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INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI |
novembre 2021 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Consiglio
di Stato, ok alle consulenze gratuite ma solo con procedure selettive
trasparenti.
Le pubbliche amministrazioni possono richiedere prestazioni a titolo
gratuito a professionisti esterni, a condizione che sia previsto un
meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la
concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di
assoluta imparzialità nella selezione.
Lo afferma la IV Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza
09.11.2021 n. 7442.
La contesa
Alcuni ordini professionali forensi hanno impugnato l'avviso pubblico di
manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a
titolo gratuito, ritenuto lesivo dei loro interessi e di quelli degli
iscritti in violazione della disciplina dell'ordinamento della professione
forense.
Il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo che la gratuità è compatibile con
le norme e i principi del diritto interno ed europeo e che i professionisti
possono trarre vantaggi di natura diversa dall'espletamento dell'attività a
titolo gratuito, in termini di maturazione di esperienze personali e di
arricchimento professionale. Né la prestazione offerta dal professionista si
pone in rapporto di alternatività o concorrenzialità con quella che
potrebbero prestare altri consulenti.
Gli ordini hanno impugnato la sentenza, deducendo la violazione della
normativa in materia di contratti pubblici, delle linee guida di Anac
sull'affidamento dei servizi legali, della disciplina legislativa in materia
di equo compenso ma anche dei principi di trasparenza, buon andamento ed
efficacia dell'attività amministrativa.
La IV Sez. del Consiglio di Stato si è pronunciata sull'appello ritenendolo
fondato solo per la parte concernente la formazione dell'elenco dei
professionisti e l'affidamento degli incarichi, non per la gratuità della
prestazione.
Ok agli incarichi gratuiti
In ordine alla pretesa violazione delle norme poste a presidio della dignità
della professione forense, i giudici di Palazzo Spada affermano che
l'articolo 36 della Costituzione ha un ambito di efficacia che non riguarda
la richiesta di prestazioni lavorative gratuite ma è costruita intorno al
presupposto di fatto che il lavoratore presti un'attività lavorativa che è
(o deve essere) necessariamente retribuita per potere soddisfare le esigenze
minime, basilari, irrinunciabili di vita, per sé o per la propria famiglia.
Del pari, la normativa sull'equo compenso sta a significare soltanto che,
laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere
equo, mentre non può ricavarsi l'assai diverso corollario che lo stesso
debba essere sempre previsto.
Quanto alla violazione delle norme e dei principi, anche europei, in tema di
onerosità dei contratti pubblici, le caratteristiche della collaborazione
–del tutto eventuale, basata su un impegno di confidenzialità, che non
determina alcun diritto per i professionisti, con modalità di effettuazione
della prestazione altamente deformalizzata– non corrispondono ad alcuno
degli elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro autonomo
o l'affidamento mediante appalto dei servizi legali.
La centralità dei criteri
La falla viene scovata dal Consiglio di Stato nella violazione delle norme
poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell'azione
amministrativa, sia sotto l'aspetto della formazione dell'elenco da cui
attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri
da applicare per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti.
Pur ammettendo la legittimità degli incarichi resi a titolo gratuito, la
relativa funzione amministrativa, si legge nella sentenza, «non può non
incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza,
adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di
formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi».
Per cui è ammissibile solo se è previamente previsto un meccanismo
procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione
amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta
imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che
in questo «nuovo mercato» delle libere professioni nessuno abbia ad
avvantaggiarsi a discapito di altri
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 25.11.2021). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Pa,
sì all' incarico legale gratuito ma con criteri certi e trasparenti.
Due binari. Alcune prestazioni degli avvocati sono escluse dal Codice
appalti. Per gli altri professionisti, invece, il conseguimento di vantaggi
anche indiretti (per reputazione e pubblicità) lascia pochi margini.
Via libera, con qualche cautela, del Consiglio di Stato, alla possibilità
per le stazioni appaltanti di procedere ad affidamenti di prestazioni legali
gratuite (sentenza
09.11.2021 n. 7442
della IV Sez.). La Pa può chiedere ai professionisti (non solo gli avvocati)
di lavorare gratis, ma deve farlo con il Codice degli appalti alla mano.
Il caso
Il ministero dell'Economia aveva predisposto un avviso per la ricerca di "professionalità
altamente qualificate" in materia di diritto societario, finanziario ed
europeo. L'avviso indicava i requisiti necessari (giuristi, non solo
avvocati, con consolidata esperienza accademica o professionale; lingua
inglese fluente). L'incarico sarebbe stato gratuito e senza alcun obbligo da
parte dell'amministrazione di avvalersi concretamente della consulenza. Per
converso, il professionista era libero di recedere con un breve preavviso.
In buona sostanza si trattava di un contratto davvero atipico.
Gli Ordini degli avvocati di Roma e Milano hanno impugnato l'avviso.
In primo luogo, secondo il Consiglio di Stato, i ministeri possono
richiedere consulenze esterne, non essendovi un obbligo di rivolgersi
all'Avvocatura di Stato. È però necessaria la motivazione circa l'assenza
all'interno della struttura delle professionalità competenti negli specifici
ambiti di interesse.
Inoltre, secondo la sentenza, non ci sono norme che vietano un incarico
legale senza corrispettivo economico, neppure quelle sul cosiddetto equo
compenso. Piena libertà dunque di offrire i propri servizi
all'amministrazione perché il professionista riceve "vantaggi indiretti"
curriculari, di prestigio o di esperienza.
Il perimetro del Codice appalti
Il problema si sposta, dunque, dal "se" al "come" le pubbliche
amministrazioni possono affidare incarichi senza compenso monetario. La
questione va anche oltre il caso dei servizi legali e riguarda molti altri
tipi di consulenze. La questione è: in che misura si applicano le procedure
del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 50/2016)?
Anzitutto la definizione generale di "appalto pubblico" contenuta nel
Codice prevede l'onerosità. L'onerosità è esclusa solo se il contratto,
senza compenso monetario, non comporti alcun vantaggio neppure indiretto.
Solo in questo (raro) caso l'amministrazione dovrebbe ritenersi libera di
accettare l'offerta del prestatore di servizi.
Qualora, invece, sussista un vantaggio indiretto per il professionista in
termini reputazionali e curriculari senza compensi monetari,
l'amministrazione dovrebbe, dunque, applicare il Codice, che distingue tra
appalti "sopra soglia", che ricadono nel campo di applicazione delle
direttive europee, e contratti "sotto soglia" (oggi entro il limite
di 150mila euro), regolati dal diritto nazionale. Questi ultimi possono
essere stipulati senza bisogno di alcuna gara (cioè, in gergo, per
affidamento diretto). Per gli affidamenti sopra soglia si dovrebbero,
invece, applicare le regole ordinarie (bando europeo, domande di
partecipazione, valutazione delle offerte, aggiudicazione).
Prestazioni legali
Ai servizi legali, come chiarisce la sentenza, si applicano regole
particolari già individuate dallo stesso Consiglio di Stato nel precedente
parere 03.08.2018 n. 2017. Se la consulenza è di tipo continuativo con
organizzazione dei mezzi necessari e assunzione del rischio, occorre
esperire una procedura "alleggerita" prevista dal Codice (articoli
140 e seguenti).
Invece, le prestazioni legali indicate dal Codice in un elenco (per esempio
l'incarico a difendere l'amministrazione in una singola causa) rientrano tra
quelli che nel gergo sono definiti come "contratti esclusi", cioè non
rientranti nella disciplina del Codice e, dunque, la Pa può chiedere all'
avvocato di prestare la propria opera gratuitamente.
Il Consiglio di Stato, però, precisa che in questo caso l'amministrazione
deve mettere a punto un procedimento che garantisca «prevedibilità,
certezza, adeguatezza, conoscibilità oggettiva ed imparzialità dei criteri
di formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli
incarichi».
L'avviso di gara del Mef non conteneva tali criteri e per questa ragione è
stato annullato. La Pa, insomma, dovrà essere molto cauta nel bandire le
procedure per incarichi gratuiti perché dovrà adeguatamente motivare questa
scelta, assicurando i principi di trasparenza e imparzialità
(articolo Il Sole 24 Ore del 22.11.2021). |
INCARICHI PROGETTUALI: Consulenze
gratuite, Oice: il Parlamento intervenga subito per tutelare la dignità dei
professionisti
Dopo la
sentenza
09.11.2021 n. 7442 del Consiglio di Stato, Sez. IV, che ha respinto il ricorso degli ordini forensi e ha
dichiarato legittimo un avviso per manifestazione di interesse per
consulenze gratuite verso il Mef, l'Associazione confindustriale delle
società di ingegneria e architettura esprime la propria preoccupazione per
le ricadute sul settore dell'ingegneria e architettura dei principi
affermati nella sentenza.
Per Gabriele Scicolone, presidente Oice, «pur rilevando che la sentenza
riguarda consulenze legali, non possiamo non notare come si tratti di una
vicenda assolutamente assurda e dagli effetti potenzialmente devastanti se
traslati in settori come quelli della progettazione e dei servizi tecnici.
Nel nostro settore sono in ballo principi come la sicurezza dei cittadini,
che esigono che chi progetta debba assicurare qualità e professionalità
elementi che, a loro volta, sono frutto di investimenti in formazione,
ricerca e innovazione. Pensare soltanto lontanamente che un corrispettivo
possa essere di natura diversa da un compenso economico (equo), sia pure
frutto di dinamiche concorrenziali, vuole dire stare su un altro pianeta. Un
consulente o un professionista non deve potere legittimamente regalare la
propria prestazione perché in determinati settori la tutela di superiori
principi, costituzionalmente garantiti, deve prevalere sulla libertà di ogni
singolo individuo. Questo anche per evitare l'insorgere di dinamiche opache,
non consone al settore pubblico ove non riteniamo debbano essere fatti passi
indietro in termini di trasparenza e concorrenza, regole auree da
difendere».
Scicolone precisa inoltre che occorre evitare che «la sentenza dia
nuovamente spazio alle follie che abbiamo visto negli ultimi anni in alcuni
bandi pubblici cui modifiche del codice appalti hanno cercato di porre
rimedio, evidentemente invano visto che poi basta la sentenza di un collegio
giudicante, sia pure autorevole, a passare sopra quanto lo stesso
legislatore ha fatto e adesso sta facendo con la nuova legge sull'equo
compenso. Chiediamo che il Parlamento ponga fine a questo delirio: inutile
chiedere al mondo professionale di formarsi, aggiornarsi, investire per poi
lasciare campo libero alla follia di qualche consulente o professionista
compiacente, nella migliore delle ipotesi, nei confronti di un committente
pubblico o privato».
Il Presidente dell'Oice chiede quindi a gran forza «a tutte le forze
parlamentari di intervenire normativamente per inserire a chiare lettere
nell'ordinamento italiano una disposizione che vieti prestazioni
professionali rese gratuitamente e non eque nell'ambito delle attività
professionali in generale e soprattutto in quelle tecniche a tutela della
sicurezza degli individui sia nel settore pubblico, sia in quello privato.
Ne va della dignità dei lavoratori e della sicurezza dei cittadini»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 12.11.2021). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Lavorare gratis per la Pa si può, il Consiglio di Stato dà l'ok
ai bandi senza compenso economico.
Lavorare gratis per la pubblica amministrazione si può. Il Consiglio di
Stato torna con una nuova sentenza sull'annosa questione dei bandi di gara
che prevedono l'esecuzione di prestazioni a titolo gratuito, senz'altro
compenso che il ritorno di immagine (e naturalmente di rapporti) per il
professionista incaricato di svolgere quel particolare ruolo.
La vicenda parte dal ricorso promosso dagli ordini degli avvocati di Roma e
di Napoli contro l'avviso pubblico di manifestazione di interesse per il
conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito promosso da un
dipartimento del ministero dell'Economia, alla ricerca di consulenti,
altamente qualificati, pronti a svolgere incarichi gratis nelle aree legali
ed economiche.
Per gli ordini, l'avviso sarebbe stato contrario alle norme sull'equo
compenso e al codice dei contratti pubblici, oltre che le norme poste a
garanzia della efficienza e del buon andamento dell'azione amministrativa.
Il Consiglio di Stato (Sez. IV - con la
sentenza
09.11.2021 n. 7442) ha bocciato le obiezioni degli avvocati
relative alla richiesta di prestazioni gratuite, aprendo di nuovo la strada
alle amministrazioni intenzionate ad andare a caccia di professionisti
pronti a svolgere attività senza ottenere in cambio un compenso di tipo
economico.
Il compenso non deve essere per forza di tipo economico
Le norme sull'equo compenso, hanno spiegato i giudici , non prevedono che
debba essere previsto un ritorno di tipo economico per i professionisti, ma
«soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba
necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione
l'ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre
previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa
essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da
parte dei liberi professionisti)».
I giudici aggiungono anche che
«nell'ordinamento non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce
o altrimenti ostacola l'individuo nella facoltà (essa sì espressione dei
diritti di libertà costituzionalmente garantiti) di compiere scelte libere
in ordine all'an, al quomodo e al quando di impiegare le proprie energie
lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione,
un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa».
Ma gli incarichi devono essere affidati in modo imparziale
e trasparente
È stata invece accolta la parte del ricorso che sollevava dubbi sulla
legittimità delle procedure di formazione dell'elenco a valle dell'avviso di
manifestazione di interesse. Da questo punto di vista, i giudici hanno
ritenuto il ricorso «fondato nella parte in cui lamenta la violazione delle
regole che presiedono all'imparzialità dell'azione amministrativa, sia sotto
l'aspetto della formazione dell'elenco da cui attingere per i futuri
affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare di volta
in volta per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti».
«Se è vero (come è vero) -si legge nella sentenza- che nel quadro
costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo
gratuito è lecita e possibile e che il ‘ritorno' per chi la presta può
consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama,
prestigio, pubblicità), la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto
dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non
incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza,
adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di
formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi».
Mentre, l'avviso impugnato, secondo il Consiglio di Stato, è da considerare
illegittimo perché non garantisce «criteri, canoni e regole di assoluta
imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti» in quanto
«non sono stati testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e
regole oggettive e predeterminate e non disciminatorie».
Con la conseguenza che, nonostante il semaforo verde ai bandi per
prestazioni gratuite, l'avviso impugnato alla fine è stato annullato. «L'Amministrazione
-si legge in conclusione del provvedimento- in sede di esecuzione della
presente sentenza, valuterà se o meno riesercitare il proprio potere e potrà
bandire un nuovo invito ad offrire manifestazioni di interesse, nel rispetto
dei principi affermati con la presente sentenza» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 11.11.2021).
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SENTENZA
1. L’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Avvocati di Napoli hanno
impugnato l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per il
conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, attraverso il
quale la Direzione IV del Dipartimento del Tesoro “Sistema Bancario e
Finanziario - Affari Legali” del Ministero dell’economia e delle finanze ha
reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente
qualificate, che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza
accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura, al
fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di
competenza .
Più in particolare, la consulenza richiesta ha ad oggetto “la trattazione di
tematiche complesse attinenti al diritto –nazionale ed europeo–
societario, bancario e/o dei mercati e intermediari finanziari in vista
anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai
fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle
direttive/regolamenti comunitari”.
L’avviso ha disposto che possono far pervenire la manifestazione d’interesse
coloro che, alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande
(ovverosia, dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul sito del
Ministero dell’economia e delle finanze; la pubblicazione è avvenuta in data
del 27.02.2019), abbiano una consolidata e qualificata esperienza
accademica o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito
europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario,
bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi
contabili e bilanci societari.
È richiesta, inoltre, la padronanza della lingua inglese fluente.
L’avviso prevede, altresì, che, all’esito della valutazione dei curricula
presentati, nonché dell’accertamento dell’insussistenza di cause di
incompatibilità ovvero di conflitto di interesse, il Dirigente Generale
della Direzione IV stipuli con ciascuno dei professionisti selezionati un
apposito accordo contrattuale, con indicazione in sede negoziale
dell’oggetto e dei termini di svolgimento dell’incarico proposto.
È prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con la
facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta
giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a
termine l’incarico già iniziato.
L’incarico è a titolo gratuito, con esclusione di ogni onere a carico
dell’Amministrazione.
2. Gli Ordini professionali forensi hanno ritenuto l’avviso illegittimamente
lesivo dei loro interessi e di quelli degli iscritti e lo hanno impugnato
(con ricorso rubricato al n.r.g. 3632/2019 dinanzi al Tar del Lazio, sede
di Roma), in uno al comunicato stampa fatto pervenire dal Ministero
dell’economia e delle finanze in risposta a talune rimostranze promosse
dagli stessi professionisti successivamente alla pubblicazione dell’avviso.
3. A sostegno delle proprie pretese, gli Ordini professionali hanno
lamentato:
3.1. Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art.
13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247 (recante “Nuova
disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art.
19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16.10.2017, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172, applicabile alle
Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art.
19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017.
3.2. Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12
sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità
con delibera n. 907 del 24.10.2018.
3.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria - Difetto di motivazione.
4. Il Tar, con la sentenza impugnata di cui all’epigrafe, ha esaminato
partitamente le censure proposte e le ha respinte in toto, compensando le
spese di lite.
Più nel dettaglio, il primo giudice:
a) ha escluso che, all’esito della valutazione dei curricula
inviati dai professionisti, si instauri alcun rapporto di lavoro tra i
suddetti professionisti e la Pubblica Amministrazione, ovvero un obbligo di
fornitura di un servizio professionale ai sensi del Codice degli appalti (d.lgs.
n. 50/2016 e s.m.i.), dal momento che:
a.1) è prevista la facoltà del professionista di
porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento (ad avviso del
Tar, il termine di preavviso di durata pari a trenta giorni risponde ad
una mera esigenza organizzativa, e non condiziona, né altrimenti limita, la
libera facoltà di recesso del professionista);
a.2) non è previamente indicato il numero di
incarichi da conferire; non è puntualmente definito l’oggetto della
consulenza o dell’affare; l’incarico è conferito al professionista senza
svolgimento di procedura selettiva, nemmeno in senso ampio, e senza che sia
stata formata alcuna graduatoria. Ad avviso del Tar, in sostanza,
l’estrema genericità dell’avviso e dell’incarico da –eventualmente–
conferire, rappresentano tratti distintivi che connotano e rafforzano la
legittimità dell’atto, piuttosto che rappresentare, invece, una causa della
sua illegittimità.
b) ha ritenuto che la gratuità dell’attività da prestare è
compatibile con le norme e i principi del diritto interno ed europeo,
rilevando che:
b.1) non si rinvengono specifici divieti in tal
senso nell’ordinamento, neppure sulla base delle previsioni settoriali del
Codice deontologico;
b.2) la disciplina dell’equo compenso invocata
dagli Ordini ricorrenti a sostegno della propria tesi non si attaglia alla
fattispecie concreta e, comunque sia, non è di ostacolo a che i
professionisti prestino attività di carattere gratuito. Resta fermo che –ad
avviso del Tar- laddove la prestazione si svolga a titolo oneroso, il
compenso pattuito debba necessariamente essere equo sulla base del quadro
normativo vigente (art. 36 Cost.; art. 13-bis, comma 2, legge n. 247/2012);
b.3) i professionisti ritraggono vantaggi di
natura diversa dall’espletamento dell’attività a titolo gratuito, in termini
di maturazione di esperienze personali, di arricchimento professionale,
curriculare.
b.4) la previsione della gratuità non contrasta
neppure con i principi in tema di buon andamento ed efficienza dell’azione
amministrativa (art. 97 Cost.), non essendo affatto dimostrato alcun nesso
di (negativa) influenza tra l’assunzione di un incarico gratuito da parte
del professionista e il suo svolgimento in maniera competente,
professionale, decorosa e dignitosa (artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice
deontologico).
Inoltre, la prestazione offerta dal professionista non si pone in rapporto
di alternatività o concorrenzialità con quella che potrebbero prestare altri
consulenti.
5. Gli Ordini forensi, nell’impugnare la sentenza, hanno dedotto le seguenti
censure:
5.1. Illegittimità della sentenza per erroneità e/o carenza della
motivazione, contrasto con gli art. 112 c.p.c. e 101 c.p.a., erronea
applicazione delle previsioni di cui all’art. 13-bis, comma 3, della legge
31.12.2012, n. 247 e al D.lgs. n. 50/2016, illogicità e
contraddittorietà manifesta.
La sentenza impugnata sarebbe ingiusta sia nella parte in cui ha motivato
che la genericità dell’avviso censurata dagli Ordini ricorrenti “non
costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in
forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo”, sia in quella in cui
ha concluso che “Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito
della consulenza appare legittimo”.
Inoltre, la sentenza non spiegherebbe la natura giuridica del rapporto
nascente tra l’Amministrazione e il singolo professionista, poiché vengono
escluse le tipologie del rapporto di lavoro alle dipendenze e dell’appalto
di fornitura di servizi –peraltro, si sostiene, senza alcuna motivazione a
supporto da parte del Tar– e non vengono indicate le eventuali diverse
fattispecie in cui il rapporto dovrebbe essere inquadrato.
L’avviso pubblico impugnato sarebbe elusivo, invece, a loro dire:
- della normativa in materia di contratti pubblici, e in
particolare del d.lgs. n. 50/2016;
- delle linee guida ANAC n. 12 sull’Affidamento dei servizi legali
approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24.10.2018;
- della disciplina legislativa in materia di equo compenso.
Per di più, il ragionamento logico giuridico seguito dal giudice di prime
cure si porrebbe in contraddizione, oltre che con i supremi principi
costituzionali contenuti negli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., anche con
l’art. 13-bis, comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247, (recante
“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito
dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16.10.2017, n. 148,
convertito, con modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172,
applicabile alle Pubbliche Amministrazioni a mente del terzo comma dell’art.
19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017, che prevede che “La pubblica
amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento
ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo
compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione
di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto”.
