione giur. Veneto, sent. n. 284 del 2011).
Peraltro,
al cospetto di siffatti incarichi esterni il pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente duplicazione dei costi) [e] della menomazione e demotivazione della professionalità del personale interno (cfr. Sezione giur. Campania, sent. n. 562 del 2013), essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una struttura di consulenza esterna che non risponda ad effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale, possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e svilire il personale entrato a far parte dell'organico dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio (cfr. Sez. Abruzzo n. 750/2004)” (cfr. Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 41 del 2008).
In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico incarico oggetto del presente giudizio, va altresì sottolineato come “
il modulo organizzativo risultante da tale generica forma di collaborazione risulta, nella sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti” (articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli incarichi controversi- il principio generale secondo cui non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267 del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso (cfr. Sezione giur. Sicilia, sent. n. 47 del 2017).
In conclusione, per l’insieme di tali ragioni gli incarichi conferiti dal Comune di Presenzano all’avv. MA. -e segnatamente quelli prorogati con le delibere della Giunta comunale n. 126 del 19/11/2009 e n. 3 del 13/01/2011- debbono considerarsi non solo illegittimi, ma altresì forieri di un danno erariale complessivamente quantificato in € 22.470,80.
   (D) Con riferimento alla quantificazione del danno, il Collegio, pur considerando che l’incarico all’Avv. MA. è stato disposto contra legem, non può esimersi dal considerare che, come documentato dalle parti attraverso la produzione di diversi pareri dallo stesso resi (e non contestati da controparte), lo stesso, per anni, ha fornito comunque prestazioni al Comune valutabili, equitativamente, intorno al 20% del danno sopra determinato.
Invero, ai sensi dell’art. 1, co. 1-bis, della Legge n. 20/1994, “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.
Ne consegue, dunque, che il danno va rideterminato in € 8.986 per il danno conseguente alla delibera n. 126 del 19/11/2009 (primo rinnovo contestato) e in € 8.991 per il danno conseguente alla delibera n. 3 del 13/01/2011 (secondo rinnovo contestato).
Nessuna particolare compensazione può essere invece riconosciuta in ordine ai vantaggi economici che sarebbero derivati al Comune di Presenzano dagli indennizzi versati dall’ENEL a causa della presenza sul territorio comunale di una imponente centrale idroelettrica (e in riferimento ai quali l’avv. MA. avrebbe prestato opera di assistenza agli organi del Comune), trattandosi di vantaggi che trovano la loro causa diretta in norme di legge (ad es., artt. 52 e 53 regio decreto 11.12.1933, n. 1775; art. 1 L. 27.12.1953, n. 959) e non certo negli incarichi illegittimi oggetto del presente giudizio.
   (E) In ordine alla suddivisione delle responsabilità tra i singoli convenuti
il Collegio ritiene di ascrivere una quota del 50% del danno al segretario comunale pro tempore che con grave negligenza è intervenuto senza nulla osservare –a dispetto della macroscopica illegittimità dell’incarico– nella seduta di Giunta in cui sono stati adottate le delibere in contestazione (Ma.FE. in ordine alla delibera n. 126 del 19/11/2009 e An.NA. in ordine alla delibera n. 3 del 13/01/2011).
Invero,
secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale il segretario (comunale o provinciale), ai sensi dell'art. 17 della L. n. 127 del 1997 e, successivamente, dell'art. 97 del D.L.vo 18.08.2000 n. 267, mantiene la specifica funzione ausiliaria di garante della legalità e correttezza amministrativa dell'azione dell'ente locale; infatti, il TUEL ha assegnato al segretario dell'ente locale, in linea generale, oltre agli altri compiti indicati all'art. 97 del T.U. citato, le “funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”.
Pertanto
non può dubitarsi del fatto che il segretario comunale abbia il preciso obbligo giuridico di segnalare agli amministratori le illegittimità contenute negli emanandi provvedimenti, al fine di impedire atti e comportamenti illegittimi forieri di danno erariale e che, in mancanza, il Segretario debba essere ritenuto responsabile, a titolo di concorso omissivo, nella causazione del fatto dannoso contestato (cfr. Sezione giur. Puglia, sent. n. 168 del 2017; Sezione Friuli Venezia Giulia, sent. n. 105 del 2010; Sezione giur. Lombardia, sent. n. 473 del 2009; Prima Sezione centrale appello, sent. n. 154 del 2008; cfr., altresì, nello stesso senso, Sezione giur. Campania, sent. n. 280 del 2017; Sezione giur. Campania, sent. 200 del 2017; Sezione giur. Campania, sent. 254 del 2016; Sezione giur. Campania, sent. 1064 del 2015; Sezione giur. Campania, sent. 1061 del 2015; Sezione giur. Campania, sent. 566 del 2011; Sezione giur. Campania, sent. 104 del 2011; contra, per una non condivisa lettura riduttiva delle funzioni del Segretario comunale, cfr. Sezione giur. Campania, sent. 320 del 2017).
Allo stesso modo, stante la macroscopica illegittimità degli incarichi de quibus, il Collegio ritiene di suddividere la restante quota del 50% del danno tra gli amministratori che, con grave negligenza, hanno approvato le delibere n. 126 del 19/11/2009 (Vi.D'ER., Vi.ZI., Fu.FE., Ca.FO.) e n. 3 del 13/01/2011 (Vi.D'ER., An.Va.FE., Fu.FE., Ca.FO., Ni.PA.).
Ne consegue dunque gli odierni convenuti debbono essere condannati al pagamento delle seguenti somme:
   a) Ma.FE.al pagamento di € 4.493;
   b) An.NA. al pagamento di € 4.495;
   c) Vi.D'ER. al pagamento di € 2.022;
   d) Vi.ZI. al pagamento di € 1.123;
   e) Fu.FE. al pagamento di € 2.022;
   f) Ca.FO. al pagamento di € 2.022;
   g) An.Va.FE. al pagamento di € 899;
   h) Ni.PA. al pagamento di € 899.
   (F)
Sulle predette somme dovrà essere corrisposta la rivalutazione monetaria, da calcolarsi sulla base degli indici ISTAT e con decorrenza dalla data di consumazione dell’illecito, coincidente con quella dei singoli pagamenti non dovuti, e sino alla data di deposito della presente sentenza (Sezione giur. Puglia, sent. n. 324 del 2017; Sezione giur. Veneto, sent. n. 71 del 2017).
Inoltre
sulla somma in tal modo rivalutata sono dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della presente decisione fino all’effettivo soddisfo ai sensi dell’art. 1282 , 1° co, del codice civile (Sezione giur. Campania, sentt. n. 637 del 2016; n. 635 del 2016; n. 544 del 2016; n. 417 del 2016; n. 362 del 2016)
   (G) Le spese della sentenza, da liquidarsi con nota a margine da parte della Segreteria (ex art. 31, comma 5, c.g.c.), seguono la soccombenza e devono essere poste in solido a carico dei convenuti condannati.
P.Q.M.
la Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale per la regione Campania, in accoglimento della domanda:
1. RESPINGE le eccezioni di prescrizione;
2.
CONDANNA i convenuti al pagamento, in favore del Comune di Presenzano, della seguenti somme, oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT, dall'esborso e fino al giorno della pubblicazione della presente sentenza, nonché interessi legali sulla somma così rivalutata dalla predetta pubblicazione al soddisfo:
   a) Ma.FE. a € 4.493;
   b) An.NA. a € 4.495;
   c) Vi.D'ER. a € 2.022;
   d) Vi.ZI. a € 1.123;
   e) Fu.FE. a € 2.022;
   f) Ca.FO. a € 2.022;
   g) An.Va.FE. a € 899;
   h) Ni.PA. a € 899.

I predetti soggetti sono, poi, tenuti al pagamento, nei confronti dell'erario, delle spese di giustizia che si liquidano in € 936,68 (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania, sentenza 07.11.2017 n. 399).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Limiti spesa formazione.
Domanda
Vorrei iscrivermi ad uno dei vostri corsi di formazione programmati in quest’ultima parte dell’anno, è vero –come mi ha riferito qualche collega– che per il 2017 non sussistono più i limiti alla spesa per la formazione del personale dettati dall’art. 6 del d.l. 78/2010?
Risposta
La conversione in legge del d.l. 50/2017 ha introdotto una serie di agevolazioni con il fine dichiarato di stimolare gli enti locali al rispetto delle scadenze di legge dettate per l’approvazione dei documenti fondamentali della propria programmazione finanziaria.
Nel dettaglio, l’art. 21-bis del citato decreto ha previsto che, per l’anno 2017, ai comuni (e alle loro forme associative) che hanno approvato il rendiconto nei termini e che hanno rispettato nell’anno precedente i vincoli di finanza pubblica imposti dalla l. 243/2012, non si applicano alcune limitazioni previste dall'art. 6 d.l. 78/2010 e, in particolare, quelle riferite a:
   –
studi e incarichi di consulenza (comma 7);
   –
relazioni pubbliche, convegni, pubblicità e spese di rappresentanza (comma 8); restano invece soggette a limite le mostre;
   –
sponsorizzazioni (comma 9);
   –
spese per attività di formazione (comma 13).
Quanto al quesito, pertanto,
per l’anno in corso l’ente non è sottoposto ai limiti di spesa per la formazione del personale imposti dal d.l. 78/2010 qualora abbia rispettato la normativa sul Pareggio di Bilancio per l’anno 2016 e approvato il relativo rendiconto entro il 30.04.2017 (06.11.2017 - link a www.publika.it).
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RIEPILOGO
L'art. 21-bis decreto-legge 24.04.2017, n. 50, coordinato con la legge di conversione 21.06.2017, n. 96, così dispone:
Art. 21-bis. Semplificazioni
   1. Per l’anno 2017, ai comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il rendiconto 2016 entro il 30.04.2017 e che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243,
non si applicano le limitazioni e i vincoli di cui:
      a)
all’articolo 6, commi 7, 8, fatta eccezione delle spese per mostre, 9 e 13, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122;
      b)
all’articolo 27, comma 1, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
   2.
A decorrere dall’esercizio 2018 le disposizioni del comma 1 si applicano esclusivamente ai comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il bilancio preventivo dell’esercizio di riferimento entro il 31 dicembre dell’anno precedente e che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243.


In buona sostanza le limitazioni (temporaneamente) non applicabili sono quelle:
  
di cui alla precedente lett. a):
   7. Al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni,
a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
   8.
A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità. Al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e di efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni, a decorrere dal 1° luglio 2010 l'organizzazione di convegni, di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché da parte degli enti e delle strutture da esse vigilati è subordinata alla preventiva autorizzazione del Ministro competente. L'autorizzazione è rilasciata nei soli casi in cui non sia possibile limitarsi alla pubblicazione, sul sito internet istituzionale, di messaggi e discorsi ovvero non sia possibile l'utilizzo, per le medesime finalità, di video/audio conferenze da remoto, anche attraverso il sito internet istituzionale; in ogni caso gli eventi autorizzati, che non devono comportare aumento delle spese destinate in bilancio alle predette finalità, si devono svolgere al di fuori dall'orario di ufficio. Il personale che vi partecipa non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario ovvero indennità a qualsiasi titolo. Per le magistrature e le autorità indipendenti, fermo il rispetto dei limiti anzidetti, l'autorizzazione è rilasciata, per le magistrature, dai rispettivi organi di autogoverno e, per le autorità indipendenti, dall'organo di vertice. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia, nonché, per il 2012, alle mostre autorizzate, nel limite di spesa complessivo di euro 40 milioni, nel rispetto dei limiti derivanti dalla legislazione vigente nonché dal patto di stabilità interno, dal Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto, ai soli fini finanziari, con il Ministero dell'economia e delle finanze.
   9.
A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
   (omissis)
   13.
A decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, per attività esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009
. Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente l'attività di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. La disposizione di cui al presente comma non si applica all'attività di formazione effettuata dalle Forze armate, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dalle Forze di Polizia tramite i propri organismi di formazione, nonché dalle università.
  
● di cui alla precedente lett. b):
Art. 27. Taglia-carta
   1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta,
dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche riducono del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.

   (omissis)

CONSIDERAZIONI
Ciò che più interessa l'UTC sono:
   - le spese per la formazione professionale (convegni, ecc.) e, soprattutto
   - le spese per studi ed incarichi di consulenza (di norma al legale).
E' di tutta evidenza che, comunque, l'incarico al legale esterno (per affari complessi) potrà essere legittimamente affidato solo dopo aver preliminarmente interpellato per iscritto il legale del comune (è cioè il Segretario Comunale ... se non non si vuole incorrere nella scure della Corte dei Conti) il quale, nella fattispecie, dovrà motivatamente per iscritto "dare forfait" all'interrogativo formulato dal Dirigente/P.O. (comunque, sono fatti salvi ed impregiudicati i numerosi limiti, da verificare di volta in volta e di cui darne conto nella determinazione dirigenziale di affidamento dell'incarico, individuati -sempre- dalla Corte dei Conti: si consulti, in proposito, l'apposito dossier INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI).
Invero, ricordiamo che l'art. 97 del D.Lgs. n. 267/2000 così recita:
CAPO II - Segretari comunali e provinciali
Art. 97. Ruolo e funzioni

   1. Il comune e la provincia hanno un segretario titolare dipendente dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, di cui all'articolo 102 e iscritto all'albo di cui all'articolo 98.
  
2. Il segretario comunale e provinciale svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
   3. Il sindaco e il presidente della provincia, ove si avvalgano della facoltà prevista dal comma 1 dell'articolo 108, contestualmente al provvedimento di nomina del direttore generale disciplinano, secondo l'ordinamento dell'ente e nel rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli, i rapporti tra il segretario ed il direttore generale.
   4. Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale. Il segretario inoltre:
a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;
b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
c) roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali l’ente è parte e autentica scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;
e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 comma 4.
   5. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, può prevedere un vicesegretario per coadiuvare il segretario e sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
   6. Il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali è disciplinato dai contratti collettivi ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni.

ottobre 2017

INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto: D.Lgs. 56/2017. Trasmissione documento elaborato dal DIPARTIMENTO CENTRO STUDI della FONDAZIONE del CONSIGLIO NAZIONALE INGEGNERI titolato 'Non obbligatorietà e inapplicabilità del ricorso ai mercati elettronici per l'affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura dopo le modifiche all'art. 36 del codice dei contratti (D.Lgs. 50/2016)' (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 23.10.2017 n. 133).

settembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Linee guida per il coordinatore della sicurezza in fase di progettazione (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 27.09.2017 n. 117).

INCARICHI PROFESSIONALI: L'affidamento all'esterno dell'ente di incarichi illegittimi comporta sempre danno erariale.
I profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione, induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica.
La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso; in tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta.
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Questa Sezione d’Appello, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni:
   - rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente;
   - assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
   - complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico;
   - indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico esternalizzato;
   - indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del privato di un'attività non continuativa;
   - proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione,
che legittimano il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha affermato che tali requisiti «….devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….».

Inoltre, ha precisato anche che, «
….nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di funzioni dell’Ente a soggetti esterni costituisce, quindi, il presupposto antigiuridico che cagiona un danno erariale per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono escludono, quindi, che una qualche utilità possa attribuirsi a una prestazione conseguente ad un incarico conferito contra legem con conseguente impossibilità di considerare, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, l’eventuale vantaggio conseguente all’attività del soggetto esterno all’Ente, illegittimamente incaricato.
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Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei provvenimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a firma della dr.ssa Fa., emerge chiaramente che:
   · la genericità con la quale è stato definito l’oggetto degli incarichi e la carenza di motivazione dei provvedimenti di proroga, non soltanto non consente di valutare la riconducibilità degli incarichi stesso alle funzioni sindacali, ma preclude anche l’individuazione dell’utilità attesa;
   · il limite massimo di incarichi conferibili, ai sensi dell’art. 14 della L.r. n. 7/1992, che per il Comune di Salemi era pari a 2 (tenuto conto che la popolazione ivi residente non superava le 30.000 unità), mentre, nella fattispecie, tale limite è stato evidentemente ampiamente violato;
   · non è stato rispettato il limite massimo del compenso mensile indicato dall’art. 14 della L.r. n. 7/92, ove è previsto che “....Agli esperti è corrisposto un compenso pari a quello globale, previsto per i dipendenti in possesso della seconda qualifica dirigenziale...” che era pari ad € 1.566,26 (come risulta chiaramente dalla attestazione del 14.10.2014, a firma del Responsabile dell’Ufficio del Personale del Comune di Salemi, allegata alla relazione del Capo Settore Amministrazione delle Risorse dello stesso Comune n. prot. 23707 del 15.10.2014) poiché i compensi riconosciuti ai consulenti avevano oscillato tra i 1.800,00 e i 2.448,00 euro mensili;
   · non risulta presentata, da parte del Sindaco, e nemmeno dal Vice Sindaco in funzione di supplenza, la relazione sull’attività svolta al consiglio comunale, né è stata trovata altra documentazione idonea a compendiare i risultati dell’attività svolta dai consulenti; sul punto si osserva che, per gli incarichi conferiti dalla odierna appellante, appare logico che detta relazione avrebbe dovuto essere presentata da quest’ultima;
   · manca una effettiva e concreta ricognizione delle risorse interne al fine di verificare che le medesime attività non potessero essere svolte utilizzando i dipendenti del Comune;
   · in violazione di quanto previsto dall’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007), gli incarichi conferiti non erano stati inseriti nella programmazione annuale del Consiglio comunale, e non era stato rispettato il tetto di spesa, fissato dallo stesso organo, in complessivi euro 8.800,00, con delibera n. 38 del 01.08.2008.
Tutto ciò premesso, non appare superfluo evidenziare che,
secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr., ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez. Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione, induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica.
La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso; in tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta.
Le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa; tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado
(tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent 06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007, n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n. 672), che in grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent. 20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74; Sez. App. I Sent. 04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent. 13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi,
tale indirizzo ha ricevuto anche l’avallo di questa Sezione d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010; 196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008; 122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico esternalizzato; indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha affermato che tali requisiti «….devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….».
Inoltre, ha precisato anche che, «
….nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di funzioni dell’Ente a soggetti esterni costituisce, quindi, nella fattispecie, il presupposto antigiuridico che ha cagionato un danno erariale per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono escludono, quindi, che una qualche utilità possa attribuirsi a una prestazione conseguente ad un incarico conferito contra legem con conseguente impossibilità di considerare, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, l’eventuale vantaggio conseguente all’attività del soggetto esterno all’Ente, illegittimamente incaricato.
Quanto detto, vale evidentemente anche per la posta di danno corrispondente alle spese sostenute dal Comune di Salemi per il rimborso delle missioni effettuate dal sig. Ip. in quanto, dalla lettura dei provvedimenti autorizzativi nelle missioni svolte, si evince che:
   · l’Ip. veniva qualificato come addetto stampa e non come portavoce e, quindi, i compiti affidati all’addetto stampa, diretti a curare i rapporti tra l’Amministrazione e gli organi di informazione, non giustificavano, in alcun modo, l’attività diretta a coadiuvare l’organo di vertice fuori sede, da ritenersi propria, invece, del portavoce;
   · non appare giustificata l’utilità attesa per il Comune dalla presenza del consulente nelle svariate località indicate nella parte in fatto.
Ciò premesso, ritiene, tuttavia, il Collegio che debba ritenersi legittima la nomina dell'avv. Ma., esperto in materia di diritto degli enti locali, in quanto al punto n. 11 della nota prot. n. 21812 del 22.09.2014, a firma del Segretario Generale del Comune di Salemi, viene precisato che “....il Comune di Salemi non disponeva e non dispone di Ufficio Legale e la pianta organica del Comune non ha mai previsto personale con la qualifica di avvocato...” e, pertanto, il compenso a quest’ultimo corrisposto, che ha prestato all’Amministrazione la propria consulenza giuridica, quantificato in euro 11.999,52 e imputato al vice-sindaco Fa. (che ha adottato la determinazione sindacale n. 61/2011, sulla cui base era stato pagato l’importo contestato, mediante tranches erogate nella date 14.06.2011, 23.06.2011, 02.08.2011, 30.03.2012 e 12.04.2012) non può essere ritenuto danno erariale.
Il danno erariale da addebitare all’appellante va, pertanto, quantificato in euro 73.547,48.
Su detta somma il Collegio, tenuto conto della natura degli addebiti e delle reiterate violazioni normative, ritiene non applicabile il richiesto poter riduttivo di cui all'art. 52, comma 2, del regio decreto 12.07.1934, n. 1214.
Per tali ragioni, in parziale accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, la dr.ssa Fa.An. va condannata a pagare al Comune di Salemi, la somma di euro 73.547,48, oltre rivalutazione monetaria che, con criterio semplificativo favorevole all’appellante, va fatta decorrere dall’ultimo dei pagamenti effettuati, e agli interessi legali, su detta somma così rivalutata, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente l’appello, e, a parziale modifica della sentenza n. 518/2016, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione siciliana, condanna Fa.An.a a pagare, al Comune di Salemi, la somma di euro 73.547,48, oltre rivalutazione monetaria, a decorrere dall’ultimo dei pagamenti effettuati, e agli interessi legali, su detta somma così rivalutata, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Sicilia, sentenza 19.09.2017 n. 112).

INCARICHI PROGETTUALIOggetto: Informativa - 'LEGGE ANNUALE PER IL MERCATO E LA CONCORRENZA' (Legge 04.08.2017, n. 124) (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 15.09.2017 n. 113).

agosto 2017

INCARICHI PROFESSIONALI: Affidamento di incarichi a liberi professionisti. Disciplina applicabile.
Per stabilire se l'affidamento di incarichi a liberi professionisti, connessi al funzionamento di una stazione biologica nell'ambito di una Riserva naturale regionale, debba avvenire secondo le procedure previste per gli appalti di servizi dal D.Lgs. 50/2016, oppure in base a quelle dettate per gli incarichi individuali dall'art. 7, c. 6, del D.Lgs. 165/2001, occorre avere riguardo ai caratteri propri dell'incarico che si intende affidare e, quindi, alla sua qualificazione giuridica.
La giurisprudenza individua, in termini generali, i caratteri distintivi delle due fattispecie osservando, peraltro, che il confine fra contratto d'opera intellettuale e contratto d'appalto di servizi sfuma in sede di applicazione della disciplina sui contratti pubblici, che impone predeterminate procedure ad evidenza pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da parte delle PP.AA. e adotta una nozione ampia di appalto di servizi che comprende, in alcuni casi, anche l'attività del professionista intellettuale.

Il Comune rappresenta di ricevere annualmente un contributo regionale, di importo costante, per il funzionamento di una stazione biologica nell'ambito di una Riserva naturale regionale e che, in ragione di un tanto, nel 2016 ha già affidato direttamente, ai sensi dell'art. 125, comma 11, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, l'incarico triennale per lo svolgimento di determinate attività a tre professionisti, esperti in materia ambientale.
Poiché, per il corrente anno, il Comune ha ricevuto un contributo di importo superiore, esso intende affidare un 'servizio aggiuntivo' ai tre soggetti già incaricati e chiede di conoscere se l'affidamento delle ulteriori attività di cui trattasi, nonché la scelta dei professionisti che dovranno essere individuati in futuro, debbano avvenire secondo le procedure previste, per gli appalti di servizi, dal decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, oppure in base a quelle dettate, per gli incarichi individuali, dall'art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165.
Sentito il Servizio paesaggio e biodiversità della Direzione centrale infrastrutture e territorio si rappresenta quanto segue.
Va, anzitutto, chiarito che, per poter stabilire la qualificazione giuridica degli incarichi che si intendono affidare, occorre fare riferimento alle specifiche caratteristiche delle attività/prestazioni che i professionisti sono chiamati a svolgere: pertanto, tale valutazione spetta, in via esclusiva, all'amministrazione procedente.
Un tanto premesso si ritiene, comunque, di poter fornire, in via meramente collaborativa, alcune considerazioni di carattere generale, con l'auspicio di poter coadiuvare l'Ente nell'assunzione delle proprie determinazioni al riguardo.
È noto che per i contratti d'opera e di opera intellettuale (nel cui ambito sono riconducibili quelli che le disposizioni di finanza pubblica definiscono come 'ricerca', 'studio' e 'consulenza') si pone il problema di individuare la normativa applicabile, atteso che la disciplina statale che regola i contratti pubblici, nel recepire le direttive comunitarie in materia, assimila alcuni di essi agli appalti di servizi
[1].
Sulla tematica è intervenuta tanto la magistratura contabile
[2] (alla quale si farà prevalentemente riferimento, stante il maggior numero di interventi) quanto quella amministrativa [3], ai cui insegnamenti è opportuno rifarsi per ricavare i parametri che dovrebbero consentire al Comune di stabilire la natura giuridica degli incarichi che intende affidare e, conseguentemente, identificare la procedura da osservare.
Gli incarichi a professionisti esterni sono generalmente riconducibili, secondo il diritto civile, al contratto d'opera (v. art. 2222
[4]) e, più precisamente, d'opera intellettuale (v. art. 2229) [5].
Come si è già accennato, il codice dei contratti pubblici, delineando l'ambito oggettivo di applicazione, fornisce una definizione di contratto di appalto di servizi
[6] molto più ampia di quella del codice civile, attraendo anche negozi qualificabili come contratti d'opera o di opera intellettuale.
Secondo il codice civile, la distinzione tra contratti d'opera e di opera intellettuale e contratto d'appalto di servizi (v. art. 1655
[7]) emerge dal carattere personale o intellettuale delle prestazioni nei primi e dalla natura imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo.
L'appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità con il contratto d'opera (autonomia rispetto al committente), si differenzia da questo per il profilo dell'organizzazione, considerato che l'appaltatore esegue la prestazione con mezzi e personale propri, che fanno ritenere sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale.
Il prestatore d'opera, invece, pur dovendo anch'egli svolgere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del committente, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo con lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria organizzazione.
Il confine fra contratto d'opera intellettuale e contratto d'appalto di servizi sfuma in sede di applicazione della disciplina sui contratti pubblici, che impone predeterminate procedure, ad evidenza pubblica, prodromiche alla stipulazione dei contratti da parte delle pubbliche amministrazioni.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una nozione ampia di appalto di servizi che comprende, in alcuni casi, anche l'attività del professionista intellettuale, ma tale nozione è finalizzata ad estendere l'ambito oggettivo di applicazione della relativa disciplina in aderenza alle direttive comunitarie di settore, volte a favorire il confronto concorrenziale fra operatori economici, la libera circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento. Pertanto, quella nozione non si ripercuote sulle definizioni di contratto di prestazione d'opera, prestazione d'opera intellettuale e di appalto di servizi delineate dal codice civile, atteso che il codice dei contratti pubblici mira a disciplinare le procedure di affidamento di un'ampia gamma di contratti che, pur definiti come 'appalto', comprendono una serie eterogenea di negozi civilistici (somministrazione, mandato, trasporto, assicurazione, ecc.).
Quanto alla giurisprudenza amministrativa, si segnala che anche il Consiglio di Stato
[8], valorizzando le differenze fra i due contratti ai fini delle conseguenti ricadute in materia di soggezione al codice dei contratti pubblici, ritiene elemento qualificante dell'appalto di servizi, oltre alla complessità dell'oggetto, la circostanza che l'affidatario dell'incarico necessiti, per l'espletamento dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell'ente.
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[1] Secondo D. Centrone («Il conferimento di incarichi di consulenza e collaborazione da parte degli enti locali e delle società partecipate, alla luce del nuovo Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016, e del testo unico sulle società pubbliche, d.lgs. n. 175 del 2016», relazione tenuta al Convegno sul tema 'Gli adempimenti in scadenza al 31.01.2017 per la prevenzione della corruzione e le linee-guida per le città metropolitane', organizzato da UPI-ANCI Piemonte e tenutosi a Torino il 20.01.2017) tale assimilazione concerne l'individuazione della procedura di affidamento, «restando impregiudicata la qualificazione della natura del contratto, da effettuare secondo le regole del diritto civile interno».
[2] V., tra i più recenti interventi della Corte dei conti: Sez. reg.le controllo per la Puglia, delib. n. 63/PAR/2014; Sez. reg.le controllo per la Liguria, delib. n. 79/2015/PAR; Sez. reg.le controllo per la Lombardia, delib. n. 51/2013/PAR, n. 178/2014/PAR e n. 162/2016/PAR.
[3] V., per tutte, la sent. del Consiglio di Stato - Sez. V, n. 2730/2012.
[4] «Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV.».
[5] «La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi.
L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.
Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali.».
[6] V. l'art. 3, comma 1, lett. dd), ii) e ss), del D.Lgs. 50/2016.
[7] «L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.».
[8] Sez. V, sent. n. 2730/2012
 (02.08.2017 -
link a www.regione.fvg.it).

luglio2017

INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 27.07.2016 n. 170 "Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione adottato ai sensi dell’articolo 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016" (Ministero della Giustizia, decreto 17.06.2016).

giugno 2017

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Danno erariale per l’incarico esterno su attività gestibili dai dipendenti dell’ente.
Il Comune che delibera l’affidamento di un incarico esterno che si sarebbe potuto svolgere con il proprio personale provoca un danno erariale in quanto viola, con grave colpa, i principi di economicità, efficienza, efficacia e ragionevolezza –sanciti dall’articolo 1 della L. n. 241/1990 e dal Dlgs n. 165/2001- posti a fondamento del buon andamento della Pa, di cui all’articolo 97 della Costituzione.
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La domanda risarcitoria dedotta in giudizio trae origine dall’affidamento esterno di una prestazione d’opera professionale -consistente nella ricerca della “attivazione di risorse finanziarie non impositive”- in assenza dei requisiti e delle condizioni che ne giustificassero l’adozione, con conseguente danno corrispondente all’inutile costo -pari ad € 40.500,00- riconosciuto alla ditta affidataria a titolo di ingiusto corrispettivo, ed imputato agli odierni convenuti (componenti della Giunta Municipale che adottò la Deliberazione n. 90 del 06/10/2008) in ragione delle responsabilità derivanti dalle funzioni e dai compiti esercitati in concreto nella procedura di affidamento, alla cui formazione era stato inizialmente riconosciuto il contributo causale del Responsabile dell’Area Tecnica -ing. Fr.Di.- il cui successivo decesso aveva comportato, unitamente alla esclusione della imputazione di personale responsabilità, la conseguente rideterminazione del danno, oggi utilmente perseguibile, nella misura di € 32.400,00.
Il Collegio ritiene che la pretesa risarcitoria azionata da Parte Pubblica sia fondata, e ciò sulle seguenti considerazioni fattuali e giuridiche che ne determinano l’integrale accoglimento, anche alla stregua di un percorso valutativo che imponga “ex ante” la misurazione delle regolari condotte esigibili, in fattispecie concreta, dai convenuti.
Preliminarmente il Collegio intende soffermarsi sulla esatta qualificazione giuridica da conferire alla “fattispecie negoziale” individuata come produttiva del danno in contestazione, ancorché su siffatta questione le parti non abbiano sollevato alcuna specifica eccezione o rilievo “dubitativo”, essendosi le ragioni della controversia sviluppate lungo la traccia giuridico-normativa delineata dall’art. 7, co. 6, D.Lgs. n. 165/2001 disciplinante il conferimento di incarichi fiduciari esterni, nonostante, dagli atti di causa emerga qualche riferimento al sistema degli appalti di servizi.
Invero:
- la determina n. 320 Reg. Gen. del 14.10.2008, a firma dell’ing. Fr.Di. reca ad oggetto l’“affidamento prestazioni”;
- il successivo contratto del 16.10.2008 (sempre firmato dall’ing. Di.), dopo aver riportato in premessa il richiamo a “prestazione servizi ai sensi D.Lgs. n. 163/2006”, individua quale oggetto dello stesso la “prestazione di servizi”;
- lo stesso atto di citazione, nell’introdurre la descrizione della vicenda di danno, discorre di “…prestazione di servizi…”;
- e, in ultimo, la pur censurata modalità di affidamento dell’incarico in argomento è quella –“negoziata”– contemplata dal suddetto D.Lgs. n. 163/2006 disciplinante la materia degli appalti di servizi.
In realtà, “…l’incarico di prestazione di servizi…” affidato dal Comune di Stigliano alla ditta “L.S.”, lungi dal consentire la pacifica ed agevole qualificazione dello stesso nel novero del sistema degli “Appalti di servizi”, configura una vera e propria fattispecie di “Conferimento di incarico esterno”, con conseguente applicazione dei presupposti, delle condizioni e dei limiti, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, posti a presidio della corretta utilizzazione di tale modulo operativo.
E ciò, indipendentemente dal nomen iuris emergente dagli atti del procedimento amministrativo e dagli scritti di causa, inidonei a vincolare il Giudice nell’esercizio del proprio dovere-potere di qualificare giuridicamente l’azione ed il rapporto dedotto in giudizio, con l’unico limite dell’integrità dei fatti e degli elementi costitutivi della domanda
(Cass. Sez. II nn. 15925/2007, 10922/2005 e 3980/2004; C.d.c. FVG, 20.02.2009, n. 73).
Del resto, che la fattispecie si inquadri nel “tipo” degli incarichi e delle consulenze esterne, v’è conferma nel richiamo, svolto in punto di motivazione del provvedimento di affidamento, alla rilevata insufficienza, o impreparazione, del personale organicamente inserito nell’Ente per l’assolvimento della prestazione oggetto di esternalizzazione.
In ogni caso, ed indipendentemente dalla qualificazione giuridica prospettata dalle parti, ma nel rispetto di quei principi di ragionevolezza non suscettibili di alcuna indebita interferenza col divieto di sindacato sulle scelte discrezionali dell’Amministrazione,
va precisato come ormai cogente ed obbligatorio si manifesti il dovere per ogni Pubblica Amministrazione di rispettare le regole che presidiano gli affidamenti di incarichi esterni –comunque formalizzati– regole, queste, copiosamente e partitamente enucleate dalla Corte dei conti nell’esercizio della funzione giurisdizionale e di controllo sulla scorta dell’impianto normativo di settore formatosi nel tempo, e che conferiscono a tale “scelta operativa” il carattere della eccezionalità, rispetto all’ordinario impiego delle risorse professionali ritraibili dal proprio organico.
Nella sintetizzata ottica organizzativa vanno quindi lette le limitazioni costituite dalla peculiarità dell’oggetto della prestazione conferita, dalla delimitazione temporale dell’incarico, dalla coerenza del compenso con la qualità e quantità del lavoro affidato e dalla inesistenza di figure professionali “interne” in grado di assolvere a quel compito, riscontrata mediante una reale, e dimostrata, ricognizione.
I limiti, invero stringenti, al conferimento di incarichi esterni, sommariamente richiamati, risultano essere stati platealmente superati nell’ambito dell’affidamento del servizio di “ricerca dei finanziamenti utilizzabili” alla ditta “L.S.” sotto il duplice profilo dell’assenza di tratti di particolare complessità o specialità della prestazione, e del reale, concreto ed attendibile riscontro della inidoneità del personale “intraneo” a svolgere il servizio di cui si predicava, e disponeva, la necessaria esternalizzazione.
E tanto, senza indugiare sui pur adombrati profili collusivi documentalmente, e sospettosamente, emergenti dalla perfetta coincidenza delle prerogative professionali vantate dalla ditta in sede di illustrazione della propria offerta, con le motivazioni poste a sostegno della Deliberazione giuntale n. 90 del 2008, la cui valenza di “mero” atto di indirizzo, pure eccepita in sede difensiva dagli autori della stessa per decolorarne la incidenza nella dinamica causativa del danno, è clamorosamente smentita dalla minuziosa e particolareggiata descrizione delle caratteristiche della prestazione oggetto di affidamento, sorprendentemente coincidenti con le specifiche distintive della ditta affidataria.
In realtà, osserva il Collegio in aperta condivisione delle stigmatizzazioni accusatorie sul punto,
l’attività ricognitiva delle disponibilità finanziarie “dormienti” o “silenti”, non appare connotata da quel tratto di alta complessità o specialità che imponga il ricorso ad operazioni di particolare competenza non esigibile da personale impiegato nella gestione del settore economico-finanziario di un Comune che, a maggior dire per quello di Stigliano, non contempla tra i propri compiti quello di intraprendere o perseguire attività o strategie di investimento, o di indebitamento, che in qualche modo, e con elevato rischio, vengono riservate a soggetti finanziari privati, certamente più avvezzi alla speculazione che alla pianificazione.
Ed a conforto di tale valutazione non vale tanto richiamare la pur facile constatazione del risultato -invero “ordinario”- ottenuto dalla “fragorosa” iniziativa intrapresa (la contabilizzazione dei mutui non utilizzati), quanto la manifesta irragionevolezza di una scelta che, già in una valutazione ex ante, avrebbe dovuto far intuire, in un’ottica di credibile verosimiglianza sorretta dalla doverosa conoscenza dei dati relativi alla esperienza concreta della gestione delle risorse di bilancio, la possibilità di definire in autonomia, e senza ricorso ad onerose consulenze esterne, tale passaggio ricognitivo, anche nella ritenuta necessarietà dello stesso per la pianificazione di nuovi e proficui investimenti.
Peraltro, non è di poco conto rilevare come, successivamente a tale riscontrata necessità, iniziative di identico tenore e contenuto fossero state con successo intraprese dal Comune (Determinazioni del Servizio di Urbanistica “lavorate” dal personale dell’Ente e finalizzate all’accensione dei mutui di € 235.000,00 e € 14.500,00): a conferma del fatto che “…da soli si poteva!...”.
Né è ravvisabile, come ampiamente argomentato dalla difesa, una condizione di insufficienza, numerica e qualitativa, del personale impiegato cui poter affidare tale incombenza.
In disparte la pur condivisa osservazione sulla mancanza di ogni reale e concreta indagine ricognitiva che valesse ad integrare il requisito richiesto dalla normativa di settore (ma sarebbe più corretto dire “richiesto dalle regole di una ragionata e prudente amministrazione”) deve rilevarsi come “L’assetto organizzativo del Comune ed il piano di assegnazione contingenti di personale” di cui alla Deliberazione n. 78 del 03/07/2003, non sostanzialmente modificata dal successivo Atto giuntale (Deliberazione n. 5 del 28/01/2009) intervenuto sul punto, contemplasse l’assegnazione al 2° Settore-Area Economico finanziaria di 9 unità di personale, 7 delle quali appartenenti alle categorie B e C, e quindi con qualifica di “istruttore” e “collaboratore”: pur volendo considerare il rilievo “incidente” dell’assenza del dirigente, la descritta dotazione organica non appare plausibilmente connotata da quella grave e cronica penuria di risorse umane che offra ragione della scelta di esternalizzazione effettuata.
Né in altri atti dell’Ente è dato rilevare un significativo segnale di “criticità” della organizzazione del personale che, nel settore coinvolto indirettamente nella intrapresa iniziativa, ne paventasse in qualche modo l’adottata soluzione “di rimedio”.
Sulla scorta delle dispiegate osservazioni,
il Collegio giudica la scelta di ricorrere ad un oneroso servizio consulenziale esterno per la ricognizione delle risorse finanziarie disponibili, intrapresa dalla Giunta Municipale di Stigliano con la Deliberazione n. 90 del 2008, come segnata da grave ed inescusabile superficialità, nonché produttiva di ingiustificato danno, costituito dal corrispettivo riconosciuto alla ditta affidataria.
Di tale danno, pari ad € 32.400,00 per effetto dello stralcio della quota inizialmente addebitata all’ing. Di., nelle more della vicenda giudiziaria deceduto, vanno dichiarati responsabili gli odierni convenuti che, in qualità di componenti della Giunta Municipale che adottò la delibera di affidamento, offrirono decisivo ed unico contributo causale all’avveramento dello stesso.
Somma comprensiva di rivalutazione monetaria. Interessi legali dalla sentenza sino al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata così decide:
   a)
condanna gli odierni convenuti DI GI. Le., BA.An., CA.Gi. e FE.Gi. al risarcimento, in parti uguali, in favore del Comune di Stigliano, della somma complessiva di € 32.400,00. Somma comprensiva di rivalutazione monetaria. Interessi legali dalla sentenza sino al soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Basilicata, sentenza 16.06.2017 n. 62).

maggio 2017

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Danno erariale al sindaco per l’affidamento diretto di incarichi legali.
Secondo i magistrati contabili l'affidamento in via diretta, da parte del sindaco, del patrocinio legale ad avvocati del libero foro, in presenza all'interno dell'ente di una propria avvocatura civica, costituisce colpa grave tale da generare danno erariale.
Una possibile ed eccezionale scelta di avvocati all'esterno, resta, in ogni caso, attribuita in via esclusiva alla competenza dell'organo gestionale (avvocatura) e non all'organo politico che, avendo proceduto con un illegittimo affidamento fiduciario, ne subisce le sorti in fatto di responsabilità erariale trattandosi di spesa inutilmente sostenuta dall'ente. In altri termini, i citati incarichi effettuati dal sindaco, rientrando in una scelta di gestione attiva, ne radicano le conseguenze e le relative responsabilità.

Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei conti, Sez. giurisdiz. per il Lazio con la sentenza 29.05.2017 n. 124.
Il fatto
La causa amministrativa che vedeva esposta l'amministrazione comunale, con rilevanti risarcimenti di danni richiesti da una ditta aggiudicataria a cui era stata successivamente disposta la revoca dell'aggiudicazione, aveva condotto il sindaco ad affidare in via diretta la difesa dell'ente a due avvocati esterni del libero foro, pur in presenza di una avvocatura interna. L'amministrazione, a fronte delle richieste avanzate dai ricorrenti e della possibile soccombenza l'ente, addiveniva a una transazione con l'aggiudicatario estromesso, transazione considerata vantaggiosa per l'ente.
In considerazione della mancata preventiva definizione degli onorari da corrispondere ai legali esterni, si addiveniva a un accordo sulle somme da corrispondere, con il successivo riconoscimento di un debito fuori bilancio da parte del consiglio comunale per circa mezzo milione di euro. A fronte di tale scelta fiduciaria e del rilevante importo corrisposto, la Procura rinviava a giudizio di conto il sindaco stimando il danno erariale pari alla differenza tra quanto corrisposto ai legali esterni e quanto invece da corrispondere agli avvocati interni (incentivi) in caso di assegnazione a questi ultimi della difesa dell'ente.
La difesa dell'ex sindaco
Nelle proprie memorie di comparsa l'ex primo cittadino si difende precisando come l'assistenza esterna era giustificata dalla rilevanza economica del risarcimento richiesto, tanto che la transazione, successivamente raggiunta, era avvallata anche dall'avvocatura interna, inoltre gli onorari pagati agli avvocati esterni prevedevano una decurtazione importante, rispetto a quanto inizialmente richiesto e, in ultimo, se di responsabilità doveva parlarsi la stessa non poteva non trovare altri possibili interlocutori a partire dai consiglieri comunali che avevano votato il riconoscimento e quindi l'utilità della citata prestazione, oltre ai responsabili dei servizi che ne avevano sottoscritto i pareri di conformità contabile e tecnica, ivi inclusa la stessa avvocatura civica che ne aveva giudicato la congruità.
Le motivazioni del collegio contabile
Secondo il collegio contabile la responsabilità del danno erariale, causato alle casse dell'ente locale, discende in via preliminare dall'illegittimo conferimento diretto effettuato dal sindaco, ossia in assenza di una comprovata e motivata impossibilità di assegnazione della difesa dell'ente alla propria avvocatura civica (composta da ben 24 legali interni). Altro aspetto fondamentale, che radica la responsabilità al primo cittadino, è soprattutto la circostanza che l'iniziativa per l'attribuzione dell'incarico esterno era stata assunta dal sindaco mediante una ingerenza nell'attività gestionale e tale che sul medesimo non poteva non gravare anche un onere di verifica della legittimità delle modalità con le quale si intendeva conferire i citati incarichi.
In altri termini, se l'incarico esterno fosse stato attribuito dal responsabile dell'avvocatura civica, lo stesso avrebbe dovuto necessariamente motivare l'impossibilità ad assolvere con la struttura interna il citato incarico, oltre alle necessarie ed obbligatorie attività gestionali, ivi comprese quelle relative all'affidamento degli incarichi di patrocinio legale all'esterno, mentre nel caso di specie il Sindaco, inserendosi indebitamente nella gestione attiva, non può non subirne le conseguenze degli incarichi illegittimi attribuiti in via fiduciaria.
Il Collegio contabile considera, pertanto, le somme corrisposte ai citati legali del libero foro come diminuzione patrimoniale subita dall'ente con ripristino della tutela contabile in capo al convenuto, applicando, tuttavia, la riduzione di 1/3 delle somme che avrebbero dovute essere poste in capo anche ad altri soggetti, non chiamati dalla Procura contabile in giudizio, ma che in ogni caso hanno partecipato alla successiva liquidazione delle somme non dovute mediante il citato riconoscimento del debito fuori bilancio (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 05.06.2017).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOAffinché l'affidamento di un incarico professionale all'esterno dell'ente non sostanzi un danno erariale, la giurisprudenza contabile ha precisato principi e criteri da osservare, poi positivizzati dal legislatore, quali:
   a) i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell'Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell'apparato amministrativo;
   b) l'incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento del quale debbono costituire l'oggetto espresso;
   c) l'incarico si deve caratterizzare per la specificità e la temporaneità, dovendosi altresì dimostrare l'impossibilità di adeguato assolvimento dell'incarico da parte delle strutture dell'ente per mancanza di personale idoneo;
   d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;
   e) il compenso connesso all'incarico sia proporzionato all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
   f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata al fine di consentire l'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti;
   g) l'organizzazione dell'Amministrazione deve essere comunque caratterizzata per il rispetto dei princìpi di razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza sovrapposizione all'attività ed alla gestione amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per l'economicità, trasparenza ed efficacia dell'azione amministrativa, per il prioritario impiego delle risorse umane già esistenti all'interno dell'apparato;
   h) l'incarico non deve essere generico o indeterminato, al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell'Ente, il che presuppone la previa ricognizione e la certificazione dell'assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste;
   i) i criteri di conferimento non devono rivelarsi generici, perché la genericità non consente un controllo sulla legittimità dell'esercizio dell'attività amministrativa di attribuzione degli incarichi.

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Con riguardo all’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa si reputa che la condotte del convenuto (sindaco) sia stata connotata da colpa grave evincibile dalla violazione di disposizioni normative chiare, non connotate da complessità esegetiche in ordine al conferimento di incarichi esterni.
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4. Nel merito, il Collegio deve esaminare la vicenda descritta nella premessa in fatto e procedere alla verifica della sussistenza degli elementi tipici della responsabilità amministrativa che si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, nonché, nella sussistenza di un rapporto di servizio fra colui che lo ha determinato e l'ente danneggiato.
5. Con riferimento all’elemento oggettivo va espressa condivisione in ordine all’an del danno erariale contestato dall’organo requirente e per le considerazioni dallo stesso espresse.
Si premette che il quadro normativo di riferimento è rappresentato:
   · dall’art. 13, comma 5, del "Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi" approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 62 del 29.10.2002, e vigente all’epoca dei fatti;
   · dall'art. 6, comma 1, del "Regolamento di Organizzazione per l'esercizio dell'azione di promovimento del giudizio, resistenza alle liti, conciliazione e transazione" approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 182 del 27.01.2001 e tuttora vigente;
   · in termini generali, dall’art. 110 del Tuel e dall’art. 7, comma 6 e seguenti, del decreto legislativo n. 165/2001.
Sempre
in subiecta materia la giurisprudenza contabile ha precisato principi e criteri da osservare, poi positivizzati dal legislatore con le disposizioni normative richiamate:
   a) i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell'Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell'apparato amministrativo;
   b) l'incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento del quale debbono costituire l'oggetto espresso;
   c) l'incarico si deve caratterizzare per la specificità e la temporaneità, dovendosi altresì dimostrare l'impossibilità di adeguato assolvimento dell'incarico da parte delle strutture dell'ente per mancanza di personale idoneo;
   d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;
   e) il compenso connesso all'incarico sia proporzionato all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
   f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata al fine di consentire l'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti;
   g) l'organizzazione dell'Amministrazione deve essere comunque caratterizzata per il rispetto dei princìpi di razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza sovrapposizione all'attività ed alla gestione amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per l'economicità, trasparenza ed efficacia dell'azione amministrativa, per il prioritario impiego delle risorse umane già esistenti all'interno dell'apparato;
   h) l'incarico non deve essere generico o indeterminato, al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell'Ente, il che presuppone la previa ricognizione e la certificazione dell'assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste;
   i) i criteri di conferimento non devono rivelarsi generici, perché la genericità non consente un controllo sulla legittimità dell'esercizio dell'attività amministrativa di attribuzione degli incarichi.

Ciò posto,
l’illegittimità del conferimento di incarico in esame si evince:
   ·
dalla chiara violazione delle disposizioni regolamentari disciplinanti l’istituto, in base alle quali apparteneva al Capo dell'Avvocatura Comunale sia il potere di proposta di conferimento di incarichi professionali ad avvocati del libero foro (art. 13, comma 5, del "Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi”), sia il potere di scelta del legale esterno (all'art. 6, comma 1, "Regolamento di Organizzazione per l'esercizio dell'azione di promovimento del giudizio, resistenza alle liti, conciliazione e transazione"), mentre, nella fattispecie in esame, la nomina dei legali esterni è avvenuta mediante la procura a firma del Sindaco Gi.Al. estesa a margine dell'atto di costituzione del Comune di Roma nel giudizio avanti al TAR Lazio;
   ·
dall’omessa –seria e concreta- preliminare verifica in ordine alla effettiva impossibilità di ricorrere a risorse interne, imposta sia dalle disposizioni regolamentari richiamate che, più in generale, da norme di legge ordinaria. Al riguardo anche i principi di diritto affermati dalle Sezioni Riunite di questa Corte (delib. n. 6/2005) espressi nel senso che “deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi. L’affidamento dell’incarico deve essere preceduto, perciò, da un accertamento reale, che coinvolge la responsabilità del dirigente competente, sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, che siano in grado di adempiere l’incarico”;
   · dalla circostanza –ben posta in rilievo dall’organo requirente- che all'epoca dei fatti, nel mese di febbraio 2009, l'Avvocatura Civica romana disponeva di ben ventiquattro avvocati in servizio permanente.
La grave carenza istruttoria rilevata milita, peraltro, nel senso che la nomina dei legali esterni sia stata frutto di scelta fiduciaria da parte dell'allora Sindaco Al..
5.1 Non inficiano le conclusioni raggiunte le pur suggestive argomentazioni difensive volte ad evidenziare:
   · la estrema rilevanza ed importanza (anche economica) della questione, giacché tale aspetto non rende legittimo il conferimento dell’incarico effettuato in palese violazione di disposizioni legislative e regolamentari;
   · l’assenza di segnalazione da parte del Capo dell’Avvocatura in ordine a una possibile violazione procedimentale del conferimento dell’incarico che -pur valutabile in sede di quantificazione del danno erariale imputabile- non ha valenza esimente dalla responsabilità amministrativa in ragione della esigibilità di una condotta informata ai principi di diligenza da parte del “primo cittadino”, e declinabile nella vicenda in esame in termini di preliminare verifica in ordine alla legittimità delle modalità del conferimento di incarico che si intendeva effettuare;
   · l’assenza di danno erariale asserita affermando che il compenso professionale era correlato alla prestazione, in quanto siffatta tesi sovrappone impropriamente due piani, quello civilistico riguardante l’esecuzione dell’incarico e che vede come Parti l’Ente locale e i legali interessati, e quello contabile nel cui ambito si è consumata la illegittima procedura di conferimento e nel quale vengono in rilievo l’Ente nella veste di danneggiato e il dipendente in quella di presunto danneggiante;
   · l’assenza di danno erariale affermata -sotto diverso profilo- sull’assunto secondo cui l’Ente locale non avrebbe conseguito un risparmio ove l’incarico fosse stato svolto in via esclusiva dagli Avvocati interni dell’Ente, in quanto asserzione puramente ipotetica;
   · l’interruzione di ogni nesso causale tra il presunto danno ed il comportamento tenuto dal convenuto che sarebbe stata determinata dall’adozione della delibera n. 64/2012, in quanto tale erronea tesi scaturisce dall’omessa distinzione tra la delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio -che va a sanare un rapporto a contenuto patrimoniale tra l’Ente e un soggetto esterno- doverosa ex art. 191 del Tuel e la condotta illegittima e dannosa del convenuto foriera di responsabilità amministrativa;
   · l’impossibilità, da parte del sindaco, di essere a conoscenza del regolamento dell’Ente articolato e complesso disciplinante la materia, in quanto tale assunto –in astratto condivisibile- non tiene conto che –in concreto- nella fattispecie l’iniziativa per l’attribuzione dell’incarico era assunta dal sindaco con una ingerenza nell’attività gestionale e sul medesimo non poteva non gravare anche un onere di verifica della legittimità delle modalità con le quale si intendeva conferirlo;
   · l’autentica di firma apposta consiste nell’attestazione che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza da persona la cui identità è stata previamente accertata conferendo anche certezza alla data, ma non ha valenza di condivisione del contenuto dell’atto.
6. Diverso apprezzamento si ritiene debba esprimersi in ordine alla quantificazione del danno erariale -operata dall’organo requirente in euro 468.720,00- che deve tener conto del contributo causale di altri soggetti non evocati in giudizio, sicché il danno risarcibile in favore dell’Ente locale viene rideterminato in euro 312.480,00, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data (02.07.2013) dell’esborso.
7.
Con riguardo all’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa si reputa che la condotte del convenuto sia stata connotata da colpa grave evincibile dalla violazione di disposizioni normative chiare, non connotate da complessità esegetiche in ordine al conferimento di incarichi esterni.
8. Si reputano, inoltre, sussistenti, nella fattispecie in esame, anche gli altri elementi della responsabilità amministrativa, del rapporto di servizio –peraltro non contestato- e del nesso di causalità.
9. In conclusione, accertata l’esistenza di tutti i requisiti costitutivi della responsabilità amministrativa, la domanda della Procura va accolta per le ragioni da questa prospettate ma nella diversa misura dal Collegio determinata oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo.
10. Alla soccombenza segue anche l’obbligo del pagamento delle spese di giudizio.
P. Q. M.
La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette
RESPINGE
l’istanza di integrazione del contraddittorio.
CONDANNA
per l’addebito di responsabilità amministrativa di cui all’atto di citazione in epigrafe, il signor Gi.Al. al pagamento, in favore del comune di Roma Capitale, di complessivi euro 312.480,00, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data del 02.07.2013.

Tale somma sarà gravate di interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente sentenza all’effettivo soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 29.05.2017 n. 124).

INCARICHI PROFESSIONALINotai, limiti al falso ideologico. Esclusione se l'omessa attestazione non provoca nullità. La prima presa di posizione della Cassazione sul collegamento con i lavori edilizi.
Il falso ideologico, a carico di un notaio, non è configurabile se l'omessa attestazione non incide sul contenuto dell'atto in modo da determinarne la nullità in base alla legge.

È questa la prima presa di posizione della Corte di Cassazione, Sez. V penale, in tema di falso ideologico e lavori edilizi (sentenza 08.05.2017 n. 22200).
In particolare secondo la Cassazione non commette falso ideologico il notaio che, in un atto pubblico da lui rogato, non attesta l'avvenuta «realizzazione di interventi edilizi c.d. “minori”, in quanto insuscettibili di determinare la nullità dell'atto traslativo, per l'epoca della costruzione dell'immobile e per la consistenza delle opere realizzate».
L'imputazione riguardava l'«attestazione da parte del notaio rogante, nell'atto pubblico stipulato per la compravendita di un fabbricato, oggetto di opere edili che avevano comportato il cambio di destinazione d'uso di una loggia e di un magazzino, e l'ampliamento planovolumetrico, che le opere realizzate in epoca successiva ai titoli legittimanti non richiedessero provvedimenti abilitativi; circostanza non rispondente al vero (secondo l'accusa), in quanto l'immobile era stato trasformato e modificato abusivamente in data antecedente alla vendita, della quale erano a conoscenza tutte le parti».
Con riferimento alla fattispecie concreta, la sentenza ha affermato che il notaio aveva l'obbligo di rogare l'atto, non ricorrendo alcuna proibizione alla sua stipulazione. Tale proibizione si configura, soltanto, nell'ipotesi in cui esista un vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell'atto. In relazione all'abusivismo edilizio la nullità assoluta dell'atto di compravendita si realizza soltanto nell'ipotesi in cui, in base alla normativa in materia, sia prevista la sua «incommerciabilità».
Nella fattispecie esaminata, invece, «è stata esclusa l'applicabilità delle norme sull'incommerciabilità degli atti traslativi aventi ad oggetto immobili abusivi», trattandosi di bene commerciabile in quanto costruito «prima del 17.03.1985» e sottoposto, successivamente a tale data, soltanto ad interventi edili c.d. «minori». Quindi, l'atto pubblico di compravendita non era «proibito dalla legge», poiché non affetto dal vizio di nullità (articolo ItaliaOggi Sette del 29.05.2017).
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MASSIMA
1. Il ricorso è infondato.
2. Giova premettere che correttamente la sentenza impugnata ha riqualificato il fatto contestato nel rato di falso ideologico, e non già materiale, in atto pubblico.
È altresì pacificamente emerso che le parti venditrici, la parte acquirente ed il Notaio rogante erano consapevoli della realizzazione di alcuni interventi edilizi illegittimi, pur tuttavia non richiamati nell'atto di compravendita stipulato. Al riguardo, va rammentato che
il falso ideologico per omissione è integrato dalla condotta che, incidendo sul significato di un enunciato dichiarativo o constatativo, produca un'attestazione non conforme ai fatti; tuttavia, l'omissione è configurabile soltanto se sussista un relativo obbligo giuridico di rappresentazione di alcuni fatti, sicché, in caso di omessa rappresentazione, l'atto pubblico assuma il significato di attestazione della loro inesistenza (cd. attestazione implicita) (in tal senso, Sez. 1, n. 46966 del 17/11/2004, Narducci, Rv. 231183: "La falsità ideologica di un atto può derivare anche dall'omissione o dalla incompletezza dei dati in esso illustrati, quando il contesto espositivo sia tale che la parzialità dell'informazione si risolve nella mendace negazione dell'esistenza di un fatto").
Tanto premesso, la sentenza impugnata appare immune da censure.
Nel caso in esame, infatti, è stata esclusa l'applicabilità delle norme sull'incommerciabilità degli atti traslativi aventi ad oggetto immobili abusivi, trattandosi di immobile realizzato prima del 17.03.1985 (e, addirittura, del 01.09.1967, data di entrata in vigore della c.d. "legge-ponte"), dies a quo per l'applicabilità dell'art. 46, comma 1, d.P.R. 380/2001, e di interventi edilizi c.d. "minori", non rientranti nelle previsioni di cui all'artt. 46, comma 5-bis (in relazione all'art. 22, comma 3) d.P.R. 380/2001.
Non ricorrendo un'ipotesi di nullità dell'atto, pertanto, e sul presupposto che l'art. 27 della l. 89 del 1913 (c.d. legge notarile) prevede che "Il notaro è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto", è stato affermato che il Notaio rogante non avesse il divieto di stipulare l'atto di compravendita in oggetto, e non avesse neppure l'obbligo di dichiarare l'esistenza degli interventi edilizi "minori" realizzati, in quanto non incidenti sul regime di commerciabilità del bene.
L'art. 28 della legge notarile sancisce, infatti, che "Il notaro non può ricevere atti (...) se essi sono espressamente proibiti dalla legge (...)".
Sicché, nel caso in esame, trattandosi di bene commerciabile, in quanto costruito prima del marzo 1985 ed oggetto di interventi edilizi c.d. "minori", l'atto pubblico di compravendita non era "proibito dalla legge", in quanto non affetto dal vizio della nullità sancito dall'art. 46 d.P.R. 380/2001.
In tal senso si è, altresì, espressa la giurisprudenza civile di questa Corte, secondo cui, in tema di responsabilità disciplinare dei notai, il divieto, imposto dall'articolo 28, comma primo, n. 1, della legge 16.02.1913, n. 89, sanzionato con la sospensione a norma dell'art. 138, comma secondo, di ricevere atti "espressamente proibiti dalla legge" attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell'atto, con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l'annullabilità o l'inefficacia dell'atto (ovvero la stessa nullità relativa) ed è sufficiente che la nullità risulti in modo inequivoco (Cass. Civ., Sez. 3, n. 11128 del 11/11/1997, Rv. 509864)
Del resto, lo stesso art. 2700 c.c., richiamato dal ricorrente, nel delimitare il regime di efficacia dell'atto pubblico, sancisce che questo "fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti".
Ebbene, oltre alla prova della provenienza del documento, l'efficacia probatoria dell'atto pubblico si estende alle dichiarazioni e ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale; ma tale efficacia riguarda soltanto le dichiarazioni e i fatti rilevanti ai fini della formazione dell'atto pubblico.
In altri termini,
l'omessa esposizione di un fatto assume il significato della negazione della sua esistenza soltanto quando la sua rilevanza ne avrebbe imposto la manifestazione; al contrario, non ricorre la c.d. attestazione implicita, allorquando, come nel caso di specie, non sussista l'obbligo di attestare la realizzazione di interventi edilizi c.d. "minori", in quanto insuscettibili di determinare la nullità dell'atto traslativo, per l'epoca della costruzione dell'immobile e per la consistenza delle opere realizzate.

INCARICHI PROFESSIONALICosti di sicurezza esclusi per le opere di tipo intellettuale. Consiglio di Stato. Appalti pubblici.
Novità per le prestazioni di natura intellettuale a pubbliche amministrazioni, negli appalti di servizi soggetti alla disciplina delle opere pubbliche (Dlgs 50/2016): il Consiglio di Stato esclude che per esse vi siano costi di sicurezza da indicare.

La sentenza 08.05.2017 n. 2098, relativa alla fornitura e manutenzione di software ad una società pubblica della provincia autonoma di Bolzano, decide il caso di un fornitore che aveva indicato la cifra «zero» per i costi di sicurezza, che il disciplinare di gara imponeva fossero chiariti.
Per i giudici, quando la fornitura riguarda un servizio di natura intellettuale, costi di sicurezza non sono configurabili e, in conseguenza, non si può escludere il concorrente per asserita violazione dell’articolo 87, comma 4, del Dlgs 163/2006 (oggi articolo 50, Dlgs 50/2016, Codice appalti), dovendosi valutare in concreto se la dichiarazione relativa all’offerta economica sia congrua. Il confine tra forniture di servizi di natura intellettuale ed altri tipi di servizi assume rilievo con l’evolversi delle professioni verso strutture imprenditoriali, articolate in organismi complessi, destinati ad operare non solo presso la sede professionale ma anche presso l’utente, anche in forme societarie complesse.
Le recenti modifiche al Dlgs 50/2016 (Dlgs 19.04.2017 n. 56, pubblicato il 5 maggio e in vigore dal 20 maggio) accentuano (articolo 50) la differenza degli appalti di servizi di natura intellettuale rispetto ad altri servizi, esonerando i primi, per la loro matrice personale, dalle clausole sociali che garantiscono generica stabilità occupazionale.
Restano di difficile definizione le figure in cui i costi di sicurezza non sono applicabili: la fornitura di pc con assistenza tecnica on-site, quindi con personale in loco, non è stata ritenuta prestazione intellettuale (Tar Bologna, sentenza 268/2015), nemmeno se vi è garanzia post vendita (Consiglio di Stato, 1798/2015); consulenza e brokeraggio assicurativo per una Regione non espongono a rischi o pericoli (Consiglio di Stato, 1051/2016; Tribunale amministrativo di Bolzano, 143/2017); il servizio di call center, ritenuto di natura intellettuale (Tar Bologna, 564/2016). Per i tecnici, la redazione di un piano di rischi idrogeologici con sopralluoghi e rilievi espone a rischi specifici (Consiglio di Stato, 3139/2016), come progettazione lavori, demolizione e ricostruzione di una scuola con sopralluoghi, rilievi e misurazioni (Tar Veneto, 182/2017).
Altre volte i servizi di ingegneria a supporto di una struttura tecnica di un’azienda ospedaliera sono stati ritenuti prevalentemente intellettuali, privi di rischi specifici perché si esprimono in attività di controllo e supervisione dei lavori, senza partecipazione attiva ai cantieri (Tar Napoli, 4150/2016); solo professionale è anche l’attività degli interpreti e traduttori (assistenza linguistica negli asili nido della provincia di Trento), anche se l’attività è prestata in scuole (Consiglio di Stato, 223/2017).
In sintesi, analizzando i costi aziendali emerge il ridursi delle prestazioni meramente intellettuali, che si riducono all’ideazione delle soluzioni, senza necessità di verifiche e collaudi
(articolo Il Sole 24 Ore del 10.05.2017).

aprile 2017

INCARICHI PROFESSIONALILa giurisprudenza contabile, nel tempo, ha elaborato una serie di principi e criteri direttivi in materia di affidamento di incarichi di studio e consulenza a soggetti esterni all'amministrazione e cioè:
   a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
   b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante svolgimento di attività continuativa, ma, anzi, la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del quale debbono costituire l'oggetto;
   c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
   d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente; e) il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
   f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
   g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
   h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e non motivato.

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1. Nel merito, con motivi sostanzialmente riproduttivi delle difese svolte in primo grado, e del medesimo tenore (tranne che per un aspetto riguardante l'appellante Bi.Lo., per quanto appresso si dirà) gli appellanti sostengono la legittimità e l'opportunità degli incarichi di consulenza affidati all'avv. Mi., alla luce da un lato del licenziamento per giusta causa del dirigente dott. Lu.Mu. e, dall'altro, della rispondenza degli incarichi conferiti e delle relative determine ai criteri stabiliti dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
I motivi, come sottolineato dalla Corte di primo grado, sono infondati.
In un breve ma doveroso excursus della normativa in materia di incarichi esterni conferiti dalle Pubbliche Amministrazioni, la legislazione di riferimento si è evoluta da ipotesi residuali e frammentarie (art. 380 del D.P.R. 10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati civili dello Stato, in materia di incarichi conferiti da ministri a professori universitari ed esperti; art. 1 del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge 26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della legge 20.05.1985, n. 207, recante la disciplina transitoria per l'inquadramento del personale non di ruolo delle (ex) USL) a ipotesi generalizzate a tutto il settore pubblico, disciplinando regole e princìpi che peraltro già da diversi anni avevano trovato ampia considerazione nella giurisprudenza contabile.
Nel riportarsi all'ampia descrizione della materia contenuta nella sentenza di primo grado (e prima ancora nella decisione di questa Sezione centrale di Appello n. 611 del 2012), merita in questa sede ricordare che
negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte in sede di legge finanziaria -artt. 34 della legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa; sempre al medesimo scopo di contenere le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e 11, del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un limite alla spesa per gli incarichi per le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevedendo altresì che l’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa
è intervenuta la circolare 15.07.2004 n. 4 della Funzione pubblica, nella quale si afferma (in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte dei conti nella materia, puntualmente richiamata) la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo; l’affidamento dell’incarico a terzi può, dunque, avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004 sono state sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), il cui contenuto è stato peraltro illustrato dalle SS.RR. della Corte dei conti, con deliberazione n. 6/2005, “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare, il comma 11, che si applica alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, dispone che
il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “… è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali non economici e le regioni possono, quindi, conferire incarichi esterni solo nei casi previsti dalla legge nazionale o dalle leggi regionali, salvi gli eventi straordinari. La norma ha poi confermato il limite della spesa per il conferimento degli incarichi esterni, determinandolo nell’importo erogato per lo stesso oggetto nel 2004.
Più di recente, l'esigenza di contenimento della spesa pubblica ha originato numerosi interventi legislativi (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006), il decreto sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008), il decreto legislativo c.d. Brunetta, n. 150/2009, il D.L. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010.
I principi recati da tali ultime normative –che sostanzialmente confermano, seppure con ulteriori vincoli e limitazioni, quelli già in vigore– sono stati oggetto anch’essi di apposita deliberazione 24.04.2008 n. 6 della Corte dei conti, Sezione delle autonomie, che ha precisato i criteri interpretativi delle nuove norme.
La giurisprudenza contabile, nel tempo, ha elaborato una serie di principi e criteri direttivi in materia di affidamento di incarichi di studio e consulenza a soggetti esterni all'amministrazione:
   a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
   b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante svolgimento di attività continuativa, ma, anzi, la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del quale debbono costituire l'oggetto;
   c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
   d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente; e) il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
   f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
   g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
   h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e non motivato
(Corte dei conti, Sez. I app., 02.09.2008, n. 393, 17.09.2007, n. 248 e 31.05.2005, n. 187; Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III, 06.02.2006, n. 74 e 13.04.2005 n. 183; Sez. sic. appello, 02.04.2002, n. 46 e 01.08.2000, n. 100; SS.RR., 12.06.1998, n. 27).
Anche la Sezione controllo enti di questa Corte, già nella deliberazione 22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la necessità di evitare che l’affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e delle norme in materia di contenimento della spesa.
Alla luce della rassegna normativa e giurisprudenziale sopra richiamata, le determine di conferimento e gli incarichi che ne sono oggetto non rispondono ai criteri sopra indicati.
Infatti, come posto in evidenza nella decisione impugnata, essi riguardavano, sostanzialmente, un'attività amministrativa, ossia di studio delle possibili vertenze che potevano scaturire dai rapporti contrattuali facenti capo al Consiglio regionale, nonché –per come si desume dalle dichiarazioni dell'avv. Mi. e dal contratto– una serie di attività di supporto, alquanto generiche, all'attività contrattuale o all'esecuzione di sentenze della Giustizia amministrativa o di precedenti rapporti contrattuali, oltre a varie attività di assistenza legale e di supporto tecnico al datore di lavoro, anche per l'affidamento di contratti.
A tale proposito non si fa alcun riferimento, né nelle delibere di conferimento, né nelle dichiarazioni del Mi., alla necessità di riordinare il settore precedentemente diretto dal dott. Mu., licenziato senza preavviso, necessità a cui si sarebbe dovuto porre rimedio con un'idonea copertura di organico ovvero con la riorganizzazione del settore dirigenziale, come, poi, è avvenuto.
Mancano, quindi, tutti gli elementi che permetterebbero di connotare come di alta specificità ovvero straordinarietà il conferimento al consulente di tali compiti, come, pure, la limitazione a periodi ristretti, poiché l'incarico di fatto è continuato per oltre un anno, e senza rilevare quello, non oggetto del giudizio, protrattosi nel corso del 2007, apparendo, quindi, un modo surrettizio per comare il vuoto di organico determinatosi.
D'altro canto, non risponde neppure a verità che l'Avvocatura regionale avesse l'obbligo di rendere pareri e consulenze esclusivamente nei confronti della Giunta, con esclusione di altri organi ed enti regionali. Se è vero, infatti, che la L.R. n. 11 del 1991 disciplina l'ordinamento amministrativo della Giunta regionale e individua l'Avvocatura come servizio di quest'ultima, è anche vero che l'Avvocatura poteva rendere pareri legali, a richiesta degli organi, aree e settori dell'ente, in ordine a problemi giuridici derivanti dall'applicazione di leggi e di regolamenti, attività legali con rilevanza interna ed esterna, e similari.
Sarebbe, infatti, paradossale escludere il possibile intervento dell'Avvocatura “Regionale” dall'attività di ausilio del Consiglio regionale e ammettere, per converso, la legittimità di contratti a tempo determinato con consulenti esterni, in contrasto con le finalità di contenimento della spesa come sopra ricordate e di autosufficienza delle pubbliche amministrazioni.
L'assenza in organico di figure idonee per l'espletamento dell'incarico, assunta dagli appellanti, non è rilevante in questa sede, perché, pur prendendo atto dell'esiguità del personale addetto al Consiglio, va sottolineato che si trattava di personale che non avrebbe mai potuto trattare le questioni oggetto della consulenza, che presupponevano un adeguato titolo di studio e dovevano, quindi, essere appannaggio di una figura dirigenziale ovvero dell'Avvocatura.
Gli appellanti non avrebbero dovuto limitarsi, come peraltro hanno fatto solo ex post, a lamentare genericamente l'esiguità dell'organico del personale, ma avrebbero dovuto indicare –come ben esposto nell'atto di citazione– i motivi per i quali le attività consulenziali non potevano essere svolti dal Servizio Programmi e contratti, retto, tra l'altro, dalla dott.ssa Bi., ovvero dall'Avvocatura regionale, che non è stata neppure richiesta di fornire assistenza in merito.
L'appellante Bi. lamenta, tra l’altro, anche l’assenza del nesso eziologico
tra la sua condotta e il supposto danno, sostenendo l’estraneità agli atti “genetici” di conferimento dell’incarico (determina n. 91/VIII del 21.02.2008 e relativa e coeva convenzione), mentre la successiva determina n. 283/VIII del 10.07.2008 sarebbe una mera conseguenza di quella emessa dal Dirigente del settore amministrazione n. 249 del 20.06.2008.
Tale conclusione non può essere condivisa, poiché tramite la determina da lei firmata, assieme al dott. Si., è stata resa esecutiva la precedente attività e quindi la condotta della Bianco si inserisce nella sequenza causale con apporto fattivo e decisivo.
In ordine all’elemento soggettivo, la sentenza impugnata non merita le censure descritte negli atti di appello.
Mette conto sottolineare la particolare competenza degli appellanti, dirigente di Settore il primo e dell’Ufficio contratti la seconda, con conseguente doverosa conoscenza delle norme di legge e di regolamento e della disciplina degli incarichi esterni.
Trattasi, a tutta evidenza, di attività contra legem, per giunta reiterata nel tempo e addirittura con un conferimento di incarico antecedente rispetto alla determina di affidamento, per come si legge nella determina n. 91 del 21.02.2008, che sottolineava che, con decorrenza 01.01.2008, il consulente aveva già cominciato a prestare la propria opera professionale.
Quindi, sono del tutto pretestuosi i motivi di entrambi gli appellanti, volti a censurare l’asserita carenza motivazionale della sentenza di primo grado al riguardo (Corte dei Conti, Sez. I centrale d'appello, sentenza 18.04.2017 n. 112).

INCARICHI PROFESSIONALIAnche per i piccoli incarichi di valore serve la selezione pubblica.
Illegittimo e non conforme a legge il regolamento di un Comune che affida incarichi esterni in via fiduciaria anche per prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica svolta in maniera autonoma e saltuaria, non riconducibile a fasi di piani o programmi del committente.

Queste sono le conclusioni della Corte dei Conti piemontese, nella deliberazione 06.04.2018 n. 39.
Il caso oggetto di verifica
Il caso riguarda l'affidamento di un incarico esterno per importi superiori ai 5mila euro, quale membro della commissione veterinaria per il palio della città. I giudici hanno evidenziato come l’incarico avrebbe potuto legittimamente essere disposto se avesse rispettato:
   • una procedura comparativa;
   • la ricognizione preventiva delle professionalità presenti all'interno del Comune;
   • l'osservanza dei limiti della riduzione delle spese per consulenze;
   • l'accertamento preventivo che il programma dei pagamenti fosse compatibile con gli stanziamenti di bilancio e le regole di finanza pubblica;
   • l’adozione preventiva del piano della performance;
   • l'inserimento dell'atto di spesa nel programma annuale degli incarichi;
   • la valutazione della preventiva da parte del revisore o del collegio dei revisori;
  • la dichiarazione preventiva della Pa che il consulente non sia un lavoratore pubblico o privato collocato in quiescenza.
Il Comune non ha effettuato l'esame comparativo sulla base della disposizione del regolamento degli uffici e servizi secondo cui è possibile l'affidamento dell'incarico «in via diretta e fiduciariamente, senza l'esperimento di procedure di selezione» delle «sole prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001».
Le indicazioni del collegio contabile
Per i giudici contabili le disposizioni regolamentari sono da considerare in violazione di legge (articolo 7 del Dlgs 165/2001) in quanto contravvengono ai principi di concorsualità, di trasparenza e di pubblicità. Infatti, «l'occasionalità è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico esterno» e l'astratta distinzione tra occasionalità e mera occasionalità «non fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti ricavabile dalla ratio sottesa all'articolo 7 del Testo unico del pubblico impiego» (Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Lombardia deliberazione 03.07.2013 n. 294).
Le uniche eccezioni al principio dell'esame comparativo, secondo i giudici contabili, si possono verificare quando la procedura concorsuale andata deserta, in caso di unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo oppure per un'assoluta urgenza determinata dall’imprevedibile necessità della consulenza e non attribuibile a inerzia dell'amministrazione (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 19.04.2018).
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MASSIMA
Gli incarichi esterni devono essere conferiti sulla base di una procedura pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e pubblicità.
Le deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”.
Risulta, pertanto, in contrasto con tale principio la determinazione con la quale sono stati affidati dal Comune gli incarichi relativi ad una commissione veterinaria sulla base di una scelta discrezionale dell’amministrazione procedente, finalizzata ad assicurare la continuità rispetto alle edizioni precedenti in contrasto, pertanto, anche con il principio della rotazione degli incarichi.
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Parimenti risulta in contrasto con la disciplina richiamata la previsione dell’art. 54, co. 1, lett. c), del regolamento sull’ordinamento dei servizi e degli uffici del Comune, nella parte in cui consente l’affidamento dell’incarico “in via diretta e fiduciariamente, senza l’esperimento di procedure di selezione” delle “sole prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
L’esclusione, così come formulata, risulta troppo ampia e non tiene conto dei richiamati principi di concorsualità, trasparenza e pubblicità.
Infatti, al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari circostanze già richiamate, deve escludersi che la natura meramente occasionale della prestazione, il carattere saltuario e pienamente autonomo della stessa, possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico.

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Premesso in fatto
Il Comune di Asti con nota pervenuta in data 04.09.2017, prot. 8373, ha trasmesso a questa Sezione, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, la determinazione del Dirigente del Settore cultura, istituti culturali, manifestazioni e sport n. 1501, avente ad oggetto l’affidamento dell’incarico di membro della commissione veterinaria per il palio di Asti 2017 in favore dei dottori Pa.Bo., Fr.Po., Al.Fr., Ro.Gi., Ma.An., Ma.Ca. e An.Ma.Br. per una spesa complessiva di euro 18.551,04.
Dall’esame di tale determinazione, si è evinto che non risultava: l’espletamento di una procedura comparativa, la previa circostanziata ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di svolgere l’incarico, la dimostrazione che la spesa sia stata finanziata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio o, in mancanza, l’osservanza dei limiti di spesa di cui al D.L. n. 78/2010 conv. in Legge n. 122/2010, art. 6, co. 7; l’accertamento preventivo che il programma dei pagamenti sia compatibile con gli stanziamenti di bilancio e le regole di finanza pubblica, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, D.L. n. 78/2009; la previa adozione del Piano della Performance ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, co. 5, D.lgs. n. 150/2009; l’inserimento dell’atto di spesa nel programma annuale degli incarichi ex art. 3, co. 55, l. 244/2007 e la coerenza con il medesimo.
Con nota istruttoria prot. 13300 del 02.11.2017, il Magistrato istruttore richiedeva al Comune di Asti atti, documenti e informazioni a chiarimento di quanto sopra.
Con nota di risposta a firma del Responsabile del servizio finanziario, pervenuta al prot. n. 13989 del 17.11.2017, l’ente:
   - in merito alla modalità di affidamento degli incarichi, allegava comunicazione del dirigente del settore cultura, manifestazioni e sport;
   - in merito alla ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente produceva la certificazione del dirigente del settore risorse umane sulla ricognizione del personale;
   - in merito alla dimostrazione che la spesa è stata finanziata con il contributo della Fondazione cassa di risparmio allegava certificazione del responsabile del servizio finanziario, parere del collegio dei revisori dei conti, lettera della fondazione e atto di entrata n. 96 del 02.08.2017;
   - quanto all’accertamento preventivo che il programma dei pagamenti sia compatibile con gli stanziamenti di bilancio precisava che “la realizzazione del Palio di Asti 2017 rappresenta un macro obiettivo di Performance, inserito nel Piano della Performance 2017/2019 unificato organicamente nel Piano Esecutivo di Gestione ai sensi dell’art. 169, comma 3-bis, del TUEL D.Lgs. 267/2000 approvato con Delibera di Giunta comunale n. 60 del 14/02/2017”;
   - quanto alla previa adozione del Piano della Performance riferiva che “come indicato al punto precedente, ai sensi dell’art. 169, comma 3-bis, del TUEL D.Lgs. 267/2000 2017/2019 il Piano della Performance 2017/2019 e il Piano dettagliato degli Obiettivi 2017 sono unificati organicamente nel Piano Esecutivo di Gestione 2017/2019 approvato con Delibera di Giunta comunale n. 192 del 11/4/2017”;
   - quanto all’inserimento dell’atto di spesa nel programma annuale degli incarichi ex art. 3, co. 55, l. 244/2007 riferiva che la spesa è stata “inserita negli atti di Bilancio e di Programma approvati dal Consiglio comunale come recita l’art. 61 del Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi”.
Non ritenendo superati tutti i rilievi mossi sull’atto oggetto di controllo, il Magistrato istruttore chiedeva al Presidente della Sezione la convocazione dell’odierna adunanza per l’esame collegiale della questione.
Considerato in diritto
1.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è funzionale all’espletamento delle funzioni di controllo assegnate alle Sezioni regionali della Corte dei Conti. Il controllo espletato non incide, nel caso specifico, sull’efficacia dell’atto, ma si sostanzia in un riesame di legalità e regolarità, finalizzato al confronto tra l’attività dell’amministrazione e i parametri normativi vigenti (fra cui, in particolare, l’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 e l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000) in un’ottica non più statica, ma dinamica, che, come sottolineato dalla Corte costituzionale, conduca all’adozione di effettive misure correttive da parte dell’ente
(ex multis Corte costituzionale sentenze n. 60 del 2013, n. 198 del 2012, n. 179 del 2007).
I presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, così come a più riprese modificato.
La linea interpretativa restrittiva è, tuttavia, costante, in quanto, in un’ottica di contenimento dei costi e di valorizzazione delle risorse interne, le amministrazioni pubbliche devono svolgere le loro funzioni con la propria organizzazione e con il proprio personale e solo in casi eccezionali e negli stretti limiti previsti dalla legge possono ricorrere a personale esterno.
A tal fine il comma 5-bis dell’art. 7 d.lgs. 165/2001, introdotto dal d.lgs. 25.05.2017, n. 75, ha sancito il divieto per le amministrazioni pubbliche “di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale […]”. L’entrata in vigore del divieto è stata, tuttavia, posticipata dall’art. 22, comma 8, della L. 27.12.2017, n. 205, “a decorrere dal 01.01.2019" e, pertanto, fino a tale data, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto degli altri parametri normativi, possono ancora ricorrere a tale tipologia contrattuale.
Il successivo comma 6, fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, individua, infatti, i presupposti necessari per poter conferire incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo:
   a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
   b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
   c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata (è possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria solo nei casi espressamente previsti dalla normativa); non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
   d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione;
   e) il conferimento degli incarichi deve avvenire mediante ricorso a procedure comparative, adeguatamente pubblicizzate;
   f) per gli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti è necessaria la valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti (Corte Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 231/2009/par del 14.05.2009; Corte Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 506/2010/par del 23.04.2010).
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi quali, ad esempio, la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte deliberazione 25.10.2013 n. 362).
Per completezza va, infine, rammentato che
in materia di incarichi esterni rileva la previsione della “disciplina di cui all’art. 6, comma 1, D.L. 24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.08.2014, n. 114, modificativa dell’art. 5, co. 9, del d.l. n. 95/2012, convertito con l n. 135/2012, che ha posto il divieto di conferimento di incarichi remunerati di studio e consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, consentendo a questi soggetti unicamente incarichi gratuiti e comunque per una durata non superiore ad un anno (Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 22/2015/REG).
2. Quanto all’affidamento degli incarichi oggetto di esame, si rileva che, all’esito dei chiarimenti forniti dal Comune di Asti, permangono criticità con riferimento alle modalità di scelta dei soggetti a cui sono stati affidati gli incarichi.
Innanzitutto si evidenzia la centralità del principio secondo cui
gli incarichi esterni devono essere conferiti sulla base di una procedura pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e pubblicità.
Come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza contabile, infatti,
le deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale (Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 122/2014/REG ed in senso analogo, ex multis, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, n. 61/2014; Sezione regionale di controllo per la Lombardia
parere 19.02.2013 n. 59; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 22/2015/REG; Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 28/2013/REG).
In proposito il dirigente del settore cultura, manifestazione e sport del Comune di Asti, riferisce, nella nota prodotta dall’ente a seguito delle richieste istruttorie di questa Sezione, che la commissione veterinaria è presieduta e coordinata dal dott. Fu.Br., il quale “offre da sempre la sua disponibilità a titolo gratuito”. Inoltre, il dirigente riferisce che “in considerazione della delicatezza dell’incarico e dei rischi oggettivi che la manifestazione comporta (3 corse da sette cavalli e 1 finale da 9 cavalli con partenza al canapo) viene richiesto al Dott. Fu.Br. di segnalare i nominativi di professori universitari e veterinari di comprovata esperienza nel settore che diano garanzie all’Amministrazione Comunale di alta professionalità e di trasmettere i relativi curriculum; - gli incarichi, valutati i curriculum, vengono poi conferiti ai sensi del Regolamento sull’Ordinamento dei servizi e degli Uffici di questa Amministrazione (art. 50 e seguenti)”.
L’affidamento degli incarichi relativi alla commissione veterinaria è stato, dunque, effettuato senza il previo esperimento di una procedura pubblica comparativa, adeguatamente pubblicizzata, ma piuttosto sulla base di una scelta discrezionale dell’amministrazione procedente, finalizzata ad assicurare la “continuità rispetto alle edizioni precedenti (come evidenziato nella determinazione n. 1501) in contrasto, pertanto, anche con il principio della rotazione degli incarichi.
Né dalla motivazione della determinazione n. 1501 è possibile riscontrare la ricorrenza di quelle specifiche ed eccezionali situazioni, tipizzate dalla consolidata giurisprudenza contabile, che consentono di derogare alla regola concorsuale.
In particolare,
appare non rispondente a tale giurisprudenza la previsione dell’art. 54, co. 1, lett. c), del regolamento sull’ordinamento dei servizi e degli uffici del Comune di Asti, richiamato nella nota a firma del dirigente del settore cultura, manifestazione e sport, nella parte in cui consente l’affidamento dell’incarico “in via diretta e fiduciariamente, senza l’esperimento di procedure di selezione” delle “sole prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
L’esclusione, così come formulata, risulta troppo ampia e non tiene conto dei richiamati principi di concorsualità, trasparenza e pubblicità. Infatti, al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari circostanze già richiamate, deve escludersi che la natura meramente occasionale della prestazione, il carattere saltuario e pienamente autonomo della stessa, possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico.
Infatti, come ben evidenziato dalla Sezione Regionale di controllo per la Lombardia in un caso del tutto analogo,l’occasionalità è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico esterno” e l’astratta distinzione tra occasionalità e “mera” occasionalità “non fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti ricavabile dalla ratio sottesa all’art. 7 TUPI (Corte dei Conti Sezione Regionale di controllo per la Lombardia deliberazione 03.07.2013 n. 294).
Pertanto la casistica riportata, pur potendo richiamare il contenuto della Circolare n. 2/2008 della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la disciplina delle prestazioni non incompatibili di cui all’art. 53 d.lgs. 165/2001, non rileva ai fini dell’art. 7 TUPI, salvo che, nel caso concreto, ricorra una delle tre eccezioni alla procedura comparativa di cui sopra (procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo o l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza) (Corte dei Conti Sezione Regionale di controllo per la Lombardia deliberazione 03.07.2013 n. 294).
Per quanto rilevato, pertanto, risultano non conformi alla disciplina legislativa sia lo specifico atto di conferimento dell’incarico di cui alla determinazione dirigenziale n. 1501, sia il regolamento sull’ordinamento dei servizi e degli uffici nella parte in cui consente da parte del Comune l’affidamento diretto e fiduciario di incarichi nei casi di prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria e del tutto autonoma.
Sussiste, dunque, l’obbligo del Comune di Asti di conformare la propria azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla legge, provvedendo anche alla revisione del disposto dell’art. 54, co. 1, lett. c), del regolamento, e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte
   - dichiara l’atto di affidamento di incarico di cui alla determinazione n. 1501 del 07.08.2017 del Comune di Asti non conforme alla disciplina di legge per quanto esposto nella parte motiva;
   - invita l’Amministrazione ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare la propria attività alla legge in materia di affidamento di incarichi, dando riscontro a questa Sezione delle iniziative conseguentemente assunte;

settembre 2016

INCARICHI PROGETTUALI: I concorsi di idee.
DOMANDA:
Il comune intende bandire un concorso di idee ai sensi dell’art. 156 del D.Lgs. 50/2016 al fine di acquisire, mediante compenso a premi, idee per la futura progettazione della riqualificazione di un’area strategica del paese.
A tali fini si richiede se il concorso debba essere pubblicato con sistemi di evidenza pubblica al di fuori del mercato elettronico, al fine di garantire la più ampia partecipazione (anche dei giovani professionisti), o all'interno del mercato elettronico in analogia alle prestazioni di servizio.
RISPOSTA:
Va premesso che l’obbligo di far ricorso al mercato elettronico trova tuttora fondamento nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 1, comma 450, della l. 296/2006, il quale così dispone “Le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30.07.1999, n. 300, per gli acquisti di beni e servizi di importo di importo pari o superiore a 1.000 euro e al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, nonché le autorità indipendenti, per gli acquisti di beni e servizi di importo pari o superiore a 1.000 euro e inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure".
Ciò premesso si osserva che i concorsi di “idee”, pur risultando assoggettati, in virtù dell’art. 156 del codice dei contratti pubblici alle medesime disposizioni del capo IV dettati per i concorsi di “progettazione” (definiti dalla lett. ddd) dell’art. 3 del codice come “le procedure intese a fornire alle stazioni appaltanti, nel settore dell'architettura, dell'ingegneria, del restauro e della tutela dei beni culturali e archeologici, della pianificazione urbanistica e territoriale, paesaggistica, naturalistica, geologica, del verde urbano e del paesaggio forestale agronomico, nonché nel settore della messa in sicurezza e della mitigazione degli impatti idrogeologici ed idraulici e dell'elaborazione di dati, un piano o un progetto, selezionato da una commissione giudicatrice in base a una gara, con o senza assegnazione di premi”) presentano natura del tutto diversa dai veri e propri “appalti” di progettazione che sono qualificabili come “servizi”, in quanto con i primi si tende ad acquisire non tanto un bene o un servizio ma un’opera intellettuale dell’ingegno, in genere tutelata dal diritto di autore (art. 2575 cod. civ. e art. 1 l. diritto d’Autore).
In sostanza con il concorso di idee si acquisisce la proprietà di una “idea progettuale” ritenuta la migliore e frutto dell’ingegno della persona (non necessariamente in possesso di determinati requisiti di professionalità) mentre nel concorso di progettazione si affida la realizzazione di un certo progetto come una vera e propria prestazione professionale da eseguire a carico dell’affidatario come obbligazione di risultato.
Il comma 4 del cit. art. 156 prevede infatti che il premio venga dato “al soggetto o ai soggetti che hanno elaborato le idee ritenute migliori” le quali “possono”, ma quindi non necessariamente “debbono” essere poste a base di un successivo concorso di progettazione o di un appalto di servizi di progettazione al quale potrebbero partecipare anche i soggetti premiati, se in possesso dei requisiti soggettivi richiesti, mentre solo se previsto nel bando il vincitore può anche divenire aggiudicatario di eventuali livelli successivi di progettazione (v. commi 4, 5 e 6 art. 156 cit.).
Per queste ragioni si è dell’avviso che un concorso di idee, salvo che non sia inserito nell’ambito di una procedura di appalto di servizi, non sia assoggettabile agli obblighi del mercato elettronico di cui al cit. comma 450 (art. 1 della l. n. 296/2006) (link
a www.ancirisponde.ancitel.it).

agosto 2016

INCARICHI PROFESSIONALI Gli incarichi esterni.
DOMANDA:
Il quesito è inerente a due diversi aspetti della stessa problematica, ovvero i corretti adempimenti da operare e connessi alla cd. "amministrazione trasparente".
1^ Problematica - Incarichi a consulenti e collaboratori esterni: Premesso che il Comune inserisce ed aggiorna sull'apposito sito PERLA.Pa ogni informazione relativa a consulenze e/o incarichi di natura onerosa, si chiede se le stesse informazioni debbano obbligatoriamente essere inserite anche sul sito "trasparenza" di questo Ente;
2^ Problematica - Attività di consulenza: questo Comune ha affidato direttamente servizio consulenziale a società che si avvale di esperto per risposta a quesiti in tema di personale, controllo atti predisposti dall'Ente, aggiornamento sulla normativa del settore e su deliberazioni, pareri, sentenze della Corte dei Conti, nelle sue varie sezioni.
Detto incarico deve essere inserito sul sito PERLA.Pa e sul sito trasparenza dell'Ente?
RISPOSTA:
Il D.Lgs. n. 33/2013, emanato in attuazione dell’art. 1, comma 35 della legge 190/2012, nell’ambito del riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, ha modificato, all’art. 15, le disposizioni in merito agli Obblighi di pubblicazione relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza conferiti a soggetti esterni all’Amministrazione.
L’art. 15 cit. prevede l’obbligo di pubblicazione, sul sito istituzionale dell’ente, nella sezione Amministrazione trasparente, degli estremi degli atti di conferimento di collaborazione o di consulenza a soggetti esterni per i quali è previsto un compenso, completi di indicazione dei soggetti percettori, del curriculum vitae, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato, nonché la comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica, effettuata esclusivamente per via telematica, tramite il sito www.perlapa.gov.it., dei relativi dati ai sensi dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165.
In caso di omessa pubblicazione, il contratto è nullo ed inefficace e l’eventuale pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l'ha disposto, e il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario ove ne ricorrano le condizioni. La pubblicazione deve essere effettuata entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dell’incarico; invece la comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica è semestrale.
La pubblicità delle attività di prestazione di servizi consulenziali, svolte da persona giuridica, non è invece regolata dall’articolo 15, bensì dall’articolo 37 del D.Lgs. 33/2013 (come modificato dall’art. 31 del D.Lgs. 97/2016).
Le stazioni appaltanti hanno l’obbligo di pubblicare sul sito istituzionale dell’ente, nella sezione Amministrazione trasparente, tutti gli atti e documenti relativi alla procedura di affidamento (oggetto del bando, elenco degli operatori invitati a presentare offerte, aggiudicatario, importo di aggiudicazione, ecc…). Ogni qualvolta l’amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi e forniture proceda in assenza di gara pubblica, è tenuta a pubblicare la delibera a contrattare (articolo 37, comma 2, del D.Lgs. 33/2013).
Resta salvo quanto previsto dall'articolo 9-bis in materia di pubblicazione delle banche dati, gli obblighi di pubblicità legale, e gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 (link
a www.ancirisponde.ancitel.it).

maggio 2016

INCARICHI PROFESSIONALIScelta Ctu, punito il giudice che concentra gli incarichi. Professionisti. Il magistrato deve rispettare il criterio della rotazione.
Perde un anno di anzianità il giudice che concentra gli incarichi su due o tre consulenti d’ufficio, senza rispettare il criterio della rotazione.
Le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 18.05.2016 n. 10157, respingono il ricorso di una toga contro la sentenza del Consiglio superiore della magistratura che aveva punito la violazione dell’obbligo di trasparenza nella trattazione degli affari.
L’accusa era di aver “selezionato” una rosa ristretta professionisti ai quali affidare numerosi incarichi in tema di controversie previdenziali. Scelte fatte malgrado la “preferenza” non fosse sfuggita al presidente del Tribunale, che aveva invitato la toga, per ben due anni, a rispettare la rotazione.
Lo stesso presidente aveva sollevato il problema anche in una nota dalla quale emergeva che più del 50% degli incarichi erano stati assegnati a due soli professionisti. Il ricorrente aveva conferito ad una consulente 105 incarichi e ad un altro 71: pari rispettivamente al 24% e al 16% del totale. Il giudice incolpato aveva sottolineato nella sua difesa che il limite del 10%, indicato come tetto di assegnazione degli incarichi, dall’articolo 23 delle disposizioni attuative del Codice civile, doveva essere riferito ai mandati conferiti dall’intero ufficio giudiziario. Una lettura corretta, ma che non serve a scongiurare l’illecito.
La norma in questione prevede che il presidente del Tribunale vigili affinché gli incarichi siano distribuiti equamente tra gli iscritti all’albo, senza danno per l’amministrazione della giustizia, «in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per 100 di quelli affidati dall’ufficio». Sarà sempre il presidente a garantire che sia assicurata l’adeguata trasparenza nell’assegnazione degli incarichi anche attraverso gli strumenti informatici.
I giudici sottolineano che la regola fondamentale della norma esaminata è nella frase «gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti all’albo». La successiva precisazione, relativa al limite del 10% (introdotta dall’articolo 52 della legge 69/2009), è un criterio che deve essere applicato dal presidente del Tribunale in relazione a tutti gli incarichi complessivi, conferiti da tutti i magistrati dell’ufficio ad un singolo consulente.
Solo il presidente è, infatti, nella condizione di avere cognizione dell’insieme dei “lavori” attribuiti ad un consulente e, in caso di superamento del tetto, può invitare le toghe dell’ufficio ad astenersi da ulteriori nomine. In tal senso -precisa il collegio- è condivisibile l’interpretazione del ricorrente, ma questo non significa che i suoi motivi siano fondati.
Correttamente la sentenza impugnata ha escluso che il limite del 10%, nell’ipotesi esaminata, fosse applicabile agli incarichi conferiti dai singoli magistrati. È ovvio, infatti, che nei tribunali di dimensioni medio-grandi la percentuale fissata sarebbe talmente alta, che ogni giudice potrebbe concentrare gli incarichi su un unico consulente senza mai raggiungerla.
Il criterio corretto è dunque nell’«equa distribuzione degli incarichi che fa in ogni caso capo ai singoli magistrati e che non è suscettibile di una predeterminazione numerica o percentuale, dovendosene di caso in caso verificare la violazione». La prova è che nel capo di incolpazione non si fa alcun rifermento al tetto del 10%, ma solo alla mancata osservazione del principio di rotazione in violazione del dovere di correttezza e diligenza.
Il problema esaminato dalla Cassazione è sentito dal Csm, che il 4 maggio scorso ha approvato le linee guida sul punto (si veda Il Sole 24 Ore del 05.05.2016), in base alle quali lo stesso professionista non potrà ricevere più del 10% degli incarichi.
La settima sezione dell’organo di autogoverno dei giudici (relatore Francesco Cananzi) ha però chiarito che la nozione di ufficio è flessibile: se in questa rientra il Tribunale, nelle sedi più ampie è evidente che il limite è nei fatti privo di conseguenze
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.05.2016).

INCARICHI PROGETTUALII giovani professionisti possono limitarsi a firmare il progetto. Appalti. L’interpretazione del Consiglio di Stato sui raggruppamenti temporanei.
Spazio ai giovani professionisti nella progettazione degli appalti pubblici, sia che valga il testo unico 163/2006 sia che valgano le norme applicative delle direttive europee (legge 11 e Dlgs 50 del 2016): questo è il principio che si desume dalla sentenza 02.05.2016 n. 1680 del Consiglio di Stato, Sez. VI.
La progettazione di lavori pubblici incentiva i giovani professionisti prevedendo (articoli 253 e 263, Dpr 207/2010) che si possa operare con raggruppamenti temporanei in cui vi sia almeno un professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all’esercizio della professione.
Secondo il Consiglio di Stato, la norma non impone una specifica tipologia di rapporto professionale tra il giovane professionista e gli altri componenti del raggruppamento temporaneo di progettisti. Così basta che il raggruppamento temporaneo comprenda un progettista che abbia anche «solo sottoscritto» il progetto. Secondo i giudici, basta la sottoscrizione del progetto, perché essa implica una partecipazione professionale e, quindi, l’esistenza di un rapporto professionale con il raggruppamento temporaneo.
Non sono quindi necessarie indagini ulteriori sul ruolo rivestito dal giovane professionista all’interno del raggruppamento o sulla tipologia specifica di rapporti tra raggruppamento e professionista. Ciò perché la finalità della norma è di promuovere la “presenza” del giovane professionista nell’ambito del raggruppamento temporaneo, consentendogli di maturare un’esperienza adeguata e di poter così arricchire il proprio curriculum.
Diverso è il caso dell’indagine sui requisiti di partecipazione per il personale tecnico (articolo 263, Dpr 207/2010): in materia di requisiti, si chiede alle imprese concorrenti di fornire specifici dati circa le fatturazioni Iva del personale tecnico utilizzato, con possibilità di collaborazione a progetto solo nel caso di soggetti esercenti arti o professioni.
Tra le agevolazioni per i giovani progettisti, c’è anche quella sull’età professionale, poiché (articolo 253, Dpr 207/2010) si rimane «giovani professionisti» all’interno di un quinquennio che decorre dall’iscrizione all’albo (e non col superamento dell’esame di abilitazione). L’abilitazione, infatti, è un requisito necessario per iscriversi, ma non costituisce di per sé titolo all’esercizio della professione: il solo esame di abilitazione non consente al professionista di operare sottoscrivendo progetti, occorrendo l’iscrizione all’albo.
Tutti questi concetti saranno utilizzabili anche nel regime delle nuove direttive sugli appalti pubblici, poiché identica, in più norme (articolo 1, lettera ccc, legge 11/2016; articoli 24, comma 5, 95, comma 13 e 154, comma 3, Dlgs 50/2016) è la logica di avvantaggiare i giovani professionisti con migliori condizioni di accesso.
    (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.05.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
5.2. Sul requisito del giovane professionista (v. sopra, pp. 2/a) e 3.2.).
Ad avviso dell'appellante l'articolo 253, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 richiede la sussistenza, tra giovane professionista e RTP, di un rapporto di collaborazione professionale o di dipendenza, condizione che, si afferma nell'atto di appello, non sarebbe stata rispettata nel caso di specie poiché la sottoscrizione del progetto da parte dell'arch. Mo. non sarebbe indicativa della tipologia di rapporto richiesto; anzi, si aggiunge, genererebbe dubbi circa l'effettiva partecipazione del giovane professionista all'attività progettuale.
Inoltre, si afferma nell'atto di appello, il quinquennio di cui all'articolo 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010 decorrerebbe dalla data del conseguimento dell’abilitazione all'esercizio della professione, e non dall'iscrizione all'albo professionale. E’ inoltre necessario, secondo l'appellante, che la qualità di giovane professionista sia posseduta per tutta la durata della procedura di gara, non potendo ritenersi sufficiente il possesso del requisito di “giovane professionista” solo alla scadenza della presentazione della domanda.
I profili di censura non sono meritevoli di accoglimento.
Diversamente da quanto sostiene l'appellante,
l'art. 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010, in base al quale “ai sensi dell’art. 90, comma 7, del codice, i raggruppamenti temporanei previsti dallo stesso art. 90, comma 1, lett. g) del codice devono prevedere quale progettista la presenza di almeno un professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all'esercizio della professione…”, nel fare riferimento alla “presenza”, quale progettista, di almeno un giovane professionista, non impone una specifica tipologia di rapporto professionale che debba intercorrere tra il giovane professionista e gli altri componenti del raggruppamento temporaneo di progettisti, sicché per integrare il requisito richiesto è sufficiente anche l’avere (solo) sottoscritto il progetto.
L’avvenuta sottoscrizione del progetto implica certamente una partecipazione professionale e, quindi, l’esistenza di un rapporto professionale con il raggruppamento temporaneo, senza la necessità di indagini ulteriori sul ruolo rivestito dal giovane professionista all’interno del raggruppamento, e sulla tipologia specifica di rapporti tra raggruppamento e professionista.
Né può dubitarsi del rispetto della “ratio” della norma in quanto la finalità “promozionale” della previsione concernente la “presenza” del giovane professionista nell’ambito del raggruppamento temporaneo –consentire al progettista di maturare un’esperienza adeguata e di poter così arricchire il proprio “curriculum”– risulta rispettata.

Quanto agli ulteriori profili di censura sul punto, il Collegio non condivide l'interpretazione, prospettata dall'appellante, secondo la quale il termine quinquennale di cui all'art. 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010 –“professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all’esercizio della professione”- decorrerebbe dal momento del superamento dell'esame di abilitazione.
Infatti,
il mero superamento dell'esame di abilitazione non legittima il laureato a fregiarsi del titolo professionale.
Si consideri sul punto quanto dispone l’art. 2229, comma 1, cod. civ.: “la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi”. Da ciò consegue che il titolo di professionista è conseguito solo a seguito dell'iscrizione nell'albo di riferimento, e che l'abilitazione è requisito necessario per l'iscrizione anzidetta ma non costituisce di per sé titolo legittimante all'esercizio della professione.
Il solo esame di abilitazione non consente al professionista di operare come tale, sottoscrivendo progetti, poiché a seguito di esso non risulta attestato il possesso dei requisiti ulteriori occorrenti per l’esercizio della professione; requisiti che invece sono attestati dall’iscrizione all’albo, che costituisce dunque il solo provvedimento “abilitante” in senso proprio all’esercizio della professione.

Bene quindi la sentenza di primo grado ha considerato irrilevante, al fine suindicato, il momento –anteriore- dell’abilitazione, “che costituisce una delle fasi del percorso di abilitazione all’esercizio della professione, percorso che inizia con la laurea e termina con l’iscrizione all’albo”.
E in maniera corretta il Tar ha aggiunto che le vicende successive alla scadenza del termine della presentazione della domanda –“e segnatamente il tempo occorrente all’Amministrazione per la definizione della procedura di gara”– non possono essere imputate alla impresa partecipante alla gara, sicché, diversamente da quanto sostenuto nell’appello, il possesso del requisito di “giovane professionista” non è richiesto per tutta la durata della procedura di gara.
E’ invece sufficiente, come è avvenuto nella specie, che il requisito di “giovane professionista” sia posseduto al momento della presentazione della domanda.
Appare evidente infatti come i requisiti come quello in questione non possano soggiacere all’incertezza della durata delle procedure di gara e dunque al principio di continuità dei requisiti.
Risulta perciò inappropriato il richiamo compiuto nell’appello a Cons. Stato, Ad. plen. n. 8 del 2015, nella parte in cui si sancisce che “nelle gare di appalto per l'aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità”.

aprile 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: Non è consentito procedere al conferimento di incarichi esterni in assenza di una preventiva ricognizione puntuale dell’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di svolgere l’incarico.
• La legge (art. 1, comma 8, l. n. 190/2012) pone l’espresso divieto di consentire l’attività di elaborazione del Piano triennale per la prevenzione della corruzione a soggetti estranei all’amministrazione.
• Non è conforme a legge il conferimento di un incarico di consulenza in assenza di una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata. La particolare urgenza, che può legittimare il diretto conferimento dell’incarico a favore di un professionista, deve essere determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale con la precisazione che la “particolare urgenza” deve essere connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico e che non è rilevante l’urgenza creata da condotta imputabile all’ente anche nella fissazione di un termine.
• Con l’atto di conferimento di incarico esterno il funzionario che impegna la spesa deve accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
• L’eventuale avvio anticipato di prestazioni a favore della pubblica amministrazione rispetto al conferimento di incarico con relativo impegno di spesa è situazione del tutto eccezionale ammessa nei soli casi tassativamente previsti dal legislatore.
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L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
Per completezza va dato atto che accanto alla disposizione generale sopracitata
per gli enti locali vige altresì la previsione più puntuale di cui all’art. 1, comma 42, della legge 30.12.2004 n. 311 che stabilisce l’obbligo di trasmissione alla magistratura contabile degli atti di affidamento di incarichi di studio, ricerca e di consulenza ad estranei alla pubblica amministrazione, a prescindere dal valore monetario, con obbligo di valutazione dell’organo di revisione dell’ente.
La giurisprudenza contabile in relazione al suddetto controllo ha affermato che ”
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”. E’ infatti evidente che alla pronuncia accertativa della magistratura contabile consegua l’obbligo della P.A. di conformarsi alla stessa onde assicurare il rispetto della legge e che contestualmente possa derivare una responsabilità del soggetto agente autore dell’atto contra legem.
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge dell’incarico conferito dalla Regione
occorre rammentare che i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
   a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge”
;
   b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. Al proposito va rammentato che in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

   c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
   d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
   e) deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362) e che in sede di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009 convertito dalla legge n. 102/2009 (cfr. per le Regioni l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2011, per gli enti locali art. 74 d.lgs. n. 118/2011 di modifica dell’art. 183 TUEL), ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio o di cassa e con le regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare ed amministrativa.

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   I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che
gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
Per completezza va dato atto che accanto alla disposizione generale sopracitata
per gli enti locali vige altresì la previsione più puntuale di cui all’art. 1, comma 42, della legge 30.12.2004 n. 311 che stabilisce l’obbligo di trasmissione alla magistratura contabile degli atti di affidamento di incarichi di studio, ricerca e di consulenza ad estranei alla pubblica amministrazione, a prescindere dal valore monetario, con obbligo di valutazione dell’organo di revisione dell’ente.
La giurisprudenza contabile in relazione al suddetto controllo ha affermato che ”
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008). E’ infatti evidente che alla pronuncia accertativa della magistratura contabile consegua l’obbligo della P.A. di conformarsi alla stessa onde assicurare il rispetto della legge e che contestualmente possa derivare una responsabilità del soggetto agente autore dell’atto contra legem.
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge dell’incarico conferito dalla Regione
occorre rammentare che i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in tal senso, si può richiamare il parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione.
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
   a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008);
   b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. Al proposito va rammentato che in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

   c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
   d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
   e) deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362) e che in sede di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009 convertito dalla legge n. 102/2009 (cfr. per le Regioni l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2011, per gli enti locali art. 74 d.lgs. n. 118/2011 di modifica dell’art. 183 TUEL), ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio o di cassa e con le regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare ed amministrativa.
   II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di legittimità per il conferimento dell’incarico occorre evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla Regione Piemonte a mezzo della risposta inviata nel corso dell’espletata istruttoria, mentre per gli aspetti inerenti ai limiti annui di spesa correlati agli incarichi di studio e consulenza ed all’avvenuta comunicazione dell’atto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica le indicazioni fornite possono ritenersi adeguate e sufficienti, non può dirsi ugualmente in ordine agli altri rilievi formulati.
     1. Innanzitutto appare necessario procedere all’analisi della questione inerente la verifica preventiva circa l’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’amministrazione in grado di fare fronte all’incarico.
La Regione in sede di risposta ha riferito che prima del ricorso all’esterno sarebbero stati preventivamente sentiti i responsabili dei Settori audit interno e Trasparenza ed anticorruzione che avrebbero avuto a disposizione le strutture maggiormente competenti ad effettuare la valutazione dei rischi corruttivi relativi ai procedimenti di competenza regionale; tuttavia tale attività “mai posta in essere nell’ente Regione, avrebbe permesso l’applicazione del principio di rotazione degli incarichi dirigenziali, risultando però al momento del tutto estranea alle conoscenze acquisite ed alle prassi: per tali ragioni non è risultato reperibile una specifica e comprovata professionalità in tale senso all’interno dell’Ente”.
Con riferimento alla previa verifica della presenza di strutture in grado di far fronte all’esigenza occorre evidenziare che la Regione Piemonte, nell’ambito della propria autoorganizzazione in tema di conferimento di incarichi esterni, ha assunto con la deliberazione di Giunta regionale n. 28/1337 del 29.12.2010 (richiamata nella nota di risposta del 03.03.2016 della Regione al punto 2) una direttiva volta a fissare una disciplina delle procedure comparative per il conferimento degli incarichi esterni da parte delle Direzioni della Giunta regionale.
La citata Direttiva stabilisce all’art. 2 quale presupposto per il conferimento di ogni incarico che la Direzione competente verifichi “l’inesistenza qualitativa e quantitativa, all’interno sia della propria struttura che delle altre direzioni regionali, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione da effettuarsi presso tutte le altre Direzioni regionali anche a mezzo richiesta via posta elettronica.”.
Tale previo accertamento è ribadito al successivo articolo 3 quale elemento antecedente all’avvio dell’ordinaria procedura selettiva mediante avviso pubblico.
Nel caso di specie occorre tuttavia evidenziare che la Regione si è limitata a riferire in termini del tutto generici che sarebbero stati sentiti (non si indica neppure le modalità e le tempistiche) i responsabili dei Settori audit interno e Trasparenza ed anticorruzione, ma che non sarebbero state reperibili professionalità adeguate (non è peraltro neppure chiaro chi avrebbe attestato tale mancanza); tuttavia non vi è traccia alcuna della concreta effettuazione della previa ricognizione interna sia a mezzo posta elettronica ovvero attraverso altro mezzo, non essendo stato fornito alcun elemento in proposito.
Si aggiunga inoltre che quanto riferito nella nota di risposta dalla Regione Piemonte circa l’assenza di professionalità interne in grado di occuparsi della mappatura dei rischi non appare peraltro in linea con quanto risultante dagli atti già assunti. In particolare risulta che nel corso del 2014 la Regione Piemonte ha adottato il Piano triennale della prevenzione della corruzione 2014-2016 e che al suddetto fine si è dovuta occupare espressamente della mappatura dei rischi di corruzione all’interno della propria organizzazione.
Risulta infatti al punto 6 del citato Piano “Metodologia adottata per valutazione rischio” un’articolata disamina dei rischi esistenti all’interno dell’ente preceduta dall’esposizione del metodo utilizzato per effettuare l’analisi, ove è stato riferito del processo di gestione del rischio suddiviso in tre macro-fasi (mappatura dei processi amministrativi a rischio; valutazione del rischio corruzione; trattamento del rischio corruzione) e puntualizzato che “l’attività di individuazione e valutazione dei rischi è stata sviluppata secondo la logica del “Control Risk self assesment (CRSA) coinvolgendo tutti i direttori ed i dirigenti di Settore della Giunta Regionale, come previsto dalla legge 190/2012.”
Inoltre è stato riferito che al fine del raggiungimento dell’obiettivo “ogni direttore ha proceduto alla mappatura dei processi di competenza della propria Direzione attraverso la compilazione di una scheda tecnica inviata al RAT entro il 15.06.2014” e che all’esito si procede alla valutazione del grado di rischio per ogni singola direzione.
Alla luce di quanto sopra
appare dunque smentita l’affermazione per la quale all’interno della struttura regionale non sarebbe mai stata effettuata alcuna attività valutativa del rischio corruttivo e che pertanto non vi sarebbero professionalità munite di conoscenze adeguate.
Si aggiunga che l’attività di mappatura dei rischi corruttivi all’interno delle strutture regionali e nell’ambito dei procedimenti trattati dalla Regione appare per definizione una tipologia di attività che richiede necessariamente una conoscenza della situazione interna all’amministrazione ed alla scansione e gestione dell’iter dei procedimenti amministrativi che non può essere detenuta che da quei soggetti che operano quotidianamente ed effettivamente all’interno della stessa (Direttori, dirigenti, responsabili di servizi/uffici), sicché appare non solo naturale ma assolutamente necessario che proprio attraverso l’opera ed il coinvolgimento di tali soggetti si proceda alla suddetta mappatura, essendo del tutto evidente che viceversa un soggetto esterno all’amministrazione regionale non avrebbe quel patrimonio conoscitivo necessario per l’adeguato svolgimento di tale compito.
D’altronde il Piano triennale per dettato normativo (art. 1, comma 9, legge n. 190/2012) deve, tra l’altro, rispondere all’esigenza di individuare le attività in cui è più elevato il rischio di corruzione ed è quindi un contenuto necessario del piano la parte inerente alla gestione del rischio ed dunque in primis l’individuazione di tutte le aree a rischio all’esito di un processo di analisi e valutazione. In ragione di quanto detto pertanto la legge (art. 1, comma 8, l. n. 190/2012) pone l’espresso divieto di consentire l’attività di elaborazione del Piano triennale a soggetti estranei all’amministrazione.
In conclusione
l’affidamento all’esterno dell’amministrazione regionale dell’attività consulenziale e di studio volta alla redazione della mappatura dei rischi corruttivi in ordine ai procedimenti gestiti dalla Regione Piemonte, con relazione conclusiva degli esiti dell’attività medesima, non appare giustificato sia per inesistenza del presupposto dell’assenza di strutture o professionalità interne in grado di fare fronte alla relativa esigenza sia a fortiori per violazione della disciplina di cui alla legge n. 190/2012 in ordine alla redazione del Piano anticorruzione e dei relativi aggiornamenti.
Sotto tale profilo deve essere disposta la trasmissione della presente alla locale Procura regionale della Corte dei Conti.

     2. In secondo luogo per quanto il primo rilievo sia dirimente in termini di non conformità alla disciplina legislativa, va altresì evidenziato che laddove fosse stata effettivamente riscontrabile l’esigenza di ricorrere all’esterno della struttura comunque l’amministrazione avrebbe dovuto ricorrere ad una procedura selettiva.
In proposito al suddetto rilievo la Regione con la nota di risposta ha riferito che con le DGR n. 16/282 del 08.09.2014 e n. 20/318 del 15.09.2014 è stata stabilita una riduzione del numero delle Direzioni regionali e che con DGR n. 11/1409 del 11.05.2015 è stata disposta una riconfigurazione delle strutture dirigenziali del ruolo della Giunta regionale con individuazione di nuovi settori in numero inferiore determinando per l’effetto una nuova struttura organizzativa operativa a far data dal 03.08.2015.
Tale tempistica avrebbe reso assolutamente urgente procedere alla mappatura dei rischi e alla conseguente applicazione della rotazione dei dirigenti interessati in un tempo molto ridotto. Conseguentemente sarebbe risultato applicabile l’art. 5, comma primo, lett. b), della già citata DGR n. 28/1337 del 29.12.2010 secondo cui è ammesso il conferimento dell’incarico in via diretta “in casi di assoluta urgenza adeguatamente documenti e motivati, quando le scadenze temporali ravvicinate e le condizioni per la realizzazione di obiettivi specifici richiedano l’esecuzione della prestazione professionale in tempi molto ristretti non consentendo l’esperimento di procedure di selezione”.
Nella propria nota la Regione ha inoltre affermato che la prestazione “è connotata da assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale (redazione della mappatura dei rischi … alla luce della riorganizzazione in corso)”.
Sotto il profilo procedurale va rammentato che
l’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 d.lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato da tempo dalla giurisprudenza amministrativa e contabile un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007; Cons. St., sentenza 28.05.2010 n. 3405; Corte Conti sez. reg. contr. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37 e parere 27.11.2012 n. 509).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto modo di statuire che: “
il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in concreto posto la necessità dell’espletamento della procedura concorsuale, nella considerazione che un simile modus operandi, implicando il rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione, delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza, del tutto sovrapponibili a quelli altresì previsti all’art. 5 della Direttiva regionale in tema di incarichi esterni:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della collaborazione in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico
(ex plurimis, parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
Con riferimento proprio alla ricorrenza del requisito dell’assoluta urgenza occorre tuttavia precisare che l’eventuale ristrettezza dei tempi (prospettata dalla Regione a giustificazione dell’affidamento diretto) incompatibile con la selezione non dovrebbe essere in alcun modo imputabile all’amministrazione regionale, ma dipendere da un termine non autonomamente fissato o essere ricollegabile ad evento di carattere eccezionale.
Nella fattispecie invero la Regione fa riferimento al fatto che la nuova struttura organizzativa sarebbe divenuta operativa dal 03.08.2015 in virtù di un termine fissato dalla Giunta regionale con deliberazione del 11.05.2015.
Si tratta sotto questo primo profilo quindi non già di un elemento temporale del tutto esterno come tale sottratto alla determinazione da parte dell’amministrazione regionale, ma viceversa di un termine stabilito internamente. Si aggiunga inoltre che l’aggiornamento della mappatura dei rischi corruttivi correlato alla nuova riorganizzazione non può certo dirsi evento del tutto imprevedibile nel senso individuato dalla giurisprudenza, trattandosi invero di attività correlata alla riorganizzazione della struttura, da tempo nota, avviata già nel 2014 dalla Giunta regionale con le sopra richiamate delibere del 08.09.2014 e 15.09.2014.
Dunque anche sotto tale profilo
è evidente l’insussistenza del presupposto dell’urgenza che possa legittimare la deroga all’osservanza della procedura comparativa.
Va infine osservato comunque che il periodo intercorrente tra l’ultima deliberazione della Giunta regionale di individuazione dei singoli settori e l’entrata in vigore del nuovo assetto (quasi tre mesi, rectius 84 giorni) non è risultato comunque così ristretto da potersi affermare l’impossibilità dell’espletamento della procedura comparativa per la scelta dell’eventuale incaricato che si fosse reso concretamente necessario (d’altro canto anche la direttiva regionale all’art. 3, comma 4, prevede termini ridotti per la presentazione delle offerte in caso di urgenza).
Del resto l’eventuale ricorrenza di ritardi o disfunzioni nella gestione dei procedimenti necessari sarebbero comunque imputabili all’amministrazione regionale quale apparato e si tratterebbe quindi di evenienza che non legittimerebbe certo l’affidamento di un incarico in via diretta.
Va infatti ribadito che
la giurisprudenza ha ripetutamente evidenziato che l’assoluta urgenza deve essere determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico” e che non è dunque rilevante l’urgenza creata da condotta imputabile all’ente (sez. contr. Piemonte 20.06.2014, n. 122; sez. contr. Piemonte 26.03.2014 n. 61; cfr. anche: sez. Lombardia 19.02.2013 n. 59; di recente cfr. sez. contr. Piemonte, 18.02.2015, n. 22).
Conseguentemente
anche sotto tale aspetto l’atto di affidamento dell’incarico non risulta rispettoso della vigente normativa.
     3. In terzo luogo va osservato che
l’atto di incarico è altresì in contrasto con il dettato normativo sotto il profilo della mancata verifica che il pagamento fosse compatibile con i vincoli finanziari.
Al riguardo va richiamata la previsione di cui all’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2 d.l. n. 78/2009 convertito dalla l. n. 102/2009, che pone in capo al funzionario che impegna una spesa l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica
(cfr. per le Regioni l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2001).
Si tratta di obbligo preventivo posto direttamente in capo al funzionario o dirigente che effettua l’impegno, di qualunque servizio o settore esso sia e che va fatto a prescindere dalle modalità di finanziamento della spesa, essendo funzionale innanzitutto ad una verifica di cassa circa l’effettiva sostenibilità del pagamento nei termini contrattualmente previsti e alla conformità dello stesso con il complesso dei vincoli vigenti.
Conseguentemente sotto tale profilo non è adeguata la risposta della Regione che sul punto non ha dato dimostrazione dell’espletamento di tale accertamento preventivo, ma si è limitata ad affermare che “il programma dei conseguenti pagamenti era compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio” ed al fine di fornire prova di ciò ha fatto riferimento ad un elemento successivo del tutto irrilevante riferendo “prova ne è che nello stesso esercizio 2015 si è disposto il pagamento dell’intero importo previsto”.
Va dunque ribadito che
la suddetta verifica preventiva è essenzialmente un controllo inerente la cassa finalizzato ad assicurare l’effettività del pagamento nei tempi stabiliti, da effettuarsi operativamente mediante una programmazione dei flussi di cassa ed un successivo monitoraggio nel corso dell’anno delle disponibilità liquide, onde scongiurare ritardi anche con riferimento alle previsioni contenute nel d.lgs. n. 231/2002.
L’atto di incarico dunque non risulta conforme al dettato normativo anche sotto tale profilo.

     4. Infine occorre rilevare che alla rilevata illogicità della previsione di quanto contenuto nell’art. 1, comma 11, del contratto di consulenza che fissava il termine per la consegna della relazione conclusiva al 25.05.2015 a fronte della stipula del contratto in data 03.06.2015 la regione ha replicato affermando che la stessa “trova una sua spiegazione sia nell’urgenza –già ampiamente motivata nelle argomentazioni sopra esposte– sia nel ritardo amministrativo/contabile connesso alla formalizzazione dell’incarico” e che si tratterebbe di un involontario disallineamento tra la fase amministrativa di affidamento dell’incarico e la fase di gestione di merito della consulenza.
Al riguardo occorre evidenziare che
nella fattispecie nessuna giustificazione sul piano giuridico può assumere l’urgenza per giustificare di fatto una sostanziale anticipazione della prestazione da parte di un soggetto esterno all’amministrazione prima della stipula del contratto e di fatto ancor prima dell’assunzione dell’atto di incarico comportante impegno di spesa.
Nella fattispecie l’incarico risulta infatti conferito con determinazione dirigenziale del 25.05.2015, integrata quanto a spesa con successiva determinazione del 28.05.2015, i cui impegni per rendere esecutivo il provvedimento di spesa sono stati registrati in data 29.05.2015, mentre da un lato il contratto risulta sottoscritto solamente in data 03.06.2015 (secondo quanto riferito nella nota a causa di un ritardo non meglio specificato nella formalizzazione dell’incarico) e dall’altro lato il testo contrattuale ha fissato al consulente il termine per l’adempimento conclusivo al 25.05.2015 ovvero allorquando lo stesso atto amministrativo connesso all’incarico doveva ancora essere completato.
E’ evidente che siffatto modo di operare dell’amministrazione abbia di fatto determinato una anomala richiesta di avvio dell’espletamento della collaborazione in capo al consulente in via anticipata rispetto al contratto e all’atto di conferimento ufficiale dell’incarico che di fatto è intervenuto altresì in sanatoria rispetto alla prestazione che era ormai in corso di espletamento se non del tutto già esaurita.
In proposito non può che essere richiamata la regola per cui
nel vigente ordinamento l’eventuale avvio anticipato dei lavori a favore della pubblica amministrazione rispetto al conferimento di incarico con relativo impegno di spesa è situazione del tutto eccezionale ammessa nei soli casi tassativamente previsti dal legislatore (ad. es. per i lavori di somma urgenza art. 176 d.p.r. 05.10.2010 n. 207, art. 191, co. 3, d.lgs. n. 267/2000), sicché al di fuori di tali ipotesi non è in alcun modo ammissibile tale modus procedendi.
In conclusione alle rilevate irregolarità dell’attribuzione dell’incarico in questione consegue l’obbligo della Regione Piemonte di conformare la propria azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi esterni alla legge e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte:
- dichiara l’atto di affidamento di incarico di cui alla determinazione n. 276 del 25.05.2015, integrata dalla determinazione n. 283 del 28.05.2015, della Regione Piemonte non conforme alla disciplina di legge per quanto esposto nella parte motiva;
- invita l’Amministrazione regionale ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare la propria attività alla legge in materia di affidamento di incarichi, dando riscontro a questa Sezione delle iniziative conseguentemente assunte;
- dispone la trasmissione della presente deliberazione alla Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte della Corte dei Conti;
- dispone che la deliberazione sia trasmessa, a cura della Segreteria, alla Regione Piemonte in persona del legale rappresentante (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, deliberazione 07.04.2016 n. 34).

marzo 2016

INCARICHI PROGETTUALISe la scelta di affidare all’esterno la progettazione si ponga in contrasto con le diverse disposizioni che impongono, di regola, la redazione della progettazione di opere pubbliche al personale interno della stazione appaltante.
Viene in rilievo, in proposito, l’art. 90, comma 6, del già richiamato D.Lgs. 12/04/2006, n. 163 a mente del quale le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo all’esterno “in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento”.
La ricorrenza di uno dei casi previsti dalla testé richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici non è stata espressamente certificata dal convenuto nella determinazione n. 55 del 02.02.2009, di conferimento dell’incarico all’ing. Le..
Tale mancanza, che pur manifesta una illegittimità procedurale, non riflette però, un comportamento inosservante della citata disciplina concernente l’attività di progettazione delle opere pubbliche in quanto, dalla documentazione acquisita agli atti di causa, emerge la sussistenza dei presupposti per affidare all’esterno l’incarico di che trattasi.
E ciò non perché nella specie venga in applicazione la norma di cui all’art. 91, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 -che stabilisce che le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma affidate al medesimo soggetto, pubblico o privato- atteso che all’ing. Le. era stato commissionato dalla Giunta Comunale soltanto uno studio di fattibilità, bensì per le evidenti carenze di personale presso il settore Lavori Pubblici del comune e conseguente difficoltà di svolgere le funzioni d’istituto.
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Ad escludere la presenza, alla data di conferimento dell’incarico di progettazione all’ing. Le., di professionalità interne al settore Lavori Pubblici in grado di svolgere l’attività affidata all’esterno valgono, inoltre, altre due circostanze.
In primo luogo deve rilevarsi che non è provato che il geom. Ur., unico tecnico all’epoca in servizio presso tale settore, fosse abilitato all’esercizio della professione, requisito necessario, ex art. 90, co. 4, del D.Lgs. 12/04/2006, n. 163, per firmare i progetti redatti dai tecnici interni.
Inoltre, ed è quel che maggiormente rileva, appare discutibile che la progettazione di che trattasi potesse essere redatta da un geometra.
Invero, al di là delle asserzioni del requirente contabile circa la non complessità dell’opera da progettare, deve rilevarsi che dallo stesso studio di fattibilità elaborato in precedenza già dall’ing. Le. emerge che tecnicamente la progettazione avrebbe dovuto prevedere la realizzazione di un by pass in modo da deviare le acque dal loro decorso esistente ed inoltre l’appropriata allocazione di elettropompe per impianti di spinta principale e supplementare.
Si trattava, quindi, di effettuare la progettazione di una vera e propria opera idraulica che richiedeva conoscenze tecniche specifiche e che, all’evidenza, risulta esulare dai limiti dell’esercizio professionale di geometra; figura professionale che in base al disposto di cui all’art. 16 del R.D. 11/02/1929, n. 274, in questa materia deve limitarsi alla progettazione di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come lavori d'irrigazione, di bonifica e provvista d'acqua per le stesse aziende.
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La carenza in organico di tecnici in grado di svolgere la progettazione affidata all’ing. Le., senza creare ulteriore difficoltà nello svolgimento dei compiti d’istituto, risulta inoltre dal contenuto della delibera di Giunta Comune n. 56 dell’01.04.2008 di affidamento dello studio di fattibilità al predetto libero professionista ove si dà atto dell’esiguità dell’organico tecnico dei dipendenti del Comune e della specificità delle attività tecnico professionali richieste al tecnico esterno.
Appare, perciò, evidente che se la Giunta Comunale aveva rilevato tale carenza quando ancora era in servizio presso il settore lavori pubblici l’ing. Ma. e per un’attività di mero studio di fattibilità, a maggior ragione una tale carenza debba ritenersi sussistente, con riguardo alla ben più articolata attività di progettazione all’inizio di febbraio 2009, quando presso il predetto settore era rimasto in servizio, come si è visto, il solo geom. Ur..
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In conclusione, in considerazione di quanto fin qui rilevato e dell’ulteriore circostanza che il Pi., seppure senza acquisire altre disponibilità e preventivi di tecnici esterni e senza certificare espressamente le carenze di organico, ha in definitiva dato continuità, anche per motivi di urgenza, come specificato nel provvedimento contestato in questa sede, all’incarico a carattere tecnico già attribuito in precedenza dalla giunta comunale all’ing. Le., non sono ravvisabili nel suo comportamento i requisiti della colpa grave né sub specie della grave inosservanza di disposizioni normative e di legge né della grave trascuratezza nella salvaguardia degli interessi economici dell’ente comunale.

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La Procura regionale ha convenuto in giudizio il dott. Lu.Pi. contestandogli il danno finanziario di € 42.000,00, costituito dalla differenza tra il compenso corrisposto all’ing. Le., tecnico esterno, per la redazione del progetto dell’opera pubblica di “recapito finale delle acque reflue dell’impianto di depurazione a servizio dell’abitato di Avetrana” e l’incentivo economico, non superiore al 2% dell’importo dell’opera stessa, che il predetto comune avrebbe dovuto corrispondere, ai sensi dell’allora vigente comma 5 dell’art. 92 del D.Lgs. 12/04/2006, n. 163, ai tecnici interni se la progettazione di che trattasi fosse stata a questi affidata.
Reputa il Collegio che dall’esame complessivo della fattispecie nel comportamento del convenuto Pi. non emergano i profili della colpa grave.
1. In primo luogo deve rilevarsi che la Procura regionale, per quanto abbia contestato al Pi. anche la circostanza di aver affidato all’ing. Le. la progettazione e direzione dell’opera pubblica di che trattasi in assenza di un confronto concorrenziale tra altri liberi professionisti, non ha messo in discussione la congruità del compenso corrisposto al predetto tecnico esterno né che tale compenso sia eccedente rispetto alle tariffe professionali in relazione all’attività prestata.
Non rileva, quindi, in questa sede, in considerazione dell’oggetto e della causa petendi della domanda, la pur configurabile illegittimità del provvedimento emanato dal convenuto sotto il menzionato profilo della mancata richiesta di disponibilità e preventivi ad altri tecnici esterni.
2. Occorre, quindi, esaminare se la scelta di affidare all’esterno la progettazione in questione si ponga in contrasto con le diverse disposizioni che impongono, di regola, la redazione della progettazione di opere pubbliche al personale interno della stazione appaltante.
Viene in rilievo, in proposito, l’art. 90, comma 6, del già richiamato D.Lgs. 12/04/2006, n. 163 a mente del quale le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo all’esterno “in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento”.
Sotto un profilo meramente formale deve osservarsi, sebbene non contestato specificamente dalla Procura regionale, che la ricorrenza di uno dei casi previsti dalla testé richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici non è stata espressamente certificata dal convenuto nella determinazione n. 55 del 02.02.2009, di conferimento dell’incarico all’ing. Le..
Tale mancanza, che pur manifesta una illegittimità procedurale, non riflette però, ad avviso del Collegio, un comportamento inosservante della citata disciplina concernente l’attività di progettazione delle opere pubbliche in quanto, dalla documentazione acquisita agli atti di causa, emerge la sussistenza dei presupposti per affidare all’esterno l’incarico di che trattasi.
E ciò non perché nella specie, come sostenuto del difensore del convenuto, venga in applicazione la norma di cui all’art. 91, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 -che stabilisce che le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma affidate al medesimo soggetto, pubblico o privato- atteso che all’ing. Le. era stato commissionato dalla Giunta Comunale soltanto uno studio di fattibilità, bensì per le evidenti carenze di personale presso il settore Lavori Pubblici del comune di Avetrana e conseguente difficoltà di svolgere le funzioni d’istituto.
2.a In proposito deve evidenziarsi che per quanto la Procura regionale affermi che la pianta organica dell’ente locale vedeva in servizio, presso il Settore Lavori Pubblici l’ing. Or. (a partire dall’01.0.2009) ed il geom. Ur. e presso il Settore Urbanistica l’ing. Sp. ed il geom. Cr., dagli atti di causa emerge, invece, che l’ing. Or. è stato assunto in convenzione ex art. 110 del D.Lgs. 267/2000 solo a far data dall’01.12.2009, quindi in data abbondantemente successiva al periodo in cui è stato affidato e svolto l’incarico di progettazione dell’ing. Le. (il progetto definitivo è stato approvato con deliberazione di Giunta Comunale n. 115 del 18.08.2009).
Conferma poi della mancanza del dirigente del settore Lavori Pubblici all’epoca dell’affidamento all’esterno dell’incarico di che trattasi è contenuta nella deliberazione di Giunta Comunale n. 4 del 29.01.2009, di pochi giorni anteriore al contestato provvedimento del convenuto Pi.; con tale delibera, nel dare atto che in data 31.12.2008 era scaduto il rapporto di lavoro part-time con l’ing. Do.Ma. già nominato dirigente del settore LL.PP. e che tale settore era costituito da una sola unità di personale nella persona del geom. Ur., si sostituiva il predetto ing. Ma. con il geom. Ur., quale responsabile del procedimento di diverse opere pubbliche, già finanziate o in corso di finanziamento, ad eccezione dell’opera di cui si discute in questa sede per la quale l’ing. Ma. veniva sostituto proprio con l’odierno convenuto.
Quindi, dalla deliberazione giuntale appena indicata emerge la conferma che l’ing. Or. non era in servizio all’epoca dei fatti di causa.
2.b Da tale provvedimento emerge, inoltre, indirettamente, la riprova che i tecnici interni, assegnati al settore Urbanistica, ing. Sp. e geom. Cr., non espletavano alcuna attività nel campo dei lavori pubblici. Non si spiegherebbe, infatti, altrimenti l’affidamento addirittura al segretario comunale del compito di responsabile unico del procedimento di un opera pubblica se non con l’impossibilità di affidare tale incarico ai tecnici del settore urbanistica, evidentemente già in difficoltà con i carici di lavoro del loro diverso ufficio.
Né a smentire la separazione tra le attività espletate dal settore lavori pubblici rispetto a quelle del settore urbanistica può valere il richiamo della Procura regionale alla segnalazione effettuata dall’ing. Sp., responsabile del settore urbanistica, in data 25.05.2009, alla Procura della Repubblica di Taranto circa la ritenuta anomala assegnazione all’esterno della progettazione riguardante il depuratore senza la verifica della disponibilità delle professionalità interne.
Invero -in disparte che tale segnalazione, per quanto richiamata nell’atto di citazione, non risulta depositata in atti, così come anche gli all.ti dal n. 2 al n. 5 della nota del Nucleo Polizia Tributaria Taranto prot. 272831/14 del 20.06.2014- deve rilevarsi, in ogni caso, che in sede penale il procedimento, avviato presumibilmente a seguito di tale esposto, risulta definito con sentenza del GUP di Taranto di non luogo a procedersi perché il fatto non costituisce reato e che in tale pronuncia si evidenzia la carenza del quadro probatorio circa il prospettato abuso di ufficio anche sotto il profilo della violazione di legge.
2.c Ad escludere la presenza, alla data di conferimento dell’incarico di progettazione all’ing. Le., di professionalità interne al settore Lavori Pubblici in grado di svolgere l’attività affidata all’esterno valgono, inoltre, altre due circostanze.
In primo luogo deve rilevarsi che non è provato che il geom. Ur., unico tecnico all’epoca in servizio presso tale settore, fosse abilitato all’esercizio della professione, requisito necessario, ex art. 90, co. 4, del D.Lgs. 12/04/2006, n. 163, per firmare i progetti redatti dai tecnici interni.
Inoltre, ed è quel che maggiormente rileva, appare discutibile che la progettazione di che trattasi potesse essere redatta da un geometra. Invero, al di là delle asserzioni del requirente contabile circa la non complessità dell’opera da progettare, deve rilevarsi che dallo stesso studio di fattibilità elaborato in precedenza già dall’ing. Le. emerge che tecnicamente la progettazione avrebbe dovuto prevedere la realizzazione di un by pass in modo da deviare le acque dal loro decorso esistente ed inoltre l’appropriata allocazione di elettropompe per impianti di spinta principale e supplementare.
Si trattava, quindi, di effettuare la progettazione di una vera e propria opera idraulica che richiedeva conoscenze tecniche specifiche e che, all’evidenza, risulta esulare dai limiti dell’esercizio professionale di geometra; figura professionale che in base al disposto di cui all’art. 16 del R.D. 11/02/1929, n. 274, in questa materia deve limitarsi alla progettazione di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come lavori d'irrigazione, di bonifica e provvista d'acqua per le stesse aziende.
3.c La carenza in organico di tecnici in grado di svolgere la progettazione affidata all’ing. Le., senza creare ulteriore difficoltà nello svolgimento dei compiti d’istituto, risulta inoltre dal contenuto della delibera di Giunta Comune n. 56 dell’01.04.2008 di affidamento dello studio di fattibilità al predetto libero professionista ove si dà atto dell’esiguità dell’organico tecnico dei dipendenti del Comune e della specificità delle attività tecnico professionali richieste al tecnico esterno.
Appare, perciò, evidente che se la Giunta Comunale aveva rilevato tale carenza quando ancora era in servizio presso il settore lavori pubblici l’ing. Ma. e per un’attività di mero studio di fattibilità, a maggior ragione una tale carenza debba ritenersi sussistente, con riguardo alla ben più articolata attività di progettazione all’inizio di febbraio 2009, quando presso il predetto settore era rimasto in servizio, come si è visto, il solo geom. Ur..
4. In conclusione, in considerazione di quanto fin qui rilevato e dell’ulteriore circostanza che il Pi., seppure senza acquisire altre disponibilità e preventivi di tecnici esterni e senza certificare espressamente le carenze di organico, ha in definitiva dato continuità, anche per motivi di urgenza, come specificato nel provvedimento contestato in questa sede, all’incarico a carattere tecnico già attribuito in precedenza dalla giunta comunale all’ing. Le., non sono ravvisabili nel suo comportamento i requisiti della colpa grave né sub specie della grave inosservanza di disposizioni normative e di legge né della grave trascuratezza nella salvaguardia degli interessi economici dell’ente comunale.
Il convenuto deve essere mandato assolto, quindi, dall’addebito formulato dalla Procura regionale ed essendosi costituito in giudizio a mezzo di difensore devono essere liquidate le spese processuali, ai sensi dell’art. 10-bis, decimo comma, D.L. 203/2005 conv. in L. 248/2005, in base ai “parametri” dettati dal Regolamento adottato con D.M. 10/03/2014, n. 55, emanato ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31.12.2012, n. 247.
In proposito, tenuto conto che l’odierno giudizio è stato definito in esito a un’unica udienza di discussione, previo deposito di un’unica memoria da parte dei due difensori costituiti, senza svolgimento di una fase istruttoria, la liquidazione è effettuata applicando, al valore medio di liquidazione corrispondente a quello previsto per lo scaglione di riferimento, una diminuzione del 30%.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 32432 del registro di segreteria,
ASSOLVE
il convenuto Pi.Lu., dagli addebiti di responsabilità amministrativa, formulati a suo carico dalla Procura regionale
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Puglia, sentenza 24.03.2016 n. 112).

INCARICHI PROFESSIONALI: Conferimento incarico di direzione artistica a professionista esterno.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha chiarito (cfr. circolare n. 6/2014) che, ai fini dei divieti imposti dall'art. 5, comma 9, del d.l. 95/2012, come modificato dal d.l. 90/2014, occorre prescindere dalla natura del rapporto, dovendosi invece considerare l'oggetto dell'incarico.
La predetta disciplina, dunque, non esclude alcuna delle forme contrattuali contemplate dall'articolo 7 del d.lgs. 165/2001, ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli incarichi vietati.

Il Comune ha chiesto un parere in ordine ad alcune problematiche afferenti al conferimento di un incarico di direzione artistica delle stagioni musicali a professionista esterno.
L'Ente si è posto la questione se detto incarico possa rientrare eventualmente tra le tipologie contemplate all'art. 5, comma 9, del d.l. 95/2012, come modificato dal d.l. 90/2014, e se, in particolare, lo stesso incarico rientri tra quelli consentiti in relazione a quanto precisato dalla circolare n. 4/2015
[1] emanata in materia dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, a integrazione delle indicazioni già fornite con la precedente circolare n. 6/2014.
Il richiamato articolo 5, comma 9, del d.l. 95/2012 impone, com'è noto, il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (enti locali compresi) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
Alle richiamate amministrazioni è altresì fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni sopra indicate e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis
[2], del d.l. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla l. 125/2013.
Come chiarito dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione
[3], gli incarichi vietati dalla citata norma sono solo quelli espressamente contemplati, nello specifico incarichi di studio e consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Si è inoltre precisato che 'la disciplina in esame pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l'interpretazione estensiva o analogica' [4].
Nella stessa sede si è pertanto rimarcato come tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie sopra elencate debbano ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame.
Si osserva in proposito che compete all'Ente istante procedere ad un'attenta valutazione del contenuto delle prestazioni richieste e delle caratteristiche peculiari dell'incarico in argomento, al fine di verificare se lo stesso possa configurarsi quale incarico dirigenziale (riferito - come precisato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione -a 'direzione di struttura' e, quindi, rientrante tra le tipologie vietate dalla disciplina in esame) o come incarico specialistico conferito ad un professionista esterno
[5] (riconducibile alla casistica normata dall'art. 7, comma 6, del richiamato d.lgs. 165/2001), che non implichi in concreto lo svolgimento di funzioni direttive.
Si rileva quanto evidenziato dal Ministro, che ha chiarito -nelle circolari citate- come 'ai fini dell'applicazione dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del rapporto, dovendosi invece considerare l'oggetto dell'incarico. La disciplina in esame, dunque, non esclude alcuna delle forme contrattuali contemplate dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001
[6], ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli incarichi vietati'.
Nella circolare n. 6/2014
[7], in particolare, il predetto Ministro ha rimarcato che restano ferme le disposizioni vigenti relative ai requisiti e alle modalità di scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi, e alle procedure di conferimento (come quelle contenute nell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001). Non è quindi escluso il ricorso a personale in quiescenza per incarichi che non comportino funzioni dirigenziali o direttive e abbiano oggetto diverso da quello di studio e consulenza.
Per il legittimo conferimento di incarichi a professionisti esterni, si rinvia da ultimo, in generale, alle osservazioni più volte formulate dalla Giurisprudenza contabile
[8], che ha evidenziato quali siano i presupposti per un corretto affidamento dei medesimi.
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[1] Cfr. punto 5, ove si menzionano, tra gli incarichi consentiti, quelli di 'direttore musicale, direttore del coro e direttore del corpo di ballo'.
[2] Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa.
[3] Cfr. circolare n. 6/2014.
[4] Vedasi, in proposito, Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 23/2014/PREV del 30.09.2014.
[5] Le competenze richieste nella fattispecie in esame sembrano assumere connotazioni ascrivibili a prestazioni specialistiche, di elevata professionalità, in campo artistico. Il TAR Veneto (cfr. sentenza n. 2187/2009) ha sottolineato che il Direttore Artistico non è inquadrato nell'ente e la procedura di reclutamento di tale figura non è un concorso pubblico, considerato che trattasi di figura professionale che rimane esterna all'ente medesimo.
[6] Il comma 6 dell'art. 7 disciplina il conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, per prestazioni altamente qualificate. Il comma 6-bis prevede inoltre che le amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
[7] Cfr. punto 5. Incarichi consentiti.
[8] Cfr., ex plurimis, Corte dei conti, sez. controllo Piemonte, parere n. 194/2014
(16.03.2016 -
link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione.
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1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Manifestamente infondata è la censura relativa alla erronea applicazione dell'art. 348 cod. pen.
Il principio invocato dal ricorrente (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, Cani, Rv. 251819) è stato invero affermato dalle Sezioni Unite in relazione alla configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione in presenza del compimento di atti, che, pur di competenza di una determinata professione, non siano attribuiti ad essa in via esclusiva. In tal caso, il Supremo Consesso ha ritenuto dirimenti le modalità con cui tali atti siano realizzati: le stesse, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, devono creare le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Le Sezioni Unite nella medesima sentenza hanno invece ribadito che concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell'art. 348 cod. pen., il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione.
E tale è il caso in esame, nel quale l'imputato ha posto in essere atti tipici -come in premessa indicati- della professione forense, ad essa attribuiti in via esclusiva e quindi riservati a chi legittimamente tale professione può esercitare (Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza 10.03.2016 n. 9957).

febbraio 2016

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi illegittimi, paga il sindaco. Corte dei conti. Allo staff non possono essere assegnati compiti di supporto amministrativo.
Matura responsabilità amministrativa in capo al sindaco che assegna ai collaboratori dell’ufficio di staff compiti di supporto agli uffici e, in questo caso, si deve dare per presupposto il danno. La responsabilità non si estende né al dirigente che ha dato il parere di regolarità tecnica, né ai dirigenti e segretari che sono intervenuti in una fase limitata, e il sindaco non può invocare la carenza di specifica competenza professionale in quanto si è in presenza di violazioni macroscopiche. A riduzione del danno non possono essere invocati i vantaggi comunque conseguiti dall’ente con l’attività dei collaboratori.
Possono essere così sintetizzate le dure conclusioni della Sez. di appello della Corte dei Conti della Sicilia, con la sentenza 17.02.2016 n. 27.
La Corte ha condannato il sindaco di un Comune che ha assegnato incarichi di collaborazione ex articolo 90 del Tuel a risarcire all’ente tutti i compensi erogati. La sentenza deve essere segnalata soprattutto per la rigidità con cui considera fonte di responsabilità amministrativa lo svolgimento di compiti di supporto alle strutture amministrative da parte dei collaboratori dell’ufficio di staff, per la lettura assai riduttiva dell’esimente della buona fede per gli amministratori e per la limitazione degli ambiti di maturazione di responsabilità in capo ai dirigenti che esprimono pareri contabili o intervengono in misura limitata nel conferimento dell’incarico.
L’ufficio di staff è uno strumento di supporto dell’organo politico e non può essere destinato a compiti analoghi nei confronti delle strutture amministrative, perché in questo caso sarebbe violato il principio di distinzione delle competenze tra organi di governo e dirigenti. Da sottolineare che la sentenza si riferisce a scelte compiute prima dell’estate del 2014, cioè dell’entrata in vigore del Dl 90/2014 che vietano espressamente agli uffici di staff di adottare atti di gestione, rafforzando quindi il principio.
Il conferimento di incarichi con queste finalità deve seguire le procedure ordinarie e rispettare i principi dettati per le collaborazioni: il riferimento è all’articolo 7 del Dlgs 165/2001. Nel caso specifico, invece, gli incarichi conferiti violavano questi principi in quanto non erano di «alta specializzazione»; non era stata compiuta la preventiva verifica dell’assenza di analoghe professionalità all’interno dell’ente; non vi era l’individuazione in modo chiaro dei compiti assegnati, con la connessa verifica che non dovesse trattarsi di attività ordinarie, e non erano stati individuati i criteri per la definizione dei compensi.
La sentenza aggiunge che, in questi casi, «i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario». Altrettanto rigida è la considerazione sull’impossibilità di ridurre la sanzione in ragione del vantaggio conseguito dall’ente in quanto si deve escludere che «una qualche utilità possa attribuirsi ad una prestazione conseguente a un incarico conferito contra legem».
La sentenza prende invece una posizione “garantista” sulla maturazione di responsabilità amministrativa in capo al dirigente che ha dato il parere di regolarità contabile in quanto questa attività è limitata agli aspetti contabili «con esclusione di qualsiasi valutazione in ordine all’intrinseca legittimità del procedimento».
Analoga posizione viene assunta per il coinvolgimento del dirigente del settore personale e del segretario, in quanto il loro intervento si era limitato alla fase iniziale. Infine, non costituisce esimente l’assenza di una specifica competenza professionale in capo al sindaco che deve «acquisire le necessarie cognizioni», soprattutto perché sono stati «violati i principi fondamentali che presiedono all’attività amministrativa, nonché disposizioni di facile interpretazione»
(articolo Il Sole 24 Ore del 21.03.2016).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOL’ufficio di staff è organo strumentale allo svolgimento di funzioni che sono proprie del sindaco; è, infatti, solo quest’ultimo che può individuare in concreto le azioni per le quali abbia necessità di supporto e delineare l’oggetto dell’incarico di collaborazione così come come l’utilità attesa dallo svolgimento dello stesso.
E' altrettanto evidente che tali incarichi di collaborazione non possono risolversi in forme di supporto alla struttura amministrativa dell’Ente, posto che, diversamente, verrebbe meno quella separazione tra funzione di indirizzo e coordinamento (propria dell’organo di vertice) e gestione esecutiva (propria della struttura organizzativa) voluta dalla recente riforma dell’ordinamento degli enti locali.
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Nella fattispecie, in chiara violazione del predetto precetto normativo, gli incarichi attribuiti non erano evidentemente riferibili alle funzioni di indirizzo politico e di controllo del sindaco ma comportavano lo svolgimento di attività di amministrazione attiva rientranti nei compiti istituzionali dell’Ente; ciò, rende evidente, nella fattispecie, che lo strumento utilizzato (nomina di componenti dell’ufficio di staff) è avvenuto per causa diversa (attività di amministrazione attiva rientranti nei compiti istituzionali dell’Ente) da quella prevista dalla legge (funzioni di indirizzo politico e di controllo del sindaco) con evidente illegittimità dovuta ad eccesso di potere per “sviamento del potere dalla causa tipica”.
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Sul punto, la giurisprudenza contabile ha affermato che è illegittimo l'affidamento esterno di funzioni rientranti nel compiti di strutture interne all'amministrazione, determinando la sottrazione delle corrispondenti competenze ad esse riservate e la nascita di una obbligazione diseconomica (vietata dall'art. 1 della Legge n. 241/1990 e dall'art. 97 della Costituzione) in quanto aggiuntiva rispetto all'onere economico già relativo al competente organo interno; inoltre , il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti:
- assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale;
- indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni; indicazione della durata dell'incarico;
- proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione;
- detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei provvedimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a firma del Ni., emerge chiaramente che:
● non risultano esplicitati gli eventuali connotati di alta specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio all’Ente;
● non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa l’insussistenza di risorse interne che potessero svolgere tali funzioni;
● non vi è una congrua ed analitica specificazione dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
● non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi corrisposti agli incaricati.
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Secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico, i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica; la preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta; le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado che in grado di appello.
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche l’avallo di questa Sezione d’Appello, la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico esternalizzato; indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha affermato che tali requisiti «….devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….».
Inoltre, ha precisato anche che, «….nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno….».
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Ritiene, inoltre, il Collegio che, alla produzione del predetto danno erariale, non abbia, inoltre, fornito alcun effettivo contributo causale, giuridicamente apprezzabile, il funzionario che ha espresso parere favorevole in ordine alla regolarità contabile dei provvedimenti d’incarico emessi dal sindaco in quanto il parere di regolarità contabile, apposto dal funzionario preposto al Servizio Finanziario sul provvedimento di nomina emesso dal sindaco, resta limitato alla verifica della competenza del soggetto che ha disposto l’effettuazione della spesa, dell’esistenza della relativa copertura finanziaria, della corretta imputazione al pertinente capitolo di bilancio ecc., con esclusione, quindi, di qualsiasi valutazione in ordine all’intrinseca legittimità del procedimento decisionale che ha condotto all’emissione del provvedimento in questione.