La sentenza non avrebbe specificamente illustrato, inoltre, le ragioni per
le quali non sussiste l’eccesso di potere, non recando alcuna motivazione in
ordine alle doglianze articolate avverso il comunicato stampa diffuso dal
Ministero dell’economia in risposta alle proteste provenienti dai
professionisti del libero foro.
In particolare, la sentenza non avrebbe dato conto dell’erroneità dei
presupposti da cui avrebbe preso le mosse l’azione amministrativa, ritenendo
che la disciplina dell’equo compenso si applicasse soltanto al settore
privato.
Il Tar avrebbe inoltre errato a qualificare due importanti elementi di
fatto, e cioè il preavviso per il recesso e l’obbligo di portare a termine
l’incarico già iniziato, elementi che invece -secondo la prospettazione
difensiva seguita dagli ordini professionali- starebbero anzi a comprovare
la natura professionale dell’attività prestata.
Anche a volere ritenere, per pura ipotesi, che una remunerazione possa non
tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque illegittima la
previsione di un incarico svolto totalmente in perdita (senza quindi neppure
una forma di contributo alle spese sostenute), non potendosi nella specie
individuare –anche tenuto conto dell’indeterminatezza dell’incarico– quali
e quante “utilità economiche lecite e autonome” il professionista possa
figurarsi di trarre dalla collaborazione richiesta dal MEF a titolo di
corrispettivo non finanziario della prestazione.
Ciò si tradurrebbe, nella pratica, anche in un ulteriore ostacolo alla
serietà e qualità del servizio prestato.
5.2. Erroneità della sentenza per contrasto con gli artt. 9, 19, 25 e 29 del
Codice Deontologico Forense in relazione quanto previsto dall'art. 36 della
legge 31.12.2012, n. 247, nonché dall’art. 362 c.p.c., illogicità,
contraddittorietà e perplessità manifesta.
La sentenza sarebbe altresì illegittima nella parte in cui ha statuito che
“Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna
violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria
consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei
due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro”.
Si sostiene che il Tar non ha giurisdizione in materia deontologica e
sanzionatoria forense.
Ai sensi della legge professionale e del Codice Deontologico Forense, spetta
soltanto agli Organi disciplinari forensi la potestà di conoscere, valutare
e applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme pertinenti,
la normativa deontologica, anche in via sanzionatoria.
La cognizione esclusiva dei Consigli Distrettuali di Disciplina (in via
amministrativa) e del Consiglio Nazionale Forense (in via giurisdizionale,
essendo il CNF giudice speciale secondo quanto previsto dall’art. 36 della
legge 31.12.2012, n. 247) in ordine agli aspetti disciplinari e alle
violazioni del Codice deontologico si configura alla stregua di una
giurisdizione domestica.
5.3. Erroneità della sentenza per violazione e/o erronea applicazione della
normativa sull’equo compenso, in particolare dell’art. 19-quaterdecies del
D.L. n. 148/2017 in relazione agli artt. 35, 36 e 97 della Costituzione.
Illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione.
La sentenza è criticata anche nella parte in cui ha escluso, a carico dei
professionisti, l’esistenza di divieti o impedimenti a rendere prestazioni
di natura gratuita.
Non avrebbe senso -si sostiene- che la disciplina sull’equo compenso e i
principi ad essa sottesi si applichino ai soli casi in cui il compenso
stesso è previsto, sia pure in forma simbolica, e che –viceversa–
venissero esclusi in toto dall’ambito di applicazione i casi in cui non è
prevista alcuna forma di retribuzione.
Il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato con la sentenza n.
4614/2017, al di là della diversità di circostanze (una su tutte quella
relativa alla previsione, in quel caso, di un rilevantissimo importo di euro
250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella specie inesistente), non
potrebbe applicarsi alla fattispecie de qua, poiché relativo ad un
contenzioso nato prima dell’introduzione dell’art. 13-bis nel corpo della
legge di riforma professionale n. 247 del 2012.
6. Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito per resistere
al gravame ed ha contestato le deduzioni difensive articolate dagli Ordini
appellanti, instando per la conferma della sentenza impugnata.
7. L’Associazione dei giovani amministrativisti (associazione nata per la
promozione e lo sviluppo dello studio e della pratica del diritto
amministrativo, nonché per contribuire a facilitare l’accesso e l’esercizio
della professione di avvocato ai giovani professionisti che operano nei
settori del diritto pubblico e del diritto amministrativo) è intervenuta ad adiuvandum degli Ordini professionali anche nel presente grado di appello,
sostenendone le ragioni dell’impugnazione.
8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive
mediante il deposito di memorie, ed hanno anche interloquito sull’ulteriore
tema difensivo indicato a verbale dal Presidente della Sezione all’udienza
pubblica del 04.02.2021, ovverosia “che si potrebbe ravvisare un
profilo di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, poiché –qualora si dovesse ritenere che l’attività degli avvocati debba essere
necessariamente retribuita in linea di principio in base all’avviso pubblico
in questione– andrebbe valutata la portata applicativa delle disposizioni
sul patrocinio della Avvocatura dello Stato, con la conseguente questione
sul ‘se’ sia radicalmente preclusa agli avvocati medesimi ogni forma di
consulenza, anche gratuita, a favore delle Amministrazioni dello Stato.”.
...
10. La Sezione ritiene che l’appello sia in parte fondato e in parte non
fondato, nei sensi che di seguito si illustrano.
11. Innanzitutto, va perimetrato l’oggetto dell’impugnazione ai fini della
verifica della sussistenza (o meno) dell’interesse a ricorrere da parte
degli Ordini professionali forensi.
12. Il ricorso di primo grado ha censurato l’avviso pubblico del Ministero
dell’economia e delle finanze sotto diversi profili, tutti in vario modo
riconducibili all’illegittimità della pretesa del Ministero stesso -si
asserisce– ad ottenere prestazioni professionali gratuite da parte di
professionisti dotati di specifiche competenze in talune materie e ambiti di
interesse per l’Amministrazione.
In particolare, gli Ordini forensi di Roma e Napoli hanno articolato
svariate censure nei limiti del loro interesse all’impugnazione, vale a dire
l’interesse collettivo e generale dell’Ordine professionale e l’interesse
personale degli iscritti, ovverosia gli avvocati esercenti la libera
professione forense (cd. avvocati del libero foro).
Le doglianze hanno riguardato, in sintesi:
a) la disciplina dell’equo compenso recata dalla vigente legge di
riforma professionale forense n. 247/2012;
b) la legislazione sugli appalti pubblici di fornitura di servizi,
tra cui rientrano i servizi legali ai sensi del codice degli appalti (d.lgs.
n. 50/2016), delle direttive europee e dei principi e delle norme dei
Trattati;
c) la genericità del contenuto dell’avviso, l’erroneità della
motivazione, l’assenza di istruttoria.
13. L’avviso oggetto di impugnazione, tuttavia, non era rivolto soltanto
agli avvocati del libero foro, ma anzi ha orientato la selezione - sulla
base delle competenze professionali richieste e non presenti all’interno
della struttura del MEF - di giuristi che hanno sviluppato competenze
specialistiche in determinati ambiti del diritto (“professionalità altamente
qualificate che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza
accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura” in
“materia di diritto societario, diritto bancario e dei mercati e degli
intermediari finanziari”).
14. L’ampia platea di destinatari presa in considerazione dall’avviso
impugnato consente di sgombrare il campo dal dubbio che, alla luce delle
disposizioni che definiscono gli ambiti applicativi delle funzioni
dell’Avvocatura dello Stato, sia precluso agli avvocati del libero foro di
prestare forme di consulenza in favore delle Amministrazioni dello Stato,
quale quella –per quanto qui rileva ai fini della decisione– interessata
alle prestazioni di cui all’avviso pubblico impugnato, ovverosia il MEF.
In primo luogo, il R.D. 30.10.1933, n. 1611 (recante “Approvazione del
testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e
difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell'Avvocatura dello
Stato”), distingue tra il patrocinio legale obbligatorio (e le connesse
attività di studio e consulenza) e la consulenza lato sensu intesa.
Più nel dettaglio, l’art. 1 prevede che:
“1. La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle
Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo,
spettano alla Avvocatura dello Stato.
Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le
giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure
nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale,
bastando che consti della loro qualità”.
Il patrocinio obbligatorio non è sempre assoluto o inderogabile.
Per quanto riguarda la rappresentanza e difesa in giudizio, l’art. 2 del
cit. R.D. n. 1611 prevede la facoltà di delega “in casi eccezionali anche
procuratori legali” esercenti nel circondario dove si svolge il giudizio
“per quanto concerne lo svolgimento di incombenze di rappresentanza nei
giudizi, civili e amministrativi che si svolgono nelle sedi degli uffici
dell'Avvocatura generale dello Stato o delle avvocature distrettuali,
relativi a materie riguardanti enti soppressi”.
L’art. 5 del medesimo R.D. n. 1611 prevede, invece, la possibilità di
richiedere “l’assistenza di avvocati del libero foro per ragioni
assolutamente eccezionali”.
Viceversa, l’attività di consulenza è più ampia e rientra in senso lato
nelle “funzioni dell’Avvocatura dello Stato”, ed è disciplinata dal
successivo art. 13, per il quale “L'Avvocatura dello Stato provvede alla
tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni
legali richieste dalle Amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle
quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina
progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle
Amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d’accordo
con le Amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di
transazione redatti dalle Amministrazioni: prepara contratti o suggerisce
provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che
possano dar materia di litigio”.
In questo caso -diversamente rispetto al patrocinio legale e alla connessa
attività di studio, assistenza e consulenza– l’espletamento dell’attività
‘consulenziale’ si ispira al principio della “espressa richiesta” che
proviene dall’Amministrazione interessata, piuttosto che al principio
dell’obbligatorietà secundum legem.
Ciò significa che, come in effetti è avvenuto nel caso di specie, la
Pubblica Amministrazione può decidere di rivolgersi anche a consulenti
esterni per affidare incarichi di consulenza.
Il principio è stato enunciato anche da Consiglio di Stato, Sezione VI,
sentenza n. 780 del 03.02.2011, in relazione ad un caso pratico
concernente la distinzione tra l’attività giudiziale istituzionalmente
deputata ad essere svolte dall’Avvocatura dello Stato, e l’attività
stragiudiziale, anche precontenziosa.
In particolare, si è affermato che “l’attività stragiudiziale possa essere
anche conferita a terzi mediante procedura concorsuale o para concorsuale,
ma previa esternazione delle ragioni che inducono ad una scelta siffatta” e
che “pur non essendo rinvenibile una norma espressa nel r.d. n. 1611/1933
atta ad imporre il patrocinio obbligatorio all’Avvocatura dello Stato, non
di meno era dato ritenere la sussistenza, nell’ordinamento, di una serie di
norme idonee a consentire alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi
al “mercato” dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali
che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti –tra l’altro- ad
affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la
formulazione di appositi pareri e, in particolare, alla stessa Avvocatura
dello Stato o al Consiglio di Stato in sede consultiva; con l’aggiunta che
l’art. 7, comma 6, del d.lgs n. 165/2001 prevede la possibilità per le
amministrazioni pubbliche, “per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti
di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad
esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria…”,
che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative
disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7, comma 6-bis).”.
Nella specie, il MEF ha esplicitato nell’avviso le specifiche ragioni che
suggerivano l’opportunità di reperire all’esterno le professionalità
competenti negli specifici ambiti di interesse, in quanto non presenti
all’interno della struttura ministeriale.
La effettiva sussistenza delle suddette ragioni e delle modalità con le
quali le stesse sono state soddisfatte è, per l’appunto, al vaglio della
Sezione.
15. Ciò detto, l’interesse a ricorrere degli Ordini professionali sussiste
anche per un’altra ragione.
Il conseguimento del titolo di avvocato che abilita alla difesa in giudizio
è di pari rango (semmai, anzi, è qualcosa ‘di più’ e non ‘di meno’) rispetto
alla qualifica di ‘giurista’, ‘esponente del mondo accademico’,
‘professionista altamente qualificato’, ai quali si rivolge l’avviso.
Non sarebbe possibile ritenere, dunque, che un giurista, per il solo fatto
di aver conseguito anche il titolo di avvocato (e di essere iscritto a un
Ordine professionale), non possa, per ciò solo, prestare la propria opera
professionale ed intellettuale nei confronti delle Amministrazioni statali
in ogni ambito stragiudiziale, laddove –invece- tale preclusione non
varrebbe per altre figure professionali altamente specializzate (professori
universitari, ricercatori o, semplicemente, esperti del settore) alle quali
il MEF si è voluto rivolgere senza prevedere requisiti specifici in termini
di titoli di studio o di abilitazione.
Sotto questo specifico aspetto, pertanto, sono condivisibili le
prospettazioni difensive articolate dagli Ordini appellanti nell’ultima
memoria difensiva depositata in data 03.04.2021, secondo cui –ove la
Sezione giungesse a difformi conclusioni in punto di sussistenza
dell’interesse a ricorrere– si prospetterebbe effettivamente un serio
dubbio di legittimità costituzionale (sotto il profilo dell’eguaglianza di
trattamento tra le varie figure di ‘giuristi’, ‘esperti’ e ‘rappresentanti
del mondo accademico’) della normativa sul patrocinio legale e sull’attività
di consulenza anche stragiudiziale in favore delle Amministrazioni statali,
laddove la stessa venisse interpretata o applicata nel senso di impedire
agli avvocati del libero foro di manifestare interesse e rispondere
all’invito ad offrire di cui all’avviso impugnato.
16. Ciò detto in punto di sussistenza dell’interesse a ricorrere, va ora
esaminato il merito dell’appello.
17. Gli Ordini professionali lamentano, nella sostanza, tre ordini di
questioni:
a) la violazione delle norme poste a presidio del decorso e della
dignità della professione forense;
b) la violazione delle norme e dei principi, anche europei, in tema
di onerosità dei contratti pubblici;
c) la violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e
del buon andamento dell’azione amministrativa.
18. Per quanto riguarda il profilo sub a), essi richiamano sia le
disposizioni di rango costituzionale (art. 36), sia quelle di rango primario
(art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies
del d.l. n. 148/2017), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, il
diritto del professionista alla retribuzione commisurata alla quantità e
qualità del lavoro prestato, e l’obbligo anche per le Pubbliche
Amministrazioni di garantire il principio dell’equo compenso in relazione
alle prestazioni rese da professionisti in esecuzione di incarichi
conferiti.
19. Per quanto concerne il profilo sub b), essi lamentano invece la
violazione della disciplina dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n.
150/2016 e delle linee guida dell’ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi
legali.
A loro giudizio, l’attività di consulenza richiesta configura un contratto
pubblico di servizi sub specie di prestazione d’opera professionale, ovvero
di servizi di consulenza legale.
Gli appellanti sostengono che la scelta del consulente/contraente
prefigurata dal MEF nell’avviso impugnato viola i criteri di aggiudicazione
(che, a loro avviso, non devono esaurirsi nella sola valutazione
dell’esperienza curriculare) e di selezione (che, sempre a loro avviso,
devono presupporre l’offerta di un prezzo, ed anzi, vista l’importanza degli
interessi coinvolti, l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo
anche per gli affidamenti di minor valore).
20. Infine, per quanto concerne il profilo sub c), gli appellanti lamentano
l’irragionevolezza e l’illogicità di reperire figure professionali esterne
alle quali affidare incarichi solo genericamente indicati, senza una
puntuale disciplina della responsabilità giuridica dei professionisti
stessi, a tutela dell’erario pubblico.
21. Ad avviso della Sezione, nessuno degli assunti difensivi appena
sintetizzati va condiviso, per le ragioni che di seguito si espongono.
22. Per quanto concerne il profilo sub a), la normativa di cui gli
appellanti invocano l’applicazione riguarda fattispecie giuridiche del tutto
differenti da quella che è oggetto del presente contenzioso, sia in
relazione ai presupposti applicativi, sia con riguardo alle conseguenze
giuridiche che i medesimi vorrebbero trarne. Segnatamente:
I) l’art. 36 Cost. ha un ambito di efficacia soggettivo e oggettivo ben
delimitato, che non riguarda la richiesta di prestazioni lavorative gratuite
di cui all’avviso ministeriale impugnato.
Più nel dettaglio, la disposizione costituzionale tutela la proporzionalità
e l’adeguatezza della retribuzione in modo da garantire al lavoratore e alla
sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; preserva il sano svolgimento
della prestazione lavorativa (sotto il profilo della durata massima della
giornata lavorativa e della fruizione del riposo settimanale e delle ferie
annuali).
La disposizione è chiaramente costruita intorno al presupposto di fatto (che
non sussiste affatto nella fattispecie all’esame) che il lavoratore presti
un’attività lavorativa che è (o che deve essere) necessariamente retribuita
per potere soddisfare le esigenze minime, basilari, irrinunciabili di vita,
per sé o per la propria famiglia.
Nell’ordinamento non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce
o altrimenti ostacola l’individuo nella facoltà (essa sì espressione dei
diritti di libertà costituzionalmente garantiti) di compiere scelte libere
in ordine all’an, al quomodo e al quando di impiegare le proprie energie
lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione,
un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa.
Tale divieto, ostacolo o impedimento non può trovare fondamento nell’art. 36
Cost., disposizione che è posta a presidio ed irrinunciabile baluardo di ben
altre istanze di tutela dell’individuo.
Altrimenti opinando, si dovrebbe ritenere ex sé illegittima (o addirittura
illecita) la prestazione, oltre che delle attività gratuite, anche di quelle
liberali, le quali anzi, a differenza delle altre, nemmeno contemplano la
possibilità di ricavare dei vantaggi, neppure indiretti, dallo svolgimento
delle attività medesime, essendo effettuate in maniera del tutto spontanea e
con spirito di arricchire l’altro senza alcun vantaggio per se stessi: ma
una tale tesi non è stata sostenuta nemmeno dagli appellanti.
Nel caso di specie, invece, l’adesione del professionista, all’invito ad
offrire contenuto nell’avviso impugnato, reca indubbiamente –a chi ha la
volontà, il tempo, il modo e la possibilità (oltre alla capacità
professionale) di svolgere la consulenza richiesta- una sicura
gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio
personale, fattivo e utile contributo alla “cosa pubblica”.
II) Il richiamo alla disciplina dell’equo compenso di cui all’art. 13-bis,
comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies del d.l. n.
148/ 2017, è questione che non rileva specificamente per definire la
fattispecie in decisione.
La suddetta disposizione prevede che “La pubblica amministrazione, in
attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle
proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione
alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi
conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto”.
Anche in questo caso, il presupposto di fatto -imprescindibile per tentare
un confronto fra la fattispecie all’esame e la disciplina dell’equo compenso- è che sia prevista la prestazione retribuita.
Al di fuori di questo perimetro, che è logico prima ancora che giuridico,
non può essere effettuato alcun raffronto, proprio perché l’attività di
sussunzione di una fattispecie concreta rispetto al paradigma legale
generale ed astratto poggia, prima di tutto, sulla raffrontabilità in fatto
degli schemi logici.
Pertanto, occorre concludere che la normativa sull’equo compenso sta a
significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba
necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione
l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre
previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa
essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da
parte dei liberi professionisti).
Il riferimento soggettivo previsto dall’art. 13-bis cit. alla “pubblica
amministrazione” e quello oggettivo agli “incarichi conferiti” stanno
piuttosto a significare -a tutela del professionista- che il compenso deve
essere equo e che l’interesse privato non può essere sacrificato rispetto a
quello pubblico e generale fino al punto di travalicare –nel bilanciamento
dei contrapposti interessi- l’equità della remunerazione.
La disposizione non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di
disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso –qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso– allo
scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci
occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come
tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità
indirette).
III) Piuttosto, occorre osservare come la modifica da ultimo inserita nella
legge professionale forense è sorretta da una ratio legis autonoma ed ha
voluto rappresentare un equo, ragionevole e ‘giusto’ punto di equilibrio a
tutela dei liberi professionisti, ed in particolare dei giovani che si
affacciano nel mondo del lavoro, a seguito della abrogazione dei minimi
tariffari e dell’apertura al libero mercato, anche nel quadro euro-unionale.
In quest’ottica prospettica, il sopra riportato comma 3 esprime l’attenzione
del legislatore ordinario per le libere professioni quando l’attività è
esercitata al di fuori dei rapporti di lavoro dipendente, che di per sé
ricadono sotto la copertura costituzionale dell’art. 36 Cost., in relazione
alla necessità della congruità del compenso, ma ciò sull’evidente
presupposto che compenso vi sia.
In altre parole, la disciplina sull’equo compenso ha completato e colmato
quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha
provocato nel settore delle libere professioni una deminutio di tutela per
coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici
del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e
retributiva.
23. Per quanto concerne il profilo sub b), la Sezione ritiene che il giudice
di prime cure abbia correttamente escluso la violazione della disciplina dei
contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 150/2016 e delle linee guida dell’ANAC
n. 12 sull’affidamento dei servizi legali.
L’incarico a cui fa riferimento l’avviso impugnato consiste:
a) nel prestare attività di consulenza su tematiche complesse
attinenti al diritto, nazionale ed europeo, societario, bancario, dei
mercati e degli intermediari finanziari;
b) nel supportare il MEF nel compimento di attività particolarmente
complesse ed elevate a livello intellettuale, sia dal punto di vista
teorico-dogmatico, sia sul piano pratico, ‘prestando’ competenze
professionali di cui spesso le Pubbliche Amministrazioni sono sguarnite;
c) nel collaborare all’adozione o all’integrazione di normative
primarie e secondarie, ai fini -tra le altre cose- dell’adeguamento
dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari;
d) nel prestare il proprio impegno per una durata biennale, senza
possibilità di rinnovo, e con la facoltà per il professionista di recedere
mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante
sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.