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Dalla lettura delle predette disposizioni di legge, emerge chiaramente che l’ufficio di staff è organo strumentale allo svolgimento di funzioni che sono proprie del sindaco; è, infatti, solo quest’ultimo che può individuare in concreto le azioni per le quali abbia necessità di supporto e delineare l’oggetto dell’incarico di collaborazione così come come l’utilità attesa dallo svolgimento dello stesso; è altrettanto evidente che tali incarichi di collaborazione non possono risolversi in forme di supporto alla struttura amministrativa dell’Ente, posto che, diversamente, verrebbe meno quella separazione tra funzione di indirizzo e coordinamento (propria dell’organo di vertice) e gestione esecutiva (propria della struttura organizzativa) voluta dalla recente riforma dell’ordinamento degli enti locali.
Nella fattispecie, in chiara violazione del predetto precetto normativo, gli incarichi attribuiti dal Ni. non erano evidentemente riferibili alle funzioni di indirizzo politico e di controllo del sindaco ma comportavano lo svolgimento di attività di amministrazione attiva rientranti nei compiti istituzionali dell’Ente; ciò, rende evidente, nella fattispecie, che lo strumento utilizzato (nomina di componenti dell’ufficio di staff) è avvenuto per causa diversa (attività di amministrazione attiva rientranti nei compiti istituzionali dell’Ente) da quella prevista dalla legge (funzioni di indirizzo politico e di controllo del sindaco) con evidente illegittimità dovuta ad eccesso di potere per “sviamento del potere dalla causa tipica”.
Sul punto, la giurisprudenza contabile ha affermato che è illegittimo l'affidamento esterno di funzioni rientranti nel compiti di strutture interne all'amministrazione, determinando la sottrazione delle corrispondenti competenze ad esse riservate e la nascita di una obbligazione diseconomica (vietata dall'art. 1 della Legge n. 241/1990 e dall'art. 97 della Costituzione) in quanto aggiuntiva rispetto all'onere economico già relativo al competente organo interno (Corte dei conti, Sez. Giur. Trentino Alto Adige, n. 8 del 22.03.2010); inoltre , il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni; indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione; detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei provvedimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a firma del Ni., emerge chiaramente che:
non risultano esplicitati gli eventuali connotati di alta specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio all’Ente;
non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa l’insussistenza di risorse interne che potessero svolgere tali funzioni;
non vi è una congrua ed analitica specificazione dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi corrisposti agli incaricati.
Tutto ciò premesso, non appare superfluo evidenziare che, secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr., ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez. Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica; la preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta; le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado (tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent. 06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007, n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n. 672), che in grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent. 20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74; Sez. App. I Sent. 04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent. 13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche l’avallo di questa Sezione d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010; 196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008; 122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico esternalizzato; indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha affermato che tali requisiti «….devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….»; inoltre, ha precisato anche che, «….nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di funzioni dell’Ente a soggetti esterni costituisce, quindi, nella fattispecie, il presupposto antigiuridico che ha cagionato un danno erariale per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono escludono, quindi, che una qualche utilità possa attribuirsi ad una prestazione conseguente ad un incarico conferito contra legem con conseguente impossibilità di considerare, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, l’eventuale vantaggio conseguente all’attività del soggetto esterno all’Ente, illegittimamente incaricato di svolgere funzioni che avrebbero dovuto essere svolte da dipendenti dell’Ente stesso (in quanto attività istituzionali), per lo svolgimento delle quali i dipendenti medesimi ricevono una congrua retribuzione.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che non sia configurabile un nesso di causalità tra la condotta della Giunta municipale (che ha adottato la citata delibera n. 145/2008) ed il danno azionato dal PM, in quanto, nella stessa, era prevista, per altro su proposta del Ni. stesso, l’istituzione di un ufficio di staff per lo svolgimento di funzioni “intersettoriali” dando, quindi, al sindaco stesso la possibilità di procedere alla nomina degli esterni da effettuarsi, ovviamente in un momento successivo, nel rispetto dei limiti di legge (utilizzando, cioè, collaboratori esterni solo per funzioni di indirizzo politico e di controllo proprie del sindaco e previa verifica di indisponibilità di risorse interne).
Ciò che, invece, è stata causa del danno erariale in questione è proprio la successiva nomina degli esterni da parte del sindaco che ha conferito, a soggetti esterni, incarichi che non erano riferibili, come già detto, alle funzioni di indirizzo politico e di controllo proprie del sindaco, e che non è stata preceduta da una preventiva verifica di indisponibilità di risorse interne.
Ritiene, inoltre, il Collegio che, alla produzione del predetto danno erariale, non abbia, inoltre, fornito alcun effettivo contributo causale, giuridicamente apprezzabile, il funzionario che ha espresso parere favorevole in ordine alla regolarità contabile dei provvedimenti d’incarico emessi dal sindaco in quanto il parere di regolarità contabile, apposto dal funzionario preposto al Servizio Finanziario sul provvedimento di nomina emesso dal sindaco, resta limitato alla verifica della competenza del soggetto che ha disposto l’effettuazione della spesa, dell’esistenza della relativa copertura finanziaria, della corretta imputazione al pertinente capitolo di bilancio ecc., con esclusione, quindi, di qualsiasi valutazione in ordine all’intrinseca legittimità del procedimento decisionale che ha condotto all’emissione del provvedimento in questione.
Sempre in relazione al profilo del nesso di causalità, la difesa dell’appellante ha affermato che, nella fattispecie, i provvedimenti contestati si collocherebbero all'interno di un procedimento amministrativo che si era aperto con la fase istruttoria (in cui erano intervenuti il Responsabile del procedimento ed il Dirigente dell'Ufficio competente, al fine di comprovare, rispettivamente, la sussistenza dei requisiti di legittimità della procedura e, dunque, degli atti sindacali da deliberare, nonché la relativa regolarità tecnica) e si era concluso con la stipula dei contratti individuali di lavoro da parte del dirigente dell'Ufficio Gestione Risorse Umane (e, talvolta, del Direttore generale), attuativi delle scelte sindacali di nomina ma, sempre, previa verifica della conformità a legge delle stesse.
Sul punto si osserva che, nella fattispecie, il Ni. è stato il proponente della delibera di giunta n. 145/2008, i provvedimenti di nomina dei predetti collaboratori esterni sono stati sottoscritti solo dal Ni. stesso e dal funzionario preposto al Servizio Finanziario e le convenzioni, per il conferimento dei singoli incarichi, risultano sottoscritte solo dal collaboratore esterno e dal Ni. stesso); inoltre, l’asserito intervento, nella fattispecie, del dirigente dell'Ufficio Gestione Risorse Umane (e, talvolta, del Direttore generale), in sede di attuazione delle scelte sindacali di nomina (che avrebbe dovuto verificare la conformità a legge delle stesse), avrebbe, semmai, potuto riguardare soltanto taluni specifici profili di esso (ad es.: la circostanza che il “Regolamento comunale degli Uffici e dei Servizi” abbia previsto espressamente l’esistenza di tale Ufficio; il fatto che non venga superato il numero massimo di componenti che sia stato eventualmente fissato dal predetto regolamento o da altra deliberazione a carattere generale; la sussistenza di specifici requisiti già previsti, in linea generale, da norme di legge o di regolamento, la natura temporanea dell’incarico conferito etc.), con esclusione, quindi, di qualsiasi valutazione in ordine alla congruità delle motivazioni relative all’effettiva necessità del conferimento dell’incarico, alla concreta individuazione del soggetto designato, alle mansioni da svolgere etc. (che rientravano nelle prerogative del sindaco, unico soggetto che poteva individuare in concreto le azioni per le quali avesse necessità di supporto e delineare l’oggetto dell’incarico di collaborazione così come come l’utilità attesa dallo svolgimento dello stesso).
Infine, la difesa dell'appellante lamenta che erroneamente il Giudice di primo grado abbia ritenuto la sussistenza della colpa grave a carico del Ni.:
1. che non aveva le competenze professionali adeguate per rendersi conto di eventuali illegittimità (data la complessità della normativa regolante la fattispecie ed i dubbi interpretativi conseguenti);
2. pur essendo asseritamente intervenuti, nel procedimento di nomina dei predetti collaboratori esterni, funzionari dell’Ente che nulla hanno eccepito in ordine alla sussistenza di eventuali illegittimità.
A sostegno delle sue ragioni, ha richiamato la sentenza della Prima Sezione Centrale d’Appello di questa Corte n. 107/2015.
Ha, inoltre, richiesto, a questa Corte, di sollevare una questione di massima, innanzi alle SS.RR., per chiarire se un amministratore, che deliberi dopo un procedimento amministrativo (nel quale sono intervenuti gli organi dell’apparato burocratico dell’Ente senza nulla eccepire in ordine alla sussistenza di eventuali illegittimità dell’atto da adottare) possa rispondere, per colpa grave, di eventuali danni erariali conseguenti alla esecuzione della delibera adottata.
In relazione al punto n. 1, si osserva, che la ricorrenza dell’elemento soggettivo non può essere esclusa dal non possedere adeguate cognizioni tecnico-giuridiche giacché chi assume, per propria iniziativa, un munus pubblico ha anche l’onere di acquisire le necessarie cognizioni per espletarlo in conformità alla legge, altrimenti vi sarebbe una condizione soggettiva precostituita che legittimerebbe l’adozione di atti illegittimi, forieri di illeciti erariali e senza alcuna conseguenza per l’autore; ciò sarebbe, evidentemente, paradossale.
In relazione al punto n. 2, si osserva che, in disparte dalla limitata partecipazione, nella fattispecie di funzionari dell’Ente di cui si è già detto (in quanto il Ni. è stato il proponente della delibera di giunta n. 145/2008, i provvedimenti di nomina dei predetti collaboratori esterni sono stati sottoscritti solo dal Ni. stesso e, come già detto, dal funzionario preposto al Servizio Finanziario e, infine, le convenzioni per il conferimento dei singoli incarichi risultano sottoscritte solo dal collaboratore esterno e dal Ni. stesso) appare evidente che, nel caso in esame, le determinazioni sopra richiamate sono state adottate in macroscopico dispregio della disciplina applicabile e tale comportamento, pertanto, appare connotato quanto meno dall’elemento psicologico della colpa grave, poiché l’amministratore ha violato i principi fondamentali che presiedono all’attività amministrativa, nonché disposizioni di facile interpretazione contenute nella normativa di rango primario, nello statuto comunale e nel regolamento di organizzazione.
Tali ultime considerazioni consentono, infine, di escludere l’applicabilità di un eventuale potere riduttivo dell’addebito.
In ordine, poi, alla richiesta di rimettere la prospettata questione di massima alle SS.RR. di questa Corte si osserva quanto segue.
L’art. 1, comma 7, del decreto legge 15.11.1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella l. 14.01.1994 n. 19, prevede espressamente che “Le sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del procuratore generale”.
A tale norma, l’art. 42, comma 2, della l. 18.06.2009 n. 69 ha aggiunto un ultimo periodo e precisamente “Il Presidente della Corte può disporre che le sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza. Se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio.”.
E’ evidente che “…la decisione del giudizio" alla quale fa riferimento l’ultima parte del comma aggiunto può essere soltanto quella aventi ad oggetto i conflitti di competenza, le questioni di diritto e le questioni di massima, con esclusione di ogni possibile conferimento di poteri di valutazione del merito delle questioni controverse.
Una siffatta interpretazione della novella normativa si inserisce, quindi, nel contesto dei poteri e delle attribuzioni ben consolidate facenti capo alle Sezioni riunite, per cui la norma, lungi dall’aver voluto creare una nuova competenza (quella di esame del merito della controversia) in capo al Supremo Organo giurisdizionale, deve essere interpretata nell’unico significato possibile e costituzionalmente orientato, consistente nel principio che la rimessione del giudizio, in caso di dissenso, in tanto sia possibile in quanto sia diretta ad approfondire e a riesaminare sotto diversi profili la sola questione di diritto, con ragioni che devono essere congruamente esplicitate nell’ordinanza di rimessione.
In sostanza, le Sezioni riunite potrebbero, in caso di dissenso adeguatamente motivato, rivedere il principio di diritto affermato o dare una diversa soluzione alla questione di massima presentata rispetto a quanto in precedenza enunciato, rimettendo, poi, la definizione del merito della fattispecie agli organi giurisdizionali remittenti.
Nel caso di specie, facendo applicazione di predetti principi, deve ritenersi inammissibile la richiesta della difesa dell’appellante di sottoporre alle SS.RR. di questa Corte la predetta questione (e, cioè, se un amministratore, che deliberi dopo un procedimento amministrativo -nel quale sono intervenuti gli organi dell’apparato burocratico dell’Ente senza nulla eccepire in ordine alla sussistenza di eventuali illegittimità dell’atto da adottare- possa rispondere, per colpa grave, di eventuali danni erariali conseguenti alla esecuzione della delibera adottata) in quanto non è una questione di diritto ma una questione di merito che deve essere risolta e decisa con riferimento ad ogni singola ipotesi.
Infatti, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la sussistenza della colpa grave non può essere affermata in astratto ma deve essere valutata caso per caso.
Questo perché, non ogni condotta diversa da quella doverosa implica colpa grave ma solo quella che sia caratterizzata da particolare negligenza, imprudenza od imperizia e che sia posta in essere senza l’osservanza, nel caso concreto, di un livello minimo di diligenza, prudenza o perizia che dipende dal tipo di attività concretamente richiesto all’agente in quel settore della P.A. al quale è preposto e di tutte le circostanze soggettive ed oggettive esistenti al momento in cui la condotta causativa di danno è stata posta in essere.
Per le ragioni suesposte, l’appello deve essere respinto e la sentenza impugnata appare meritevole di conferma.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. appello Sicilia, sentenza 17.02.2016 n. 27).

INCARICHI PROFESSIONALIL’incarico professionale va provato. Il professionista che chiede il pagamento dei compensi per la propria prestazione deve provare che gli è stato conferito l’incarico.
Contratti. Niente compenso per la prestazione se l’architetto non è in grado di dimostrare il conferimento del lavoro anche se la commissione è stata eseguita.

Lo ribadisce la Corte d’appello di Lecce, Sez. distaccata di Taranto (presidente Alessandrino, relatore Cosenza), con la sentenza 01.02.2016.
Con decreto del 2001 il giudice aveva ingiunto a una Srl di pagare 74 milioni di lire a un architetto; la somma era stata richiesta quale compenso per l’opera che il professionista affermava di aver svolto su commissione della società.
Il Tribunale aveva poi revocato il provvedimento monitorio, accogliendo l’opposizione che la Srl aveva presentato in base all’articolo 645 del Codice di procedura civile. Contro la sentenza di primo grado il professionista ha quindi proposto appello, contestando la valutazione delle prove effettuata dal Tribunale.
Nel respingere l’impugnazione, la Corte osserva, innanzitutto, che «manca la prova scritta della commissione» e non risultano anticipazioni di «spese e/o acconti sul compenso ex articolo 2234 del Codice civile». Tant’è che l’ordine professionale, nel rilasciare il proprio parere di congruità sui compensi richiesti, aveva tenuto conto solo della relazione presentata dall’architetto, precisando che non era stata esibita alcuna lettera d’incarico. Ciò impone -prosegue il giudice d’appello- di «valutare rigorosamente la prova orale espletata» in primo grado.
Secondo la Corte, le testimonianze assunte dal Tribunale dimostrano che l’architetto aveva senz’altro svolto le «attività di cui invoca il compenso»; tuttavia, tali prove non consentono di ritenere che la Srl «sia stata la committente dell’opera» di cui il professionista ha chiesto il pagamento. La Corte conferma quindi la sentenza del Tribunale e condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, che liquida in tremila euro.
La decisione è conforme alla giurisprudenza della Corte suprema. Secondo il giudice di legittimità, il professionista che chiede il pagamento della propria prestazione d’opera deve dimostrare -si legge nella sentenza 1244 del 2000- «l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente e inequivocamente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera» da parte del cliente. Infatti, l’obbligo di eseguire una prestazione d’opera professionale intellettuale scaturisce da un contratto (articolo 2230 del Codice civile), che presuppone uno scambio di consensi tra committente e professionista.
Il che -conclude la Cassazione- «costituisce, prima ancora che un principio regolatore dei contratti di prestazione d’opera intellettuale, un principio regolatore dell’intera materia contrattuale»
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.04.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

gennaio 2016

INCARICHI PROFESSIONALI: L'incarico di consulenza diretta all'esterno dell'ente, camuffato da "corso di formazione del personale per futuri adempimenti amministrativi", è illegittimo e cagiona danno erariale.
Nulla quaestio in ordine alla possibilità per il personale di essere affiancato da esperti esterni nella fase di apprendimento di procedure complesse od innovative ma, nella fattispecie, tutto ciò non è avvenuto ed il rapporto si è invece concretizzato nella classica figura della consulenza esterna richiesta dalla Responsabile della Direzione Area di Coordinamento risorse, assumendosene la responsabilità per aver colposamente aggirato i limiti di spesa introdotti dal legislatore.
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A parere di questo Collegio, nella vicenda in esame si ravvisa l’esistenza di tutti i presupposti necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile.
In primo luogo è indubitabile che all’epoca degli eventi la parte convenuta era direttamente legata all’Amministrazione comunale da un rapporto di servizio, rilevanti però nella fattispecie sono l’indagine sull’elemento soggettivo, sul nesso causale e l’individuazione della posta di danno azionabile.
1. Elemento soggettivo
Sul punto è determinante il tenore del carteggio intercorso tra la convenuta (ed altri Dirigenti interessati) e la Srl Ca. e As..
Come già rilevato, tra l’altro, è stata acquisita dalla Gdf la “scheda di richiesta corso e di input alla progettazione” per l’inserimento nel “Piano annuale della formazione del personale” di quanto richiesto.
In effetti in esito a tale scheda, né datata né sottoscritta, risulta inserito nel suddetto piano un corso denominato “tutoring finalizzato alla ricostruzione dei fondi salario accessorio” destinato secondo la scheda a n. 5/10 dipendenti di cat. D3, e che, diversamente, nel Piano salgono a n. 25.
La natura di consulenza diretta, piuttosto che di formazione del personale per futuri adempimenti amministrativi, emerge al tenore delle mail rinvenute dalla GdF (all. 2/4 nota citata).
In data 20.04.2012 al dr. Ta. viene richiesto un suo “supporto per chiarire alcuni aspetti” circa le procedure seguite dal Comune per la ricostruzione del fondo miglioramento servizi relativamente agli straordinari per l’anno 1993 ex DPR 333/1990.
Sempre nella stessa mail viene richiesto se “la procedura adottata è corretta” e se può inviare una “tabella di calcolo che ritiene valida per verificare se abbiamo effettuato correttamente i calcoli” per quanto concerne la Dichiarazione congiunta n. 14 del CCNL del 2004.
In calce a tutto questo viene trasmesso in visione al dr. Ta. un elaborato circa il Riallineamento Progressioni Orizzontali.
Successivamente in data 28.04.2012 il suddetto dr. Ta. invia al Comune del “materiale relativo alle economie di gestione che abbiamo verificato con la Provincia di Perugia e, ancor prima, con il Comune di Perugia”.
In data 19.06.2012 il Comune invia “il materiale che stiamo predisponendo per la ricostruzione dei fondi”.
Il 26.06.2012 al dr. Ta. viene chiesto “qualche altro suggerimento per recuperare nuove risorse”.
In data 03.07.2012 il Comune allega una “delibera indirizzo delegazione trattante” nel testo “rivisto dopo tel. con Assessore”.
Il 22.07.2012 il dr. Ta. trasmette “il parere relativo al Comune di Monza di cui ti ho parlato”.
Con rinvio all’ulteriore documentazione in atti, tutta di analogo tenore, si può dedurre che ben prima dell’inizio del corso, formalizzato con la citata determina del 13.06.2012, era già avviata una attività di consulenza che sfocia, tra l’altro, in un parere datato 24.11.2012, il cui incipit “in relazione al quesito posto e dopo attenta disamina degli atti tutti per come trasmessi, esprimo il seguente sintetico avviso”, contraddice la natura dell’affermato tutoraggio di n. 25 dipendenti.
In realtà, dalla scarna documentazione reperita dalla GdF (all. 2/3 nota citata) presso la Direzione risorse umane del Comune, emergono solo sette schede presenza giornaliere con una media di 5/6 dipendenti o meglio dei Dirigenti apicali interessati e non risulta nemmeno un elaborato scritto, ad uso dei soggetti da “formare”.
Tutte queste considerazioni inducono il Collegio ad escludere la natura formativa della iniziativa che non si è neanche svolta sotto la forma dell’eccepito tutoraggio.
In altri termini nulla quaestio in ordine alla possibilità per il personale di essere affiancato da esperti esterni nella fase di apprendimento di procedure complesse od innovative ma, nella fattispecie, tutto ciò non è avvenuto ed il rapporto si è invece concretizzato nella classica figura della consulenza richiesta dalla dr.ssa Ne., nella sua qualità di Responsabile della Direzione Area di Coordinamento risorse, assumendosene la responsabilità per aver colposamente aggirato i limiti di spesa introdotti dal legislatore (di cui meglio infra).
2. Nesso
In effetti, nella fattispecie nessun dubbio sussiste in ordine alla circostanza che la contestazione del danno alla dr.ssa Ne. deriverebbe dal fatto che, trattandosi di attività di consulenza e non formativa, si sarebbe dovuta applicare la normativa relativa agli incarichi esterni la quale, come noto, è costituita da molteplici fonti.
Secondo quanto riportato espressamente nell’atto di citazione, “per quanto riguarda il caso in questione, vengono in rilievo l'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, che indica i presupposti di legittimità per il conferimento di incarichi; l'art. 3, comma 56, della l. n. 244/2007, che dispone che i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione devono essere fissati con apposito regolamento, e che la violazione delle disposizioni regolamentari costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale; l'art. 1, comma 127, della l. n. 662/1996; il Regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di Firenze.
In aggiunta, l'art. 3, comma 18, della l. n. 244/2007, abrogato dal d.lgs. n. 33/2013, ma all'epoca dei fatti in vigore, e quindi applicabile, disponeva che i contratti relativi ai rapporti di consulenza con le pubbliche amministrazioni erano efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del nominativo del consulente, dell'oggetto dell'incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell'amministrazione, mentre l'art. 1, comma 127, della l. n. 662/1996 (anch'esso abrogato, ma anch'esso applicabile), come modificato dall'art. 3, comma 54, della l. n. 244/2007, sanzionava l'omessa pubblicazione con la responsabilità erariale del dirigente preposto.
Tra l'altro, per le consulenze si pone anche il problema del rispetto del limite dell'importo massimo stabilito dalla legge, ai sensi del d.l. n. 78/2010, convertito in legge dall'art. 1, comma 1, della l. n. 122/2010, il quale prevede, all'art. 6, comma 7, che la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza non possa essere superiore al 20% di quella sostenuta nel 2009. Il che, presumibilmente, non avrebbe consentito al Comune di Firenze di venire incontro alle richieste della Ca. e As..
In definitiva, poiché non aveva rispettato la normativa prevista dalle norme di legge e regolamentari per l'affidamento di incarichi esterni, la dott.ssa Ne. appariva essere responsabile di un danno erariale, pari all'importo pagato alla Ca. e As., asseritamente a titolo di spesa per "formazione".

In sintesi il tenore delle dichiarazioni rese alla GdF ed i riscontri documentali integrano un nesso tra il comportamento, connotato da colpa azionabile e l’erogazione contra legem delle somme in questione.
3. Danno erariale
Come sostenuto dalla Procura in citazione e come integrato in sede di discussione orale, gli esborsi patrimoniali di cui trattasi sia per la non corretta imputazione e qualificazione della prestazione resa dalla Srl esterna, sia per la successiva riscontrata “inutilità” della stessa (come detto il Comune non ha dato esecuzione alla determina n. 2013/DD/00619 del 22.01.2013 che la Dr.ssa Ne. ha adottato alla fine del rapporto con il Dr. Ta.), costituiscono una posta di danno erariale (€. 20.000,00) che deve essere integralmente imputata a carico della Dr.ssa So.Ne., sia pure in termini omnicomprensivi di interessi e di rivalutazione monetaria.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono dovuti, invece, gli interessi nella misura del saggio legale fino al momento del saldo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Toscana, sentenza 25.01.2016 n. 28).

settembre 2015

INCARICHI PROGETTUALI: Intervento sostitutivo della stazione appaltante a favore di INARCASSA, ai sensi dell'art. 4, D.P.R. n. 207/2010.
La normativa vigente definisce il documento unico di regolarità contributiva (DURC) quale certificato che attesta la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti, specificamente, INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento (art. 6, D.P.R. n. 207/2010) e statuisce l'intervento sostitutivo della stazione appaltante espressamente nei confronti di detti istituti previdenziali in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappaltatore accertata con il DURC (art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010).
Per quanto concerne la possibilità per le stazioni appaltanti di applicare l'intervento sostitutivo anche nei confronti di INARCASSA, nell'ipotesi di irregolarità contributiva accertata verso quest'ultima, l'AVCP ha ritenuto che non si possa procedere ad un'applicazione analogica dell'art. 4, D.P.R. n. 407/2010, argomentando sulla base del tenore letterale dell'art. 6, D.P.R. n. 207/2010, che parla di accertamento della regolarità di un operatore economico per quanto concerne 'gli adempimenti INPS, INAIL, nonché Cassa edile per i lavori', e del fatto che le norme in tema di DURC sono contenute nel titolo II della parte I del D.P.R. n. 207/2010, contenente norme in materia 'di tutela dei diritti dei lavoratori'.

L'Ente chiede un parere in merito alla possibilità di liquidare gli importi dovuti ad un libero professionista, per l'incarico di RUP svolto, a prescindere dalla Certificazione di regolarità contributiva.
Un tanto anche alla luce dei pareri ANAC, secondo cui non sarebbe possibile per la stazione appaltante attivare la procedura sostitutiva, in caso di certificazione negativa di regolarità contributiva, stante la natura privata della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti (INARCASSA).
Sentito il Servizio lavori pubblici della Direzione centrale infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale, lavori pubblici, edilizia, si esprime quanto segue.
La questione posta dall'Ente è stata già affrontata da questo Servizio nel parere prot. n. 16037, del 07.05.2012
[1], le cui conclusioni si ritiene di confermare, non essendo nel frattempo sopravvenuti novelle normative, chiarimenti interpretativi o pronunce giurisprudenziali di diverso avviso.
In quella sede, nel richiamare la normativa in materia di DURC, in particolare gli artt. 6 e 4 del D.P.R. n. 207/2010
[2], nonché l'art. 90, comma 7, D.Lgs. n. 163/2006, in materia di appalti di servizi attinenti all'ingegneria ed all'architettura [3], si è affermato che, in considerazione della specificità della previsione di cui all'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, statuente l'intervento sostitutivo dell'amministrazione aggiudicatrice espressamente nel caso di irregolarità contributiva verso INP S, INAIL e cassa edile per il lavori, ed in assenza, altresì, di indicazioni da parte delle autorità competenti che in qualche modo estendano l'ambito di detto intervento sostitutivo, non sembra potersi sostenere una sua applicazione, per analogia, all'ipotesi di irregolarità contributiva verso INARCASSA.
Alle medesime conclusioni è pervenuta l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ( AVCP)
[4], argomentando dall'interpretazione letterale dell'art. 6, D.P.R. n. 207/2010, il quale in modo esplicito parla della funzione del DURC di accertamento della regolarità di un operatore economico per quanto concerne 'gli adempimenti INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento'. Per l'AVCP non solo sono indicati espressamente due istituti che erogano prestazioni contributive e assicurative, ma è anche prevista una (ed una sola) eccezione, la cassa edile. Inoltre, osserva l'AVCP, le norme in tema di DURC sono dettate nel titolo II della parte I del D.P.R. n. 207/2010, contenente nome in materia 'di tutela dei diritti dei lavoratori' [5].
Le considerazioni esposte consentono di ritenere, venendo al caso di specie, la possibilità per l'Ente di liquidare quanto dovuto al professionista incaricato del ruolo di RUP, con la precisazione, peraltro, che l'irregolarità contributiva verso INARCASSA può avere delle conseguenze per i pagamenti di importo superiore ad € 10.000 da effettuare da parte delle pubbliche amministrazioni, qualora INARCASSA si sia attivata per la riscossione dei contributi insoluti.
L'art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973, introdotto dall'art. 2, comma 9, D.L. n. 262/2006, convertito con modificazioni, dalla L. n. 286/2006, stabilisce, infatti, che 'le amministrazioni pubbliche e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare a, qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo'.
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[1] Il parere è consultabile sul sito della Regione Friuli Venezia Giulia, all'indirizzo web: http://autonomielocali.regione.fvg.it/
[2] L'art. 6 in parola definisce il documento unico di regolarità contributiva , a tutela dei lavoratori, in particolare il regime del Documento unico di regolarità contributiva (DURC). Detta norma definisce, inoltre, ai commi 3 e 4, le fasi in cui le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità.
L'art. 4, comma 2, in commento, prevede che nelle ipotesi in cui il DURC acquisito riveli un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, le amministrazioni aggiudicatrici trattengono dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza e dispongono il pagamento di quanto dovuto direttamente agli enti previdenziali e assicurativi.
[3] L'art. 90, comma 7, in commento, impone la verifica della regolarità contributiva in relazione alla fase di affidamento dell'incarico, senza recare ulteriori disposizioni per l'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva.
[4] Cfr. AVCP, ora ANAC, parere n. 26 del 06.10.2011. Sempre nel senso della non sostenibilità di un'applicazione analogica delle disposizioni in tema di intervento sostitutivo della stazione appaltante anche per l'irregolarità contributiva accertata verso INARCASSA, si è espressa anche l'ANCI, parere del 28.01.2015.
[5] Per completezza di esposizione, si segnala che INARCASSA, chiamata ad esprimersi sull'intervento sostitutivo in suo favore da parte della stazione appaltante, nel rilevare che detto istituto è previsto dalla legge in caso di irregolarità contributiva accertata verso INPS, INAIL e Casse Edili, si è dichiarata disponibile a ricevere le somme a copertura dei crediti contributivi da essa vantati, qualora la stazione appaltante ritenga di procedere in tal senso, previo accordo del professionista interessato (v. nota n. 96 del 12.03.2014)
(23.09.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Diplomati tecnici in forse. Accesso al tirocinio a misura di professione. Le posizioni delle categorie in attesa di chiarimenti di Miur e Giustizia.
Nuovi diplomati tecnici appesi a un filo. O meglio, in balia dei ministeri della giustizia e dell'istruzione.
Dopo la circolare con cui il Miur ha fissato nel IV livello di qualifica europeo (Eqf) le competenze rilasciate dal nuovo titolo di istruzione tecnica, i ragazzi che a luglio scorso sono entrati in possesso del diploma stanno andando incontro a sorti differenti (si veda ItaliaOggi del 28.08.2015).
A seconda della categorie interessate (periti industriali, geometri, periti agrari e agrotecnici) le soluzioni proposte per le iscrizioni ai tirocini cambiano. Almeno per ora. Il 22 settembre prossimo, infatti, presso il Miur è in programma un incontro interlocutorio tra i presidenti delle categorie e i funzionari che si stanno occupando della vicenda nella speranza che anche il dicastero del ministro Andrea Orlando si faccia sentire. In attesa, però, che la politica faccia il suo corso le categorie hanno dovuto scegliere quale strada percorre.
Divisi tra coloro che ritengono che il contenuto della circolare non imponga alcun tipo di restrizione e coloro che invece ritengono che la circolare metta un punto ad una questione su cui il Miur aveva sempre taciuto, in ballo c'è il futuro di migliaia di ragazzi in fila per le iscrizioni. E se i neodiplomati in questione sono aspiranti periti agrari la risposta che si sentiranno dare è un «forse».
Come, infatti, ha sottolineato il presidente del Centro studi Aspera (Associazione periti agrari) Andrea Bottaro, «è necessario che i ragazzi abbiano pazienza. Posto che secondo noi i neodiplomati non hanno effettivamente i requisiti per l'accesso al tirocinio in quanto, di fatto, non in possesso del titolo di periti agrari perché il nuovo diploma non lo prevede, stiamo mettendo in piedi una confronto con il ministero della giustizia affinché questi giovani possano usufruire dell'equivalenza del titolo», ha spiegato Bottaro, «così facendo, in un secondo momento potremo, prima farli iscrivere al tirocinio e, successivamente, fare arrivare i ragazzi ad un livello di preparazione tale da permettergli di fare l'esame finale». Per ora, quindi, tutti in fila in attesa. Situazione diversa, invece, quella dei periti industriali che ritengono che la circolare non lascia dubbi di sorta circa l'impossibilità di far accedere i ragazzi al tirocinio.
«Al momento abbiamo dato l'input ai nostri uffici di non accettare le iscrizioni dei neodiplomati», ha spiegato a ItaliaOggi il presidente del Consiglio nazionale dei periti industriali e dei periti industriali Laureati, Giampiero Giovannetti, «fino a che non arriveranno chiarimenti dai ministeri le porte sono chiuse. Non possiamo, infatti, correre il rischio di far iscrivere dei ragazzi e poi dover dire loro a percorso iniziato che non possono più avere accesso all'esame perché privi dei requisiti necessari».
Strade percorribili, quindi, o l'iscrizione all'università o un percorso presso gli istituti tecnici superiori, con tutte le conseguenze del caso. Ipotesi diametralmente opposta, quella di geometri e agrotecnici. Per entrambi, infatti, se pur con motivazioni differenti non sussistono dubbi di sorta circa la possibilità di fare iscrivere i ragazzi neodiplomati.
«Per quanto riguarda la nostra categoria», ha spiegato a ItaliaOggi il presidente del Consiglio nazionale geometri e geometri laureati Maurizio Savoncelli, «i riferimenti normativi sono chiari ( dpr 328/2010 e legge 75/1985) e ci danno la possibilità di far iscrivere senza nessun problema i ragazzi al praticantato. Esiste, infatti, raccordo normativo tra il vecchio e il nuovo diploma». Per gli aspiranti geometri, quindi, nessun problema e iscrizioni aperte. Stessa sorte, infine, anche per gli aspiranti agrotecnici (articolo ItaliaOggi del 17.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

agosto 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: La colpevolezza degli Organi politici, che hanno posto in essere provvedimenti ritenuti forieri di danno, può non assurgere a gravità perseguibile, nel caso in cui gli stessi abbiano adottato le contestate decisioni sulla base del parere di un organo tecnico.
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Il Collegio rileva la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa nei confronti degli odierni convenuti
giusti i profili di antigiuridicità delle condotte poste in essere dagli stessi laddove si è contravvenuto alle disposizioni del Regolamento del Comune il quale precisa che “
in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno successivo”.
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Il caso in esame risulta riconducibile al comma 1 dell’art. 110 dlgs n. 267/2000, riferendosi all’affidamento di un posto di funzioni già previsto in pianta organica.
Infatti, la riconducibilità del caso di specie all’ipotesi disciplinata al comma 1 dell’art. 110 del TUEL è peraltro affermata nella stessa iniziale delibera n. 167/2011 di conferimento dell’incarico alla Lo. ove si precisa che
“… si rende necessario provvedere all’individuazione ed al conferimento dell’incarico di responsabile dell’Area Tecnica”.
Pertanto,
rientrando la fattispecie in esame nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 110 TUEL, molteplici appaiono i profili di illegittimità che hanno caratterizzato la condotta dei convenuti.
Comunque, anche prescindendo dal fatto che si applichi al caso di specie il comma 1 e non il comma 2 dell’art. 110 del TUEL,
è indubbio che nell'individuazione dei soggetti cui conferire un incarico ai sensi di tale articolo di legge siano insuperabili i fondamentali canoni di legittimità, imparzialità e buon andamento, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, in ragione dei quali, pur essendo insiti in tali procedure il carattere della discrezionalità ed un margine più o meno ampio di fiduciarietà, è indispensabile che le amministrazioni assumano la relativa determinazione con una trasparente ed oggettiva valutazione della professionalità del soggetto affidatario che non può basarsi su valutazioni meramente soggettive, ma deve essere ancorata quanto più possibile a circostanze oggettive.
L'esigenza di operare scelte discrezionali ancorate a parametri quanto più possibili oggettivi e riscontrabili evidenzia l'opportunità che le amministrazioni si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali per l'affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi. Ciò al fine di consolidare anche in questo ambito la trasparenza e ridurre le possibilità di contenzioso.
Tale convincimento si fonda anche su costante giurisprudenza del
la Corte Costituzionale che
ha espresso un chiaro orientamento volto ad escludere l’esistenza di una “dirigenza di fiducia” e dunque la possibilità di un’interpretazione della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una procedimentalizzazione dell’iter da seguire.
Con riferimento al caso di specie
gli odierni convenuti, ciascuno secondo il ruolo ricoperto nell’adozione delle deliberazioni in argomento, hanno, invece, determinato il conferimento diretto dell’incarico ad personam alla Lo., senza avere preventivamente fissato i criteri per la selezione e valutazione dei curricula dei potenziali aspiranti né adottato misure di pubblicità ma effettuando tale scelta sulla base di una valutazione personale ampiamente discrezionale.
Appare dunque, in assenza di idonea motivazione, del tutto irragionevole, quasi al limite della contraddittorietà, la scelta operata dal Sindaco e dalla Giunta, con l’assistenza del Segretario comunale di affidare ad un soggetto estraneo all’Amministrazione le funzioni di Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pontevico.

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L’ente locale conferente non può far ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale.
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Si ritiene che il comportamento tenuto da tutti i convenuti nell’odierno giudizio sia particolarmente inescusabile e connotato da colpa grave, alla luce dell’inequivoca normativa di riferimento e della costante giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte formatasi in materia di conferimento di incarichi a soggetti estranei all’Amministrazione.

Risulta di immediata percezione, infatti, che il carattere indubbiamente fiduciario delle nomine non può debordare nell’arbitrio ma deve comunque corrispondere a dei canoni (sindacabili in questa sede) di ragionevolezza e buona amministrazione.
Pertanto,
anche ammettendo l’impossibilità, indimostrata nell’odierno giudizio, di far fronte al fabbisogno con professionalità interne, ipotizzate non idonee, l’acquisizione dall’esterno di tali figure doveva avvenire previa verifica delle professionalità disponibili, condotta anche a seguito di idonea pubblicità.
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La rimanente quota del 10% di danno erariale addebitabile al Revisore dei conti per il parere favorevole fornito ai sensi del comma 42 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 sulla delibera n. 35/2012, dovrà restare a carico della collettività, stante la mancata citazione nei confronti di questi ultimi.

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Passando ora al caso di specie va rilevato che il conflitto esistente fra la posizione degli amministratori (Bo., Gu. e Fr.) rispetto a quella del Responsabile pro tempore del Servizio Finanziario dell’Ente (Ma.), non è solo “virtuale”, ma concreto ed è rilevabile dagli atti del processo.
Infatti, ad esempio, nella delibera n. 5 del 10.01.2012, con cui veniva prorogato l’incarico di Responsabile di P.O. all’Arch. Lo. per il periodo gennaio-dicembre 2012, si premette che tale decisione è stata adottata dopo aver “visto, altresì, il parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dalla dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”.
Tanto precisato, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte,
la colpevolezza degli Organi politici, che hanno posto in essere provvedimenti ritenuti forieri di danno, può non assurgere a gravità perseguibile, nel caso in cui gli stessi abbiano adottato le contestate decisioni sulla base del parere di un organo tecnico.
Pertanto, tenuto conto che la Ma., Responsabile del Settore Finanziario, si è costituita congiuntamente ai Membri della Giunta Comunale (Bo., Fr. e Gu.), con unica memoria del medesimo difensore (Do.Be.), il conflitto di interessi tra i convenuti appare evidente e reale e ciò comporta –per pacifica e risalente giurisprudenza– la nullità della costituzione in giudizio e la conseguente contumacia dei convenuti (cfr. in proposito Cass. Sez. III n. 2779/68).
Nel merito il Collegio deve per prima cosa precisare che
con riguardo all’affidamento dell’incarico all’Architetto An.Lo. si rileva che:
-
tale incarico è stato affidato al menzionato Architetto con delibera n. 167/2011 della Giunta comunale di Pontevico, costituendo così per il periodo dal 29 agosto al 31.12.2011 … in applicazione dell’art. 110, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, un rapporto lavorativo a tempo determinato, di diritto privato, al di fuori della dotazione organica, consistente nell’attribuzione della responsabilità dell’Area Tecnica …”, in conseguenza del fatto che l’Ingegnere Em.Ro. aveva “… presentato formale rinuncia a ricoprire …” tale area;
- il trattamento economico complessivo risulta pari ad “… euro 1.300,00, riferito a n. 8 ore di servizio settimanale”, oltre all’incremento “… nella misura del 4% a titolo di contributo previdenziale e del 20% quale imponibile IVA”;
-
tale delibera è stata emessa tenendo conto anche dei “… pareri favorevoli espressi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Segretario Comunale, in qualità di Responsabile dell’Area Amministrativa e di Responsabile dell’Area Finanziaria …” e dell’attestazione di copertura finanziaria rilasciata nel caso di specie sempre dal Segretario Comunale;
- il provvedimento in esame è stato deliberato nella riunione della Giunta Comunale del 16.08.2011 presieduta dal Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Mi. ed al Gu. (cfr. all. n. 1 del fascicolo della Procura);
- con successiva delibera n. 5/2012
l’incarico affidato alla Lo. veniva prorogato per tutto l’anno 2012 stabilendo il medesimo importo e le stesse ore settimanali già individuati nella precedente delibera;
-
in tale provvedimento si è tenuto conto anche del “… parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Segretario Comunale, in qualità di Responsabile dell’Area Amministrativa in ordine alla regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto …” e “… della dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta Comunale del 10.01.2012 presieduta dal Gu. nella sua qualità di Vice Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Mi. ed al Re. (cfr. all. n. 2 del fascicolo della Procura);
- con delibera n. 64/2012 è stato deciso che
per il periodo intercorrente dal 1° aprile al 31.12.2012 l’orario di lavoro settimanale della Lo. fosse aumentato da 8 a 12 con conseguente aumento dell’importo mensile da corrispondere per euro 2.400,00 oltre al 4% a titolo di contributo previdenziale ed al 21% per IVA;
-
in tale provvedimento si è tenuto conto anche del “… parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dall’arch. Lo.An., Responsabile dell’Area Tecnica, in ordine alla regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto …” e “della dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta Comunale del 27.03.2012 presieduta dal Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Gu., al Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 3 del fascicolo della Procura);
- infine, con delibera n. 165/2012
l’incarico della Loda veniva prorogato per tutto il 2013 con le medesime condizioni di tempo di impiego (12 ore settimanali) ed economiche (euro 2.400,00 oltre al 4% a titolo di contributo previdenziale ed al 21% per IVA), già individuate nella precedente delibera;
- anche in questo caso per la formazione di tale delibera
si è tenuto conto sempre del “… parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dall’arch. Lo.An., Responsabile dell’Area Tecnica, in ordine alla regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto …” e “della dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta Comunale del 18.12.2012 presieduta dal Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Mi., al Gu., al Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 4 del fascicolo della Procura).
Per quanto poi riguarda la posizione della Geometra Ti.Az. si rileva invece che:
- con delibera n. 35/2012 la Giunta comunale di Pontevico ha affidato alla menzionata Geometra “… l’incarico di prestazione d’opera intellettuale al fine dell’espletamento delle attività legate al settore edilizia privata ed urbanistica …” in considerazione del fatto che “il dipendente Ing. Em.Ro. ha presentato domanda di mobilità in data 30/01/2012”;
- il trattamento economico risulta pari ad euro 28,00 all’ora incluso IVA ed oneri previdenziali per n. 8 ore settimanali;
-
tale delibera è stata emessa tenendo conto anche dei “… pareri favorevoli espressi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Responsabile dell’Area Tecnica, arch. Lo.An. e dal Responsabile dell’Ufficio Ragioneria, Ma. dott.ssa St., in ordine –rispettivamente– alla regolarità tecnica e contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto";
- il provvedimento in esame è stato deliberato nella riunione della Giunta Comunale del 31.01.2012 presieduta dal Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Gu. ed al Re. (cfr. all. n. 5 del fascicolo della Procura);
- da ultimo, con delibera n. 166/2012 l’incarico della Az. veniva prorogato per tutto il 2013 con le medesime condizioni di tempo di impiego (8 ore settimanali) ed economiche (euro 28,00 all’ora incluso IVA ed oneri previdenziali), già individuate nella precedente delibera;
- anche in questo caso per la formazione di tale delibera
si è tenuto conto sempre dei “… pareri favorevoli espressi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Responsabile dell’Area Tecnica, arch. Lo.An. e dal Responsabile dell’Ufficio Ragioneria, Ma. dott.ssa St., in ordine –rispettivamente– alla regolarità tecnica e contabile sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto";
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta Comunale del 18.12.2012 presieduta dal Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Mi., al Gu., al Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 5.1 del fascicolo della Procura).
Tanto premesso, per entrambe le posizioni sopra dettagliatamente descritte
il Collegio rileva la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa nei confronti degli odierni convenuti.
Ora prima di esaminare distintamente per posizione (Lo. e Az.) i profili di antigiuridicità delle condotte poste in essere dagli odierni convenuti va rilevato a fattor comune che il Regolamento del Comune di Pontevico all’art. 2, punto 6) precisa che “
in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno successivo”.
Pertanto, considerato che l’incarico è stato affidato alla Lo. il 29.08.2011 e alla Az. il 31.01.2012, poi entrambi prorogati nelle successive annualità,
deve rilevarsi, come peraltro evidenziato nella delibera 20.02.2014 n. 83 e nella
delibera 20.02.2014 n. 84 della Sezione di Controllo per la Regione Lombardia … la mancanza del presupposto di legittimità per l’affidamento di incarichi per gli esercizi 2012 e 2013, in palese violazione del regolamento comunale” atteso che “… il comune di Pontevico, mediante elusione, non ha rispettato il Patto di stabilità per l’anno 2010 (così come accertato dalla deliberazione di questa Sezione n. 409/2012/PRSE depositata il 25/09/2012, con corredo sanzionatorio per l’anno 2013) ed ha violato il Patto di stabilità per l’anno 2011 (delibera n. 293/2013/PRSE depositata il 25/06/2013, con applicazione delle sanzioni per l’anno 2012, susseguente la violazione)”.
Tanto precisato, con riguardo all’incarico affidato all’Architetto Lo. deve evidenziarsi, ai fini del corretto inquadramento della vicenda in esame, che l’art. 110, commi 1, 2 e 3 del TUEL, D.lgs. n. 267/2000 –nel testo precedente le modifiche apportate dal D.L. 24.06.2014, n. 90– così disponeva: "1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire;
2. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell'ente arrotondando il prodotto all'unità superiore, o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità;
3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio
”.
Alla luce del riportato testo normativo, appare ora necessario esaminare le due distinte previsioni di cui al primo ed al secondo comma del citato art. 110.
Il diverso ambito di applicazione delle due ipotesi, oltre a risultare evidente dal dato letterale, riferendosi un caso alla copertura di posti di responsabile di area amministrativa “già in organico”, l’altro ai contratti a tempo determinato stipulati “al di fuori della dotazione organica”, è chiarito anche dal
le SS.RR. di questa Corte che in sede di controllo (Del. nn. 12 e 13 del 2011) si sono pronunciate in ordine alla diretta applicabilità agli enti territoriali, limitatamente al conferimento degli incarichi dirigenziali a contratto previsti dall’art. 110, comma 1, TUEL, delle disposizioni contenute nell’art. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. 165/2011 ed hanno avuto modo di definire quella al comma 2 come “una fattispecie del tutto diversa da quella disciplinata dal comma precedente, in quanto volta a sopperire, ad esigenze gestionali straordinarie che, sole, determinano l’opportunità di affidare funzioni, anche dirigenziali, extra ordinem e quindi al di là delle previsioni della pianta organica dell’Ente locale”.
Tanto precisato, il caso in esame risulta più correttamente riconducibile al comma 1 dell’art. 110, riferendosi all’affidamento di un posto di funzioni già previsto in pianta organica.
Infatti, la riconducibilità del caso di specie all’ipotesi disciplinata al comma 1 dell’art. 110 del TUEL è peraltro affermata –contraddittoriamente con le motivazioni delle delibere sopra richiamate e con le prospettazioni difensive opposte nell’odierno giudizio– nella stessa iniziale delibera n. 167/2011 di conferimento dell’incarico alla Lo. ove si precisa che
“… si rende necessario provvedere all’individuazione ed al conferimento dell’incarico di responsabile dell’Area Tecnica”.
Pertanto,
rientrando la fattispecie in esame nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 110 TUEL, molteplici appaiono i profili di illegittimità che hanno caratterizzato la condotta dei convenuti.
Comunque, anche prescindendo dal fatto che si applichi al caso di specie il comma 1 e non il comma 2 dell’art. 110 del TUEL,
è indubbio che nell'individuazione dei soggetti cui conferire un incarico ai sensi di tale articolo di legge siano insuperabili i fondamentali canoni di legittimità, imparzialità e buon andamento, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, in ragione dei quali, pur essendo insiti in tali procedure il carattere della discrezionalità ed un margine più o meno ampio di fiduciarietà, è indispensabile che le amministrazioni assumano la relativa determinazione con una trasparente ed oggettiva valutazione della professionalità del soggetto affidatario che non può basarsi su valutazioni meramente soggettive, ma deve essere ancorata quanto più possibile a circostanze oggettive.
L'esigenza di operare scelte discrezionali ancorate a parametri quanto più possibili oggettivi e riscontrabili evidenzia l'opportunità che le amministrazioni si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali per l'affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi. Ciò al fine di consolidare anche in questo ambito la trasparenza e ridurre le possibilità di contenzioso.
Tale convincimento si fonda anche su costante giurisprudenza del
la Corte Costituzionale (sentenze n. 103 e 104 del 2007 e sentenza n. 161 del 2008) che ha espresso un chiaro orientamento volto ad escludere l’esistenza di una “dirigenza di fiducia” e dunque la possibilità di un’interpretazione della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una procedimentalizzazione dell’iter da seguire.
Con riferimento al caso di specie
gli odierni convenuti, ciascuno secondo il ruolo ricoperto nell’adozione delle deliberazioni in argomento, hanno, invece, determinato il conferimento diretto dell’incarico ad personam alla Lo., senza avere preventivamente fissato i criteri per la selezione e valutazione dei curricula dei potenziali aspiranti né adottato misure di pubblicità ma effettuando tale scelta sulla base di una valutazione personale ampiamente discrezionale.
Appare dunque, in assenza di idonea motivazione, del tutto irragionevole, quasi al limite della contraddittorietà, la scelta operata dal Sindaco e dalla Giunta, con l’assistenza del Segretario comunale di affidare ad un soggetto estraneo all’Amministrazione le funzioni di Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pontevico.

Passando ora all’incarico affidato alla Az. è sufficiente sul punto fare integrale richiamo agli innumerevoli profili di illegittimità individuati dalla delibera 20.02.2014 n. 84 della Sezione regionale di Controllo Lombardia e condivisibilmente rilevati anche per l’incarico alla Loda con la delibera 20.02.2014 n. 83 sempre della stessa Sezione regionale.
In particolare, in quella sede per entrambi gli incarichi è stata eccepita la violazione dell’art. 7 TUPI nella parte in cui “
… impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico …” e relativamente “… alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente”.
Nello specifico per entrambe le posizioni è stato affermato che “
… non è riscontrabile il presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente. Ne consegue che l’ente locale conferente non può far ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale” (cfr. delibera 20.02.2014 n. 83 e delibera 20.02.2014 n. 84 Sez. Regionale Controllo Lombardia).
Occorre ora valutare se le condotte finora descritte siano frutto di comportamenti dolosi o gravemente colposi che hanno prodotto danno all’erario comunale.
In proposito,
si ritiene che il comportamento tenuto da tutti i convenuti nell’odierno giudizio sia particolarmente inescusabile e connotato da colpa grave, alla luce dell’inequivoca normativa di riferimento e della costante giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte formatasi in materia di conferimento di incarichi a soggetti estranei all’Amministrazione.
Risulta di immediata percezione, infatti, che il carattere indubbiamente fiduciario delle nomine non può debordare nell’arbitrio ma deve comunque corrispondere a dei canoni (sindacabili in questa sede) di ragionevolezza e buona amministrazione.
Pertanto,
anche ammettendo l’impossibilità, indimostrata nell’odierno giudizio, di far fronte al fabbisogno con professionalità interne, ipotizzate non idonee, l’acquisizione dall’esterno di tali figure doveva avvenire previa verifica delle professionalità disponibili, condotta anche a seguito di idonea pubblicità.
In relazione alla sussistenza del danno e alla sua quantificazione, secondo la Procura esso in fattispecie consiste nella retribuzione lorda, pari ad euro 99.870,77, che il Comune di Pontevico ha corrisposto complessivamente alla Lo. e alla Az. per effetto del conferimento e delle successive proroghe dei due incarichi.
Tale importo è stato addebitato agli odierni convenuti e per la ripartizione delle relative quote ne sono stati ipotizzati i criteri, come in fatto riportati.
Tutto ciò premesso, prima dell’individuazione della percentuale di responsabilità dei convenuti, il Collegio deve valutare la fondatezza dell’eccezione difensiva per cui dal danno erariale, come prospettato dalla Procura, dovrebbe essere detratta l’utilitas comunque conseguita dall’Amministrazione comunale, ipotizzata in via subordinata dai convenuti.
Nel caso specifico, considerato che nel loro complesso i due incarichi consentivano di svolgere in sostanza le medesime funzioni che l’Ing. Ro. svolgeva per dovere istituzionale alle dipendenze dell’Amministrazione comunale (prima della formale rinuncia di quest’ultimo a ricoprire la P.O. dell’Area Tecnica e del suo trasferimento per mobilità volontaria),
ne deriva la ricorrenza dei presupposti per riconoscere l’utilità delle attività comunque svolte in esecuzione degli incarichi in esame a vantaggio del Comune di Pontevico. Inoltre, poiché detta utilità è conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto causativo dell'addebito contestato, la stessa deve considerarsi come un vantaggio economicamente valutabile (cfr. Sez. Emilia Romagna n. 874 del 19.03.2002 e n. 12 del 19.01.1998; Sez. III n. 126 dell’11.05.1998; Sez. Lombardia n. 1000 del 24.06.1998).
Tale utilità, si precisa tuttavia, non è idonea, come invece vorrebbero le difese dei convenuti, ad elidere integralmente il pregiudizio patrimoniale causato al Comune di Pontevico.
Di conseguenza, operando una valutazione equitativa delle prestazioni svolte dall’Architetto Lo. e dalla Geometra Az. per l’Amministrazione danneggiata e tenuto conto dei vantaggi da questa conseguiti in conseguenza degli incarichi illegittimi, si ritiene equo determinare il danno nell’importo complessivo di euro 30.000,00 comprensivo di rivalutazione monetaria. Detto importo tiene conto delle retribuzioni che in ogni caso il Comune avrebbe dovuto erogare in favore del funzionario destinato a svolgere quelle mansioni.
Pertanto, ferma restando la quantificazione generale del danno così rideterminata, la ricostruzione sin qui svolta induce a ritenere che, per quanto attiene al Sindaco Bo., il suo ruolo sia stato preminente rispetto agli altri componenti della Giunta, avendo sia per la Lo. che per l’Az. presieduto, votando in senso favorevole, le sedute che hanno deliberato l’affidamento dei rispettivi incarichi; ad esso, pertanto, deve essere imputato il 20% del danno anche in considerazione del fatto che ha presieduto, votando sempre in senso favorevole, anche le sedute di Giunta che hanno prorogato tali incarichi ad eccezione di quella tenutasi in data 10.01.2012 che ha visto la proroga dell’incarico affidato alla Lo. per tutto il 2012 e per la quale è risultato assente. Inoltre, si aggiunga anche il fatto che sempre il Bo. ha firmato in rappresentanza del Comune di Pontevico i disciplinari di incarico in esecuzione delle delibere in esame.
Per quanto poi riguarda il Vice Sindaco Gu. (presente a tutte le sedute che hanno dato luogo sia all’affidamento degli incarichi sia ai successivi rinnovi e votante in tutte, in senso favorevole) e l’Assessore Fr. (assente solo nella seduta di Giunta del 16.08.2011 che ha determinato con delibera n. 167/2011 il conferimento dell’incarico alla Lo. e presente, nonché votante in senso favorevole in tutte le altre sedute) il Collegio ritiene che l’acritica ratifica delle decisioni portate all’attenzione degli organi collegiali abbia contribuito al verificarsi del pregiudizio accertato e debba essere sanzionata con l’addebito rispettivamente del 10% al Gu. e del 5% al Fr. del danno erariale così come sopra complessivamente quantificato.
La rimanente quota del 15% addebitabile agli altri componenti della Giunta regionale (Mi., Re. e Pi.) presenti (in particolare solo Mi. per la delibera n. 167/2011; Mi. e Re. per la delibera n. 5/2012; Re. per la delibera n. 35/2012; Re. e Pi. per la delibera n. 64/2012; Mi., Re. e Pi. per la delibera 165/2012 e sempre Mi., Re. e Pi. per la delibera n. 166/2012) nelle sedute in esame e votanti sempre in senso favorevole, dovrà restare a carico della collettività, stante la mancata citazione nei confronti di questi ultimi.
Sussiste altresì la specifica responsabilità sempre per colpa grave del segretario comunale Lo. avendo questi vistato tutti i disciplinari di incarico in esecuzione delle delibere in trattazione e rilasciato:
- per la delibera n. 167/2011 (con cui è stato conferito per la prima volta l’incarico alla Lo.) il parere favorevole nella qualità sia di Responsabile dell’Area Amministrativa che di quella Finanziaria, nonché l’attestazione di copertura finanziaria;
- per la delibera n. 5/2012 il parere favorevole nella qualità di Responsabile dell’Area Amministrativa.
Al segretario Lo. deve, quindi, essere imputata, anche in considerazione della partecipazione attiva solo in due delibere, una quota pari al 20% del danno riconosciuto.
Per quanto poi riguarda la Dott.ssa Ma. il Collegio rileva che
quest’ultima deve altresì rispondere sempre per colpa grave avendo questi rilasciato:
- per la delibera n. 5/2012 il parere favorevole in qualità di Responsabile del Sevizio Finanziario;
- per la delibera n. 35/2012 il parere favorevole in qualità di Responsabile dell’Ufficio di Ragioneria;
- per la delibera n. 64/2012 il parere favorevole in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario;
- per la delibera n. 165/2012 il parere favorevole in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario;
- per la delibera n. 166/2012 il parere favorevole in qualità di Responsabile dell’ufficio di Ragioneria.
Pertanto, alla Dott.ssa Ma., considerato il diffuso apporto tecnico fornito, deve essere imputata una quota pari al 20% del danno riconosciuto.
La rimanente quota del 10% addebitabile al Revisore dei conti per il parere favorevole fornito ai sensi del comma 42 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 sulla delibera n. 35/2012, dovrà altresì restare a carico della collettività, stante la mancata citazione nei confronti di questi ultimi.
Di conseguenza il complessivo danno erariale, quantificato in complessivi euro 30.000,00, deve così imputarsi:
- Bo. la somma di euro 6.000,00 (20% di euro 30.000,00);
- Gu. la somma di euro 3.000,00 (10% di euro 30.000,00);
- Fr. la somma di euro 1.500,00 (5% di euro 30.000,00);
- Lo. la somma di euro 6.000,00 (20% di euro 30.000,00);
- Ma. la somma di euro 6.000,00 (25% di euro 30.000,00).
La condanna alle spese segue la soccombenza anche per i convenuti dichiarati contumaci, sulla base del consolidato principio della Corte di Cassazione secondo cui “l’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7182 del 30/05/2000 e recentemente Cass. Civ. Sez. VI Ordinanza n. 373 del 13.01.2015) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 04.08.2015 n. 142).

luglio 2015

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOPosizione Organizzativa. Condanna per inutile conferimento di incarico di Posizione Organizzativa a personale esterno.
I giudici contabili lombardi, pur verificando la conformità alla legge del conferimento di incarico di Posizione Organizzativa ad un soggetto esterno, dimostrano l'inutilità delle funzione conferite, chiamano a rispondere del relativo danno erariale, equivalenti alle spese inutilmente sopportate, i soggetti che a vario titolo hanno partecipato al citato conferimento dell'incarico.
In particolare
sono stati chiamati in ugual misura a rispondere del danno erariale:
a) il Sindaco, in quanto partecipante in via prevalente alla citata inutile nomina;
b) il Segretario Comunale, per aver ricoperto il citato ruolo prima dell'affidamento dell'incarico senza aver obiettano nulla sulla sua inutilità;
c) il soggetto percettore dell'incarico, in quanto in qualità di funzionario dell'ex Ages non poteva non sapere dell'inutilità dell'incarico che gli veniva conferito.

Infine la parte restante del danno erariale, pari al 10% delle somme inutilmente spese, è stata attribuita ai componenti della Giunta Comunale per aver adottato la deliberazione di conferimento dell'incarico (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 27.07.2015 n. 134).

giugno 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: Ai fini del legittimo conferimento degli incarichi esterni il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate non può essere derogato con affidamento diretto per incarichi al di sotto di una determinata soglia monetaria di spesa. L’eventuale difforme previsione regolamentare dell’ente deve essere oggetto di disapplicazione.
Con l’atto di conferimento di incarico esterno il funzionario che impegna la spesa deve accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
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La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”.
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I presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165.
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
   a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge”;
   b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

   c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
   d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
   e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al d.lgs. 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore;

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati);
inoltre in sede di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009 convertito dalla legge n. 102/2009, ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare ed amministrativa.
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L’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in proposito è stato affermato che “il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto”
.
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” ed ancora: “qualsivoglia pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un professionista esterno un incarico di collaborazione, di consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione del servizio".
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto modo di statuire che: “
il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in concreto posto la necessità dell’espletamento della procedura concorsuale, nella considerazione che un simile modus operandi, implicando il rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97”.
Pertanto,
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico”
.
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia.
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa Sezione ha già avuto modo di affermare, esaminando un regolamento comunale che prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per incarichi eccedenti una determinata soglia monetaria, che una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di conversione, a mente del quale “
Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di sotto delle quali le procedure comparative non sono necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “
Va aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui, quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato, salve circostanze del tutto particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.)”.
In proposito occorre evidenziare quindi che
non risulta compatibile con il vigente quadro normativo la disciplina prevista dal regolamento dell’ente camerale del 11.07.2008 (art. 7, lett. b), peraltro non oggetto di approvazione con deliberazione collegiale di questa Sezione, secondo cui sarebbe possibile procedere ad affidamenti senza procedura di comparazione per incarico di ammontare sino ad € 5.000,00, oltre IVA ed eventuali oneri obbligatori. Conseguentemente l’ente camerale avrebbe dovuto correttamente, previa disapplicazione della citata previsione regolamentare, provvedere ad individuare l’incaricato a seguito di procedura comparativa pubblica, in conformità con l’art. 7, comma 6-bis, d.lgs. n. 165/2001.

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I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo complessivo superiore a cinquemila euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge dell’incarico conferito dalla Camera di Commercio occorre rammentare che
i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in tal senso, si richiama il parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione.
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge (Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008);
b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al d.lgs. 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore;

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte parere 25.10.2013 n. 362); inoltre in sede di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009 convertito dalla legge n. 102/2009, ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare ed amministrativa.
  
II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di legittimità per il conferimento dell’incarico occorre evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti con la nota pervenuta il 24.04.2015, solo con riferimento ad alcuni aspetti oggetto di rilievo risultano essere state fornite indicazioni o chiarimenti atti a giustificare sotto un profilo di regolarità e legittimità l’operato dell’amministrazione.
In particolare è stata fornita puntuale indicazione circa l’avvenuta pubblicazione dell’incarico conferito sul sito web dell’amministrazione e circa il rispetto dei limiti di spesa fissati dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010. Non adeguate risultano invece le giustificazioni inerenti l’affidamento dell’incarico in via diretta e l’accertamento preventivo della compatibilità con i vincoli finanziari del programma di spesa.
1. In primo luogo va rilevato che
l’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in proposito è stato affermato che “il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed ancora: “qualsivoglia pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un professionista esterno un incarico di collaborazione, di consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione del servizio” (TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte Conti sez. reg. contr. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37; parere 27.11.2012 n. 509 che ribadiscono i principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto modo di statuire che: “
il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in concreto posto la necessità dell’espletamento della procedura concorsuale, nella considerazione che un simile modus operandi, implicando il rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto,
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico
(ex plurimis, parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia (Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/2010 e n. 8/2010; cfr le recenti Sez. contr. reg. Piemonte parere 25.10.2013 n. 362; parere 19.12.2013 n. 421).
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa Sezione (
parere 20.12.2012 n. 5) ha già avuto modo di affermare, esaminando un regolamento comunale che prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per incarichi eccedenti una determinata soglia monetaria, che una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di conversione, a mente del quale “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di sotto delle quali le procedure comparative non sono necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “
Va aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui, quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato, salve circostanze del tutto particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.) (cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)” (cfr. di recente sez. controllo Piemonte, parere 11.04.2014 n. 11).
In proposito occorre evidenziare quindi che
non risulta compatibile con il vigente quadro normativo la disciplina prevista dal regolamento dell’ente camerale del 11.07.2008 (art. 7, lett. b), peraltro non oggetto di approvazione con deliberazione collegiale di questa Sezione, secondo cui sarebbe possibile procedere ad affidamenti senza procedura di comparazione per incarico di ammontare sino ad € 5.000,00, oltre IVA ed eventuali oneri obbligatori. Conseguentemente l’ente camerale avrebbe dovuto correttamente, previa disapplicazione della citata previsione regolamentare, provvedere ad individuare l’incaricato a seguito di procedura comparativa pubblica, in conformità con l’art. 7, comma 6-bis, d.lgs. n. 165/2001.
In coerenza con quanto detto l’ente camerale nel conformarsi alla presente pronuncia dovrà, tra l’altro, procedere per il futuro alla immediata disapplicazione della citata disposizione regolamentare, fermo restando la doverosità di una modifica al testo regolamentare nella parte oggetto del segnalato contrasto con la disciplina legislativa come puntualmente interpretata dalla giurisprudenza contabile (cfr. Corte conti, sez. reg. contr., 11.04.2014, n. 76).
  
III. In secondo luogo l’atto di affidamento dell’incarico di consulenza è altresì in contrasto con il dettato normativo anche sotto il profilo della mancata verifica che il pagamento sia compatibile con i vincoli finanziari.
Al riguardo va richiamata
la previsione di cui all’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009 convertito dalla l. n. 102/2009, che pone in capo al funzionario che impegna una spesa l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica.
Si tratta di obbligo preventivo posto direttamente in capo al funzionario o dirigente che effettua l’impegno, di qualunque servizio o settore esso sia e che va fatto a prescindere dalle modalità di finanziamento della spesa, essendo funzionale innanzitutto ad una verifica di cassa circa l’effettiva sostenibilità del pagamento nei termini contrattualmente previsti e alla conformità dello stesso con il complesso dei vincoli vigenti.
Conseguentemente sotto tale profilo non è adeguata la risposta della Camera di Commercio che sul punto si è limitata ad affermare che in sede di bilancio di previsione sarebbero state stanziate risorse sufficienti risultando una somma di € 20.000,00, risultando assicurata unicamente la capienza del capitolo di bilancio.
La suddetta verifica preventiva è infatti essenzialmente un controllo inerente la cassa finalizzato ad assicurare l’effettività del pagamento nei tempi stabiliti, da effettuarsi operativamente mediante una programmazione dei flussi di cassa ed un successivo monitoraggio nel corso dell’anno delle disponibilità liquide, onde scongiurare ritardi anche con riferimento alle previsioni contenute nel d.lgs. n. 231/2002, modificato dal d.lgs. n. 192/2012, in tema di lotta al ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali.
Va infine rammentato che secondo l’espressa previsione di legge
in caso di inosservanza di tale obbligo, quale misura organizzativa per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute, il soggetto inadempiente può incorrere in responsabilità disciplinare ed amministrativa. L’atto di incarico dunque non risulta conforme al dettato normativo anche sotto tale profilo.
Alle rilevate irregolarità consegue l’obbligo della Camera di Commercio di conformare la propria azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla legge e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 08.06.2015 n. 98).

maggio 2015

INCARICHI PROGETTUALI: Nelle gare il professionista risponde individualmente.
Un professionista iscritto in un elenco di una stazione appaltante, se viene scelto per presentare una offerta non può candidarsi in raggruppamento temporaneo con altri professionisti, ma deve rispondere a titolo individuale.

È quanto afferma l'Autorità nazionale anticorruzione con il parere sulla normativa 06.05.2015 rif. AG 38/15/AP nel quale si è esaminata la legittimità dell'esclusione di un professionista, iscritto a titolo individuale in un elenco costituito da un ente locale per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
Era successo che la stazione appaltante aveva esperito una procedura negoziata senza bando (ex articolo 57, comma 6 del Codice dei contratti pubblici) per affidare un incarico di valore inferiore a 100 mila euro. Per questa tipologia di affidamenti l'articolo 267 del Regolamento del codice (dpr 207/2010) detta una disciplina specifica prevedendo che la stazione appaltante, in alternativa al classico avviso di gara, può selezionare il mercato avvalendosi di un apposito elenco (aperto), in ogni caso rispettando il criterio di rotazione.
Il punto era decidere se la partecipazione del professionista iscritto all'elenco individualmente, ma nella fattispecie candidatosi in raggruppamento con altri professionisti, fosse legittima.
L'Autorità propende per la tesi negativa affermando che in base all'art. 90, comma 1, lett. d) e lett. g), del codice, parallelamente a quanto previsto nell'articolo 34, appare «evidente che il Raggruppamento temporaneo di professionisti è soggetto sostanzialmente diverso dal professionista individuale, contemplandosi in due distinte categorie “i liberi professionisti singoli e associati (lett. d) e i raggruppamenti temporanei” costituiti dai soggetti di cui alle lett. d), e), f) f-bis) e h) ai quali si applicano le disposizioni di cui all'art. 37 in quanto compatibili (lett. g). Dal momento quindi che il raggruppamento temporaneo consiste “in un soggetto collettivamente organizzato, costituito per la partecipazione alle gare, sostanzialmente diverso dalle identità soggettive di coloro che vi partecipano” e che l'invito era per professionisti e non per raggruppamenti temporanei, l'esclusione era legittima e non si può parlare neanche di modificazione soggettiva ai sensi dell'articolo 51 del codice dei contratti» (articolo ItaliaOggi del 26.05.2015 - tratto da www.centrosctudicni.it).

aprile 2015

INCARICHI PROFESSIONALISussiste l’obbligo in capo all’Amministrazione committente di esigere, anche in caso di incarichi di assistenza legale, un preventivo che consenta di quantificare l’onere complessivo che rimarrà a carico del bilancio dell’Ente, così da poter procedere alle necessarie scritturazioni contabili e ad apprestare la necessaria copertura finanziaria.
Nel caso in cui i predetti incarichi assumano connotazioni di rapporti contrattuali di durata, l’Ente dovrà periodicamente verificare il maturare di ulteriori spettanze, in maniera da poter tempestivamente rispettare il previsto procedimento per la corretta effettuazione di spese.
Qualora le previste disposizioni non siano state rispettate, l’Amministrazione dovrà verificare preliminarmente, sulla base della vigente normativa, l’effettiva spettanza di compensi in capo al professionista incaricato; quando ricorrano le condizioni previste all’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL, si potrà procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio, sempre però nel limite dell’utilità e dell’arricchimento per l'Ente, che devono debitamente essere accertati e dimostrati, ed a condizione che detto debito scaturisca dall’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza dello stesso Ente.

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Con la nota di cui in epigrafe il Sindaco del Comune di Sant’Angelo Le Fratte ha formulato una «… richiesta di parere in materia di onorari da riconoscersi a favore di legale che ha prestato attività in favore dell'ente, in assenza di preventivo impegno di spesa e sottoscrizione di disciplinare e/o convenzione regolante in maniera precisa i rapporti tra ente e professionista anche sotto l'aspetto economico».
A tal uopo è stato, tra l’altro, precisato, che:
– «Gli incarichi professionali di cui trattasi risultano conferiti senza l'adozione di determina a contrarre e la stipula di una convenzione e soprattutto in assenza di predeterminazione dell'onorario spettante al professionista incaricato»;
– «… stante probabilmente l'impossibilità al momento del conferimento degli incarichi di acquisire un preventivo di massima che si avvicinasse il più possibile alla spesa definitiva, negli atti assunti all'epoca del conferimento degli incarichi è stato previsto l'obbligo del professionista a comunicare tempestivamente, ai fini dell'assunzione dell'eventuale ulteriore impegno di spesa, l'importo definitivo della parcella professionale, al fine di quantificare correttamente l'impegno di spesa necessario e predispone adeguata copertura finanziaria, considerando evidentemente variabili, connaturali al tipo di incarico in esame, che avrebbero potuto determinare incertezza sulla quantificazione dell'impegno finanziario».
Dopo aver esternato l’intenzione dell'Amministrazione di «…effettuare una rigorosa verifica dei presupposti normativi preordinati al valido e regolare riconoscimento del debito fuori bilancio», il Sindaco ha chiesto che fosse espresso parere «… circa la riconoscibilità del diritto del professionista ad ottenere il pagamento di compensi per l'attività espletata a favore dell'ente, accertato che, da un lato, l'obbligo di comunicazione tempestiva dell'incremento della parcella, prefissato in sede di conferimento dell'incarico, non è mai stato rispettato dal professionista incaricato, dall'altro, negli anni il Responsabile del procedimento ha omesso qualsivoglia attività di monitoraggio».
Il Sindaco ha, altresì, chiesto «… di conoscere in quale misura ed in base a quali parametri debba essere valutata l'attività espletata in favore dell'ente, ammesso che sia riconoscibile il diritto del professionista ad ulteriori compensi».
...
3. La richiesta di parere, per la parte ritenuta ammissibile, riguarda la individuazione dei presupposti normativi che presiedono al valido e regolare riconoscimento del debito fuori bilancio per onorari, scaturente dalla prestazione professionale fornita da un legale in assenza di un preventivo impegno di spesa e della sottoscrizione di un disciplinare e/o di una convenzione regolante il rapporto economico.
In mancanza di una esaustiva individuazione normativa delle caratteristiche dell’istituto, il punto 91 del Principio Contabile n. 2, approvato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti locali il 18.11.2008,
definisce il debito fuori bilancio come «… un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro, assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti locali».
L’art. 191 del D.lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL), dopo aver specificato che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria, stabilisce che,
nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi individuati nei primi tre commi, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. La norma ha, peraltro, specificato che, per le esecuzioni reiterate o continuative, detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni.
L’art. 194 del TUEL detta la disciplina regolante il riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio, stabilendo che,
in occasione della deliberazione con cui l’Organo consiliare effettua la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi e verifica se permangono gli equilibri generali di bilancio (art. 193, secondo comma, del TUEL), o con la diversa periodicità prevista dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio compresi nelle tipologie tassativamente indicate nelle lettere da a) ad e).
L’ultima ipotesi, contemplata dalla norma alla lett. e), prevede la fattispecie dell’acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai primi tre commi dell'articolo 191, che può essere oggetto di riconoscimento solo «…nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza».
Al punto 98 del Principio Contabile n. 2 è specificato che:
– «
… la sussistenza dell’utilità conseguita va valutata in relazione alla realizzazione dei vantaggi economici corrispondenti agli interessi istituzionali dell’ente. Sono comunque da qualificarsi utili e vantaggiose le spese specificatamente previste per legge»;
– «
L’arricchimento corrisponde alla diminuzione patrimoniale sofferta senza giusta causa dal soggetto privato e terzo che va indennizzato nei limiti dell’arricchimento ottenuto dall’ente».
Particolarmente conferente, per il caso di specie, si rivela la precisazione secondo la quale «
In occasione di contratti di prestazione d’opera intellettuale l’ente deve determinare compiutamente, anche in fasi successive temporalmente, l’ammontare del compenso (esempio gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti dall’impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento di contabilità dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di ulteriore impegno, per spese eccedenti l’impegno originario, dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili» (punto 108 princ. cont. n. 2).
Il punto 5.2, lett. g), principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria (Allegato n. 4/2 al D.Lgs. 118/2011) ha tra l’altro precisato che «
…gli impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono imputati all’esercizio in cui il contratto è firmato, in deroga al principio della competenza potenziata, al fine di garantire la copertura della spesa».
In sede di predisposizione del rendiconto, in occasione della verifica dei residui, «
…se l’obbligazione non è esigibile, si provvede alla cancellazione dell’impegno ed alla sua immediata re-imputazione all’esercizio in cui si prevede che sarà esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel contratto di incarico al legale. Al fine di evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l’ente chiede ogni anno al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla base della quale è stato assunto l’impegno e, di conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori impegni. Nell’esercizio in cui l’impegno è cancellato si iscrive, tra le spese, il fondo pluriennale vincolato al fine di consentire la copertura dell’impegno nell’esercizio in cui l’obbligazione è imputata».
4. Dai principi esposti
emerge l’obbligo, in capo all’Amministrazione committente di esigere, anche in caso di incarichi di assistenza legale, un preventivo che consenta di quantificare l’onere complessivo che rimarrà a carico del bilancio dell’Ente, così da poter procedere alle necessarie scritturazioni contabili e ad apprestare la necessaria copertura finanziaria.
Nel caso in cui i predetti incarichi assumano connotazioni di rapporti contrattuali di durata, l’Ente dovrà periodicamente verificare il maturare di ulteriori spettanze, in maniera da poter tempestivamente rispettare il previsto procedimento per la corretta effettuazione di spese.
Qualora le previste disposizioni non siano state rispettate, l’Amministrazione dovrà verificare preliminarmente, sulla base della vigente normativa, l’effettiva spettanza di compensi in capo al professionista incaricato; quando ricorrano le condizioni previste all’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL, si potrà procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio, sempre però nel limite dell’utilità e dell’arricchimento per l'Ente, che devono debitamente essere accertati e dimostrati, ed a condizione che detto debito scaturisca dall’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza dello stesso Ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata, parere 14.04.2015 n. 20).

INCARICHI PROFESSIONALICorte conti divisa sul conferimento degli incarichi di studio e consulenza.
Divieto assoluto per le province di conferire incarichi di studio e consulenze, anche se finanziati da risorse del Fondo sociale europeo. Anzi no: possibilità di conferire gli incarichi.

Che il caos regni sovrano nella riforma delle province ormai è un dato di fatto. Ad aumentarlo non aiutano certo i pareri delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, divise su tutto.
Nuova occasione di interpretazioni diametralmente opposte, dopo quelle relative alla possibilità di assumere mediante mobilità, è la portata della norma contenuta nell'articolo 1, comma 420, lettera g), della legge 190/2014, ai sensi del quale alle province delle regioni a statuto ordinario è fatto divieto di attribuire incarichi di studio e consulenza.
Per la sezione regionale di controllo dell'Emilia Romagna, parere 10.04.2015 n. 64, si tratta di un divieto assoluto. La sezione Emilia-Romagna mette il divieto previsto dalla citata lettera g) dell'articolo 1, comma 420, della legge di Stabilità 2014 con la sua precedente lettera b), ove si prevede il divieto «effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza».
Il parere nota che mentre per relazioni pubbliche e convegni sono vietate le «spese», ma non la fattispecie, allora è possibile per una provincia porre in essere relazioni pubbliche e manifestazioni se le connesse «spese» sono neutrali, perché finanziate dall'esterno, appunto con fondi europei. Cosa diversa è, invece, il divieto di incarichi di studio e consulenze. Secondo la sezione Emilia-Romagna «il legislatore non pone per le province un mero divieto di sostenere le relative spese, ma, più radicalmente, preclude l'attribuzione di detti incarichi».
Insomma, si tratterebbe di un divieto assoluto e rigoroso, delineato «in sintonia con quanto stabilito dal citato comma 420, per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle province».
In totale e frontale contraddizione con le indicazioni della sezione Emilia Romagna si pone il parere 30.03.2015 n. 137 della sezione regionale di controllo per la Lombardia.
La Sezione Lombardia ritiene che i divieti contenuti nell'articolo 1, comma 420, della legge 190/2014, ivi compreso quello relativo a incarichi di studio e consulenza sono «preordinati non tanto (o non solo) al riordino delle Province (peraltro ancora in attesa di conoscere il quadro completo delle proprie funzioni) quanto piuttosto a conseguire risparmi di spesa nella dimensione del coordinamento della finanza pubblica», come confermerebbe il contenuto della circolare interministeriale 1/2015.
Di conseguenza, se lo scopo del comma 420, lettera g), è conseguire risparmi di spesa, secondo la sezione Lombardia «non vi sarebbe motivo di includere nel divieto anche le spese per studi e consulenze finanziati con fondi di provenienza comunitaria, secondo l'insegnamento».
In particolare, sottolinea il parere, se la provincia ha presentato progetti da finanziare precedentemente all'entrata in vigore della legge 190/2014 e tali progetti siano approvati: in questo caso, infatti, l'ente si è assunto «una serie di obblighi il cui mancato adempimento potrebbe esporre lo stesso, oltre che a responsabilità nei confronti degli eventuali partner, anche alla perdita dei finanziamenti conseguiti con un grave danno per le proprie finanze».
Il parere della sezione Lombardia, comunque, chiude con l'invito indiretto alle province a valutare l'opportunità di presentare progetti finanziati dalla Ue, mostrando qualche incrinatura nella teoria secondo la quale i finanziamenti europei consentirebbero comunque gli incarichi vietati per legge (articolo ItaliaOggi del 17.04.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROGETTUALIOggetto: chiarimenti sulle prestazioni occasionali  - nota MEF n. 4594/2015 (Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, nota 09.04.2015 n. 20511 di prot.).

marzo 2015

INCARICHI PROFESSIONALICon parere 11.02.2009 n. 37 la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento degli incarichi di collaborazione e delle consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha richiamato i propri precedenti pareri ed ha individuato i seguenti principi:
1)
la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della legge n. 244 del 2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione; la competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.);
2)
l’art. 46 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza (riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma), tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta (in particolare, questi presupposti distinguono dette ipotesi dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente);
3)
quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già chiarito che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività professionale oggetto dell’incarico; la specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere poi fatta oggetto di specifico accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curricula; e ciò perché il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali (ma v. ora anche l’art. 11, commi 1, 2 e 4, del decreto legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014);
4)
il nuovo testo dell’art. 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (testo unico del pubblico impiego, da ora innanzi TUPI) richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio; in particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
5)
il comma 3 dell’art. 46 del decreto legge n. 112 del 2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo; è pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6)
quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano inoltre le considerazioni contenute nel punto 6 del
parere 11.03.2008 n. 37 di questa Sezione sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7)
il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate; in proposito si è posto il problema della possibilità ed eventualmente dei limiti sussistenti all’affidamento diretto dell’incarico; in taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006), tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri: deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi da esso solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio: a) procedura concorsuale andata deserta, b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;
8)
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: l’oggetto della prestazione, la durata, la modalità di determinazione del corrispettivo, i termini di pagamento, le verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9)
in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10)
nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza.

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1.- L’art. 3 della legge 24.12.2007, n. 244, come modificato dall’art. 46, comma 3, decreto legge 25.06.2008, n. 112, e dalla relativa legge di conversione –nel dettare le regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione– al comma 56 stabilisce quanto segue: “
con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”. Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”.
Questa Sezione ha individuato, con il
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224, i criteri interpretativi della normativa al fine di stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si colloca la funzione di controllo.
2.- Al riguardo, necessario punto di partenza è la considerazione di quella funzione delle Sezioni regionali della Corte dei conti rispetto agli enti locali che si sostanzia nell’esercizio di un controllo di natura “collaborativa”, nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale rinvenibile in una lettura adeguatrice delle norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97 primo comma e 28 della Costituzione (cfr. le sentenze della Corte costituzionale nn. 179 del 2007 e 60 del 2013).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11 del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della Sezione regionale. Questa forma di controllo, in particolare, è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di settore (in particolare l’art. 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e l’art. 110 del decreto legislativo n. 267 del 2000), oltre ad ogni altra disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di natura finanziaria, riferite a questa materia (v. ancora la sentenza, prima richiamata, n. 60 del 2013).
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, ha ritenuto ascrivibili al riesame di legalità e regolarità le verifiche previste dall’art. 1, commi 166 e seguenti, della legge n. 166 del 2005; alla stessa maniera, come s’è prima visto, deve esser qualificato anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244 del 2007, che ha la caratteristica –in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità), ma dinamica– di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di misure correttive (cfr. ancora la sentenza n. 60 del 2013).
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato può essere individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266 del 2005 (ora abrogato dall’art. 3 comma, 1-bis, del decreto legge n. 174 del 2012, convertito con legge n. 213 del 2013 e sostituito dal nuovo art. 148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del citato decreto legge n. 174 del 2012), norma che prevede specifiche pronunce da indirizzare all’ente controllato (cui spetta l’adozione delle necessarie misure correttive), nonché la vigilanza sull’effettiva adozione delle misure stesse (in tal senso, per tutte, v. la deliberazione di questa Sezione n. 294/2013/REG).
Con
parere 11.02.2009 n. 37 la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di affidamento degli incarichi di collaborazione e delle consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività, la Sezione ha richiamato i propri precedenti  
parere 11.03.2008 n. 37 e parere 06.11.2008 n. 224 ed ha individuato i seguenti principi:
1)
la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della legge n. 244 del 2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione; la competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.);
2)
l’art. 46 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza (riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma), tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta (in particolare, questi presupposti distinguono dette ipotesi dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente);
3)
quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, questa Sezione ha già chiarito, con il
parere 12.05.2008 n. 28 e parere 12.05.2008 n. 29, che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività professionale oggetto dell’incarico; la specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere poi fatta oggetto di specifico accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curricula; e ciò perché il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali (ma v. ora anche l’art. 11, commi 1, 2 e 4, del decreto legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014);
4)
il nuovo testo dell’art. 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (testo unico del pubblico impiego, da ora innanzi TUPI) richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio; in particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
5)
il comma 3 dell’art. 46 del decreto legge n. 112 del 2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo; è pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6)
quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano inoltre le considerazioni contenute nel punto 6 del
parere 11.03.2008 n. 37 di questa Sezione sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7)
il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate; in proposito si è posto il problema della possibilità ed eventualmente dei limiti sussistenti all’affidamento diretto dell’incarico; in taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006), tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri: deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi da esso solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio: a) procedura concorsuale andata deserta, b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;
8)
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: l’oggetto della prestazione, la durata, la modalità di determinazione del corrispettivo, i termini di pagamento, le verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9)
in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10)
nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza.
3.- Con specifico riferimento alla previsione regolamentare esaminata nella presente deliberazione –il cui oggetto è definito dal deferimento disposto, di modo che resta impregiudicata ogni valutazione su altre disposizioni del medesimo regolamento ovvero su modifiche dello stesso medio tempore o successivamente intervenute– si deve rilevare che detta previsione si pone in contrasto con disposizioni sia costituzionali sia legislative.
3.1.- In primo luogo, al riguardo, la Sezione ricorda che l’art. 36, primo comma, della Costituzione stabilisce, con norma ritenuta direttamente precettiva ed imperativa nei rapporti fra le parti, che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” (v., fra le molte, Corte di Cassazione, sezione lavoro, 17.01.2011, n. 896; 04.12.2013, n. 27138).
Nell’ambito dei rapporti di impiego, è dunque la prestazione dell’attività lavorativa, di per sé considerata, a fondare il diritto alla retribuzione, tanto che questa è dovuta anche laddove difetti una valida fattispecie contrattuale regolatrice dell’attività prestata, come espressamente previsto dall’art. 2126 del codice civile (secondo cui “la nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa”).
Al di fuori delle speciali normative legislative dettate per il c.d. “terzo settore” (v. in generale l’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 266 del 1991, che s’informa però ad un precipuo fine solidaristico non applicabile di per sé alla sfera dell’organizzazione amministrativa), dunque, la mera prestazione dell’attività legislativa impone, in ogni caso, l’erogazione del relativo compenso.
A ciò il regolamento dell’ente –quale fonte di autoorganizzazione, nell’ambito dell’autonomia, anche costituzionale, garantita all’ente– non può dunque derogare (esponendo peraltro l’ente, così facendo, al rischio d’esser convenuto ex post in giudizio dal prestatore di lavoro che chieda la dovuta retribuzione, in virtù del richiamato quadro normativo).
3.2.- In secondo luogo, un analogo contrasto con la disciplina legislativa vigente emerge con riferimento a quel carattere fiduciario, che, secondo l’ente, permetterebbe il conferimento diretto dell’incarico senza l'esperimento di procedure di selezione (art. 9, comma 2).
Atteso che l’art. 7, comma 6-bis, del T.U.P.I. è espressione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità delle amministrazioni pubbliche –attraverso, appunto, la previsione della procedura concorsuale o comunque comparativa per l’affidamento di tali incarichi– se ne deve dedurre che, ferma restando la sua applicazione da parte di ogni soggetto pubblico destinatario della norma, vengano rimessi ai relativi ordinamenti le sole modalità delle procedure comparative medesime: la doverosa osservanza della norma primaria non consente, quindi, alcuna deroga, in riferimento al carattere fiduciario della prestazione, da parte degli ordinamenti delle singole amministrazioni tenute all’osservanza della disciplina dell’art. 7 T.U.P.I. (salvo, in generale, i casi prima visti).
Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti pubblici in questione di stabilire ad libitum, attraverso i propri statuti e regolamenti, categorie che, per quantità o qualità dell’incarico, sono sottratte alle procedure concorsuali, così svuotando di contenuto, tra l’altro, la stessa norma sul controllo (v. la deliberazione n. 294/2013/REG di questa Sezione) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 30.03.2015 n. 150).

febbraio 2015

INCARICHI PROFESSIONALI: Conferimento di incarico esterno di studio. Deroga al limite di spesa.
Secondo la Corte dei conti (cfr. sez. reg. di controllo per la Puglia, n. 131/PAR/2014) il limite di spesa per incarichi di studio e consulenza, per gli enti locali, deve essere individuato non nella misura di una percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009, ma in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per le varie voci previste dall'art. 6 del d.l. 78/2010.
Il Comune si è posto la questione della possibilità di derogare al limite di spesa imposto dall'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010 e successive modifiche e integrazioni, per il conferimento di incarichi di studio e consulenza, non avendo sostenuto l'Ente spese, per tale finalità, nell'anno 2009.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprime quanto segue.
Si ritiene utile riportare le articolate considerazioni esplicitate dalla Corte dei conti
[1], che ha avuto modo di esprimersi nello specifico, in ordine ad analoga problematica sottoposta da un ente locale.
La Corte dei conti, dopo aver evidenziato che si configurano quali incarichi di studio quelli volti a ricercare soluzioni su questioni inerenti all'attività di competenza della amministrazione conferente, ha ricostruito il quadro normativo vigente in materia di limiti di spesa per l'affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza, con particolare riferimento ai limiti posti dal legislatore in rapporto alla spesa sostenuta, a tale titolo, nell'anno 2009.
L'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010 ha stabilito, da prima, che a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per incarichi di consulenza e studi, anche per gli enti locali, non può essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009.
Successivamente la disciplina sopra richiamata è stata implicitamente modificata dall' art. 1, comma 5, del d.l. 101/2013, come modificato dalla legge di conversione 30.10.2013, n. 125, che prevede che la spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, non può essere superiore, per l'anno 2014 all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013 e, per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 così come determinati dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, convertito con modificazioni in l. 122/2010.
In sostanza -precisa la Corte dei Conti- il legislatore ha ulteriormente ridotto il limite di spesa precedentemente previsto dal citato art. 6, comma 7, in rapporto alla spesa sostenuta nell'anno 2009: infatti, il nuovo limite è pari al 16% (80% del 20%) per l'anno 2014 e al 15% (75% del 20%) per l'anno 2015.
Una nuova modifica alla disciplina relativa al conferimento degli incarichi in esame è stata poi disposta dall'art. 14 del d.l. 66/2014
[2], il quale, confermando i limiti derivanti dalle vigenti disposizioni e in particolare le disposizioni di cui all'art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 e all'art. 1, comma 5, del d.l. n. 101/2013, ha previsto che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione [3], a decorrere dall'anno 2014, non possono conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell'anno per tali incarichi è superiore rispetto alla spesa per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico, come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro [4].
In pratica, consolidando l'orientamento restrittivo seguito costantemente negli ultimi anni, il legislatore ha ritenuto di limitare, sempre sotto il profilo della spesa, ma in modo diverso rispetto al passato, la possibilità di conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca: ai limiti basati sulla spesa storica si affiancano quelli derivanti dal rapporto delle relative spese con le spese di personale
La medesima sezione Puglia ha osservato che la questione specifica relativa alla individuazione dei limiti di spesa per il conferimento di incarichi di consulenza e studio nei confronti degli enti che non hanno sostenuto, a tale titolo, spese nell'anno 2009 era stata affrontata dalla Corte dei conti della Lombardia in sede consultiva
[5]. In tale contesto si era rilevato che la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di consulenza e di studio e non quella di vietare agli enti locali la possibilità di conferire incarichi esterni qualora ne ricorrano i presupposti di legge.
La Sezione Lombardia era giunta alla conclusione che la norma de qua, per gli enti locali che nel corso dell'anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando un diverso parametro di riferimento. Si era osservato a tal proposito che, se non si adottasse questa interpretazione, la riduzione lineare prevista finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che, nel corso dell'anno 2009, hanno sostenuto una spesa per consulenze eventualmente rilevante, mentre si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più virtuosi che, in quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa pari a zero.
Pertanto -concludeva la Sezione Lombardia- non sussistendo un parametro finanziario precostituito (in quanto la spesa per l'anno 2009 è stata pari a zero), il limite da individuare sarebbe quello della spesa strettamente necessaria nell'anno in cui si verifica l'assoluta necessità di conferire un incarico di consulenza o di studio (limite di spesa che, a sua volta, sarebbe il parametro finanziario per gli anni successivi).
Al riguardo, la Sezione Puglia ha precisato come la soluzione prospettata nella predetta deliberazione della Sezione Lombardia debba però essere rivista alla luce della successiva sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012. Con quest'ultima sentenza, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate in relazione anche al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, la Consulta ha ribadito che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma che questi vincoli possono considerarsi rispettosi della autonomia delle Regioni e degli enti locali solo quando stabiliscono un limite complessivo che lascia agli stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Pertanto, la Sezione Puglia, con riferimento agli enti locali, ha ritenuto che l'art. 6 in argomento prevede un limite complessivo nell'ambito del quale gli enti interessati restano liberi di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Una volta determinato, quindi, il volume complessivo delle riduzioni da apportare in base all'art. 6 citato, ogni ente ha la possibilità di decidere su quali voci effettuare le riduzioni, senza sottostare ai vincoli specifici previsti. E' possibile, in sostanza, non rispettare un vincolo specifico, ma tale sforamento dovrà esser compensato da una corrispondente maggiore riduzione della spesa rispetto ad un altro vincolo specifico previsto.
All'orientamento espresso in materia da parte della Corte costituzionale si è adeguata la stessa Corte dei conti, che ha avuto modo di sottolineare che 'l'assenza di spese per consulenze nell'esercizio 2009, in considerazione della necessità di individuare un obiettivo complessivo di risparmio secondo le indicazioni ermeneutiche contenute nella sentenza n. 139/2012 cit., non giustifica l'individuazione di un nuovo'tetto di spesa'
[6].
La distribuzione degli interventi riduttivi tra le singole voci previste dalla norma, tuttavia, non comporta la libera ed incondizionata derogabilità delle misure di contenimento, trattandosi pur sempre di norma assistita da sanzioni specifiche in caso di inosservanza
[7].
Secondo la Corte dei conti, Sezione Puglia, in considerazione della lettura data all'art. 6 del d.l. 78/2010 dalla Corte costituzionale, lettura che deve essere estesa anche all'analogo art. 1, comma 5, del d.l. 101/2013, 'sia per non incorrere in interpretazioni censurabili sul piano della legittimità costituzionale, sia per l'espresso rinvio disposto dal legislatore all'art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010, il limite per gli incarichi di studio e consulenza (...) deve essere individuato non nella misura di una percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009 (disposizione applicabile solo in via indiretta), circostanza questa che rende irrilevante la presenza o l'assenza di spese sostenute a tale titolo nel 2009, ma in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per le varie voci previste dalla norma indicata (es. acquisto autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni da apportare sempre in termini complessivi. A tale limite complessivo, come già indicato, si aggiunge quello previsto dall'art. 14 del D.L. 66/2014 rapportato alle spese di personale(...) Per il conferimento degli incarichi in argomento (....) rimane ferma, inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7 del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti previsti (es. obblighi di pubblicazione)'.
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[1] Cfr. sez. reg. di controllo per la Puglia, n. 131/PAR/2014.
[2] Convertito, con modificazioni, in l. 89/2014.
[3] Come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'art. 1, comma 2, della l. 196/2009.
[4] Il comma 3 dell'art. 14 precisa che, per le amministrazioni non tenute alla redazione del conto annuale nell'anno 2012, ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 1, si fa riferimento ai valori risultanti dal bilancio consuntivo 2012.
[5] Cfr. sez. Lombardia, n. 227/2011/PAR.
[6] Cfr. sez. reg. Puglia, deliberazione n. 15/PRSP/2014.
[7] Cfr. sez. Veneto, n. 189/2013/PAR
(11.02.2015 - link a www.regione.fvg.it).

dicembre 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Tutti i provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa assunzione del relativo <impegno contabile ed attestazione della (relativa) copertura finanziaria>, ex art. 191 TUEL, ivi compresi i provvedimenti con i quali il Comune conferisce apposito incarico legale ad un avvocato per la tutela delle ragioni del Comune stesso.
Qualora vengano in essere obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rientranti nelle fattispecie dettagliatamente elencate nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare..
Nel caso, dunque, di mancanza dell’impegno contabile relativo al conferimento degli incarichi legali de quibus, si verte in una fattispecie di acquisizione di servizi in violazione del citato art. 191 del d.lgs. n° 267 del 2000, con possibilità di riconduzione, a sanatoria, nel sistema di contabilità dell’Ente, solo mediante attivazione del procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194 del d.lgs. n° 267 del 2000 cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al riguardo, anche con riferimento –per quanto concerne la specifica fattispecie qui in esame- alla necessità della sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al comma 1, lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e servizi acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191 (“nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”, ex art. 194 cit.).
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Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco interpellante, facendo riferimento ad incarichi di patrocinio legale dell’Ente affidati, nel passato, con deliberazioni della Giunta comunale ovvero con determinazioni dirigenziali, a svariati legali, e premesso che i predetti provvedimenti di conferimento “recavano assunzione di impegno contabile ex art. 183 T.U.E.L. per importi a volte simbolici, a volte comunque insufficienti a coprire l’ammontare del compenso finale”, mentre “alcune delibere, risalenti agli anni ’90, sono del tutto prive di impegno contabile”, rappresenta il contrasto emerso, in sede di regolazione delle competenze finali ritenute spettanti ai predetti legali, tra l’orientamento espresso dal Responsabile del Settore Legale dell’Ente e la Dirigente dell’Area economico-finanziaria.
In particolare –come precisato nella richiesta di parere in argomento- il primo, facendo riferimento alla deliberazione della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, n. 256 del 25.07.2013, sostiene che la fattispecie “andrebbe affrontata con una semplice integrazione dell’impegno contabile originariamente assunto integrando l’atto di impegno di spesa originario nell’esercizio corrente (anche se diverso da quello di conclusione del giudizio ed anche se esso comporta la decuplicazione dell’impegno originario)”, mentre la suddetta Dirigente dell’Area economico finanziaria, facendo anch’essa riferimento a precedenti giurisprudenziali della Corte dei conti (deliberazioni della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 9 del 2007 e n. 8 del 2009, nonché della Sezione regionale di controllo per la Sardegna n. 2 del 2007 e della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo n. 360 del 2008), “sostiene che la rilevantissima differenza fra l’impegno originariamente assunto e la spesa finale evidenzi con chiarezza che ci si trovi di fronte a spese assunte, pur all’interno delle categorie di utilità ed arricchimento per l’ente nell’esercizio di pubbliche funzioni e servizi di competenza, ma certamente al di fuori delle prescrizioni di cui all’art. 191 T.U.E.L., e quindi nella fattispecie tipica dei debiti fuori bilancio”.
Analogo contrasto –espone il Sindaco interpellante– si è verificato, con riferimento ad una proposta di delibera dell’Ente sottoposta al parere del Collegio dei revisori -all’interno di detto Organo “nel quale uno dei componenti propende per la riconoscibilità del debito fuori bilancio e due componenti ritengono che debba seguirsi la procedura della integrazione di impegno contabile a competenza”.
Conseguentemente, al fine di poter consentire agli Organi deliberanti del Comune, con l’ausilio consultivo di questa Sezione, di portare a soluzione le questioni di che trattasi, il Sindaco dell’Ente chiede parere in subiecta materia ex art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n. 131.
...
La richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Marano di Napoli trae origine, in realtà, da due distinte fattispecie, che rientrano nella materia della contabilità pubblica, ciascuna delle quali ha generato perplessità ritenute abbisognevoli di un supporto consultivo di questa Sezione.
Da un lato, invero, viene rappresentato, dall’Ente interpellante, il conferimento di incarichi –conferiti a “diversi legali”- di rappresentanza e di difesa in giudizio del Comune, con “assunzione di impegno contabile ex art. 183 T.U.E.L. per importi a volte simbolici, a volte comunque insufficienti a coprire l’ammontare del compenso finale”, e, dall’altro, l’Ente medesimo fa riferimento al conferimento di analoghi incarichi, con “alcune delibere […] del tutto prive di impegno contabile”.
Ciò premesso, va osservato che, con riferimento alla prima delle suesposte tipologie di provvedimenti (conferimento di incarichi con assunzione di impegni ex art. 183 del d.lgs. n. 267 del 2000, poi rivelatisi insufficienti), viene documentata in atti l’esistenza di una “proposta di deliberazione” di riconoscimento di debito fuori bilancio ex art. 194, comma 1, lett. e), del d.lgs. n° 267 del 2000, trasmessa al Collegio dei revisori dei conti dell’Ente ai sensi dell’art. 239 del menzionato d.lgs. n. 267 del 2000, dal Dirigente A.E.F., relativa all’ammontare delle competenze professionali di un avvocato, eccedenti l’importo inizialmente impegnato, quale successivamente integrato con ulteriore impegno a titolo di acconto.
Su tale proposta si è già espresso l’interpellato Collegio, come da verbale del 15.07.2014, acquisito agli atti.
Da quanto è dato evincere dal contenuto del menzionato verbale, tra i componenti del Collegio dei revisori è insorto un contrasto interpretativo, in quanto il Presidente di tale Collegio ha ritenuto che, nella fattispecie, dovesse essere formulato, così come richiesto, specifico parere in ordine al riconoscimento di debito fuori bilancio, mentre gli altri due componenti si sono mostrati favorevoli all’applicazione di una procedura di adeguamento dello stanziamento iniziale “integrando l’originario impegno di spesa per soddisfare integralmente la pretesa creditoria del professionista al fine di evitare maggiori oneri derivanti da eventuali procedure di esecuzione con addebito a carico del responsabile del servizio per le ulteriori somme riconosciute rispetto alla pretesa iniziale”.
Conclusivamente, il predetto Collegio, a maggioranza, ha ritenuto “di non dover esprimere alcun parere limitandosi a ritrasmettere l’intero fascicolo al Responsabile proponente per l’esatto adempimento” (p.v. citato, pag. 5).
Dunque, risulta che, relativamente alla suindicata fattispecie di effettiva esistenza di uno stanziamento iniziale (ancorché poi rivelatosi insufficiente) relativo all’ammontare della spesa per il conferimento di incarichi legali, presso l’Ente non solo sono già stati esplicitati precisi, quanto contrastanti, convincimenti da parte dei competenti Dirigenti (cfr. richiesta di parere in esame, pag. 2), ma è già stata avviata e conclusa una procedura consultiva, all’esito della quale è emerso un chiaro (ancorché non unanime) orientamento dell’interpellato Collegio dei revisori.
Da ciò consegue, in parte qua, l’inammissibilità della richiesta di parere in argomento, non essendo consentito alla Sezione né di ingerirsi, con proprie valutazioni e secondo propri orientamenti, nelle scelte discrezionali di esclusiva competenza dell’Ente, né, comunque, di finalizzare la funzione consultiva svolta ex art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n. 131, alla composizione di contrasti interpretativi -insorti e formalizzati all’interno dell’Ente interpellante– già, peraltro, motivatamente sottoposti all’esame dell’Organo di revisione. Invero, in tal caso, “il parere richiesto implicherebbe un giudizio della Sezione su valutazioni già compiute e su posizioni già assunte da Organi dell’Ente, con l’effetto di trasformare, di fatto, la funzione consultiva in una sorta di funzione di controllo sulla conformità a legge di atti, valutazioni e/o comportamenti posti in essere da Organi comunali, o di dirimere conflitti fra detti Organi: funzioni che, invero, sono precluse alla Corte dei conti nella presente sede” (così Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione n. 239/2012 del 27.09.2012).
Circa l’altra fattispecie contemplata nel quesito posta alla Sezione (ipotesi di assoluta mancanza, ab origine, di previo impegno di spesa), non appare sussistere la suddetta preclusione alla trattazione di merito in questa sede consultiva, sicché la richiesta di parere in argomento risulta, relativamente alla già descritta, ulteriore, fattispecie, ammissibile anche sotto il profilo oggettivo.
Al riguardo, va anzitutto affermato, in adesione alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che “
tutti i provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa assunzione del relativo <impegno contabile ed attestazione della (relativa) copertura finanziaria>, ex art. 191 TUEL, ivi compresi i provvedimenti con i quali il Comune conferisce apposito incarico legale ad un avvocato per la tutela delle ragioni del Comune stesso” (così, condivisibilmente, Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 360/2008 del 14-18.07.2008).
Il rispetto delle procedure previste dalla legge nel caso di assunzione di obbligazioni giuridiche nei confronti di terzi (in particolare: artt. 182-185 e 191 del d.lgs. n° 267 del 2000) garantisce, invero, il soddisfacimento dell’obbligo della copertura finanziaria degli atti da cui derivano impegni di spesa, e consente di evitare la formazione di debiti originati in sede extracontabile (in terminis, cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n° 256/2013 del 25.07.2013).
A ciò va aggiunto che “
qualora vengano in essere obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni rientranti nelle fattispecie dettagliatamente elencate nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n° 256/2013 cit.; cfr. anche Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n° 55/2013 dell’11-17.06.2013, con particolare riferimento alla necessità di valutazione dell’utilità della prestazione).
Nel caso, dunque, di mancanza dell’impegno contabile relativo al conferimento degli incarichi legali de quibus, si verte in una fattispecie di acquisizione di servizi in violazione del citato art. 191 del d.lgs. n° 267 del 2000, con possibilità di riconduzione, a sanatoria, nel sistema di contabilità dell’Ente, solo mediante attivazione del procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194 del d.lgs. n° 267 del 2000 cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al riguardo, anche con riferimento –per quanto concerne la specifica fattispecie qui in esame- alla necessità della sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al comma 1, lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e servizi acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191 (“nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”, ex art. 194 cit.).
Questa Corte, peraltro, ha già più volte esaminato la normativa relativa al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, pronunciandosi esaustivamente in ordine alla natura e alle caratteristiche di tale procedura (ex plurimis, cfr. Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n° 311/2012 del 26.07.2012); in questa sede, dunque, attese le finalità della richiesta di parere in esame, non può, al riguardo, che essere ribadita la necessità che –anche nella fattispecie de qua– venga data puntuale, motivata e razionale osservanza alle disposizioni di legge che disciplinano la materia
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, parere 29.12.2014 n. 261).

INCARICHI PROFESSIONALI: La nullità derivante dall’adozione d’una delibera di conferimento dell’incarico professionale non accompagnata dall’attestazione della necessaria copertura finanziaria può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell’ente locale, ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 02.03.1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, nella legge 24.04.1989, n. 144), poi seguito dal d.lgs. n. 267 del 2000 (art. 191 e 194); tale dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta.
Il credito di chi ha fornito la prestazione od il servizio nei confronti della p.a. sussiste dunque direttamente nei confronti del funzionario. Questi, ove manchino i necessari adempimenti formali per la validità dell’impegno di spesa assunto dalla p.a., ne risponderà in proprio verso il privato fornitore.
L’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente tra il fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione comporta l’impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà.
Pertanto, dopo l’introduzione della normativa di cui agli artt. 191 e 194 del D.Lgs. n. 267/2000, la questione del riconoscimento dell’utilità della prestazione può porsi di regola solo allorché siano il funzionario o l’amministratore responsabili verso il privato a proporre l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A..

1.2. Tutti i motivi possono essere esaminati congiuntamente, e vanno dichiarati infondati per due ragioni assorbenti e preliminari.
1.3. La prima ragione è che il contratto stipulato dal ricorrente col Comune di Roccarainola è nullo per difetto di forma scritta, e tale nullità non può essere sanata dal riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della p.a..
1.4. E’ stato, infatti, lo stesso ricorrente ad ammettere che il contratto da lui stipulato col Comune di Roccarainola non aveva forma scritta.
La stipula con la pubblica amministrazione di un qualsiasi contratto privo della forma scritta è nulla, e tale nullità non può essere sanata attraverso il riconoscimento, da parte della amministrazione committente, dell’utilità della prestazione ricevuta.
Questa Corte, al riguardo, con orientamento ormai consolidato ha già stabilito che “il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. 25.02.1995, n. 77, costituisce un procedimento discrezionale che consente all’ente locale di far salvi, nel proprio interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non ha la funzione di introdurre una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi –come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ‘ad substantiam’– né apportare una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 23 del d.l. 02.03.1989, n. 66, convertito, con modificazioni, nella legge 24.04.1989 n. 144” (Sez. 1, Sentenza n. 25373 del 12/11/2013, Rv. 629076).
Da ciò consegue che mentre la nullità derivante dall’adozione d’una delibera di conferimento dell’incarico professionale non accompagnata dall’attestazione della necessaria copertura finanziaria può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell’ente locale, ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge 02.03.1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, nella legge 24.04.1989, n. 144), poi seguito dal d.lgs. n. 267 del 2000 (art. 191 e 194), tale dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta (Sez. 3, Sentenza n. 27406 del 18/11/2008, Rv. 605528).
1.5. Nel caso di specie, pertanto, la nullità del contratto stipulato tra l’ing. P.G.A. ed il Comune di Roccarainola, in quanto privo di forma scritta, non può essere in alcun modo sanata dal riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della amministrazione comunale: sicché resta irrilevante nel presente giudizio se la Corte d’appello abbia o meno correttamente escluso la sussistenza della prova di tale riconoscimento.
1.6. La seconda ragione preliminare ed assorbente di infondatezza del ricorso è che l’azione di ingiustificato arricchimento è una azione residuale, accordata dall’orientamento quando l’impoverito non disponga di alcun strumento giuridico a tutela della propria pretesa.
Tale presupposto non sussiste nel caso di spese fuori bilancio dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali).
1.7. Giova ricordare, a tal fine, come il legislatore, per porre limite ad una preoccupante crescita delle spese degli enti locali, nel 1989 stabilì che “nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione [da parte dell’ente locale] di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 [e cioè senza la deliberazione autorizzativa né l’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione], il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni” (art. 23, comma 4, d.l. 02.03.1989 n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 24.04.1989, n. 144).
Successivamente, tale norma venne abrogata dall’art. 123, comma 1, lettera (n), d.Lgs. 25.02.1995, n. 77 (recante “Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali”), e sostituita dall’art. 35, comma 4, dello stesso decreto, il quale ha introdotto in subiecta materia una importante novità, vale a dire la possibilità per l’ente locale di riconoscere, con deliberazione consiliare, la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da acquisizioni di beni o servizi non autorizzate, “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
La legge è passata quindi da un sistema di “irresponsabilità assoluta” della p.a., nel caso di assunzione di beni o servizi non regolarmente deliberate, ad un sistema di “irresponsabilità relativa”, nel quale a determinate condizioni la p.a. poteva decidere di “riconoscere” il debito fuori bilancio.
L’ultima tappa dell’evoluzione normativa in subiecta materia è rappresentata dall’approvazione del testo unico sugli enti locali (d.lgs. 18.08.2000 n. 267), il cui art. 191 ha stabilito che “nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3 [e cioè in assenza dell’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria], il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni”.
Il successivo art. 194, comma 1, lettera (e), stabilisce poi che gli enti locali, con apposita deliberazione, possono riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da “acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
Il credito di chi ha fornito la prestazione od il servizio nei confronti della p.a. sussiste dunque direttamente nei confronti del funzionario. Questi, ove manchino i necessari adempimenti formali per la validità dell’impegno di spesa assunto dalla p.a., ne risponderà in proprio verso il privato fornitore. L’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente tra il fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione comporta l’impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà.
Pertanto, dopo l’introduzione della normativa sopra riassunta, la questione del riconoscimento dell’utilità della prestazione può porsi di regola solo allorché siano il funzionario o l’amministratore responsabili verso il privato a proporre l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. (così, testualmente, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1391 dei 23/01/2014, Rv. 629726; nello stesso senso, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 12880 del 26/05/2010, Rv. 613213) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 19.12.2014 n. 26911 -
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INCARICHI PROGETTUALI: Per i comuni vige il divieto di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o in mancanza dal segretario) sul competente capitolo di bilancio di previsione.
L'incarico di progettare l'opera pubblica affidato al professionista non sfugge alla regola: l'ente locale non può effettuare alcuna spesa se non c'è una delibera ad hoc che l'autorizza e un relativo impegno contabile a bilancio da comunicare ai terzi interessati: diversamente, dunque, rispondono il sindaco o il dirigente che l'hanno consentito. La previsione della clausola di copertura finanziaria nel contratto stipulato con il professionista non può comunque consentire di rinviare il momento in cui il comune deve indicare l'ammontare della spesa e i mezzi per farvi fronte.
Insomma: non si può differire all'arrivo del finanziamento l'osservanza delle modalità procedimentali previste per gli enti locali. Nel caso in cui l'incarico è affidato senza prima mettere nero su bianco l'impegno contabile e attestare l'impegno finanziario ecco che si rompe il nesso di immedesimazione organica con l'amministrazione, la quale non può essere considerata responsabile, diversamente dall'amministratore locale o dal funzionario pubblico. E anche quando la provvista è a carico di un altro ente l'obbligazione di pagamento resta sempre a carico del comune, che è il soggetto finanziato.

Il divieto, per i Comuni, in base all’art. 23, commi terzo e quarto, del D.L. 66/1989 convertito, con modifiche, nella L. n. 144/1989
di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal Ragioniere (o dal Segretario, in mancanza del ragioniere) sul competente capitolo del bilancio di previsione, trova applicazione anche qualora la spesa dell’Ente territoriale sia interamente finanziata da altro Ente Pubblico, dovendo anche in tal caso avere luogo la verifica della copertura della spesa nel bilancio del Comune che assume l’impegno di spesa.
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Il contratto d’opera professionale, con il quale un Ente Pubblico territoriale abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica subordinando con apposita clausola il pagamento del compenso al professionista alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell’opera da progettarsi, non si sottrae all’applicazione dell’art. 23 commi terzo e quarto, del D.L. 66/1989 convertito, con modifiche nella L. n. 144/1989.
In particolare
la previsione della clausola c.d. di copertura finanziaria non consente di rinviare all’ottenimento del finanziamento l’osservanza delle modalità procedimentali, inderogabilmente dettate dalla norma di cui all’art. 23 cit.; con la conseguenza che, in difetto, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’Ente, intercorrendo -ai fini della contro prestazione- fra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno.

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… dovendo affermarsi i seguenti principi:
7.1
la norma di cui all’art. 23, commi terzo e quarto, del D.L. n. 66 del 1989 convertito, con modifiche nella L. n. 144 del 1989 (abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs. 25/02/1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n. 342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo decreto) –dettando una disciplina che, nel dare applicazione al disposto dell’art. 97 Cost., rende estraneo l’ente pubblico all’attività posta in essere dal suo funzionario o amministratore senza le modalità procedimentali previste– viene ad incidere sull’efficacia del contratto, collocandosi nell’area dell’ordinamento civile riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. ed è, pertanto, applicabile anche ai Comuni della Regione Sicilia, a prescindere dal suo formale recepimento nella legislazione regionale;
7.2
il divieto, per i Comuni, in base all’art. 23, commi terzo e quarto, del D.L. 66 del 1989 convertito, con modifiche, nella L. n. 144 del 1989 (abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs. 25.02.1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n. 342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo decreto) di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal Ragioniere (o dal Segretario, in mancanza del ragioniere) sul competente capitolo del bilancio di previsione, trova applicazione anche qualora la spesa dell’Ente territoriale sia interamente finanziata da altro Ente Pubblico, dovendo anche in tal caso avere luogo la verifica della copertura della spesa nel bilancio del Comune che assume l’impegno di spesa.
7.3
il contratto d’opera professionale, con il quale un Ente Pubblico territoriale abbia affidato la progettazione di un’opera pubblica subordinando con apposita clausola il pagamento del compenso al professionista alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell’opera da progettarsi, non si sottrae all’applicazione dell’art. 23 commi terzo e quarto, del D.L. 66 del 1989 convertito, con modifiche nella L. n. 144 del 1989 (abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs. 25.02.1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n. 342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo decreto).
In particolare
la previsione della clausola c.d. di copertura finanziaria non consente di rinviare all’ottenimento del finanziamento l’osservanza delle modalità procedimentali, inderogabilmente dettate dalla norma di cui all’art. 23 cit.; con la conseguenza che, in difetto, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’Ente, intercorrendo -ai fini della contro prestazione- fra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno (
Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 18.12.2014 n. 26657).

INCARICHI PROGETTUALI: Incarichi senza copertura, risponde il sindaco o il dirigente.
Il comune che incarica il professionista per la progettazione di un'opera pubblica ben può subordinare con una clausola ad hoc il pagamento del compenso alla concessione del finanziamento necessario a realizzare l'intervento. Ma servono comunque la delibera autorizzativa e la registrazione dell'impegno di spesa a bilancio, altrimenti il rapporto obbligatorio non è riferibile all'amministrazione ma intercorre invece fra il privato, da una parte, e, dall'altra, l'amministratore locale o il funzionario pubblico che ha autorizzato la fornitura. E ciò anche quando è un altro ente, per esempio la regione, a finanziare interamente l'intervento (vale anche per la Sicilia, nonostante lo statuto speciale, perché si tratta di leggi nazionali).

Lo stabiliscono le Sezz. unite civili della Corte di Cassazione con la
sentenza 18.12.2014 n. 26657 che compone un contrasto di giurisprudenza.
Accolto, nella specie, il ricorso dell'ente locale. Vale sempre il principio di contabilità pubblica secondo cui per i comuni vige il divieto di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o in mancanza dal segretario) sul competente capitolo di bilancio di previsione.
L'incarico di progettare l'opera pubblica affidato al professionista non sfugge alla regola: l'ente locale non può effettuare alcuna spesa se non c'è una delibera ad hoc che l'autorizza e un relativo impegno contabile a bilancio da comunicare ai terzi interessati: diversamente, dunque, rispondono il sindaco o il dirigente che l'hanno consentito. La previsione della clausola di copertura finanziaria nel contratto stipulato con il professionista non può comunque consentire di rinviare il momento in cui il comune deve indicare l'ammontare della spesa e i mezzi per farvi fronte.
Insomma: non si può differire all'arrivo del finanziamento l'osservanza delle modalità procedimentali previste per gli enti locali. Nel caso in cui l'incarico è affidato senza prima mettere nero su bianco l'impegno contabile e attestare l'impegno finanziario ecco che si rompe il nesso di immedesimazione organica con l'amministrazione, la quale non può essere considerata responsabile, diversamente dall'amministratore locale o dal funzionario pubblico. E anche quando la provvista è a carico di un altro ente l'obbligazione di pagamento resta sempre a carico del comune, che è il soggetto finanziato.
Resta da capire che cosa accade al professionista. Quando accetta la clausola che vincola il suo compenso all'ottenimento del finanziamento dell'opera, il progettista non rinuncia certo alle sue spettanze: si configura invece l'inserimento in un contratto d'opera professionale, normalmente oneroso, di una condizione potestativa (
articolo ItaliaOggi del 19.12.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

novembre 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni - Regolamento interno ente locale - Incarichi meramente occasionali - Deroga all'evidenza pubblica - Inammissibilità - Non conformità all'art. 7 tupi - Ragioni.
La disposizione regolamentare prevede che «Sono escluse dalle procedure comparative e dagli obblighi di pubblicità le sole prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica, non riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. 165 del 2001».
La previsione non è conforme a legge.

In merito, peraltro, si osserva che
l’occasionalità è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico esterno, venuta meno la quale, in ragione del carattere stabile del bisogno amministrativo che si intende soddisfare, l’ente sarebbe tenuto a farvi fronte con un impiego stabile ovvero ad esternalizzare in appalto
.
Per tale ragione
non pare corretta l’astratta distinzione tra occasionalità e “mera” occasionalità, in quanto non fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti ricavabile dalla ratio sottesa all’art. 7 TUPI; piuttosto essa appare prefigurare una clausola per deroghe de facto alla regola della procedura comparativa, simile a quella della soglia minima per valore, pacificamente ritenuta illegittima da questa Corte.
Infatti, come nei casi delle soglie di valore di irrilevanza ai fini della procedura comparativa, non si può che ribadire che
gli enti sono tenuti alla stretta osservanza del principio dell’evidenza pubblica nell’assegnazione degli incarichi. In altre parole, la normativa primaria di cui all’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001 non consente alcuna deroga alle procedure comparative, se non con successiva norma di pari rango, allo stato attuale non esistente.
I soggetti pubblici destinatari della norma possono, secondo i loro ordinamenti, semplicemente adattare e indicare le modalità di selezione e pubblicità delle procedure, non disciplinarne gli stessi presupposti.
La doverosa osservanza della norma primaria non consente, quindi, alcuna deroga da parte degli ordinamenti delle singole amministrazioni tenute all’osservanza della disciplina dell’art. 7 TUPI. Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti pubblici in questione di stabilire “ad libitum”, attraverso i propri statuti e regolamenti, categorie che, per quantità o qualità dell’incarico, sono sottratte alle procedure concorsuali, così svuotando di contenuto, tra l’altro, la stessa norma sul controllo (perché inibita a controllare la spesa pubblica ogni qualvolta vengano poste eccezioni alle procedure secondo parametri di merito non sottoposti a controllo e variabili da ente a ente).
Ne conseguirebbe, quindi, che il controllo della Corte sulla materia sarebbe limitato principalmente al corretto rispetto della soglia prevista dalla normativa statutaria e regolamentare, con aperta violazione dei principi di imparzialità garantiti costituzionalmente.
---------------
La giurisprudenza della Corte ha da tempo individuato i seguenti principi:

1)
la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della Legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a), del TUEL);
2)
l’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito nella Legge n. 133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono dalle collaborazioni “comuni”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3)
quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, è stato chiarito che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali;
4)
il nuovo testo dell’art. 7 del D.lgs. n. 165/2001 (TUPI) richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 TUEL;
5)
il comma 3 dell’art. 46 del D.L. n. 112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6)
quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della deliberazione SRC Lombardia n. 37/2008 del 04.03.2008, sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7)
il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici, D.lgs. n. 163/2006. Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;

8)
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della prestazione, durata, modalità di determinazione del corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9)
in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10)
nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza.

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In data 22.09.2014, con nota prot. C.C. n. 4565, il Comune di Caserta (CE) ha trasmesso alla Sezione Regionale di controllo per la Campania la delibera di Giunta Comunale n. 144 del 21.03.2008, avente ad oggetto l’approvazione del nuovo regolamento per il conferimento di incarichi “Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e Servizi del Comune di Caserta”, approvato con deliberazione di G.C. n. 560 del 19.07.02000 e s.m.i.
Sulla base dei criteri enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in merito all’interpretazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego, da ora innanzi TUPI) e delle altre norme e principi in materia, il Magistrato istruttore ha deferito la questione all’esame collegiale della Sezione.
...
   1. La legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n. 244), nel dettare le regole alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla competente Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di modifiche future ai testi già approvati).
La Corte dei conti (cfr. SRC Lombardia, deliberazioni nn. 28 e 29/2008/PAR, 37/2008/REG e 224/2008) ha da tempo elaborato i criteri interpretativi della normativa al fine di stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni regolamentari inerenti agli incarichi di collaborazione esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è chiamata ad effettuare un controllo preventivo di legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze tipiche della magistratura contabile.
  
1.1. Al riguardo, necessario punto di partenza è la considerazione che le Sezioni regionali della Corte dei conti possono svolgere, tra gli altri, vari controlli di natura “collaborativa” nell'ambito dei quali il Legislatore, come ha riconosciuto dalla la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale rinvenibile, in base ad una lettura adeguatrice rispetto al nuovo assetto della Repubblica, nelle norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della Costituzione (cfr. sentenza Corte cost. n. 179/2007).
Tali controlli “collaborativi” possono avere una struttura aperta quanto ad oggetto e parametro di valutazione (controlli eventuali ai sensi dell’art. 3 della L. n. 20/1994, oggetto di specifica programmazione, caratterizzati per l’allargamento del parametro a regole di buona prassi, dall’esito meramente conformativo, nel senso dell’autocorrezione dell’Amministrazione) ovvero possono avere carattere “dicotomico” (Corte costituzionale n. 40/2014) in cui la Magistratura di controllo è chiamata a valutare e decidere secondo lo schema tipico e naturale della funzione magistratuale, ovvero secondo lo schema di conformità/non conformità ad un parametro normativo, sia esso afferente un’attività o un atto.
In assenza di specifiche conseguenze di legge, relativamente alle irregolarità normative rilevate, resta fermo il dovere di riesame delle criticità evidenziate dalla Corte dei Conti da parte dell’Amministrazione al fine del ripristino della regolarità amministrativa e contabile, come esplicitamente affermato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 198/2012), con l’obbligo di porre in essere, in ossequio a costante approdo della giurisprudenza, un procedimento di secondo grado per rimuovere le ridette irregolarità (si ricade nella casistica di “autotutela doverosa” che, come noto, comprende «l'ipotesi di illegittimità dell'atto dichiarata da sentenza passata in giudicato del giudice ordinario, e quella di illegittimità dell'atto dichiarata da un'autorità di controllo priva del potere di annullamento. È, peraltro, pacifico in giurisprudenza che per gli atti che esplicano effetti giuridici ripetuti nel tempo il principio di legalità impone all'Amministrazione il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento. In tali ipotesi l'interesse pubblico all'esercizio dell'autotutela è "in re ipsa" e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti "contra legem" cfr. Consiglio di Stato VI, sentenza 17.01.2008, n. 106» TAR Campania, Napoli, Sez. IV, sentenza 03.04.2012, n. 1527).
In alcuni di questi controlli, in presenza di presupposti specifici (di norma determinate tipologie di “gravi irregolarità”), il Legislatore ha previsto conseguenze specifiche ed il superamento dell’effetto meramente conformativo nel senso della necessità dell’autotutela vincolata, prevedendo un effetto “interdittivo”, rimesso ad un’ulteriore attività di accertamento della Magistratura di controllo; effetto interdittivo, peraltro, operante sul piano meramente finanziario e non su quello della capacità dell’ente (autodichia e capacità negoziale). È questo il caso della fattispecie dell’art. 148-bis TUEL, comma 3, in ipotesi di mancanza o inidoneità delle misure di autocorrezione adottate da un ente a valle di una pronuncia specifica della Corte.
  
1.1.1. In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non può essere fine a sé stesso, ma deve essere finalizzato allo svolgimento delle specifiche funzioni, come già messo in luce dalla Sezione (cfr. SRC Campania n. 221/2014/VSG e n. 21/2014/REG).
La trasmissione dei regolamenti deve quindi ritenersi strumentale al più generale potere di controllo di cui l’art. 1, commi da 166 a 172, della Legge n. 266 del 2005 e all’art. 148-bis TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del D.L. n. 174/2012. Tali previsioni hanno istituito ulteriori tipologie di controllo, estese alla generalità degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, ascrivibili a controlli di natura preventiva finalizzati ad evitare danni irreparabili all’equilibrio di bilancio.
Tali controlli si collocano, pertanto, su un piano nettamente distinto rispetto al controllo sulla gestione amministrativa di natura collaborativa in senso lato; la Corte costituzionale, infatti, «Nel pronunciarsi sulla conformità a Costituzione delle norme che disciplinano tale tipologia di controllo, in relazione agli enti locali e agli enti del Servizio sanitario nazionale (art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005), […] ha altresì affermato che esso “è ascrivibile alla categoria del sindacato di legalità e di regolarità, di tipo complementare al controllo sulla gestione amministrativa” (sentenza n. 179 del 2007)» (sentenze n. 60 del 2013). Tali controlli, come si anticipava, sono caratterizzati da un esito di tipo “dicotomico” o binario di conformità al parametro normativo.
Detto in altri termini, il Legislatore, accanto al controllo generale di cui all’art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005 e 148-bis TUEL, ha previsto forme di controllo specifico, riguardanti determinate tipologie di spese; ha così istituito il controllo sui regolamenti in questione e, similmente, sugli incarichi oltre una determinata soglia di importo (cfr. infra), come, più di recente, sulle spese di rappresentanza (art. 16, comma 26, del D.L. n. 138/2011, conv. nella Legge n. 148/2011).
Di conseguenza, anche il controllo sui regolamenti deve essere svolto secondo schema “binario” di conformità (C. cost., sent. n. 40/2014), dovendosi assumere a parametro delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti normativi di settore (in particolare l’art. 7 del d.lgs n. 165/2001 e l’art. 110 TUEL) oltre ad ogni altra disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di natura finanziaria, riferite a questa materia.
  
1.2. Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale, ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste dall’art. 1 comma 166 e seguenti della legge n. 166/2005) anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non più statica (come era il tradizionale controllo di legalità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e parametro normativo all’adozione di misure correttive.
Tanto premesso, sotto il profilo sostanziale,
la giurisprudenza della Corte ha da tempo individuato i seguenti principi:
1)
la disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57, della Legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a), del TUEL);
2)
l’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito nella Legge n. 133/2008, ha unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono dalle collaborazioni “comuni”, il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3)
quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria”, è stato chiarito che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali;
4)
il nuovo testo dell’art. 7 del D.lgs. n. 165/2001 (TUPI) richiede, come presupposti di legittimità, tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio. In particolare, quello della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge, oltre che previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42 TUEL;
5)
il comma 3 dell’art. 46 del D.L. n. 112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in sede di conferimento, l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6)
quanto all’oggetto delle collaborazioni autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della deliberazione SRC Lombardia n. 37/2008 del 04.03.2008, sull’inapplicabilità della disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7)
il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel Codice dei contratti pubblici, D.lgs. n. 163/2006. Tuttavia, la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale;

8)
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare: oggetto della prestazione, durata, modalità di determinazione del corrispettivo, termini di pagamento, verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo);
9)
in ogni caso, tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di incarico;
10)
nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società partecipate debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo dell’ente locale sulla relativa osservanza (art. 18 del D.L. 112/2008, SRC Lombardia, n. 350/2011/PAR).
  
1.3. Infine si rammentano i seguenti obblighi di legge.
  
1.3.1. L’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013, rafforzando un obbligo già a suo tempo disposto dall’art. 3, comma 54 della Legge 24.12.2007, n. 244 (finanziaria per il 2008) impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza di pubblicare: a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; b) il curriculum vitae; c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o di attività professionali; d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
Tale obbligo di pubblicità, è assolto arricchendo i contenuti necessari dei siti web istituzionali indicati dall’articolo 54 del decreto legislativo 07.03.2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), mediante l’inserimento dei richiamati dati nella home page dei siti istituzionali degli enti, all’interno dell’apposita sezione denominata “amministrazione trasparente (cfr. art. 9 del medesimo d.lgs. n. 33/2013).
La medesima disposizione, ai commi 2 e 3, conferma e rinsalda anche le conseguenze e le sanzioni previste dal richiamato art. 3 della finanziaria 2008 per l’ipotesi di mancata pubblicazione dei dati relativi all’affidamento a titolo oneroso dei prefati incarichi a soggetti esterni alla pubblica amministrazione.
In particolare, si prevedono, accanto al vincolo sull’efficacia dei relativi atti di affidamento, le conseguenti responsabilità disciplinari ed erariali in capo ai dirigenti che danno corso al pagamento dei relativi compensi: “
la pubblicazione degli estremi degli atti di conferimento di incarichi […] di collaborazione o di consulenza a soggetti esterni a qualsiasi titolo per i quali è previsto un compenso, completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato, nonché la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica dei relativi dati ai sensi dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e successive modificazioni, sono condizioni per l'acquisizione dell'efficacia dell'atto e per la liquidazione dei relativi compensi. Le amministrazioni pubblicano e mantengono aggiornati sui rispettivi siti istituzionali gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico. […]” (comma 2) ”In caso di omessa pubblicazione di quanto previsto al comma 2, il pagamento del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente che l'ha disposto, accertata all'esito del procedimento disciplinare, e comporta il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario ove ricorrano le condizioni di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104.”
  
1.3.2. Altrettanto importante è l’obbligo di sottoporre le ipotesi di incarico al parere preventivo dei Revisori. Tale obbligo è stato previsto dall’art. 1, comma 42, Legge n. 311 del 30.12.2004 (finanziaria per il 2005).
In proposito, a fronte di pronunciamenti inizialmente orientati nel senso dell’intervenuta abrogazione della disposizione (cfr. ad esempio, la delibera n. 4/2006/AUT della Sezione delle Autonomie, di approvazione delle Linee guida per l’attuazione dell’art. 1, comma 173 della Legge n. 266 del 2005)
la successiva giurisprudenza costante delle Sezioni regionali di controllo di questa Corte si sono pronunciate per la permanenza in vigore dell’art. 1, comma 42, della Legge n. 311/2004 (cfr. SRC Lombardia, deliberazioni nn. 213/2010; 506/2010; cfr. anche SRC Piemonte 69/2011).
  
1.3.3. Infine, si rammenta l’obbligo di invio alla Corte dei conti degli gli incarichi di importo superiore a € 5.000,00: l’art. 1, comma 173, della Legge 23.12.2005, n. 266, infatti, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a € 5.000,00 devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l’esercizio del controllo successivo sulla gestione, di tipo “dicotomico”, di cui alla L. 266/2005.
Questa Corte ha già affermato che “
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei requisiti di Legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta, da un lato, l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e, dall’altro, la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (SRC Lombardia, n. 244/2008).
Anche in questo caso, come si è già sottolineato, il Legislatore accanto al controllo generale di cui all’art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005 e 148-bis TUEL ha previsto forme di controllo specifico, riguardante determinate tipologie di spese.
  
2. Nel caso specifico, in merito al Regolamento del Comune di Caserta, si osserva quanto segue, con riguardo alla previsione di cui al 6§2. Tale disposizione regolamentare prevede che «Sono escluse dalle procedure comparative e dagli obblighi di pubblicità le sole prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica, non riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. 165 del 2001».
La previsione non è conforme a legge.

Sul punto, il Collegio non ignora che, in effetti, la previsione è conforme al contenuto della Circolare n. 2/2008 della Presidenza del Consiglio.
In merito, peraltro, si osserva che
l’occasionalità è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico esterno, venuta meno la quale, in ragione del carattere stabile del bisogno amministrativo che si intende soddisfare, l’ente sarebbe tenuto a farvi fronte con un impiego stabile ovvero ad esternalizzare in appalto (cfr. supra, a proposito della ratio dell’art. 7 TUPI e la sua connessione con l’art. 36 dello stesso Testo unico).
Per tale ragione
non pare corretta l’astratta distinzione tra occasionalità e mera” occasionalità, in quanto non fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti ricavabile dalla ratio sottesa all’art. 7 TUPI; piuttosto essa appare prefigurare una clausola per deroghe de facto alla regola della procedura comparativa, simile a quella della soglia minima per valore, pacificamente ritenuta illegittima da questa Corte (cfr. ex plurimis, Sez. centr. contr. leg. n. 12/2011).
Infatti, come nei casi delle soglie di valore di irrilevanza ai fini della procedura comparativa, non si può che ribadire che
gli enti sono tenuti alla stretta osservanza del principio dell’evidenza pubblica nell’assegnazione degli incarichi. In altre parole, la normativa primaria di cui all’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001 non consente alcuna deroga alle procedure comparative, se non con successiva norma di pari rango, allo stato attuale non esistente.
Pertanto, la conformità della norma regolamentare alla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 2/2008 non esime la disposizione da censure, sia per la natura dell’atto giuridico in questione, che non è una fonte del diritto, sia per l’indiscussa giurisprudenza contabile, la quale ha mostrato ripetutamente il proprio orientamento restrittivo verso eccezioni “interpretative” alla regola dell’evidenza pubblica.
In definitiva, atteso che la richiamata norma è espressione dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità delle amministrazioni pubbliche –attraverso, appunto, la previsione di procedura concorsuale per l’affidamento di tali incarichi– se ne deve dedurre che
i soggetti pubblici destinatari della norma possono, secondo i loro ordinamenti, semplicemente adattare e indicare le modalità di selezione e pubblicità delle procedure, non disciplinarne gli stessi presupposti.
La doverosa osservanza della norma primaria non consente, quindi, alcuna deroga da parte degli ordinamenti delle singole amministrazioni tenute all’osservanza della disciplina dell’art. 7 TUPI. Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti pubblici in questione di stabilire “ad libitum”, attraverso i propri statuti e regolamenti, categorie che, per quantità o qualità dell’incarico, sono sottratte alle procedure concorsuali, così svuotando di contenuto, tra l’altro, la stessa norma sul controllo (perché inibita a controllare la spesa pubblica ogni qualvolta vengano poste eccezioni alle procedure secondo parametri di merito non sottoposti a controllo e variabili da ente a ente).
Ne conseguirebbe, quindi, che il controllo della Corte sulla materia sarebbe limitato principalmente al corretto rispetto della soglia prevista dalla normativa statutaria e regolamentare, con aperta violazione dei principi di imparzialità garantiti costituzionalmente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, parere 14.11.2014 n. 235).

INCARICHI PROFESSIONALII presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge";
b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che, in base ai principi generali di organizzazione amministrativa,
gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;
c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i..

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L’Azienda Sanitaria Locale TO 2 (in seguito l’Azienda Sanitaria), con nota pervenuta in data 11.02.2014 prot. n. 2131, ha trasmesso a questa Sezione Regionale di Controllo, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, una serie di deliberazioni del Direttore Generale ed in particolare la deliberazione n. 41 del 24.01.2014 (munita dei pareri favorevoli del direttore sanitario e del direttore amministrativo), avente ad oggetto l’affidamento di un incarico di assistenza legale “a seguito di richiesta di pagamento sanzioni amministrative per prescrizioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro” a favore dell’….(omissis)… per un spesa di € 5.000,00 oltre oneri accessori.
Per inciso va sottolineato che nell’ambito della predetta trasmissione veniva altresì inoltrata la deliberazione n. 38 del 24.01.2014 avente ad oggetto la liquidazione di spese legali a favore di un proprio dipendente quale rimborso delle spese sostenute nell’ambito di un processo penale all’esito di un giudizio definito positivamente per il medesimo, ai sensi dell’art. 25 del CCNL del 1998-2001 del relativo comparto, provvedimento in relazione al quale alcun rilievo è stato mosso ma che –in questa sede- assume un rilevanza indiretta in relazione ad un profilo inerente alla concreta attiva posta in essere dalla P.A. a seguito dell’atto oggetto di controllo.
Dall’esame della deliberazione n. 41/2014, come rilevato con la prima nota istruttoria, si è evinto che non risultava: la previa procedura comparativa per la scelta dell’incaricato, la previa ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di svolgere l’incarico, né l’avvenuta pubblicazione sul sito web dell’incarico.
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I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge dell’incarico conferito dalla Azienda sanitaria occorre rammentare che
i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in tal senso, si può richiamare il recente parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione).
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge (Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008);
b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che, in base ai principi generali di organizzazione amministrativa,
gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;
c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi.; es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte parere 25.10.2013 n. 362).
  
II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di legittimità per il conferimento dell’incarico occorre evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla Azienda Sanitaria a mezzo delle varie risposte e dei documenti inviati nel corso dell’espletata istruttoria, mentre per gli aspetti inerenti alla pubblicazione sul sito web dell’ente risultano essere state fornite indicazioni adeguate e sufficienti, non può dirsi ugualmente in ordine alla procedura utilizzata per il conferimento dell’incarico. Va inoltre evidenziato che problematiche risultano residuare quanto alla previa ricognizione dell’assenza di strutture e professionalità interne all’ente in grado di far fronte all’incarico e ad ulteriori aspetti concernenti l’affidamento dell’incarico in questione e la vicenda sottostante.
Preliminarmente occorre puntualizzare la natura dell’incarico conferito all’…(omissis)... nell’ambito del controllo successivo esercitato da questa sezione. Va infatti evidenziato che la deliberazione n. 41/2014, oggetto del presente procedimento di controllo, trasmessa quale incarico di assistenza legale come risultante dal tenore letterale dell’oggetto e della stessa parte dispositiva, è stata dunque rappresentata quale atto di conferimento di un incarico esterno in ambito stragiudiziale. Tuttavia all’esito dell’articolata attività istruttoria la natura dello stesso incarico si è rivelata invero parzialmente differente e la sottostante realtà si e dimostrata ben diversa e molto più articolata di quanto ufficialmente e sinteticamente riportato nel provvedimento assunto dal Direttore Generale.
Invero l’analisi dei documenti e delle risposte istruttorie ha consentito di accertare che per effetto della deliberazione 41/2014 l’A.S.L. TO 2 ha incaricato …(omissis)… di effettuare le opportune valutazioni e le eventuali modifiche alle procedure afferenti la sicurezza sui luoghi di lavoro dell’azienda sanitaria, consegnando allo stesso la relativa documentazione (nota di risposta pervenuta il 20.06.2014 prot. n. 6766), con riesame dell’organizzazione delle deleghe (nota pervenuta il 26.02.2014, prot. n. 2615). Inoltre al legale è stato conferito altresì un incarico in ambito giudiziale, ma contrariamente a quanto dichiarato in sede di risposta istruttoria, l’Azienda non ha incaricato l’…(omissis)… di proporre un ricorso avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate.
Invero quanto all’avvenuta proposizione di un ricorso in via giurisdizionale amministrativa in nome e per conto dell’ASL TO 2 non vi è alcuna documentazione. Di contro, dalla lettura degli atti è emerso che l’…(omissis)… è stato incaricato della difesa personale del Direttore Generale nell’ambito del procedimento penale R.G.N.R. 1838/14, tanto che lo stesso legale in data 20.03.2014 ha presentato una memoria difensiva ex art. 367 c.p.p. all’autorità inquirente. Dall’esame complessivo degli atti emerge dunque che in realtà non sia stato presentato alcun ricorso in nome e per conto dell’Azienda sanitaria avverso sanzioni amministrative. In realtà nel caso di specie trattandosi di sanzioni per violazione delle norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, viene in rilievo la disciplina di cui al d.lgs. n. 81/2008, segnatamente gli artt. 29, 64 e 65 del citato d.lgs., la cui violazione dà luogo (ex art. 301) all’applicazione delle disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19.12.1994, n. 758.
Conseguentemente nella suddetta vicenda risultano essere state riscontrate violazioni alla disciplina sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, che hanno dato luogo all’avvio di un procedimento penale ovviamente nei confronti di una persona fisica, come del resto esplicitato nelle avvertenze e prescrizioni (punti 6-7-8-9-) al verbale di ispezione e prescrizioni V45/13 dello Spresal dell’ASL TO4.
In conseguenza di ciò
è quindi emerso che con il provvedimento de quo all’…(omissis)… è stato conferito un incarico composito in parte di natura stragiudiziale correlato all’analisi ed alla revisione delle procedure afferenti la sicurezza sui luoghi di lavoro dell’azienda ed in parte di natura giudiziale, peraltro non già per la rappresentanza e tutela dell’Azienda Sanitaria, ma bensì per la difesa di una persona fisica nell’ambito del procedimento scaturito dall’ispezione (sfociata nel verbale V45/13) degli ufficiali di polizia giudiziaria dello Spresal dell’ASL TO4.
Chiarita la natura del tutto peculiare dell’incarico in questione occorre analizzare gli elementi problematici afferenti al controllo sulla gestione del provvedimento conferito con la deliberazione n. 41/2014.
  
II.1. In primo luogo va evidenziato il fatto che l’incarico in questione (in parte come detto di natura stragiudiziale) è stato conferito in assenza di una previa procedura comparativa.
In proposito si osserva che
l’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in proposito è stato affermato che “il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed ancora: “qualsivoglia pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un professionista esterno un incarico di collaborazione, di consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione del servizio” (TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte Conti sez. reg. contr. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37; parere 27.11.2012 n. 509 che ribadiscono i principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto modo di statuire che: “
il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in concreto posto la necessità dell’espletamento della procedura concorsuale, nella considerazione che un simile modus operandi, implicando il rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto,
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico
(ex plurimis, parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia (Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/2010 e n. 8/2010; cfr le recenti Sez. contr. reg. Piemonte parere 25.10.2013 n. 362; parere 19.12.2013 n. 421).). 
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa Sezione (parere 20.12.2012 n. 5) ha già avuto modo di affermare, esaminando un regolamento comunale che prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per incarichi di importo superiore ad € 5.000,00, che
una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di conversione, a mente del quale “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di sotto delle quali le procedure comparative non sono necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “
Va aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui, quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato, salve circostanze del tutto particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.) (cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)” (cfr. di recente sez. controllo Piemonte, parere 11.04.2014 n. 11).
Ancora va evidenziato che nella fattispecie l’azienda ha riferito di aver formato un elenco di avvocati nell’ambito del quale ha ritenuto di nominare per l’incarico in questione l’…(omissis)… senza alcuna procedura comparativa (nota pervenuta il 26.02.2014 prot. n. 2615). Tuttavia, anche a seguito di puntuale richiesta di chiarimento, l’ASL ha escluso l’esistenza di un testo regolamentare disciplinante i criteri e le modalità di scelta del collaboratore nell’ambito dell’elenco di avvocati, ribadendo sostanzialmente la fiduciarietà quale fondamentale criterio di selezione (cfr. nota pervenuta il 20.06.2014, prot. n. 6766).
Dunque alla luce di quanto detto
è evidente che l’ente riservandosi di scegliere di volta in volta i soggetti esterni da incaricare sulla base di un criterio di tipo fiduciario agisce in contrasto con il dettato legislativo.
Ne consegue dunque che nel caso di specie la procedura seguita dall’Amministrazione provinciale non risulta conforme alla disciplina legislativa ed in particolare alla previsione circa la necessità di una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata.
  
II.2. In secondo luogo l’amministrazione nel caso di specie laddove ha conferito all’…(omissis)… altresì un incarico di consulenza e supporto stragiudiziale in ordine alle valutazioni ai fini delle “eventuali modifiche da apportare alla procedura” circa la sicurezza sui luoghi di lavoro (cfr. nota pervenuta il 20.6.2014 prot n. 6766), avendo “anche chiesto di riesaminare l’organizzazione sulle deleghe per la sicurezza sui luoghi di lavoro” cfr. nota pervenuta il 26.02.2014 prot. n. 2615), non ha chiarito adeguatamente se prima di procedere all’avvio dell’iter procedimentale per l’affidamento dell’incarico abbia effettuato una puntuale ricognizione circa l’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di far fronte all’esigenza sottesa all’incarico in questione, dando ovviamente conto delle eventuali modalità di espletamento di tale adempimento. In secondo luogo neppure all’esito dell’istruttoria sono chiaramente emerse le ragioni per le quali sia stata necessitata la scelta di rivolgersi all’esterno della struttura amministrativa, posto che ovviamente per tale profilo l’assenza di un’avvocatura interna all’ente è del tutto inconferente.
D’altro canto nella nota di risposta pervenuta il 26.02.2014, prot n. 2615, è stato di contro affermato che “all’interno dell’azienda è presente una struttura organizzativa che si occupa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, svolge la propria attività in modo congruo e soddisfacente”.
Conseguentemente sotto tale profilo le dichiarazioni rese nella citata risposta dal Direttore Generale e dal Dirigente Responsabile appaiono in realtà comprovare il fatto che nel caso di specie sia stato fatto ricorso all’esterno della struttura per far fronte ad un’esigenza che, al contrario di quanto asserito, avrebbe potuto essere fronteggiata con le risorse interne.
Tale circostanza si riverbera indubbiamente sulla legittimità della deliberazione di conferimento dell’incarico a favore dell’…(omissis)…, non constando affatto un presupposto essenziale affinché l’Amministrazione potesse rivolgersi all’esterno della propria struttura. Del resto
che l’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all'ente in grado di assicurare l’esigenza dell’ente sia requisito essenziale pena l’illegittimità dell’incarico e causa di danno erariale è pacifico, tanto che anche il legislatore ha anche avuto modo di cristallizzare la suddetta regola a livello generale ponendo tale elemento quale primo presupposto e incipit della previsione normativa (cfr. art. 6, co. 1, d.lgs. n. 165/2001). Alla luce delle argomentazioni sopra esposte in ordine all’attribuzione dell’incarico in ambito stragiudiziale si impone la trasmissione della presente delibera alla Procura regionale per il Piemonte per quanto di propria competenza.
  
III. Dall’analisi della vicenda oggetto di controllo va altresì rilevato il fatto che nella fattispecie l’Azienda ha conferito ad un legale l’incarico di difesa personale del Direttore Generale nell’ambito di un procedimento penale in palese violazione dei principi di trasparenza, pubblicità, nonché dell’elementare principio di corrispondenza delle condotte a quanto formalmente ed ufficialmente contenuto negli atti amministrativi autorizzativi.
Dall’istruttoria è inoltre emerso il pagamento da parte dell’ASL di una sanzione pecuniaria irrogata al Direttore Generale. Ciò comporta la trasmissione della presente al rappresentante del Pubblico ministero presso questa Corte, al responsabile per la prevenzione della corruzione, nominato ai sensi della l. n. 190/2012, nonché all’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte.
In conclusione alle rilevate irregolarità/illegittimità dell’attribuzione della collaborazione consegue l’obbligo della Azienda Sanitaria di conformare la propria azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla legge e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 13.11.2014 n. 242).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOPa, sì al patrocinio dei legali in pensione. Corte conti Puglia. Vietati solo i pareri.
Le pubbliche amministrazioni possono attribuire, a titolo gratuito con rimborso spese e al massimo per un anno (non rinnovabile), incarichi professionali di rappresentanza e patrocinio giudiziale anche ad avvocati in pensione ex dipendenti poiché non rientrano tra quelli di studio e consulenza vietati dalla normativa per il taglio della spesa e la riforma della Pa.
Lo ha stabilito la Corte dei conti nel parere 06.11.2014 n. 193 della Sezione regionale di controllo per la Puglia su una richiesta interpretativa presentata dal presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.
I giudici hanno chiarito uno dei limiti applicativi del divieto di conferire incarichi a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza posto in capo a tutte le amministrazioni dello Stato dalla cosiddetta spending review bis (articolo 5, comma 9, Dl 95/2012, convertito in legge 135/2012) e modifiche estensive della riforma della Pa (articolo 6, Dl 90/2014, convertito in legge 114/2014).
In particolare, ha spiegato il collegio, mentre nella versione previgente, il divieto riguardava gli ex dipendenti «che nell’ultimo anno avessero svolto funzioni e attività corrispondenti a quelli oggetto dell’incarico da conferire, a seguito della modifica introdotta con Dl 90/2014, il divieto è stato esteso a tutti i soggetti “già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”», interessando cioè «non solo gli ex dipendenti dell’ente, ma tutti i lavoratori (dipendenti, lavoratori autonomi) privati o pubblici (quindi, a prescindere dalla natura dell’ex datore di lavoro) in quiescenza» e qualunque incarico di studio e consulenza poiché «sul piano oggettivo non più necessario che l’oggetto del conferimento consista in attività o mansioni già svolte in precedenza».
La Sezione ha ritenuto che «in difetto di previsione contraria sul piano normativo, gli incarichi professionali di rappresentanza e patrocinio giudiziale rimangono estranei alla nozione di incarichi di studio e consulenza» definita negli ultimi anni da pronunce della stessa Corte dei conti (deliberazione n. 6/2005, n. 6/2008, n. 131/2014). In base a quest’ultime sono incarichi di consulenza «quelli volti ad acquisire da un soggetto esperto un giudizio su una determinata questione», quelli di studio invece sono «volti a ricercare soluzioni su questioni inerenti all’attività di competenza dell’amministrazione conferente, i cui risultati verranno trasfusi in una relazione scritta finale». Nella nozione di consulenza non rientra l’attività di rappresentanza processuale e di difesa in giudizio, ma l’incarico al legale se prevede la resa di un mero parere.
Il divieto, che vale anche per funzioni dirigenziali, direttive o cariche in organi di governo delle Pa e degli enti e società controllati (escluse le giunte degli enti territoriali e gli organi elettivi degli enti pubblici associativi), vale per tutti gli incarichi conferiti anche dagli organi costituzionali dal 25.06.2014, data dell’entrata in vigore della Riforma della Pa
(articolo Il Sole 24 Ore del 27.12.2014).

ottobre 2014

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI: L. Sergio, Incarico per prestazione professionale con corrispettivo subordinato al finanziamento dell’opera. La posizione della Corte di Cassazione civile (12.10.2014 - link a www.studiocataldi.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il funzionario o l’amministratore comunale che consentano lo svolgimento di una prestazione in assenza di un regolare contratto ne rispondono in proprio.
Non è dunque necessario che essi siano parte attiva o comunque abbiano determinato in prima persona la prestazione, essendo sufficiente che non si siano opposti all’esecuzione.

La disposizione di cui al Decreto Legge n. 66 del 1989, articolo 23, (convertito, con modificazioni, in Legge 24.04.1989, n. 144, e riprodotta nel Decreto Legislativo n. 77 del 1995, articolo 35) prevede che nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 (che richiede la sussistenza della deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta esecutiva, nonché dell’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione), il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura.
Questa norma è stata interpretata dalla Corte di appello nel senso che per configurarne l’operatività sia necessario che il funzionario assuma un ruolo attivo e decisionale nell’affidamento dell’incarico di svolgere le prestazioni professionali. Questa lettura è contraria al senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (articolo 12 preleggi) e alla finalità della normativa, indiscutibilmente volta a prevenire il formarsi di debiti fuori bilancio a carico delle amministrazioni.
3.1) L’uso del verbo “consentire” descrive infatti il comportamento di chi, trovandosi privo del potere decisionale sul conferimento dell’incarico o l’acquisizione del bene, nell’esercizio delle sue funzioni permetta che avvenga l’acquisizione della prestazione o della fornitura, senza opporvisi per quanto dovuto nei limiti delle sue attribuzioni. Il disposto normativo è volto a far sì che un contratto non perfezionatosi secondo legge non pervenga alla fase esecutiva.
A questo fine viene responsabilizzato l’amministratore o il funzionario che, chiamato ad operare, a cagione del suo ufficio, per la conclusione e l’attuazione del contratto, cooperi, lasci che la prestazione venga eseguita. Il legislatore vuole invece, lo si desume dalla scelta dell’espressione verbale, che il funzionario neghi il suo consenso e comunque non presti, per quanto possibile, l’opera che sarebbe suo dovere compiere se il contratto fosse stato formato a norma di legge.
Lasciar fare in luogo di ostacolare; assecondare; cooperare: sono manifestazioni di quel comportamento consenziente che il legislatore ha voluto vietare e dal quale fa scaturire conseguenze a carico del funzionario o dell’amministratore.
3.2) Ha dunque errato la Corte di appello nel descrivere il comportamento configurato dal legislatore, cioè il “consentire”, alla stregua di un ruolo di “iniziativa o determinante intervento”.
Ed è quindi fondato il ricorso nella parte in cui invoca, tra l’altro, il precedente costituito da Cass. 10640/2007, secondo cui si ha l’insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione in tutti i casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale, e quindi anche quando, approvata dal Comune la proposta di conferimento dell’incarico professionale con lo schema di disciplinare, sia mancata la stipulazione del contratto e quando in mancanza del prescritto impegno contabile, l’esecuzione di fatto del rapporto sia stata tuttavia consentita dall’amministratore o dal funzionario.
4) Fondato è anche il motivo di ricorso che denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, laddove nega portata “consenziente” alle missive trasmesse dal resistente ai professionisti.
Per la Corte di appello trattavasi di attività meramente di “contenuto amministrativo”, di semplice trasmissione delle determinazioni della P.A. ai suoi fornitori.
La sentenza, nelle sue brevissime proposizioni, non spiega però come sia possibile attribuire questo contenuto, puramente esecutivo, quasi alla stregua di adempimento coatto, in presenza di comunicazioni come quelle dettagliate in ricorso.
4.1) In particolare si segnalano, per il tenore del tutto opposto (e quindi bisognoso di ben più penetranti spiegazioni):
a) quella del 19.03.1992, in cui, dopo aver comunicato l’approvazione dell’affidamento dell’incarico, il resistente invitava i ricorrenti a “provvedere con urgenza a dare corso al disciplinare di incarico”.
b) i telegrammi del 01.04.1992, del 06.04.1992 e del 04.06.1992 in cui, senza alcun riferimento a mandato di alcun altro soggetto sopraordinato, il dirigente di settore (OMISSIS) “ordinava” a ciascuno dei due professionisti “l’immediata consegna” degli elaborati.
Il tutto, si badi, come sottolinea il ricorso, con la presumibile consapevolezza, posto il ruolo dirigenziale, dell’incompletezza della fattispecie contrattuale, nonché in presenza di noti “problemi connessi al finanziamento dell’opera” (ricorso pag. 15, riferito a lettera (OMISSIS) del 17.04.1992 riprodotta a pag. 12).
Questi scritti sono apparentemente segno di esplicazione del ruolo dirigenziale in piena sintonia con. l’ente comunale e i suoi amministratori.
Vi è dunque insufficiente spiegazione (pur astrattamente possibile, previa un’analisi di atti e comportamenti del funzionario che dimostrino una qualche forma di dissenso dall’operato dell’ente) di come si possa ritenere che espressioni quali quelle descritte possano essere intese in modo diverso da quel “consentire”, che e’ stato delineato dal legislatore. Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Trieste per nuovo esame dell’appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio.
La Corte si atterrà al seguente principio di diritto: “In tema di spese dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali) ai fini dell’interpretazione del disposto dal Decreto Legge 02.03.1989, n. 66, articolo 23, comma 4, (convertito, con modificazioni, in Legge 24.04.1989, n. 144), che stabilisce l’insorgenza del rapporto obbligatorio, quanto al corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, va escluso che l’attività di consentire la prestazione debba consistere in un ruolo di iniziativa o di determinante intervento del funzionario, essendo sufficiente che questi ometta di manifestare il proprio dissenso e presti invece la sua opera come se fosse in presenza di una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale” (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 09.10.2014 n. 21340 - link a http://renatodisa.com).

settembre 2014

INCARICHI PROFESSIONALII presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità)
.
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge”;
b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che
in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i..