Più nel dettaglio:
e) lo scopo dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse è
quello di raccogliere la generica disponibilità di soggetti particolarmente
qualificati a dare un contributo, ove mai l’Amministrazione lo ritenesse
necessario e sulla base di un impegno di confidenzialità, per consentire un
immediato ed agevole scambio di informazioni;
f) la collaborazione richiesta è del tutto eventuale ed occasionale
e viene attivata se e quando sia ritenuta necessaria, a discrezione
dell’Amministrazione finanziaria;
g) i professionisti che manifestano l’interesse a termini
dell’avviso non sono titolari di alcun diritto o situazione di legittimo
affidamento a che siano, di poi, effettivamente chiamati a rendere la
prestazione indicata;
h) la modalità di effettuazione della prestazione è altamente
deformalizzata e può esaurirsi anche in un semplice scambio telefonico,
ovvero in una breve interazione per via telematica, e cioè al solo scopo di
ottenere un agile ed immediato riscontro, senza ulteriori vincoli;
i) non è richiesta la presenza fisica presso la struttura
ministeriale; non sono previsti orari prestabiliti o una disponibilità
continuativa; non sono necessarie trasferte, né missioni; anche per questa
ragione nell’avviso è espressamente escluso che possano essere posti a
carico dell’Amministrazione oneri di qualunque tipo, ivi compresi i rimborsi
spese; in altre parole, è esclusa alla radice la possibilità che i
professionisti possano ricavare utilità economiche o vantaggi economici,
anche indiretti, sotto forma di rimborso spese o gettoni di presenza.
Le caratteristiche sin qui elencate non corrispondono ad alcuno degli
elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro autonomo o
l’affidamento mediante appalto dei servizi legali.
Il rapporto di lavoro autonomo per le Pubbliche Amministrazioni è
ammissibile solo se sussistono i presupposti indicati dall’art 7, comma 6 e
comma 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001.
L’articolo 140, contenuto nel Capo I dedicato agli «Appalti nei settori
speciali», assoggetta ad un particolare regime pubblicitario i servizi di
cui all’Allegato IX del Codice dei contratti pubblici, nei quali rientrano
anche i «Servizi legali, nella misura in cui non siano esclusi a norma
dell’articolo 17, comma 1, lettera d)».
I relativi affidamenti costituiscono appalti e comprendono i servizi non
ricompresi da un punto di vista prestazionale nell’ambito oggettivo di
applicazione dell’articolo 17 (ad esempio, le consulenze non collegate ad
una specifica lite), ovvero che, su richiesta delle stazioni appaltanti e
nei limiti delle istruzioni ricevute, i fornitori realizzano in modo
continuativo o periodico ed erogano organizzando i mezzi necessari e
assumendo il rischio economico dell’esecuzione, come nell’ipotesi di
contenzioso seriale affidato in gestione al fornitore.
L’Allegato IX individua l’ambito di applicazione non solo delle disposizioni
di cui al richiamato articolo 140, ma anche di quelle contenute negli
articoli 142, 143 e 144 che, dettando un regime “alleggerito”,
complessivamente integrano la Parte II, Titolo VI, Capo II del Codice dei
contratti pubblici, rubricato «Appalti di servizi sociali e altri servizi
nei settori ordinari».
L’articolo 17, comma 1, lettera d), del Codice dei contratti pubblici,
rubricato «Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di
servizi», elenca alcune tipologie di servizi legali
che esclude dall’ambito oggettivo di applicazione delle disposizioni codicistiche.
Le Linee Guida Anac –che i ricorrenti invocano però a sostegno della propria
tesi difensiva– prevedono che:
“1.1.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1,
lettera d), n. 1 gli incarichi di patrocinio legale conferiti in relazione
ad una specifica e già esistente lite.
1.1.2 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera
d), n. 2 i servizi di assistenza e consulenza legale preparatori ad
un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o
giurisdizionale, anche solo eventuale.
(…).
1.4.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera
d), n. 5 del Codice dei contratti pubblici i servizi legali strettamente
legati all’esercizio di pubblici poteri, che rappresentano un presupposto
logico dell’esercizio del potere, ponendosi alla stregua di una fase del
procedimento in cui il potere pubblico è esercitato. A titolo
esemplificativo, può considerarsi connesso all’esercizio di pubblici poteri
l’affidamento del singolo incarico di collaborazione per la redazione di
proposte di elaborati normativi, di natura legislativa e regolamentare”.
Le menzionate Linee Guida sono state redatte, in particolare, sulla base del
parere n. 2017 del 03.08.2018 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto che
l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto, con conseguente
applicabilità dell’allegato IX e degli articoli 140 e seguenti del Codice
dei contratti pubblici, qualora la stazione appaltante affidi la gestione
del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di
tempo considerata (di regola il triennio).
L’incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera
professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o
questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 (contratti
esclusi).
24. L’ultimo profilo sub c) censura, invece, la violazione delle norme poste
a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.
La Sezione ritiene che il profilo sia fondato nella parte in cui lamenta la
violazione delle regole che presiedono all’imparzialità dell’azione
amministrativa, sia sotto l’aspetto della formazione dell’elenco da cui
attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri
da applicare di volta in volta per attribuire specificamente gli incarichi
ai professionisti.
Se è vero (come è vero) che nel quadro costituzionale ed eurounitario
vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e
che il ‘ritorno’ per chi la presta può consistere anche in un vantaggio
indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), la
funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi
costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la
sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza,
conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione
dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi.
La tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni
gratuite da parte delle Pubbliche Amministrazioni si può ammettere solo se è
previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie
circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri,
canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei
professionisti, di modo che in questo ‘nuovo mercato’ delle libere
professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.
La Sezione ritiene che l’atto impugnato, sotto questo aspetto, difetti della
necessaria determinatezza che –sola– può assicurare la soglia inderogabile
dell’imparzialità dell’azione amministrativa, poiché non sono stati
testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e regole oggettive e
predeterminate e non disciminatorie.
25. In definitiva, alla luce delle considerazioni appena illustrate,
l’appello va accolto limitatamente alla censura di difetto di istruttoria e
di motivazione e soltanto circa l’aspetto concernente la formazione
dell’elenco dei professionisti e l’affidamento degli incarichi, mentre va
respinto per il resto.
Nondimeno, l’accoglimento di tale censura comporta l’annullamento integrale
degli atti impugnati, poiché la tipologia del bando impugnato in primo grado
può risultare conforme ai principi basilari dell’ordinamento solo se sono
contestualmente fissati i criteri ispirati alla trasparenza e sono
individuate le regole oggettive predeterminate e non discriminatorie.
26. L’Amministrazione, in sede di esecuzione della presente sentenza,
valuterà se o meno riesercitare il proprio potere e potrà bandire un nuovo
invito ad offrire manifestazioni di interesse, nel rispetto dei principi
affermati con la presente sentenza.
L’Amministrazione, nella sua discrezionalità, qualora ritenga di indire un
una nuova selezione, sceglierà le modalità pratiche ed operative più
opportune per attuare i principi sopra enunciati, le quali dovranno essere:
a) efficaci, cioè produrre un effetto utile per i soggetti
interessati;
b) oggettive, cioè basate su criteri verificabili e attinenti ai
dati curriculari;
c) trasparenti, cioè basate su dati e documenti amministrativi
accessibili;
d) imparziali, cioè tali da consentire la valutazione equa ed
imparziale dei concorrenti;
e) procedimentalizzate, cioè idonee ad assicurare, anche mediante
protocolli e modelli di comportamento, che non si verifichino favoritismi o,
all’inverso, discriminazioni, nella selezione e nella attribuzione degli
incarichi;
f) paritarie, cioè che le distinzioni di trattamento debbono
rispondere a criteri di stretta necessità, proporzionalità ed adeguatezza
del mezzo rispetto allo scopo;
g) proporzionali, cioè tali da assicurare la rispondenza
relazionale tra il profilo professionale scelto e l’oggetto dell’incarico,
anche sulla base del dato curriculare e di esperienza;
h) pubbliche, cioè prevedibili e conoscibili;
i) rotative, compatibilmente con la necessità di rendere efficace
ed effettiva l’azione amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
09.11.2021 n. 7442 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Lavorare
gratis per la Pa? Si può. Ok ai bandi pubblici senza corrispettivo. Basta la
gloria. Palazzo Spada annulla l’avviso del Mef ma
non per il mancato rispetto dell’equo compenso.
La Pubblica amministrazione può emettere bandi che
non prevedano compensi per i professionisti. Infatti, la norma sull'equo
compenso sta a significare soltanto che «laddove il compenso sia previsto,
lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla
disposizione l'ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba
sempre essere previsto».
E' la conclusione a cui è giunta la sezione quarta del Consiglio di stato
con la
sentenza
09.11.2021 n. 7442.
La sentenza conclude la vicenda legata a un bando del ministero
dell'economia delle finanze del marzo 2019 (si veda ItaliaOggi del 05.03.2019) che è stato effettivamente annullato da palazzo Spada. Alla base dello
stop, però, non una violazione della norma sull'equo compenso ma una
mancanza nei criteri di trasparenza nel processo di selezione previsto dal
bando.
L'avviso del Mef era finalizzato alla ricerca di consulenze di
professionalità altamente qualificate, che potessero dimostrare una
«consolidata e qualificata esperienza accademica e professionale
documentabile di almeno 5 anni». L'incarico, di durata biennale, era a
titolo gratuito, con l'esclusione di ogni onere a carico
dell'amministrazione. Contro il bando hanno presentato ricorso gli ordini
degli avvocati di Roma e di Napoli che, dopo la bocciatura del Tar Lazio con
la sentenza n. 3015/2019 hanno visto il loro ricorso accolto in parte dal
Consiglio di stato che ha infatti, come detto, annullato il bando.
Stabilendo, tuttavia, che lo stesso non violasse la norma sull'equo
compenso.
Come già affermato dal Tar, in sostanza, l'equo compenso è applicabile solo
quando è previsto un corrispettivo per l'attività svolta. Nel caso in cui,
invece, lo stesso non sia proprio stabilito dall'inizio, la norma non trova
applicazione. Secondo palazzo Spada «l'adesione del professionista… reca
indubbiamente… una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere
apportato il proprio... contributo alla cosa pubblica». Quindi, la Pa sarà
libera di emettere bandi in cui non è prevista la paga per il
professionista, ma altre tipologie di gratificazioni.
L'avviso, però, è
stato comunque annullato per una mancanza di imparzialità nella selezione
dei professionisti: «La tenuta costituzionale del sistema basato sulle
richieste di prestazioni gratuite da parte delle pa», si legge ancora nella
sentenza, «si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie sul fatto che la concreta azione
amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta
imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti». Per questo
aspetto, il ricorso è accolto e il bando quindi annullato. Per i compensi,
invece, no
(articolo ItaliaOggi del 10.11.2021). |
luglio 2020 |
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INCARICHI PROGETTUALI: Per
l’Ad. plen. il progettista indicato va qualificato come professionista
esterno e non può quindi fare ricorso all’istituto dell’avvalimento.
Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, il progettista indicato
ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 163 del 2006, va qualificato come
professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo e, non
rientrando nella figura del concorrente né in quella di operatore economico,
non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che
esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento
“a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti
pubblici previgente ed oggi è vietato dal d.lgs. n. 50 del 2016.
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Contratti pubblici – Appalto integrato di lavori – Progettista indicato –
Avvalimento – Esclusione
Il progettista indicato, nell’accezione e nella
terminologia dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del
2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il
progetto esecutivo.
Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di
operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da
quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento
per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso
tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel
regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal
decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta (1).
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(1) I. – L’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato ha formulato il principio di diritto per cui
il progettista indicato ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 163 del 2006, va
qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto e
non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di
operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da
quella dell’Unione europea.
Non può, pertanto, utilizzare l’istituto dell’avvalimento, sia perché tale
istituto è riservato all’operatore economico in senso tecnico sia perché l’avvalimento
cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice
previgente.
II. – La questione era stata rimessa all’attenzione dell’Adunanza
plenaria da
Cons. Stato, sezione V, ordinanza, 09.04.2020, n. 2331 (oggetto
della
News US, n. 49 del 22.04.2020, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimento, ma sulla quale si veda amplius, infra, § q),
che aveva formulato il seguente quesito “se, nell’ambito dell’appalto
integrato come ammesso nel sistema normativo di cui al decreto legislativo
n. 163 del 2006, il progettista eventualmente “indicato” dalla impresa
concorrente, in caso di assenza in capo ad esso dei prescritti requisiti
professionali ed organizzativi, possa a sua volta ricorrere all’istituto
dell’avvalimento”.
La controversia muove da una procedura di gara per l’aggiudicazione
dell’appalto di progettazione e realizzazione di una centrale di
teleriscaldamento, alimentata a biomasse, per gli abitanti della città di
Tarvisio; in particolare:
a) il progettista “indicato” dalla impresa
che avrebbe poi provveduto alla costruzione della centrale non era in
possesso dei requisiti tecnico-professionali (appalti per un certo importo
nell’ultimo decennio di attività) ed organizzativi (numero minimo di
dipendenti) prescritti dal bando di gara.
Di qui il ricorso all’avvalimento di altri soggetti professionali (c.d.
avvalimento “a cascata”). La successiva aggiudicazione in favore di
tale impresa provocava il ricorso, proprio su tale punto specifico, ad opera
della seconda classificata;
b) in primo grado il Tar per il Friuli Venezia
Giulia, con sentenza 11.01.2013, n. 18, respingeva il ricorso sostenendo
che, in applicazione dei “principi di livello europeo e nazionale, sulla
base dell'articolo 49 del codice dei contratti e degli articoli 47 e 48
della direttiva del 31.03.2004 n. 2004/18/CE”, “l’avvalimento deve
ritenersi ammesso anche a favore della figura del professionista che si
incarica formalmente di eseguire la progettazione di determinati lavori”;
c) la sentenza veniva appellata dinanzi al
Consiglio di Stato il quale, con sentenza non definitiva n. 4849 del
22.10.2015 della quinta sezione, disponeva in un primo momento la
sospensione (impropria) del giudizio in quanto nell’ambito di un diverso e
parallelo processo era stato sottoposto, dinanzi alla Corte di giustizia UE,
un quesito circa la compatibilità comunitaria della normativa interna nella
parte in cui quest’ultima non sembra consentire un simile avvalimento di
secondo grado;
d) poiché quel procedimento veniva dichiarato
estinto (per rinunzia della parte appellante), la causa di sospensione
veniva meno. A questo punto lo stesso Consiglio di Stato, con ordinanza n.
4982 del 30.10.2017 della quinta sezione, sottoponeva alla stessa Corte di
giustizia analogo quesito circa la compatibilità “con l’art. 48 direttiva
CE 31.03.2004, n. 18 di una norma, come quella di cui all’art. 53, comma 3,
d.lgs. 16.04.2006, n. 163, che ammette alla partecipazione un’impresa con un
progettista indicato’ il quale ultimo, a sua volta, non essendo concorrente,
non può ricorrere all’istituto dell’avvalimento”. Veniva dunque
reiterata l’interinale sospensione del giudizio.
Tale quesito era tuttavia dichiarato irricevibile, con sentenza della
Corte di giustizia UE, sez. IX, 14.02.2019, C-710/17 (oggetto
della
News US, n. 25 del 22.02.2019 cui si rinvia per ogni
approfondimento), dal momento che si trattava di un appalto c.d. sotto
soglia peraltro privo di un “interesse transfrontaliero certo” (nel
caso di specie –precisava la Corte– “la domanda di pronuncia
pregiudiziale è diretta unicamente all’interpretazione della direttiva
2004/18 e non delle disposizioni e dei principi fondamentali del Trattato
FUE”);
e) con la citata ordinanza della sezione V,
09.04.2020, n. 2331, la questione era quindi rimessa al vaglio dell’Adunanza
plenaria.
III. – Con la sentenza in rassegna il collegio, dopo aver
ricostruito la vicenda processuale, ha osservato quanto segue:
f) la questione sostanziale, sulla quale il
collegio è chiamato a pronunciarsi, consiste nello stabilire quale sia la
qualificazione giuridica del progettista indicato, nell’accezione e nella
terminologia dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 e se questi possa
ricorrere a un progettista terzo, utilizzando a sua volta la qualifica di
altro professionista, singolo o associato. Solo nell’ipotesi in cui il
progettista originariamente indicato dal costituendo raggruppamento sia da
qualificare come ausiliario in senso tecnico, ossia come l’effetto del
meccanismo proprio dell’avvalimento, si pone l’ulteriore questione se vi
possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un duplice e
consequenziale avvalimento di professionisti;
g) in punto di fatto:
g1) il costituendo
raggruppamento temporaneo che ha partecipato alla gara era costituito da due
soggetti, privi, nelle loro attestazioni SOA, della qualificazione per le
prestazioni di progettazioni;
g2) gli operatori hanno
pertanto indicato congiuntamente un progettista esterno, non facente parte
del R.T.I.;
g3) il progettista indicato ha,
a sua volta, presentato un contratto di avvalimento stipulato con altra
società, allo scopo di utilizzarne i requisiti, avendo dichiarato
espressamente di essere privo di taluni dei requisiti previsti dal bando,
analiticamente indicati;
h) l’istituto dell’avvalimento, di origine
comunitaria è stato disciplinato per la prima volta dall’abrogato codice dei
contratti pubblici, il quale prevedeva che:
h1) all’art. 49, “Il
concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell’articolo 34,
in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può
soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere
economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della
certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o
dell’attestazione SOA di altro soggetto”;
h2) all’art. 53, comma 3, “Quando
il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2,
gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i
progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare
nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti,
secondo quanto previsto dal Capo IV del presente Titolo (progettazione e
concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione
comprese nell’importo a base del contratto”;
i) dal confronto tra le due
norme risulta come, mentre quella generale ha individuato nel concorrente il
soggetto legittimato ad avvalersi dell’istituto, quella speciale ha
adoperato l’espressione “operatori economici”, che può essere
considerata come la sintesi dei soggetti così come intesi dalla prima norma
riportata oppure come una disposizione polisemica, capace di allargare la
legittimazione fino a ricomprendervi anche il progettista esterno alla
compagine che ha formulato l’offerta;
i1) l’espressione “concorrente”
non può che avere il significato proprio di chi effettua l’offerta;
i2) quindi, ai sensi dell’art.
3, commi 19 e 22, d.lgs. n. 163 del 2006, è tale “colui che offra sul
mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura
di prodotti, la prestazione di servizi”, ossia l’imprenditore, il
fornitore e il prestatore di servizi;
i3) pur optando per una lettura
ampia delle parole adoperate dal legislatore, essa non porta necessariamente
ad includere tra i concorrenti il professionista indicato per la
progettazione, data la sua particolare posizione nel meccanismo dell’offerta
dell’evidenza pubblica e nell’economia generale della specifica vicenda;
j) come si ricava dalla scienza economica e dal
diritto commerciale, l’operatore economico:
j1) è l’imprenditore, singolo
(art. 2082 c.c.) o collettivo (art. 2247 c.c.), che, operando
professionalmente nel mercato, offre o acquista beni o servizi al fine di
conseguire utili;
j2) ad esso si contrappone il
consumatore, cui manca la finalità indicata e l’organizzazione d’impresa;
j3) il prestatore d’opera
professionale, di cui all’art. 2229 c.c., il cui contratto può essere
concluso anche da una società di capitali, i cui soci esercitino professioni
c.d. protette, che prevedono l’iscrizione ad un albo, è caratterizzato dalla
autonomia rispetto al committente, dalla retribuzione commisurata alla
qualità e alla quantità della prestazione, che è di mezzi e non di
risultato. Il professionista non partecipa agli utili del committente quando
questi rivesta la qualità di imprenditore, che è tenuto comunque alla
corresponsione della retribuzione, essendo il rischio del lavoro del
professionista a carico del committente.
Infatti, all’art. 53 del codice è stato aggiunto il comma 3-bis, che prevede
per la stazione appaltante la corresponsione diretta al progettista della
quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione;
k) il significato da attribuire all’espressione “operatore
economico” nel caso di specie viene fornita dallo stesso legislatore,
all’art. 3, comma 22, d.lgs. n. 163 del 2006, dove si prevede che “Il
termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore e il
prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi”;
l) è naturale pertanto concludere nel senso che
il professionista indicato non rientri tra i soggetti legittimati ad
utilizzare l’istituto dell’avvalimento, non essendo un operatore economico
nel senso previsto dalla disciplina dei contratti pubblici:
l1) la posizione giuridica del
progettista indicato dall’impresa, che ha formulato l’offerta con la
conseguente aggiudicazione e che si ricava dalla legge di gara, è quella di
un prestatore d’opera professionale che non entra a far parte della
struttura societaria che si avvale della sua opera e non rientra nella
struttura societaria quando questa formula l’offerta;
l2) si tratta di due soggetti
separati e distinti che svolgono funzioni differenti con conseguente diversa
distribuzione delle responsabilità;
l3) tale situazione non muta
neanche in caso di appalto c.d. integrato, caratterizzato dal fatto che
l’oggetto negoziale è unico, nel senso che non vi è doppia gara, una per la
progettazione e un’altra per l’esecuzione dei lavori, poiché il contratto
viene sottoscritto unicamente da chi si è aggiudicato la gara; in ogni caso,
per l’appalto integrato la legge non configura un meccanismo diverso da
quello previsto in generale.
Anche l’impresa ausiliaria, in caso di avvalimento, rimane sempre estranea
alla vicenda dell’aggiudicazione e del conseguente contratto di appalto o di
servizi, nonostante la legge fissi una forma di responsabilità solidale che
viene assunta in adempimento del contratto di avvalimento e, al tempo
stesso, è la riprova di una soggettività separata e distinta.