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La Provincia di Asti con nota pervenuta in data 11.07.2014, prot. n. 7166, ha trasmesso a questa Sezione Regionale di Controllo, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, la determinazione del Dirigente del Servizio programmazione e gestione finanziaria, n. 2682 del 25.06.2014, avente ad oggetto l’affidamento dell’incarico di assistenza in ordine al servizio di tenuta della contabilità IVA e adempimenti fiscali per il periodo 01.07.2014-30.06.2015, a favore del dr. G.M.L., già affidatario del suddetto incarico per il periodo luglio 2011-giugno 2014, per una spesa complessiva di € 6.400,00.
Dall’esame di tale determinazione, come rilevato con nota istruttoria, si è evinto che non risultava:
- l’espletamento di una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata,
- la previa circostanziata ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di svolgere l’incarico,
- l’eccezionalità e la straordinarietà delle esigenze da soddisfare con l’incarico conferito,
- l’avvenuta pubblicazione sul sito web dell’incarico, né l’inclusione o meno dell’incarico nell’ambito del programma da approvarsi ai sensi dell’art. 42, co. 2, d.lgs. n. 267/2000.
Con nota istruttoria prot. 7329 del 22.07.2014 il Magistrato istruttore richiedeva alla Provincia di Asti atti, documenti e informazioni a chiarimento di quanto sopra.
Con nota di risposta prot. 73910/2014 del 06.08.2014, a firma del Dirigente del Servizio programmazione e gestione finanziaria, pervenuta al prot. n. 7686 del 06.08.2014, l’ente comunicava “che con nota prot. n. 52258/2014 è stata inviata a tre professionisti iscritti all’albo dei Dottori commercialisti la richiesta di preventivo per l’affidamento di servizio di tenuta contabilità IVA ed adempimenti fiscali per il periodo luglio 2014/giugno 2015, stante la mancanza di professionalità interne a cui affidare la gestione della normativa fiscale e che potesse assicurare altresì la necessaria consulenza agli uffici dell’Ente”.
La nota proseguiva inoltre descrivendo la situazione dell’ente in particolare sotto il profilo della dotazione di personale, dando atto che la situazione era peggiorata rispetto al periodo di vigenza del precedente affidamento di consulenza fiscale, conferito per il periodo 01.07.2011-30.06.2014.
Sotto il profilo procedurale l’ente comunicava poi “in ordine alla procedura comparativa scelta, alle modalità e formalizzazione dell’affidamento sono state seguite le disposizioni previste dal vigente REGOLAMENTO PER I LAVORI LE FORNITURE E I SERVIZI IN ECONOMIA E PER LA GESTIONE DELL’ALBO FORNITORI” aggiungendo che “Con determina dirigenziale n. 2682 del 25/06/2014, a seguito dell’esame comparato dei curricula si è quindi proceduto all’affidamento al dott. Garbarino Mario Luciano del servizio di tenuta contabilità IVA e adempimenti fiscali”.
Quanto alla pubblicazione, infine, l’ente aggiungeva “si precisa che la determina di affidamento dell’incarico succitata è stata pubblicata in data 07/07/2014 (ed è tutt’ora visibile) sul sito web della provincia di Asti, nell’area Amministrazione Trasparente= Consulenti e Collaboratori = categoria Programmazione e Gestione Finanziaria”.
Non ritenendo superati tutti i rilievi mossi sull’atto oggetto di controllo, il Magistrato istruttore chiedeva al Presidente della Sezione la convocazione dell’odierna adunanza per l’esame collegiale della questione.
...
I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge dell’incarico conferito dalla Provincia di Asti occorre rammentare che
i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). I citati presupposti costituiscono la codificazione di quanto ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità); in tal senso, si richiama la recente deliberazione di questa Sezione n. 362/2013/SRCPIE/INPR.
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a)
l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è stato in proposito chiarito che: “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/08);
b)
l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che
in base ai principi generali di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;

c)
la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d)
devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione;
e)
deve sussistere il requisito della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti di tale requisito. Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi.; es. la copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362).
II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di legittimità per il conferimento dell’incarico occorre evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla Provincia di Asti con la nota pervenuta il 06.08.2014, mentre per gli aspetti inerenti alla pubblicazione sul sito web dell’ente risultano essere state fornite indicazioni adeguate e chiarificatorie, in ordine ai restanti rilievi non può dirsi ugualmente.
1. Innanzitutto sotto il profilo procedurale va osservato che
l’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in proposito è stato affermato che “il conferimento di incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e non già in base alla sola valutazione di idoneità del prescelto (TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed ancora: “qualsivoglia pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un professionista esterno un incarico di collaborazione, di consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione del servizio” (TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte Conti sez. reg. contr. Lombardia, 11.02.2009. n. 37; 27.11.2012, n. 509 che ribadiscono i principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto modo di statuire che: “
il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in concreto posto la necessità dell’espletamento della procedura concorsuale, nella considerazione che un simile modus operandi, implicando il rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione, delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto,
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della collaborazione in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico
(ex plurimis, deliberazione Sez. Contr. Lombardia n. 67/2012/IADC).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia (Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/09; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/10 e n. 8/10; cfr le recenti Sez. contr. reg. Piemonte n. 362/2013; 421/2013).
In proposito va rilevato il fatto che
in passato questa Sezione (deliberazione 20.12.2012, n. 5) ha già avuto modo di affermare, esaminando un regolamento comunale che prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per incarichi di importo superiore ad € 5.000,00, che una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di conversione, a mente del quale “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di sotto delle quali le procedure comparative non sono necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “
Va aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui, quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato, salve circostanze del tutto particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.) (cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)” (cfr. di recente sez. controllo Piemonte, 11.4.2014, n. 11). Di conseguenza in questa sede non è applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 163/2006.
In proposito, quindi,
la risposta fornita dall’ente provinciale secondo cui sarebbero state seguite le disposizioni previste dal Regolamento per i lavori, le forniture e i servizi in economia non è affatto idonea a giustificare l’operato dell’ente, anzi non fa altro che confermare che non è stata osservata la procedura corretta. Infatti in proposito trattandosi di collaborazione esterna di carattere professionale, e non già di appalto di servizi di cui al d.lgs. n. 163/2006, avrebbe dovuto esser osservato il disposto dell’art. 142 “Selezione degli esperti mediante procedure comparative” del “Regolamento degli uffici e dei servizi del personale provinciale”, adottato dalla Provincia di Asti con DGP n. 38 del 21.2.2011.
Nel caso di specie
l’attivazione di una procedura ultraristretta (richiesta di preventivo rivolta a 3 professionisti) per la selezione del consulente esterno non risulta essere in linea con la previsione di cui all’art. 7, co. 6-bis, d.lgs. n. 165/2001, né risulta essere rispettosa dell’art. 142 del citato Regolamento provinciale che prevede che l’amministrazione debba procedere “alla selezione degli esperti esterni ai quali conferire incarichi professionali mediante procedure comparative, pubblicizzate con appositi avvisi …” e che “la Pubblicazione dell’avviso deve avvenire almeno 15 giorni prima della scadenza del termine previsto per la presentazione delle domande”.
La procedura seguita dalla Provincia di Asti, non appare dunque legittima.

E’ infatti evidente che
l’ente riservandosi di scegliere di volta in volta i soggetti esterni da incaricare sulla base di una comparazione del tutto ristretta a pochi, rectius a pochissimi soggetti (come nell’incarico in questione) individuati discrezionalmente dall’amministrazione, attiva un procedimento che non solo non garantisce una pubblicità minimamente adeguata, ma che rischia di divenire strumento idoneo a consentire di fatto affidamenti di tipo fiduciario in radicale contrasto con il dettato legislativo.
Nella fattispecie dunque la procedura seguita dall’Amministrazione provinciale non risulta conforme alla disciplina legislativa ed in particolare alla previsione circa la necessità di una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata, né alla specifica normativa regolamentare dell’ente che prevede l’espletamento di una procedura aperta con pubblicazione di un avviso di selezione.
2. In secondo luogo nel caso di specie non risulta in alcun modo che l’Ente, prima di procedere all’avvio dell’iter procedimentale per l’affidamento dell’incarico, abbia effettuato una puntuale ricognizione circa l’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di far fronte all’esigenza sottesa all’incarico in questione.
Invero nella risposta istruttoria il Dirigente si è limitato ad affermare in modo peraltro generico “le condizioni dell’ente, in particolare le sue attuali dimensioni e le ridotte risorse di personale, inducono ad attestare che, anche ad una reale e circostanziata ricognizione, siano assenti strutture organizzative o professionalità interne in grado di assicurare detto servizio specialistico”. Aggiungendo ancora che all’interno del settore “non sono presenti figure professionali in possesso dell’abilitazione di ragioniere/dottore commercialista o comunque necessari per l’espletamento del servizio oggetto della presente”.
In realtà quanto riferito nella nota non dà nessun riscontro di quella preventiva ricognizione che l’ente avrebbe per legge dovuto effettuare, anzi la stessa formulazione letterale della nota conferma il fatto che non sia stata fatta preventivamente tale ricognizione. Ciò è tanto più grave in ragione del fatto il “Regolamento degli uffici e dei servizi del personale provinciale” nell’ambito del capo XII “Conferimento di incarichi professionali ad esperti esterni all’amministrazione” prevede all’art. 141 quale presupposto per l’affidamento di incarichi esterni che “Il dirigente competente deve aver preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno del Servizio e delle altre strutture dell’Ente. La verifica deve essere adeguatamente riportata nel provvedimento di attivazione della procedura”.
Anche il fatto che non vi sarebbero dipendenti muniti dell’abilitazione quale ragioniere/dottore commercialista appare irrilevante, posto che per lo svolgimento dei compiti nel settore fiscale nell’ambito di un ente pubblico non è necessaria tale abilitazione, propeduetica all’iscrizione del relativo albo per l’esercizio della libera professione. Parimenti l’affermazione circa il fatto che non vi sarebbero figure idonee allo svolgimento dei compiti in questione risulta apodittica e pare scontrarsi con la realtà effettiva.
Invero la stessa natura dell’incarico (attività di tenuta della contabilità e adempimenti fiscali) depone nel senso che nel caso di specie sia stato fatto ricorso all’esterno della struttura per far fronte ad un’ordinaria esigenza che avrebbe potuto essere normalmente fronteggiata con le risorse interne.
E’ infatti evidente che
la legittimità di un incarico di assistenza e consulenza in campo fiscale e tributario per le esigenze di una Provincia, presupporrebbe la mancanza in tutta la struttura amministrativa dell’ente di alcuna figura professionale in grado di far fronte ad adempimenti di carattere fiscale e tributario e munita delle necessarie conoscenze per far fronte ad ordinarie esigenze cui in detto campo è chiamata ad operare qualsivoglia amministrazione pubblica.
Dunque quanto dichiarato dal Dirigente della Provincia di Asti circa l’assenza di figure professionali in grado di fronteggiare il compito in questione appare del tutto inverosimile atteso che si tratta di un ente pubblico di considerevoli dimensioni, munito di un’apposita articolazione nell’ambito finanziario. Infatti dalla risposta istruttoria del 06.08.2014 e dai relativi allegati trasmessi, emerge il fatto che all’interno della Provincia esiste un’apposita articolazione denominata “Servizio Programmazione e gestione Finanziaria”, munita di vari dipendenti di categorie “C” e “D”. In particolare dall’elenco del personale in servizio suddiviso per qualifica e mansione presso la suddetta articolazione, allegato alla nota di risposta dell’ente locale, risultano effettivamente assegnati: tre funzionari finanziari, tutti inquadrati quali “D6”, sei Coordinatori amministrativo-contabile, tutti appartenenti alla categoria apicale “D” (di cui tre D1, due D3 ed uno D4), ed ancora 4 istruttori amministrativo-contabili appartenenti alla categoria “C” (due C5, uno C3 ed uno C2).
Del resto proprio il citato Servizio, secondo informazioni fornite dalla stessa Provincia mediante il proprio sito accessibile alla generalità degli utenti, è intestatario tra le varie ordinarie competenze (nell’ambito dell’ufficio spese) della gestione degli “Adempimenti fiscali in materia di IVA, IRAP,INPS ed Irpef …” nonché della ”Consulenza a tutti gli uffici per le informazioni necessarie all'attività in materia finanziaria”. In siffatto quadro è evidente che non possa risultare veritiero il fatto per cui la Provincia sarebbe priva di qualsivoglia figura professionale in alcun modo idonea a occuparsi di tematiche ed adempimenti in campo fiscale e tributario.
Tale circostanza si riverbera indubbiamente sulla legittimità della determinazione di conferimento dell’incarico a favore del dott. G., non constando affatto un presupposto essenziale affinché l’Amministrazione possa rivolgersi all’esterno della propria struttura.
Dagli elementi sopra rappresentati
emerge altresì in modo evidente il fatto che l’incarico esterno sia stato attribuito non già per fare fronte ad esigenze eccezionali e straordinarie dell’Ente pubblico, ma per ottemperare ad una serie di precisi ed inderogabili obblighi di legge ed espletare compiti del tutto ordinari e di assoluta routine per qualunque organizzazione amministrativa. Infatti il suddetto incarico ha come oggetto non già un’attività peculiare e non consueta della Provincia, ma inequivocamente compiti inerenti l’ordinaria gestione amministrativa (compresa la consulenza agli uffici dell’ente). D’altro canto il fatto che l’incarico de quo non attenga ad un’esigenza dell’ente locale temporanea ed eccezionale (bensì di carattere ordinario e stabile) è altresì confermato dal fatto il consulente esterno è affidatario del servizio di assistenza e consulenza ininterrottamente sin dal luglio 2011, come esplicitato nella stessa premessa della determinazione dirigenziale n. 2682 del 25.06.2014.
In proposito
la condotta in questione appare altresì illegittima in quanto in puntuale contrasto con quanto previsto dall’art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 46, comma 1, D.L. 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 06.08.2008, n. 133, nella parte in cui dispone “Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.
Alla luce delle argomentazioni sopra esposte l’attribuzione della consulenza de qua da parte dell’amministrazione, altresì alla luce della previsione di cui al d.lgs. n. 165/2001 che delinea una espressa fattispecie di responsabilità erariale, impone la trasmissione della presente delibera alla Procura regionale per il Piemonte per quanto di propria competenza.

3. L’atto di conferimento dell’incarico in questione si appalesa altresì in contrasto con la disciplina di legge anche in ordine alla mancata inclusione nel programma di competenza del Consiglio Provinciale ai sensi dell’art. 42 d.lgs. n. 267/2000.
La Provincia di Asti a seguito delle contestazioni mosse in sede istruttoria circa la mancanza di ogni riferimento all’inclusione nell’ambito del programma annuale non ha fornito alcuna giustificazione al riguardo.
Nel caso di specie, trovando applicazione –come già detto- la disciplina generale di cui all’art. 7 d.lgs n. 165/2001 e le puntuali previsioni dettate successivamente in materia dal legislatore in materia di incarichi e non certo la normativa del codice dei contratti pubblici, doveva osservarsi altresì il vincolo della programmazione imposto dall’art. 3, co. 55, l. n. 244/2007, così come modificato dall’art. 46, co. 2, d.l. 112/2008.
In conclusione alle rilevate irregolarità dell’attribuzione della collaborazione consegue l’obbligo della Provincia di Asti di conformare la propria azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla legge e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 26.09.2014 n. 194).

agosto 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Pubblicità consulenze.
Domanda
Vorrei sapere quali sono le conseguenze e le responsabilità in caso di mancata pubblicità degli incarichi di consulenza affidati dalla Pubblica amministrazione
Risposta
L'art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996 prevede un duplice obbligo per le Pubbliche amministrazioni: quello di pubblicare gli elenchi degli incarichi di consulenza conferiti e quello di comunicare copia di tali elenchi al Dipartimento della funzione pubblica.
La legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008) ha previsto espressamente, per il dirigente che ometta tali adempimenti, il procedimento disciplinare e la responsabilità erariale. Con l'art. 53 del dlgs 165/2001, modificato con la legge 190/2012, il legislatore ha dettato disposizioni volte ad impedire alle Pubbliche amministrazioni di conferire nuovi incarichi fino all'avvenuta pubblicazione e comunicazione di quelli precedenti.
Il dlgs n. 33/2013 ha precisato che, la pubblicazione sul sito internet dell'Amministrazione e la comunicazione alla Funzione pubblica degli incarichi conferiti, costituiscono «condizioni per l'acquisizione di efficacia dell'atto e per la liquidazione dei relativi compensi».
Per il dirigente che abbia disposto il pagamento, senza la preventiva pubblicazione dell'affidamento dell'incarico, è previsto il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta, oltre all'eventuale risarcimento del danno.
Con la sentenza 15.05.2014, n. 424, la Corte dei conti ha precisato che l'art. 53, comma 15, del dlgs 165/2001, che vieta l'affidamento di ogni nuovo incarico fino all'avvenuta comunicazione di quelli precedenti, deve considerarsi norma di «ordine pubblico» e, in quanto tale, suscettibile di determinare la nullità tutti i contratti stipulati in assenza della prescritta condizione di legge
(articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014).

INCARICHI PROFESSIONALI: Requisiti consulenze.
Domanda
Quali sono i presupposti di legittimità per il conferimento di consulenze esterne da parte della Pubblica amministrazione?
Risposta
L'art. 7, comma 6, del dlgs 165/2001 subordina, l'affidamento di incarichi a personale estraneo alla Pubblica amministrazione, a una serie di presupposti di legittimità.
Tali prescrizioni hanno lo scopo di circoscrivere gli spazi di discrezionalità dell'amministrazione pubblica attribuendo, all'adozione di simili misure organizzative, un carattere di eccezionalità.
La legittimità della stipula di contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa con professionisti esterni, è condizionata ai seguenti presupposti: l'oggetto del contratto deve rientrare nei compiti istituzionali dell'amministrazione conferente; deve essere stata preliminarmente verificata l'utilizzabilità delle risorse interne; la prestazione da affidare deve avere necessariamente durata limitata nel tempo; devono essere determinati durata, luogo, oggetto e compenso.
La legge prescrive espressamente, in caso di conferimento di incarichi esterni, al di fuori di tali condizioni, una causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i relativi contratti.
Si evidenzia, infine, che allo scopo di dare la massima visibilità alla scelta dell'amministrazione pubblica di affidare un incarico esterno e, contemporaneamente, di consentire un controllo da parte della collettività sull'utilizzo delle risorse pubbliche, il legislatore ha ritenuto di assoggettare tali contratti a un rigido regime di pubblicità
(articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014).

luglio 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Compensi professionali per attività di progettazione – Convenzione che subordina il pagamento del compenso all’ottenimento della concessione edilizia – Condizione potestativa mista – Ritiro della domanda di concessione edilizia da parte del committente in pendenza della condizione – Recesso anticipato del committente dall’incarico professionale ex art. 2237 c.c. – Fictio iuris di avveramento della condizione – Artt. 1358 e 1359 c.c. – Diritto al compenso – Sussistenza.
Nell’ipotesi di convenzione che subordina il pagamento del compenso in favore del professionista per prestazioni di progettazione al rilascio della concessione edilizia deve ritenersi operante la fictio iuris di avveramento della condizione, ex art. 1359 c.c., qualora il committente provveda autonomamente al ritiro della domanda di concessione edilizia, dovendosi valutare l’esistenza di un interesse contrario all’avveramento della condizione (rilascio della concessione edilizia) in capo al committente non in termini astratti o facendo riferimento al solo momento della conclusione del contratto, ma valorizzando il dato dell’effettivo interesse delle parti all’epoca in cui si è verificato il fatto o comportamento che ha reso impossibile l’avveramento della condizione.
L'art. 1359 cod. civ., in forza del quale la condizione si ha per avverata se è mancata per causa imputabile alla parte controinteressata al suo avveramento, non si riferisce solo a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare al contratto un elemento modificativo dell''iter' attuativo della sua efficacia. Detta norma è applicabile anche alla c.d. condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte dal caso e in parte dalla volontà di uno dei contraenti.
L'art. 1359 c.c. trova applicazione anche nel caso in cui l'interesse di una delle parti -originariamente convergente con quello della controparte- si modifichi in corso di rapporto fino a risultare contrario all'avveramento della condizione, avuto anche riguardo alla previsione di cui all’art. 1358 c.c., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e che va osservato anche con riguardo all’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista.
Non può negarsi che il ritiro di un'istanza di concessione edilizia sia chiaramente sintomatico del venir meno dell'interesse ad ottenerla da parte di chi tale istanza aveva presentato e deve ritenersi pertanto che integri un comportamento idoneo a configurare un'ipotesi di 'interesse contrario' comportante l'operatività della previsione dell'art. 1359 c.c..
L'art. 2237, 1° co. c.c. ('il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta'), bilanciando i contrapposti interessi tra le parti, riconosce al cliente un illimitato diritto di recesso, ma —al tempo stesso- garantisce al professionista il rimborso delle spese e il pagamento del compenso per le attività svolte fino al momento della revoca dell'incarico.
A fronte della revoca dell'incarico professionale (o recesso) da parte del committente, il professionista non ha di norma interesse a richiedere la risoluzione del contratto (già verificatasi per effetto del recesso) ed il conseguente risarcimento dei danni, ma può senz'altro agire per conseguire il pagamento delle spettanze maturate per l'attività svolta
(Corte di Cassazione, Sez. III civile, sentenza 18.07.2014 n. 16501 - massima tratta da www.diritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sull'affidamento dell'incarico di "Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione" onnicomprensivo di euro 1.500,00, manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.
L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 dispone che “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”. I suddetti principi sono ribaditi anche dal successivo art. 27, il quale stabilisce che anche i c.d. “contratti esclusi” sono affidati “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”.
A tutela della qualità delle prestazioni, poi, il legislatore nazionale ha posto specifiche norme volte a garantire che il corrispettivo offerto dall’appaltatore nelle gare pubbliche sia proporzionato e sufficiente rispetto all’oggetto dell’appalto. Ci si riferisce agli articoli 86 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006 in materia di verifica dell’anomalia delle offerte, la cui finalità “è quella di evitare che offerte troppo basse espongano l'Amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta, o con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi. L'appalto deve quindi essere aggiudicato a soggetti che abbiano prestato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che l'esecuzione della prestazione comporta a carico dell'appaltatore…”.
Ancora, “Il meccanismo previsto per l’eliminazione delle offerte ingiustificatamente anomale dal novero di quelle ammesse ad una gara è teso ad evitare che possa risultare aggiudicataria di una gara una ditta che, per l’esiguità del prezzo offerto, non sia poi in grado di assicurare una prestazione adeguata alle esigenze che l’amministrazione vuole soddisfare con l’appalto indetto”.
La ratio del sub procedimento di verifica dell’anomalia è, pertanto, quella di accertare la serietà, la sostenibilità e la sostanziale affidabilità della proposta contrattuale, in maniera da evitare che l’appalto sia aggiudicato a prezzi eccessivamente bassi, tali da non garantire la qualità e la regolarità dell’esecuzione del contratto oggetto di affidamento.
Se tanto è vero “a valle” delle procedure di aggiudicazione, a maggior ragione, parallelamente, lo stesso principio deve fondare l’attività della Pubblica Amministrazione “a monte” della procedura stessa, e cioè nella fase dell’individuazione dell’importo determinato proprio dalla stazione appaltante quale corrispettivo del servizio da acquisire.
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Nel caso specifico, a fronte della prestazione professionale complessa e specializzata richiesta, l’Istituto scolastico ha previsto un compenso omnicomprensivo di euro 1.500,00, manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.
Tanto è ancora più evidente se si considera che il predetto importo include anche le spese vive da sostenere per l’espletamento dell’incarico (spese di viaggio, assicurazione, materiale di consumo, disponibilità di specifici programmi) e, inoltre, che lo stesso incarico deve essere espletato su due plessi scolastici situati in Comuni diversi (Galatina e Galatone), distanti quasi 20 chilometri uno dall’altro.
Sicché l’importo palesemente esiguo offerto potrebbe indurre il professionista ad una non corretta esecuzione dell’incarico ed essere foriera di probabili futuri contenziosi. Ciò è tanto più grave in relazione alla delicatezza dell’oggetto dell’incarico, che coinvolge la vita e la sicurezza degli operatori scolastici e degli alunni.
Il Collegio osserva, inoltre, che la stazione appaltante non ha motivato in ordine alle modalità seguite nella determinazione del compenso. Al riguardo, non è condivisibile il rilievo opposto dall’Istituto resistente relativo alla mancanza di parametri tabellari professionali minimi inderogabili.
Il Collegio non ignora che l’articolo 9 del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito con legge 24.03.2012, n. 27, ha disposto, al comma 1, l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. E’ evidente, pertanto, che le stesse non possono essere più indicate nemmeno quale possibile riferimento per l’individuazione del valore della prestazione.
Tuttavia, lo stesso art. 9, al comma 4, pur con specifico riferimento al mercato privato, fornisce indicazioni utili anche per la determinazione dell’importo relativo ai compensi per l’espletamento di incarichi affidati dalle Pubbliche Amministrazioni, stabilendo che, in ogni caso, la misura del compenso “deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.
Da tale disposizione si ricava che la determinazione dell’importo dell’affidamento non può essere connotata da arbitrarietà: le stazioni appaltanti non possono, quindi, porre a base di gara un importo senza un minimo di analisi che consenta di comprendere le modalità esatte di determinazione dell’importo e senza motivare il percorso tecnico-logico seguito nella determinazione del valore stesso.
L’interpretazione di cui innanzi risulta, altresì, coerente con quanto prescritto dalla lettera d) del comma 1) dell’articolo 264 del d.P.R. n. 207 del 2010, nella parte in cui dispone che nel bando di gara devono essere indicate le modalità di calcolo del corrispettivo. Difatti, se il riferimento alla possibilità di utilizzo delle tariffe professionali è da ritenersi abrogato, è tuttavia da considerare ancora del tutto vigente l’obbligo di illustrare le predette modalità.
A questi fini le stazioni appaltanti non possono limitarsi ad una generica e sintetica indicazione del compenso, ma devono specificare con accuratezza ed analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione, nonché dare conto del percorso motivazionale seguito per la determinazione del suo valore.
Tali principi sono stati espressi anche dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici con la deliberazione n. 49 del 03.05.2012.
Nel caso di specie, al contrario, nel bando di gara non vi è traccia alcuna dei criteri di calcolo specificamente utilizzati dall’Istituto per la quantificazione del corrispettivo.
Fermo restando quanto innanzi esposto, la Sezione osserva, infine, che, in extrema ratio, l’Amministrazione avrebbe potuto motivare l’esiguità del corrispettivo fissato anche ricorrendo a giustificazioni di natura diversa, inerenti, ad esempio, la necessità di conciliare l’esiguità delle risorse di bilancio disponibili con l’adempimento di obblighi di legge (quale, appunto, quello relativo alla prevenzione e protezione), o, ancora, la richiesta di collaborazione e disponibilità ai professionisti eventualmente interessati. Tanto avrebbe, altresì, consentito di evitare quella lesione della “dignità professionale”, in considerazione della quale l’ordine ricorrente si è determinato a respingere la richiesta della Stazione appaltante di pubblicazione sul proprio albo dell’avviso in questione.
Al riguardo, si richiama il condivisibile ed autorevole orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è stata riconosciuta la possibilità della prestazione gratuita per l’attività professionale: in tal senso è la sentenza della Cassazione Civile, 17.08.2005, n. 16966, per la quale “Come più volte affermato da questa Corte, poiché l'onerosità costituisce un elemento normale del contratto d'opera intellettuale, ma non essenziale ai fini della sua validità, è consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'affectio o nella benevolentia, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio”.
... per l'annullamento del bando di gara prot. n. 7367/C12, relativo al conferimento di incarico di "Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione", indetto dal Dirigente Scolastico dell'Istituto Professionale I.I.S.S. "Falcone e Borsellino" di Galatina pubblicato sull'Albo Pretorio on-line dell'Istituto il 24.12.2013, nella parte in cui prevede quale compenso per il professionista aggiudicatario l'importo di euro 1.500,00 omnicomprensivo;
...
E’, invece, fondato ed assorbente il rilievo relativo alla violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e logicità (in uno, degli obblighi motivazionali), nei limiti di seguito indicati.
Il Collegio osserva che l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 dispone che “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”. I suddetti principi sono ribaditi anche dal successivo art. 27, il quale stabilisce che anche i c.d. “contratti esclusi” sono affidati “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”.
A tutela della qualità delle prestazioni, poi, il legislatore nazionale ha posto specifiche norme volte a garantire che il corrispettivo offerto dall’appaltatore nelle gare pubbliche sia proporzionato e sufficiente rispetto all’oggetto dell’appalto. Ci si riferisce agli articoli 86 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006 in materia di verifica dell’anomalia delle offerte, la cui finalità “è quella di evitare che offerte troppo basse espongano l'Amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta, o con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi. L'appalto deve quindi essere aggiudicato a soggetti che abbiano prestato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che l'esecuzione della prestazione comporta a carico dell'appaltatore…” (ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2063 del 15.04.2013).
Ancora, “Il meccanismo previsto per l’eliminazione delle offerte ingiustificatamente anomale dal novero di quelle ammesse ad una gara è teso ad evitare che possa risultare aggiudicataria di una gara una ditta che, per l’esiguità del prezzo offerto, non sia poi in grado di assicurare una prestazione adeguata alle esigenze che l’amministrazione vuole soddisfare con l’appalto indetto”( TAR Sicilia, Palermo, Sentenza 07/09/2011 n. 1608).
La ratio del sub procedimento di verifica dell’anomalia è, pertanto, quella di accertare la serietà, la sostenibilità e la sostanziale affidabilità della proposta contrattuale, in maniera da evitare che l’appalto sia aggiudicato a prezzi eccessivamente bassi, tali da non garantire la qualità e la regolarità dell’esecuzione del contratto oggetto di affidamento.
Se tanto è vero “a valle” delle procedure di aggiudicazione, a maggior ragione, parallelamente, lo stesso principio deve fondare l’attività della Pubblica Amministrazione “a monte” della procedura stessa, e cioè nella fase dell’individuazione dell’importo determinato proprio dalla stazione appaltante quale corrispettivo del servizio da acquisire.
Nel caso specifico, a fronte della prestazione professionale complessa e specializzata richiesta (si veda l’articolo 2 del bando), l’Istituto scolastico ha previsto un compenso omnicomprensivo (articolo 7 del bando) di euro 1.500,00, manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.
Tanto è ancora più evidente se si considera che il predetto importo include anche le spese vive da sostenere per l’espletamento dell’incarico (spese di viaggio, assicurazione, materiale di consumo, disponibilità di specifici programmi) e, inoltre, che lo stesso incarico deve essere espletato su due plessi scolastici situati in Comuni diversi (Galatina e Galatone), distanti quasi 20 chilometri uno dall’altro.
Sicché l’importo palesemente esiguo offerto potrebbe indurre il professionista ad una non corretta esecuzione dell’incarico ed essere foriera di probabili futuri contenziosi. Ciò è tanto più grave in relazione alla delicatezza dell’oggetto dell’incarico, che coinvolge la vita e la sicurezza degli operatori scolastici e degli alunni.
Il Collegio osserva, inoltre, che la stazione appaltante non ha motivato in ordine alle modalità seguite nella determinazione del compenso. Al riguardo, non è condivisibile il rilievo opposto dall’Istituto resistente relativo alla mancanza di parametri tabellari professionali minimi inderogabili.
Il Collegio non ignora che l’articolo 9 del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito con legge 24.03.2012, n. 27, ha disposto, al comma 1, l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. E’ evidente, pertanto, che le stesse non possono essere più indicate nemmeno quale possibile riferimento per l’individuazione del valore della prestazione.
Tuttavia, lo stesso art. 9, al comma 4, pur con specifico riferimento al mercato privato, fornisce indicazioni utili anche per la determinazione dell’importo relativo ai compensi per l’espletamento di incarichi affidati dalle Pubbliche Amministrazioni, stabilendo che, in ogni caso, la misura del compenso “deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.
Da tale disposizione si ricava che la determinazione dell’importo dell’affidamento non può essere connotata da arbitrarietà: le stazioni appaltanti non possono, quindi, porre a base di gara un importo senza un minimo di analisi che consenta di comprendere le modalità esatte di determinazione dell’importo e senza motivare il percorso tecnico-logico seguito nella determinazione del valore stesso.
L’interpretazione di cui innanzi risulta, altresì, coerente con quanto prescritto dalla lettera d) del comma 1) dell’articolo 264 del d.P.R. n. 207 del 2010, nella parte in cui dispone che nel bando di gara devono essere indicate le modalità di calcolo del corrispettivo. Difatti, se il riferimento alla possibilità di utilizzo delle tariffe professionali è da ritenersi abrogato, è tuttavia da considerare ancora del tutto vigente l’obbligo di illustrare le predette modalità.
A questi fini le stazioni appaltanti non possono limitarsi ad una generica e sintetica indicazione del compenso, ma devono specificare con accuratezza ed analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione, nonché dare conto del percorso motivazionale seguito per la determinazione del suo valore.
Tali principi sono stati espressi anche dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici con la deliberazione n. 49 del 03.05.2012.
Nel caso di specie, al contrario, nel bando di gara non vi è traccia alcuna dei criteri di calcolo specificamente utilizzati dall’Istituto per la quantificazione del corrispettivo.
Fermo restando quanto innanzi esposto, la Sezione osserva, infine, che, in extrema ratio, l’Amministrazione avrebbe potuto motivare l’esiguità del corrispettivo fissato anche ricorrendo a giustificazioni di natura diversa, inerenti, ad esempio, la necessità di conciliare l’esiguità delle risorse di bilancio disponibili con l’adempimento di obblighi di legge (quale, appunto, quello relativo alla prevenzione e protezione), o, ancora, la richiesta di collaborazione e disponibilità ai professionisti eventualmente interessati. Tanto avrebbe, altresì, consentito di evitare quella lesione della “dignità professionale”, in considerazione della quale l’ordine ricorrente si è determinato a respingere la richiesta della Stazione appaltante di pubblicazione sul proprio albo dell’avviso in questione.
Al riguardo, si richiama il condivisibile ed autorevole orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è stata riconosciuta la possibilità della prestazione gratuita per l’attività professionale: in tal senso è la sentenza della Cassazione Civile, 17.08.2005, n. 16966, per la quale “Come più volte affermato da questa Corte (v. Cass. 7741/1999; Cass. 8787/2000), poiché l'onerosità costituisce un elemento normale del contratto d'opera intellettuale, ma non essenziale ai fini della sua validità, è consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'affectio o nella benevolentia, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio”.
Tuttavia, neanche in tal senso l’Istituto Scolastico ha motivato nel bando di che trattasi.
Pertanto, il ricorso è fondato e deve essere accolto per difetto di motivazione dell’atto impugnato (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 16.07.2014 n. 1844 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALISono incarichi di consulenza quelli volti ad acquisire da un soggetto esperto un giudizio su una determinata questione, sono incarichi di studio quelli volti a ricercare soluzioni su questioni inerenti alla attività di competenza della amministrazione conferente e sono incarichi di ricerca (in base ad un programma definito dalla amministrazione) quelli volti ad individuare norme o documenti e/o a ricostruire eventi o situazioni.
Tali incarichi sono tutti riconducibili al più ampio contesto degli incarichi di collaborazione esterna.
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In merito alla possibilità di affidare incarichi di consulenza, studio e ricerca nell’anno 2014, in assenza di spesa a tale titolo nell’anno 2009, il limite per gli incarichi di studio e consulenza (sono esclusi gli incarichi di ricerca per le ragioni già espresse) deve essere individuato non nella misura di una percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009 (disposizione applicabile solo in via indiretta), circostanza questa che rende irrilevante la presenza o l’assenza di spese sostenute a tale titolo nel 2009, ma in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per le varie voci previste dalla norma indicata (es. acquisto autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni da apportare sempre in termini complessivi.
A tale limite complessivo, come già indicato, si aggiunge quello previsto dall’art. 14 del D.L. 66/2014 rapportato alle spese di personale (applicabile anche agli incarichi di ricerca).
Per il conferimento degli incarichi in argomento (ivi compresi gli incarichi di ricerca) rimane ferma, inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7 del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti previsti.

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Con la nota indicata, il Sindaco del Comune di Bitonto (BA), dopo aver richiamato l’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010, l’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 e l’art. 14, co. 1, del D.L. 66/2014, ha chiesto il parere di questa Sezione in merito alla possibilità di affidare incarichi di consulenza, studio e ricerca nell’anno 2014, in assenza di spesa a tale titolo nell’anno 2009, ferma restando la necessità della sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla vigente normativa in materia.
...
Il quesito posto dalla amministrazione richiedente riguarda essenzialmente la possibilità, per un ente locale, di affidare incarichi di consulenza, studio e ricerca nell’anno 2014 se il medesimo ente non ha sostenuto alcuna spesa a tale titolo nell’anno 2009.
Negli ultimi anni il legislatore si è occupato più volte e per vari aspetti della possibilità, per gli enti locali, di affidare incarichi di consulenza, studio e ricerca. Le varie norme che si sono susseguite nel tempo, fondamentalmente, hanno riguardato sia i limiti di spesa che i presupposti necessari per il conferimento di tali incarichi. Non sempre le norme in argomento hanno riguardato testualmente tutte le tre diverse tipologie di incarico elencate, infatti, in molti casi, come di seguito riportato, il legislatore ha formulato disposizioni solo sugli incarichi di studio e sulle consulenze senza occuparsi, quindi, degli incarichi di ricerca.
I vari interventi legislativi che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni sono stati tutti caratterizzati dalla evidente volontà di arginare il conferimento di tali incarichi, non solo in attuazione di una generale politica di contenimento della spesa pubblica, ma anche per evitare (o almeno ridurre) un fenomeno che ha spesso originato una spesa inutile ed aggiuntiva rispetto a quella che gli enti interessati avrebbero potuto e dovuto sostenere mediante un adeguato ed efficiente utilizzo del proprio personale.
In varie occasioni, peraltro, gli enti hanno fatto ricorso a tali incarichi sostanzialmente per aggirare la normativa in materia di assunzioni o, comunque, per celare rapporti di vero e proprio lavoro subordinato. Per la realizzazione di tali obiettivi, il legislatore ha operato su più piani prevedendo, per il conferimento degli incarichi in argomento, rigidi limiti di spesa, precisi presupposti, una elevata procedimentalizzazione, varie forme di controllo e pubblicità e un articolato e severo apparato sanzionatorio.
Prima di procedere alla soluzione del quesito proposto,
risulta necessario definire il contenuto di tali incarichi, tutti riconducibili al più ampio contesto degli incarichi di collaborazione esterna.
Anche alla luce delle indicazioni offerte dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, con la deliberazione 15.02.2005 n. 6, può ritenersi che
sono incarichi di consulenza quelli volti ad acquisire da un soggetto esperto un giudizio su una determinata questione, sono incarichi di studio quelli volti a ricercare soluzioni su questioni inerenti alla attività di competenza della amministrazione conferente (in tal senso anche il D.P.R. 338/1994) e sono incarichi di ricerca (in base ad un programma definito dalla amministrazione) quelli volti ad individuare norme o documenti e/o a ricostruire eventi o situazioni.
La Corte dei conti, sia a livello centrale che a livello regionale, sia in sede di controllo che in sede giurisdizionale, con numerose deliberazioni e sentenze, ha dedicato particolare attenzione agli incarichi di studio, ricerca e consulenza in virtù degli evidenti e rilevanti riflessi sulla spesa pubblica degli stessi. Pur essendo state approvate in un quadro normativo diverso da quello attuale, rivestono tuttora una particolare utilità per una adeguata conoscenza della fattispecie in esame la già richiamata deliberazione 15.02.2005 n. 6 delle Sezioni riunite in sede di controllo (con la quale sono state approvate le linee di indirizzo e i criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 311/2004 in materia di affidamento di incarichi di studio, ricerca o consulenza) e la
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008 della Sezione delle Autonomie (con la quale sono state approvate le linee di indirizzo e i criteri interpretativi dell’art. 3, co. 54-57, della legge 244/2007 in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza).
Ciò premesso,
al fine di dare risposta al quesito proposto, appare necessario procedere alla individuazione della vigente normativa in materia di limiti di spesa per l’affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza, con particolare riferimento ai limiti posti dalla legge in rapporto alla spesa sostenuta, a tale titolo, nell’anno 2009.
L’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010, con l’espresso fine di valorizzare le professionalità interne, seguendo una linea ormai consolidata (es. art. 1, co. 11, legge 311/2004), anche per i Comuni, prevede che,
a decorrere dall’anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza (anche conferiti a dipendenti pubblici) non può essere superiore al 20% di quella sostenuta nell’anno 2009. Con riferimento a tale norma, la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, con deliberazione n. 7/CONTR/2011, ha chiarito che il concetto di “spesa sostenuta nell’anno 2009” deve riferirsi alla spesa programmata per la suddetta annualità e che le spese alimentate con risorse provenienti da enti pubblici o privati estranei all’ente devono essere escluse dal computo.
Successivamente, con sentenza n. 139/2012, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 6 del D.L. 78/2010 (e, quindi, anche della norma in argomento), la Corte costituzionale ha affermato che i tagli disposti dal legislatore non operano per gli enti locali in via diretta, ma solo come disposizioni di principio.
Quindi, una volta determinato il volume complessivo delle riduzioni da effettuare (tra le spese da ridurre ai sensi del citato art. 6 figurano anche quelle per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza, sponsorizzazioni, missioni, formazione e acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture), ogni ente ha la possibilità di decidere su quali voci effettuarle, senza sottostare ai vincoli specifici stabiliti dal menzionato art. 6.
La normativa descritta successivamente è stata implicitamente modificata. L’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013, infatti, anche per gli enti locali, ha stabilito che la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza (anche conferiti a dipendenti pubblici) non può essere superiore, per l’anno 2014, all’80% del limite di spesa per l’anno 2013 e, per l’anno 2015, al 75% dell’anno 2014, così come determinati dalla applicazione dell’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 sopra riportato. In sostanza, il legislatore ha ulteriormente ridotto il limite di spesa precedentemente previsto dal citato art. 6, co. 7: in rapporto alla spesa sostenuta nell’anno 2009, infatti, il nuovo limite è pari al 16% (80% del 20%) per l’anno 2014 e al 15% (75% del 20%) per l’anno 2015.
Appare doveroso evidenziare sin d’ora che anche all’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 occorre dare una lettura conforme a quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 139/2012. Pertanto, anche tale taglio disposto dal legislatore non opera per gli enti locali in via diretta, ma solo come disposizione di principio. Quindi, ancora una volta, determinato il volume complessivo delle riduzioni da effettuare, ogni ente ha la possibilità di decidere su quali voci effettuarle, senza sottostare a vincoli specifici. La necessità di leggere l’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012 deriva non solo dalla evidente omogeneità esistente tra le due norme, ma anche dall’espresso rinvio operato dallo stesso art. 1, nel quantificare il limite di spesa, all’applicazione dell’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010.
Una nuova modifica alla disciplina relativa al conferimento degli incarichi in esame è stata disposta dall’art. 14 del D.L. 66/2014 (in attesa di conversione in legge) il quale ha previsto, anche per gli enti locali, confermando espressamente i limiti derivanti dalle vigenti disposizioni e, in particolare, le disposizioni prima riportate (art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 e art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013), a decorrere dall’anno 2014, un ulteriore limite di spesa rapportato non più alla spesa precedentemente sostenuta per la medesima ragione ma alla spesa per il personale dell’ente che conferisce l’incarico (1,4% se la spesa del personale è superiore a 5 milioni di euro, 4,2% se la spesa è pari o inferiore).
In pratica, consolidando l’orientamento restrittivo seguito costantemente negli ultimi anni, il legislatore ha ritenuto di limitare, sempre sotto il profilo della spesa ma in modo diverso dal passato, la possibilità di conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca: ai limiti basati sulla spesa storica si affiancano quelli derivanti dal rapporto delle relative spese con le spese del personale. Tale ultimo limite di spesa risulta non interessato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012 e può considerarsi aggiuntivo e non sostitutivo rispetto a quelli precedentemente stabiliti.
Appare necessario evidenziare che mentre l’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 e l’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 riguardano “la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza” (senza comprendere, quindi, gli incarichi di ricerca), l’art. 14 del D.L. 66/2014 limita gli “incarichi di consulenza, studio e ricerca”. Si tratta di una osservazione non irrilevante: nel caso in cui l’incarico non sia sussumibile nelle due categorie degli incarichi per studi e consulenza (ad esempio perché riconducibile nell’ambito degli incarichi di ricerca) non si applicano i limiti previsti in materia dal D.L. 78/2010 e dal D.L. 101/2013.
Appare infatti preferibile, anche in virtù del rigoroso apparato sanzionatorio previsto dalle due norme citate, la valorizzazione di una interpretazione letterale (Sez. Lombardia
parere 07.02.2011 n. 68). Tale conclusione risulta confermata da un altro aspetto: laddove il legislatore ha voluto porre dei freni anche agli incarichi di ricerca lo ha espressamente previsto. Indicativo in tal senso è il secondo periodo del comma 9 dell’art. 1 del D.L. 168/2004 (non più vigente in quanto abrogato dall’art. 46 del D.L. 112/2008) il quale, contrariamente al primo periodo (formalmente non abrogato) che prevedeva un taglio lineare di spesa nei confronti dei soli incarichi di studio e consulenza, stabiliva precisi presupposti per “l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza”.
Analoga conclusione si ricava dall’art. 1, co. 11, della legge 311/2004. Ciò conduce a ritenere che il limite di spesa recentemente stabilito dal D.L. 66/2014, di contenuto diverso dai precedenti in quanto rapportato non alle spese precedentemente sostenute al medesimo titolo ma alla spesa per il personale, si aggiunge (non si sostituisce) a quelli già precedentemente previsti dal D.L. 78/2010 e dal D.L. 101/2013 solo per gli incarichi di studio e di consulenza in quanto, per gli incarichi di ricerca (ai quali i limiti previsti dal D.L. 66/2014 certamente si applicano), i limiti indicati non si applicavano e non si applicano.
In base, quindi, alla ricostruzione normativa effettuata, con particolare riferimento agli enti che (come il Comune richiedente) non hanno sostenuto alcuna spesa nell’anno 2009 per incarichi di studio, ricerca e/o consulenza, i dubbi interpretativi, eventualmente, si pongono per gli incarichi di studio e di consulenza e non per gli incarichi di ricerca i quali non erano disciplinati dall’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 e per i quali non valgono i relativi limiti di spesa.
La questione relativa alla individuazione dei limiti di spesa per il conferimento di incarichi di consulenza e di studio nei confronti degli enti che non hanno sostenuto a tale titolo spese nell’anno 2009 è stata già affrontata dalla Corte dei conti in sede consultiva (Sez. Lombardia, parere 29.04.2011 n. 227). In tale occasione è stato osservato che
la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di consulenza e di studio e non di vietare agli enti locali la possibilità di conferire incarichi esterni quando ne ricorrono i presupposti di legge.
In questo senso, infatti, verrebbe disattesa la finalità perseguita dal legislatore per quegli enti locali che, nel corso dell’anno 2009, non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze; infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa per essi un divieto assoluto alla stipula di questa tipologia di contratti. In base a tale considerazione, la Sez. Lombardia, con la deliberazione menzionata, è giunta alla conclusione che
la norma de qua, per gli enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando un diverso parametro di riferimento.
D’altra parte, se non si adottasse questa interpretazione, la riduzione lineare prevista finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno sostenuto una spesa per consulenze eventualmente rilevante; al contrario, si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa pari a zero.
Non essendoci un parametro finanziario precostituito (in quanto la spesa per l’anno 2009 è stata pari a zero), il limite individuato dalla Sez. Lombardia è stato quello della spesa strettamente necessaria nell’anno in cui si verifica l’assoluta necessità di conferire un incarico di consulenza o di studio (limite di spesa che, a sua volta, sarebbe il parametro finanziario per gli anni successivi).
La soluzione prospettata nel parere 29.04.2011 n. 227 della Sez. Lombardia (che poteva essere sostenuta anche in base all’art. 3, co. 56, della legge 244/2007, come modificato dall’art. 46 del D.L. 112/2008, secondo il quale “il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”), come già sostenuto da questa Sezione in occasione dell’esame di un rendiconto (deliberazione n. 15/PRSP/2014), deve essere rivista alla luce della successiva sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012. Con quest’ultima sentenza, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate in relazione anche al comma 7 dell’art. 6 del D.L. 78/2010, è stato ribadito che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio ma che questi vincoli possono considerarsi rispettosi della autonomia delle Regioni e degli enti locali solo quando stabiliscono un limite complessivo che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
In altre parole,
con riferimento agli enti locali, l’art. 6 in argomento prevede un limite complessivo nell’ambito del quale gli enti interessati restano liberi di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Una volta, quindi, determinato il volume complessivo delle riduzioni da apportare in base all’art. 6 citato, ogni ente ha la possibilità di decidere su quali voci effettuare le riduzioni, senza sottostare ai vincoli specifici previsti. E’ possibile, in sostanza, non rispettare un vincolo specifico ma tale sforamento dovrà essere compensato da una corrispondente maggiore riduzione della spesa rispetto ad un altro vincolo specifico previsto.
La Corte dei conti ha tenuto conto immediatamente dell’orientamento espresso in materia da parte della Corte costituzionale (Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 10/2012). A tale orientamento, come già riferito, non poteva non adeguarsi anche questa Sezione che ha pure avuto modo di evidenziare che “l’assenza di spese per consulenze nell’esercizio 2009, in considerazione della necessità di individuare un obiettivo complessivo di risparmio secondo le indicazioni ermeneutiche contenute nella sentenza n. 139/2012 cit., non giustifica l’individuazione di un “nuovo” tetto di spesa” (deliberazione n. 14/PRSP/2014). La distribuzione degli interventi riduttivi tra le singole voci previste dalla norma, tuttavia, non comporta la libera ed incondizionata derogabilità delle misure di contenimento, trattandosi pur sempre di norma assistita da sanzioni specifiche in caso di inosservanza (Sez. Veneto, n. 189/2013/PAR).
In considerazione, quindi, della lettura data all’art. 6 del D.L. 78/2010 dalla Corte costituzionale dalla quale questa Sezione non ha motivo di discostarsi, lettura che deve essere estesa anche all’analogo art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013, sia per non incorrere in interpretazioni censurabili sul piano della legittimità costituzionale, sia per l’espresso rinvio disposto dal legislatore all’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010,
il limite per gli incarichi di studio e consulenza (sono esclusi gli incarichi di ricerca per le ragioni già espresse) deve essere individuato non nella misura di una percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009 (disposizione applicabile solo in via indiretta), circostanza questa che rende irrilevante la presenza o l’assenza di spese sostenute a tale titolo nel 2009, ma in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per le varie voci previste dalla norma indicata (es. acquisto autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni da apportare sempre in termini complessivi.
A tale limite complessivo, come già indicato, si aggiunge quello previsto dall’art. 14 del D.L. 66/2014 rapportato alle spese di personale (applicabile anche agli incarichi di ricerca).
Per il conferimento degli incarichi in argomento (ivi compresi gli incarichi di ricerca) rimane ferma, inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7 del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti previsti
(es. obblighi di pubblicazione) (Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia, parere 07.07.2014 n. 131).

giugno 2014

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: R. Lasca, L'omofonia del termine “incarichi” usato dal legislatore delegato pro TRASPARENZA e anti CORRUZIONE - Corretto? Mica tanto. Semmai: due pesi e due misure per la stessa finalità! Ma c'è comunque tanto da dire su entrambi i versanti normativi! (25.06.2014).

maggio 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Omessa comunicazione degli incarichi affidati: danno erariale.
Risponde di danno erariale il responsabile di una U.O. del Comune che ometta la comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica degli incarichi retribuiti affidati nell'anno precedente ai propri dipendenti o, con cadenza semestrale, ad estranei.
Non v’è dubbio che un danno si sia concretizzato, poiché la disposizione di cui all’art. 53, commi 14 e 15, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui dispone che gli incarichi, senza il preventivo adempimento di pubblicità, non possono essere conferiti, ha natura di norma di ordine pubblico, posta a tutela della trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa, oltreché presidio al legittimo impiego di somme di pertinenza pubblica.
Come tale, gli incarichi conferiti (e i correlati contratti e impegni finanziari) per quello che qui rileva sono affetti da nullità, secondo il principio generale rappresentato dalla disposizione ex artt. 1343 e 1418 c.c.

La Procura Regionale chiede che questo Collegio condanni il sig. I. per il danno allo stesso addebitato e relativo, quanto al profilo funzionale, all’omesso adempimento di quanto previsto dall’art. 53, comma 15, D.Lgs. n. 165/2001 il quale prevede che “Le amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”.
In particolare, per quello che qui riguarda, il precedente comma 14, premesso che la norma ha la finalità di assoggettare a puntuale e costante verifica la corretta applicazione di quanto indicato nell’art. 1, commi 123 e 127, della legge 23.12.1996 n. 662, impone alle amministrazioni pubbliche di comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica, entro il 30 giugno di ogni anno, i compensi percepiti dai propri dipendenti per incarichi esperiti anche nello svolgimento di compiti d’ufficio e, semestralmente, l’elenco dei collaboratori esterni.
...

Il Collegio non condivide l’assunto difensivo.
Il richiamato art. 3, comma 54, del D.Lgs. n. 244/2007, testualmente prevede che l’omessa pubblicazione degli incarichi di consulenza e collaborazione (di cui all’art. 7, co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001) configura ex se un illecito disciplinare e costituisce fonte di “responsabilità erariale del dirigente preposto”.
La difesa del ricorrente, come detto, richiamando la lettera della norma, ne invoca l’inapplicabilità in ragione del mancato possesso di qualifica dirigenziale da parte dell’ing. I..
Appare però sufficientemente chiaro al Collegio che la locuzione usata dal Legislatore non possa intendersi in stretta ed esclusiva aderenza al dato letterale, né vi è dimostrazione alcuna che lo stesso Legislatore abbia voluto ricondurre quella fattispecie di responsabilità ai soli soggetti in possesso della qualifica dirigenziale, limitandone così (e irragionevolmente) l’applicabilità.
Dirigente preposto”, secondo la costruzione semantica che questo Collegio reputa corretta, ha riguardo a colui che è responsabile, in posizione apicale, di una struttura che, per l’appunto, dirige quale “preposto”.
In questo senso la responsabilità attiene a tutti coloro che, per la propria posizione nel complesso organizzatorio della struttura, o plesso di essa, hanno il potere funzionale di assumere decisione e interagire con altri organi in posizione di autonomia, non conoscendo, al di sopra di loro e nello stesso ufficio, posizioni gerarchicamente sovraordinate.
Che questa sia stata la posizione dell’ing. I. -dipendente comunale- nell’ufficio da lui diretto, ovvero Unità Operativa Sistemi Informatici del Comune di Anagni, non vi è dubbio perché è con atto a sua firma che l’Ente ha riscontrato la richiesta del Dipartimento della Funzione Pubblica; atto nel quale egli stesso si qualifica “Il Responsabile”.
Il convincimento del Collegio è, allora, quello che –in disparte la qualificazione del livello contrattuale– l’ing. I. svolgeva una funzione pienamente riconducibile alla responsabilità attribuita dall’art. 3, comma 54, del D.Lgs. n. 244/2007.
Affermato che il convenuto ha pieno titolo giuridico per rispondere di “responsabilità erariale”, la valutazione dev’essere allora compiuta sulla sussistenza di tutti gli elementi che concretizzano tale tipo di responsabilità, con particolare riguardo, nel caso di specie, sia alla concretizzazione di un danno alle pubbliche finanze dell’Ente sia alla condotta del soggetto attore (vista nel suo grado di riprovevolezza) sia all’esistenza di idoneo legame etiologico.
Quanto al primo, non v’è dubbio che un danno si sia concretizzato, poiché la disposizione di cui all’art. 53, commi 14 e 15, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui dispone che gli incarichi, senza il preventivo adempimento di pubblicità, non possono essere conferiti, ha natura di norma di ordine pubblico, posta a tutela della trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa, oltreché presidio al legittimo impiego di somme di pertinenza pubblica.
Come tale, gli incarichi conferiti (e i correlati contratti e impegni finanziari) per quello che qui rileva sono affetti da nullità, secondo il principio generale rappresentato dalla disposizione ex artt. 1343 e 1418 c.c. (v. Corte Cost. n. 290/2001).
Non avrebbe ragione, volendo opinare in senso contrario, porre un preciso e radicale limite al conferimento da un lato e riconoscerne, dall’altro, una qualche validità.
Semmai va scrutinata, secondo la regola generale della compensatio lucri cum danno, se gli incarichi illegittimamente conferiti abbiano prodotto una qualche utilità all’Ente danneggiato.
In questo senso va premesso che, prendendo in esame gli incarichi che residuano dalla modifica della domanda del P.M., ossia quello conferito al sig. P., per €. 340,00 (senza motivazione) e quello svolto dal dott. M., per €. 2080,00, per la realizzazione di un regolamento comunale, ritiene il Collegio che detti incarichi avrebbero potuto essere svolti dagli uffici comunali, non essendoci prova alcuna dell’impossibilità di questi ad assolvere ai relativi oneri.
Dubbio che invece, anche per l’assenza di adeguata prova contraria, può ravvisarsi per l’attività promozionale del vino cesanese non essendoci agli atti affermazione e dimostrazione che il Comune avrebbe potuto correntemente svolgere un’attività che, normalmente, non rientra tra i normali compiti amministrativi dell’Ente ma, semmai, di appositi uffici per il turismo o pro-loco.
Quanto all’utilità prodotta, non essendoci in atti alcuna prova contraria, il Collegio, presuntivamente, ne ammette un parziale soddisfacimento, valutabile secondo criteri equitativi.
Alla luce di quanto precede, pertanto, il danno addebitabile, di cui all’atto di citazione e alla modifica della domanda intervenuta in udienza, può essere individuato in €. 2.000,00 (euro duemila/00), addebitabile sicuramente alla mancanza di adeguata diligenza dell’ing. I. il quale, per grado di cultura, funzione svolta e professionalità acquisita, avrebbe dovuto essere pienamente consapevole degli obblighi a lui imposti dalla normativa.
La mancata, puntuale ottemperanza a detti obblighi non può che essere valutata come colpa grave del medesimo e, per l’effetto, ritenere come addebitabile il danno che ne è conseguito, del quale la condotta del convenuto non rappresenta solo l’antecedente storico –come detto dalla difesa– ma assolutamente anche la premessa logico-giuridica della realizzazione.
Danno che, tuttavia, il Collegio ritiene che debba anche ascriversi, in parte, agli organi comunali preposti al conferimento di detti incarichi e che avrebbero potuto preventivamente chiedere assicurazione all’ing. I. circa l’avvenuto adempimento dei presupposti legali per il loro conferimento, così come rientrante nella sua sfera di doverosa responsabilità.
Non averlo fatto significa aver concorso, con l’odierno convenuto, alla realizzazione dell’evento dannoso.
Per questo, all’ing. I., in conclusione, deve essere addebitata una quota parte del danno, pari ad €. 1.000,00 (euro mille/00), rivalutabile a decorrere dalla data di mancata pubblicazione dell’ultimo incarico, ai sensi dell’art. 53, comma 14, del D.Lgs. n. 165/2001) e sino alla data di deposito della presente sentenza, dalla quale decorreranno interessi legali sino all’effettivo soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 15.05.2014 n. 424).

aprile 2014

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Niente proroghe sine die per gli incarichi.
Stop agli incarichi esterni reiterati nel tempo. Infatti, la previsione contenuta nel testo unico del pubblico impiego, secondo cui gli incarichi esterni possono essere conferiti allo scopo di sopperire a esigenze di carattere non permanente e per le quali le pubbliche amministrazioni si trovino nell'effettiva impossibilità di fare ricorso alle risorse umane e professionali in servizio, intende evitare che siano stipulati contratti per rispondere a fabbisogni permanenti delle stesse p.a. e che la «straordinarietà» si traduca in un modus operandi sistematico. Ne consegue che nel caso in cui le esigenze dell'amministrazione che conferisce l'incarico dovessero perdurare, la stessa, in luogo di rinnovare «sine die» i contratti con personale esterno, dovrà obbligatoriamente programmare i propri fabbisogni di personale.

È quanto ha rilevato la Corte dei Conti, Sez. centrale di controllo sulla legittimità degli atti del governo e delle amministrazioni dello stato, nel testo della deliberazione 16.04.2014 n. 7 diffusa ieri con cui ha ricusato il visto e la registrazione di un contratto di prestazione d'opera professionale tra un'università e un soggetto esterno nonostante il professionista fosse in possesso dei requisiti culturali e che l'ateneo avesse svolto una procedura comparativa tra più potenziali soggetti, prima di affidare l'incarico.
Per la magistratura contabile nei casi in cui vi è una reiterazione temporale dell'oggetto dell'incarico (in questo caso anche dello stesso soggetto), viene dedotta la violazione dell'articolo 7, comma 6. del dlgs n. 165/2001, nella parte in cui prescrive la temporaneità degli incarichi esterni. È pacifico che l'affidamento a un soggetto esterno di attività, ancorché altamente qualificate, per le quali le pubbliche amministrazioni non possono far fronte con il proprio personale, deve rispondere a un carattere esclusivamente temporaneo che sia limitato e coerente con la durata del progetto.
In pratica, ha sottolineato la Corte, tale affidamento rappresenta comunque un rimedio eccezionale per far fronte a esigenze particolari e straordinarie dell'amministrazione conferente. Il legislatore, come detto, ha rimarcato tale natura nella disposizione di legge sopra evidenziata, allo scopo di evitare che vengano stipulati contratti di lavoro autonomo per rispondere a fabbisogni permanenti delle p.a. e che la straordinarietà delle condizioni che portano a sottoscrivere un contratto di consulenza esterna, possa trasformarsi in un modus operandi sistematico piuttosto che di carattere eccezionale. Anche sotto il profilo di evitare che la reiterazione di incarichi possa tradursi in forme atipiche di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso al pubblico impiego e delle disposizioni relative al contenimento della spesa di personale.
Nel caso sotteso al vaglio del collegio, la prestazione contenuta nel contratto era già reiterata (da almeno otto anni) e legata a esigenze stabili dell'Ateneo. Pertanto, dopo un così lungo lasso di tempo è arduo pensare che si possa ancora parlare di eccezionalità della prestazione per poter legittimare l'incarico.
Piuttosto, tali esigenze si ravvisano come ordinarie, tenuto conto che la p.a. in questo lasso di tempo non è riuscita ad individuare una soluzione idonea che sia stata in grado di evitare la stipula del contratto. In poche parole, una volta che le esigenze della p.a. siano perduranti, la stessa ha l'onere di ripensare e rimodulare i fabbisogni del personale in organico, anche con specifico riferimento all'aggiornamento e alla formazione dei profili professionali (articolo ItaliaOggi del 29.04.2014).

marzo 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Distinzione tra incarichi di studio, di consulenza e di ricerca conferiti dalla pubblica amministrazione.
Il presupposto indispensabile per l’affidamento di incarichi esterni è che l’amministrazione abbia preliminarmente accertato “l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse umane disponibili al suo interno” [art. 7, comma 6, lett. b), d.lgs. 165/2001]. Il riscontro concreto di tale condizione essenziale richiede una reale ricognizione di una situazione di oggettiva ed eccezionale impossibilità -sia sul piano qualitativo che sul piano quantitativo- di far fronte alle esigenze con le risorse interne all’amministrazione, in quanto assurge a regola generale il principio dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti.
Di conseguenza, l’affidamento all’esterno di incarichi in difetto di tale presupposto è fonte di responsabilità per danno erariale.
Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio, sentenza 18.11.2011 n. 1619
che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli difficoltà in termini di gestione ed organizzazione” e sezione giurisdizionale per la Calabria, sentenza 20.08.2012 n. 240 secondo cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi sopra riportate, e consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità o urgenza”.
Va da sé, infine, che
non possono formare oggetto di conferimento all’esterno quelle attività afferenti alle funzioni essenziali dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già destinate, all’interno dell’organigramma amministrativo, specifiche strutture e risorse (es. attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria ecc.).
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In merito alla distinzione interna alla categoria delle collaborazioni autonome, le Sezioni Riunite in sede di controllo hanno chiarito che gli incarichi di studio, di consulenza e di ricerca si distinguono per l’oggetto della prestazione dedotta in contratto, il quale non muta la propria natura giuridica, rientrando comunque nella categoria dei contratti di prestazione d’opera intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni Riunite:
gli incarichi di studio si risolvono nello svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse dell’amministrazione, nonché nella consegna di una relazione scritta finale in cui vengono illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte;
gli incarichi di ricerca, invece, presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione;
le consulenze, infine, riguardano le richieste di pareri ad esperti.

Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i seguenti parametri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

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Il Sindaco del Comune di Ugento chiede alla Sezione un parere in merito all’applicabilità o meno dei vincoli e della disciplina di cui agli artt. 3, comma 55 e 56, l. 244/2007 e art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 per l’affidamento all’esterno di alcune attività che richiedono professionalità tecniche allo stato attuale non disponibili all’interno del Comune, poiché “quelle presenti sono oberate dai numerosissimi adempimenti ed attività di servizi istituzionali
.
Nella richiesta del parere vengono enunciate in maniera analitica le attività oggetto degli incarichi da affidare e consistenti in:
"1. istruttoria e verifica paesaggistica delle pratiche di condono edilizio-Profili professionali richiesti architetto e ingegnere;
2. Verifica tecnico giuridica dei piani di lottizzazione. Il professionista dovrà procedere alla verifica di tutta la documentazione presente all’interno dei faldoni dei Piani di Lottizzazione, alla successiva ricognizione tecnico giuridica dello stato attuativo dei predetti piani dello stato attuativo dei predetti Piani ed alla predisposizione degli atti necessari per il perfezionamento del loro iter approvativo. Nel corso dello svolgimento dei lavori, in relazione all’evoluzione degli stessi, potranno poi essere concordati tra il professionista aggiornamenti del programma di attività, sempre nei limiti dell’oggetto del disciplinare di incarico e del suo programma di lavoro generale. profilo professionale richiesto: ingegnere;
3. Perizia tecnica circa l’effettivo stato dei luoghi in cui sono custoditi i beni museali, bibliotecari e di archivio storico; la perizia dovrà anche indicare le carenze strutturale dei luoghi l’eventuale cattiva esecuzione di opere di ristrutturazione eseguite, l’individuazione e la quantificazione di opere necessarie per rendere funzionali tali opere e quantificazione di eventuali danni subiti dall’amministrazione. Profilo professionale richiesto: architetto;
4. Perizia tecnica necessaria per la quantificazione economica dei contratti di concessione e gestione dei predetti beni comprovante la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario della concessione e gestione di servizi relativi ai suddetti beni museali, bibliotecari e di archivio storico. Profilo professionale richiesto; dottore commercialista
”.
Secondo il Comune, si tratta di compiti volti alla realizzazione, a vantaggio dell’amministrazione, di un risultato finale e che dovranno essere svolti a prescindere da obblighi di presenza fissa; per tali ragioni, non integrerebbero né fattispecie di rapporto di lavoro dipendente né fattispecie di incarichi di studio, ricerca e consulenza.
Sulla base di tali premesse, l’Ente ritiene che le attività da affidare costituirebbero singole forniture di servizi tecnici, rientrati nell’ambito di disciplina del d.lgs. 163/2006 e non soggetti a quella dell’art. 3, commi 55 e 56, della l. 244/2007 né ai limiti di spesa di cui all’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010.
Di qui la richiesta di parere circa la corretta interpretazione della normativa sopra richiamata.
...
Passando al merito della richiesta, occorre sottolineare, in via preliminare, che
il presupposto indispensabile per l’affidamento di incarichi esterni è che l’amministrazione abbia preliminarmente accertato “l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse umane disponibili al suo interno” [art. 7, comma 6, lett. b), d.lgs. 165/2001]. Il riscontro concreto di tale condizione essenziale richiede una reale ricognizione di una situazione di oggettiva ed eccezionale impossibilità -sia sul piano qualitativo che sul piano quantitativo- di far fronte alle esigenze con le risorse interne all’amministrazione, in quanto assurge a regola generale il principio dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti (Sezione regionale per il controllo della Toscana parere 11.05.2005 n. 6).
Di conseguenza, l’affidamento all’esterno di incarichi in difetto di tale presupposto è fonte di responsabilità per danno erariale. Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio, sentenza 18.11.2011 n. 1619 che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli difficoltà in termini di gestione ed organizzazione e sezione giurisdizionale per la Calabria, sentenza 20.08.2012 n. 240 secondo cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi sopra riportate, e consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità o urgenza.
Va da sé, infine, che
non possono formare oggetto di conferimento all’esterno quelle attività afferenti alle funzioni essenziali dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già destinate, all’interno dell’organigramma amministrativo, specifiche strutture e risorse (es. attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria ecc.).
Ciò posto e ponendo mente in maniera specifica al quesito, il Comune di Ugento chiede se la normativa in tema di vincoli e limiti per il conferimento di incarichi dettata dall’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 e dall’art. 3, comma 55 e 56, l. 344/2007 (legge finanziaria 2007) si debba applicare o meno al conferimento delle attività che ha deciso di esternalizzare, poiché -a giudizio dell’ente- si verterebbe in un’ipotesi di appalto di servizi.
L’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010, fissando un tetto finanziario all’affidamento di incarichi per studi e consulenze, sancisce espressamente che “al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi a processi di privatizzazione ed alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009”.
Alla stessa ratio di contenimento degli incarichi esterni si ispira anche l’art. 3, commi 55 e 56, della legge finanziaria del 2008 che, riferendosi ai contratti di collaborazione autonoma, subordinano la possibilità per l’ente di conferire gli incarichi, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, alla ricorrenza di due condizioni: in primo luogo, la prestazione deve riguardare le “attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (art. 3, comma 55, l. 344/2007). In secondo luogo, l’Ente deve dotarsi di un regolamento che fissi “in conformità con le disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni (art. 3, comma 56, l. 244/2007).
Le due norme sopra citate si riferiscono ad un’identica tipologia di contratti, raggruppabili all’interno di un’unica nozione di collaborazione autonoma che può assumere contenuto diverso (richieste di parere, consulenze legali, studi e ricerche) ma che si caratterizza, in tutti i casi, per l’elevata e qualificata professionalità richieste al consulente che agisce, nell’esplicazione dell’incarico, con la massima autonomia (cfr. Sezione Regionale di Controllo per la Liguria, parere 21.06.2011 n. 54).
Si tratta, in sostanza, di contratti aventi per oggetto prestazioni d’opera intellettuale, inquadrabili nella tipologia del contratto di lavoro autonomo di cui agli artt. 2229-2238 c.c..
In merito alla distinzione interna alla categoria delle collaborazioni autonome, le Sezioni Riunite in sede di controllo nella deliberazione 15.02.2005 n. 6 hanno chiarito che
gli incarichi di studio, di consulenza e di ricerca si distinguono per l’oggetto della prestazione dedotta in contratto, il quale non muta la propria natura giuridica, rientrando comunque nella categoria dei contratti di prestazione d’opera intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni Riunite, gli incarichi di studio si risolvono nello svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse dell’amministrazione, nonché nella consegna di una relazione scritta finale in cui vengono illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte. Gli incarichi di ricerca, invece, presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione. Le consulenze, infine, riguardano le richieste di pareri ad esperti.

Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i seguenti parametri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

Si tratta di vincoli e limiti applicabili esclusivamente ai contratti di collaborazione autonoma nei diversi contenuti sopra richiamati (studio, ricerca, consulenza), mentre rimangono estranei alla disciplina appena delineata gli appalti di servizi di cui al d.lgs. 163/2006 che hanno per oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale (Sezione delle Autonomie
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008).
Quest’ultima osservazione consente di individuare gli elementi essenziali che differenziano l’appalto di servizi dal contratto di collaborazione autonoma: nel primo, infatti, la connotazione spiccatamente personale della prestazione dovuta viene sostituita dalla stabile organizzazione imprenditoriale e dall’assunzione del rischio del debitore.
Sulla distinzione tra contratto di collaborazione autonoma e appalto di servizi questa Corte si è recentemente pronunciata con
parere 07.06.2013 n. 236 della Sezione Lombardia, ove si osserva “La consulenza nell’accezione che qui rileva (rectius la collaborazione autonoma) è assimilata al contratto d’opera intellettuale, artistica o artigiana, disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti c.c., che è considerato una species del genus contratto di lavoro. Tale tipo negoziale ricomprende l’esecuzione di una prestazione frutto dell’elaborazione concettuale e professionale di un soggetto competente nello specifico settore di riferimento, senza vincolo di subordinazione e in condizioni di assoluta indipendenza. Nel contratto d’opera la prestazione richiesta può assumere tanto i connotati di un’obbligazione di mezzi (es. un parere, una valutazione o una stima peritale), quanto i caratteri dell’obbligazione di risultato (ad es. la realizzazione di uno spartito musicale, o di un’opera artistica di particolare pregio).
Nel contratto di appalto, l’esecutore si obbliga nei confronti del committente al compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, con organizzazione dei mezzi necessari (di tipo imprenditoriale) e con assunzione in proprio del rischio di esecuzione della prestazione (art. 1655 c.c.).
(…..)Ne consegue che le norme in tema di appalto si palesano nelle ipotesi in cui il professionista si sia obbligato a strutturare una stabile organizzazione per l’esecuzione della prestazione, mentre la carenza di tale requisito derivante dall’unicità, dalla singolarità e puntualità dell’incarico, nonché dalla determinatezza dell’arco temporale in cui si deve svolgere la prestazione professionale, inducono a qualificare la fattispecie quale contratto di prestazione d’opera e dunque quale consulenza e/o collaborazione autonoma
”.
Sulla base di tale coordinate ermeneutiche
l’elemento discretivo tra appalto di servizi e contratto di collaborazione non è -contrariamente a quanto ritenuto dal Comune richiedente- né il conseguimento per l’amministrazione di un risultato finale mediante il conferimento dell’incarico, né la circostanza che l’attività non importa obblighi di presenza fissa in ufficio, bensì la presenza o meno, in capo all’affidatario, di un’organizzazione imprenditoriale con assunzione del rischio della prestazione oggetto del contratto.
In assenza di siffatti elementi, con conseguente rilevanza dell’elemento personalistico della prestazione intellettuale, l’incarico da affidare rientra necessariamente nella categoria degli studi, consulenze e delle collaborazioni autonome soggette alla disciplina di cui agli artt. 3, comma 55 e 56, l. 244/2007 e art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010, fermo restando quanto detto in via preliminare in merito all’art. 7, comma 6 e ss, d.lgs. 165/2001, ai presupposti di oggettiva impossibilità ed eccezionalità per legittimare l’affidamento all’esterno (che dovrà essere adeguatamente motivato sotto tale profilo) ed in merito alla non esternabilità delle attività rientranti tra le funzioni essenziali dell’ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia, parere 20.03.2014 n. 63).

INCARICHI PROGETTUALI: Sull'affidamento di incarichi progettuali condizionati al finanziamento (futuro) dell'opera pubblica.
La Corte rimette gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite Civili, circa le questioni sollevate con il ricorso principale e con il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale che hanno ad oggetto la validità dei contratti di prestazione d'opera professionale stipulati dagli enti pubblici territoriali nei quali il pagamento del compenso dovuto al professionista sia condizionato al finanziamento dell'opera la cui progettazione costituisce oggetto dell'incarico conferito.
Si discute in particolare se tale condizione valga a sottrarre il contratto al disposto dell'art. 23, commi terzo e quarto, del decreto-legge n. 66 del 1989 (abrogato dall'art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25.02.1995, n. 77, e sostituito dall'art. 35 del medesimo decreto, a sua volta abrogato dall'art. 274, lett. hh, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267, e sostituito dall'art. 191 del medesimo decreto), applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, che subordina l'effettuazione di qualsiasi spesa alla sussistenza di una delibera autorizzativa ed alla registrazione del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai
terzi interessati, prevedendo che, in mancanza, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura
(Corte di Cassazione, Sez. I civile, ordinanza 17.03.2014 n. 6123).
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febbraio 2014

INCARICHI PROFESSIONALI: Sull'illegittimo affidamento a professionisti esterni delle mansioni ordinarie dell'U.T.C. anziché assumere a tempo pieno, con conseguente responsabilità erariale.
Va accertato che gli atti di affidamento di incarico esterno del comune non sono conformi ai presupposti di legge per:
• violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico esterno, salve le eccezioni previste;
• violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente;
Si invita l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare la propria attività ai presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico nonché ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
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La necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente.
Ne consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale” .
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Questa Sezione rileva che la criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa per il personale e violando le norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).

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Le recenti novelle legislative che hanno inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle consulenze da parte degli enti locali sono accomunate da un indiscusso principio ispiratore: l’amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica esistente (in questo senso, si veda la sentenza della Corte Conti, II sez. app., del 20.03.2006).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il Legislatore ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le disposizioni di cui agli artt. 34 della Legge 27.12.2002, n. 289, 3 della Legge 24.12.2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11 del decreto Legge 12.07.2004, n. 168, convertito con Legge 30.07.2004, n. 191 (sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della Legge 30.12.2004, n. 311) con l’introduzione di fattispecie tipizzate di illecito amministrativo contabile, per cui la violazione del disposto normativo “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In questo contesto va inquadrata la funzione di controllo esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei conti sugli atti di affidamento di consulenze esterne; funzione che la magistratura svolge su due livelli, ovvero su quello più generale che investe l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello più specifico che attiene la singola determina di affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti sui regolamenti adottati dagli Enti locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3 della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n. 244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L. 25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma 56 recita che “con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”. Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”.
Questa Sezione con le deliberazioni 37/2008, 224/2008 e 37/2009 ha individuato alcuni principi che devono informare le disposizioni regolamentari in materia (si vedano anche le più recenti, Lombardia/715/2010/REG del 30.06.2010 e Lombardia/967/2010/REG del 22.10.2010).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione si incentra sulle singole determinazioni di affidamento di incarico esterno di cui si è detto in premessa; conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere per qualificare come conforme alla disciplina la determina in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole determinazioni di affidamento di incarichi a soggetti esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti locali a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che “
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che
un utilizzo improprio delle collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di responsabilità. Questo principio -affermato dalla giurisprudenza contabile in materia di conferimento di incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27, della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che
il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito dall’amministrazione comunale di Padenghe sul Garda, occorre indicare quali sono in linea generale i presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp. (modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008) qualifica “come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio (Sez. Contr. Reg. Lombardia, delib. n. 224/2008).
1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione. In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già chiarito che “il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione.
3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico.
4) L’indicazione della durata dell’incarico.
5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione. Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che “il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
6) Il requisito della “comprovata specializzazione universitaria: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno. Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delib. n. 6/2005) hanno già ricordato che “l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti. In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che le disposizioni della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del 14.05.2009; Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23.04.2010; contra, ma con affermazione apodittica, delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23 aprile 2010; Sez. Contr. Reg. Piemonte, parere n. 23 del 18.03.2010).
9) L’obbligo di seguire procedure comparative. Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7 D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web istituzionale. La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
III) Profili di non conformità a legge della determina di affidamento di incarico oggetto della presente deliberazione. Incarichi conferiti all’arch. J.S. per consulenza all’Ufficio Tecnico Comunale a decorrere dal 2008.
Si tratta di un’attività per cui il suddetto soggetto ha ricevuto plurimi incarichi che hanno coperto il periodo 01.01.2008–31.12.2013. Segnatamente, gli incarichi sono stati conferiti con le seguenti cadenze: (omissis).
Le determine di cui sopra presentano sia vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune di Padenghe sul Garda, contravvenendo ai principi in precedenza esposti, ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione professionale esterna in violazione di norme di legge, erroneamente ritenendola, a volte una consulenza in un ambito limitato d’intervento, a volte un appalto di servizi da conferire in via diretta ai sensi dell’art. 125, comma 2, del D.Lgs. 163/2006, atteso che la prestazione richiesta all’architetto in questione si è sempre risolta, nella sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lungo lasso temporale in cui sono stati conferiti gli incarichi al professionista in questione, senza peraltro mai valutare con tenore esplicito il buon esito dei precedenti incarichi, si è tradotto in una surrettizia instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in violazione del principio dell’accesso concorsuale ai pubblici uffici.

Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa deliberazione, il comune di Padenghe sul Garda ha violato le seguenti norme di legge:
1) violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Infatti, “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
In proposito
questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”).
Dunque, poiché nel caso di specie non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune di Padenghe sul Garda, avendo proceduto all’affidamento diretto dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
2) Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni fondamento giuridico, posto che
risulta per tabulas che l’oggetto del primo incarico all’Arch. S. è ”di consulenza professionale presso l’ufficio tecnico comunale”, senza alcuna specificazione circa la specialità e la contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare nell’asserito incarico di collaborazione professionale l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro pubblico a tempo determinato in carenza di procedure concorsuali o selettive dei possibili candidati. La medesima indeterminatezza dell’oggetto della prestazione si riscontra nelle successive determine di proroga sino al 31.12.2013.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra il comune di Padenghe sul Garda e l’arch. J.S. (ovvero, primo incarico annuale nel 2008 successivamente prorogato) non risponde ai principi più volte ribaditi dalla Magistratura contabile (ex multis Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 e la delibera n. 24/2011) secondo cui
la durata dei contratti di collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001) devono avere “natura temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute all’interno di uno specifico progetto”.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve essere collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento. La “proroga si configura, essenzialmente, come spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque, come una sorta di ultra-attività del contratto originario” (delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 cit.).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente. Ne consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale (Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012).
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delibera n. 20 del 04.04.2011): “fermo restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma anche se non vi siano state corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione del personale e di una riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza
”.
Dunque,
questa Sezione rileva che la criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa per il personale e violando le norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
P.Q.M.
La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia accerta che gli atti di affidamento di incarico esterno del comune di Padenghe sul Garda sopra individuati, non sono conformi ai presupposti di legge come esposti in parte motiva.
Stante il recesso comunicato dal professionista incaricato con effetto a far data dal 30.09.2013, la Sezione invita l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare in futuro la propria attività ai presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico nonché ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di Padenghe sul Garda per quanto di competenza.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti per le determinazioni di competenza (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, deliberazione 20.02.2014 n. 87).

INCARICHI PROFESSIONALIL'’amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica esistente”.
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II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole determinazioni di affidamento di incarichi a soggetti esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9 (
ndr: studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione), 10 (ndr: spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza), 56 (ndr: somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di consulenza) e 57 (ndr: contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
Questa Sezione ha già affermato che “
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”.
Si aggiunga che
un utilizzo improprio delle collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di responsabilità. Questo principio -affermato dalla giurisprudenza contabile in materia di conferimento di incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27, della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che
il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.
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Occorre indicare quali sono in linea generale i presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp.
qualifica “come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio”.
   1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già chiarito che “
il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000”.
   2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione.
   3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico.
   4) L’indicazione della durata dell’incarico.
   5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che “
il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite".
   6) Il requisito della “comprovata specializzazione universitaria”.
Le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa)
a esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
   7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti hanno già ricordato che “
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico”.
   8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che
le disposizioni della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane.
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno.
   9) L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D. Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione. Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata”.
   10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web istituzionale.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
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III) Profili di non conformità a legge degli atti di affidamento di incarico oggetto della presente deliberazione.
Il comune, mediante elusione, non ha rispettato il Patto di stabilità per l’anno 2010 ed ha violato il Patto di stabilità per l’anno 2011.
Il vigente Regolamento per l’affidamento di incarichi individuali di collaborazione autonoma approvata dalla Giunta Comunale stabilisce che “
in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno successivo”.
Si rileva quindi la mancanza del presupposto di legittimità per l’affidamento di incarichi per gli esercizi 2012 e 2013, in palese violazione del regolamento comunale.
Incarichi conferiti alla geom. T.A. per attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica.
Le deliberazioni di giunta comunale n. 35 del 31.01.2012 e n. 166 del 18.12.2012 con le quali è stato affidato l’incarico di prestazione di opera intellettuale alla geom. T.A. per attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica presentano sia vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune, contravvenendo ai principi in precedenza esposti, ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione professionale esterna in violazione di norme di legge, atteso che la prestazione in questione si è sempre risolta, nella sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lasso temporale in cui sono stati conferiti gli incarichi alla professionista in questione, senza peraltro mai valutare con tenore esplicito il buon esito del precedente incarico ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati, si è tradotto in una surrettizia instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in violazione del principio dell’accesso concorsuale ai pubblici uffici.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa deliberazione, il comune ha violato le seguenti norme di legge:
   1. Violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001). Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione. Infatti, “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata”.
In proposito questa Sezione ribadisce che
l’art. 7 TUPI che
impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”).
Dunque,
poiché nel caso di specie non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune, avendo proceduto all’affidamento diretto dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.

   2. Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni fondamento giuridico, posto che risulta per tabulas che l’oggetto degli incarichi alla geom. T.A. sono ”le attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica”, senza alcuna specificazione circa la specialità e la contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare nell’asserito incarico di collaborazione professionale l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro pubblico a tempo determinato in carenza di procedure concorsuali o selettive dei possibili candidati.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra il comune e la geom. T.A. (ovvero, primo incarico a decorrere dal 2012 successivamente prorogato a tutto il 2013) non risponde ai principi più volte ribaditi dalla Magistratura contabile secondo cui
la durata dei contratti di collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001) devono avere “natura temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute all’interno di uno specifico progetto”.
Infatti,
l’istituto giuridico della proroga deve essere collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento. La “proroga si configura, essenzialmente, come spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque, come una sorta di ultra-attività del contratto originario”.
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente.
Ne consegue che
l’ente locale conferente non può fare ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale”.
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti: “
fermo restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma anche se non vi siano state corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione del personale e di una riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza
”.
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La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia
accerta che gli atti di affidamento di incarico esterno del comune sopra individuati, non sono conformi ai presupposti di legge come esposti in parte motiva.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti per le determinazioni di competenza.

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Le recenti novelle legislative che hanno inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle consulenze da parte degli enti locali sono accomunate da un indiscusso principio ispiratore:
l’amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica esistente (in questo senso, si veda la sentenza 20.03.2006 n. 122 della Corte Conti, II sez. app.).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il Legislatore ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le disposizioni di cui agli artt. 34 della Legge 27.12.2002, n. 289, 3 della Legge 24.12.2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11 del decreto Legge 12.07.2004, n. 168, convertito con Legge 30.07.2004, n. 191 (sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della Legge 30.12.2004, n. 311) con l’introduzione di fattispecie tipizzate di illecito amministrativo contabile, per cui la violazione del disposto normativo “costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In questo contesto va inquadrata la funzione di controllo esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei conti sugli atti di affidamento di consulenze esterne; funzione che la magistratura svolge su due livelli, ovvero su quello più generale che investe l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello più specifico che attiene la singola determina di affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti sui regolamenti adottati dagli Enti locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3 della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n. 244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L. 25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma 56 recita che “
con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”. Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”.
Questa Sezione con il
parere 11.03.2008 n. 37, parere 06.11.2008 n. 224 e parere 11.02.2009 n. 37 ha individuato alcuni principi che devono informare le disposizioni regolamentari in materia (si vedano anche i più recenti, Lombardia parere 30.06.2010 n. 715 e Lombardia parere 22.10.2010 n. 967).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione si incentra sulle singole determinazioni di affidamento di incarico esterno di cui si è detto in premessa; conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere per qualificare come conforme alla disciplina la determina in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole determinazioni di affidamento di incarichi a soggetti esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9 (
ndr: studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all'amministrazione), 10 (ndr: spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza), 56 (ndr: somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di consulenza) e 57 (ndr: contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti locali a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che “
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che
un utilizzo improprio delle collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di responsabilità. Questo principio -affermato dalla giurisprudenza contabile in materia di conferimento di incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27, della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che
il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito dall’amministrazione comunale di Pontevico,
occorre indicare quali sono in linea generale i presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp. (modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008) qualifica “come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio (Sez. Contr. Reg. Lombardia,
parere 06.11.2008 n. 224).
   1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già chiarito che “
il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000” (Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
   2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione.
   3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico.
   4) L’indicazione della durata dell’incarico.
   5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che
il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite” (Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere 11.02.2009 n. 37).
   6) Il requisito della “comprovata specializzazione universitaria”.
Le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria.
   7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delibera 15.02.2005 n. 6/2005) hanno già ricordato che “
l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n.
parere 11.02.2009 n. 37).
   8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che
le disposizioni della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del 14.05.2009; Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, parere 23.04.2010 n. 506; contra, ma con affermazione apodittica, delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, parere 23.04.2010 n. 506; Sez. Contr. Reg. Piemonte,
col parere 18.03.2010 n. 23).
   9) L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D. Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
   10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web istituzionale.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
III) Profili di non conformità a legge degli atti di affidamento di incarico oggetto della presente deliberazione.
Preliminarmente occorre osservare che il comune di Pontevico, mediante elusione, non ha rispettato il Patto di stabilità per l’anno 2010 (così come accertato dalla deliberazione di questa Sezione n. 409/2012/PRSE depositata il 25/09/2012, con corredo sanzionatorio per l’anno 2013) ed ha violato il Patto di stabilità per l’anno 2011 (delibera n. 293/2013/PRSE depositata il 25/06/2013, con applicazione delle sanzioni per l’anno 2012, susseguente la violazione).
Ciò premesso, si evidenzia che il vigente Regolamento per l’affidamento di incarichi individuali di collaborazione autonoma approvata dalla Giunta Comunale di Pontevico con deliberazione n. 87 del 21.04.2009, che si applica a tutte le tipologie di prestazioni, all’art. 2, punto 6), stabilisce che “
in caso di mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno successivo”.
Si rileva quindi la mancanza del presupposto di legittimità per l’affidamento di incarichi per gli esercizi 2012 e 2013, in palese violazione del regolamento comunale.
Incarichi conferiti alla geom. T.A. per attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica.
Le deliberazioni di giunta comunale del comune di Pontevico n. 35 del 31.01.2012 e n. 166 del 18.12.2012 con le quali è stato affidato l’incarico di prestazione di opera intellettuale alla geom. T.A. per attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica presentano sia vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune di Pontevico, contravvenendo ai principi in precedenza esposti, ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione professionale esterna in violazione di norme di legge, atteso che la prestazione in questione si è sempre risolta, nella sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lasso temporale in cui sono stati conferiti gli incarichi alla professionista in questione, senza peraltro mai valutare con tenore esplicito il buon esito del precedente incarico ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati, si è tradotto in una surrettizia instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in violazione del principio dell’accesso concorsuale ai pubblici uffici.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa deliberazione, il comune di Pontevico ha violato le seguenti norme di legge:
   1. Violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Infatti, “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
In proposito questa Sezione ribadisce che
l’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”).
Dunque,
poiché nel caso di specie non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune di Pontevico, avendo proceduto all’affidamento diretto dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
   2. Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni fondamento giuridico, posto che risulta per tabulas che l’oggetto degli incarichi alla geom. T.A. sono ”le attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica”, senza alcuna specificazione circa la specialità e la contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare nell’asserito incarico di collaborazione professionale l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro pubblico a tempo determinato in carenza di procedure concorsuali o selettive dei possibili candidati.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra il comune di Pontevico e la geom. T.A. (ovvero, primo incarico a decorrere dal 2012 successivamente prorogato a tutto il 2013) non risponde ai principi più volte ribaditi dalla Magistratura contabile (ex multis Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera 13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV e la delibera 20.12.2011 n. SCCLEG/24/2011/PREV) secondo cui
la durata dei contratti di collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001) devono avere “natura temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute all’interno di uno specifico progetto”.
Infatti,
l’istituto giuridico della proroga deve essere collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento. La “proroga si configura, essenzialmente, come spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque, come una sorta di ultra-attività del contratto originario (delibera 13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV cit.).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente.
Ne consegue che
l’ente locale conferente non può fare ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale (Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera 13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV).
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delibera n. 20 del 04.04.2011): “
fermo restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma anche se non vi siano state corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione del personale e di una riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza
”.
Dunque, questa Sezione rileva che la criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le attività legate al settore edilizia privata ed urbanistica) non può essere affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa per il personale e violando le norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
P.Q.M.
La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia
accerta che gli atti di affidamento di incarico esterno del comune di Pontevico sopra individuati, non sono conformi ai presupposti di legge come esposti in parte motiva.
Invita l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni provvedimenti per conformare la propria attività ai presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico nonché ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di Pontevico per quanto di competenza.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti per le determinazioni di competenza (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, delibera 20.02.2014 n. 84).

INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: Progettazione interna. Oneri per l'iscrizione del dipendente all'albo/collegio e per l'aggiornamento professionale.
Ai sensi dell'art. 90, c. 4, del D.Lgs. 163/2006, per provvedere alla progettazione di opere e lavori pubblici, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni devono essere 'abilitati all'esercizio della professione' (fatta salva l'ipotesi disciplinata dall'art. 253, comma 16, dello stesso decreto), senza che sia necessaria l'iscrizione all'albo o al collegio professionale.
Il Comune, atteso che l'art. 90 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163
[1], prevede che le prestazioni concernenti la redazione dei progetti per la realizzazione di opere e di lavori pubblici sono espletate, in via prioritaria, dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti (comma 1, lett. a) [2]) e che, in tale ipotesi [3], i progetti medesimi sono firmati da dipendenti delle amministrazioni «abilitati all'esercizio della professione» (comma 4, primo periodo [4]) [5], afferma che parrebbe potersi dedurre che, per svolgere il predetto incarico, il dipendente pubblico 'debba essere annualmente in regola con il pagamento dell'iscrizione all'albo/collegio di appartenenza'.
Anzitutto, appare necessario rilevare che la richiamata previsione del Codice dei contratti pubblici, ai sensi della quale i progetti redatti all'interno delle pubbliche amministrazioni sono firmati da dipendenti 'abilitati all'esercizio della professione', ripropone la norma già contenuta nell'art. 17, comma 2, primo periodo
[6], della legge 11.02.1994, n. 109, come sostituito dall'art. 6, comma 2, della legge 18.11.1998, n. 415.
La Corte dei conti -Sezione del controllo per la Regione Sardegna
[7], chiamata ad esprimersi sulla legittimità dell'assunzione, a carico del bilancio comunale, della tassa annuale di iscrizione all'albo professionale di un dipendente a tempo indeterminato, osserva che occorre, preliminarmente, stabilire se la predetta iscrizione costituisca requisito per lo svolgimento dell'attività lavorativa.
Il Giudice contabile afferma che «Così non è più nella materia dei lavori pubblici, in quanto la disciplina di cui all'articolo 17 della legge 109 del 1994 è stata modificata dalla legge n. 415 del 1998 nel senso che non è richiesta l'iscrizione all'albo professionale per i dipendenti pubblici che firmino i progetti, ma è sufficiente il possesso dell'abilitazione professionale».
Su analoga questione, la Corte dei conti -Sezione regionale di controllo per le Marche
[8], precisa che «occorre tener conto che l'abilitazione -intesa quale accertamento dei requisiti tecnico-professionali- si distingue dall'iscrizione all'albo professionale e risulta esserne presupposto».
«La vigente disciplina» -prosegue il Collegio- «accoglie pienamente questo principio, distinguendo la redazione di progetti da parte dei dipendenti abilitati all'esercizio della professione (senza necessità di iscrizione all'albo: art. 90 quarto comma d.lgs. 163/2006) dalla redazione di progetti da parte di professionisti esterni iscritti negli appositi albi (art. 90 settimo comma d.lgs. 163/2006)».
[9]
Anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp)
[10] rileva che l'art. 90 del Codice dei contratti pubblici, nell'individuare i soggetti deputati ad espletare le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo, distingue tra progettazione interna ed esterna, prevedendo che i progetti redatti dai soggetti interni all'amministrazione sono firmati da dipendenti abilitati all'esercizio della professione.
L'Avcp ricorda che la disposizione ricalca quella introdotta, nella normativa previgente, con un intervento normativo del 1998, epoca alla quale risale la scelta del legislatore di distinguere i requisiti richiesti ai soggetti cui affidare la progettazione interna ed esterna, «esonerando i dipendenti delle amministrazioni dall'obbligo di iscrizione all'albo professionale».
L'Avcp richiama, poi, la rilevante osservazione svolta dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
[11], secondo la quale «La circostanza che le prestazioni relative alla progettazione attengono ad un'attività umana prettamente intellettiva e di contenuto corrispondente a quello proprio di una professione liberale, individualmente esercitata, non è idonea a far ritenere che, nel nostro ordinamento, i tecnici appartenenti ad ufficio pubblico svolgano un'attività di libera professione in quanto autori delle medesime elaborazioni intellettive proprie delle professioni liberali. Quel che, invece, è vero, è che l'attività di progettazione svolta da funzionari pubblici è attività professionalmente qualificata, ma non di libera professione».
Si ritiene utile segnalare che -nel medesimo atto- la predetta Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici chiarisce, inoltre, che «Questa qualificazione professionale è garantita dalla legge quadro col prevedere che gli addetti ai competenti uffici (art. 17, comma 2), oltre alla garanzia data dalla selezione per l'accesso all'impiego, debbano possedere per poter firmare il progetto l'abilitazione all'esercizio della professione, ovvero, per i tecnici diplomati, il pregresso esercizio di analoghi incarichi, ritenuto equipollente. È significativo che in tali sensi si sia modificato il testo originario della norma, come introdotta dalla legge n. 216/1995 [...] e che prevedeva anche la necessità di iscrizione al competente albo professionale, in quanto tale modifica sta a comprovare il carattere non decisivo, ai fini dell'oggettiva affidabilità della prestazione, di detta iscrizione».
---------------
[1] «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE».
[2] «1. Le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
[...]».
[3] Nonché quando le prestazioni di cui trattasi sono espletate:
- dagli uffici consortili di progettazione e di direzione dei lavori costituiti dai comuni, dai rispettivi consorzi ed unioni, dalle comunità montane, dalle aziende per i servizi sanitari, dai consorzi, dagli enti di industrializzazione e dagli enti di bonifica [lett. b)];
- dagli organismi di altre pubbliche amministrazioni, di cui le singole stazioni appaltanti possono avvalersi per legge (lett. c)).
[4] «4. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti delle amministrazioni abilitati all'esercizio della professione. [...]».
[5] Disposizioni analoghe sono contenute nell'art. 9, commi 1 e 2, della legge regionale 31.05.2002, n. 14, i quali prevedono che: «1. Le prestazioni finalizzate alla realizzazione di lavori pubblici e in particolare quelle relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
[...].
2. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti in possesso del titolo di abilitazione o equipollente ai sensi della normativa vigente in materia.».
[6] «2. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1, lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti delle amministrazioni abilitati all'esercizio della professione. [...]».
[7] Parere n. 1/2007 del 19.01.2007.
[8] Deliberazione n. 9/2008/Par. del 03.06.2008, che richiama il già citato parere della Sezione regionale di controllo per la Sardegna n. 1/2007 e quello della Sezione regionale di controllo per la Toscana, reso con deliberazione n. 11P/2008 del 22.04.2008.
[9] La Corte dei conti rammenta, per completezza, che l'art. 253, comma 16, del D.Lgs. 163/2006 (il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello recato dall'art. 17, comma 2, secondo periodo, della L. 109/1994, come sostituito dall'art. 6, comma 2, della L. 415/1998 ed integrato dalla previsione introdotta dal comma 9 dello stesso art. 6) consente, a certe condizioni, lo svolgimento di attività tecnico-professionale a personale dipendente munito di titolo di studio, ma non abilitato.
Il testo della disposizione è il seguente: «16. I tecnici diplomati che siano in servizio presso l'amministrazione aggiudicatrice alla data di entrata in vigore della legge 18.11.1998, n. 415, in assenza dell'abilitazione, possono firmare i progetti, nei limiti previsti dagli ordinamenti professionali, qualora siano in servizio presso l'amministrazione aggiudicatrice ovvero abbiano ricoperto analogo incarico presso un'altra amministrazione aggiudicatrice, da almeno cinque anni e risultino inquadrati in un profilo professionale tecnico e abbiano svolto o collaborato ad attività di progettazione.».
[10] Parere AG 6/2012 del 12.06.2012.
[11] Atto di regolazione 04.11.1999, n. 6
(17.02.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Avvocati, parcelle senza segreti. Il cliente deve conoscere tempi e costi della controversia. Gli adempimenti previsti dal codice deontologico forense, approvato dal Cnf.
Rapporti in chiaro tra avvocato e cliente. All'atto del conferimento dell'incarico al legale, infatti, la parte assistita deve contestualmente essere informata: della complessità e delle ipotesi di soluzione della controversia, della durata del processo e degli oneri preventivabili, che il cliente può richiedere siano messi per iscritto. Da controllare, anche, che l'avvocato renda noti gli estremi della polizza assicurativa ed emetta fattura fiscale per ogni pagamento avvenuto.
Sono alcune delle regole che disciplinano il rapporto tra avvocato e cliente contenute nel nuovo codice deontologico forense, approvato dal Cnf (si veda ItaliaOggi del 5 febbraio scorso), che stringe anche le maglie su adempimenti contributivi e pratiche scorrette per attirare clienti.
Il rapporto avvocato-cliente. Una delle parti più importanti del nuovo codice deontologico forense riguarda il rapporto tra l'avvocato e il cliente, dove sono indicati quali sono i diritti della parte assistita. Che deve essere informata, all'atto dell'assunzione dell'incarico da parte dell'avvocato, delle caratteristiche e dell'importanza della controversia e delle attività da espletare, con precisazione delle iniziative e delle ipotesi di soluzione.
L'avvocato deve informare il cliente anche sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili, e, su richiesta, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l'incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione. Deve poi mettere per iscritto la possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla legge e, ove ne ricorrano le condizioni, all'atto del conferimento dell'incarico, deve informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello stato. Ancora, l'avvocato deve rendere noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa.
Ogni volta ne venga richiesto, è anche tenuto a informare la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato, e deve fornire loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l'oggetto del mandato e l'esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale. L'avvocato deve infine comunicare al cliente la necessità del compimento di atti necessari a evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso.
Adempimenti e paletti. Oltre ai numerosi obblighi informativi dell'avvocato nei confronti del cliente, il nuovo codice detta le regole per esercitare la professione forense: dagli adempimenti fiscali, previdenziali, assicurativi, contributivi. Ai divieti di stringere patti di quota lite, di pubblicità comparativa, di siti web con banner pubblicitari, di accaparrarsi la clientela o esercitare la professione in luoghi pubblici. Stringendo così il cerchio sui tanti avvocati che, complice la crisi e la «proletarizzazione» della professione, non riescono a pagare i contributi o le provano tutte pur di conquistare qualche cliente in più.
La corretta informazione sulla propria attività professionale consiste nel rispetto dei doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, con riferimenti alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale. L'avvocato, inoltre, non deve dare informazioni comparative rispetto ad altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attività professionale.
Regole stringenti anche per la pubblicità e l'uso del web: l'avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell'ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso. Che, inoltre, non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l'indicazione diretta sia mediante strumenti di collegamento interni o esterni. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, devono inoltre essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative (articolo ItaliaOggi Sette del 10.02.2014).

gennaio 2014

INCARICHI PROGETTUALI: A. Mancini, Determinazione degli importi a base d’asta nell’affidamento dei servizi tecnici: il D.M. 143/2013 (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 1/2014).

INCARICHI PROFESSIONALI: G.U. 27.01.2014 n. 21 "Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito" (D.M. 24.01.2014).

INCARICHI PROFESSIONALI: No all’incarico senza una seria verifica dell’impossibilità di utilizzo delle risorse disponibili all’interno.
Come stabilito dalla legislazione di settore e ampiamente precisato dalla giurisprudenza, infatti, è insufficiente, ai fini di giustificare l’affidamento di un incarico all’esterno, una mera affermazione teorica di carenza di personale idoneo necessitando, invece, una reale ricognizione volta a dare la dimostrazione della carenza di personale nei settori interessati e soprattutto dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con le quali far fronte alle esigenze istituzionali.
La giurisprudenza ha, altresì, precisato che soltanto in situazioni del tutto eccezionali risulta possibile ricorrere ad incarichi esterni di alta professionalità ed, in questo caso, tale accertata ed eccezionale impossibilità deve essere valutata in concreto e “caso per caso”, attraverso l'esame della motivazione del provvedimento, che deve essere congrua ed esauriente
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto, sentenza 21.01.2014 n. 26 - massima tratta da www.respamm.it).

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Venendo al merito dell’azione promossa, la domanda di condanna azionata dalla Procura appare fondata e deve, pertanto, essere accolta, sia pure nei limiti della prescrizione di cui sopra, posto che la fattispecie in esame configura un illecito amministrativo, consistente nel conferimento contra legem di un incarico esterno, produttivo di danno erariale.
III.1. Ritiene, infatti, la Sezione che
in fattispecie siano presenti tutti gli elementi tipici della responsabilità amministrativa la quale, come noto, può sussistere ove sia ravvisabile, oltre al danno erariale causalmente collegabile con la condotta/e del/dei convenuto/i, pur se cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quello di appartenenza, anche l’elemento psicologico del dolo o della colpa grave (art. 1, comma 1, della legge 14.01.1994 n. 20, nel testo sostituito dall’art. 3 del D.L. 23.10.1996 n. 543, convertito nella legge 20.12.1996 n. 639).
Si ricorda in proposito che il conferimento di incarichi e di consulenze a professionisti esterni all'Amministrazione è stato, ed è tuttora, oggetto di esame da parte della Corte dei Conti in sede giurisdizionale e di controllo proprio con la finalità di sanzionare la produzione di danno all'Erario derivante da spese improduttive e non giustificate, attribuite a soggetti estranei all'Amministrazione.
Al riguardo, questa Sezione non può che ribadire quelli che costituiscono principi giurisprudenziali consolidati in materia di conferimenti di incarichi e consulenze esterne intesi a ritenere che,
per l’assolvimento dei compiti istituzionali, l’amministrazione pubblica deve prioritariamente avvalersi delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.
In tale ottica –ed in conformità a quanto stabilito dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165-
è stato ripetutamente affermato che la facoltà, per le pubbliche amministrazioni, di affidare il perseguimento di determinate finalità all’opera di soggetti ad essa esterni, dotati di “particolare e comprovata specializzazione” riveste natura di eccezionalità, può avvenire solo in presenza di situazioni particolari e contingenti, nel rispetto di tutti i presupposti imposti dalla legge quali: la straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di personale interno idoneo, il carattere limitato nel tempo, l’oggetto circoscritto della consulenza, ecc. e deve conformarsi ai criteri di efficacia ed economicità dell'azione amministrativa (cfr., tra le ultime, Corte dei conti, Sez. III Centrale d’Appello, sent. n. 306/10 del 24.02.2010; Sez. II Centrale d’Appello, sent. n. 263 del 26.08.2008; Sez. I Centrale d’Appello, sent. 220/2008 del 01.04.2008; Sez. Veneto, sent. n. 471/2010) ed ai principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost..
In base a quanto sin qui detto, pertanto,
l'affidamento di incarichi a soggetti esterni non consegue ad una libera ed incondizionata scelta (nel senso di ricorrervi o meno), ma è strettamente collegata alla effettiva sussistenza del carattere di eccezionalità della contingente situazione, quale sopra delineata.
Le esposte considerazioni, in definitiva, se da un lato attestano che nell’ordinamento vigente, salvo i limiti posti alla spesa pubblica, non sussiste alcun divieto, di carattere generale per le Pubbliche Amministrazioni di conferire a soggetti estranei incarichi professionali per l’assolvimento di determinati compiti, dall’altro, tuttavia, confermano che il ricorso a tale strumento convenzionale non può concretizzarsi se non nel rispetto dei limiti e delle condizioni sopra specificati.
In ragione di ciò
la giurisprudenza della Corte dei conti, sia in sede di controllo (SS.RR delib. n. 6/CONTR/05 del 15.02.2005) sia in sede giurisdizionale ha dettato principi e criteri direttivi in grado di orientare utilmente l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e complessità delle situazioni concrete, sulla base dei quali l’incarico (o la consulenza) esterno può essere ritenuto legittimo qualora ci sia:
a) rispondenza agli obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione. La mancanza anche di una sola delle riferite condizioni, rende il conferimento dell'incarico illecito di talché il compenso ad esso conseguente costituisce ingiusto depauperamento delle finanze dell'Ent
e (cfr. Sezioni Riunite, 12.06.1998 n. 27).
A quanto sopra,
il dettato normativo di riferimento ha aggiunto l’ulteriore requisito che l’incaricato esterno sia un esperto nella materia, la cui competenza deve risultare provata, ovvero emergente da dati oggettivi.
Dal predetto impianto normativo e giurisprudenziale si può dunque ritenere che
il conferimento di consulenze esterne, per poter rimanere ancorato a principi di legittimità e liceità delle relative scelte, deve essere caratterizzato da alto contenuto di professionalità ma soprattutto dalla necessità di inserire temporaneamente nell'organizzazione dell'Amministrazione, personale di provata competenza per fronteggiare esigenze particolari, e non ordinarie, cui non sia possibile adibire con risultati vantaggiosi, unità di personale già in servizio presso l'Ente.
Più nello specifico, con riferimento alla disciplina regolamentare dell’Amministrazione, al quadro normativo sopra delineato si aggiungono: le disposizioni sulle procedure gestionali in tema di collaborazioni coordinate e continuative e consulenze, approvate con decreto del Commissario Straordinario Arpav del 31.12.2002 n. 1062, le successive disposizioni sulle procedure gestionali approvate con decreto del Commissario Straordinario del 18.04.2006 n. 294 e le disposizioni contenute nel Regolamento Arpav, approvato con DGR della Regione Veneto n. 450 del 28/12/2006.
Le predette disposizioni, infatti, ammettono il ricorso a collaboratori esterni solo per la soluzione di problematiche complesse che necessitino di specifiche competenze professionali, a condizione che non sia possibile avvalersi, con risultato ottimale, del personale in servizio mantenendo gli stessi tempi e modi, ovvero quando sussista l’impossibilità di rispondere ad esigenze derivanti da norme cogenti con il personale in organico o l’esigenza di utilizzare un profilo con professionalità non disponibile all’interno dell’organico. Ad ogni modo l’affidamento deve essere conseguente ad una verifica interna della disponibilità delle figure professionali esistenti a cura del Direttore/Dirigente della Struttura.
III.1.1. Alla luce delle richiamate norme nonché dei principi della consolidata giurisprudenza contabile formatasi in materia, che ha fornito un indubbio supporto ermeneutico, arricchendo la fattispecie astratta di ulteriori requisiti e contenuti,
il conferimento dell’incarico esterno non solo doveva essere giustificato unicamente per far ricorso ad alte professionalità, ma doveva seguire solo dopo un esame approfondito della utilità effettiva della prestazione e dopo il riscontro dell'assenza di risorse umane interne capaci di dare il proprio contributo. L'amministrazione doveva, altresì, accertare -anche attraverso un meccanismo di selezione informale– l’idoneità allo scopo dell’extraneus, le cui capacità dovevano essere formalizzate in atti.
Ciò considerato e premesso, nel caso all’esame, è ampiamente provato dall’Organo requirente e dalla documentazione tutta versata in atti che l’incarico di che trattasi è stato conferito in violazione della prescrizione che imponeva la preliminare verifica dell’impossibilità di utilizzo delle risorse disponibili all’interno, non potendosi considerare tale la mera affermazione di insufficienza d’organico, del tutto generica, senza riferimento a dati concreti, contenuta dalla nota della dott.ssa S. del 22.02.2007 in riscontro a quella del 15.02.2007 del Direttore Generale, dott. D.
Come stabilito dalla legislazione di settore e ampiamente precisato dalla giurisprudenza (cfr. tra le tante: Corte dei Conti, Sez. Calabria n. 62 del 28.01.2010; Sez. Friuli n. 106 del 12.05.2010; Sez. Veneto n. 284 del 20.05/2011; Sez. Sicilia n. 1679 del 29.04.2011 e n. 4037 del 09.12.2011; Sez. Campania n. 144 del 10.02.2012), infatti,
è insufficiente, ai fini di giustificare l’affidamento all’esterno, una mera affermazione teorica di carenza di personale idoneo necessitando, invece, una reale ricognizione volta a dare la dimostrazione della carenza di personale nei settori interessati e soprattutto dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con le quali far fronte alle esigenze istituzionali.
La giurisprudenza ha, altresì, precisato che
soltanto in situazioni del tutto eccezionali risulta possibile ricorrere ad incarichi esterni di alta professionalità ed, in questo caso, tale accertata ed eccezionale impossibilità deve essere valutata in concreto e “caso per caso”, attraverso l'esame della motivazione del provvedimento, che deve essere congrua ed esauriente (Corte dei conti, Sez. Contr. Toscana, Delib. 11.05.2005 n. 6).
Conseguentemente, il provvedimento deliberativo dell’affidamento dell’incarico (in specie la più volte richiamata deliberazione del Direttore Generale n. 182 del 29.03.2007) avrebbe dovuto precisare le effettive motivazioni del ricorso a risorse esterne, indicare l’alta ed eccezionale professionalità richiesta nel caso di specie, evidenziare i reali carichi di lavoro del personale interno con professionalità analoghe a quelle richieste e dare contezza della effettuata completa ricognizione delle professionalità esistenti all'interno dell'amministrazione e dei percorsi di formazione e riqualificazione sviluppati, verificando la possibilità o la convenienza di aggiornare il personale non utilizzato (cfr. in termini: Delib. Sez. Contr. Toscana cit.).
In luogo di tutto ciò, invece, la Deliberazione di che trattasi si limita semplicemente ad affermare, in maniera del tutto apodittica, senza elementi concreti di valutazione, che: <Vista la corrispondenza intercorsa tra il Direttore Generale e il Dirigente del Servizio Comunicazione ed Educazione Ambientale per l’avvio del progetto sopra indicato; Vista altresì la nota in data 13.03.2007…… con la quale il signor B.S., in riscontro a conforme richiesta del Direttore Generale…….. comunicava la propria disponibilità a collaborare, in forma coordinata e continuativa, per la redazione, sviluppo e svolgimento delle attività inerenti il progetto di cui sopra che, data la particolare specificità, richiede una competenza e professionalità in dinamiche comunicative applicate ai temi ambientali, non disponibile attualmente tra le risorse interne; Considerato che il sunnominato sig. S. è stato individuato sulla base della specifica professionalità posseduta (è iscritto all’Ordine Nazionale dei giornalisti), e della competenza dimostrata nello svolgimento di precedenti collaborazioni intrattenute con Arpav per incarichi analoghi, ed inoltre per il fatto che, nell’immediato, è l’unico a poter organizzare e sviluppare in breve il complesso incarico di cui trattasi, in quanto è a conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell’agenzia ed ha già svolto incarichi di analoga complessità anche presso altre Amministrazioni come l’Arpav Friuli Venezia Giulia>.
Come, del resto, giustamente evidenziato dall’Organo Requirente,
il compito affidato all’incaricato esterno non era certo di particolare complessità, e non vi è alcuna prova del fatto che il predetto fosse l’unico in grado di eseguirlo, non potendosi considerare idonea allo scopo la circostanza che lo stesso avesse già in precedenza collaborato con Arpav. Inoltre, le due precedenti collaborazioni, espletate nel 2005 e 2006, non inerivano all’oggetto del conferimento di che trattasi, riguardando l’una, un generico programma di divulgazione ambientale in ambito regionale e l’altra, una attività di informazione ad enti e cittadini sul piano di monitoraggio ambientale dell’autostrada A31 Valdastico sud.
Non provata e, quindi, insussistente anche la ragione d’urgenza, non potendosi considerare tale la circostanza che poiché: “per il progetto Agenda 21 Locale, la Regione percepiva importanti contributi statali e, a sua volta, alimentava il fondo di progetto dell’Arpav, vi era la necessità di non perdere tali finanziamenti dando corretta e tempestiva attuazione del progetto stesso" (pag. 11 memoria di costituzione e difesa del convenuto Drago Andrea).
Inoltre,
l’incarico è stato conferito in violazione delle disposizioni che impongono alle amministrazioni pubbliche di disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (art. 6-bis del D.Lgs 165/2001) posto che l’incarico è stato infatti conferito in maniera diretta (deliberazione del Direttore Generale n. 182 del 29.03.2007), in violazione anche della norma regolamentare interna contenuta al punto 5 delle disposizioni sulle procedure gestionali approvate con decreto del Commissario Straordinario 1062/2002, in virtù della quale “Il conferimento di un incarico di collaborazione è conseguente ad una procedura selettiva, per soli titoli, per esami, o per titoli ed esami, da attuarsi mediante avviso pubblico” nonché in violazione della successiva disposizione contenuta al punto 5.1 delle disposizioni sulle procedure gestionali approvate con decreto del Commissario Straordinario 294/2006 in base alla quale “Il conferimento di un incarico di co.co.co. è conseguente, di norma, ad una procedura selettiva specifica, per soli titoli, per esami, o per titoli ed esami, da attuarsi mediante avviso pubblico”.
Giova, anche da ultimo, evidenziare che la stessa considerazione svolta dalla difesa del convenuto F. (pag. 10 memoria di costituzione e difesa) in relazione al mancato espletamento della gara: <D’altra parte, sin dal 2002 vige in Arpav una deliberazione del Direttore Generale (D.G. 1062 del 31.12.2002) che, all’art. 6 (Consulenza professionale ed occasionale), stabilisce espressamente: “Nel caso sussista la necessità di ricorrere ad una consulenza specialistico-professionale anche occasionale ….l’incarico può essere conferito su base fiduciaria, dopo aver effettuato una scelta tra più esperti di analoga competenza in materia, se esistenti”> avvalora la fondatezza dell’impianto accusatorio posto che, in specie, non vi è stata alcuna scelta tra più esperti né tantomeno è stata data la prova che lo S. fosse l’unico del settore. Tra l’altro come evidenziato in narrativa, e più volte precisato dall’Organo Requirente, l’incarico è stato conferito a soggetto privo di laurea ed a fronte di un curriculum privo della documentazione di supporto.
III.1.2. In specie risultano, poi, violate le disposizioni sui requisiti soggettivi dell’affidatario e sui limiti di compenso.
Infatti, come correttamente evidenziato dalla procura, le disposizioni sulle procedure gestionali approvate con decreto del Commissario Straordinario 1062/2002 e quelle approvate con decreto 294/2006 stabiliscono, per il conferimento di una collaborazione co.co, un compenso lordo annuo fino ad euro 18.000,00, per laureato junior, e fino a 20.000, per laureato senior.
Nonostante l’incaricato esterno non fosse munito di laurea e fosse, quindi, carente del requisito soggettivo per l’affidamento in questione, con deliberazione n. 182 del 29.03.2007, si disponeva il formale affidamento al predetto dell’incarico dietro corresponsione di un compenso lordo omnicomprensivo di € 36.500,00 oltre ad un rimborso spese fino ad un massimo di €. 2.000,00, superiore (raddoppiato) ai limiti stabiliti con D.D.G. n. 1062/2002 <in considerazione dell’elevato livello di professionalità richiesto dall’incarico>.
III.1.3. Risulta, altresì, che il predetto compenso è stato corrisposto per intero, nonostante la prestazione sia stata parziale e, peraltro, ritenuta insufficiente.
L’incaricato avrebbe dovuto curare: lo sviluppo di un progetto finalizzato all’implementazione delle pagine web con l’obiettivo di fornire metodi e strumenti agli operatori, l’aggiornamento dei processi di Agenda 21 attivati in Veneto, l’implementazione della banca dati relativa ai progetti di Agenda 21, la valutazione di risultati positivi e criticità dei progetti finanziati.
L’oggetto della prestazione veniva individuato dal contratto, stipulato il 23.04.2007, e meglio specificato dalla nota del 02.04.2007 della Dirigente del Servizio Comunicazione e Servizio Ambientale.
Come risulta dagli atti di causa, premesso che l’incaricato nell’ottobre del 2007 era transitava presso la Regione, lo stesso nell’arco di tempo considerato aveva eseguito, peraltro parzialmente, solo uno dei punti dell’oggetto contrattuale (il primo punto), ossia “In parte il progetto di implementazione delle pagine web, relative allo sviluppo dei progetti di Agenda 21 locale” (cfr. verbale di audizione del 05.09.2012 della convenuta S.). Ciò nonostante, fino al marzo 2008, ossia fino alla scadenza contrattuale, all’incaricato è stato corrisposto il corrispettivo contrattuale.
Inoltre dalla corrispondenza intervenuta tra l’incaricato e la Dirigente S. emerge con evidenza l’insufficienza qualitativa della prestazione resa.
III.3. In considerazione di tutta quanto sopra addotto,
emerge con tutta evidenza la fondatezza dell’addebito di responsabilità: sono state violate le norme sugli affidamenti degli incarichi, sono state violate le disposizioni sui requisiti soggettivi dell’affidatario e sui limiti di compenso, è stata corrisposto l’intero compenso a fronte sia di una prestazione contrattuale eseguita, dall’incaricato, solo per una parte minima, ed in maniera inadeguata, è stato attestato, sulle note mensili di pagamento, l’avvenuto regolare svolgimento della prestazione, anche dopo l’ottobre del 2007, nonostante il collaboratore avesse smesso l’adempimento contrattuale, transitando presso la Regione e, pertanto, si attestava ciò di cui non si aveva contezza, ignorando che il corrispettivo trova la sua esclusiva ragione nel contratto e nella derivante prestazione da rendere nei modi e termini ivi stabiliti.
La colpa grave dei convenuti è insita nei comportamenti adottati, ampiamente descritti in narrativa, le cui violazioni dei doveri di servizio in relazione a principi e norme dell’agire amministrativo chiari ed inequivocabili, che non era possibile ignorare, sono palesi.
In conseguenza, l’intero corrispettivo pagato all’incaricato, fatti salvi gli effetti della prescrizione di cui sopra, da assumere al lordo, dal momento che le somme sono state erogate da Arpav per intero, è da ritenere causa di ingiusto pregiudizio economico per l’ente pubblico e, pertanto, deve essere risarcito.
Quanto all’apporto causale di ciascun convenuto alla causazione del danno, la Sezione, tenuto conto delle funzioni rivestite e dei comportamenti adottatiti, ritiene congrua ed adeguatamente motivata la ripartizione effettuata dalla Procura dalla quale, pertanto, ritiene di non doversi discostare.

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: Se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il conferimento, da parte del Comune, di incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che il ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti dotati delle necessarie professionalità e competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi,
perché il Comune di possa conferire a un soggetto esterno l’attività necessaria alla predisposizione degli atti di gara (comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli impianti e alla gestione della gara.
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La copertura degli oneri di gara è a carico del gestore aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione e gestione della gara che il legislatore impone per l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del Comune siano attività che non gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente locale
(ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della proporzionalità.
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Quanto alla rappresentazione contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del gestore aggiudicatario.
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Il sindaco del Comune di Brescia, mediante nota n. 126111 del 28.11.2013, chiede se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
...
L’art. 1, comma 5, decreto legge 31.08.2013, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.10.2013, n. 125, dispone limiti alle spese, relativamente agli anni 2014 e 2015, per studi e incarichi di consulenza, incluse quelle relative a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenute dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione e dalle autorità indipendenti.
La ratio della norma, così come di altre simili, previste in precedenti provvedimenti (ad esempio, l’art. 6, comma 7, decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla legge 30.07.2010, n. 122), è quella di operare un consistente contenimento di dette spese, la cui entità ha raggiunto, nel corso degli anni, dimensioni che il legislatore ha valutato esorbitanti rispetto alle effettive esigenze delle amministrazioni.
L’estensione dell’ambito applicativo della norma alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione rende evidente che anche le autonomie locali sono chiamate a partecipare, nel rispetto degli articoli 117, comma 3, e 119, comma 2, della Costituzione, al raggiungimento degli obiettivi di sana gestione finanziaria pubblica che la Repubblica si è impegnata a realizzare.
L’art. 1, comma 5, decreto legge n. 101/2013 fa espresso riferimento alla spesa annua sostenuta, dalle amministrazioni pubbliche di cui s’è detto, per studi e incarichi di consulenza, conferiti sia a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, sia a pubblici dipendenti.
Gli incarichi di studio e consulenza cui la norma si riferisce sono quelli conferiti per approfondire tematiche di interesse dell’amministrazione; si tratta, inoltre, di prestazioni di cui l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità, decide di avvalersi per il conseguimento delle proprie finalità.

Al fine di valutare se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, sostenute dal Comune di Brescia quale stazione appaltante, rientrino o meno nei limiti di cui all’art. 1, comma 5, decreto legge n. 101/2013, occorre esaminare il contenuto delle prestazioni professionali oggetto dell’incarico e se i relativi oneri siano determinati da servizi o adempimenti cui l’ente è tenuto per legge (cfr. Corte conti, SS.RR. in sede di controllo, delibera n. 6/CONTR/05).
Nel caso in esame, fra le spese che il comune di Brescia, quale stazione appaltante dell’Atem Brescia 3 Città e impianto di Brescia per la gara unica avente ad oggetto l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, si propone di sostenere rientrano quelle di valutazione preliminare degli impianti (di cui, però, la richiesta di parere non specifica in che cosa consistano), oltre alle spese connesse alla gestione della gara (anche in tal caso, su tali spese non sono forniti ulteriori elementi).
Si tratterebbe, nella prospettazione del Comune di Brescia, di spese funzionalmente connesse alla procedura di gara, sia nella fase preliminare al suo svolgimento, sia in quella successiva della gestione della gara.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il conferimento, da parte del Comune di Brescia, di incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che
il ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti dotati delle necessarie professionalità e competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi,
perché il Comune di Brescia possa conferire a un soggetto esterno l’attività necessaria alla predisposizione degli atti di gara (comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli impianti e alla gestione della gara.
Quanto alla riconducibilità o meno di tali spese nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013, si rileva che le spese vengono anticipate dal Comune, stazione appaltante, per essere poi a questo rimborsate dall’aggiudicatario-gestore mediante un corrispettivo che quest’ultimo dovrà versare al Comune.
L’art. 8, comma 1, del decreto del Ministero dello sviluppo economico 12.11.2011, n. 226 chiarisce, infatti, che “il gestore aggiudicatario della gara corrisponde alla stazione appaltante un corrispettivo una tantum per la copertura degli oneri di gara, ivi inclusi gli oneri di funzionamento della commissione di gara”. Il riferimento alla “copertura degli oneri di gara” appare essere comprensivo di tutte le spese necessarie alla predisposizione e gestione della gara (il legislatore ha, inoltre, specificato che vi rientrano anche gli oneri per il funzionamento della commissione di gara).
La copertura degli oneri di gara è a carico, quindi, del gestore aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli connessi agli interventi di efficienza energetica (art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto,
tali spese non rientrano nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione e gestione della gara che il legislatore impone per l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del Comune siano attività che non gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente locale (ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della proporzionalità.
Inoltre, nella quantificazione del corrispettivo che il gestore dovrà versare alla stazione appaltante, lo stesso art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226 dispone che i criteri per la definizione del corrispettivo siano definiti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (l’Autorità vi ha provveduto con delibera 11.10.2012, n. 407/2012/R/gas, “Criteri per la definizione del corrispettivo una tantum per la copertura degli oneri di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale”); nello stabilire il quantum del corrispettivo, la stazione appaltante dovrà, quindi, rispettare tali criteri.
Del resto, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità delle spese che il Comune si propone di sostenere per la definizione e gestione della gara per l’affidamento dell’attività di distribuzione del gas naturale è funzionale ad evitare che vengano caricati sul gestore oneri ulteriori ed eccedenti a quelli strettamente necessari. In caso contrario, potrebbe verificarsi una traslazione (almeno di parte) degli oneri sostenuti dal gestore sui consumatori, quali utenti tenuti al pagamento del prezzo per il servizio.
Quanto alla rappresentazione contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del gestore aggiudicatario (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 17.01.2014 n. 23).

INCARICHI PROFESSIONALI: MONITORAGGIO DEGLI ATTI DI SPESA RELATIVI A COLLABORAZIONI, CONSULENZE, STUDI E RICERCHE, RELAZIONI PUBBLICHE, CONVEGNI, MOSTRE, PUBBLICITA’ E RAPPRESENTANZA, POSTI IN ESSERE NELL’ESERCIZIO FINANZIARIO 2010 DAGLI ENTI PUBBLICI AVENTI SEDE NELL’EMILIA-ROMAGNA (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, deliberazione 15.01.2014 n. 2).
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Di particolare interesse sono gli argomenti trattati di seguito indicati:
2.3.1 I vincoli sostanziali al conferimento degli incarichi professionali o di collaborazione
2.3.2 La nuova disciplina degli incarichi professionali esterni affidati a dipendenti pubblici
2.3.3 I vincoli finanziari al conferimento degli incarichi professionali o di collaborazione
...
2.3.5 I vincoli finanziari alle spese relative a relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza
...
2.4 Gli obblighi di pubblicità preventiva e successiva
...
2.4.1 La pubblicità preventiva
2.4.2 La pubblicità successiva
...
2.5 Gli orientamenti giurisprudenziali in materia di incarichi di studio e di consulenza

INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto: DM 143/2013 - Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura ed all'ingegneria (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 14.01.2014 n. 313).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Personale degli enti locali. Incarichi di studio e consulenza.
In materia di spesa per incarichi di studio e consulenza, gli enti locali della Regione Friuli Venezia Giulia applicano le disposizioni statali, in particolare, per gli anni 2014 e 2015, il disposto di cui all'art. 1, commi 5 e 5-bis, del d.l. 101/2013, convertito in l. 125/2013, come avvalorato dall'intervenuta abrogazione, ai sensi della legge finanziaria regionale per il 2014, dell'art. 12, comma 10, della l.r. 22/2010, nonché dell'art. 14, comma 11, lett. c), della l.r. 27/2012.
Il Comune, in ordine alle limitazioni di spesa per il conferimento di incarichi di studio e consulenza, si è posto la questione dell'applicabilità, agli enti locali del Friuli Venezia Giulia, delle disposizioni previste dal legislatore nazionale nel decreto legge 31.08.2013, n. 101, art. 1, commi 5, 5-bis e 6. L'Ente chiede inoltre se, con riferimento alla locuzione 'spese sostenute' a tale titolo, vadano considerate le spese impegnate o quelle effettivamente liquidate.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprime quanto segue.
Il comma 5 del citato art. 1, come modificato dalla legge di conversione 30.10.2013, n. 125, prevede che la spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT, non può essere superiore, per l'anno 2014 all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013 e, per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 così come determinato dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, convertito con modificazioni in l. 122/2010. Secondo quest'ultima previsione, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza non può essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009.
Si ritiene che la normativa statale in argomento sia applicabile alle amministrazioni locali della Regione Friuli Venezia Giulia, anche alla luce dell'intervenuta abrogazione delle norme regionali disciplinanti la materia.
Al riguardo si rileva che l'art. 12, comma 10, della l.r. 22/2010 (finanziaria 2011), stabiliva che il rispetto delle disposizioni di principio che prevedono il contenimento di alcune componenti di spesa, previste da alcune norme del d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010, tra le quali anche l'art. 6, comma 7 richiamato, concernente la spesa per gli incarichi in oggetto, 'è garantito per gli enti locali della Regione Friuli Venezia Giulia con il conseguimento degli obiettivi in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuti nell'art. 12 della legge regionale 30.12.2008, n. 17 (Legge finanziaria 2009) e successive modifiche'.
In particolare, l'art. 12, comma 19, lett. b-bis, della citata l.r. 17/2008, prevedeva che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità, gli enti nell'esercizio successivo 'non possono sostenere spese per studi e incarichi di consulenza, incluse quelle relative a studi e incarichi di consulenza relativi a pubblici dipendenti, (...) in misura superiore al 50 per cento della media delle spese sostenute allo stesso titolo nel triennio precedente'.
Al riguardo si precisa che il comma 19 in argomento, che, secondo quanto previsto dalla l.r. 22/2010, trovava applicazione per gli enti locali della Regione in luogo dell'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010, è stato successivamente abrogato dall'art. 14, comma 27, della l.r. 27/2012.
Peraltro il contenuto del comma 19 era stato riprodotto dal medesimo articolo 14, al comma 11, lett. c).
Da ultimo è intervenuto l'art. 14, comma 22, della legge regionale 27.12.2013, n. 23 (Legge finanziaria 2014)
[1], che ha abrogato sia la disposizione di cui al richiamato art. 12, comma 10, della l.r. 22/2010, sia la disposizione di cui all'art. 14, comma 11, lett. c), della L.R. 27/2012.
Pertanto, anche per gli enti locali della Regione Friuli Venezia Giulia, per gli anni 2014 e 2015, trova applicazione il disposto di cui all'art. 1, comma 5 e 5-bis, del d.l. 101/2013, convertito in l. 125/2013.
Atteso che, ai sensi del comma 9 dell'art. 1, del d.l. 101/2013, le disposizioni del medesimo articolo 'costituiscono norme di diretta attuazione dell'articolo 97 della Costituzione, nonché principi di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione', il legislatore regionale ha ritenuto di procedere all'abrogazione di norme non più coerenti con il quadro normativo statale, nel frattempo delineatosi, in vista di addivenire alla redazione di una disciplina organica in materia di contenimento della spesa.
In relazione, infine, al quesito attinente alla locuzione 'spese sostenute', si ritiene che la medesima vada interpretata nel senso di spesa impegnata, considerato che i bilanci degli enti locali sono redatti in termini di competenza
[2].
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[1] Pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 del 07.01.2014 al B.U.R. n. 1 del 02.01.2014.
[2] Si segnala, al riguardo, che nella circolare n. 2/2013 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in relazione alle norme di contenimento della spesa, ivi prese in esame, si è chiarito che «ai fini della quantificazione dei limiti massimi di spesa introdotti dalle norme di contenimento di seguito richiamate, laddove si fa riferimento alla 'spesa sostenuta' in un determinato esercizio, deve intendersi tale la spesa impegnata nell'esercizio di competenza e non anche le somme erogate nel predetto esercizio ma di pertinenza di esercizi pregressi». Si ritiene, pertanto, che tale interpretazione debba coerentemente valere anche in relazione alla disposizione di cui all'art. 1, comma 5, del d.l. 101/2013
(13.01.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROGETTUALI: Il riconoscimento di un debito da parte di un ente locale, pur facendo salvo l’impegno di spesa in precedenza assunto senza copertura contabile, non comporta la sanatoria del contratto eventualmente nullo o comunque invalido, come quello privo della forma scritta “ad substantiam”; il riconoscimento di debito, infatti, non può costituire esso stesso fonte di obbligazione.
Con il terzo motivo, come detto, il ricorrente sostiene che dovevano essere ritenute fondate la sua domanda proposta ex art. 1988 c.c. e quella di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., sviluppa argomenti per sostenere la fondatezza di tali domande; assume che, essendo stato posto a fondamento del credito non un titolo, ma il semplice riconoscimento di debito, il giudice di appello non avrebbe potuto rilevare di ufficio la nullità del contratto dal quale il riconoscimento traeva origine.
Il motivo, con riferimento alla domanda di ingiustificato arricchimento, resta assorbito dalla rilevata inammissibilità della domanda per tardività.
Con riferimento alla domanda fondata sul riconoscimento di debito se ne rileva la manifesta infondatezza perché, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 11021/2005; Cass. 9412/2011; Cass. 1423/2013), il riconoscimento di debito non costituisce una autonoma causa obligandi e quindi non può produrre effetti ove, come nella specie, il credito non possa sorgere per la nullità del contratto; il relativo accertamento, pertanto non può dirsi estraneo al thema decidendum sottoposto al giudice del merito con la domanda di adempimento contrattuale (pur facilitata dall’inversione dell’onere probatorio per il riconoscimento titolato del debito) e il giudice ha correttamente rilevato di ufficio la nullità, per la mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam per i contratti della p.a., del contratto dal quale scaturiva il debito pur riconosciuto dal Comune, secondo la tesi del ricorrente, contestata invece dal Comune che aveva attribuito alla delibera il significato di una mera attestazione di disponibilità delle risorse.
Va ulteriormente rilevato che con il giudizio di opposizione era stata contestata la fondatezza nel merito della pretesa azionata così che anche sotto questo profilo, l’accertamento della causa debendi era stato sottoposto al giudice (
Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 10.01.2014 n. 405 - link a http://renatodisa.com).

INCARICHI PROGETTUALI: Assicurazione professionale: le FAQ.
In seguito alle numerose richieste pervenute sul tema dell'assicurazione professionale, il Centro Studi del Cni ha deciso di aprire una sezione dedicata alle FAQ. Grazie a questa gli ingegneri potranno ottenere le risposte alle domande più frequenti pervenuteci.
Al fine di favorire la fruizione delle informazioni, le FAQ sono proposte per aree tematiche. Quelle che trovate in allegato sono le prime aree. Altre saranno attivate nei prossimi giorni.
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FAQ - Collaboratori società di ingegneria e di professionisti
FAQ - Dipendenti e collaboratori imprese private
FAQ - Dipendenti pubblici
FAQ - Soci società ingegneria, professionisti e studi
FAQ - Liberi professionisti (link a www.centrostudicni.it).

dicembre 2013

INCARICHI PROFESSIONALI: G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi professionisti" (Garante per la protezione dei dati personali, autorizzazione 12.12.2013 n. 4/2013).
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Ambito di applicazione.
   L’autorizzazione è rilasciata, anche senza richiesta, ai liberi professionisti tenuti ad iscriversi in albi o elenchi per l’esercizio di un’attività professionale in forma individuale o associata, anche in conformità al decreto legislativo 02.02.2001, n. 96, o alle norme di attuazione dell’art. 24, comma 2, della legge 07.08.1997, n. 266, in tema di attività di assistenza e consulenza.
   Sono equiparati ai liberi professionisti i soggetti iscritti nei corrispondenti albi o elenchi speciali istituiti anche ai sensi dell’art. 34 del regio decreto-legge 27.11.1933, n. 1578 e successive modificazioni e integrazioni, recante l’ordinamento della professione di avvocato.
   L’autorizzazione è rilasciata anche ai sostituti e agli ausiliari che collaborano con il libero professionista ai sensi dell’art. 2232 del codice civile, ai praticanti e ai tirocinanti presso il libero professionista, qualora tali soggetti siano titolari di un autonomo trattamento o siano contitolari del trattamento effettuato dal libero professionista.
   Il presente provvedimento non si applica al trattamento dei dati sensibili effettuato:
a) dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli psicologi, dal personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, ai quali si riferisce l’autorizzazione generale n. 2/2013;
b) per la gestione delle prestazioni di lavoro o di collaborazione di cui si avvale il libero professionista o taluno dei soggetti sopra indicati, alla quale si riferisce l’autorizzazione generale n. 1/2013;
c) da soggetti privati che svolgono attività investigative, dai giornalisti, dai pubblicisti e dai praticanti giornalisti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 03.02.1963, n. 69.

INCARICHI PROFESSIONALI - APPALTI: Sul riconoscimento, o meno, dei debiti fuori bilancio.
Il riconoscimento dei debiti fuori bilancio afferisce ad un istituto pubblicistico previsto dagli artt. 191 e 194 TUEL, che impone al Comune di valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in suo favore, ancorché in violazione formale delle norme di contabilità.
Trattasi di una novità rispetto al precedente assetto normativo della finanza locale (art. 35, comma 4, d.lgs. 25.02.1995, n.77 che prevedeva unicamente, in caso di acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di contabilità, che “il rapporto obbligatorio intercorre(sse), ai fini della controprestazione, e per ogni effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che (aveva) consentito la fornitura”).
L’art. 4 del d.lgs. 15.09.1997, n. 342, confluito nell’art. 191 del TUEL, ha introdotto il principio della validità del rapporto obbligatorio direttamente con l’Amministrazione, a condizione che la prestazione o il bene fornito siano riconoscibili come dei debiti fuori bilancio (art. 194) e, quindi, che siano passibili di dichiarazione di utilità da parte dell’ente, con conseguente previsione di spesa, anche fuori bilancio, nel caso in cui il relativo impegno non sia stato ancora previsto.
La ratio della disciplina contenuta nel TUEL è, quindi, quella di garantire il riconoscimento di debiti per prestazioni e servizi resi in favore dell’ente locale che, benché privi di titolo, siano considerati utili per l’amministrazione.
Si è recepita in definitiva quella che è stata l'elaborazione giurisprudenziale, in particolare della Corte dei conti, ma anche del giudice ordinario, stabilendo che sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di beni e servizi, relativi a spese assunte in violazione delle norme giuscontabili, per la parte di cui sia accertata e dimostrata l'utilità e l'arricchimento che ne ha tratto l'ente locale, sempre che rientrino nelle funzioni di competenza dell'ente.
Il riconoscimento del debito fuori bilancio costituisce, pertanto, atto dovuto come si desume dall’art. 194 del TUEL e l’amministrazione non può sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento ad hoc.
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Quanto al procedimento per il riconoscimento del debito fuori bilancio, l’art. 194 del TUEL stabilisce che “con deliberazione consiliare di cui all’art. 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:… e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2, 3 dell’art. 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità e arricchimento per l’ente, nell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
La proposta della deliberazione per il riconoscimento dei debiti spetta al responsabile del servizio competente per materia che dovrà accertare l’eventuale effettiva utilità che l'ente ha tratto dalla prestazione altrui, che è un concetto di carattere funzionale, costituendo l'arricchimento un concetto derivato, teso alla misurazione dell'utilità ricavata.
E’ quindi necessaria un’attività istruttoria da parte del responsabile del settore formalizzata in una relazione che contenga i riferimenti della situazione debitoria dell’ente da riconoscere eventualmente ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 267/2000, la sussistenza dei requisiti oggettivi richiesti per il legittimo riconoscimento di ciascun debito, ovvero l’utilità e l’arricchimento per l’Ente di servizi acquisiti nell’ambito dell’espletamento di servizi di competenza.

E’ utile rammentare che il riconoscimento dei debiti fuori bilancio afferisce ad un istituto pubblicistico previsto dagli artt. 191 e 194 TUEL, che impone al Comune di valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in suo favore, ancorché in violazione formale delle norme di contabilità.
Trattasi di una novità rispetto al precedente assetto normativo della finanza locale (art. 35, comma 4, d.lgs. 25.02.1995, n. 77 che prevedeva unicamente, in caso di acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di contabilità, che “il rapporto obbligatorio intercorre(sse), ai fini della controprestazione, e per ogni effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che (aveva) consentito la fornitura”).
L’art. 4 del d.lgs. 15.09.1997, n. 342, confluito nell’art. 191 del TUEL, ha introdotto il principio della validità del rapporto obbligatorio direttamente con l’Amministrazione, a condizione che la prestazione o il bene fornito siano riconoscibili come dei debiti fuori bilancio (art. 194) e, quindi, che siano passibili di dichiarazione di utilità da parte dell’ente, con conseguente previsione di spesa, anche fuori bilancio, nel caso in cui il relativo impegno non sia stato ancora previsto.
La ratio della disciplina contenuta nel TUEL è, quindi, quella di garantire il riconoscimento di debiti per prestazioni e servizi resi in favore dell’ente locale che, benché privi di titolo, siano considerati utili per l’amministrazione.
Si è recepita in definitiva quella che è stata l'elaborazione giurisprudenziale, in particolare della Corte dei conti, ma anche del giudice ordinario, stabilendo che sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di beni e servizi, relativi a spese assunte in violazione delle norme giuscontabili, per la parte di cui sia accertata e dimostrata l'utilità e l'arricchimento che ne ha tratto l'ente locale, sempre che rientrino nelle funzioni di competenza dell'ente.
Il riconoscimento del debito fuori bilancio costituisce, pertanto, atto dovuto come si desume dall’art. 194 del TUEL e l’amministrazione non può sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento ad hoc.
Quanto al procedimento per il riconoscimento del debito fuori bilancio, l’art. 194 del TUEL stabilisce che “con deliberazione consiliare di cui all’art. 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:… e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2, 3 dell’art. 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità e arricchimento per l’ente, nell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
La proposta della deliberazione per il riconoscimento dei debiti spetta al responsabile del servizio competente per materia che dovrà accertare l’eventuale effettiva utilità che l'ente ha tratto dalla prestazione altrui, che è un concetto di carattere funzionale, costituendo l'arricchimento un concetto derivato, teso alla misurazione dell'utilità ricavata (Cassazione Civile, Sezione I, 12.07.1996, n. 6332).
E’ quindi necessaria un’attività istruttoria da parte del responsabile del settore formalizzata in una relazione che contenga i riferimenti della situazione debitoria dell’ente da riconoscere eventualmente ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del D.Lgs. n. 267/2000, la sussistenza dei requisiti oggettivi richiesti per il legittimo riconoscimento di ciascun debito, ovvero l’utilità e l’arricchimento per l’Ente di servizi acquisiti nell’ambito dell’espletamento di servizi di competenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.12.2013 n. 6269 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Difetti di progettazione: si può chiedere il risarcimento entro 10 anni.
La Corte di cassazione è intervenuta, con la pronuncia che si annota, sul dibattuto tema dell'applicazione della decadenza di cui all'art. 2226 c.c., secondo comma, all'ipotesi in cui l'oggetto della prestazione del professionista sia consistita in una prestazione di opera intellettuale.
Nel caso di specie era avvenuto che un architetto aveva richiesto l'emanazione di un decreto ingiuntivo nei confronti del proprio cliente, il quale, tuttavia, si era opposto deducendo l'inadempimento del professionista ai propri obblighi contrattuali.
Il professionista, da parte sua, aveva però dedotto la decadenza del diritto di denunciare vizi da parte del cliente ai sensi del secondo comma dell'art. 2226 c.c., il quale così prevede: “Il committente deve, a pena di decadenza denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna”.
Il giudice di primo grado aveva rigettato tale eccezione del convenuto opposto; eccezione però successivamente accolta nel grado di appello.
Il cliente aveva dunque proposto ricorso per cassazione al fine di censurare la pronuncia della Corte d'appello sotto il profilo della falsa applicazione dell'art. 2226 c.c. al caso di specie.
La Corte, nell'esaminare la questione, ha ricordato come il tema dell'applicazione della predetta disposizione all'ipotesi del contratto d'opera intellettuale sia stato oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite, riferita, in particolare, alla fattispecie del professionista che abbia assunto l'obbligo di redigere un progetto o di svolgere l'attività di direzione di lavori.
Le Sezioni Unite, con pronuncia n. 15871/2005 avevano infatti chiarito che “Le disposizioni dell'art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell'azione di garanzia per vizi dell'opera, sono inapplicabili alla prestazione d'opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l'obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l'uno e l'altro compito, attesa l'eterogeneità della prestazione rispetto a quella manuale, cui si riferisce l'art. 2226 c.c., norma che perciò non è da considerare tra quelle richiamate dall'art. 2230 c.c.”.
Nella pronuncia di cui odiernamente si dà conto, la Corte ha dunque ribadito tale principio giurisprudenziale, in considerazione del fatto che le obbligazioni svolte, nel caso di specie, dal professionista, risultavano esattamente analoghe a quelle oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 20.12.2013 n. 28575 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 20.12.2013 n. 298 "Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria" (Ministero della Giustizia, decreto 31.10.2013 n. 143).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi di consulenza e di collaborazione conferiti a soggetti esterni alla pubblica amministrazione.
I presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente richiamati nel testo dell’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165.
I medesimi presupposti costituiscono la trasposizione normativa dell’ampia elaborazione pretoria riferita al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità) e, pertanto, devono ritenersi esigibili anche per questi ultimi.
In particolare, la norma sopra citata prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

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L'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata
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Pertanto, il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico”
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Non può ritenersi legittima, quindi, la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia.
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Infine, si rammentano gli obblighi di pubblicizzazione sul sito web da parte degli enti che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 14.03.2013, n. 33, il cui contenuto precettivo ha sostituito quanto già disposto dall’art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996.
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L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
I presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono specificamente richiamati nel testo dell’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). I medesimi presupposti costituiscono la trasposizione normativa dell’ampia elaborazione pretoria riferita al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità) e, pertanto, devono ritenersi esigibili anche per questi ultimi (in tal senso, si richiama la recente deliberazione 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione).
In particolare,
la norma sopra citata prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
A questo richiamo è necessario far seguire alcune specificazioni.
In primo luogo, con riguardo al presupposto della rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione, la magistratura contabile ha già avuto occasione di chiarire che “
il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009 e n. 244/2008).
L’obbligo di seguire procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “
l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
Pertanto,
il ricorso a procedure comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico
(ex plurimis, deliberazione Sez. Contr. Lombardia n. 67/2012/IADC).
Non può ritenersi legittima, quindi, la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in economia (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/2010 e n. 8/2010).
Infine, si rammentano gli obblighi di pubblicizzazione sul sito web da parte degli enti che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 14.03.2013, n. 33, il cui contenuto precettivo ha sostituito quanto già disposto dall’art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996.
Richiamati i suddetti principi legislativi e giurisprudenziali in materia, si osserva che la deliberazione in esame qualifica in modo espresso la tipologia dell’incarico conferito al soggetto esterno quale consulenza economico-finanziaria, con predisposizione di elaborati a seguito dell’esame e studio di documentazione. Pertanto l’Amministrazione è tenuta ad osservare il dettato legislativo e regolamentare per l’affidamento di tale tipologia di incarico esterno all’Ente.
Sul punto si richiama la necessità di esperire una procedura comparativa per l’affidamento delle consulenze in discorso, modalità di selezione che, dalla deliberazione stessa e dalla risposta ai rilievi istruttori mossi in merito a tale criticità, si evince che sia stata disattesa in favore di un’individuazione diretta dell’affidatario. A quanto sopra si aggiunga che lo stesso atto di conferimento non riconduce neppure la prestazione in oggetto nell’alveo degli incarichi di progettazione di cui alla parte III del D.P.R. 05.10.2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), essendo il medesimo qualificato come “studio di prefattibilità”.
Al contrario, nell’atto è espressamente affermato che la medesima consulenza esula dall’ambito degli affidamenti di incarichi di cui all’art. 14 del Regolamento richiamato, relativo allo studio di fattibilità, ed è esplicitato che “occorrerà in seguito procedere al conferimento di un incarico di consulenza e assistenza economico-finanziaria in materia di affidamento di concessione di lavori pubblici con il sistema del Project Financing”.
Inoltre,
è principio fondamentale in materia di contabilità e contrattualistica pubblica che la volontà della Pubblica Amministrazione, intesa ad instaurare un qualsiasi rapporto negoziale –nel caso in esame un contratto di consulenza per la realizzazione di un nuovo polo sanitario- non può essere desunta per implicito da atti o fatti, ma deve essere manifestata nelle stesse forme richieste dalla legge, tra le quali, in primo luogo, l'atto scritto ad substantiam (artt. 16 e 17 R.D. 18.11.1923, n. 2440; Cass. 11.01.2000, n. 188 e 12.07.2000, n. 9246).
Nella fattispecie, come si evince dall’atto stesso e come confermato dalla risposta dell’ente in fase istruttoria, l’affidamento della consulenza è avvenuto “per vie brevi” (come testualmente riportato nella nota dell’ente prot. n. 113560 del 31.10.2013), senza un previo conferimento formale dell’incarico in atto scritto e firmato per accettazione dal consulente contraente.
Peraltro, dalla documentazione allegata alla medesima nota di risposta dell’ente, emerge che, proprio in conseguenza di tale affidamento informale, i contenuti dell’attività oggetto d’incarico sono riportati soltanto, ex post, nella relazione finale presentata dal consulente stesso (unitamente al dettaglio del proprio onorario) a cui ha fatto seguito la deliberazione in esame. Tale circostanza evidenzia come
nella fattispecie non risulta rispettato il disposto dell’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, nella parte in cui prevede che debbano essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Infine, l’esame complessivo dell’iter procedimentale seguito dagli Uffici dell’Azienda Ospedaliera per conseguire la consulenza, evidenzia una carenza nelle azioni di programmazione dell’attività contrattuale dell’ente, posto che il conferimento diretto ed informale dell’incarico in discorso, nell’anno 2012, ha comportato una passività sopravvenuta nell’anno finanziario successivo, alla quale ha fatto fronte la deliberazione scrutinata
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 19.12.2013 n. 421).

INCARICHI PROGETTUALIAppalti, arrivano i parametri. Fissati i corrispettivi a base di gara dei servizi professionali. Via libera della Corte dei conti al decreto. Torna la liquidazione forfettaria delle spese.
Via libera della Corte dei conti ai nuovi parametri per i servizi professionali di ingegneria e architettura. Dal prossimo anno quindi si cambia e le stazioni appaltanti finalmente avranno riferimenti certi per determinare l'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Dopo la registrazione della Corte dei conti che ne ha accertato la sostenibilità dal punto finanziario, infatti, il decreto ministeriale (giustizia di concerto con infrastrutture) che determina «i corrispettivi a base di gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria» è pronto per essere pubblicato a giorni in Gazzetta Ufficiale. Si tratta di un provvedimento dall'elaborazione complessa ma necessario, dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/2012) aveva cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per stimare, di conseguenza, l'importo economicamente più corretto per le procedure di affidamento professionale.
Proprio per sanare tale criticità il governo era intervenuto con un ulteriore decreto stabilendo che per determinare i corrispettivi da porre a base di gara si sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un decreto che avrebbe definito anche «le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi». Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali (140/2012) prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità. Il compenso sarà infatti determinato dalla somma dei prodotti tra il costo delle singole categorie che compongono l'opera, la sua specificità e la complessità delle prestazioni.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese che secondo il provvedimento è determinato secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal professionista. Tra le modifiche introdotte dopo l'approvazione del Consiglio di stato quella che specifica che «il corrispettivo non deve» (e non più «non può») determinare un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto-legge. Nulla viene detto, invece, su chi deve controllare che il corrispettivo non determini importi a base d'asta superiori a quello derivanti dall'applicazione del vecchie tariffe (dm 04/04/2001 e legge 143/1949).
Il Cds infatti (condividendo la richiesta del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici) aveva chiesto al ministero della giustizia di inserire un passaggio per affermare la competenza della stazione appaltante sulla verifica del rispetto del vincolo tariffario. Ma questo secondo i piani alti di Via Arenula avrebbe rappresentato un'inutile complicazione burocratica, con un aggravio di costi (articolo ItaliaOggi del 14.12.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIPer le commissioni «Pa» non si applicano tariffe. Cassazione. La collaborazione dei professionisti.
Incarichi a ingegneri e avvocati liberi da tariffe, qualora si tratti di partecipazioni a commissioni tecniche.
Lo sottolinea la sentenza 13.12.2013 n. 27919 della Corte di Cassazione, Sez. I civile, decidendo una lite sorta più di dieci anni or sono, quando ancora vigevano i minimi tariffari (legge 223/2006).
I professionisti invocavano l'inderogabilità delle tariffe minime (articolo 24 della legge 794/1942), ma la sentenza esclude l'applicabilità di tale inderogabilità in quanto il loro incarico era stato affidato all'interno di una commissione tecnica (di gara, di concorso) e quindi non era equiparabile a una prestazione professionale. Si trattava –osserva la Corte- di un'attività atipica, diluita all'interno di un organo rappresentativo di più professionalità. In altri termini, nell'organo collegiale non si distinguevano i singoli contributi, e ciò ha impedito di isolare una singola attività professionale. In questi casi, quindi, il compenso per l'avvocato e per l'ingegnere va valutato in relazione alla partecipazione all'organo collegiale, e non come somma di specifici, singoli contributi professionali.
Anche quando le tariffe erano inderogabili, cioè prima della legge 223/2006, secondo la Corte avvocati e ingegneri non potevano invocare il rispetto dei minimi, perché tali limiti erano previsti solo per le prestazioni tipizzate (giudiziali ed extragiudiziali per avvocati) ed esclusive della professione (per gli ingegneri).
Il principio è valido ancor oggi, perché regola i casi in cui a professionisti collegiati vengono affidati incarichi atipici: così quando a un avvocato si chiede attività generica di studio o ricerca nel campo giuridico, esclude l'applicabilità' delle tariffe (Cassazione 7438/1994), mentre per ingegneri e architetti vi è un orientamento che sottopone a contribuzione previdenziale sia le attività che richiedono competenze tecniche (Cassazione 5827/2013), sia i compensi percepiti quale amministratore di società. Di recente, poi, vi sono segnali a livello comunitario favorevoli all'applicazione delle tariffe minime (Corte di giustizia Ue 12.12.2013 in causa C-327/12), sicché il settore è ancora alla ricerca di punti fermi.
Il caso deciso dalla Cassazione con la sentenza 27919/2013 applica le leggi del tempo della controversia, e cioè una normativa che vedeva nei minimi tariffari l'esigenza di tutelare il decoro dei professionisti, collegando tale decoro alle prestazioni tipiche. Inoltre, per gli ingegneri, all'epoca si distingueva tra incarichi conferiti da una pubblica amministrazione e quelli di un privato, in quanto solo per questi ultimi valeva il limite previsto dai minimi tariffari. Appunto perché la partecipazione dell'avvocato a una commissione non era ritenuta un'attività tipica (non esigendo una difesa tecnica in giudizio), e l'ingegnere non poteva vantare un incarico conferito da un privato (ma da una pubblica amministrazione), nessuno dei due professionisti ha potuto ancorare le proprie pretese a tariffe professionali
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIPos obbligatorio. Anzi no. Necessario un decreto attuativo, che non c'è. Da Bankitalia i chiarimenti sull'adempimento in vigore fra pochi giorni.
Anche se arrivasse l'apposito decreto con le disposizioni attuative entro il 01.01.2014, i professionisti potranno tranquillamente continuare a incassare i compensi tramite bonifico bancario in base a un accordo con il cliente. L'articolo 15 del decreto legge 179/2012, infatti, non introduce a partire dal prossimo anno un obbligo di utilizzo di strumenti di pagamento elettronico a carico del pagatore, bensì solo un obbligo di accettazione della carta di debito a carico del venditore di beni e servizi.