“Il contratto ha come contenuto la promessa dell’obbligazione (o fatto)
del terzo (art. 1381 c. c.) e la dichiarazione dell’ausiliario di impegno
verso la stazione appaltante ne costituisce l’esecuzione; senza tale
dichiarazione non vi sarebbe nessuna possibilità per la stazione appaltante
di pretendere il coinvolgimento dell’ausiliaria nell’esecuzione del
contratto attraverso la messa a disposizione dei mezzi e delle qualifiche e
men che meno vi sarebbe la responsabilità solidale. La dichiarazione
dell’ausiliaria costituisce il punto di contatto giuridico tra la fase
negoziale e il subprocedimento dell’avvalimento che si apre nella fase
dell’offerta di gara”;
l4) inoltre, secondo la
giurisprudenza dell’Unione europea, l’avvalimento si applica non ai soli
concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a
dimostrare il possesso dei requisiti in gara;
m) pertanto, il professionista esterno indicato dal raggruppamento che ha
formulato l’offerta assume un rilievo tale per cui deve possedere in proprio
i requisiti richiesti per eseguire la prestazione professionale e gli è
anche preclusa la possibilità di sopperire ad eventuali lacune utilizzando i
requisiti posseduti da altro professionista, singolo o associato. Nel caso
di specie:
m1) il raggruppamento risultato
aggiudicatario ha indicato solamente un ingegnere e non anche la società di
cui quest’ultimo si è avvalsa;
m2) ne discende che il collegio
non può riqualificare il contratto di avvalimento intervenuto tra i due
soggetti come l’espressione, sia pure anomala, di una forma di associazione
temporanea tra professionisti, che complessivamente avrebbero posseduto i
requisiti richiesti dal bando;
m3) pertanto, stante il
meccanismo utilizzato, l’ingegnere indicato avrebbe dovuto possedere in
proprio detti requisiti. Questa è la regola d’altro canto nel caso di
incarico professionale, non avendo molto senso indicare un professionista
sprovvisto dei requisiti, dato il carattere normalmente fiduciario del
rapporto tra il committente e il professionista stesso, specie nel
procedimento dell’evidenza pubblica, nel quale occorre garantire
l’amministrazione circa l’affidabilità dell’appaltatore nella sua struttura
complessiva anche in vista dell’esecuzione dell’opera progettata;
n) la soluzione indicata dal collegio
consentirebbe di non affrontare il tema dell’avvalimento c.d. “a cascata”.
Infatti, se il rapporto tra il professionista indicato e il raggruppamento
partecipante alla gara attraverso l’offerta non integra l’ipotesi dell’avvalimento,
il contratto di avvalimento presentato dal professionista rimane privo di
effetti, non essendoci rapporto, nemmeno indiretto, tra la società
ausiliaria e l’amministrazione aggiudicatrice. Tuttavia, si tratta di un
punto di diritto sul quale il collegio è stato chiamato a pronunciarsi;
o)
sull’ambito di applicazione dell’istituto dell’avvalimento:
o1) va registrato un primo
contrasto tra la giurisprudenza interna e quella comunitaria addensatosi
intorno al significato da attribuire all’art. 49, comma 6, d.lgs. n. 163 del
2006, in base al quale solo in ipotesi eccezionali e solo qualora il bando
di gara lo prevedesse, era possibile l’avvalimento multiplo o plurimo, ossia
da parte di più di un soggetto all’interno di un’unica categoria di
lavorazione;
o2) era invece vietato l’avvalimento
frazionato, ossia la possibilità di cumulare tra concorrente e impresa
ausiliaria i singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi;
o3) in questo contesto si è
affermata la differenza tra avvalimento: plurimo, in cui ci sia avvale di
più di un soggetto; frazionato, in cui il concorrente si avvale di un solo
soggetto, con la particolarità che ognuno di essi da solo non possiede il
requisito o i requisiti di partecipazione ed è solo cumulando i propri con
quelli dell’altro che viene raggiunta la soglia richiesta;
o4) si sono poi aggiunte
ulteriori classificazioni come gli avvalimenti interni plurimi e incrociati
e l’avvalimento ad abundantiam, oltre alle distinzioni fondate sul
contenuto del contratto, ossia l’avvalimento operativo e quello di garanzia;
o5) in questo contesto, la
giurisprudenza interna: diffidando del nuovo istituto, aveva dato piena
applicazione alle limitazioni e ai divieti ricavabili dal citato art. 49;
però, già nel vigore della citata disposizione, aveva ritenuto che tale
norma non poneva alcuna limitazione al ricorso all’istituto dell’avvalimento
se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale,
estendendolo anche per la certificazione di qualità;
o6) la giurisprudenza europea
(in particolare, sentenza 10.10.2013, C-94/12, in Guida al dir., 2013, fasc.
43, 94, con nota di MASARACCHIA; Foro amm.-Cons. Stato, 2013, 2630; Appalti
& Contratti, 2013, fasc. 11, 84, con nota di TRAMONTANA; Nuovo notiziario
giur., 2014, 275; Urbanistica e appalti, 2014, 147, con nota di CARANTA;
Giurisdiz. amm., 2013, III, 746), tuttavia, ha affermato che gli artt. 47,
par. 2, e 48, par. 3, della direttiva 2014/18/CE devono essere interpretati
nel senso che ostano a una disposizione nazionale che vieti, in via
generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico di avvalersi, per una stessa categoria
di qualificazione, della capacità di più imprese.
In tale sentenza era stato in particolare evocato il principio della piena
apertura concorrenziale con quello dell’effettiva messa a disposizione dei
requisiti necessari, richiamando il generale obiettivo dell’apertura degli
appalti pubblici alla concorrenza nella considerazione che l’ampio ricorso
all’istituto dell’avvalimento è anche idonea a facilitare l’accesso delle
piccole medie imprese agli appalti pubblici.
Con ulteriori interventi, la giurisprudenza europea ha ancora confermato la
valenza generale dell’istituto dell’avvalimento e i limitati margini
riconosciuti ai legislatori nazionali nel limitarne il campo di estensione;
o7) la legge delega 28.01.2016,
n. 11, ha dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento,
all’art. 1, comma 1, lett. zz), stabilendo sia l’esclusione della
possibilità di fare ricorso al c.d. avvalimento a cascata, sia il divieto
che oggetto dell’avvalimento possa essere il possesso della qualificazione
dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le
prestazioni da affidare;
o8) l’art. 89 d.lgs. n. 50 del
2016, quindi, vieta al comma 6 espressamente il cosiddetto avvalimento a
cascata, consentendo quello plurimo o frazionato, con possibilità, in via
eccezionale, di non consentire l’avvalimento, purché venga indicato nel
bando con il rispetto del principio di proporzionalità;
o9) tale evoluzione normativa
rende nuovamente di attualità la giurisprudenza formatasi nel vigore del
precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è consentito
avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di altro
soggetto, sia pure ad esso collegato; “una deroga al principio di
personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla possibilità per
la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e immediato con
l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice dichiarazione
dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con l’impresa
ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità solidale
delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto
da aggiudicare”;
o10) il divieto contenuto nel
codice dei contratti pubblici del 2016, pur non essendo direttamente
applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento
per l’interprete, che deve tenere in debito conto le tendenze evolutive
dell’ordinamento;
p) pertanto, con riferimento all’art. 53, comma
3, d.lgs. n. 163 del 2006, nonostante non esistesse nel precedente codice un
divieto espresso di avvalimento a cascata, la giurisprudenza maggioritaria
già propendeva per la sua non ammissibilità, sulla base della decisiva
considerazione per cui, pur essendo pacifico il carattere generalizzato
dell’avvalimento, strumentale ai principi comunitari della massima
partecipazione nelle gare di appalto e dell’effettività di concorrenza,
l’applicazione dell’istituto deve essere comunque contemperata con
l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al fine
della corretta esecuzione del contratto.
IV. – Per completezza si osserva quanto segue:
q) come anticipato, la questione è stata rimessa
all’attenzione dell’Adunanza plenaria dalla citata Cons. Stato, sez. V,
ordinanza, 09.04.2020, n. 2331, oggetto della
News US, n. 49 del 22.04.2020,
cit., alla quale si rinvia, in particolare: §§ g) e h), sulla giurisprudenza
e dottrina in tema di avvalimenti “a cascata”; § i), in generale, sul
favor espresso dalla giurisprudenza europea sull’istituto dell’avvalimento;
r) sulla nozione di operatore economico ai fini
degli appalti pubblici e dei servizi di progettazione, si veda Corte di
giustizia UE, sez. IX, 30.06.2020, C-618/19, Ge.Fi.L.;
Corte di giustizia UE, sez. X, 11.06.2020, C-219/19, Parsec
(oggetto della
News US, n. 70 del 10.07.2020) secondo cui “L’articolo 19,
paragrafo 1, e l’articolo 80, paragrafo 2, della direttiva n. 2014/24/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.02.2014, sugli appalti pubblici e
che abroga la direttiva 2004/18/CE, letti alla luce del considerando 14
della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che essi
ostano a una normativa nazionale che esclude, per enti senza scopo di lucro,
la possibilità di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un
appalto pubblico di servizi di ingegneria e di architettura, sebbene tali
enti siano abilitati in forza del diritto nazionale ad offrire i servizi
oggetto dell’appalto di cui trattasi”.
In linea con la precedente giurisprudenza, la Corte di giustizia UE ha
affermato che, qualora un ente sia abilitato in forza del diritto nazionale
a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura nello Stato
membro interessato, esso non può vedersi negato il diritto di partecipare a
una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico avente ad oggetto la
prestazione degli stessi servizi, e ciò anche quando tale preclusione sia
determinata da specifiche presunzioni discendenti dalla sua forma giuridica,
quale quella di ente senza scopo di lucro.
La Corte ha, altresì, evidenziato che lo svolgimento a titolo professionale
delle prestazioni di architettura e ingegneria in via continuativa e
remunerata non veicola, ex se, una presunzione di maggiore
affidabilità del soggetto e non potrebbe giustificare, dunque, le correlate
limitazioni soggettive poste dalla legislazione nazionale che disciplina le
procedura di affidamento: se un soggetto è abilitato a svolgere determinate
prestazioni deve, in sintesi, poter rendere le stesse anche nei confronti di
committenti pubblici. Alla citata News US, n. 70 del 10.07.2020, si rinvia,
oltre che per una ricostruzione della vicenda processuale sottesa:
§§ a), b), c), d) ed e), per l’analisi delle argomentazioni della Corte
sulla nozione di operatore economico;
§ f), sul rapporto tra enti che non perseguono scopo di lucro e la nozione
di operatore economico per il diritto europeo;
§ g), sulla nozione di operatore economico nel particolare ambito dei
servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza;
§§ h) e i), sulla nozione di operatore economico nella giurisprudenza
nazionale e sul principio di “neutralità della forma”;
§§ k) e l), per le interpretazioni dottrinali sulle singole categorie di
operatori economici;
§ m), sulla genesi e l’evoluzione dell’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016, anche
alla luce delle novità introdotte dal d.l. 18.04.2019, n. 32, convertito con
modificazioni in
l.
14.06.2019, n. 55 (oggetto della
News normativa, n. 74 del 10.07.2019)
(Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria,
sentenza 09.07.2020 n. 13 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: L’Adunanza
plenaria afferma che il progettista ex art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del
2006 non può ricorrere all’istituto dell’avvalimento.
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Contratti della Pubblica amministrazione – Progettazione – Progettista ex
art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 – É professionista esterno
incaricato di redigere il progetto esecutivo – Conseguenza – Avvalimento –
Esclusione.
Il progettista indicato, nell’accezione e nella
terminologia dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006, va qualificato
come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo;
pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di
operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da
quella dell’Unione europea, con la conseguenza che non può utilizzare
l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato
all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a
cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora
abrogato e sostituito dal d.lgs. n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta
(1).
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(1) Ha ricordato
l’Alto Consesso che la legge delega 28.01.2016, n. 11, ha dettato uno
specifico criterio di delega per l’avvalimento (criterio di cui all’art. 1,
comma 1, lett. zz), in attuazione dell’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE),
stabilendo sia l’esclusione della possibilità di fare ricorso al cosiddetto
“avvalimento a cascata”, sia il divieto che oggetto dell’avvalimento
possa essere “il possesso della qualificazione dell’esperienza tecnica e
professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare”. Le
disposizioni sono poi penetrate nell’art. 89 del nuovo codice dei contratti
pubblici, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, che, al comma 6, vieta espressamente il
cosiddetto avvalimento “a cascata”, consentendo invece quello plurimo
e frazionato; con possibilità, in via eccezionale, di non consentire l’avvalimento,
purché venga indicato nel bando con il rispetto del principio di
proporzionalità.
Questo rende nuovamente di attualità la giurisprudenza formatasi nel vigore
del precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è consentito
avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti di un altro
soggetto, sia pure ad esso collegato. Ciò, in quanto una deroga al principio
di personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla possibilità
per la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e immediato con
l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice dichiarazione
dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con l’impresa
ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità solidale
delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel contratto
da aggiudicare.
In proposito il collegio osserva come il divieto contenuto nel Codice dei
contratti pubblici attualmente in vigore, pur non essendo direttamente
applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento
per l’interprete, che è tenuto a tenere nel debito conto le tendenze
evolutive dell’ordinamento.
In sintesi, quanto all’art. 53, comma 3, d.lgs. n 163 del 2006, nonostante
non esistesse nel vecchio codice dei contratti pubblici un divieto espresso
del cosiddetto “avvalimento a cascata”, la giurisprudenza
maggioritaria già propendeva per la non ammissibilità. Era ritenuta decisiva
la considerazione che, pur essendo pacifico il carattere generalizzato dell’avvalimento
strumentale ai principi comunitari della massima partecipazione nelle gare
di appalto e dell’effettività della concorrenza, l’applicazione
dell’istituto deve essere comunque contemperato con l’esigenza di assicurare
garanzie idonee alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione
del contratto (Cons.
Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072; id.,
sez. V, 13.03.2014, n. 1251)
(Consiglio di Stato, A.P.,
sentenza 09.07.2020 n. 13 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
12- La questione sostanziale, sulla quale il collegio è chiamato a
pronunciarsi, consiste nello stabilire quale sia la qualificazione giuridica
del progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia del citato
art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006, e se questi possa ricorrere a un
progettista terzo, utilizzando a sua propria volta la qualifica di altro
professionista, singolo o associato.
Pertanto solamente nell’ipotesi in cui il progettista originariamente
indicato dal costituendo raggruppamento sia da qualificare come ausiliario
in senso tecnico, ossia come l’effetto del meccanismo proprio dell’avvalimento
(art. 49 e 53, comma 3, d.lgs. n. 163/2006), si pone l’ulteriore questione
se vi possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un duplice e
consequenziale avvalimento di professionisti.
13- In punto di fatto, il costituendo raggruppamento temporaneo che ha
partecipato alla gara era composto dalla società In.Co.s S.r.l., quale
mandataria, e dalla Id. F.lli So.; non rientrando nelle loro attestazioni
SOA la qualificazione per le prestazioni di progettazione, hanno
congiuntamente indicato un progettista esterno, l'Ing. Ga.In., non facente
parte del R.T.I. Quest’ultimo a sua volta ha presentato un contratto di
avvalimento stipulato con la Pr.En. S.r.l. (come soggetto ausiliario)
all’evidente scopo di utilizzarne i requisiti, avendo dichiarato
espressamente di essere privo di taluni di quelli richiesti dal bando,
analiticamente indicati.
Più in dettaglio, il bando di gara, all’art. 12, stabilisce che: «qualora
l’attestazione SOA dell’impresa concorrente non includa anche la
qualificazione per prestazioni di progettazione, l’impresa potrà partecipare
alla gara soltanto avvalendosi di un soggetto qualificato da indicare
nell’offerta ovvero creando un raggruppamento temporaneo con soggetti
qualificati per la progettazione di cui all’articolo 90, comma 1, lettere da
d) a h), del D.Lgs. n. 163/2006. In tal caso il progettista associato o
individuato dovrà […] essere in possesso dei requisiti di ordine generale
[…] nonché dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi
previsti dalle norme per la partecipazione alla gara».
L’art. 14.1.2. del medesimo bando stabilisce: «relativamente alla
progettazione esecutiva qualora l’attestazione SOA dell’impresa concorrente
non includa anche la qualificazione per prestazioni di progettazione,
l’impresa potrà partecipare alla presente gara soltanto avvalendosi di un
soggetto qualificato da indicare nell’offerta… In tal caso il progettista
associato o individuato dovrà essere in possesso dei requisiti economico
finanziari e tecnico organizzativi previsti dalle norme per la
partecipazione alla gara al punto A “OFFERTA” […]».
Ai sensi della lettera A) delle norme per la partecipazione alla gara
(disciplinare) si stabilisce: «nella busta A…devono essere contenuti a
pena di esclusione i seguenti documenti: […] 7.3 dichiarazione in ordine al
possesso dei requisiti di capacità tecnico professionale (vedasi modello F)
[…] resa e sottoscritta: […] dal professionista singolo… in cui deve essere
dichiarato pena l’esclusione: […]».
Dall’istanza di ammissione alla gara ufficiosa e dalle dichiarazioni
sostitutive (in atti) presentate dall’impresa Id. F.lli So., mandante del
costituendo raggruppamento risultato poi aggiudicatario, si evince, nella
parte del modulo relativa al possesso dei requisiti per le prestazioni di
progettazione, che è stata barrata la dicitura “sono posseduti da
progettisti esterni di cui all’articolo 90, comma 1, da d) a h), del D.Lgs.
n. 16/2006, e a tale scopo allega apposita dichiarazione compilate sugli
allegati modelli C e seguenti”.
Sempre dagli atti risulta quanto sopra detto, ovvero che le società del
costituendo raggruppamento hanno dichiarato di avvalersi del progettista
Ing. Ga.In.; più esattamente il documento è intitolato “nomina del
progettista” e la dicitura adoperata nel testo è: “dichiarano di
avvalersi del progettista…” (doc. 7 degli atti allegati dall’appellato).
14- Il collegio rileva ancora che dai richiamati atti di gara emerge
pacificamente come la nomina del progettista sia stata semplicemente
indicata dal raggruppamento aggiudicatario, senza che sia stato prodotto un
contratto di avvalimento con il professionista originario. Questo è avvenuto
del tutto legittimamente, in quanto la normativa generale e la “legge”
della procedura consentivano di utilizzare un professionista esterno, senza
la necessità di stipulare con lo stesso un formale contratto di avvalimento;
ciò, nonostante nel sistema generale la semplice dichiarazione venga
ritenuta sufficiente in luogo del contratto solamente quando il soggetto che
fornisce i requisiti faccia parte del gruppo o del raggruppamento, a
ulteriore riprova che nel caso di specie si tratti di una semplice
prestazione professionale autorizzata. Tant’è che solo nel caso in cui i
requisiti necessari per la parte progettuale non fossero posseduti dal
soggetto legittimato a formulare l’offerta, era necessaria la nomina del
progettista esterno in possesso dei requisiti richiesti; cosa che è stata
regolarmente effettuata (doc. n. 7 degli atti prodotti dall’odierno
appellante).
In ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che la nomina era da
intendersi come un avvalimento in senso tecnico, la mancanza del contratto
tra l’odierna appellata e il professionista indicato renderebbe l’offerta
illegittima per questa ragione, trattandosi pacificamente di soggetto
estraneo al raggruppamento (Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2014, n. 1251).
Questo serve a chiarire come nel caso di specie viene in rilievo non tanto
la questione generale se sia possibile un avvalimento di avvalimento (c.d. “avvalimento
a cascata”), bensì se sia legittimo da parte di un professionista
indicato, come tale non offerente, avvalersi, con l’esibizione di tale
specifica tipologia di contratto, di altro soggetto in possesso dei
requisiti di cui egli è sprovvisto.
15- Il collegio ritiene che il meccanismo posto in essere dal raggruppamento
aggiudicatario (in questa sede appellato) sia illegittimo per i motivi che
seguono.
L’istituto dell’avvalimento, di origine comunitaria, è stato disciplinato
per la prima volta dall’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al
decreto legislativo n. 163 del 2006, agli artt. 49, 50 e 88 del dpr. n. 207
del 2010. L’art. 49 stabiliva, al comma 1: «Il concorrente, singolo o
consorziato o raggruppato ai sensi dell’articolo 34, in relazione ad una
specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta
relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario,
tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA
avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di
altro soggetto».
L’articolo 53 del medesimo codice, che è quello di cui la stazione
appaltante ha fatto applicazione nel caso di specie, stabiliva, al comma 3:
«Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del
comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per
i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare
nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti,
secondo quanto previsto dal Capo IV del presente Titolo (progettazione e
concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione
comprese nell’importo a base del contratto».
Dal confronto delle due norme risulta come, mentre quella generale ha
individuato nel “concorrente” il soggetto legittimato ad avvalersi
dell’istituto, quella speciale ha adoperato l’espressione “operatori
economici”, che può essere considerata come la sintesi dei soggetti così
come intesi dalla prima norma riportata oppure come un’espressione polisensa,
capace di allargare la legittimazione fino a ricomprendervi anche il
progettista esterno alla compagine che ha formulato l’offerta.
L’espressione “concorrente” non può che avere il significato proprio
di chi effettua l’offerta, che per il sistema della legge dell’evidenza
pubblica e per l’art. 3, commi 19 e 22, del codice dei contratti pubblici di
cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, non può che essere «colui che
offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la
fornitura di prodotti, la prestazione di servizi», ossia l’imprenditore,
il fornitore e il prestatore di servizi.
Il collegio osserva che la questione non va risolta sulla base delle parole
adoperate dal legislatore, che pure hanno il loro peso in sede di
interpretazione, bensì sulla base della realtà giuridica. Anche perché
quand’anche si dovesse optare per la lettura più larga, essa non
necessariamente porta ad includere tra i concorrenti il professionista
indicato per la progettazione, data la sua particolare posizione nel
meccanismo dell’offerta dell’evidenza pubblica e nell’economia generale
della specifica vicenda.