È quanto chiarisce Banca d'Italia in risposta alla lettera di Federarchitetti inviata qualche settimana fa.
In questi ultimi mesi, molte sono state le iniziative contro la norma varata dall'allora Governo Monti: dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro che per prima ha messo in luce l'inapplicabilità dell'obbligo senza il decreto del ministero dello sviluppo economico a Inarsind (altro sindacato di architetti e ingegneri) che ha invitato i suoi iscritti a non dotarsi di Pos in studio, passando per la protesta telematica di un gruppo di professionisti che su Facebook sta riscuotendo molti consensi.
Tutti d'accordo che si tratta di un regalo alle banche, considerando la commissione da pagare su ogni transazione e il canone per l'utilizzo dello strumento di pagamento elettronico. Premette Bankitalia che «la finalità della norma è quella di favorire una più efficace azione di contrasto a fenomeni di illecito in campo finanziario e fiscale». Quanto ai costi dell'operazione, la Banca centrale cerca di smorzare le polemiche di questi mesi spiegando che «il mercato delle soluzioni Pos offre prodotti sempre più avanzati e diversificati sotto il profilo sia tecnologico sia tariffario. Soluzioni innovative sono disponibili per l'accettazione di pagamenti anche al di fuori dei tradizionali punti vendita, ad esempio attraverso l'utilizzo di dispositivi mobili collegabili a computer, smartphone o tablet, con formule tariffarie spesso a misura delle diverse categorie di clientela».
Tuttavia resta fondamentale l'emanazione del provvedimento attuativo dell'articolo 15 del dl 179/2012 di cui al momento non c'è traccia. «Abbiamo una produzione normativa ballerina», denuncia il presidente di Federarchitetti Paolo Grassi, «che ci fa perdere solo del tempo. Si poteva già chiarire tutto nella norma primaria, invece no. Così oggi ci ritroviamo un obbligo che è semplicemente un intralcio inutile». «Il problema non è la tracciabilità dei pagamenti», aggiunge Rosario De Luca, presidente del centro studi dei consulenti del lavoro, «bensì il fatto che si impone ai professionisti di fare un regalo alle banche di circa due miliardi di euro. Se lo Stato ritiene necessario questo adempimento noi siamo disponibili a farlo, purché sia per noi a costo zero» (articolo ItaliaOggi del 13.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: D. Russo, Nessuna immunità per i consiglieri regionali che affidano consulenze esterne (04.12.2013 - link a www.federalismi.it).

novembre 2013

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: C. Trovò, I professionisti e l’obbligo di polizza - Per i professionisti iscritti ad Albi è entrato in vigore, lo scorso 15 agosto, l’obbligo di stipulare un’assicurazione rischi professionali al fine di garantire il soddisfacimento risarcitorio dei clienti. L’obbligo è stato introdotto dalla Riforma delle professioni (Consulente Immobiliare n. 941/2013).

INCARICHI PROGETTUALICompenso «base» ai progettisti. Lavori pubblici. Bocciato il calcolo sul valore finale dell'opera.
Il compenso al progettista di un'opera pubblica si calcola sul valore dell'opera preventivata dal Comune nel disciplinare di incarico. E se viene predisposto un progetto di valore superiore, senza un disciplinare integrativo in forma scritta, il professionista non ha titolo per richiedere ulteriori compensi.

Lo ha deciso il TRIBUNALE di Caltanissetta (giudice Sole) con sentenza 26.11.2013.
Il contenzioso riguardava l'opposizione a un decreto ingiuntivo emesso su richiesta di un ingegnere, componente di un raggruppamento di professionisti che aveva ricevuto da un Comune l'incarico di redigere il progetto un'opera pubblica del costo complessivo preventivato di 900mila euro.
L'elaborato finale conteneva però la progettazione di un'opera ben più ampia di valore superiore a sette milioni di euro e a questa somma il professionista aveva parametrato la propria quota di compenso, ingiungendone il pagamento al Comune.
L'ente aveva proposto opposizione, ammettendo di avere conferito l'incarico ma contestando di dovere corrispondere l'esoso onorario richiesto, perché riguardante attività di progettazione che esulavano dall'oggetto dell'incarico.
Il professionista sosteneva invece che il raggruppamento temporaneo di cui faceva parte si era attenuto al progetto preliminare quanto all'organizzazione planimetrica dell'opera; tuttavia, dopo la stipula del disciplinare si erano resi necessari ulteriori rilievi geologici e vari adattamenti che ne avevano consigliato l'ampliamento. Di queste esigenze era stato informato il responsabile unico del procedimento; quindi era stato convocato un successivo incontro con l'amministrazione comunale, al fine di illustrare il progetto e discutere dei propri compensi. A seguito di tale incontro i vertici comunali –sindaco compreso– avrebbero consentito alla "revisione" del progetto.
Il tribunale tuttavia non ha ritenuto che tali allegazioni potessero dimostrare la fondatezza delle pretesa del progettista.
Il giudice ha richiamato l'articolo 2723 del Codice civile, in base al quale se a un contratto consacrato in un documento si aggiunge in seguito un altro patto, il nuovo accordo dovrà essere dimostrato con prova scritta e si potrà ricorrere alla prova testimoniale solo se appare verosimile che esso sia avvenuto verbalmente. Siccome in questo caso la modifica dell'accordo avrebbe comportato l'aumento del valore dell'opera di più di sette volte rispetto a quello originario, già questo basterebbe a ritenere poco verosimile che una tale revisione non abbia avuto consacrazione in un disciplinare integrativo.
In ogni caso il tribunale ritiene decisivo il fatto che nei contratti di diritto privato stipulati dalla pubblica amministrazione vige il principio formalistico, che richiede sempre la forma scritta per la validità dell'atto: forma che deve essere adottata anche per le modifiche successive del contratto. Per questo il decreto ingiuntivo è stato revocato.
Il principio applicato dal tribunale era stato già affermato in analoghe vicende dai giudici di legittimità (di recente, con la sentenza 8539/2011 della Cassazione)
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROGETTUALIAppalti, progettisti più liberi. Possono partecipare ai lavori di cui hanno fatto i progetti. L'apertura nel ddl europea 2013-bis. Unico limite: dimostrare di non avere vantaggi.
Negli appalti integrati di progettazione e costruzione il progettista potrà partecipare alla procedura per l'affidamento dei lavori pubblici se riuscirà a dimostrare che l'avere predisposto il progetto posto a base di gara non lo favorisce rispetto agli altri concorrenti.

È quanto prevede il disegno di legge europea 2013-bis all'esame del Parlamento con una modifica al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (il codice dei contratti pubblici) relativamente agli affidatari di incarichi di progettazione che partecipano alla successiva fase di affidamento dell' appalto o della concessione di lavori dell'opera progettata.
Attualmente il codice dei contratti pubblici, all'articolo 90, comma 8, stabilisce il divieto per l'affidatario di un incarico di progettazione di partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici, nonché agli eventuali subappalti o cottimi per i quali hanno svolto le prestazioni progettuali. La norma riguarda i casi di progettisti che intendono partecipare con una impresa di costruzioni ad una procedura di affidamento di un appalto di lavori (appalto integrato) e, di fatto, sono esclusi da ogni possibile ruolo: non possono essere in raggruppamento con l'impresa, né essere indicati dal momento che hanno predisposto la progettazione posta a base di gara.
In passato su questa disposizione il Consiglio di stato (sez. VI, 02.10.2007 n. 5087) aveva affermato che il divieto opera «nella sola ipotesi in cui il progettista partecipi della esecuzione dei lavori, e non nel caso in cui un soggetto che abbia eseguito lavori partecipi ad una gara per l'affidamento di un incarico di progettazione»; inoltre era stato precisato che la regola è «espressione del principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti ad una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la medesima posizione».
Nella modifica proposta all'esame del Parlamento si prevede un divieto non, tout court, a partecipare alle gare, bensì ad «essere affidatari degli appalti o delle concessioni di lavori pubblici, nonché degli eventuali subappalti o cottimi». Fin qui la norma non sembra cambiare molto la situazione attuale. È invece il comma aggiuntivo 8-bis ad introdurre un elemento rilevante laddove stabilisce che il divieto non si applica laddove il progettista dimostri «che l'esperienza acquisita nell'espletamento degli incarichi di progettazione non sia tale da determinare un vantaggio che possa falsare la concorrenza con gli altri operatori.».
In tal senso si era espressa in passato la Corte di giustizia europea, ma quel che è certo è che la dimostrazione di non avere assunto posizioni di vantaggio sarà sempre difficile da dimostrare, dal momento che non è sempre detto che avere messo a disposizione di tutti i concorrenti la progettazione redatta (e quindi posta a base di gara) di per sé costituisca elemento tale da mettere tutti i concorrenti sullo stesso piano. Chi ha studiato l'intervento a fondo progettando a livello preliminare o definitivo difficilmente sarà sullo stesso piano di chi non sa nulla dell'opera (articolo ItaliaOggi del 14.11.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIContratti professionali scritti. Se la p.a. è parte, forma richiesta ad substantiam. Una sentenza della Corte di cassazione interviene sul conferimento di incarichi.
È richiesta la forma scritta ad substantiam per il contratto d'opera professionale, al fine di garantire il regolare svolgimento dell'attività amministrativa.

Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione, Sez. I civile, con sentenza 04.11.2013 n. 24679, esprimendosi su un caso di contratti stipulati con la pubblica amministrazione, circa il conferimento di incarico per il rifacimento parziale dell'illuminazione pubblica.
Già i giudici di legittimità, sulla vicenda, ebbero modo di affermare che la ricostruzione della volontà negoziale del Comune, «si scontra con la necessità della forma scritta e della chiara e contestuale formazione della volontà contrattuale delle parti».
I giudici della Suprema corte, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 1167/2013 e n. 1752/2007), secondo cui per il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte committente una pubblica amministrazione, e anche quando questa agisce iure privatorum, è richiesta «la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa nell'interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l'espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a. posti dall'art. 97 Cost.».
Hanno, poi, osservato gli Ermellini che «il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell'organo attributario del potere di rappresentare l'ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d'una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l'esistenza di una deliberazione con la quale l'organo collegiale dell'ente abbia conferito un incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all'ente avente natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all'esterno» (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.11.2013).
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La massima
1. Per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d. 18.11.1923, n. 2440, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost.
2. Il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una P.A. deve tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere
(massima tratta da e link a http://renatodisa.com).

ottobre 2013

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Riduzione dei compensi per incarichi di collaudo affidati a dipendenti di pubbliche amministrazioni.
In caso di incarico di collaudo conferito dall'ente locale ad un dipendente pubblico di altro ente, anche statale, opera l'obbligo di trattenuta del 50% sul 'compenso spettante' prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008.
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La trattenuta si applica nei modi previsti dall'art. 61 ma a far data dall'entrata in vigore della legge. In considerazione di tale conclusione non dovrebbe determinarsi l'inconveniente adombrato da codesto Comune che si preoccupa di evidenziare come 'prima dell'entrata in vigore della disciplina in esame costituiva prassi tra i professionisti offrire un corrispettivo determinato da tariffa professionale e scontato di una percentuale oscillante tra il 30% ed il 40% (70% o 60% dell'onorario desumibile dalla tariffa professionale)'.
Sicché ove 'la riduzione del 50% si ritenesse applicabile all'onorario già scontato del 30% o del 40%, il professionista incaricato finirebbe per percepire (a titolo di compenso per gli affari affidatigli) soltanto la metà della somma (35% oppure 30%), a suo tempo convenuta con l'Amministrazione'. Tale conseguenza potrebbe esporre 'l'Amministrazione a costi ed oneri legali aggiuntivi'. Orbene, tale 'inconveniente' può ritenersi scongiurato dal fatto che la disposizione in parola spiega i suoi effetti dalla data della sua entrata in vigore dunque non ex tunc.
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Occorre premettere che la norma nella sua formulazione fa riferimento a collaudi conferiti nell'ambito dell'Amministrazione statale, anche se la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 341 del 2009, ha chiarito che la disposizione è di generale applicazione e dunque riguarda anche gli enti locali; sicché si pone il problema di stabilire a quale ente pubblico debba essere riversata la metà del compenso professionale nel caso in cui il collaudatore sia terzo rispetto all'Amministrazione pubblica committente.
Circa la risoluzione del quesito occorre aggiungere che dall'istruttoria compiuta è emerso che, nel caso di specie, i compensi a tariffa professionale previsti per l'espletamento del collaudo sono a carico dell'Ente locale; in tale ipotesi deve ritenersi che i beneficiari del 'risparmio di spesa' per il Comune committente debbano essere i dipendenti dell'Ente locale medesimo, indipendentemente dal fatto che il collaudo sia conferito ad un soggetto terzo all'Ente.
La soluzione prospettata appare la più aderente alla ratio della norma intesa al contenimento della spesa corrente dell'Ente, che vede contestualmente alimentato il fondo di amministrazione dei dirigenti dell'Ente medesimo.
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La Corte dei Conti, sezione regionale Emilia-Romagna, esamina i seguenti quesiti del Comune di San Giovanni in Persiceto:
- "nel caso di incarico di collaudo conferito dall'ente locale ad un dipendente pubblico di altro ente, anche statale, opera la trattenuta del 50% sul 'compenso spettante' prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008?";
- "ove la risposta al quesito precedente sia affermativa, la trattenuta prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, va calcolata sull'importo spettante ai sensi della tariffa professionale vigente al momento del conferimento dell'incarico oppure sull'importo già scontato pattuito nel contratto di incarico stipulato tra l'ente locale e collaudatore pubblico di altra amministrazione?";
- "ove la risposta al primo quesito sia affermativa, il 50% del compenso spettante al collaudatore dipendente pubblico va versato in apposito capitolo di bilancio dell'Amministrazione conferente l'incarico oppure in apposito capitolo di bilancio dell'Amministrazione cui appartiene il dipendente pubblico incaricato del collaudo?".
...
Preliminarmente, la sezione rammenta che la Corte costituzionale, con sentenza n. 341 del 2009, ha evidenziato che la norma in contesto si applica a tutte le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, in quanto concorre alla realizzazione di obiettivi di contenimento e razionalizzazione della spesa, imponendo una riduzione delle somme che, in aggiunta alla retribuzione, sono corrisposte, a titolo di incentivo o di compenso, a determinate categorie di dipendenti pubblici, per lo svolgimento di specifiche attività.
Altrettanto opportuno il richiamo testuale alla disposizione di cui si discorre (art. 61, comma 9, d.l. 112/2008, convertito in legge 133/2008), a mente del quale: "Il 50 per cento del compenso spettante al dipendente pubblico per l'attività di componente o di segretario del collegio arbitrale è versato direttamente ad apposito capitolo del bilancio dello Stato; il predetto importo è riassegnato al fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell'Avvocatura dello Stato ove esistenti; la medesima disposizione si applica al compenso spettante al dipendente pubblico per i collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai corrispettivi non ancora riscossi relativi ai procedimenti arbitrali ed ai collaudi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Quindi la precisazione del successivo comma 17 che prevede la non applicabilità agli enti territoriali dell'obbligo di versamento (delle riduzioni di spesa in commento) in apposito capitolo del bilancio dello Stato.
Conseguentemente delineato il quadro giuridico di riferimento, la sezione esprime i propri avvisi sugli aspetti inquadrati dall'ente istante, come segue:
- come detto "
... la Corte costituzionale ha ritenuto che la disposizione in esame sia di portata generale; essa pertanto si applica anche agli enti territoriali ad esclusione della parte in cui essa impone l'obbligo di versare ad apposito capitolo del bilancio dello Stato le riduzioni di spesa derivanti dalla misura in essa prevista. Ne discende che al primo quesito va data risposta affermativa e dunque in caso di incarico di collaudo conferito dall'ente locale ad un dipendente pubblico di altro ente, anche statale, opera l'obbligo di trattenuta del 50% sul 'compenso spettante' prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008";
- quanto al secondo quesito,
"... la trattenuta si applica nei modi previsti dall'art. 61 ma a far data dall'entrata in vigore della legge. In considerazione di tale conclusione non dovrebbe determinarsi l'inconveniente adombrato da codesto Comune che si preoccupa di evidenziare come 'prima dell'entrata in vigore della disciplina in esame costituiva prassi tra i professionisti offrire un corrispettivo determinato da tariffa professionale e scontato di una percentuale oscillante tra il 30% ed il 40% (70% o 60% dell'onorario desumibile dalla tariffa professionale)'. Sicché ove 'la riduzione del 50% si ritenesse applicabile all'onorario già scontato del 30% o del 40%, il professionista incaricato finirebbe per percepire (a titolo di compenso per gli affari affidatigli) soltanto la metà della somma (35% oppure 30%), a suo tempo convenuta con l'Amministrazione'. Tale conseguenza potrebbe esporre 'l'Amministrazione a costi ed oneri legali aggiuntivi'. Orbene, tale 'inconveniente' può ritenersi scongiurato dal fatto che la disposizione in parola spiega i suoi effetti dalla data della sua entrata in vigore dunque non ex tunc";
- quanto al terzo quesito, "...
occorre premettere che la norma nella sua formulazione fa riferimento a collaudi conferiti nell'ambito dell'Amministrazione statale, anche se la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 341 del 2009, ha chiarito che la disposizione è di generale applicazione e dunque riguarda anche gli enti locali; sicché si pone il problema di stabilire a quale ente pubblico debba essere riversata la metà del compenso professionale nel caso in cui il collaudatore sia terzo rispetto all'Amministrazione pubblica committente. Circa la risoluzione del quesito occorre aggiungere che dall'istruttoria compiuta è emerso che, nel caso di specie, i compensi a tariffa professionale previsti per l'espletamento del collaudo sono a carico dell'Ente locale; in tale ipotesi deve ritenersi che i beneficiari del 'risparmio di spesa' per il Comune committente debbano essere i dipendenti dell'Ente locale medesimo, indipendentemente dal fatto che il collaudo sia conferito ad un soggetto terzo all'Ente. La soluzione prospettata appare la più aderente alla ratio della norma intesa al contenimento della spesa corrente dell'Ente, che vede contestualmente alimentato il fondo di amministrazione dei dirigenti dell'Ente medesimo" (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 23.10.2013 n. 269 - tratto da www.publika.it).

INCARICHI PROGETTUALI: INCARICO PROFESSIONALE DI PROGETTAZIONE E RESPONSABILITA'.
Quando il contratto d’opera concerne la redazione di un progetto esecutivo, fra gli obblighi del professionista vi è quello di redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di edificazione su un dato territorio, in modo da non compromettere il conseguimento del provvedimento amministrativo che abilita all’esecuzione dell’opera, essendo questa qualità del progetto una delle connotazioni essenziali di un tale contratto di opera professionale: per l’effetto, il mancato perfezionamento del procedimento amministrativo volto a garantire l’idoneità sotto il profilo sismico dell’edificio progettato, compromettendo il positivo esito della procedura amministrativa volta ad assicurare la realizzazione dell’opera, non può che costituire inadempimento caratterizzato da colpa grave e quindi fonte di responsabilità del progettista nei confronti del committente per il danno da questi subito in conseguenza della mancata o comunque ritardata realizzazione dell’opera.
La questione involge una domanda avanzata dal cliente di un architetto al risarcimento dei danni al medesimo conseguiti per effetto del mancato adempimento della propria obbligazione professionale. Segnatamente, il cliente lamentava l’impossibilità di iniziare i lavori della progettata costruzione entro il termine stabilito a pena di decadenza nel titolo abilitativo edilizio rilasciato.
Nello specifico, si tratta di valutare se l’incarico di progettare la costruzione, di curare il rilascio della concessione edilizia e di seguire la direzione dei lavori, comprenda anche il compito di ottemperare alla prescrizione imposta dal provvedimento concessorio, in quel caso la richiesta di nulla osta al Genio Civile ai fini degli adempimenti relativi alla normativa antisismica. Tale ultimo aspetto costituiva, a dir dell’attore, un’obbligazione implicitamente collegata alla direzione dei lavori, attività nella quale rientra ogni adempimento volto ad assicurare la realizzazione dell’opera e non già un mero adempimento burocratico riservato al committente e proprietario.
La Cassazione -richiamati propri precedenti a Sezioni Unite (n. 15781/2005)- ricorda che la distinzione tra obbligazioni ‘‘di mezzi’’ e ‘‘di risultato’’ è ininfluente ai fini della valutazione della responsabilità di chi è incaricato di redigere un progetto di ingegneria o architettura, in quanto il mancato conseguimento dello scopo pratico avuto di mira dal cliente è, comunque, addebitabile al professionista ove sia conseguenza dei suoi errori che rendano le previsioni progettuali inidonee ad essere attuate. Ancora (Sez. Un. n. 577/2008) ricorda che è ormai superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, specie nelle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, tenuto conto che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni, richiedendosi in ogni obbligazione la compresenza sia del comportamento del debitore che del risultato, sia pure in proporzione variabile.
Del resto, il comportamento rilevante, nell’ipotesi di azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle ‘‘obbligazioni di comportamento’’ è quello che integra una causa o una concausa ‘‘efficiente’’ del danno. Spetta al debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, non è stato, nella fattispecie concreta, causa dell’evento dannoso lamentato.
La Corte osserva che se è vero che il progetto, sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare, così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente (cfr. Cass. n. 2257 del 2007; Cass. n. 11728 del 2002; Cass. n. 22487 del 2004).
Sicché la scelta del percorso amministrativo da seguire per ottenere il titolo autorizzativo idoneo al tipo d’intervento edilizio progettato (nella specie, l’ottenimento del nulla osta antisismico) spetta al professionista, trattandosi di attività per la quale occorre una specifica competenza tecnica e non certo un mero adempimento burocratico.
Rientra quindi nell’obbligo di diligenza a carico del prestatore di opera professionale, ex art. 1176 c.c., comma 2, tanto il risultato finale mirante a soddisfare l’interesse del creditore (committente) quanto i mezzi necessari per realizzarlo, tramite l’adozione di determinate modalità di attuazione che esigono il rispetto delle regole professionali in funzione del raggiungimento del risultato finale (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.10.2013 n. 23342 - tratto da Urbanistica e appalti n. 12/2013).

INCARICHI PROGETTUALINel nostro ordinamento trova accoglimento il principio giuridico secondo cui l’esternalizzazione delle attività sarebbe consentito solo nel caso di constatata impossibilità o inidoneità della struttura pubblica a svolgere una determinata attività e che il ricorso alle prestazioni intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione può essere ritenuto legittimo nei casi in cui si debbano risolvere problemi specifici aventi carattere contingente e speciale e difettando nell’apparato burocratico strutture organizzative idonee e professionalità adeguate.
Tuttavia devesi condividere la corretta impostazione della Procura attrice, che sottende all’odierno atto di citazione, secondo cui tali ipotesi non devono porsi in contrasto con il precetto normativo che impone di limitare il ricorso a professionalità esterne solo a casi eccezionali e per attività professionali che non possono essere effettuate dal personale interno, limiti che nella prospettazione attorea sono stati, invece, sostanzialmente elusi in tutti i casi contrattuali contestati.
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Risponde a principi di economicità e ragionevolezza la vigenza, in via generale, dell'obbligo delle pubbliche amministrazioni di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono, rendendosi ammissibile il ricorso ad incarichi e consulenze professionali esterne soltanto in presenza di specifiche condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e l'oggetto circoscritto dell'incarico e/o della consulenza.
Sostanzialmente, in materia di consulenze esterne o di affidamento di incarichi all’esterno dell’amministrazione, è stato ripetutamente affermato dal giudice contabile che la P.A., in conformità del dettato costituzionale, deve uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità, economicità, efficienza e imparzialità, dei quali è corollario, per ius receptum, il principio per cui essa, nell'assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.
In proposito la giurisprudenza di questa Corte si è più volte pronunciata indicando i parametri entro i quali tali rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite e ha ritenuto per lo più antigiuridico e produttivo di danno erariale -giova ribadire- certamente il conferimento di incarichi per attività alle quali si può far fronte con personale interno dell'ente e, a maggior ragione, per attività estranee ai suoi fini istituzionali, ovvero troppo onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.
Di converso, in casi particolari e contingenti, è stata ammessa la legittimazione della P.A. ad affidare il perseguimento di determinate finalità all'opera di estranei, purché dotati di provata capacità professionale e specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi, ogni volta che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo.
Tali parametri, se da un lato attestano che nell'ordinamento non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere ad esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti, dall'altro, tuttavia, confermano che la utilizzazione del modulo negoziale non può concretizzarsi se non nel rispetto delle condizioni e dei limiti sopra specificati.

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Gli illegittimi affidamenti di c.d. “supporto” (all'attività interna istituzionale), se non effettivamente necessitati da specifiche e contingenti esigenze, realizzano degli squilibri di competenze interne all’apparato amministrativo, dirigenziali e non, e una inevitabile diseconomicità, atteso che l’attività e le competenze proprie della dirigenza interna, per realizzare una “buona amministrazione”, devono vertere in maniera significativa sulla capacità organizzativa e gestionale delle strutture amministrative e della forza lavoro assegnate alle relative strutture.

La vicenda all’esame attiene, come esposto in narrativa, ad una ipotesi di responsabilità amministrativa per il danno erariale conseguito all’ANAS a seguito di pagamenti relativi a contratti di acquisizioni di servizi e conferimento di incarichi e consulenze con soggetti esterni per attività rientranti nelle funzioni ricoperte in seno al medesimo Ente.
...
Al riguardo si rileva che la fattispecie di danno erariale portata all'esame della Sezione involge in via generale, come desumibile da quanto esposto in narrativa, la problematica sottesa al conferimento di incarichi a personale esterno e, in particolare, le modalità di pratica attuazione di tali scelte operative, non improntate, in sostanza, al perseguimento degli obiettivi di economicità ed efficienza, e anzi rivelatesi produttive di un danno concreto a carico dell'Amministrazione, oltre che in violazione della disciplina anche comunitaria vigente in materia.
Dalla contestazione mossa ai convenuti emerge innanzitutto la violazione del principio costituzionale di buon andamento dell'attività della P.A. e nello specifico, l’aver stipulato l’ANAS, nelle persone in alcuni casi del suo vertice e, in altri, di alti dirigenti, una serie di contratti, con soggetti estranei all’amministrazione, per l’espletamento di attività, che, peraltro, potevano e dovevano essere svolte da personale dipendente dell’azienda medesima.
Vero è che nel nostro ordinamento trova accoglimento il principio giuridico secondo cui l’esternalizzazione delle attività sarebbe consentito solo nel caso di constatata impossibilità o inidoneità della struttura pubblica a svolgere una determinata attività e che il ricorso alle prestazioni intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione può essere ritenuto legittimo nei casi in cui si debbano risolvere problemi specifici aventi carattere contingente e speciale e difettando nell’apparato burocratico strutture organizzative idonee e professionalità adeguate. Tuttavia devesi condividere la corretta impostazione della Procura attrice, che sottende all’odierno atto di citazione, secondo cui tali ipotesi non devono porsi in contrasto con il precetto normativo che impone di limitare il ricorso a professionalità esterne solo a casi eccezionali e per attività professionali che non possono essere effettuate dal personale interno, limiti che nella prospettazione attorea sono stati, invece, sostanzialmente elusi in tutti i casi contrattuali contestati.
Pertanto, ai fini della definizione della domanda di responsabilità per le vicende contrattuali dedotte in giudizio e delle diverse posizioni delle parti, il Collegio, in primo luogo, ribadisce la piena adesione alla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, di questa Sezione, che già in precedenti giudizi (ricordati anche da parte attrice) si è pronunciata in maniera del tutto analoga alla ormai costante giurisprudenza, che si richiama interamente in motivazione anche nel caso all’esame (cfr., tra tutte, Sez. giur. Lazio 14.12.2009, n. 1922 e 03.08.2010, n. 1598).
Risponde a principi di economicità e ragionevolezza la vigenza, in via generale, dell'obbligo delle pubbliche amministrazioni di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono, rendendosi ammissibile il ricorso ad incarichi e consulenze professionali esterne soltanto in presenza di specifiche condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e l'oggetto circoscritto dell'incarico e/o della consulenza.
Sostanzialmente, in materia di consulenze esterne o di affidamento di incarichi all’esterno dell’amministrazione, è stato ripetutamente affermato dal giudice contabile che la P.A., in conformità del dettato costituzionale, deve uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità, economicità, efficienza e imparzialità, dei quali è corollario, per ius receptum, il principio per cui essa, nell'assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.
In proposito la giurisprudenza di questa Corte si è più volte pronunciata indicando i parametri entro i quali tali rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite e ha ritenuto per lo più antigiuridico e produttivo di danno erariale -giova ribadire- certamente il conferimento di incarichi per attività alle quali si può far fronte con personale interno dell'ente e, a maggior ragione, per attività estranee ai suoi fini istituzionali, ovvero troppo onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.
Di converso, in casi particolari e contingenti, è stata ammessa la legittimazione della P.A. ad affidare il perseguimento di determinate finalità all'opera di estranei, purché dotati di provata capacità professionale e specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi, ogni volta che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo.
Tali parametri, se da un lato attestano che nell'ordinamento non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere ad esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti, dall'altro, tuttavia, confermano che la utilizzazione del modulo negoziale non può concretizzarsi se non nel rispetto delle condizioni e dei limiti sopra specificati.
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Anche per tutti i suddetti incarichi descritti al sopracitato punto 3 la domanda attorea si appalesa fondata in quanto risulta per tabulas che trattasi di fattispecie contrattuali poste in essere senza procedure comparative con altri potenziali contraenti e in assenza di qualsiasi indicazione circa la necessità di specifiche competenze professionali e, comunque, di verifica sulla presenza di figure professionali interne e in servizio idonee allo svolgimento degli incarichi esternalizzati; in disparte la considerazione che, stando all’oggetto degli incarichi, hanno riguardato attività riservate all’apparato amministrativo e sono consistite in un generico c.d. “supporto tecnico-specialistico”, che, in diversi casi e per gran parte, non si è tradotto nella produzione di lavori e/o documentazione a corredo dell’attività svolta, precludendo, peraltro, il ragionevole riscontro sul relativo adempimento contrattuale.
In realtà, in qualche caso (come per la fattispecie contrattuale di cui alla sopracitata lett. a) del punto 3, alla luce dei reports prodotti, si è trattato di elaborazione di meri dati statistici e di competenze proprie del personale dirigente ANAS (quale appunto l’organizzazione e ottimizzazione delle risorse, umane e materiali) e, comunque, di attività riservate all’apparato amministrativo.
Al riguardo il Collegio condivide la richiamata giurisprudenza (Sez. giur. Trentino Alto Adige n. 8/2010) in base alla quale devesi ritenere che gli illegittimi affidamenti di c.d. “supporto”, quali quelli di specie, se non effettivamente necessitati da specifiche e contingenti esigenze, realizzino, viceversa, degli squilibri di competenze interne all’apparato amministrativo, dirigenziali e non, e una inevitabile diseconomicità, atteso che l’attività e le competenze proprie della dirigenza interna, per realizzare una “buona amministrazione”, devono vertere in maniera significativa sulla capacità organizzativa e gestionale delle strutture amministrative e della forza lavoro assegnate alle relative strutture.
Analoghe argomentazioni valgono del resto anche per tutti gli altri incarichi e, segnatamente, per quelli di cui alle lett. e) ed f) del punto 3, atteso che rientrano appieno nella sfera dirigenziale l’organizzazione e l’ottimizzazione delle risorse, umane e materiali in cui in sostanza consistono.
Valgono per tutte le relative fattispecie, anche le considerazioni generali e le rilevate violazioni circa l’attività di fatto scarsamente tecnica commissionata, circa l’assenza di proporzionalità economica dei compensi e la liquidazione forfettaria sindacata dalla giurisprudenza già citata intervenuta in casi del tutto analoghi (Sez. giur. Lazio n. 1598/2010 e Sez. I Centrale d’Appello n. 145/2009).
Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, i contratti indicati alle lett. c) e d) del punto 3, aventi ad oggetto attività connesse ai compiti ex d.lgs. n. 231/2001, in condivisione con l’assunto attoreo, si appalesa altresì inidonea a supportare la scelta la motivazione dei conferimenti basata sulla generica affermazione dell’ANAS di “non disporre di risorse interne atte a garantire in tempi rapidi l’identificazione dei processi/aree aziendali a rischio” o, comunque, di ricorrere agli Organismi già istituiti. Infatti, a riprova della ritenuta responsabilità dei convenuti, occorre evidenziare, oltre alle contestazioni già formulate, anche il fatto che in tali casi esisteva un Organismo interno e, cioè, un apposito Auditing che era stato già costituito, dopo la istituzione di un apposito Gruppo di lavoro, nonché l’Organismo di Vigilanza composto da professionisti esterni e supportato da apposito staff, formato da diversi avvocati e dall’Auditing interno aziendale (tutte attività adeguatamente remunerate, come si evince dalle note nn. 317, 318, 319 e 320 del 06.10.2003 del Presidente ANAS).
A conferma del suddetto convincimento giova anche richiamare le premesse dell’Ordine di Servizio n. 01 del 02.02.2004 (adottato, prima del conferimento degli incarichi in questione dal Direttore Generale Sabato per la istituzione un apposito Gruppo di lavoro che “…provveda a completare il sistema di procedure in attuazione del d.lgs. 231/2001”), nel quale si legge testualmente che “….l’Auditing Interno, con la istituzione dell’Organismo di Vigilanza, ne è divenuto operativamente Ufficio strumentale e che deve quindi svolgere le conseguenti complesse funzioni di verifica sul corretto rispetto delle procedure attualmente vigenti”.
Si rileva, infine, che le attività affidate rientrano appieno tra i compiti che l’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001 affidati direttamente all’Organo dirigente dell’Ente e all’Organismo di Vigilanza e Controllo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 14.10.2013 n. 683).

INCARICHI PROFESSIONALI: Personale degli enti locali. Incarico. Riduzione spesa.
La Corte dei conti ha chiarito che gli incarichi di studio si caratterizzano per lo svolgimento di un'attività di studio, nell'interesse dell'amministrazione, che si traduce nella consegna di una relazione scritta finale, nella quale sono illustrati i risultati e le soluzioni proposte.
Gli incarichi di consulenza riguardano invece le richieste di pareri ad esperti.

Il Comune ha chiesto di conoscere se un incarico di co.co.co., da affidare per la realizzazione del progetto 'Sportello di Friulano', rientri o meno tra gli studi e incarichi di consulenza la cui spesa è oggetto di riduzione ai sensi dell'art. 1 del d.l. 101/2013.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprimono le seguenti considerazioni.
La citata norma, al comma 5, prevede che la spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT (tra le quali figurano i comuni), non possa superare il 90 per cento del limite di spesa per l'anno 2013, così come determinato dall'applicazione della disposizione di cui al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010.
Preliminarmente si ritiene opportuno evidenziare l'aspetto rilevante ai fini di un corretto inquadramento della questione prospettata, con specifico riferimento alla locuzione 'incarichi di studio e consulenza'.
Si rammenta, infatti, a tal proposito che la Corte dei conti
[1], nel fornire a suo tempo linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza, ha puntualizzato le definizioni di seguito riportate.
In particolare, si è chiarito in tale sede che 'gli incarichi di studio possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal D.P.R. n. 338/1994 che, all'articolo 5, determina il contenuto dell'incarico nello svolgimento di un'attività di studio, nell'interesse dell'amministrazione. Requisito essenziale, per il corretto svolgimento di questo tipo d'incarichi, è la consegna di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte'.
Le consulenze invece  si è inoltre precisato- riguardano le richieste di pareri ad esperti.
Per quanto riguarda poi gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) la Corte dei conti ha osservato che i medesimi, per la loro stessa natura che prevede la continuità della prestazione e un potere di direzione dell'amministrazione, appaiono distinti dalla categoria degli incarichi esterni. Si è precisato comunque che: 'resta fermo....che, qualora un atto rechi il nome di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa.....'.
Pertanto, in relazione all'attività richiesta per l'incarico in argomento ed alle sue peculiari caratteristiche, si ritiene che l'Ente debba valutare in concreto se il medesimo esuli dalle fattispecie prospettate, come pare risultare dagli elementi forniti, trattandosi di incarico per la gestione di un progetto particolare.
Da ultimo si osserva che ai sensi dell'art. 13, comma 16, lett. b), punto 3-bis, della l.r. 24/2009, i rapporti di co.co.co. coperti da finanziamenti concessi ai sensi della l. 482/1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche), e della l. n. 38/2001 (Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli Venezia Giulia) sono stipulati in deroga al limite di spesa imposto dal comma 16 del medesimo articolo.
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[1] Cfr. Sez. Riunite in sede di controllo, delibera 15.02.2005, n. 6/CONTR/O (09.10.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

settembre 2013

INCARICHI PROGETTUALICONSIGLIO DEI MINISTRI/ Le novità contenute nel ddl Europea 2013-bis approvato ieri
Appalti p.a. aperti ai progettisti. No all'esclusione automatica dalla fase di affidamento.
Chi ha progettato un'opera pubblica non può essere automaticamente escluso dalla successiva fase di affidamento dell'appalto o concessione relativi all'opera progettata. Il progettista deve in concreto dimostrare che l'aver partecipato alla progettazione non comporti un'alterazione della par condicio.

È quanto prevede l'articolo 18 della bozza di disegno di legge Europea 2013-bis, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che prevede una modifica, rubricata sotto il titolo delle disposizioni a tutela della concorrenza, sul ruolo del progettista nell'ambito delle procedure di affidamento di appalti e concessioni di lavori pubblici disciplinato dall'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti pubblici.
La norma oggetto di intervento, presente fin dalla prima legge Merloni del 1994 e riproposta tale e quale nel Codice dei contratti pubblici, pone il divieto assoluto di partecipazione ad appalti e concessioni da parte di chi sia risultato affidatario di un incarico di progettazione precedente e relativo alla stessa opera da appaltare o da affidare in concessione.
Su questa norma da tempo la giurisprudenza (anche dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici) si è espressa affermando che la disposizione, incidendo sulla partecipazione dei soggetti alle gare e, quindi, sulla libertà di impresa, va interpretata in senso rigoroso, riguardando ipotesi che possono comportare una incompatibilità e, conseguentemente, l'esclusione dalla gara (fra le molte, Cons. stato, sez. VI 13.02.2004 n. 561 e Tar Piemonte, sez. I, 28/02/2007 n. 882).
Va anche considerato che il principio affermato nell'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti è stato di recente utilizzato dal Consiglio di stato per affermare (contrariamente a una giurisprudenza fino ad allora prevalente) che la disposizione è applicabile per analogia anche all'interno della fase progettuale (affidatario della progettazione preliminare, rispetto all'affidamento di altri livelli successivi) in quanto a garanzia dell'imparzialità e della parità di trattamento.
Lo stesso divieto è stato poi applicato anche in casi non disciplinati dal Codice, come quello del direttore tecnico dell'impresa appaltante che aveva partecipato alla progettazione dell'opera nella fase relativa alla elaborazione finalizzata al finanziamento. La norma esaminata ieri, nel ribadire il divieto ammette però la possibilità per il progettista di essere «affidatario dell'appalto o della concessione», laddove dimostri che l'esperienza acquisita nell'espletamento degli incarichi di progettazione non sia tale da determinare un vantaggio che possa falsare la concorrenza con gli altri operatori.
In tale modo il Codice si riallinea a quanto già anni fa la Corte di giustizia aveva affermato (sentenza del 03.03.2005, C-21/03) bocciando un divieto analogo posto dalla normativa belga e ritenendo necessaria «una procedura di verifica sugli effetti distorsivi sulla concorrenza» derivanti dalla posizione di un consulente della stazione appaltante, al fine di garantire il principio di parità di trattamento (articolo ItaliaOggi del 21.09.2013).

INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI: Appalti fuori dal caos. Alla Corte dei conti il dm sui nuovi parametri. Il Consiglio di stato ha dato il via libera al decreto. Stop ai ribassi dell'80%.
Gare di appalto fuori dal caos. Si avvia al tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati, con ribassi anche dell'80% rispetto al prezzo iniziale.
Dopo il via libera del Consiglio di stato dei giorni scorsi, infatti, il decreto ministeriale che determina «i corrispettivi a base di gare per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria», sia avvia a saltare l'ultimo ostacolo: il visto di legittimità della Corte dei conti, alla cui attenzione è attualmente.
Un regolamento dalla gestione complicata dopo un anno di rinvii, tra bocciature di organi controllo e fine anticipata della legislatura, ma comunque necessario per superare, come rileva il Consiglio di stato nel suo recente parere n. 3626/2013, «la situazione di indeterminatezza venutasi a creare a seguito dell'elaborazione di tutta la disciplina in materia di tariffe professionali».
Il punto di partenza. Il decreto liberalizzazioni (n. 1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che alimentava un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti e poca trasparenza nelle gare d'appalto.
Proprio questo un intervento del governo Monti, per dare avvio alla normalizzazione degli appalti, aveva inserito nel Decreto sviluppo un articolo che prevedeva un decreto interministeriale per la definizione e l'applicazione di parametri individuati per i corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici.
Nel decreto sviluppo veniva specificato che il nuovo sistema di parametri tariffari non doveva determinare un importo a base di gara maggiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti (dm 04/04/2001), prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto. Ma era stato proprio questo passaggio a determinare uno dei primi motivi di stop al provvedimento.
Il complicato iter del provvedimento. Secondo il primo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e poi dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, infatti, gli onorari calcolati con quei parametri sarebbero potuti risultare più alti di quelli determinati dalle vecchie tariffe professionali. Ma non solo, perché il Cslp aveva suggerito anche ai ministeri competenti (giustizia e infrastrutture) di precisare nel testo del regolamento che «compete al responsabile del procedimento accertare che il corrispettivo da porre a base di gara non superi quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del provvedimento».
In sostanza secondo il Consiglio superiore la stazione appaltante dovrebbe affidare al Rup (Responsabile unico del procedimento) il compito di verificare, in fase di predisposizione degli atti di gara, che le vecchie tariffe ormai abrogate non sarebbero state superate, procedendo sempre e comunque, ad accertare per ogni singola ipotesi di affidamento il rispetto del calmiere imposto dalla legge n. 27/2012. Ma questo passaggio secondo l'ufficio legislativo del ministero della giustizia, avrebbe rappresentato una complicazione burocratica inutile e anche non opportuna sul versante della spesa.
Piuttosto, secondo il parere del Consiglio di stato il ministero potrebbe eventualmente aggiungere una formula differente specificando che «il rispetto del vincolo è garantito dalla stazione appaltante», formula che dicono i giudici di Palazzo Spada «sembra più adeguatamente soddisfare le esigenze rappresentate nei pareri e contestualmente considera nel dovuto conto le precisazioni ministeriali per evitare di rendere particolarmente onerosa l'attività amministrativa» (articolo ItaliaOggi del 20.09.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIPrivatizzazioni, consulenze libere.
Le consulenze relative a processi di privatizzazione sono escluse dai limiti di spesa previsti per gli incarichi. Gli enti locali le possono quindi utilizzare per razionalizzare le proprie società partecipate.

L'articolo 1, comma 5, del Dl sul pubblico impiego ha infatti ridotto la spesa annua per studi e incarichi di consulenza (inclusi quelli conferiti a pubblici dipendenti) sostenuta dalle amministrazioni pubbliche, ma ha contestualmente escluso dal limite gli incarichi connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario.
La disposizione si pone in stretta correlazione con l'articolo 6, comma 7, della legge 122/2010, di cui replica i contenuti e che richiama, stabilendo che la riduzione va computata applicando la vecchia norma. Tuttavia, è evidente il rafforzamento della previsione rispetto al 2010. La nuova disposizione esclude in modo esplicito dalla riduzione sia le consulenze alle università e alle istituzioni di ricerca sia quelle affidate per sviluppare i processi di privatizzazione. La ratio della norma è chiara: le risorse orientate su incarichi finalizzati a facilitare le particolari operazioni permettono alle amministrazioni di conseguire risultati che potenzialmente incidono in modo positivo sulle proprie dinamiche economico-finanziarie.
Ma l'esclusione dal limite di spesa non determina altre deroghe alla disciplina delle consulenze. Pertanto, le amministrazioni locali dovranno conferire gli incarichi nel rispetto dei presupposti e degli elementi procedurali stabiliti dall'articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001 e del proprio regolamento sulle collaborazioni autonome. Inoltre, la spesa deve essere ricondotta al programma annuale degli incarichi.
Rientrano nella deroga disposta dalla Dl sul pubblico impiego le consulenze relative a processi per la cessione totale delle partecipazioni, per la costituzione di società miste con socio privato operativo o per la cessione a privati di quote societarie con finalizzazioni diverse. In termini estensivi, la disposizione può essere riferita a tutti i percorsi finalizzati a concretizzare forme di partenariato pubblico-privato di lunga durata, come le gare per l'affidamento di servizi pubblici locali che comportino una traslazione della titolarità al gestore (articolo Il Sole 24 Ore del 02.09.2013).

ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: DECRETO-LEGGE 31.08.2013, n. 101 - Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni - NOTA DI LETTURA LE DISPOSIZIONI DI INTERESSE PER I COMUNI (ANCI, settembre 2013).

agosto 2013

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROGETTUALI: Le ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara.
La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di responsabilità precontrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto).
Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione.
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo.
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla partecipazione alla procedura di appalto della quale si tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato conseguimento dell’utile connesso ad una determinata procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale perdita di occasioni alternative alla procedura stessa.

Le ricorrenti avanzano la pretesa risarcitoria per la mancata aggiudicazione dell’appalto di progettazione dell’intervento di riqualificazione di Piazza della Libertà, affidato ad altro raggruppamento di professionisti illegittimamente collocato al primo posto della graduatoria.
Sotto un primo versante, va sottolineato che le ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione alla gara. La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di responsabilità precontrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto). Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/02/2013 n. 799).
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio di Stato, sez. V – 18/04/2012 n. 2258).
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla partecipazione alla procedura di appalto della quale si tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato conseguimento dell’utile connesso ad una determinata procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale perdita di occasioni alternative alla procedura stessa (Consiglio di Stato, sez. V – 06/07/2012 n. 3966)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI: Dal disciplinare alle società. La riforma resta ferma al palo. Ricognizione ItaliaOggi Sette a un anno dal dpr: per i professionisti è cambiato poco.
La riforma delle professioni compie un anno. Ma è ancora sulla carta. Nella pratica, infatti, per ordini e professionisti è cambiato ben poco, se non nulla: le società tra professionisti si contano col lumicino, per le troppe incognite sui trattamenti fiscali e previdenziali. Così come i consigli di disciplina, non ancora partiti, soprattutto a livello territoriale, per la difficoltà, in particolare per le categorie tecniche, di trovare professionisti disponibili a candidarsi. L'assicurazione obbligatoria, che entrerà in vigore il 15 agosto, può rivelarsi un boomerang per gli iscritti agli albi, dato che le compagnie, per le quali non è previsto alcun obbligo di legge, possono farla da padrone e proporre contratti anche molto onerosi o addirittura rifiutarsi di sobbarcarsi il rischio. Insomma, a un anno dalla sua approvazione, il dpr Severino (n. 137/2012) rimane un cantiere ancora aperto.
È quanto emerge dalla ricognizione di ItaliaOggi Sette, che ha passato in rassegna i singoli ordini professionali per verificare lo stato di attuazione della riforma. Dal canto loro, i Consigli nazionali hanno cercato di non farsi trovare impreparati all'appuntamento previsto dal dpr, che ha fornito loro, appunto, 12 mesi per adeguarsi alle nuove regole. Ma entriamo nel dettaglio.
Sistema disciplinare. L'esempio più eclatante è il regolamento sul sistema disciplinare che le professioni hanno dovuto approvare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della riforma (15.11.2012). A partire dal via libera ministeriale di quel regolamento, poi, ogni ordine territoriale avrebbe dovuto inviare al tribunale competente un elenco dei componenti del consiglio di disciplina. Questo dovrà essere composto da una quantità di nominativi pari al doppio del numero dei consiglieri che il presidente del tribunale è chiamato a designare. A partire da quella rosa il presidente del tribunale dove ha sede il consiglio nominerà i consiglieri del Consiglio di disciplina territoriale.
Ed è stato proprio questo il punto più controverso che ha rallentato fino ad ora la creazione del nuovo sistema, la difficoltà di trovare (e poi di pagare) una rosa di professionisti disponibili allo svolgimento del compito richiesto. Di fatto ora i consigli di disciplina territoriali si contano sulle dita di una mano, così come quelli nazionali per i quali però le procedure sono diverse. Questo organo è, infatti, previsto solo per alcune categorie professionale (Agronomi e forestali, Agrotecnici, Assistenti sociali, Biologi, Commercialisti, Consulenti del lavoro e Tecnologi alimentari) giacché la maggior parte degli Albi è stata costituita prima della Costituzione e conserva quindi la giurisdizione speciale che la legge gli attribuiva.
Formazione continua e tirocinio. Per quanto riguarda la formazione continua, già vigente in alcuni casi nel mondo delle professioni, i regolamenti sono stati sì predisposti ma non entreranno in vigore prima del 2014. Altro snodo cruciale è quello del regolamento sul tirocinio non tanto nei tempi, con il nuovo tetto a 18 mesi, ma nell'esigenza di un passaggio ordinato tra vecchie e nuove regole. Alcune categorie (commercialisti per esempio) avevano già attivato un ampio sistema di convenzioni con gli atenei, con la possibilità di incrociare il periodo di tirocinio con la laurea specialistica: la regola dei 18 mesi attuata dal regolamento impone naturalmente di rivedere le convenzioni per adeguarle al nuovo calendario, ma resta da chiarire il destino dei percorsi già attivati con le nuove regole.
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Dal 15 agosto via all'obbligo dell'rc professionale. Le convenzioni stipulate dagli ordini.
Parte la corsa all'assicurazione.

Corsa all'assicurazione obbligatoria. È scattato infatti per tutti i professionisti l'obbligo di stipulare una polizza che copra i rischi della responsabilità civile professionale. Tutti gli ordini, quindi, sia a livello nazionale sia locale, si sono mossi per stipulare accordi e convenzioni con agenzie di assicurazione per guidare e tutelare i propri iscritti nella scelta della polizza, che può rivelarsi anche molto costosa. Soprattutto perché il dpr n. 137/2012 non prevede alcun obbligo per le compagnie. Entriamo nel dettaglio.
Professioni giuridico-economiche. Per quanto riguarda gli avvocati, la professione è regolamentata dalla nuova legge di disciplina dell'ordinamento professionale forense (n. 247/2012) che da un lato, in materia di rc professionale, recepisce quanto previsto dal dpr Severino, dall'altro però l'assolvimento dell'obbligo è condizionato all'approvazione, da parte del ministero della giustizia del dm sulle condizioni essenziali e i massimali minimi. Dunque, il termine del 15 agosto non riguarda gli avvocati. Ad ogni modo, il Cnf ha affidato al broker Aon spa la consulenza sul programma assicurativo.
Il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, invece, che stima attualmente circa 15 mila professionisti assicurati su un totale di 22 mila, ha stipulato una convenzione con la compagnia Aig. I principali accordi prevedono: il premio di assicurazione commisurato agli introiti netti Iva contabilizzati dall'assicurato nell'anno precedente lo stesso; l'oggetto dell'attività professionale assicurata è relativo alla professione nella sua interezza; retroattività illimitata se il consulente è già assicurato, cinque anni se non è assicurato. Quanto ai costi, invece, si parte da 270 euro per un volume d'affari Iva fino a 40 mila euro l'anno, fino a 3.450 euro per un volume d'affari fino a 500 mila euro. Oltre e fino a 1,5 milioni è previsto il premio per la fascia precedente più il 4 per mille sulla differenza del fatturato.
Professioni tecniche. Il Collegio nazionale degli agrotecnici, che stima a oggi circa 500-1.000 professionisti assicurati su circa 15 mila, ha rinnovato e confermato il contratto stipulato nel 2007 con «Aec Master broker», appoggiato ai Lloyd's. Copre le seguenti tre aree: responsabilità civile, rischi del patrimonio, rischi della persona. A questo prodotto assicurativo ne è stato aggiunto un secondo, con Marsh Italia. Entrambi i prodotti sono divisi per scaglioni di fatturato (si parte da 25 mila, il più basso) e per massimali assicurabili.
Sono possibili estensioni per settori particolari, le polizze prevedono la retroattività. A prescindere dai due prodotti «validati» dal Collegio nazionale, gli iscritti all'albo sono liberi di assicurarsi con qualunque altra compagnia o broker. Il costo è di 230-250 euro per un fatturato entro i 25 mila euro. Il Conaf ha proceduto invece ad una gara pubblica per selezionare una compagnia per Polizza collettiva ad adesione e la gara (aggiudicata il 23.07.2013 e sottoscritta il 2 agosto) è stata aggiudicata per due anni alla Compagnia Aig Europe Limited.
Franchigia e premi flessibili tagliati a misura di professionista, copertura postuma ma, soprattutto, un disciplinare dettagliato senza clausole sulle attività del perito industriale. La copertura assicurativa per i periti industriali, per la prima volta estesa anche alle nuove forme societarie parte da questi principi ed è il risultato della collaborazione tra il Cnpi e il Broker Assicurativo Marsh S.p.a. grazie al quale è stato siglato un accordo quadro per una polizza sottoscritta con la compagnia Aig Europe Limited. Il costo è di circa 400 euro annuo per un volume di affari compreso entro i 50 mila euro e un massimale di 250 mila euro.
Nessuna convenzione predefinita per il Consiglio nazionale degli ingegneri che invece ha inviato una circolare in cui sono selezionate alcune offerte segnalate in virtù della conformità con i parametri fissati dal Cni. Le proposte in linea con la griglia di qualità degli ingegneri sono sei: Aec master broker, Gava broker, Link broker, Consulbrokers, Aon e Marsh. A queste si aggiunge la polizza Willis di Inarcassa che, al momento, rappresenta il riferimento di tutto il mercato.
Così un professionista con fatturato di 50 mila euro dovrà pagare, per un massimale di 500 mila euro con una franchigia di 2.500, intorno ai 400 euro all'anno. Chi guadagna 200 mila euro dovrà, invece, pagarne almeno 1.300 per una copertura simile. Mentre per un fatturato di 300 mila euro si sale fino a 1.700 euro. Gli architetti, invece, si sono affidati a un avviso pubblico per selezionare le compagnie con le quali sottoscrivere una convenzione (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013).

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI: I giudici estendono la responsabilità dei professionisti. L'obbligo di assicurarsi scatta giovedì ma le sentenze hanno tracciato la rotta.
L'obbligo di assicurarsi contro i danni provocati ai clienti debutta solo giovedì 15 agosto, ma i professionisti devono fare già da tempo i conti con le condanne ai risarcimenti inflitte dai giudici. Anzi: negli ultimi anni la giurisprudenza ha virato verso una maggiore severità nel valutare la condotta degli iscritti agli Albi, arrivando a censurare il mancato raggiungimento del risultato.
Obbligo non per tutti
L'obbligo di stipulare una polizza per la responsabilità professionale è stato introdotto dalla legge 148/2011 e poi precisato dal Dpr 137/2012, insieme agli altri interventi dedicati al mondo delle professioni. Sempre il Dpr 137/2012 ha fatto slittare di un anno l'applicazione dell'obbligo di assicurarsi, che in origine doveva diventare operativo ad agosto 2012.
Ma non tutti i professionisti sono coinvolti dalla scadenza di Ferragosto. I notai, ad esempio, sono già assicurati da anni: già nel 1999 il Consiglio nazionale del notariato ha stipulato una polizza che copre tutti gli iscritti e nel 2006 assicurarsi è diventato obbligatorio. Per avvocati e medici, invece, l'appuntamento con la polizza obbligatoria è spostato più avanti. Gli avvocati, infatti, seguono la corsia tracciata dalla riforma forense (legge 247/2012), che prevede le polizze professionali debbano essere stipulate in base alle condizioni che il ministero della Giustizia deve ancora stabilire. E ai professionisti della sanità è stata concessa una nuova proroga di un anno, approvata nel corso del passaggio in Parlamento per la conversione in legge del decreto del fare (69/2013).
Tutti gli altri iscritti agli Albi, se svolgono un'attività libero professionale organizzata, devono dotarsi di adeguate coperture per salvaguardare il proprio patrimonio e garantire il soddisfacimento delle pretese risarcitorie dei clienti che si ritengono danneggiati. Chi non si assicura commette un illecito disciplinare, sanzionato dai Consigli nazionali, che però hanno spiegato (si veda «Il Sole 24 Ore del lunedì» del 5 agosto) che non avvieranno i controlli prima di settembre.
Giurisprudenza in evoluzione
Ma quali sono i casi in cui scatta la responsabilità del professionista? Per i giudici, in linea generale, il contratto d'opera professionale impone di garantire al cliente non il raggiungimento comunque del risultato auspicato, ma l'adozione della dovuta diligenza per conseguirlo (obbligazione "di mezzi"). Ad esempio, un medico –secondo la giurisprudenza tradizionale– non può essere tenuto a garantire la guarigione del paziente, né un mediatore può assicurare al cliente che l'affare che si è assunto l'onere di promuovere venga effettivamente concluso. I giudici, piuttosto, devono valutare se la prestazione svolta è idonea a soddisfare l'interesse del cliente, per poter ritenere che l'incarico professionale sia stato eseguito a regola d'arte.
Ma negli ultimi anni la magistratura sta sempre più valorizzando le aspettative del cliente. E, in alcuni settori professionali, ha spostato l'ago della bilancia verso una censura per il mancato raggiungimento del "risultato". È il caso, ad esempio, del commercialista che, nella redazione di una dichiarazione dei redditi, incorrere nell'obbligo di risarcire il danno al proprio cliente legato alle sanzioni tributarie erogate dall'Erario che verifichi la non pertinenza di costi in detrazione perché non documentati. Ciò anche se tali costi siano stati riportati dallo stesso contribuente al professionista. La diligenza del revisore contabile, dunque, si estende fino all'onere di verificare la veridicità di quanto dichiarato dal proprio cliente in sede di conferimento dell'incarico (si veda la sentenza 9916/2010 della Cassazione).
Un profilo di diligenza elevato è richiesto anche all'avvocato, chiamato a prevedere (si veda la sentenza della Cassazione 18612/2013) anche le possibili evoluzioni giurisprudenziali per sciogliere un contrasto. L'avvocato deve quindi adottare a favore del proprio assistito la linea processuale più prudenziale, tenendo anche presente la possibilità che vengano rivisitati gli orientamenti prevalenti circa la tematica per la quale il cliente si è affidato alla sua assistenza.
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SINDACO DI SOCIETÀ
Se viene dimostrato in giudizio il nesso causale tra l'omesso controllo della contabilità da parte dei sindaci della società e il fallimento, va affermata la responsabilità professionale degli stessi professionisti. Infatti, il danno non si sarebbe verificato se i sindaci avessero tenuto una condotta conforme ai loro doveri e se gli eventi successivi si fossero evoluti secondo le regole. Perché sussista il nesso causale è necessario dimostrare che l'omissione dei controlli aveva consentito di proseguire l'attività e che l'effettuazione dei controlli avrebbe consentito di evitare il danno - Cassazione, sentenza 13081 del 27.05.2013
AVVOCATO
L'opinabilità della soluzione giuridica che si prospetti al professionista gli impone una diligenza e una perizia adeguate alla contingenza: la scelta professionale sulla strategia processuale da adottare deve cadere sulla soluzione che consenta di tutelare maggiormente il cliente. L'esistenza di un contrasto giurisprudenziale e la compresenza di approdi non collimanti fra loro non possono costituire esimenti dalla colpa grave per l'avvocato che adotti la linea poi disattesa in sede di composizione del conflitto - Cassazione, sentenza 18612 del 05.08.2013
COMMERCIALISTA
Costituisce obbligo di diligenza del commercialista nel redigere la dichiarazione dei redditi non appostare costi privi di documentazione o non inerenti all'anno della dichiarazione, comportamento che radica la responsabilità del consulente nei confronti del contribuente dichiarante e che ne giustifica la condanna al risarcimento dei danni. Se viola questo obbligo, il professionista deve essere condannato a pagare la metà delle sanzioni erariali, in virtù della colpa concorrente del contribuente - Cassazione, sentenza 9916 del 26.04.2010
DIRETTORE DEI LAVORI
Il direttore dei lavori è responsabile, in concorso con l'appaltatore, dei difetti dell'opera appaltata e deve rispondere di eventuali danni verso terzi. Circa la responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati, ma deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare il risultato che il committente si aspetta di conseguire - Cassazione, sentenza 1218 del 27.01.2012
MEDICO
La responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria pubblica o privata va ricondotta agli articoli 1218 e seguenti del Codice civile. L'inquadramento vale per il medico e per la struttura. La Cassazione ha inquadrato la responsabilità dell'operatore sanitario nell'ambito contrattuale (l'accettazione del paziente in ospedale comporta la conclusione di un contratto) e ha ravvisato natura contrattuale anche nell'obbligazione del medico dipendente dalla struttura verso il paziente - Tribunale di Milano, sentenza 6757 del 2013.
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Il nodo. Complesso delimitare il danno. Perimetro incerto per i risarcimenti.
LA DIFESA/ Necessario provare l'assoluta impossibilità di raggiungere lo scopo o di evitare il pregiudizio al proprio assistito.

Il professionista che commette un errore non scusabile deve rispondere delle conseguenze arrecate al proprio cliente. Ma come si determina il danno da risarcire? Si tratta di una questione importante perché l'entità del danno che si rischia di provocare in base all'attività svolta è uno degli elementi chiave per guidare il professionista nella scelta della polizza giusta.
Nel nostro ordinamento, chi commette un'azione illecita (e in questa definizione rientra anche il comportamento errato del professionista) deve risarcire tutti i danni che possono essere messi in relazione causale diretta con la propria condotta. Nel caso dell'attività professionale, non sempre è agevole determinare il danno risarcibile perché le azioni e le omissioni del professionista possono avere molteplici conseguenze non sempre tutte riferibili alla condotta colpevole.
Così, se è chiaro che il medico deve risarcire le lesioni conseguenti a una propria errata tecnica operatoria, è anche evidente che non deve rispondere delle conseguenze menomanti legate alla malattia contratta dal paziente per causa naturali non imputabili ad alcuno. Il problema, piuttosto, è definire la linea di confine tra le diverse situazioni. Anche il commercialista che sbaglia a redigere il conto economico per il proprio assistito non è tenuto a versare al Fisco i maggiori oneri fiscali a carico del contribuente, ma deve risarcire il danno per le sanzioni comminate dall'Erario come, ad esempio, gli interessi di mora sul ritardato pagamento imputabile all'errore del professionista.
Talvolta, prevedere i danni futuri collegati in via diretta al l'errore non è semplice. Si pensi all'architetto che commette un errore nella progettazione di un edificio. In questo caso, il danno può consistere nei costi per le modifiche strutturali che si rendano necessarie per ovviare alle carenze del progetto. Ma l'impresa immobiliare committente può anche subire un danno di tipo finanziario perché, ad esempio, il tempo necessario al ripristino ad arte del manufatto ritarda la vendita delle unità immobiliari finite alla clientela. Mentre il notaio che non effettua le visure catastali che attestano la libertà da vincoli dell'unità immobiliare oggetto della compravendita tra privati, deve risarcire, secondo la giurisprudenza (si veda la sentenza 14865/2013 della Cassazione) tutti i danni subiti dall'acquirente che veda inaspettatamente sottratto alla sua disponibilità il bene pur regolarmente acquistato, oltre agli onere fiscali e finanziari sostenuti, ad esempio, per contrarre il mutuo.
L'assunzione di un incarico, dunque, pone il professionista nella condizione di dover fornire al cliente il contributo tecnico necessario a conseguire il risultato sperato. La negligenza o l'imperizia nell'eseguire il mandato lo espongono alla necessità di provare in un giudizio che, anche adottando la miglior scienza, non sarebbe stato possibile raggiungere lo scopo (perché impedito da fattori a lui non riconducibili), o che i danni lamentati si sarebbero comunque verificati a prescindere dell'errore commesso (tratto da Il Sole 24 Ore del 12.08.2013).

INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto: rettifica e aggiornamento prospetti polizza professionale allegati alla circolare n. 250 del 12.07.2013 (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 06.08.2013 n. 262).

luglio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Non è conforme a legge il contratto di collaborazione avente ad oggetto un incarico di lavoro autonomo occasionale (nella specie, un incarico per la produzione di testi scientifici), conferito senza il preventivo espletamento di una procedura comparativa atta a garantire la maggiore partecipazione degli interessati e la migliore selezione del personale.
Nello stesso senso, si è precisato che il ricorso, da parte del dirigente di un ente pubblico, a personale con contratto di lavoro autonomo è illegittimo e fonte di danno erariale ove non costituisca il mezzo indispensabile per far fronte ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria e non sia inteso ad attuare obiettivi e progetti specifici, determinati e temporanei, impossibili da realizzare con i dipendenti in servizio presso l'amministrazione.
La giurisprudenza amministrativa, sulla stessa scia di quella contabile, ha chiarito che sebbene non sussista una previsione di rango legislativo che vieti l'affidamento a studi legali dell'attività di consulenza stragiudiziale, l'indizione di siffatta procedura selettiva rimane un'ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste dalle norme in materia di attività consultiva resa dall'Avvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato ovvero di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli professionisti (per specifiche questioni) secondo la procedura di cui all'art. 7, d.lg. n. 165 del 2001 (seppure anche quest'ultima norma, avente carattere eccezionale).

... per l'annullamento della delibera della giunta provinciale di Varese prot. n. 88612/3.6, emessa e dichiarata immediatamente eseguibile il giorno 16.10.2012, pubblicata all'albo pretorio il 23.10.2012, con la quale è stata disposta l'instaurazione di un rapporto di collaborazione esterna con un giornalista professionista non inserito nella pianta organica dell'ente, per lo svolgimento dell'incarico di addetto stampa e responsabile editoriale della testata giornalistica “provincia di Varese informa online” e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
...
... appare evidente che la delibera impugnata sia illegittima per violazione dell’art. 7, co. 6, d.lgs. 165/2001.
La norma in parola consente alle amministrazioni la possibilità di conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, solo per fronteggiare esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio e a condizione che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Tale norma è stata interpretata rigorosamente dalla giurisprudenza contabile e amministrativa, perché ha rappresentato un primo passo verso la riduzione della spesa pubblica e, quindi, per evitare inutili sprechi di danaro pubblico.
Sul punto, la giurisprudenza contabile ha, ad esempio, chiarito che non è conforme a legge il contratto di collaborazione avente ad oggetto un incarico di lavoro autonomo occasionale (nella specie, un incarico per la produzione di testi scientifici), conferito senza il preventivo espletamento di una procedura comparativa atta a garantire la maggiore partecipazione degli interessati e la migliore selezione del personale (cfr., Corte Conti sez. contr., 07.05.2012, n. 10).
Nello stesso senso, si è precisato che il ricorso, da parte del dirigente di un ente pubblico, a personale con contratto di lavoro autonomo è illegittimo e fonte di danno erariale ove non costituisca il mezzo indispensabile per far fronte ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria e non sia inteso ad attuare obiettivi e progetti specifici, determinati e temporanei, impossibili da realizzare con i dipendenti in servizio presso l'amministrazione (cfr., Corte Conti sez. III, 04.05.2012, n. 339).
La giurisprudenza amministrativa, sulla stessa scia di quella contabile, ha chiarito che sebbene non sussista una previsione di rango legislativo che vieti l'affidamento a studi legali dell'attività di consulenza stragiudiziale, l'indizione di siffatta procedura selettiva rimane un'ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste dalle norme in materia di attività consultiva resa dall'Avvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato ovvero di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli professionisti (per specifiche questioni) secondo la procedura di cui all'art. 7, d.lg. n. 165 del 2001 (seppure anche quest'ultima norma, avente carattere eccezionale (cfr., TAR Roma Lazio sez. II, 07.07.2009, n. 6527).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche il provvedimento impugnato va annullato per violazione dell’art. 7, co. 6, d.lgs. 165/2001.
Nel caso di specie l’amministrazione ha conferito l’incarico di addetto stampa e responsabile editoriale della testata giornalistica “Provincia di Varese informa on line” ad un giornalista esterno all’ente “dopo aver valutato i carichi di lavoro attribuiti alle risorse umane operanti nella struttura”. Emerge nitidamente che il provvedimento non ha motivato in relazione alle esigenze di carattere straordinario ed eccezionale che consentono il ricorso a figure professionisti esterne, ma si è limitato ad una mera motivazione di stile che rende illegittimo il provvedimento impugnato.
Ne deriva che il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato va annullato (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.07.2013 n. 1997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALIArriva la Legge di conversione del Decreto del Fare?
La Camera ha votato la fiducia al disegno di Legge di conversione del “Decreto del fare.
Assicurazione professionale obbligatoria dal 15.08.2013, possibilità per i professionisti di accedere al fondo unico di garanzia e ristrutturazioni con modifica della sagoma tranne che in alcune zone dei centri storici sono alcune delle novità contenute nel provvedimento.
Tra le novità più interessanti che riguardano il settore segnaliamo:
Polizza professionale
L’obbligo di stipulare un’assicurazione professionale, che copra eventuali danni arrecati a terzi nell’esercizio della propria attività è confermato al 15.08.2013.
Solo i professionisti del settore sanitario beneficeranno della proroga di un anno. Quindi, ingegneri, architetti, geometri dovranno stipulare la polizza; al riguardo, rinviamo alla precedente notizia di BibLus-net con il Vademecum del CNI su come scegliere la polizza.
Fondo centrale di garanzia per i professionisti
Gli interventi del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese sono estesi ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico.
I professionisti, quindi, dovrebbero avere un accesso facilitato al credito.
Cambio di sagoma con Scia
Le demolizioni e ricostruzioni potranno avvenire senza il rispetto della sagoma originaria e gli interventi potranno essere realizzati con SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). I Comuni, comunque, individueranno le zone dei centri storici da escludere da questa semplificazione.
Fisco
Equitalia non potrà sequestrare il macchinario o il bene mobile se l’azienda o il professionista dimostra che esso è “strumentale” alla propria attività.
L’unica casa di abitazione non può essere pignorata.
Previste anche comunicazioni telematiche semplificate per le Partite Iva.
Disoccupati ed esodati che non hanno più il datore di lavoro a fare da sostituto di imposta, avranno comunque i crediti fiscali entro l’anno rivolgendosi al Caf.
Appalti
Per le gare d’appalto bandite dopo l’entrata in vigore della Legge di conversione e fino al 21.12.2014, l'ente pubblico potrà anticipare all’appaltatore il 10% dell’importo contrattuale a patto che ciò sia previsto dal disciplinare di gara (25.07.2013 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTAZIONEParametri per le gare di progettazione: l’ultima bozza del Decreto va al Consiglio di Stato.
Il nuovo regolamento contenente le regole per stabilire i corrispettivi da porre a base di gare per i servizi di ingegneria e architettura (c.d. “Decreto Parametri bis”) ha ottenuto il via libera dal Ministero delle Infrastrutture ed è stato inviato al Consiglio di Stato.
Il “Decreto Parametri bis” non ha avuto un iter semplice: ricordiamo, infatti, che la prima bozza era stata bocciata nel gennaio 2013 sia dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che dall'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, poiché in certi casi i parametri proposti potevano portare alla definizione di corrispettivi più alti rispetto a quelli previsti dalle vecchie tariffe professionali del D.M. 04.04.2001, oramai abrogate.
L’articolo 9 della Legge n. 27/2012 prevede, infatti, che i nuovi parametri non debbano superare i compensi derivanti dalle vecchie tariffe minime.
A ribadirlo è stato anche il CSLLPP auspicando che la responsabilità della verifica di non superamento sia affidata al Responsabile Unico del Procedimento (RUP); il Ministero della Giustizia, però, non ha condiviso la proposta del CSLLPP di affidare al RUP tale incombenza.
L’ultima parola sulla bozza del Decreto passa quindi, al Consiglio di Stato (25.07.2013 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Il decreto appalti esce dal pantano. I parametri al Consiglio di stato.
Al Consiglio di stato il regolamento sui parametri per la gare di appalto. Dopo il concerto del ministero delle infrastrutture, quindi, il decreto predisposto dal ministero della giustizia che determina «i corrispettivi a base di gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria» può finalmente riprendere il suo percorso, finora tormentato, verso l'approvazione definitiva. Sempre che i giudici di Palazzo Spada, che potrebbero esaminarlo già entro la fine del mese, non trovino rilievi sostanziali.
Il nodo scoperto sta infatti nella figura del Rup, il responsabile unico del procedimento che, a parere (si tratta del secondo parere espresso nell'adunanza del 17 maggio) del Consiglio superiore dei lavori pubblici è tenuto «in fase di predisposizione degli atti di gara, ad accertare che il corrispettivo da porre a base di gara non superi quello derivante dall'applicazione delle vecchie tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del decreto».
In sostanza, secondo il Cslp, la stazione appaltante deve provvedere a verificare che le nuove tariffe non determinino importi a base di gara superiori a quelli derivanti all'applicazione delle precedenti (dm 04/04/2001), in particolare, affidando al Rup di controllare che gli importi a base d'asta per i servizi di architettura e ingegneria siano inferiori appunto alle vecchie tariffe. Un passaggio inutile secondo le categorie tecniche che attendono il provvedimento da oltre un anno, ma anche per l'ufficio legislativo del ministero della giustizia che ha ritenuto più opportuno «ai fini della buona procedura amministrativa» non inserire questo passaggio che si tradurrebbe solo in una complicazione in più anche in termini di spesa.
La questione di non superare le vecchie tariffe era stato un passaggio preciso esplicitato dalla legge delega. I nuovi parametri, diceva il provvedimento governativo, avrebbero dovuto rispettare un paletto preciso: non determinare un importo a base di gara superiore a quello che derivava dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto. Ma proprio il superamento di questo paletto aveva bloccato l'iter del provvedimento.
Secondo il parere del gennaio 2013 del Consiglio superiore dei lavori pubblici (sostanzialmente condiviso con quello dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici), infatti, il nervo scoperto della prima bozza di provvedimento era proprio questo: determinare onorari superiori a quelli delle vecchie tariffe previste dal dm 04.04.2001 e quindi in contrasto con il vincolo stabilito dalla stessa legge delega. I valori dei parametri allegati alla bozza di decreto interministeriale quindi furono rivisti. Il testo tornò infatti nelle stanze dell'ufficio legislativo del ministero della giustizia dalle quali era partito, per le opportune modifiche. Ma solo ieri, tra le resistenze di qualcuno e il cambio di governo, è arrivato il concerto anche del ministero. Ora tutti confidano nella rapidità del Consiglio di stato (articolo ItaliaOggi del 19.07.2013).

INCARICHI PROGETTUALI: Sentenza della corte di giustizia europea. Tariffe anche in base al decoro professionale. Al giudice la valutazione dei possibili effetti restrittivi della concorrenza.
Il tariffario di una categoria che stabilisce il compenso per una prestazione anche in base al decoro professionale può avere effetti restrittivi della concorrenza. E quindi è rimessa al giudice, caso per caso, la valutazione della legittimità di un compenso che deve tenere conto anche della tutela degli interessi del consumatore.

Un chiarimento, quello contenuto nella sentenza 18.07.2013 n. C-136/12 emessa ieri della Corte di giustizia europea, che non esclude a priori la validità di quei tariffari degli ordini professionali che le liberalizzazioni del 2006 declassarono da «inderogabili» a facoltativi. Anzi. Peccato che nel frattempo il legislatore abbia completamente cancellato dall'ordinamento giuridico qualsiasi riferimento alle tariffe e rimesso al libero mercato la definizione di un onorario professionale. Ma vediamo meglio come la Corte del Lussemburgo è arrivata ad occuparsi del caso italiano dei geologi.
Tutto inizia nel luglio del 2006. Con il decreto Bersani (dl 223/2006) sono aboliti, fra le altre cose, i minimi tariffari inderogabili utilizzati fino a quel momento dagli iscritti agli albi professionali. Nel giro di qualche mese tutte le categorie si adeguano, ma qualcuno lo fa ponendo il paletto del decoro. Il che vuol dire che gli iscritti non potranno praticare prezzi stracciati in quanto è in contrasto con il prestigio della professione alla quale si appartiene. Fra i più convinti di questa tesi ci sono i geologi.
Questi ultimi, però, finiscono nel mirino dell'Antitrust che con una delibera del 23/6/2010 multa il Consiglio nazionale per aver posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza e ordina di assumere misure atte a porre termine all'illecito riscontrato.
La battaglia in primo grado. I vertici della professione tecnica però non ci stanno. E si rivolgono al Tar Lazio, che respinge il ricorso presentato. I giudici amministrativi con la sentenza n. 1757 del 25.02.2011 chiariscono che il provvedimento dell'Antitrust è legittimo.
Il Tar però, allo stesso tempo, ritiene viziato il provvedimento dell'Autorità nella parte in cui si sostiene che il riferimento, nel codice del Consiglio nazionale, al «decoro professionale» quale criterio di commisurazione del compenso del professionista costituisca a priori una «restrizione della concorrenza». Obiezione, quest'ultima, impugnata al Consiglio di stato dall'Agcm. Per motivi diversi anche il Cng propone appello.
La battaglia in secondo grado. Nell'atto di appello, in base all'articolo 267 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea (Tfue), gli avvocati del Consiglio nazionale dei geologi chiedono (e ottengono) al Consiglio di stato di sottoporre, in via pregiudiziale, alcune questioni alla Corte di giustizia europea.
Una di queste è volta a chiarire se la legislazione europea: vieti e inibisca il riferimento alle componenti di dignità e decoro del professionista nella composizione del compenso professionale e se comportino effetti restrittivi della concorrenza professionale; stabilisca se i requisiti di dignità e decoro, quali componenti del compenso del professionista in connessione con tariffe definite espressamente come derogabili nei minimi, possano ritenersi finalizzati a comportamenti restrittivi della concorrenza (si veda anche ItaliaOggi del 22/03/2012)
La sentenza della Corte di giustizia.
Nella sua sentenza di ieri i giudici hanno dichiarato che «le regole come quelle previste dal codice deontologico relativo all'esercizio della professione di geologo in Italia, approvato dal Consiglio nazionale dei geologi il 19.12.2006 e modificato da ultimo il 24.03.2010, che prevedono come criteri di commisurazione delle parcelle dei geologi, oltre alla qualità e all'importanza della prestazione del servizio, la dignità della professione, costituiscono una decisione di un'associazione di imprese che può avere effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno».
Quindi si rimanda al giudice del rinvio (il Tar) la valutazione, alla luce del contesto globale in cui tale codice deontologico dispiega i suoi effetti, compreso l'ordinamento giuridico nazionale nonché la prassi applicativa di detto codice da parte dell'Ordine nazionale dei geologi, «se i predetti effetti si producano nel caso di specie. Tale giudice deve anche verificare se, alla luce di tutti gli elementi rilevanti di cui dispone, le regole del medesimo codice, in particolare nella parte in cui fanno riferimento al criterio relativo alla dignità della professione, possano essere considerate necessarie al conseguimento dell'obiettivo legittimo collegato a garanzie accordate ai consumatori dei servizi dei geologi» (articolo ItaliaOggi del 19.07.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIP.a., maglie strette sulle intese. Accordi vietati se non per servizi pubblici comuni. Gli effetti sulle amministrazioni della sentenza del Cds sull'affidamento degli appalti.
Vietati gli accordi fra amministrazioni se non finalizzati all'adempimento di un servizio pubblico comune; si violano le direttive europee se gli accordi riguardano prestazioni comprese nelle direttive europee e un corrispettivo ancorché limitato al rimborso dei costi; molte attività potranno quindi essere aperte alla concorrenza privata.
È questo uno degli effetti principali che potrebbe derivare dall'applicazione dei principi affermati dalla V Sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 15.07.2013 n. 3849, pronuncia che riveste una sua particolare importanza dal momento che gli accordi fra Amministrazioni costituiscono, insieme al più organico e articolato sistema del cosiddetto «in house», uno dei meccanismi attraverso i quali le pubbliche amministrazioni evitano di mettere sul mercato e affidare a terzi con procedure ad evidenza pubblica contratti di lavori, forniture e servizi, spesso anche di rilievo.
Il fatto. La vicenda prende le mosse da un affidamento, per importo soggetto alla normativa comunitaria (200 mila euro), riguardante servizi di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere, disposto dalla Asl di Lecce a favore dell'Università del Salento. Dopo la sentenza di primo grado del Tar Puglia, che aveva già dichiarato illegittimo l'affidamento diretto dell'incarico all'Università per omesso ricorso alle procedure di evidenza pubblica, il Consiglio di stato aveva rimesso alla Corte di giustizia la questione della legittimità degli accordi ex articolo 15 della legge 241/1990.
La giurisprudenza comunitaria. La Corte europea (sentenza del 19.12.2012, causa C 159/11), aveva affermato la violazione delle norme delle direttive appalti in quanto l'accordo non costituiva una forma di cooperazione in comune di attività fra due amministrazioni aggiudicatrici (così come prevede la legge 241/90), bensì un vero e proprio contratto di consulenza per servizi a fronte del pagamento di un compenso per il quale occorreva procedere con gara, ammettendo tutti gli operatori economici interessati ad acquisire la commessa.
In precedenza la stessa Corte (sentenza 09.06.2009, causa C-480/06) aveva ammesso forme di collaborazione soltanto a condizione che fossero coinvolte esclusivamente entità pubbliche; vi fosse la realizzazione congiunta di un servizio pubblico con una effettiva condivisione di compiti pubblici e responsabilità; non vi fossero trasferimenti finanziari, a parte quelli corrispondenti ai costi effettivi sostenuti per le prestazioni; fosse assente ogni interesse di natura commerciale. Prima ancora (sentenza 13.01.2005, causa C-84/03), invece, era stato sostenuto che l'istituto dell'accordo interamministrativo non potesse essere utilizzato quale strumento di elusione della normativa in materia di evidenza pubblica.
Il nodo dell'esercizio «in comune» di una attività. Il punto rispetto al quale ruota la questione della legittimità degli accordi fra Amministrazione è quello della configurabilità di una cooperazione tra enti pubblici «finalizzata a garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi». L'art. 15 della legge n. 241/1990 contempla una delle possibili forme di cooperazione tra enti pubblici, comunque imperniato sul carattere «comune» delle attività il cui svolgimento viene con essa disciplinato. Il Consiglio di stato premette che le direttive europee come prima finalità hanno quella di imporre alle amministrazioni il rispetto della concorrenza laddove debbano affidare attività economicamente contendibili e, conseguentemente, in negativo, escludere l'applicazione delle regole di gara quando non vi siano rischi di distorsioni del mercato interno.
Se questo è il presupposto, affermano i giudici, allora gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti dalla legge generale sul procedimento amministrativo, legittimi sotto il profilo comunitario e nazionale, sono necessariamente soltanto quelli aventi la finalità di disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie di prestazioni elencate nell'allegato II-A alla direttiva appalti n. 2004/18. Pertanto all'interno dell'articolo 15 sono riconducibili quegli accordi il cui contenuto e forma siano finalizzati a regolare le rispettive attività funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi uno degli enti stipulanti.
Chiarita l'incerta giurisprudenza del Consiglio di stato. Il Consiglio di stato attribuisce alla pronuncia della Corte di giustizia relativa al caso esaminato, anche un'importante valenza di chiarimento del contrasto tra i principi comunitari da un lato e alcune pronunce della stessa quinta sezione che avevano reputato legittimo l'affidamento a titolo oneroso tra pubbliche amministrazioni di un servizio ricadente tra i compiti di uno degli enti (sentenze n. 1707/2007; n. 4539/2010; n. 6548/2010).
In questo caso assume valenza, oltre ai principi già illustrati, anche il profilo del corrispettivo: afferma infatti il Consiglio di stato che qualora un'amministrazione si ponga rispetto all'accordo come operatore economico-prestatore di servizi a fronte di un corrispettivo «anche non implicante il riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi» e, quindi, si è in presenza di un contratto soggetto alle direttive, da affidare con gara (tratto da ItaliaOggi Sette del del 19.08.2013).

INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto: informativa sull'obbligo di stipula di polizza professionale (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, circolare 12.07.2013 n. 250).

INCARICHI PROFESSIONALI: Dagli architetti i modelli di contratto per le prestazioni professionali.
Il Decreto Liberalizzazioni (D.L. 1/2012 convertito in Legge 27/2012 e s.m.i.) ha abrogato definitivamente le tariffe professionali regolamentate nel sistema ordinistico e ha previsto che il compenso per la prestazione debba essere:
pattuito al momento del conferimento dell’incarico
adeguato all’importanza dell’opera
adeguato alla prestazione da eseguire
Il professionista, quindi, è tenuto ad informare il cliente, attraverso un preventivo, su misura del compenso, grado di complessità dell’incarico, oneri e spese ipotizzabili e a specificare mediante un contratto la natura e la complessità della prestazione.
Per agevolare i progettisti nella redazione dei contratti, il Consiglio Nazionale degli Architetti ha pubblicato una raccolta di Contratti-tipo utili all’attività professionale.
Gli esempi proposti sono i seguenti:
contratto architetto collaboratore
contratto coworking
contratto architetto committente privato
contratto architetto committente privato collaudo
contratto architetto sola determinazione del compenso
contratto architetto domiciliazione
contratto RTP
contratto avvalimento
contratto rete (11.07.2013 - link a www.acca.it).

giugno 2013

INCARICHI PROGETTUALIContratti. Sì a clausole sospensive. Il compenso del tecnico può essere vincolato.
Per la Cassazione la clausola che condiziona il compenso di professionisti, ingegneri e architetti, al reperimento di finanziamenti da destinare alla realizzazione di un'opera pubblica non è affetta da nullità.

Per la Suprema corte le parti di un rapporto contrattuale possono prevedere, nell'esercizio dell'autonomia privata, che l'efficacia di un'obbligazione giuridica resti condizionata, in senso sospensivo o risolutivo, all'avverarsi di un evento futuro e incerto (articoli 1322- 1353 del Codice civile).
Con la sentenza 24.06.2013 n. 15786, la Corte di Cassazione -Sez. II civile- interviene a difesa del primato della fonte contrattuale; pertanto il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d'opera intellettuale, sarebbe liberamente determinabile dalle parti, salvi i casi di indisponibilità in base a tariffe.
Sul tema (e giungendo alle stesse conclusioni) si era in precedenza espressa la stessa Corte, a sezioni unite, con la sentenza 18450/2005, con cui veniva dichiarata valida la clausola sospensiva ai sensi della quale il pagamento del compenso ad un ingegnere da parte di un ente pubblico veniva condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione del l'opera da progettare.
Nella normativa concernente le professioni di ingegnere ed architetto manca una disposizione espressa diretta a sanzionare con la nullità eventuali clausole in deroga ai minimi tariffari, pertanto la tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale si può ricorrere ai sensi dell'articolo 2233 del Codice civile solo in assenza di pattuizioni al riguardo.
Il principio di inderogabilità della tariffa è infatti diretto a evitare che il professionista possa essere indotto a prestare la propria opera a condizioni lesive della dignità professionale, ma non può tradursi in norma imperativa idonea a rendere invalida qualunque patto in deroga, allorché questa sia stata attentamente valutata dalle parti nell'ambito di una libera ponderazione dei rispettivi interessi.
In presenza di condizione sospensiva, il contratto non può pertanto considerarsi a titolo gratuito; il negozio d'opera professionale resta oneroso ma in esso è introdotto per volontà dei contraenti un elemento ulteriore, cioè un evento che condiziona il pagamento del compenso al finanziamento dell'opera, in assenza del quale la prestazione non può essere eseguita.
La sentenza conferma anche per il settore pubblico la validità di formule contrattuali poste a tutela degli interessi collettivi, purché inserite in contratti liberamente sottoscritti dalle parti (articolo Il Sole 24 Ore del 22.07.2013).
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Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36, primo comma, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato.
La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge 05.05.1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418, primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale
(massima tratta da www.neldiritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sullo svolgimento, in modo continuativo sin dal 2007, dell'attività istituzionale dell'ente (supporto all'ufficio tecnico comunale per l'evasione di pratiche edilizie) affidata ad un tecnico esterno.
Occorre indicare quali sono in linea generale i presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp. (modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008)
qualifica <<come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio>> e cioè:
  
1)
La rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già chiarito che <<il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000>>.
  
2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione.
  
3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico.
  
4) L’indicazione della durata dell’incarico.
  
5)
La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che <<il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite>>.
  
6) Il requisito della “comprovata specializzazione universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
  
7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti hanno già ricordato che <<l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico>>.
  
8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che le disposizioni della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane.
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno.
  
9)
L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione. Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che <<l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata>>.
  
10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
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L'amministrazione comunale deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti secondo cui: “fermo restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma anche se non vi siano state corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione del personale e di una riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza”.
Dunque, questa Sezione rileva che la criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa per il personale e violando le norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
Piuttosto, l’ente locale dovrebbe attivarsi per valutare se attraverso lo strumento della gestione in forma associata con altri comuni possa svolgere la funzione de qua senza incappare nelle violazioni di legge sin qui evidenziate.
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Nel corso dell’esame del questionario inviato dal Comune di Porto Valtravaglia in merito al consuntivo per l’anno 2011, il Magistrato Istruttore, avviata un’indagine sul mancato rispetto dei vincoli finanziari posto dall’art. 6 D.L. n. 78/2010 (riduzione dell’80% della spesa sostenuta nell’anno 2009 per studi e consulenze), rilevava che <<dalla documentazione allegata emerge che il geom. C. svolge, in modo continuativo sin dal 2007, attività istituzionale dell'ente (supporto all'ufficio tecnico comunale per l'evasione di pratiche edilizie)>>.
Sulla scorta di detto rilievo, dunque, il Magistrato Istruttore chiedeva all'ente locale di chiarire se la spesa sostenuta fosse stata <<computata in quella per il personale e se per il "rinnovo" dell'incarico per l'anno 2011>> fosse stata espletata <<una nuova procedura compartiva rispetto a quella che risulta dalla determina n. 37 del 26.02.2007 per il triennio 2007-2009>>.
Il revisore dei conti comunicava che <<la spesa del professionista non è stata computata tra le spese del personale ma non allo scopo di eludere il vincolo di spesa che è rispettato anche includendo l’intero costo del professionista>>. Il revisore, inoltre, aggiunge che <<per l’assegnazione dell’incarico al professionista C.C. per l’anno 2011 non è stata espletata la procedura comparativa>>.
Il Magistrato Istruttore, sulla scorta della risposta del revisore, chiedeva al Presidente della Sezione di convocare in adunanza l’ente locale per l’esame collegiale della vicenda.
Prima dell’adunanza l’ente locale inviava memoria in cui confermava il mancato espletamento di procedura comparativa in sede di affidamento dell’incarico anche per l’anno 2012 al medesimo professionista. Aggiungeva, però, che per l’anno 2012 la spesa sostenuta per l’incarico era stata computata in quella per il personale. La mancata acquisizione del parere del revisore e il mancato invio della determina alla Corte ai sensi dell’art. 1, comma 173, l. n. 266/2005 venivano ascritti ad “una mera dimenticanza”.
All’adunanza del 05.06.2013 sono intervenuti in rappresentanza del Comune di Porto Valtravaglia il Sindaco, il Segretario comunale, il Responsabile del Servizio Finanziario e il Responsabile dell’ufficio tecnico.
...
Le recenti novelle legislative che hanno inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle consulenze da parte degli enti locali sono accomunate da un unico principio ispiratore: l’amministrazione deve svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di collaborazione con <<soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla legge, od in relazione ad eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica esistente>> (in questo senso, si veda la sentenza della Corte Conti, II sez. app., del 20.03.2006).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il legislatore ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le disposizioni di cui agli artt. 34 della legge 27.12.2002, n. 289, 3 della legge 24.12.2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11, del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n. 191 (sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311)
con l’introduzione di fattispecie tipizzate di illecito amministrativo contabile, per cui la violazione del disposto normativo <<… costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale>>.
Da ultimo, poi, si richiama la lettera dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che recita: <<
al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e di consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale>>.
In questo quadro normativo va contestualizzata la funzione di controllo esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei Conti sugli atti di affidamento di consulenze esterne; funzione che la magistratura contabile svolge su due livelli, ovvero su quello più generale che investe l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello più specifico che attiene la singola determina di affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti sui regolamenti adottati dagli Enti locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3 della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n. 244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L. 25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma 56 recita che <<
con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali>>. Il successivo comma 57, poi, sancisce che <<le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione>>.
Questa Sezione con le deliberazioni 37/2008, 224/2008 e 37/2009 ha individuato alcuni principi che devono informare le disposizioni regolamentari in materia (si vedano anche le più recenti, Lombardia/715/2010/REG del 30.06.2010 e Lombardia/967/2010/REG del 22.10.2010).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione si incentra sulla singola determina di affidamento di incarico esterno di cui si è detto in premessa; conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere per qualificare come conforme alla disciplina la determina in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole determine di affidamento di incarichi a soggetti esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n.266, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti locali a raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere da un riscontro della conformità della stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che <<
l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un provvedimento di secondo grado e dall’altro la responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere>> (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che
un utilizzo improprio delle collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di responsabilità. Questo principio -affermato dalla giurisprudenza contabile in materia di conferimento di incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27, della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che
il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito dall’amministrazione comunale di Cardano al Campo,
occorre indicare quali sono in linea generale i presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp. (modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008) qualifica <<come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio>> (Sez. Contr. Reg. Lombardia, delib. n. 224/2008):
  
1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già chiarito che <<il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000>> (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
   2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione.
   3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico.
   4) L’indicazione della durata dell’incarico.
   5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che <<il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite>> (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
   6) Il requisito della “comprovata specializzazione universitaria: le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e comprovata specializzazione universitaria”.
   7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delib. n. 6/2005) hanno già ricordato che <<l’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico>> (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
   8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno ribadito che le disposizioni della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente, pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del 14.05.2009; Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23.04.2010; contra, ma con affermazione apodittica, delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. L’intervento del revisore contabile è necessario quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23.04.2010; Sez. Contr. Reg. Piemonte, parere n. 23 del 18.03.2010).
   9) L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che <<l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata>> (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
   10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.

III) Profili di non conformità a legge della determina di affidamento di incarico oggetto della presente deliberazione.
La determina del responsabile dell’area tecnico-manutentiva del Comune di Porto Valtravaglia n. 10, del 17.02.2011, avente per oggetto il conferimento di <<tutte le attività in materia di edilizia privata ed in particolare l'istruttoria, la gestione e il controllo delle pratiche edilizie>>, presenta sia vizi sostanziali sia vizi procedimentali; dunque il Comune di Porto Valtravaglia, contravvenendo ai principi in precedenza esposti, ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione professionale esterna in violazione di norme di legge.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa deliberazione, il Comune di Porto Valtravaglia ha violato le seguenti norme di legge:
   1) violazione del comma 173 dell’art. 1, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006) che impone agli enti locali l’obbligo di acquisire il parere del revisore dei conti e, quando l’atto di spesa supera la spesa annua di cinquemila euro, di trasmettere l’affidamento dell’incarico di studio o di consulenza alla sezione regionale di controllo territorialmente competente.
La violazione della norma che impone l’obbligo di invio alla Corte dei Conti dell’atto di spesa è riscontrabile documentalmente (infatti, solo dopo specifica richiesta istruttoria del Magistrato Istruttore, l’amministrazione di Porto Valtravaglia ha comunicato di aver conferito l’incarico di collaborazione professionale). Come emerge dalla determina di affidamento in esame “la relativa spesa complessiva di € 24.910,08=, IVA e CIPAG 4% compresi” è stata “impegnata ed imputata all'intervento 1010603, capitolo 5010370” del Bilancio di previsione 2011.
Altresì riscontrabile documentalmente è la mancata acquisizione del parere del revisore dei conti (per la necessità della sua acquisizione si rimanda a quanto detto al n. 8 del paragrafo II della presente motivazione).
   2) violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di procedure comparative per l’affidamento dell’incarico esterno.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n. 494/2007). Infatti, <<l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata>> (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
Il revisore ha affermato che <<per l’assegnazione dell’incarico al professionista C.C. per l’anno 2011 non è stata espletata la procedura comparativa>>. In sede di adunanza è stato accertato che anche l’incarico affidato nel corso del 2012 è avvenuto in violazione di detta regola.
In proposito questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”). Dunque, poiché nel caso di specie non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere eccezionale, questa Sezione ritiene che il Comune di Porto Valtravaglia, avendo proceduto all’affidamento diretto dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI che impone l’espletamento di una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
   3) Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate esternamente.
La durata del rapporto intercorso tra il Comune di Porto Valtravaglia e il geom. C. (ovvero, primo incarico triennale dal 2007 al 2010 e successivi incarichi annuali nel 2011 e nel 2013) non risponde ai principi più volte ribaditi dalla Magistratura contabile (ex multis Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 e la delibera n. 24/2011) secondo cui la durata dei contratti di collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n.165/2001) devono avere <<natura temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute all’interno di uno specifico progetto>>.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve essere collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento. La <<proroga si configura, essenzialmente, come spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque, come una sorta di ultra-attività del contratto originario>> (delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 cit.).
Chiarito che è manifestamente illegittimo l’incarico professionale “protratto per anni”, si osserva che nel caso di specie questa Sezione formula dubbi sulla possibilità di qualificare l’incarico de quo come contratto co.co.co. a progetto. Infatti, <<la necessità di ricorrere ad un incarico di collaborazione di tipo coordinato e continuativo, invero, deve costituire un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari, per le quali l’Amministrazione necessiti dell’apporto di specifiche competenze professionali esterne, in quanto non rinvenibili al suo interno>> (Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come permanente. Ne consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di assunzione, <<con conseguente elusione delle disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di personale>> (Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012).
D’altra parte, nel corso dell’istruttoria è emerso che c’è un dipendente assegnato al funzionamento dell’ufficio tecnico comunale, anche se in convenzione con il Comune di Grantola.
Si aggiunga che la spesa per l’incarico de quo, non è stata inserita nelle spese per il personale per l’anno 2011.
In conclusione,
l’amministrazione comunale deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delibera n. 20 del 04.04.2011) secondo cui: “fermo restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma anche se non vi siano state corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione del personale e di una riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza
”.
Dunque,
questa Sezione rileva che la criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa per il personale e violando le norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
Piuttosto, l’ente locale dovrebbe attivarsi per valutare se attraverso lo strumento della gestione in forma associata con altri comuni possa svolgere la funzione de qua senza incappare nelle violazioni di legge sin qui evidenziate
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 17.06.2013 n. 243).

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI: INDAGINE CAMPIONARIA INCARICHI ESTERNI AFFIDATI DAGLI ENTI LOCALI VENETI NEL TRIENNIO 2009–2011.
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L'indagine della Corte dei Conti del Veneto la possiamo definire un utilissimo vademecum sul come, quando e perché affidare legittimamente incarichi professionali/progettuali all'esterno dell'Ente senza incappare nel possibile risarcimento del danno circa il modus operandi non conforme alla legge.
Buona lettura e, soprattutto, memorizzate ogni singola parola ...
02.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

INDICE
SEZIONE I
PREMESSA E QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

§1. Quadro normativo di riferimento
§2. Affidamento di incarico, sana gestione e comportamenti elusivi
§3. La distinzione con la fattispecie del contratto di lavoro subordinato
§4. La distinzione con l’ appalto di servizi
§5. Presupposti e disciplina dell’affidamento di incarichi esterni

   5.1 Presupposti di legittimità di carattere sostanziale
     5.1.1 Il preliminare accertamento dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno
     5.1.1.1 Le caratteristiche dell’accertamento
     5.1.1.2 Il problema delle competenze specifiche e delle funzioni ordinarie
     5.1.1.3 La necessaria caratteristica oggettiva dell’impossibilità
     5.1.2 La corrispondenza della prestazione alle competenze attribuite dall'ordinamento all’ente
     5.1.3 La corrispondenza dell’oggetto della prestazione ad obiettivi e progetti specifici e determinati
     5.1.4 L’alta qualificazione della prestazione
     5.1.5 La preventiva determinazione della durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione
     5.1.5.1 Durata
     5.1.5.2 Oggetto
     5.1.5.3 Luogo
     5.1.5.4 Compenso
     5.1.5.5 Forma
   5.2 Presupposti di legittimità di carattere procedimentale
     5.2.1 L’obbligo di motivazione della determinazione (o in generale del provvedimento) con cui viene affidato l’incarico esterno
     5.2.2 L’obbligo di effettuare una procedura comparativa per la selezione dell’affidatario
     5.2.3 La previa approvazione di un apposito regolamento (art. 3, c. 56, L. 24-12-2007 n. 244, art. 89 del T.U.E.L)
     5.2.4 Il vincolo quantitativo di spesa
     5.2.5 I limiti di spesa stabiliti dalla legge
     5.2.6 Il possibile superamento del limite di spesa
     5.2.7 L’obbligo di pubblicazione sul sito web
     5.2.8 Le novità introdotte dalla Legge 190/2012 e dal D.Lgs. 33/2013
     5.2.9 La valutazione dell’organo di revisione
     5.2.10 Gli obblighi di comunicazione degli atti di spesa susseguenti al conferimento di incarichi esterni
   5.3 Conclusioni
§6. L’orientamento interpretativo assunto dalla Sezione
§7. Tipologie di incarico

   7.1 Contratti di studio, ricerca e consulenza
   7.2 Collaborazione coordinata e continuativa
§8. Particolare tipologie di rapporti
   8.1 Portavoce e Ufficio stampa
   8.2 Direttore generale e dirigenti a contratto
   8.3 Personale con incarichi all’interno dello staff di organi di governo
   8.4 Incarichi esterni a personale in quiescenza
   8.5 L’incarico all’assistente sociale
   8.6 L’incarico di responsabile del servizio prevenzione e protezione ex D.Lgs. 09.04.2008, n. 81
   8.7 L’affidamento al broker
   8.8 L’affidamento degli incarichi legali
   8.9 Servizi di formazione professionale

SEZIONE II
ANALISI GENERALE DEI DATI RICEVUTI

§9. Premessa metodologica
§10. Analisi generale dei dati pervenuti

SEZIONE III
LE RISULTANZE DELL’INDAGINE: ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE

§11. Le criticità rilevate. Premessa
§12. Criticità derivanti dalla distinzione del concetto di lavoro subordinato con quello di affidamento di incarico
§13. Criticità generate da carenze o violazioni dei presupposti dei contratti d’opera
§14. Criticità generate dalla distinzione tra la fattispecie del contratto d’opera e quello di appalto di servizi
§15. Altre criticità

SEZIONE IV
CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI OPERATIVI

§16. Gli esiti collaborativi dell’indagine
§17. L’applicazione necessaria del principio di concorsualità
§18. L’indispensabile utilizzo del controllo interno successivo di regolarità amministrativa (art. 147-bis del Tuel)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Veneto, deliberazione 11.06.2013 n. 146).

INCARICHI PROFESSIONALILa p.a. pagherà i professionisti. Crediti ammessi alla certificazione e cedibili alle banche. Il senato ha approvato il dl 35 che ora torna alla camera per la conversione in legge.
Al banchetto dei pagamenti della p.a. siederanno anche i professionisti. I crediti da loro vantati verso la pubblica amministrazione si affiancano a pieno titolo a quelli per somministrazioni, forniture e appalti che potranno essere oggetto di certificazione da parte delle regioni e degli enti locali per essere poi ceduti a banche e intermediari finanziari.
Doveva essere un passaggio lampo e limitato a poche, fondamentali, modifiche quello del dl 35 al senato. E invece il testo che ieri è stato licenziato con larghissima maggioranza dall'aula di palazzo Madama (247 voti favorevoli, 7 astenuti, tutti del gruppo di Sel e nessun voto contrario) presenta molte sostanziali novità, a cominciare proprio dall'ampliamento della platea dei beneficiari. Che ovviamente non può non piacere ai diretti interessati.
«Si tratta di una boccata d'ossigeno anche per i liberi professionisti, che entrano a pieno titolo tra i beneficiari del decreto», ha commentato il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «In una fase economica difficilissima, il provvedimento approvato dal senato potrebbe sbloccare ingenti risorse a favore di migliaia di professionisti, soprattutto dell'area tecnica e sanitaria, che vantano crediti certi, liquidi ed esigibili per svariati milioni di euro nei confronti della pubblica amministrazione centrale e locale».
Anche il Consiglio nazionale degli architetti plaude alle modifiche introdotte dai relatori Antonio D'Alì (Pdl) e Giorgio Santini (Pd) in un momento in cui «gli architetti stanno soffrendo, quanto o più delle imprese, lo scandalo dei ritardati o mai avvenuti pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni che stanno strozzando migliaia di professionisti e le loro famiglie, già colpite duramente dalla crisi».
Tra gli emendamenti approvati a palazzo Madama si segnalano anche quelli presentati in extremis dai relatori e che hanno portato a uno slittamento di un giorno della tabella di marcia, costringendo la camera dei deputati a un vero superlavoro per la definitiva conversione in legge del decreto che dovrà avvenire entro il 7 giugno.
Lunedì sera infatti (si veda ItaliaOggi di ieri) il duo Santini-D'Alì aveva partorito tre sostanziali modifiche in materia di finanza locale, molto attese e richieste dai comuni. Dalla proroga dell'uscita di scena di Equitalia dalla riscossione locale (che è slittata al 2014) a quella dei bilanci comunali (che a causa delle incertezze legate alla sospensione della prima rata dell'Imu potranno essere chiusi solo quando si conoscerà l'esito della riforma dei tributi immobiliari locali e quindi entro la nuova dead line del 30 settembre), passando per la restituzione dei 600 milioni che i sindaci si aspettavano a titolo di rimborso dell'Imu sui fabbricati di proprietà comunale.
Il farraginoso meccanismo messo in piedi dal Mef l'anno scorso prevedeva infatti che i comuni dovessero pagare (per di più a sé stessi) l'Imu sui propri fabbricati. L'equivoco normativo però non si limitava a creare una semplice partita di giro, ma incideva direttamente sui trasferimenti erariali ai comuni ridotti nel 2012 proprio in funzione del gettito Imu potenziale. L'emendamento Santini-D'Alì, su sollecitazione del governo, ha chiuso la partita non senza qualche polemica. Sono stati infatti stanziati 600 milioni di euro, ma 400 di questi sono stati reperiti dai fondi a disposizione delle imprese. Il fondo per pagare i debiti degli enti locali si riduce così di 200 milioni nel 2013 e di altri 200 milioni nel 2014. «È stata una scelta del governo», ha spiegato il relatore Santini, aggiungendo che «il fondo verrà rimpolpato nel 2014».
Approvato infine un emendamento che salva le elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in programma il prossimo 23 giugno. I giudici sovrannumerari che entro quella data non siano stati immessi nelle funzioni giurisdizionali non potranno né votare né essere eletti (articolo ItaliaOggi del 05.06.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIConsulenze p.a., vietato scegliere sempre gli stessi. Corte conti: discrezionalità e trasparenza a braccetto.
Nella scelta di avvalersi di consulenti esterni, appare estremamente incongruo nella fase valutativa delle candidature che la pubblica amministrazione non esprima una specifica preferenza in ordine al titolo di studio posseduto, ma destini specifica preparazione nel settore in cui si richiede detta consulenza. Infatti, operando in tal modo, l'amministrazione pubblica finisce per giovarsi dei medesimi soggetti. Lo scopo cui deve tendere l'agire pubblico è quello di assicurarsi il miglior profilo possibile, attraverso un giudizio complessivo sull'intero curriculum del candidato e non che un singolo aspetto sia sufficiente a sorreggere l'intera valutazione. Anzi, nel settore dei fondi europei, si assiste sempre più a una costante reiterazione di apporti professionali esterni all'organico della p.a., a scapito degli uffici già preposti e che sono in grado di curare i predetti progetti.

È quanto ha affermato la Corte dei conti, sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti delle amministrazioni dello stato, nel testo della recente deliberazione 04.06.2013 n. 10, con cui ha ricusato il visto e la conseguente registrazione ad alcuni contratti di consulenza esterna sottoscritti dal dipartimento per le pari opportunità, nell'ambito di programmi operativi co-finanziati con fondi europei.
Nei casi in esame, le doglianze della magistratura contabile si sono soffermate sui requisiti ritenuti necessari per l'espletamento dell'attività lavorativa. Posto che il dipartimento individua i soggetti attraverso l'immissione delle autocandidature in una «long list», è il passo successivo che desta perplessità. In pratica, se da un lato il dipartimento non esprime una specifica preferenza in ordine al titolo di studio (e quindi i collaboratori selezionati sono muniti di diverso diploma di laurea), dall'altro si richiede, invece, una specifica preparazione nel settore delle «pari opportunità». Specializzazione, scrive la Corte, che possiedono solo coloro che abbiano già ricoperto lo stesso tipo di consulenza. Ne consegue che in tal modo l'amministrazione «finisce per giovarsi, in modo più o meno continuo, sempre degli stessi soggetti».
Se tale modus operandi può farsi rientrare nella discrezionalità dell'azione amministrativa, è altresì pacifico che la stessa deve muoversi entro i binari del buon agire, della razionalità e della trasparenza. L'obiettivo, ovvero l'interesse, che l'amministrazione pubblica deve perseguire è quello di pervenire all'individuazione delle migliori risorse disponibili che, non necessariamente, coincidono con chi ha già operato presso la stessa p.a.
Richiedere e attribuire un ulteriore punteggio a una specifica professionalità nella materia oggetto della consulenza, pone, a detta della Corte, in una situazione «deteriore» tutti coloro che, pur muniti di titoli culturali di elevato valore e di adeguate esperienze professionali, non abbiano già svolto tale specifica attività. Lo scopo della p.a. è quello di assicurarsi il miglior profilo professionale, attraverso un giudizio che implichi la valutazione delle complessive qualità dei soggetti, evitando che un singolo aspetto di cui si compone il curriculum, sia sufficiente a sorreggere il giudizio complessivo.
A questo quadro, la Corte aggiunge che, nel caso di fondi europei, «si assiste a una costante reiterazione di apporti professionali esterni, vale a dire una sorta di provvista parallela di personale», a scapito di una struttura stabile dell'ufficio che è in grado di curare direttamente tali progetti (articolo ItaliaOggi del 26.06.2013).
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Massima deliberazione 04.06.2013 n. 10.
In tema di contratto di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, è consentita –in sede di controllo di legittimità- la verifica circa la rispondenza ai principi di razionalità, trasparenza, non-discriminazione dei criteri adottati dalla Commissione esaminatrice per la selezione dei candidati.
Nel caso di specie, mentre l’Amm.ne non esprimeva alcuna preferenza in ordine al titolo di studio necessario per l’espletamento dell’incarico, attribuiva esclusiva rilevanza all’esperienza maturata nello specifico settore, in modo tale da privilegiare coloro che avessero ricoperto lo stesso tipo di incarico.
La Sezione ha ritenuto che lo scopo cui deve tendere l’Amministrazione è quello di reperire il soggetto dotato del miglior profilo professionale attraverso un giudizio atto a ponderare le complessive qualità degli scrutinandi ed evitando che, un singolo aspetto di cui si compone il curriculum, possa sorreggere il giudizio complessivo.
Inoltre, il corretto utilizzo delle collaborazioni esterne, secondo il modello delineato dall’art. 7, comma 6 citato, postula un ambito temporale limitato, circostanza che non ricorre nel caso esaminato ove, nello specifico settore dei fondi europei, si assiste ad una costante reiterazione di apporti professionali esterni a scapito di una progressiva e adeguata strutturazione dell’Ufficio in grado di curare tale attività.
Per quanto attiene la retribuzione stabilita nei suddetti contratti di collaborazione, la Sezione ha stabilito che deve essere evidenziato l’iter logico seguito dall’Amm.ne per l’attribuzione del massimale di costo, posto che la circolare 2/2009 del Ministero del Lavoro (disciplinante il settore ed in base alla quale si era autovincolata), stabilisce che esso è “soggetto a contrattazione tra le parti in relazione alle specifiche competenze… (omissis) dei soggetti chiamati a svolgere le attività”.

maggio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI - VARI: È conto alla rovescia: a ogni professionista la sua polizza. Obbligati alla sottoscrizione oltre 2 milioni di iscritti all'albo e le società entro il 15 agosto.
Countdown per la sottoscrizione di una polizza di responsabilità civile per tutti i professionisti iscritti in albi. Tale obbligo (che peraltro è imposto anche a tutte le nuove società fra professionisti) dovrà essere assolto entro il prossimo 15 agosto da tutti coloro, fra i circa 2 milioni di iscritti a un albo professionale, che a oggi non hanno ancora provveduto.
L'obbligo nasce con l'art. 3, comma 5, lett. e), del dl 13/08/2011, n. 138 , e viene confermato con la conversione nella legge 14/09/2011 n. 148, in G.U. 216 del 16/09/2011. Una regolamentazione (soft) dell'obbligo avviene con il dpr 137/2012 con il quale è peraltro stabilità una proroga annuale dell'obbligo dall'agosto 2012 all'agosto 2013.
Tutti i professionisti (e le società da loro costituite) dovranno rendere noto ai clienti, evidenziando loro al momento dell'assunzione dell'incarico, come si legge nel regolamento «gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva». La violazione di tale dovere costituirà un illecito disciplinare. Ecco, in dettaglio, i maggiori rischi da coprire per ciascuna categoria professionale, da un lato, e dall'altro il confronto tra alcuni prodotti proposti dalle principali compagnie assicurative.
La copertura per il commercialista. La polizza Rc professionale tiene indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare (a titolo di sanzioni, interessi e spese) per danni colposamente cagionati a terzi, compreso i clienti, in conseguenza di errori personalmente commessi nell'esercizio della professione, mentre restano sempre escluse da copertura le sanzioni dirette comminate al professionista. Nelle condizioni standard del contratto viene normalmente inclusa la copertura per danni relativi:
a) all'attività di tenuta di contabilità, registri Iva e redazione di dichiarazioni fiscali, a causa di errori (non dolosi) imputabili al consulente;
b) al fatto colposo o doloso di collaboratori, sostituti di concetto, praticanti e dipendenti facenti parte dello studio professionale;
c) alla perdita, distruzione, danneggiamento di documenti di proprietà dell'assicurato o per i quali egli è legalmente responsabile o custode nell'esercizio dell'attività professionale;
d) a lesioni corporali e/o materiali involontariamente cagionati a terzi, compresi i clienti, in relazione alla conduzione dei locali e delle attrezzature adibite all'attività dell'assicurato, nonché per fatti dolosi o colposi dei dipendenti e collaboratori dello studio;
e) a perdite patrimoniali subite dai clienti e seguito dell'apposizione del visto di conformità (c.d. visto leggero) e/o dall'asseverazione per gli studi di settore e della certificazione tributaria (c.d. visto pesante), a condizione che l'Assicurato abbia e mantenga per tutto il periodo di Assicurazione i requisiti previsti dalle norme applicabili per l'esercizio di tali attività;
f) a perdite patrimoniali cagionate a terzi in conseguenza dell'errato trattamento dei dati personali (privacy) degli assistiti conseguente ad atti colposi.
Da evidenziare, tuttavia, che alcuni rischi, ordinariamente riscontrabili nell'attività di dottore commercialista ed esperto contabile, vengano «coperti» solo se espressamente richiamati dal contratto e, di norma con una integrazione del premio.
In particolare, si tratta di rischi rinvenibili nello svolgimento di specifiche funzioni, quali:
- consigliere di amministrazione o del consiglio di gestione;
- membro di collegi sindacali (o altro organo di controllo) di società o enti;
- revisore legale dei conti in società;
- membro di Commissione tributaria (legge 13/4/1988 n. 117);
- revisore/amministratore in Enti locali;
- liquidatore, anche giudiziale, di società o imprese;
- curatore e commissario giudiziale;
- incaricato per l'invio telematico di dichiarazioni fiscali (dpr 322/98 e succ. mod.);
- incaricato del pagamento di imposte, tasse e contributi (anche online) per conto del cliente;
- consulente su pratiche per l'accesso a finanziamenti agevolati o a fondo perduto;
- amministratore di stabili (condomini);
- consulenza del lavoro o in materia giuslavoristica;
- mediatore ex dlgs 28/2010 e dm 180/2010;
- amministratore di centri elaborazione dati;
- direttore presso Caf.
Va puntualizzato, in ogni caso, che una attenzione deve essere dedicata alle clausole relative alla «franchigia» e, soprattutto, allo «scoperto», ordinariamente inserite nelle polizze, che rimangono, comunque a carico degli assicurati (articolo ItaliaOggi Sette del 20.05.2013).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi ex art. 90 TUEL.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, condanna il Presidente della Provincia di Palermo al risarcimento del danno erariale subito dall'ente, nella misura corrispondente alle retribuzioni erogate a soggetti esterni all'amministrazione assunti -a tempo determinato- per le funzioni di segreteria e diretta collaborazione del vertice politico.
Il danno patrimoniale è ravvisato nell' illegittimità degli atti adottati in violazione della normativa vigente ed in contrasto con i principi di efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
La magistratura contabile:
- rammenta le condizioni che legittimano la costituzione degli uffici di staff ai sensi dell'art. 90 del TUEL e la necessità che la prescritta previsione regolamentare (ROUS) abbia contenuti specifici ed analatici, con l'indicazione del numero dei componenti (dette strutture) e, soprattutto, delle modalità di conferimento dei relativi incarichi;
- evidenzia i limiti che la giurisprudenza ha individuato in materia di assunzione/utilizzo di soggetti estranei alla pubblica amministrazione che si desumono, in primo luogo, dal principio secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono, di norma, svolgere i compiti istituzionali avvalendosi del proprio personale; la conferma risiede anche nell'art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 che legittima gli incarichi individuali ad esperti di provata competenza solo per esigenze cui gli enti non possono far fronte con il personale in servizio, per giustificati motivi e per una effettiva utilità;
- sottolinea che occorre collocare la facoltà in contesto (affinché sia corretta e legittima) "... nel solco dell'orientamento giurisprudenziale tracciato dalla Corte di cassazione in relazione ai principi di legalità, di economicità ed efficacia - affermati dal primo comma dell'art. 1 della legge 07/08/1990, n. 241, e strettamente collegati con il fondamentale principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione"; pertanto, "il potere discrezionale di ricorrere a professionalità esterne da abidire ad uffici di staff e di diretta collaborazione, anche con esperti o consulenti, del vertice politico non può ritenersi svincolato dal rispetto dei principi enunciati dal citato primo comma dell'art. 1 della legge n. 241/1990".
L'inosservanza della normativa e dei sopracitati principi generali è riscontrata dalla Corte in relazione al fatto che gli incarichi esterni conferiti:
- non facevano alcun riferimento a concrete esigenze dell'ufficio di supporto agli organi politici; la motivazione riportata negli atti era una semplice ed astratta affermazione dell'utilità di migliorare il grado di efficienza dell'ufficio;
- non erano stati preceduti dalla preventiva verifica dell'insussistenza di professionalità interne da adibire ai compiti richiesti, così come mancanti anche della sola indicazione delle ragioni di preferenza delle professionalità esterne rispetto al personale in servizio; in particolare "Questo principio del preventivo utilizzo delle risorse già disponibili all'interno dell'Amministrazione, affermato dalla giurisprudenza contabile in relazione al conferimento di incarichi di consulenza o di alta professionalità, assume una maggiore valenza per l'attribuzione di compiti di Segreteria, rispetto ai quali, nonostante l'indubbio carattere fiduciario, può ragionevolmente presumersi la presenza all'interno dell'Ente di soggetti in grado di assicurare lo svolgimento di queste attività di assistenza del vertice politico dell'Ente, che in astratto richiedono un normale livello di competenze professionali e di diligenza, reperibile senza particolari difficoltà tra i numerosi dipendenti della Provincia di Palermo" (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, sentenza 16.05.2013 n. 1953 - tratto da www.publika.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALIVi è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97 Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità.
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno (esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda.
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi dall’esegesi dell’art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’ art. 110, comma 1, 2, e 6 del dlg. 267/2000 (con esclusivo riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co. 11 e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del d.l. 223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della l. 244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste, è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità od urgenza.
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Requisito imprescindibile della responsabilità amministrativo-contabile è la sussistenza del danno erariale.

Il legislatore si è occupato di disciplinare in dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla collaborazione esterna così esprimendo a monte una valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo, assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.

Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al M. costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a prescindere dall’attività concretamente svolta da questi, poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da soggetti interni all’amministrazione stessa.
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L’evento dannoso per cui è causa (ndr: illegittimo incarico professionale all'esterno dell'ente) è stato determinato non solo dalla condotta colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta municipale con la quale è stato deciso il conferimento dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142 del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del diritto, svolge una specifica funzione di garante della legalità e della correttezza amministrativa dell’azione dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione della palese violazione dei parametri normativi.

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1) La questione posta al vaglio del Collegio riguarda una ipotesi di danno erariale relativo all’attribuzione di un incarico a soggetto estraneo all’ente comunale.
In particolare, parte requirente contesta agli odierni convenuti di aver conferito, con contratto di diritto privato a tempo determinato, la gestione operativa dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata al sig. Macrì, in assenza dei presupposti cui il legislatore subordina l’esternalizzazione.
2) In primo luogo si ritiene di dovere premettere alcune considerazioni, tenendo comunque presente che con la delibere richiamata in citazione è stato stipulato un contratto a tempo determinato in ragione dell’art. 110, comma 2° del Tuel.
Vi è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97 Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità
(Corte dei conti, Sez. Sardegna, 18.09.2008, n. 1831; Corte dei conti, Sez. Lazio, 12.05.2008, n. 787).
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno (esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda (Sez. controllo, 26.11.1991, n. 111; SS. RR., 23.06.1992, n. 792, e 12.06.1998, n. 27; Sez. II, 13.06.1997, n. 81, e 18.10.1999, n. 271).
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi dall’esegesi dell’ art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’art. 110, comma 1, 2, e 6 del dlgs. 267/2000 (con esclusivo riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co. 11 e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del d.l. 223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della l. 244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste, è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità od urgenza.
3) Tanto premesso, come innanzi evidenziato, la disposizione di riferimento è contenuta nell’art. 110, comma 2, del d.lgs. 276/200, che consente, entro i limiti e seguendo i criteri e le modalità indicate nel regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, di stipulare contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva.
Anche detta disposizione, tuttavia, subordina il ricorso a risorse esterne solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente.
4) Ebbene, il Collegio non ritiene che l’incarico assegnato al Macrì sia stato conferito in presenza dei presupposti legittimanti.
In primo luogo occorre chiarire che le incombenze assegnate al suddetto avevano la forma di “operazioni amministrative”, e quindi avevano un esclusivo contenuto materiale.
Con riferimento all’attività contabile e tributaria, infatti, quando si parla di gestione operativa (soprattutto in un ente di ridottissime dimensioni), non può che farsi riferimento all’attività necessaria per portare ad esecuzione le già disposte decisioni amministrative, in termini di pagamenti delle spese e di riscossioni dell’entrate.
Trattasi, sostanzialmente di operazioni reali seguite dai doveri di annotazione nelle scritture contabili dell’ente delle operazioni svolte; compiti dunque aventi esclusivamente natura esecutiva.
Ebbene, dall’esame della pianta organica risulta che, all’epoca dei fatti, nell’Area Amministrativa nel Comune di Serrata vi era un posto (coperto) di istruttore amministrativo, categoria C, posizione economica C5 le cui mansioni erano perfettamente compatibili con “la gestione operativa dell’attività contabile e tributaria” di un paese di 1.000 abitanti circa.
L’istruttore amministrativo, infatti, secondo la declaratoria dei profili professionali di cui al CC.N.EE.LL. del 31/03/1999, svolge un’attività caratterizzata da contenuti di concetto con responsabilità di risultato relativi a specifici processi produttivi/ amministrativi, ha un’autonomia di iniziativa circoscritta al proprio ambito operativo tant’è che se posto nell’ambito di una organizzazione di medie dimensioni assume la funzione di capoufficio. E’ un lavoratore che svolge attività istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile, curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di legge ed avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche del profilo, la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati.
Peraltro che le mansioni attribuite al Macrì fossero al massimo quelle proprie dell’istruttore amministrativo emerge senza alcun dubbio altresì ove si pongano a confronto con quelle proprie del funzionario, Istruttore Direttivo, categoria d (profilo immediatamente superiore alla cat. C) al quale, invece, è chiesto di espletare funzioni di elevato contenuto professionale che si concretizzano in attività di studio, di ricerca, di elaborazione di piani e programmi, di predisposizione e formazione di atti e provvedimenti di notevole grado di difficoltà.
Non solo; la Giunta Municipale aveva previsto in pianta organica, nell’area amministrativa, un posto di istruttore contabile, categoria C.
Tanto premesso,
si ritiene che le incombenze assegnate al ragioniere esterno avrebbero dovuto essere espletate dall’Istruttore amministrativo già presente nell’Area Amministrativa o addirittura, da altro dipendente (anche con profilo funzionale inferiore) mediante la progressione verticale.
Detto assunto, infatti, scaturisce dalla delibera dell’Organo giuntale avente ad oggetto “approvazione nuova dotazione organica e piano triennale delle assunzioni” nella quale viene chiaramente affermato “la copertura del posto di istruttore contabile è prevista mediante la progressione verticale”; la qualcosa lascia presumere che nell’ambito della dotazione organica vi fossero professionalità ,anche di profilo inferiore alla C, capaci di svolgere le funzioni assegnate all’esterno.
5) Tra l’altro, nella delibera con la quale si autorizza il sindaco al conferimento dell’incarico esterno, nessuna motivazione concreta viene formulata in ordine alla inesistenza di idonea professionalità nell’ambito dell’ente.
Nessun argomento, infatti, viene esternato in ordine alla eventuale inidoneità dell’istruttore amministrativo in organico a svolgere le mansioni esternalizzate Né risulta in altro modo che una tale valutazione sia stata concretamente svolta.
In proposito il Collegio condivide quanto affermato dalla Sezione Toscana, nella sentenza n 329/2009, e cioè che “non si può ignorare la necessità che tali valutazioni siano suffragate da serie e documentate azioni”.
6) Invero, l’attribuzione della gestione operativa dell’attività contabile e tributaria all’istruttore amministrativo in organico sarebbe stata altresì possibile in considerazione dell’esigua mole di lavoro conferita all’esterno; si consideri al riguardo che Il Macrì, secondo il contratto, avrebbe dovuto garantire almeno due accessi settimanali in ufficio; e per tuziorismo si evidenzia che le mansioni affidate al ragioniere potevano essere svolte solo in ufficio.
Ebbene, seppure l’istruttore fosse già impegnato all’Ufficio anagrafe (per come assunto dalla difesa), ben poteva svolgere anche detta ulteriore mansione anche solo in considerazione della modesta entità di lavoro che l’ ufficio anagrafe di un paesino di meno di 1000 abitanti è chiamato ad espletare.
7) Ma la illegittimità scaturisce anche da altra considerazione.
Il Macrì, contro ogni principio che disciplina l’esternalizzazione, è stato consulente contabile presso il comune di Serrata dal 1980 al 2002, ed incaricato all’Ufficio finanziario e tributario dal 2003 a tutt’oggi.
In sostanza il suddetto ragioniere, a dispetto di tutte le norme che regolano le procedure di reclutamento e di assunzione del personale nelle pubbliche amministrazioni, svolge attività lavorativa a favore del comune di Serrata da oltre trent’anni senza aver mai superato un concorso pubblico.
Tanto emerge sia dal curriculum vitae del Macrì che dalla deliberazione della Giunta municipale nella quale è espressamente dichiarato “che l’Ufficio di ragioneria si è avvalso del supporto del Rag. Macrì Tito da lungo tempo”.
Tanto premesso, l’incarico è stato conferito in assenza dei presupposti normativi.
8) Requisito imprescindibile della responsabilità amministrativo-contabile è, tuttavia, la sussistenza del danno erariale.
Il difensore dei convenuti oppone, in proposito, che l’amministrazione avrebbe comunque beneficiato delle prestazioni professionali rese dal Macrì.
Il Collegio tuttavia ritiene di non poter condividere detto assunto e di non poter configurare un’ipotesi di vantaggio derivante all’amministrazione locale.
Il legislatore, infatti, si è occupato di disciplinare in dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla collaborazione esterna così esprimendo a monte una valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo, assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.

Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al Macrì costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a prescindere dall’attività concretamente svolta da questi, poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da soggetti interni all’amministrazione stessa.
9) La Procura ha ritenuto di citare il Sindaco e gli assessori che hanno deliberato di conferire l’incarico al Macrì.
E’ fuori ogni dubbio che il danno testé configurato sia etiologicamente riconducibile alla condotta posta in essere dai suddetti soggetti.
Si consideri, infatti, che il Sindaco e gli assessori Sofi e Sorrento, con il provvedimento n. 4 del 07.01.2010, hanno deliberato il conferimento della gestione operativa dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata al rag. Macrì. Così come, il Sindaco, in ottemperanza a quanto disposto nella delibera giuntale, ha provveduto a conferire l’incarico.
Tutti atti illegittimi, per i motivi innanzi indicati e forieri del danno erariale per cui è causa.
10) Ma la condotta, oltre ad essere illecita è altresì connotata da colpa grave.
I suddetti, infatti, in spregio alle norme che regolano la materia con assoluta noncuranza dei parametri normativi (propri dell’azione amministrativa) dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità ed in violazione alle più elementari regole di buona amministrazione, hanno gestito con evidente negligenza e trascuratezza il patrimonio del Comune di Serrata.
Peraltro la gravità della colpa appare di tutta evidenza proprio in considerazione che detto incarico è stato conferito, senza soluzione di continuità, dal 2003 ad oggi.
Non solo; gli odierni convenuti ben conoscevano la dotazione organica nonché la previsione di copertura del posto di istruttore contabile mediante la progressione verticale: loro stessi, infatti, lo avevano deliberato nel 2009.
Un ulteriore elemento emerge dagli atti e cioè che il Comune di Serrata, da oltre venticinque anni utilizzava l’esternalizzazione per provvedere ai bisogni istituzionali dell’ente evidentemente considerando il ricorso a professionalità esterne come una prerogativa arbitraria propria degli amministratori.
In ogni caso, l’elemento che, a fortiori, convince il Collegio ad affermare la gravità della colpa nella condotta degli odierni convenuti, scaturisce dal fatto che il 05.03.2010, quindi appena due mesi dopo il conferimento, il gruppo consiliare “Nuovi orizzonti” chiedeva al Sindaco, alla Giunta Municipale ed al Segretario comunale, di revocare l’incarico al Macrì in considerazione dei molteplici profili di illegittimità.
Ebbene,
anche a fronte di una puntuale ed argomentata richiesta di revoca, i suddetti organi non hanno inteso prendere posizione, mantenendo, seppure avvisati della illegittimità, l’incarico al Macrì in spregio alle disposizioni che disciplinano la materia.
11) L’ultimo profilo da esaminare riguarda la ripartizione del danno evidenziando che “se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso” (art. 1-quater l. 20/1994 ).
Il Collegio ritiene innanzi a tutto che
l’evento dannoso per cui è causa è stato determinato non solo dalla condotta colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta municipale con la quale è stato deciso il conferimento dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142 del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del diritto, svolge una specifica funzione di garante della legalità e della correttezza amministrativa dell’azione dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione della palese violazione dei parametri normativi.

Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover imputare idealmente il 25% del danno erariale al segretario comunale non citato e di ripartire il restante 75% in parti uguali tra il sindaco (Vinci Salvatore) e gli altri due membri della giunta municipale presenti alla seduta del 07.01.2010 (Sofi Angelo e Sorrenti Gioacchino) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria, sentenza 10.05.2013 n. 159).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Non è necessario per poter partecipare all'affidamento di incarichi di progettazione in qualità di raggruppamento temporaneo avere come associato un professionista abilitato da meno di cinque anni all'esercizio della professione.
Per poter partecipare all'affidamento di incarichi di progettazione in qualità di raggruppamento temporaneo non è necessario avere come associato un professionista abilitato da meno di cinque anni all'esercizio della professione, e ciò in quanto il c. 7 dell'art. 90 del codice dei contratti (D.lgs. n. 163/2006), parla soltanto di "presenza" di un giovane professionista, con evidenti finalità di carattere "promozionale", non potendo essere intesa come prescrizione di un vero e proprio obbligo di "associare" il giovane professionista al raggruppamento.
Pertanto, ai fini della valida partecipazione di un R.T.I. a procedure indette per l'aggiudicazione di servizi di progettazione, è sufficiente che nella compagine del raggruppamento sia contemplata la presenza, con rapporto di collaborazione professionale o di dipendenza, di un professionista abilitato iscritto all'albo da meno di cinque anni, senza la necessità che questi assuma anche responsabilità contrattuali.
Ciò che conta, in definitiva, è che il giovane professionista -pur senza assurgere a responsabilità sociali probabilmente non proporzionate alla sua ridotta formazione professionale- partecipi al servizio di progettazione oggetto di affidamento maturando esperienze professionali e lavorative.
È questa la finalità promozionale della previsione, che viene radicalmente disattesa ove il giovane professionista -pur figurando sulla carta come componente del gruppo di lavoro- non è in realtà investito della benché minima incombenza collaborativa e non può quindi acquisire alcuna utile esperienza formativa (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 08.05.2013 n. 268 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Gare, giovani uniti. Se associati in Rti hanno i requisiti. Il Tar Calabria sui requisiti nelle gare per i progettisti.
Nelle gare di progettazione il giovane professionista, se associato in raggruppamento, non è tenuto a documentare requisiti di qualificazione, ma deve essere abilitato da meno di cinque, anni, iscritto all'albo e avere un preciso ruolo come progettista che gli consenta di acquisire un'utile esperienza formativa.

È quanto afferma il TAR Calabria-Reggio Calabria, con la sentenza 08.05.2013 n. 268, che ha avuto anche modo di precisare che nei raggruppamenti di progettisti il limite minimo per la mandataria vale soltanto in caso di raggruppamenti orizzontali e nell'ambito dei sub raggruppamenti orizzontali.
I giudici hanno preso in esame una gara di progettazione in cui il raggruppamento aggiudicatario, costituito in forma mista, aveva associato un giovane professionista che però non dichiarava né requisiti di qualificazioni, né quote di partecipazione al raggruppamento. Accertata la finalità «promozionale» della norma sul giovane professionista (art. 253, comma 5, del dpr 207/2010) e il fatto che la «presenza» nel raggruppamento può anche non essere assicurata anche soltanto indicando un collaboratore di uno degli associati, il tribunale ha precisato che se il giovane professionista viene associato nel raggruppamento, non risultano comunque operanti anche nei suoi confronti gli obblighi di qualificazione, né l'obbligo (allora vigente) di indicare la quota di partecipazione.
Per il collegio giudicante quel che conta (ed è questa la ratio della legge) è che il giovane professionista, senza assumere responsabilità sproporzionate rispetto alla sua limitata formazione professionale, possa partecipare al servizio di progettazione oggetto dell'appalto maturando esperienze professionali e lavorative. Devono però essere rispettati i paletti posti dal regolamento del Codice (non più di cinque anni dal superamento dell'esame di stato; iscrizione all'albo e coinvolgimento come progettista nella compagine che si candida.
Il fatto che sia stato qualificato come «mandante», in assenza di una specifica previsione di quota partecipativa, «non può assurgere a causa di esclusione del raggruppamento, vista la finalità della previsione normativa e considerato che i requisiti di partecipazione previsti dal bando erano interamente assolti dagli altri professionisti». Un secondo aspetto trattato nella sentenza attiene alla norma del requisito minimo che può essere richiesto dalle Amministrazioni la mandataria di un raggruppamento di progettisti.
A tale riguardo il Tar precisa che l'articolo 261, comma 7, del dpr 207/2010 opera solo nell'ambito dei raggruppamenti orizzontali e che, quindi, nel caso specifico il limite fissato (al 40%) doveva essere verificato non in rapporto all'intero ammontare dell'appalto, ma rispetto alla classe e categoria per la quale era stato costituito il sub raggruppamento orizzontale (articolo ItaliaOggi del 17.05.2013).

INCARICHI PROGETTUALI - SICUREZZA LAVORO: Oggetto: Art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive modifiche e integrazioni - risposta al quesito relativo ai requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori - definizione di "attività lavorativa nel settore delle costruzioni" (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Commissione per gli Interpelli, interpello 02.05.2013 n. 2/2013).

aprile 2013

INCARICHI PROGETTUALI: L’estensione dell’obbligo di assicurazione agli iscritti all’Ordine degli ingegneri (art. 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148 e art. 5 del D.P.R. 07.08.2012, n. 137) (Centro Studi Consiglio Nazionale Ingegneri, aprile 2013).

INCARICHI PROFESSIONALI: Ritiene questo Collegio che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato esterno all’Amministrazione, destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale, questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione).
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Con la richiamata nota il Sindaco del Comune di Nocciano (PE) sottopone al parere della scrivente Sezione diversi quesiti:
1. se al servizio di consulenza legale, consistente nella redazione di pareri, in valutazioni, in espressione di giudizi utili per orientare le scelte dell'amministrazione su problematiche in materia amministrativa, civile o penale, debba applicarsi la normativa di cui all'art. 7, comma 6 e ss., del D.lgs 165/2001 o se invece debba applicarsi la normativa di cui al D.lgs 263/2006, allegato 118 ed in particolare quella sul cottimo fiduciario (art. 125, comma 11) mediante affidamento diretto;
2. se qualora la normativa applicabile risulti essere quella sugli incarichi esterni, l'ente sia tenuto alla liquidazione delle spettanze in favore del professionista e debba successivamente, -posto che la norma statuisce che in caso di omessa pubblicazione la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto- attivare procedura di rivalsa nei confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato seguito ad un contratto inefficace, o se invece l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del professionista che ha reso la propria prestazione professionale sulla base di un contratto valido ma inefficace.
In particolare, il Sindaco fa presente che,
• con delibera G.C. n. 29/2009 veniva affidato ad avvocato il servizio di assistenza legale in merito a problematiche, di diritto amministrativo, civile e penale, che non abbiano assunto la forma di contenzioso, per 1 anno, al fine di fornire un supporto sia agli amministratori che ai funzionari, con la stessa delibera veniva approvato apposito disciplinare di incarico;
• con successiva determina il responsabile competente provvedeva ad assumere impegno di spesa per € 5.000 oltre iva e cap;
• allo scadere del primo anno con delibera di G.C. n. 35/2010 veniva affidato, per un ulteriore anno, il servizio di assistenza legale al medesimo professionista;
In ottemperanza a detto incarico il professionista forniva la propria prestazione professionale rilasciando pareri sia scritti che verbali sia su richiesta degli organi politici che dei responsabili di servizio, per i periodi stabiliti e richiedeva il pagamento del corrispettivo pattuito.
L'attuale responsabile, nell'eseguire l'istruttoria per la liquidazione delle spettanze del prefato professionista, e ritenendo applicabile alla fattispecie la normativa sugli incarichi ad esterni, rileva quanto segue:
1. il conferimento dell'incarico in oggetto sembrerebbe avvenuto in assenza di procedura comparativa in ossequio dei principi di pubblicità, trasparenza e obiettività e comunque senza confronto fra più curricula.
2. L'attività di cui è stato incaricato il professionista, oggetto dell'incarico, non ha un contenuto dettagliato.
3. Non risulta adottata dall'ente una disciplina regolamentare della materia ai sensi dei commi 55 e ss. dell'art. 3 della Legge finanziaria 2008.
4. risulta una inosservanza dell'obbligo di pubblicazione sul sito web del provvedimento di incarico, secondo quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007, in forza del quale: "I contratti relativi a rapporti di consulenza con le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, sono efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del nominativo del consulente, dell'oggetto dell'incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell'amministrazione stipulante."
La norma in esame non specifica quando deve essere pubblicato l'incarico sul sito internet, ma di fatto rende inefficace un contratto che (pur giuridicamente valido) non è stato ancora reso pubblico, tuttavia nel caso di specie non è stato provveduto ad inserire sul proprio sito web nominativo, oggetto e compenso previsto per l'incarico né prima della stipula del disciplinare né dopo.
...
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n. 244 ha fissato regole di carattere procedimentale e sostanziale alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione.
Il dato di maggiore rilievo della disciplina dettata dalla legge finanziaria 2008 è, da una parte, l’obbligo di normazione regolamentare dei limiti, criteri e modalità di affidamento degli incarichi di cui sopra nonché del tetto di spesa annua, dall’altro la subordinazione del conferimento dell’incarico e delle consulenze ad un documento programmatico approvato dal Consiglio.
Le disposizioni operano su piani diversi.
Le norme regolamentari dettano una disciplina generale ed astratta per l’affidamento dell’incarico, disciplina alla quale deve uniformarsi ciascun provvedimento in concreto adottato dall’amministrazione.
Il primo contenuto precettivo del comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 è l’obbligo, posto in capo all’ente locale, di dettare norme regolamentari compiute in materia (debbono essere infatti fissati limiti, modalità e criteri per l’affidamento dell’incarico o della consulenza).
Prima della emanazione del citato comma 56, art. 3, legge 244/2007 non necessariamente l’ente locale era munito di una disciplina regolamentare degli incarichi. E’ sufficiente ricordare in proposito il quarto comma dell’art. 89 del T.U.E.L.
L’adozione delle norme regolamentari deve avvenire nel rispetto delle competenze e delle procedure previste dal T.U.E.L.
Va allora posta in evidenza l’autonomia statutaria degli enti locali, con la conseguenza che lo statuto è il punto di riferimento primario nell’adozione dei regolamenti, sia per quanto riguarda la dislocazione delle competenze per la loro emanazione, sia per quanto riguarda i principi ai quali deve conformarsi il testo normativo.
In mancanza di norme statutarie derogatorie la competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel rispetto però dei criteri generali stabiliti dal consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.)
Altro punto di riferimento relativamente al contenuto delle norme regolamentari sono i criteri generali fissati dal Consiglio. Il testo del comma 56 citato sembra in ogni caso presupporre la necessità di comunque rivalutare in sede regolamentare la materia degli incarichi e delle consulenze per stabilire più stringenti criteri ed in ogni caso il limite massimo della spesa (complessiva).
Può, pertanto, affermarsi che, sia nella ipotesi in cui non siano state precedentemente inserite nel regolamento di organizzazione disposizioni sul conferimento di incarichi e consulenze, sia nella ipotesi in cui sia necessario modificare “in parte qua” detto regolamento, il Consiglio comunale deve previamente fissare i criteri ai quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme regolamentari.
Le attività da regolamentare secondo le disposizioni contenute nell’art. 3, commi 54-57, della legge finanziaria per il 2008 riguardano una pluralità di ipotesi non omogenee, in quanto la disciplina ivi prevista si applica sia agli incarichi di collaborazione sia a quelli di studio e ricerca, sia alle consulenze.
In particolare gli incarichi di collaborazione attengono a due finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff del sindaco o degli assessori ovvero supportare l’attività degli ordinari uffici dell’ente. Le differenze non sono irrilevanti.
Nella prima ipotesi gli incarichi di collaborazione possono essere conferiti dal Sindaco o dagli assessori competenti “intuitu personae” a soggetti che rispondono a determinati requisiti di professionalità entro i limiti, anche di spesa, secondo i criteri e con le modalità previste nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e fermo restando il limite massimo di durata dell’incarico da conformarsi alla permanenza in carica del soggetto competente.
Nella seconda ipotesi il discorso è più complesso.
Va innanzitutto ricordato che le norme regolamentari intese a disciplinare detti incarichi debbono adeguarsi, in forza dell’art. 34, comma 6-ter, della legge n. 248/2006 di conversione del D.l. n. 223/2006, ai principi contenuti nell’art. 32 della medesima legge, dettati a fini di contenimento della spesa e del coordinamento della finanza pubblica. La vicenda, peraltro, si inserisce nel più complesso discorso della provvista di personale a tempo determinato per lo svolgimento dell’attività dell’ente. Le disposizioni regolamentari vanno, pertanto, coordinate con le norme di cui all’art. 3, commi da 90 a 96, dell’art. 3 della legge finanziaria 2008.
In ogni caso qualsiasi contratto di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale in forza dei noti principi costituzionali, oltre che delle specifiche disposizioni da ultimo richiamate (cfr., sulla esigenza di rispettare i principi costituzionali di organizzazione, la sentenza della Corte Cost. n. 27 del 21.02.2008), senza far riferimento alle soglie di ricorso alle procedure selettive previste in materia di lavori pubblici, del tutto estranee alla materia.
L’organo competente a conferire l’incarico è il dirigente preposto al settore, secondo il normale ordine delle attribuzioni.
Più ampi sono gli adempimenti previsti per l’affidamento di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione.
Infatti ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge finanziaria per il 2008 “l’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.
La norma da ultimo citata comprende un’ampia tipologia di documenti programmatici di competenza del Consiglio; di conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono essere previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità di ricorrere all’incarico. La spesa prevista dovrà poi essere inserita, concorrendo al limite massimo fissato nel regolamento, nell’apposito stanziamento del bilancio annuale. Va, peraltro, precisato che il limite massimo di spesa indicato nel regolamento deve essere fissato discrezionalmente dall’ente secondo criteri di razionalità e rapportato alle dimensioni dell’ente con particolare riguardo alla spesa per il personale.
Infatti, secondo giurisprudenza amministrativa consolidata (cfr. Cons. di St., sez. IV, sentenza n. 263/2008)
l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca) in linea generale si configura come contratto di prestazione d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello della locatio operis, rispetto al quale assume rilevanza la personalità della prestazione resa dall’esecutore. Concettualmente distinto rimane, pertanto, l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta senza caratterizzazione personale. Ciò fatto salvo quanto disposto dall’art. 91 D.Lgs. n. 163/2006 per gli incarichi di progettazione.
Esemplificativamente
con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista avvocato esterno all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta di una consulenza, studio o ricerca, destinata sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra indicata.

Peraltro, appare possibile ricondurre la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione ecc.).
Va affermato che
il legislatore, positivizzando principi di origine pretoria, segnatamente della giurisprudenza contabile, all’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001 ha indicato i presupposti essenziali per il ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
- devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Inoltre è previsto che le amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi e che i regolamenti di cui all’art. 110, co. 6, del D.Lgs. n. 267/2000 si adeguino ai principi suindicati.
Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il regime di trasparenza degli stessi, attraverso l’obbligo della pubblicità e dell’adeguata motivazione, ed il controllo sui medesimi in capo agli organi interni e alla Corte dei conti (L. n. 662/1996, D.l n. 168/2004, L. n. 311/2004, L. n. 266/2005).
Com’è noto
il D.L. n. 168/2004 ha distinto tre tipologie di incarichi esterni: di studio, di ricerca, di consulenza.
La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib. n. 6 del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione:
per gli incarichi di studio il riferimento è all’art. 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta; gli incarichi di ricerca presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione; le consulenze si sostanziano nella richiesta di un parere ad un esperto esterno.
Il tratto che accomuna le differenti tipologie è, secondo le SS.RR., la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie alla categoria del contratto di lavoro autonomo, più precisamente il contratto di prestazione d’opera intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.

Restano esclusi, quindi, da questo ambito i “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”, che, com’è noto, rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato (art. 409, n. 3 c.p.c.). Gli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la loro stessa natura, che prevede la continuità della prestazione ed un potere di direzione dell’amministrazione, in via concettuale apparirebbero incompatibili con gli incarichi esterni, caratterizzati (di norma) dalla temporaneità e dall’autonomia della prestazione.
Resta fermo peraltro, secondo le SS.RR., che, qualora un atto rechi il nome di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa, alla motivazione, ai controlli ed alle altre prescrizioni imposte dalla normativa generale sugli incarichi esterni.
In particolare gli incarichi di studio possono essere conferiti a soggetti particolarmente qualificati nella materia. Essi debbono avere ad oggetto materie di interesse del soggetto che li conferisce, avere durata certa e concludersi con la presentazione di elaborati espositivi dei risultati dello studio o della ricerca. Tutti questi elementi debbono risultare dall’atto di conferimento dell’incarico di studio, che regola il rapporto tra soggetto conferente ed incaricato.
Il comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008 sottopone alla dettagliata disciplina regolamentare, oltre che gli incarichi di “studio o di ricerca ovvero di consulenze”, anche quelli di “collaborazione”.
Del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione del comma 56 risultano essere gli incarichi conferiti ex art. 90 del TUEL (Uffici di supporto agli organi di direzione politica), ossia le cosiddette “collaborazioni di staff”. Infatti l’art. 90 TUEL fa espresso riferimento a dipendenti dell’ente ovvero a “collaboratori assunti con contratto a tempo determinato” (collocati, se dipendenti da una pubblica amministrazione, in aspettativa senza assegni), cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali e, quindi, a figure professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di lavoro subordinato.
Più complesso è il discorso relativo all’esatta delimitazione delle cosiddette “collaborazioni coordinate e continuative” (ex art. 409 n. 3 c.p.c.) e alla loro distinzione rispetto agli incarichi di consulenza.
Costituisce ormai un principio condiviso (cfr. Corte dei conti delib. SS.RR. n. 6/2005 nonché circolare Dip. Funz. Pubbl. 15.03.2005) quello secondo cui dalla lettura sistematica delle disposizioni delle leggi finanziarie più recenti (cfr. legge n. 311/2004 finanziaria per il 2005 e legge n. 266/2005 finanziaria per il 2006 le quali fissano tetti di spesa separati per incarichi di consulenza e co.co.co., in particolare conglobando contratti a termine e co.co.co. in un unico tetto di spesa) emerge l’intenzione del legislatore di stabilire una linea di demarcazione tra le collaborazioni ad alto contenuto professionale e le altre “semplici” collaborazioni coordinate e continuative. Le prime hanno ad oggetto prestazioni implicanti un’alta specializzazione (non rinvenibile nelle normali competenze del personale della P.A.) e una correlativa attività lavorativa sostanzialmente autonoma. Le altre co.co.co. sono state spesso utilizzate negli ultimi anni (analogamente ai contratti di lavoro a tempo determinato e a fronte dei tagli o blocchi delle assunzioni di lavoratori subordinati nella P.A.) per l’espletamento di prestazioni ordinarie non richiedenti un elevato grado di autonomia organizzativa.
Pertanto, il criterio per distinguere le collaborazioni ad alto contenuto professionale dalle semplici co.co.co. va ravvisato in un canone di sostanzialità, in base al contenuto della prestazione ed alle modalità di svolgimento della stessa (cfr. anche Corte conti sez. giur. reg. Umbria n. 447/2005).
Questa logica distintiva appare ancora attuale nell’impianto della legge finanziaria per il 2008, ed anzi è portata all’estreme conseguenze.
Da un lato l’utilizzo delle “ordinarie” co.co.co. appare attualmente fortemente ristretto: la logica della legge finanziaria per il 2008 è, infatti, quella di evitare il formarsi di precariato nella P.A., anche attraverso un rigido contenimento del lavoro flessibile (cfr. art. 3, comma 79), con la conseguenza che per l’espletamento delle ordinarie attività amministrative varrà il principio generale “dell’autosufficienza”.
Dall’altro lato, vengono ulteriormente fissati i limiti alle collaborazioni esterne ad elevata professionalità prevedendo, per queste ultime, gli adempimenti di cui ai commi 53-57 dell’art. 3.
L’individuazione dell’alta professionalità risulta peraltro subordinata al requisito della “particolare e comprovata specializzazione universitaria” di cui al comma 76 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008.
Le collaborazioni ad elevata professionalità, pertanto, rientrano nell’ambito di applicazione del comma 56 dell’art. 3 legge finanziaria per il 2008 e quindi necessitano della disciplina ad opera del regolamento dell’ente locale. Le altre “semplici” co.co.co., al contrario, ne sono escluse; peraltro l’utilizzo di quest’ultime non risulta conforme alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività amministrative ordinarie.
Conseguentemente,
ritiene questo Collegio, così come previsto nelle “Linee di Indirizzo e criteri interpretativi dell’art. 3, commi 54-57 della l. 244/2007 in materia di regolamento degli enti locali per l’affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza” emanate dalla Sezione Autonomie nell’Adunanza del 14.03.2008, che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero professionista, avvocato esterno all’Amministrazione, destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale, questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il 2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27 (trasparenza, efficacia, non discriminazione).
Per ciò che concerne la richiesta relativa al comportamento del Comune ed in particolare se “l'ente sia tenuto alla liquidazione delle spettanze in favore del professionista e debba successivamente, attivare procedura di rivalsa nei confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato seguito ad un contratto inefficace, o se invece l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del professionista che ha reso la propria prestazione professionale sulla base di un contratto valido ma inefficace” si ricorda che l’attività consultiva di cui all’art. 7, comma 8, della Legge 131/2003, intestata alle Sezioni regionali di controllo della Corte, non può riferirsi a scelte o a comportamenti amministrativi specifici, riconducibili all’ambito di esercizio della discrezionalità amministrativa del singolo ente.
Nei documenti d’indirizzo sopra richiamati, viene infatti precisato che possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei Conti le sole “questioni volte ad ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di carattere generale”, dovendo quindi ritenersi inammissibili le richieste concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici.
Per questo motivo,
il Collegio ritiene di non poter effettuare una valutazione sulla correttezza del comportamento dell’Ente per non incorrere nel coinvolgimento diretto di questa Sezione nell’amministrazione attiva di competenza dell’Ente interessato, non rientrante nei canoni dalla funzione consultiva demandata alla Corte dei conti (Corte dei Conti, Sez. controllo Abruzzo, parere 30.04.2013 n. 25).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOConsulenze, no web no money. Senza pubblicazione non è possibile liquidare l'onorario. La Corte conti ha condannato un responsabile finanziario a una sanzione pari al compenso.
Il funzionario pubblico che liquida un compenso ad un consulente esterno, nonostante l'amministrazione non abbia ottemperato alla pubblicazione, sul proprio sito internet, del relativo provvedimento di conferimento, è soggetto, a titolo di responsabilità erariale, al pagamento di una sanzione pari al compenso pattuito.
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È quanto ha deciso la Sez. giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Molise, nel testo della recente sentenza 29.04.2013 n. 48, applicando, per la prima volta sul panorama giurisprudenziale, i precetti indicati dal legislatore all'articolo 1, comma 127, della legge finanziaria 2007 (come modificato dall'art. 3 comma 54, della finanziaria 2008), dirimendo la vicenda che ha visto convenuto in giudizio un responsabile finanziario di un comune molisano che aveva provveduto a liquidare il compenso a un soggetto esterno, non avendo preventivamente verificato la pubblicazione dell'incarico sulla pagina istituzionale dell'amministrazione comunale.
E nei fatti oggetto del giudizio in esame, al momento del pagamento, sulla home-page del comune non vi era alcuna traccia del provvedimento di incarico.
Come si ricorderà, la disposizione sopra richiamata impone che le p.a. che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso, sono tenute (è pertanto un obbligo e non certo una facoltà) a pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato. La norma, poi, prevede che in caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o di consulenza costituisca illecito disciplinare e determini la responsabilità erariale del dirigente preposto al pagamento.
Secondo il collegio giudicante della magistratura contabile molisana, la disposizione si mostra chiara e non necessita di alcuna interpretazione estensiva nel prevedere una responsabilità erariale per tutti quei casi in cui si provveda a liquidare gli incarichi di collaborazione, senza che si sia preventivamente pubblicato, sul sito della p.a., il provvedimento di incarico, completo dei dati che vanno nella direzione auspicata dei principi che devono regolare la massima trasparenza e pubblicità tra la pubblica amministrazione e il cittadino.
Entrando nel merito, sotto il profilo del danno, il collegio ha osservato che la responsabilità di cui sopra non implica necessariamente che si accerti la sussistenza di un danno patrimoniale (quindi di un depauperamento delle casse comunali). Pertanto, in queste ipotesi, occorrerà solamente verificare la semplice violazione della disposizione normativa, oltre ad accertare la sussistenza dell'elemento psicologico della colpa grave (o del dolo, in alcuni casi) in capo al soggetto convenuto.
In particolare, ha aggiunto la Corte nella sua attenta disamina, deve essere chiarito che la norma violata, pur connotando l'illiceità della liquidazione del compenso in assenza dei necessari requisiti di pubblicità e trasparenza, non individua una specifica sanzione come conseguenza della violazione commessa. La sua quantificazione, quindi, è rimessa all'autonoma valutazione del giudice contabile.
Sotto il profilo soggettivo, è indubbio che la condotta del responsabile finanziario sia connotata da colpa grave, sia per la funzione apicale rivestita in seno all'ente locale sia perché la norma, al verificarsi della liquidazione delle spettanze (siamo nel novembre del 2009), era già in vigore da circa due anni (1/1/2008). La colpa grave, pertanto, è collegata all'inescusabilità dell'errore interpretativo su una norma sanzionatoria che, ammette il collegio, «si mostra estremamente chiara e inequivoca» o, in alternativa, alla mancata attivazione di un procedimento che avrebbe consentito al convenuto di accertare la regolare osservanza della norma.
Tuttavia, nella quantificazione del danno, rispetto alla richiesta della Procura, pari all'ammontare del compenso, liquidato in 3.900 euro, il collegio ha optato per un suo dimezzamento. In questo caso, infatti, trova applicazione l'istituto della «compensatio lucri cum damno», ovvero la detrazione dall'importo contestato dei vantaggi comunque ricevuti dall'amministrazione, grazie all'opera svolta dal consulente esterno (articolo ItaliaOggi del 24.05.2013).