15.1- In ogni caso, come si ricava dalla scienza economica e dal diritto
commerciale, l’operatore economico è l’imprenditore, singolo (2082 c.c.) o
collettivo (2247 c.c.), che, operando professionalmente nel mercato, offre
o acquista beni o servizi al fine di conseguire utili. Ad esso si
contrappone il consumatore, cui manca la finalità indicata e
l’organizzazione d’impresa.
In questo quadro si inserisce il prestatore d’opera professionale (2229 c.c.), il cui contratto può essere concluso anche da una società di capitali,
i cui soci esercitino professioni c.d. protette, che prevedono l’iscrizione
ad un albo. Esso è caratterizzato dalla autonomia rispetto al committente,
dalla retribuzione commisurata alla qualità e alla quantità della
prestazione, che è di mezzi e non di risultato.
Per quel che qui interessa, il professionista non partecipa agli utili del
committente quando questi rivesta la qualità di imprenditore, che è tenuto
comunque alla corresponsione della retribuzione, essendo il rischio del
lavoro del professionista a carico del committente. Non è casuale, per
rimanere alla fattispecie in esame, che all’art. 53 sia stato aggiunto il
comma 3-bis, che prevede per la stazione appaltante la corresponsione
diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di
progettazione.
Il richiamo di tali nozioni si è reso necessario, avendo le difese dedotto
non poco sul significato da attribuire all’espressione “operatore
economico”.
15.2- Tuttavia il collegio osserva come il significato da attribuire a tale
espressione, nel caso di specie, ci viene dallo stesso legislatore, laddove
all’art. 3, comma 22, del codice dei contratti pubblici, più volte
richiamato e applicabile ratione temporis, stabilisce che: «Il
termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore e il
prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi». Non a
caso in dottrina comincia a farsi strada l’idea che l’avvalimento rientri
nei contratti d’impresa.
Pertanto è naturale concludere che il professionista indicato non rientra
nei soggetti legittimati ad utilizzare l’istituto dell’avvalimento, non
essendo un operatore economico nel senso voluto dalla disciplina dei
contratti pubblici.
La posizione giuridica del progettista indicato dall’impresa, che ha
formulato l’offerta con la conseguente aggiudicazione e che si ricava dalla
“legge” di gara, è, come già anticipato, quella di un prestatore
d’opera professionale che non entra a far parte della struttura societaria
che si avvale della sua opera, e men che meno rientra nella struttura
societaria quando questa formula l’offerta. Rimangono due soggetti separati
e distinti, che svolgono funzioni differenti con conseguente diversa
distribuzione delle responsabilità.
15.3- Tale situazione non muta neppure nel caso di appalto c. d. integrato,
caratterizzato dal fatto che l’oggetto negoziale è unico, nel senso che non
vi è una doppia gara, una per la progettazione e un’altra per l’esecuzione
dei lavori, poiché il contratto viene sottoscritto unicamente da chi si è
aggiudicato la gara; e in ogni caso la legge non configura un meccanismo
diverso da quello previsto in generale.
D’altronde, anche l’impresa ausiliaria, figura propria dell’avvalimento,
rimane sempre estranea alla vicenda dell’aggiudicazione e del conseguente
contratto di appalto o di servizi, nonostante la legge fissi una forma di
responsabilità solidale che viene assunta in adempimento del contratto di
avvalimento e al tempo stesso è la riprova di una soggettività separata e
distinta.
Il contratto ha come contenuto la promessa dell’obbligazione (o fatto) del
terzo (art. 1381 c. c.) e la dichiarazione dell’ausiliario di impegno verso
la stazione appaltante ne costituisce l’esecuzione; senza tale dichiarazione
non vi sarebbe nessuna possibilità per la stazione appaltante di pretendere
il coinvolgimento dell’ausiliaria nell’esecuzione del contratto attraverso
la messa a disposizione dei mezzi e delle qualifiche e men che meno vi
sarebbe la responsabilità solidale. La dichiarazione dell’ausiliaria
costituisce il punto di contatto giuridico tra la fase negoziale e il
subprocedimento dell’avvalimento che si apre nella fase dell’offerta di
gara.
15.4- Occorre precisare che, come si vedrà oltre, per la giurisprudenza
dell’Unione europea, l’avvalimento si applica non ai soli concorrenti, ma a
tutti gli operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il
possesso dei requisiti in gara (si veda da ultimo Corte di giustizia CE,
sez. X, 11.06.2020, C-219/19 Parsec, che, in linea con la nozione ampia di
operatore economico, va incluso in detta categoria qualunque persona o ente
collettivo che operi sul mercato <<a prescindere dalla forma giuridica
nel quadro della quale ha deciso di operare>>). Il che ha talora indotto
ad optare per l’orientamento più permissivo (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
02.10.2014, n. 4929, cit.).
A tal proposito è sufficiente osservare come, per le ragioni spiegate, anche
nel diritto dell’Unione il significato di operatore economico non è stato
mai esteso alla figura del professionista, che anche in quell’ordinamento ha
la stessa connotazione giuridica dell’ordinamento interno, ossia non è
operatore del mercato nell’accezione tecnica indicata.
16- L’aggiudicazione è illegittima anche per un’altra doppia serie di
motivi.
16.1- Dalla configurazione che il collegio ha ritenuto di dare alla figura
del professionista esterno indicato dal raggruppamento che ha formulato
l’offerta, discende che questi assume un rilievo tale per cui deve possedere
in proprio i requisiti richiesti per eseguire la prestazione professionale
e, per altra via, gli è anche preclusa la possibilità di sopperire ad
eventuali lacune utilizzando i requisiti posseduti da altro professionista,
singolo o associato, come avvenuto nel caso di specie.
Infatti, il raggruppamento risultato aggiudicatario ha indicato solamente
l’ingegner In. e non anche la società Pr.En. S.r.l. Questo esclude
anche che il collegio possa eventualmente riqualificare il contratto di
avvalimento intervenuto tra i due soggetti come l’espressione, sia pure
anomala, di una forma di associazione temporanea tra professionisti, che
complessivamente avrebbero posseduto i requisiti richiesti dal bando.
Pertanto, stante il meccanismo utilizzato, l’ingegnere indicato avrebbe
dovuto possedere in proprio detti requisiti. Peraltro questa è in genere la
regola nel caso di incarico professionale, non avendo molto senso indicare
un professionista sprovvisto dei requisiti, dato il carattere normalmente
fiduciario del rapporto tra il committente e il professionista stesso. Ciò è
tanto più necessario per il procedimento dell’evidenza pubblica, nel quale
occorre garantire l’amministrazione circa l’affidabilità dell’appaltatore
nella sua struttura complessiva anche in vista dell’esecuzione dell’opera
progettata.
16.2- La soluzione che il collegio ha ritenuto di dare al caso di specie
consentirebbe in astratto di escludere l’esame della questione relativa al
cosiddetto avvalimento “a cascata”, su cui egualmente gli scritti
difensivi hanno molto indugiato.
Infatti, se il rapporto tra il professionista ‘indicato’ e il
raggruppamento partecipante alla gara attraverso l’offerta non integra
l’ipotesi dell’avvalimento, il contratto di avvalimento presentato dal
professionista rimane privo di effetti, non essendoci rapporto, nemmeno
indiretto, tra la società -sua- ausiliaria e l’amministrazione
aggiudicatrice.
Avendo al contrario il giudice territoriale considerato la fattispecie come
rientrante nello schema dell’avvalimento e in particolare nella sottospecie
cosiddetta “a cascata”, ne è conseguita l’affermata legittimità
dell’aggiudicazione, pur nella consapevolezza del contrasto
giurisprudenziale registrabile sull’ammissibilità dell’istituto nel vigore
dell’abrogato codice dei contratti pubblici. Questo giustifica l’estensione
della motivazione ad aspetti non rigorosamente necessari per salvaguardarne
la congruità e la sufficienza, pur rimanendo la questione dell’avvalimento “a
cascata” il punto di diritto su cui il collegio è stato chiamato a
pronunciarsi.
16.3- Sin dalla prima apparizione dell’istituto dell’avvalimento nel
panorama ordinamentale europeo e nazionale, la giurisprudenza si è dovuta
occupare –oltre a tante altre, larga parte delle quali sono state risolte
dalla sentenza Ad. Plenaria n. 23 del 04.04.2016– delle due questioni che
vengono ora in rilievo, ossia l’applicazione generalizzata (e non come
eccezione ammessa nella singola gara) e l’ammissibilità della fattispecie in
cui il soggetto che ‘presta’ i requisiti all’impresa ausiliata possa
a sua volta avvalersi dei requisiti di altra impresa ausiliaria.
In particolare, va registrato un primo contrasto tra la giurisprudenza
interna e quella comunitaria addensatosi intorno al significato da
attribuire all’art. 49, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, in base al
quale solo in ipotesi eccezionali e solo qualora il bando di gara lo
prevedesse, era possibile l’avvalimento cosiddetto multiplo o plurimo, ossia
da parte di più di un soggetto all’interno di un’unica categoria di
lavorazione. Era invece vietato l’avvalimento frazionato, ossia la
possibilità di cumulare tra concorrente e impresa ausiliaria i singoli
requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi.
Proprio in questo contesto si è affermata la differenza concettuale tra
avvalimento plurimo e frazionato; dove nel primo caso ci si avvale di più di
un soggetto, mentre nella seconda ipotesi il concorrente si avvale di un
solo soggetto, con la particolarità che ognuno di essi da solo non possiede
il requisito o i requisiti di partecipazione ed è solo cumulando i propri
con quello dell’altro che viene raggiunta la soglia richiesta.
Successivamente a questa iniziale distinzione si sono aggiunte altre
sottospecie come gli avvalimenti interni plurimi e incrociati e l’avvalimento
ad abundantiam, oltre alle classiche distinzioni fondate sul contenuto del
contratto, ossia l’avvalimento operativo e quello di garanzia.
In quel contesto la giurisprudenza interna, diffidando del nuovo istituto,
aveva dato piena applicazione alle limitazioni e ai divieti della norma
indicata (Cons. Stato, Sez. VI, 13.06.2011 n. 3565, Sez. IV, 17.10.2012, n.
5340; id., 24.05.2013, n. 2832; Sez. III, 01.10.2012, n. 5161; Sez. V,
24.01.2013, n. 439).
Una timida apertura era contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato,
Sezione V, 08.02.2011, n. 857, che mostrava un certo favore per
l’affermazione del principio della più ampia partecipazione delle imprese
alle gare. In realtà, già in precedenza la medesima Sezione, con sentenza
del 28.09.2005, n. 5194, aveva affermato la portata generale del principio
dell’avvalimento, ritenendolo valevole per tutti i tipi di contratti
pubblici, avuto riguardo anche alle attestazioni SOA; pur precisando poi,
con riferimento alla concessione di servizi, che ciò deve risultare
chiaramente da parte dell’amministrazione aggiudicatrice attraverso
l’espresso richiamo nel bando di gara dell’art. 49 del Codice dei contratti
pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.05.2013, n. 2385).
In ogni caso, dunque, già nel vigore del più volte richiamato art. 49 del
codice del 2006 la giurisprudenza riteneva che tale norma non poneva alcuna
limitazione al ricorso all’istituto dell’avvalimento se non per i requisiti
strettamente personali di carattere generale, estendendolo anche per la
certificazione di qualità (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2013, n. 911; id.,
06.03.2013, n. 1368; Sez. IV, 01.08.2012, n. 4406; id., 17.10.2012, n.
5340).
16.4- In quel contesto la Corte di giustizia europea, con la sentenza
10.10.2013, numero C-94/12, cambia il quadro normativo interno e quindi
anche il quadro giurisprudenziale, laddove afferma che gli articoli 47, par.
2 e 48, par. 3 della direttiva 2004/18/CE devono essere interpretati nel
senso che ostano a una disposizione nazionale che vieti, in via generale,
agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione
di un appalto pubblico di avvalersi, per una stessa categoria di
qualificazione, della capacità di più imprese; la pronuncia si era formata a
proposito di una controversia dove il raggruppamento temporaneo di imprese
era stato escluso dalla gara d’appalto in considerazione del divieto
generale di avvalimento all’interno della medesima categoria di
qualificazione, ai sensi dell’articolo 49, comma 6, del Codice dei contratti
pubblici del 2006. Una prima applicazione dei principi contenuti nella
pronuncia si è avuta con Cons. Stato, Sez. V, 09.12.2013, n. 5874.
In tale sentenza la Corte di Lussemburgo ha evocato il principio della piena
apertura concorrenziale con quello dell’effettiva messa a disposizione dei
requisiti necessari, richiamando il generale obiettivo dell’apertura degli
appalti pubblici alla concorrenza nella considerazione che l’ampio ricorso
all’istituto dell’avvalimento è anche idonea a facilitare l’accesso delle
piccole medie imprese agli appalti pubblici. La Corte di giustizia ha poi
confermato la valenza generale dell’istituto dell’avvalimento e i limitati
margini riconosciuti ai legislatori nazionali nel limitarne il campo di
estensione (sentenza del 07.04.2016 in causa C-324/14; 14.09.2017 in causa
C-223/16). Tuttavia, la Corte di giustizia nelle sentenze indicate ammonisce
che i principi di parità di trattamento e di non discriminazione vanno
sempre conciliati con l’obbligo di trasparenza, che non consente trattative
fra le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici.
16.5- Successivamente, come è noto, la legge delega 28.01.2016, n. 11, ha
dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento (criterio di cui
all’art. 1, comma 1, lett. zz), in attuazione dell’art. 63 della Direttiva
2014/24/UE), stabilendo sia l’esclusione della possibilità di fare ricorso
al cosiddetto “avvalimento a cascata”, sia il divieto che oggetto
dell’avvalimento possa essere “il possesso della qualificazione
dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le
prestazioni da affidare”. Le disposizioni sono poi penetrate nell’art.
89 del nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18.04.2016, n. 50, che,
al comma 6, vieta espressamente il cosiddetto avvalimento “a cascata”,
consentendo invece quello plurimo e frazionato; con possibilità, in via
eccezionale, di non consentire l’avvalimento, purché venga indicato nel
bando con il rispetto del principio di proporzionalità.
Questo rende nuovamente di attualità la giurisprudenza richiamata, formatasi
nel vigore del precedente codice, secondo cui nelle gare pubbliche non è
consentito avvalersi di un soggetto che, a sua volta, utilizza i requisiti
di un altro soggetto, sia pure ad esso collegato. Ciò, in quanto una deroga
al principio di personalità dei requisiti di partecipazione è collegata alla
possibilità per la stazione appaltante di avere un rapporto diretto e
immediato con l’ausiliaria, che non viene assicurato dalla semplice
dichiarazione dell’ausiliaria in esecuzione del contratto di avvalimento con
l’impresa ausiliata, anche se dal meccanismo ne consegue la responsabilità
solidale delle due imprese in relazione all’intera prestazione dedotta nel
contratto da aggiudicare.
In proposito il collegio osserva come il divieto contenuto nel Codice dei
contratti pubblici attualmente in vigore, pur non essendo direttamente
applicabile alla fattispecie in esame, ha comunque un ruolo di orientamento
per l’interprete, che è tenuto a tenere nel debito conto le tendenze
evolutive dell’ordinamento.
16.6- In sintesi, quanto all’articolo 53, comma 3, applicato nella vicenda
in esame, nonostante non esistesse nel vecchio codice dei contratti pubblici
un divieto espresso del cosiddetto “avvalimento a cascata”, la
giurisprudenza maggioritaria già propendeva per la non ammissibilità. Era
ritenuta decisiva la considerazione che, pur essendo pacifico il carattere
generalizzato dell’avvalimento strumentale ai principi comunitari della
massima partecipazione nelle gare di appalto e dell’effettività della
concorrenza, l’applicazione dell’istituto deve essere comunque contemperato
con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante al
fine della corretta esecuzione del contratto ( cfr. ex multis le già
citate Cons. Stato, Sez.III, 07.03.2014, n. 1072 e Sez. V, 13.03.2014, n.
1251).
17- Alla luce delle considerazioni svolte l’Adunanza Plenaria formula il
seguente principio di diritto:
il progettista indicato, nell’accezione e nella
terminologia dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del
2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il
progetto esecutivo. Pertanto non rientra nella figura del concorrente né
tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito
dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea.
Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione
che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento
cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti
pubblici, ora abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016,
che espressamente lo vieta. |
maggio 2020 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Le
scelte degli amministratori pubblici, dovendo conformarsi ai criteri di
legalità ed a quelli giuridici di economicità, di efficacia e di
buon
andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti.
Nei giudizi di responsabilità
amministrativa, poiché in via generale l'amministrazione deve
provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale
propri, la Corte dei Conti può valutare se gli strumenti scelti dagli
amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei
rispetto al fine pubblico da perseguire, e la verifica della legittimità
dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del
rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti.
Inoltre, la discrezionalità
riconosciuta agli amministratori pubblici nell'individuazione della
soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l'interesse
pubblico perseguito (causa e limite intrinseco e funzionale
dell'attività della P.A.) è legittimamente esercitata in quanto risultino
osservati i criteri giuridici informatori dell'agere della P.A. dettati
dalla
Costituzione (art. 97),
- codificati all'art. 1, comma 1, L. n. 20 del
1994 («L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di
pubblicità»), come modificato dall'art. 3 L. n. 546 del 1993
(«ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali»),
- ribaditi dall'art. 1 d.lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 1,
comma 1, L. n. 286 del 1999 [«Le pubbliche amministrazioni
devono: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione
amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile);
b) verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione
amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi
interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di
gestione)»].
Pertanto, le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai
suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità
(ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di
efficacia (idoneità dell'azione amministrativa alla cura effettiva degli
interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale)
e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti,
in quanto assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della
mera opportunità dell'azione amministrativa.
A tale stregua, non eccede la giurisdizione contabile non solo la
verifica se l'amministratore abbia compiuto l'attività per il perseguimento
di finalità istituzionali dell'ente, ma anche se nell'agire
amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici, sicché
la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della «riserva di
amministrazione» (da intendere come preferenza tra alternative,
nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell'interesse
pubblico) nel controllare anche la giuridicità sostanziale (e cioè
l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e
adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e
obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del
potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale)
dell'esercizio del potere discrezionale.
Non travalica, dunque, il limite esterno della giurisdizione
contabile né quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronunzia
con la quale la Corte dei Conti ravvisi la non
adeguatezza o esorbitanza rispetto al fine pubblico da perseguire.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute
dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non
comporta, infatti, che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale
di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa.
---------------
Sotto altro profilo, con riferimento alle decisioni del giudice
amministrativo si è da queste Sezioni Unite posto in rilievo che le
stesse possono dirsi essere viziate per eccesso di potere
giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla
giurisdizione, soltanto laddove detto giudice, eccedendo i limiti del
riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando
nella sfera del merito (riservato alla P.A.), compia una diretta e
concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto, ovvero
quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula
dell'annullamento, esprima la volontà dell'organo giudicante di
sostituirsi a quella dell'amministrazione, così esercitando una
giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare
ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (cfr. Cass., Sez.
Un., 30/10/2013, n. 24468).
Si è altresì sottolineato che nei giudizi di responsabilità
amministrativa, poiché in via generale l'amministrazione deve
provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale
propri, la Corte dei Conti può valutare se gli strumenti scelti dagli
amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei
rispetto al fine pubblico da perseguire, e la verifica della legittimità
dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del
rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti (cfr., per la
negazione che violi i limiti esterni della giurisdizione contabile e quelli
relativi alla riserva di amministrazione la pronuncia con la quale la
Corte dei Conti ritenga illegittimo il ricorso ad incarichi esterni in
assenza dei presupposti previsti dalla legge, Cass., Sez. Un.,
23/11/2012, n. 20728; Cass., Sez. Un., 23/01/2012, n. 831).
Si è in proposito ulteriormente osservato come la discrezionalità
riconosciuta agli amministratori pubblici nell'individuazione della
soluzione più idonea nel singolo caso concreto a realizzare l'interesse
pubblico perseguito (causa e limite intrinseco e funzionale
dell'attività della P.A.) è legittimamente esercitata in quanto risultino
osservati i criteri giuridici informatori dell'agere della P.A. dettati
dalla
Costituzione (art. 97), codificati all'art. 1, comma 1, L. n. 20 del
1994 («L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di
pubblicità»), come modificato dall'art. 3 L. n. 546 del 1993
(«ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali»), ribaditi dall'art. 1 d.lgs. n. 29 del 1993 e dall'art. 1,
comma 1, L. n. 286 del 1999 [«Le pubbliche amministrazioni
devono: a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione
amministrativa (controllo di regolarità amministrativa e contabile);
b) verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione
amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi
interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati (controllo di
gestione)»].
Pertanto, le scelte degli amministratori, dovendo conformarsi ai
suddetti criteri di legalità e a quelli giuridici di economicità
(ottimizzazione dei risultati in relazione alle risorse disponibili), di
efficacia (idoneità dell'azione amministrativa alla cura effettiva degli
interessi pubblici da perseguire, congruenza teleologia e funzionale)
e di buon andamento, sono soggette al controllo della Corte dei Conti,
in quanto assumono rilevanza sul piano della legittimità e non della
mera opportunità dell'azione amministrativa.
A tale stregua, non eccede la giurisdizione contabile non solo la
verifica se l'amministratore abbia compiuto l'attività per il perseguimento
di finalità istituzionali dell'ente, ma anche se nell'agire
amministrativo abbia rispettato tali norme e principi giuridici, sicché
la Corte dei Conti non viola il limite giuridico della «riserva di
amministrazione» (da intendere come preferenza tra alternative,
nell'ambito della ragionevolezza, per il soddisfacimento dell'interesse
pubblico) nel controllare anche la giuridicità sostanziale (e cioè
l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e
adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e
obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del
potere amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale)
dell'esercizio del potere discrezionale.
Non travalica dunque il limite esterno della giurisdizione
contabile né quelli relativi alla riserva di amministrazione la pronunzia
con la quale, come nella specie, la Corte dei Conti ravvisi la non
adeguatezza o esorbitanza rispetto al fine pubblico da perseguire
(cfr., con riferimento alla diversa ipotesi dell'illegittimità del ricorso
ad
incarichi esterni in assenza dei presupposti previsti dalla legge,
nonché con riferimento a consulenze, pareri e difesa giudiziale alla
luce dei presupposti legali e delle clausole generali di giuridicità
innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della scelta e la
correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i compensi
corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon
andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in
relazione ai fini da perseguire, Cass., Sez. Un., 05/03/2009, n. 5288;
Cass., Sez. Un., 09/05/2011, n. 10069; Cass., Sez. Un., 13/06/2011, n.
12902; Cass., Sez. Un., 23/01/2012, n. 831; Cass., Sez. Un.,
13/02/2012, n. 1979; Cass., Sez. Un., n. 20728 del 2012; Cass., Sez.
Un., n. 4283 del 2013; ancora, con riferimento all'attività
amministrativa di potenziamento del servizio 118, Cass., Sez. Un.,
14/05/2014, n. 10416).
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute
dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non
comporta, infatti, che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale
di conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa (v. Cass., Sez. Un., 28/06/2018, n.
17121) (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 13.05.2020 n. 8848). |
aprile 2020 |
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INCARICHI PROGETTUALI: All’Adunanza
plenaria la possibilità di supplire alla carenza di requisiti speciali nel
progettista incaricato ed indicato ai sensi dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n.
163 del 2006 mediante avvalimento.
------------------
Contratti della Pubblica amministrazione – Avvalimento - Progettista
incaricato ed indicato ai sensi dell’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del
2006 – Dubbio in giurisprudenza - Rimessione all’Adunanza plenaria.
E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la questione relativa alla possibilità, nel caso in cui il contratto
abbia per oggetto anche la progettazione, di supplire alla carenza di
requisiti speciali nel progettista incaricato ed indicato ai sensi dell’art.
53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante avvalimento (1).
------------------
(1) Ha ricordato la
Sezione che sull’ammissibilità dell’avvalimento in tale situazione, la
giurisprudenza del Consiglio di Stato si è pronunciato in modo difforme.
La sentenza della
sez. V Sezione, 02.10.2014, n. 4929, ha affermato che, in
ordine agli artt. 49, 53 e 90, d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 92, d.P.R.
n. 207 del 2010, l’avvalimento, in conformità alla sentenza CGUE, 10.10.2013, in C-94-2012, si applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli
operatori economici, tenuti a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei
requisiti in sede di gara.
Per contro,
Cons. Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072 ha ritenuto che il
raggruppamento di professionisti non possa ricorrere all’avvalimento, poiché
tale possibilità è riservata dall’art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006 al solo
operatore economico che domanda di partecipare alla gara e questo, se
intende farvi ricorso, deve dichiarare il possesso dei requisiti da parte
del soggetto ausiliario; inoltre, secondo Cons. Stato, sez. V, 01.10.2012, n. 5161, per il ricorso all’avvalimento, l’art. 49, comma 2, d.lgs. n.
163 del 2006, si riferisce, facendo parola di «concorrente», al solo
operatore economico che domanda di partecipare alla gara, il quale deve
dichiarare e allegare il possesso da parte del soggetto avvalso dei
requisiti che, sommati ai suoi, integrano la prescrizione del bando.
Per consolidata giurisprudenza (Cons.
Stato, sez. III, 07.03.2014, n. 1072), pur essendo pacifico il
carattere generalizzato dell’avvalimento –strumentale alla massima
partecipazione nelle gare di appalto e all’effettività della concorrenza per
i principi eurocomuni– si tratta di un istituto deve essere comunque
contemperato con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione
appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto.
Perciò, la questione sostanziale consiste nello stabilire se il progettista
indicato, nell’accezione e nella terminologia del citato art. 53, comma 3,
possa ricorrere a un progettista terzo, utilizzando a sua propria volta l’avvalimento.
In sostanza, se vi possa legittimamente essere, per un’offerta in gara, un
duplice e consequenziale avvalimento di professionisti.
Il citato art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che «quando il
contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli
operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i
progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare
nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per
la progettazione. Il bando indica i requisiti richiesti per i progettisti,
secondo quanto previsto dal capo IV del presente titolo (progettazione e
concorsi di progettazione), e l’ammontare delle spese di progettazione
comprese nell’importo a base del contratto».
La giurisprudenza, sopra richiamata, del Consiglio di Stato ha negato che il
progettista “indicato” ai sensi di quella previsione possa a sua volta fare
uso di avvalimento, regolato dall’art. 49. Infatti:
a) vi osta la lettera dell’art. 49, per il quale solo «il concorrente»
singolo, consorziato o raggruppato può ricorrere all’avvalimento quale
istituto di soccorso al concorrente in gara; sicché va escluso chi si avvale
di soggetto ausiliario a sua volta privo del requisito richiesto dal bando;
b) il fatto che, se già il progettista indicato non è legato da un vincolo
negoziale con la stazione appaltante, a maggior ragione non ne è legato il
suo ausiliario, il quale è un terzo che per la sua posizione non può offrire
garanzie all’Amministrazione: invero, solo il concorrente che va a stipulare
il contratto va ad assumere obblighi contrattuali con l’amministrazione
appaltante: e l’ausiliario, per l’art. 49, comma 2, lett. d), si obbliga
verso il concorrente e la stazione appaltante a mettere a disposizione le
risorse necessarie che mancano al concorrente, mediante apposita
dichiarazione; inoltre l’ausiliario diviene ex lege responsabile in solido
con il concorrente per le prestazioni oggetto del contratto (art. 49, comma
4) e la responsabilità solidale, che è garanzia di buona esecuzione
dell’appalto, può sussistere solo sulla base che l’impresa ausiliaria sia
collegata contrattualmente al concorrente, al segno che l’art. 49 prescrive
l’allegazione, già con la domanda di partecipazione, del contratto di
avvalimento.
Inoltre, dall’art. 53, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006 si evince che la
norma statuisce che il progettista qualificato, del quale l’impresa
concorrente intenda “avvalersi” in alternativa alla costituzione di un’A.T.I.,
va solo indicato, senza prescrivere che debbano anche prodursi le
dichiarazioni dell’art. 49 per l’avvalimento, e imposte all’impresa
ausiliaria (dichiarazione dell’impresa avvalente di impegno a mettere a
disposizione dell’impresa avvalsa le risorse necessarie all’esecuzione del
contratto; dichiarazione dell’impresa avvalente di non partecipare alla gara
in proprio o quale associata o consorziata e di non trovarsi in situazioni
di controllo ex art. 34, comma 2 con altra impresa contestualmente
partecipante alla gara, ecc.) o all’impresa partecipante avvalsa (contratto
di avvalimento intercorso con l’impresa ausiliaria avvalente).
Da ciò sembra discendere che, nel caso del sistema di selezione costituito
dall’appalto integrato, il progettista prescelto dall’impresa partecipante e
indicato alla stazione appaltante non assuma la qualità di concorrente:
questa spetta solo all’impresa concorrente, e il primo resta solo un
collaboratore esterno, la cui posizione non ha diretto rilievo con
l’Amministrazione appaltante.
Se poi è lo stesso progettista indicato a ricorrere a sua volta a requisiti
posseduti da terzi, si avrebbe in sostanza una catena di avvalimenti di
“ausiliari dell’ausiliario”: il che non solo amplifica la carenza di
rapporto diretto verso l’amministrazione appaltante: ma è anche è di
ostacolo, a tutto concedere, a un agevole controllo da parte della stazione
appaltante sul possesso dei requisiti dei partecipanti (Cons.
Stato, sez. III, 01.10.2012, n. 5161, che rileva che,
trattandosi di un istituto di soccorso al concorrente in gara, è da
escluderne l’applicabilità all’impresa ausiliaria a sua volta priva dei
requisiti, altrimenti si avrebbe una catena di avvalimenti di ausiliarie
dell’ausiliaria tale da ostacolare quel controllo agevole sul possesso dei
requisiti).
Nella stessa prospettiva, la giurisprudenza (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. V, 13.03.2014, n. 1251) ha affermato che l’avvalimento
è già una deroga al principio di personalità dei requisiti di partecipazione
alla gara, sicché va permesso solo in ipotesi delineate rigorosamente, per
garantire l’affidabilità, in executivis, del soggetto concorrente. Ne segue
che sarebbe irrinunciabile la sussistenza di un rapporto diretto e immediato
tra l’ausiliario e l’ausiliato, legati da vincolo di responsabilità solidale
per l’intera prestazione dedotta nel contratto.
La fattispecie di avvalimento a cascata non sarebbe, perciò, permessa,
giacché elide quel necessario rapporto diretto tra ausiliaria e ausiliata,
così allungando e indebolendo la catena giuridica che legai vari soggetti,
con riflessi effetti evidenti in punto di responsabilità solidale, per il
soggetto ausiliato riguardo al soggetto ausiliario munito in via diretta dei
requisiti da concedere.
Nondimeno, in generale, per la giurisprudenza eurounitaria l’avvalimento si
applica non ai soli concorrenti, ma a tutti gli operatori economici, tenuti
a qualsiasi titolo a dimostrare il possesso dei requisiti in gara. Il che ha
talora indotto ad optare per orientamento più permissivo (Cons.
Stato, sez. V, 02.10.2014, n. 4929 cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 09.04.2020 n. 2331 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Direzione
lavori e procedura semplificata.
Domanda
In relazione ai servizi di “Direzione Lavori” per importi pari a
80mila euro è possibile ricorrere all’affidamento diretto oppure si impone
l’esigenza di invitare un numero minimo di soggetti?
Risposta
In relazione ai “servizi” di direzione lavori (diversi da quelli
richiamati nel primo periodo del comma 2 dell’articolo 23) dispongono
l’articolo 157 e le linee guida ANAC n. 1 (che confermano, evidentemente, il
dato normativo).
In particolare, nel caso che qui interessa, il comma 2 dell’articolo 157 in
cui si chiarisce che nelle fasce d’importo comprese tra i 40/100mila euro
gli incarichi devono essere affidati “a cura del responsabile del
procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di
trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista
dall’articolo 36, comma 2, lett. b)” e “l’invito è rivolto ad almeno
cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei nel rispetto
del criterio di rotazione degli inviti”.
Quindi al netto di situazioni particolari, che il RUP avrà cura di motivare
debitamente con la determinazione di affidamento, l’assegnazione diretta per
gli importi sopra pari o sopra i 40mila euro si presenta del tutto
particolare ed “eccezionale”.
Da rammentare che in tema è intervenuta la recente “deroga” prevista
con la legge 160/2019 (legge di bilancio per il 2020).
Più nel dettaglio (comma 258) si prevede che “Al fine di assicurare
l’esecuzione degli interventi di edilizia scolastica, è destinata quota
parte, pari a 10 milioni di euro, delle risorse non impegnate di cui
all’articolo 1, comma 1072, della legge 27.12.2017, n. 205, già assegnate
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28.11.2018, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 28 del 02.02.2019, in favore del Ministero
dell’istruzione, del l’università e della ricerca per la messa in sicurezza
degli edifici scolastici per l’annualità 2023”.
In relazione a quanto –e senza possibilità di estensione analogica– il
successivo comma 259 consente una minima competizione (interventi di
progettazione periodo 2020/2023) la possibilità di utilizzare la prerogativa
di cui alla lettera b), comma 2, articolo 36 (5 operatori) fino a tutto il
sottosoglia e non solo in relazione ad importi inferiori ai 100mila euro (08.04.2020 - link a www.publika.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Linee
guida n. 1 recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria”. Parere in materia di
dimostrazione dei requisiti di capacità tecniche e professionali.
Ai fini della partecipazione alle procedure di
affidamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, il
libero professionista può dimostrare:
(i) i requisisti di capacità economico-finanziaria di cui alle
Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettera a), mediante il fatturato
correlato ai servizi professionali dallo stesso svolti quale componente di
un’associazione professionale e
(ii) i requisiti di capacità tecniche e professionali di cui alle
Linee guida n. 1, Parte IV, punto 2.2.2.1, lettere b) e c), mediante le
attività dallo stesso svolte quale componente di un’associazione
professionale a condizione che il professionista medesimo abbia sottoscritto
gli elaborati correlati alle attività svolte.
---------------
Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione,
nell’adunanza del 01.04.2020,
VISTA la richiesta di parere formulata dal Consiglio Nazionale degli
Ingegneri, con nota protocollo U-fs/1338/2020 del 19.02.2020, assunta in pari
data al protocollo dell’Autorità n. 14058, in merito alla possibilità di
spendere quale libero professionista i «requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnica conseguiti dall’associazione professionale
composta da n. 2 professionisti, di cui si faceva parte, in assenza di una
chiara disciplina legislativa della problematica»;
VISTO il Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 come modificato dal decreto legislativo 19.04.2017,
n. 56, e, in particolare l’articolo 46 che individua gli operatori economici
ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria;
VISTO il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 02.12.2016, n. 263 (Regolamento recante definizione dei requisiti che
devono possedere gli operatori economici per l’affidamento dei servizi di
architettura e ingegneria e individuazione dei criteri per garantire la
presenza di giovani professionisti, in forma singola o associata, nei gruppi
concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di
progettazione e di idee, ai sensi dell'articolo 24, commi 2 e 5 del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50), che, in applicazione dell’articolo 24,
comma 2, del predetto codice dei contratti pubblici ha definito i requisiti
che devono possedere i soggetti di cui al predetto articolo 46;
VISTE le Linee guida n. 1 recanti “Indirizzi generali sull’affidamento dei
servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, approvate dal
Consiglio dell’Autorità con delibera n. 973 del 14 settembre 2016 e
aggiornate con delibera del Consiglio dell’Autorità n. 138 del 21.02.2018, e in particolare la Parte IV, punto 2.2.2., ove sono definiti i
requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento;
VISTO l’articolo 10 della legge 12.11.2011, n. 183 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di
stabilità 2012) che, al comma 11, ha abrogato la legge 23.11.1939, n.
1815 (Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza) e, al
comma 9, ha fatto salve le associazioni professionali, nonché i diversi
modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della legge
medesima;
VISTO l’articolo 2 del decreto del Ministero della giustizia 08.02.2013, n. 34 (Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività
professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell’articolo
10, comma 10, della legge 12.11.2011, n. 1839) che ha confermato
l’applicabilità dell’articolo 10, comma 9, della richiamata legge 12.11.2011, n. 183 per le associazioni professionali e le società tra
professionisti costituite secondo modelli vigenti alla data di entrata in
vigore della legge medesima;
VISTO l’articolo 5, comma 3, del d.P.R. 22.12.1986, n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), secondo il quale,
ai fini delle imposte sui redditi, il reddito delle associazioni senza
personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in
forma associata di arti e professioni è imputato a ciascun socio
indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di
partecipazione agli utili;
CONSIDERATO che, ai sensi dell’articolo 24, comma 5, del codice dei
contratti pubblici, indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto
affidatario, «l’incarico è espletato da professionisti iscritti negli
appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente
responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione
dell’offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni
professionali»;
CONSIDERATO che le Linee guida n. 1 consentono, ai fini della dimostrazione
dei requisiti di capacità tecniche e professionali, di utilizzare anche i
servizi di consulenza aventi ad oggetto attività accessorie di supporto alla
progettazione nonché quelli inerenti la redazione di varianti «a condizione
che si tratti di attività svolte nell’esercizio di una professione
regolamentata per le quali è richiesta una determinata qualifica
professionale, come indicato dall’art. 3 della direttiva 2005/36/CE», che
«il servizio svolto risulti formalizzato in un elaborato sottoscritto dal
progettista che intende avvalersene e che la stazione appaltante attesti la
variante, formalmente approvata e validata, e il relativo importo» o che
«l’esecuzione della prestazione, in mancanza della firma di elaborati
progettuali, sia documentata mediante la produzione del contratto di
conferimento dell’incarico e delle relative fatture di pagamento»;
RITENUTO che il requisito di capacità tecniche e professionali di cui alla
Parte IV, paragrafo 2.2.2.1, lettera e), delle Linee guida n. 1, inerente il
numero di unità minime di tecnici, è riferibile al momento della
presentazione dell’offerta, non rilevando in tal caso l’organico del
personale tecnico utilizzato negli anni precedenti
SENTITO il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
DELIBERA
• di ritenere ammissibile, ai fini della partecipazione alle
procedure di affidamento di un libero professionista, la dimostrazione dei
requisiti di capacità economico-finanziaria di cui alle Linee guida n. 1,
Parte IV, punto 2.2.2.1, lettera a), mediante il fatturato correlato ai
servizi professionali dallo stesso svolti, nell’esercizio di una professione
regolamentata per le quali è richiesta una determinata qualifica
professionale, come indicato dall’art. 3 della direttiva 2005/36/CE, quale
componente di un’associazione professionale;
• di ritenere opportuna, al fine di garantire il rispetto del
principio della non duplicazione dei requisiti, l’adozione di un atto
sottoscritto da tutti i professionisti dello studio associato con il quale
si procede, in caso di scioglimento dell’associazione professionale,
all’attribuzione del fatturato ai singoli componenti dello studio e, nel
caso in cui l’associazione continui ad operare, all’attribuzione allo studio
associato e ai professionisti uscenti;
• di ritenere ammissibile, ai fini della partecipazione alle
procedure di affidamento di un libero professionista, la dimostrazione dei
requisiti di capacità tecniche e professionali di cui alle Linee guida n. 1,
Parte IV, punto 2.2.2.1, lettere b) e c), mediante le attività dallo stesso
svolte, nell’esercizio di una professione regolamentata per le quali è
richiesta una determinata qualifica professionale, come indicato dall’art. 3
della direttiva 2005/36/CE, quale componente di un’associazione
professionale, a condizione che il professionista medesimo abbia
sottoscritto gli elaborati correlati alle attività svolte
(delibera
01.04.2020 n. 290 - link a www.anticorruzione.it. |
ottobre 2019 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Prestazioni professionali a titolo gratuito: i Professionisti Tecnici
attaccano la sentenza del TAR.
Il commento della Rete Professioni Tecniche sul pronunciamento dello scorso
30 settembre del Tar Lazio che dichiara legittimo un bando del Ministero
dell’Economia che non prevedeva compenso (31.10.2019 - link a
www.casaeclima.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Attività professionali a titolo gratuito e sentenza TAR: presentata
interrogazione al Senato.
La questione sollevata dal TAR Lazio è giunta all’attenzione del Parlamento,
del Ministro della Giustizia e del MEF
(14.10.2019 - link a
www.casaeclima.com).
---------------
Al riguardo, si legga l'interrogazione
a risposta scritta Atto n. 4-02259 pubblicato il 09.10.2019, nella seduta n.
153, a firma dei Senatori De Bertoldi e Ciriani (link a
www.senato.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Pubblicazione
dati sugli incarichi professionali.
Domanda
Abbiamo notato che nel nostro ente
non c’è una applicazione uniforme, tra i vari settori, in merito agli
obblighi di pubblicità e trasparenza per gli incarichi professionali. I dati
e documenti da pubblicare vanno trattati in base all’art. 15 o all’art. 37
del decreto trasparenza?
Risposta
Il quesito pone in evidenza una delle vicende più controverse di tutta la
normativa in materia di trasparenza che le pubbliche amministrazioni sono
chiamate ad affrontare. La consultazione costante dei siti web dei comuni e
delle province, conferma che l’argomento merita un giusto approfondimento.
Per gli incarichi di “collaborazione e consulenza”, ai fini della
trasparenza, è necessario prendere a riferimento l’art. 15, del d.lgs.
14.03.2013, n. 33, che disciplina la pubblicazione dei dati relativi agli
incarichi conferiti e affidati a soggetti esterni a qualsiasi titolo, sia
oneroso che gratuito.
La base giuridica degli incarichi –nella normativa applicabile agli enti
locali– è rinvenibile nell’art. 7, comma 6 e seguenti del d.lgs. 165/2001 e
nell’art. 110, comma 6, del TUEL 267/2000.
Sempre a livello normativo, per l’affidamento di un incarico di
collaborazione è necessario riferirsi all’articolo 3, comma 55, della legge
24.12.2007, n. 244, come sostituito dall’art. 46, comma 2, del d.l. n.
112/2008, che testualmente recita: “Gli enti locali possono stipulare
contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della
prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite
dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267”.
Altre disposizioni in materia sono rinvenibili nell’art. 3, commi 54, 56 e
57, della legge 24.12.2007, n. 244.
Per ogni incarico di collaborazione e consulenza i dati da pubblicare (art.
15, comma 1, d.lgs. 33/2013), sono i seguenti:
a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico;
b) il curriculum vitae;
c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di
cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica
amministrazione o lo svolgimento di attività professionali;
d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di
consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali
componenti variabili o legate alla valutazione del risultato
A tali obblighi, si aggiunge quanto previsto dall’art. 53, comma 14, del
d.lgs. 165/2001, il quale prevede l’obbligo di pubblicare l’attestazione
dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni di conflitto di
interessi, anche potenziale.
Si ricorda che i compensi sono da pubblicare al lordo di oneri sociali e
fiscali a carico del collaboratore e consulente.
Si ritiene utile sottolineare, inoltre, che all’interno della sotto-sezione
“Consulenti e collaboratori”, devono essere pubblicati i dati
relativi agli incarichi e alle consulenze che non siano riconducibili al “Contratto
di appalto di servizi” assoggettato alla disciplina dettata nel codice
dei contratti (d.lgs. 18.04.2016, n. 50).