INCARICHI PROFESSIONALIIl dettato normativo non sembra, in considerazione dell’ampiezza della locuzione utilizzata, consentire alcuna limitazione al novero delle consulenze prese in esame ai fini della riduzione della spesa”.
Del resto, l’esclusione delle consulenze talmente specialistiche da essere comunque al di fuori delle professionalità interne all’Amministrazione “non appare coerente con la disciplina dettata in materia (articolo 7 del decreto legislativo 165/2001) che prevede, espressamente, tra i presupposti per il ricorso a collaborazioni, il preliminare accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’Amministrazione e la natura temporanea e altamente qualificata della prestazione resa da esperti di particolare e comprovata specializzazione”.
Ne deriva che il Comune è tenuto a rispettare il limite di spesa ex art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, nel vigente quadro legale ed ermeneutico della giurisprudenza costituzionale e contabile.

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Il Sindaco del Comune di Cisano Bergamasco (BG) ha posto alla Sezione una richiesta di parere sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente osserva quanto segue.
Il Comune nel 2009 ha affidato un unico incarico di consulenza per l’esigua somma di Euro 2.856,00. Premesso ciò, il Sindaco chiede se sia possibile affidare nel 2013 un incarico per assistenza legale per problematiche di particolare difficoltà sorte per pratiche edilizie complesse, non rispettando il limite di cui all’art. 6, c.7, del D.L. 78/2010. In base a tale disposizione, le Pubbliche Amministrazioni possono, per l’anno in corso, conferire incarichi di consulenza nel limite del 20% della spesa effettivamente sostenuta nel 2009.
L’organo rappresentativo dell’ente precisa che tale consulenza legale risulta necessaria: infatti, nel settore tecnico non vi sono figure professionali in grado di formulare pareri su pratiche così complesse, ragion per cui si rivela indispensabile un legale specializzato.
Tale incarico verrebbe affidato di volta in volta specificandone la motivazione, per un importo complessivo non superiore, complessivamente nell’anno 2013, alla somma di euro 10.000,00.

...
La tematica relativa all’esegesi dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 è stata affrontata dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede nomofilattica, con specifico riferimento alla possibilità di escludere dall’applicazione dei limiti previsti dall’art. 6, comma 7, le spese per incarichi di consulenza “talmente specialistiche che siano comunque al di fuori delle professionalità interne all’amministrazione” (Corte dei Conti, Sezioni Riunite, n. 50/2011).
Il Supremo Consesso della Magistratura contabile, la cui esegesi riveste natura vincolante per tutte le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, ha ritenuto che
il dettato normativo non sembra, in considerazione dell’ampiezza della locuzione utilizzata, consentire alcuna limitazione al novero delle consulenze prese in esame ai fini della riduzione della spesa”. Del resto, l’esclusione delle consulenze talmente specialistiche da essere comunque al di fuori delle professionalità interne all’Amministrazione –proseguono le Sezioni Riunite– “non appare coerente con la disciplina dettata in materia (articolo 7 del decreto legislativo 165/2001) che prevede, espressamente, tra i presupposti per il ricorso a collaborazioni, il preliminare accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’Amministrazione e la natura temporanea e altamente qualificata della prestazione resa da esperti di particolare e comprovata specializzazione”.
Ne deriva che il Comune di Cisano Bergamasco (BG) è tenuto a rispettare il limite di spesa ex art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, nel vigente quadro legale ed ermeneutico della giurisprudenza costituzionale e contabile
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 18.04.2013 n. 157).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALIContributi alla luce del sole. Dal 20 aprile trasparenza anche per incarichi e appalti. Ecco cosa cambierà con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 33 del 2013.
Cambia la pubblicità per contributi, incarichi e appalti. Il 20 aprile prossimo entrerà in vigore il dlgs 33/2013, decreto legislativo sul riordino della trasparenza, che spazza via l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge 134/2012, sostituito dagli articoli 26 e 27 del nuovo decreto.
In sostanza, il legislatore, sia pure con notevole confusione, distingue più nettamente le fattispecie di pubblicità che fino al 4 aprile scorso erano tutte comprese nell'abolito articolo 18: contributi, incarichi di collaborazione e appalti.
Contributi. È la fattispecie di provvedimenti più chiara. Non vi è alcun dubbio che gli articoli 26 e 27 si riferiscano a procedure mediante le quali le amministrazioni pubbliche assegnano «sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e comunque vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati», in applicazione dell'articolo articolo 12 della legge 241/1990, se di importo superiore a mille euro.
In questo caso, si pubblicano senza alcun problema i dati elencati dall'articolo 27, comma 1, anche se occorre precisare che detta elencazione non menziona i provvedimenti di assegnazione, che, come vedremo in seguito, sono essenziali.
Incarichi di collaborazione. La nuova formulazione dell'articolo 26 del dlgs 33/2013 elimina il riferimento contenuto, precedentemente, nel comma 1 dell'articolo 18 ai «compensi a persone, professionisti, imprese ed enti privati». Dunque, gli incarichi professionali di collaborazione e consulenza, prima inclusi nell'articolo 18, sembrano estrapolati. In effetti, la disciplina della pubblicità degli incarichi di collaborazione esterna si riscontra prevalentemente nell'articolo 15, commi 2 e 3, del decreto di riordino, i quali sostituiscono l'articolo 1, comma 127, della legge 662/1996 e l'articolo 3, comma 18, della legge 244/2007, anch'essi aboliti.
Tuttavia, l'articolo 27, comma 1, continua a citare tra i dati da pubblicare il «curriculum del soggetto incaricato». Ora, poiché nell'ambito dell'erogazione di contributi e sussidi non vi è alcun soggetto «incaricato», e visto che la gran parte delle informazioni da rendere note ai sensi dell'articolo 15 coincidono con quelle richieste dall'articolo 27, comma 1, è corretto ritenere che per quanto riguarda gli incarichi esterni l'elenco dei dati da pubblicare sia quello previsto dall'articolo 27, comma 1, integrato con gli specifici elementi richiesti dall'articolo 15: in particolare, la «ragione dell'incarico».
Appalti. Gli articoli 26 e 27 non contengono più alcun riferimento indiretto agli appalti. L'elenco dei dati da pubblicare previsto dall'articolo 27, comma 1, alla lettera h) non contiene più il periodo, presente invece nell'abolito articolo 18, «nonché al contratto e capitolato della prestazione, fornitura o servizio». Dunque, gli articoli 26 e 27 non disciplinano la pubblicità degli appalti.
E questo è confermato dall'articolo 37 del decreto di riordino, il quale in modo espresso sancisce che la pubblicità relativa agli appalti di lavori, forniture e servizi è contenuta esclusivamente nelle specifiche norme del dlgs 163/2006 e nell'articolo 1, comma 32, della legge 190/2012 (legge «anticorruzione»).
Efficacia. Altra rilevantissima modifica apportata dal dlgs 33/2013 rispetto all'abolito articolo 18 concerne la condizione di efficacia, connessa alla pubblicazione dei dati. La norma abolita stabiliva che detta pubblicazione condizionasse l'efficacia del «titolo legittimante»; ciò significava che occorreva pubblicare il contratto o la convenzione regolanti i rapporti di appalto, collaborazione o contributo (era totalmente erronea la tesi che il titolo legittimante potessero essere le fatture).
L'articolo 26, comma 3, del decreto di riordino, invece, stabilisce che la pubblicazione costituisce «condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo beneficiario». Sparisce, quindi, il riferimento al titolo legittimante.
Occorre, allora, pubblicare il provvedimento di assegnazione (delibera, determina) e tale pubblicazione lo rende efficace, non dunque, la pubblicazione all'albo pretorio, che resta in ogni caso necessaria. Pertanto, sebbene l'articolo 27, comma 1, non li menzioni nel suo elenco di dati da pubblicare, è evidente che i provvedimenti di assegnazione dei contributi o sussidi, nonché degli incarichi di collaborazione, debbono essere necessariamente pubblicati, così da permettere l'acquisizione di efficacia.
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La Consip non è sempre obbligatoria.
Nessun obbligo di adesione alle convenzioni Consip per gli enti locali, tranne che per le forniture di energia, gas, combustibili e telefonia; è invece obbligatorio il rispetto dei parametri-qualità prezzo desunti dalle convenzioni stipulate dalle centrali di committenza.
È questo il quadro che si trae dalla lettura delle norme che si sono succedute in questi ultimi mesi e sulle quali sono sorte, in sede interpretative, alcune tesi difformi che meritano di essere meglio chiarite e specificate alla luce della normativa vigente.
In sintesi la situazione è tale per cui, alla luce del decreto c.d. spending review bis (legge 94/2012 di conversione del dl 52/2012), che ha rafforzato l'obbligo, per tutte le p.a., di fare ricorso alle convenzioni Consip per gli acquisti, ai sensi dell'art. 1, c. 499, della legge 296/2006, come modificato di recente dalla stessa legge 94, effettivamente esistono da un lato l'obbligo di adesione alle convenzioni Consip per le sole amministrazioni statali (tranne per quelle operanti nel settore dell'istruzione: scuole e università) e dall'altro l'obbligo di utilizzo delle convenzioni stipulate dalle centrali regionali da parte del servizio sanitario nazionale.
Per gli enti locali (ma sono esclusi gli enti con popolazione fino a 1.000 abitanti, o a 5.000 per i comuni montani), invece, i paletti sono due: utilizzare i parametri di qualità e prezzo, sia delle convenzioni stipulate dalla centrale di committenza statale o da quelle regionali, come limiti massimi per la stipulazione dei contratti; aderire alle convenzioni Consip per i contratti di fornitura di energia elettrica; gas; carburanti rete e carburanti extra-rete; combustibili per riscaldamento; telefonia fissa e telefonia mobile (le precise categorie merceologiche sono indicate dall'art. 1 c. 7, del dl 95/2012).
Sull'aggiudicatario dei contratti.
C'è poi, sull'altro versante (privato), l'obbligo di pagamento di una commissione non superiore all'1,5% del valore del contratto per l'aggiudicatario delle convenzioni stipulate da Consip, per l'aggiudicatario di gare su delega bandite da Consip nell'ambito del Programma di razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, nonché per l'aggiudicatario degli appalti basati su accordi quadro (articolo ItaliaOggi del 12.04.2013.

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: R. Lasca, I prodotti degli “Incarichi esterni” e degli “Appalti” e relativi contratti: due fattispecie sicuramente distinte oggi per le PP.AA. italiane? - La Corte dei Conti della Lombardia prova a distinguere con la delibera collaborativa n. 51/2013: ma qualcosa non torna …. in punto di diritto! Vediamo esattamente cosa (08.04.2013).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOOggi in Gazzetta Ufficiale il decreto sulla pubblicità delle informazioni degli enti. P.a. con patrimoni trasparenti. Via al diritto di accesso civico. Pubblici gli incarichi.
Istituzione del diritto di accesso civico; totale trasparenza sulle situazioni patrimoniali di politici e amministratori pubblici e sulle loro nomine; pubblici tutti gli incarichi di consulenza affidati a terzi; prevista l'adozione di un programma triennale per la trasparenza e la nomina del responsabile della trasparenza in ogni amministrazione.
Sono queste alcune delle novità contenute nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle p.a. (D.Lgs. 14.03.2013 n. 33), approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 15.02.2013 e in pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di oggi 05.04.2013.
Il provvedimento, modellato sul «Freedom of Information Act» della legislazione statunitense, afferma il principio generale dell'accessibilità immediata agli atti della pubblica amministrazione a semplice richiesta del cittadino. Si procede quindi all'introduzione de iure del diritto di accesso civico consistente nella potestà attribuita a tutti i cittadini di avere accesso e libera consultazione ai documenti relativi all'attività della pubblica amministrazione. Infatti si prevede che la richiesta di accesso civico non sia sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, che non debba essere motivata, che sia gratuita e presentata al «Responsabile della trasparenza», figura che ogni amministrazione dovrà istituire.
La maggior parte degli obblighi previsti dal decreto e che faranno capo alle amministrazioni pubbliche poggerà sulla piattaforma internet e sulle reti telematiche in generale. Su ogni sito istituzionale l'Amministrazione dovrà rendere accessibile e facilmente consultabile una apposita sezione ove devono essere pubblicati gli atti e le delibere per almeno cinque anni o fino a che non perdono effetto) cui il cittadino dovrà avere libero accesso. Non solo: al fine di una maggiore chiarezza di lettura ogni provvedimento o atto amministrativo dovrà contenere i link alle leggi di riferimento. Si prevede poi che ogni Amministrazione adotti un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, finalizzato a garantire un adeguato livello di trasparenza, legalità e «sviluppo della cultura dell'integrità».
Per quel che riguarda i politici, il regolamento stabilisce l'obbligo di pubblicità delle situazioni patrimoniali di politici e parenti entro il secondo grado. Dovranno essere rese pubbliche le nomine dei direttori generali delle Asl, oltre che gli accreditamenti delle strutture cliniche. Evidenza pubblica anche per la pubblicazione dei rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali, nonché per gli atti e le relazioni degli organi di controllo, da parte delle regioni, delle province autonome e delle province, evidenziando, in particolare, le risorse trasferite a ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento e dell'impiego delle risorse utilizzate.
Trasparenza assoluta per gli incarichi dei dipendenti pubblici: si prevede infatti che siano pubblicati sul sito dell'amministrazione di appartenenza del dipendente l'elenco di tutti gli incarichi autorizzati, con l'indicazione della durata e del compenso spettante per ogni incarico, in aggiunta alla pubblicazione del singolo incarico sul sito dell'amministrazione conferente, diversa da quella di appartenenza. Per i soggetti esterni all'amministrazione rimane fermo l'elenco complessivo degli incarichi affidati consultabile sulla banca dati del Dipartimento della funzione pubblica. Da pubblicare anche i dati relativi all'ammontare complessivo dei premi stanziati per la performance dei dipendenti pubblici e l'ammontare dei premi effettivamente distribuiti.
Inoltre le amministrazioni dovranno pubblicare i dati relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal personale, i dati relativi alla distribuzione del trattamento accessorio, in forma aggregata. Previsto anche l'obbligo di pubblicazione annuale di un indicatore dei tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e forniture, denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti (articolo ItaliaOggi del 05.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

marzo 2013

INCARICHI PROGETTUALIIl previo accertamento in ordine alla regolarità dell’affidamento dell’incarico a soggetti esterni della progettazione in argomento risulta necessario in quanto una eventuale illegittimità dello stesso avrebbe inevitabilmente ripercussioni sulla legittimità del procedimento relativo alla approvazione del progetto disposta con l’ordinanza commissariale in esame. Tale accertamento inoltre risulta necessario anche in considerazione del fatto che un incarico di progettazione affidato illegittimamente a liberi professionisti esterni in presenza di tecnici interni che avrebbero potuto provvedere alla progettazione stessa può determinare danno erariale.
L’art. 90, co. 6, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che è possibile affidare la progettazione a liberi professionisti in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento.
Tutto ciò premesso, considerato che l’affidamento dell’incarico a progettisti esterni (contrariamente a quanto avvenuto, con riferimento alla medesima opera, per l’incarico al geologo) è avvenuto sostanzialmente sulla base della sola motivazione
che “è altresì urgente ed indifferibile provvedere alla esecuzione dei lavori” e che “la progettazione degli interventi di che trattasi è complessa ed articolata”, senza quindi adeguati riferimenti all’eventuale indispensabilità del conferimento dell’incarico a soggetti esterni e, soprattutto, in assenza di adeguati riferimenti alla eventuale carenza di progettisti interni che avrebbero potuto redigere il progetto in argomento lo stesso affidamento non può essere ritenuto legittimo.
La specifica motivazione addotta nel provvedimento indicato (urgenza ed indifferibilità di provvedere alla esecuzione dei lavori e progettazione complessa ed articolata) non risulta infatti da sola sufficiente a giustificare il conferimento di un oneroso incarico di progettazione a soggetti esterni all’Amministrazione.
2. Il progetto approvato con l’ordinanza in esame risulta predisposto da soggetti esterni. L’affidamento dell’incarico di progettazione è avvenuto a seguito della determinazione del Comune di Catanzaro (Soggetto attuatore) n. 7046 del 22.12.2010 con la quale è stata indetta “gara d’appalto” per la redazione della intera progettazione (e della direzione dei lavori) per un importo di euro 90.000,00 (importo complessivo di euro 110.160.00, comprensivo di cassa e IVA) sulla base della motivazione che “è altresì urgente ed indifferibile provvedere alla esecuzione dei lavori” e che “la progettazione degli interventi di che trattasi è complessa ed articolata”.
L’affidamento dell’incarico è stato effettuato con determinazione del Comune di Catanzaro n. 1079 del 15.03.2011 (rettificata con successiva determinazione n. 3095 del 26.07.2011, non trasmessa), dopo una procedura negoziata con invito rivolto a n. 5 professionisti il 17.01.2011 (scadenza prevista per la presentazione della domanda 30.01.2011).
Il previo accertamento in ordine alla regolarità dell’affidamento dell’incarico a soggetti esterni della progettazione in argomento risulta necessario in quanto una eventuale illegittimità dello stesso avrebbe inevitabilmente ripercussioni sulla legittimità del procedimento relativo alla approvazione del progetto disposta con l’ordinanza commissariale in esame. Tale accertamento inoltre risulta necessario anche in considerazione del fatto che un incarico di progettazione affidato illegittimamente a liberi professionisti esterni in presenza di tecnici interni che avrebbero potuto provvedere alla progettazione stessa può determinare danno erariale (Corte dei conti, sez. giur. Toscana, 31.01.2006, n. 7).
L’art. 90, co. 6, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che
è possibile affidare la progettazione a liberi professionisti in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento.
Come sopra indicato, tale norma è derogabile, nel caso specifico, per effetto dell’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M. 3862/2010, “ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione”, “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico” e “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.
Come già specificato, l’art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010 precisa che, per l’attuazione degli interventi previsti, “ove non sia possibile l’utilizzazione delle strutture pubbliche”, è consentito affidare la progettazione anche a liberi professionisti esterni avvalendosi, “ove necessario”, delle deroghe previste dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Tutto ciò premesso,
considerato che l’affidamento dell’incarico a progettisti esterni (contrariamente a quanto avvenuto, con riferimento alla medesima opera, per l’incarico al geologo) è avvenuto sostanzialmente sulla base della sola motivazione (determinazione del Comune di Catanzaro n. 7046 del 22.12.2010) che “è altresì urgente ed indifferibile provvedere alla esecuzione dei lavori” e che “la progettazione degli interventi di che trattasi è complessa ed articolata”, senza quindi adeguati riferimenti all’eventuale indispensabilità del conferimento dell’incarico a soggetti esterni e, soprattutto, in assenza di adeguati riferimenti alla eventuale carenza di progettisti interni che avrebbero potuto redigere il progetto in argomento, tenendo conto di quanto disposto dal citato art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010, lo stesso affidamento non può essere ritenuto legittimo.
La specifica motivazione addotta nel provvedimento indicato (urgenza ed indifferibilità di provvedere alla esecuzione dei lavori e progettazione complessa ed articolata) non risulta infatti da sola sufficiente a giustificare il conferimento di un oneroso incarico di progettazione a soggetti esterni all’Amministrazione.
Corre l’obbligo inoltre di evidenziare che l’incarico di progettazione esterno, pur risultando molto più oneroso di una progettazione interna e pur essendo stato motivato con la urgenza ed indifferibilità di provvedere alla esecuzione dei lavori, non ha evidentemente consentito il rispetto del cronoprogramma previsto dallo stesso Commissario delegato la cui scansione temporale risulta ampiamente violata. Non essendo stata trasmessa la convenzione con i progettisti esterni non è purtroppo possibile stabilire se risultano rispettati i tempi previsti dalla stessa per la predisposizione della progettazione. E’ certo comunque che, al momento della scadenza dello stato di emergenza (28.02.2013), il cui termine peraltro è stato più volte prorogato, l’iter di progettazione delle opere necessarie non risulta terminato (Corte dei Conti, Sez. controllo Calabria, deliberazione 28.03.2013 n. 16).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALICorte dei conti. Verifiche sulle Regioni. Sindacabili gli atti dei consiglieri.
La Corte dei conti può sindacare sugli atti dei consiglieri regionali.

La vicenda riguarda alcuni consiglieri che, in qualità di componenti dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale della Basilicata, con una delibera nel 2005 affidarono a un soggetto esterno l'incarico di redigere un progetto di organizzazione del consiglio regionale con una spesa di 23.869 euro.
La procura regionale della Corte dei conti della Basilicata ha ritenuto illegittimo l'atto di conferimento dell'incarico, e i giudici contabili hanno dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo applicabile al caso l'immunità garantita ai componenti del consiglio regionale dall'articolo 122, comma 4, della Costituzione «per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle proprie funzioni».
I giudici della
Sez. I giurisdizionale centrale di appello della Corte dei Conti, con la sentenza 07.03.2013 n. 190, hanno invece affermato il principio che l'insindacabilità dei consigli regionali e dei loro appartenenti incontra precisi limiti, relativi appunto a un diretto collegamento delle attività poste in essere con l'esercizio dell'attività assembleare. Conseguentemente, la sentenza impugnata é stata annullata ed è stata dichiarata la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione contabile.
È importante sottolineare come le recenti norme (in particolare, l'articolo 1, commi 10 e seguenti, del Dl 19.10.2012, n. 174, convertito dalla legge n. 213/2012), secondo cui i vari gruppi consiliari regionali sono tenuti a redigere appositi rendiconti e sono assoggettati a controlli delle spese da parte della Corte dei conti) emanate allo scopo di contrastare i fenomeni di mala gestio e di sperpero di denaro pubblico da parte dei gruppi politici delle assemblee territoriali, hanno contribuito ad offrire ai giudici di appello una valida chiave interpretativa delle norme costituzionali in materia e della portata delle guarentigie per i medesimi consigli.
Senza la giurisdizione contabile della Corte dei conti, infatti, si verrebbe a creare una zona franca, un'area di privilegio sottratta ad ogni sindacato giurisdizionale sulla correttezza e la regolarità della gestione del danaro pubblico, in quanto l'unico riscontro operante sarebbe quello costituito dalla rendicontazione interna all'assemblea (articolo Il Sole 24 Ore del 18.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALIConsulenti al palo. Solo incarichi di valenza politica. Giro di vite della Corte dei conti sulle regioni.
I consigli regionali rispondono alla Corte dei conti nel caso in cui conferiscano incarichi di consulenza non pertinenti alla loro funzione «politica».
La sentenza della Corte dei Conti, Sez. I giurisdizionale centrale, sentenza 07.03.2013 n. 190, stringe le maglie dei controlli sulle assemblee legislative regionali, fornendo grazie alla riforma dei controlli, il dl 174/2012, convertito in legge 213/2012, un'interpretazione innovativa sulla presunta insindacabilità delle decisioni dei consigli.
La sentenza, accogliendo l'appello presentato dalla procura della Basilicata avverso la decisione del giudice di prime cure, smonta dalle radici la presunzione molto radicata negli organi legislativi delle regioni di essere sostanzialmente al di fuori di ogni controllo sul loro operato. Occasione del contendere era stata la contestazione mossa dalla medesima Procura di danno erariale, per il conferimento da parte dell'ufficio di presidenza del consiglio della regione Basilicata di un incarico di consulenza per l'organizzazione del Consiglio regionale, assegnato ad un soggetto esterno, per un importo di 23.869 euro.
Secondo la Procura si era trattato di un incarico assegnato in violazione dei limiti e vincoli imposti dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, in particolare per l'assenza della specificità dell'attività da svolgere, considerata di ordinaria amministrazione, anche considerando la presenza, nell'organico del consiglio regionale, di un direttore generale, 9 dirigenti e 46 funzionari direttivi.
Tuttavia, la sentenza di primo grado non aveva esaminato la questione, fermandosi immediata alla questione pregiudiziale dell'assenza della giurisdizione della magistratura contabile, dovuta all'insindacabilità del consiglio. La Procura ha sostenuto che, a ben vedere, l'articolo 122 della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale debbono essere letti nel senso di riconoscere alle assemblee regionali mera autonomia organizzativa, a differenza del parlamento che dispone di poteri e prerogative discendenti dall'esercizio della sovranità. La sentenza ha ritenuto che l'organizzazione del consiglio non rientra tra le funzioni «politiche» dell'assemblea, ma si tratti di mera «amministrazione attiva», cioè pura ed ordinaria gestione, non riguardanti lo svolgimento dei lavori dei consiglieri, ma della struttura servente.
Secondo la sezione, le funzioni puramente amministrative non sono garantite da immunità ed insindacabilità. E questo è confermato dall'articolo 1, commi 10 e seguenti, del dl 174/2012, che contribuisce a chiarire i limiti delle guarentigie assicurate dalla Costituzione ai consigli regionali, riguardanti solo ed esclusivamente le attività politiche. Sicché, la Corte dei conti può esercitare la propria giurisdizione allo scopo di sanzionare la mala gestione amministrativa, come può essere l'assegnazione di incarichi di consulenza per attività ordinarie (articolo ItaliaOggi del 15.03.2013 - tratto da www.cndcec.it).

INCARICHI PROGETTUALIOggetto: Abolizione tariffe professionali e pareri congruità (Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, nota 06.03.2013 n. 2377 di prot.).

INCARICHI PROGETTUALIDm appalti al palo. Gare di progettazione senza bussola. Il regolamento sui compensi finisce nel pantano.
Finiscono (per ora) in un cassetto i parametri per i compensi delle gare di progettazione. L'atteso regolamento che avrebbe dovuto determinare «i corrispettivi a base di gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria», si impantana, infatti, di nuovo nelle stanze ministeriali.
Questa volta a cercare di trovare una quadratura del cerchio rispetto ai rilievi sollevati è il ministero delle infrastrutture guidato da Corrado Passera che, insieme a quello della giustizia, ha ricevuto la delega per determinare tali corrispettivi appunto con un decreto interministeriale «che avrebbe anche definito le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi».
Ma il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto». Proprio quello che viene contestato al provvedimento. E il rischio che il testo passi direttamente nelle mani del nuovo governo è dietro l'angolo vista la difficoltà dei due dicasteri di venire a capo di tale criticità.
Il regolamento, infatti, ha ricevuto poche settimane fa pesanti osservazioni da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici secondo i quali i parametri contenuti nel provvedimento supera le vecchie tariffe professionali e volta le spalle al mercato. Secondo i due organi, che hanno fornito un parere sostanzialmente allineato, il quadro di sintesi e le verifiche elaborate dal ministero della giustizia con tanto di grafici e tabelle presenti nella relazione illustrativa non sono sufficienti a ricavare che i parametri non determinino corrispettivi maggiori delle vecchie tariffe.
E non solo perché secondo l'Authority il calcolo del corrispettivo non sembrerebbe rinconducibile ai risultati di un'analisi di mercato, ma piuttosto a un approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le precedenti tariffe e quelle del recente dm 240/2010. Un'accusa respinta al mittente dalle stesse categorie tecniche che hanno invece verificato come, in tutte le ipotesi declinabili, i parametri risultano sempre inferiori alle abolite tariffe del 2001 e, quindi, sono in sintonia con la legge.
Il punto semmai è che secondo qualcuno si è dato spazio ad interpretazioni che non tengono conto delle differenze e novità della nuova normativa, non automaticamente comparabile con quella precedente, peraltro sempre a parere delle categorie tecniche carente in molti aspetti (articolo ItaliaOggi del 05.03.2013 - link a www.corteconti.it).

febbraio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: D. de Paolis, Determinazione dei compensi professionali: indicazioni pratiche sui parametri cui fare riferimento (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2013).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Camarda, Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi? (Diritto e pratica amministrativa n. 2/2013).

CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Enti pubblici e incarichi professionali.
   1. Le scelte elettive degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di efficacia (idoneità dell’azione amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale) e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione amministrativa.
   2. Non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l’amministratore abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo ha rispettato dette norme e principi giuridici e dunque la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della “riserva di amministrazione” -da intendere come preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico- sancito dalla L. 14.01.1994, n. 20, art. 1, comma 1, come modificato dalla L. 23.10.1993, n. 546, art. 3: "..ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali..." -nel controllare anche la giuridicità sostanziale- e cioè l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale - dell'esercizio del potere discrezionale.
   3. L’insindacabilità “nel merito” delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto, durata, criteri, compenso, in contrasto con il D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7, u.c. (secondo il quale “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”).
   4. L’esame da parte della Corte dei Conti delle scelte degli amministratori pubblici di UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine) di incaricare professionisti esterni per consulenze, pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da perseguire, non travalica il limite esterno della giurisdizione erariale
(massima tratta da www.neldiritto.it -  Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza  21.02.2013 n. 4283).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto etc.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto, durata, criteri, compenso, in contrasto con il D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7, u.c., secondo il quale "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione", e dunque il conferimento dell'incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità oggettiva, da rappresentare nella delibera di far fronte all'esigenza richiesta con personale interno all'organizzazione, la cui qualificazione professionale l'amministrazione ha infatti l'obbligo di verificare periodicamente ed incrementare.
Pertanto, nel caso di specie, l'esame da parte della Corte dei conti delle scelte degli amministratori pubblici di UNIRE di incaricare professionisti esterni per consulenze, pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da perseguire, non travalica il limite esterno della giurisdizione erariale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 21.02.2013 n. 4283 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: PA, consulenze esterne solo se indispensabili.
Il manager pubblico può rispondere di danno erariale nel caso in cui affidi incarichi esterni a professionisti fatta eccezione nel caso in cui sussista una impossibilità oggettiva di svolgere l'attività all'interno dell'ente con i propri dipendenti.
Diventa sempre più restringente per le pubbliche amministrazioni legittimare le motivazioni per affidare incarichi esterni a professionisti; la Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, sentenza 21.02.2013 n. 4283, ha affermato che il manager pubblico che affida un incarico ad un consulente esterno risponde di danni erariali se non dimostra che vi è una riscontrata oggettiva impossibilità di far svolgere tale incarico all'interno dell'ente.
Nel novembre 2003 la Procura regionale citava in giudizio amministratori e dipendenti di un ente pubblico chiedendone la condanna per responsabilità amministrativo-contabile, per aver conferito incarichi professionali a soggetti esterni all'ente.
La Corte dei Conti con sentenza del 2010 ha condannato gli amministratori a pagare una cifra di poco inferiore ai quarantamila euro ciascuno per l'illecito conferimento dell'incarico di redazione di un parere richiesto a degli avvocati nonché a pagare una somma di poco superiore ai quattromila euro per illecito conferimento agli stessi avvocati del mandato difensivo innanzi al TAR; agli stessi amministratori erano, inoltre, contestati illeciti conferimenti a professionisti in relazione ad un ricorso promosso davanti al Consiglio di Stato.
La Corte dei Conti, in particolare, osserva che le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di provvedere ai compiti affidatile con la propria organizzazione ed il proprio personale in servizio ed il ricorso a soggetti esterni è consentito solo nei casi previsti dalla legge o per eventi straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica.
Nel caso specifico erano stati attribuiti, da parte degli amministratori pubblici, incarichi in maniera eccessiva a dei professionisti per difendere l'ente pubblico presso il Consiglio di Stato, senza accertare se quello interno era abilitato ad agire innanzi alle magistrature superiori; per i giudici amministrativi la somma pagata costituiva danno per l'ente e doveva essere ripartito tra i responsabili. Gli amministratori pubblici avverso la sentenza della Corte dei Conti ricorrono in Cassazione.
Per i giudici della Corte di Cassazione la sentenza impugnata ha condannato i manager pubblici al risarcimento del danno per l'affidamento a soggetti estranei di incarichi di collaborazione, consulenza e studio pur potendo costoro avvalersi di personale interno. Gli amministratori pubblici nel ricorso contestano, in particolare, la giurisdizione della Corte dei Conti e negano l'incidenza negativa sul bilancio dell'ente attraverso la denuncia della violazione di norme e principi che, nel disciplinare i poteri degli amministratori nella gestione della finanza pubblica, costituiscono il merito dell'azione amministrativa, in modo tale che i relativi comportamenti non sarebbero auspicabili dalla Corte dei Conti.
Di notevole importanza alla luce dei recenti interventi del legislatore in tema di collaborazioni esterne nelle pubbliche amministrazioni, è la deliberazione n. 7, depositata il 21.01.2009, della Corte dei Conti -Sezione regionale di controllo per il Veneto- riguardante gli incarichi conferiti nel contesto delle gestione delle risorse umane, con particolare riferimento ai Comuni privi di avvocati dipendenti che si affidano a collaborazioni con soggetti esterni.
Nel caso in esame gli incarichi in questione sono inquadrabile nella categoria 21 "servizi legali" contemplata nell'Allegato IIB, D.Lgs. n. 163 del 2006, cd. Codice degli Appalti, recante l'elencazione dei contratti d'appalto dei servizi esclusi ex art. 20, con conseguente necessaria osservanza delle disposizioni poste dallo stesso art. 20 e dei principi generali sanciti dall'art. 27. Lo stesso art. 7, D.Lgs. n. 165 del 2001 che disciplina gli incarichi di collaborazione autonoma, al comma 6-bis è ben lontano dal consentire i conferimenti "intuitu personae"; tale norma impone invece che le Amministrazioni pubbliche disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
Secondo la Sezione regionale della Corte dei Conti l'Amministrazione deve predisporre tutti quegli strumenti idonei ad assicurare in modo adeguato l'osservanza dei principi, di valenza generale, di trasparenza, pubblicità ed apertura alla libera concorrenza, così come richiesto dall'ormai consolidata giurisprudenza interna e comunitaria.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento gli amministratori, nel ricorso in Cassazione, censurano il comportamento della Corte dei Conti che ha sindacato l'esercizio del potere procedimentale di acquisire un parere da soggetti estranei all'amministrazione, senza tenere conto che la P.A., nel rispetto del principio di adeguatezza e completezza dell'istruttoria, è obbligata ad accertare d'ufficio la realtà dei fatti e la consistenza degli atti. L'ufficio legale dell'ente pubblico era composto da un solo avvocato e due funzionari che dovevano fronteggiare il contenzioso complessivo. Il ricorso a professionisti esterni era un atto indispensabile per fronteggiare un imminente contenzioso e l'ufficio legale non aveva competenze sulla materia oggetto del contenzioso stesso.
Per la Corte di Cassazione le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità, di efficacia e di buon andamento sono soggette al controllo della Corte dei Conti perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della mera opportunità dell'azione amministrativa.
Per i giudici di legittimità occorre ribadire il principio secondo il quale l'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i limiti esterni alla propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito incarichi professionali senza rispettare le indicazioni contenute nella normativa di riferimento e soprattutto senza determinazione specifica di contenuto, durata, compenso, etc. in relazione all'affidamento conferito .
Per la Corte di Cassazione il ricorso dei manager pubblici deve essere respinto, mentre la giurisdizione della Corte dei Conti va confermata (commento tratto da www.ipsoa.it).

INCARICHI PROFESSIONALII giudici contabili possono sindacare sulle consulenze.
Danno erariale a carico dei manager pubblici che affidano incarichi a professionisti esterni a meno che non sussista «impossibilità oggettiva» di svolgere l'attività all'interno dell'ente. Quindi la Corte dei conti può sindacare sulla necessità dei consulenti esterni.

Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione che, con la sentenza 21.02.2013 n. 4283, hanno confermato la condanna per danno erariale a carico di alcuni amministratori pubblici che avevano conferito incarichi di assistenza legale nonostante l'attività potesse essere svolta all'interno.
Il Collegio esteso è stato quindi chiamato a decidere sui limiti della Corte dei conti in caso di scelte discrezionali della pubblica amministrazione. E, se per certi versi ha ribadito l'insindacabilità di tali scelte per altri ha ammesso l'ingerenza: sul punto –dice espressamente la Cassazione– il giudice contabile non vìola i limiti esterni della sua giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità chi ha conferito incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto, durata, criteri e compenso.
Insomma, ad avviso del Massimo consesso di piazza Cavour, che ha respinto integralmente il ricorso della difesa, non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se l'amministratore abbia compiuto l'attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell'ente, ma anche se nell'agire amministrativo ha rispettato dette norme e principi giuridici e dunque la Corte dei conti non viola il limite giuridico della «riserva di amministrazione» –da intendere come preferenza tra alternative, nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell' interesse pubblico– sancito dall'art.1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, come modificato dall'art. 3 della legge 23.10.1993 n. 546.
Ferma restando, dicono le stesse norme, l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali nel controllare anche la giuridicità sostanziale, e cioè l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale, dell'esercizio del potere discrezionale.
La vicenda riguarda alcuni ex vertici della Unire che avevano affidato a legali esterni di seguire un contenzioso di fronte al Tar e poi al Consiglio di stato. La consulenza era costata all'ente oltre 200 mila euro. Per questo il procuratore presso la Corte dei conti ha contestato ai manager il danno erariale. La difesa ha sostenuto che il giudice contabile non può invadere la sfera discrezionale dell'ente. Ma la Cassazione non ha condiviso la tesi e ha respinto integralmente il ricorso.
Se da un lato Piazza Cavour ribadisce che non si può entrare nel merito delle decisioni degli enti pubblici dall'altro sostiene che se la consulenza poteva essere fatta da un interno si configura il danno erariale (articolo ItaliaOggi del 22.02.2013).

INCARICHI PROGETTUALIAppalti, parametri al palo. Nel dm valori più alti delle vecchie tariffe. Stop dall'Autorità di vigilanza: il decreto volta le spalle al mercato.
Il regolamento sui parametri per le gare di appalto inciampa nello stesso vincolo contenuto nella legge delega (1/12 modificato dal dl Sviluppo 83/2012): supera le vecchie tariffe professionali e volta le spalle al mercato.
Lo fa rilevare l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nel parere 06.02.2013 n. 14435 di prot. inviato al ministero della giustizia sullo «Schema di regolamento che definisce i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura».
Un testo molto atteso dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare le corrette procedure per l'affidamento. E alimentando una situazione di eccessiva discrezionalità.
Una situazione destinata, però, a protrarsi ancora a lungo, visto il mix combinato della conclusione imminente della legislatura, anche se il testo potrebbe procedere nel suo iter, e della richiesta invece dell'Autorità di raddrizzarne il tiro. Senza considerare inoltre che sul provvedimento pende ancora il parere del Consiglio di stato che dovrebbe arrivare proprio in questi giorni. In ogni caso, le osservazioni dell'Autorità, che seguono quelle del Consiglio superiore dei lavori pubblici, rileva una serie di criticità invitando l'ufficio legislativo di Via Arenula a rimetterci mano.
Innanzitutto, rileva l'Avcp, il quadro di sintesi e le verifiche elaborate dal ministero della giustizia con tanto di grafici e tabelle presenti nella relazione illustrativa non sono sufficienti a ricavare che i parametri non determinino corrispettivi maggiori delle vecchie tariffe. In questo senso, l'organo di vigilanza guidato da Sergio Santoro suggerisce che nella predisposizione degli atti di gara il responsabile del procedimento abbia l'obbligo di accertare che non siano superati gli importi «delle precedenti soglie tariffarie, con conseguente violazione del vincolo di cui al comma 2 dell'art. 1 del dm in esame».
Qualora questo accadesse il prezzo a base d'asta dovrebbe essere ridotto «almeno del valore ricavabile dalle precedenti soglie». Non solo perché per l'Autorità i parametri per il calcolo del corrispettivo «non sembrerebbero rinconducibili ai risultati di un'analisi di mercato, ma piuttosto a un approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le precedenti tariffe e quelle del recente dm 240/2010. Quindi, il ricorso ai parametri deve essere effettuato nel rispetto del codice dei contratti pubblici (dlgs 163/2006) che indica che le stazioni appaltanti hanno la possibilità non l'obbligo di rifarsi alle tariffe professionali».
Di conseguenza è consentito loro determinare l'importo della prestazione, tenendo conto delle precedenti esperienze di affidamento e dell'andamento del mercato, nel caso in cui i parametri del decreto in discussione «conducano a corrispettivi, da ritenersi quale massimo di riferimento, superiori» (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2013 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALILavori in casa. Sconto sul 36-50% anche per professionisti senza Albo. Detraibile la parcella del progettista di interni.
Possono essere detratte al 36% (50% per i pagamenti effettuati dal 26.06.2012 al 30.06.2013) le spese per tutte le prestazioni professionali "strettamente" collegate alla realizzazione degli interventi agevolati, indipendentemente dall'iscrizione del prestatore ad Albi o Collegi. Infatti, sono agevolate anche tutte le consulenze, "strettamente" connesse alla realizzazione degli interventi di cui si parla nella mail arrivata al Sole 24 Ore.

Anche dopo la conferma a regime dell'incentivo del 36-50%, attuata dal 01.01.2012, restano detraibili le spese sostenute per la «progettazione e per prestazioni professionali connesse all'esecuzione delle opere edilizie e alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione vigente in materia» (articolo 16-bis, comma 2, Tuir). La disposizione è simile a quella in vigore fino al 2011, quindi, sono confermate tutte le interpretazioni fornite sul tema dall'agenzia delle Entrate, la quale ha chiarito che sono detraibili al 36% (50% per i pagamenti effettuati dal 26.06.2012 al 30.06.2013) le spese «per la progettazione e le altre prestazioni professionali connesse», per la «messa in regola degli edifici» alle normative sugli impianti, «per la relazione di conformità dei lavori alle leggi vigenti» e «per l'effettuazione di perizie e sopralluoghi» (risoluzione n. 229/E/2009; risoluzione Dre Lombardia n. 76227/1999, circolari n. 57/E/1998 e n. 121/E/1998).
Questa elencazione non ha valore tassativo, in quanto la risoluzione n. 229/E/2009 consente di beneficiare dell'agevolazione anche per tutte le «prestazioni professionali comunque richieste dal tipo di intervento» e per «gli altri eventuali costi strettamente collegati» alla sua realizzazione (voce confermata recentemente anche dalla circolare n. 19/E/2012, risposta 1.9). Si tratta di due categorie "residuali" di spese, nelle quali possono rientrare anche le consulenze per la divisione degli spazi interni, per la posizione degli impianti, per la scelta dei materiali del pavimento e dei rivestimenti, per i disegni degli infissi, delle porte o dei portoni, per le relative finiture interne, le tinteggiature, i cartongessi, gli isolamenti.
Queste consulenze possono essere detratte solo se sono «comunque richieste dal tipo di intervento» agevolato o se sono "strettamente" collegate alla sua realizzazione (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.02.2013).

COMPETENZE PROFESSIONALINuovo regolamento professionale dei Geometri: ecco la bozza.
Il Consiglio Nazionale dei Geometri e dei Geometri Laureati ha pubblicato una bozza del nuovo regolamento professionale dei Geometri.
Il documento si pone l’obiettivo di ridisegnare il quadro della professione di geometra, rinnovando il vecchio testo risalente al 1929.
I punti chiave sono:
● rinnovamento dei contenuti del vecchio regolamento del 1929
● elenco puntuale delle competenze del geometra e del geometra laureato (tutela dell'ambiente e del territorio, topografia, edilizia, estimo e sicurezza sul lavoro, etc.)
● sistema di autogoverno della categoria, con semplificazione delle strutture territoriali e del sistema elettorale
● chiarimenti sul percorso per l’accesso all'esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione (07.02.2013 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALIE’ pronto il regolamento per le società tra professionisti: ecco il testo finale!
Il Regolamento per le società tra professionisti, dopo un iter abbastanza contrastato, è stato firmato dal Ministero della Giustizia e ora attende solo il via libera del dicastero dello Sviluppo Economico.
Gli argomenti principali del regolamento sono:
● requisiti che devono possedere i soci
● obbligo di fornire al cliente una serie di informazioni, tra cui l’elenco dei singoli soci professionisti con titolo o qualifica professionale di ciascuno
● divieto di partecipazione a più società tra professionisti
● modalità di iscrizione all’Albo professionale
● responsabilità disciplinari della società
Pertanto, con questo nuovo regolamento i professionisti potranno aggregarsi in enti riconosciuti legalmente (07.02.2013 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALIP.a., incarichi al canto del cigno. No ai rinnovi. Sì alle proroghe ma il compenso non cambia. La legge di stabilità 2013 limita ancora la possibilità di conferire collaborazioni.
La legge di stabilità 2013 limita ulteriormente la possibilità di conferire incarichi di collaborazione da parte delle pubbliche amministrazioni: vengono vietati i rinnovi e sono di fatto rese assai poco appetibili le proroghe.
La disposizione è contenuta nel comma 147 dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 e ha un carattere permanente, infatti è dettata come modifica all'articolo 7, comma 6, del dlgs n. 165/2001.
Essa si aggiunge ai vincoli procedurali e al tetto alla spesa introdotti dalla legislazione degli ultimi anni. Oltre al contenimento della spesa la nuova disposizione vuole obbligare le amministrazioni a scegliere i professionisti, rispettando i vincoli di pubblicità quanto il ricorso a criteri di selezione comparativa.
L'ambito di applicazione della disposizione è assai ampio: sono esclusi unicamente gli incarichi cosiddetti professionali, cioè quelli conferiti ai sensi del dlgs n. 163/2006, cioè il Testo unico sugli appalti. Ricordiamo che i principali incarichi professionali sono la rappresentanza in giudizio per gli avvocati e gli incarichi di progettazione, direzione lavori, collaudo ecc. per i lavori pubblici, nonché la progettazione di strumenti urbanistici. La disposizione non si applica neppure agli incarichi conferiti a società. Per cui sono compresi nell'ambito di applicazione della disposizione sia le collaborazioni coordinate e continuative sia gli incarichi di collaborazione occasionale sia gli incarichi di consulenza, studio e ricerca.
Il rinnovo degli incarichi di collaborazione conferiti a persone fisiche è seccamente vietato da parte del legislatore. Il carattere assai rigido della disposizione non ammette deroghe di sorta.
Di conseguenza, per esempio, l'eventuale finanziamento del conferimento di questi incarichi con risorse provenienti da altre amministrazioni o dalla Unione europea o da privati non apre la possibilità di rinnovo.
Il secondo precetto dettato dal legislatore è l'imposizione di drastici limiti alla possibilità di prorogare questi incarichi. In primo luogo, viene previsto che ciò sia possibile solamente in presenza di circostanze eccezionali. E cioè il progetto o l'obiettivo per il cui raggiungimento l'incarico è stato conferito non è stato raggiunto e ciò non deve essere in alcun modo imputabile al collaboratore. Si deve sottolineare che questa innovazione non ha un carattere stravolgente rispetto ai principi dettati dalla legislazione precedentemente in vigore: siamo in presenza di un rafforzamento dei vincoli che erano già in vigore.
L'innovazione di maggiore rilievo è la seguente: la proroga è consentita «ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di conferimento dell'incarico». La norma è quanto mai chiara: in caso di proroga non è possibile attribuire alcun nuovo compenso, si rimane nell'ambito di quello già fissato. È evidente la conseguenza che questa disposizione determinerà: la proroga degli incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca non sarà più ambita da parte dei professionisti privati. Pertanto, oltre alla spinta che si determinerà al completamento entro i termini previsti di tutte le attività connesse agli incarichi, le amministrazioni dovranno dare corso al conferimento di un nuovo incarico nel caso in cui intendano completare o intendano proseguire le attività per le quali hanno deciso di utilizzare risorse esterne.
Il che vuol dire in particolare che: l'incarico deve essere compreso nella programmazione adottata dall'ente, occorre dimostrare che non vi sono nell'ente risorse professionali in grado di svolgere quella attività, il collaboratore deve essere di norma in possesso della laurea, si deve garantire un'adeguata pubblicità preventiva alla volontà dell'ente di conferire incarichi, il compenso deve essere fissato sulla base di criteri oggettivi, l'incarico deve riguardare attività ulteriori rispetto a quelle ordinarie, il conferimento deve essere pubblicato sul sito internet, nel caso di compensi superiori a 5 mila euro occorre dare informazione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti e occorre dare comunicazione al dipartimento della funzione pubblica (articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013).

gennaio 2013

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOIncarichi esterni ad alto rischio. Affidamenti con concorso e se mancano professionalità. Per la Corte conti della Campania sussistono gli estremi per la responsabilità erariale.
È fonte di danno erariale la nomina di un funzionario esterno con contratto stipulato ai sensi dell'art. 110, c. 1, dlgs. n. 267/2000, in assenza dei presupposti che legittimano la scelta, e delle procedure selettive pubbliche e trasparenti, in presenza di professionalità interne confacenti alle esigenze organizzative, ma ritenute «ostili» alla politica.

Lo ha argomentato la Corte dei conti, sez. giurisdizionale per la Campania, che con sentenza 31.01.2013 n. 138 ha condannato il sindaco di un comune al pagamento del danno erariale in favore del comune amministrato, per avere conferito un incarico a un professionista esterno a copertura del posto di responsabile del servizio finanziario, pur in presenza del responsabile interno della struttura.
A viziare insanabilmente il provvedimento di individuazione avrebbero concorso almeno quattro circostanze:
1. la mancata previsione dell'assunzione ex art. 110 c. 1 Tuel all'interno della programmazione annuale del fabbisogno di personale, documento autorizzatorio obbligatorio rispetto a qualsivoglia tipologia di assunzione;
2. la sussistenza di un impedimento di non poco conto relativo alla persona dell'incaricato esterno e consistente nella titolarità in capo al medesimo di un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato presso altro comune;
3. la violazione di una norma statutaria che consentiva, in coerenza con una serie di principi normativi contenuti nel dlgs n. 165/2001, l'assunzione di professionalità esterne all'ente unicamente nel caso di mancanza di professionalità interne equivalenti;
4. il mancato previo esperimento di una procedura selettiva pubblica.
La procura contabile ha ritenuto le condizioni evidenziate elementi sintomatici di una volontà dichiaratamente arbitraria del sindaco, finalizzata alla rimozione di un funzionario non gradito, in aperto contrasto con un principio di rilievo costituzionale (separazione tra politica e amministrazione) posto a presidio dell'imparzialità e della sana gestione della cosa pubblica. I rilievi della procura contabile sono stati accolti dal collegio che ha ritenuto sussistenti in capo al sindaco tutti gli elementi tipici della responsabilità amministrativa e lo ha condannato alla refusione del nocumento erariale procurato all'ente.
Il principio di separazione tra politica e gestione (oggi sancito nell'art. 4 del dlgs n. 165/01), è proposito risalente nell'operato del legislatore italiano ed è dogma che ha trovato affermazione anche in ambito comunitario. Da anni sul tema si avvicendano una moltitudine di riforme tutte finalizzate a rendere operativi postulati già normati, ma la prassi amministrativa italiana ha registrato, nel tempo, costanti ingerenze della classe politica nell'ambito di decisioni squisitamente tecniche; consuetudine che persiste nonostante più volte censurata dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale.
Nell'ultimo decennio, la riforma della p.a. italiana ha, infatti, gradualmente ridotto, sin quasi all'eliminazione, ogni competenza gestionale in capo all'organo politico, nel convincimento che le decisioni sulla gestione della cosa pubblica debbano essere adottate in piena autonomia dai dirigenti. Solo i tecnici possiedono una professionalità corrispondente alle funzioni disimpegnate e non sono esposti ai condizionamenti dell'elettorato. Le leggi che via via si sono occupate di riformare la dirigenza pubblica in Italia hanno dilatato le distanze tra tecnici e politici, anche mediante l'introduzione obbligatoria di meccanismi di scelta selettivi e meritocratici, ecco che la prassi infligge ancora sonore smentite a quello che a oggi resta, nonostante i buoni propositi del legislatore, un principio scritto ma poco praticato.
Anche la legge delega (legge 15/2009) all'art. 6 contempla principi e criteri in materia di dirigenza pubblica dettati «al fine di rafforzare il principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo e le funzioni di gestione amministrativa spettanti alla dirigenza regolando il rapporto tra organi di vertice e dirigenti in modo da garantire la piena e coerente attuazione dell'indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo».
E la circostanza che la legge nel 2009 sia dovuta tornare sull'argomento a distanza di vent'anni attraverso la revisione delle disciplina degli incarichi dirigenziali è sintomatico del fatto che tutto il quadro normativo esistente si è rivelato, a conti fatti, del tutto inadeguato (articolo ItaliaOggi del 19.07.2013).

INCARICHI PROGETTUALI: Servizi di progettazione: ecco le linee guida sui contratti professionali degli architetti!
Le ultime modifiche legislative hanno portato all’abrogazione delle tariffe professionali.
Il principio di stabilire patti chiari tra professionista e committente prima di assumere un incarico professionale è un elemento fondamentale, sancito anche dall’articolo 9 della Legge 27/2012.
Ricordiamo, brevemente, che il compenso per la prestazione deve essere pattuito al momento del conferimento dell’incarico e adeguato all'importanza dell'opera e alla prestazione da eseguire. Inoltre, il professionista è tenuto ad informare il cliente, attraverso un preventivo, riguardo:
● misura del compenso
● grado di complessità dell’incarico
● tutti gli oneri e le spese ipotizzabili
● altro (IVA, contributi integrativi, ritenute, etc.)
Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) ha pubblicato un documento contenente delle Linee guida alla redazione del contratto, con i seguenti tre esempi
● esempio di contratto relativo a “Progettazione Architettonica Integrata per Committenza Privata”
● esempio di contratto “Semplificato” relativo a “Progettazione Architettonica Integrata per Committenza privata”
● esempio di contratto relativo a Progettazione di Piani Urbanistici Attuativi
Nelle premesse, il CNAPPC ricorda che non è sufficiente l'accordo verbale e che il principio di stabilire patti chiari tra professionista e committenti prima di assumere un incarico professionale è un elemento fondamentale (24.01.2013 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Bozza del decreto (di imminente pubblicazione sulla G.U.) emanato dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che in attuazione dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge 24.01.2012, n. 1 (convertito dalla legge 24.03.2012, n. 27), successivamente integrato dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 22.06.2012, n. 83 (convertito dalla legge 07.08.2012, n. 134) determina il corrispettivo da porre a basa di gara per l’affidamento di contratti di servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria.

dicembre 2012

INCARICHI PROFESSIONALI - URBANISTICA: Elaborazione di un nuovo PRG - Incarico a professionista esterno - Grave pregiudizio alle casse dell'Ente - Condotte commissive e omissive - Responsabilità del Sindaco e del Dirigente - Configurabilità.
Il Dirigente dell'Ufficio di Piano, essendo funzionalmente perfettamente edotto sull’iter progettuale e sul lavoro svolto dalla struttura preposta all'elaborazione di un nuovo PRG, ha l'obbligo di rappresentare al Sindaco e agli altri Organi dell'Ente l'irragionevolezza di eventuali scelte (per es. di avviare ex novo un lavoro già svolto).
Nella specie, entrambi (Sindaco e Dirigente), con le rispettive condotte commissive e omissive, hanno arrecato un grave pregiudizio alle casse dell'Ente che ha pagato un professionista esterno per il perseguimento di un obiettivo dichiarato (progetto del nuovo PRG) mai attuato e che nella realtà dei fatti si è limitato a fornire supporto lavorativo nell'ordinaria gestione dell'attività dell'Ufficio, quali l'aggiornamento dei dati e la collaborazione per la predisposizione di varianti parziali o minori.
In particolare, il Dirigente anziché ottemperare ai propri obblighi di funzionario pubblico a difesa delle ragioni dell'Ente, ha preferito adottare un comportamento meramente acquiescente conformandosi pedissequamente alla volontà dell'Organo politico.
Responsabilità contabile - Affidamento incarichi di consulenza esterna - Illegittima acquisizione di un'ulteriore unità di personale - Configurabilità - Art. 110, c. 6, T.U. n. 267/2000 - Art. 97 Cost..
In materia di responsabilità contabile, gli enti locali possono fare ricorso all'affidamento di incarichi a professionisti, anche per lo svolgimento di funzioni istituzionali, ogni qual volta non sia possibile utilizzare personale in servizio nell'Amministrazione locale. Ciò nell'ipotesi in cui tale impossibilità dipenda dalla carenza nell'ambito della struttura locale di personale, qualitativamente o quantitativamente, idoneo per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni che l'Ente deve esercitare nel caso specifico o anche nella ipotesi in cui la realizzazione del lavoro o dell'elaborato, commissionato a professionisti esterni, non rientri nelle competenze specifiche del personale dei propri uffici o servizi.
Inoltre, per la nomina dei consulenti esterni la giurisprudenza della Corte dei conti ha fissato ulteriori principi per la legittimità dell’incarico:
- il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
- l'incarico deve concernere la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dello stesso e del quale devono costituire l'oggetto;
- l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
- l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente;
- il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfettaria;
- la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
- i criteri di conferimento non devono essere generici; (Sezione III Centrale n. 9 del 2003, Sezione III Centrale n. 279 del 2002, Sezione III Centrale n. 149 del 2004, Sezione Giurisdizionale Puglia n. 200 del 2001; Sezione Giurisdizionale Toscana n. 258 del 2003);
- l'adeguatezza del rapporto proporzionale tra i compensi erogati all'incaricato e le corrispondenti utilità conseguite dall'Amministrazione conferente.
Conferimento incarichi di consulenza - Natura e limiti.
La possibilità di conferire incarichi di consulenza di natura autonoma deve essere attentamente valutata dalle Amministrazioni pubbliche sia in ragione degli specifici limiti di spesa imposti dal Legislatore, ma anche dei presupposti giuridici che ne legittimano il ricorso. Il rispetto di questi ultimi, in particolare, considerato il carattere straordinario dell'esigenza, la temporaneità e l'alta qualificazione della prestazione e l'obbligo di motivazione, impongono all'Amministrazione la conoscenza approfondita della proprie risorse, in termini organizzativi, economici e di professionalità.
Nella specie, la prestazione del professionista, (dall'anno 2006 al mese di giugno 2010) in buona sostanza, ha rappresentato per l'Amministrazione l'acquisizione di un'ulteriore unità di personale a disposizione dell'Ufficio di Piano, pur se effettuata eludendo le norme che disciplinano il reclutamento di dipendenti pubblici anche a tempo determinato (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Marche, sentenza 21.12.2012 n. 138 - link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalti senza ribassi selvaggi. Nuovi parametri per i servizi di ingegneria e architettura. È in dirittura d'arrivo il provvedimento per la liquidazione dei compensi professionali.
È finita l'era delle liberalizzazioni selvagge nei bandi per la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè, con l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziale.

È in dirittura d'arrivo, infatti, un nuovo provvedimento che dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, si occuperà di comporre il mosaico complessivo di riforma delle professioni: si tratta di un decreto interministeriale (giustizia-infrastrutture) che definisce i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Il contesto generale. Un testo dall'elaborazione complessa (il ministero sta finendo le consultazioni con le categorie interessate per inviarlo al Consiglio di stato) ma necessario, dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le corrette procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle categorie professionali che, tra le altre cose, ha alimentato, soprattutto in questi mesi, un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti.
Anche se l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il settore già colpito da modifiche significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani. Questa abolizione pur con alcune eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale.
Comunque per sanare tale criticità il governo era intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi tecnici si sarebbero applicati i parametri individuati appunto con un decreto interministeriale che avrebbe anche definito «le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi». Il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del presente decreto».
I punti principali del testo. La battaglia dei periti industriali che hanno sostenuto assieme al Pat, il lavoro dei tecnici del ministero per la stesura del testo, è stata orientata soprattutto a eliminare gli aspetti eccessivamente discrezionali. Così è saltata, in primo luogo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di aumentare o diminuire gli importi a base di gara del 60% in maniera completamente discrezionale come invece è avvenuto nel decreto sui parametri per le liquidazioni giudiziali dei compensi dei professionisti (dm 140/12). Allo stesso modo quel parametro indicato nel testo con la lettera «G», che nel calcolo degli importi a base di gara servirà a definire la «complessità della prestazione», vedrà diminuire la sua portata discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle versioni circolate in precedenza) una forbice tra due valori (ridotto e elevato), ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a seconda della categoria e della destinazione funzionale dell'opera. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda del valore dell'opera.
Il commento. «L'offerta economica calcolata su basi false», commenta il presidente del Cnpi Giuseppe Jogna, «era tristemente diventata l'unica variabile nelle aggiudicazioni, e abbiamo assistito a corse al ribasso per firmare contratti un po' usa e getta. Ma non solo, perché nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le stazioni appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far west che sull'onda delle selvagge liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a scapito della qualità dei servizi. Ecco perché ben venga questo decreto che sono convinto risolleverà l'alto livello qualitativo che, da sempre, ha caratterizzato gli studi di progettazione nel nostro paese» (articolo ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Gare senza by-pass. Accordi tra atenei e p.a. illegittimi. La Corte di giustizia Ue sugli incarichi in affido diretto.
Illegittimi gli accordi di collaborazione stipulati fra amministrazioni e università per affidare in via diretta e senza gara, incarichi per servizi di ingegneria e di consulenza; gli accordi previsti dalla legge 241/90 non possono essere utilizzati per eludere l'obbligo di affidare a terzi con gara contratti a titolo oneroso, e sono legittimi soltanto se prevedono una effettiva cooperazione fra i due enti, senza prevedere un compenso.
È quanto si afferma nella sentenza 19.12.2012 (causa C 159/11) della Corte di giustizia Ue che vede come parti in causa da un lato l'Asl di Lecce e dall'altro lato l' Ordine degli ingegneri della provincia di Lecce e il Consiglio nazionale degli ingegneri, l'Oice e il Consiglio nazionale degli architetti.
La vicenda prende le mosse da un affidamento, per importo soggetto alla normativa comunitaria, riguardante servizi di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere, disposto dalla Asl Lecce a favore dell'università del Salento. Dopo la sentenza di primo grado del Tar Puglia, che aveva dichiarato illegittimo l'affidamento diretto dell'incarico all'Università, per omesso ricorso alle procedure di evidenza pubblica, il Consiglio di stato aveva rimesso la questione alla Corte di giustizia in via pregiudiziale sulla legittimità degli accordi ex art. 15 della legge 241/1990.
La Corte Ue accoglie in toto le conclusioni dell'Avvocato generale e afferma la violazione delle norme delle direttive appalti in quanto l'accordo non costituisce una forma di cooperazione in comune di attività fra due amministrazioni aggiudicatrici (così come prevede la legge 241/1990), bensì un vero e proprio contratto di consulenza per servizi a fronte del pagamento di un compenso per il quale occorreva procedere con gara, ammettendo tutti gli operatori economici interessati ad acquisire la commessa. L'accordo di collaborazione, peraltro, non può essere neanche qualificato come affidamento in house dal momento che non esiste «controllo analogo» fra Asl e Università, essendo enti totalmente distinti.
È quindi contraria alle direttive «una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui (e la verifica spetta al giudice nazionale) tale contratto non abbia il fine di garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni e esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico, o sia tale da porre un prestatore privato in situazione privilegiata rispetto ai concorrenti».
Per i giudici l'illegittimità dell'accordo va letta in relazione al fatto che il contratto «potrebbe condurre a favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni altamente qualificati cui, in base al contratto l'università può ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni, fossero inclusi prestatori privati» (articolo ItaliaOggi del 20.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sentenza della Corte di giustizia. Gare d'appalto obbligatorie per le consulenze.
L'INDICAZIONE/ Non è rilevante che l'amministrazione aggiudicatrice non persegua un fine di lucro.

Un'amministrazione pubblica è tenuta procedere a gare d'appalto anche nei casi di contratti di consulenza conclusi con un'altra amministrazione aggiudicatrice che non persegue fini di lucro. Poco importa, poi, che la remunerazione prevista nel contratto sia limitata al rimborso spese.
È la conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza 19.12.2012 (causa C 159/11) che chiarisce l'applicazione della normativa Ue in materia di appalti.
È stato il Consiglio di Stato a sottoporre alla Corte di giustizia un quesito pregiudiziale sulla direttiva 2004/18 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (recepita in Italia con decreto legislativo 12.04.2006 n. 163).
Ai giudici amministrativi si erano rivolti associazioni e ordini professionali di ingegneri e architetti che contestavano la legittimità del provvedimento di attribuzione, da parte dell'Azienda sanitaria locale di Lecce, di uno studio sulla vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere all'Università del Salento senza gara a evidenza pubblica. Il contratto prevedeva una remunerazione limitata al rimborso spese. Una circostanza che -secondo la Asl- consentiva di escludere la necessità di una gara e di sottrarre il contratto al perimetro della normativa Ue. Una conclusione non condivisa dalla Corte di giustizia.
Prima di tutto, precisa Lussemburgo, la direttiva 2004/18 non prevede un'esclusione delle gare di appalto nei casi in cui la remunerazione è basata sul rimborso delle spese. Non solo. Le eccezioni all'applicazione delle normativa Ue in materia di appalti pubblici sono limitate e riguardano unicamente il caso di un contratto di appalto stipulato da un ente pubblico a vantaggio di un altro ente pubblico sul quale il primo esercita un controllo. Una situazione che non ricorre nel caso dei rapporti tra azienda sanitaria e Università. Né è applicabile l'altra eccezione stabilita nella direttiva fondata sulla circostanza che il contratto concluso dai due enti pubblici serva «a garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune». Le attività commissionate, infatti, avevano sì un fondamento scientifico ma «non assomigliavano ad attività di ricerca scientifica».
C'è poi un ulteriore elemento che ha fatto sorgere perplessità alla Corte di giustizia. Il contratto di consulenza, infatti, prevedeva la possibilità per l'Università di ricorrere a prestatori di servizi privati per lo svolgimento di alcune attività. Questa possibilità –chiarisce la Corte– può condurre a favorire alcune imprese private con il ricorso a collaboratori esterni qualificati. Di qui la necessità di una gara per evitare che un prestatore privato sia poi in una situazione privilegiata rispetto ai concorrenti (articolo Il Sole 24 Ore del 20.12.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALICorte dei conti. Liquidazione di compensi. Il pagamento errato condanna i segretari.
OBBLIGHI CONDIVISI/ Anche il responsabile del servizio finanziario è tenuto a vigilare sulla correttezza degli atti per versare gli onorari.
Particolare attenzione va prestata alla liquidazione di corrispettivi professionali (parcelle legali) con un rigoroso controllo che, coinvolgendo il responsabile di servizio che adotta la liquidazione e il responsabile del servizio finanziario, eviti di liquidare compensi non dovuti sulla base di semplici preavvisi di fatture presentate dal professionista e in assenza di documentazione idonea a giustificare la misura del compenso richiesto.

La sentenza 14.12.2012 n. 1125 della sezione Corte dei Conti Veneto chiarisce il ruolo di garante in capo al segretario comunale e al ragioniere, e articola le responsabilità per omissione di controllo cui vanno incontro il responsabile di servizio (nella fattispecie era anche segretario comunale) che ha disposto la liquidazione dei compensi, e il responsabile del servizio finanziario che ha apposto il visto di regolarità contabile.
La responsabilità del responsabile di servizio/segretario comunale che ha adottato l'atto discende dalla mancata verifica della congruità del compenso riconosciuto, e dal contrasto con il generale dovere, conseguente alla sua posizione di segretario generale (articolo 97 del Dlgs 267/2000) di essere garante della legalità e della correttezza amministrativa dell'azione del l'ente locale. In relazione al ruolo del segretario comunale/responsabile di servizio si è riconosciuta una maggiore incidenza causale nella determinazione del danno, quantificabile nella misura del 60% dell'intero. Il restante 40% è stato addebitato al concorso colposo del ragioniere capo perché le circostanze non giustificavano l'emissione dei titoli di pagamento e che avrebbero dovuto determinare almeno la richiesta di giustificazioni idonee.
Nell'affermare la responsabilità del ragioniere per il visto sull'atto irregolare, la Corte evidenzia che non c'è una differenza ontologica tra il parere di regolarità contabile, previsto per le deliberazioni degli organi rappresentativi, e il visto per le determinazioni dei responsabili dei servizi; il controllo di regolarità finanziaria deve essere ritenuto afferente alla legittimità della spesa, implicando un giudizio sulla sua conformità alle leggi e ai regolamenti (Corte conti, sezione giurisdizionale Sicilia, n. 1337/2012).
A fronte di compensi liquidati sulla base di determinazioni illegittimamente assunte, c'è per il dirigente del settore finanziario il dovere di sospendere i pagamenti illegittimi, ed eventuali esoneri di responsabilità sono possibili solo in esito a un'analisi complessiva delle particolari circostanze del caso deciso e della non rilevabilità immediata delle illegittimità accertate.
Nel caso affrontato dalla sentenza, invece, si è rilevato che l'anomalia delle liquidazioni effettuate dal responsabile del servizio poteva essere facilmente rilevata dal ragioniere capo (articolo Il Sole 24 Ore del 31.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: L'art. 90 del dlgs 267/2000 dispone, al comma 1, che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni.
Le assunzioni ai sensi dell'art. 90 del TUEL presentano quindi alcune caratteristiche particolari che possono essere riassunte alla luce della giurisprudenza formatasi in materia:
- si tratta di assunzioni a tempo determinato e non possono essere affidate tramite incarichi di collaborazione coordinata e continuativa;
- si tratta di posti in dotazione organica e pertanto per i posti il singolo ente sulla base della propria autonomia regolamentare dovrà valutare a quale categoria si riferiscono le necessità del Comune ai fini delle assunzioni ex art. 90 del Tuel;
- possono essere affidate esclusivamente per funzioni di supporto di attività di indirizzo e di controllo alle dirette dipendenze del Sindaco, al fine di evitare qualunque sovrapposizione con le funzioni gestionali ed istituzionali, che devono invece dipendere dal vertice della struttura organizzativa dell'ente;
- agli uffici in oggetto possono essere affidate la gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie strettamente strumentali e funzionali all'esercizio dei compiti medesimi.
- tali assunzioni rientrano nel concetto di spesa di personale.
Inoltre:
- il compenso di base deve essere corrispondente ad un compenso erogato per la categoria di appartenenza del CCNL Enti Locali sulla base di quanto previsto nella dotazione organica per quel preciso posto da ricoprire in riferimento alle disposizioni dell'art. 90 del Tuel;
- anziché prevedere diversi compensi accessori sarà possibile individuare un unico emolumento (indennità di staff) onnicomprensiva di qualsiasi altra retribuzione accessoria.

Venendo al merito della questione, il problema sottoposto all'esame di questo Collegio riguarda una richiesta risarcitoria avanzata dalla procura regionale competente in relazione all'affidamento di alcuni incarichi intervenuto presso il Comune di Molinara in assenza di procedure di valutazione e con il ricorso a normativa non conferente.
Tali incarichi sarebbero stati conferiti ai sensi dell'articolo 90 del testo unico numero 267 del 2000 e tenuto conto dell'articolo 13 del regolamento sull'ordinamento degli uffici del Comune.
L'articolo 90 citato dispone al comma 1 che Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni.
Conformemente a tale previsione, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del comune ha previsto che il sindaco per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo può assumere personale di alta specializzazione [?] scegliendolo intuitu personae e sulla base di un curriculum.
Le assunzioni ai sensi dell'art. 90 del TUEL presentano quindi alcune caratteristiche particolari che possono essere riassunte alla luce della giurisprudenza formatasi in materia:
- si tratta di assunzioni a tempo determinato e non possono essere affidate tramite incarichi di collaborazione coordinata e continuativa (Corte dei conti Puglia Sentenza n. 241/2007);
- si tratta di posti in dotazione organica (Corte dei conti Toscana Sentenza 622/2004) e pertanto per i posti il singolo ente sulla base della propria autonomia regolamentare dovrà valutare a quale categoria si riferiscono le necessità del Comune ai fini delle assunzioni ex art. 90 del Tuel;
- possono essere affidate esclusivamente per funzioni di supporto di attività di indirizzo e di controllo alle dirette dipendenze del Sindaco, al fine di evitare qualunque sovrapposizione con le funzioni gestionali ed istituzionali, che devono invece dipendere dal vertice della struttura organizzativa dell'ente (Corte dei conti Lombardia Deliberazione 43/2007);
- agli uffici in oggetto possono essere affidate la gestione delle risorse umane, strumentali e finanziarie strettamente strumentali e funzionali all'esercizio dei compiti medesimi (Corte dei conti Toscana Deliberazione n. 5P/2008 in parte in contrapposizione con la Corte dei conti Lombardia poco sopra citata).
- tali assunzioni rientrano nel concetto di spesa di personale (Corte dei conti Lombardia Deliberazione 43/2007)
Inoltre:
- il compenso di base deve essere corrispondente ad un compenso erogato per la categoria di appartenenza del CCNL Enti Locali sulla base di quanto previsto nella dotazione organica per quel preciso posto da ricoprire in riferimento alle disposizioni dell'art. 90 del Tuel;
- anziché prevedere diversi compensi accessori sarà possibile individuare un unico emolumento (indennità di staff) onnicomprensiva di qualsiasi altra retribuzione accessoria.
Da quanto precede emerge con chiarezza che ogni riferimento a procedure selettive appare inconferente alla fattispecie, tenuto conto del rapporto fiduciario che lega il sindaco alle persone da collocare nell'ufficio di staff. Quindi ogni censura in proposito sarebbe destituita di fondamento.
Peraltro, proprio da un lato la fiduciarietà del rapporto e dall'altro le funzioni per le quali dei soggetti vengono chiamati a collaborare determinano un necessario problema interpretativo della norma.
Per stessa dichiarazione del difensore degli odierni appellanti, gli stessi in realtà erano stati chiamati a svolgere funzioni prettamente esecutive. Il medesimo difensore ha altresì dichiarato in udienza che si trattava di personale non laureato addetto a mansioni di segreteria che, tra l'altro, finiva con l'essere sostanzialmente sottopagato con un indubbio vantaggio per l'ente locale.
Ora, non vi è chi non veda come tale impostazione cozzi contro la previsione normativa sia dell'articolo 90 del testo unico, sia dell'articolo 13 del regolamento comunale. Nel primo infatti si specifica che la funzione che gli odierni appellanti sono stati chiamati a svolgere nell'ambito dell'ufficio di staff avrebbe dovuto essere quella di collaborazione alle dirette dipendenze del sindaco per l'esercizio della funzione di indirizzo e controllo. Il secondo dato normativo, quello del regolamento, ci dice che doveva trattarsi di personale altamente specializzato, selezionato, oltretutto, sulla base di un curriculum che evidentemente è destinato ad evidenziare le capacità ed i trascorsi professionali.
Si chiede ora il Collegio, attesa anche l'interpretazione che la giurisprudenza ha dato in particolare dell'articolo 90 del testo unico, se personale non laureato, destinato a fare fotocopie e rispondere al telefono -come testualmente affermato da uno dei difensori degli appellanti in udienza- risponda ai criteri di collaborazione alle funzioni di indirizzo e controllo nonché di alta specializzazione nelle funzioni dimostrata da una base curriculare.
Non solo, ma la caratteristica della fiduciarietà del rapporto implica che evidentemente la scelta ricada su soggetti che sono appunto di fiducia dell'autorità politica (così è anche, ad esempio, per coloro che vengono immessi negli uffici di diretta collaborazione ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo numero 165 del 2001 per lo Stato), al fine di svolgere compiti anche dedicati che non a caso, nella fattispecie sia la legge che il regolamento riconducono alle più alte funzioni di indirizzo e controllo.
In verità, a questo Collegio sembra che il Comune si sia avvalso della normativa in esame in modo assai improprio, al fine di assumere dei collaboratori che avrebbero dovuto probabilmente essere reclutati secondo diverse procedure. Non sembra conferente in proposito la precisazione che il Comune abbia dato vita ad una fattispecie a formazione progressiva costituita da due momenti: un primo momento -delibera giuntale- che ha individuato i presupposti per il conferimento dell'incarico, all'uopo specificando la natura del rapporto, la qualifica da ricoprire e la circostanza che il Comune non versasse in condizioni di dissesto finanziario non è strutturale; un secondo -decreto sindacale- con il quale si è operata all'individuazione del soggetto, scegliendolo attraverso la comparazione tra i requisiti generali richiesti nella delibera di giunta, le funzioni necessarie all'ente e il curriculum.
Tale procedimento infatti non impedisce di considerare improprio il riferimento normativo, anche se questo Giudice deve riconoscere che non ricorrono gli estremi per l'integrazione di un comportamento a titolo di dolo, né tanto meno di dolo contrattuale: è stato chiarito, infatti, che l'incarico ex articolo 90 non può negli effetti andare a sovrapporsi a competenze gestionali ed istituzionali dell'ente. Se così il legislatore avesse voluto, si sarebbe espresso in maniera completamente diversa e non avrebbe affatto fatto riferimento alle funzioni di indirizzo e controllo dell'autorità politica.
Che costoro poi si siano accontentati di compensi particolarmente bassi, non appare un motivo significativo per ritenere che il Comune abbia agito legittimamente; anzi, ciò risulterebbe anche in contrasto con una prestazione che, secondo i dettami di legge, avrebbe dovuto essere qualificata e avrebbe dovuto essere di un certo rilievo professionale.
Certo è che, in ogni caso, la prestazione è stata resa e di questo non può non essere tenuto conto ai fini della considerazione delle utilità che il Comune ha comunque derivato dalla vicenda
(Corte dei Conti, Sez. I centrale d'Appello, sentenza 06.12.2012 n. 785 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto: liquidazione dei compensi professionali (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, circolare 05.12.2012 n. 1123 di prot.).

novembre 2012

COMPETENZE PROGETTUALI - INCARICHI PROGETTUALILe determinazioni con cui le pubbliche amministrazioni stabiliscono i criteri per selezionare i collaboratori costituisce manifestazione di ampia discrezionalità rientrante nel merito amministrativo, e possono quindi essere sindacate solo in caso di errore manifesto o manifesta irragionevolezza.
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Le competenze dei geometri in tema di ricognizione della viabilità sono limitate alle “operazioni di tracciamento di strade poderali e consorziali ed inoltre, quando abbiano tenue importanza, di strade ordinarie…” (art. 16, comma primo, lett. b] R.D. 274/1929).
Dalla competenza dei geometri esulano anche alcune delle attività richieste per l’incarico in questione, come le verifiche sulle condizioni di manutenzione e transitabilità delle strade nonché delle preclusioni al traffico esistenti, e la definizione della loro importanza dal punto di vista funzionale, storico e paesaggistico.
Coglie quindi nel segno la difesa dell’Amministrazione laddove evidenzia che l’oggetto dell’incarico da affidare è più ampio rispetto alle competenze legislativamente stabilite per la categoria dei geometri, ed è quindi logico che essi ne siano stati esclusi.

... per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 694 del 06.07.2009 della Comunità Montana Colline Metallifere, contenente l’avviso pubblico per il conferimento di un incarico esterno di collaborazione autonoma per la ricognizione e classificazione della viabilità extraurbana di pubblico interesse, nonché della determinazione n. 866 del 26.08.2009 di assegnazione dell’incarico, nonché infine di tutti gli atti presupposti e/o consequenziali tra cui, in particolare, i verbali di aggiudicazione in prima e seconda seduta rispettivamente del 24.07.2009 e del 14.08.2009, nonché gli artt. 11 e 11-bis del Regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi approvato con delibera della Giunta Esecutiva della Comunità Montana delle Colline Metallifere n. 87 del 25.9.2003 e modificato con successiva delibera della Giunta Esecutiva n. 1 del 20.01.2009, ovvero di tutte quelle norme regolamentari della Comunità Montana che disciplinano e limitano l’affidamento di incarichi a soggetti esterni.
...
Va rilevato in primo luogo che le determinazioni con cui le pubbliche amministrazioni stabiliscono i criteri per selezionare i collaboratori costituisce manifestazione di ampia discrezionalità rientrante nel merito amministrativo, e possono quindi essere sindacate solo in caso di errore manifesto o manifesta irragionevolezza.
Nel caso di specie non si rilevano tali vizi nella decisione di limitare l’accesso alla procedura in esame ai soli laureati escludendo, tra l’altro, la categoria ricorrente dei geometri poiché l’oggetto della gara è più ampio di quanto previsto dall’art. 16, R.D. 11.02.1929, n. 274 che regolamenta l’esercizio di tale professione.
Per quanto qui interessa, le competenze dei geometri in tema di ricognizione della viabilità sono limitate alle “operazioni di tracciamento di strade poderali e consorziali ed inoltre, quando abbiano tenue importanza, di strade ordinarie…” (art. 16, comma primo, lett. b] R.D. 274/1929). Dalla competenza dei geometri esulano anche alcune delle attività richieste per l’incarico in questione, come le verifiche sulle condizioni di manutenzione e transitabilità delle strade nonché delle preclusioni al traffico esistenti, e la definizione della loro importanza dal punto di vista funzionale, storico e paesaggistico. Coglie quindi nel segno la difesa dell’Amministrazione laddove evidenzia che l’oggetto dell’incarico da affidare è più ampio rispetto alle competenze legislativamente stabilite per la categoria dei geometri, ed è quindi logico che essi ne siano stati esclusi.
Non ha pregio il richiamo al diritto al libero esercizio della professione poiché i provvedimenti gravati non limitano in alcun modo l’esercizio libero professionale del mestiere di geometra (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 22.11.2012 n. 1890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALIDal primo gennaio 2013 parcelle pagate puntualmente.
«Finalmente i liberi professionisti non saranno più costretti ad aspettare mesi e mesi per vedere onorata la loro prestazione professionale. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo sulle transazioni commerciali si colma l'ennesima lacuna normativa che fino a oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti, perché il ritardo dei pagamenti è un grosso problema che coinvolge le pmi, ma soprattutto i liberi professionisti che lavorano con la pubblica amministrazione e con le imprese».

Con queste parole, il presidente di Confprofessioni saluta il varo definitivo del decreto legislativo 09.11.2012, n. 192 recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11.11.2011, n. 180», che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11. scorso.
«Si tratta di un provvedimento che va nella stessa direzione cui Confprofessioni lavora da mesi, richiedendo l'estensione ai professionisti del diritto di compensare i crediti con la pubblica amministrazione», aggiunge Stella, «come confermano gli emendamenti presentati da Confprofessioni al decreto sulla crescita in Commissione industria al Senato».
Dal 01.01.2013, dunque, i liberi professionisti potranno contare su regole più severe per la riscossione dei propri crediti nei confronti della p.a. Il decreto sulle transazione commerciali, infatti, riformula la definizione di «pubblica amministrazione» ai fini della tempestività dei pagamenti, estendendo le nuove regole a tutti i soggetti che già oggi rientrano nella disciplina del codice degli appalti.
Parecchie le altre novità introdotte con il decreto 192/2012 che coinvolgono i liberi professionisti. Decorso il termine di pagamento, che rimane fissato in 30 giorni dal ricevimento della fattura o della parcella, scatta automaticamente la decorrenza degli interessi moratori, senza la necessità di costituzione in mora. Il tasso minimo di interesse legale moratorio passa dal 7 all'8%, oltre al saggio fissato dalla Bce per le operazioni di rifinanziamento.
Più strette anche le regole per derogare i termini di pagamenti e tempi certi per la verifica della congruità della prestazione professionale. Infine, è prevista una somma forfettaria di 40 euro da aggiungere all'importo dovuto al creditore in caso di ritardato pagamento, a titolo di rimborso per le spese di recupero (articolo ItaliaOggi del 22.11.2012).

INCARICHI PROGETTUALIProfessionisti. La Cassazione interviene su compensi e revoca dell'incarico.
Il committente che recede paga solo il lavoro fatto. Se il geometra ha esorbitato dalle funzioni l'accordo è nullo.

Incarico al professionista sotto esame in Corte di Cassazione. Con la sentenza 09.11.2012 n. 19502 è stato affrontata la questione della qualificazione della responsabilità per danni nel caso del compenso a un geometra che aveva esercitato competenze esclusive degli ingegneri. Nella pronuncia 19524, sempre depositata ieri, è stabilito che la revoca dell'incarico provoca il pagamento del lavoro sin lì svolto ma senza ulteriori indennità.
Più in dettaglio, la sentenza 19502 esamina la situazione di due committenti che si erano opposti al decreto ingiuntivo fatto emettere da un geometra che aveva svolto per loro attività per la ristrutturazione di un immobile che esorbitavano dalla sua competenza professionale. La Corte d'appello aveva accolto in parte la richiesta dei committenti sul compenso ma senza riconoscere i danni da loro subiti a causa degli errori del geometra. La Cassazione ha confermato la sentenza d'appello, riconoscendo che il compenso non era dovuto ma quanto ai danni, che il ricorrente legava indissolubilmente alla nullità del contratto, la Cassazione ha specificato che non erano compresi nella domanda in quanto la responsabilità che si va a configurare in casi del genere è quella extracontrattuale.
Nella sentenza 19524, invece, la vicenda riguarda due ingegneri cui era stato conferito da una giunta provinciale l'incarico di redigere il progetto esecutivo di completamento e del secondo stralcio funzionale di una strada. Dopo la consegna del progetto, però, la giunta aveva revocato l'incarico giudicando che si fosse verificato un inadempimento da parte dei progettisti. Questi avevano chiesto il compenso per il lavoro effettivamente prestato e un'indennità per indebito arricchimento.
Il Tribunale sposava la tesi dell'inadempimento (per il ritardo nella consegna e per la pretesa di un compenso triplo rispetto al pattuito) mentre la Corte d'appello accoglieva le richieste degli ingegneri e li liquidava con 300mila euro di «equo compenso». Contro questa sentenza, però, ricorrevano gli stessi professionisti, lamentando che l'importo non era stato deciso sulla base della tariffa professionale e non comprendeva le spese. Ricorreva anche, per altre ragioni, la Provincia.
La Cassazione ha respinto tutti i ricorsi. Intanto perché nel ricorso originario i professionisti avevano fatto riferimento all'articolo 2227 del Codice civile (che parla proprio di «equo compenso») e non 2237 che, non prevedendo comunque alcuna indennità, parla però in modo più ampio di «compenso per l'opera prestata».
La Cassazione ha poi ricordato che l'articolo 2237 prevede sì un'amplissima facoltà di recesso da parte del committente ma questi è tenuto a corrispondere il compenso al prestatore per l'opera da lui svolta «mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto prescritto dall'articolo 2227) per il mancato guadagno». Il giudice, però, non poteva far riferimento all'articolo 2237 perché extra petitum mentre ha fatto riferimento all'onorario che sarebbe spettato se i lavori fossero poi stati realizzati (articolo Il Sole 24 Ore del 10.11.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIIntegrativo in pensione, tutto tace. Silenzio sulla possibilità di applicare il 4% anche alla p.a.. Dal ministero del lavoro l'apertura, ma dall'economia nessun segnale dopo oltre un mese.
Un mese senza nessun segnale. Questa è la risposta attuale del ministero dell'Economia alla posizione assunta da Michel Martone circa la legittimità che i liberi professionisti applichino il «contributo integrativo» al 4% anche alle pubbliche amministrazioni. Stiamo parlando dell'opportunità concreta di aumentare le loro pensioni introdotta dalla mini-riforma Lo Presti (legge 133/2011) e dal suo indebolimento dato proprio dal ministero dell'Economia con una propria interpretazione restrittiva del testo di legge: i suoi tecnici hanno imposto che il contributo integrativo rimanga al 2% invece di salire al 4% (o al 5%) nel caso in cui la richiesta di parcella del libero professionista sia diretta a comuni, regioni, Asl e così via.
La posizione dell'Economia è frutto di soggettiva interpretazione di una clausola di salvaguardia prevista effettivamente nel testo di legge Lo Presti, che esorta a varare provvedimenti «senza maggiori oneri per la finanza pubblica», paventando una necessaria politica di controllo della spesa. Il monito contenuto nell'interpretazione del ministero non ha nulla a che vedere, però, con lo spirito del provvedimento, dato che negare di innalzare il contributo al 4%, contrariamente a quanto invece fanno già molti liberi professionisti di altri ordini professionali, significa discriminare solo alcune categorie malcapitate, tra cui biologi, psicologi, periti industriali e tanti altri. Inoltre una simile interpretazione contraddice la volontà stessa del legislatore, come risulta dagli atti preparatori al testo.
Il viceministro del Welfare, tagliando la testa al toro, aveva sottolineato come non fosse giusto impedire solo ad alcuni liberi professionisti ciò che è permesso ad altri, dato che un simile atteggiamento si macchierebbe in ogni caso di incostituzionalità. Rispondendo all'interrogazione parlamentare urgente proposta proprio da Antonino Lo Presti (Fli), Martone invitava il ministero dell'Economia ad un ripensamento della posizione assunta che non trovava fondamento: invece ad oggi nessuna risposta.
Ovviamente la questione coinvolge immediatamente non solo gli interessi delle Casse di previdenza, ma prima di tutto i diritti previdenziali dei liberi professionisti iscritti. Minore contribuzione integrativa si traduce, infatti, in minori disponibilità economiche da poter ridistribuire sulle future pensioni in un clima di sostanziale disparità e con un mercato del lavoro abbastanza statico. Invece la legge Lo Presti è chiarissima e si rivolge indistintamente alla collettività, non operando distinzione tra cliente pubblico e privato.
E in uno Stato di diritto in cui la certezza della norma è un pilastro, un ritardo, o meglio, il protrarsi della una presa di posizione da parte dell'Economia senza aperture al confronto non appare assolutamente giustificabile (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

ottobre 2012

INCARICHI PROGETTUALIL'appalto è aperto. Ok al progettista collaboratore p.a.. Tar Lazio: niente stop se la consulenza non dà vantaggi.
Un professionista che ha collaborato con la stazione appaltante per gli studi preparatori di un appalto può partecipare alla gara con una impresa di costruzioni se la sua collaborazione non ha determinato effettivi vantaggi competitivi rispetto agli altri concorrenti.

Lo afferma il TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la sentenza 18.10.2012 n. 8595 che affronta il tema della portata dell'art. 90, comma 8 del Codice contratti in relazione all'incompatibilità del progettista in un appalto integrato (di progettazione esecutiva e costruzione) affidato sulla base di un progetto preliminare.
L'impresa aveva indicato quale progettista qualificato un professionista che aveva avuto modo di collaborare alla redazione degli studi specialistici del progetto preliminare. Si doveva quindi verificare se si fosse determinata una asimmetria informativa con gli altri partecipanti alla gara, tale da alterare la concorrenza.
Il Tar premette che la ratio della norma del Codice è quella di evitare che colui che ha avuto una parte determinante nell'elaborazione del progetto posto a base di gara possa poi concorrere all'aggiudicazione della stessa, compromettendo o falsando la concorrenza tra i partecipanti alla gara stessa, a esclusivo favore dell'impresa posta in grado di profittare di informazioni riservate attinenti alla fase progettuale, o addirittura giovandosi di un progetto redatto in maniera da favorire nell'aggiudicazione l'impresa stessa.
La sentenza richiama quindi la giurisprudenza Ue del 2005 (sentenza del 03 marzo, sez. III) che ha avuto modo di chiarire che la normativa nazionale non può ex se precludere, la partecipazione alla gara di un soggetto che sia stato incaricato della ricerca, della sperimentazione, dello studio o dello sviluppo di attività propedeutiche a un appalto, «senza che si conceda alla medesima la possibilità di provare che, nel caso di specie, l'esperienza da essa acquisita non possa falsare la concorrenza».
Occorre, quindi, una valutazione caso per caso sulla reale configurabilità di una simmetria informativa che evidenzi la presenza di «indizi seri, precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante nell'indirizzo delle scelte dell'amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare la concorrenza».
Nel caso specifico, la verifica fatta dalla commissione giudicatrice aveva fatto emergere alcuni elementi ritenuti sufficienti ad escludere l'incompatibilità alla partecipazione alla gara di lavori: a) l'alterità della predisposizione del documento tecnico alla cui redazione ha collaborato il professionista e dell'apporto specifico fornito dal professionista rispetto alla formazione dell'elaborato progettuale posto a base di gara; b) la integrale rimessione della fase progettuale dell'intervento a funzionari pubblici; c) la soluzione di continuità intervenuta nell'andamento di tale fase; d) la messa a disposizione degli studi specialistici a tutti i partecipanti.
Diverso sarebbe stato, ovviamente, laddove il professionista avesse predisposto materialmente il progetto posto a base di gara (articolo ItaliaOggi del 02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Progettisti nelle gare di appalto: quali incompatibilità?
Il TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la corposa sentenza 18.10.2012 n. 8595 ha fornito un interessante orientamento giurisprudenziale in merito alle incompatibilita' per i progettisti ai sensi del comma 8, dell'articolo 90, del Codice degli Appalti Pubblici.
In merito, si deve rilevare che il citato art. 90, comma 8, del D.Lgs. n. 163/2006 testualmente dispone che: “Gli affidatari di incarichi di progettazione non possono partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici, nonché agli eventuali subappalti o cottimi, per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione; ai medesimi appalti, concessioni di lavori pubblici, subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto controllato, controllante o collegato all'affidatario di incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di collegamento si determinano con riferimento a quanto previsto dall'articolo 2359 del codice civile. I divieti (….) sono estesi ai dipendenti dell'affidatario dell'incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello svolgimento dell'incarico e ai loro dipendenti, nonché agli affidatari di attività di supporto alla progettazione e ai loro dipendenti”.
L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti, al pari della giurisprudenza, ha già avuto modo di evidenziare la ratio e la portata della disposizione applicata nel caso di specie dalla stazione appaltante, ricordando che incorre nel divieto in essa sancito il partecipante alla procedura di affidamento di lavori che abbia predisposto o abbia avuto modo di conoscere, anche indirettamente, la progettazione preliminare, in quanto è sufficiente il solo sospetto della possibile lesione della trasparenza nella circolazione delle informazioni legate all’intervento, a costituire un vulnus al principio della par condicio.
Ciò rileva soprattutto in considerazione del criterio di aggiudicazione prescelto per l’affidamento dei lavori di cui trattasi, che è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’ambito del quale sono previsti specifici punteggi per le soluzioni progettuali migliorative proposte in sede di offerta tecnica.
La vicenda Il Sindaco di un ente locale nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza traffico indiceva in data 25.01.2010 una procedura aperta ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. c), del Codice degli Appalti Pubblici per l’affidamento della progettazione e realizzazione della “piattaforma logistica intermodale con annesso scalo portuale” .
Il disciplinare di gara prevedeva l’attribuzione alle offerte dei partecipanti ammessi alla gara di un punteggio complessivo massimo pari a 100, da determinarsi sulla base di elementi di valutazione in parte qualitativi, in forza di valutazioni discrezionali della competente commissione esaminatrice (75/100), in parte oggettivi (25/100).
A conclusione dei lavori, protrattisi per 17 sedute, la commissione valutatrice formalizzava in data 27/28.07.2010 la graduatoria di merito della gara, nella quale si classificava al primo posto, l’offerta di una SPA .
Una delle ditte partecipanti classificatasi al quarto posto della graduatoria richiedeva infruttuosamente alla stazione appaltante, mediante memorie e diffide, l’esclusione dalla gara dei soggetti figuranti nelle prime tre posizioni e l’aggiudicazione a se dei lavori. Intervenivano nel procedimento l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e l’Avvocatura dello Stato.
Con decreto n. 26 del 22.08.2011 il Commissario delegato aggiudicava definitivamente la gara alla SPA classificatasi prima in graduatoria.
L’analisi del TAR La contestazione avanzata dalla società ricorrente era relativa al fatto che vi era la presenza, tra i progettisti incaricati di un ingegnere con elementi di incompatibilità in quanto già collaboratore nell’ambito della redazione della relazione generale degli studi specialistici del progetto del porto oggetto dell’affidamento ; in sostanza era contestato la contestuale partecipazione alla gara di un professionista sotto la duplice veste di progettista per la stazione appaltante e affidatario o dipendente/consulente dell’affidatario.
Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato premette che la ratio della normativa risponde all’esigenza di assicurare par condicio, trasparenza e concorrenzialità nello svolgimento delle procedure a evidenza pubblica, ciò in particolare mirando a evitare che colui che ha avuto una parte determinante nell’elaborazione del progetto posto a base di gara possa poi concorrere all’aggiudicazione della stessa.
L’Avvocatura dello Stato osserva che la giurisprudenza comunitaria recepita da pronunciamenti del giudice nazionale, ha evidenziato come l’art. 90, comma 8, del Codice degli Appalti Pubblici sia norma di stretta interpretazione e che la normativa nazionale non può precludere, pena la violazione del principio di proporzionalità e di libertà di iniziativa economica, la presentazione di una domanda di partecipazione o di una offerta per un appalto pubblico di lavori, di forniture o di servizi da parte di una impresa (o di una persona fisica alla stessa collegata nei termini sopra considerati) che sia stata incaricata della ricerca, della sperimentazione, dello studio o dello sviluppo di tali lavori, forniture o servizi, senza che si conceda alla medesima la possibilità di provare che, nel caso di specie, l’esperienza da essa acquisita non possa falsare la concorrenza.
Il TAR osserva che le norme sulle incompatibilità ed i connessi divieti agiscono in prevenzione, ovvero sono norme che tendono a prevenire il pericolo di pregiudizio, e, verificato il caso di incompatibilità, tendono a salvaguardare la genuinità della gara attraverso la prescrizione del divieto di partecipazione; le stesse non presuppongono né intervenuta la lesione, né la sussistenza di un concreto tentativo di compromissione.
E’, dunque, sufficiente che gli indizi (ferma la loro serietà, precisione e concordanza) riguardino situazioni che, oggettivamente, pongono un determinato concorrente in una posizione di squilibrio (per sé favorevole) nei confronti degli altri concorrenti, e tale da determinare, indipendentemente dal concretizzarsi del vantaggio, una violazione della par condicio.
Il Tribunale amministrativo ritiene di dover concordare:
• sia con il professionista, quando afferma, nelle stesse controdeduzioni, che l’esperienza acquisita dalla partecipante alla gara di appalto mediante l’indicazione del progettista non era idonea a falsare la concorrenza, non rinvenendosi in capo alla stessa, per il suo tramite, alcun vantaggio ingiustificato, derivante dalla conoscenza di elementi specifici, non in possesso delle altre imprese pure partecipanti;
• sia con la commissione di gara che, nel vagliare la posizione della stessa partecipante ha escluso che lo stesso potesse essere escluso dalla partecipazione alla competizione per l’indicazione di cui trattasi.
Può ancora aggiungersi e l’elemento ancora testimonia a sfavore della tesi della ditta ricorrente che le conclusioni cui è pervenuta la commissione di gara in relazione alla posizione della partecipante e dell’ingegnere sono state comunicate dalla stazione appaltante anche all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nell’ambito dell’esame da quest’ultima effettuato di una più ampia serie di questioni relative alla gara per cui è causa, e sono state oggetto di un vaglio sostanzialmente favorevole da parte dell’Autorità, espressamente per quanto concerne l’andamento e la consistenza del segmento procedimentale costituito dalla predetta verifica, avendo la detta Autorità rilevato, con atto n. 51360 del 10.05.2011, che “la commissione ha seguito una procedura completa, acquisendo ulteriore documentazione e le controdeduzioni dell’impresa” , senza null’altro approfondire o richiedere sul punto (commento tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALILEGGE DI STABILITÀ/ Partecipate nel mirino. Saltano blocco contratti e contributo di solidarietà. P.a., consulenze non rinnovabili. Proroga solo in via eccezionale. E il compenso resta lo stesso.
Tempi duri per l'esercito di consulenti degli enti pubblici. Gli incarichi (per forza di cose temporanei e altamente qualificati come prevede il Testo unico del pubblico impiego) non potranno essere rinnovati e sarà ammessa la proroga solo in via eccezionale se il progetto per cui sono state conferite le consulenze non è ancora stato completato a causa di ritardi non imputabili al collaboratore. E, particolare non di poco conto, anche in caso di proroga, il compenso resterà quello pattuito al momento del conferimento dell'incarico. Il giro di vite sulle consulenze si estenderà anche alle partecipate, ossia alla galassia delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, su cui si era già abbattuta la scure della spending review. Oltre a essere soggette al tetto del 50% della spesa 2009 per co.co.co. e contratti a termine, saranno soggette ai limiti e agli obblighi di trasparenza nel conferimento degli incarichi vigenti per tutta la pubblica amministrazione.

Ancora una volta il taglio delle spese della p.a. passa attraverso la messa a dieta delle consulenze. Il ddl di stabilità 2013 non sfugge a questa regola ormai consolidata, stabilendo un generale divieto di rinnovo degli incarichi, salvo le eccezioni di cui si è detto.
Chi invece può sorridere sono i grand commis di stato per il dietrofront sulla proroga a tutto il 2014 del contributo di solidarietà (5% sopra i 90 mila euro lordi annui di stipendio, 10% sopra i 150 mila) introdotto dalla manovra 2010 di Giulio Tremonti. Salta anche il blocco del rinnovo dei contratti pubblici per il 2014.
Il doppio passo indietro è stato imposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 223/2012 che giovedì ha dichiarato incostituzionale il prelievo (si veda ItaliaOggi di ieri). Stessa sorte è toccata alla trattenuta del 2,5% sul tfr degli statali, anche questa prevista dal dl 78/2010 e spazzata via dalla Consulta. Con la conseguenza che ora le p.a. dovranno restituire le somme illegittimamente trattenute a decorrere dal 1° gennaio 2011. Secondo la Uil-Fpl nelle tasche degli statali dovrebbero tornare in media 600 euro l'anno per un lavoratore di fascia C. «Una grande soddisfazione» che il sindacato guidato da Giovanni Torluccio rivendica rimarcando la differenza con le altre sigle sindacali le quali, ricorda, «non hanno dimostrato alcun interesse in proposito, ma anzi hanno fatto proprie le tesi dell'Inpdap sulla correttezza della trattenuta del 2,50%».
«Sin dall'approvazione della norma, abbiamo sempre sostenuto che fosse illegittima in quanto violava il principio di eguaglianza e quello di parità di trattamento retributivo rispetto al settore privato», ha proseguito.
Tornando al ddl di stabilità, l'unica novità confermata rispetto all'impianto originario, riguarda il dimezzamento della retribuzione (non sarà toccata invece la contribuzione figurativa) dei permessi fruiti per assistere familiari disabili (per esempio i genitori). Continueranno a essere pagati al 100% i permessi richiesti per patologie dello stesso dipendente o per l'assistenza ai figli o al coniuge.
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Giro di vite sugli acquisti di auto e immobili.
Scatta subito il divieto per le pubbliche amministrazioni di acquistare o prendere in leasing autovetture. Divieto che, però, non si applica per gli acquisti effettuati dalle amministrazioni che ricadono nel cosiddetto comparto sicurezza e per quelle che devono garantire i livelli essenziali di assistenza sociale e sanitaria. Dal prossimo Capodanno, le stesse p.a. non possono acquistare immobili né stipulare contratti di locazione passiva, salvo che non si tratti di rinnovi di contratti già in essere. Dal 2014, invece, gli enti territoriali e quello del Servizio sanitario nazionale potranno effettuare operazioni di acquisto di immobili solo se sarà documentata e certificata l'assoluta indispensabilità del predetto immobile ai fini istituzionali.
Stretta, invece, per il biennio 2013-2014, sull'acquisto di mobili e arredi. Le p.a. a tal fine, non dovranno sforare il 20% della spesa sostenuta nel 2011. Infine, anche le scuole e le università dovranno attingere alle convenzioni presenti sul mercato telematico per l'acquisto di beni e servizi. È quanto contenuto all'interno della legge di stabilità varata dall'esecutivo nella serata di mercoledì scorso e che, in pratica, fa stringere ancora di più la cinghia al comparto della pubblica amministrazione.
Auto nuove addio. Un divieto senza precedenti quello che si abbatte sul parco auto della p.a. La legge di stabilità, infatti, dispone che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico Istat (anche gli enti territoriali, pertanto) a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa, non possono acquistare autovetture né possono acquisirle mediante la stipula di contratti di leasing.
E per evitare qualche «furbetto», la norma tiene a precisare che si intendono revocate anche le procedure di acquisto iniziate dal 9 ottobre scorso. Da questo taglio netto con il passato, escluse espressamente le amministrazioni del comparto sicurezza e quelle che sono tenute a garantire servizi sociali e sanitari. La norma, infine, sancisce che per le regioni il divieto costituisce una condizione inderogabile ai fini dell'erogazione dei trasferimenti erariali.
Stretta sugli immobili. Per il prossimo anno, tutte le p.a. e le authority non potranno acquistare immobili né stipulare contratti di locazione passiva. Divieto che non opera nel caso di rinnovi contrattuali ovvero nei casi in cui la «nuova» locazione sia economicamente più vantaggiosa per acquisire disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi.
Dal gennaio 2014, invece, scatterà il divieto per gli enti territoriali e per quelli del Ssn di acquistare immobili. Tranne nei casi in cui il responsabile del procedimento attesti «l'indispensabilità e l'indilazionabilità» dell'operazione. Quest'ultima, inoltre, dovrà essere connotata dalla massima trasparenza in quanto, sia il prezzo pattuito (che dovrà essere preliminarmente definito congruo dall'Agenzia del demanio) che il soggetto alienante, dovranno essere resi noti sul sito internet dell'ente.
A dieta su mobili e arredi. Per il prossimo biennio, l'esecutivo intende sforbiciare anche la spesa sostenuta dalle p.a. per mobili e arredi. Si dispone, infatti che tutte le p.a., le authority e la Consob (ma non gli enti e gli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome e dagli enti locali) non potranno sostenere spese a tali fini di ammontare superiore al 20% della spesa sostenuta nel 2011. I dirigenti responsabili dell'eventuale violazione ne risponderanno sotto il profilo amministrativo e disciplinare. I risparmi conseguiti dovranno essere versati entro il 30 giugno al bilancio statale.
Scuola e mercato telematico. Operando una modifica all'articolo 1, comma 449, della legge finanziaria 2007 (la legge n. 296/2006), l'esecutivo ha disposto che anche gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e quelle universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi dei beni e servizi disponibili sul mercato telematico, utilizzando le cosiddette convezioni-quadro (articolo taliaOggi del 13.10.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: SPESE GIUDIZIALI CIVILI - LIQUIDAZIONE – ABROGAZIONE DELLE TARIFFE PROFESSIONALI – DISCIPLINA TRANSITORIA - ART. 41 DEL D.M. 140 DEL 2012.
Le S.U. hanno affermato che, agli effetti dell’art. 41 del d. m. 20.07.2012, n. 140, il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24.01.2012, n. 1, convertito in legge 24.03.2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate (Corte di Cassazione, Sezz. Unite Civili, sentenza 12.10.2012 n. 17405 - link a www.
cortedicassazione.it).

settembre 2012

INCARICHI PROFESSIONALICompensi professionali: come calcolo la parcella per una prestazione durata oltre 10 anni?
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, si pronuncia, con la sentenza 28.09.2012 n. 16581, in merito al calcolo della parcella di un professionista la cui prestazione lavorativa si è protratta per ben 11 anni.
La tariffa applicabile è quella relativa all’inizio dell’attività, quando è stato sottoscritto il contratto, o si fa riferimento alla tariffa vigente al momento della liquidazione? Oppure sarebbe opportuno frazionare la prestazione professionale?
Durante il corso degli anni c’è stata una evoluzione delle tariffe professionali, fino all’attuale abolizione delle stesse e determinazione del compenso attraverso un preventivo di massima, al momento dell’affidamento dell’incarico, basato esclusivamente sulla contrattazione privata tra professionista e cliente (v. art. 2233 del Codice Civile).
Nel caso in esame, la Cassazione decide che il compenso del professionista va calcolato prendendo come riferimento le tariffe vigenti a fine lavori, dovendo considerare “unitaria” la natura dell’incarico conferito e non frazionato nel corso degli anni in rapporto alle diverse prestazioni eseguite.
In conclusione, vale la tariffa in vigore a fine incarico.
Ma a questo punto potremmo chiederci: cosa accade per i lavori iniziati prima dell’abolizione e terminati oggi, quando le tariffe professionali sono ormai abrogate?
Ad inizio lavori il professionista poteva far affidamento a tariffe ben precise; alla fine dell’espletamento dell’incarico lo stesso professionista potrebbe, invece, correre il rischio di andare incontro ad un compenso inferiore calcolato (eventualmente in fase di contenzioso) con il D.M. 20.07.2012 n. 140.
Inoltre, l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso determinato rispetto al preventivo fino al 60% (04.10.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALIIntegrativo 4% anche con le p.a.. La risposta del Lavoro ai professionisti.
Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare al professionista il contributo integrativo al 4% e non al 2%.
Questo il senso della risposta fornita dal viceministro al Lavoro Michel Martone a un'interrogazione proposta alla camera dal deputato Antonino lo Presti. Un'apertura di credito nel senso dalla possibilità di applicazione a pieno titolo anche nel caso delle pubbliche amministrazioni, che coinvolge e interessa tutti i liberi professionisti iscritti alle Casse di nuova generazione finora penalizzati da un'interpretazione in senso contrario del ministero dell'economia.
La legge «Lo Presti», dal luglio 2011, ha fornito la possibilità ai liberi professionisti di aumentare la loro pensione attraverso l'utilizzo di una parte del contributo integrativo riconosciuto in fattura dal cliente al momento di liquidare una prestazione professionale. Ma a una condizione: che il contributo fosse debitamente aumentato dal 2 al 4%. Questo principio, però, era stato circoscritto dal ministero dell'economia che metteva al riparo le pubbliche amministrazioni dal riconoscere la possibilità di applicare il 4% al posto del 2, coinvolgendo i professionisti iscritti alle Casse del 103: biologi, infermieri, psicologi, periti industriali e le quattro professioni legate alla Cassa pluricategoriale (attuari, chimici, dottori agronomi e forestali, geologi).
Insomma, il ministero dell'economia introduceva il principio del doppio binario: quando lavori per un privato, il contributo integrativo si applica al 4%, quando lavori per il pubblico, quel contributo resta fermo al 2%. In questo caso, per i liberi professionisti avrebbe significato niente possibilità di mettere da parte più denari per la futura pensione.
Il viceministro Martone, però, ha aperto a una revisione dell'interpretazione, rispondendo all'interrogazione parlamentare presentata dallo stesso onorevole Lo Presti (seduta 20.09.2012 n. 689). Martone ha riconosciuto che sono intervenuti due fattori che meritano un ripensamento della lettura limitativa della legge 133/2011: anzitutto sono stati aboliti i minimi tariffari e, in secondo luogo, è palese come sia incostituzionale discriminare alcune categorie professionali rispetto ad altre, spesso coinvolte in lavori sostanzialmente simili (articolo ItaliaOggi del 28.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga. Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai professionisti per quantificare la propria prestazione professionale. E metterla al riparo da eventuali contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20 settembre). Le clausole più importanti riguardano la privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di lettera di incarico professionale. Dove non devono mai mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili, recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso decreto sui parametri prevede che il professionista debba dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere assunto dal professionista come base di riferimento la considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente, non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento di incarico professionale», afferma il presidente, Marina Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è diventato un elemento basilare del rapporto tra il professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie di contratto: dall'incarico professionale con committenti privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è individuare il compenso senza potersi riferire alle tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano, «si tratta di una contraddizione perché l'utente ha un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice alla fine del procedimento diventano il compenso del professionista, mentre non possono essere utilizzate dal professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed esplicito perché le attività professionali tecniche, come quella di progettazione, hanno la particolarità di poter subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato dal professionista per determinare quella cifra, se si fa riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo comportamento. In altre parole: come si fa a definire una prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri, in modo tale che il contratto sia salvo in caso di contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire, comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito una materia che prima era regolata da decreti ministeriali. In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto compenso per il professionista, in una controversia con il cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il professionista a stendere il contratto vincolante per il cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente, infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1 del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in questo caso deve applicare il contratto e non può passare alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del contratto e sostenerne la nullità totale o parziale; tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto. Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto 140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile, considerata la forbice minimo-massimo per singole prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra professionisti, singoli e associati, e tra società professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n. 137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011 in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la possibilità di scelta del professionista anche sulla base del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n. 137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate, che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente l'attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e anche i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la violazione della disposizione sui principi della pubblicità informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni previste dal codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio la qualifica del professionista e spostarla sul versante imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli ordini. A parte queste considerazioni generali, va sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità comparativa è ulteriore elemento che spinge alla individuazione di un tariffario di studio e di una contrattualistica standard a uso del singolo professionista, dello studio associato e della società tra professionisti (articolo ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALICosa accade se la parcella del tecnico “lievita” rispetto al preventivo?
In seguito all’abolizione delle tariffe professionali il compenso per le prestazioni va pattuito al momento del conferimento dell'incarico, con un preventivo di massima basato esclusivamente sulla contrattazione tra professionista e committente.
Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa la complessità dell’incarico e gli oneri ipotizzabili, dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico.

A tal riguardo si esprime la II Sez. civile della Corte di Cassazione che, con la sentenza 18.09.2012 n. 15628, respinge il ricorso presentato da un professionista che aveva richiesto un compenso più alto rispetto a quello pattuito inizialmente con il cliente, avendo svolto ulteriori e più costose prestazioni rispetto a quelle concordate.
La Cassazione stabilisce che il compenso non può essere ritoccato; in caso di incremento delle prestazioni il professionista è tenuto ad informare tempestivamente il cliente, altrimenti si potrebbe configurare un comportamento non corretto da parte del tecnico (commento tratto da www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Disciplinari–tipo e mansionari per le prestazioni professionali dell’Ingegnere (committenti pubblici e privati). On-line tutte le schede singole (in formato Word) per il proprio utilizzo (link a www.centrostudicni.it):
1) committenti pubblici;
2) committenti privati.

INCARICHI PROGETTUALI: DISCIPLINARI-TIPO E MANSIONARI PER LE PRESTAZIONI PROFESSIONALI DELL’INGEGNERE (committenti pubblici e privati) (Quaderni del Centro Studi Consiglio Nazionale Ingegneri, n. 135/2012).

INCARICHI PROFESSIONALIGuida e Vademecum sulla riforma delle professioni.
Il 12 settembre scorso il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha messo in rete due documenti relativi alla riforma delle professioni: una guida, in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica del 07.08.2012, ed un vademecum con le domande più frequenti e le relative risposte, come ad esempio:
Cos’è la riforma delle professioni?
È possibile farsi pubblicità?
I neo laureati dovranno effettuare un tirocinio per poter fare l’esame di Stato?
Cosa cambia con la riforma?
Le tariffe rimangono abrogate?
In allegato a questo articolo il vademecum sulla riforma e la guida in cui si fa riferimento ad alcuni articoli del DPR 137/2012 che hanno comportato i cambiamenti più significativi allo sviluppo della riforma delle professioni, in particolare:
● abrogazione delle tariffe professionali
● obbligo di concordare preventivamente con i clienti il compenso professionale
● obbligo di indicare i dati della propria polizza
● tirocinio per potere sostenere l’esame di Stato (13.09.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Mandato professionale, mai più senza l'accordo sul compenso. Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora il professionista sia in grado di dimostrare che tra le parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento, viene precisato come nel compenso determinato con l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità del compenso nel caso di incarico conferito a una società tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi che come massimi, sono elementi vincolanti per la liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale, quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro effettivamente svolto e dalle singole circostanze che possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre più uno strumento indispensabile per il professionista e per l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012, nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto al cliente come verrà determinato il compenso per la prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per l'adempimento dell'incarico conferito (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalti, stop ai ribassi selvaggi. Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse pubblico.  In arrivo un dm giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista. Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre lo scenario complessivo di riforma delle professioni che, tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe professionali e un nuovo sistema per la definizione dei compensi: si tratta del decreto interministeriale giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a disposizione un riferimento sulla base del quale impostare le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il settore già colpito in questo senso da modifiche significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e del grado di complessità. All'interno della stessa categoria d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente» in una percentuale del compenso pari al 25% per importo delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali si applicano per interpolazione lineare» (articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012).

INCARICHI PROGETTAZIONELa regola ex art. 90, comma 8, dlgs 163/2006 è espressione del principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti a una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la medesima posizione.
Il legislatore, vietando a coloro che direttamente o indirettamente (agli affidatari degli incarichi di progettazione e ai loro dipendenti e collaboratori) abbiano partecipato alla progettazione di concorrere nelle gare per l’affidamento dell’esecuzione dei lavori progettati, ha voluto assicurare la massima autonomia e l’assoluta separazione tra attività di progettazione dei lavori e le attività esecutive degli stessi e, quindi, evitare che il redattore del progetto possa essere in modo diretto o indiretto anche l’esecutore dei lavori.
In tal modo, non si tratta, quindi, di ricercare ipotesi tipiche, normativamente individuate dal legislatore, al fine di verificare se gli elementi consentano di ricondurre la posizione a tali ipotesi, ma di valutare se vi sia stata una differente posizione di partenza nella partecipazione alla procedura per l’affidamento dell’incarico di progettazione in esame, che abbia dato luogo a un possibile indebito vantaggio. La regola generale della incompatibilità garantisce la genuinità della gara, e il suo rispetto prescinde dal fatto che realmente si sia dato un vantaggio per un concorrente a motivo di una qualche sua contiguità con l’Amministrazione appaltante. In tal senso, quel che rileva è la situazione dei partecipanti alla gara, il cui esame deve evidenziare, in modo oggettivo, una disomogeneità di partenza per la particolare posizione in cui qualche concorrente viene a trovarsi.
Ovviamente, tale ricerca deve essere condotta con attenzione e rigore, dovendosi essa concludere negativamente nel caso in cui difettino indizi seri, precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante nell’indirizzo delle scelte dell’Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare la concorrenza.
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Anche se la norma dell’art. 90, comma 8, si riferisce al rapporto tra appalti di lavori e preventiva progettazione, non si può non ritenere applicabile il principio generale del divieto di partecipazione di chi abbia una posizione di vantaggio relativamente agli appalti di servizi.

Il Collegio ritiene opportuno, preliminarmente precisare quanto segue.
- l’art. 90, comma 8, del Codice degli appalti, prevede: “Gli affidatari di incarichi di progettazione non possono partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici, nonché agli eventuali subappalti o cottimi, per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione; ai medesimi appalti, concessioni di lavori pubblici, subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto controllato, controllante o collegato all’affidatario di incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di collegamento si determinano con riferimento a quanto previsto dall’articolo 2359 del codice civile. I divieti di cui al presente comma sono estesi ai dipendenti dell’affidatario dell’incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello svolgimento dell’incarico e ai loro dipendenti, nonché agli affidatari di attività di supporto alla progettazione e ai loro dipendenti”;
- la regola è espressione del principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti a una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la medesima posizione;
- il legislatore, vietando a coloro che direttamente o indirettamente (agli affidatari degli incarichi di progettazione e ai loro dipendenti e collaboratori) abbiano partecipato alla progettazione di concorrere nelle gare per l’affidamento dell’esecuzione dei lavori progettati, ha voluto assicurare la massima autonomia e l’assoluta separazione tra attività di progettazione dei lavori e le attività esecutive degli stessi e, quindi, evitare che il redattore del progetto possa essere in modo diretto o indiretto anche l’esecutore dei lavori (Cons. Stato, sez. VI, 07.11.2003 n. 7130);
- in tal modo, non si tratta, quindi, di ricercare ipotesi tipiche, normativamente individuate dal legislatore, al fine di verificare se gli elementi consentano di ricondurre la posizione a tali ipotesi, ma di valutare se vi sia stata una differente posizione di partenza nella partecipazione alla procedura per l’affidamento dell’incarico di progettazione in esame, che abbia dato luogo a un possibile indebito vantaggio. La regola generale della incompatibilità garantisce la genuinità della gara, e il suo rispetto prescinde dal fatto che realmente si sia dato un vantaggio per un concorrente a motivo di una qualche sua contiguità con l’Amministrazione appaltante. In tal senso, quel che rileva è la situazione dei partecipanti alla gara, il cui esame deve evidenziare, in modo oggettivo, una disomogeneità di partenza per la particolare posizione in cui qualche concorrente viene a trovarsi;
- ovviamente, tale ricerca deve essere condotta con attenzione e rigore, dovendosi essa concludere negativamente nel caso in cui difettino indizi seri, precisi e concordanti sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante nell’indirizzo delle scelte dell’Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare la concorrenza (Cons. Stato, sez. V, 15.01.2008 n. 36);
- né, d’altro canto il principio di massima partecipazione alle gare può essere assolutizzato come valore in sé, in quanto, se è senza dubbio auspicabile la più ampia partecipazione dei concorrenti alle gare (in quanto ciò -garantendo una scelta più ampia- soddisfa il principio di buon andamento), è altrettanto vero che il detto principio deve ricevere una lettura “relativizzata”, nel senso che è auspicabile la più ampia partecipazione nel rispetto del prevalente principio della tutela della concorrenza, realizzato attraverso la tutela della “par condicio” dei concorrenti;
- alla luce di quanto esposto, anche se la norma dell’art. 90, comma 8, si riferisce al rapporto tra appalti di lavori e preventiva progettazione, non si può non ritenere applicabile il principio generale del divieto di partecipazione di chi abbia una posizione di vantaggio relativamente agli appalti di servizi, oggetto della presente controversia (Cons. di St., sez. IV, 23.04.2012, n. 2402; Idem, 03.05.2011, n. 2650; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 15.06.2012, n. 714; Cons. di St., sez. V, 04.03.2008 n. 889)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 07.09.2012 n. 1472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: G.U. 22.08.2012 n. 195 "Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27" (Ministero della Giustizia, decreto 20.07.2012 n. 140).
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PROFESSIONI/ Un compenso per fasi di giudizio. Per gli avvocati non si fa più riferimento a singole attività. In Gazzetta il regolamento sui compensi. Che è operativo fin da oggi.
Compenso agli avvocati per fasi del giudizio e non più per singole attività. Il prontuario per i giudici per la liquidazione dei compensi ai professionisti (regolamento n. 140 del 20.07.2012) approda in G.U. (n. 195 del 22.08.2012) e si applica fin da oggi ogni volta che il magistrato deve quantificare quanto è dovuto al professionista (non solo avvocato, ma anche dottore commercialista ed esperto contabile, notaio o professionista tecnico o altro professionista).
Il regolamento (si veda ItaliaOggi del 18 agosto) si caratterizza per il fatto di costituire un indirizzo di massima, non vincolante né per il giudice né tanto meno nel rapporto tra cliente e professionista.
La liquidazione da parte del giudice, per gli avvocati, avviene all'esito della causa o al momento in cui si rilascia un decreto ingiuntivo o in altro provvedimento che per legge preveda la liquidazione delle spese. Per l'ambito forense va sottolineato che vengono riportati parametri anche per il caso in cui l'avvocato si autoliquida i compensi nell'atto di precetto, che da l'avvio all'esecuzione forzata.
Il prontuario si caratterizza per il fatto di costituire una griglia, non obbligatoria per il magistrato e tanto meno nel rapporto tra cliente e proprio avvocato.
Il prontuario non è vincolante per il magistrato, in quanto costituisce una linea di indirizzo per la determinazione del corrispettivo sia in sentenza sia negli altri provvedimenti nei quali la legge attribuisce al giudice di liquidare le spese.
Il giudice è svincolato dall'applicazione cogente delle cifre, ma è soggetto ai principi generali relativi alla determinazione del compenso in relazione alla quantità e alla qualità della prestazione effettuata.
È vero che per le singole voci del prontuario si indicano livelli minimi e livelli massimi, ma non si tratta di importi cogenti e vincolanti. D'altra parte l'abbandono del sistema delle tariffe, stabilite con decreto ministeriale, non poteva essere frustrato dalla individuazione di parametri minimi e massimi altrettanto obbligatori.
Il prontuario non è, poi, vincolante nei rapporti tra cliente e professionista singolo, associato o società professionale.
Nei rapporti interni sarà il contratto di prestazione di opera intellettuale a determinare i compensi spettanti al professionista, senza alcun obbligo di riferimento ai parametri ministeriali.
Peraltro questo non significa che non vi sia alcuna regola per la determinazione dei compensi in sede contrattuale. Si pensi per la categoria degli avvocati, per i quali rimane vigente la regola del codice deontologico forense, che impone di non stabilire compensi eccessivi o sproporzionati.
La nuova situazione (abolizione delle tariffe obbligatorie e individuazione di parametri per la liquidazione giudiziale), unita al valore del preventivo e del contratto di conferimento di incarico, potrà spingere i professionisti singoli o associati e le società professionali a costruire un proprio prezziario, da riversare nelle scritture contrattuali, e da utilizzare anche nella pubblicità informativa consentita dalle norme deontologiche. Il prontuario si caratterizza per tutte le categorie professionali per una spiccata semplificazione e onnicomprensività. Per gli avvocati si abbandona un sistema articolato in diritti e onorari rapportati alle autorità giudiziarie procedenti e al valore della causa, in cui sia i diritti che gli onorari elencavano ogni singola prestazione: dalla formazione del fascicolo alla corrispondenza con parti e controparti, dalla stesura degli atti di causa alla notificazione della sentenza, e così via.
I parametri individuano alcune fasi: di studio della controversia; di introduzione del procedimento; istruttoria; decisoria; esecutiva. In relazione a ciascuna fase il parametro è onnicomprensivo, anche se suscettibile di aumenti e diminuzioni. La semplificazione riguarda anche il procedimento di ingiunzione e il precetto. In quest'ultimo caso è l'avvocato che redige l'atto, che avvia l'esecuzione forzata: i parametri ministeriali individuano quattro scaglioni con relativo compenso onnicomprensivo. I parametri per gli avvocati mandano, dunque, in soffitta sia i diritti che gli onorari e individuano una unica voce di compenso. L'importo conteggiato dal giudice sarà comunque onnicomprensivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa.
Nei compensi, determinati dal regolamento, non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità: le parti possono anche mettersi d'accordo per il rimborso in modo forfettario. Non sono compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. Mentre sono compresi i costi degli ausiliari incaricati dal professionista.
Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
Una importante novità, che vale per tutti i professionisti, riguarda il preventivo. L'assenza di prova del preventivo di massima (articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto legge 1/2012) costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso (articolo ItaliaOggi del 23.08.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: La carenza di personale interno eventualmente idoneo a svolgere il compito affidato all’esterno deve accertato per mezzo di una reale ricognizione.
Invero, il conferimento di incarichi all’esterno, anche attraverso un co.co.co., è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale competente ad affrontare problematiche di particolare complessità od urgenza.
In altri termini la facoltà di ricorrere a collaborazioni esterne non può considerarsi una prerogativa arbitraria di chi amministra ma va collocata nell’ambito del contesto normativo predisposto dal legislatore il quale la consente solo in situazioni assolutamente residuali e per un tempo assolutamente limitato (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. giur. Calabria,
sentenza 20.08.2012 n. 240).

INCARICHI PROFESSIONALIAbolizione dei tariffari senza riflessi per lo stato. Parere del Consiglio di stato sul dpr con i nuovi parametri.
L'abolizione delle tariffe non deve danneggiare le casse professionali e gli archivi notarili.
È quanto prevede il parere 13.08.2012 n. 3576 del Consiglio di Stato, che ha licenziato favorevolmente lo schema di Regolamento sulla determinazione dei parametri per oneri e contribuzioni dovuti alle Casse professionali e agli Archivi, in attuazione dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 1/2012.
Si tratta di un derivato della abolizione delle tariffe professionali e il principio generale da perseguire è salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali; inoltre si deve evitare una riduzione delle principali entrate dell'amministrazione degli archivi notarili (tassa archivio, tassa iscrizione al Registro generale dei testamenti e diritti per i servizi resi all'utenza), basate sulla tariffa notarile.
Lo schema di regolamento mantiene un importo base di calcolo unico sia per le tasse che per i contributi; tale importo rimane graduale per gli atti di valore determinato o determinabile, mentre è stabilito in misura fissa per gli altri atti, a seconda della tipologia dell'atto.
Inoltre gli importi da indicare al repertorio per il calcolo di tasse e contributi sono stati adeguati all'andamento dell'inflazione nel periodo 2001-2011 (23%).
Il Consiglio di stato rileva che l'adeguamento non deve necessariamente essere pienamente corrispondente all'incremento Istat per le professioni liberali, soprattutto in un momento di crisi economica e finanziaria.
Anche se la misura, più bassa del tasso d'inflazione, deve essere rimessa all'amministrazione, tenuto conto anche della finalità di salvaguardare l'equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
Lo schema di decreto prevede una sola tabella per i parametri determinati in misura graduale, da applicare sia per gli atti pubblici, sia per le scritture private autenticate, con allineamento agli importi previsti per gli atti pubblici.
Il Consiglio di stato suggerisce, tuttavia, di conservare una riduzione per le scritture private autenticate o, comunque, di mantenere una unica tabella con importi determinati in misura inferiore e non allineati verso l'alto.
Altro punto da rivedere è l'importo dovuto per il rilascio delle copie di atto cartaceo, raddoppiato in caso di copia esecutiva: palazzo Spada chiede di valutare la congruità degli importi, tenuto conto che si tratta di un semplice rilascio di copie (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012 - link a www.corteconti.it).

luglio 2012

APPALTI FORNITURE E SERVIZI - INCARICHI PROGETTUALI - SICUREZZA LAVOROConsip, la gara è la regola.
Le gare Consip sono illegittime se prevedono che l'aggiudicatario possa a sua volta scegliere senza gara professionisti ai quali affidare servizi di ingegneria, proponendoli direttamente alle amministrazioni aderenti alla convenzione Consip; occorre invece affidare una gara ad hoc.

È questo il contenuto principale della interessante sentenza 16.07.2012 n. 4163 della VI Sez. del Consiglio di stato.
La sentenza, almeno con riguardo all'impostazione di alcune gare seguite da Consip negli ultimi anni, pone dei paletti invalicabili quando le attività date in appalto contengano anche servizi di ingegneria e architettura, sia pure in misura complessivamente marginale. Nel caso specifico gli atti di gara prevedevano che l'aggiudicatario stipulasse una convenzione con la Consip, aperta all'adesione delle amministrazioni interessate, attraverso la quale egli si impegnasse a indicare all'amministrazione aderente alla convenzione il curriculum e quindi il nominativo del professionista da incaricare per lo svolgimento del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione.
In prima istanza il Tar aveva giudicato legittimo l'operato della Consip sul rilievo che le attività di coordinamento della sicurezza non sarebbero riservate a ingegneri e architetti e che gli affidamenti non sarebbero stati soggetti all'applicazione dell'articolo 91 del Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio di stato ribalta il giudizio di primo grado innanzitutto per quel che riguarda la non esclusività delle prestazioni in capo a ingegneri e architetti.
Per quel che riguarda invece le modalità di affidamento di tali prestazioni i giudici affermano che se ad assumere le vesti del committente-datore di lavoro è un soggetto pubblico, le regole per la individuazione delle figure professionali incaricate del coordinamento della sicurezza non potrebbero essere diverse da quelle prescritte dal codice dei contratti in relazione alle medesime figure.
Si tratta quindi di attività riservate da affidare secondo le regole del Codice dei contratti pubblici: oltre 100.000 euro con gara e al di sotto con la procedura a inviti (a cinque) prevista dall'art. 57, comma 6. La convenzione è dunque illegittima perché aggira l'evidenza pubblica (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012 - link a www.corteconti.it).
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Coordinatori sicurezza: Sentenza del Consiglio di Stato sulle modalità di affidamento.
Con la sentenza 16.07.2012 n. 4163, il Consiglio di Stato, sezione VI, si è definitivamente espresso in merito alle modalità delle nomine del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed in fase di esecuzione nei cantieri temporanei e mobili.
La vicenda nasce da un ricorso del Consiglio nazionale degli Ingegneri contro la Consip s.p.a. per la riforma della sentenza n. 7124/2011 del Tar del Lazio–Roma sezione III concernente la fornitura servizi e gestione integrata della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale delle comunità europee del 23.10.2009 Consip spa aveva indetto una gara a procedura aperta, strutturata in sei lotti corrispondenti a distinte aree geografiche del Paese, per la fornitura del servizio di gestione integrata della sicurezza sui luoghi di lavoro negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle pubbliche amministrazioni.
Tra i tanti servizi oggetto di gara era anche ricompreso il servizio denominato “Misure di sicurezza nei cantieri”, avente ad oggetto la fornitura, alle amministrazione richiedenti, delle risorse e degli strumenti necessari a garantire la tutela della salute e della sicurezza nei cantieri temporanei e mobili che rientrano nel campo di applicazione del d.lgs. n. 81 del 2008, in forza del quale l'aggiudicatario avrebbe tra l'altro fornito all'amministrazione i nominativi del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e del coordinatore della sicurezza in fase esecutiva.
Con ricorso al Tar del Lazio il Consiglio Nazionale degli Ingegneri aveva impugnato gli esiti della predetta gara nella parte in cui a mezzo di tale selezione è stato sostanzialmente affidato all'aggiudicatario dei singoli lotti d'appalto anche il compito di indicare alle amministrazioni aderenti alla convenzione i nominativi dei soggetti responsabili dei servizi relativi al coordinamento della sicurezza in fase di progettazione ed in fase di esecuzione.
Con sentenza n. 7124 del 05.09.2011 il Tar aveva respinto il ricorso.
Ora il Consiglio di stato da ragione al Consiglio nazionale degli Ingegneri precisando che le conclusioni cui pervengono i giudici del Tar in ordine alla legittimità degli affidamenti degli incarichi di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e di coordinatore della sicurezza in fase esecutiva non appaiono condivisibili.
I Giudici di Palazzo Spada ricordano che alla luce delle previsioni contenute negli articoli 90 e 91 del Codice dei contratti, l'affidamento degli incarichi di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché gli incarichi di supporto tecnico-amministrativo, può essere compiuto in favore di una pluralità di soggetti ma quel che più rileva è che, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali. Deve inoltre essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche. Quanto alle modalità di affidamento, l'articolo 91 è tassativo nel prescrivere che gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo , ovvero, per i soggetti operanti nei settori di cui alla parte III, delle disposizioni ivi previste.
Nella sentenza viene, anche, precisato che tali affidamenti, nei quali rientrano anche quelli afferenti i servizi di coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ed in fase di esecuzione, postulano l'esperimento di una procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione del contraente e che, anche per le gare di importo inferiore alla soglia di centomila euro, devono comunque osservarsi i principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, secondo la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6, del Codice dei contratti. Per altro, nell'articolo 91, comma 8, del codice dei contratti viene definito il divieto di affidamento di attività di progettazione coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori, coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato o altre procedure diverse da quelle previste dal codice.
Peraltro ai giudici del Consiglio di Stato, stante l'obbligo normativo dell'evidenza pubblica in tal genere di affidamenti, non appare pertinente, per evidente incompatibilità applicativa, il richiamo alla disciplina del subappalto ed ai suoi limiti applicativi (commento tratto da www.lavoripubblici.it).

giugno 2012

INCARICHI PROGETTUALI: M. De Cilla, INADEMPIMENTO DEL PROGETTISTA - DIRETTORE DEI LAVORI: QUALE GIURISDIZIONE? (Gazzetta Amministrativa n. 2/2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure urgenti per la crescita del Paese" (D.L. 22.06.2012 n. 83).
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Le disposizioni del Decreto Legge sono già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi (SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al testo del Decreto, riproponiamo il documento di sintesi delle principali disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a http://www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALIParcelle più leggere per i tecnici. Spese e oneri dell'attività fuori dalla liquidazione dei compensi. Il decreto con i parametri di riferimento riduce gli onorari dei professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere fino al 30% per le prestazioni professionali di area tecnica. Per lo meno nel calcolo degli onorari giudiziari. Anche se, a detta di molti, i nuovi parametri per la liquidazione dei compensi diventeranno implicitamente i nuovi riferimenti tariffari nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i criteri per la liquidazione degli onorari per le professioni regolamentate (si veda ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo dovuto per esempio a un'opera di progettazione o direzione lavori, di verifica o collaudo di un impianto elettrico scompare qualsiasi rimborso delle spese e degli oneri sostenuti per svolgere l'attività. Il che significa una media di circa il 20-30% in meno dei compensi professionali dovuti fino ad ora, quando queste spese venivano calcolate a piè di lista o su base forfettaria fino a un massimo del 60% degli onorari. In sostanza se, per esempio, per una ristrutturazione edilizia del valore di 100 mila euro il professionista fino ad ora avrebbe incassato circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto tutti i rimborsi e spese sostenute per l'attività, ora queste voci saranno ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le furie le diverse rappresentanze delle professioni tecniche. Basti pensare, spiega Pasquale Caprio, presidente del dipartimento competenze e compensi professionale del Consiglio nazionale degli architetti, «che secondo le nostre simulazioni effettuate sulla base di questi parametri il compenso, per esempio, su una progettazione di un edificio scolastico, sarà decurtato ancora di più rispetto al criterio tariffario risalente a una vecchia legge del 1949 il cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30 anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché il regolamento messo a punto dal ministro della giustizia, Paola Severino, lascia anche un margine di discrezionalità nella mani del giudice che, si legge nell'articolo 36 del testo, «in considerazione della natura dell'opera, del pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi anche economici, può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a ritenere addirittura frutto di un svista: «mi sembra un passaggio incongruo», spiega il numero degli ingegneri Armando Zambrano, «perché se c'è una complessità specifica che nel testo è stata ricompresa in una determinata forbice di valore, allora non si capisce questo abbattimento o questa maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si tratta di considerare l'eventuale urgenza della prestazione allora la diminuzione non ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di qualsiasi riferimento di un parametro legato alla prestazione a ora, quella che nei vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il mio tempo, in sostanza non vale nulla», tuona ancora Capria, «perché qualora non si possa far riferimento ai parametri ma si debba considerare il fattore tempo, il professionista non potrà essere pagato». In tutto questo i professionisti di area tecnica, dunque, salvano solo un principio: il regolamento in questione una volta entrato in vigore diventerà il nuovo punto di riferimento per le stazioni appaltanti da utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il numero uno dei periti industriali Giuseppe Jogna, «che finalmente porrà fino all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza di riferimenti per la cancellazione delle tariffe e soprattutto alla tentazione di sottostimarne gli importi. D'ora in poi, quindi, chi determinerà il bando farà importi compatibili con tali parametri e soprattutto con la logica del lavoro» (articolo ItaliaOggi del 23.06.2012).

INCARICHI PROGETTUALIDal 13 agosto obbligo di polizza assicurativa per tutti i professionisti. Ecco i termini da conoscere prima di stipulare il contratto.
Dal 13.08.2012 architetti, ingegneri, geometri, notai, avvocati, commercialisti, ossia tutti i liberi professionisti dovranno avere una polizza assicurativa a tutela di errori professionali.
Lo stabilisce la Legge 148/2011 (di conversione del Decreto 138/2011) che prevede:
Þ l’obbligo di stipulare un’assicurazione privata per la responsabilità civile, a partire dal 13.08.2012;
Þ l’obbligo di indicare al cliente i dati della polizza assicurativa al momento del conferimento dell’incarico.
Ma cosa vuol dire franchigia, premio, massimale, claims made?
In allegato a questo articolo, oltre al testo coordinato del Decreto 138/2011, la redazione di BibLus-net propone ai propri lettori un documento contenente le definizioni principali legate ad una polizza, da conoscere assolutamente prima della stipula (21.06.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALIGare, professionisti da non discriminare. Cds: il bando deve essere aperto.
È illegittimo l'operato di una stazione appaltante che, per affidare un incarico di progettazione e direzione lavori, ha invitato con procedura negoziata senza bando di gara soltanto i professionisti operanti nel territorio comunale.
È quanto ha affermato il Consiglio di stato, Sez. V, con la recente sentenza 13.06.2012 n. 3469 che ha preso in considerazione l'operato di una stazione appaltante che aveva esperito una procedura di affidamento per servizi di ingegneria e architettura (progettazione e direzione lavori) ai sensi dell'articolo 91 del Codice dei contratti pubblici che ammette la procedura negoziata senza bando di gara per gli incarichi al di sotto dei 100.000 euro di valore.
La stazione appaltante si era limitata ad invitare alcuni professionisti operanti nel territorio comunale e un raggruppamento di professionisti, poi risultato aggiudicatario dell'incarico operante al di fuori dell'area comunale.
I giudici hanno comunque dichiarato illegittimo il bando sia perché erano stati invitati professionisti locali, sia perché era mancata una vera e propria indagine di mercato. L'illegittimità è conseguente alla violazione di principi generali di origine comunitaria di non discriminazione e parità di trattamento che determina una barriera all'accesso al mercato «e non consente, quindi, limitazioni di accesso al mercato per ratione loci, ovvero in ragione dell'ubicazione della sede in un determinato territorio».
La sentenza chiarisce che la scelta di limitare la partecipazione ai professionisti locali, non supportata da un'indagine volta a verificare le professionalità più qualificate con riguardo all'oggetto della proceduta, si è, in definitiva, sostanziata in una limitazione territoriale aprioristica in contrasto con i principi comunitari in tema di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, volti a garantire l'affermazione di un mercato comune libero da restrizioni discriminatorie collegate alla nazionalità o alla sede formale.
La sentenza non ritiene di legittimare l'operato della stazione appaltante neanche in relazione all'avvenuto invito del raggruppamento operante al di fuori del territorio comunale (poi risultato aggiudicatario), elemento inidoneo a documentare l'avvenuta indagine per selezionare le migliori esperienze, capacità economiche e qualifiche (articolo ItaliaOggi del 21.06.2012).

INCARICHI PROGETTUALI: E' illegittimo il criterio seguito da un comune di limitare la partecipazione alla procedura negoziata per l'affidamento di un incarico di progettazione e direzione lavori soltanto ai professionisti che operano nel territorio comunale.
Il principio di non discriminazione impone che tutti i potenziali offerenti siano posti in condizioni di eguaglianza e non consente, quindi, limitazioni di accesso al mercato "ratione loci", ovvero in ragione dell'ubicazione della sede in un determinato territorio.
Pertanto, nel caso di specie, la scelta del comune di limitare la partecipazione alla procedura negoziata, senza previa pubblicazione del bando, per l'affidamento di un incarico di progettazione e direzione lavori per la costruzione di una struttura polifunzionale d'interesse comprensoriale destinata ad attività sportive e ricreative, ai professionisti locali, non supportata da un'indagine volta a verificare le professionalità più qualificate con riguardo all'oggetto della procedura, si è sostanziata in una limitazione territoriale aprioristica in contrasto con i principi comunitari in tema di tutela della concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
La valorizzazione di detto dato territoriale costituisce, quindi, una barriera di accesso in contrasto con i principi comunitari volti a garantire l'affermazione di un mercato comune libero da restrizioni discriminatorie collegate alla nazionalità o alla sede formale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2012 n. 3469 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - ATTI AMMINISTRATIVI: Sussiste la legittimazione degli Ordini ad impugnare gli atti delle procedure di evidenza pubblica quando l’interesse fatto valere sia quello all’osservanza di prescrizioni a garanzia della par condicio dei partecipanti, nonostante che in fatto dalla procedura selettiva sia stato avvantaggiato un singolo professionista.
Non può negarsi che fra gli interessi istituzionali dell’Ordine vi è anche quello di assicurare il pieno aspetto della par condicio nell’esercizio dell’attività professionale, e quindi non può neanche negarsi la legittimazione a far valere in giudizio tale interesse anche nei confronti di iscritti che si ritiene possano operare professionalmente in dispregio di tale principio di parità.
Detta linea argomentativa si sposa con il rilievo dottrinale secondo cui l’interesse collettivo non s’identifica nella sommatoria degli interessi individuali degli associati ma si compendia nella sintesi degli stessi in un interesse collettivo qualitativamente diverso da quelli dei singoli. Ne deriva l’insussistenza di alcuna incompatibilità, logica e giuridica, tra lesione dell’interesse astratto della collettività e beneficio arrecato all’interesse individuale.

Non coglie nel segno la prima censura volta a dedurre il difetto di legittimazione degli Ordini professionali in ragione del contrasto sussistente tra gli interessi degli iscritti invitati alla procedura di selezione del contraente e gli interessi degli altri professionisti rappresentati.
Ad avviso della Sezione la ricorrenza di tale supposto conflitto va verificata in relazione all’interesse istituzionale astrattamente perseguito, con la conseguenza che l’ente esponenziale, chiamato alla tutela dell’interesse collettivo inscindibilmente traguardato e non alla sostituzione processuale dei singoli portatori degli interessi individuali, è legittimato a reagire avverso i provvedimenti lesivi dell’interesse della collettività senza che assuma rilievo il vantaggio tratto dagli specifici professionisti iscritti.
Merita condivisione, al riguardo, la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 03.06.2011, che ha riconosciuto la legittimazione dell’Ordine in caso di conflitto tra l’interesse istituzionale leso dall’atto ed il beneficio contingente ricavato dai singoli professionisti.
In questa prospettiva è stata riconosciuta la legittimazione degli Ordini ad impugnare gli atti delle procedure di evidenza pubblica quando l’interesse fatto valere sia quello all’osservanza di prescrizioni a garanzia della par condicio dei partecipanti, nonostante che in fatto dalla procedura selettiva sia stato avvantaggiato un singolo professionista.
Ad avviso dell’Adunanza è appunto all’ “interesse istituzionalizzato” che occorre far riferimento.
Difatti, “non può negarsi che fra gli interessi istituzionali dell’Ordine vi è anche quello di assicurare il pieno aspetto della par condicio nell’esercizio dell’attività professionale, e quindi non può neanche negarsi la legittimazione a far valere in giudizio tale interesse anche nei confronti di iscritti che si ritiene possano operare professionalmente in dispregio di tale principio di parità”.
Detta linea argomentativa si sposa con il rilievo dottrinale secondo cui l’interesse collettivo non s’identifica nella sommatoria degli interessi individuali degli associati ma si compendia nella sintesi degli stessi in un interesse collettivo qualitativamente diverso da quelli dei singoli. Ne deriva l’insussistenza di alcuna incompatibilità, logica e giuridica, tra lesione dell’interesse astratto della collettività e beneficio arrecato all’interesse individuale.
Applicando dette coordinate ermeneutiche al caso di specie si deve concludere nel senso della legittimazione degli Ordini a reagire avverso provvedimenti lesivi dell’interesse istituzionale degli enti esponenziali a garantire la par condicio, il favor partecipationis e il superamento di misure limitative della concorrenza, senza che assumano rilievo, in senso ostativo, i vantaggi tratti dai singoli professionisti per effetto dell’adozione di atti lesivi di detti valori (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.06.2012 n. 3469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Se appare ragionevole ipotizzare che in tema di prestazioni di opere dell’ingegno, con specifico riguardo alle attività del progettista, il rapporto tra costi e ricavi possa essere diverso rispetto a quanto avviene per gli appalti di lavori pubblici, giacché nei lavori pubblici incidono in modo sensibile i costi delle materie prime, del cantiere, per la manodopera e per l’acquisto o il noleggio di macchinari, mentre l’attività di progettazione, come avviene per ogni prestazione d’opera intellettuale, è affidata in via prevalente al lavoro intellettuale del progettista, non va però sottaciuto che la giurisprudenza, nel determinare il risarcimento del danno da lucro cessante in materia di lavori pubblici (ma anche di attività di progettazione) applica, di regola, il cosiddetto “criterio del decimo” limitando il risarcimento per equivalente alla misura massima del 10% del prezzo offerto.
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Vanno impiegati criteri equitativi per quantificare il cosiddetto danno curriculare richiesto dagli appellanti.
Ci si riferisce al ristoro del pregiudizio economico connesso alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico collegato alla esecuzione della attività di progettazione. L’impiego di criteri equitativi induce a riconoscere questa voce di danno nella misura del 10 % dell’utile economico (detto altrimenti, nel 2% del prezzo offerto). Poiché il danno curriculare si concretizza nel nocumento alla immagine sociale della impresa, o del professionista, con riferimento all’aspetto del radicamento nel territorio, risulta evidente la contiguità con quello che in perizia viene qualificato come “danno per il mancato ritorno di immagine”.

... per la riforma della sentenza del TAR PIEMONTE-TORINO -SEZIONE I, n. 303/2008, resa tra le parti, concernente risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo affidamento dell'incarico di progettazione del restauro e adeguamento funzionale delle Officine Grandi Riparazioni a sede espositiva, museale ed Urban Center Torino in favore del R.T. SO.TEC. srl;
...
Quanto all’utile economico che sarebbe derivato agli appellanti dalla esecuzione della attività di progettazione, la “perizia di stima del danno” arch. Filippi, depositata in giudizio il 28.12.2011, richiama, a pagina 2, le statistiche elaborate dalla Agenzia delle Entrate in base ai dati degli studi di settore relativi alle società e ai professionisti operanti nel campo delle prestazioni professionali di ingegneri e architetti. Dai dati messi a disposizione dall’Agenzia si rileva che nel settore interessato, su scala nazionale, l’utile sarebbe rappresentato da una percentuale variabile tra il 40% e il 60% dei ricavi. Il mancato utile netto dei ricorrenti/appellanti viene stimato, in via cautelativa, nella percentuale minima “pari al 40% dell’importo corrisposto ai progettisti”.
Il Collegio ritiene eccessiva la quantificazione del mancato utile indicata in perizia.
In primo luogo è verosimile che, sul piano statistico, i dati forniti dall’Agenzia delle Entrate con riferimento alle prestazioni professionali di ingegneri e architetti –dati che, considerando numerose variabili idonee a influenzare il risultato economico del professionista, valgono come mere ipotesi probabilistiche- riguardino, in misura predominante, contrattazioni tra privati, contrattazioni che non soggiacciono alle regole proprie delle procedure pubbliche e che possono quindi consentire margini di guadagno superiori rispetto a queste ultime.
In secondo luogo, se appare ragionevole ipotizzare che in tema di prestazioni di opere dell’ingegno, con specifico riguardo alle attività del progettista, il rapporto tra costi e ricavi possa essere diverso rispetto a quanto avviene per gli appalti di lavori pubblici, giacché nei lavori pubblici incidono in modo sensibile i costi delle materie prime, del cantiere, per la manodopera e per l’acquisto o il noleggio di macchinari, mentre l’attività di progettazione, come avviene per ogni prestazione d’opera intellettuale, è affidata in via prevalente al lavoro intellettuale del progettista, non va però sottaciuto che la giurisprudenza, nel determinare il risarcimento del danno da lucro cessante in materia di lavori pubblici (ma anche di attività di progettazione: v. Cons. St., VI, nn. 115/2012 e 1774/2003) applica, di regola, il cosiddetto “criterio del decimo” limitando il risarcimento per equivalente alla misura massima del 10% del prezzo offerto.
In questo contesto, il Collegio stima equo determinare il mancato utile nella misura della metà di quanto specificato nella perizia di parte, vale a dire nella misura del 20% del prezzo indicato nella offerta economica del RTP PCA.
Poiché nella perizia il mancato guadagno è ragguagliato non solo all’incarico di progettazione dell’intervento e al coordinamento della sicurezza, ma anche a “integrazioni di onorari” per attività ulteriori, deliberate a partire dal 18.12.2003 e che esulano dall’oggetto specifico della procedura, occorre precisare che la determinazione del mancato guadagno dovrà essere parametrata in via esclusiva alla offerta economica presentata dal RTP PCA nella procedura che si è conclusa nella seduta del 18.10.2002.
Occorre inoltre puntualizzare –v. “supra”, p. 3.2., “in finem”, e 4.1.- che nel quantificare le somme da versare agli appellanti si terrà conto del fatto che il giudizio è stato proposto solo da tre dei cinque partecipanti alla procedura, non avendo proposto ricorso gli offerenti RPA e MEDIF. Stando alla perizia, sul punto non contestata dalla difesa comunale (v. pag. 8), gli appellanti vantavano nel complesso una percentuale del 65% sull’importo dei compensi, data dalla somma delle rispettive percentuali parziali. La quantificazione del danno dovrà pertanto essere proporzionalmente ridotta sulla base del riparto “pro quota” indicato nella perizia.
Vanno impiegati criteri equitativi per quantificare il cosiddetto danno curriculare richiesto dagli appellanti (v. pag. 20 ric. app.) .
Ci si riferisce al ristoro del pregiudizio economico connesso alla impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico collegato alla esecuzione della attività di progettazione. L’impiego di criteri equitativi induce a riconoscere questa voce di danno nella misura del 10 % dell’utile economico (detto altrimenti, nel 2% del prezzo offerto). Poiché il danno curriculare si concretizza nel nocumento alla immagine sociale della impresa, o del professionista, con riferimento all’aspetto del radicamento nel territorio (cfr., sul punto, Cons. St., VI, n. 2751/2008), risulta evidente la contiguità con quello che in perizia viene qualificato come “danno per il mancato ritorno di immagine”.
Non sono invece liquidabili le spese e i costi sostenuti dal RTP PCA per la preparazione dell’offerta e più in generale della documentazione di gara (v. pag. 4 perizia). La partecipazione alla gara implica infatti oneri che, almeno di regola, restano a carico del soggetto che abbia inteso prendere parte a una procedura di selezione, e ciò sia nel caso di aggiudicazione, sia nella ipotesi di mancata aggiudicazione: le spese di partecipazione alla gara sono il “prezzo dell’acquisto di una opportunità di guadagno” (così Cons. St., V, 541/2012 e 808/2010, p. 17.3.; v. anche IV, n. 6485 del 2010, § 44, cui si rinvia ai sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc. amm.).
Non è riconoscibile nemmeno il pregiudizio economico sofferto per la gestione della gara, incluso quello connesso alla assistenza e alla consulenza legale e alle spese di difesa giudiziale, con riguardo al giudizio impugnatorio terminato con la sentenza Cons. St., V, n. 1805/2005. In sede di liquidazione del risarcimento del danno per mancata aggiudicazione non è, infatti, ravvisabile una responsabilità delle parti per spese legali e per danni processuali atteso che, per quanto riguarda in particolare le spese legali si tratta di danni successivi all’aggiudicazione, come tali non riconoscibili.
In materia di spese processuali trova inoltre applicazione non la disciplina dell’illecito aquiliano dettata dall’art. 2043 cod. civ., ma la disciplina di cui agli articoli 90 e seguenti c. p.c., disposizioni applicabili anche nei giudizi amministrativi (conf. Cons. St., V, 541/2012, 6873/2009 e IV, 3340/2008; v. anche CdS, VI, n. 2751/2008, cui si rinvia ex c. p. a.). Le spese per reperire la documentazione necessaria per “la procedura di ricorso” (v. pag. 5 perizia), in quanto propedeutiche rispetto alle spese propriamente legali, vanno assoggettate al “regolamento” appena stabilito per quest’ultima tipologia di spese.
Va soggiunto che, trattandosi di debito di valore, agli appellanti spetta anche la rivalutazione monetaria dal giorno della stipulazione del contratto da parte della società dichiarata illegittimamente aggiudicataria fino alla pubblicazione della presente sentenza, a decorrere dalla quale, in forza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta.
Sulla somma totale, calcolata secondo le indicazioni fatte sopra, vanno invece computati gli interessi legali dalla data del deposito della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo (giurisprudenza pacifica, il che esime da citazioni particolari) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.06.2012 n. 3314 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2012

INCARICHI PROGETTUALI Dal Consiglio Nazionale degli Architetti il “Secondo Contributo” sul calcolo dei compensi per l’affidamento di servizi.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti ha inviato all’AVCP il “Secondo Contributo” per l'aggiornamento delle linee guida in merito all'affidamento dei servizi (per la prima Circolare del CNAPPC si rinvia il lettore all’art. “Dal Consiglio Nazionale degli Architetti un esempio su come calcolare i compensi dei professionisti”).
Il nuovo documento del Consiglio degli Architetti contiene chiarimenti in merito a:
● criteri di determinazione dell’importo a base di gara dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria
● requisiti speciali
● verifica di congruità delle offerte
● soglie di affidamento
● concorsi sottosoglia
● interpretazione servizi di punta
● organico medio annuo
● rivalutazione importi lavori progettati
● problemi pratici derivanti dall’applicazione dell’art. 10 della legge n. 183/2011 (31.05.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROGETTUALIOggetto: lavori pubblici - Prime indicazioni per il calcolo del corrispettivo da porre a base d'asta negli affidamenti di servizi di architettura e ingegneria, dopo l'abrogazione delle tariffe - AVCP: deliberazione n. 49 del 03.05.2012 (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggistici e Conservatori, circolare 22.05.2012 n. 66).
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Dal Consiglio Nazionale degli Architetti un esempio su come calcolare i compensi dei professionisti.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti ha divulgato la circolare 22.05.2012 n. 66 contenente indicazioni sul calcolo dei compensi di ingegneri e architetti da porre a base di gara.
La Circolare analizza la metodologia proposta dall’AVCP (vedi l’articolo “Abolizione tariffe professionali: come si calcolano i compensi di ingegneri e architetti da porre a base di gara?”), proponendo un esempio di calcolo secondo le istruzioni AVCP e paragonando i risultati con quelli ottenuti applicando le vecchie tariffe.
Si evidenzia che in alcuni casi i risultati sono paragonabili, ma facendo una serie di simulazioni non sempre i risultati sono analoghi. Pertanto, afferma il Consiglio degli Architetti, si attende comunque l’emanazione del Decreto del Ministero della Giustizia (come previsto dal Decreto Liberalizzazioni) contenente le Tabelle Parametriche
(24.05.2012 - link a www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALIL'università non può essere affidataria di incarichi da altre p.a..
Le università non possono essere affidatarie dirette di incarichi da altre amministrazioni per servizi di ingegneria e consulenza; gli accordi previsti dalla legge 241/1990 non possono essere utilizzati per eludere l'obbligo di affidare a terzi con gara servizi di consulenza; se infatti l'accordo non ha ad oggetto lo svolgimento di una attività comune alle amministrazioni e prevede un compenso, si tratta di un contratto di appalto soggetto a gara e i professionisti e le società devono potere competere per l'acquisizione del contratto.