Diversamente, qualora i dati si riferiscano ad incarichi riconducibili alla
nozione di appalto di servizio (affidamento con Codice Identificativo di
Gara – CIG), si applica l’art. 37, del d.lgs. 33/2013, prevedendo la
pubblicazione dei dati ivi indicati nella sotto-sezione di primo livello “Bandi
di gara e contratti”.
Giova, altresì, sottolineare che gli incarichi conferiti o autorizzati da
un’amministrazione ai propri dipendenti rimangono disciplinati dall’art. 18,
del d.lgs. 33/2013 e devono essere pubblicati nella diversa sotto-sezione
Personale > Incarichi conferiti e autorizzati ai dipendenti.
Tenuto conto della eterogeneità degli incarichi di consulenza e
dell’esistenza di fattispecie di dubbia qualificazione come tali (si pensi,
ad esempio, agli incarichi legali), si rammenta che l’ANAC ha già ricondotto
agli incarichi di collaborazione e consulenza, di cui assicurare la
pubblicazione sui siti, quelli conferiti:
• ai commissari esterni membri di commissioni concorsuali;
• ai componenti del Collegio sindacale;
• ai componenti del Collegio dei revisori dei conti;
• ai collaboratori occasionali.
Per questa tipologia di incarichi, le informazioni richieste vanno
pubblicate entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e devono essere
mantenute per i tre anni successivi alla cessazione (art. 15, co. 4, d.lgs.
33/2013).
La mancata pubblicazione degli estremi degli atti di conferimento degli
incarichi e dell’attestazione ex art. 53 d.lgs. 165/2001, comporta
inefficacia dell’atto, non consentendo, quindi, né l’utilizzo della
prestazione eventualmente resa, né la liquidazione del compenso.
Nel caso in cui il pagamento della prestazione sia stato comunque
corrisposto si determina responsabilità in capo a chi l’ha disposto e
l’irrogazione di una sanzione pari alla somma pagata.
Ricapitolando:
• se l’incarico professionale è inteso come affidamento appalto di
servizio, ai sensi del d.lgs. 50/2016, quindi con CIG: i dati vanno
pubblicati su Amministrazione trasparente > Bandi di gara e contratti;
• se l’incarico affidato è un rapporto di collaborazione o
consulenza (art. 7, comma 6 e seguenti, d.lgs. 165/2001) i dati vanno
pubblicati su Amministrazione trasparente > Collaboratori e consulenti.
Avendo consultato direttamente il sito web del comune interpellante, si
consiglia di eliminare dalla sezione Collaboratori e consulenti tutti gli
incarichi affidati con CIG
(08.10.2019 - tratto da e link a www.publika.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Tar
Lazio: legittima la previsione di attività professionali a titolo gratuito.
Dichiarato legittimo l'avviso pubblico del Ministero dell'Economia nel quale
si chiedeva la manifestazione di interesse per incarichi di consulenza a
costo zero (03.10.2019 - link a www.casaeclima.com). |
settembre 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Il
professionista può fare anche gratis consulenze per la PA. Il Tar Lazio
boccia il ricorso sul bando Mef. Non conta neanche l’equo compenso.
Il rapporto tra un’amministrazione pubblica e un
professionista può essere a titolo gratuito, se la consulenza ha regole
molto flessibili e dà porta arricchimento professionale.
Il TAR Lazio-Roma, Sez. II, con la
sentenza 30.09.2019 n. 11411,
torna sul tema, delineando le condizioni perché sia possibile una
collaborazione senza compenso.
La pronuncia si riferisce a un avviso pubblicato a febbraio dal ministero
dell’Economia alla ricerca di un supporto tecnico ad elevato contenuto
specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere
consulenze a titolo gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario,
bancario e dei mercati e intermediari finanziari (in vista anche
dell’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario).
L’avviso era rivolto a esponenti del mondo accademico e professionisti
(requisito di ammissione era una consolidata esperienza di almeno cinque
anni nel rispettivo settore) e prevedeva una durata biennale del rapporto,
senza rinnovo e con possibilità per il professionista di recedere (con
preavviso di 30 giorni) ma con obbligo di portare a termine un eventuale
studio che avesse iniziato.
Il Tar evidenzia anzitutto che l’avviso aveva ad oggetto una consulenza
eventuale e occasionale (seppure da svilupparsi in due anni), che, proprio
per tale condizione di fondo, non poteva qualificarsi come contratto di
lavoro autonomo.
Le modalità di affidamento in base all’articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001
non sono quindi applicabili, anche perché l’avviso prevedeva la possibilità,
per il professionista, di recedere in ogni momento.
Secondo i giudici, l’obbligo di preavviso obbedisce a mera esigenza
organizzativa (l’amministrazione ha necessità di conoscere ex ante su quali
professionalità può contare in un determinato periodo), mentre l’obbligo di
concludere l’incarico è funzionale ad un’azione della pubblica
amministrazione efficace, che persegue il buon andamento: un’interruzione
potrebbe causare perdite di tempo e degli apporti qualificati.
Il Tar ha pure chiarito che il rapporto non può configurarsi come appalto di
servizi professionali: mancavano nell’avviso la previsione del numero ben
definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale
dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché una selezione
vera e propria, con graduatoria finale.
Così il Tar afferma quindi la legittimità del carattere gratuito della
consulenza, rilevando che nel nostro ordinamento non c’è alcun divieto in
tal senso. E precisa che la disciplina dell’equo compenso non si applica,
proprio perché il compenso non c’è. Nulla impedisce al professionista, senza
incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare
la propria consulenza senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro.
Il professionista può invece in questo caso trarre vantaggi di natura
diversa, in termini di arricchimento professionale legato alla
partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche
ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del
proprio curriculum vitae. Tale miglioramento professionale riguarda peraltro
sia i giovani professionisti, sia i soggetti con maggiore esperienza (articolo
Il Sole 24 Ore del 02.10.2019). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
professionali a titolo gratuito nella P.A.: quando sono legittimi. Il Tar
Lazio chiarisce a quali condizioni è possibile affidare a dei professionisti
incarichi privi di compenso economico e consulenze a titolo gratuito.
Non esiste un divieto per le Pubbliche Amministrazione
di conferire incarichi professionali a titolo gratuito, in particolare se si
tratta di consulenza a carattere eventuale ed occasionale, mentre il
professionista ottiene vantaggi curriculari e di crescita professionale.
La giustizia amministrativa torna sulla questione della legittimità delle
procedure di affidamento di incarichi professionali a professionisti senza
un compenso, contro i quali gli ordini professionali hanno in questi anni
intrapreso una lotta decisa.
Secondo il Tar Lazio, è legittima la procedura del Ministero dell’Economia,
con la quale veniva ricercato un soggetto altamente specializzato, al fine
di svolgere consulenze a titolo gratuito, che avevano ad oggetto “il
diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei mercati e
intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o integrazione di
normative primarie e secondarie”.
A parere dei giudici amministrativi, per le Pubbliche Amministrazioni non
esiste un divieto di incarichi a titolo gratuito, neanche per effetto
dell’obbligo di equo compenso.
Nulla impedisce, infatti, al professionista, senza incorrere in alcuna
violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria
consulenza senza pretendere e ottenere alcun corrispettivo in denaro, mentre
il professionista stesso può ricavare stimoli professionali e vantaggi
curriculari.
La consulenza occasionale non è un incarico di lavoro
autonomo o un appalto professionale
L’incarico affidato dal Ministero dell’Economia era di durata biennale, era
previsto senza possibilità di rinnovo, ma con possibilità, per il
professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni, fermo restando
l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale studio che
avesse iniziato.
A parere della sentenza in commento, il carattere eventuale ed occasionale
della consulenza, seppure nell’arco temporale ordinariamente di due anni,
non la rende qualificabile come contratto di lavoro autonomo.
Ciò viene desunto anche dalla previsione della possibilità, per il
professionista, di porre comunque fine unilateralmente all’incarico in
qualunque momento, senza che militino in senso contrario il preavviso di 30
giorni per esercitare tale diritto né la previsione dell’obbligo, per il
professionista, di concludere la propria attività su eventuali questioni in
corso.
L’obbligo di preavviso non eliminerebbe il carattere eventuale della
consulenza, ma obbedirebbe ad una mera esigenza organizzativa: in altre
parole, l’Amministrazione ha necessità di conoscere ex ante sull’apporto di
quali professionalità nell’esame di questioni rilevanti può contare in un
determinato periodo, dato che un’interruzione potrebbe determinare perdite
di tempo e degli apporti qualificati già conferiti dai professionisti che
non intendano più portare avanti la consulenza.
Dall’altro lato, la procedura non era un servizio professionale da svolgere
sulla base del codice appalti, data l’assenza di una previsione del numero
ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale
dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché mancando una
selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
La possibilità di un incarico a titolo gratuito non è
vietato dalla legge, e anzi è nell’interesse del professionista
Secondo la sentenza del Tar Lazio, nel nostro ordinamento non si rinviene
alcun divieto di conferire incarichi a titolo gratuito.
Infatti lo stesso obbligo di un equo compenso deve intendersi nel senso che,
laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo.
Mentre non si può desumere un obbligo implicito di onerosità di tutte le
prestazioni.
E pertanto nessuna norma impedisce al professionista (secondo il TAR senza
incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico) di prestare
la propria consulenza senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro.
I vantaggi per il professionista che presta la propria
opera a titolo gratuito
L’attività di consulenza, pur non dando vantaggi economici, potrebbe
arrecare vantaggi di natura diversa, in termini di arricchimento
professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di
particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere
tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae, in particolare per
professionisti ancora giovani che, sebbene qualificati, trovino ancora molti
stimoli professionali nell’attività descritta nell’avviso e ravvisino
altresì nella stessa un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente
potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la
propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento
dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari, oggetto
della consulenza (02.10.2019 - commento tratto da
www.giurdanella.it).
---------------
... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’avviso
pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 27.02.2019, di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di
consulenza a titolo gratuito sul diritto nazionale ed europeo societario,
bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche
dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini,
tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e
regolamenti comunitari;
...
I - Con avviso pubblicato in data 27.02.2019 sul sito web del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, detta Amministrazione ha reso noto
che intendeva cercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico
di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo
gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei
mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o
integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro,
dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti
comunitari.
Detto avviso era diretto ad esponenti del mondo accademico e professionisti.
Ed infatti, quale requisito di ammissione, veniva richiesta “consolidata e
qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno
5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del
diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati
finanziari o dei principi contabili e bilanci societari; lingua inglese
fluente”.
Era prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con
possibilità, per il professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni,
fermo restando l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale
studio che avesse iniziato.
II - Avverso tale avviso il ricorrente, che dichiara di essere avvocato con
esperienza ultratrentennale nelle materie in questione, ha proposto il
gravame in esame, rappresentando di non avervi aderito, stante il carattere
gratuito dell’incarico, che contesta in questa sede.
I motivi di censura dedotti sono i seguenti:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs.
n. 165/2001 - omissione o carenza dei requisiti essenziali dell’atto
amministrativo - omessa o carente motivazione - violazione e falsa
applicazione della legge n. 241/1990 e dei principi di legge e regolamento
in materia di azione amministrativa - eccesso di potere - eccesso di potere
per violazione dei canoni di congruità, adeguatezza, imparzialità e
trasparenza dell’azione amministrativa - carenza di istruttoria e
motivazione - violazione del principio di par condicio.
L’oggetto dell’avviso sarebbe una prestazione lavorativa di natura
professionale.
La stipula di un contratto scritto, la durata prolungata e predeterminata,
l’obbligo del preavviso di 30 giorni in caso di rescissione, e ancor di più
“l’obbligo del consulente di concludere la propria attività su eventuali
questioni in corso” sarebbero tutti elementi che concorrono ad affermare che
la consulenza in parola sia appunto, come dice la parola stessa, una
“consulenza”, ossia una prestazione professionale.
Essendo prevalente il “carattere personale o intellettuale della prestazione
richiesta”, anziché quello imprenditoriale, l’incarico al professionista
esterno sarebbe riconducibile al contratto d’opera (art. 2222 cod. civ.), in
particolare, al contratto d’opera intellettuale (art. 2229 cod. civ.),
Dall’esame degli atti si dedurrebbe inoltre che il Ministero intimato
intende conferire un incarico individuale ai sensi dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001.
In tal senso deporrebbero, oltre alla natura della prestazione ed ai
requisiti richiesti, che ricalcano quelli della norma citata, anche la
pubblicazione nella Sezione Concorsi del sito web, la previsione di un
incarico biennale non rinnovabile, la specificazione che la competenza “non
è rinvenibile nella struttura”, la predeterminazione di “durata, oggetto e
compenso della collaborazione”.
Essa costituirebbe certamente una prestazione lavorativa resa in un rapporto
di lavoro autonomo di natura professionale.
Ciò comporterebbe che al rapporto di specie si applicheranno certamente
l’art. 36 Cost. e la nuova disciplina dell’equo compenso, che escludono in
radice la possibilità di stipulare un contratto professionale a titolo
gratuito tra professionista e Pubblica Amministrazione.
In ogni caso, anche considerando la fattispecie in esame come appalto di
servizi, pur se inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 57, comma 2,
lettera b), del d.lgs. 163/2006 ed all’art. 36, comma 2, lettera a), del
d.lgs. n. 50/2016, o comunque rientrante nella categoria dei “contratti
esclusi” ai sensi degli artt. 17 e 4 del medesimo decreto, avrebbero dovuto
osservarsi i principi generali dell’agere amministrativo (art. 97 Cost.),
ovvero dell’economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza e proporzionalità, e si sarebbe comunque dovuta applicare la
disciplina dell’equo compenso, che ad oggi è estesa ad ogni rapporto tra
professionisti e Pubblica Amministrazione.
Come ampiamente motivato in precedenza, troverebbero applicazione la
disciplina generale di cui all’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n.
165/2001 e le disposizioni normative nel frattempo intervenute in materia di
incarichi.
Perciò l’Amministrazione dovrebbe: a) verificare che la prestazione
richiesta sia inerente alle proprie finalità istituzionali (c.d. inerenza);
b) avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare
le risorse umane disponibili al suo interno (c.d. non intraneità); c) sul
piano qualitativo, essere motivata da una particolare expertise di carattere
particolarmente qualificato (c.d. specialità) disponibile solo sul mercato,
per l’espletazione dell’incarico esterno.
L’avviso sarebbe completamente carente di motivazione, atteso che non solo
questa mancherebbe in ordine all’accertamento reale sull’assenza di servizi
o di professionalità, interne all’Ente, in grado di espletare l’incarico –essa si limiterebbe al solo mero inciso “non rinvenibile all’interno della
struttura”-, ma soprattutto non sarebbe stato neanche mai chiarito il
riferimento normativo della procedura avviata.
Nella specie tra gli elementi essenziali dell’atto amministrativo sarebbero
assenti il preambolo, la motivazione (come già evidenziato prima), il luogo
e la data in cui è stato emanato il provvedimento e la determinazione del
compenso.
Correlato all’obbligo di determinare il compenso vi sarebbe quello di
acquisire il parere obbligatorio del Collegio dei revisori dell’Ente, ai
sensi dell’art. 1, comma 42, della legge n. 311/2004, prima di emanare il
relativo avviso, il che nel caso in esame non sarebbe avvenuto o, quanto
meno, non risulta richiamato nell’atto.
A questo si aggiungerebbe il necessario carattere eccezionale e temporaneo
dell’incarico de quo, che non sembrerebbe rispettato, stante la durata
biennale del contratto.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs.
n. 165/2001 - violazione della legge n. 247/2012 - violazione dell’art. 4
del d.lgs. n. 50/2016 - violazione del D.M. n. 55/2014 - violazione della
legge 04.12.2017, n. 172 - violazione dell’articolo 19-quaterdecies,
comma 3, del decreto legge 16.10.2017, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172 - violazione del diritto
all’equo compenso - eccesso di potere per travisamento dei presupposti,
sviamento, disparità di trattamento, manifesta illogicità, irragionevolezza
ed ingiustizia.
L’avviso propone un affidamento a titolo gratuito per tutti gli incarichi di
consulenza; ciò sarebbe abnorme ed irragionevole.
L’impugnata clausola in esame ricadrebbe nella categoria delle “clausole
immediatamente escludenti”, da impugnare immediatamente con il bando di
indizione della procedura selettiva, senza attendere l’atto di approvazione
della graduatoria definitiva o l’aggiudicazione, che definisce la procedura
concorsuale.
Sussisterebbe un netto contrasto con la recente riforma dell’equo compenso.
La legge n. 172/2017, di conversione del d.l. n. 148/2017 (c.d. Decreto
Fiscale), con l’art. 19-quaterdecies ha introdotto l’art. 13-bis alla Legge
Forense (legge n. 247/2012), sull’equo compenso. Il medesimo articolo ha
esteso a tutti i lavoratori autonomi l’applicazione della previsione
originariamente a favore degli avvocati e al contempo ne ha previsto
l’applicazione anche nei confronti delle prestazioni a favore della Pubblica
Amministrazione.
La Legge di Bilancio 2018 (legge n. 205/2017), ai commi 487 e 488 dell’art.
1, ha allargato ulteriormente questa disciplina, modificando l’art. 13-bis.
In particolare, vengono presunti non equi (con presunzione che non ammette
prova contraria) i compensi inferiori a quelli previsti dalle apposite
tabelle ministeriali: per gli avvocati si deve fare riferimento ai
“parametri” individuati in base al D.M. del 2014.
Tali compensi sarebbero da considerare nulli, proprio in quanto non equi,
senza possibilità di derogare a tale disciplina.
La norma parla di “prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di
incarichi conferiti”, per cui non distingue tra appalti di servizi,
incarichi legali fiduciari o incarichi professionali ex art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001.
La più recente giurisprudenza amministrativa, in un caso simile a quello qui
in esame, ha chiarito che la P.A. non può richiedere prestazioni gratuite ai
professionisti ed è illegittimo il bando che prevede prestazioni
professionali a titolo gratuito (Tar Campania–Napoli - sezione I -
ordinanza 24-25.10.2018, n. 1541).
Alla luce di quanto sopra, sarebbe priva di qualsiasi fondamento la
dichiarazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze nel suo comunicato
stampa, secondo cui: “Esula completamente da questi rapporti, quindi, il
tema dell’equo compenso che si riferisce a rapporti professionali di lavoro
nell’ambito del settore privato”.
La gratuità non sarebbe compatibile con l’obbligo di garantire il principio
dell'equo compenso che la legge impone ora alle Pubbliche Amministrazioni.
Questo principio è stato già affermato dalla più recente giurisprudenza
amministrativa: “La l. 04.12.2017, n. 172, nel convertire d.l. 16.10.2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19-quaterdecies, il quale, al
comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei
principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività,
garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni
rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di
entrata in vigore della citata legge di conversione” (Tar Calabria, sentenza
n. 1507/2018).
Peraltro l’equo compenso è applicabile, oltre che alle prestazioni degli
avvocati, anche a quelle degli altri professionisti di cui all’art. 1 della
legge 22.05.2017, n. 81, comprendendo iscritti agli ordini e collegi. E
sul punto l’art. 1 della legge n. 81/2017 fa esplicitamente riferimento “ai
rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice
civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina
particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile”, ossia proprio ai
contratti d’opera stipulati da qualsiasi professionista, in cui rientrano
certamente anche gli incarichi ex art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, di
cui al caso di specie.
Nonostante l’avviso impugnato si rivolga ai professionisti in genere, senza
specificare una categoria in particolare, dal momento che esso ha ad oggetto
un incarico di consulenza legale, esso risulterebbe indirizzato
essenzialmente agli avvocati (art. 2 l. 247/2012).
Il D.M. 55 del 2014, che pone i parametri per la professione forense,
inclusi quelli per consulenze stragiudiziali, fissa come principio generale
che “il compenso dell’avvocato e proporzionato all’importanza dell’opera”
(art. 2).
Un’offerta pari a zero sarebbe quindi in palese contrasto con tale
principio.
Il D.M. parametri n. 37, approvato l’08.03.2018 ed in vigore a partire dal
27 aprile del medesimo anno, ha fissato dei minimi inderogabili nella
liquidazione giudiziale del compenso degli avvocati, proprio in applicazione
del principio dell’equo compenso.
Quindi l’illegittimità del bando riguarderebbe non soltanto la proposta di
una prestazione a titolo gratuito, ma anche il mancato rispetto dei
parametri professionali.
3) Violazione degli artt. 1, 4, 35, 36 e 97 Cost. - eccesso di potere per
irragionevolezza - violazione dell’art. 2233 c.c. e degli artt. 6, 9, 23 e
43 del Codice deontologico - eccesso di potere sotto i seguenti profili:
sviamento dalla causa tipica, illogicità, ingiustizia manifesta,
travisamento ed erroneità dei presupposti - violazione dei principi in
materia di indipendenza ed autonomia dei professionisti.
Il compenso previsto nel bando, pari a zero euro, e senza alcun rimborso
spese, sarebbe incostituzionale, irragionevole e sproporzionato rispetto
all’enorme mole del lavoro e alla quantità e qualità dell’attività
richiesta. Ne conseguirebbero la lesione del decoro e del prestigio del
professionista, nonché un danno ai suoi diritti costituzionali.
Al riguardo l’art. 2233 del codice civile, con riferimento all’art. 36 Cost.,
statuisce che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale “in ogni
caso la misura del compenso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e
al decoro della professione”.
Vi sarebbe quindi un coerente sviluppo normativo ed interpretativo
giurisprudenziale che conferma l’obbligo del rispetto di soglie numeriche
minime, volto a delineare un compenso equo, e quindi legittimo, perché
proporzionato all’opera e conforme al decoro professionale, per cui non
potrebbero farsi distinzioni, in ordine all’equità del compenso, tra
incarichi di lavoro autonomo, incarichi fiduciari ed appalti di servizi.