Sono queste le conclusioni 23.05.2012 n. C-159/11 che l'Avvocato generale Verica Trstenjak ha proposto ieri alla Corte di giustizia che vede come parti in causa da un lato l'Azienda sanitaria locale di Lecce e dall'altro lato l'Oice, l'Ordine degli ingegneri della Provincia di Lecce e il Consiglio nazionale degli ingegneri.
La vicenda prende le mosse da un affidamento, per importo soggetto alla normativa comunitaria, dei servizi di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere, disposto dalla Asl Lecce a favore dell'Università del Salento. Dopo la sentenza di primo grado del Tar Puglia, che aveva dichiarato illegittimo l'affidamento diretto dell'incarico all'università, per omesso ricorso alle procedure di evidenza pubblica, il Consiglio di stato aveva rimesso la questione alla Corte di giustizia in via pregiudiziale. Si trattava di stabilire se l'affidamento potesse ritenersi legittimo e inquadrabile in un accordo ex articolo 15 della legge 241/1990 e se quindi fosse necessario esperire una gara.
In attesa della sentenza della Corte, l'Avvocato generale nelle sue conclusioni si orienta nel senso di ritenere illegittimo l'affidamento in quanto l'accordo non costituisce una forma di cooperazione in comune di attività fra due amministrazioni aggiudicatrici (così come prevede la legge 241/1990), bensì un vero e proprio contratto di consulenza per servizi a fronte del pagamento di un compenso per il quale occorreva procedere con gara, ammettendo tutti gli operatori economici interessati ad acquisire la commessa. Pertanto l'Avvocato generale ritiene contrario alle direttive appalti pubblici «una disciplina nazionale che consente di stipulare accordi scritti tra un'amministrazione aggiudicatrice e un'Università di diritto pubblico verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l'esecuzione della prestazione, ove l'Università esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico».
In sostanza l'Avvocato generale, riconoscendo all'Università la qualità di operatore economico, sulla base della sentenza C-305/08 del 23.12.2009, afferma indirettamente che in tale qualità non avrebbe potuto sottoscrivere un accordo ma poteva semmai partecipare a una gara, con gli altri operatori, per l'aggiudicazione dell'appalto. In ogni caso, poi, l'accordo non corrisponde ai requisiti previsti dalla legge, anche ribaditi dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, e in particolare non prevede né alcuna attività in comune, né l'assenza di corrispettivi (sono invece ammessi i meri rimborsi spese) (articolo ItaliaOggi del 24.05.2012 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: È necessaria la gara per l'incarico di studio della vulnerabilità sismica di un ospedale.
L'incarico di esecuzione di attività di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di determinati ospedali è necessariamente assoggettato a procedura di aggiudicazione di appalto, cui è applicabile la direttiva 2004/18. L'incarico di esecuzione di attività di studio e valutazione della vulnerabilità sismica di determinati ospedali è necessariamente assoggettato a procedura di aggiudicazione di appalto, cui è applicabile la direttiva 2004/18. Dato che, in questa occasione, non è stata indetta una gara, è stata riscontrata una violazione della direttiva. Siccome la normativa nazionale ammette accordi come quelli tra ASL e Università, essa è a sua volta contraria alla direttiva.
Ne consegue che, la direttiva 2004/18, in particolare gli articoli 1, paragrafo 2, lettere a) e d), 2, 28, nonché l'allegato II, categorie 8 e 12, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra un'amministrazione aggiudicatrice ed un'Università di diritto pubblico per lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l'esecuzione della prestazione, ove l'Università esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Avvocato Generale Verica Trstenjak, conclusioni 23.05.2012 n. C-159/11 - link a http://eur-lex.europa.eu).

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALILa legittimazione a ricorrere e l'interesse a ricorrere si radicano in capo ad un soggetto, nel caso di procedura negoziata, solo perché imprenditore operante nel settore interessato, senza che occorra che abbia presentato apposita domanda di partecipazione alla gara.
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L’avvenuta esecuzione integrale della prestazione esclude qualsiasi interesse del ricorrente all’annullamento degli atti di gara.
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La scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici. Si risolve, infatti, nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiano più quotati, secondo regole obiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del Comune, si risolve, invece, nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attività di gestione. Non rientra, perciò, in questa attribuzione, la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente. In questo caso, la scelta spetta ai dirigenti, secondo l'esplicito disposto dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale per condurre una selezione ispirata al soddisfacimento di siffatte esigenze tecniche.
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La scelta dei soggetti da invitare alla gara, effettuata dall’amministrazione attraverso l’utilizzo dell’albo degli avvocati di Milano, risponde a criteri di trasparenza e di proporzionalità rispetto all’oggetto della gara in quanto la professionalità richiesta in via principale era quella di avvocato. Non sussistendo infatti sul mercato, per i noti limiti all’esercizio della professione legale in forma societaria, solo da poco in fase di superamento, figure professionali complesse in grado di soddisfare contemporaneamente requisiti legali e tecnici, l’amministrazione ha correttamente fatto una scelta nell’ambito dei professionisti ai quali era richiesta la prestazione principale, rimanendo a loro carico il compito di trovare le modalità organizzative volte ad associare altri tipi di professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che la scelta dell’amministrazione di assoggettare gli appalti dei servizi legali in questione alla disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice degli appalti, in quanto rientranti nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la possibilità di assoggettarli alla disciplina degli altri contratti di lavoro autonomo di alta professionalità prevista dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una disciplina esaustiva della materia.
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E' legittima la scelta della P.A. di non prendere in considerazione l’offerta di una ditta del settore, non invitata ad una procedura semplificata ed accelerata di cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha presentato comunque l’offerta, ove sia stata motivata con riferimento al fatto che -nonostante la partecipazione di un solo concorrente dei cinque formalmente invitati- la ditta interessata sia stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario, e, in un caso, sia risultata aggiudicataria.
Analoghe considerazioni valgono per il caso in questione, avendo il ricorrente già fruito di plurimi incarichi senza gara, ed in mancanza di prova del fatto che il ricorrente fosse l’unico in grado di fornire il servizio richiesto. L’amministrazione ha quindi correttamente applicato principi di parità di trattamento e di concorrenza che hanno permesso ad altri legali, aventi gli stessi titoli del ricorrente, di instaurare una collaborazione con il Comune in una materia particolarmente complessa come la redazione di atti di gara e di costituzione di società.
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L'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005, che ha introdotto il contributo a favore dell'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un interesse erariale a contenuto economico-finanziario, connesso alle esigenze di copertura delle spese (generali e di funzionamento) dell’Autorità di vigilanza, e traduce tale interesse in una nuova imposizione di carattere fiscale a carico delle imprese interessate, mediante la pretesa sostanziale all’ottenimento del pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma, viceversa, non si traduce né può tradursi, nella previsione di filtri formali insuscettibili di regolarizzazione formale e quindi capaci di causare l’esclusione di imprese che comunque adempiono al previsto onere contributivo e che sono inoltre in possesso dei prescritti requisiti economici e professionali, e che consentirebbero dunque di estendere la competizione per la scelta della migliore offerta.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, in qualità di affidatario (senza gara) di due precedenti incarichi di consulenza relativi alla costituzione della società mista concessionaria della linea 4 della metropolitana milanese, impugna gli atti della procedura di affidamento del servizio di consulenza legale relativo alla linea 4 della metropolitana indetta dal Comune per i seguenti motivi:
   A) incompetenza per violazione dell’art. 48 TUEL, art. 43 dello Statuto comunale, art. 13 del Regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, in relazione ai contenuti del piano esecutivo di gestione 2009. A suo dire l’approvazione del bando avrebbe dovuto essere preceduta dalla previa approvazione da parte della Giunta comunale, in quanto il valore dell’appalto era costituito dall’intero ammontare della spesa e non dalla sola parte a carico del Comune;
   B) violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, dell’art. 3, comma 56, della L. 244/2007 e dell’art. 31 del Regolamento comunale, posto che non sarebbe stata adeguatamente vagliata la mancanza di adeguate professionalità interne, sia sotto il profilo legale che sotto quello ingegneristico;
   C) violazione dell’art. 27, comma 10 del Codice dei contratti e dell’art. 51, comma 5, del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi ed eccesso di potere nella selezione dei professionisti invitati alla procedura negoziata in quanto non sarebbero stati invitati soggetti in potenziale possesso dei requisiti per partecipare alla selezione;
   D) illegittimità della preselezione degli invitati alla procedura negoziata, atteso che non sarebbe stato invitato il ricorrente, che pur si era già occupato della costituzione della società in questione. Il mancato invito del ricorrente, in particolare, avrebbe violato i principi di economicità, imparzialità, trasparenza, buona fede e concorrenzialità;
   E) violazione del principio di trasparenza non avendo avuto il ricorrente alcuna notizia dell’avvio della procedura;
   F) violazione di legge ed eccesso di potere per incoerenza tra l’oggetto della prestazione e le esigenze dell’amministrazione, nonché tra il criterio di preselezione e quello di valutazione comparativa delle offerte;
   G) violazione dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 in quanto la gara avrebbe per oggetto un contratto aperto nell’oggetto; indeterminatezza della durata dell’incarico; violazione dell’obbligo di predeterminazione del compenso; contraddizione con precedenti atti nella previsione della clausola secondo la quale la durata dell’incarico è “di 12 mesi o comunque fino all’aggiudicazione”;
   H) eccesso di potere per travisamento dei fatti nella determinazione dell’oggetto della gara;
   I) violazione dell’art. 1, comma 67, della L. 23/12/2005, n. 266 e della deliberazione dell’A.V.CC.PP., avendo il Comune permesso all’aggiudicatario di regolarizzare il pagamento della tassa dovuta all’Autorità di vigilanza, benché il mancato pagamento fosse previsto come causa di esclusione dalla gara.
Lo stesso ha, infine, chiesto il risarcimento dei danni per perdita di chance nella misura del 50% del compenso contrattuale.
...
E' indirizzo prevalente nella giurisprudenza amministrativa che la legittimazione a ricorrere e l'interesse a ricorrere si radicano in capo ad un soggetto, nel caso di procedura negoziata, solo perché imprenditore operante nel settore interessato (Cons. Stato, sez. V, 18.12.2002, n. 7055; Ad. plen. 07.04.2011, n. 4), senza che occorra che abbia presentato apposita domanda di partecipazione alla gara (cfr. in termini Cons. Stato V 10.09.2009, n. 5426; 31.12.2007, n. 6797; 27.10.2005, n. 5996; 04.05.2004, n. 2696; Cons. Stato, III, 19.04.2011, n. 2404).
4. Venendo all’esame delle domande proposte occorre limitare l’oggetto del giudizio all’accertamento dell'illegittimità dell'atto ai soli fini risarcitori in quanto l’avvenuta esecuzione integrale della prestazione esclude qualsiasi interesse del ricorrente all’annullamento degli atti di gara.
5. Nel merito va respinto il primo motivo, in quanto la mancanza dell’atto di indirizzo della Giunta, previsto dall’art. 43 dello Statuto comunale per i contratti di valore superiore alla soglia comunitaria, non ha inciso sulla legittimazione del dirigente ad adottare i suddetti atti.
In materia la giurisprudenza ha affermato che “la scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a seguito di una gara formale o informale, o anche per trattativa privata, è atto di gestione, privo di qualsiasi contenuto di indirizzo per gli uffici. Si risolve, infatti, nella individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiano più quotati, secondo regole obiettive e prefissate, per il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli organi elettivi o politici del Comune, si risolve, invece, nella fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attività di gestione. Non rientra, perciò, in questa attribuzione, la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente. In questo caso, la scelta spetta ai dirigenti, secondo l'esplicito disposto dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale per condurre una selezione ispirata al soddisfacimento di siffatte esigenze tecniche
” (Cons. Stato, sez. V, 09.09.2005, n. 4654).
Nel caso in questione la mancata sottoposizione dell’atto di indizione della gara all’esame della Giunta si giustifica correttamente con la previsione di una spesa a carico del Comune inferiore alla soglia comunitaria, indipendentemente dal fatto che una parte del corrispettivo fosse a carico del socio privato della costituenda società mista.
Infatti se è vero, come affermato dal ricorrente, che il Comune in questo modo ha promesso l’obbligazione o il fatto del terzo, è anche vero che in caso di inadempimento del terzo la prestazione non resta a carico del promittente, ma sorge a suo carico esclusivamente un’obbligazione indennitaria (art. 1381 c.c.). Ne consegue che non esisteva un’obbligazione giuridicamente perfezionata a carico del Comune per l’intero ammontare del valore dell’incarico e, di conseguenza, non sussistevano i presupposti per l’assunzione di un impegno di spesa ai sensi dell’art. 183 del D.Lgs. 267/2000 per l’intera somma e neppure quelli per la sottoposizione dell’atto all’indirizzo della Giunta.
A ciò si aggiunge che l’atto di indirizzo, quale atto integrativo della competenza dirigenziale, è ampiamente discrezionale, se rettamente inteso come atto volto a fissare le linee generali da seguire e gli scopi da perseguire, con la conseguenza che, da un lato, non dà titolo al risarcimento del danno in quanto non è possibile stabilire, neppure in forma probabilistica, quale sarebbero state le possibilità di un esito diverso; dall’altro la sua mancanza si risolve in un vizio meramente formale, che può essere sanato mediante ratifica.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, essendo evidente che colui che contesta di non essere stato invitato alla gara non ha interesse a mettere in dubbio la necessità dell’affidamento all’esterno del servizio. Infatti nessun vantaggio può derivargli dall’accertamento che l’amministrazione avrebbe potuto trovare le competenze tecniche necessarie allo svolgimento dell’incarico al proprio interno.
7. Il terzo motivo è egualmente infondato, non essendo possibile desumere dal semplice fatto che abbia presentata domanda uno solo degli invitati, che gli inviti spediti dal Comune fossero finalizzati a favorire solo l’aggiudicatario.
Infatti la scelta dei soggetti da invitare alla gara, effettuata dall’amministrazione attraverso l’utilizzo dell’albo degli avvocati di Milano, risponde a criteri di trasparenza e di proporzionalità rispetto all’oggetto della gara in quanto la professionalità richiesta in via principale era quella di avvocato. Non sussistendo infatti sul mercato, per i noti limiti all’esercizio della professione legale in forma societaria, solo da poco in fase di superamento, figure professionali complesse in grado di soddisfare contemporaneamente requisiti legali e tecnici, l’amministrazione ha correttamente fatto una scelta nell’ambito dei professionisti ai quali era richiesta la prestazione principale, rimanendo a loro carico il compito di trovare le modalità organizzative volte ad associare altri tipi di professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, la scelta dell’amministrazione, non contestata dal ricorrente, di assoggettare gli appalti dei servizi legali in questione alla disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice degli appalti, in quanto rientranti nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la possibilità di assoggettarli alla disciplina degli altri contratti di lavoro autonomo di alta professionalità prevista dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una disciplina esaustiva della materia (vedi parere della Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, del 14.03.2008 "Linee di indirizzo e criteri interpretativi dell'art. 3, commi 54-57 della L. 244/2007, in materia di Regolamenti degli Enti Locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza").
8. Il quarto motivo va respinto, essendo l’amministrazione tenuta, ai sensi dell’art. 27 del Codice, ad osservare il principio di rotazione nell’assegnazione degli incarichi di cui all’allegato IIB al Codice.
In materia la giurisprudenza ha affermato che è legittima la scelta della P.A. di non prendere in considerazione l’offerta di una ditta del settore, non invitata ad una procedura semplificata ed accelerata di cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha presentato comunque l’offerta, ove sia stata motivata con riferimento al fatto che -nonostante la partecipazione di un solo concorrente dei cinque formalmente invitati- la ditta interessata sia stata più volte invitata in passato a procedure di cottimo fiduciario, e, in un caso, sia risultata aggiudicataria (Tar Lombardia, Brescia, II, 21.01.2011 n. 137).
Analoghe considerazioni valgono per il caso in questione, avendo il ricorrente già fruito di plurimi incarichi senza gara, ed in mancanza di prova del fatto che il ricorrente fosse l’unico in grado di fornire il servizio richiesto. L’amministrazione ha quindi correttamente applicato principi di parità di trattamento e di concorrenza che hanno permesso ad altri legali, aventi gli stessi titoli del ricorrente, di instaurare una collaborazione con il Comune in una materia particolarmente complessa come la redazione di atti di gara e di costituzione di società.
...
13.
Il nono motivo di ricorso va respinto in quanto la giurisprudenza (TAR LAZIO, Roma, Sez. II-bis - 07/05/2009, n. 4893) ha chiarito che l'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005, che ha introdotto il contributo a favore dell'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un interesse erariale a contenuto economico-finanziario, connesso alle esigenze di copertura delle spese (generali e di funzionamento) dell’Autorità di vigilanza, e traduce tale interesse in una nuova imposizione di carattere fiscale a carico delle imprese interessate, mediante la pretesa sostanziale all’ottenimento del pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma, viceversa, non si traduce né può tradursi, nella previsione di filtri formali insuscettibili di regolarizzazione formale e quindi capaci di causare l’esclusione di imprese che comunque adempiono al previsto onere contributivo e che sono inoltre in possesso dei prescritti requisiti economici e professionali, e che consentirebbero dunque di estendere la competizione per la scelta della migliore offerta (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 17.05.2012 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L. Bellagamba, Abbaglio del Consiglio di Stato: i servizi attinenti all'urbanistica non rientrano nella disciplina specifica prevista per i servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria - commento a Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.05.2012 n. 2800 (17.05.2012 - link a www.linobellagamba.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L. Bellagamba, Ma le tariffe professionali sono state proprio abrogate nell’ambito del codice dei contratti pubblici? Note a margine della deliberazione dell’Autorità di vigilanza, 03.05.2012 n. 49 (link a www.linobellagamba.it).

APPALTI - INCARICHI PROGETTUALIContratti pubblici. Regime documento unico di regolarità contributiva e irregolarità contributiva verso INARCASSA.
La normativa vigente definisce il documento unico di regolarità contributiva (DURC) quale certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti, specificamente, INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento e statuisce l'intervento sostitutivo della stazione appaltante espressamente nei confronti di detti istituti previdenziali in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del subappaltatore accertata con il DURC (art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010).
In considerazione della specificità della norma richiamata ed in assenza, altresì, di indicazioni da parte delle autorità competenti che in qualche modo estendano l'ambito dell'intervento sostitutivo, ivi previsto, sembra non potersi sostenere una sua applicazione, per analogia, all'ipotesi di irregolarità contributiva verso INARCASSA.

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L'Ente riferisce di dover procedere alla liquidazione del saldo del corrispettivo spettante ad un professionista incaricato della direzione di lavori pubblici, di cui ha accertato l'irregolarità contributiva INARCASSA; chiede, dunque, l'Ente se debba essere applicato, per analogia, il dettato normativo di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 207/2010, in materia di intervento sostitutivo della stazione appaltante, in caso di inadempienza contributiva, precisando che il professionista non ha dipendenti.
Sentito il Servizio lavori pubblici, della Direzione centrale infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriali e lavori pubblici, si esprimono le seguenti considerazioni.
Le norme cui fa riferimento l'Ente concernono la materia della regolarità contributiva, a tutela dei lavoratori, in particolare il regime del Documento unico di regolarità contributiva (DURC).
L'art. 6, D.P.R. n. 207/2010, definisce il documento unico di regolarità contributiva, quale certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti, specificamente, INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento.
La medesima norma disciplina, inoltre, ai commi 3 e 4, le fasi in cui le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità[1]: per la verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all'art. 38, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 163/2006[2]; per l'aggiudicazione del contratto; per la stipula del contratto; per il pagamento degli stati avanzamento lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture; per il certificato di collaudo, di regolare esecuzione, di verifica di conformità, per l'attestazione di regolare esecuzione e per il pagamento del saldo finale (art. 6, comma 3, D.P.R n. 207/2010)[3].
Il comma 2, dell'art. 4, D.P.R. n. 207/2010, dispone che, qualora, nelle ipotesi di cui ai commi 3 e 4 del richiamato art. 6, il DURC acquisito riveli un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, le amministrazioni aggiudicatrici trattengono dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza, e dispongono il pagamento di quanto dovuto direttamente agli enti previdenziali e assicurativi.
Il successivo comma 3 prevede, inoltre, in ogni caso, delle ritenute dello 0,50% sull'importo netto progressivo delle prestazioni, che possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.
Ciò premesso e venendo al caso di specie riguardante l'applicazione, o meno, in via analogica, della previsione di cui all'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, relativa all'intervento sostitutivo dell'amministrazione aggiudicatrice, al caso di irregolarità contributiva accertata specificamente verso INARCASSA, Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, si esprime quanto segue.
Per gli appalti di servizi attinenti all'ingegneria ed all'architettura, la vigente normativa impone la verifica della regolarità contributiva in relazione alla fase di affidamento dell'incarico (art. 90, comma 7, D.Lgs. n. 163/2006), senza recare ulteriori disposizioni per l'intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva.
In considerazione della specificità della previsione di cui all'art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, statuente l'intervento sostitutivo dell'amministrazione aggiudicatrice espressamente nel caso di irregolarità contributiva verso INPS, INAIL e cassa edile per i lavori, ed in assenza, altresì, di indicazioni da parte delle autorità competenti che in qualche modo estendano l'ambito di detto intervento sostitutivo, sembra non potersi sostenere una sua applicazione, per analogia, all'ipotesi di irregolarità contributiva verso INARCASSA.
Per completezza di analisi, si segnala che l'irregolarità contributiva verso INARCASSA può avere delle conseguenze per i pagamenti da effettuare da parte delle pubbliche amministrazioni, in relazione all'importo e qualora INARCASSA si sia attivata per la riscossione dei contributi insoluti. L'art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973, introdotto dall'art. 2, comma 9, D.L. n. 262/2006, convertito, con modificazioni, in L. n. 286/2006, stabilisce, infatti, che 'le amministrazioni pubbliche e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo'[4].
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[1] Il ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, nel ricordare che, ai sensi dell'art. 2, D.M. 24.10.2007, il DURC è rilasciato dall'INPS e dall'INAIL 'e, previa convenzione con i predetti Enti, dagli altri Istituti previdenziali che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria', ha chiarito che, per i lavoratori eventualmente iscritti presso enti previdenziali diversi dall'INPS e dall'NAIL, nelle more della stipulazione della predetta convenzione, la certificazione attestante la regolarità contributiva andrà richiesta direttamente a tali Enti, tenuti a rilasciarla (Cfr.: MLPS interpello n. 9/2009).
[2] La norma richiamata richiede per i soggetti che partecipano alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, pena esclusione, il non aver commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti.
[3] Il comma 4, dell'art. 6, D.P.R. n. 207/2010, prevede che, ferme restando le ipotesi di acquisizione del DURC per la stipula del contratto e per il pagamento degli stati avanzamento lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture, 'qualora tra la stipula del contratto e il primo stato di avanzamento dei lavori di cui all'art. 194, o il primo accertamento delle prestazioni effettuate relative a forniture e servizi di cui all'art. 307, comma 2, ,ovvero tra due successivi stati di avanzamento dei lavori o accertamenti delle prestazioni effettuate relative a forniture e servizi, intercorra un periodo superiore a centottanta giorni, le amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono il documento unico di regolarità contributiva relativo all'esecutore ed ai subappaltatori entro i trenta giorni successivi alla scadenza dei predetti centottanta giorni; entro il medesimo termine, l'esecutore ed i subappaltatori trasmettono il documento unico di regolarità contributiva ai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), che non sono un'amministrazione aggiudicatrice'.
[4] Si ricorda che a norma dell'art. 17, L. n. 6/1981, Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti, INARCASSA ha facoltà di procedere alla riscossione dei contributi insoluti, delle sanzioni e dei relativi interessi a mezzo ruoli da essa compilati e resi esecutivi dalla intendenza di finanza competente per territorio e da porre in riscossione secondo le norme previste per la riscossione delle imposte dirette
(07.05.2012 - link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: La denuncia di un presunto generalizzato incremento dei consulenti esterni da parte di un Ente pubblico di per sé non costituisce ancora, in assenza di altri elementi di giudizio oltre il mero aumento del loro numero rispetto al passato, ipotesi di danno (Corte dei Conti, Sez. III centrale d'appello, sentenza 02.05.2012 n. 328 - link a www.corteconti.it).

aprile 2012

INCARICHI PROFESSIONALI: R. Patumi, L’attribuzione degli incarichi professionali esterni da parte degli enti locali (Istituzioni del Federalismo n. 4/2012 - tratto da www.regione.emilia-romagna.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Opere, il progettista non coordina i lavori.
Il progettista di un'opera non può essere affidatario dell'incarico di coordinatore dei lavori.

È quanto affermato dal Consiglio di Stato che, con la sentenza 23.04.2012 n. 2402 della IV Sez., si è pronunciato sulla gara di Autovie venete per l'affidamento del servizio di coordinatore per l'esecuzione dei lavori di un tratto della terza corsia dell'A4, aggiudicata con il 52% di ribasso, per un totale di circa 2 milioni di euro.
Il raggruppamento aggiudicatario della commessa contava fra i propri partecipanti anche alcune società che avevano partecipato alla redazione di parti del progetto preliminare e definitivo. Gli articoli 5 e 12 del disciplinare di gara precludevano, richiamando l'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, la partecipazione a tutti coloro che avessero concorso alla redazione del progetto preliminare e/o definitivo dell'opera, ancorché non vi fosse una norma specifica nel Codice (che contempla espressamente soltanto l'incompatibilità fra progettista e appaltatore o concessionario).
In primo grado il Tar del Lazio (sentenza n. 3707/2011) aveva accolto il ricorso del secondo classificato. Il Consiglio di stato ha confermato la pronuncia affermando che la disciplina contenuta nell'art. 90, comma 8, del Codice dei contratti «va reputata quale espressione di un principio generale in forza del quale ai concorrenti deve essere riconosciuta un'omogenea posizione, implicante la più rigorosa parità di trattamento». In particolare occorre, valutare «se lo svolgimento di pregressi affidamenti presso la stessa stazione appaltante possa aver creato, per taluno dei concorrenti stessi, degli speciali vantaggi incompatibili con i principi, propri non soltanto dell'ordinamento italiano, ma anche di quello comunitario, di libera concorrenza e di parità di trattamento». Per i giudici, quindi, non rileva l'assenza di una espressa copertura normativa perché la verifica sulla posizione di vantaggio è comunque funzionale al rispetto dei principi comunitari in materia di libera prestazione di servizi, non discriminazione e trasparenza.
Nel caso di specie, si legge nella sentenza, da un lato il progetto, «ancorché formalmente intestato ad Autovie Venete, risulta elaborato per una parte consistente dalle società aggiudicatarie del contratto» e, dall'altro, «i giudizi dei commissari di gara dimostrano che la positiva valutazione delle offerte tecniche poggia proprio sull'approfondita conoscenza degli elaborati progettuali». Da ciò la dimostrazione del vantaggio competitivo e quindi la conferma della sentenza di primo grado (articolo ItaliaOggi del 28.04.2012).

INCARICHI PROGETTUALI: I professionisti partecipanti a gare pubbliche hanno l’obbligo di indicare le eventuali forme di collaborazione tra loro?
I progettisti che partecipano insieme ad una gara devono sempre indicare la forma giuridica in base alla quale intendono collaborare al fine di svolgere l’incarico.

Questo è quanto stabilito dal TAR Puglia-Lecce, Sez. III,con la sentenza 23.04.2012 n. 713 che ha rigettato il ricorso presentato da alcuni professionisti che contestavano tale obbligo, dopo la loro esclusione da parte della Stazione Appaltante da una gara per lavori di riqualificazione urbana.
In base alla sentenza, il mancato chiarimento della forma di collaborazione costituisce motivo di esclusione da una gara pubblica (commento tratto da www.acca.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi e danno erariale.
Un'altra condanna per danno erariale dalla Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per il Lazio, con la sentenza 19.04.2012 n. 427.
L'oggetto dell'incarico a personale estraneo sono prestazioni di consulenza tecnico-amministrativa al Sindaco ed agli altri organi politici del Comune, rapporti con organi tecnici di enti sovracomunali, consulenza sugli adempimenti per i finanziamenti extra bilancio e per gli adempimenti del settore tecnico comunale, rapporti con i professionisti esterni dell'amministrazione e controllo degli atti progettuali e amministrativi.
I profili di illegittimità e causa di danno patrimoniale attengono alla violazione dei presupposti per il conferimento degli incarichi esterni previsti dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, sinteticamente:
- attività ordinaria ed istituzionale anziché esigenze straordinarie con necessità di competenze altamente qualificate;
- oggetti non definiti, ma tematiche ad ampio spettro;
- assenza di una reale ricognizione in ordine alla mancanza di personale interno idoneo, quantitativamente e/o qualitativamente, allo svolgimento dei compiti;
- assenza di relazioni ricognitive e riepilogative redatte dal professionista al termine dell'incarico.
Precisa, la Corte "... nella fattispecie, l'illiceità della condotta di conferimento dell'incarico deriva principalmente dal ricorso allo strumento dell'incarico esterno, pur in situazione di carenza di personale, quale mezzo per lo svolgimento di funzioni ordinarie e continuative" (tratto da www.publika.it).
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... L'ipotesi di danno portata all'esame della Sezione involge, come desumibile dalla precedente narrativa, in via generale, la problematica sottesa al conferimento di incarichi a personale estraneo all'Amministrazione e, in particolare, le modalità di pratica attuazione di tali scelte operative, non improntate, secondo la tesi accusatoria riferita al caso di specie, al perseguimento degli obiettivi di economicità ed efficienza, ed anzi rivelatesi produttive di un danno concreto a carico dell'Amministrazione.
La contestazione mossa ai convenuti è quella di avere nella specie violato oltreché il principio costituzionale di buon andamento dell'attività della P.A. anche, nello specifico, la disposizione di cui all'art. 7 del d.l.vo n. 29/1993, così come modificato dall'art. 5 del d.l.vo n. 546/1993, che pone il divieto di conferire incarichi a personale estraneo all'apparato amministrativo per l'espletamento di compiti istituzionalmente attribuiti al personale dipendente, salvo che si tratti (giusta quanto ha avuto modo di affermare la giurisprudenza contabile nella soggetta materia) di soddisfare esigenze eccezionali e straordinarie e difetti la struttura organizzativa necessaria al loro soddisfacimento, ovvero quando, pur sussistendo tale struttura, il personale che vi è addetto non risulti idoneo quantitativamente e qualitativamente.
Il legislatore, come noto, ha disciplinato la materia in via generale con l'art. 7, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (già d.lgs. 03.02.1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni) che prevede al comma 6 che: “Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.”.
In proposito la giurisprudenza di questa Corte si è più volte pronunciata indicando i parametri entro i quali tali rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite (v., fra le altre, Sez. II, 22.04.2002, n. 136/A; Sez. III, 08.01.2003, n. 9 ; Sez. I, 31.05.2005, n. 187; Sez. I, 08.08.2005, n. 259; Sez. Lazio, 21.10.2003, n. 2137).
Il giudice contabile ha ammesso la legittimazione della P.A. ad affidare il perseguimento di determinate finalità all'opera di estranei dotati di provata capacità professionale e specifica conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi, ogni volta che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto qualitativo che quantitativo.

Tali parametri, se da un lato attestano che nell'ordinamento non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere ad esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti, dall'altro, tuttavia, confermano che la utilizzazione del modulo negoziale non può concretizzarsi se non nel rispetto delle condizioni e dei limiti sopra specificati.
Dal quadro normativo sopra riportato e dalla giurisprudenza contabile che si è andata via via formando sia in sede di controllo che in sede giurisdizionale, è possibile riassumere
i seguenti criteri per valutare la legittimità degli incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell'incarico agli obiettivi dell'amministrazione;
b) inesistenza, all'interno della propria organizzazione, della figura professionale idonea allo svolgimento dell'incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico;
d) indicazione della durata dell'incarico.

Ma soprattutto è dato cogliere un principio normativo di fondo che disciplina tutta la materia:
il conferimento di incarichi all'esterno, in qualunque delle ipotesi sopra riportate, è possibile solo allorquando nell'ambito della dotazione organica non sia possibile reperire personale qualitativamente competente ad affrontare problematiche di particolare complessità od urgenza.
A fronte di tale impostazione, i convenuti si difendono, in buona sostanza, adducendo la perfetta conformità della delibera di conferimento dell’incarico in contestazione ai principi costituzionali, normativi e giurisprudenziali invocati dalla Procura a sostegno della domanda, essendosi reso indispensabile il ricorso alla consulenza del geometra Scarsella a cagione della carenza nell'organico di personale ed alla sussistenza di esigenze particolari.
Tanto precisato occorre verificare se nella fattispecie dedotta in giudizio ricorrano o meno le sopra richiamate condizioni.
La delibera G.M. n. 105 del 24/05/2006 di affidamento dell’ incarico annuale di consulenza tecnico-amministrativa al Geom. S.M. per l’importo di € 22.032,00, prevedeva lo svolgimento di varie attività:
- consulenza tecnico-amministrativa al sindaco ed agli altri organi politici del Comune;
- rapporti con gli organi tecnici degli Enti sovracomunali;
- consulenza nella programmazione e sugli iter burocratici delle opere pubbliche;
- consulenza sugli adempimenti delle documentazioni relative alla richiesta di finanziamento extra bilancio;
- consulenza sugli adempimenti tecnico-amministrativi al settore tecnico comunale;
- rapporti con i professionisti esterni dell’amministrazione e controllo degli atti progettuali e amministrativi.
Dall’esame della sua motivazione e di quanto emerge agli atti del giudizio in merito alla situazione del personale in organico, l'incarico non appare legittimamente conferito con riferimento alle mansioni affidate, che si sostanziano in attività assolutamente affrontabili da un qualunque tecnico e in assenza di esigenze di carattere straordinario, o necessità di competenze altamente qualificate (che non emergono dal curriculum e comunque non sono necessarie per l'espletamento dell'incarico).
Si tratta infatti di attività dirette al coordinamento delle varie attività tecniche, al controllo degli atti procedimentali amministrativi, tutte attività riservate a dipendenti dell’ente e che, nella specie, dovrebbero essere, in gran parte, di competenza dei dirigenti.
Tra l’altro la relazione finale, redatta dall’Amministrazione (prot. non V2007/02474), sul lavoro svolto dal geom. S. evidenzia che gran parte delle attività elencate (in materia cimiteriale, di raccolta differenziata, di smaltimento acque, di sistemazione della rete fognaria) attengono a mansioni che successivamente alla riorganizzazione dell’ente erano state demandate al dipendente U. D’O. (nota del segretario comunale in data 15.01.2007).
Si consideri inoltre che dalla convenzione d'incarico non è dato rinvenire un ambito di intervento del consulente connotato da oggetti ben definiti, bensì tematiche d'intervento contenutisticamente orientate per lo più ad un'attività tecnico professionale di consulenza propositiva ed emendativa ad ampio spettro in aperta violazione con il contenuto del comma 6 dell'art. 7 del d.lvo n. 165/2001.
Ma vi sono ulteriori profili di illegittimità che val la pena di evidenziare.
Dagli atti non risulta che l’amministrazione si sia preoccupata di effettuare una reale ricognizione in ordine alla mancanza di personale idoneo a svolgere l'attività conferita all'esterno.
Al contrario con motivazioni generiche e prive di riscontri concreti, viene riferita la assoluta carenza di personale interno idoneo allo svolgimento dell’incarico esternalizzato.

E pertanto in presenza di incarico quale quello in questione connotato da un oggetto oltremodo esteso per ambiti di intervento e contemporaneamente generico nella definizione dei relativi contenuti (e pertanto censurabile sotto il profilo della difficoltà di operare un controllo di ragionevolezza sulla rispondenza delle prestazioni richieste ad effettive esigenze dell'amministrazione non altrimenti fronteggiabili con il personale interno), e non rivelatisi in rapporto alle particolari circostanze ed emergenze sopra evidenziate sicuramente orientato al raggiungimento di finalità istituzionali, non sussistendo agli atti relazioni ricognitive e riepilogative redatte dal professionista al termine dell'attività - ritiene il Collegio ravvisabile nel comportamento posto in essere dalle parti convenute la sussistenza del requisito della gravità della colpa.
Inoltre, ancorché sia provata nella fattispecie la carenza di personale, non pare ammissibile il ricorso allo strumento dell'incarico esterno per la attribuzione di competenze del tutto ordinarie della amministrazione, svincolate da esigenze di carattere straordinario o eccezionale. In altri termini, se pur mancasse personale adeguato per le attività segnalate, non è per ciò solo dimostrato che una razionale ed efficiente organizzazione dell’Ente non avrebbe potuto aversi, facendo invece leva su meccanismi di adibizione temporanea di personale di altri uffici eventualmente utilizzabile, e che nella fattispecie non è affatto dimostrato che fosse inesistente o, appunto, inutilizzabile.
Inoltre occorre aggiungere, come sostenuto anche dalla Procura che
se effettivamente sussistevano necessità di personale, si sarebbero potute colmare le carenze strutturali con assunzioni a tempo indeterminato. Tali assunzioni, al contrario di quanto affermato in sede di deduzioni dalle parti convenute, potevano essere effettuate, nei limiti previsti dalle norme per il personale degli enti locali.
In altri termini,
nella fattispecie l’illiceità della condotta di conferimento dell’incarico deriva principalmente dal ricorso allo strumento dell'incarico esterno, pur in situazione di carenza di personale, quale mezzo per lo svolgimento di funzioni ordinarie e continuative.
Profilo di colpa grave nella condotta dei convenuti è dunque quello di non aver utilizzato lo strumento dell'incarico esterno conformemente alla lettera e allo spirito delle disposizioni sull'utilizzo del personale nelle pubbliche amministrazioni sopra citate e del più generale principio di economicità nella spesa, accertandosi previamente della impossibilità del ricorso all'utilizzo di altro personale in servizio presso l’Ente.
In ordine all'imputabilità del fatto, il Collegio ritiene che dell'instaurazione dei rapporti negoziali produttivi di danno ingiusto per l'erario devono ritenersi in buona parte coloro che concorsero ad approvare la delibera n. 105 del 24/05/2006 (T., Di N., Di S., C., V.) il cui comportamento illecito, alla luce degli elementi probatori in atti, configura sotto l'aspetto soggettivo la colpa grave contestata dal Requirente.
Infatti la condotta dei medesimi non è risultata conforme al dettato normativo, essendosi discostati con evidente e inescusabile leggerezza dal modello organizzativo previsto dal sistema e che, per la posizione rivestita, avrebbero dovuto ben conoscere.
Il comportamento dei convenuti, contrassegnato dalla mancanza di una idonea e preventiva valutazione circa la sussistenza dei presupposti necessari per il legittimo conferimento dell'incarico e per il conseguente pagamento della prestazione, deve ritenersi ingiustificabile e approssimativo, considerato anche che non si rinvengono nella fattispecie situazioni e circostanze particolari atte a dar luogo ad errore scusabile.
Pertanto, nel rammentare che, ai sensi dell’art. 1 della legge 20 del 1994, testo novellato dall’art. 3 del decreto-legge n. 543 del 1996 convertito con legge 639 del 1996 il criterio di imputazione del danno all’agente è ormai costituito dalla colpa grave, che la giurisprudenza individua nella “sprezzante trascuratezza dei propri doveri, resa estensiva da un comportamento improntato alla massima negligenza o imprudenza, ovvero ad una particolare noncuranza degli interessi dell’Ente amministrato o ancora a grossolana superficialità nell’applicazione del norme di diritto” (SSRR 27/A/1997), osserva il Collegio che nella fattispecie, condizioni simili possono ritenersi presenti a carico dei sig.ri F.T., A. Di N., M.C., G.V. e V. di S. (link a www.corteconti.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U. 03.04.2012 n. 79, suppl. ord. n. 65, "Ripubblicazione del testo del decreto-legge 24.01.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27, recante: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»".

marzo 2012

INCARICHI PROGETTUALIAppalti al sicuro. Affidamenti diretti fino a 40 mila. La risposta del ministero delle infrastrutture sull'art. 125.
Legittimi gli affidamenti diretti, senza gara, disposti dalle stazioni appaltanti per incarichi di progettazione, direzione lavori e collaudo di importo fino a 40 mila euro.
È quanto precisato dal ministero delle infrastrutture con la risposta 29.03.2012 del sottosegretario Guido Improta alla Commissione ambiente della Camera, rispetto a un'interrogazione (C.5/05557 - Innalzamento del limite per il conferimento fiduciario degli incarichi professionali nell'ambito dei lavori pubblici) presentata da Guido Dussin (Lega Nord).
Si chiude così una querelle sulla quale anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici si era espressa nell'ottobre scorso (parere n. 181) derivante dal mancato coordinamento fra due norme.
In particolare l'art. 4, comma 15 della legge 106/2011 ha modificato sia l'art. 125, comma 11 del Codice dei contratti pubblici, portando a 40 mila euro la soglia per gli affidamenti fiduciari per servizi e forniture affidate da amministrazioni pubbliche, sia l'art. 267, comma 10 del dpr 207/2010 (regolamento del Codice) eliminando il richiamo alla norma del Codice in materia di affidamenti diretti, con la conseguenza di ritenere ammissibili solo i cottimi fiduciari fino a 20 mila euro.
Si trattava di stabilire se fosse legittimo, alla luce delle modifiche della legge 106, affidare in via fiduciaria e quindi direttamente, senza confronto informale fra più soggetti, incarichi di servizi di progettazione, direzione lavori e collaudo anche per importi compresi fra 20 mila e 40 mila euro. Si potevano infatti ritenere illegittimi tali affidamenti, attribuendo al disposto di cui all'art. 267 del regolamento del Codice un carattere di specialità rispetto alla normativa di riferimento (l'art. 125, comma 11 del Codice che fissa a 40 mila euro la soglia per affidare direttamente tutti i servizi), con la conseguenza che sarebbero stati illegittimi gli affidamenti compresi fra 20 mila e 40 mila euro.
Il ministero ha affermato la prevalenza della norma del Codice (art. 125, comma 11), così come modificata dalla legge 106/2011, su quella del regolamento, in considerazione del carattere non delegificante del dpr 207/2010, che non autorizza quindi in alcun modo un'interpretazione che possa ritenere prevalente l'art. 267 rispetto alla norma di legge.
Il ministero, inoltre, ha affermato che la norma regolamentare, avendo eliminato il richiamo al secondo periodo del comma 11 dell'art. 125 del Codice, deve essere letta nel senso di ritenere applicabile la soglia dei 40 mila euro a tutte le tipologie di servizi e forniture e non, quindi, nel senso di non ammettere alcun affidamento diretto o soltanto cottimi fiduciari fino a 20 mila euro.
Il ministero ha confermato quanto l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, nel parere n. 181 del 20/10/2011, aveva affermato ritenendo che la volontà del legislatore sia stata quella di assoggettare l'intero ambito dei servizi di cui all'art. 252 (Servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria) alla nuova disciplina prevista dall'art. 125, comma 11 e, quindi, alla soglia dei 40 mila euro (articolo ItaliaOggi del 31.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it)

INCARICHI PROFESSIONALI: L’incarico esterno deve essere necessariamente determinato nel suo oggetto.
Invero, l’oggetto dell’incarico costituisce il parametro di base per valutare sia la rispondenza dell’incarico medesimo ai fini istituzionali dell’ente, sia la reale sussistenza della ineludibile necessità di fare ricorso a terzi (c.d. “indefettibilità” della consulenza), sia la “congruità” e la “proporzionalità” del compenso e sia, infine, il corretto espletamento dell’attività commissionata (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. III giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 28.03.2012 n. 263 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALICon riferimento a quegli enti che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze questa Sezione ha avuto modo di osservare che <<la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di consulenza e di studio; tuttavia, il Legislatore non ha inteso vietare agli enti locali la possibilità di conferire incarichi esterni quando ne ricorrono i presupposti di legge.
In questo senso, verrebbe disattesa la finalità perseguita dal legislatore per quegli enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze; infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa un divieto assoluto alla stipula di questa tipologia di contratti.
Diversamente, interpretando la norma in chiave funzionale –ovvero, valorizzando che la finalità della norma è quella di ridurre l’incidenza che questa tipologia di spesa ha sui bilanci degli enti locali e non quella di vietare agli enti medesimi di conferire incarichi esterni quando vi sussistono i presupposti di legge- si deve giungere alla conclusione che la norma de qua, per quegli enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando un diverso parametro di riferimento.
D’altra parte, se non si adottasse questa interpretazione, la riduzione “lineare” prevista dall’art. 6, comma 7, cit. finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno sostenuto una spesa per consulenze rilevante; al contrario, si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa pari a zero
>>.

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Il Sindaco del Comune di Botticino ha posto alla Sezione un quesito in ordine all’applicazione della disciplina in materia di conferimento di incarichi di consulenza e, più in particolare, sulla portata dell'articolo 6, comma 7, del D.L. n. 78/2010 che prevede che le Pubbliche Amministrazioni (tra cui rientrano anche i Comuni) possano, per l'anno in corso, conferire incarichi di consulenza, nel limite del 20% della spesa effettivamente sostenuta nell'anno 2009.
...
La richiesta di parere concerne l’esegesi dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che recita: <<al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e di consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle Forze Armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco>>.
Nella richiesta di parere il sindaco rappresenta che <<nell'anno 2009 la spesa sostenuta dal Comune di Botticino per il conferimento di incarichi di consulenza fu di € 13.000,00; il limite normativamente stabilito per l'anno in corso, quindi, è di € 2.600,00; quanto sopra come comunicato dal servizio Finanziario dell'Ente>>.
In particolare, l’ente locale chiede se il limite di spesa stabilito dalla norma innanzi richiamata, <<possa essere motivatamente derogato, in quanto: si tratta di conferire un parere ad un legale specializzato in materia di contrattualistica e procedimenti in materia di coltivazione di cave; l'incarico deve essere conferito per individuare la corretta procedura finalizzata a conseguire il valore economico maggiore a favore della Amministrazione Comunale e, nel contempo, rispettare il ruolo di ente coinvolto nel procedimento di formazione del piano di coltivazione; data la specificità della materia, all'interno dell'Ente non vi sono figure tecnico professionali in grado di effettuare l'analisi e rilasciare il parere richiesto>>.
Prima di soffermarsi sulla questione ermeneutica prospettata dall’ente locale istante, occorre tuttavia precisare che la decisione se procedere o meno ad affidare un incarico di consulenza legale per una problematica di particolare difficoltà attiene al merito dell’azione amministrativa e rientra, ovviamente, nella piena ed esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente che potrà orientare la sua decisione in base alle conclusioni contenute nel parere che segue.
L’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, pone un chiaro limite di spesa storicizzato alla frazione di un quinto di quella sostenuta nel 2009, quale requisito per la legittimità del conferimento dell’incarico di consulenza e studio, con un espresso presidio sanzionatorio in termini di responsabilità erariale e disciplinare. In sede di referto sulla gestione, la Sezione ha già sottolineato, in merito a questa norma, che il superamento del vincolo di spesa e la violazione del regime restrittivo si traduce in una violazione di legge, costituendo vizio di validità del provvedimento amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo, illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale (delibera 13.12.2010 n. 1051 – indagine sul fenomeno degli incarichi di consulenza e di collaborazione autonoma affidati dagli enti locali della Lombardia nell’anno 2009).
In sede consultiva, questa Sezione ha poi precisato che <<come emerge dal tenore letterale della norma, la portata della disposizione limitativa concerne gli incarichi per studi e consulenze, senza ricomprendere né quelli di ricerca né le altre collaborazioni autonome>> (Lombardia/68/2011/PAR del 07.02.2011).
Ad ogni modo, la richiesta di parere formulata dal sindaco del Comune di Bottino ha ad oggetto un incarico di consulenza legale per una problematica di particolare difficoltà, per cui la fattispecie rientra nell’ambito applicativo della norma in esame. Infatti, <<la giurisprudenza contabile (sin dalla deliberazione SS.RR. in sede di controllo n. 6 del 15.02.2005) ha fornito un’articolata definizione degli istituti oggetto del limite di spesa: per gli incarichi di studio il riferimento è all’articolo 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta espositiva della soluzione proposta al fine di orientare la successiva attività dell’ente, mentre le consulenze si sostanziano nella richiesta di parere ad un esperto esterno. Queste ultime possono assumere un vario contenuto (ad es. soluzione di questioni e problemi controversi, consulenze legali stragiudiziali, tecniche, tributarie e contabili), sfociando anche in valutazioni, espressioni di giudizi e supporti specialistici>> (Lombardia/68/2011/PAR del 07.02.2011).
Con riferimento a quegli enti che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze questa Sezione ha avuto modo di osservare <<la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di consulenza e di studio; tuttavia, il Legislatore non ha inteso vietare agli enti locali la possibilità di conferire incarichi esterni quando ne ricorrono i presupposti di legge. In questo senso, verrebbe disattesa la finalità perseguita dal legislatore per quegli enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze; infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa un divieto assoluto alla stipula di questa tipologia di contratti. Diversamente, interpretando la norma in chiave funzionale –ovvero, valorizzando che la finalità della norma è quella di ridurre l’incidenza che questa tipologia di spesa ha sui bilanci degli enti locali e non quella di vietare agli enti medesimi di conferire incarichi esterni quando vi sussistono i presupposti di legge- si deve giungere alla conclusione che la norma de qua, per quegli enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando un diverso parametro di riferimento. D’altra parte, se non si adottasse questa interpretazione, la riduzione “lineare” prevista dall’art. 6, comma 7, cit. finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno sostenuto una spesa per consulenze rilevante; al contrario, si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa pari a zero>> (Lombardia, parere n. 227/2011; in senso contrario Sez. contr. Piemonte delibera n. 21/2012/SRCPIE/PAR dell’08.03.2012).
Nel caso di specie, tuttavia, l’interpretazione in chiave funzionale sin qui prospettata –ovvero, volta a limitare le spese per incarichi di collaborazione esterna e non ad eliminare detta voce di spesa dal bilancio degli enti locali- non può trovare spazio. Infatti, nella richiesta di parere il sindaco rappresenta che <<nell'anno 2009 la spesa sostenuta dal Comune di Botticino per il conferimento di incarichi di consulenza fu di € 13.000,00>>.
In conclusione, con riferimento alla fattispecie rappresentata dal Comune di Botticino, il parametro di riferimento per poter applicare il limite di spesa fissato dall’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 è di facile individuazione in quanto l’ente locale, nel corso dell’anno del 2009, ha sostenuto spese per incarichi di studio e di consulenza; conseguentemente trova applicazione il vincolo di finanza pubblica nei termini posti dal legislatore, ovvero secondo il parametro del 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 28.03.2012 n. 88).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U. 24.03.2012 n. 71, suppl. ord. n. 53/L, "Testo del decreto-legge 24.01.2012, n. 1, coordinato con la legge di conversione 24.03.2012, n. 27, recante: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»".

INCARICHI PROFESSIONALILa violazione degli ormai noti vincoli posti dalla legge al conferimento di incarichi esterni fonda ipso facto la colpa grave degli amministratori.
Nella fattispecie, deve in effetti ritenersi che fosse da tempo notoria, presso gli enti locali, l’impossibilità di avvalersi dell’onerosa collaborazione di personale esterno per compiti che potevano essere ugualmente svolti dalle risorse umane interne.
E questa notorietà comporta indubbiamente la gravità delle colpe sia degli amministratori che approvarono la deliberazione di conferimento dell’incarico e del dirigente che espresse parere favorevole sul provvedimento, che del dirigente che emanò la determinazione (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 23.03.2012 n. 174 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Sebbene l’art. 90, comma 8, del codice dei contratti pubblici sancisca l’incompatiblità fra esecuzione dei lavori ed attività di progettazione degli stessi, il medesimo principio deve ritenersi applicabile anche agli appalti di servizi di progettazione, con conseguente divieto di aggiudicazione dell’incarico di progettazione definitiva ai professionisti che abbiano elaborato o concorso ad elaborare la progettazione preliminare, qualora da ciò possa derivare in capo agli stessi una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti.
La giurisprudenza del Giudice amministrativo d’appello ha di recente sancito che, sebbene l’art. 90, comma 8, del codice dei contratti pubblici sancisca l’incompatiblità fra esecuzione dei lavori ed attività di progettazione degli stessi, il medesimo principio deve ritenersi applicabile anche agli appalti di servizi di progettazione, con conseguente divieto di aggiudicazione dell’incarico di progettazione definitiva ai professionisti che abbiano elaborato o concorso ad elaborare la progettazione preliminare, qualora da ciò possa derivare in capo agli stessi una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti (Cons. Stato, IV, 03/05/2011, n. 2650) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.03.2012 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2012

INCARICHI PROFESSIONALISocietà partecipate, incarichi di consulenza con procedure Ue.
I principi comunitari della gara devono essere applicati anche agli incarichi di consulenza delle società partecipate sebbene non siano appalti di servizi.
Lo ha sancito il TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con la sentenza 17.02.2012 n. 130.
Nel caso in esame una società con partecipazione di capitale pubblica totalitaria, costituita secondo il modello societario in house, avente a oggetto la riqualificazione di un vasto ambito urbano, aveva indetto una gara pubblica per il conferimento di un incarico di consulenza a un esperto con competenze specialistiche in materia di pianificazione urbana.
All'esito della procedura di valutazione comparativa il secondo classificato aveva contestato gli atti di gara deducendone l'illegittimità dal momento che non si trattava di un appalto di servizi bensì di un contratto d'opera professionale, inquadrabile tra i contratti di cui all'articolo 2230 c.c.: per questo motivo, secondo il ricorrente, la gara espletata non era doverosa e la procedura non doveva essere soggetta alle norme del codice dei contratti di cui al dlgs 163 del 2006.
Il Collegio respinge il ricorso. Innanzitutto, i giudici amministrativi precisano che ciò che caratterizza l'appalto è l'assunzione del compimento di un servizio, con assunzione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, ai sensi dell'articolo 1655 c.c.: si tratta, pertanto di un'obbligazione di risultato che, di regola avviene mediante un'organizzazione di media o grande impresa.
La mancanza degli elementi sopraccitati nella fattispecie in oggetto, invece, comporta la qualificazione del rapporto in termini di contratto d'opera professionale, non sussistendo alcuna assunzione di rischio e tenuto conto del contenuto della prestazione richiesta che costituisce un'attività individuale di assistenza e consulenza con la quale il professionista mette a disposizione i propri mezzi e capacità professionali, indipendentemente dal raggiungimento di un risultato.
Tuttavia, anche se d'accordo con il ricorrente nella qualificazione del contratto, il Collegio chiarisce che anche per i contratti di consulenza debbano essere applicati i principi del Trattato dell'Ue ossia il principio di concorrenza e di quelli, che ne rappresentano attuazione e corollario, di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento. «Tali principi, infatti, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici, e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne e in modo prevalente su eventuali disposizioni interne di segno contrario» (articolo ItaliaOggi del 24.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Responsabilità istruttoria e affidamento di consulenze.
La dirigenza pubblica trentina è stata scossa dalla sentenza 10.02.2012 n. 1 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale Trento, con la quale un dirigente generale della Provincia è stato condannato per aver affidato, a due professionisti esterni, una consulenza reputata illegittima.
La decisione
L’alto burocrate, ritenendo inadeguato il personale della propria struttura, ha esternalizzato l’attività di controllo avente ad oggetto “l’esperimento […] della fase di controllo sulle dichiarazioni di spesa rese dai beneficiari finali delle risorse”.
Nella sentenza è stato puntualizzato che i provvedimenti (deliberazioni della Giunta provinciale n. 1550/2004 e n. 1102/2005) erano giustificati “dal numero di ore occorrenti per lo svolgimento dell’incarico e dalla impossibilità di reperire all’interno della struttura provinciale le figure professionali idonee ad espletarlo. Detta circostanza era stata indicata […] con […] precedente nota […] al Dipartimento Organizzazione, personale e affari generali, che avrebbe espresso un generico orientamento positivo alla soluzione contrattuale proposta in via temporanea”.
Il contenuto delle prestazioni acquisite dai professionisti (nella specie, revisori contabili) consisteva “[…] nella verifica della coincidenza delle dichiarazioni con documenti contabili regolarmente quietanzati e nell’ammissibilità delle spese secondo la normativa vigente, nonché nella segnalazione all’Ufficio […] di qualsiasi irregolarità rilevata nel corso della verifica”; la Procura attrice, quindi, ha sostenuto che quella che, impropriamente, era stata qualificata come consulenza era, in realtà, “[…] un’attività di mero controllo di dati attestati con dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ovvero una vera e propria prestazione di attività lavorativa, effettuata non per fronteggiare temporanee esigenze ma per periodi in realtà collegati senza soluzione di continuità in un arco temporale che va dal luglio 2004 al dicembre 2008”.
Secondo la magistratura contabile, dunque, non si era in presenza di attività complessa, legittimante un incarico esterno, ma di una tipologia di controllo interno, demandato in via esclusiva alle stesse amministrazioni ai sensi del Dlgs n. 286/1999; e trattavasi, per giunta, di un compito “più legato ad un’attività di riscontro formale, che non ad un controllo sostanziale dei costi ammissibili”.
Le argomentazioni formulate dalla Procura l’hanno portata anche ad escludere che le prestazioni oggetto di contestazione potessero essere caratterizzate dal requisito, normativamente previsto, dell’alta professionalità.
Il convenuto, da parte sua, ha sostenuto che la decisione di ricorrere alla consulenza era stata adottata dalla Giunta provinciale; che il personale del Dipartimento, e degli uffici in cui questo si articolava, non era in grado di svolgere i prescritti controlli nei tempi ritenuti necessari; che l’attività esternalizzata implicava compiti ad alto contenuto specialistico.
Il Collegio, in primo luogo, ha concentrato l’attenzione sulle caratteristiche dell’attività affidata ai due professionisti; e, dopo aver esaminato il quadro normativo comunitario, nazionale e provinciale, ha precisato che “trattandosi di dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del Dpr 445/2000, sono, quindi, sottoposte ad idonei controlli a campione al fine di verificarne la veridicità”, operazione, quest’ultima, consistente nella verifica della perfetta conformità tra spese dichiarate e correlativa documentazione contabile.
Sulla base di una tale valutazione, ha concluso che “l’oggetto degli incarichi conferiti rientrava nell’ambito dei controlli di cui all’art. 25 del decreto del Presidente della Giunta provinciale 27.12.2000, n. 33-51/Leg e degli artt. 46 e ss. del decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445, attività di competenza dell’amministrazione a norma del citato art. 71 del Dpr 445/2000, ed ordinariamente svolta da qualifiche non particolarmente elevate”.
Quanto alla presunta difficoltà e complessità dell’attività di controllo affidata ai due professionisti esterni, la sezione trentina ha contraddetto le tesi difensive, traendo spunto, oltretutto, dalla documentazione prodotta dal medesimo convenuto; dalla quale è emerso che il bando di concorso, pubblicato per reperire personale esperto in attività di revisione e gestione contabile, non prevedeva specifici requisiti di ingresso.
L’organo giudicante, infatti, ha affermato che “la selezione presupponeva un generico diploma di laurea -trattandosi comunque di concorso per l’assunzione di funzionari- non orientato a particolari indirizzi o attività. Inoltre, si desume dalle prove orali dello specifico indirizzo del concorso -più genericamente rivolto a soddisfare le ‘necessità di coordinamento e di accompagnamento delle azioni a cofinanziamento del Fondo sociale europeo’- che esso non richiedeva un particolare grado di specializzazione”.
Anche uno dei due incaricati ha confermato la natura “generica” dei compiti affidati, avendo affermato che “I soggetti beneficiari del Fse esibiscono alla Provincia delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio in cui dichiarano i costi sostenuti in un determinato arco di tempo. La nostra funzione è quella di controllare l’esistenza dei documenti in originale e i relativi attestati di pagamento, quindi, dobbiamo accertare che le spese siano state documentate e pagate. Nell’esaminare la documentazione ci si attiene ai criteri per la formazione degli strumenti di programmazione settoriale”. Il professionista ha, inoltre, aggiunto che “Di fronte a difficoltà interpretative nell’applicazione dei criteri la sottoscritta chiede il parere all’Ufficio competente della Provincia”.
Adempimenti istruttori e conferimento di incarico
La sezione giudicante, quindi, considerati gli elementi di fatto accertati (attività di ordinaria competenza dell’amministrazione, non particolare complessità delle prestazioni, non necessità di competenze specialistiche di elevato profilo), ha esaminato l’attività istruttoria, posta a fondamento dei provvedimenti di conferimento degli incarichi, per verificare se fosse stata supportata “da atti ricognitivi idonei a dimostrare l’assoluta indisponibilità di personale interno per effettuare i controlli in questione”. Circostanza, quest’ultima, imprescindibile per la legittimità delle consulenze.
Il Collegio, al proposito, ha rilevato alcune discrasie che, inevitabilmente, hanno condizionato la decisione finale.
Dalla documentazione relativa alla deliberazione della Giunta provinciale n. 1550/2004 è emerso che il convenuto ha chiesto al Dirigente generale del dipartimento Organizzazione, personale e affari generali l’autorizzazione a ricorrere ad incarichi esterni, per lo svolgimento di compiti istituzionali che avrebbero comportato un’ingente attività lavorativa (pari a 1.200 ore), finalizzata alla verifica di 200 dichiarazioni di spesa (calcolando, quindi, per ciascuna pratica, un tempo medio di lavoro di 6 ore), sul presupposto della mancanza, all’interno della struttura diretta, di personale idoneo a svolgere la suddetta attività.
La risposta del dirigente generale competente si è limitata a richiamare i vincoli posti dalla normativa vigente, rimettendo, all’istante, la valutazione dei presupposti per il conferimento; pur non costituendo un assenso, “la nota viene citata nelle premesse della deliberazione di Giunta provinciale n. 1550/2004, che vi ha attribuito, incongruamente, il netto significato di parere positivo”.
Il giudice contabile ha inoltre evidenziato una peculiare discrasia temporale, nel procedimento di conferimento dell’incarico, rilevando che “la procedura presenta una curiosa distorsione cronologica, in quanto il dirigente del dipartimento ha chiesto di attivare consulenze prima della richiesta ufficiale da parte del direttore dell’ufficio interessato; il che contrasta con quanto disposto dall’art. 31 della citata L.P. n. 7/97 […]”.
Neppure l’esame della seconda deliberazione della Giunta provinciale (n. 1102/2005) è riuscito a scalfire la convinzione che l’istruttoria sia stata condotta in modo superficiale. Nella sentenza, coerentemente, si legge ”che, nella specie, non risulta sufficientemente sondata la possibilità di procurarsi all’interno dell’amministrazione le figure professionali idonee allo svolgimento dell’incarico, presupposto indefettibile del relativo affidamento […]” .
L’analisi effettuata dal giudice contabile si è successivamente orientata verso profili squisitamente organizzativi, riguardanti, in particolare, le modalità di gestione delle risorse assegnate alla struttura del convenuto, il raffronto costi/benefici in rapporto alla duplice opzione dell’utilizzo di risorse interne/esterne, l’eventuale necessità di ricorrere allo strumento della formazione.
Considerato, infatti, che le deliberazioni con cui erano stati conferiti gli incarichi esterni risultavano sprovviste del parere che il dirigente generale avrebbe dovuto redigere, ai sensi dell’art. 5 della Lp n. 7/1997, sono stati acquisiti gli organici, di fatto e di diritto, del Dipartimento e dell’Ufficio coinvolti nella vicenda contabile, relativi al biennio 2004-2005.
Nei due anni presi in considerazione, lasso di tempo nel corso del quale l’esternalizzazione oggetto di giudizio si è consolidata, è emerso che al Dipartimento, a capo del quale era preposto il convenuto, erano assegnati 461 dipendenti; secondo la spontanea comunicazione della direttrice dell’Ufficio di Supporto dipartimentale, circa 70 unità erano in possesso dei requisiti per poter svolgere i controlli affidati ai professionisti.
Il convenuto ha motivato l’affidamento esterno, sostenendo che l’Ufficio competente a svolgere i controlli, quando è stato incardinato nel proprio Dipartimento, aveva subito una significativa riduzione d’organico rispetto alla dotazione che aveva in precedenza (passando da 34 a 17 unità). Ed è stato, altresì, precisato che solo nove di queste unità avrebbero potuto essere impiegate nell’attività di controllo delle dichiarazioni trasmesse dai beneficiari dei contributi; ciò non sarebbe stato possibile, perché i nove funzionari erano impegnati nel raggiungimento di differenti obiettivi di lavoro.
La sezione territoriale, nel valutare gli obiettivi assegnati al personale potenzialmente idoneo all’espletamento dei controlli, “e cercando di comprendere il linguaggio criptico con cui gli obiettivi stessi sono descritti”, ha osservato che “quasi tutti i dipendenti segnalati appaiono impegnati in concorsi, raccordi, monitoraggi, coordinamenti, partecipazioni ed attività che appaiono per lo più di supporto ad altre: per di più, è dato conoscere le occupazioni svolte da solo una parte del personale, poiché degli altri dipendenti in servizio presso l’Ufficio […] (nel numero complessivo di 34, secondo la documentazione trasmessa in esito ad ordinanza istruttoria) si conoscono solo le qualifiche professionali”.
L’organo giudicante, inoltre, ha constatato che l’attività dei consulenti ha comportato 3.600 ore di lavoro, retribuite, nell’arco di quattro anni e mezzo, con una complessiva spesa di 242.990 euro. Applicando i medesimi parametri numerici, all’attività svolta all’interno dell’amministrazione, il giudice ha concluso che “l’impegno lavorativo di un impiegato pubblico è computabile in 36 ore settimanali, detta attività avrebbe comportato l’utilizzazione di un solo dipendente per 100 settimane lavorative totali, equivalenti a circa 23 settimane all’anno. Non è, quindi, neppure lontanamente ipotizzabile che gli oltre 70 funzionari in servizio presso il Dipartimento […] (ai quali si devono aggiungere quelli assegnati all’Ufficio […]) negli anni 2004-2005, dichiarati astrattamente idonei a svolgere i controlli sulle dichiarazioni sostitutive di atto notorio, fossero assolutamente e totalmente indisponibili allo svolgimento di tale attività, anche considerando che ad essa avrebbero potuto essere preposte più unità di personale non pienamente utilizzato in altre mansioni: il che non è in assoluto precluso dall’eventuale conseguimento degli obiettivi assegnati. Più in particolare, considerando anche solo i dipendenti dell’Ufficio […] indicati dalla difesa, si osserva che il fatto che quasi tutti gli obiettivi siano stati comunque conseguiti non esclude automaticamente che i singoli dipendenti ad essi preposti fossero assolutamente indisponibili ad effettuare anche i controlli sulle dichiarazioni sostitutive, ovviamente previa formazione, ove necessaria”.
Infine, in merito al fatto che gli stessi consulenti, in caso di dubbi interpretativi, chiedevano pareri all’Ufficio competente della Provincia, è stato sottolineato che la dichiarata circostanza “non lascia residuare alcun dubbio sul fatto che l’attività in questione non vantasse, neppure di fatto, non solo l’elevato contenuto specialistico proprio dell’attività di consulenza, ma neppure quello del rapporto di collaborazione, e che rientrasse invece nell’ambito dell’ordinaria attività di amministrazione. Ne è riprova il fatto che ‘l’Ufficio competente della Provincia’ veniva interpellato dai professionisti ‘di fronte a difficoltà interpretative’, e quindi avrebbe potuto formare, con piena soddisfazione anche degli interessi erariali, dipendenti provinciali idonei ai controlli invece affidati all’esterno, tanto più che essi implicavano un dispendio di tempo assai limitato, in proporzione non solo all’intera compagine del personale provinciale, ma anche a quella in dotazione al Dipartimento […] e perfino allo stesso Ufficio […]”.
La difesa, tra le varie giustificazioni proposte, ha anche sollevato la problematica del presunto ruolo marginale del convenuto in relazione al meccanismo causale del danno: in buona sostanza, è stato evidenziato come il dirigente generale abbia posto in essere un comportamento meramente attuativo di atti rientranti nella competenza della Giunta provinciale e adottati dall’organo collegiale.
Il giudice contabile, però, ha dissentito da un tale punto di vista, imputando al convenuto la responsabilità della carente attività istruttoria, attività che si pone quale indefettibile presupposto dei provvedimenti di incarico adottati dalla Giunta provinciale, e che rientra nella esclusiva competenza del dirigente generale, ai sensi dell’art. 16 della legge provinciale n. 7/1997.
La condotta del dirigente generale avrebbe, dunque, tratto in inganno l’organo collegiale, determinandolo a deliberare gli incarichi esterni, sul duplice errato presupposto dell’impossibilità di utilizzare personale interno e della conseguente necessità di avvalersi di prestazioni esterne ad alto contenuto professionale.
Conclusioni
L’accertamento della responsabilità del convenuto suona, senza dubbio, come un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Da un lato, infatti, è palpabile la sensazione che la responsabilità sia stata dichiarata più per carenze istruttorie che non per la sostanziale illegittimità della consulenza in sé; il che, per certi versi, potrebbe apparire difficilmente accettabile. Non è da escludere, infatti, che la stessa fattispecie, qualora fosse stata motivata in modo diverso e più coerente, avrebbe potuto essere decisa in senso opposto o, quanto meno, addebitando una misura di risarcimento più mite.
Da altro punto di vista, inoltre, sarebbe auspicabile che la magistratura contabile, nel valutare le singole fattispecie, non entrasse nel merito dell’organizzazione degli uffici pubblici. Non spetta, di certo, al giudice, ritornando al caso in esame, stabilire come deve essere impiegato il personale o quante unità debbano essere utilizzate, e per quanto tempo, nello svolgimento delle attività istituzionali, escluse, ovviamente, le ipotesi di modalità di svolgimento irrazionali o arbitrarie.
Gli amministratori, dal canto loro, dovranno prestare più attenzione alla fase istruttoria, che dovrà essere caratterizzata dalla compatibilità, coerente e razionale, tra presupposti e decisione finale, e all’adeguato bilanciamento tra risorse umane assegnate e obiettivi da realizzare. In tal senso, notevole importanza deve essere attribuita, nell’ambito delle organizzazioni pubbliche, ai processi di riorganizzazione, alle competenze del personale e alle modalità di impiego in rapporto ai compiti da svolgere (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

INCARICHI PROFESSIONALIPersonale. La Corte dei conti condanna un sindaco per dieci anni di consulenze extra organico. Incarichi di vertice agli esterni limitati anche nella durata. La maxisanzione: tutti i compensi pagati vanno risarciti.
Giocare con le norme per aggirare i limiti previsti per gli incarichi di lavoro autonomo e i vincoli in materia di rapporti fiduciari può costare caro.
Se ne è reso conto il sindaco di un piccolo comune in provincia dell'Aquila, il quale, per poter usufruire delle prestazione del responsabile dell'ufficio tecnico, da lui selezionato con incarico esterno, ha fatto ricorso all'articolo 110, comma 2, del Testo unico enti locali (Dlgs 267/2000). Ma i magistrati contabili prima lo hanno condannato a una sanzione tutto sommato modesta, poi, in appello, hanno inasprito l'importo del danno erariale.

Può essere così riassunto il contenuto della sentenza 08.02.2012 n. 66 della Corte dei conti - Sez. III Giur. centrale d'appello.
Il sindaco abruzzese aveva conferito un incarico ad un ingegnere per sopperire alla carenza di personale qualificato. Dopo alcuni anni, il professionista era diventato responsabile dell'ufficio tecnico e l'incarico aveva assunto la veste di «alta professionalità», fuori dotazione organica, a tempo determinato e parziale.
La Corte, innanzitutto, ha evidenzia come il ricorso a personale esterno debba essere motivato da esigenze eccezionali, impreviste e transitorie, mentre, normalmente si deve provvedere ai compiti istituzionali con il personale inquadrato nella propria organizzazione. I giudici contabili quindi hanno ravvisato un primo profilo di illegittimità nel ricorso ad un'alta professionalità fuori dotazione organica assegnata a compiti ordinari. Senza contare che le esigenze si erano rivelate tutt'altro che temporanee e predeterminate, in quanto l'incarico era durato una decina d'anni, proroghe comprese.
Molto significativo un passaggio della sentenza nel quale i giudici contabili, hanno contestato al sindaco di aver fatto ricorso ad «una sorta di contraddittoria e inammissibile commistione tra le distinte ipotesi disciplinate dall'articolo 110 del Tuel» al comma 1, al comma 2 e al comma 3 (oggi comma 6). Di fatto, la Corte ha considerato l'incarico come una vera e propria assunzione del tecnico comunale, non legata ad esigenze eccezionali.
La condanna al danno, quindi, è stata inevitabile. Ma i magistrati contabili hanno osservato che, nel caso di specie, non si può neppure parlare di riduzione per utilità derivante dalla prestazione resa a favore del Comune. In primo luogo perché l'utilità deve essere comprovata dal soggetto che vorrebbe usufruire dello sconto sulla sanzione, non potendosi ricavare benefici solo dalla mera prestazione resa, e, in secondo luogo, perché l'ingegnere non ha affiancato le professionalità interne, presenti ed aventi titolo per assumere la responsabilità del servizio, ma si è sostituito ad esse. Il danno erariale è stato quantificato pari a tutte le retribuzioni corrisposte, con l'aggiunta di una quota parte dell'assegno ad personam, che seppure riconosciuto sproporzionato rispetto all'incarico, è addebitato solo in parte al sindaco, in quanto deciso in seno alla giunta.
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LA MASSIMA
Non sussiste un generale divieto per la Pa di ricorrere a collaborazioni esterne o a contratti di durata o, ancora, a consulenze, ma l'utilizzo di personale esterno non può concretizzarsi se non nel rispetto di determinate condizioni e limiti previsti dal legislatore.
I limiti trovano la propria ratio nella necessità di evitare il conferimento generalizzato di consulenze esterne, l'assunzione di personale in assenza di condizioni legittimanti, l'aggravio di costi e la violazione di norme cogenti le quali richiedono, per l'accesso alla pubblica amministrazione, lo svolgimento di una procedura concorsuale (articolo Il Sole 24 Ore del 02.04.2012 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sul danno erariale cagionato dal sindaco per aver affidato ad un professionista esterno l'incarico di responsabile dell'U.T.C..
Nell’ordinamento vigente non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere a collaborazioni esterne o a contratti di durata o, ancora, a consulenze per far fronte ad esigenze particolari, ma che l’utilizzo di personale esterno alla Pubblica amministrazione non può concretizzarsi se non nel rispetto di determinate condizioni e limiti previsti espressamente dal legislatore e, specificatamente, dall’art. 7 del D.lgs. 03.02.1993 n. 29 (“6. Ove non siano disponibili figure professionali equivalenti, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”), dall’art. 110 del TUEL (“1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire. 2. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire….Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”) e dall’art. 7 del Decreto legislativo 30/03/2001 n. 165 (“6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”).
I limiti contenuti nelle disposizioni sopra indicate trovano la propria ratio nella necessità di evitare il conferimento generalizzato di consulenze esterne, l'assunzione di personale in assenza di condizioni legittimanti, l’aggravio di costi inutili ed eccessivi per i pubblici bilanci e la violazione di norme cogenti le quali richiedono, per l'accesso alla pubblica amministrazione, una selezione di più candidati preceduta da adeguata pubblicità del bando e svolgimento di una procedura concorsuale.
La giurisprudenza ha, inoltre, da tempo, affermato il principio secondo cui ogni ente pubblico deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e il proprio personale e la possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa soltanto nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda o anche quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste, di natura transitoria.
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L’incarico conferito ad un professionista esterno alla p.a. a far data dal 1998 (per carenza di personale qualificato), prorogato di anno in anno ... e, quindi, attribuito nuovamente quale incarico di alto contenuto professionale al di fuori della dotazione organica, a tempo determinato e tempo parziale in qualità di funzionario tecnico responsabile dell'ufficio tecnico servizio lavori pubblici e urbanistica (...) a decorrere dalla data dell'01.10.2002 per la durata del mandato elettorale pari ad anni 5 e poi ancora prorogato, non solo non può ritenersi temporaneo e predeterminato quanto alla sua durata, ma non può certamente definirsi come un incarico di alta specializzazione in quanto concernente compiti ordinari di un dipendente comunale inquadrato nella pianta organica (precedentemente svolti dal geometra ...).
L’attribuzione di tale incarico -configurabile come una sorta di contraddittoria e inammissibile commistione tra le distinte ipotesi disciplinate dall'art. 110 TUEL ai commi 1 (incarichi temporanei per la copertura di posti di responsabili dei servizi), 2 (incarichi al di fuori della dotazione organica conferiti con contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni) e 3 (collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati e conferiti con convenzioni a termine)– presupponeva una coerente qualificazione e soprattutto una congrua e ragionevole motivazione che giustificasse il ricorso al personale esterno.
Non può non convenirsi con la Procura regionale laddove ha evidenziato come il contratto del 2002 stipulato con l’ing. ... “non si configurava come un fatto eccezionale adottato per raggiungere uno specifico obiettivo, bensì come un'assunzione di fatto del tecnico all'interno della dotazione organica del personale dell'amministrazione comunale (senza alcun concorso) …”.
Andavano, infatti, specificati, come richiesto dall’art. 51 del regolamento comunale, l'oggetto dell'incarico (individuato genericamente, in contratto, quale “responsabile dell’UTC” ), il contenuto delle prestazioni (indicate approssimativamente nelle “mansioni inerenti alle attività ricomprese nella declaratoria della categoria”), le modalità di svolgimento delle stesse (“da svolgere, come da contratto, nei luoghi e nei tempi in cui il dipendente, di concerto con l’Amministrazione, riterrà opportuni…"), gli obiettivi da perseguire (nella specie, non precisati), l'ammontare del compenso, l'inizio e la durata dell'incarico.
Tali rilevanti carenze contenutistiche risultano vieppiù evidenti laddove l’incarico in parola veniva contraddittoriamente definito come “al di fuori della dotazione organica”, “ad alto contenuto professionale” (quando, invece, si trattava di svolgere attività amministrative ordinarie) e veniva, su tale inconsistente presupposto, indebitamente compensato con l'indennità ad personam stabilita dal citato art. 110 del D.lgvo n. 267 del 2000, oltre alla normale retribuzione prevista dal CCNL.
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Le modalità con cui si è svolta la vicenda evidenziano una condotta gravemente colposa del sindaco in quanto posta in essere in violazione della normativa di riferimento.
Infatti, il sindaco conferiva e rinnovava -immotivatamente (nonostante le doglianze sollevate dal dipendente geom. ...)- l’incarico al professionista esterno a cui veniva affidato, nell’ambito della nuova pianta organica (la quale prevedeva –in un Comune di modeste dimensioni quale quello di Balsorano- lo sdoppiamento dell’Ufficio Tecnico in Servizio LL.PP. e Servizio Urbanistica), la responsabilità di entrambi i servizi tecnici nonostante l’espressa attribuzione del livello D1 del Servizio Lavori Pubblici al geom. ... il quale aveva svolto in passato entrambe le funzioni poi affidate all’ing. ....
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FATTO
1.
Con la sentenza impugnata, la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per l’Abruzzo, condannava il sig. ..., in qualità di sindaco del Comune di Balsorano, al risarcimento del danno -in favore del predetto ente- di euro 40.000, comprensivi di interessi legali, per aver stipulato un illegittimo contratto di lavoro subordinato con l’ing. ....
Al riguardo, veniva evidenziato che il predetto ingegnere era stato assunto dal Comune (a seguito di accordo sottoscritto il 10.09.2002) con mansioni, a tempo determinato e parziale, di funzionario tecnico responsabile dell'Ufficio tecnico comunale a decorrere dall'01.10.2002 e che, per tale incarico, della durata di cinque anni, il sig. ..., oltre al normale trattamento economico, aveva percepito (come da delibera di G.C. n. 95 del 10.09.2002) un'indennità ad personam di euro 2.000,00 per 12 mensilità a fronte di un’attività lavorativa "con percentuale oraria di lavoro dei 5/6 dell'orario a tempo pieno".
Il Collegio, nel rilevare che il predetto professionista era già stato reclutato negli anni precedenti (delibera di Giunta n. 169 del 22.09.1998) e che l'incarico era stato tacitamente prorogato anno per anno con incremento dell'orario lavorativo (nonché protratto negli anni successivi allo scadere del mandato del sindaco ...), rilevava che l'assunzione -pur facendo espresso riferimento all'art. 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali reso con decreto legislativo n. 267 del 2000- in realtà non poteva dirsi legittima.
Riteneva, infatti, che l’affidamento dell’incarico non potesse configurarsi né come consulenza esterna (mancandone i presupposti della temporaneità e della eccezionalità e predefinizione dei contenuti), né come incarico di lavoro dipendente a tempo determinato non essendo prescritta l'osservanza di un orario di lavoro predefinito dal datore né effettuata la preliminare selezione di più candidati con adeguata pubblicità del bando e svolgimento di una procedura concorsuale.
La Sezione, rilevato un evidente contrasto con la normativa di settore (art. 7 del d.lgvo n. 29 del 1993; art. 110 del TUEL; art. 7 del d. lgvo n. 165 del 2001), riteneva che il sindaco ... fosse stato il regista di tutta la vicenda protrattasi per lunghi anni e che la sua condotta dovesse essere censurata sotto il profilo della colpa grave tenuto conto, anche, che lo stesso “non ebbe mai a riconsiderare i presupposti dell'incarico, nonostante i continui esposti e le doglianze del geometra dell'ufficio tecnico comunale”.
...
DIRITTO
1. Va, preliminarmente, disposta la riunione in rito degli appelli indicati in epigrafe ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanti proposti avverso la stessa sentenza.
2. Per ragione di ordine logico, il Collegio ritiene, quindi, di esaminare, innanzitutto, i motivi d'appello formulati dal sig. ... ed, in primis, quelli di rito.
2.1. Con riferimento, quindi, all'eccepita nullità della sentenza per violazione dell'art. 163, n. 7 c.p.c. e art. 38 c.p.c. (mancato avvertimento delle decadenze relative alla tardiva costituzione del convenuto), si rileva che, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte, le citate disposizioni non possono trovare applicazione nel giudizio di responsabilità in quanto lo stesso risulta strutturato in maniera diversa da quello civile essendo di competenza del Presidente della Sezione fissare il giorno dell’udienza di trattazione della causa ed il termine per la costituzione del convenuto (art. 5 del d.l. n. 453/1993, convertito dalla l. n. 19/1994).
Ciò rende inapplicabile al processo contabile il disposto di cui all'art. 163, n. 7 c.p.c, che impone all'attore di indicare nell'atto di citazione il giorno dell'udienza con l'invito al convenuto di costituirsi nel termine di venti giorni prima della data della stessa udienza, ovvero dieci giorni prima, in caso di abbreviazione del termine, con l'avvertimento che la costituzione tardiva comporta le decadenze di cui all'art. 167 cit..
2.2. Quanto alla nullità della sentenza per nullità dell’attività istruttoria della Procura posta in essere in assenza di una specifica notizia di danno, va considerato che la doglianza, pur ammissibile (in quanto “può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse”) ai sensi dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto legge 01/07/2009, n. 78, conv. in legge 03/08/2009, n. 102, nel testo modificato dal decreto–legge 03/08/2009, n. 103, contenente “Disposizioni correttive del decreto–legge anticrisi n. 78 del 2009, convertito nella legge 141/2009”, è infondata (“Le Procure della Corte dei Conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti, che decide nel termine perentorio di 30 giorni dal deposito della richiesta”).
Dall’esame del fascicolo processuale emerge, chiaramente, che l’attività istruttoria e processuale, posta in essere dalla Procura e censurata con l’appello incidentale, ha avuto origine da una specifica segnalazione, da parte del geometra del Comune di Balsorano, sig. ..., in ordine alla fattispecie ora al vaglio del Giudicante.
Dal tenore della denuncia (allegata agli atti di causa), si ritiene che la stessa integri una notizia concreta e specifica di danno.
Al riguardo, è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che ogni valutazione circa la sussistenza degli elementi necessari (condizioni dell’azione) per l’esercizio dell’azione di responsabilità (danno certo ed attuale, individuazione dei presunti responsabili, valutazione della condotta e dell’elemento soggettivo della colpa grave, nesso di causalità), spetta esclusivamente all’organo inquirente nell’ambito delle funzioni istituzionali assegnategli, all’uopo comprensive di specifiche e dettagliate competenze istruttorie riconosciutegli dalla normativa vigente (e consistenti nella possibilità di chiedere in comunicazione atti e documenti, di disporre audizioni personali, perizie e consulenze, sequestro di documenti, delega di adempimenti istruttori a funzionari delle pubbliche amministrazioni, ispezioni e accertamenti diretti presso pubbliche amministrazioni ex artt. 74 TU 1214/1934, 2, comma 4, e 5, comma 6 della legge n. 19 del 1994, 16, comma 3, del d.l. n. 152/1991 conv. in legge n. 203/1991).
Ne consegue che la denuncia in parola –circostanziata quanto alla vicenda descritta- ben rappresenta una concreta e specifica notizia di danno in ragione della quale la Procura era legittimata ad attivare l’attività istruttoria di competenza con la conseguenza che, né questa, né i successivi atti pre-processuali (invito a dedurre) e processuali (atto di citazione in giudizio), possono ritenersi affetti da alcun vizio ai sensi dell’art. 17, comma 30–ter, citato.
2.3. Dev’essere, quindi, affrontata, l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa del sig. ....
Orbene, non solo la prescrizione (diversamente da quanto sostenuto dall’appellato–appellante incidentale) non è rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 2938 cc., ma il motivo di censura deve ritenersi inammissibile ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. , perché proposto per la prima volta in appello.
La circostanza che il sig. ... sia stato contumace in primo grado non assume, infatti, alcun rilievo in ordine all’ammissibilità della stessa tenuto conto che “la parte rimasta contumace in primo grado non può godere, nel giudizio di appello, di diritti processuali più ampi di quelli spettanti alla parte ritualmente costituita in quel primo giudizio, e deve, conseguentemente, accettare il processo nello stato in cui si trova, con tutte le preclusioni e decadenze già verificatesi” (Cass. civ., sez. I, 04.05.1998, n. 4404).
2.4. In ordine, poi, alla doglianza relativa all’errata interpretazione dell’art. 110 D.lgs. n. 267/2000 e degli artt. 36, 49, 51, 53 del Regolamento di organizzazione degli Uffici e dei Servizi del Comune di Balsorano, il Collegio ritiene necessario sottolineare, innanzitutto, come la ricostruzione della vicenda operata dalla Sezione Territoriale non solo trovi pieno riscontro negli atti di causa, ma assuma rilevanza al fine di valutare in concreto se la condotta in contestazione possa ritenersi conforme al dettato legislativo.
Va, senz'altro, considerato che nell’ordinamento vigente non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere a collaborazioni esterne o a contratti di durata o, ancora, a consulenze per far fronte ad esigenze particolari, ma che l’utilizzo di personale esterno alla Pubblica amministrazione non può concretizzarsi se non nel rispetto di determinate condizioni e limiti previsti espressamente dal legislatore e, specificatamente, dall’art. 7 del Decreto legislativo 03.02.1993 n. 29 (“6. Ove non siano disponibili figure professionali equivalenti, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”), dall’art. 110 del TUEL (“1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire. 2. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire….Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”) e dall’art. 7 del Decreto legislativo 30/03/2001 n. 165 (“6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”).
I limiti contenuti nelle disposizioni sopra indicate trovano la propria ratio nella necessità di evitare il conferimento generalizzato di consulenze esterne, l'assunzione di personale in assenza di condizioni legittimanti, l’aggravio di costi inutili ed eccessivi per i pubblici bilanci e la violazione di norme cogenti le quali richiedono, per l'accesso alla pubblica amministrazione, una selezione di più candidati preceduta da adeguata pubblicità del bando e svolgimento di una procedura concorsuale.
La giurisprudenza ha, inoltre, da tempo, affermato il principio secondo cui ogni ente pubblico deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e il proprio personale e la possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa soltanto nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda o anche quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste, di natura transitoria.
Nel caso di specie, l’incarico conferito all’ing. ... a far data dal 1998 (per carenza di personale qualificato), prorogato di anno in anno (delibere di Giunta comunale n. 169 del 22.09.1998, n. 271 del 27.12.2000, n. 230 del 29.11.2001) e, quindi, attribuito nuovamente quale incarico di alto contenuto professionale al di fuori della dotazione organica, a tempo determinato e tempo parziale in qualità di funzionario tecnico responsabile dell'ufficio tecnico servizio lavori pubblici e urbanistica (...) a decorrere dalla data dell'01.10.2002 per la durata del mandato elettorale pari ad anni 5 (contratto individuale di lavoro sottoscritto il 10.09.2002) e poi ancora prorogato (delibera G.C. n. 105 del 2007), non solo non può ritenersi temporaneo e predeterminato quanto alla sua durata, ma non può certamente definirsi come un incarico di alta specializzazione in quanto concernente compiti ordinari di un dipendente comunale inquadrato nella pianta organica (precedentemente svolti dal geometra ...).
L’attribuzione di tale incarico -configurabile come una sorta di contraddittoria e inammissibile commistione tra le distinte ipotesi disciplinate dall'art. 110 TUEL ai commi 1 (incarichi temporanei per la copertura di posti di responsabili dei servizi), 2 (incarichi al di fuori della dotazione organica conferiti con contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni) e 3 (collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati e conferiti con convenzioni a termine)– presupponeva una coerente qualificazione e soprattutto una congrua e ragionevole motivazione che giustificasse il ricorso al personale esterno.
Non può non convenirsi con la Procura regionale laddove ha evidenziato come il contratto del 2002 stipulato con l’ing. ... “non si configurava come un fatto eccezionale adottato per raggiungere uno specifico obiettivo, bensì come un'assunzione di fatto del tecnico all'interno della dotazione organica del personale dell'amministrazione comunale (senza alcun concorso) …”.
Andavano, infatti, specificati, come richiesto dall’art. 51 del regolamento comunale, l'oggetto dell'incarico (individuato genericamente, in contratto, quale “responsabile dell’UTC” ), il contenuto delle prestazioni (indicate approssimativamente nelle “mansioni inerenti alle attività ricomprese nella declaratoria della categoria”), le modalità di svolgimento delle stesse (“da svolgere, come da contratto, nei luoghi e nei tempi in cui il dipendente, di concerto con l’Amministrazione, riterrà opportuni…"), gli obiettivi da perseguire (nella specie, non precisati), l'ammontare del compenso, l'inizio e la durata dell'incarico.
Tali rilevanti carenze contenutistiche risultano vieppiù evidenti laddove l’incarico in parola veniva contraddittoriamente definito come “al di fuori della dotazione organica”, “ad alto contenuto professionale” (quando, invece, si trattava di svolgere attività amministrative ordinarie) e veniva, su tale inconsistente presupposto, indebitamente compensato con l'indennità ad personam stabilita dal citato art. 110 del D.lgvo n. 267 del 2000, oltre alla normale retribuzione prevista dal CCNL.
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2.5. Quanto alla rilevata “erroneità dell'impugnata sentenza per violazione dell'art. 1, comma 1, legge 19/01/1994 n. 20 (…) mancando, nel caso di specie, il dolo e la colpa grave per l’addebitabilità del presunto danno erariale al ...”, il Collegio ritiene, viceversa, che le modalità con cui si è svolta la vicenda evidenzino una condotta gravemente colposa del sindaco in quanto posta in essere in violazione della normativa di riferimento.
Il sig. ..., come evidenziato in sentenza, conferiva e rinnovava -immotivatamente (nonostante le doglianze sollevate dal dipendente ...)- l’incarico al professionista esterno a cui veniva affidato, nell’ambito della nuova pianta organica (la quale prevedeva –in un Comune di modeste dimensioni quale quello di Balsorano- lo sdoppiamento dell’Ufficio Tecnico in Servizio LL.PP. e Servizio Urbanistica), la responsabilità di entrambi i servizi tecnici (vedasi contratto e delibera n. 230 del 29.11.2001) nonostante l’espressa attribuzione del livello D1 del Servizio Lavori Pubblici al geom. ... (vedasi all. 4 delibera n. 184 del 24.08.2000) il quale aveva svolto in passato entrambe le funzioni poi affidate all’ing. ... (delibera n. 169 del 22.08.1998) (Corte dei Conti, Sez. III giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 08.02.2012 n. 66).

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni, gare a rischio. Possibile paralisi dopo l'abrogazione delle tariffe professionali. Conseguenza della liberalizzazione per gli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura.
Rischio paralisi per le gare di progettazione: con l'abrogazione delle tariffe professionali niente più riferimenti per la stima della base d'asta, per i requisiti di partecipazione e per i servizi svolti.
È questo l'effetto, se non sarà modificata la norma in sede di conversione, connesso all'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012 in materia di liberalizzazioni nel settore delle gare per affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
La norma del decreto prevede infatti l'abrogazione delle «tariffe delle professioni regolamentate nel settore ordinistico», fra queste, quindi anche quelle di ingegneri e architetti (legge 143/1949 e dm 04.04.2001). Non solo. La norma stabilisce anche, al comma 4, che siano abrogate anche le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso rinviano alle tariffe.
La norma del decreto-legge determina quindi almeno una prima conseguenza sulla determinazione del corrispettivo a base di gara, dal momento che il Codice (art. 92, comma 2) e il regolamento (dpr 207/2010262, comma 2) stabilisce che i corrispettivi previsti dal decreto ministeriale 04.04.2001 possono essere utilizzate per stabilire l'importo a base di gara. Abrogando la tariffa professionale gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti non potranno più utilizzare questa possibilità e quindi, in assenza di alcuna indicazione al riguardo, dovranno stimare l'importo secondo altre modalità, al momento non conosciute e non chiare. Il rischio, ovviamente, è che la base dell'appalto sia ulteriormente ridotta e il contratto sia aggiudicato a un prezzo molto ridotto (visto che la media dei ribassi è pari al 40%).
In considerazione delle diverse norme del dpr 207/2010 che fanno riferimento alle tariffe professionali, ulteriori conseguenze si determinano anche con riguardo ai profili di qualificazione dei partecipanti.
L'articolo 263 del regolamento (per le gare oltre i 100 mila euro) e l'articolo 267 (per gli affidamenti al di sotto dei 100 mila euro) infatti fanno proprio rinvio alle classi e categorie delle vigenti tariffe professionali per individuare i requisiti di capacità tecnica; in particolare si deve provare la propria capacità documentando servizi appartenenti a lavori riconducibili alle classi e categorie di cui all'articolo 14 della legge 143/1949. Difficile immaginare quindi come, abrogata la legge 143, si possano documentare i requisiti. Il problema assume una sua rilevanza anche in sede di certificazione dei servizi svolti da parte dei professionisti e delle società, dal momento che le stazioni appaltanti non hanno più alcun riferimento per classificare i servizi svolti, risultando abrogato l'articolo 14 della legge 143.
La cosa appare di non poca rilevanza anche sotto il profilo dell'avvio e del funzionamento dell'istituenda Banca dati nazionale dei contratti pubblici prevista dal decreto-legge sulle semplificazioni che dovrebbe ricevere i certificati dei servizi (di ingegneria e architettura) e che, invece, per i progettisti rischia di non ricevere nulla (articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012).

gennaio 2012

INCARICHI PROGETTUALIOggetto: Riforma delle professioni - Informativa n. 3 (Consiglio Nazionale degli Ingegneri, nota 31.01.2012 n. U-nd/407/2012 di prot.).
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Riforma delle professioni e abolizione delle tariffe professionali. Arrivano i chiarimenti del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
Il Decreto Liberalizzazioni, in attesa di opportuna legge di conversione, ha apportato alcune novità al regime delle professioni (v. art. “Decreto Legge liberalizzazioni: tante le novità per imprese, professionisti, pubbliche amministrazioni, banche e cittadini”), tra cui:
● abolizione delle tariffe professionali;
● obbligo di preventivazione;
● obbligo di copertura assicurativa.
Il CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri) ha pubblicato una circolare finalizzata a fornire indicazioni sulle nuove disposizioni normative agli ingegneri iscritti agli albi professionali.
Il CNI sottolinea che il nuovo Decreto non cancella l’art. 2233 del codice civile: resta pertanto inalterato il principio della misura del compenso anche in relazione al decoro della professione. Inoltre, non sono cancellate le funzioni degli Ordini provinciali nel rilascio dei pareri sulle parcelle.
Nella circolare vengono fornite anche indicazioni circa le modalità di pattuizione del compenso e preventivazione (commento tratto da www.acca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALILIBERALIZZAZIONI/ Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che elimina l'obbligo per i professionisti. Compensi, il preventivo non serve. Tutti gli oneri vanno comunicati. Non necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito per iscritto solo se è il cliente a chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno il mero obbligo di comunicare il compenso al momento del conferimento dell'incarico indicando il dettaglio delle voci di costo, delle spese e dei contributi.
È quanto emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, in tema di professioni regolamentate.
Tra la prima versione del dl uscita dal Cdm e quella (rivisitata) oggi disponibile la differenza è sostanziale giacché il preventivo, pena l'apertura di una procedura disciplinare, si rendeva necessario a prescindere che il cliente avesse conferito l'incarico (ante), mentre ora si parla chiaramente di determinazione degli onorari nel momento in cui il cliente ha effettuato la scelta (post), tenendo conto ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato professionale» (definizione più corretta), peraltro sempre predisposto dall'iscritto all'albo più oculato anche al fine di evitare ripensamenti ingiustificati da parte del cliente, oltre che all'indicazione presuntiva dell'onorario, debba indicare le singole prestazioni e tutte le ulteriori voci di costo, come spese, oneri e contributi. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va coperto da assicurazione per eventuali danni causati nell'esercizio dell'attività professionale e i dati della polizza vanno comunicati ali cliente. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare del professionista. Va ancora evidenziata la discriminazione tra gli obblighi posti a carico dei professionisti iscritti agli ordini, rispetto a quelli non iscritti che, guarda caso, non dovendo tenere conto di queste disposizioni, creano vere e proprie «alterazioni» del mercato (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: Sul risarcimento del danno per illegittimo affidamento di incarico all'esterno dell'ente pubblico.
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Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
Il “dies a quo”, dunque, è quello in cui si è verificato il “fatto dannoso” e tale data è stata identificata dalla giurisprudenza in quella in cui si è verificato il danno quale componente del fatto.
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Per la generalità degli enti pubblici opera l'art. 7, c. 6, del dlgs 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs. 03.02.1993, n. 29), che consente alle amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza e per esigenze cui non possano far fronte con le risorse interne.
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato come il conferimento d’incarichi a soggetti esterni all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora, una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità amministrativa. E’ possibile cogliere, nella giurisprudenza della Corte dei conti, princìpi e criteri direttivi in grado di orientare utilmente l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e complessità delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, a proposito dell’attribuzione d’incarichi, sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante svolgimento di attività continuativa ma anzi la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e non motivato.

Ciascuno dei requisiti sopra indicati –lettere da a) ad h)- è essenziale ai fini della liceità dell’incarico, per cui l’accertamento del difetto di uno solo dei presupposti sopra indicati è sufficiente a qualificarlo come illecito; in proposito si ritiene utile sottolineare che il fine dell'art. 7 dlgs 165/2001 è quello di escludere che sia affidato, con incarichi, l’espletamento di normali attività che potrebbero essere svolte dal personale interno.
La disciplina in esso dettata vuole evitare, dunque, che si possa verificare uno spreco di risorse dell’ente pubblico, mascherando per consulenza un’attività che può essere svolta da personale interno dell’Amministrazione, già da quest’ultima retribuito.
La Pubblica Amministrazione, in conformità al dettato di cui all’art. 97 della Costituzione, deve infatti uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità dei quali per ius receptum, diviene corollario il principio secondo cui la stessa, nell’assolvimento dei propri compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.

Va in proposito premesso che, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 14.1.1994 n. 20 (come successivamente modificato dalla legge 20.12.1996 n. 639), il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.
Il “dies a quo”, dunque, è quello in cui si è verificato il “fatto dannoso” e tale data è stata identificata dalla giurisprudenza in quella in cui si è verificato il danno quale componente del fatto.
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Ritiene questo Collegio opportuno, preliminarmente e sinteticamente, illustrare la normativa e la stessa giurisprudenza, in tema di conferimento d’incarichi di collaborazione da parte di pubbliche amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in via generale la fattispecie, se non per casi particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R. 10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati civili dello Stato, che disciplinava gli incarichi conferiti dai ministri a professori universitari ed esperti di analoga qualificazione. Altre normative specifiche vietavano, in determinate ipotesi, il conferimento d’incarichi esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1 del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge 26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della legge 20.05.1985, n. 207, recante la disciplina transitoria per l'inquadramento del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti gli enti locali, quanto le norme generali sull'organizzazione dei pubblici uffici- si sono preoccupate, opportunamente, di disciplinare la fattispecie, con la fissazione di regole e principi che peraltro già da diversi anni avevano trovato ampia considerazione nella giurisprudenza contabile.
La prima disposizione di legge in materia, in ordine di tempo, è stata dettata per gli enti locali dall'art. 51 della legge 08.06.1990, n. 142, come modificato dalla legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n. 267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera invece l'art. 7, c. 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs. 03.02.1993, n. 29), che consente alle amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza e per esigenze cui non possano far fronte con le risorse interne. Differenti sono le regole per il conferimento degli incarichi da parte dei Ministri, definite con il regolamento approvato con D.P.R. 18.04.1994, n. 338.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni, hanno portato il legislatore, in sede di legge finanziaria -v. gli artt. 34 della legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa; sempre al medesimo scopo di contenere le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e 11, del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un limite alla spesa per gli incarichi per le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevedendo altresì che l’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la circolare della Funzione pubblica n. 4 del 15.07.2004, nella quale si afferma (in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte dei conti nella materia, puntualmente richiamata) che la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione sussiste solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo; l’affidamento dell’incarico a terzi può dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.
Per completezza, può poi precisarsi che le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004 hanno cessato di essere in vigore il 31.12.2004 e sono state sostituite, a decorrere dall'01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), il cui contenuto è stato peraltro illustrato dalle SS.RR. della Corte dei conti, con deliberazione n. 6/2005, “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare, il comma 11 dispone che il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “… è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”. Le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali non economici e le regioni possono quindi conferire incarichi esterni solo nei casi previsti dalla legge nazionale o dalle leggi regionali, salvi gli eventi straordinari. La norma ha poi confermato il limite della spesa per il conferimento degli incarichi esterni, determinandolo nell’importo erogato per lo stesso oggetto nel 2004.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n. 248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007 per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244, art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse disposizioni, hanno da ultimo definito ulteriormente il già articolato regime delle collaborazioni esterne nella P.A., consolidando la tendenza a limitare il ricorso a tali tipologie contrattuali ad ipotesi eccezionali e, indirettamente, costituendo i presupposti per una riduzione della spesa correlata, con apposita modifica del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I principi recati da tali ultime normative –che sostanzialmente confermano quelli già in vigore– sono stati oggetto anch’essi di apposita deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008 della Corte dei conti, Sez. autonomie, che ha precisato i criteri interpretativi.
Per quel che riguarda invece la posizione della giurisprudenza, va evidenziato come il conferimento d’incarichi a soggetti esterni all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora, una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità amministrativa. E’ possibile cogliere, nella giurisprudenza della Corte dei conti, princìpi e criteri direttivi in grado di orientare utilmente l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e complessità delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, a proposito dell’attribuzione d’incarichi, sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante svolgimento di attività continuativa ma anzi la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e non motivato.
Si possono citare in proposito, ex multis, Corte dei conti, Sez. I, 02.09.2008, n. 393, 17.09.2007, n. 248 e 31.05.2005, n. 187; Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III, 06.02.2006, n. 74 e 13.04.2005 n. 183; Sez. sic. appello, 02.04.2002, n. 46 e 01.08.2000, n. 100; Sez. riun. 12.06.1998, n. 27. Anche la Sezione controllo enti di questa Corte, già nella deliberazione 22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la necessità di evitare che l’affidamento d’incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e delle norme in materia di contenimento della spesa.
La posizione della giurisprudenza contabile, sopra illustrata, è stata tenuta presente sia dal Legislatore sia dalla stessa Funzione Pubblica, in sede di adeguamento e interpretazione della normativa successivamente intervenuta nella materia (cfr., in identici termini, Corte dei conti, Sez. Prima Centrale Appello sent. n. 145/2009).
Ciascuno dei requisiti sopra indicati –lettere da a) ad h)- è essenziale ai fini della liceità dell’incarico, per cui l’accertamento del difetto di uno solo dei presupposti sopra indicati è sufficiente a qualificarlo come illecito; in proposito si ritiene utile sottolineare che il fine del citato art. 7 è quello di escludere che sia affidato, con incarichi, l’espletamento di normali attività che potrebbero essere svolte dal personale interno.
La disciplina in esso dettata vuole evitare, dunque, che si possa verificare uno spreco di risorse dell’ente pubblico, mascherando per consulenza un’attività che può essere svolta da personale interno dell’Amministrazione, già da quest’ultima retribuito (Corte dei conti, Sez. Lazio, 18.08.2009, n. 1660).
La Pubblica Amministrazione, in conformità al dettato di cui all’art. 97 della Costituzione, deve infatti uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità dei quali per ius receptum, diviene corollario il principio secondo cui la stessa, nell’assolvimento dei propri compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto (Corte dei conti, Sez. Sardegna, 18.09.2008, n. 1831; Corte dei conti, Sez. Lazio, 12.05.2008, n. 787).
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Tanto premesso, il Collegio osserva che l’esame della documentazione depositata sia dalla Procura sia dalla difesa a sostegno delle rispettive tesi, evidenzia che le prestazioni lavorative richieste al p.i.e. ..., dedotte in contratto, ineriscono ad attività di carattere squisitamente tecnico-gestionale. Sul punto non vi è contestazione perché la difesa espressamente (pag. 10 e segg. della memoria difensiva) afferma che “Nel corso del rapporto con l’Amministrazione comunale di Laglio, ... predispose tutti gli atti di gestione e le determinazioni dell’Ufficio tecnico di poi emanate dal Sindaco in qualità di responsabile del servizio, avvalendosi dell’attività istruttoria dell’arch. ... e svolgendo pure autonomamente attività di istruttoria delle pratiche, anche oltre l’impegno orario (12 ore settimanali) convenuto nell’incarico professionale”. A ciò segue un elenco, documentato, dei “procedimenti più significativi e complessi seguiti interamente dal solo ...” [lettere da a) sino a q) della memoria]. Ciò posto, si respinge -perché ininfluente- la richiesta di prova testimoniale al riguardo.
Altra specifica connotazione della prestazione lavorativa del ... è stata la continuità: dall’iniziale previsione di mesi sei si è passati, con le delibere di proroga indicate in narrativa, a ben oltre tre anni di attività espletata. Tali rilevazioni fattuali, ad avviso del Collegio, valgono ad escludere che la fattispecie concreta rientri sia nella previsione normativa ex art. 90 d.lgs. n. 267/2000, poiché i compiti svolti non attengono alle funzioni di indirizzo e controllo previsti dalla norma indicata, sia nella previsione normativa di cui all’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, perché per un verso la norma citata prevede, tra l’altro, che i contratti a tempo determinato di funzionari dell’area direttiva, di dirigenti e alte specializzazioni possano essere stipulati “solo in assenza di professionalità analoghe presenti all’interno dell’ente” (nell’amministrazione comunale era presente, come detto, l’arch. ...) e, per altro verso, la temporaneità ed i limiti del rapporto normativamente previsto non possono essere elusi, come avviene nella fattispecie considerata in ragione delle proroghe del termine del contratto inizialmente stipulato, e determinare un sostanziale incardinamento del ... nel personale dell’amministrazione comunale.
Il difetto dei requisiti sopra indicati, essenziali per legittimare l’affidamento di attività istituzionale, è da solo sufficiente a qualificare come illecito l’incarico affidato al ....
Anche se tali osservazioni hanno rilievo assorbente ed esimono dall’esame analitico degli altri profili d’illegittimità e illiceità di affidamento dell’incarico di cui trattasi, il Collegio –considerando il contenuto effettivo dell’incarico e della durata dello stesso- ritiene di puntualizzare che la fattispecie concreta si connota, in buona sostanza, come incardinamento del p.i.e. ... nella struttura amministrativa, con elusione della normazione vigente in materia e violazione dei princìpi e delle regole che attengono all’imparzialità e buon andamento della P.A.
In merito all’elemento soggettivo dell’illecito, il Collegio ritiene che si tratti di colpa grave, considerate le chiarissime previsioni normative concernenti i requisiti di legittimità del conferimento d’incarichi all’esterno, violate nel caso di specie.
Il profilo d’illiceità accertato incide anche sulla valutazione dei vantaggi comunque conseguiti, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, L. n. 20/1994 in base al quale “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.
Occorre verificare e valutare se il medesimo fatto generatore del danno ha anche determinato un vantaggio in relazione ai comportamenti tenuti; accertamento dell’effettività dell’utilitas conseguita; rispondenza della stessa utilitas ai fini istituzionali dell’Amministrazione che li riceve (Corte dei conti, Sez. Lazio, 12.05.2008, n. 787). Il Collegio, in proposito, osserva che l’incarico di cui trattasi ha rivestito carattere d’illiceità, tra l’altro, per il carattere ordinario e continuato dei compiti svolti e, pertanto, l’Ente danneggiato non ha tratto alcuna utilità in ragione della non compiuta utilizzazione e valorizzazione delle professionalità interne, per cui, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della legge 14.01.1994, n. 20, non si può ridurre o elidere il danno accertato: ciò in quanto nel giudizio di responsabilità non possono essere invocati, come fa la difesa, a titolo di esimenti elementi e circostanze che attengono alla gestione globale dell'ente o struttura amministrativa (cfr., in termini sostanzialmente identici, Corte dei conti, Sez. Giur. Lomb. Sent. n. 648/2009 e Sez. Terza Centrale Appello sent. n. 3/2003).
Nondimeno si ravvisano, nella vicenda in esame, elementi (difficoltà strutturali e operative del Comune, segnatamente dell’Ufficio Tecnico a causa di insufficienza di personale) i quali, pur non potendo costituire esimenti di responsabilità, sono, tuttavia, idonei a giustificare l'esercizio del potere riduttivo attribuito al Giudice contabile e, pertanto, il danno addebitabile non sarà rivalutato. (art. 52 TUCL n. 1214 del 1934)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 24.01.2012 n. 26).

INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALIPreventivo scritto su richiesta. Il cliente potrà sollecitare il conteggio - Tirocinio anche negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto Giustizia-Economia con parametri per calcolare oneri e contribuzioni per la previdenza notarile.

Contrordine: il preventivo del professionista va messo per iscritto solo se a richiederlo è il cliente stesso. Si attenua la formulazione dell'articolo 9 del Dl liberalizzazioni (atteso per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale») che individua l'obbligo deontologico di fornire per iscritto la pattuizione del compenso e una previsione di onorario. Il testo conferma il vincolo, tra cliente e professionista, di mettere nero su bianco il compenso per le prestazioni richieste (e i dati della copertura assicurativa) con il conferimento dell'incarico, la misura è «previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto ministeriale che dovrà fornire i parametri che servono al giudice nei casi di contenzioso e di liquidazione delle spese giudiziali, si profila un altro decreto Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i parametri per oneri e contribuzioni alla Casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe». Un riferimento alla Cassa dei notai che basa i versamenti sul valore degli atti iscritti dai professionisti nel repertorio notarile. «Dall'onorario di repertorio –ha spiegato Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del notariato– dipendeva non solo il calcolo dei contributi, ma anche le spese di funzionamento di Ordini e Consiglio nazionale, oltre che la cosiddetta tassa archivio di cui noi siamo solo esattori, visto che la giriamo allo Stato. Speriamo solo che il decreto con i nuovi parametri arrivi presto, perché la Cassa rischia di non poter avere versamenti per settimane. Se dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi parametri tariffari solo per calcolare gli oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri possano rientrare come tariffe "mascherate" nella determinazione degli onorari, la norma chiarisce che ogni pattuizione di compenso fatta sulla loro base è nulla. Nessuna retromarcia, almeno in questa fase, sull'equo compenso per il praticante, già approvato lo scorso agosto con la legge 148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una possibilità in più. Confermata la possibilità –previa convenzione tra Ordini e ministero dell'Istruzione– di svolgere i primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al massimo) in concomitanza con i corsi universitari, analoghe convenzioni possono essere stipulate tra Consigli nazionali e ministero della Pubblica amministrazione per consentire, a laurea ottenuta, di poter svolgere il tirocinio, in tutto o in parte, presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle sigle sindacali Sic e Andoc non si scandalizzano tanto per le misure sulle tariffe, quanto piuttosto per «i danni» delle semplificazioni su collegio sindacali e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la riduzione da tre a uno dei "controllori" nelle Srl «non comporterà un risparmio a carico delle piccole imprese destinatarie ma solo maggiori responsabilità a carico dei professionisti incaricati, sempre nominati dalla maggioranza societaria». Nel secondo caso, si profila la «mortificazione» del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati dell'Aiga, che se la prendono contro l'abolizione dell'equo compenso da erogare al praticante, introdotto con la manovra d'agosto: «È evidente –sottolinea il presidente di Aiga, Dario Greco– che il Governo è a favore dei giovani soltanto a parole, ma nei fatti è capace di sfornare esclusivamente provvedimenti punitivi».
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Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di pattuizione scritta dei compensi e, a richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza) prevedono parametri per la liquidazione giurisdizionale dei compensi e per la determinazione di oneri e contribuzioni a fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi all'università non sono subito applicabili perché necessitano di un accordo quadro tra Consigli nazionali degli Ordini e Miur. Stessa cosa per la possibilità di svolgere il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai liberi professionisti il patrimonio dei condifi. Si applicano le norme del Dl 201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta è atteso il decreto con la distribuzione per Comuni della nuova pianta organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le procedure del concorso per la nomina di 200 notai e per i concorsi da 200 e 150 posti banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia le norme relative al vincolo, per il notaio, di trascorrere almeno tre giorni la settimana nel suo studio e almeno uno ogni 15 per ciascun Comune o frazione aggregati, sia quelle che riguardano l'avvio dell'azione disciplinare da parte di procuratore della Repubblica e presidente del Consiglio notarile (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U. 24.01.2012 n. 19, suppl. ord. n. 18/L, "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività" (D.L. 24.01.2012 n. 1).

INCARICHI PROFESSIONALILIBERALIZZAZIONI/ Approvato in consiglio dei ministri il decreto legge sulla concorrenza. Professioni, nuovi adempimenti. Scatta l'obbligo del preventivo scritto e dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti. Debutta l'obbligo del preventivo scritto da rilasciare al cliente sulla prestazione richiesta. E soprattutto scatta il vincolo della polizza assicurativa sui danni eventualmente causati dall'esercizio dell'attività professionale. Vanno quindi in soffitta i tariffari (non più vincolanti dal 2006 ma comunque indicativi) per definire l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover calcolare tale compenso. In questo caso sarà possibile utilizzare i parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante (cioè gli stessi tariffari vietati fra privati). Sono queste alcune delle previsioni contenute nel decreto legge sulle liberalizzazioni approvato ieri in consiglio dei ministri.

Tariffe. Il governo sceglie la linea soft (rispetto alle ipotesi della prima ora). Se in una prima versione la definizione del compenso era rimessa alla completa contrattazione fra le parti, nel decreto approvato si rimane confermata l'abrogazione delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di liquidazione dei compensi, potrà fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante.
Questa parte, in un primo momento non c'era. Ma non solo. Restando in tema di compensi, questi devono essere calcoli in base all'importanza dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che vuol dire che il professionista avrà la possibilità di quantificare la qualità e il rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il decreto conferma che il professionista deve rilasciare un preventivo scritto con il prezzo della prestazione richiesta dal cliente. L'atto deve essere corredato del grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. L'inottemperanza di quanto disposto costituisce illecito disciplinare e in quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità del provvedimento. In una prima versione del Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per il professionista di indicare nel preventivo se era titolare o meno di una polizza assicurativa. Nella versione approvata ieri invece scatta un vero e proprio vincolo. Anticipando così una misura contenuta all'articolo 3, comma 5, della legge nella legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha inteso anticipare, infatti, è quella sui tirocini. Nel confermare che il periodo di pratica in studio utile ai fini della partecipazione all'esame di stato non potrà essere superiore ai 18 mesi, si prevede che sei mesi potranno essere svolti durante il corso di laurea. Servirà però una convenzione quadro ad hoc stipulata fra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell'istruzione, università e ricerca.
Questa disposizione non si applica alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente. In materia di tirocinio però, il governo ha fatto saltare (indirettamente) l'equo compenso previsto per il giovane che nella legge 148/2011 era previsto. Il decreto, sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra di Ferragosto alcune sue parti. Una di queste (articolo 3, comma 5, lettera c - secondo periodo) è proprio la previsione della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai. L'attuale pianta organica (che prevede sulla carta 5.779 professionisti in servizio anche se al momento ce ne sono poco meno di 4.700), come revisionata da ultimo con i decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è aumentata di 500 posti. Per arrivare a questo risulto si procederà con una serie di concorsi a raffica. Non prima, però, di aver concluso quelli in corso.
Al momento infatti ci sono tre bandi che aspettano di essere conclusi per 550 posti. Il decreto prevede che entro il 2012 siano espletate tutte le procedure per la nomina dei professionisti nei vari distretti che ne necessitano. In un secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500 posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad altri 470 notai. Così facendo, a giudizio dell'esecutivo, ci saranno abbastanza professionisti sul mercato da creare la concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere nel comune o nella frazione assegnatagli studio aperto con il deposito degli atti, registri e repertori notarili, e deve assistere personalmente allo studio stesso almeno tre giorni a settimana e almeno uno ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale sociale dei consorzi fidi e delle società cooperative che esercitano l'attività di garanzia collettiva fidi spazio ai liberi professionisti. È quanto emerge dal decreto che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011 (cosiddetta «manovra Monti»), convertito nella legge n. 214/2011. I consorzi di garanzia collettiva dei fidi sono enti costituiti nella veste giuridica di cooperativa o società consortile, che esercitano in forma mutualistica attività di garanzia collettiva dei finanziamenti in favore delle imprese socie o consorziate.
La modifica introdotta estende la partecipazione anche ai liberi professionisti (soci) a prescindere dall'attività esercitata che, insieme alle piccole e medie imprese (Pmi), devono detenere almeno la metà più uno dei voti esercitabili in assemblea, con il diritto a nominare gli organi con funzione di gestione e controllo strategico, di cui al richiamato art. 39, dl n. 201/2011 (articolo ItaliaOggi del 21.01.2012).

INCARICHI PROFESSIONALIObbligo di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione delle professioni sarà l'obbligatorietà di procedure di gara da parte delle pubbliche amministrazioni per selezionare i professionisti cui affidare servizi, compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni incide sulle professioni con due mosse. In primo luogo, abroga tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime (resta il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche le tariffe notarili: il testo attualmente circolante si rivolge anche ai notai). In secondo luogo, elemento maggiormente importante per i comportamenti che dovranno assumere le pubbliche amministrazioni, introduce l'obbligo per tutti i professionisti di concordare in forma scritta con il cliente il preventivo per la prestazione richiesta. Il decreto stabilisce che la redazione del preventivo è un obbligo deontologico del professionista, la cui inottemperanza costituisce illecito disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il professionista è obbligato nei confronti di ciascun cliente privato a presentare un preventivo scritto, ciò deve valere a maggior ragione per la pubblica amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per gli enti pubblici debbono essere regolamentati in forma scritta a pena di nullità. Come il professionista ha l'obbligo deontologico di fornire il preventivo, simmetricamente l'amministrazione pubblica deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe e della necessità del preventivo rompe per sempre il fronte della «fiduciarietà» di alcuni tipi di incarichi professionali, tra i quali soprattutto quelli ad avvocati. Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per effetto dell'allegato II B, punto 21, del codice dei contratti, che gli incarichi ad avvocati non sono «incarichi» di consulenza o collaborazione, tuttavia è rimasta forte in dottrina e anche giurisprudenza la teoria secondo la quale non si debbano rispettare i canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra avvocato e committente e in presenza di un tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre le amministrazioni a considerare l'aspetto economico come elemento o tra gli elementi fondamentali per la scelta del professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo e impostare una procedura concorrenziale, applicando le procedure comunque semplificate previste per i contratti ai quali non si applica interamente la disciplina del codice dei contratti dall'articolo 27 del codice stesso, oppure il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo 125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu personae è destinata al definitivo tramonto, tranne per casi da motivare di specifica urgenza e necessità, indotte, nel caso degli incarichi ai legali, dai termini procedimentali previsti dalle leggi processuali (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012).

INCARICHI PROFESSIONALI: I rimborsi spese legali a seguito di archiviazione e/o sentenze di assoluzione non debbono essere considerati debiti fuori bilancio, ancorché non vi sia alcun impegno di spesa formale.
Sul punto, il Collegio ritiene che il procedimento di rimborso sia composto da una serie di valutazioni logicamente connesse tra loro, che vanno dalla richiesta dei diretti interessati corredata dalla documentazione giustificativa, alla verifica da parte dell’ente della sussistenza di tutti i presupposti richiesti ex lege per il rimborso.
L’eventuale decisione del rimborso può essere adottata solo all’esito di tali valutazioni, da formalizzare in un provvedimento gestionale che dia contezza –attraverso adeguata motivazione- della sussistenza delle condizioni sopra citate.
Solo in tale ipotesi può nascere l’eventuale obbligazione per l’ente che, divenutone soggetto passivo, può procedere con riferimento alle somme ritenute congrue ad adottare impegno contabile sul bilancio dell’esercizio in corso, coerentemente con il principio di competenza finanziaria, ex artt. 183 e 191 del TUEL.
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... il Sindaco del Comune di Castellammare del Golfo chiede di sapere:
1. se i rimborsi spese legali a seguito di archiviazione e/o sentenze di assoluzione debbano essere considerati debiti fuori bilancio –atteso che non vi è alcun impegno di spesa formale-;
2. se rientrano nell’ipotesi di cui all’art. 194, c. 1, lett. a), del D.Lgs. n. 267/2000;
3. se l’eventuale delibera di riconoscimento di debito fuori bilancio debba essere considerata dal Consiglio comunale come mero atto ricognitorio (delibera SSRR per la Regione siciliana in sede consultiva n. 2/2005) che presuppone a priori il pagamento con apposita determinazione dirigenziale o se invece debba soggiacere all’esclusiva competenza consiliare.
...
Venendo al merito, con il primo quesito, il comune chiede se il rimborso delle spese legali, ove ammissibile ex lege, costituisca debito fuori bilancio, vista l’assenza di formale impegno di spesa.
Sul punto, il Collegio ritiene che
il procedimento di rimborso sia composto da una serie di valutazioni logicamente connesse tra loro, che vanno dalla richiesta dei diretti interessati corredata dalla documentazione giustificativa, alla verifica da parte dell’ente della sussistenza di tutti i presupposti richiesti ex lege per il rimborso (che, con riferimento ai casi prospettati, esula dal presente quesito e compete esclusivamente all’ente, in possesso dei necessari elementi documentali e conoscitivi).
L’eventuale decisione del rimborso può essere adottata solo all’esito di tali valutazioni, da formalizzare in un provvedimento gestionale che dia contezza –attraverso adeguata motivazione- della sussistenza delle condizioni sopra citate.
Solo in tale ipotesi può nascere l’eventuale obbligazione per l’ente che, divenutone soggetto passivo, può procedere con riferimento alle somme ritenute congrue ad adottare impegno contabile sul bilancio dell’esercizio in corso, coerentemente con il principio di competenza finanziaria, ex artt. 183 e 191 del TUEL (in termini, Cfr. Sezione di controllo per la Lombardia, delibera n. 514/2010/PAR).
Non rientrando la fattispecie astrattamente prospettata nella fattispecie del debito fuori bilancio (peraltro oggetto di ampia revisione interpretativa da parte delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana in sede di controllo nella relazione sullo stato della finanza locale 2011), restano assorbiti i quesiti n. 2 e 3 (Corte dei Conti, Sezz. riunite controllo Sicilia, parere 12.01.2012 n. 2).

INCARICHI PROGETTUALI: È illegittimo l’affidamento fiduciario dell’intervento esecutivo al medesimo progettista dell’intervento preliminare.
Tale modus operandi è in contrasto con i principi europei di trasparenza, di correttezza e di libera concorrenza ed è stato pertanto stigmatizzato dal TAR Campania-Napoli, Sez. II, nella sentenza 03.01.2012 n. 6.
Il Collegio giudicante conforta il proprio orientamento richiamando in punto di diritto:
a) la circolare 06.06.2002, n. 8756 della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie (G.U. n. 178 del 31.07.2002), nel punto in cui si afferma come le pubbliche amministrazioni, che intendono stipulare contratti non regolamentati sul piano europeo, pur non essendo vincolate da regole analitiche in punto di pubblicità e di procedura, siano comunque tenute ad osservare, alla stregua dei principi di diritto europeo, criteri di condotta che, in proporzione alla rilevanza economica della fattispecie ed alla sua pregnanza sotto il profilo della concorrenza nel mercato comune, consentano senza discriminazioni su base di nazionalità e di residenza, a tutte le imprese interessate di venire per tempo a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appropriata;
b) la primauté del diritto europeo ora cristallizzata dal nuovo testo dell’art. 117, primo comma, della Costituzione;
c) le determinazioni dell’Autorità di Vigilanza dei lavori pubblici, nel punto in cui ha censurato affidamenti di singoli livelli progettuali, in epoche diverse ed al medesimo professionista, affidamento che dev’essere adeguatamente motivato per non risultare un “frazionamento artificioso”, potenzialmente elusivo delle regole applicabili all’affidamento considerato nella sua globalità (determinazioni 18/2001, 27/2002, 30/2002 e deliberazioni 328/2002 e 176/2003);
d) gli indirizzi espressi dal Consiglio di Stato che in ripetute occasioni ha escluso la possibilità per le Amministrazioni appaltanti di rinegoziare con il soggetto prescelto come contraente alcune condizioni di esecuzione dei contratti aggiudicati in esito a procedure concorsuali.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno negato la possibilità di modificare l’oggetto del contratto di affidamento di un servizio o di una fornitura o della realizzazione di un’opera, perché vi è palese violazione delle regole di concorrenza e parità di condizioni tra i partecipanti alla gara, concretandosi, pertanto, un illegittimo esercizio della funzione amministrativa, in palese contrasto con le norme in tema di procedure di evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 6281/2002; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 1544/2003).
Non si può, in altri termini, alterare il contesto di rigore e di imparzialità entro cui, conformemente alla normativa generale e speciale di riferimento, necessariamente deve svolgersi la competizione e di cui resta unicamente garante proprio la stessa Amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, il conferimento di un ulteriore incarico professionale di progettazione di opere pubbliche, mediante affidamento diretto o fiduciario, c.d. “intuitu personae”, completamente svincolato da qualsiasi iter procedimentale, appare in contrasto con i principi di trasparenza, di correttezza e di libera concorrenza tra gli operatori, nonché in contrasto con il Codice dei contratti, di cui al D.Lgs. 163/2006, che all’art. 91 prevede la regola dell’affidamento effettuato sulla base di un procedimento di evidenza pubblica (commento tratto da www.diritto.it - link a www.giustizia-amministrativa.it e www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: D. Immordino, Presupposti di legittimità per l’affidamento di incarichi professionali esterni - Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio, con sentenza 18.11.2011 n. 1619 (link a www.diritto.it).

anno 2011

INCARICHI PROFESSIONALI: G. G.A. Dato, Incarichi professionali: obbligatoria l’evidenza pubblica? Rimane divisa la giurisprudenza sulle modalità di “affidamento” degli incarichi professionali.
La sentenza del
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 31.12.2011 n. 1680 racchiude una decisa presa di posizione sulla vexata quaestio della necessità (o meno) per il soggetto pubblico tenuto all’osservanza della c.d. evidenza pubblica di stimolare il confronto concorrenziale prima di conferire un incarico professionale.
Sulla questione la giurisprudenza appare divisa, probabilmente in conseguenza delle dissensiones che caratterizzano a monte la stessa qualificazione (in termini di appalto o meno) del rapporto negoziale fra soggetto pubblico e libero professionista.
Sono tre le tesi avanzate in giurisprudenza sulla questione che ci occupa:
a) secondo un primo orientamento, gli incarichi ai liberi professionisti vanno qualificati come contratti di lavoro autonomo, e non appalti; la disciplina che li governa è, quella dell’art. 7, comma 6 e ss., Dlgs n. 165/2001, il quale rinvia alla normativa degli artt. 2222 e ss. c.c., in tema di prestazione d’opera (Cons. Stato, sez. IV, n. 263/2008);
b) secondo altra ricostruzione (Tar Napoli, sez. II, n. 4855/2008; Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 29/pareri/2008; Corte dei conti, sez. reg. contr. Calabria, delib. n. 144/2008; Corte dei conti, sez. reg. contr. Veneto, delib. n. 7/2009) l’affidamento diretto di un incarico professionale viola i principi costituzionali di buon andamento e trasparenza e quelli comunitari di non discriminazione, parità di trattamento, pubblicità e proporzionalità, recepiti dal citato art. 7 del Dlgs n. 165/2001, nel testo novellato dall’art. 32 del Dl n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani), conv. con legge n. 248/2006, che impone alle PA l’obbligo di concorrenza per il conferimento degli incarichi (cfr. circolare del ministero della Funzione pubblica n. 2 dell’11.03.2008), anche ove l’importo del compenso sia inferiore alle soglie comunitarie.
È stato osservato, altresì, che elementari e indefettibili canoni di legalità impongono alla PA che si determini a ricercare sul libero mercato le forniture (di servizi, beni, lavori, mano d’opera e collaborazione professionale) di cui ha bisogno per il suo funzionamento, di agire in modo imparziale e trasparente, predefinendo criteri di selezione e assicurando un minimo di pubblicità e un minimo di concorso dei soggetti interessati e titolati a stipulare il contratto (Tar Napoli, sez. V, n. 382/2008);
c) secondo una tesi intermedia (Corte dei conti, sez. reg. contr. Basilicata, parere n. 19/2009, con riferimento al caso degli incarichi ai legali), la disciplina riguardante gli appalti di servizi si applica nella sola ipotesi in cui, insieme all’esercizio della difesa, siano richieste ulteriori prestazioni; dunque, la sola prestazione del patrocinio è oggetto di un contratto di prestazione d’opera intellettuale che rientra nella disciplina dell’art. 19, comma 1, lett. e), del Dlgs n. 163/2001, a mente del quale i contratti di lavoro sono da considerare interamente esclusi dal campo di applicazione del c.d. codice dei contratti (cfr. anche Tar Lecce, sez. II, n. 5053/2006, e Tar Reggio Calabria, sez. I, n. 330/2007, che hanno ritenuto applicabile la disciplina codicistica in materia di appalti in caso di affidamento di un’articolata attività legale, che comprende l’assistenza e la consulenza, oltre l’eventualità del patrocinio legale).
La decisione in commento rafforza l’orientamento proconcorrenziale: non sussiste ragione alcuna che giustifichi un affidamento diretto dell’incarico professionale, dovendo l’ente rispettare le regole procedurali dell’evidenza pubblica (tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 2/2012).

COMPETENZE GESTIONALI  - INCARICHI PROFESSIONALI: Delibera della Giunta comunale con cui si affida un incarico professionale. Illegittimità per omesso esperimento di una procedura di evidenza pubblica e per incompetenza dell’esecutivo comunale.
E’ illegittima una deliberazione con la quale la Giunta comunale ha affidato ad un ingegnere, in via diretta, l’incarico professionale per la realizzazione del piano strutturale comunale; detto provvedimento, infatti, da una parte, in ossequio ai principi generali di concorrenza "per il mercato", avrebbe dovuto essere adottato dall’ente locale rispettando le regole che presiedono allo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica e, dall’altra, è illegittimo per incompetenza della Giunta in quanto, pur trattandosi di una attività di gestione, gli atti del procedimento sono stati adottati non dall’organo burocratico ma dall’organo politico, con conseguente violazione dell’art. 107 del D.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,  sentenza 31.12.2011 n. 1680 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi di collaborazione esterna.
Torna sull'argomento la Corte dei Conti, Sez. I Appello Giurisdiz. Centrale che, con sentenza 27.12.2011 n. 577, illustra la normativa e la prassi giurisprudenziale in tema di conferimento di incarichi di collaborazione da parte delle pubbliche amministrazioni (tratto da www.publika.it - link a www.corteconti.it).
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I presupposti di legittimità per il conferimento dell'incarico o la stipula del contratto di collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; si tratta, cioè, di perseguire obiettivi e progetti specifici contenutisticamente e temporalmente predeterminati e non determinati in modo del tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da parte dell'amministrazione conferente, dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno; dunque, la previa verifica organizzativa, puntuale e documentata, della quale occorre dare conto nella lettera di incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura temporanea, con conseguente necessaria predeterminazione del termine di scadenza, per cui non sono consentiti incarichi generici rinnovabili a tempo indefinito; per questo, si richiede che vengano preventivamente definiti gli elementi essenziali del contratto, in modo da delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente qualificata"; dunque, la qualità della professionalità coinvolta deve chiaramente risultare da un apposito procedimento di verifica di evidenza pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la specifica esperienza del soggetto incaricato nell'attività dedotta in contratto.

Poiché a tutte le pubbliche amministrazioni si applicano, in materia di incarichi a soggetti esterni, i limiti previsti dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, una volta individuata la necessità di affidare incarichi all'esterno, la singola amministrazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare che l'incarico venga assegnato ad esperti di particolare e comprovata esperienza, abbia una durata limitata nel tempo, un oggetto ben determinato e deve predeterminare l'entità del compenso e l'onere di spesa.
Ancora, è stata affermata chiaramente l’impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti e conseguente responsabilità erariale per gli indebiti costi gravanti sull'ente.

Con la sentenza in epigrafe il geom. ... è stato condannato a risarcire il comune di Sant’Arcangelo (PZ) della somma di € 10.000,00, oltre le spese del giudizio, corrispondente al 50% del danno che sarebbe stato prodotto all’ente locale medesimo in relazione ad un incarico, ritenuto illegittimo e parzialmente inutile, che era stato affidato dall’interessato ad un professionista esterno.
In particolare, l’appellante, nella sua qualità di responsabile dell’area tecnica del comune, aveva predisposto e sottoposto all’approvazione della Giunta il piano economico-finanziario di attuazione di un progetto (“Casa sicura”) nell’ambito dei Programmi Integrativi di Conservazione – cc.dd. “PIC” - finanziati dalla regione Basilicata, con la previsione anche dell’eventuale ricorso a personale esterno. Nella fattispecie l’appellante, adducendo carenze di organico, assenza di personale laureato ed eccessivo carico di lavoro, con proprio provvedimento aveva affidato un incarico di consulenza ad un architetto, libero professionista, che avrebbe dovuto supportare la prevista attività in progetto.
Di fatto, tale attività era stata svolta da un geometra (collaboratore in convenzione con l’affidatario dell’incarico) e si era risolta in una mera predisposizione di tabelle e tabulati, che secondo il Giudice qualunque geometra interno (dei quattro a disposizione dell’ente) avrebbe potuto agevolmente svolgere. Di qui, la riscontrata responsabilità dell’appellante e la sua condanna, con riduzione del 50% dell’addebito ipotizzato in citazione; ciò, da un lato per il parziale concorso della giunta municipale nella causazione del danno -con l’acritica approvazione della proposta avanzata dal sig. ...– e, sotto altro profilo, per una qualche utilità, comunque riconosciuta dal primo Giudice al lavoro svolto.
...
Ritiene questo Collegio opportuno, prima di affrontare l’esame del merito, illustrare la normativa e la prassi giurisprudenziale in tema di conferimento di incarichi di collaborazione da parte di pubbliche amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in via generale la fattispecie, se non per casi particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R. 10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati civili dello Stato, che regolamentava gli incarichi conferiti dai ministri a professori universitari ed esperti di analoga qualificazione. Altre normative specifiche, vietavano poi in determinate ipotesi il conferimento di incarichi esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1 del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge 26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della legge 20.05.1985, n. 207, recante la disciplina transitoria per l'inquadramento del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti gli enti locali, quanto le norme generali sull'organizzazione dei pubblici uffici- si sono preoccupate, opportunamente, di disciplinare la fattispecie, con la fissazione di regole e princìpi che peraltro già da diversi anni avevano trovato ampia considerazione nella giurisprudenza contabile.
La prima disposizione di legge in materia, in ordine di tempo, è stata dettata per gli enti locali dall'art. 51 della legge 08.06.1990, n. 142, come modificato dalla legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n. 267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera invece l'art. 7, c. 6, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs. 03.02.1993, n. 29), che consente alle amministrazioni pubbliche di conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza e per esigenze cui non possano fra fronte con le risorse interne. Le relative attribuzioni spettano ai dirigenti i quali, sulla scorta proprio della riforma in tema di organizzazione del lavoro pubblico hanno assunto un ruolo diverso, con la conseguente assunzione dei poteri del privato datore di lavoro nella gestione delle risorse umane e più in generale nell’organizzazione degli uffici.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle collaborazioni negli ultimi anni, hanno successivamente portato il legislatore, in sede di legge finanziaria -v. gli artt. 34 della legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa; sempre al medesimo scopo di contenere le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e 11 del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un limite alla spesa per gli incarichi per le regioni, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevedendo altresì che l’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la circolare della Funzione pubblica n. 4 del 15.07.2004, nella quale si afferma (in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte dei conti nella materia, puntualmente richiamata) che la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione sussiste solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro autonomo; l’affidamento dell’incarico a terzi può dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004 hanno cessato di essere in vigore il 31.12.2004 e sono state sostituite, a decorrere dall'01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), il cui contenuto è stato peraltro illustrato dalle SS.RR. della Corte dei conti, con deliberazione n. 6/2005, “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare il comma 11, che si applica alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, dispone che il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente motivato ed “… è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Il comma 42, che si applica agli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevede analoghi principi (“L’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione, deve essere adeguatamente motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture organizzative o professionalità interne all’ente in grado di assicurare i medesimi servizi, ad esclusione degli incarichi conferiti ai sensi della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni.
In ogni caso l’atto di affidamento di incarichi e consulenze di cui al primo periodo deve essere corredato della valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente locale e deve essere trasmesso alla Corte dei conti. L’affidamento di incarichi in difformità dalle previsioni di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale
”).
Insomma, il principio generale in materia è quello secondo cui le amministrazioni pubbliche possano conferire incarichi esterni solo nei casi eccezionali sopra ricordati.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n. 248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007 per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244, art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse disposizioni, hanno definito ulteriormente il già articolato regime delle collaborazioni esterne nella P.A., consolidando la tendenza a limitare il ricorso a tali tipologie contrattuali ad ipotesi eccezionali e, indirettamente, costituendo i presupposti per una riduzione della spesa correlata, con apposita modifica del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I principi recati da tali ultime normative –che hanno confermato e, anzi, ulteriormente delimitato quelli già in vigore– sono stati oggetto anch’essi di apposita deliberazione della Corte dei conti, Sez. autonomie, n. 6/2008, che ha precisato i relativi criteri interpretativi.
In anni ancor più recenti si è poi assistito ad un profluvio di interventi legislativi in materia di incarichi, spesso scoordinati e a poca distanza di tempo tra di loro, sempre mossi dalla preoccupazione di contenere il fenomeno (e la relativa spesa pubblica); sono intervenute in materia (tra le altre) pressoché tutte le ultime leggi finanziarie, il decreto c.d. Bersani (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n. 248/2006), il decreto sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008, conv. con legge n. 133/2008), il decreto legislativo n. 150/2009, la manovra economica di cui al D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 122/2010, etc.. Il legislatore ha tentato di volta in volta –sempre allo scopo di contenere e scoraggiare il fenomeno- di meglio precisare i presupposti e le condizioni che possono legittimare le amministrazioni pubbliche a ricorrere agli incarichi esterni; ha imposto svariati oneri di pubblicità e comunicazione per le amministrazioni; ha, infine, stabilito severi limiti alla relativa spesa.
Per quel che riguarda invece la posizione della giurisprudenza, va evidenziato come il conferimento di incarichi di consulenza a soggetti esterni all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora, una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità amministrativa.
Molte, tra le pronunzie più recenti, hanno provveduto a chiarire in via generale la portata delle norme in materia, e i corrispondenti limiti alla possibilità, per le amministrazioni pubbliche, del ricorso a tali forme di collaborazione.
E’ stato evidenziato, in proposito, che le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture, e il ricorso ad incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo in presenza delle condizioni previste dalle disposizioni legislative in materia (in particolare, l’art. 7 D.L.vo n. 165/2001, cit.), che esprimono principi di stretta interpretazione (Corte dei conti, Sez. II app., 26.08.2008, n. 363).
Più in generale, molte decisioni hanno provveduto a ribadire che i presupposti di legittimità per il conferimento dell'incarico o la stipula del contratto di collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; si tratta, cioè, di perseguire obiettivi e progetti specifici contenutisticamente e temporalmente predeterminati e non determinati in modo del tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da parte dell'amministrazione conferente, dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al proprio interno; dunque, la previa verifica organizzativa, puntuale e documentata, della quale occorre dare conto nella lettera di incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura temporanea, con conseguente necessaria predeterminazione del termine di scadenza, per cui non sono consentiti incarichi generici rinnovabili a tempo indefinito; per questo, si richiede che vengano preventivamente definiti gli elementi essenziali del contratto, in modo da delineare ex ante il perimetro dei principali diritti e obblighi dei contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente qualificata"; dunque, la qualità della professionalità coinvolta deve chiaramente risultare da un apposito procedimento di verifica di evidenza pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la specifica esperienza del soggetto incaricato nell'attività dedotta in contratto (Corte dei conti, Sez. I app., 02.09.2008 n. 393; Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642 e 10.03.2006, n. 172; Sez. reg. Friuli-Venezia Giulia, 28.01.2008, n. 41; Sez. reg. Basilicata, 16.10.2008, n. 252).
E’ stato ancora precisato che, poiché a tutte le pubbliche amministrazioni si applicano, in materia di incarichi a soggetti esterni, i limiti previsti dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, una volta individuata la necessità di affidare incarichi all'esterno, la singola amministrazione, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare che l'incarico venga assegnato ad esperti di particolare e comprovata esperienza, abbia una durata limitata nel tempo, un oggetto ben determinato e deve predeterminare l'entità del compenso e l'onere di spesa (Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia, 05.03.2007, n. 141, 08.05.2009, n. 324 e 09.07.2009, n. 473).
Ancora, è stata affermata chiaramente l’impossibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione esterna per attività ordinarie, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati in violazione di tali presupposti e conseguente responsabilità erariale per gli indebiti costi gravanti sull'ente (Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642).

INCARICHI PROGETTUALI: Il quesito posto dal Comune, afferisce agli oneri derivanti da eventuale copertura assicurativa per i danni arrecati durante l’espletamento degli incarichi tecnici.
Il Codice dei contratti impone ai professionisti esterni la stipula di apposita polizza, mentre nulla dispone per gli incarichi di direzione lavori, coordinatore della sicurezza e collaudo (anche se nulla esclude che le amministrazioni, in sede di bando di gara o capitolato, possano imporre ai professionisti esterni, nei limiti della proporzionalità alla natura e complessità dell’incarico affidato, la stipula di apposita polizza a copertura dei rischi professionali).
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- il Codice dei contratti ed il Regolamento attuativo non impongono al Comune di sostenere la spesa della polizza per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni arrecati a terzi da propri dipendenti incaricati della funzione di responsabile unico del procedimento, direzione lavori, coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù dell’espressa previsione legislativa (art. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs. 163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n. 207/2010), per i dipendenti interni incaricati della progettazione e nella misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del Contratto collettivo nazionale, può stipulare apposita copertura assicurativa per i rischi derivanti da responsabilità civile professionale verso terzi di propri dipendenti, purché e nei limiti in cui gli incarichi di RUP (e responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990), direzione lavori, coordinatore per la sicurezza e collaudatore siano ricompresi negli incarichi per i quali, ai sensi del predetto CCNL, può essere stipulata, con oneri a carico del Comune, apposita polizza assicurativa (si rinvia agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e autonomie locali).
Rimane fermo che un ente pubblico può assicurare quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscano all'assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo.

L’art. 90 del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice dei contratti pubblici) prevede che le prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici sono espletate, fra gli altri, dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti (oltre che da professionisti esterni, singoli o associati, e da società di ingegneria).
Nel caso in cui i progetti siano redatti da tecnici interni, la norma sopra citata dispone che siano firmati da dipendenti delle amministrazioni abilitati all'esercizio della professione (di ingegnere, architetto, geometra, etc.), senza richiedere l’iscrizione ai pertinenti albi professionali (che pertanto non è necessaria ai fini della firma dei progetti e, in generale, delle attività tecniche espletate da personale interno).
Analoga previsione si ritrova per la figura del responsabile unico del procedimento (RUP), per il quale la legge non richiede esplicitamente neppure l’abilitazione professionale (l’art. 10 d.lgs. 163/2006 dispone che “deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato”, precisando che “per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura deve essere un tecnico” e che “il regolamento determina i requisiti di professionalità richiesti”).
Per il direttore dei lavori l’art. 130 del d.lgs. 163/2006 non specifica le abilitazioni professionali richieste ai dipendenti interni ed ai professionisti esterni, anche se sulla scorta di compiti e funzioni affidate dal Regolamento (cfr. artt. 147 e seguenti DPR n. 207/2010) appare necessario il possesso di idonea abilitazione professionale (fra l’altro trattasi di attività che può espletare cumulativamente anche il RUP o il progettista, figure per le quali il legislatore, come visto, ai sensi di legge, richiede necessariamente una qualifica tecnica).
Anche per l’attività di collaudo gli artt. 120 e 141 del d.lgs. 163/2006 non impongono particolari requisiti professionali ai soggetti incaricati, mentre l’art. 216 del Regolamento prevede che costituisce requisito abilitante l'essere laureato in ingegneria, architettura, e, limitatamente a un solo componente della commissione, in geologia, scienze agrarie e forestali. Richiede inoltre l'abilitazione all'esercizio della professione, mentre esclude espressamente, per i dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici, l'iscrizione ai rispettivi albi professionali.
Appare opportuno precisare che i dipendenti interni incaricati delle attività sopraindicate hanno diritto a percepire, per compensare i maggiori oneri ed i rischi derivanti dall’espletamento di tale attività, oltre la normale retribuzione contrattuale, uno specifico incentivo pari al due per cento dell’importo dell’opera posto a base di gara (art. 92, comma, 5 d.lgs. 163/2006).
Venendo al tema centrale del quesito posto dal Comune, afferente gli oneri derivanti da eventuale copertura assicurativa per i danni arrecati durante l’espletamento degli incarichi tecnici in discorso, il Codice dei contratti impone ai professionisti esterni (incaricati delle attività di supporto al RUP, progettazione e verifica/validazione dei progetti, cfr. artt. 10, comma 7, 111, 112 d.lgs. 163/2006) la stipula di apposita polizza, mentre nulla dispone per gli incarichi di direzione lavori, coordinatore della sicurezza e collaudo (anche se nulla esclude che le amministrazioni, in sede di bando di gara o capitolato, possano imporre ai professionisti esterni, nei limiti della proporzionalità alla natura e complessità dell’incarico affidato, la stipula di apposita polizza a copertura dei rischi professionali).
Mentre, per quanto riguarda le attività espletate da personale interno, in virtù del rapporto di servizio che lega questi ultimi all’ente pubblico appaltante, solo l’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, in tema di progettazione, prevede che “il regolamento definisce i limiti e le modalità per la stipulazione per intero, a carico delle stazioni appaltanti, di polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale a favore dei dipendenti incaricati della progettazione”. Analoga previsione è stata poi inserita per il personale interno incaricato dell’attività di verifica della progettazione (cfr. art. 112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006, introdotto con la novella del d.lgs. 152/2008).
In virtù della richiamata delega legislativa, l’art. 270 del Regolamento DPR n. 207 del 05.10.2010 ha previsto che “qualora la progettazione sia affidata a proprio dipendente, la stazione appaltante provvede, a fare data dal contratto, a contrarre garanzia assicurativa per la copertura dei rischi professionali, sostenendo l'onere del premio con i fondi appositamente accantonati nel quadro economico di ogni singolo intervento ovvero ricorrendo a stanziamenti di spesa all'uopo previsti dalle singole stazioni appaltanti. L'importo da garantire non può essere superiore al dieci per cento del costo di costruzione dell'opera progettata e la garanzia copre, oltre ai rischi professionali, anche il rischio per il maggior costo per le varianti di cui all'articolo 132, comma 1, lettera e), del codice”.
Analoga disposizione non si ritrova, invece, né nel Codice né tantomeno nel Regolamento, per le altre eventuali attività tecniche funzionali all’aggiudicazione ed esecuzione di un contratto d’appalto di lavori affidate ed espletate da personale interno (si rinvia, per l’attività di RUP e coordinatore sicurezza in fase di progettazione, agli artt. 10 del Codice e 9-10 del Regolamento; per la direzione lavori ed il coordinamento per la sicurezza durante l’esecuzione agli artt. 130 del Codice e 147-151 del Regolamento; per il collaudo gli artt. 120 e 141 del Codice e 216 del Regolamento).
In maniera similare, anche all’interno della legge generale sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 07.08.1990) non si ritrova alcuna disposizione che imponga la stipula, con oneri a carico dell’amministrazione, di contratti di assicurazione che coprano il rischio dei danni arrecati a terzi per responsabilità civile del personale interno (in particolare, in questo caso, del responsabile del procedimento individuato ai sensi dell’art. 5 della legge n. 241/1990).
Pertanto le uniche norme di legge che impongano alle amministrazioni aggiudicatrici di stipulare apposita copertura assicurativa a favore dei dipendenti incaricati di attività tecnica inerente l’aggiudicazione ed esecuzione di lavori pubblici, sono quelle dettate in tema di progettazione e verifica dei progetti (ai citati artt. 90, comma 5, e 112, comma 4 bis, del Codice ed all’art. 270 del Regolamento attuativo).
L’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, infatti, in considerazione della responsabilità solidale del dipendente con l’amministrazione per i danni arrecati a terzi nell’esecuzione dell’incarico di progettazione (cfr. art. 28 Costituzione, art. 22 del DPR n. 3/1957 Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 93 comma 1 del TUEL d.lgs. 267/2000), solleva il dipendente tecnico dal rischio di dover corrispondere a terzi il risarcimento dei danni derivanti dall’attività svolta per conto della stazione appaltante e ne trasferisce invece l’onere all’amministrazione, che ha comunque interesse alla stipula della prevista polizza assicurativa in quanto responsabile anch’essa verso i terzi danneggiati.
La sopra citata norma non prevede e disciplina, invece, come esposto più avanti, alcuna tutela assicurativa contro il rischio del risarcimento dei danni causati dal dipendente, non a terzi ma all’amministrazione, con dolo o colpa grave (in coerenza agli artt. 18-21 del DPR n. 3/1957, 93 del TUEL d.lgs. 267/2000, 1 della legge n. 20/1994).
La previsione, frutto di una precisa opzione legislativa tesa, dalla riforma della c.d. “legge Merloni” (109/1994) in poi, a favorire la progettazione interna per garantire risparmi di spesa e crescita professionale del personale alle amministrazioni, poiché limita l’applicazione di una regola generale (quella della responsabilità dei dipendenti pubblici per i danni arrecati a terzi nell’esercizio delle funzioni) non può essere applicata oltre i casi e tempi da essa considerati (cfr. art. 14 delle disposizioni preliminari al Codice civile).
Pertanto gli artt. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006 che impongono alle amministrazioni la stipula di apposite polizze assicurative per manlevare i propri dipendenti incaricati della redazione e validazione della progettazione non possono legittimare analoga iniziativa per il rischio di responsabilità in cui possano incorrere gli stessi dipendenti interni ove incaricati delle altre attività tecniche previste dal Codice dei Contratti (RUP, direzione lavori, coordinatori per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, collaudo) o il funzionario/dirigente preposto al ruolo di responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990.
Per i dipendenti espletanti queste ultime attività, occorre rinvenire, eventualmente, altra fonte normativa o contrattuale che possa legittimare la stipula di contratti di assicurazione per la copertura dei rischi di danni a terzi, con oneri a carico dell’amministrazione.
In tale direzione l’art. 43, comma 1, del CCNL autonomie locali del 14.09.2000 prevede che “gli enti assumono le iniziative necessarie per la copertura assicurativa della responsabilità civile dei dipendenti ai quali è attribuito uno degli incarichi di cui agli art. 8 e ss. del CCNL del 31.03.1999, ivi compreso il patrocinio legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa grave. Le risorse finanziarie destinate a tale finalità sono indicate nei bilanci, nel rispetto delle effettive capacità di spesa”.
Il richiamato art. 8 del CCNL del 31/03/1999 dispone che gli enti del comparto istituiscano posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza.
La norma contrattuale precisa, inoltre, che tali posizioni “possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto di un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9”.
Uno degli incarichi che, come prevede il combinato disposto degli artt. 43 del CCNL del 14/09/2000 e 8 del CCNL del 31/03/1999, legittima la stipula di coperture assicurative da parte del Comune a favore dei propri dipendenti, attiene allo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o all’iscrizione di ad albi professionali, presupposti che si ritrovano, come visto in precedenza, negli incarichi tecnici affidabili ai sensi del d.lgs. 163/2006, ma per i quali il Codice dei contratti non impone alle amministrazioni aggiudicatrici la stipula di alcuna polizza assicurativa (RUP, direttore dei lavori, coordinatori per la sicurezza, collaudatori).
Di conseguenza, ove le attività tecniche in discorso siano comprese e qualifichino uno degli incarichi affidati ai dipendenti, di categoria D, ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 31/03/1999, è possibile per questi ultimi beneficiare di eventuale copertura assicurativa stipulata dal Comune contro i rischi di danno a terzi derivanti dall’attività tecnico professionale espletata.
Naturalmente deve trattarsi dell’assicurazione per la responsabilità derivante da danni arrecati a terzi (ex art. 28 Costituzione e 93 del TUEL d.lgs. 267/2000), in cui il Comune in quanto responsabile solidale ha un interesse alla stipula del contratto (cfr. Corte dei Conti sez. giurisdizionale per la Sicilia, sentenza n. 734/2008), non della responsabilità amministrativo contabile del dipendente per i danni arrecati, con dolo o colpa grave, all’amministrazione medesima.
In quest’ultimo caso, infatti, confermando una giurisprudenza ormai consolidata (Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Umbria n. 553 del 10/12/2002, sezione giurisdizionale Friuli Venezia Giulia n. 60 del 05/02/2003, oltre che la citata sezione giurisdizionale Sicilia n. 734 del 04/03/2008), il legislatore ha sancito un apposito divieto nell’art. art. 3 comma 59 della legge n. 244/2007 (“È nullo il contratto di assicurazione con il quale un ente pubblico assicuri propri amministratori per i rischi derivanti dall’espletamento dei compiti istituzionali connessi con la carica e riguardanti la responsabilità per danni cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la responsabilità contabile. I contratti di assicurazione in corso alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia alla data del 30.06.2008”).
Pertanto ai due quesiti formulati dal comune di Berbenno può darsi risposta nei termini che seguono:
- il Codice dei contratti ed il Regolamento attuativo non impongono al Comune di sostenere la spesa della polizza per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni arrecati a terzi da propri dipendenti incaricati della funzione di responsabile unico del procedimento, direzione lavori, coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù dell’espressa previsione legislativa (art. 90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs. 163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n. 207/2010), per i dipendenti interni incaricati della progettazione e nella misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del Contratto collettivo nazionale, può stipulare apposita copertura assicurativa per i rischi derivanti da responsabilità civile professionale verso terzi di propri dipendenti, purché e nei limiti in cui gli incarichi di RUP (e responsabile del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990), direzione lavori, coordinatore per la sicurezza e collaudatore siano ricompresi negli incarichi per i quali, ai sensi del predetto CCNL, può essere stipulata, con oneri a carico del Comune, apposita polizza assicurativa (si rinvia agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e autonomie locali).
Rimane fermo, come anche evidenziato dalla giurisprudenza contabile sopra richiamata, che un ente pubblico può assicurare quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscano all'assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l'assicurazione di eventi per i quali l'ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l'ente medesimo
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 21.12.2011 n. 665).

INCARICHI PROFESSIONALI: Rapporti di lavoro ed incarichi legati al mandato del Sindaco/Presidente della Provincia.
Secondo la Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz. d'Appello per la Regione Siciliana (sentenza 16.12.2011 n. 377) ogni causa di cessazione dalla carica del Sindaco o del Presidente della Provincia (anche anticipata, per dimissioni) determina automaticamente la decadenza dei contratti/incarichi in oggetto; una loro prosecuzione (anche temporanea ed anche per assicurare una asserita necessità di adeguato funzionamento amministrativo all'ente) è illegittima oltre che foriera di possibile danno erariale qualora si tratti di incarichi extradotazione organica (tratto da www.publika.it).

APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALINell'offerta anche il costo del lavoro.
ABBASSATO IL TETTO/ Riportato a 100mila euro il valore massimo per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura con procedura informale.

La gestione ottimale degli appalti pubblici passa per alcune semplificazioni procedurali, per l'aggregazione delle stazioni appaltanti di minori dimensioni e per un maggiore coinvolgimento dei soggetti privati nella realizzazione e gestione di opere pubbliche. Le ultime modifiche al Codice dei contratti pubblici apportate dal Dl 201/2011 introducono importanti novità nella gestione delle gare, con l'eliminazione e la correzione di problematiche determinate dal contenuto critico di alcune disposizioni.
Il dato più rilevante è l'eliminazione del comma 3-bis dell'articolo 81 del Codice. In base a tale norma, i concorrenti a una gara dovevano formulare l'offerta al netto del costo del lavoro e dei costi da essi sostenuti per gli adempimenti in materia di sicurezza. La norma abrogatrice richiama le disposizioni sul rispetto del costo del lavoro e delle misure di sicurezza negli appalti, che devono essere necessariamente attuate dagli appaltatori. Altrettanto rilevante risulta l'abrogazione dell'articolo 12 della legge 180/2011 (Statuto delle imprese), che innalzava la soglia per l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura con gara informale: così si riporta il valore massimo per l'utilizzo della procedura semplificata a 100mila euro, mentre oltre questa soglia è necessaria la gara (secondo le previsioni degli articoli 264-266 del regolamento attuativo).
La linea di razionalizzazione è tradotta in termini molto più ampi dall'articolo 23 del Dl 201/2011, che integra l'articolo 33 del Codice, introducendo una norma (comma 3-bis) molto vincolante per i Comuni di minori dimensioni (si veda l'articolo sopra).
Per ottimizzare i rapporti con il sistema degli operatori economici più piccoli, la manovra contiene anche molte norme che evidenziano l'attenzione per le piccole e medie imprese, stabilendo (con modifica dell'articolo 2 del Codice) che le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali. Nell'ambito della manovra ci sono anche molte disposizioni che valorizzano l'apporto dei privati alla realizzazione (e gestione) di opere pubbliche.
L'articolo 42 modifica il comma 5 dell'articolo 143 del Codice, relativo alla disciplina generale delle concessioni di costruzione e gestione, stabilendo che, per garantirne l'equilibrio economico-finanziario, l'amministrazione possa prevedere, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità, o espropriati allo scopo, per assicurarne al privato l'utilizzazione o la valorizzazione. La stessa disposizione prevede che la gestione funzionale ed economica possa anche riguardare opere direttamente connesse a quelle oggetto della concessione e da ricomprendere nella stessa. In una prospettiva simile può interpretarsi anche la disposizione inserita dall'articolo 45 del Dl 201/2011 nell'articolo 16 del Dpr 380/2011, con la quale si stabilisce (comma 2-bis) che, nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati, nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, di importo inferiore alla soglia comunitaria (dall'01.01.2012, in base al regolamento comunitario di revisione delle soglie, pari a 5 milioni di euro), è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il Dlgs 163/2006.
La norma consente quindi ai soggetti attuatori di piani urbanistici (ma anche ai titolari di un permesso di costruire) di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione primaria strettamente collegate all'intervento senza dover fare gara, se di valore inferiore alla soglia Ue. Tali aspetti dovranno essere definiti all'interno delle convenzioni urbanistiche o degli accordi procedimentali relativi ai permessi di costruire (articolo Il Sole 24 Ore del 12.12.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi esterni con il bollino blu.
Le amministrazioni e gli enti pubblici devono svolgere i propri compiti istituzionali, di norma, avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è volta ad assicurare l'economicità dell'azione pubblica. Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un'opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni, ovvero l'assenza di una apposita struttura organizzativa, una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione e la complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale. Nel caso in cui vengano conferiti incarichi a soggetti esterni senza che l'amministrazione conferente abbia attivato la preventiva ricognizione di detti presupposti, scatta il danno erariale pari ai compensi complessivamente erogati ai professionisti esterni.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei conti siciliana, nel testo della sentenza 09.12.2011 n. 4037, con cui ha condannato il sindaco di Campofelice di Roccella (Pa) a una somma di poco superiore ai 215 mila euro per l'illegittimo conferimento di alcuni incarichi a personale esterno, risalenti al biennio 2003-2005.
Scorrendo gli atti di conferimento, infatti, la Corte ha potuto accertare che gli incarichi professionali sono stati assegnati senza rispettare le condizioni sopra evidenziate. In particolare, non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa la sussistenza di risorse interne, attraverso una concreta valutazione dei livelli di esperienza dei dipendenti e un apprezzamento del grado di adeguatezza delle cognizioni specialistiche degli stessi, non vi è una congrua specificazione dell'attività richiesta ai soggetti incaricati e non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi dei consulenti.
Ma vi è di più. La Corte ha sottolineato che gli incarichi sono stati conferiti senza che fossero avviate procedure pubbliche «che consentissero di contemperare i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza dell'ente di approvvigionarsi all'esterno di apporti collaborativi a costi congrui» (articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Le difficoltà in termini di gestione ed organizzazione del personale del Comune non giustificano il conferimento di un incarico professionale esterno.
L’illegittimità della delibera comunale consegue, oltre che alla genericità dell'incarico, anche al fatto che le problematiche afferenti al personale costituiscono un momento indefettibile dei poteri di organizzazione e di ordinamento delle risorse professionali e umane del Comune, e che, inoltre, costituisce un ingiustificato pregiudizio economico, per la notevole spesa sostenuta, l’incarico al consulente estraneo all'Amministrazione a fronte di non identificati contributi consulenziali e legali (in assenza, peraltro, della individuazione di questioni concrete e contenziosi effettivi).
A conferma di ciò giova evidenziare che l’espletamento dell’incarico risulta confermato solo da una scarna dichiarazione, rilasciata dal Sindaco, formulata in modo generico e unicamente con riferimento al periodo della consulenza, senza la possibilità di concreti e puntuali riscontri per mancanza di atti o pareri scritti del consulente, avendo egli intrattenuto esclusivamente rapporti verbali diretti con gli organi elettivi, a favore dei quali veniva espletata dichiaratamente l’attività di consulenza (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio, con
sentenza 18.11.2011 n. 1619).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi professionali esterni e danno erariale.
La Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio, con sentenza 18.11.2011 n. 1619, decide su un contenzioso relativo a quanto in oggetto, riconoscendo responsabilità patrimoniale e, conseguentemente, condanna al risarcimento del danno erariale.
Emergono, nonostante i fatti esaminati risalgano ad anni passati, interessati principi e spunti di riflessione, fra i quali:
- le "notevoli difficoltà incontrate dall'ente comunale nella gestione ed organizzazione" è riferimento del tutto generico e non legittimante il ricorso ad incarico di consulenza esterna;
- le problematiche afferenti al personale costituiscono un momento indefettibile dei poteri di organizzazione e di ordinamento delle risorse professionali e umane del Comune e, quindi, costituisce un ingiustificato pregiudizio economico, anche per la notevole spesa sostenuta, l'incarico al consulente estraneo all'Amministrazione a fronte di non identificati contributi consulenziali e legali;
- non è adeguatamente motivata la carenza di professionalità interne adeguate a far fronte alle esigenze dell'ente;
- la violazione delle norme è palese anche sotto l'aspetto che la estrema genericità dell'oggetto della consulenza e la mancata previsione di riscontri documentali (redazione di studi e pareri) inibisce di verificare il rispetto della vera finalità della norma che è quella di escludere che ordinarie attività siano affidate all'esterno con incarichi di consulenza
(tratto da www.publika.it).

INCARICHI PROGETTUALI: E' illegittimo l’affidamento dell’incarico (sotto soglia comunitaria) ad un professionista esterno avvenuto in assenza di qualsiasi valutazione. Invero, l'art. 130 del codice dei contratti pubblici dispone in capo alla p.a. un ordine di priorità nell'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori: in primo luogo ai propri dipendenti o di altra amministrazione convenzionata, poi al progettista incaricato e, soltanto in via residuale, a soggetti esterni, comunque scelti nel rispetto delle norme comunitarie.
L’impugnato provvedimento (ndr: determina n. 54 del 04.06.2011 del Responsabile del Servizio tecnico comunale tecnico con la quale è stato designato il tecnico, esterno all’amministrazione, cui è stato affidato l’incarico di direttore dei lavori relativi all’adeguamento strutturale ed antisismico della scuola di Gerre de’ Caprioli) risulta, quindi, essere privo della necessaria motivazione, la cui assenza potrebbe avere notevole rilevanza in termini di configurabilità di una fattispecie di responsabilità erariale, per la verifica della sussistenza della quale si ravvisa l’opportunità della trasmissione della presente sentenza alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti.

Come chiarito dalla giurisprudenza, per l’affidamento di un incarico di progettazione che non superi la soglia comunitaria, trova applicazione l'art. 130 del codice dei contratti pubblici, che dispone in capo alla p.a. un ordine di priorità nell'affidamento dell'incarico di direzione dei lavori: in primo luogo ai propri dipendenti o di altra amministrazione convenzionata, poi al progettista incaricato e, soltanto in via residuale, a soggetti esterni, comunque scelti nel rispetto delle norme comunitarie (tra le tante TAR Lazio-Roma, sez. II, 10.09.2010, n. 32214).
Ne discende che laddove, come nel caso di specie, l’affidamento dell’incarico ad un professionista esterno sia avvenuta in assenza di qualsiasi valutazione alla luce della sopra richiamata disposizione, il provvedimento non può che essere considerato illegittimo.
Né può condurre a diverse conclusioni il fatto che il Comune, nella propria memoria di costituzione, abbia evidenziato come la scelta del conferimento dell’incarico sia caduta su di un architetto (e, quindi, su di una figura professionale diversa dagli ingegneri che hanno redatto il progetto e dall’ingegnere odierno ricorrente), a causa della natura vincolata del bene e del disposto di cui all’art. 52 comma 2 del Regio Decreto 23.10.1925 n. 2537.
Premesso che, se così fosse, non è dato comprendere come il fatto che la direzione lavori sia affidata ad un architetto (figura professionale individuata come competente rispetto ad opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20.06.1909, n. 364 per l’antichità e le belle arti) potesse garantire il rispetto della norma laddove la progettazione sia stata elaborata da ingegneri, ciò che appare dirimente è che di tale preteso obbligo di legge non è dato alcun conto in sede di conferimento dell’incarico.
L’impugnato provvedimento risulta, quindi, essere privo della necessaria motivazione, la cui assenza potrebbe avere notevole rilevanza in termini di configurabilità di una fattispecie di responsabilità erariale, per la verifica della sussistenza della quale si ravvisa l’opportunità della trasmissione della presente sentenza alla competente Procura Regionale della Corte dei Conti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.11.2011 n. 1587 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALIA discrezione sempre più incarichi. Per effetto dell'innalzamento della soglia per gli affidamenti. Le conseguenze per i progettisti dell'entrata in vigore da ieri del cosiddetto Statuto delle imprese.
Sempre più discrezionali gli incarichi di progettazione e servizi di ingegneria e architettura della pubblica amministrazione. Per incarichi fino a 193 mila euro la scelta dei progettisti avverrà tramite elenchi o avvisi di gara, ricorrendo anche al sorteggio e con criteri di rotazione; prevista la suddivisione in lotti degli appalti; velocizzato l'iter di recepimento della direttive europea per i ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, previste sanzioni dell'Antirust per le grandi imprese.
Sono queste alcune delle norme di maggiore rilievo contenute nella legge dell'11.11.2011 il cosiddetto Statuto delle imprese, in vigore da ieri.
Di particolare impatto sul mercato delle progettazioni è la modifica all'articolo 91, comma 1 del Codice perché porta a 125.000 euro (per le amministrazioni centrali dello Stato) e a 193 mila euro per tutte le altre stazioni appaltanti, la soglia (in precedenza pari a 100.000 euro) entro la quale è ammesso scegliere progettisti, direttori dei lavori, coordinatori per la sicurezza e collaudatori con procedura negoziata previo invito di almeno cinque soggetti ai sensi di quanto disposto dall'articolo 57, comma 6 del Codice. La norma del Codice prescrive che la scelta dei soggetti da invitare a presentare offerta (almeno cinque) debba fare seguito ad informazioni desunte da una indagine di mercato.
In concreto, per quel che riguarda le modalità di selezione del mercato ai fini dell'individuazione degli invitati a presentare offerta per incarichi fino alla soglia comunitaria, l'articolo 267 del Dpr 207/2010, il regolamento del Codice, entra nel dettaglio applicativo della disposizione di rango primario che la legge sullo statuto delle imprese ha modificato, prevedendo due modalità propedeutiche all'individuazione dei soggetti da invitare: l'istituzione di elenchi di operatori economici, o l'effettuazione di indagini di mercato finalizzate al singolo affidamento che si concretizzano nella pubblicazione di un avviso di gara, in ogni caso rispettando il criterio di rotazione degli incarichi.
In entrambi i casi le amministrazioni dovranno rispettare i principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, correttamente e esaustivamente interpretati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che ha anche specificato come le stazioni appaltanti debbano evitare di inserire nei bandi di gara (e ciò rileva anche per gli affidamenti di maggiore importo) preferenze territoriali o locali.
In ogni caso, per effetto della modifica apportata all'articolo 91 del Codice, le stazioni appaltanti: - da 0 a 193.000 euro, potranno optare per la procedura negoziata con invito di almeno cinque soggetti; - oltre i 193 mila euro saranno utilizzabili le procedure (aperte, negoziate, ristrette) con pubblicità europea, applicando gli articoli da 263 a 266 del Regolamento.
La legge sullo statuto delle imprese prevede anche il recepimento della direttiva ritardati pagamenti (da effettuare entro 12 mesi, quindi con cinque mesi di anticipo rispetto alla scadenza del marzo 2013): in questo caso le norme europee, quando entreranno in vigore, consentiranno pagamenti da parte delle amministrazioni e dei privati entro un massimo di 60 giorni. Previste anche sanzioni e diffide per le grandi imprese relativamente a comportamenti illeciti messi in atto nei confronti delle piccole e medie imprese.
In via generale vengono poi introdotte norme che tutelano le piccole e medie imprese che partecipano agli appalti: la prova dei requisiti dovrà essere effettuata solo dall'aggiudicatario dell'appalto; sarà possibile una più ampia autocertificazione dei requisiti con il divieto di chiedere documenti già in possesso dell'Amministrazione; sarà vietato chiedere requisiti sproporzionati rispetto all'oggetto dell'appalto (articolo ItaliaOggi del 16.11.2011).

INCARICHI PROGETTUALI: Le innovazioni in materia di affidamento dei servizi di ingegneria (art. 91, D.Lgs. 163/2006) derivanti dall’approvazione dello Statuto delle imprese (Legge 11.11.2011, n. 180) (15.11.2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROFESSIONALILA LEGGE DI STABILITÀ/ La tariffa ora è un affare privato. Gli ordini non potranno più vigilare sui professionisti. I compensi saranno determinati seguendo solo la legge del mercato.
Addio istruttorie, richiami, sanzioni disciplinari. Le tariffe diventano un affare privato tra professionista e cliente, con buona pace degli ordini.
La nuova rivoluzione, per il comparto, è contenuta in due righe al comma 12 dell'art. 4-septies del maxiemendamento alla legge di stabilità, dove si prevede la soppressione [dall'art. 3, comma 5, lettera d), della legge n. 148/2011] delle parole: «prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe». E quindi di qualsiasi riferimento a vincoli o riferimenti degli ordini professionali. D'altra parte, il cambiamento, per i professionisti, era già in atto da tempo: dal decreto Bersani del 2006 che aveva sdoganato i minimi tariffari. E da cinque anni sta andando avanti la lotta degli ordini nei confronti di quelle iniziative che, a loro dire, non rispettano il livello di decoro minimo della prestazione professionale.
L'ultima frontiera è stata raggiunta proprio nei giorni scorsi con il «caso Groupon» (si veda ItaliaOggi dell'8 novembre scorso), con da una parte il moltiplicarsi di medici, architetti e ingegneri che propongono visite specialistiche e certificazioni a prezzi stracciati, dall'alt tra gli ordini di riferimento che hanno intrapreso iniziative di contrasto e denunce all'Antitrust. Ebbene, da oggi presumibilmente le categorie dovranno deporre le armi e i professionisti sottostare alla sola legge del mercato. Ma vediamo nel dettaglio tutte le novità e cosa cambia nel rapporto professionista-cliente.
Il conferimento dell'incarico. Professionista e cliente contratteranno il compenso della prestazione in maniera totalmente libera. Il tariffario, approvato dal ministero della giustizia, non avrà valore nemmeno come punto di riferimento. Tranne in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione è resa nell'interesse dei terzi. Altrimenti, gli obblighi del professionista, nei confronti del cliente, contenuti nella legge di stabilità consistono nel comunicare: il livello di complessità dell'incarico, tutte le informazioni utili riguardo gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale.
Già, perché con la legge di stabilità il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizza possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.
Società fra professionisti. L'altra novità prevista dal maxiemendamento (ma in linea con le altre bozze circolate nei giorni scorsi) riguarda le società tra professionisti. L'esercizio delle attività intellettuali potrà avvenire tramite società partecipate non solo da professionisti iscritti a ordini, albi e collegi (purché in possesso del titolo di studio abilitante) ma anche da soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o con una partecipazione minoritaria, o per finalità di investimento. Viene fissato poi in sei mesi il tempo in cui il ministro dello sviluppo economico dovrà adottare un regolamento per disciplinare la materia.
Riforma delle professioni. Entro 12 mesi, infine, verrà approvato il restyling del comparto professionale. Restano invariati i principi da seguire e già indicati nella manovra di fine agosto: difesa dell'esame di stato, libertà di accesso agli ordini, istituzione di un equo compenso per i tirocinanti ecc. (articolo ItaliaOggi Sette del 14.11.2011).

INCARICHI PROGETTUALI: L’offerta economicamente più vantaggiosa quale unico criterio per l’aggiudicazione dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria (art. 266, comma 4, DPR 207/2010) (ottobre 2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Le risposte dell'ANCI.
Il direttore dei lavori.
Dovendo procedere all’affidamento di un incarico di direzione dei lavori relativi al risanamento conservativo di un immobile scolastico, tutelato dalla Soprintendenza, i cui lavori richiedono qualificate e specifiche competenze tecniche si chiede:
1) se è possibile procedere all’affidamento di che trattasi individuando, mediante procedura prevista dalla normativa vigente, un direttore lavori per le opere architettoniche a cui affidare anche la contabilità; un direttore lavori per le strutture in cemento armato; un direttore lavori per gli impianti meccanici.
2) se è possibile procedere, trattandosi di un incarico di sola direzione lavori, all’affidamento secondo il criterio del prezzo più basso.

L’affidamento dell’incarico di cui al quesito in esame appare soggetto alle disposizioni del Dpr n. 207/2010, entrato in vigore in data 08.06.2011, come si ricava dall’art. 357, co. 9. L’art. 130 del codice impone alle amministrazioni aggiudicatrici di istituire, per l’esecuzione dei lavori pubblici, un ufficio di direzione lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti.
Il regolamento di esecuzione, in presenza delle condizioni che non consentono lo svolgimento delle attività tecniche connesse alla progettazione ed all’esecuzione da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, detta le modalità di affidamento dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria nella parte terza, artt. 252 e seguenti.
Inoltre, lo stesso regolamento conferma il disposto del codice riguardo alla costituzione di un ufficio di direzione dei lavori (art. 147) che può essere formato dal direttore, ed eventualmente, secondo le dimensioni, tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti le cui funzioni sono riportate nell’art. 149.
Secondo quanto dispongono sia il codice che il regolamento non appare quindi possibile costituire più uffici di direzione dei lavori, ma occorre concentrare tutta l’attività in un unico ufficio.
Il suddetto regolamento, alla parte terza, dispone anche in merito alle procedure di aggiudicazione dei servizi in esame di importo sia inferiore che superiore a 100mila euro.
All’art. 266 sono dettate le modalità di svolgimento della gara che avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e con attribuzione di fattori ponderali stabiliti dall’amministrazione entro i valori fissati dalla citata norma (tratto da Guida al Pubblico Impiego n. 10/2011).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOP.a., la negligenza costa. Incarichi al buio, si paga il doppio dei compensi. La Corte conti della Sicilia richiama le amministrazioni alla trasparenza.
Se un ente pubblico conferisce legittimamente un incarico a un dipendente statale, è tenuto a comunicare all'amministrazione di appartenenza del citato dipendente, ai sensi dell'art. 53, comma 11, del dlgs n. 165/2001, anche l'ammontare dei compensi erogati. In caso di omissione, infatti, scatta la sanzione pari al doppio degli emolumenti percepiti e questo costituisce danno erariale a carico dei vertici dell'ente inadempiente, in quanto indice della negligenza a percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione giurisdizionale della Corte dei conti siciliana, nel testo della sentenza 26.10.2011 n. 3488, con cui ha condannato presidente e direttore generale di un'autorità d'ambito ottimale a rifondere le stesse casse dell'ente, del danno pari alla sanzione pagata per la violazione relativa all'omessa comunicazione dei compensi percepiti da un dipendente pubblico cui era stato conferito un incarico di esperto amministrativo.
La norma sopra richiamata, infatti, prevede che «entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per incarichi, sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente».
Norma, questa, di strettissima e rigorosa interpretazione che prevede un altrettanto rigoroso sistema sanzionatorio in caso di inosservanza. Ne è prova l'articolo 6, comma 1, del dl n. /97 ove si prevede che «nei confronti dei soggetti pubblici che non comunicano l'ammontare degli emolumenti o che si avvalgano di prestazioni di lavoro autonomo o subordinato rese dai dipendenti pubblici senza autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, si applica una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici».
È questo ciò che è avvenuto nella vicenda sottoposta al giudizio della Corte siciliana. Che non ha avuto dubbi nel decidere per la condanna dell'ex presidente e del direttore generale dell'autorità d'ambito. Secondo la Corte, infatti, nel caso di enti collettivi, in mancanza della formalizzazione sulla ripartizione delle competenze, l'obbligo di effettuare una comunicazione è riferibile a quei soggetti che, per l'ufficio ricoperto, hanno il potere di amministrare e rappresentare l'ente. Soggetti che hanno messo in pratica una condotta negligente (quindi con colpa grave, tale da generare l'inutile esborso) in quanto l'adempimento, consistente in un'azione di agevolissima realizzazione, era (ed è) imposto da una norma chiara, inidonea a dar luogo a dubbi interpretativi. Nella norma di legge non è alcun margine di discrezione e la semplicità dell'adempimento richiesto ha indotto la Corte a ritenere che l'omissione della comunicazione «integra un negligente esercizio di compiti istituzionali la cui gravità configura la responsabilità amministrativa».
Ad avviso della Corte, si legge nella sentenza, non può essere ignorato che del danno sono stati chiamati a rispondere due soggetti, professionalmente molto qualificati, che ricoprivano posizioni apicali nell'organigramma aziendale. L'assunzione di tali uffici, nell'ambito di una società di significativa consistenza, è «indice inequivocabile della capacità dei soggetti chiamati a ricoprirli, di percepire la sussistenza di un obbligo di legge, previsto in una disposizione di agevolissima interpretazione e di assumere le conseguenti iniziative per assicurare il rispetto di tale obbligo» (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni, gare in estinzione. A causa dell'innalzamento della soglia per gli affidamenti. Dopo le modifiche al Codice appalti e l'approvazione del senato allo Statuto di impresa.
Il mercato delle gare dei servizi di ingegneria e architettura rischia di sparire dopo le recenti modifiche normative che cancellano le gare nazionali (fino a 193 mila euro) a vantaggio di affidamenti diretti e trattative private; viceversa viene rafforzato lo spazio operativo delle progettazioni interne alle stazioni appaltanti.

Ed è allarme rosso fra i progettisti. Tutto ciò accade dopo il varo delle modifiche al Codice di luglio e la recente approvazione al Senato del disegno di legge «Statuto di impresa» in attesa dell'approvazione, in terza lettura, della Camera (ma dovrebbe trattarsi di una formalità). Con quest'ultimo provvedimento si porta a 125 mila euro (per le amministrazioni centrali dello Stato) e a 193 mila per tutte le altre stazioni appaltanti, la soglia fino alla quale è ammesso scegliere i progettisti con una gara informale previo invito di cinque soggetti.
Si va, quindi a toccare, l'articolo 91, comma 2 del Codice che rinvia all'articolo 57, comma 6 del Codice per la scelta dei progettisti quando un incarico risulti di importo inferiore a 100 mila euro e, quindi, ammette la scelta con una sorta di gara informale con invito a cinque soggetti scelti a seguito di indagine di mercato, ma in pratica fortemente discrezionale e senza trasparenza successiva. La materia è disciplinata anche dal regolamento del Codice (dpr 207/2010) nel presupposto, però che vi sia anche una fascia di incarichi (da 100 mila a 193 mila) affidabile con ordinaria gara, senza inviti limitati a pochi soggetti.
Invece con la norma approvata in Aula (dopo che in Commissione industria era stata soppressa) si cancellano di fatto le gare nazionali (sotto la soglia dei 193 mila euro di importo stimato) e si rende obbligatorio il ricorso alla procedura negoziata con invito a cinque da 40 mila a 193 mila. Questo recente intervento normativo si somma infatti al precedente ritocco apportato dal decreto-legge 70/2011 che ha portato da 20 mila a 40 mila il tetto fino al quale le stazioni appaltanti potranno sceglie addirittura fiduciariamente, in via diretta, l'affidatario dei servizi.
Dietro ad entrambe le operazioni c'è lo zampino della Lega che ha caldeggiato la modifica di luglio e che, con il disegno di legge «Statuto di impresa», ha portato a compimento un vero e proprio blitz con un emendamento in Aula (del senatore Luciano Cagnin) approvato nella quasi indifferenza generale. Ma non è tutto: di recente anche la Corte dei conti, con la delibera n. 51 del 4 ottobre, ha escluso gli incentivi per la progettazione interna di opere pubbliche (che vanno al Rup, stazione unica appaltante, e ai tecnici comunali) dal tetto di spesa per il personale degli enti locali.
Al riguardo la magistratura contabile sembra essere stata chiara: gli incentivi sono «destinati a remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti individuati o individuabili e che peraltro potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso all'esterno dell'amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti». Per il Centro studi del Cni, Consiglio nazionale ingegneri, (dati riferiti al 2009) si tratta dell'8,7% del mercato complessivo, per un valore di 1,48 miliardi di corrispettivo sottratto al libero mercato.
Le prospettive sono quindi fosche, tanto che l'Oice, con il presidente Gabriele Giacobazzi, ha sottolineato come la recente norma approvata al Senato «renda discrezionali il 92% degli affidamenti e incentiva fortemente il processo di suddivisione degli incarichi di rilievo comunitario e oltre, con un quasi certo e annunciato azzeramento delle gare comunitarie». Senza parlare dei costi, dal momento che in una trattativa privata, di norma, il prezzo è più alto di almeno il 15-20% (articolo ItaliaOggi del 26.10.2011 - tratto da www.corteconti).

INCARICHI PROFESSIONALICollaborazioni e consulenze, l'oggetto deve essere chiaro.
Il conferimento di incarichi di collaborazione e consulenza di carattere generale, cioè senza una delimitazione precisa dell'oggetto, determina l'insorgere di responsabilità amministrativa in capo al dirigente responsabile.
E' questa la principale indicazione che si può trarre dalla sentenza 21.09.2011 n. 167 della Corte dei Conti del Friuli-Venezia Giulia. Con questa pronuncia il dirigente di una pubblica amministrazione è stato condannato a rifondere l'80% dei compensi erogati dall'ente a un ex sindacalista di cui ci si era avvalsi per varie attività relative alla gestione del personale.
La sentenza evidenzia che per il conferimento di questi incarichi occorre scegliere dei soggetti che sono in possesso di una adeguata professionalità: il titolo di studio ne costituisce una sorta di precondizione.
Il primo elemento contestato è il seguente: «L'oggetto della consulenza erano questioni tutte relative all'attività, propria dell'ente, di gestione delle risorse umane. Non si tratta pertanto della soluzione di problematiche complesse e specifiche, ma di questioni comportanti l'esercizio delle funzioni amministrative di carattere organizzatorio. Nonostante la lunga elencazione, non è stata operata alcuna delimitazione di una particolare e specifica questione da risolvere, per la quale fosse apparso necessario acquisire l'apporto di un soggetto esperto, ma è piuttosto stata trasferita una rilevante parte della attività ordinaria dell'ente, relativa ai rapporti di lavoro con il personale; nella fase genetica e in quella attuativa e funzionale sussistono gli elementi per configurare l'incarico quale ipotesi di non consentita consulenza globale, per avere a oggetto una generalizzata gamma di attività dell'ente».
Ed ancora, il conferimento dell'incarico non è stato preceduto da alcuna analisi tesa a verificare se nell'ente quella professionalità esisteva ed era utilizzabile. Indagine resa ancora più necessaria nel caso specifico dalla circostanza che la dotazione organica risultava essere adeguata ed in linea con le previsioni.
E ancora, «il Collegio non può esimersi dal rilevare, quale altro profilo di illiceità, che non risulta sia stato rispettato il principio amministrativistico di concorsualità, che ispira in generale la scelta del contraente e in base al quale l'affidamento dell'incarico avrebbe dovuto essere preceduto da gare informali, volte a consultare una pluralità di soggetti» (articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIConsulenze e pr, tagli senza sconti. Stretta su incarichi specialistici e pubblicità istituzionale. Le sezioni unite della Corte dei conti chiariscono l'interpretazione delle norme del dl 78/2010.
Il taglio delle spese per consulenze, incarichi, pubbliche relazioni e pubblicità non conosce eccezioni. Nemmeno quando si tratta di consulenze «altamente specialistiche», che esulano dalle competenze delle professionalità interne alle amministrazioni, o di pubblicità istituzionale, indispensabile per informare i cittadini sulle modalità di fruizione dei servizi pubblici. Entrambe non sfuggono, contrariamente a quanto affermato dalla Corte conti Lombardia, all'austerity prevista dalla manovra correttiva 2010 (dl 78) che ha imposto una riduzione dell'80% dei costi registrati nel 2009.
A chiarirlo sono le Sezioni unite di controllo della Corte Conti con la delibera 21.09.2011 n. 50 resa nota ieri.
I supremi giudici contabili sono stati chiamati in causa dalla sezione dell'Emilia Romagna a cui si era rivolto il Consiglio delle autonomie locali della regione per sciogliere una serie di dubbi interpretativi. Sulla corretta lettura da dare alle norme del dl 78 (art. 6, commi 7 e 8) i giudici emiliani hanno alzato le mani rimettendo i quesiti alle sezioni unite. Le quali tra la tesi più morbida suffragata dalla Corte conti Lombardia (che propende per escludere dal taglio le consulenze specialistiche e le spese per le finalità istituzionali previste dalla legge n. 150/2000) e quella più restrittiva fatta propria dalla sezione dell'Emilia Romagna hanno scelto quest'ultima. Sconfessando apertamente i giudici lombardi la cui interpretazione, hanno scritto, «non appare coerente con la disciplina dettata in materia che prevede tra i presupposti per il ricorso a collaborazioni il preliminare accertamento dell'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili».
Quanto alle spese di pubblicità, le sezioni unite hanno condiviso i timori della Corte conti Lombardia in ordine ai possibili effetti negativi sull'efficacia dei servizi, ma hanno ritenuto di dover escludere dalla stretta solo le forme di pubblicità previste dalla legge come obbligatorie (per esempio la pubblicità legale ndr). «L'ulteriore esclusione», hanno scritto i giudici, «di quelle relative alla c.d. pubblicità istituzionale porterebbe inevitabilmente a privare il precetto delle finalità di risparmio previste» in considerazione dell'ampiezza delle attività di formazione e comunicazione di cui alla legge n. 150/2000.
Inoltre, hanno concluso le sezioni unite, un altro argomento a favore di un'interpretazione ampia della stretta, va rinvenuto nella previsione di specifiche deroghe (convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca, feste nazionali e, solo per il 2012, mostre). «La loro presenza, ove si accedesse a un'interpretazione restrittiva, si rivelerebbe in alcuni casi non utile, potendo rientrare tra le forme di pubblicità istituzionale» (articolo ItaliaOggi del 29.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: La progettazione esterna non può essere affidata ad un dipendente pubblico a tempo pieno.
L’art. 53 d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che “quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da individuare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti […]”.
L’art. 90, comma 1, lett. d) e ss., d.lgs. n 163 del 2006 a sua volta prevede che i soggetti esterni ai quali può essere affidata l’attività di progettazione sono –in sintesi- i liberi professionisti iscritti nel relativo albo professionale, le società di professionisti o le società di ingegneria.
Attesa la tassatività di un siffatto elenco –da raccordare alla diretta responsabilizzazione del soggetto della cui prestazione ci si avvale- il soggetto “esterno”, destinatario dell’incarico di progettazione esterna, non può essere un pubblico dipendente a tempo pieno. Quest’ultimo invero non può esercitare la libera professione e, quindi, non può assumere la qualifica professionale che l’art. 90 richiede per i progettisti esterni.
In senso contrario non rileva l’autorizzazione che l’Ing. ... aveva ricevuto dall’Amministrazione di appartenenza, perché tale autorizzazione non poteva rimuovere la circostanza che la prescrizione normativa da qui applicare richiede in capo ai progettisti esterni un vero e proprio status di libero professionista (con tanto di iscrizione nel relativo albo) e questo era precluso, nel caso concreto, dall’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno.
L’ing. ..., pertanto, non poteva essere un “progettista qualificato” ai sensi dell’art. 53, né un soggetto del quale la società incaricata della progettazione si poteva avvalere, anche solo come ausiliario, per integrare parte dei requisiti di progettazione richiesti dal bando di gara.
Inoltre, assume carattere assorbente l’ulteriore e dirimente considerazione che la pregressa attività svolta dall’Ing. ... in qualità di dipendente pubblico non poteva comunque essere utilizzata per integrare i requisiti di progettazione richiesti dal bando di gara.
La pregressa attività di progettazione svolta per l’Amministrazione di appartenenza è, infatti, esclusivamente riferibile a quest’ultima.
Nemmeno, per escludere tale riferibilità esclusiva, può valere la circostanza che i progetti sono il frutto di un’attività umana fondamentalmente intellettiva analoga all’esercizio delle professioni liberali, in quanto l’attività è svolta dal dipendente ratione officii e non intuitu personae e si risolve pertanto in una modalità di svolgimento del rapporto di pubblico impiego.
E’ da escludersi quindi che lo svolgimento di tale attività consenta al dipendente di acquisire in proprio un requisito di qualificazione e, a maggior ragione, che tale requisito di qualificazione possa poi essere “prestato” o “ceduto” a imprese private al fine di consentire la partecipazione di queste ultime a gare di appalto (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.09.2011 n. 5003 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Se di importo superiore ai 5.000,00 euro, anche incarichi inerenti ai servizi di architettura e di ingegneria di cui al D.Lgs. n. 163/2006 debbano essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.
L’esclusione dall’obbligo di invio dei provvedimenti di conferimento di incarichi inerenti ai servizi di architettura e di ingegneria discendeva dall’art. 1, comma 42, della legge 30.12.2004, n. 311, che originariamente prevedeva la trasmissione alla Corte dei conti degli incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione, espressamente escludendo gli incarichi di cui alla legge n. 109/1994 e successive modificazioni.
La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, nelle linee guida approvate con deliberazione 02.03.2006 n. 4, ha evidenziato come la nuova disciplina di cui alla legge n. 266/2005 avesse sostituito ed abrogato, per evidenti motivi di incompatibilità, l’art. 1, commi 11 e 42, della legge n. 311 del 2004.
Conseguentemente, non contemplando le disposizioni di cui al comma 173 dell’art. 1 della legge n. 266/2005 alcuna eccezione per gli atti di cui alla richiesta di parere, si ritiene che, se di importo superiore ai 5.000,00 euro, anche incarichi inerenti ai servizi di architettura e di ingegneria di cui al D.Lgs. n. 163/2006 debbano essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti (cfr.: parere 13.03.2009 n. 7 della Sez. regionale del controllo per l’Emilia Romagna; parere n. 3/Par/2007 e relazione approvata con delibera n. 13/2010/SRCPIE/VSGF del 23.02.2010 della Sezione regionale di controllo per il Piemonte) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata, parere 01.09.2011 n. 32).

INCARICHI PROFESSIONALIMANOVRA BIS/ Enti, professionisti scelti con gara. La derogabilità delle tariffe spinge la p.a. a trattare sul prezzo. Il dl 138 ammette la pattuizione dei compensi per gli incarichi anche in deroga ai minimi.
La derogabilità delle tariffe professionali spinge le pubbliche amministrazioni a conferire incarichi mediante gare col criterio del prezzo più basso.
L'articolo 3, comma 5, lettera d), del dl 138/2011 costituisce indirettamente per le amministrazioni l'obbligo di affidare incarichi a professionisti (ingegneri, architetti, avvocati, commercialisti, psicologi) con una vera e propria negoziazione dei compensi, da effettuare ovviamente mediante le procedure di gara, ai sensi del dlgs 163/2006.
La norma introdotta dalla manovra estiva 2011-bis, infatti, stabilisce che «il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe».
In sostanza si rimette alle parti la determinazione del compenso. Sicché le tariffe non costituiscono né un riferimento obbligatorio, né possono essere lette come minimi garantiti. La loro piena derogabilità permette, anzi, la determinazione di compensi anche di carattere forfetario.
Secondo l'ultimo periodo del citato articolo 3, comma 5, lettera d), «in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal ministro della giustizia».
La combinazione delle disposizioni richiamate rende estremamente rischioso affidare incarichi a professionisti senza aver determinato consensualmente il compenso. Infatti, l'applicazione giudiziale del compenso attraverso le tariffe potrebbe determinare un esborso di spesa superiore a quello che, laddove si fosse svolta una gara con ribasso delle voci di compenso, si sarebbe potuto spuntare. Insomma, la mancata negoziazione e fissazione consensuale dei compensi rischia di aprire le porte alla responsabilità erariale per le amministrazioni che incautamente non trarranno le necessarie conclusioni derivanti dalla derogabilità delle tariffe.
Del resto, la magistratura contabile ha più volte espresso l'avviso secondo il quale ai fini della determinazione dell'impegno di spesa e per evitare il maturare di debiti fuori bilancio «va acquisita dall'avvocato, al quale è stata affidata la rappresentanza in giudizio del comune, un preventivo di massima relativo agli onorari, alle competenze ed alle spese che presuntivamente deriveranno dall'espletamento dell'incarico stesso ai fini di predisporre un adeguata copertura finanziaria» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, 04.02.2009, n. 8).
Risulterà, dunque, onere delle amministrazioni, prima di affidare gli incarichi, verificare quali elementi della prestazione possano ricadere nelle voci di tariffa, per costruire una griglia oppure elaborare una base di gara forfetaria o «a corpo» su cui chiedere il ribasso, attivando così una vera e propria negoziazione del compenso, tale da escludere l'applicazione delle tariffe in caso di contenzioso ed evitare un surplus imprevisto di spesa.
I medesimi adempimenti vanno svolti anche nel caso in cui la normativa consenta affidamenti diretti senza gara, come nel caso di cottimi fiduciari (articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIManovra soft sulle professioni. Compensi da pattuire con il cliente. Le tariffe valgono come riferimento.
Un'istantanea dell'esistente e una formulazione confusa che prevede tutto e il suo contrario in materia di onorari professionali, ma che sostanzialmente recupera i tariffari professionali "aboliti" dalla Bersani, nel 2006, assieme ai minimi.
Doveva essere la tempesta perfetta che si abbatte sul mondo professionale. L'occasione –forse unica perché dettata dall'urgenza dei conti e da 20 anni di attesa– di scuotere categorie in molti casi sostanzialmente ancorate a regi decreti, fornendo loro gli strumenti organizzativi ed economici (costituire società flessibili e multidisciplinari, fare ricerca o accedere al credito) per ristrutturarsi e uscire dalla crisi.
Quello che, invece, si affaccia con la manovra d'agosto è un temporale estivo e passeggero. Anche perché gran parte delle misure sono già presenti nelle leggi professionali, nei codici deontologici o in regolamenti già in vigore che anticipano le riforme degli ordinamenti che arrancano tra Camera e Senato.
A partire dai compensi, per i quali, dietro a una formulazione confusa, si riavvolgono le lancette dell'orologio. Nel 2006, il decreto legge Bersani aveva già abolito la tariffa minima per i professionisti, con possibilità del cliente di negoziare la parcella. La formulazione contenuta nella manovra, invece, non è altrettanto schietta: «Il compenso spettante al professionista –vi si legge– è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe stabilite con decreto dal ministro della Giustizia».
Insomma, il compenso va sì pattuito, ma il riferimento al tariffario recupera una rilevanza che aveva perso nel decreto Bersani. In pratica, si richiamano le tariffe come "base" per il negoziato e al contempo si dà la possibilità di derogare alle tariffe stesse. Che comunque restano applicabili in caso di contenzioso. Per gli ingegneri –ad esempio– in tema di tariffe, costituisce ancora illecito disciplinare (oltre che nullità parziale del contratto) la violazione dell'articolo 2233 del Codice civile, comma 2, in base al quale «in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione».
Mentre, dopo un lungo braccio di ferro con l'Antitrust, gli avvocati hanno rimosso recentemente dal loro codice il collegamento tra illecito disciplinare e Codice civile. Non costituirà più illecito, ma che «la misura del compenso debba essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione» resta un "faro" sia nel codice forense sia in quello dei consulenti del lavoro. Più "liberisti", sinora, si sono dimostrati i commercialisti, nel cui codice il compenso è già liberamente determinato dalle parti –senza alcun vincolo di "decoro"– e deve essere commisurato all'importanza dell'incarico, alle conoscenze tecniche e all'impegno richiesti.
La manovra di Ferragosto impone anche ai professionisti la stipula di un'assicurazione per danni derivanti dall'esercizio professionale. Sebbene sia sinora un obbligo vero e proprio solo per i medici dipendenti e per i notai –per questi ultimi la copertura è garantita dal Consiglio nazionale e "ripagata" dagli iscritti tramite le quote versate all'Ordine– per le altre categorie (dai legali ai consulenti, dagli ingegneri agli architetti ai geometri) hanno stipulato convenzioni con compagnie assicurative e attivato moral suasion sugli iscritti.
La pubblicità informativa –non comparativa, denigratoria e rispettosa della privacy della clientela– è già una realtà, introdotta dal decreto Bersani. Ed è ormai "recepita" negli ordinamenti e nella prassi quotidiana, la formazione continua obbligatoria.
Così come fotografia dell'esistente è la previsione di un equo compenso per i praticanti, comunque non quantificato. Non è obbligatorio ma opportuno per avvocati («magari dopo il primo anno») e consulenti del lavoro, che lo prevedono già nei rispettivi codici. I commercialisti, benché sottolineano «la natura gratuita» della pratica, segnalano il dovere di corrispondere al tirocinante una «borsa di studio». Anche se sui forum online di praticanti e precari non sono pochi gli "sfoghi" di chi lamenta di lavorare a zero euro.
Inoltre, sia commercialisti sia consulenti del lavoro prevedono già la possibilità –come sancito dalla manovra– di integrare un periodo di pratica al corso di studi universitari. Abbreviando i tempi. In ogni caso, avere inserito nero su bianco nel decreto il compenso dei praticanti potrebbe essere un primo passo per far acquisire un profilo e un embrione di inquadramento al "ragazzo di bottega" sinora non riconosciuto.
L'outsourcing del procedimento disciplinare a un organo territoriale diverso da quello amministrativo è, invece, mutuato dal modello sinora in vigore per i soli notai. Per gli eletti alle Coredi, le commissioni regionali di disciplina, valgono anche una serie di incompatibilità, tra componente dell'organo e quelle di consigliere locale o nazionale. Il problema resta per lo più il basso numero di procedimenti disciplinari. A parte i medici, secondo i dati forniti dagli stessi Consigli nazionali, ogni anno sono poche decine i procedimenti disciplinari da affrontare.
Infine, se nella manovra non si fa cenno a forme societarie o ad attività multidisciplinari, sembra difficile che possa cambiare davvero qualcosa anche sul fronte dell'abbattimento alle restrizioni d'impresa. Dato che le restrizioni potranno restare in vigore per ragioni di interesse pubblico, si presume che per notai e farmacisti restino inalterate le barriere quantitative. Sia quelle all'ingresso nella professione, sia nella distribuzione delle sedi e delle licenze (articolo Il Sole 24 Ore del 17.08.2011).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Conferimento incarico collaudatore opere pubbliche libero professionista ex dipendente.
Ai sensi della normativa vigente, gli incarichi in materia di realizzazione di opere pubbliche possono essere conferiti a liberi professionisti ex dipendenti, qualora il collocamento a riposo sia avvenuto d'ufficio, non anche nel caso di dimissioni volontarie, per cui vige un espresso divieto.
La pubblica amministrazione non può affidare un incarico ad un soggetto esterno se non si è prima dotata di un apposito regolamento con il quale disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

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L'Ente riferisce di aver conferito, nel corso dell'anno 2010, un incarico di collaudatore statico in corso di opera ad un proprio dipendente, responsabile dell'ufficio tecnico, ai sensi dell'art. 9, comma 1, L.R. n. 14/2002, 'Disciplina organica dei lavori pubblici', e di essere intenzionato a rivolgersi ancora, per la prosecuzione dell'incarico, al tecnico in questione, in qualità di libero professionista, in quanto attualmente in quiescenza per anzianità di servizio.
Preliminarmente, si rende noto che lo scrivente Ufficio ha già avuto modo di esprimersi, di recente, con nota n. 23585 del 28.06.2011[1], sul conferimento degli incarichi a personale già dipendente delle amministrazioni, facendo riferimento alla disciplina di cui all'articolo 25, L. n. 724/1994 (Legge Finanziaria 1995), tutt'ora in vigore, in quanto non abrogato o modificato dalle disposizioni legislative intervenute successivamente[2].
Detta norma, al fine di garantire la piena ed effettiva trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa, prevede che gli incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca non possano essere conferiti al personale dipendente delle amministrazioni pubbliche, che sia cessato volontariamente dal servizio, pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia, ma in presenza di quello contributivo per la pensione anticipata di anzianità, da parte dell'amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali detto personale abbia avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio.
Come già osservato nella nota richiamata, anche alla luce delle precisazioni fornite, in altra occasione, dal Dipartimento della funzione pubblica, la disposizione della legge finanziaria del 1995 riguarda l'ipotesi in cui il collocamento a riposo sia avvenuto per dimissioni volontarie (pensione anticipata di anzianità), non ponendo invece impedimenti al conferimento degli incarichi di consulenza in caso di collocamento a riposo d'ufficio, per limiti di età o contributivi.
Si è, inoltre, evidenziata la duplice ratio della norma in argomento, quale individuata dalla Corte dei Conti: la salvaguardia della imparzialità e trasparenza nel conferimento degli incarichi, atteso che è proprio nei particolari casi di ex dipendenti dell'amministrazione che tali esigenze si pongono in modo più pressante, da una parte; la finalità di garantire risparmi di spesa, impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione, dall'altra[3].
Anche la Corte Costituzionale ha rilevato come il divieto di cui all'art. 25, L. n. 724/1994, 'tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa' (C. Cost., n. 406/1995).
E dunque, avuto riguardo alla normativa richiamata e alle precisazioni acquisite in merito dal Dipartimento della funzione pubblica, si ritiene che non vi siano impedimenti al conferimento dell'incarico di collaudatore all'ex dipendente, qualora il collocamento in quiescenza, che l'Ente riferisce essere avvenuto per anzianità di servizio, abbia avuto luogo d'ufficio, per raggiunti limiti contributivi. Non si può, invece, procedere a tale affidamento nel caso in cui il dipendente, avendo raggiunto i requisiti per la pensione anticipata di anzianità, abbia volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio.
Per completezza di analisi, in materia di conferimento di incarichi esterni, si richiama, infine, l'attenzione, sul contenuto dell'art. 7, D.Lgs. n. 165/2001, che ne disciplina espressamente i requisiti, ed in particolare sul comma 6-bis dell'art. 7, quale novellato dall'art. 32 del D.L. n. 223/2006 (Decreto Bersani, 'Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale'), a norma del quale la pubblica amministrazione non può affidare un incarico ad un soggetto esterno se non si è prima dotata di un apposito regolamento con il quale disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione[4].
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[1] La nota è consultabile nella banca dati on-line della Regione FVG all'indirizzo web: http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/
[2] Parere ANCI del 18.09.2007
[3] Corte dei Conti, Puglia, deliberazione n. 3/2010. Nello stesso senso, Corte dei Conti, Umbria, sentenza n. 235/2006. Nel contesto dell'art. 25, L. 724/1995, la trasparenza e l'imparzialità passano da attributi generali dell'azione amministrativa a specifici beni/valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dell'amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l'amministrazione, manifestando così un chiaro disinteresse all'espletamento di ulteriori attività lavorative con la medesima .... Il divieto imposto dall'art. 25 in argomento deve ritenersi non più operante dalla data in cui il soggetto interessato ha raggiunto il requisito del pensionamento di vecchiaia per aver compiuto il 65° anno di età.
[4] La norma è richiamata dalla giurisprudenza della Corte dei Conti: CdC, deliberazione n. 25 del 19.11.2010
(10.08.2011 - link a www.regione.fvg.it).

INCARICHI PROGETTUALILe planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificati ed autorizzazioni, redatte -secondo le vigenti disposizioni- dall'esercente una professione necessitante speciale abilitazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione intorno allo stato dei luoghi.
Risponde, pertanto, del delitto previsto dall'art. 481 c.p., il professionista che rediga relazioni grafiche (planimetrie) non conformi al predetto stato.

Con motivazione del tutto logica la Corte di appello di Genova, nel giudizio di rinvio, ha ritenuto la sussistenza della falsa attestazione addebitata all'imputato.
Allo stesso era stato contestato di aver attestato nella tavola inerente lo stato attuale del fabbricato che il medesimo presentava muri perimetrali aventi spessore di circa cm. 50, mentre invece il reale spessore dei muri variava da cm. 170 a cm. 130.
La Corte -disattendendo la tesi difensiva che al momento del sopralluogo effettuato dall'imputato non fossero stati ancora ispessiti i muri perimetrali del fabbricato- ha logicamente dedotto dalle dimensioni del perimetro complessivo del rustico riportate nella planimetria redatta dall'imputato che detto ispessimento era stato già operato al momento del sopralluogo effettuato dall'imputato, e quindi questi aveva falsamente attestato che i muri perimetrali avevano uno spessore di cm. 50.
Detta falsa attestazione era stata compiuta per consentire, nella ristrutturazione del fabbricato, di ricavare una superficie interna tre volte superiore a quella originaria.
Deve invece essere accolto il motivo di ricorso relativo alla qualificazione giuridica del fatto, poiché questa Corte, con giurisprudenza costante, ha stabilito che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificati ed autorizzazioni, redatte -secondo le vigenti disposizioni- dall'esercente una professione necessitante speciale abilitazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione un'esatta informazione intorno allo stato dei luoghi.
Risponde, pertanto, del delitto previsto dall'art. 481 c.p., il professionista che rediga relazioni grafiche (planimetrie) non conformi al predetto stato (V. Sez. 5 sent. 5298 del 23.04.1993, Rv. 195375; Sez. 5 sent. 5098 dell'08.03.2000, Rv. 216056; Sez. 3 sent. 30401 del 23.06.2009, Rv. 244588; Sez. 5 sent. 35615 del 14.05.2010, Rv. 248878) (Corte di Cassazione, Sez. I penale, sentenza 05.07.2011 n. 26172).

INCARICHI PROGETTUALI: Annullamento/revoca d'ufficio di un incarico professionale - Giurisdizione amministrativa - Sussiste.
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente per oggetto l'annullamento d'ufficio o la revoca di un incarico professionale di progettazione e di direzione lavori, atteso che la controversia non riguarda la validità ed efficacia del contratto ma il legittimo uso del provvedimento di autotutela (Nella sentenza il Collegio dà tuttavia atto che si registra in giurisprudenza un orientamento di segno opposto cui lo stesso ha ritenuto di non aderire, cfr. da ultimo C.G.A., Sez. giur. 31.05.2011, n. 402) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: L’atto con cui il competente organo comunale affida a un professionista l'incarico della redazione di un progetto per un'opera pubblica è valido e vincolante nei confronti dell'ente soltanto qualora contenga la previsione dell'ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte, con la conseguenza che l'inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della determinazione in parola, che si estende al contratto di prestazione d'opera poi stipulato col professionista.
L’atto con cui il competente organo comunale affida a un professionista l'incarico della redazione di un progetto per un'opera pubblica è valido e vincolante nei confronti dell'ente soltanto qualora contenga la previsione dell'ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte, con la conseguenza che l'inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della determinazione in parola, che si estende al contratto di prestazione d'opera poi stipulato col professionista (cfr. TAR Campania Salerno, sez. II, 15.04.2010, n. 3908) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 22.06.2011 n. 1606 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALIIncarichi di progettazione sotto soglia: l'ente appaltante non ha l'obbligo di pubblicare il bando di gara.
Non sussiste la violazione delle norme relative alle procedure ad evidenza pubblica, trattandosi di appalto sotto soglia comunitaria riguardante incarichi di progettazione, per cui l’Ente non era obbligato alla pubblicazione del bando di gara.
Difatti, nonostante il bando contenga erroneamente il richiamo all’art. 124 del codice dei contrati, trattandosi di incarico di progettazione di importo inferiore a 100.000 euro, trova applicazione l’art. 91, 2° comma, cod. contr. che così dispone: “Gli incarichi di progettazione di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 (100.000 euro) possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), g) e h) dell'articolo 90, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6; l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei.” (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 13.06.2011 n. 1464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni, largo all'in house. Il Tar Toscana dice sì agli affidamenti.
È legittimo l'affidamento di attività di progettazione da parte di un ente locale ad una società in house, anche se costituita per lo svolgimento di servizi pubblici locali; la società in house, costituita dall'ente locale, deve essere considerata stazione appaltante e deve affidare eventuali incarichi a terzi seguendo le procedure del Codice e del regolamento.

E' quanto afferma il TAR Toscana, Sez. I, con la sentenza 13.06.2011 n. 1041, sul ricorso presentato da un Ordine provinciale che aveva eccepito la presunta illegittimità di un affidamento di progettazione ad una società in house di un ente locale, costituita per la gestione di servizi pubblici locali.
Il Tar in primo luogo chiarisce che l'art. 90 del Codice dei contratti pubblici ammette che le amministrazioni pubbliche possano svolgere progettazione di opere pubbliche mediante affidamento ad una società in house della stazione appaltante che viene a configurarsi come un proprio ufficio tecnico. Tutto ciò presuppone, però, che sulla società medesima il comune eserciti un controllo penetrante (il cosiddetto «controllo analogo»), il quale esclude che la società in house essa possa operare autonomamente. Inoltre, il fatto che l'ufficio tecnico della società operi unicamente a favore dell'affidante e sotto il suo diretto controllo, porta ad escludere che nella fattispecie si sia realizzato un affidamento esterno da parte della stazione appaltante, violando il Codice dei contratti pubblici.
Da ciò deriva che tale società deve essere ricompresa nel concetto di stazione appaltante «poiché quest'ultima non si configura quale soggetto esterno all'amministrazione medesima ma, analogamente ai suoi uffici interni, ne rappresenta una parte integrante, sia pure giuridicamente separata». Pertanto se la società in house dovesse successivamente affidare a terzi incarichi di progettazione sarà comunque tenuta ad applicare le norme del Codice dei contratti pubblici.
Inoltre il Tar chiarisce che è del tutto irrilevante che la società in house sia stata costituita dal comune per lo svolgimento di servizi pubblici locali nei quali non sono comprese le attività di progettazione delle opere pubbliche, né la direzione lavori né il collaudo dette stesse: «la normativa sui servizi pubblici locali non esclude che la società la quale gestisca un servizio pubblico locale possa svolgere anche altre attività», fra cui anche la progettazione (articolo ItaliaOggi del 23.06.2011).

INCARICHI PROFESSIONALI: La palese illegittimità dell’atto di conferimento di un incarico professionale esterno (nella specie ad un architetto) determina l’illiceità dell’esborso con conseguente danno erariale.
Le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questo, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto, sentenza 20.05.2011 n. 284 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALICon il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione” di attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che «per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione».
- Dalla disciplina di riferimento emerge l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti pubblici di svolgere, di norma, i compiti istituzionali avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è strumentalmente volta ad assicurare l'economicità dell’azione pubblica.
- Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione.
- I profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che all’adozione di quegli atti abbiano concorso. In altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.

... Gli incarichi sopra indicati presentano numerosi profili di difformità rispetto ai parametri normativi che, in maniera cogente, ne regolano i conferimenti.
Tali parametri, alla luce delle argomentazioni sviluppate dalla locale Sezione d’Appello (Sez. App. Sicilia 88/A/2009), sulla scorta di un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (Sent. 19815/2008; Sent. 4511/2006; Ord. 19667/2003), secondo cui «gli enti pubblici economici –soggetti pubblici per definizione e che perseguono fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura– svolgono dunque anch’essi attività amministrativa», devono rinvenirsi, come per tutte le amministrazioni ed enti pubblici diversi dagli enti locali, nell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 29/1993, che prevedeva che «per esigenze cui non possono far fronte con il personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione».
Con il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione” di attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che «per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione
».
In definitiva, dalla disciplina di riferimento emerge l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti pubblici di svolgere, di norma, i compiti istituzionali avvalendosi del personale interno. Tale regola è espressione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione ed è strumentalmente volta ad assicurare l'economicità dell’azione pubblica.
Il conferimento degli incarichi di consulenza a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall’Amministrazione.
Detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame i numerosi incarichi sopra indicati risultano conferiti senza rispettare le condizioni che legittimavano l’impiego della speciale soluzione gestionale. Ed, infatti, sulla base della documentazione in atti:
- non risultano esplicitati i connotati di alta specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio all’Ente;
- non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica circa la sussistenza di risorse interne, mediante una concreta valutazione dei livelli di esperienza dei dipendenti ed un apprezzamento del grado di adeguatezza delle cognizioni specialistiche dei medesimi per i realizzandi interventi;
- non vi è una congrua specificazione dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
- non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali sono stati quantificati i compensi dei consulenti;
- non è rinvenibile alcun apprezzamento della congruità della durata delle prestazioni richieste.
Con specifico riferimento alla indispensabile previa verifica di adeguate professionalità interne, la difesa del ricorrente ha contestato la completezza della «istruttoria posta a sostegno della richiesta della pubblica Accusa». La doglianza, però, evidenzia un errore di prospettiva.
La dimostrazione dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con le quali far fronte alle esigenze istituzionali, infatti, sarebbe dovuta emergere, come risultato esplicito di una indagine effettivamente compiuta, prima del conferimento dell’incarico.
Pertanto, non gravava sulla Procura l’onere di dimostrare che con il personale interno poteva farsi fronte alle attività per le quali erano stati conferiti incarichi a soggetti esterni. In altri termini, l’inottemperanza all’obbligo di legge di verificare la sussistenza di una condizione legittimante l’impiego di uno strumento operativo, non rovescia sul soggetto che quell’inottemperanza contesta, l’onere di dimostrarne la ricorrenza. Quell’obbligo era e continua ad essere riferibile, esclusivamente, al soggetto che quella verifica era chiamato a compiere prima di conferire l’incarico.
Sulla Procura agente, quindi, incombeva esclusivamente l’onere di constatare l’insussistenza di quell’approfondimento di carattere preliminare. E tale onere probatorio risulta compiutamente assolto.
A tali profili invalidanti, afferenti i singoli conferimenti di incarico, si affianca, poi, un'altra anomalia alla quale deve riconoscersi una non minore portata inficiante.
Non può infatti essere sottaciuto che i conferimenti sono stati operati senza assicurare adeguata pubblicità alle esigenze che giustificavano il ricorso a professionalità esterne, senza, cioè, avviare procedure che consentissero di contemperare i principi generali della trasparenza e del buon andamento con l'esigenza dell’Ente, versante in una condizione finanziaria oltremodo deteriorata, di approvvigionarsi all’esterno di apporti collaborativi a costi congrui, frutto del fisiologico operare delle regole della concorrenza.
Né, a diversa conclusione può pervenirsi dando rilievo alle risultanze degli estratti del protocollo interno, prodotti in udienza dalla difesa del convenuto. Anche a voler ritenere superabile l’opposizione manifestata dalla Procura (sempre in sede di trattazione orale della vertenza) alla produzione documentale in ordine alla mancanza di certezza della provenienza del materiale, dai documenti prodotti non emergono elementi valutativi che consentano diversi apprezzamenti: le asserite relazioni epistolari con altri soggetti che avrebbero potuto svolgere l’incarico o con il soggetto incaricato di svolgere l’incarico allo scopo di ottenere una riduzione del compenso non appaiono, infatti, corroborate da elementi di riscontro idonee ad elevare il grado di attendibilità delle affermazioni difensive fino alla soglia della prova.
In proposito sembra opportuno evidenziare che, secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr., ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez. Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che all’adozione di quegli atti abbiano concorso.
In altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento in occasione dei conferimenti degli incarichi di consulenza in precedenza specificati integrano fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento degli incarichi a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica. La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, il rispetto delle limitazioni, per quanto di rilievo nel presente giudizio, di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta per la remunerazione del consulente: le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questo, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado (tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent 06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007, n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n. 672), che in grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent. 20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74 ; Sez. App. I Sent. 04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent. 13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche l’avallo della locale Sezione d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010; 196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008; 122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (rispondenza dell'incarico agli obiettivi dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico; indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del consulente privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione) che legittimano il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. «devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti», ha affermato che, «nei rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si realizzi il danno».
L’illegittimità dei conferimenti degli incarichi costituisce il presupposto di antigiuridicità da cui è viziato il comportamento dell’allora Commissario dell’Ente Fiera e l’antecedente causale da cui discende il danno erariale subito dall’Ente pari alle somme che sono state pagate per la remunerazione dei consulenti.
Tale condotta è imputabile quantomeno a titolo di colpa grave. Il Commissario, infatti, ha reiteratamente posto in essere comportamenti espressivi, in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte, Sez. App. Sicilia 101/A/2010), di un elevato grado di colpevolezza, e cioè connotati da “evidenti e marcate trasgressioni degli obblighi di servizio o di regole di condotta che siano ex ante ravvisabili e riconoscibili per dovere professionale d’ufficio, e che, in assenza di oggettive ed eccezionali difficoltà, si materializzano nell’inosservanza del minimo di diligenza richiesto nel caso concreto ovvero in una marchiana imperizia o in una irrazionale imprudenza” (SS.RR. n. 56/A del 1997).
In definitiva, considerando che le prescrizioni normative a cui doveva imperativamente essere conformata la condotta gestionale afferente l’impiego di professionisti esterni erano di una chiarezza tale non consentire alcun ragionevole spazio di opinabilità interpretativa e applicativa, deve ritenersi che i reiterati e rilevantissimi scostamenti dal solco della legittimità siano dipesi da ingiustificabile leggerezza gestionale che integra una condotta gravemente colposa (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, sentenza 29.04.2011 n. 1679 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: CONSULENZE/ Nuovi limiti se la spesa è stata zero.
Se un ente locale ha fatto registrare nel 2009 una spesa per incarichi e consulenze pari a zero (il che rende impossibile applicare la riduzione dell'80% imposta dal dl 78/2010), bisognerà trovare un nuovo parametro per il calcolo dei tagli. Il nuovo limite sarà rappresentato dalla spesa strettamente indispensabile che l'ente sosterrà nell'anno in cui si verifica l'assoluta necessità di conferire l'incarico. E questa nuova soglia costituirà a sua volta il punto di riferimento per applicare i tagli negli anni successivi.

Lo ha chiarito la Corte dei conti della Lombardia nel parere 29.04.2011 n. 227.
I giudici lombardi hanno fatto notare che, se non si adottasse questa interpretazione, «la riduzione lineare prevista dall'art. 6, comma 7 (del dl 78 ndr), finirebbe per premiare gli enti meno virtuosi che nel corso del 2009 hanno sostenuto una spesa per consulenze rilevante. Mentre al contrario si penalizzerebbero gli enti più virtuosi che nello stesso periodo hanno sostenuto una spesa pari a zero».
In ogni caso, ha concluso la Corte, gli enti dovranno sempre motivare in ordine alle ragioni che hanno reso necessario il ricorso agli incarichi (articolo ItaliaOggi dell'11.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: No ai mutui per dare incarichi. La spesa non può essere giustificata come investimento. La Corte dei conti bacchetta gli enti locali: l'elenco della Finanziaria 2004 è tassativo.
La spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico non può essere finanziata dal comune attraverso l'accensione di un mutuo o di un'altra forma di indebitamento, in quanto non può essere considerata quale spesa per investimento.
Questo, perché l'elenco delle operazioni economiche che costituiscono investimenti, contenuto all'art. 3, comma 18, della legge Finanziaria 2004, è da considerasi tassativo e, tra queste, non vi è menzionata la spesa per la progettazione di un piano urbanistico.

E' quanto hanno affermato le Sezz. riunite di controllo della Corte dei Conti, nel testo della deliberazione 28.04.2011 n. 25, dirimendo una questione di massima rilevanza in merito alla possibilità di ricorrere all'indebitamento per poter procedere all'affidamento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico. ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2011 - tratto da www.ecostampa.com).

INCARICHI PROFESSIONALIAi fini della conclusione di un contratto d'opera professionale, che, quando ne sia parte la pubblica amministrazione, va redatto, a pena di nullità, in forma scritta, è irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, richiamando ed approvando anche lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista.
Ai fini della conclusione di un contratto d'opera professionale, che, quando ne sia parte la pubblica amministrazione, va redatto, a pena di nullità, in forma scritta, è irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, richiamando ed approvando anche lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista.
Detta deliberazione non costituisce, infatti, una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatolo (in tal senso è la massima della sentenza n. 17695 del 2003; si rammentano anche, da ultimo, Cass. n. 10299 del 2010 e, tra le altre, Cass. nn. 14570 del 2004 - 3042 del 2005 - 24296 del 2005 - 17650 del 2007 - 27407 del 2008) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 20.04.2011 n. 9080).

INCARICHI PROGETTUALI: Determinazione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture n. 5 del 27.07.2010 recante “Linee guida per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria” - Analisi e commenti (link a www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: C. Rapicavoli, Incarichi di consulenza e collaborazione – Chiarimenti della Corte dei Conti (link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALIConferimento da parte della P.A. di un incarico professionale di direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza. La controversia esula dalla giurisdizione del Giudice amministrativo.
Una controversia avente ad oggetto la revoca dell’incarico di direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza, conferito ad un professionista esterno dalla P.A., che sia intervenuta successivamente alla stipula del relativo contratto, esula dalla giurisdizione del Giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 7 del Codice del processo amministrativo, approvato con D.L.vo 02.07.2010 n. 104, poiché concerne la fase esecutiva del contratto con la P.A., in cui si configurano posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti di natura privatistica, nelle quali non hanno incidenza i poteri discrezionali e autoritativi della P.A. stessa (Cfr. Cass., SS.UU., 19.11.2001, n. 14539; TAR Lazio, I, 19.02.2003, n. 1269; TAR Puglia-Lecce, 07.02.2003, n. 420; TAR Campania-Napoli, 22.09.2003, n. 11539 e da ultimo Cass. SS.UU. 12.05.2006 n. 10998).
Il conferimento, da parte di un Ente pubblico, di un incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell'Ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata (Cfr. TAR Puglia-Bari 27.10.1997, n. 715) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.03.2011 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Oggetto: Art. 6, comma 7, del decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30.07.2010, n. 122. Spesa annua per studi ed incarichi di consulenza (circolare 14.03.2011 n. 3/2011).

INCARICHI PROFESSIONALILa Sezione ha già sottolineato in merito a questa norma (ndr: art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n. 122/2010) che il superamento del vincolo di spesa e la violazione del regime restrittivo si traduce in una violazione di legge, costituendo vizio di validità del provvedimento amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo, illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale.
Come emerge dal tenore letterale della norma, la portata della disposizione limitativa concerne gli incarichi per studi e consulenze, senza ricomprendere né quelli di ricerca né le altre collaborazioni autonome.
L
addove l’incarico conferito dalla Pubblica Amministrazione al soggetto terzo si configuri stricto sensu quale consulenza o studio, la Sezione non ritiene possibile individuare in via interpretativa tipologie di esclusione dal tetto di spesa ex art. 6, comma 7, d.l. 78/2010, valorizzando ad esempio “l’autofinanziamento” dell’attività, atteso il chiaro tenore precettivo della disposizione e la puntuale individuazione legale dei casi di esclusione.
Invece, nel caso in cui l’incarico –rientrante nell’ampio genus delle collaborazioni autonome- non sia sussumibile in queste due specifiche prestazioni (studio o consulenza), esso non rientra nel limite di spesa in oggetto: a questo proposito, infatti, è preferibile valorizzare un’interpretazione letterale delle attività rientranti nel “tetto di spesa” in stretto raccordo con l’espresso presidio sanzionatorio.
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Con nota n. 33012 del 16.12.2010 (prot. c.c. n. 15 del 03.01.2011) il Sindaco del Comune di Garbagnate Milanese (MI) formula a questa Sezione un quesito in ordine alla deroga al limite degli incarichi per consulenza.
Nel dettaglio, la Civica Amministrazione chiede se sia possibile derogare al limite di spese per consulenze previsto dall’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 convertito nella l. n. 122/2010, ammettendo quelle che portano ad un incremento delle entrate migliorando il saldo complessivo tra entrate e spese. Si ipotizza che un ente debba conferire un incarico professionale con compenso in percentuale sulle maggiori entrate o economie di spesa superando, con il preventivo assenso dei revisori, il limite di cui al d.l. n. 78/2010.
L’organo rappresentativo del Comune si interroga se sia possibile assimilare tale fattispecie all’esclusione dall’alveo delle spese per il personale degli incentivi per il recupero dell’ICI, a fronte dell’autofinanziamento con l’incremento delle entrate ed il conseguente miglioramento del saldo complessivo tra entrate e uscite. L’Amministrazione da ultimo osserva che, opinando in senso negativo, le finanze comunali patirebbero un significativo pregiudizio in quanto la limitazione di tali consulenze comporterebbe la perdita di maggiori entrate o economie di spesa anche di entità significativa.
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La richiesta di parere concerne l’esegesi dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che statuisce quanto segue: “al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e di consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle Forze Armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”.
La disposizione pone un chiaro limite di spesa storicizzato alla frazione di un quinto di quella sostenuta nel 2009, quale requisito per la legittimità del conferimento dell’incarico di consulenza e studio, con un espresso presidio sanzionatorio in termini di responsabilità erariale e disciplinare.
In sede di referto sulla gestione la Sezione ha già sottolineato in merito a questa norma che il superamento del vincolo di spesa e la violazione del regime restrittivo si traduce in una violazione di legge, costituendo vizio di validità del provvedimento amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo, illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale (delibera 13.12.2010 n. 1051 – indagine sul fenomeno degli incarichi di consulenza e di collaborazione autonoma affidati dagli enti locali della Lombardia nell’anno 2009).
Come emerge dal tenore letterale della norma, la portata della disposizione limitativa concerne gli incarichi per studi e consulenze, senza ricomprendere né quelli di ricerca né le altre collaborazioni autonome.
Al fine di cogliere nel concreto i confini di tale summa divisio tra attività ricomprese ed escluse dall’alveo dell’art. 6, comma 7, d.l. n. 78/2010, il Collegio rammenta che la giurisprudenza contabile (sin dalla deliberazione SS.RR. in sede di controllo n. 6 del 15.02.2005) ha fornito un’articolata definizione degli istituti oggetto del limite di spesa: per gli incarichi di studio il riferimento è all’articolo 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione scritta espositiva della soluzione proposta al fine di orientare la successiva attività dell’ente, mentre le consulenze si sostanziano nella richiesta di parere ad un esperto esterno. Queste ultime possono assumere un vario contenuto (ad es. soluzione di questioni e problemi controversi, consulenze legali stragiudiziali, tecniche, tributarie e contabili), sfociando anche in valutazioni, espressioni di giudizi e supporti specialistici.
Premesse tali generali coordinate ermeneutiche, laddove l’incarico conferito dalla Pubblica Amministrazione al soggetto terzo si configuri stricto sensu quale consulenza o studio, la Sezione non ritiene possibile individuare in via interpretativa tipologie di esclusione dal tetto di spesa ex art. 6, comma 7, d.l. 78/2010, valorizzando ad esempio “l’autofinanziamento” dell’attività, atteso il chiaro tenore precettivo della disposizione e la puntuale individuazione legale dei casi di esclusione.
Invece, nel caso in cui l’incarico –rientrante nell’ampio genus delle collaborazioni autonome- non sia sussumibile in queste due specifiche prestazioni (studio o consulenza), esso non rientra nel limite di spesa in oggetto: a questo proposito, infatti, è preferibile valorizzare un’interpretazione letterale delle attività rientranti nel “tetto di spesa” in stretto raccordo con l’espresso presidio sanzionatorio.
Allo stato –ferma la mancanza dei necessari elementi di fatto per una compiuta cognizione della fattispecie– non appare agevole inquadrare le attività indicate dal Comune nell’alveo degli incarichi di consulenza e di studio ut supra descritti. Nella fattispecie oggetto del quesito, infatti, sembra venire in emersione una modalità di provvista dell’apparato comunale per lo svolgimento di attività nuove o diverse rispetto a quelle ordinarie svolte dall’ente locale mediante i propri uffici tecnici ed amministrativi: orbene, queste attività ulteriori non paiono comunque esaurirsi nella consegna al Comune di una relazione scritta o nella richiesta di parere o di giudizio ad un esperto extraneus all’Amministrazione.
Per completezza, si precisa che il conferimento dell’incarico di collaborazione finalizzato alla provvista del predetto apparato, benché tale da comportare un saldo finanziario positivo, deve rispettare puntualmente i requisiti di legittimità ex art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 sui quali si è più volte soffermata la giurisprudenza della Sezione (da ultimo, cfr. la citata delibera 13.12.2010 n. 1051) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 07.02.2011 n. 68).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi, si respira. Fuori dai tagli le spese finanziate. I chiarimenti delle sezioni unite della Corte dei conti.
Per gli enti locali sono fuori dal taglio alle spese per collaborazioni e consulenze gli incarichi finanziati da Ue, stato e regioni.
La deliberazione 07.02.2011 n. 7 della Corte dei conti, sezioni riunite, contiene indicazioni preziosissime per l'applicazione dei tagli alle spese apportati dall'articolo 6, comma 7, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.
La disposizione ha stabilito che a decorrere dal 2011 la spesa annua per studi e incarichi di consulenza non possa essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009. Un primo problema posto dalla disposizione riguarda il criterio di computo delle spese, risultando incerto se prendere come parametro la cassa o la competenza.
Le sezioni riunite accolgono l'accezione di «spese sostenute» fornita dalla circolare 40/2010 del ministero dell'economia, coincidente col concetto di spesa impegnata. Dunque, il criterio da seguire è quello della competenza e non della cassa. Tanto più per gli enti locali, obbligati dall'articolo 3, commi 54-57, della legge 244/2007 a programmare gli incarichi esterni.
Infatti, secondo la delibera 7/2007 «assumere a riferimento il dato di cassa relativo all'anno 2009 potrebbe non essere funzionale alle esigenze di contenimento della spesa» previste dalla manovra economica 2010, in quanto il dato relativo a quanto materialmente pagato quell'anno potrebbe dipendere da circostanze del tutto fortuite e casuali.
L'aspetto più rilevante della pronuncia delle sezioni riunite, però, riguarda l'esclusione dal computo del monte del 2009 delle spese per incarichi esterni, coperte da finanziamenti aggiuntivi alle ordinarie risorse di bilancio, provenienti da trasferimenti di altri soggetti, pubblici o privati. Dunque, non subiscono un taglio le spese direttamente sorrette da un vincolo di destinazione di un trasferimento pubblico.
Pertanto, per esempio, gli enti locali che ricevano da un soggetto privato (per esempio, una fondazione bancaria o uno sponsor) finanziamenti per realizzare progetti specifici includenti la necessità di incarichi esterni, non restano vincolati al drastico taglio della spesa.
Altrettanto può dirsi per finanziamenti statali e regionali. Se così non fosse, spiegano le sezioni riunite, si impedirebbe l'erogazione della spesa per incarichi esterni, nonostante risulti integralmente finanziata da soggetti estranei all'ente locale. In questo caso, se si computassero i finanziamenti esterni nel taglio, non si conseguirebbero i risparmi di bilancio per singolo ente, oggetto della manovra economica: l'unico effetto sarebbe ridurre tout court le spese per incarichi, senza significativi impatti finanziari sui bilanci. Una conseguenza irrazionale, da scongiurare.
Ovviamente, il semplice fatto che l'ente locale riceva un finanziamento di terzi non legittima di per sé l'assegnazione di incarichi esterni: rimangono sempre in piedi i presupposti e le condizioni previste dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001. Laddove, tuttavia, risultino rispettate le condizioni per l'affidamento, se questo è finanziato con risorse esterne, non cade nelle lame del taglio imposto dalla manovra 2010 (articolo ItaliaOggi del 11.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Responsabilità amministrativo-contabile - Conferimento di incarichi esterni – Collaborazioni coordinate e continuative - Requisiti.
Responsabilità amministrativo-contabile – Conferimento di incarichi esterni – Collaborazioni coordinate e continuative - Difetto dei requisiti di cui all’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 - Sussistenza - Fattispecie.
Conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi antigiuridico e produttivo di danno erariale il conferimento di incarichi mediante contratti di co.co.co., aventi ad oggetto attività alle quali si possa far fronte con personale interno dell'ente, o estranee ai fini istituzionali, o troppo onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.
Deve considerarsi conferito in difetto delle condizioni previste dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, e quindi illecito e produttivo di un danno ingiusto all’erario, l’incarico co.co.co. attribuito ad un professionista esterno, rispetto al quale non sia rinvenibile un ambito d’intervento connotato da un oggetto ben definito, bensì relativo ad un’attività professionale di consulenza ad ampio spettro ("analisi e studio dei contesti amministrativi e tecnici del settore distaccato di ... , sotto l'aspetto gestionale..." ), che avrebbe potuto svolgere il personale in organico (1)
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(1) In merito all’illecito conferimento di incarichi esterni, vedi anche, su questo sito, la sentenza della Sez. Giurisdizionale Lombardia n. 627/2010 e le sentenze della Sez. Prima Centrale d’Appello n. 393/2008 e n. 25/2010 (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 18.01.2011 n. 83 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni - Manovra economica di cui al d.l. n.78/2010 - Riduzione della spesa per studi e consulenze - Interpretazione.
L'art. 6, co. 7, del d.l. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, prevede che, "al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza...non può essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009".
La Sezione propende per l'interpretazione più restrittiva del riferimento a "studi e incarichi di consulenza", escludendo quindi le collaborazioni coordinate e continuative, nonché gli incarichi di ricerca.
Il taglio percentuale della spesa si riferisce non a quella stanziata, ma a quella effettivamente sostenuta, cioè impegnata, anche se non erogata nell'anno di riferimento.
Il fine, perseguito dal legislatore, "di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni", induce a ritenere che la riduzione del costo della spesa per gli incarichi, non ricomprenda le consulenze talmente specialistiche da non poter essere affidate a professionalità interne all'Amministrazione (massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 10.01.2011 n. 6).

INCARICHI PROFESSIONALI: Inarcassa: dall'01.01.2011 aumenta al 4% il contributo integrativo per Ingegneri e Architetti. Guida alla redazione delle fatture.
L´aumento del contributo integrativo dal 2% al 4% per ingegneri e architetti, previsto dal D.M. 05.03.2010 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19/03/2010, scatta a partire dal 01/01/2011.
Con l’occasione BibLus-net propone ai lettori alcuni esempi di redazione di fatture per prestazioni professionali considerando tutta la casistica possibile per tipologia di professionista: ... (link a www.acca.it).

anno 2010

INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO: M. Balestieri, Conferimento di incarichi di progettazione e di direzione dei lavori ai dirigenti a contratto: danno erariale (Ufficio Tecnico n. 11-12/2010).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Comune di San Giorgio Jonico (TA) - Il Sindaco chiede il parere di questa Corte in ordine all’ambito applicativo della norma dell’art. 25 della legge n. 724 del 23.12.1994; chiede cioè se il divieto -ivi previsto- di conferimento di incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca per chi abbia cessato volontariamente dal servizio a determinate condizioni (privo del requisito previsto per il pensionamento per vecchiaia, ma in presenza di quello per la pensione anticipata di anzianità), da parte dell’amministrazione di provenienza, si riferisca solo ai rapporti di consulenza oppure sia da applicarsi anche ai casi di “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL”.
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Con riferimento agli “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL” la norma citata è da disapplicare alla luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40 D.Lgs. n. 150/2009.
Gli incarichi “a contratto” possono essere conferiti dagli enti locali esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001, con relativa necessità di una procedura comparativa volta alla selezione del destinatario dell’incarico.
La ratio della norma di divieto di cui alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un duplice obiettivo: da una parte, salvaguardare l’imparzialità e la trasparenza nel conferimento degli incarichi, atteso che è proprio nel particolare caso di ex dipendenti dell’amministrazione che tali esigenze si pongono in modo più pressante; dall’altra, garantire risparmi di spesa, impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui perseguimento contribuiscono oggi l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e la previsione, ai sensi dell’intervenuta novella del corrente anno, dell’obbligo di procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali restrizioni quantitative di utilizzo dell’istituto (art. 19, comma 6)– è realizzato dalla norma in esame nel senso di seguito esposto. E’ la stessa Corte Costituzionale, supremo giudice delle leggi, che ha avuto modo di chiarire come “la disposizione tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e la imparzialità dell'azione amministrativa” (sentenza n. 406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n. 724/1994, dunque, la “trasparenza” e l'“imparzialità” passano da attributi generali dell’azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall'Amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l’Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all’espletamento di ulteriori attività lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e perciò in contrasto con i canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 della Costituzione, affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, dimostrando così di non volere più prestare il proprio operato a vantaggio della loro ex Amministrazione di appartenenza. E’ evidente infatti l'irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l’attività commissionata con l’incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendente fosse rimasto ancora in servizio, laddove -dopo le dimissioni- il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione differita” dall’ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi generali e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell’incarico.

... il riferimento contenuto nel quesito agli “incarichi a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL” è da considerare improprio alla luce dell’interpretazione, già sostenuta da questa Sezione, secondo la quale la norma citata è da disapplicare alla luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40 D.Lgs. n. 150/2009.
I commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL risultano non più applicabili, in quanto incompatibili con la cd. riforma Brunetta e con una lettura costituzionalmente orientata delle norme, come riformulate.
Le tesi contrarie, basate essenzialmente sui due elementi della “specialità” dell’art. 110 e della “clausola di rafforzamento” contenuta nell’art. 1, comma 4, dello stesso TUEL, sono così state sconfessate (parere 17.06.2010 n. 44 Sezione Regionale di Controllo Puglia). Ne consegue che gli incarichi “a contratto” possono essere conferiti dagli enti locali esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001 (Corte Costituzionale, sentenza 12.11.2010 n. 324), con relativa necessità di una procedura comparativa volta alla selezione del destinatario dell’incarico.
La tendenza del legislatore in questi ultimi anni, infatti, procede nel senso della creazione di un assetto della dirigenza pubblica prevalentemente fondato su rapporti di lavoro a tempo indeterminato ai quali si acceda mediante pubblica procedura selettiva, con conseguente restrizione degli spazi riservati ai contratti a termine, specie se conferiti sulla base di elementi di fiduciarietà.
Tale volontà tendenziale è desumibile anche dalla riduzione delle quote percentuali di dotazione organica entro cui è possibile il conferimento degli incarichi, come previsto dalla legge delega n. 15/2009 (poi sfociata nel D.Lgs. n. 150/2010) rispetto alla normativa previgente.
Occorre a questo punto, al fine di risolvere la questione sottoposta all’odierna analisi, interrogarsi sull’effettiva natura dei cd. “incarichi a contratto” di cui all’art. 110 TUEL.
Tale norma dispone che l'affidamento degli incarichi da parte degli enti locali possa avvenire con contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, con contratto di diritto privato, purché il soggetto incaricato disponga dei requisiti necessari per la copertura della qualifica professionale cui è destinato.
Detti incarichi, attribuiti al di fuori della dotazione organica per espressa previsione di legge, non possono avere durata superiore al mandato elettorale del sindaco. La specifica natura dei rapporti di lavoro che ne derivano (chiarita anche dalla rubrica della norma), è contrattuale; essi non danno infatti diritto all'inserimento nella dotazione organica dell'amministrazione conferente, bensì comportano l'affiancamento, alla dirigenza di ruolo, di dirigenti non di ruolo, con incarichi specifici e a tempo determinato.
Che si tratti poi di rapporti di lavoro subordinato, è desumibile dal fatto che i dirigenti o i responsabili di servizio, destinatari della norma, risultano sottoposti alle direttive degli organi politici, elemento che contraddistingue, congiuntamente ad altri indici sintomatici -quali ed esempio l’essere oggetto della prestazione una obbligazione di risultati e non di mezzi- proprio il rapporto di lavoro subordinato.
Sotto questo profilo tali incarichi si differenziano dai contratti d'opera professionale, nei quali, al contrario, non è presente alcuna soggezione alle direttive del committente, né vi è obbligazione di risultato, bensì di mezzi, in quanto il professionista svolge il suo operato fornendo al committente un’opera o un servizio verso un corrispettivo.
Ora, ad avviso della scrivente Sezione, la ratio della norma di divieto di cui alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un duplice obiettivo: da una parte, salvaguardare l’imparzialità e la trasparenza nel conferimento degli incarichi, atteso che è proprio nel particolare caso di ex dipendenti dell’amministrazione che tali esigenze si pongono in modo più pressante; dall’altra, garantire risparmi di spesa, impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui perseguimento contribuiscono oggi l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e la previsione, ai sensi dell’intervenuta novella del corrente anno, dell’obbligo di procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali restrizioni quantitative di utilizzo dell’istituto (art. 19, comma 6)– è realizzato dalla norma in esame nel senso di seguito esposto. E’ la stessa Corte Costituzionale, supremo giudice delle leggi, che ha avuto modo di chiarire come “la disposizione tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e la imparzialità dell'azione amministrativa” (sentenza n. 406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n. 724/1994, dunque, la “trasparenza” e l'“imparzialità” passano da attributi generali dell’azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall'Amministrazione che attribuisce gli incarichi stessi, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l’Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all’espletamento di ulteriori attività lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e perciò in contrasto con i canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 della Costituzione, affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, dimostrando così di non volere più prestare il proprio operato a vantaggio della loro ex Amministrazione di appartenenza. E’ evidente infatti l'irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l’attività commissionata con l’incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendente fosse rimasto ancora in servizio, laddove -dopo le dimissioni- il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione differita” dall’ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi generali e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell’incarico.
Così individuati la ratio, le finalità e l’oggetto specifico della tutela del “divieto” posto dall'art. 25 della legge n. 724/1994, è evidente che esso copre ogni forma di incarico, e non solo quelli di consulenza in senso stretto. D’altronde se, ai fini di una diversa conclusione, può indurre a dubbi l'intestazione dell'art. 25, che menziona solo gli “incarichi di consulenza”, la lettera della norma, alla luce dell’indagine appena tratteggiata circa l’intento del legislatore, induce a ritenere, ad avviso di questa Sezione, che essa sia da riferirsi oltre che agli “incarichi di consulenza, studio e ricerca”, anche a quelli che danno luogo ad un rapporto di lavoro subordinato (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Puglia, parere 15.12.2010 n. 167).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni ma solo dopo una comparazione.
Gli enti pubblici possono affidare incarichi professionali di collaborazione esterna solo dopo una scelta comparativa: questo è il principio sottolineato dal TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.12.2010 n. 26815 ... (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.12.2010 - link a www.ecostampa.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Regolamento per gli incarichi agli esterni.
La pubblica amministrazione non può affidare un incarico ad un soggetto estraneo se prima non si è dotata di un apposito regolamento che disciplini il conferimento di incarichi di collaborazione, così come prevede l'articolo 7, comma 6-bis del testo unico sul pubblico impiego. Inoltre, affinché l'incarico abbia efficacia, è necessaria una verifica preliminare che all'interno dell'organizzazione dell'ente manchi il personale idoneo, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo e che le prestazioni da conferire siano di carattere eccezionale e temporaneo, escludendo a priori proroghe di incarichi già conferiti.
È quanto ha rilevato la Sezione centrale di controllo di legittimità della Corte dei Conti, nel testo della deliberazione 19.11.2010 n. 25, con la quale ha ricusato il visto e non ha ammesso a registrazione il conferimento da parte dell'Autorità portuale di Trieste, di un incarico di consulenza legale nello staff della presidenza.
Il collegio della Corte, ha rilevato infatti che, in violazione di quanto previsto dall'articolo 7, comma 6-bis del dlgs n. 165/2001, l'ente non si è ancora dotato del regolamento che disciplina e rende pubbliche le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione e, la mancanza di questo fondamentale presupposto già di per è sarebbe condizione per la non ammissione al vaglio del provvedimento di incarico.
Quanto al merito dell'incarico, secondo giurisprudenza ormai consolidata della stessa magistratura contabile, il conferimento di un incarico di consulenza a soggetti esterni all'apparato amministrativo può ritenersi legittimo ove si renda necessario per affrontare problematiche di particolare complessità o urgenza che non possano essere adeguatamente o tempestivamente risolte avvalendosi delle professionalità interne e a condizione che il medesimo incarico sia sufficientemente determinato nei suoi contenuti e nella sua durata.
Nel conferimento delle consulenze esterne, pertanto, le amministrazioni pubbliche devono attenersi a quattro fondamentali principi. Innanzitutto, l'effettiva rispondenza dell'incarico a obiettivi specifici dell'amministrazione conferente. Poi, dovrà essere certificato il carattere eccezionale e temporaneo delle prestazioni che costituiscono l'oggetto della consulenza, nonché la comprovata mancanza all'interno dell'organizzazione dell'Ente, di personale idoneo, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, a sopperire alle esigenze che determinano il ricorso alla consulenza e, come detto, che l'attribuzione ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, avvenga mediante una procedura concorsuale che sia disciplinata da un apposito regolamento interno. Nel caso posto al vaglio della Corte, l'incarico difetta dei requisiti di eccezionalità e temporaneità, in quanto non fa riferimento ad una problematica eccezionale, ma abbraccia «tutte le implicazioni giuridiche sottese alle normali attività istituzionali» dell'autorità portuale di Trieste.
Quanto al carattere temporaneo, poi, la Corte ha rilevato che «è evidente che tali complesse attività non hanno neanche la caratteristica di essere meramente temporanee, giacché le prestazioni del consulente si protraggono ormai da tre anni, trattandosi di una proroga della consulenza medesima».
Infine, l'ente concedente non ha adeguatamente motivato la mancanza di specifiche professionalità idonee allo svolgimento di tali compiti all'interno delle strutture organizzative. Anzi, si è affermato che, in relazione al mancato adeguamento della pianta organica alle proprie esigenze, sono stati assunti alle dipendenze dell'Autorità portuale due unità in possesso di specifiche professionalità parzialmente idonee ad assumere in prospettiva mansioni di rilevante responsabilità, dopo adeguato inserimento e maturazione della necessaria esperienza (articolo ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Responsabilità amministrativa e contabile - Conferimento di incarichi di consulenza da parte di pubbliche amministrazioni – Requisiti.
Responsabilità amministrativa e contabile – Conferimento di incarichi di consulenza da parte di pubbliche amministrazioni – Svolgimento di attività continuativa - Illiceità - Fattispecie.
Responsabilità amministrativa e contabile – Elementi – Colpa grave - Conferimento di incarichi di consulenza in difetto dei requisiti previsti dalle norme in materia - Sussistenza - Fattispecie.
Responsabilità amministrativa e contabile - Conferimento di incarichi di consulenza da parte di pubbliche amministrazioni – Compensatio lucri cum damno - Esclusione - Fattispecie.

La disciplina in tema di conferimento di incarichi di consulenza da parte di enti e organismi pubblici è intesa ad evitare che si possa verificare uno spreco di risorse dell’ente pubblico, mascherando per consulenza un’attività che può essere svolta da personale interno dell’amministrazione e già da quest’ultima retribuito; la pubblica amministrazione, in conformità al dettato di cui all’art. 97 della Costituzione, deve infatti uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza ed imparzialità, dei quali diviene corollario il principio secondo cui la stessa, nell’assolvimento dei propri compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto (1).
E’ illecito e fonte di danno erariale un incarico di consulenza che si sia sostanzialmente risolto nella direzione e di gestione di una struttura amministrativa –peraltro protrattasi per oltre un quinquennio- trattandosi nella specie di attività del tutto incompatibile con i requisiti, previsto dalle norme in materia, della temporaneità e della necessaria specificità dell’incarico, da intendere soprattutto come apporto per la soluzione di specifiche problematiche e non implicante svolgimento di attività continuativa.
Sussiste l’elemento soggettivo della colpa grave nei confronti del vertice amministrativo di una struttura pubblica (nella fattispecie, ASL), che abbia conferito un incarico di consulenza in violazione delle prescrizioni di legge, da ritenere chiarissime in materia; ciò in quanto, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la determinazione del grado della colpa deve essere compiuta tenendo soprattutto conto della qualità del soggetto agente: a tal fine assumono peculiare rilevo la qualifica professionale rivestita, le specifiche competenze ed attribuzioni, la posizione funzionale, essendo fuori discussione che a funzionari di elevata professionalità e con attribuzioni di direzione sia richiesto un particolare grado di perizia e diligenza nella trattazione degli affari sottoposti alla loro valutazione.
Nel caso di spesa illegittima sostenuta da un ente pubblico (ASL) per il conferimento di un incarico di consulenza in contrasto con la disciplina normativa nella materia, non vi è titolo a compensatio lucri cum damno, neppure parziale, con riferimento alle prestazioni fornite dal consulente, dalle quali l’ente danneggiato non ha tratto alcuna utilità, in ragione della non compiuta utilizzazione e valorizzazione delle professionalità interne (2).
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(1) Cfr., in terminis, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lazio, 12.05.2008, n. 787 e 18.08.2009, n. 1660; Sezione giurisdizionale Sardegna, 18.09.2008, n. 1831
(2) Cfr., in terminis, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lazio, 12.05.2008, n. 787; Sezione giurisdizionale Emilia-Romagna, 15.01.2008, n. 21
(massima tratta da www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia, sentenza 02.11.2010 n. 627 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIntanto le p.a. chiedono conti dedicati ai professionisti.
Le pubbliche amministrazioni chiedono anche ai professionisti di aprire conti dedicati. L'applicazione dell'articolo 3 della legge 136/2010 sembra, infatti, non escludere i consulenti dall'obbligo di tracciabilità dei compensi. Anche andando al di là della stretta lettera della formulazione della norma. In effetti la disposizione citata parla solo di appaltatori, subappaltatori e subcontraenti della filiera delle imprese e di concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture.
Tuttavia, allo scopo di chiarire la portata dell'articolo 3, gli enti pubblici si stanno chiedendo se debba essere usata la definizione di operatore economico introdotto dal codice dei contratti pubblici.
Si tratta di una definizione molto ampia che comprende una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, compreso il gruppo europeo di interesse economico (Geie), purché offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi ... (articolo ItaliaOggi del 14.09.2010 - tratto da a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI:  Incarichi light con limiti incerti. La legge 122 impone di ridurre de1 10% i compensi rispetto al 30.04.2010. Manovra, Mancano i parametri per applicare la stretta ad attività non frazionabili come progetti e assistenza Legale.
Dal 1° gennaio 2011 tutte le pubbliche amministrazioni individuate dall'Istat dovranno ridurre del 10% i compensi ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, cda e organi collegiali, e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
La norma (articolo 6, comma 3 della legge 122/2010) dispone l'adeguamento automatico di queste voci di spesa rispetto ai valori risultanti alla data del 30.04.2010, e ne blocca gli importi massimi sino a tutto il 2013 ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.09.2010, pag. 11 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: L’ingegnere ha diritto al compenso anche per la progettazione di un’opera irrealizzabile.
L’ambito della responsabilità professionale va progressivamente estendendosi a tutte le categorie di professionisti, dai medici agli avvocati, notai, commercialisti, ecc.. Accade, così, che anche l’operato degli ingegneri e, più in generale, dei progettisti viene sottoposto sempre più di frequente al vaglio della giurisprudenza sotto il profilo dell’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del proprio cliente/committente.
Nell’ultimo periodo, si registrano alcune interessanti pronunce, di merito e di legittimità, già intervenute in tema di responsabilità del progettista.
Nella sentenza 19.08.2010, n. 18747, giunge al vaglio della Corte di Cassazione -sia pure sotto il (solo) profilo della perdita del diritto ai compensi- un caso nel quale l’ingegnere aveva provveduto a redigere il progetto di un fabbricato che, carte alla mano, insisteva in parte sul fondo attiguo a quello appartenente ai committente che, peraltro, era di proprietà pubblica. Tale circostanza ostava alla concessione della licenza edilizia, con la conseguenza che il progetto eseguito dal professionista era risultato, in concreto, irrealizzabile.
Elemento decisivo, ancorché oggetto di alterne soluzione da parte dei giudici di merito, è rappresentato dal fatto che fossero stati proprio i clienti ad invitare l’ingegnere a realizzare il progetto prevedendo lo “sconfinamento” in proprietà comunale.
Secondo una prima prospettazione, un tale accordo, in quanto concluso in violazione di norme inderogabili, sarebbe da considerarsi nullo, con conseguente venir meno del diritto del professionista a percepire i compensi.
Tale prospettazione, proposta dalla difesa dei clienti, non ha convinto i Giudici di Piazza Cavour, i quali non hanno ravvisato che l’accordo avente ad oggetto la progettazione di un fabbricato “irrealizzabile” non si ponga in contrasto con nessuna norma inderogabile. La conclusione, invero perentoria, alla quale giunge la Suprema Corte, è condivisibile ed assolutamente in linea con gli indirizzi precedentemente espressi in tema di c.d. nullità virtuale dei contratti.
La violazione di norme indisponibili e inderogabili dalla volontà delle parti non vale da sola a concludere che la loro violazione determina la radicale nullità del contratto. Occorre, altresì, che le norme in considerazione, che si assumono violate, siano “norme di validità del contratto”, norme cioè che si riferiscono espressamente alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti e che, in assoluto o in presenza di determinate condizioni, vietano direttamente o indirettamente la stipulazione stessa del contratto.
Nella fattispecie, dunque, occorre accantonare l’impostazione fondata sull’istituto della nullità del contratto ed affrontare la questione nell’ottica della dicotomia adempimento/inadempimento dell’obbligazione professionale, con tutte le conseguenze che, rispettivamente ne derivano.
La redazione di un progetto irrealizzabile, ancorché rispondente alle indicazioni provenienti dal cliente, integra di regola un’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione gravante a carico del professionista. Il progettista, infatti, è senza dubbio tenuto ad informare i clienti dei vincoli ed, in generale, di ogni limitazione alla concreta realizzabilità del progetto derivanti dalla normativa e, quindi, a predisporre un progetto capace di assicurare un risultato utile per il cliente in quanto idoneo ad incassare le necessarie autorizzazioni amministrative.
Nulla vieta, tuttavia, ai clienti di commissionare al professionista un progetto irrealizzabile, da redigere espressamente senza rispettare uno o più vincoli derivanti dalla normativa vigente. A condizione che il professionista abbia correttamente e preliminarmente adempiuto agli obblighi informativi gravanti a carico del progettista e, quindi, appurato che il professionista abbia reso edotti i clienti che le indicazioni fornite dai clienti sono destinate a non poter trovare pratica realizzazione, l’incarico di procedere comunque alla redazione del progetto è pienamente valido ed efficace.
E’ una questione di limiti e contenuto del mandato: nell’ipotesi in esame, infatti, l’oggetto del contratto è proprio quello di predisporre un progetto senza rispettare uno o più vincoli normativi. Un siffatto contratto è pienamente valido, nella misura in cui non è vietato da alcuna norma imperativa (nullità) e (annullabilità) non sottende alcun vizio del consenso, essendo stati adempiuti preliminarmente i doveri informativi).
A questo punto, come anticipato, la questione ruota tutta intorno all’adempimento/inadempimento dell’obbligazione assunta dall’ingegnere/mandatario nei confronti del proprio mandante. Nella fattispecie, il progettista ha correttamente adempiuto all’incarico ricevuto, maturando in questo modo il diritto alla controprestazione, ossia al pagamento dei compensi.
Il ragionamento sotteso alla decisione della Corte, in definitiva, appare rispondente ai principi generali che presiedono alla materia dei contratti in generale, nonché ai più specifici principi, di fonte giurisprudenziale, che si vanno formando nel campo della responsabilità professionale (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 19.08.2010 n. 18747 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROGETTUALIProgettazioni Tariffe chiare e meno ribassi.
Maggiore dettaglio nella definizione dei corrispettivi a base di gara per la progettazioni; riferimento alle tariffe professionali; accurata verifica delle offerte anomale, riduzione dell'incidenza dei ribassi offerti dai progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi gli obiettivi perseguiti dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 27.07.2010 n. 5 sui servizi di ingegneria e architettura (si veda ItaliaOggi del 29/07/2010), che fa seguito ai lavori condotti da un apposito tavolo tecnico, cui hanno partecipato rappresentanti degli ordini professionali, delle associazioni di categoria interessate e del ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
La determinazione è stata pubblicata sul supplemento ordinario n. 196 alla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18.08.2010.
Il provvedimento (corredato da dieci tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti sulle disposizioni vigenti relative alle modalità di affidamento, alla determinazione dell'importo a base di gara, all'individuazione dei requisiti di partecipazione e dei criteri di aggiudicazione dell'offerta, prestando particolare attenzione al procedimento di verifica della congruità delle offerte (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 24).

INCARICHI PROFESSIONALIIn tema di acquisizione da parte di un ente pubblico di prestazioni professionali in assenza di copertura finanziaria, il riconoscimento del debito fuori bilancio non costituisce fattispecie idonea a produrre i medesimi effetti negoziali riconducibili alla fattispecie legale (costituita dalla delibera di conferimento dell’incarico, dalla stipulazione del contratto e dal relativo impegno contabile), ma può solo fondare un’azione di indebito arricchimento nei limiti del riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento per l’Amministrazione.
Come è stato osservato dalla Corte di Cassazione (sez. I, n. 7966 del 27.03.2008), in tema di acquisizione da parte di un ente pubblico di prestazioni professionali in assenza di copertura finanziaria, il riconoscimento del debito fuori bilancio non costituisce fattispecie idonea a produrre i medesimi effetti negoziali riconducibili alla fattispecie legale (costituita dalla delibera di conferimento dell’incarico, dalla stipulazione del contratto e dal relativo impegno contabile), ma può solo fondare un’azione di indebito arricchimento nei limiti del riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento per l’Amministrazione (C.G.A.R.S., sentenza 12.08.2010 n. 1106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGOIncarichi anche senza laurea. Soprattutto nei piccoli enti.
Non sempre è essenziale il possesso della laurea per l'attribuzione di un incarico ai sensi dell'art. 110 del Tuel.
L'indicazione arriva dalla sezione regionale della Corte dei Conti della Lombardia con la deliberazione n. 702/2010.
L'attribuzione di tali incarichi nelle amministrazioni prive di dirigenza deve essere temperata sia in relazione alle peculiari dimensioni organizzative dell'ente sia alla necessità che i servizi e le funzioni fondamentali vengano svolte regolarmente ... (articolo Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze esterne: solo se esulano dalle competenze del personale.
L’interessante sentenza della Corte dei Conti affronta l’annosa questione degli incarichi e delle consulenze esterne, sempre più spesso conferite, senza alcun criterio di economicità e buon andamento per la pubblica amministrazione (art. 1 della Legge 241/1990).
La vicenda riguarda la (CRIAS) Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane siciliane, che in assenza di atti deliberativi e senza procedure di evidenza pubblica, conferisce alla SDA soluzioni di azienda snc svariati servizi di consulenza.
Il Collegio dei revisori dei conti della (CRIAS) segnala alla Procura regionale della Corte dei Conti, tali irregolarità gestionali, che non tengono conto delle professionalità e delle competenze del personale in servizio, e che risultano prive di atti deliberativi. Il Consiglio di amministrazione dell’ente non è stato mai informato, in violazione dell’art. 13 dello Statuto della CRIAS, che ne prevede l’esclusiva competenza per la delibera degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
E’ bene evidenziare che l’ordinamento attribuisce ad un soggetto terzo, il P.M. contabile, una legittimazione generale alla tutela della finanza pubblica mediante conferimento dello “ius postulandi” nell’ipotesi di responsabilità patrimoniale per i soggetti legati da un rapporto di servizio, per danni arrecati nell’esercizio delle funzioni ad esse affidate. L’interesse dell’amministrazione danneggiata, nei confronti dei convenuti in giudizio, assume il ruolo di creditrice di un diritto indisponibile, perché sotteso ad un interesse pubblico.
La CRIAS istituita con legge regionale 50/1954 si configura come ente pubblico economico strumentale della Regione Siciliana, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, ed avente come oggetto della sua attività la concessione di finanziamenti alle imprese artigiane.
Ha quindi natura sia strumentale che di servizio, e la sua caratterizzazione, anche pubblicistica, scaturisce dalla presenza di poteri di controllo di legittimità degli atti di amministrazione, da parte dell’Assessorato regionale della cooperazione, del commercio, dell’artigianato e della pesca, compresa l’approvazione del bilancio, talché si deve ritenere la natura pubblicistica dell’ente.
Gli atti che sono stati contestati dal P.M. risultano giuridicamente inefficaci (ossia nulli), poiché mai deliberati né mai inviati al controllo di legittimità, attività di controllo che risulta comunque soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti (art. 3, Legge 97/2001) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia, sentenza 04.08.2010 n. 1807 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROGETTUALIProgettisti in gara, senza trucchi. Riferimento alle tariffe e un argine alla pratica dei ribassi. Una determinazione dell'Authority lavori pubblici sui servizi di ingegneria e architettura.
Maggiore dettaglio nella definizione dei corrispettivi a base di gara per la progettazioni; riferimento alle tariffe professionali; accurata verifica delle offerte anomale, riduzione dell'incidenza dei ribassi offerti dai progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi alcuni degli obiettivi che intende perseguire l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 27.07.2010 n. 5 sui servizi di ingegneria e architettura, che fa seguito ai lavori condotti da un apposito tavolo tecnico, coordinato dal consigliere Giuseppe Borgia, cui hanno partecipato rappresentanti degli ordini professionali, delle associazioni di categoria interessate e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il provvedimento (corredato da dieci tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti sulle disposizioni vigenti relative alle modalità di affidamento, alla determinazione dell'importo a base di gara, all'individuazione dei requisiti di partecipazione e dei criteri di aggiudicazione dell'offerta, prestando particolare attenzione al procedimento di verifica della congruità delle offerte.
Il presupposto di questo articolato e accurato lavoro è la rilevata disomogeneità delle procedure utilizzate dalle stazioni appaltanti e il frequente ricorso ai ribassi sproporzionati da parte degli operatori economici.
Per fare fronte a questi profili critici l'organismo di vigilanza presieduto da Giuseppe Brienza ha preso in considerazione, fra i tanti, il tema, delicatissimo, della definizione dell'importo a base di gara ribadendo, nella sostanza, l'opportunità di fare riferimento al d.m. 04.04.2001, le cui tariffe devono essere ritenute «motivatamente adeguate» proprio in quanto approvate con legge.
Ciò detto, le linee guida chiedono alle stazioni appaltanti di applicare il decreto del 2001 in maniera chiara ed analitica, affinché il corrispettivo sia «congruo in rapporto alla natura e complessità dei servizi da affidare e alla qualità delle prestazioni attese».
A tale fine le stazioni appaltanti dovranno prevedere nei documenti di gara una descrizione analitica delle prestazioni professionali e dei loro costi, seguendo le indicazioni contenute nelle tabelle allegate alle linee guida, ove è indicata per ogni prestazione progettuale la suddivisione della corrispondente aliquota parziale prevista dal decreto ministeriale.
In sostanza l'Autorità chiede alle amministrazioni di allegare al bando l'elenco degli elaborati richiesti con i relativi costi Se quindi la stazione appaltante dovrà suddividere ogni prestazione definendone anche la percentuale di costo, in sede di predisposizione delle offerte da parte dei progettisti e di verifica delle stesse sarà possibile effettuare in maniera più accurata l'analisi delle eventuali anomalie di ribasso.
Quindi, al dettaglio dei documenti posti a base di gara dalla stazione appaltante dovrà corrispondere una più adeguata verifica delle offerte anomale (ad oggi le gare di servizi di ingegneria e architettura registrano il 37% di ribasso medio, con punte anche del 70/75 %).
Tutto ciò dovrebbe essere evitato anche perché le linee guida suggeriscono di applicare, anticipando il nuovo regolamento del Codice, una formula di attribuzione dei punteggi (allegato M dello schema di regolamento) che dovrebbe disincentivare il fenomeno dei ribassi eccessivi.
Una particolare attenzione viene posta anche al contenuto delle relazioni metodologiche, nonché alla valutazione dei servizi analoghi (per i quali una tabella, la n. 1, stabilisce quali prestazioni devono ritenersi assimilabili in base all'articolo 14 della legge 143/1949).
Sono anche previste alcune indicazioni dedicate ai concorsi di idee e di progettazione, per i quali si richiama la necessità di indicare nel bando di concorso l'eventuale affidamento degli sviluppi progettuali al vincitore del concorso, previa anche indicazione dei requisiti richiesti per lo svolgimento dei servizi successivi; in ogni caso è precisato che nel concorso non può essere valutata l'offerta economica ma solo la qualità dell'elaborato presentato.
Diverse le precisazioni sui requisiti di partecipazione alle gare, per i quali sono applicabili l'articolo 63 del dpr 554/1999 e l'articolo 66 dello stesso dpr, nell'ottica di garantire la par condicio ed evitare restrizioni della concorrenza attraverso requisiti limitativi incongrui (articolo ItaliaOggi del 29.07.2010 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALIParcelle, meglio pagarle subito. Gli oneri per i ritardi gravano sul sindaco e sul segretario. Per la prima volta la Corte dei conti esonera da responsabilità l'ufficio tecnico del comune.
Il sindaco e il segretario comunale che gestiscono per conto dell'ente la richiesta di un libero professionista di pagamento della parcella sono direttamente e personalmente responsabili dei maggiori oneri che si siano determinati a seguito dei ritardi nella liquidazione della stessa e quindi sono chiamati a sostenere direttamente tali oneri aggiuntivi.
Il responsabile dell'ufficio tecnico, anche se formalmente responsabile, deve essere ritenuto esente nel caso in cui non abbia svolto alcun ruolo concreto nella vicenda. In un piccolo comune il sindaco svolge un ruolo preponderante rispetto agli uffici e ai suoi responsabili e il segretario ha un dovere di carattere generale di garantire il rispetto delle prescrizioni legislative.

Possono essere così riassunti i più importanti principi fissati dalla sentenza 30.06.2010 n. 268 della II Sez. centrale di appello della Corte dei Conti.
Siamo in presenza di una sentenza che, per alcuni aspetti, conferma la interpretazione per cui le condotte che determinano un danno in termini di aumento della spesa posta a carico dell'ente sono da ritenere colpevoli, salvo che si dimostri che si era rimasti comunque nell'ambito del tentativo non coronato da successo di contenere tali oneri.
L'aspetto innovativo della sentenza è invece quello di avere fatto prevalere, nella individuazione dei soggetti responsabili, il dato sostanziale, cioè coloro che hanno realmente gestito una vicenda, sul dato formale, colui che aveva tale compito sulla carta. Logica che ha anche ispirato i giudici contabili nella individuazione della misura della sanzione, posta per il 70% in capo al sindaco e per il 30% in capo al segretario, cifra ovviamente riferita ai maggiori oneri sostenuti dall'ente rispetto alla richiesta.
Il caso concreto scaturisce dalla parcella presentata da un professionista per la liquidazione del proprio compenso, parcella che è stata inizialmente ritenuta superiore a quanto pattuito e che, successivamente alla sua riconduzione entro gli ambiti di quanto previsto, è stata liquidata solo dopo un decreto ingiuntivo e, quindi, aumentata dagli interessi e dalle spese.
La difesa aveva invece sostenuto che la condotta del sindaco e del segretario era immune da responsabilità in quanto non hanno opposto ricorso al decreto ingiuntivo, quindi non hanno aumentato le spese a carico dell'ente. E che comunque la responsabilità andava posta in capo al responsabile dell'ufficio tecnico, in quanto soggetto competente a determinare la liquidazione del compenso stesso.
L'elemento del ruolo marginale svolto dal responsabile dell'ufficio tecnico risulta dalle dichiarazioni rese dal sindaco e dal segretario, nonché dalla documentazione esaminata dai giudici contabili, nonché dalla constatazione della sua cessazione dall'incarico prima della emanazione del decreto ingiuntivo. Il combinato disposto di tali elementi determina, e questo è un punto su cui la sentenza ha una valenza per molti aspetti innovativa, una attenuazione «della compartecipazione del tecnico comunale nella causazione dell'evento dannoso fino a renderla insignificante sotto il profilo soggettivo della colpa grave».
Viene dalla sentenza affermato che dal momento in cui il decreto ingiuntivo è stato notificato all'ente e non vi sono state opposizioni, in capo all'amministrazione era posto esclusivamente l'obbligo di provvedere in questo senso. Non è stata da parte dei giudici giudicata come meritevole di accoglimento la tesi per cui gli interessati si erano mossi per cercare di ottenere una qualche forma di riduzione degli oneri posti a carico dell'ente, mentre non si sono opposti per non aumentare gli stessi: «proprio la piena consapevolezza da parte degli appellanti circa l'insussistenza di un qualsiasi motivo giuridico per proporre validamente opposizione al decreto ingiuntivo, alla quale sarebbe seguita la sicura soccombenza, connota ancora di più in termini di colpa grave il loro comportamento omissivo e contrario alle regole di buona amministrazione».
Gli oneri devono essere posti soprattutto a carico del sindaco sia per il suo ruolo di vertice dell'amministrazione, sia perché nel caso specifico è stato che «risulta avere più frequentemente tenuto i contatti con l'ingegnere, inserendosi in prima persona nella gestione della vicenda», quindi per il comportamento effettivamente seguito. Mentre il segretario si è limitato a smistare le richieste all'ufficio non assumendo il necessario ruolo di dare corso alle stesse e, di conseguenza, altro elemento assai innovativo della sentenza, per non avere “dato concreta attuazione alle doverose misure tecnico-legali atte ad evitare il danno erariale".
Da sottolineare infine che la responsabilità è stata nel caso specifico conteggiata in misura assai ampia, avendo ad oggetto tutte le maggiori spese sostenute dall'ente, quindi gli oneri «della procedura esecutiva, conseguenti e consequenziali, con gli interessi legali successivi e le spese per l'esecuzione, per bolli e per l'atto di precetto» (articolo ItaliaOggi del 03.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi, niente affidamenti diretti. Necessaria la procedura comparativa anche per importi minimi. Per la Corte dei conti i regolamenti comunali che prescrivono il contrario sono illegittimi.
Illegittimi i regolamenti degli enti locali che consentono l'affidamento diretto di incarichi di collaborazione esterni, al di sotto di determinate soglie dell'importo contrattuale.
La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Trentino-Alto Adige-Trento, con il parere 10.06.2010 n. 18/2010 torna sulla delicata questione dei criteri di affidamento, censurando il regolamento di organizzazione di un comune, che aveva inserito nel regolamento la possibilità di affidare gli incarichi professionali in via diretta, senza cioè alcuna procedura comparativa, a condizione che fossero di valore inferiore ai 20 mila euro.
Dopo un primo rilievo della sezione, il regolamento ha portato la soglia per gli affidamenti diretti a 10 mila euro. Ma la magistratura contabile ha censurato anche la riduzione della soglia.
La deliberazione della sezione Trentino-Alto Adige non si ferma, però, solo alla stigmatizzazione dell'illegittimità del regolamento e va oltre, fornendo preziose indicazioni in merito ai presupposti al ricorrere dei quali per le amministrazioni risulterebbe possibile assegnare gli incarichi senza procedere ad una selezione preventiva.
In premessa, la deliberazione sottolinea che in ogni caso l'ipotesi dell'affidamento diretto deve costituire sempre un'eccezione, da motivare, di volta in volta, nella singola determinazione d'incarico con riferimento all'ipotesi in concreto realizzatasi. Ovviamente, la previsione di una soglia di valore del contratto, specie se particolarmente alta, consentirebbe di trasformare l'affidamento diretto da evento eccezionale a sistema normale.
Tra le motivazioni che possono giustificare l'assegnazione senza procedura comparativa, la magistratura contabile ritiene possa farsi riferimento al requisito della «particolare urgenza» connessa alla realizzazione dell'attività discendente dall'incarico. In altre parole, non deve risultare urgente conferire l'incarico, ma svolgere l'attività.
In aggiunta alle considerazioni della delibera, ovviamente anche nel caso di urgenza le amministrazioni debbono aver prima dell'incarico verificato che sussistano tutti gli altri presupposti di legittimità, tra i quali, in particolare, il controllo sull'inesistenza della professionalità all'interno dell'ente, la pertinenza dell'attività con le competenze istituzionali e la previsione nell'ambito del programma degli incarichi, approvato dal consiglio comunale.
Ancora, l'incarico diretto potrebbe risultare ammissibile, a condizione che l'amministrazione dimostri che le prestazioni professionali di cui abbisogni siano tali da non consentire forme di comparazione. In questo caso, occorre avere riguardo alla natura dell'incarico, all'oggetto della prestazione oppure alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell'incaricato. Insomma, per prestazioni professionali infungibili, come quelle caratterizzate da elevata funzione intellettuale, è possibile non procedere alla verifica comparativa, richiesta dall'articolo 7, commi 6 e seguenti, del dlgs 165/2001.
Ulteriore ipotesi di incarico diretto, potrebbe essere una procedura selettiva andata deserta, senza che ad essa abbia partecipato alcun interessato.
In ogni caso, secondo la magistratura contabile l'eccezionalità diretto è da considerare di stretta interpretazione e non consente deroghe, anche se discendenti dall'esiguità del compenso pattuito per la prestazione affidata al professionista (articolo ItaliaOggi del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI PROGETTAZIONEIncarico esterno di progettazione - Revoca - applicabilità art. 21 l. 07.08.1990.
Ex art. 21-quinquies, comma 1-bis, della l. 07.08.1990 la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea se incide su rapporti negoziali è dovuto l'indennizzo parametrato al solo danno emergente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.07.2010 n. 2477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Studi e consulenze col bilancino.
MANOVRA CORRETTIVA/ Comuni e province dovranno rimettere mano alla programmazione. Spesa per gli incarichi di collaborazione tagliata dell'80%.

La stretta sulle consulenze e gli incarichi di collaborazione esterna vale anche per gli enti locali, chiamati, dal 2011, a ridurre la spesa complessiva destinata a tale scopo al 20% di quella sostenuta nel 2009.
Gli enti locali sono compresi nell'elenco delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 196/2009, richiamato dalle norme sul contenimento della spesa contenute nel dl n. 78/2010, essendo contemplati nella ricognizione effettuata dall'Istat e pubblicata sulla G.U. n. 176 del 31.07.2009.
Dunque, a decorrere dall'anno 2011 comuni e province dovranno ridurre dell'80% la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, anche conferiti a pubblici dipendenti rispetto a quella sostenuta nell'anno 2009.
Ciò non solo all'evidente scopo di conseguire risparmi di spesa, ma anche al fine, esplicitato dalla manovra, «di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni».
L'articolo 6, comma 7, del dl n. 78/2010 estendendo la sua portata anche agli enti locali, modifica implicitamente la disciplina degli incarichi di collaborazione contenuta nell'articolo 3, commi 18 e da 54 a 57, della legge 244/2007.
Tali disposizioni hanno sin qui assegnato a ciascun ente locale la possibilità di fissare col regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 7, commi 6 e seguenti del dlgs n. 165/2001, limiti, criteri e modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, da applicare a tutte le tipologie di prestazioni. Inoltre, il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione, ai sensi del comma 56 del citato articolo 3, può essere fissato col bilancio ... (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 34 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Quando la PA deve pagare il progettista anche se la condizione non si avvera.
Il giudice di legittimità accoglie il ricorso, affermando il diritto dell'architetto all'ottenimento dei compensi per inerzia dell'amministrazione, poiché, "nel caso di contratto con una pubblica amministrazione in cui il pagamento del compenso per l'opera professionale pattuita sia subordinato alla circostanza che essa ottenesse un finanziamento dell'opera progettata da parte di un soggetto terzo, il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, mentre sarà l'amministrazione debitrice "sub condicione" del compenso a dovere dimostrare, in relazione ai suoi doveri nascenti dall'art. 1358 cod. civ. riguardo al comportamento che doveva tenere al fine del finanziamento, che il proprio comportamento fu conforme a detti doveri" (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 03.06.2010 n. 13469 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: L'attività della P.A. deve, di regola, essere svolta dai propri organi e uffici, per cui il ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in casi eccezionali, da motivare idoneamente per far fronte a situazioni non sopperibili con la struttura burocratica esistente, ovvero in presenza di esigenze occasionali che determinano “la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna”.
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
Appare utile ricordare che -sebbene appartenga alla discrezionalità insindacabile dell’Amministrazione di procedere all’affidamento di incarichi in presenza di particolari esigenze che determinano la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna per l’espresso disposto dell’art. 3, primo comma, del D.L. 23.01.1996, n. 543 convertito nella legge 20.12.1996, n. 639– rimane tuttavia integro il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti legittimanti del ricorso a tale eccezionale strumento di soddisfacimento degli interessi dell’ente.
Ciò in quanto la valutazione del giudice non attiene al merito della scelta adottata dagli organi dell’amministrazione bensì al rispetto dei principi costituzionali di ragionevolezza del loro operato e dell’economicità e del buon andamento dell’Amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione (cfr, ex plurimis, SS. RR. 01.03.1999, n. 4/A; Sez. III centrale d’appello, 16.12.2002 - 08.01.2003, n. 9).
Va soggiunto che -come affermato dalla Suprema Corte anche recentemente- il limite della discrezionalità amministrativa va escluso icto oculi in presenza di comportamenti contra legem dell’amministratore o del dirigente pubblico, “non potendo essi costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile” (cfr. Cass. civ. Sez. Unite civili, sent. n. 7024/ 2006; n. 5083/2008; n.5288/2009 e Ord. n. 6410 del 02.03.2010).
Alla stregua delle precisazioni innanzi formulate, il Collegio, dato per scontato che il giudizio contabile non attiene al potere riservato in via esclusiva alla P.A. di scegliere discrezionalmente le modalità di perseguimento dell’interesse pubblico, osserva che il sindacato giurisdizionale riguarda invece la legittimità e la ragionevolezza dei mezzi prescelti; sicché non possono ritenersi conformi a legge i provvedimenti che collidano con tali principi o che contrastino con le regole di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.

Secondo un principio generale costantemente affermato dalla Corte dei conti sia in sede di controllo che di giurisdizione contabile, l’attività della P.A. deve, di regola, essere svolta dai propri organi e uffici, per cui il ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi previsti dalla legge o in casi eccezionali, da motivare idoneamente per far fronte a situazioni non sopperibili con la struttura burocratica esistente, ovvero in presenza di esigenze occasionali che determinano “la necessità di fruire della specificità ed infungibilità della prestazione esterna” (cfr. ex plurimis, Sez. d’Appello Reg. Sicilia, 04.06.2001, n. 105/A; Sez. III centrale, 07.06.2001, n. 133/A; Sez. Emilia Romagna, 07.06.2002, n. 1703; Sez. Lombardia, 08.06.2002, n. 1255).
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti riconosciuto la possibilità di ricorrere ad incarichi esterni in presenza di eccezionali eventi o situazioni straordinarie, quali la carenza di specifiche professionalità interne, casi di necessità e urgenza, straordinarietà della situazione, lavori di particolare complessità, accertata difficoltà del competente ufficio di svolgere le funzioni d’istituto, affermando peraltro, costantemente, che le spese sostenute per incarichi professionali esterni, riguardanti lo svolgimento di prestazioni proprie delle qualifiche del personale dipendente, all’infuori delle eccezionali ipotesi innanzi specificate, configurano oneri posti indebitamente a carico dell’ente pubblico e costituiscono perciò causa di danno erariale (cfr, ex plurimis, SS.RR., 23.06.1992, n. 792/A; Corte dei conti, Sez. I,13.06.1994, n. 3).
I principi di cui trattasi sono stati frequentemente richiamati dalla Corte in decisioni relative a casi simili a quelli in esame (cfr. ex plurimis, Sez. Sicilia, 06.09.1995, n. 302; Sez. Veneto, 04.12.1996, n. 471; Sez. Emilia Romagna, 15.10.1996, n. 612; Sez. Abruzzo, 19.11.1997, n. 300) e sono stati ribaditi in circolari della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri vigilanti, per cui la loro disapplicazione da parte delle Amministrazioni pubbliche costituisce evidente indice di sviamento di potere e di grave colpevolezza.
Tali indirizzi giurisprudenziali trovano puntuale riscontro, per gli enti locali, nell’art. 51, settimo comma, della legge n. 142/1990, poi trasfuso nell’art. 110, comma 6, del D.lgs n. 267/2000, il quale prevede che “per obbiettivi determinati e con convenzione a termine il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.
Analogamente (cioè con la medesima espressione terminologica) dispone l’art. 41 del Testo unico delle leggi regionali sull’ordinamento del personale dei Comuni della Regione Autonoma Del Trentino-Alto Adige, approvato con D.P.Reg. 10.02.2005, n. 2/L.
Per quanto riguarda, in particolare, le opere pubbliche, la L.P. 10.09.1993 n. 26, recante norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti, riserva la priorità alla progettazione interna (artt. 19 e 20, comma 2), limitando la progettazione esterna ai casi di “soluzioni di complesse questioni tecniche, pluralità di competenze specialistiche, carenze, anche temporanee di organico..” ( art. 20, comma 3 e segg).
Per gli altri enti pubblici l’art.7, del D.l.vo n. 29/1993, come modificato dall’art. 5 del D.l.vo n. 546/1993 riprodotto nell’art. 7, comma 6, del D.l.vo 30.03.2001, n. 165, dispone che: ”per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza”, individuando, ai commi 6-bis e 6-ter, i presupposti indispensabili per il ricorso all’attività di liberi professionisti -qualora sia obiettivamente impossibile utilizzare risorse interne- nella temporaneità dell’incarico, nell’elevata qualificazione della prestazione e nella preventiva fissazione della durata, luogo, oggetto e compenso pattuito.
Le disposizioni di cui innanzi (integrate successivamente ai fatti di causa dall’art. 32 del Decreto Legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006 e dal comma 76 dell’art. 3 della legge 24.12.2007, n. 244) contenute nei commi 6, 6-bis e 6-ter dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 165/2001, sono da ritenersi di carattere generale ed applicabili, salvo deroghe particolari, nell’intero settore dei pubblici poteri (cfr. Sez. II centrale, 26.08.2008, n. 263/A).
Come già accennato innanzi, l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di far fronte alle competenze istituzionali mediante il migliore e più proficuo e produttivo utilizzo delle risorse professionali esistenti nell’ambito della propria struttura organizzativa e di ricorrere ad incarichi esterni soltanto nei cari previsti dalla legge o in relazione ad eventi straordinari o in casi eccezionali trova il proprio fondamento nel principio del buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione
(Corte dei Conti, Sez. giurdiz. Trento, sentenza 21.04.2010 n. 11 - link a http://bddweb.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Le amministrazioni e gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Se questa è la regola di carattere generale, che riposa, in sostanza, sul principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e, in particolare, sull'obbligo (che di tale principio è espressione) degli amministratori e dipendenti pubblici, di perseguire l'economicità della spesa pubblica, il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali condizioni che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del consulente privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione.

Rileva il Collegio che il ricorso da parte dell'Amministrazione a soggetti estranei all’apparato istituzionale per l'espletamento dei propri compiti deve ritenersi consentito nel rispetto delle condizioni stabilite dalla legge, o anche quando non sia possibile provvedere altrimenti per evenienze sopraggiunte ed impreviste.
Come già precisato in precedenti pronunce, per tutte le amministrazioni ed enti pubblici l’art. 7, sesto comma, del D.Lgs. 29/1993, prevedeva che “per esigenze cui non possono far fronte con il personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”. Con il decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, la possibilità di “esternalizzazione” di attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e rigore, prevedendo l’art. 7, 6° comma, che “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Per gli enti locali, l’art. 51, comma settimo, della Legge n. 142/1990, recepita dalla legge della Regione siciliana 11.12.1991, n. 48, indica i presupposti formali e sostanziali che debbono ricorrere affinché si possa procedere all’assegnazione di incarichi esterni, stabilendo che “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.
Come evidenziato, dunque, la disciplina generale e quella di settore individuano i presupposti formali e sostanziali per poter procedere al conferimento dell’incarico, per il quale è comunque necessario che, se trattasi di ente locale, il Regolamento dello stesso lo preveda e lo disciplini compiutamente.
Da tutta la normativa citata si desume, anzitutto, che le amministrazioni e gli enti pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Se questa è la regola di carattere generale, che riposa, in sostanza, sul principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione e, in particolare, sull'obbligo (che di tale principio è espressione) degli amministratori e dipendenti pubblici, di perseguire l'economicità della spesa pubblica, il conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di speciali condizioni che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del consulente privato di un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione.
Le cennate condizioni devono coesistere e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Al complesso normativo suddetto il procuratore regionale ha fatto riferimento e allo stesso nessuna erroneità della ricostruzione normativa può essere contestata, contrariamente a quanto affermato dalla difesa che opera un distinguo che per quanto appresso si dirà è stato ed è del tutto irrilevante ai fini della decisione assunta e da assumere (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Reg. Siciliana, sentenza 29.03.2010 n. 101 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIncarichi facili, in regione si può. La Corte conti Basilicata assolve gli amministratori che avevano affidato una consulenza esterna. Consiglieri coperti da immunità per gli atti di organizzazione.
Consigli regionali esenti da responsabilità per incarichi di consulenze allegri. È nelle stanze dei parlamentini regionali che si ferma l'applicabilità delle le rigorose norme tendenti al contenimento dei costi per incarichi esterni. Sicché, il consiglio regionale della Basilicata nonostante la presenza di nove dirigenti e 46 funzionari direttivi con profilo amministrativo può legittimamente incaricare un avvocato esterno, per la riorganizzazione del consiglio regionale. E questo nonostante l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 e i tantissimi vincoli posti dalla legge al ricorso a consulenti esterni.
Secondo la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, intervenuta sulla questione con sentenza 24.03.2010 n. 91, infatti, non risulta possibile muovere rilievi né ai consiglieri regionali, né al dirigente competente, per il munifico incarico di «riorganizzazione», che, come spesso accade, chissà perché viene assegnato a chi dell'organizzazione non fa parte.
A nulla sono valsi i rilievi espressi dal procuratore, secondo il quale non solo la dotazione organica del consiglio regionale era certamente dotata delle professionalità necessarie per attendere alla funzione affidata all'esterno, ma il risultato finale non è stato di alcuna utilità e, soprattutto, l'ipotesi di riorganizzazione non ha tenuto in alcun conto gli obiettivi di contenimento delle spese di personale ... (articolo ItaliaOggi del 07.05.2010 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALICORTE CONTI/ La sezione di Trento stigmatizza una prassi diffusa tra gli enti. Organizzazione ai dirigenti. Illegittimo l'affidamento di consulenze esterne.
L'organizzazione delle amministrazioni è una competenza che spetta in via prioritaria ai dirigenti. Affidamenti di incarichi di consulenza a questo scopo, dunque, si rivelano una inutile duplicazione dei costi, specie se fondati sull'erroneo presupposto che l'incombenza non sia appannaggio dei dirigenti.
Sono queste le conclusioni tratte dalla sentenza 22.03.2010 n. 8 della Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale di Trento, che ha condannato il dirigente di un servizio convenzionato di polizia municipale, per aver assegnato una consulenza, finalizzata alla modifica dell'assetto organizzativo del corpo.
I giudici contabili stigmatizzano in maniera tranciante un vero e proprio vezzo delle amministrazioni, consistente nel compiere continuamente modifiche organizzative, talora anche di poco conto, facendole comunque passare come strategiche e, di conseguenza, avvalersi di incaricati esterni esperti in materia aziendalistica. Come se l'attività organizzativa non fosse una specifica funzione degli organi amministrativi, in collaborazione e secondo le direttive degli organi politici.
Particolarmente dura è la sentenza nell'evidenziare che la riorganizzazione, se attivata allo scopo di applicare alle amministrazioni le tecniche della scienza aziendale, si rivela potenzialmente poco utile ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTAZIONEIncarichi di progettazione ai raggi X. Devono essere valutati dai revisori e trasmessi ai giudici contabili
Soggetti alla valutazione del collegio dei revisori dei conti e all'invio alla sezione regionale della Corte dei conti anche gli incarichi di progettazione e quelli conferiti alle persone giuridiche.

Lo ha stabilito la Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo del Piemonte, col parere 18.03.2010 n. 23/2010, che contiene argomentazioni, tuttavia, difficilmente condivisibili.
Secondo i magistrati contabili, le disposizioni dell'articolo 1, comma 42, della legge 311/2004 sono ancora vigenti. Tuttavia, esse non fondano più l'obbligo da parte delle amministrazioni locali di chiedere ai revisori dei conti una valutazione preventiva sul rispetto del presupposto dell'assenza di professionalità interne, allo scopo di assicurare la legittimità degli incarichi di collaborazione esterna ... (articolo ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: M. Balestieri, Consulenza illegittima: la prova dell'utilità della prestazione incombe sul soggetto convenuto (L'Ufficio Tecnico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALIAnche il professionista tecnico, al pari di tutte le altre figure professionali, incorre in responsabilità contrattuale, qualora nello svolgimento dell’incarico ricevuto non tenga una condotta conforme alla diligenza prevista dall’art. 1176, 2° co. C.C.. Punto di partenza è necessariamente la nozione di “diligenza professionale”; attraverso tale criterio, infatti, è possibile misurare in concreto il contenuto delle obbligazioni che derivano dal contratto d’opera intellettuale e, quindi, valutare i presupposti in presenza dei quali si verifica l’inadempimento del professionista. Il progettista è tenuto a realizzare disegni rappresentativi ed elaborati accessori al progetto. Qualora l’attività svolta presenti vizi tali da non consentire un’esatta esecuzione dell’opera progettata, il professionista risponde ai sensi dell’art. 1218 C.C..
L’obbligo cui è tenuto l’incaricato della redazione del progetto di costruzione di un edificio, consistente nell’accertare preventivamente e con assoluta precisione le dimensioni, i confini e le altre caratteristiche, anche sotto il profilo delle limitazioni urbanistiche, dell’area sulla quale debba eseguirsi la costruzione medesima, sussiste come dato prodromico essenziale per il corretto espletamento del mandato professionale, ancorché tali prestazioni non abbiano formato oggetto di uno specifico incarico del cliente. Tale responsabilità non richiede la colpa grave, non implicando l’individuazione dei confini o l’acquisizione e l’osservanza di norme regolamentari pubbliche la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tanto da essere detta attività ricompresa anche nella competenza delle professioni tecniche minori.
Se dall’edificazione di una costruzione in violazione delle norme sulle distanze legali sia derivato l’obbligo del committente della riduzione in pristino, sussiste il diritto di rivalsa del committente nei confronti del progettista qualora l’irregolare ubicazione della costruzione sia conforme al progetto e non sia stata impedita dal professionista medesimo in sede di esecuzione dei lavori.

Anche il professionista tecnico, al pari di tutte le altre figure professionali, incorre in responsabilità contrattuale, qualora nello svolgimento dell’incarico ricevuto non tenga una condotta conforme alla diligenza prevista dall’art. 1176, 2° co. C.C.
Punto di partenza è necessariamente la nozione di “diligenza professionale”; attraverso tale criterio, infatti, è possibile misurare in concreto il contenuto delle obbligazioni che derivano dal contratto d’opera intellettuale e, quindi, valutare i presupposti in presenza dei quali si verifica l’inadempimento del professionista.
Il progettista è tenuto a realizzare disegni rappresentativi ed elaborati accessori al progetto. Qualora l’attività svolta presenti vizi tali da non consentire un’esatta esecuzione dell’opera progettata, il professionista risponde ai sensi dell’art. 1218 C.C.
Nel caso concreto non vi è dubbio che nella condotta del ... sia ravvisabile la colpa (come incidentalmente riconosciuto dallo stesso Tribunale e non contestato dall’appellante incidentale e dall’assicuratore).
Trattandosi di responsabilità contrattuale, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore deve limitarsi a provare il contratto ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Nella specie la società committente ha dedotto che il professionista era incorso in errore non scusabile nell’individuazione delle distanze della costruzione rispetto al confine e che tale errore era stato determinato dall’omesso rispetto del regolamento edilizio comunale. A tale allegazione il convenuto non ha replicato in modo specifico, limitandosi a contestare (genericamente) “…in ogni caso la fondatezza della domanda…” e a concentrare le proprie difese sulla inopponibilità della transazione conclusa dalla F.lli Rossi con i confinanti e sulla non giustificabilità di certe spese, di cui si chiedeva il rimborso.
Deve ritenersi che l’ingegnere progettista sia responsabile dello sconfinamento della costruzione progettata. Ed invero, l’obbligo cui è tenuto l’ingegnere incaricato della redazione del progetto di costruzione di un edificio, consistente nell’accertare preventivamente e con assoluta precisione le dimensioni, i confini e le altre caratteristiche, anche sotto il profilo delle limitazioni urbanistiche, dell’area sulla quale debba eseguirsi la costruzione medesima, sussiste come dato prodromico essenziale per il corretto espletamento del mandato professionale, ancorché tali prestazioni non abbiano formato oggetto di uno specifico incarico del cliente (C. 89/3476).
E’ inoltre certo che tale responsabilità non richiede la colpa grave, non implicando l’individuazione dei confini o l’acquisizione e l’osservanza di norme regolamentari pubbliche la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tanto da essere detta attività ricompresa anche nella competenza delle professioni tecniche minori.
In base a indagine tecnica (svolta nel giudizio possessorio) è emerso che la porzione di edificio destinata a cantine, autorimesse e relativa area di manovra per le autovetture, fuoriuscendo parzialmente dal piano di campagna, avrebbe dovuto essere presa in considerazione ai fini del rispetto delle distanze dal confine, come imposto dagli artt. 58 e 59 del regolamento edilizio del Comune di Rignano sull’Arno, e che, conseguentemente, risultando edificata in violazione di tali disposizioni, fondata era la pretesa della sua demolizione e/o arretramento. Come detto, tali risultanze non sono state oggetto di contestazione ad opera delle altre due parti in causa.
Se dall’edificazione di una costruzione in violazione delle norme sulle distanze legali sia derivato l’obbligo del committente della riduzione in pristino, sussiste il diritto di rivalsa del committente nei confronti del progettista qualora l’irregolare ubicazione della costruzione sia, come nella specie, conforme al progetto e non sia stata impedita dal professionista medesimo in sede di esecuzione dei lavori (Corte d'Appello-Firenze, Sez. II, sentenza 25.02.2010 n. 93).

INCARICHI PROGETTUALI - LAVORI PUBBLICI: Illegittimo subordinare il compenso al finanziamento dell'opera.
È illegittimo subordinare il pagamento di compensi professionali (progettazione, indagini, etc.) all'ottenimento del finanziamento per la realizzazione dell'opera pubblica.
Questa, in sintesi, la conclusione del TAR Puglia (sez. Lecce) che ha accolto un ricorso finalizzato ad ottenere l'annullamento di un bando per l'affidamento di un incarico professionale.
L'incarico riguardava progettazione, direzione lavori, coordinamento della sicurezza, etc. con la precisazione che le attività connesse all'esecuzione (direzione lavori, etc.) sarebbero state affidate solo in caso di finanziamento dell'opera e che, comunque, il professionista si impegnava a non pretendere alcun compenso, nemmeno per spese vive, se l'intervento non fosse stato ammesso a finanziamento.
Il TAR ha ritenuto che il bando fosse in palese contrasto con le disposizioni dell'art. 92 del Codice dei Contratti (D.Lgs. 163/2006) che recita: "Le amministrazioni aggiudicatrici non possono subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico amministrative ad essa connesse all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata" (commento tratto da www.acca.it - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.02.2010 n. 577 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALIIl contratto d’opera professionale va dichiarato nullo per contrarietà a norme imperative, in quanto l’edificio di cui trattasi non poteva certamente considerarsi una “modesta costruzione civile” e pertanto la sua progettazione esulava dalla competenza del geometra perimetrata dall’art. 16 del r.d. 11/02/1929 n. 274, come si desume all’evidenza dalla complessità e dalle caratteristiche tecnico-costruttive dell’edificio (un fabbricato di tre piani di mc. 3161 e mq. 355 con impiego di c.a.) e come confermato dal ctu nonché confessato dallo stesso attore il quale ha espressamente riconosciuto che il progetto, implicando una costruzione in c.a., eccedeva la propria competenza, affermando che proprio per questo aveva chiesto la collaborazione dell’ing. ... il quale aveva redatto e firmato gli elaborati progettuali.
Il contratto d’opera professionale va dichiarato nullo per contrarietà a norme imperative, in quanto l’edificio di cui trattasi non poteva certamente considerarsi una “modesta costruzione civile” e pertanto la sua progettazione esulava dalla competenza del geometra perimetrata dall’art. 16 del r.d. 11/02/1929 n. 274 (cfr. Cass. 12193/2007; 17028/2006; n. 3021, n. 6649, n. 7778 e n. 8545 del 2005), come si desume all’evidenza dalla complessità e dalle caratteristiche tecnico-costruttive dell’edificio (un fabbricato di tre piani di mc. 3161 e mq. 355 con impiego di c.a.) e come confermato dal ctu nonché confessato dallo stesso attore il quale ha espressamente riconosciuto che il progetto, implicando una costruzione in c.a., eccedeva la propria competenza, affermando che proprio per questo aveva chiesto la collaborazione dell’ing. ... il quale aveva redatto e firmato gli elaborati progettuali.
La nullità è rilevabile d’ufficio perché il geom. ... agisce per l’esecuzione del contratto nullo (peraltro la Corte condivide la tesi secondo la quale il giudice deve rilevare d’ufficio le nullità negoziali non solo nell’ipotesi in cui sia stata proposta l’azione di esatto adempimento, ma anche quando sia stata proposta azione di risoluzione, annullamento o rescissione del contratto: Cass. 22/03/2005 n. 6170; Cass. 15/09/2008 n. 23674) e la questione appartiene al contraddittorio già svolto, dal momento che l’attore ha ammesso che la progettazione in esame era riservata alla competenza di un ingegnere .
La nullità poi non è esclusa dalla circostanza che la prestazione di fatto sia stata compiuta, su richiesta del ..., da un ingegnere, poiché la validità del negozio dipende dal personale possesso del titolo abilitante da parte di chi ha ricevuto l’incarico dal committente (cfr. Cass. 1572/2005 n. 3021 e Cass. 13/01/1984 n. 286) e nella specie lo stesso attore ha sempre sostenuto che l’incarico fu conferito a lui personalmente né risulta che vi sia stato alcun rapporto diretto tra i convenuti e l’ingegnere che ha sottoscritto il progetto.
Per altro verso, ancora, è di tutto evidenza che la “collaborazione” di cui parla l’art. 2232 cod civ., dovendo avvenire sotto la direzione del professionista incaricato, non può riguardare la esecuzione di una prestazione professionale che ecceda l’abilitazione del professionista incaricato, il quale non può certamente dirigere l’esecuzione, da parte di altri, di una prestazione per la quale egli non sia abilitato (cfr. in termini Cass. 3108/1995).
Consegue da quanto sopra che nessun compenso può essere liquidato al geom. ... per l’attività di progettazione dell’edificio (sicché si palesa superflua l’istanza di assunzione di chiarimenti da parte del ctu avanzata dal difensore dei convenuti).
L’allegazione dell’attore di avere pagato l’onorario dell’ingegnere e di aver diritto a ripetere dai committenti la remunerazione corrisposta al “collaboratore” costituisce deduzione nuova inammissibile. L’attore infatti ha agito in giudizio chiedendo l’adempimento del contratto d’opera professionale concluso personalmente con i convenuti ed il pagamento del compenso dovutogli per le prestazioni professionali svolte, non già per far valere un diritto di regresso in relazione al pagamento di un debito dei propri committenti verso il professionista da lui incaricato della redazione del progetto, né per la verità ha mai provato di avere effettivamente eseguito tale pagamento e per l’importo richiesto in questa sede. D’altro canto è evidente che egli non è neppure legittimato a chiedere il compenso per conto dell’autore del progetto, sia perché le ipotesi di sostituzione processuale sono tassative , sia perché non ha richiesto che la condanna fosse emessa a favore dell’altro professionista, sia infine perché, nel merito, non c’è alcuna prova di un conferimento d’incarico da parte dei convenuti nei confronti dell’ingegner Orlandi.
Per ciò che concerne le prestazioni diverse dal progetto, si ritiene che nulla possa essere riconosciuto all’attore per l’attività relativa alle prestazioni preparatorie della progettazione e ad essa connesse di cui al punto 4.3 pag. 13 della relazione del ctu , atteso che la nullità del contratto si estende alle prestazioni strumentali connesse con la edificazione (Cass. 7778/2005 cit.) (CORTE D'APPELLO di Firenze, Sez. II, sentenza 12.01.2010 n. 12).

INCARICHI PROFESSIONALI: P. Ati, Incarichi esterni: lavoro autonomo o appalto pubblico di servizio? Nota alla sentenza 23.12.2009 n. 2608 di TAR Lombardia-Brescia (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

anno 2009

INCARICHI PROFESSIONALI: E' legittima l'esclusione di un concorrente privo del titolo abilitante all'esercizio della professione richiesto dal bando quale unico requisito di ammissione.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente pubblico, di decidere se ricorrere a figure professionali esterne, anziché procedere all'affidamento del servizio mediante una gara d'appalto.

E' legittima l'esclusione di un concorrente privo del titolo abilitante all'esercizio della professione di dietista richiesto dal bando quale unico requisito di ammissione, in quanto non vi è equipollenza fra la figura professionale del tecnologo alimentare e quella del dietista. Le prestazioni richieste dal bando, nel caso di specie, come risulta dall'oggetto dell'incarico da affidare sono indiscutibilmente ed esclusivamente quelle proprie del dietista, non quelle del tecnologo alimentare. Il nucleo qualificante dell'attività di dietista consiste nel curare l'interazione tra dieta ed essere umano, partendo dall'esame della situazione concreta dell'interessato; diversamente, le competenze professionali relative all'attività di tecnologo alimentare consistono nel dirigere e controllare la c.d. "filiera alimentare", vale a dire tutto ciò che occorre per sviluppare, produrre ed offrire sul mercato alimenti di alta qualità, prescindendo, quindi, dalla considerazione del rapporto tra cibo e singolo fruitore.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente pubblico, e a maggior ragione di un ente a fini generali come il comune, di determinare se ricorrere a figure professionali esterne, e in caso affermativo a quali e in che termini. Nel caso di specie, dunque, è corretta la scelta del comune di affidarsi a dietisti per la formulazione dei menu e di indire a tale scopo una procedura di selezione, per il conferimento di alcuni incarichi di prestazione di lavoro autonomo per prestazioni di dietista, verifica e controllo dei servizi di ristorazione scolastica, anziché procedere all'affidamento del servizio mediante una gara d'appalto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.12.2009 n. 2608 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Gare, chiarimento sui requisiti. In G.U. la circolare del ministero delle infrastrutture sull'articolo 253 del dlgs 163/2006. Conta il fatturato quinquennale e l'organico medio del triennio.
Per le gare di ingegneria e architettura, fino a fine dicembre 2010, la norma del Codice che consente di dimostrare i requisiti di ammissione alla gara su un arco temporale più ampio è applicabile soltanto al fatturato quinquennale e all'organico medio annuo del triennio, ma non ai requisiti decennali sui servizi svolti e sui servizi «di punta».
È quanto ha chiarito il ministero delle infrastrutture, con la circolare del 12.11.2009, n. 4649 firmata dal direttore generale per la regolamentazione dei contratti pubblici, Bernadette Veca, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 274 del 24.11.2009.
Il chiarimento riguarda l'art. 253, comma 15-bis del dlgs. 163/06 che consente fino al 31.12.2010 di documentare i requisiti per l'accesso alle gare di servizi di ingegneria e architettura, con riguardo ai migliori tre anni del quinquennio e ai migliori cinque anni del decennio.
La circolare, dopo avere riconosciuto che «l'ampliamento dell'arco temporale utilizzabile per la dimostrazione del possesso dei requisiti minimi introduce una maggiore flessibilità per la qualificazione dei concorrenti», anche «al fine di contrastare gli effetti della crisi economica del mercato che hanno investito anche il settore dei contratti pubblici», chiarisce che il comma 15-bis riguarda i requisiti previsti per i servizi di ingegneria e architettura dal dpr 554/1999, ritenendo tali norme (art. 66, comma 1, del dpr 554/1999), «di dettaglio», implicitamente compatibili con il Codice dei contratti pubblici.
Le stazioni appaltanti devono quindi fare riferimento, nell'applicazione della disposizione agevolativa del «terzo correttivo», ai requisiti del regolamento articolati su base triennale, quinquennale e decennale e non ai requisiti generali del Codice (artt. 41 e 42) che riguardano, per tutti i tipi di appalto, soltanto l'ultimo triennio.
Ciò detto, il ministero specifica che la norma a sua volta non si applica a tutti i quattro requisiti previsti dalla disposizione regolamentare, ma «incide sui soli requisiti di cui alle lettere a) e d) del comma 1 dell'art. 66 del dpr 554/1999 per i quali la dimostrazione del possesso è richiesta rispettivamente su base quinquennale e su base triennale». Pertanto relativamente al fatturato quinquennale «globale», cioè per servizi di ingegneria e architettura, dovranno chiedersi requisiti dei migliori cinque anni del decennio precedente (per il ministero «si consente di individuare su base decennale il requisito quinquennale previsto dalla normativa regolamentare»). Per il requisito triennale dell'organico medio annuo dei tecnici, nei bandi si dovrà consentirne la prova facendo riferimento ai tre migliori anni del quinquennio precedente (secondo la circolare: «Si consente di individuare su base quinquennale il requisito triennale previsto dalla normativa regolamentare»).
Per gli altri due requisiti (espletamento nel decennio di servizi di ingegneria e architettura relativi ai lavori da progettare e due servizi «di punta» di cui alle lettere b e c del comma 1 dell'articolo 66), il ministero afferma che la norma del Codice risulta inapplicabile, «in quanto la riduzione del periodo decennale (si passerebbe ai cinque migliori anni del decennio, ndr) determinerebbe una restrizione della possibilità di partecipare alle gare, in contrasto con la ratio ispiratrice della norma transitoria, introdotta con il precipuo intento di ampliare la concorrenza».
Viene anche chiarito che la norma «incide esclusivamente rispetto all'attività espletata da prendere in considerazione ai fini della stima dell'importo», che non può essere limitata ai soli «lavori da progettare», ma si riferisce anche ad altri servizi di architettura e di ingegneria, a seconda del tipo di incarico da affidare (articolo ItaliaOggi del 16.12.2009, pag. 48).

INCARICHI PROFESSIONALI: In tema di responsabilità del segretario generale e del responsabile del settore affari del personale di un ente locale per danno erariale derivante dall’illegittimo affidamento di incarichi in assenza dei requisiti di legge - art. 28 D.Lo 30.03.2001 n. 165 (nella fattispecie la Sezione ha riconosciuto la responsabilità dei convenuti per aver affidato incarichi dirigenziali a personale interno privo del requisito del diploma di laurea) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sardegna, sentenza 14.12.2009 n. 1246 - link a http://bddweb.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALIHa rilevanza giuridica l’interesse del progettista ricorrente a contestare non solo i provvedimenti di annullamento dei progetti da questo redatti ma anche le iniziative procedimentali che possano costituire definitivo impedimento alla realizzazione dell’opera da lui progettata.
L’Amministrazione può chiaramente decidere di non dare esecuzione al progetto del ricorrente, così come può decidere di dar corso a una nuova progettazione che sia incompatibile con il primo progetto, ma deve far ciò nel rispetto delle regole che presidiano la sua attività e nel rispetto dei giudicati nel frattempo intervenuti.
Al Comune non è impedito annullare le delibere con cui sono stati approvati i progetti del ricorrente, purché ciò avvenga in modo legittimo e con la partecipazione dell’interessato, così come non gli è impedito affidare ad altri la progettazione dell’intervento da realizzare nell’area, ma a condizione che sia previamente e legittimamente rimossa la procedura che riguarda il progetto redatto dal ricorrente.

Il Collegio, richiamando la copiosa giurisprudenza in materia di interesse morale al ricorso (cfr., fra le più recenti, Cons. St., IV, n. 434/ 2009, Cons. St., V. n. 1328/2008, Cons. St., IV, n. 4251/2007), non può che confermare le valutazioni già espresse in precedenza da questo Tribunale e dal Consiglio di Stato con riferimento alla rilevanza giuridica dell’interesse del ricorrente a contestare, non solo i provvedimenti di annullamento dei progetti da questo redatti, ma anche le iniziative procedimentali che (come quelle di cui agli atti impugnati) possano costituire definitivo impedimento alla realizzazione dell’opera da lui progettata.
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Va, infine, svolta un’ultima considerazione sull’affermazione del Comune secondo cui il progettista non ha, comunque, titolo per richiedere l’esecuzione del progetto, potendo a questi solo riconoscersi un limitato diritto a non veder stravolto il proprio lavoro, con il conseguente diritto dell’Amministrazione di eseguire l’opera secondo modalità differenti rispetto a quelle definite in precedenza, ovvero di non eseguirla affatto.
Il Collegio condivide pienamente tale assunto.
L’Amministrazione può chiaramente decidere di non dare esecuzione al progetto del ricorrente, così come può decidere di dar corso a una nuova progettazione che sia incompatibile con il primo progetto, ma deve far ciò nel rispetto delle regole che presidiano la sua attività e nel rispetto dei giudicati nel frattempo intervenuti.
In conseguenza, al Comune non è impedito annullare le delibere con cui sono stati approvati i progetti del ricorrente, purché ciò avvenga in modo legittimo e con la partecipazione dell’interessato, così come non gli è impedito affidare ad altri la progettazione dell’intervento da realizzare nell’area, ma a condizione che sia previamente e legittimamente rimossa la procedura, tutt’oggi sospesa, che riguarda il progetto redatto dal ricorrente
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 10.12.2009 n. 1432 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALINei bandi di gara per l’affidamento di incarichi di progettazione è necessario indicare la classe e la categoria o le classi e le categorie dell'intervento, in quanto ciò è funzionale anche per la dimostrazione dei requisiti minimi di partecipazione o della indicazione dei requisiti da impiegare, nel caso che la procedura di gara sia la licitazione privata, per la selezione dei concorrenti cui inviare la lettera di invito a presentare offerta.
I lavori cui si riferiscono detti requisiti devono, infatti, appartenere alla classe e alla categoria (o alle classi e alle categorie) dell'intervento cui si riferisce il bando.
In questi casi vanno considerati gli interventi appartenenti non solo alla classe e alla categoria (o alle classi e alle categorie) dell'intervento cui si riferisce il bando, ma anche alla classe ed alle categorie la cui collocazione nell'ordine alfabetico sia pari o più elevata a quella stabilita nel bando, in quanto questi interventi sono della stessa natura ma tecnicamente più complessi (cfr. determinazione 30/2002)
(parere 03.12.2009 n. 150 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALILa definizione di particolari condizioni di esecuzione correlabili a requisiti di professionalità e di imprenditorialità dei concorrenti rientra nell’area della discrezionalità della stazione appaltante, il cui esercizio deve conformarsi a principi di proporzionalità e ragionevolezza.
In una gara per l’affidamento del contratto di progettazione esecutiva e realizzazione di una seggiovia, è stato ritenuto congruo il termine di cinque giorni dall’aggiudicazione provvisoria per la consegna dei progetti, stante l’utilizzo nell’opera di componenti altamente standardizzati, per i quali l’attività di progettazione è minima.
Le capacità imprenditoriali di ciascun concorrente nel saper affrontare, anche in relazione ai tempi di consegna, l’incarico ottenuto svolgono, in tali casi, un ruolo determinante per l’esito di gara
(parere 03.12.2009 n. 143 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi senza controlli. Corte conti: le norme del dl n. 78/2009 si applicano solo alle amministrazioni statali. Illegittima la verifica sulle consulenze degli enti.
Le disposizioni in materia di controllo preventivo di legittimità da parte della Corte dei conti, introdotte dall'articolo 17, comma 30, del dl n. 78/2009, non si applicano agli atti e ai provvedimenti di incarichi e consulenze emanati dagli enti locali territoriali o dalle loro articolazioni. Se, infatti, l'intento del legislatore fosse stato quello di sottoporre a controlli singoli atti di regioni o enti locali, avrebbe chiaramente introdotto delle disposizioni legislative in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione, la quale pone gli enti locali e territoriali su un piano di equiordinazione con lo Stato e, dunque, non più assoggettabili a controlli centralizzati.
Lo ha chiarito la Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla legittimità degli atti delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 23.11.2009 n. 20/2009, con la quale, per la prima volta dalla sua entrata in vigore, ha chiarito l'ambito soggettivo e la portata delle disposizioni contenute all'articolo 17, commi 30 e 30-bis, della manovra d'estate.
I giudici della Corte hanno confermato la tesi anticipata sulle colonne di ItaliaOggi il 16/10/2009.
Come si ricorderà, la norma richiamata ha inteso allargare il controllo preventivo di legittimità della Corte, ex articolo 3, comma 1, della legge n. 20/1994, anche agli atti e contratti di conferimento incarichi ad esperti e specialisti, nonché gli incarichi di studi e consulenza, ma nulla dice in merito ai soggetti (pubblici) cui la norma è indirizzata.
Preliminarmente all'esame dell'atto pervenutole (un contratto di consulenza siglato da un'azienda sanitaria locale), la Corte ha deciso sgomberare il campo con delle osservazioni di fondamentale importanza in merito all'ambito soggettivo del controllo previsto dal dl n. 78/2009. In poche parole, a chi si indirizza tale controllo preventivo di legittimità? Alle sole amministrazioni statali o all'ampia dizione di pubblica amministrazione ex articolo 1, comma 2, del dlgs n. 165/2001?
I magistrati della Corte hanno svolto pertanto un'ottima analisi sulla genesi del provvedimento normativo. L'intenzione del legislatore (d'urgenza) non era certo quella di comprendere gli enti locali territoriali nel novero dei soggetti cui si riferisce la norma. Ciò risulta indirettamente dalla circostanza che l'emanazione della norma «non è stata preceduta né accompagnata da consultazioni con le regioni» che, come noto (Corte Cost. n. 417/2005), sono soggetti legittimati ad intervenire a tutela delle autonomie locali. È vero che nella funzione legislativa non sussiste alcun obbligo di consultazione, ma, nel caso di specie, la Corte afferma che «sembra più plausibile che il legislatore statale non abbia neppure avvertito l'esigenza di una consultazione, proprio perché non aveva alcuna intenzione di intervenire su competenze proprie delle autonomie locali». D'altra parte, ha proseguito il collegio della magistratura contabile, sarebbe stato «difficilmente concepibile» che il legislatore ignorasse che i controlli preventivi di legittimità su atti di regioni ed enti locali oggi sfuggono al controllo centralizzato. Per questo, la Corte ha ritenuto che una competenza statale in materia di controlli preventivi di legittimità sugli enti locali sarebbe incompatibile con la Costituzione, anche se venisse invocata la potestà legislativa in materia di coordinamento di finanza pubblica.
In tale ultimo caso, la Corte ha osservato che se si volesse sottoporre a controlli interdittivi singoli atti di regioni o enti locali, anziché limitarsi ad indicare l'esigenza di una verifica più rigorosa sul versante delle spese per consulenze ed incarichi, ciò esorbiterebbe dalla competenza dello Stato, il quale ha titolo solamente a porre i principi fondamentali, lasciando all'autonomia di regioni ed enti locali, «la concreta previsione degli strumenti e dei procedimenti di verifica» (articolo ItaliaOggi del 28.11.2009, pag. 27).

INCARICHI PROGETTUALI: Concorso di idee - Proposte a pari merito - Applicazione criterio del sorteggio - Non previsto nella lex specialis - Legittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della definizione della questione oggetto della controversia in esame, si osserva preliminarmente che sebbene, come rilevato dal Comune di Avellino nella nota del 28.07.2008, l’Architetto Pasquale Petruzzo fosse stato classificato nella graduatoria finale al quattordicesimo posto (in un concorso dove era prevista l’assegnazione di soli tre premi ed in presenza di cinque raggruppamenti risultati a pari merito con i due punteggio più alti), l’istanza è da ritenersi ammissibile, censurandosi in essa il mancato rispetto da parte della stazione appaltante di due clausole del bando di indubbio rilievo la cui violazione -in astratto- potrebbe inficiare la legittimità di tutta la procedura.
Quanto alla prima, e cioè all’art. 14, comma 2, essa -dopo avere indicato l’entità dei tre premi messi a concorso- precisa che «non saranno ammessi ex aequo».
Il tenore letterale della citata disposizione esclude la sostenibilità della contestazione sollevata dall’Architetto Pasquale Petruzzo che testualmente, nell’istanza, afferma: «ex aequo non previsti invece nella graduatoria ci sono ex aequo». Appare infatti evidente che la clausola del bando non possa essere interpretata nel senso di escludere in astratto che diversi progetti potessero ottenere il medesimo punteggio: una simile statuizione sarebbe stata evidentemente illegittima, condizionando a priori la valutazione della Commissione nell’attribuzione dei punteggi ai singoli candidati. Piuttosto, detta clausola era diretta ad escludere -nell’ipotesi, possibile e consentita, di assegnazione del medesimo punteggio a più concorrenti- che i tre premi a concorso, rispettivamente dell’importo di € 30.000,00, € 10.000,00 e € 5.000,00, potessero essere attribuiti a più di tre concorrenti. In altri termini, la disposizione richiede che la Commissione “superi” l’impasse dell’ex aequo non conferendo il premio a tutti i “pari merito” ma risolvendo la situazione con modalità previste dalla legge.
Ciò di fatto è avvenuto quando la Commissione, previa comunicazione ai cinque raggruppamenti risultati (tre e due) con il medesimo punteggio, ha proceduto nel contraddittorio al sorteggio onde potere procedere all’assegnazione dei premi, altrimenti non possibile in quanto esclusa dal bando in presenza di ex aequo. Al riguardo si evidenzia che il prescelto strumento del sorteggio è previsto dall’art. 77, comma 2 del R.D. 827/1924, il quale stabilisce che: «Ove nessuno di coloro che fecero offerte uguali sia presente, o i presenti non vogliano migliorare l'offerta, ovvero nel caso in cui le offerte debbano essere contenute entro il limite di cui al secondo comma dell'art. 75 e all'ultimo comma dell'art. 76, la sorte decide chi debba essere l'aggiudicatario».
Seppure è indubbio che sarebbe stato conforme ad un principio di maggiore trasparenza, completezza e chiarezza nella redazione del bando prevedere nel medesimo art. 14 (dopo l’esclusione degli ex aequo, nel senso che non si sarebbe proceduto ad attribuire più premi ai raggruppamenti eventualmente aventi lo stesso punteggio) che nell’ipotesi di “pari merito” la Commissione avrebbe proceduto a scegliere il vincitore con il metodo del sorteggio, non può dirsi che il ricorrere a tale metodo -in una situazione di parità in concreto impeditiva dell’attribuzione dei premi- sia stato illegittimo.
Ed infatti il sorteggio –secondo una costante giurisprudenza riferita invero, in prima battuta, all’”esperimento di miglioria”– costituisce una risorsa di carattere generale cui le stazioni appaltanti possono fare riferimento in caso di offerte aventi la medesima valutazione numerica (TAR Sicilia Palermo sez. III 19/01/2007 n. 165; CGA Regione Siciliana Sezione giurisdizionale 27/12/2006 n. 808; CGA Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale - sentenza 21.09.2006 n. 537).
I giudici amministrativi hanno avuto modo di evidenziare che il ripetuto art. 77 -contenuto nel regolamento di contabilità generale dello Stato- trova applicazione generalizzata indipendentemente dal suo richiamo nei bandi di gara; esso invero non è stato abrogato né implicitamente né esplicitamente dalla successiva normativa in materia di appalti, con la conseguenza che deve trovare applicazione in tutte le procedure di gara (così: TAR Sicilia Palermo, II, 17.05.2001, n. 739). Applicando tali insegnamenti pretori al caso di specie, ove l’esperimento di miglioria, trattandosi di concorso di idee, non era realizzabile (è noto infatti che esso debba riguardare solo il prezzo fermo ogni altro elemento: così v. CGA, Sez. Giurisdizionale - sentenza 27.12.2006 n. 808), non rimaneva alla stazione appaltante che ricorrere, come è avvenuto, previa convocazione dei raggruppamenti interessati, al sorteggio.
In ordine alla seconda censura, secondo cui il Comune di Avellino non avrebbe rispettato il termine di dieci giorni previsto dall’art. 14 del bando necessariamente intercorrente tra il termine dei lavori della Commissione e la comunicazione dell’esito del concorso mediante pubblicazione della graduatoria, si osserva che l’Architetto Pasquale Petruzzo giunge a questa conclusione individuando il momento finale dei lavori della Commissione nel 28.11.2007 e la data di pubblicazione del risultato finale del concorso nel 17.04.2008.
Invero, dall’esame della documentazione trasmessa dal Comune di Avellino e dall’attenta analisi delle scansioni procedimentali caratterizzanti la vicenda in esame, deve ritenersi che le predette date non corrispondano ai due “eventi” significativi di cui al citato art. 14 (termine dei lavori della Commissione; pubblicazione del risultato finale del concorso). Ed infatti, con il 28.11.2007 si è conclusa l’attività di concreta valutazione delle offerte dei diversi raggruppamenti; il 14.04.2007 la Stazione Appaltante, per garantire una migliore trasparenza delle operazioni, ha pubblicato la determinazione dirigenziale dell’08.04.2007 in cui si dava atto dei punteggi attribuiti ai diversi raggruppamenti, ove però -com’è ormai noto- erano individuabili due ex aequo (nel senso che a tre raggruppamenti era stato attribuito il medesimo punteggio, e così pure ad altri due).
In siffatto contesto non può correttamente affermarsi che i lavori della Commissione erano terminati il 28.11.2007, né che la pubblicazione del 14.04.2007 fosse quella della graduatoria finale di merito. Ciò in quanto -proprio per la clausola impeditiva contenuta nell’art. 14, comma 2, del bando- non si poteva procedere alla distribuzione dei premi in presenza di ex aequo; dunque i lavori della Commissione non potevano dirsi terminati, dovendo essa individuare una modalità legittima per superare il problema della parità dei punteggi. Tant’è che la Commissione medesima veniva nuovamente convocata, stabiliva di procedere in base all’art. 77 del R.D. 827/1924 al sorteggio tra i raggruppamenti risultati a pari merito, convocava a tal fine i cinque raggruppamenti interessati e -in data 08.07.2007- procedeva di fatto al sorteggio, così individuando i tre vincitori del concorso di idee. La pubblicazione della graduatoria definitiva, contenente anche i nominativi dei tre raggruppamenti risultati vincitori dei premi messi a concorso, era pubblicata in data 18.07.2007, nel rispetto, quindi, del termine di dieci giorni previsto dall’ultimo comma dell’art. 14 del bando.
In sintesi, la determina dirigenziale dell’08.04.2008 non può essere qualificata come atto conclusivo del procedimento equivalendo questo al provvedimento con cui vengono attribuiti i premi: dato evincibile dalla lettura sistematica del bando, dove il comma in questione è all’interno di una disposizione volta a disciplinare il tema dei “premi”. Risulta in tale contesto evidente la volontà della stazione appaltante di individuare la conclusione dei lavori della Commissione con la formazione di una graduatoria utile alla effettiva attribuzione dei premi.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’operato del Comune di Avellino è conforme alla lex specialis e alla normativa di settore (parere 19.11.2009 n. 133 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Appalti, niente affidamenti diretti tra la Asl e l'Università. L'Oice ha presentato ricorso alla Ue alla Corte dei Conti e all'Authority di vigilanza. Gli atenei non possono partecipare alle gare di progettazione: il caso dell'ospedale di Lecce.
Devono essere dichiarati illegittimi gli affidamenti di progettazione disposti in via diretta a favore di una Università da parte di una Asl; le Università non possono progettare né partecipare a gare, ma devono limitarsi a svolgere le loro attività istituzionali di ricerca scientifica e di insegnamento.
E' quanto ha chiesto l'Oice, l'Associazione delle società di ingegneria e architettura, con un ricorso presentato al Tar Puglia di Lecce, unitamente a tre società associate, con il patrocinio di Angelo Clarizia.
Il ricorso, che fa seguito ad un esposto presentato dalla stessa Associazione alla Commissione europea, alla Corte dei Conti e all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, sarà esaminato giovedì 19 in sede cautelare e ha ad oggetto la legittimità di due affidamenti disposti dalla ASL Lecce il 7 ottobre scorso a favore dell'Università del Salento.
Il primo affidamento, beneficiaria l'Università del Salento di Lecce per una progettazione definitiva di una struttura ospedaliera, prevede 676.000 euro di onorari, ai quali la stazione appaltante prevede di aggiungere un incremento del 13% per «attività conto terzi», oltre alla possibilità di un successivo affidamento della progettazione esecutiva e della direzione dei lavori.
Il secondo affidamento riguarda un contratto di consulenza per l'effettuazione di verifiche sismiche pari a 200.000 euro, disposto dalla stessa Asl di Lecce a favore del Dipartimento di ingegneria dell'innovazione sempre dell'Università del Salento.
L'Oice, così come gli ordini provinciali degli ingegneri e degli architetti che hanno a loro volta presentato autonomi ricorsi contro gli stessi affidamenti, censura l'affidamento diretto di attività che dovevano invece essere messe sul mercato con una regolare gara, peraltro anche di rilievo comunitario. «Si tratta», ha detto il presidente dell'Oice, Oddi Baglioni, «di affidamenti avvenuti, a nostro avviso, in evidente violazione di legge e in contrasto con quanto l'Autorità ha autorevolmente affermato negli ultimi anni, con riferimento alla tematica del ruolo delle Università in questo settore».
Ma l'obiettivo del ricorso, oltre a vedere dichiarata l'illegittimità degli affidamenti, è anche quello di ottenere una pronuncia che esamini a fondo il ruolo delle Università in questo settore: «L'affidamento de quo», si legge nel ricorso, «è senz'altro illegittimo perché le funzioni ed i compiti istituzionali dell'Università consistono esclusivamente nella promozione della ricerca scientifica e nell'offerta didattica; l''attività di progettazione esula in toto dai fini istituzionali dell'Ateneo in quanto attiene ad un'attività economica -ai sensi della normativa comunitaria- di natura tecnica che non riguarda la ricerca scientifica e l'insegnamento».
In passato l'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (delibera 119/2007) aveva stabilito che le università non potessero svolgere attività di progettazione, né partecipare a gare per tali affidamenti; soltanto società di ingegneria cosiddette di spin off, costituite dalle Università, ma autonome e operanti sul mercato, potrebbero partecipare alle gare» (articolo ItaliaOggi del 18.11.2009, pag. 43).

INCARICHI PROGETTUALI: Sulla possibilità per un raggruppamento di professionisti di aggiudicarsi una gara pubblica avvalendosi delle competenze di altre imprese.
Un operatore economico può provare il possesso dei requisiti necessari per la partecipazione ad una gara di appalto avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica, dai rapporti o dai vincoli che intercorrono tra il prestatore e i soggetti dai quali trae le competenze.
Nel caso di specie, pertanto, un raggruppamento di professionisti partecipante ad una gara per l'affidamento dei servizi di progettazione per il recupero, la riqualificazione ed il restauro di un edificio può legittimamente utilizzare l'istituto dell'avvalimento per le attività residuali esplicitamente individuate dal bando di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2009 n. 7054 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Appalti, più spazi ai professionisti. Il Consiglio di stato ha fornito un'interpretazione estensiva dell'istituto dell'avvalimento. La società di architetti può utilizzare anche imprese terze.
Via libera alle associazioni professionali negli appalti pubblici. Infatti possono aggiudicarsi una gara avvalendosi di altre aziende con competenze specifiche.
A questa conclusione è giunto il Consiglio di Stato che, con la decisione n. 7054 del 12.11.2009, ha fornito un'interpretazione estensiva dell'istituto dell'avvalimento dando ragione a una associazione professionale di architetti che aveva vinto un appalto per il restauro di una villa comunale.
Il Collegio di Piazza Spada ha confermato la decisione depositata dal Tar Lombardia secondo cui le i raggruppamenti temporanei di professionisti sono sullo stesso piano dei raggruppamenti di imprese. Fra l'altro, sulla decisione ha pesato una sentenza della Corte di giustizia del '99 –si legge nelle motivazioni– che ha avuto lo scopo di ampliare la dinamica concorrenziale svolta dai raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti.
In proposito, si legge nella decisione del Consiglio di stato, «il primo giudice ritenne infondato nel merito il ricorso osservando che, in omaggio allo scopo di ampliamento della dinamica concorrenziale e della obiettiva funzione antimonopolistica svolta dai raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti (agli stessi equiparati nella disciplina comunitaria), sin dal 1999 (cfr. la sentenza del 02.12.1999 nella causa C-176/98) la Corte di Giustizia ha chiarito la interpretazione sostanzialista della direttiva 92/50, nel senso, cioè, di consentire ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara di appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli con gli stessi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto». In sostanza, spiegano i giudici, le direttive appalti pubblici non permettono di restringere la possibilità di partecipare alle gare «ad alcune categorie di operatori escludendone altre».
La Commissione Ue, secondo palazzo Spada, considera dunque che «l'art. 34, par. 1 del codice, anche in combinato disposto con l'art. 206, par. 1, nonché gli artt. 90 e 101, anche in combinato con l'art. 237 sono contrari alle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, nella misura in cui essi escludono la possibilità di partecipazione alle gare di appalti e ai concorsi di progettazione soggetti a dette direttive, per gli operatori che hanno una forma giuridica diversa da quelle contemplate dai citati articoli» (articolo ItaliaOggi del 17.11.2009, pag. 21).

INCARICHI PROGETTUALI: Affidamento incarichi di progettazione.
Servizi di progettazione - Lex specialis - Clausola che privilegia i professionisti che hanno progettato interventi affini in un determinato ambito territoriale - Illegittimità.

Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità attiene alla legittimità di un bando di gara nella parte in cui attribuisce ad un requisito professionale la natura di titolo preferenziale, che consente di conferire al concorrente che lo possiede un punteggio maggiore ai fini dell’aggiudicazione del contratto.
Ferma restando infatti la considerazione che nella determinazione dei requisiti di partecipazione ciascuna Stazione Appaltante detiene un’ampia discrezionalità, che consente anche di prescrivere requisiti diversi e più severi rispetto a quelli normativamente fissati, in quanto volti a perseguire uno specifico interesse pubblico, occorre accertare se la previsione di un requisito ulteriore che di per sé non impedisce la partecipazione a chi non lo detiene costituisca di fatto, attraverso il riconoscimento di una natura preferenziale, cui corrisponde una maggiorazione del punteggio di valutazione dell’offerta, una limitazione alla concorrenza e una discriminazione ingiustificata rispetto ai concorrenti che non sono in possesso di quel requisito.
Nel caso di specie, considerato che la gara è stata indetta con il criterio dell’“offerta economicamente più vantaggiosa”, ai sensi dell’articolo 64, comma 2, del DPR n. 554 /1999 e che tale disposizione, al “punto a)”, consente di prendere in considerazione la “professionalità” del partecipante sulla scorta di “documentazione grafica, fotografica e descrittiva, la Stazione Appaltante era legittimata a valutare adeguatamente la professionalità dei partecipanti alla gara, anche considerando le esperienze professionali svolte in precedenza.
Tuttavia, occorre accertare entro quali limiti tale specifica facoltà della Stazione Appaltante sia effettivamente realizzabile e come essa possa coordinarsi con i principi comunitari, in materia di concorrenza e di parità di trattamento, stante il fatto che la previsione di criteri valutativi che ricolleghino un titolo preferenziale ad esperienze pregresse connesse allo specifico ambito territoriale interessato dall’intervento oggetto dell’appalto, può tradursi in una lesione della concorrenza, realizzando, in modo surrettizio, le condizioni per assicurare una “preferenza diretta o indiretta” alle imprese locali.
Sul punto, l’Autorità ha già avuto modo di sostenere che “i criteri di valutazione dell’offerta, così come i requisiti di partecipazione alla gara, che privilegiano direttamente o indirettamente le imprese locali, si pongono in violazione dei principi comunitari in tema di concorrenza e parità di trattamento, nonché di libera circolazione, salvo il limite della logicità e della ragionevolezza, ossia della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito” (parere n. 251 del 10.12.2008).
Il problema fondamentale consiste, invero, nel discriminare i casi in cui la clausola che stabilisce il criterio preferenziale costituisca espressione della facoltà –legittima– di valutare la professionalità specifica, da quelli in cui si traduca nella decisione –illegittima– di restringere la concorrenza a favore di determinate imprese.
Nel caso di specie, considerato che il punteggio attribuito al requisito preferenziale è pari a 10 sui 40 riferiti alla professionalità e tenuto conto che il requisito in questione si riferisce non a qualsiasi intervento sul comprensorio di un torrente, ma esclusivamente a quelli relativi al comprensorio del torrente Melfia, deve ritenersi che la combinazione di tali circostanze costituisca una condizione suscettibile di ledere la concorrenza (cfr. parere n. 251/2008).
Peraltro, il requisito in questione non solo integra una ingiustificata violazione del principio di concorrenza e del principio di parità di trattamento, ma non sembra nemmeno trovare una specifica motivazione nella tutela di un particolare interesse pubblico perseguito dalla Stazione Appaltante che consenta di giustificare quel particolare riconoscimento preferenziale conferito al requisito.
Infatti la il Comune di Melfi ricollega il titolo preferenziale ad una mera circostanza di fatto, la quale, mentre si traduce in un vantaggio per il concorrente che si trovi in tale condizione, non lascia trasparire il vantaggio che la stazione appaltante ricaverebbe dal riconoscimento di tale situazione.
In realtà, la “conoscenza” dell’ambito territoriale, derivante dall’avere già svolto precedenti interventi, comporta già in sede di progettazione un “vantaggio” per il concorrente. Tale “conoscenza”, infatti, può tradursi nella migliore e più adeguata attività di progettazione, la quale forma già oggetto di specifica valutazione (punto 11.2 - b.1), con valutazione “fattore ponderale 20”. E’ questa la sede di valutazione in cui la stazione appaltante può riconoscere il valore della “conoscenza” del territorio: quella in cui si accerta il miglior livello qualitativo del progetto presentato.
Al contrario, la previsione di un ulteriore “fattore ponderale 10” per il fatto di “aver progettato interventi affini nell’ambito del comprensorio idraulico del torrente Melfia”, costituisce un indubbio vantaggio solo per i concorrenti che possono vantare tale esperienza.
Ne consegue che la clausola inserita nella lex specialis, nel prevedere che “costituisce ulteriore titolo preferenziale l’aver progettato intereventi affini nell’ambito del comprensorio idraulico del torrente Melfia”,non è conforme ai principi di concorrenza e di parità di trattamento che informano la materia dei contratti pubblici.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la clausola in questione della lex specialis non è conforme ai principi in materia di contratti pubblici (parere 22.10.2009 n. 116 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Calcolo coefficienti per la determinazione dei punteggi.
Gara d'appalto - Servizi di progettazione - Calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale - Trasformazione valori millesimali in valori centesimali - Conformità alla normativa di settore - Fattispecie.

Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di parere, sollevata dalla società interveniente DAM S.p.A. in sede di contraddittorio documentale.
In particolare, viene contestata l’assenza di una controversia tra le parti, secondo quanto stabilito dall’art. 3 del “Regolamento sul procedimento per la soluzione delle controversie” adottato da questa Autorità.
Invero, tale eccezione appare infondata, tenuto conto che la nozione di controversia che viene in rilievo nella presente sede precontenziosa è evidentemente più ampia rispetto alla nozione tradizionale di ordine giurisdizionale.
Ne consegue, pertanto, che non necessita -come diversamente affermato dalla DAM S.p.A.- la condizione connessa ad una situazione di litispendenza o di controversia emergente da atti formali, essendo sufficiente, ai sensi della norma primaria di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del D.Lgs. n. 163/2006, che via siano “questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”, mentre per espressa previsione di questa Autorità (art. 3, punto 2 del citato Regolamento) la pendenza di giudizio costituisce una causa tipica di non ammissibilità dell’istanza rivolta ad acquisire il parere.
Nel merito è sufficiente constatare che, nell’economia della procedura diretta ad aggiudicare il servizio di progettazione in argomento, la Commissione giudicatrice ha, in un primo momento, calcolato i coefficienti di valutazione ed il punteggio finale riportando i singoli valori in termini numerici decimali che contenevano anche l’indicazione dei millesimi. Mentre, successivamente, in applicazione dell’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, ha ritenuto di riportare gli stessi valori in termini numerici decimali con la sola indicazione dei centesimi.
Per operare tale trasformazione la Commissione ha eliminato la cifra dei millesimi ed arrotondato quella dei centesimi all’unità inferiore o superiore, a seconda che la cifra dei millesimi stessi fosse inferiore a cinque o pari o superiore a cinque. La stessa Commissione di gara ha poi annullato tale diversa graduatoria dei soggetti partecipanti senza raggiungere alcun convincimento sul corretto metodo di calcolo da seguire.
Si evidenzia, al riguardo, che la soluzione del problema connesso al corretto calcolo dei coefficienti che concorrono alla determinazione del punteggio finale da assegnare a ciascun soggetto partecipante può senz’altro ricavarsi da una attenta lettura della lettera della legge. Infatti, secondo l’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, espressamente richiamato a tale scopo dal disciplinare di gara (art. 6, comma 5), sono coefficienti compresi tra 0 e 1, quelli espressi in valori centesimali, attribuiti a ciascun concorrente; dove il coefficiente è pari a zero in corrispondenza della prestazione minima possibile; mentre il coefficiente è pari ad uno in corrispondenza della prestazione massima offerta. Tutte le altre posizione possono trovare una graduazione che in linea teorica e matematica sarebbe data da una serie infinita di numeri. Per tale ovvia ragione il legislatore ha ritenuto che gli stessi coefficienti e, quindi, il punteggio finale fosse dato dalla sommatoria di valori al massimo centesimali, cioè con due sole cifre dopo la virgola.
Tale interpretazione logico sistematica induce a ritenere che l’operato della Commissione di gara, come definito nel verbale n. 7 del 23.06.2008, fosse corretto e sicuramente aderente alla lettera ed allo spirito della legge, che impone un criterio logico e prudenziale di valutazione. Peraltro, la circostanza che l’art. 6, comma 5, del disciplinare di gara espressamente dispone che “Successivamente la commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate, procede, sulla base della documentazione contenuta nella busta “B – Offerta tecnica” ed ai sensi delle disposizioni di cui all’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, alla valutazione del merito tecnico e delle caratteristiche qualitative e metodologiche…” consente di affermare che il criterio adottato dalla Commissione di gara nel citato verbale n. 7, per espresso richiamo della stazione appaltante nel proprio disciplinare di gara, è stato legittimamente predeterminato, diversamente da quanto asserito dalla DAM S.p.A. Né, allo stesso tempo, la Commissione nel successivo verbale n. 8 del 25.11.2008 ha individuato una ragione di per sé sufficiente per derogare al summenzionato criterio di calcolo.
Giova, infine, rilevare che l’operazione di trasformazione dei valori millesimali in valori centesimali è del tutto obiettiva e corretta, atteso che essa si rifà ad un dato equo e casuale che più volte è stato utilizzato nella prassi dalla p.a..
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’utilizzo del criterio di cui all’allegato E del D.P.R. n. 554/1999 da parte della Commissione di gara è corretto e che il criterio medesimo andava doverosamente applicato per espresso richiamo del disciplinare di gara (parere 08.10.2009 n. 109 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Affidamento servizi di progettazione di importo inferiore a 100.000 euro.
Servizi di progettazione - Affidamento servizi di importo inferiore a 100.000 euro - Disciplina ex art. 91, c. 2, dlgs. 163/2006 - Criteri di selezione professionista - Necessità di analitica e rigorosa predeterminazione elementi e sub-elementi di valutazione - Va esclusa - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Alla luce dei parametri di legittimità desumibili dalla determinazione di questa Autorità n. 1 del 19.01.2006, ancor oggi attuali, il procedimento di evidenza pubblica per l’affidamento dell’incarico professionale in oggetto, siccome esperito dal Comune di ITRI non presta il fianco a censure.
Invero, sotto nessuno dei profili in quella determinazione evidenziati le doglianze dell’istante possono essere positivamente apprezzate.
Si tratta, nel caso all’esame, dell’affidamento di servizi di ingegneria di importo stimato inferiore a 100.000 euro, com’è agevole desumere dagli stessi riferimenti normativi del Bando versato in atti: l’art. 91, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (d’ora in avanti denominato “Codice”) – secondo cui “gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo…di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 (100.000 euro n.d.r.) possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento…nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall'articolo 57, comma 6; l'invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei” –e, per l’appunto, l’art. 57, co. 6 del Codice– secondo cui “ove possibile, la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza…Gli operatori economici selezionati vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta. La stazione appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa, previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo bando”.
E’ noto che il principio di concorrenza e quelli di radice comunitaria (che ne rappresentano attuazione e corollario) di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, che hanno trovato recepimento espresso nel diritto interno (come, per l’appunto, nell’art. 91 co. 2, del Codice), costituendo principi fondamentali anche per il nostro ordinamento ex art.1, co. 1, della legge 241/1990, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie od interne ed in modo prevalente rispetto ad eventuali disposizioni interne di segno contrario (cfr. ex multis: TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 21.05.2008, n. 1978).
Il precedente normativo in subiecta materia è costituito dall’art. 17, comma 12, della legge 109/1994, così come modificato dalla legge n. 65/2005 in ottemperanza al pronunciamento della Commissione europea che ebbe a censurare la mancata previsione di alcun onere minimo di messa in concorrenza e l’assenza di alcuna forma di pubblicità, atta a consentire un confronto concorrenziale fra i soggetti potenzialmente interessati alla prestazione del servizio.
In osservanza a detti rilievi, il legislatore nazionale ha eliminato la possibilità dell’affidamento diretto su base fiduciaria degli incarichi per importo inferiore a 100.000 euro, facendo espresso richiamo all’obbligo da parte delle stazioni appaltanti del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.
Ciò si è tradotto, per quanto rileva in questa sede, nell’instaurazione di una apposita procedura negoziata (previa pubblicazione di apposito Bando -che nella fattispecie è stata effettuata alla stregua di opzione strumentale alla ricerca di qualificate manifestazioni di interesse- nelle spedite forme dell’Albo pretorio e del sito internet della stazione appaltante), con la quale si è proceduto ad una verifica preliminare tesa alla selezione -mediante l’applicazione dei criteri selettivi discrezionalmente enunciati nel Bando- di cinque candidati ammessi a presentare la successiva offerta economica, per l’affidamento dell’incarico secondo il prescelto criterio del prezzo più basso.
La preliminare richiesta del possesso dei requisiti suddetti per la partecipazione alla procedura negoziata di che trattasi è avvenuta nel pieno rispetto del principio di proporzionalità, risultando strettamente connessa alla tipologia ed all'importo dell'incarico di che trattasi, inferiore alla soglia dei 100.000 euro, senza peraltro comportare il pericolo di una indebita restrizione della concorrenza. Nessuna necessità ulteriore –dato il criterio automatico (prezzo più basso) di aggiudicazione prescelto dalla S.A.– è dato rinvenire nella fattispecie per divisare il fondamento di una distinta predeterminazione di criteri di valutazione delle offerte rapportati alla tipologia e all’importo dell’incarico, altrimenti ravvisabile nel caso di un incarico di maggior importo e complessità.
Per questo è bastevole rappresentare che nell’avviso di selezione in argomento sono stati indicati i requisiti minimi di idoneità professionale richiesti dalla stazione appaltante per assumere l’incarico in questione, in modo tale da consentire agli aspiranti, in assoluta condizione di parità, di dimostrare -tramite il curriculum- il possesso di una esperienza adeguata rapportata alla tipologia e all’importo dell’incarico. Essendo, inoltre, il criterio di aggiudicazione prescelto quello del prezzo più basso, non era necessario che la S.A. fissasse ulteriori distinti criteri e sub-criteri di merito comparativo per la selezione dei cinque professionisti da invitare successivamente a formulare l’offerta economica, così come preteso dall’istante sulla falsariga del distinto criterio di aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 del Codice. E’ solo in relazione a quest’ultimo criterio, infatti, che va tenuto distinto il merito tecnico dell’offerta da valutarsi nella fase di affidamento, con riguardo alle caratteristiche qualitative dei progetti presentati, che l’offerente ritenesse rappresentativi della propria capacità progettuale, in rapporto a quella degli altri concorrenti.
Del resto, diversamente da quanto preteso al riguardo dall’istante, questa Autorità ha già avuto modo di statuire, con le deliberazioni n. 43/2007 e n. 86/2007, che l’avviso deve riportare i criteri di selezione dei curricula, senza la necessità di un'espressa e puntuale predeterminazione dei pesi ponderali assegnati a ciascun criterio.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge, dunque, che la normativa cui fa riferimento il Bando, imponeva alla stazione appaltante l'esperimento di una previa procedura di tipo comparativo per l’individuazione di cinque candidati da ammettere alla successiva fase dell’offerta economica, assistita da una adeguata pubblicità.
Al riguardo, come espresso da questa Autorità con le determinazioni n. 18/2001 e n. 30/2002, per “adeguata pubblicità” deve intendersi quella pubblicità che, seppure semplificata, risulti funzionale allo scopo di raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti interessati all’affidamento, in relazione all’entità ed all’importanza dell’incarico: ciò che è avvenuto nella fattispecie, tenuto conto dell’importo e della tipologia dell’incarico.
Inoltre, per quanto attiene al procedimento di selezione dei candidati, la stazione appaltante ha puntualmente indicato nel Bando gli elementi sui quali si sarebbe basata. Si è trattato, in tutta evidenza, di oggettivi criteri curriculari di confronto comparativo, proporzionati all’incarico da conferire ed alle caratteristiche proprie della procedura negoziata prescelta.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene che la procedura posta in essere dal Comune di ITRI per l’affidamento dell’incarico in oggetto è conforme alla normativa di settore (parere 08.10.2009 n. 95 - link a www.autoritalavoripubblici.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: La consulenza che aggira professionalità interne danneggia l’erario anche se è utile alla Pa.
Affidamento di incarichi consulenziali da parte della Pa - Violazione dei limiti di cui all’articolo 7 del Dlgs. 165/2001 e all’articolo 110, comma 6, Dlgs. 267/2000 - Inesistenza del presupposto della mancanza di professionalità interne alla Pa - Responsabilità erariale - Sussiste.
Responsabilità erariale connessa a una consulenza affidata in violazione dei limiti di legge - Consulenza effettivamente espletata e dotata di utilità per la Pa - Integrazione del danno erariale - Non è da escludere - Un professionista interno alla Pa non avrebbe percepito compensi aggiuntivi.

La Corte dei Conti, torna a intervenire in tema di responsabilità erariale conseguente all’affidamento di incarichi di consulenza in assenza dei presupposti previsti dalla normativa.
Il caso esaminato riguarda l’affidamento da parte di un dirigente di un ufficio speciale del Comune di Roma di due incarichi di consulenza per la prestazione di pareri in ambito normativo affidati, per supposta carenza di professionalità interne al Comune, a un professore universitario. La Corte dei Conti ribadisce due importanti capisaldi della sua giurisprudenza in proposito:
- gli incarichi di consulenza devono essere prestati nel rispetto dei presupposti di cui al Tu del Pubblico impiego e del Tuel - tra cui spicca la necessità che non sussistano adeguate professionalità interne alla Pa;
- il danno erariale sussiste anche ove la consulenza sia prestata con utilità per la Pa; anche in tal caso, infatti, si verifica un esborso di denaro pubblico che può essere evitato attraverso l’utilizzo di professionalità di personale interno alla PA medesima  (Guida agli Enti Locali n. 10/2010 - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, sentenza 06.10.2009 n. 1868 - link a www.ascolod.it).
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Necessario verificare le competenze disponibili (Guida agli Enti Locali n. 10/2010 - link a www.ascolod.it).

EDILIZIA PRIVATA: Incarico professionale.
Si chiede un parere circa la legittimità, o meno, dell’assunzione da parte del tecnico estensore del P.R.G.C. di incarichi professionali commissionati da privati, attinenti alla presentazione di D.I.A., domande di permessi di costruire o P.E.C., e se eventuali motivi ostativi possano essere circoscritti al periodo di adozione e/o approvazione definitiva del P.R.G. e delle eventuali varianti al medesimo (Regione Piemonte, parere n. 111/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Corte conti Calabria sulle spese per patrocini e soccombenze. Comuni, in bilancio le parcelle degli avvocati.
Su patrocini e soccombenze, l'ente locale deve attivare gli scudi. Infatti, i comuni devono prevedere nel bilancio di previsione appositi stanziamenti di spesa per la copertura degli oneri derivanti da competenze da riconoscere ai liberi professionisti per la rappresentanza o il patrocinio dell'ente ovvero di spese scaturenti da risarcimento danni. Ciò in quanto, in sede di formazione del bilancio di previsione l'amministrazione deve presentare un quadro più fedele possibile delle proprie condizioni finanziarie.

Lo ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Calabria, nel testo della deliberazione 30.09.2008 n. 241 con la quale ha fornito opportune precisazioni e chiarimenti in ordine alla corretta esposizione in bilancio delle poste riguardanti le spese inerenti la rappresentanza legale e il patrocinio dell'ente in sede giudiziale.
Il quesito posto dal comune di Laino Borgo (Cs) verteva proprio sulla possibilità di iscrivere, in sede di bilancio di previsione, appositi stanziamenti cui attingere per poter far fronte alle parcelle dei legali o dei professionisti chiamati al patrocinio legale o alla rappresentanza dell'ente ovvero per sopperire a possibili oneri correlati a procedimenti giudiziari pendenti.
La Corte calabra ha quindi precisato che innanzitutto è lo stesso Tuel (all'articolo 151) che sancisce l'obbligo di integrità e veridicità del bilancio di previsione. Questo significa che tutte le spese, anche quelle di minima entità, devono essere attendibili e rispecchiare le reali condizioni finanziarie in cui l'amministrazione locale verrà a trovarsi nell'esercizio.
Ne consegue che l'amministrazione deve presentare un quadro delle condizioni finanziarie che sia il più attendibile possibile. Pertanto, le spese che sono imputabili a titolo di oneri legali ovvero di risarcimento danni, devono trovare allocazione nello stato di previsione del bilancio annuale e, per gli enti che sono tenuti a redigerlo, anche nel bilancio pluriennale.
La Corte comunque fornisce anche una diversa possibilità. Se, infatti, al momento della formazione del bilancio gli oneri di cui si tratta non possono essere previsti nella misura necessaria, perché, per esempio, mancano precisi elementi indicativi, l'amministrazione può sopperire utilizzando il fondo di riserva ex articolo 166 del Tuel. A tal fine, si potrà pertanto dimensionare lo stanziamento del predetto fondo, con le possibili somme derivanti dalle competenze per i patrocini e per le soccombenze. Ovviamente, secondo quanto prescrive lo stesso testo unico, entro il limite massimo del 2% del totale delle spese correnti.
A rafforzare la necessità di dotarsi di uno stanziamento di spesa che possa coprire le eventuali soccombenze, la Corte rileva come non di rado può succedere che il tesoriere dell'ente provveda direttamente al pagamento forzato di una somma prima che l'ente emetta il mandato, come nel caso di provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima si sostituisce all'amministrazione, la quale deve provvedere «tempestivamente» alla regolazione contabile. Regolazione che necessiterà di una variazione di bilancio se l'amministrazione «non ha oculatamente provveduto allo stanziamento in sede di formazione del bilancio di previsione».
In conclusione, si legge nel testo del parere, è demandata alle valutazioni dell'ente l'opportunità di effettuare un accertamento preventivo in previsione di una possibile soccombenza dell'ente. Ma, al contempo, si suggerisce di non sovradimensionare lo stanziamento dell'importo, in quanto così operando si riducono le risorse destinate al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente stesso (articolo ItaliaOggi dell'01.11.2008, pag. 39).

INCARICHI PROFESSIONALINiente pressing dei politici sugli incarichi.
Al responsabile di servizio potrà essere contestato l'illegittimo affidamento di un incarico esterno anche in presenza di una direttiva con la quale gli organi politici sollecitino l'assegnazione della collaborazione.

La sentenza 18.09.2008 n. 1831 della Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Sardegna, è fondamentale, per dirimere una questione interpretativa ed applicativa, della delicata disciplina concernente gli incarichi esterni, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001.
La pronuncia priva di fondamento le tesi secondo le quali la competenza all'assegnazione degli incarichi di lavoro autonomo possa considerarsi «ibrida», distribuita, cioè, in modo discrezionale tra organi di governo ed organi gestionali degli enti locali. Al contrario, non vi sono dubbi che si tratti di attività esclusivamente gestionale: gli incarichi sono dei contratti veri e propri, sicché la competenza sia per l'individuazione del contraente, sia per la stipulazione, sia per la verifica del corretto adempimento, spetta alla dirigenza, ai sensi dell'articolo 107, comma 3, del dlgs 267/2000.
Nel caso di specie, la Corte dei conti ha accertato la responsabilità del dirigente, che ha assegnato illegittimamente un incarico di consulenza, sia per l'inutilità della prestazione, sia per la carenza di un curriculum di concreto spicco, in capo al destinatario.
A fini difensivi, gli interessati hanno eccepito di aver proceduto con urgenza all'affidamento dell'incarico, per rispondere alle esigenze manifestate dagli organi di governo, tese a procedere con urgenza, allo scopo di non perdere le risorse cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo.
Per la Corte dei conti, tuttavia, tale elemento difensivo è privo di pregio. Infatti, non vale ad integrare o sostituire i presupposti previsti dalla legge per l'assegnazione degli incarichi.
Il collegio giudicante ha fatto proprie le osservazioni del procuratore, il quale ha sottolineato la vigenza del principio della separazione tra organi politici e gestione amministrativa, alla quale indubbiamente l'incarico di lavoro autonomo deve essere riferito.
La sentenza sottolinea che gli organi di governo debbono limitarsi a manifestare indirizzi operativi, non potendo imporre azioni gestionali concrete, né sostituirsi agli organi amministrativi competenti. In ogni caso, anche in presenza di indirizzi o sollecitazioni, finalizzati ad orientare gli organi gestionali ad acquisire gli incarichi esterni, resta fermo che la struttura amministrativa gode di piena autonomia in ordine a necessità, tempi e modi delle azioni conseguenti.
Insomma, resta nella piena responsabilità dei dirigenti o responsabili di servizio verificare se ricorrano, o meno, le condizioni ed i presupposti, previsti dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, per procedere legittimamente all'assegnazione degli incarichi. In mancanza di tali presupposti, qualsiasi indirizzo o sollecitazione non costituisce causa legittimante di un'assegnazione di incarichi, in assenza dei presupposti previsti dalla legge (articolo ItaliaOggi del 28.10.2008, pag. 46).

INCARICHI PROFESSIONALI: Fac-simile di REGOLAMENTO PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI INDIVIDUALI DI COLLABORAZIONE AUTONOMA (Art. 3, commi 54, 55, 56 e 57, legge n. 244/2007, art. 48, comma 3, D. Lgs n. 267/2000, artt. 46, 76 e 77 D.L. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008, artt. 21 e 22 legge n. 69/2009) (link a www.anci.lombardia.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Ribasso consentito. Il Tar Piemonte respinge il ricorso degli ingegneri di Piemonte e Valle d'Aosta. Ok all'aggiudicazione dei lavori al 75% in meno.
Sì al massimo ribasso negli appalti pubblici. Per il Tar Piemonte, infatti, è legittima l'aggiudicazione al 75% di ribasso per la progettazione della Cittadella Policlinico di Torino. Respinto quindi il ricorso della Federazione interregionale ordini degli ingegneri del Piemonte e della Valle d'Aosta e dall'ordine degli ingegneri della Valle d'Aosta. Secondo il tribunale, il giudice amministrativo non può sindacare nel merito la relazione del responsabile unico del procedimento che stima il tempo minimo e il costo di una prestazione di progettazione e direzione dei lavori ai fini della verifica di congruità delle offerte.
È quanto ha stabilito il TAR Piemonte, Sez. I, ordinanza 22.10.2009 n. 830 la cui ordinanza sarà con tutta probabilità impugnata in Consiglio di stato, in attesa della discussione del merito.
Il ricorso presentato dalla Fiopa e dall'Ordine ingegneri regione Valle D'Aosta aveva a oggetto l'aggiudicazione definitiva dell'appalto di servizi di progettazione e direzione dei lavori di un parcheggio pluripiano presso la Cittadella Politecnica a Torino.
L'appalto, bandito un anno fa, è stato aggiudicato, con il criterio del prezzo più basso, ad una offerta che prevedeva un ribasso del 75,11% rispetto all'importo posto a base di gara di quasi due milioni di euro. I giudici, nelle motivazioni dell'ordinanza cautelare, hanno in primo luogo negato la legittimazione attiva della federazione interregionale ritenendola «priva della rappresentatività dei professionisti iscritti ai relativi ordini professionali». Per i giudici la Federazione si limita a coordinare l'attività degli ordini aderenti «senza assolvere a funzioni e compiti di diretta rappresentanza degli iscritti».
Nulla quaestio invece per la legittimazione dell'Ordine di Aosta che può quindi «impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell'ente come soggetto di diritto, ma anche degli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all'ordine o collegio, di cui l'ente ha la rappresentanza istituzionale».
Venendo al merito della richiesta di sospensiva il Tar non ha riconosciuto la violazione della norma del codice che disciplina la valutazione dell'anomalia delle offerte (art. 88, comma 3 del dlgs 163/2006) in quanto la norma «non vieta che nella valutazione di anomalia la relativa commissione possa assumere a riferimento parametri ed elementi guida individuati nella relazione redatta dal Rup (responsabile unico del procedimento) per lo scrutinio di anomalia effettuato in occasione della precedente aggiudicazione della stessa gara, poi ritirata in via di autotutela». In sostanza la relazione del Rup, che aveva valutato in 2880 ore il tempo minimo e in 146.880 euro il costo minimo della prestazione contrattuale (a 51 euro/ora), ancorché predisposta per un'altra offerta, ben poteva essere utilizzata anche con riguardo alla seconda aggiudicazione.
L'ordinanza chiarisce anche che il giudice amministrativo non può sindacare le valutazioni tecnicamente discrezionali espresse da organi amministrativi preposti alla valutazione dell'anomalia, ma deve limitarsi ad accertare eventuali elementi di manifesta incongruenza, illogicità e irragionevolezza che, nel caso di specie, non sono stati individuati.
Il collegio non accoglie neanche la censura relativa all'inidoneità del livello di inquadramento del progettista di impianti meccanici ed elettrici indicato in offerta, dal momento che ritiene si tratti di un livello che comprende mansioni che comportino «particolari conoscenze tecnico-professionali», coerenti quindi con la figura proposta. Adesso la questione passa al Consiglio di Stato (articolo ItaliaOggi del 10.11.2009, pag. 32).

INCARICHI PROGETTUALI: LA RESPONSABILITA' DEGLI INGEGNERI - PROFILI DEONTOLOGICI, CIVILISTICI E PENALISTICI (17.09.2009 - tratto da www.lavatellilatorraca.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: C. Buonauro, I rischi della semplificazione nella nuova normativa sugli appalti pubblici: la procedura di affidamento degli incarichi di progettazione di ultima soglia (luglio 2009) (link a http://doc.sspal.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Revoche non frazionabili. Sugli affidamenti congiunti di progettazione. Illegittimo il dietrofront a metà dell'incarico
Illegittimo revocare un incarico di progettazione preliminare, definitiva, esecutiva e di direzione lavori affidato congiuntamente a seguito di gara pubblica e pubblicare un nuovo bando, dopo l'avvenuto svolgimento della progettazione preliminare.
Lo ha stabilito il TAR Abruzzo-L'Aquila, Sez. I, con la sentenza 27.07.2009 n. 361 concernente un affidamento di servizi di progettazione, di direzione lavori e di coordinatore per la sicurezza sia in fase di progettazione, sia in fase di esecuzione.
Il caso esaminato dai giudici vedeva un comune pubblicare un avviso per l'affidamento congiunto delle predette fasi per un importo pari a 200 mila euro; successivamente la gara veniva aggiudicata ad un professionista che iniziava a svolgere l'incarico, redigendo il progetto preliminare necessario per acquisire i finanziamenti regionali che, dopo l'approvazione del preliminare venivano concessi dalla regione.
Qualche mese dopo il comune ha restituito all'affidatario dell'incarico il progetto definitivo che nel frattempo egli aveva predisposto in attuazione del contratto, osservando che l'incarico era stato conferito per redigere il solo progetto preliminare e precisando che l'amministrazione non aveva «ritenuto doveroso affidare al ricorrente le ulteriori fasi della progettazione definitiva ed esecutiva e della direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza» dell'opera.
Il comune aveva anche provveduto a pubblicare un nuovo avviso pubblico per l'affidamento dei servizi di progettazione definitiva ed esecutiva, direzione lavori e di coordinatore per la sicurezza. Da qui l'immediato ricorso al Tar da parte dell'affidatario dell'incarico congiunto (di progettazione e direzione lavori) che eccepiva che l'avviso avesse previsto la redazione non solo del progetto preliminare, ma di tutte le fasi della progettazione, e che con la prima determinazione del comune fosse stato conferito l'incarico di redigere il solo progetto preliminare solo in quanto tale progetto era necessario per richiedere il finanziamento regionale dell'opera. Inoltre si faceva notare che, essendo stato ottenuto il finanziamento proprio in ragione della valutazione positiva del progetto preliminare, l'amministrazione non avrebbe potuto affidare ad altri soggetti la progettazione definitiva ed esecutiva, nonché gli incarichi di direzione lavori e di coordinatore.
La sentenza accoglie il ricorso avendo riguardo alla natura dell'affidamento che riguardava non solo l'intera progettazione dell'opera pubblica (cioè la redazione dei progetti preliminare, definitivo ed esecutivo), ma anche l'incarico di direzione lavori e di coordinatore per la sicurezza. I giudici affermano che la stazione appaltante, dopo aver dichiarato il ricorrente vincitore della selezione espletata ed avergli conferito l'incarico di redazione del progetto preliminare, non poteva indire una nuova selezione per scegliere il professionista cui affidare la progettazione definitiva ed esecutiva, nonché gli incarichi di direzione lavori e di coordinatore per la sicurezza, in quanto il conferimento di tali ultimi due incarichi era di certo ricompreso nel bando. Gli atti di gara prevedevano infatti che gli incarichi aventi ad oggetto le altre fasi potevano essere per l'appunto conferiti al progettista dell'opera.
La sentenza esclude inoltre che si potesse sostenere che la procedura iniziata con l'avviso si era definitivamente conclusa con il conferimento dell'incarico di progettazione preliminare dei lavori in questione, in quanto all'epoca del conferimento di tale incarico non avrebbero potuto conferirsi anche gli altri incarichi sopra indicati, in ragione della carenza della copertura finanziaria.
Per i giudici è evidente che il primo incarico fosse connesso all'esigenza di avere il finanziamento e che esso non avesse concluso la procedura di scelta del contraente indetta con l'avviso iniziale, dal momento che tale bando riguardava anche fasi diverse dalla redazione del progetto. Non vi erano quindi in alcun modo gli spazi di legittimità e di fondata motivazione per revocare l'incarico e pubblicare un nuovo bando di gara (articolo ItaliaOggi del 02.09.2009, pag. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTUALI: M. Lavatelli, Progetti e tutela dell'autore (link a www.lavatellilatorraca.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni: alla procedura comparativa non si applicano le norme sui concorsi.
Alle procedure comparative per la scelta dell'esperto, figura professionale che rimane esterna all'ente, previste dall'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. 165/2001, non sono applicabili i principi e le norme in materia di pubblici concorsi per l'ammissione agli impieghi (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.07.2009 n. 2187 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Bergamo: se, dopo l'entrata in vigore della legge 266/2005 che limita l'invio alla Corte degli atti di spesa di importo superiore a 5.000 euro, sia ancora obbligatorio acquisire sugli incarichi in questione la preventiva valutazione dell'organo di revisione ovvero se tale valutazione non sia resa più necessaria (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 14.05.2009 n. 213 - link a www.corteconti.it).

URBANISTICA: Per affidare il P.R.G. serve l'appalto. Gli incarichi vanno conferiti con procedure ad evidenza pubblica (link a http://rassegnastampa.formez.it).

INCARICHI PROGETTUALIConcorso di idee - Commissione giudicatrice - Composizione - Competenza - Sostituzione di ingegnere con altra figura - Non conformità alla disciplina ex art. 84 dlgs. 163/2006 - Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Per la soluzione della questione oggetto della controversia occorre, preliminarmente, rilevare che, in ordine alla nomina della Commissione giudicatrice, l’art. 84 del D.Lgs. n. 163/2006, al comma 2, dispone che “La commissione, nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto.”.
Nella fattispecie in esame, trattandosi di un concorso di idee che sottintende un chiaro apprezzamento nel merito delle proposte progettuali, il Bando di gara, nell’art. 9, aveva già stabilito, sotto il profilo delle professionalità ritenute necessarie, la composizione della Commissione, richiedendo “n. 1 architetto esperto in progettazione architettonica; n. 1 ingegnere esperto in impiantistica; n. 1 Responsabile del settore Lavori Pubblici”.
Occorre, tuttavia, considerare che, come ha sottolineato anche la giurisprudenza (TAR Campania, Salerno, Sez. I, sentenza 26.04.2007, n. 457), è da ritenersi tuttora vigente la ripartizione di competenze professionali tra ingegneri ed architetti prevista dagli art. 51 e 52 del r.d. 23.10.1925 n. 2537 (come confermato dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 27.01.1992 n. 129 di attuazione, tra l’altro, della direttiva 85/384/Cee) e che tali norme, emanate in sede di approvazione del regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto, in particolare, riservano alla competenza comune di architetti ed ingegneri le opere di edilizia civile, mentre attribuiscono alla competenza generale degli ingegneri quelle concernenti: le costruzioni stradali, le opere igienico sanitarie (depuratori, acquedotti, fognatura e simili), gli impianti elettrici, le opere idrauliche, le operazioni di estimo, l’estrazione di materiali, le opere industriali; ferma rimanendo per i soli architetti la competenza in ordine alla progettazione delle opere civili che presentino rilevanti caratteri artistici e monumentali (art. 52, comma 2, cit., che conserva però alla concorrente competenza degli ingegneri, secondo la regola generale, la parte tecnica degli interventi costruttivi de quibus).
Inoltre, in via ancora più specifica, è stato altresì precisato che “La competenza esclusiva degli ingegneri a sottoscrivere progetti sussiste solo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 51 e 52 del regolamento di cui al R.D. n. 2537/1925, nel caso di progettazione e verifica degli impianti; un architetto deve pertanto ritenersi abilitato a sottoscrivere un progetto nel caso in cui non si debba procedere alla progettazione di impianti, ma solo al loro montaggio mediante l’esecuzione delle necessarie opere murarie” (CGA - Sez. Giurisdizionale - sentenza 21.01.2005, n. 9).
Da quanto sopra discende che la contestata sostituzione, operata dalla stazione appaltante in sede di nomina della Commissione, della componente riservata alla professionalità di ingegnere con altra professionalità laureata in architettura e professore universitario associato, potrebbe, in linea generale, reputarsi legittima laddove fosse riscontrabile anche una equipollenza di competenze professionali, da valutarsi, nel caso di specie, assurgendo a parametro l’oggetto del concorso di idee.
Di particolare rilevanza, al riguardo, è l’art. 2 del bando che individua l’oggetto del concorso nei seguenti termini “- ampliamento dell’edificio scolastico di Corso Umberto, scuola media, per accogliere gli studenti provenienti dalle aule ospitate dall’edificio di via Panoramica; - riconversione funzionale dell’edificio di via Panoramica in nuova Sede Municipale, previo suo adeguamento sismico; - riconversione funzionale dell’attuale edificio comunale di via Panoramica in nuova sede della scuola elementare “A. Vespucci”, attualmente sita in Corso Garibaldi, previo suo adeguamento sismico; - demolizione dell’edificio scolastico di Corso Garibaldi, unitamente alla struttura sportiva, e realizzazione della Villa comunale con parcheggi interrati”.
Ebbene, il richiamato oggetto del concorso, riguardando sia la progettazione di opere civili sia di infrastrutture nonché adeguamenti sismici, mostra chiaramente la necessità di specifiche competenze progettuali che rientrano nel bagaglio esclusivo delle competenze professionali dell’ingegnere.
Inoltre, occorre tenere in debito conto l’ulteriore previsione contenuta nell’art. 3, comma 3, della lex specialis, che individua espressamente l’esperienza professionale e/o specializzazione richiesta ai concorrenti in ambiti fortemente caratterizzati sotto il profilo interdisciplinare, che, inevitabilmente, si ripercuotono sulle necessarie esperienze e competenze professionali dei componenti della Commissione nominata per giudicarli, o quanto meno possono fungere da parametro di riferimento delle stesse.
In particolare, la citata disposizione del bando richiede una documentata esperienza nei seguenti ambiti di attività: 1) progettazione architettonica di opere similari a quella oggetto dell’incarico; 2) calcolo delle strutture di opere similari a quella oggetto dell’incarico; 3) impiantistica elettrica; 4) impiantistica termo idrico sanitaria e di condizionamento; 5) sicurezza dei cantieri.
Al riguardo si evidenzia che le attività di cui al punti 2), 3) e 4) rientrano indubbiamente nelle competenze professionali esclusive degli ingegneri e non possono essere espletate anche dagli architetti, fatta salva l’ipotesi che si tratti di un professionista laureato all’esito della speciale corso di laurea in architettura/ingegneria ed abilitato anche all’esercizio della professione di ingegnere.
In particolare, relativamente al calcolo delle strutture di opere similari a quelle oggetto dell’incarico (non solo in cemento armato ma anche antisismiche) la giurisprudenza ha più volte rilevato che è “riservata agli ingegneri la competenza per le costruzioni civili, anche modeste, che adottino strutture in cemento armato.” (Cass. civ., Sez. II, sentenza 26.07.2006, n. 17028).
Riguardo, poi, alla componente impiantistica, che si presume da progettare trattandosi di concorso di idee, appare contraddittorio individuare, nella fattispecie in esame, un architetto quale “esperto in impiantistica”, atteso che, come si evince dalla giurisprudenza sopra richiamata, la competenza professionale alla progettazione di impianti è propria degli ingegneri.
Da tutto quanto sopra discende la necessità della presenza in Commissione della figura professionale dell’ingegnere accanto a quella dell’architetto, come peraltro espressamente prevedeva il bando in oggetto.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la composizione della Commissione giudicatrice, nominata dalla Giunta del Comune di Monte di Procida, non è conforme alla normativa di settore e alla lex specialis di gara (parere 07.05.2009 n. 60 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Gara - Redazione PGT - Esperienze analoghe extraregionali - Valutazione specifica - Necessità.
E' illegittimo il bando che privilegi, in modo esclusivo e perciò discriminatorio, le sole esperienze di PPGT ex l.r. Lombardia n. 12 del 2005.
Se è corretto che la relativa esperienza sia considerata in modo specifico; è comunque evidente, anche alla stregua dei canoni di diritto comunitario suscettibili di circolare anche per ambiti di "sotto soglia", che esperienze analoghe o consimili -prodottesi in altre regioni- non possono essere confinate nell'ambito valutativo di PPRG: esperienze queste ultime ormai obsolete (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 02.04.2009 n. 779 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI: In tema di responsabilità per illegittimo conferimento di incarichi di consulenza (la Sezione, nella fattispecie, non ha ritenuto legittimo il conferimento da parte di amministratori comunali di un incarico quinquennale di responsabile dell'ufficio di ragioneria).
Per quel che riguarda invece la posizione della giurisprudenza, va evidenziato come il conferimento di incarichi di consulenza a soggetti esterni all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora, una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità amministrativa. Orbene, nei casi in cui sia risultato che ai compiti affidati agli esperti esterni era obiettivamente possibile far fronte con le risorse interne dell'ente, è spesso accaduto che la relativa spesa sia stata ritenuta un danno patrimoniale per l'ente pubblico (inutilità della spesa stessa), con conseguente condanna al risarcimento a carico degli amministratori, o dirigenti, che tale spesa deliberarono.
E’ possibile cogliere, nella giurisprudenza della Corte dei conti, princìpi e criteri direttivi in grado di orientare utilmente l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e complessità delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, in ordine all’attribuzione di incarichi, sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante svolgimento di attività continuativa ma anzi la soluzione di specifiche problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e non motivato.
Si possono citare in proposito, ex multis, Corte dei conti, Sez. I, 02.09.2008, n. 393, 17.09.2007, n. 248 e 31.05.2005, n. 187; Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III, 06.02.2006, n. 74 e 13.04.2005 n. 183; Sez. sic. appello, 02.04.2002, n. 46 e 01.08.2000, n. 100; Sez. riun. 12.06.1998, n. 27. Anche la Sezione controllo enti di questa Corte, già nella deliberazione 22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la necessità di evitare che l’affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e delle norme in materia di contenimento della spesa
(Corte dei Conti, Sez. I giurisdiz. centrale, sentenza 10.03.2009 n. 145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Norme regolamentari in materia di conferimento incarichi di collaborazione, di studio e di ricerca nonché di consulenza a soggetti estranei all'amministrazione (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 11.02.2009 n. 37).
1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54 a 57 della legge 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione regolamentare dei limiti, criteri modalità di affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca nonché di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione.
La competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42, secondo comma lett. A del T.U.E.L.).
2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella legge n. 133/2008 unifica gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado di professionalità richiesta. Questo tipo di collaborazione è diverso dalle collaborazioni “normali” il cui uso è vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente.
3) Quanto alla locuzione “particolare e comprovata specializzazione universitaria” questa Sezione, ha già chiarito (del. 28/pareri 2008) che con essa si intende il possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario basato, peraltro, su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività professionale oggetto dell’incarico .
Inoltre la specializzazione richiesta, per essere “comprovata” deve essere oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati curricula.
Il mero possesso formale di titoli non sempre è necessario o sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste capacità professionali.
4) Il nuova testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001, introdotto con l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella l. n. 133/2008, qualifica poi come presupposti di legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio.
In particolare il requisito della corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è determinato dal poter ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000.
5) Il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti territoriali.
E’, pertanto, necessario accertare in sede di degli incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite.
6) Quanto all’oggetto si richiamano le considerazioni contenute nel punto 6 della deliberazione di questa Sezione n. 37/2008 dell'11.03.2008 sull’inapplicabilità della nuova disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra incarico professionale ed appalto di servizi.
7) Il conferimento dell’incarico deve essere preceduto da procedure selettive di natura concorsuale ed adeguatamente pubblicizzata.
Si è posto il problema del se ed in quali limiti sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti pubblici. Come già detto la materia è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che da esse può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, e cioè:
- procedura concorsuale andata deserta;
- unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
- assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale.
8) L’atto di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico.
9) In ogni caso tutti i presupposti che legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata motivazione nelle delibere di incarico.
10) Nel regolamento deve essere espressamente precisato che le società in house debbono osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui appartengono nonché criteri per il controllo dell’Ente locale sull’osservanza delle regole da parte delle Società partecipate.
11) In ipotesi di difformità del regolamento dai criteri soprannunciati ovvero all’insorgere di particolari problemi interpretativi i magistrati istruttori deferiranno la questione all’esame della Sezione. Negli altri casi procederanno all’archiviazione degli atti regolamentari con annotazioni del loro avvenuto esame.

INCARICHI PROGETTUALI: Le tariffe per i progettisti incaricati dalla P.A. sono stabilite dal DM 04.04.2001.
Sussiste il carattere recettizio del rinvio dell’art. 17, comma 12-ter, della legge n. 109/1994, come introdotto dalla legge n. 166/2002 al D.M. 04.04.2001, con conseguente legificazione della fonte originariamente secondaria e sua insensibilità alle vicende giudiziarie che hanno interessato la disciplina regolamentare, stante che, sul piano letterale, la formulazione normativa, nella parte in cui stabilisce che continua ad applicarsi “quanto previsto” nel D.M. in esame, evoca il richiamo del contenuto sostanziale più che del contenitore normativo.
La tesi del rinvio recettizio è l’unica capace di attribuire all’art. 17, comma 12-ter, cit. un significato utile, non essendo revocabile in dubbio che, in base ai principi generali in tema di successione delle norme e di continuità delle fonti il decreto ministeriale, ove non annullato, avrebbe comunque continuato a trovare applicazione nelle more dell’intervento della nuova disciplina regolamentare prefigurato dalla prima parte della norma in esame;
Non è dubitabile, alla luce della lettera e della ratio della disciplina in esame, che le disposizioni ultravigenti del D.M. 04.04.2001 continuino ad operare alla stregua di normativa che fissa un minimo inderogabile in tema di compensi professionale
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2009 n. 710 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dal sindaco del comune di Castello D'Agogna (PV) circa la corretta applicazione dell'art. 1 co. 557 della legge finanziaria per anno 2005. In particolare se consente di prescindere dal requisito del possesso della specializzazione universitaria per incarichi di lavoro autonomo conferiti da comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, a dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 22.01.2009 n. 3 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALIAffidamento incarichi professionali - Modalità per importi inferiori a 100.000,00 € (link a www.mediagraphic.it).

anno 2008

INCARICHI PROFESSIONALI: Per gli incarichi esterni la gara è la regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza - Procedura comparativa per valutare i curricula dei candidati - Obbligo di prevedere una procedura comparativa per l'attribuzione di incarichi esterni - Necessità di argomentare chiaramente l'accertamento della mancanza di professionalità interne - Esclusione dei servizi tecnici professionali di ingegneria e architettura.

1. L’incarico deve rispondere ai compiti istituzionali dell’Ente o alla programmazione approvata dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che ad una reale ed indifferibile necessità dell’amministrazione.
2. All’interno della propria organizzazione, l’amministrazione deve riscontrare in concreto (cioè con riferimento a precisi parametri quali il numero e la qualificazione professionale dl personale incardinato nel servizio istituzionalmente deputato a quella attività) la carenza, sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo, della figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico.
3. Criterio generale è che l’incarico a soggetti esterni all’amministrazione deve essere conferito ad “esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria” (articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165, così come novellato da ultimo dall’articolo 46, comma 1, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133).
Tale espressione va interpretata nel senso che “…la specializzazione universitaria deve costituire un imprescindibile elemento di valutazione del livello di professionalità e della particolare specializzazione dell’incaricato…” (Sezione di controllo della Corte dei conti per il Piemonte - parere n. 27 del 14.10.2008), talché potrà prescindersi dalla “comprovata specializzazione universitaria” solo per ipotesi tassative e, cioè, per attività che devono essere svolte da “professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore” (cfr. comma 1, secondo periodo, del citato art. 46 del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.133).
4. E’ necessario prevedere, come criterio generale di assegnazione degli incarichi esterni, una procedura comparativa per la valutazione dei curricula con criteri predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve rappresentare una eccezione, da motivarsi di volta in volta nella singola determinazione di incarico con riferimento all’ ipotesi in concreto realizzatasi, e può considerarsi legittima solo ove ricorra il requisito della “particolare urgenza” connessa alla realizzazione dell’attività discendente dall’incarico, ovvero quando l’amministrazione dimostri di avere necessità di prestazioni professionali tali da non consentire forme di comparazione con riguardo alla natura dell’incarico, all’oggetto della prestazione ovvero alle abilità/conoscenze/qualificazioni dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della procedura comparativa il riferimento a leggi speciali regolanti settori diversi dell’azione amministrativa, quali, ad esempio, i servizi in economia o i lavori pubblici.
A titolo esemplificativo deve conseguentemente rilevarsi che presentano aspetti di non conformità alla ratio legis previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con riferimento ad un compenso “non superiore a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle procedure di selezione facciano riferimento a generiche “circostanze speciali ed eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso in cui la “procedura comparativa sia andata deserta o la selezione dei candidati sia stata infruttuosa”, senza precisare che in tali ipotesi le condizioni previste dall’avviso di selezione non possono essere sostanzialmente modificate dall’amministrazione.
5. La prestazione fornita all’amministrazione deve essere “altamente qualificata”, espressione da intendersi in senso oggettivo quale contenuto della prestazione, che non può essere generica o coincidere con la normale competenza posseduta dai titolari degli organi burocratici.
6. Deve essere verificata la straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, dovendosi, al contrario, escludere la legittimità degli incarichi per soddisfare esigenze ordinarie.
7. L’incarico non può essere generico o indeterminato, ma deve contenere, invece, l’individuazione specifica dei contenuti e dei parametri utili per l’esecuzione dell’incarico. A tal proposito opportuna appare la previsione di una norma regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo, per il responsabile del servizio competente, di formalizzare l’incarico conferito mediante la stipulazione di un disciplinare, inteso come atto contrattuale, in cui siano specificati gli obblighi per il soggetto incaricato ed in particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere carattere temporaneo e predeterminato sin dal provvedimento di conferimento, dovendosi considerare la proroga come evento del tutto eccezionale;
c- le modalità di determinazione del corrispettivo, quantificato secondo criteri di mercato o tariffe e comunque proporzionato alla tipologia, alla qualità ed alla quantità della prestazione richiesta, in modo da perseguire, comunque, il massimo risparmio e la maggiore utilità per l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve essere, comunque, condizionato all’effettiva realizzazione dell’oggetto dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o di risoluzione e/o di clausole ritenute necessarie per il raggiungimento del risultato atteso dall’Ente, con la previsione regolamentare, per il responsabile del servizio competente, di un potere di verifica dell’esecuzione e del buon esito dell’incarico. Conseguentemente, ove i risultati della prestazione non risultino conformi a quanto richiesto dall’amministrazione nel disciplinare d’incarico o siano del tutto insoddisfacenti, appare congruo prevedere la fissazione di un termine per l’integrazione del risultato, o la possibilità per l’amministrazione di risolvere il contratto per inadempimento, ovvero di ridurre proporzionalmente il corrispettivo, ove il risultato parziale risulti di utilità per l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di adempimento della prestazione.
8. Si precisa inoltre che, come più sopra rilevato, l’art. 3, comma 54, della legge 24.12.2007, n. 244, modificando l’articolo 1, comma 127, della legge 662/1996, ha previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito web dell’Ente per i provvedimenti di affidamento di incarico con indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel riportare in sede regolamentare il citato disposto normativo, individuare sia il funzionario responsabile del procedimento, sia il tempo massimo per procedere alla pubblicazione.
9. Si ritiene, altresì, che i suindicati principi regolamentari possano costituire linee guida per la definizione dei criteri e delle modalità per l’affidamento degli incarichi da parte di società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica e/o da parte di società a totale partecipazione pubblica o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133.
10. La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione degli Enti sulla centralità ed importanza della motivazione di ciascun provvedimento di incarico a soggetti esterni all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo chiaro ed argomentato (e non con motivazioni generiche e/o stereotipate) l’accertamento compiuto dall’Ente circa la reale mancanza di professionalità interne in grado di adempiere all’incarico conferito, nonché l’iter logico-procedimentale che ha portato l’amministrazione all’individuazione del soggetto incaricato ed ogni altro elemento sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento, riscontrato in alcuni regolamenti pervenuti, di disposizioni volte a disciplinare il conferimento di servizi tecnici professionali di ingegneria ed architettura in quanto, tale tipologia di incarichi, rientrante nella materia dei lavori pubblici, trova regolamentazione nella normativa di cui al D.Lgs. 12.06.2006, n. 163 e successive modificazioni (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 18.12.2008 n. 105).

INCARICHI PROGETTUALI: Ritenuto in diritto:
Al fine del corretto inquadramento giuridico della questione sottoposta a questa Autorità, risulta necessario evidenziare, preliminarmente, che il RTI provvisorio aggiudicatario, composto da Sud Progetti S.r.l. e Med Ingegneria S.r.l., ha inteso ricoprire con liberi professionisti, indicati genericamente quali “risorse esterne”, quattro delle sei figure professionali che, a pena di esclusione, dovevano costituire la struttura operativa minima richiesta dal bando di gara, in particolare quelle di: un ingegnere/architetto capo progetto, persona fisica, incaricato dell’integrazione tra le prestazioni specialistiche; un ingegnere esperto nel settore dei consolidamenti di rocce sciolte; un ingegnere esperto nel consolidamento di rocce lapidee; un geologo con esperienza nelle indagini e studi geologici.
In quanto “risorse esterne”, tali professionisti alla data di presentazione dell’offerta non erano né soci, né direttori tecnici, né facevano parte dell’organico di una delle due società componenti il raggruppamento in qualità di dipendenti o di collaboratori coordinati e continuativi delle stesse e nemmeno partecipavano al raggruppamento medesimo in virtù di un vincolo associativo, costituito o costituendo.
Conseguentemente non sussisteva tra i detti liberi professionisti ed il RTI, poi risultato provvisorio aggiudicatario del complessivo incarico di progettazione in oggetto, un rapporto giuridico formalmente idoneo ad incardinarli organicamente all’interno della struttura del raggruppamento medesimo e, quindi, atto a consentire loro di fornire legittimamente a siffatto concorrente i propri requisiti, necessari ai fini della qualificazione, e di svolgere la parte di servizio loro assegnata.
Né può essere ritenuto idoneo a tali fini un contratto di consulenza “ad hoc” tra il RTI partecipante alla gara e i predetti professionisti.
Al riguardo, con specifico riferimento alla figura professionale del geologo, che rientra tra quelle ricoperte nel caso di specie con il ricorso a liberi professionisti, al quale sarebbe spettato di redigere la relazione geologica, prevista dalla lex specialis fra la documentazione progettuale, si ricorda che la determinazione di questa Autorità n. 3/2002 ha precisato la natura del rapporto giuridico che deve intercorrere tra il geologo, tenuto alla redazione della relazione geologica, per la quale vige il divieto di subappalto, ed il soggetto affidatario del servizio di progettazione.
A tal fine l’Autorità ha chiarito che, dall’esame coordinato dell’art. 17, comma 14-quinquies e dell’art. 17, comma 8, della legge 109/1994 e s.m., ora rispettivamente trasfusi nell’art. 91, comma 3, e nell’art. 90, comma 7, del D.Lgs. n. 163/2006, si evince che lo status giuridico caratterizzante il rapporto tra il geologo ed il soggetto affidatario possa essere sia di natura indipendente, sotto forma di associazione temporanea, sia di natura subordinata, in qualità di dipendente, sia di natura parasubordinata, attraverso forme di collaborazione coordinata o continuativa (in tal senso anche Cons. Stato, sez. V, 16.03.2005, n. 1075).
Rimangono, pertanto, esclusi dalle previsioni normative i rapporti di consulenza professionale “ad hoc”, che possono configurarsi nello specifico come forma di subappalto, esplicitamente vietata dalle norme per la prestazione di redazione della relazione geologica, in particolare qualora tale rapporto non risulti dichiarato e quindi formalizzato prima dell’affidamento dell’incarico.
Le medesime considerazioni si possono estendere anche alle altre figure professionali della struttura operativa minima ricoperte, nel caso di specie, con il ricorso a liberi professionisti, ossia ingegnere, capo progetto, incaricato dell’integrazione tra le prestazioni specialistiche, nonché esperto nel settore dei consolidamenti di rocce sciolte ed esperto nel consolidamento di rocce lapidee, poiché anch’essi incaricati di attività per le quali, ai sensi del richiamato art. 91, comma 3, vige il divieto di subappalto.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’aggiudicazione provvisoria disposta dal Comune di Niscemi in favore del RTI costituito dalle società di ingegneria Sud Progetti S.r.l. e Med Ingegneria S.r.l. non è conforme alla normativa di settore (parere 10.12.2008 n. 258 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROFESSIONALIIl comune può affidare un incarico al consigliere.
Un consigliere comunale deve essere configurato come «soggetto esterno» al comune e può essere legittimamente affidatario da quest'ultimo di un incarico professionale
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.12.2008 n. 5928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Approvazione di un documento di riferimento per l'esercizio, da parte degli organi degli enti locali, dei poteri nell'emanazione delle modifiche regolamentari in materia di incarichi esterni, anche alla luce delle disposizioni introdotte dall'art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 06.11.2008 n. 224).

LAVORI PUBBLICI: Ritenuto in diritto:
La fattispecie rappresentata sottende un duplice ordine di problematiche giuridiche.
La prima questione consiste nella valutazione di legittimità dell’avviso per la costituzione dell’elenco di soggetti qualificati ad assumere incarichi ex art. 91 D.Lgs. n. 163/2006, nonché incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici relativi a prestazioni di importo superiore a 20.000 € ed inferiore a 100.000,00 €.
Al riguardo è opportuno preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento, costituito dal combinato disposto dell’art. 91, comma 2, e dell’art. 57, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.
La prima disposizione riguarda in modo specifico l’affidamento degli incarichi di progettazione di importo inferiore a 100.000 € e stabilisce che detti incarichi possono essere affidati “nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei".
L’art. 57, comma 6, invece, ha carattere generale e stabilisce che “ove possibile, la stazione appaltante individua gli operatori economici da consultare sulla base di informazioni riguardanti caratteristiche di qualificazione economico-finanziaria e tecnico-organizzativa desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno tre operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei".
Occorre peraltro evidenziare che, già prima dell’entrata in vigore delle citate disposizioni normative di rango primario, questa Autorità, con specifico riguardo all’ipotesi in cui l’Amministrazione compia la scelta di istituire un elenco di professionisti, ha fornito, con propria determinazione n. 1 del 19.01.2006, una serie di indicazioni operative che, in quanto volte ad assicurare la corretta applicazione degli stessi principi comunitari richiamati nelle disposizioni normative attualmente in vigore, già recepiti dalla disciplina legislativa allora vigente (art. 17, comma 12, legge n. 109/1994 come modificata dalla legge n. 62/2005) sono da ritenersi tuttora un valido riferimento operativo per le Stazioni Appaltanti.
In particolare, nella citata determinazione l’Autorità ha esplicitato i suddetti principi, prevedendo criteri e requisiti per la formazione dell’elenco dei professionisti, quali, a titolo esemplificativo:
1) adozione di idonei meccanismi riguardanti l’aggiornamento periodico dell’elenco, anche semestrale;
2) divieto di partecipazione del professionista singolarmente e come componente di un raggruppamento di professionisti, nonché divieto di contemporanea partecipazione a più di un raggruppamento;
3) principio della rotazione nella scelta dei nominativi inseriti nell’albo ai quali rivolgere la richiesta di offerta;
4) divieto del cumulo di incarichi, che può concretizzarsi nell’affidamento di non più di un incarico all’anno allo stesso professionista;
5) correlazione effettiva dell’esperienza pregressa richiesta al professionista alle tipologie progettuali delle quali necessita l’Amministrazione, così che le professionalità richieste rispondano concretamente alle classi e categorie cui si riferiscono i servizi da affidare.
Passando all’esame dei singoli punti dell’avviso contestato, alla luce delle indicazioni operative contenute nella determinazione richiamata e nelle more dell’adozione del nuovo regolamento di esecuzione e di attuazione ex art. 5 del D.Lgs. n. 163/2006 si osserva, in particolare in ordine al principio di rotazione degli incarichi, che l’aleatorietà tipica dell’operazione di sorteggio e l’imprevedibilità degli esiti dello stesso potrebbero non garantire in maniera adeguata la rotazione prescritta dall’art. 57, comma 6, del Codice.
Quanto alla previsione relativa ai requisiti di capacità tecnica e professionale (Capo II - Clausole e specificazioni sui servizi e sulle modalità di partecipazione delle selezioni- punto C3), -“aver espletato nei tre anni antecedenti al momento in cui si chiede l’iscrizione in elenco almeno n. 4 incarichi di ciascuna categoria di cui si chiede l’iscrizione”- la stessa non risulta conforme:
1) ai criteri quantitativi che debbono informare l’accertamento degli incarichi espletati, in quanto non viene operato alcun riferimento all’importo dei lavori appartenenti alle stesse classi e categorie dell’opera oggetto dell’incarico, laddove il tuttora vigente art. 63, comma 1, lett. o) del D.P.R. n. 554/1999 -per l’affidamento di servizi di importo inferiore a 200.000 DSP- prescrive che tali importi devono essere stabiliti tra tre e cinque volte l’importo globale stimato dell’intervento;
2) ad un criterio di ragionevolezza in ordine all’indicazione del periodo utile per l’avvenuto svolgimento degli incarichi, stante la vigente previsione regolamentare di dieci e cinque anni, nonché l’indicazione contenuta nella circolare ministeriale di cinque anni.
Inoltre, si ritiene non conforme l’avviso di selezione in esame con riferimento alla mancata previsione della presentazione dei singoli curricula degli offerenti in ordine alla valutazione dei requisiti minimi di professionalità, così come previsto dalla citata determinazione n. 1/2006.
In merito alla seconda questione sollevata dall’istante, concernente la “precettività” delle disposizioni della circolare del Ministero delle infrastrutture, n. 24734 del 16.11. 2007, anche nei confronti di stazioni appaltanti diverse dai Provveditorati regionali ed interregionali alle opere pubbliche, strutture periferiche del predetto Dicastero, si osserva che, come rilevato dalla stessa Associazione di categoria controinteressata, la stessa non può che costituire un modello operativo di riferimento di “best practises”.
Si ritiene, infine, opportuno distinguere le attività di progettazione, di cui all’art. 91 del D.Lgs. n. 163/2006, dalle attività di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento, previste nel medesimo avviso; in merito, si rinvia ai principi fissati dalla determinazione n. 3/2004, su “Appalti di progettazione e di supporto alla progettazione”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’avviso relativo alla procedura di selezione per la costituzione di un elenco di soggetti qualificati ad assumere incarichi ex art. 91 D.Lgs. n. 163/2006, nonché di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici relativi a prestazioni di importo superiore a 20.000 € ed inferiore a 100.000,00 € non è conforme alla normativa vigente (parere 23.10.2008 n. 232 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROGETTUALIIncarichi di progettazione al professionista: norme applicabili e regime tariffario.
L’Autorità per i Lavori Pubblici, oggi Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, ha il compito di vigilare affinché fosse assicurata l’economicità di esecuzione dei lavori pubblici e sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materia verificando, anche con indagine campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento dei medesimi; tali compiti costituiscono per l’Autorità un obbligo, non una mera facoltà e l’adempimento al suddetto obbligo non è condizionato dall’iniziativa di terzi, per cui palesemente l’Autorità è legittimata ad agire d’ufficio.
I poteri dell’Autorità attengono all’affidamento ed esecuzione dei lavori pubblici e comprendono le problematiche relative all’affidamento ed esecuzione degli incarichi di progettazione e direzione lavori, dal momento che i meccanismi di assegnazione dei relativi incarichi soggiacciono agli stessi principi che presiedono all’assegnazione dei contratti di appalto.
Nel caso in cui il Comune abbia affidato un incarico ad un professionista, incardinato nella propria struttura, un incarico professionale che poi ha retribuito secondo il regime proprio dei rapporti con i professionisti esterni alla struttura, confonde i due regimi, giungendo ad affidare contratti di rilevanza esterna con la libertà di scelta che gli è propria nell’ambito delle decisioni interne alla gestione della propria struttura; la suddetta confusione di procedimenti ha quindi portato a conferire incarichi esterni sulla base di un mero intuitus personae. Di modo che l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione nei confronti del suddetto professionista deve avvenire nel rispetto della normativa dettata per l’affidamento dei suddetti incarichi a dipendenti dell’ente e gli stessi devono essere retribuiti secondo il sistema normativo proprio dei dipendenti
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 22.10.2008 n. 5175  - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere richiesto dalla Regione Piemonte in materia di incarichi esterni (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Piemonte, parere 14.10.2008 n. 27 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTAZIONERaggruppamenti temporanei di professionisti e requisiti di partecipazione (nota a TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.07.2008 n. 3091) (link a www.lavatellilatorraca.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: V. Latorraca, Nota alla sentenza TAR Milano, Sez. I, 28.07.2008 n. 3091 in materia di requisiti di partecipazione dei componenti di un R.T.P. relativamente ad un appalto di servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria (progettazione) (link a www.diritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALIINCARICHI ESTERNI - MANCATA VALUTAZIONE COMPARATIVA TRA CURRICULA - ASSENZA DI PUBBLICITA' PREVENTIVA - ASSENZA DI MOTIVAZIONE IN ORDINE ALLA SCELTA OPERATA - ILLEGITTIMITA'.
E' illegittimo l’affidamento di un incarico non preceduto da una valutazione comparativa tra i curricula dei candidati e non sorretto da adeguata motivazione circa i criteri della scelta operata (TAR Piemonte, Sez. I, 25.10.2007, n. 3230). Si impone pertanto il rispetto di una procedura comparativa di valutazione di diverse proposte, ovviamente preceduta dalla pubblicazione di un avviso, valutazione da esternare con una motivazione assistita dai consueti attributi dell’adeguateza e della congruità.
Quanto agli incarichi di collaborazione e consulenza conferiti ad avvocati, ancor più di recente si è pronunciato il TAR Napoli, affermando la necessità della previa adozione di procedure comparative rese adeguatamente note attraverso idonea pubblicità, e statuendo l’illegittimità del conferimento di incarichi di collaborazione e di consulenza legale non preceduti dalle predette procedure ad evidenza pubblica, in diretta applicazione dell’art. 7, comma 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001 (TAR Campania-Napoli, Sez. II - 21.05.2008 n. 4855)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 29.09.2008 n. 2106 -
link a www.mediagraphic.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Illegittimo l'affidamento di incarichi esterni senza una previa procedura comparativa.
Le Pubbliche Amministrazioni (ivi comprese le Università) possono legittimamente conferire incarichi di collaborazione a soggetti esterni solamente a seguito dello svolgimento di una procedura comparativa, previamente disciplinata secondo i rispettivi ordinamenti e adeguatamente pubblicizzata (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 29.09.2008 n. 2106 -
link a www.eius.it).

INCARICHI PROGETTUALI: OGGETTO: Applicazione dell’art. 41-bis della legge 17.08.1942, n. 1150.
Il Comune “alla luce di quanto disciplinato dall’art. 41-bis legge n. 1150/1942”, chiede un “parere in merito alla legittimità di un incarico di Variante Generale al PRG conferito a tecnico professionista qualificato, incaricato in precedenza da privati, della redazione di un piano di lottizzazione nel territorio comunale presentato all’Ente successivamente alla stipula della convenzione di incarico della Variante Generale al PRG” (Regione Marche, parere 25.09.2008 n. 96/2008).

INCARICHI PROFESSIONALI: Commissione di gara, incarico di consulenza tecnica e le regole da seguire.
Posto che non è individuabile un nesso tra modalità di scelta del consulente e imparzialità dell’istruttoria, le censure circa l’omessa indizione di una gara per il conferimento dell’incarico di consulenza tecnica non sono infondate ma sono inammissibili per la carenza di interesse a proporle da parte della ricorrente posto che, da una illegittima procedura di affidamento dell’incarico di consulenza, può conseguire lo svolgimento di una istruttoria procedimentale perfettamente legittima.
I partecipanti alle gare devono essere preventivamente informati, attraverso la comunicazione (secondo le modalità normativamente imposte o quelle ritenute idonee allo scopo nel caso concreto) delle notizie concernenti il luogo, i giorni e l’ora in cui si svolgeranno le sedute. La conoscenza di tali aspetti temporali e logistici rappresenta, infatti, una condizione essenziale affinché la facoltà di partecipare sia effettiva. E’, pertanto, illegittima la mancata comunicazione delle informazioni necessarie per assistere alle sedute di gara dedicate all’apertura dei plichi contenenti la documentazione richiesta per l’ammissibilità delle proposte, posto che il principio di pubblicità delle sedute di verifica della documentazione, richiesta dalle regole di gara ai fini della ammissibilità delle offerte, si applica in qualunque tipo di gara (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 18.09.2008 n. 1783 - link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI: Le competenze professionali degli ingegneri juniores.
La pubblicazione analizza, ad oltre 6 anni dall'emanazione del DPR 328/2001, le competenze professionali degli ingegneri juniores (luglio 2008 - tratto da www.centrostudicni.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi e consulenze D.l. 112/2008 (link a www.albertobarbiero.net).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Procedure affidamento incarichi professionali (link a www.albertobarbiero.net).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi: presupposti e percorso (link a www.albertobarbiero.net).

INCARICHI PROFESSIONALI: A. Barbiero, Affidamento incarichi dopo la legge 311/2004 - con schema (link a www.albertobarbiero.net).

INCARICHI PROFESSIONALI: C. Castelli, Gli affidamenti di incarichi esterni da parte degli enti locali dopo la legge finanziaria 2008- regolamentazione, programmazione, pubblicità (link a www.noccioli.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Presupposti indispensabili per considerare lecito il ricorso agli incarichi esterni sono: 1) che si tratti di esigenze alle quali non si può far fronte con personale in servizio; 2) che l’incarico venga conferito ad un esperto di particolare e comprovata competenza; 3) che vengano preventivamente determinati la durata, il luogo, l’oggetto ed il compenso della collaborazione.
... Per quanto riguarda il conferimento dell’incarico, l’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001, nel testo vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.
Pertanto, presupposti indispensabili per considerare lecito il ricorso agli incarichi esterni sono:
1) che si tratti di esigenze alle quali non si può far fronte con personale in servizio;
2) che l’incarico venga conferito ad un esperto di particolare e comprovata competenza;
3) che vengano preventivamente determinati la durata, il luogo, l’oggetto ed il compenso della collaborazione (Corte di Conti, Sez. II giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 29.07.2008 n. 256 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: LAVORO PUBBLICO - DIVIETO DI CUMULO TRA PENSIONE ANTICIPATA DI ANZIANITÀ E INCARICHI DI CONSULENZA PER L´AMMINISTRAZIONE DI PROVENIENZA.
Il divieto di cumulo tra pensione anticipata di anzianità e lo svolgimento o la prosecuzione, successivamente alla cessazione del rapporto, di incarichi di consulenza per l'amministrazione di provenienza si estende anche allo svolgimento dell’incarico di direttore amministrativo presso un’istituzione ospedaliera, in ragione della trasparenza nel conferimento degli incarichi e dell’ulteriore fine di garantire risparmi di spesa impedendo il cumulo tra pensione e retribuzione (massima tratta da www.lavoroprevidenza.com - Corte di Cassazione, sentenza 28.07.2008 n. 20523).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del comune di Genzano (PZ) in merito al conferimento di incarichi a soggetti estranei alle amministrazioni (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 19.06.2008 n. 26 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Picerno (Pz), circa l'affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 19.06.2008 n. 25 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Atella (Pz), in materia di conferimento incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa e CO.CO.CO. (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 12.06.2008 n. 23 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Banzi (Pz), in materia di conferimento incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 11.06.2008 n. 22 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Rapolla (Pz), in materia di conferimento incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 11.06.2008 n. 21 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Rapone (Pz), in materia di conferimento incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 11.06.2008 n. 20 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere richiesto dal Sindato del Comune di Castelgrande (Pz), con nota nr. 2762 del 20.05.2008, in materia di conferimento incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, parere 11.06.2008 n. 19 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Richiesta di parere sulla possibile applicazione anche alle società interamente partecipate dall’Ente delle disposizioni della L. 24/12/2007 n. 244, in materia di limiti all’affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza, di limiti all’utilizzo del lavoro flessibile e di assunzioni a tempo indeterminato (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Puglia, parere 11.06.2008 n. 15 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: S. Lazzini, Affidamento di incarico professionale di progettazione e di direzione di lavori pubblici: deve essere escluso il concorrente che non dichiari nel curriculum gli incarichi di progettazione svolti ma gli incarichi solo conferiti?
In base alla lettura complessiva delle disposizioni dell’ avviso di gara, ed al principio ermeneutico del “favor” partecipativo in materia di bandi di gara, l’obbligo di fornire detta dichiarazione sugli incarichi “svolti”, e previsto dal punto 3 del bando a pena di esclusione, può comunque ritenersi assolto, precludendo quindi l’esclusione, con la presentazione di un curriculum recante l’elenco degli incarichi conferiti, poiché la prova del loro effettivo svolgimento, per costituire requisito di partecipazione, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica ed espressa prescrizione di gara postulante l’esibizione, da parte delle rispettive amministrazioni, di specifica certificazione sul punto. La sola indicazione degli incarichi conferiti si presentava peraltro sufficiente per formulare una valutazione della professionalità progettuali dei concorrenti sulla base dei dati inseriti nel “curriculum”, costituenti, senza ulteriori distinzioni, l’oggetto dei punteggi attribuibili in ordine allo stesso (previa fissazione dei necessari criteri) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.05.2008 n. 2566 - link a www.diritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALILinee guida in materia di regolamenti degli enti locali per l'affidamento degli incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lazio, deliberazione 27.05.2008 n. 15 - link a www.corteconti.it).

AFFIDAMENTO INCARICHIPrestazioni di servizi col codice appalti - Si applica la disciplina del codice dei contratti, e non l'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001 alle «collaborazioni» il cui oggetto ricada nell'elenco dei servizi contenuto negli allegati IIA e IIB al codice medesimo.
Regolamento di organizzazione degli Uffici e dei servizi del Comune di Cassano allo Jonio - Controllo ai sensi dell'art. 3, comma 57, della Legge finanziaria 2008 (
Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria, delibera 23.05.2008 n. 144 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Parere, su quesito del Sindaco del Comune di Montereale, in tema di applicazione delle disposizioni introdotte dalla legge n. 244 del 24.12.2007 (legge finanziaria per il 2008) riguardo agli incarichi professionali in materia di lavori pubblici (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Abruzzo, parere 12.05.2008 n. 262 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere, su richiesta del Sindaco del Comune di Piario (Bg), in merito alla possibilità di attribuzione di incarichi di contratti individuali secondo il nuovo disposto dell’art. 7 del D. Lgs. 165/2001 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 12.05.2008 n. 29).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere, su richiesta del Sindaco del Comune di Samarate (Va), in merito all’interpretazione dell’art. 3, comma 76, della Legge 24.12.2007 n. 244 (finanziaria 2008) sulla necessità del possesso della specializzazione universitaria in tema di incarichi esterni (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 12.05.2008 n. 28).

INCARICHI PROGETTUALI: Ritenuto in diritto:
L’intervento in esame afferisce alle classi I, b (Edifici industriali di importanza costruttiva corrente. Edifici rurali di importanza speciale. Scuole, piccoli ospedali, case popolari, caserme, prigioni, macelli, cimiteri, mercati, stazioni e simili qualora siano di media importanza. Organismi costruttivi in metallo) e I, g (Strutture o parti di strutture in cemento armato richiedenti speciale studio tecnico, ivi comprese strutture antisismiche), nonché alla legge n. 46/1990.
In particolare, l’intervento consiste nell’adeguamento sismico e di ristrutturazione funzionale ed impiantistica che riporti l’edificio a condizioni di efficienza, tali da consentire funzioni sociali. Sono previsti, tra l’altro, l’abbattimento delle barriere architettoniche previa l’installazione di un ascensore e il conseguimento della sicurezza statica ed impiantistica dell’edificio.
Si tratta, pertanto, di un intervento che investe una pluralità di competenze, proprie di diversi ordinamenti professionali.
Quindi i diversi aspetti tecnici che sono coinvolti nel progetto afferiscono a competenze professionali specifiche, che caratterizzano l’autonomia progettuale dei singoli interventi che compongono l’insieme.
Al riguardo giova richiamare quanto espresso dalla pronuncia del TAR Liguria, n. 166/2006, “l’articolo 4, della legge n. 46/1990, ha imposto la redazione di un’autonoma relazione tecnica per l’installazione degli strumenti elettrici, degli impianti di terra, di quelli che utilizzano il gas, degli ascensori…, ed ha con ciò scorporato concettualmente queste attività da quelle volte alla mera realizzazione della costruzione.”
Inoltre, l’articolo 6 della medesima legge n. 46/1990, prevede che per l’installazione, la trasformazione e l’ampliamento degli impianti relativi agli edifici ad uso civile (energia elettrica, riscaldamento, ascensori, gas, antincendio ecc.), è obbligatoria la redazione del progetto da parte di professionisti, iscritti negli albi professionali, nell’ambito delle rispettive competenze.
Ciò significa che la legge n. 46/1990 non ha modificato la ripartizione di attribuzione né ha ampliato le competenze dei diversi ordini professionali e pertanto, la determinazione delle competenze deve essere effettuata in base alla normativa di appartenenza: al riguardo, il TAR Liguria, con pronuncia n. 137/2004, ha chiarito che il progetto relativo ad un impianto elettrico e a gas non può essere sottoscritto dall’architetto ma dall’ingegnere o dal perito industriale, in possesso delle necessarie cognizioni tecnico scientifiche.
Occorre tenere presente che la competenza del professionista, nella specie perito industriale, deve essere verificata in rapporto alla natura dell’incarico: infatti, ai sensi dell’articolo 16 del R.D. n. 275/1929, recante la disciplina della professione dei periti industriali, attribuisce agli stessi la competenza in materia impiantistica, con il limite di cui al primo comma del medesimo articolo, in base al quale “spettano ai periti industriali, per ciascuno nei limiti delle rispettive specialità …. le funzioni esecutive per i lavori alle medesime inerenti” ed al comma 2, lettera d) “la progettazione, la direzione e l’estimo delle costruzioni di quelle semplici macchine ed installazioni meccaniche o elettriche, le quali non richiedano la conoscenza del calcolo infinitesimale”. Detta precisazione “costituisce il criterio di delimitazione delle competenze dei periti industriali rispetto a quelle proprie dei professionisti con corrispondenti specializzazioni, collegate, però, ad un titolo di studio superiore a quello di perito” (TAR Marche, n. 1014/2003).
La “progettazione” e la “direzione” di cui alla norma non sono prerogative generali, ma competenze che spettano al perito in relazione alle “semplici macchine ed installazioni meccaniche o elettriche”.
Tenuto conto di quanto sopra rilevato, per la soluzione del caso in esame, attesa l’autonomia progettuale dei singoli interventi che compongono l’insieme dell’opera, è ammissibile la partecipazione all’affidamento di un raggruppamento temporaneo di professionisti che veda l’apporto del perito industriale, nei limiti della relativa competenza.
Infatti, le attività da conferire al professionista possono senz’altro essere espletate cumulativamente e singolarmente da un ingegnere ma non altrettanto da un perito industriale, in quanto si prevedono interventi di carattere strutturale (I, g).
Per quanto attiene alla parte impiantistica del progetto, la stessa potrà essere affidata al perito industriale nel rispetto dei limiti della competenza riconosciutagli dall’ordinamento professionale con riguardo alla natura degli impianti da progettare.
Pertanto, la clausola che limita in generale ed in astratto alla competenza esclusiva degli ingegneri le attività impiantistiche di cui alla legge n. 46/90 non è conforme al riparto delle competenze professionali, dovendosi riconoscere anche al perito industriale l’attività di progettazione, direzione lavori e coordinamento della sicurezza in materia impiantistica, nel rispetto, si ripete, dei limiti della competenza riconosciutagli dall’ordinamento professionale con riguardo alla natura degli impianti da progettare.
Ai fini della procedura in corso, rilevata la non conformità della citata clausola, nei termini sopra riportati, ricorrono i presupposti affinché la S.A. valuti, in autotutela, di stralciare l’affidamento dell’intervento n. 6 e di procedere, limitatamente allo stesso, alla pubblicazione di un nuovo avviso.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la clausola del bando di gara per la redazione dei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi, nonché il coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione e la direzione lavori, comprese tutte le prestazioni professionali accessorie, per n. 6 interventi, che limita le competenze di cui alla legge 46/1990 esclusivamente agli ingegneri, non è conforme al riparto delle competenze professionali (
parere 08.05.2008 n. 139 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROFESSIONALIUlteriori indicazioni in materia di conferimento di incarichi esterni (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata, deliberazione 06.05.2008 n. 16 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Appalto concorso - Libertà di progettazione - Limite - Progetto-guida della P.A..
Con riferimento all'appalto concorso, la libertà di progettazione per le imprese concorrenti incontra un limite soltanto nell'esigenza che le soluzioni proposte non si discostino sensibilmente dall'idea centrale del progetto-guida dell'Amministrazione, o non portino ad un'opera diversa da quella che si intende realizzare (TAR Sicilia, Palermo, 07.08.1987, n. 507)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.05.2008 n. 1305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: LINEE DI INDIRIZZO E CRITERI INTERPRETATIVI DELL’ART. 3, COMMI 54–57, L. 244/2007, IN MATERIA DI REGOLAMENTI DEGLI ENTI LOCALI PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI DI COLLABORAZIONE, STUDIO, RICERCA E CONSULENZA.
La Sezione delle Autonomie, esaminate le problematiche che emergono dalle disposizioni dettate dall'art. 3, commi 54-57, della legge finanziaria 2008 (si ricorda che, nel disporre regole alle quali gli enti locali si devono attenere per il conferimento di incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza a soggetti estranei all'amministrazione, la legge n. 244/2007 ha previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente locale, di regolamenti da trasmettere alla competente Sezione regionale della Corte dei conti entro trenta giorni dall'adozione) ha approvato "linee di indirizzo e criteri interpretativi" quale "base omogenea di riferimento" in materia.
La ricostruzione logica delle disposizioni della legge finanziaria porta la Sezione a ricondurre le differenti tipologie di incarichi di studio alla "categoria del contratto di lavoro autonomo, più precisamente al contratto di prestazione d'opera intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.".
Dall'atto di conferimento dell'incarico di studio devono risultare: l'elevata qualificazione dell'incaricato nelle materia di interesse del soggetto conferente, l'oggetto e la durata. Gli incarichi di studio, si devono concludere con la consegna "di elaborati espositivi dei risultati" e presuppongono la preventiva definizione del programma da parte dell'amministrazione.
Netta è la distinzione operata dal Collegio rispetto alle collaborazioni. "Gli incarichi di collaborazione attengono a due finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff del sindaco o degli assessori ovvero supportare l'attività degli ordinari uffici dell'ente" e "le differenze non sono irrilevanti" -argomenta la Corte- operando un'esatta delimitazione delle collaborazioni coordinate e continuative, ben distinte rispetto agli incarichi di collaborazione.
Infine, restano escluse dagli obblighi regolamentari fattispecie quali l'appalto di lavori, o di beni o di servizi, e il patrocinio giudiziale conferito ad un libero professionista (Corte dei Conti, Sez. Autonomie,
deliberazione 24.04.2008 n. 6).

INCARICHI PROGETTAZIONE: Ritenuto in diritto:
Il punto 3) del bando di gara prevede che alla domanda di partecipazione sia accluso l’elenco dei lavori per i quali il concorrente abbia svolto servizi tecnici, indicando, secondo quanto prescritto dall’articolo 63 del d.P.R. 554/1999, l’importo, il committente, le classi e le categorie di appartenenza, il soggetto che ha svolto il servizio, la natura delle prestazioni effettuate.
Preliminarmente, si precisa che ai sensi del citato articolo 63, comma 1, lettera o) del d.P.R. 554/1999, il bando deve stabilire l'importo minimo (da fissare tra tre e cinque volte l'importo complessivo o gli importi parziali dell'intervento) della somma degli importi di tutti i lavori, appartenenti alle classi e categorie dell'intervento cui si riferisce il bando, per i quali, nel decennio anteriore alla data di pubblicazione del suddetto bando, ha svolto servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria anche integrata: non si pone differenza fra gli affidamenti eseguiti per enti pubblici ovvero per privati.
Ciò che rileva, infatti, è che i lavori cui si riferiscono detti requisiti devono appartenere alla classe e categoria (o alle classi e categorie) dell’intervento cui si riferisce il bando, individuate sulla base dell’elencazione contenuta nell’articolo 14 della legge 02.03.1949, n. 143.
Pertanto, il riscontro dei requisiti viene effettuato tenendo conto dell'attività di progettazione, da considerarsi come attività professionale nel suo complesso, purché in riferimento alla classe e categoria di cui al bando.
Ne discende che il bando di gara in esame, redatto nel rispetto delle indicazioni sopra riportate, non necessitava, contrariamente a quanto asserito dall’Amministrazione, di alcun chiarimento da parte della commissione di gara.
Per quanto attiene all’operato di quest’ultima, si fa presente che, con parere n. 90/2008, l’Autorità, richiamando la posizione del giudice comunitario e nazionale, ha espresso l’avviso secondo il quale la commissione aggiudicatrice non può modificare i criteri di aggiudicazione dell’appalto definiti nel bando di gara, o introdurre elementi che, se fossero stati noti al momento della preparazione delle offerte, avrebbero potuto influenzare la detta preparazione, ovvero adottare criteri che possono avere un effetto discriminatorio nei confronti di uno dei concorrenti.
Infatti, tutti i criteri presi in considerazione ai fini dell’aggiudicazione devono essere espressamente menzionati nel bando di gara, affinché i concorrenti siano posti in grado di conoscere la loro esistenza e la loro portata, a garanzia del rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza.
I suddetti principi trovano applicazione anche in relazione al caso di specie, nel quale la commissione, in fase di selezione, prima dell’apertura dei plichi, ha ritenuto di introdurre un nuovo criterio di valutazione delle opere similari.
Non si può concordare, come in precedenza rilevato, con la posizione assunta dall’Amministrazione, secondo la quale valutare esclusivamente i lavori eseguiti per conto di committenti pubblici, rappresenti un chiarimento di una clausola del bando di gara.
Risulta di tutta evidenza che la conoscenza del criterio di valutazione introdotto dalla commissione aggiudicatrice, avrebbe senz’altro consentito all’istante di procedere ad una differente scelta ed articolazione dei servizi/progetti da presentare come particolarmente significativi delle proprie capacità.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che:
- ai fini del requisito dell’esperienza pregressa, non si pone differenza fra gli affidamenti di attività di progettazione eseguiti per enti pubblici ovvero per privati;
- la commissione giudicatrice non può introdurre ulteriori e diversi elementi valutativi delle candidature presentate, laddove gli stessi non siano già espressamente previsti nel bando di gara
(
parere 23.04.2008 n. 125 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Integrazione della deliberazione n. 1 del 5 febbraio 2008, con cui sono stati fissati principi cui debbono attenersi le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del D.lgs. 165/2001 in occasione di incarichi e consulenze ad estranei alle amministrazioni medesime (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Molise, deliberazione 21.04.2008 n. 25 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Ambito e modalità di controllo, da parte della Sezione regionale del Veneto, in materia di regolamenti degli enti locali per l’affidamento degli incarichi di collaborazione, studio, ricerca e consulenza (art. 3, co. 54 -57 legge 244/2007) (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Veneto, deliberazione 18.04.2008 n. 14 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Ritenuto in diritto:
Per quanto riguarda la prima eccezione sollevata dall’istante, relativa all’individuazione della procedura di affidamento, non si rilevano profili di intervento, tenuto conto che il punto 5) dell’Avviso prevede che il servizio sarà affidato al concorrente che avrà presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’articolo 57, comma 6, del d. Lgs. n. 163/2006, nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 91 del medesimo disposto normativo, tenendo conto del valore tecnico e del valore economico.
In relazione al secondo rilievo sollevato nell’istanza di parere, si precisa che l’Autorità, con determinazione n. 4 del 29.03.2007, ha inteso fornire indicazioni sull’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura a seguito dell’entrata in vigore del d. Lgs n. 163/2006 e della legge n. 248/2006.
In particolare, l’Autorità ha espresso l’avviso che non ha rilievo la norma richiamata dal comma 12-bis, dell’articolo 4, del decreto legge 02.03.1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26.04.1989, n. 155, in quanto la riduzione del 20% disposta dalla norma in questione non ha più rilevanza alcuna in relazione al fatto che l’importo effettivo verrà stabilito dal mercato (in sede di gara).
Nella fattispecie di cui trattasi, il calcolo del corrispettivo da porre a base dell’affidamento stesso andava quindi effettuato al lordo della riduzione del 15% applicata dalla Stazione appaltante sul corrispettivo determinato utilizzando il D.M. 04.04.2001.
Si deve rilevare che l’applicazione, nella determinazione del corrispettivo da porre a base dell’affidamento, della riduzione di cui alla citata legge n. 155/1989, ha comportato una alterazione in diminuzione dell’importo a base di gara, con conseguenti ricadute sulla disciplina da applicare alla procedura di affidamento in esame. Infatti, l’importo del corrispettivo al lordo della citata riduzione sarebbe verosimilmente risultato superiore a 100.000 euro e si sarebbe dovuto applicare l’articolo 91, comma 1, del d. Lgs. 163/2006, che disciplina la procedura prevista per affidamento di incarichi di progettazione di importo pari o superiore a € 100.000.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la procedura di affidamento dell’incarico in esame non è conforme alla normativa di settore (
parere 17.04.2008 n. 113 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROFESSIONALIConferimento incarico - Professionista esterno all’Ente - Forma scritta - Necessità - Pena di nullità - Sussistenza.
Il contratto con il quale l'amministrazione pubblica -anche quando agisce iure privato rum- conferisce un incarico professionale, deve essere redatto a pena di nullità in forma scritta. Sicché, è irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, ove tale deliberazione non si sia tradotta in un unico atto contrattuale coevamente sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente e dal professionista, da cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da svolgersi e al compenso da corrispondersi. (Cass. Sez. I civile n. 1752/2007).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Conferimento incarico - Professionista non inserito nella struttura organica dell'Ente - Natura - C.d. amministrazione iure privatorum - C.d. parasubordinazione - Giurisdizione - G.O..
Il conferimento, da parte di un Ente pubblico, di un incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell'Ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all'instaurazione di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione -da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo- pur nell'ipotesi in cui il professionista riceva direttive ed istruzioni dall'Ente, per cui anche la successiva delibera di revoca dell'incarico riveste natura non autoritativa di recesso contrattuale, con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice ordinario (Cass. Sez. Un. n. 10370 del 19.10.1998) (TAR Abruzzo-L'Aquila, Sez. I,
sentenza 14.04.2008, sentenza n. 554 - link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALIAtto di indirizzo rivolto ai Comuni della Regione Lombardia in ordine alle modalità che devono seguire per la redazione del regolamento sulle consulenze previsto dalla legge finanziaria 2008 (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 11.03.2008 n. 37).

APPALTI SERVIZI: L. Bellagamba, Incarichi e consulenze dopo la finanziaria 2008 (link a www.linobellagamba.it).

INCARICHI PROGETTAZIONESul divieto per una Fondazione di accordarsi con una società di progettazione per acquisire un progetto di un’opera pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto, di donarlo all’amministrazione.
Per l'affidamento di incarichi di progettazione, ai sensi degli artt. 90 e 91 del d.lgs. n. 163/2006, soltanto l’amministrazione competente (nel caso di specie la regione) può elaborare direttamente la progettazione dell’opera pubblica da realizzare oppure affidarla a terzi mediante specifiche procedure di evidenza pubblica. Pertanto, nel caso di specie, è vietato ad una Fondazione di accordarsi con una società di progettazione per acquisire un progetto di un’opera pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto, di donarlo all’amministrazione. La Fondazione, in quanto organismo di diritto pubblico è soggetta alla disciplina del codice dei contratti pubblici e, quindi, al rispetto dell’evidenza pubblica. L’applicazione di siffatte norme è stata "elusa" con l’avere previsto che la progettazione sarebbe stata messa a disposizione della regione e che quest’ultima avrebbe provveduto a farla propria e a presentarla al Ministero delle infrastrutture per l’approvazione e la concessione del finanziamento. In tal modo si è consentito che un incarico di progettazione di interesse (e competenza) della regione non è stato svolto, né da personale della stessa o di altre pubbliche amministrazioni, né da soggetto scelto con le procedure di cui al codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.03.2008 n. 1008 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICIProgetto di un’opera pubblica - Società di progettazione - Donazione-regalo di un progetto - Divieto - Affidamento di incarichi di progettazione - Rispetto dell’evidenza pubblica - Necessità - Organismo di diritto pubblico - Fondazione - Assoggettamento alla disciplina del codice dei contratti pubblici - art. 91, c. 1, d.lgs. n. 163/2006.
Sussiste il divieto, anche per le Fondazioni, di accordarsi con una società di progettazione per acquisire un progetto di un’opera pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto, di donarlo all’amministrazione. La Fondazione, in quanto organismo di diritto pubblico è soggetta alla disciplina del codice dei contratti pubblici è quindi tenuta al rispetto dell’art. 91, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 (il quale prevede, per l’affidamento di incarichi di progettazione, l’espletamento di specifiche procedure) e all’applicazione dei dettami in esso contenuti (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.03.2008 n. 1008 - link a www.ambientediritto.it).

INCARICHI PROGETTUALI: Ritenuto in diritto:
L’articolo 90, comma 1, lettera g) del d. Lgs. n. 163/2006 individua i liberi professionisti singoli o associati nelle forme di cui alla legge n. 1815/1939, le società di professionisti e le società di ingegneria quali soggetti autorizzati a costituire raggruppamenti temporanei al fine dell’espletamento delle prestazioni attinenti all’architettura ed all’ingegneria.
I consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, di cui alla successiva lettera h), non sono espressamente indicati nel novero dei soggetti che possono costituire detti raggruppamenti temporanei.
Si pone quindi un problema interpretativo sulla legittimità della costituzione di un raggruppamento temporaneo tra un consorzio stabile di cui all’articolo 90, comma 1, lettera h), del d. Lgs. n. 163/2006 e uno o più soggetti di cui al medesimo articolo 90, comma 1, lettere d), e) ed f).
Per la definizione della questione giova richiamare il dettato della citata lettera h) dell’articolo 90 che recita “da consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato nel settore dei servizi di ingegneria e architettura, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, e che abbiano deciso di operare in modo congiunto secondo le previsioni del comma 1 dell'articolo 36. E' vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile. Ai fini della partecipazione alle gare per l'affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico-amministrative ad essa connesse, il fatturato globale in servizi di ingegneria e architettura realizzato da ciascuna società consorziata nel quinquennio o nel decennio precedente è incrementato secondo quanto stabilito dall'articolo 36, comma 6, della presente legge; ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 36, commi 4 e 5 e di cui all'articolo 253, comma 8.”
Per espresso richiamo normativo, quindi, ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria si applicano i commi 1, 4, 5 e 6, dell’articolo 36 del d. Lgs. n. 163/2006, contenente la disciplina generale dei consorzi stabili dettata per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Del resto, già nel previgente assetto normativo di cui alla legge 109/1994, in virtù delle modificazioni introdotte dalla legge 166/2002, i consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria erano stati inseriti nel novero dei soggetti che possono rimanere affidatari di incarichi di progettazione prevedendo un rinvio alle disposizioni dell’allora vigente articolo 12 della legge 109/1994.
Si deve inoltre rilevare che, relativamente ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, l’articolo 34, comma 1, lettera d), del d. Lgs. n. 163/2006 riconosce la possibilità di costituire raggruppamenti temporanei di concorrenti anche ai consorzi stabili.
Si pone dunque un problema di difetto di coordinamento della norma, da affrontarsi secondo un approccio sistematico, secondo il quale, l’applicazione del principio comunitario della libera prestazione di servizi e della tutela della concorrenza nonché del rispetto del paritetico esercizio della professione da parte di tutti i titolari della funzione, singoli o comunque associati, comporta a ritenere che non si rilevano elementi atti a suffragare il diniego del riconoscimento della forma aggregativa di cui all’istituto del raggruppamento temporaneo anche in riferimento ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, così come avviene per i consorzi stabili operanti nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione del RTP Building Design Partnership Ltd/Altri non è conforme alla normativa di settore (
parere 28.02.2008 n. 64 - link a massimario.avlp.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Parere in merito alla corretta interpretazione del rapporto fra la disciplina normativa degli incarichi di consulenza e collaborazione e la disciplina normativa degli incarichi di lavori pubblici (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Piemonte, parere 21.02.2008 n. 3 - link a www.corteconti.it).

ENTI LOCALI: Parere su richiesta del Sindaco del Comune di Spirano (Bg) in merito all’ambito di applicazione dell’art. 3, commi 53, 54, 55, 56 della Legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), in particolare laddove prevede che l’affidamento di incarichi di studio, ricerche o di consulenza a soggetti terzi può avvenire solo se riconducibile a programmi approvati dal Consiglio dell’Ente (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 20.02.2008 n. 10 - link a www.corteconti.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L. Bellagamba, GLI AFFIDAMENTI SEMPLIFICATI: cottimi, incarichi professionali, servizi dell’allegato II B e cooperative sociali, concessioni di servizio, altre tematiche similari (link a www.linobellagamba.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: G. Crucitta e R. Francaviglia, Corte dei Conti n. 6/2008 – Sez. regionale Basilicata – conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A. (link a www.diritto.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Principi cui devono attenersi le amministrazioni pubbliche -individuate dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001- nell’affidamento di incarichi di studi, ricerche e consulenze (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Molise, deliberazione 05.02.2008 n. 1 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi esterni, ostacolo doppio. Affidamenti illegittimi senza programma annuale e regolamento. Gli enti non potranno concludere contratti con soggetti privi di laurea.
L’affidamento di incarichi di studio, di ricerca o di consulenze a soggetti estranei all’amministrazione richiede la previa definizione del programma approvato dall’organo consiliare e una specifica previsione regolamentare per stabilire criteri, limiti, modalità di affidamento e tetto annuo della spesa. In assenza di questi due atti (programma annuale e regolamento), il conferimento dei suddetti incarichi è illegittimo.
È quanto si evince dalla lettura dei commi 54 e 55 dell’art. 3 della legge finanziaria 2008 ... (
articolo ItaliaOggi dell'01.02.2008, pag. 18).

INCARICHI PROFESSIONALI: Il conferimento di un incarico professionale di consulenza per gli aspetti geologici nell’ambito della redazione di un piano strutturale (urbanistico) e di un regolamento edilizio non rientra né nell’ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi invero di un’attività professionale –qualificata locatio operis– riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista), né in quella degli appalti di servizi (non rinvenendosi i caratteri propri dell’appalto di servizio ex art. 1655 C.C. e art. 3 del decreto legislativo 17.03.1995, n. 157, giacché l’appalto si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una media o grande impresa).
D’altra parte, anche se non è espressamente disciplinato il conferimento di tali incarichi fiduciari, in base ai principi di trasparenza e di buon andamento l’amministrazione può stabilire le regole per l’individuazione in concreto del soggetto più idoneo ed adeguato (per professionalità, esperienze, conoscenze tecniche) cui conferire il predetto incarico fiduciario, regole alle quali essa stessa è poi ineluttabilmente vincolata, proprio in ossequio ai principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento fissati dall’articolo 97 della Costituzione.
In tal caso, le prescrizioni contenute nel bando di gara e nella lettera d'invito costituiscono la lex specialis della gara e vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione che non conserva, perciò, alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione, né può disapplicarle (neppure nel caso in cui talune delle regole stesse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento del bando).
Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, nonché la salvaguardia del valore della loro par condicio, impongono, poi, di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara, per cui deve essere preclusa qualsiasi esegesi delle stesse non giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato ovvero palesante significati non desumibili dalla loro originaria formulazione; a tale principio si oppone quello della sanabilità delle (sole) irregolarità formali, di derivazione comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento interno, che consente di attenuare il rilievo delle prescrizioni formali della procedura concorsuale, sempreché esse non incidano sull'assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella procedura e non alterino le regole riguardanti la par condicio dei concorrenti e purché sussistano dubbi sulla esatta portata delle prescrizioni di gara ovvero le stesse possano dar luogo a più interpretazioni sugli adempimenti richiesti alle imprese.

Diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza gravata, il conferimento di un incarico professionale di consulenza per gli aspetti geologici nell’ambito della redazione di un piano strutturale (urbanistico) e di un regolamento edilizio non rientra né nell’ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi invero di un’attività professionale –qualificata locatio operis– riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista, Cass. SS.UU. 19.10.1998, n. 10370; C.d.S., sez. IV, 27.11.2000, n. 6315; 28.08.2001, n. 4573; sez. VI, 04.09.2002, n. 4433), né in quella degli appalti di servizi (non rinvenendosi i caratteri propri dell’appalto di servizio ex art. 1655 C.C. e art. 3 del decreto legislativo 17.03.1995, n. 157, giacché l’appalto si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una media o grande impresa, C.d.S., sez. IV, 28.08.2001, n. 4573).
D’altra parte, anche se non è espressamente disciplinato il conferimento di tali incarichi fiduciari, in base ai principi di trasparenza e di buon andamento l’amministrazione può stabilire le regole per l’individuazione in concreto del soggetto più idoneo ed adeguato (per professionalità, esperienze, conoscenze tecniche) cui conferire il predetto incarico fiduciario, regole alle quali essa stessa è poi ineluttabilmente vincolata, proprio in ossequio ai principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento fissati dall’articolo 97 della Costituzione.
In tal caso, le prescrizioni contenute nel bando di gara e nella lettera d'invito costituiscono la lex specialis della gara e vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa amministrazione che non conserva, perciò, alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 21.05.2004, n. 3297; sez. V, 10.01.2005, n. 32; 13.11.2002, n. 6300), né può disapplicarle (neppure nel caso in cui talune delle regole stesse risultino inopportune, salva la possibilità di far luogo, nell'esercizio del potere di autotutela, all'annullamento del bando, C.d.S., sez. V, 30.12.2004, n. 8292; sez. VI, 01.10.2003, n. 5712; 14.01.2002, n. 166).
Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti, nonché la salvaguardia del valore della loro par condicio, impongono, poi, di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara, per cui deve essere preclusa qualsiasi esegesi delle stesse non giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato ovvero palesante significati non desumibili dalla loro originaria formulazione (C.d.S., sez. V, 15.04.2004, n. 2162); a tale principio si oppone quello della sanabilità delle (sole) irregolarità formali, di derivazione comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento interno, che consente di attenuare il rilievo delle prescrizioni formali della procedura concorsuale, sempreché esse non incidano sull'assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella procedura e non alterino le regole riguardanti la par condicio dei concorrenti (C.d.S., sez. V, 04.02.2004, n. 364) e purché sussistano dubbi sulla esatta portata delle prescrizioni di gara (C.d.S., sez. V, 25.01.2003, n. 357) ovvero le stesse possano dar luogo a più interpretazioni sugli adempimenti richiesti alle imprese (C.d.S., sez, V, 02.03.1999, n. 223)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.01.2008 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: Ritenuto in diritto:
L’articolo 2 della legge 248/2006 ha disposto l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime. Il comma 2 del medesimo articolo, dispone che “nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.”
Con determinazione n. 4 del 29.03.2007, l’Autorità ha evidenziato che, per quanto riguarda le modalità di definizione dell’importo stimato dell’appalto, le stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta applicando il D.M. 04.04.2001, richiamato dall’articolo 253, comma 17, del d. Lgs. n. 163/2006, la cui validità è stata confermata dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 352/2006.
La citata determinazione ha richiamato il principio di adeguatezza previsto dall’articolo 2233 del codice civile, che stabilisce che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”, con ciò ponendo all’attenzione delle stazioni appaltanti la necessità di porre a base di gara un corrispettivo congruo.
L’esigenza dell’individuazione di un corrispettivo stimato congruo negli affidamenti di incarichi di progettazione, e più in generale in tutti gli appalti pubblici, assume una particolare rilevanza sotto il profilo del principio della tutela della concorrenza, alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 401/2007.
Come evidenziato dalla Suprema Corte, le specifiche finalità perseguite dal citato principio, tese ad assicurare che le procedure di gara si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali poste a presidio della libera partecipazione degli operatori economici, in assenza di ostacoli e barriere, devono costituire il fulcro dell’attività contrattuale delle stazioni appaltanti, siano esse di ambito nazionale ovvero di ambito regionale.
Nel caso in esame, la Provincia di Gorizia ha ritenuto di calcolare il prezzo stimato della prestazione da porre a base d’asta, alla luce della percentuale di spese tecniche riconosciute dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il decreto del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia n. 453 del 20.12.2005 “Legge regionale 31.05.2002, n. 14, articolo 56, comma 2. Determinazione aliquote spese di progettazione, generali e di collaudo”.
Detto decreto, emanato ai sensi dell’articolo 56, comma 2, della legge regionale n. 14/2002, rubricato “concessione del finanziamento a enti pubblici”, è volto ad individuare gli oneri per spese tecniche generali e di collaudo da riconoscersi in caso di concessione di finanziamenti da parte dell’amministrazione regionale e prevede che le aliquote da applicarsi per gli oneri di progettazione, sempre e solo ai fini del finanziamento, sono calcolate secondo le aliquote desunte dalla tabella A) al medesimo decreto, in relazione alla categoria di appartenenza dell’opera e sono calcolate sull’ammontare dei lavori, esclusi eventuali incrementi o diminuzioni conseguenti ad aumenti o ribassi d’asta e sull’ammontare delle acquisizioni delle aree e degli immobili. Dette aliquote, dispone il citato decreto, devono intendersi massime, forfetarie ed omnicomprensive.
Quanto sopra non attiene, né può attenere, alla quantificazione del corrispettivo a base d’asta per le prestazioni professionali dell’ingegnere o dell’architetto, la cui tipologia ed i relativi onorari non possono discostarsi da quelli previsti dalla legge n. 143/1949 e dal D.M. 04.04.2001.
Ciò in quanto la quantificazione degli onorari dei progettisti di opere pubbliche, individuata dalle norme sopra richiamate, è volta alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di che trattasi, nel rispetto dei diritti di detti professionisti, a garanzia della correttezza dell’esercizio professionale, prodromico alla realizzazione a regola d’arte dell’appalto di lavori oggetto dell’attività di progettazione.
E tale sembra essere la volontà del legislatore che, all’articolo 92, comma 3 del d. Lgs. n. 163/2006, ha disposto che i corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote di cui al D.M. 04.04.2001.
Detta statuizione è stata riconfermata dal correttivo al codice dei contratti di cui al d. Lgs. n. 113 del 31.07.2007, che, nel recepire l’abrogazione dei minimi tariffari inderogabili attuata dalla legge 248/2006, ha mantenuto in vita la citata previsione di cui al comma 3 dell’articolo 92.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che il prezzo stimato della prestazione da porre a base d’asta per le attività di progettazione deve essere riferito alle tariffe professionali di cui al D.M. 04.04.2001 (
parere 23.01.2008 n. 14 - link a massimario.avlp.it).

ENTI LOCALIAffidamento di incarichi a soggetti esterni alla pubblica amministrazione (n. 4 allegati) (link a www.anci.lombardia.it).

APPALTI: Ritenuto in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità, si fa presente che rientra nella potestà discrezionale della stazione appaltante disporre l’annullamento di una procedura di affidamento di un contratto pubblico, secondo gli ordinari canoni della autotutela, laddove sussistano ragioni di opportunità e di interesse pubblico attuale e concreto.
La potestà di agire in autotutela per revocare o annullare l'esito della procedura di gara risiede nel principio costituzionale di buon andamento che impegna l'amministrazione ad adottare atti per la migliore realizzazione del fine pubblico perseguito, nell'esigenza che l'azione amministrativa si adegui all'interesse pubblico allorquando questo muti o vi sia una sua diversa valutazione.
Nel caso in esame, nell’operato dell’Amministrazione di Verolengo non si rilevano elementi di non conformità ai principi sopra indicati, attesa la valutazione di eccessiva onerosità della spesa e di eccessiva discrezionalità dei criteri di valutazione individuati per l’affidamento.
Inoltre, in relazione ai criteri di valutazione delle candidature, si deve riscontrare un ulteriore elemento di non conformità alla normativa di settore, in base al quale sussistono le condizioni per procedere in autotutela all’annullamento della procedura in esame: l’avviso pubblico in esame non riportava i criteri ed i punteggi per la valutazione delle candidature, individuati, invece, nella determinazione n. 182/2006.
Con parere n. 106/2007 l’Autorità ha espresso l’avviso, richiamando la giurisprudenza comunitaria, secondo il quale tutti i criteri presi in considerazione ai fini dell’aggiudicazione devono essere espressamente menzionati nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, affinché i concorrenti siano posti in grado di conoscere la loro esistenza e la loro portata, e che, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, tutti gli elementi presi in considerazione dall’amministrazione aggiudicatrice per identificare l’offerta devono essere resi noti ai potenziali concorrenti al momento della preparazione delle loro offerte.
Pertanto, la commissione giudicatrice si deve limitare a fissare in via generale i criteri motivazionali in base ai quali attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando.
Si richiama, pertanto, la Stazione appaltante ad una maggiore trasparenza nella redazione degli avvisi di conferimento incarichi di progettazione di importo inferiore a 100.000 euro.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la procedura di annullamento in autotutela dell’affidamento dell’incarico professionale di che trattasi è conforme alla normativa di settore (
parere 16.01.2008 n. 3 - link a massimario.avlp.it).

anno 2007

COMPETENZE PROGETTUALI - INCARICHI PROGETTUALI: La progettazione di opere di sistemazione idraulica di corsi d'acqua rientra nelle competenze esclusive dell'ingegnere.
Lo svolgimento della progettazione richiamata in oggetto da parte di professionisti geometri è illegittima e, pertanto, non abilita la stazione appaltante al pagamento dei compensi professionali.
Il sub-affidamento delle attività di verifica idrogeologica ad un ingegnere è in contrasto con l'art. 91, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m., inerente il divieto di subappalto dei servizi di ingegneria.
--------------
L'assegnazione degli incarichi in parola tramite affidamento diretto non è conforme alle indicazioni dell'art. 57, comma 5, lett. b) e dell'art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163/2006 (in via transitoria DPR n. 384/2001), non ricorrendo i presupposti per l'applicazione delle norme citate.

... il Consiglio:
2) rileva che la progettazione di opere di sistemazione idraulica di corsi d'acqua rientra nelle competenze esclusive dell'ingegnere;
3) rileva che lo svolgimento della progettazione richiamata in oggetto da parte di professionisti geometri è illegittima e che pertanto non abilita la stazione appaltante al pagamento dei compensi professionali;
4) rileva che il sub-affidamento delle attività di verifica idrogeologica ad un ingegnere è in contrasto con l'art. 91, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m., inerente il divieto di subappalto dei servizi di ingegneria;
5) rileva che l'assegnazione degli incarichi in parola tramite affidamento diretto non è conforme alle indicazioni dell'art. 57, comma 5, lett. b) e dell'art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163/2006 (in via transitoria DPR n. 384/2001), non ricorrendo i presupposti per l'applicazione delle norme citate (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, deliberazione 20.12.2007 n. 316).

ENTI LOCALI: Parere sulla corretta imputazione dei costi inerenti il conferimento degli incarichi di cui all’art. 110, comma 6, del T.U.E.L. nonché sulle tipologie di spesa da escludere dal novero delle spese di personale (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Toscana, parere 19.11.2007 n. 17 - link a www.corteconti.it).

INCARICHI PROFESSIONALIContenimento spesa pubblica appalto servizi consulenza.
Il sindaco del Comune XXX chiede se l’affidamento di incarico a professionisti esterni per progettazione e direzione lavori rientri tra quelli inseriti nell’anagrafe delle prestazioni, istituita a fini di contenimento della spesa pubblica, presso il Dipartimento della funzione pubblica, per incarichi di studio, ricerca e consulenza, con l’art. 24 della Legge 30.12.1991, n. 412 (Regione Piemonte, parere n. 35/2007 - link a www.regione.piemonte.it).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggetto: conferimento incarichi di collaborazione esterna (CGIL-FP di Bergamo, nota 22.05.2007).

INCARICHI PROGETTUALI: Guida alla professione di ingegnere - Le tariffe professionali e la loro applicazione - Volume IV  (febbraio 2007 - tratto da www.centrostudicni.it).

anno 2006

INCARICHI PROFESSIONALI: L. Oliveri, La configurazione delle consulenze e delle prestazioni d'opera ai fini dell'applicazione del codice dei contratti - le procedure comparative per gli incarichi di collaborazione (dicembre 2006 - link a www.lexitalia.it).

INCARICHI PROFESSIONALI: R. Pizzulo, I nuovi obblighi per i professionisti (AL n. 11/2006)

INCARICHI PROFESSIONALIComune: presupposti per ricorrere a incarichi esterni da parte della p.a..
La pubblica amministrazione non può ricorrere a incarichi esterni ma deve di norma perseguire i fini istituzionali utilizzando il proprio personale, salvo che ciò non sia ragionevolmente possibile, o perché l'attività che deve essere svolta richiede un apporto professionale particolarmente elevato sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché, per ragioni contingenti e transitorie (quali l'insufficienza del personale in organico a far fronte al carico di lavoro), anche compiti, che sarebbero normalmente assolti con l'utilizzo della struttura interna, rendono viceversa necessario avvalersi di personale esterno.
Questa la decisione della
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sardegna, sentenza 12.10.2006 n. 615.
La vicenda ha riguardato un Comune che aveva affidato l’incarico ad un professionista eterno all’ente per provvedere al riordino ed alla riorganizzazione del Settore Lavori Pubblici con la finalità da renderlo più razionale ed efficiente.
La pianta organica, approvata con deliberazione della Giunta comunale, relativa alla struttura interessata era composta da dieci unità di cui solo tre dell’area B, tra cui, un dipendente dell’area D1, nominato responsabile del servizio con funzioni dirigenziali, il cui incarico rientrante nell'area delle posizioni organizzative, secondo il CCNL siglato il 31.03.1999, prevedeva assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato e, tra l'altro, svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa.
Questo ha comportato, ad avviso della Corte, una duplicazione, perché ha avuto ad oggetto lo svolgimento di compiti che rientravano nell'attività ordinaria del funzionario responsabile del Settore interessato, concretizzandosi dunque un danno per l'amministrazione che ha corrisposto il relativo compenso.
Pertanto, conclude la Sezione giudicante, deve ritenersi palesemente contrario ad elementari principi di economicità ed utilità della spesa il pagamento di un consulente per lo svolgimento di un'attività già istituzionalmente affidata alla cura di un funzionario comunale.
Riassumendo le indicazione della Corte dei Conti nella presente sentenza, la pubblica amministrazione deve ricorrere di norma al proprio personale; può affidare incarichi esterni quando rispetta le seguenti prescrizioni:
● quando l’attività da svolgere richiede un apporto professionale elevato sotto il profilo tecnico-scientifico;
● per ragioni contingenti e transitorie, come l’insufficienza del personale in organico a far fronte al lavoro;
● quando non comporti una duplicazione di attività che dovevano essere svolte dagli uffici;
● se ha un oggetto determinato al fine di poter concretamente apprezzare l'effettivo adempimento della prestazione da parte del consulente e l'utilità della stessa per l'amministrazione committente (
link a www.altalex.com).

INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: L'art. 25 della Legge 724/1994 vieta alle amministrazioni di affidare incarichi a proprio personale cessato per pensionamento di anzianità.
Il divieto copre ogni forma di incarico compreso il rapporto di lavoro subordinato e non solo il rapporto di consulenza, studio, ricerca od altro.

... emerge anzitutto la necessità di stabilire quale sia la reale portata del divieto di conferire incarichi al personale cessato dal servizio per pensionamento di anzianità, di cui all'art. 25 della l. n. 724/1994, perché qualora fosse vero che esso ha valore assoluto, sia con riferimento all'oggetto, che ai “soggetti attivi” e “passivi”, nel senso che l'Amministrazione non può mai, in nessun caso ed in nessun tempo, conferire incarichi ai propri ex dipendenti cessati dal servizio a domanda, come lascerebbe intendere parte attrice (v. pag. 11 della citazione e successivi, conformi interventi), allora apparirebbero del tutto superflue, per la risoluzione dell'odierna controversia, le ulteriori norme invocate da parte attrice medesima sulla disciplina generale degli incarichi, stante le peculiarità del caso.
I resistenti, come detto poc'anzi, hanno sostenuto che difettano, nella fattispecie all'esame, i presupposti applicativi del precitato art. 25, sia perché si verte in ipotesi di lavoro subordinato, e non già di vera e propria consulenza, sia perché l'art. 72, comma 1, della l. n. 388/2000 avrebbe modificato, a loro avviso, il ripetuto articolo art. 25, dando luogo “ad una sostanziale equiparazione delle pensioni liquidate con anzianità contributiva pari o superiore ai 40 anni, alle pensioni di vecchiaia” (v. precedente paragrafo XI).
Il Collegio ritiene che per poter ben comprendere la reale porta dell'art. 25 della l. n. 724/1994, che indubbiamente contiene una “norma di divieto”, occorra anzitutto individuare quale siano i beni-valori a tutela dei quali è stato posto il divieto stesso.
Soccorre al riguardo la lettera della norma che, nel suo incipit, espressamente correla il divieto in discorso al dichiarato fine di “garantire piena ed effettiva trasparenza e imparzialità (alla) azione amministrativa”; in tal senso, del resto, la stessa Corte costituzionale ha chiarito che “la disposizione tende ad arginare il fenomeno di dimissioni accompagnate da incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire la piena ed effettiva trasparenza e la imparzialità dell'azione amministrativa” (cfr. sent. n. 406/1995, pure richiamata da parte attrice).
Nel contesto dell'art. 25 della l. n. 724/1994, dunque, la “trasparenza” e l'“imparzialità” passano da attributi generali dell'azione amministrativa a specifici beni-valori da tutelare, in relazione agli abusi intrinsecamente presenti nel conferimento di incarichi a chi, già dipendente dall'Amministrazione che gli incarichi stessi attribuisce, ha volontariamente posto fine al suo rapporto di servizio con l'Amministrazione medesima, così manifestando un chiaro disinteresse all' espletamento di ulteriori attività lavorativa con essa.
In altri termini, a fronte di un siffatto disinteresse, il citato art. 25 recepisce e positivizza l'idea, diffusa tra i consociati, secondo la quale è oltremodo contraddittorio, e perciò contrario ai canoni di giustificatezza e ragionevolezza che presiedono alla trasparenza ed all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3 e 97 cost., affidare incarichi ai dipendenti pubblici che volontariamente cessino dal servizio, in quanto costoro se avessero voluto ancora lavorare per la loro ex Amministrazione di appartenenza non avrebbero certo chiesto di andare in pensione.
E' evidente infatti l'irrazionalità, anche economica, del conferimento di un incarico in simili condizioni, ove si consideri che l'attività commissionata con l'incarico stesso sarebbe stata remunerata con il solo stipendio, se il dipendete fosse rimasto ancora in servizio, laddove -dopo le dimissioni- il compenso per il ripetuto incarico si aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione differita” dall'ex dipendente medesimo, con un sensibile aumento dei costi complessivi e, soprattutto, senza assicurare una nuova professionalità di ricambio, alla conclusione dell'incarico. E ciò poi, è appena il caso di rilevarlo, è ancora più ingiusto ed incomprensibile ove si consideri che di regola è lo stesso ex dipendente ad aver creato l'esigenza lavorativa che l'incarico tende a superare, come nel caso di specie, cessando volontariamente dal servizio.
Così individuata la ratio, le finalità e l'oggetto specifico della tutela del “divieto” posto dall'art. 25 della l. n. 724/1994, è evidente che esso copre ogni forma di incarico, e non solo quelle di “consulenza” in senso stretto, contrariamente a quanto sostenuto in proposito dai difensori dei convenuti.
D'altronde se, ai fini di una diversa conclusione, può indurre a dubbi l'intestazione dell'art. 25, che menziona solo gli “incarichi di consulenza”, la lettera della norma elimina ogni incertezza, riferendosi chiaramente oltre che agli “incarichi di consulenza, studi e ricerca”, anche agli incarichi di “collaborazionetout-court, nei quali sicuramente si collocano anche quelli che danno luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.
Per questi ultimi, anzi, l'irrazionalità è ancora maggiore -dal lato dell'Amministrazione che conferisce l'incarico-, visto che l'incarico stesso riveste la medesima natura del rapporto di lavoro appena dismesso, mentre -dal lato dell'ex dipendente- può trovare giustificazione solo nel compenso che egli percepisce in aggiunta alla pensione (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria, sentenza 27.07.2006 n. 235 - link a www.corteconti.it).

anno 2005

INCARICHI PROGETTUALI - URBANISTICA: Chi nomina l'esperto che deve redigere il P.R.G.?
Il Consiglio di Stato ha stabilito che spetti ai dirigenti.

La Giunta Comunale delibera di affidare l'incarico per la redazione del P.R.G. a due architetti, scelti intuitus personae.
Il TAR annulla detta delibera in quanto resa da organo incompetente a decidere sulla materia in oggetto.
Il Consiglio di Stato rigetta l'appello proposto dal Comune, confermando la sentenza di primo grado,e precisa che correttamente il TAR ha stabilito che spettano alla Giunta, in base agli artt. 48 e 107 del T.U. 18.08.2000 n. 267, funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e non già quelle di attribuzione di un incarico professionale.
Infatti, la scelta del contraente per l'affidamento di un incarico per lo svolgimento di una prestazione d'opera intellettuale, ai sensi dell'art. 2230 del codice civile, sia a seguito di una gara informale o privata o anche per trattativa privata, è atto di gestione e non ha alcuna finalità di indirizzo.
Non è altro che l'individuazione del soggetto o dei soggetti che appaiono più quotati, secondo regole obiettive prefissate, per il conseguimento delle finalità che la p.a. intende perseguire.
L'attività di indirizzo, invece, riservata agli organi elettivi o politici del comune, si risolve e si esplica nella sola fissazione delle linee generali da seguire e degli scopi da raggiungere con l'attività di gestione.
Nell'attività di indirizzo,riservata alla Giunta, quindi, non rientra la scelta di un contraente qualsiasi dell'ente e, ancor meno, quella di professionisti forniti di titoli adeguati per la redazione di strumenti di pianificazione del territorio.
Questa scelta, invece, è attribuita per legge ai dirigenti, secondo il disposto dell'art. 107 del t.u. già citato o ad una commissione composta da soggetti aventi adeguata esperienza professionale che siano in grado di condurre un'attenta selezione ispirata al soddisfacimento di così peculiari esigenze tecniche (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.09.2005 n. 4654 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

INCARICHI PROGETTAZIONE: La possibilità di costituire gruppi di progettazione misti, formati da dipendenti di più amministrazioni, non è consentita dall’articolo 17, comma 1, della legge 11.02.1994, n. 109 e s.m., essendo prevista, peraltro, (dallo stesso comma 1, lett. b), la possibilità che l’attività di progettazione sia espletata da “uffici consortili di progettazione e di direzione dei lavori” costituiti con le modalità stabilite dagli artt. 24 e s.s. della legge n. 142/1990, ora disciplinate dagli artt. 30 e s.s. del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267).
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La procedura, adottata dalla stazione appaltante per l’affidamento degli incarichi di consulenza e supporto alla progettazione, mancante di qualsiasi confronto concorrenziale appare non conforme alle norme della legge quadro sui lavori pubblici e del relativo regolamento di attuazione.
Con particolare riferimento all’affidamento di incarichi di importo compreso tra 100.000 e 200.000 euro, la stazione appaltante avrebbe dovuto ricorrere alla licitazione privata, sulla base dei criteri e delle modalità fissati dagli artt. 62 ss. del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e s.m., nel rispetto dei principi generali della trasparenza e del buon andamento richiamati dall’art. 17, comma 11, della legge 11.02.1994, n. 109 e s.m.
Con riguardo, invece, ad incarichi di consulenza e supporto alla progettazione conferiti per un corrispettivo presunto superiore alla soglia di applicazione della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi, si sarebbe dovuta adottare -ai sensi dell’articolo 17, comma 10, della citata legge n. 109/1994 e s.m.  una procedura di affidamento conforme alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 17.03.1995, n. 157.
Quest’ultima procedura, in mancanza di motivi di impellente urgenza che consentono l’affidamento del servizio a trattativa privata, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lett. d, del citato D.Lgs. n. 157/1995, avrebbe dovuto comunque osservarsi, anche ove si volesse ammettere che l’attività in questione si qualifichi quale mera consulenza, in quanto i servizi di consulenza in materia d’ingegneria sono compresi nella categoria 12 dell’allegato 1 al D.Lgs. n. 157/1995 (riferimento CPC n. 867) (deliberazione 22.06.2005 n. 69 - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

anno 2004

INCARICHI PROGETTUALI: La decisione di affidare, mediante separati avvisi, gli incarichi di redazione del progetto esecutivo, di direzione lavori, di coordinatore per la sicurezza nella fase di progettazione e di esecuzione, di redazione della relazione geologica -benché tale suddivisione non comporti un aumento di spesa e l’ammontare complessivo dei corrispettivi per le citate attività sia inferiore al limite della c.d. “prima fascia” di cui all’articolo 17, comma 12, della legge 11.02.1994, n. 109 e s.m.- non appare conforme all’art. 17, comma 14, della medesima legge, ove prescrive che “nel caso di affidamento di incarichi di progettazione ai sensi del comma 4, l’attività di direzione dei lavori è affidata, con priorità rispetto ad altri professionisti esterni, al progettista incaricato...”.
Finalità della norma è quella di rendere unitario l’affidamento delle prestazioni, evitando, per quanto possibile, confusioni di responsabilità.
Relativamente alla circostanza che il responsabile del procedimento abbia svolto la funzione di progettista per un intervento risultato d’importo superiore a 500.000 Euro soltanto dopo che è emersa, in sede di redazione del progettazione preliminare, l’opportunità di ricorrere a differenti modalità di realizzazione (concessione) nonché di prevedere maggiori lavori, si rammenta che l’art. 15, comma 5, del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e s.m. prevede che già nel documento preliminare alla progettazione siano indicati, tra l’altro, il sistema di realizzazione da impiegare, i limiti finanziari da rispettare, la stima dei costi e le fonti di finanziamento (deliberazione 19.05.2004 n. 97-bis - link a
www.autoritalavoripubblici.it).

anno 2002

INCARICHI PROGETTUALI: Con riferimento al conferimento di incarichi di progettazione a professionisti esterni all’Amministrazione, la espressa previsione di voler operare il detto conferimento sulla base dei curricula presentati dai progettisti indica un criterio di aggiudicazione avente un indubbio valore oggettivo. L’utilizzo del criterio dei curricula non preclude certo la possibilità per l’Amministrazione di fissare particolari modalità di selezione dei progettisti, restando comunque esclusa la possibilità di una chiamata diretta a piena discrezione dell’ente. Il procedimento costituisce una modalità, per quanto la si possa ritenere semplificata, di evidenza pubblica, e non un’ipotesi speciale di ricorso alla procedura negoziata.
Peraltro, nel caso di specie, l’avviso pubblico di cui è questione opera espresso riferimento alle procedure di cui al d.lgs. 157/1995. Ma è già sufficiente osservare che nella presente ipotesi, come in tutti i casi in cui si proceda ad una scelta comparativa di tipo concorsuale tra una pluralità di offerte, l’Amministrazione appaltatrice deve rispettare i canoni di imparzialità e buona amministrazione, per cui la Pubblica amministrazione deve dar conto delle ragioni della preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza e specifica capacità professionale, desunti dal curriculum del professionista prescelto.

Osserva in primo luogo il Collegio che l’originario conferimento dell’incarico professionale di che trattasi al controinteressato arch. Scardino è chiaramente illegittimo.
Avendo l’Amministrazione attivato una procedura selettiva, con invito ai professionisti a produrre i proprio curricula, è evidentemente priva di adeguata motivazione la scelta all’epoca operata in assenza di ogni valutazione dei detti curricula ovvero della esternalizzazione della necessaria valutazione comparativa degli stessi. Peraltro, la detta scelta risulta disposta sulla scorta di un criterio di fatto, non indicato nell’avviso pubblico quale criterio preferenziale per il conferimento dell’incarico di che trattasi, rappresentato dall’essere il prescelto un professionista del luogo.
Questo Tribunale ha ripetutamente affermato, peraltro in sede di esame di ricorsi proposti dal medesimo odierno ricorrente, un orientamento in materia che risulta ben più autorevolmente ribadito dal giudice di appello. Da ultimo, il Consiglio di Stato ha osservato che, con riferimento al conferimento di incarichi di progettazione a professionisti esterni all’Amministrazione, la espressa previsione di voler operare il detto conferimento sulla base dei curricula presentati dai progettisti indica un criterio di aggiudicazione avente un indubbio valore oggettivo. L’utilizzo del criterio dei curricula non preclude certo la possibilità per l’Amministrazione di fissare particolari modalità di selezione dei progettisti, restando comunque esclusa la possibilità di una chiamata diretta a piena discrezione dell’ente. Il procedimento costituisce una modalità, per quanto la si possa ritenere semplificata, di evidenza pubblica, e non un’ipotesi speciale di ricorso alla procedura negoziata.
Peraltro, nel caso di specie, l’avviso pubblico di cui è questione opera espresso riferimento alle procedure di cui al d.lgs. 157/1995. Ma è già sufficiente osservare che nella presente ipotesi, come in tutti i casi in cui si proceda ad una scelta comparativa di tipo concorsuale tra una pluralità di offerte, l’Amministrazione appaltatrice deve rispettare i canoni di imparzialità e buona amministrazione, per cui la Pubblica amministrazione deve dar conto delle ragioni della preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza e specifica capacità professionale, desunti dal curriculum del professionista prescelto (cfr. Cons. Stato, V Sez., 07.03.2001 n. 1339).
In definitiva, il conferimento di cui trattasi è, a giudizio del Collegio, illegittimo e va, pertanto, annullato.
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Ed, in effetti, come si è ricordato, il ricorrente ha rilevato in ricorso il proprio interesse, in caso di accoglimento del ricorso, al risarcimento del danno subito, da quantificare sulla base del mancato guadagno e delle tariffe professionali vigenti, oltre ai danni dovuti alla perdita di chance, al mancato arricchimento del curriculum ed alle spese vive affrontate per la partecipazione al bando per le quali è chiesta in via principale determinazione equitativa dell’adito giudice.
Orbene, essendo acclarato che è intervenuta la redazione del progetto per il cui affidamento era causa, la pretesa relativa al risarcimento del danno è fondata, attesa la illegittimità degli avversati provvedimenti, l’ingiustizia del danno così prodotto ed il nesso causale sussistente tra i detti atti ed il danno subito dal ricorrente nonché ricorrendo nel caso di specie un sicuro profilo di colpa grave della resistente Amministrazione.
In particolare, il danno subito dal ricorrente, il cui risarcimento grava sulla resistente Amministrazione comunale, è dal Collegio quantificato nel 50% dell’onorario minimo previsto dalle leggi di tariffa previste dall’ordinamento professionale di categoria in relazione alla prestazione richiesta con l’avviso pubblico e vede essere liquidato nel termine di sessanta giorni dalla notificazione ovvero dalla comunicazione della presente sentenza
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 05.03.2002 n. 527 - link a www.giustizia-amministrativa).

anno 2001

INCARICHI PROGETTUALI: L'articolo 17, co. 4, della legge 11.02.1994 n. 109 e s.m., nel disporre che gli incarichi di progettazione possono essere affidati all'esterno in caso di carenza di organico del personale tecnico della stazione appaltante accertata dal responsabile del procedimento, non consente il ricorso a tale procedura senza adeguata motivazione (deliberazione 02.05.2001 n. 150 - link a www.autoritalavoripubblici.it).