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, lett. ii), 4, 95, 97 del
d.lgs n. 50/2016; degli artt. 3 e 97 Cost. e degli artt. 3 e 6 della legge
n. 241/1990 - eccesso di potere per illogicità, erroneità dei presupposti e
travisamento dei fatti.
L’offerta economica proposta dall’Amministrazione, che offre un compenso
pari a zero per una consulenza di natura biennale e altamente specialistica,
sarebbe anche distorsiva della competizione concorrenziale.
La compatibilità di un contratto “a titolo gratuito” o a prezzo simbolico
con i principi fondamentali del nuovo Codice appalti è stata più volte
criticata dalla giurisprudenza amministrativa, e in particolare il Tar
Calabria, in una recentissima pronuncia (Tar Calabria, sentenza 418/2018
del 16.07.2018)
Il Tar, dopo aver premesso che l’operatore economico è esonerato dal
poter o dover proporre la domanda di partecipazione alla gara in caso di
offerta dal valore meramente simbolico e che il bando “impone condizioni
negoziali tali da rendere il rapporto contrattuale economicamente non
conveniente e matematicamente in perdita”, ha ritenuto: “Ne deriva che
coglie nel segno la difesa della ricorrente laddove afferma che l’abnorme
base d’asta fissata viola il principio della concorrenza effettiva fissato
dall’art. 95, comma 1, del codice degli appalti.”.
Il potere discrezionale della P.A. di definire l’importo a base d’asta non
sarebbe dunque libero o assoluto, ma sarebbe sindacabile attraverso il
parametro della logicità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, nella
misura in cui non viene contestualizzato o filtrato attraverso una corretta
analisi di mercato ed un’attenta valutazione dei prezzi.
Sarebbe evidente l’effetto distorsivo della concorrenza e del mercato di un
bando che obbliga i partecipanti a prestare la propria opera gratuitamente.
L’affidamento degli incarichi di consulenza legale deve assolutamente
privilegiare il profilo curriculare del professionista rispetto al solo
criterio economico. Tale principio sarebbe già stato affermato dal Tar
Lecce che, accogliendo la richiesta di sospensione proposta nei confronti di
un bando per servizi legali, ha ritenuto il sistema dell’aggiudicazione in
base al criterio del minor prezzo non coerente con il vigente ordinamento e,
comunque, in contrasto con il decoro della professione forense (cfr. Tar
Lecce, ordinanza n. 21/2017).
Nel caso di specie la proposta di una consulenza a titolo completamente
gratuito, in contrasto con il decoro della professione, non favorirebbe la
partecipazione dei migliori e dei più capaci, violando il principio di
massima partecipazione.
Peraltro, ad aggravare l’irragionevolezza del bando, la P.A. consente la
partecipazione solo a professionisti altamente qualificati, quelli che
probabilmente grazie all’esperienza acquisita e all’avviamento professionale
consolidato sono i meno interessati a svolgere incarichi per compensi
irrisori o addirittura gratuiti.
Perciò l’avviso impugnato, oltre a ledere i diritti dei ricorrenti, non
favorirebbe ma anzi danneggerebbe l’interesse della Pubblica
Amministrazione.
5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 23 della legge n.
247/2012, violazione delle norme a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia
dei professionisti e degli avvocati, eccesso di potere per traviamento,
erroneità dei presupposti e sviamento - violazione dell’art. 36 Cost.
dell’art. 2233 c.c., degli artt. 6, 9 e 29 del Codice deontologico, dei
principi di autonomia e decoro dei professionisti - violazione dell’art. 97
Cost., nonché dei principi in materia di fissazione della base d’asta e
delle regole della massima partecipazione e della leale concorrenza -
indeterminatezza della consistenza quantitativa oggettiva dell’attività
professionale da fornire.
Il bando si caratterizzerebbe anche per l’indeterminatezza della consistenza
quantitativa oggettiva dell’attività professionale da fornire.
Esso parlerebbe solo di attribuzione degli incarichi, ponendo come unico
limite la durata biennale del contratto, senza chiarire quali e quante siano
le attività rientranti nel conferimento dell’incarico, le modalità di
svolgimento e la forma.
L’indeterminatezza del contenuto delle prestazioni richieste e la gratuità
del compenso sarebbero in grado di compromettere, con il decoro dell’ordine
e dei professionisti, il meccanismo della competizione ed in ogni caso non
consentirebbero agli operatori economici, e nello specifico alla parte
ricorrente, di formulare una seria domanda di partecipazione alla procedura
sulla base di un effettivo calcolo di convenienza.
...
VI - Preliminarmente occorre accertare se il ricorso sia o meno ammissibile,
tenuto conto che il ricorrente, in possesso dei requisiti, non ha presentato
la propria adesione all’avviso oggetto di contestazione in questa sede.
VI.1 - In proposito si rammenta l’eccezione di inammissibilità opposta
dall’Amministrazione resistente, sul rilievo che la mancata partecipazione
priverebbe il ricorrente della legittimazione processuale, non essendo lo
stesso titolare di una posizione differenziata qualificata.
Deve considerarsi che, secondo la prospettazione del ricorrente, la
previsione, in particolare, del carattere gratuito della ‘prestazione’
richiesta renderebbe l’offerta abnorme ed irragionevole.
Da ciò deriverebbe il carattere escludente della clausola in questione, che
conseguentemente sarebbe immediatamente impugnabile, anche in assenza di
partecipazione.
VI.2 - Il Collegio ritiene che, ai soli fini dell’individuazione della
legittimazione processuale e della conseguente ammissibilità del ricorso e
fatto salvo naturalmente l’accertamento nel merito, la richiamata
prospettazione induce logicamente a sostenere che il ricorso sia
ammissibile, attesa la natura asseritamente escludente, nei sensi sopra
specificati, della previsione della gratuità dello ‘incarico’.
VII - Evidenziata l’ammissibilità del ricorso, se ne deve, tuttavia,
affermare l’infondatezza.
VIII - Occorre inquadrare correttamente l’oggetto dell’avviso, impugnato col
ricorso in esame.
Con il predetto avviso, diretto a giuristi del mondo accademico e/o forense,
in possesso di esperienza di almeno 5 anni documentabile, anche a livello
europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario,
bancario, pubblico dell'economia o dei mercati finanziari o dei principi
contabili e bilanci societari, si chiede agli stessi una mera manifestazione
di interesse a prestare, senza che sia prefissata la frequenza e l’entità
dell’eventuale ‘prestazione’ nell’arco temporale di due anni, la propria
consulenza nelle stesse suddette materie “in vista anche dell’adozione e/o
integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro,
dell'adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive/regolamenti
comunitari”.
VIII.1 - La genericità non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento
che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo.
Come, infatti, è stato anche precisato con il comunicato stampa che ha
fornito i dovuti chiarimenti in ordine alla sua portata, all’esito della
valutazione dei curricula obbligatoriamente inviati dai su indicati
professionisti, non s’instaura alcun rapporto di lavoro né è prevista la
fornitura di un servizio professionale.
IX - Proprio in ragione del carattere eventuale ed occasionale della
consulenza, seppure nell’arco temporale ordinariamente di due anni, non può
questa qualificarsi come contratto di lavoro autonomo, che, rispetto alle
Pubbliche Amministrazioni, è ammissibile se si ravvisano tutti i presupposti
indicati all’art. 7, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001, di cui in
questa sede si lamenta la violazione.
IX.1 - Ciò si desume ulteriormente dalla previsione della possibilità, per
il professionista, di porre comunque fine unilateralmente all’incarico in
qualunque momento.
IX.2 - Non militano in senso contrario né il prescritto preavviso di 30
giorni per esercitare tale diritto né la previsione dell’obbligo, per il
professionista, di concludere la propria attività su eventuali questioni in
corso.
Per quanto concerne il preavviso, esso obbedisce ad una mera esigenza
organizzativa: in altre parole, l’Amministrazione ha necessità di conoscere
ex ante sull’apporto di quali professionalità nell’esame di questioni
rilevanti può contare in un determinato periodo.
L’obbligo di concludere l’incarico è funzionale ad un’azione della Pubblica
Amministrazione efficace, che persegue il buon andamento: un’interruzione
potrebbe, infatti, determinare perdite di tempo e degli apporti qualificati
già conferiti dai professionisti che non intendano più portare avanti la
consulenza.
IX.3 – Alla luce di quanto evidenziato non si ravvisa la dedotta violazione
delle norme appena citate.
X - Non si tratta neppure di servizio il cui affidamento è sottoposto alla
disciplina del Codice dei Contratti pubblici.
X.1 - Conduce a tale conclusione l’assenza della previsione del numero ben
definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale
dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una
selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
Perciò è evidente che nessun obbligo di applicare le norme del d.lgs. n.
50/2016 sussisteva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
X.1 - La prescrizione di requisiti minimi si rendeva invece evidentemente
necessaria per acquisire manifestazioni di interesse solo da parte di
soggetti qualificati che, ove ritenuti idonei sulla base della valutazione
dei propri curricula, possano effettivamente dare un contributo rilevante
nelle materie e nell’ambito delle attività indicate nell’avviso censurato.
XI - Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della
consulenza appare legittimo.
XI.1 - Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si
rinviene alcun divieto in tal senso.
XI.2 - Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso, diffusamente
ed analiticamente descritta dalla parte ricorrente ed erroneamente invocata
a sostegno delle proprie tesi, presenti tale carattere ostativo.
Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro
sia stabilito, esso non possa che essere equo.
XI.3 - Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in
alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria
consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei
due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in
termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad
eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché
quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum
vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una
determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati
nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può
essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e
che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini
curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti
siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che
assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della
consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene
qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività
descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per
arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente
potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la
propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento
dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.
XII - Dalle argomentazioni svolte nella presente disamina deriva che
l’avviso impugnato è legittimo ed il ricorso è infondato e deve essere
respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 30.09.2019 n. 11411 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: E'
legittimo l'avviso pubblico (nella fattispecie del MEF) per il conferimento
di incarichi di consulenza legale a titolo gratuito.
Il carattere gratuito della consulenza appare legittimo.
Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si
rinviene alcun divieto in tal senso.
Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso presenti tale carattere
ostativo.
Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro
sia stabilito, esso non possa che essere equo.
Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in
alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria
consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei
due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in
termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad
eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché
quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum
vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una
determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati
nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può
essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e
che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini
curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti
siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che
assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della
consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene
qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività
descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per
arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente
potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la
propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento
dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.
---------------
... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’avviso
pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 27.02.2019, di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di
consulenza a titolo gratuito sul diritto nazionale ed europeo societario,
bancario e dei mercati e intermediari finanziari, in vista anche
dell’adozione o integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini,
tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e
regolamenti comunitari;
...
I - Con avviso pubblicato in data 27.02.2019 sul sito web del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, detta Amministrazione ha reso noto
che intendeva cercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico
di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo
gratuito, sul diritto nazionale ed europeo societario, bancario e dei
mercati e intermediari finanziari, in vista anche dell’adozione o
integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini, tra l’altro,
dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti
comunitari.
Detto avviso era diretto ad esponenti del mondo accademico e professionisti.
Ed infatti, quale requisito di ammissione, veniva richiesta “consolidata e
qualificata esperienza accademica e/o professionale documentabile (di almeno
5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del
diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati
finanziari o dei principi contabili e bilanci societari; lingua inglese
fluente”.
Era prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo ma con
possibilità, per il professionista, di recedere, con preavviso di 30 giorni,
fermo restando l’obbligo, per lo stesso, di portare a termine un eventuale
studio che avesse iniziato.
II - Gli Ordini degli Avvocati di Roma e di Napoli hanno impugnato il
predetto avviso, unitamente ai chiarimenti dati su di esso
dall’Amministrazione, deducendo i seguenti motivi di doglianza:
1) Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art. 13-bis,
comma 3, della legge 31.12.2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina
dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16.10.2017, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 04.12.2017, n. 172, applicabile alle
Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies,
comma 3, del d.l. n. 148/2017.
La previsione della gratuità delle prestazioni che il Ministero intimato
intende acquisire con la pubblicazione dell’avviso si porrebbe in contrasto
con le prescrizioni impartite dalle menzionate disposizioni costituzionali e
legislative, che riconoscerebbero l’equo e giusto compenso come principio di
carattere generale nel nostro ordinamento.
Il diritto all’equo compenso nello svolgimento di incarichi, anche nei
confronti della Pubblica Amministrazione, sarebbe, infatti, garantito sia
dalla Costituzione, che tutela il diritto del professionista “ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro” (art.
36), sia dalla legge, che correla la retribuzione professionale al
“contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale” (art. 13-bis, co. 2, L. 247/2012).
La previsione della gratuità dell’incarico contenuta nell’avviso violerebbe
la normativa costituzionale e legislativa anche sotto il profilo del buon
andamento dell’organizzazione amministrativa e della ragionevolezza
dell’operato della P.A..
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze intende acquisire servizi di
consulenza da parte di professionisti dotati di “consolidata e qualificata
esperienza accademica e/o professionale” e, nel contempo, pretende di farlo
senza esborsi ed oneri a carico dell’Amministrazione.
Tale pretesa violerebbe il principio di proporzionalità e denoterebbe
l’omessa o comunque l’erronea ed irrazionale ponderazione di tutti gli
interessi compresenti, nonché la mancata considerazione delle conseguenze
cui l’Amministrazione espone sia il professionista sia sé stessa ed il
pubblico Erario.
Infatti, richiedendo al professionista di sottoscrivere e dunque accettare
condizioni lontane da una retribuzione o da un equo compenso, comporterebbe
per il medesimo, all’atto della sottoscrizione, la violazione degli artt. 9,
19, 25 e 29 del Codice Deontologico vigente.
Tali disposizioni, da un lato, stabiliscono il divieto di accettazione di un
compenso iniquo o lesivo della dignità e del decoro professionale,
dall’altro, impongono che le condizioni contrattuali per i servizi legali e
per l’attività difensiva non possano tradursi in clausole lesive della
dignità e del decoro del professionista.
Inoltre detta pretesa esporrebbe l’Amministrazione al rischio di ricevere
prestazioni di scarsa qualità, in quanto non considera il costo/opportunità
del professionista a rendere prestazioni in misura correlata al compenso
ricevuto, anche in ragione dell’assunzione di responsabilità che comporta lo
svolgimento di tale attività.
Eliminare qualunque tipologia di compenso comporterebbe che l’incarico (e
quindi l’Amministrazione che ne beneficia) sia sottoposto all’alea della
indisponibilità (anche sopravvenuta) a ricoprirlo (ed infatti, l’avviso
prevede il diritto di recesso ad nutum, con preavviso di 30 giorni),
determinando eventuali avvicendamenti dannosi per il buon andamento
dell’Ufficio, lasciando comunque in capo al professionista l’obbligo di
“concludere la propria attività su eventuali questioni in corso”.
Nel contempo, la pattuizione di gratuità esporrebbe l’Amministrazione a
comportamento opportunistici e, in ipotesi, persino all’azione di nullità
del contratto e a quella generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. per
l’indennizzo della diminuzione patrimoniale subìta dal professionista
nell’adempimento di una prestazione resa ad esclusivo vantaggio
dell’Amministrazione.
L’Amministrazione non potrebbe utilmente invocare il precedente del
Consiglio di Stato n. 4614/2017. Al di là della diversità di circostanze
(una su tutte quella relativa alla messa a disposizione, in quel caso, di un
rilevantissimo importo di euro 250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella
specie inesistente), il precedente è stato emesso in relazione ad un
procedimento indetto prima dell’introduzione dell’art. 13-bis nella legge
247/2012.
Inoltre la scelta del Ministero, contenuta nell’avviso impugnato, di non
remunerare i propri consulenti discriminerebbe irragionevolmente i futuri ed
eventuali titolari di tali incarichi rispetto ad altri consulenti, anche
della stessa Amministrazione, che già svolgono analoghi compiti di
consulenza variamente retribuiti.
Da qui il contrasto anche con l’art. 3 Cost..
2) Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12
sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità
con delibera n. 907 del 24.10.2018.
I servizi che il Ministero intimato intende acquisire sono “servizi legali”
contemplati dall’Allegato IX del Codice dei Contratti pubblici (nell’ambito
del quale rientrano tutti i servizi giuridici che non sono esclusi a norma
dell’articolo 17, comma 1, lettera d, del Codice dei contratti pubblici).
Come affermato dall’ANAC nelle menzionate Linee Guida, i relativi
affidamenti, non essendo ricompresi, da un punto di vista prestazionale,
nell’ambito oggettivo, costituirebbero “appalti”, svolti su richiesta delle
stazioni appaltanti nei limiti delle istruzioni ricevute.
Tuttavia la configurazione di un appalto pubblico gratuito, nei termini ivi
prefigurati, sarebbe elusiva della normativa pertinente.
Al riguardo si rileva anzitutto che tutto il sistema della contrattazione
pubblica è imperniato sulla sinallagmaticità del contratto di appalto, per
cui l’esistenza del corrispettivo sarebbe imprescindibile.
Il corrispettivo dovrebbe non soltanto esistere, ma anche essere congruo in
relazione all’impegno profuso dal contraente ed essere equo.
Ciò sarebbe garantito dalla Costituzione ed imposto dalla legge.
In proposito le Linee Guida Anac prevedono che, anche per i contratti
esclusi ex art. 17, l’Amministrazione debba garantire “l’equità del
compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto
ministeriale 08.03.2018, n. 37”, atteso che “il risparmio di spesa non è
il criterio di guida nella scelta che deve compiere l’amministrazione”.
In ogni caso, anche a voler per ipotesi concedere che una remunerazione
possa non tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque
inammissibile prevedere che l’incarico sia svolto in perdita, senza quindi
una forma di contributo alle spese sostenute.
Peraltro, al di là della gratuità, la scelta del contraente/consulente
prefigurata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’avviso
impugnato sulla base della sola valutazione curriculare e senza la
previsione di un prezzo violerebbe i principi e le disposizioni di cui agli
artt. 140 ss. del d.lgs. 50/2016 e, in particolare, quelli sottesi
all’articolo 95 in riferimento al criterio di aggiudicazione.
La disciplina dei contratti pubblici prevede che, fra i criteri di
aggiudicazione, vi siano il prezzo ed altresì la qualità dell’offerta. In
proposito, come affermato da ANAC sempre nelle linee guida n. 12, “la natura
dei servizi in questione e l’importanza degli interessi coinvolti
suggeriscono, anche per gli affidamenti di minor valore, l’utilizzo del
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
Le disposizioni in questione risulterebbero violate anche in quanto
l’Amministrazione non ha predeterminato i criteri sulla base dei quali
procederà alla selezione, limitandosi alla “valutazione dei curricula”.
L’assenza di una comparazione sulla scorta di criteri predeterminati sarebbe
peraltro comprovata dalla mancata previsione di una graduatoria di merito o
dell’attribuzione di punteggi.
Si verificherebbe inoltre un’evidente sproporzione tra l’individuazione di
requisiti di partecipazione particolarmente qualificanti e il “valore” della
commessa.
L’avviso sarebbe altresì irragionevolmente carente dell’indicazione del
fabbisogno numerico di professionisti da contrattualizzare e dell’ambito
dell’incarico, non essendo specificate le prestazioni richieste, la cui
individuazione è rimessa al contratto.
Non consterebbe inoltre che il Ministero abbia fornito motivazioni circa la
gratuità e le particolari ragioni di urgenza o emergenza, in virtù delle
quali si potrebbe eventualmente giustificare, limitatamente alla procedura
così indetta, il ricorso ad una selezione “indeterminata” quanto alla
procedura ed all’esito.
Tali circostanze violerebbero l’art. 142, comma 5-quater, del d.lgs. n.
50/2016, in combinato disposto con l’art. 21, che impongono alle
Amministrazioni di dotarsi di strumenti di programmazione e di
predeterminazione del fabbisogno.
Il provvedimento violerebbe anche il principio di pubblicità degli avvisi,
che impone il rispetto delle misure di cui all’art. 142 del d.lgs. 50/2016 e
comunque richiede che i soggetti interessati abbiano un agevole accesso, in
tempo utile, a tutte le informazioni necessarie relative alla procedura
prima che essa sia aggiudicata, in modo da consentire l’eventuale
manifestazione di interesse da parte dei professionisti.
3) Eccesso di potere per difetto di istruttoria - difetto di motivazione.
L’Amministrazione non avrebbe svolto una verifica adeguata né in ordine
all’opportunità di individuare un meccanismo di selezione diverso né in
relazione alla reale necessità di coinvolgere specifiche professionalità in
funzione di impegni determinati.
Inoltre non si comprenderebbe l’iter logico-giuridico seguito
dall’Amministrazione, all’esito del quale essa ha pubblicato l’avviso de
quo.
L’Amministrazione non potrebbe neppure invocare il principio del
contenimento della spesa pubblica, in quanto quest’ultimo obiettivo non può
essere assicurato violando altre norme di legge, anche e soprattutto di
rango costituzionale.
Si impugna anche la nota n. 48 dell’08.03.2019 dell’Ufficio Stampa del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la quale l’Amministrazione ha
specificato –a fronte delle polemiche suscitate– che i) l’avviso “non
costituisce un’opportunità lavorativa”; ii) la consulenza “non è da
intendersi come rapporto di lavoro o fornitura di un servizio
professionale”; iii) “l’invito è rivolto a personalità affermate,
principalmente provenienti dal mondo accademico, che, in ottica di
collaborazione istituzionale, desiderino offrire la propria esperienza in
termini di idee e soluzioni tecniche in materie molto complesse”; iv) “la
procedura posta in essere dal MEF garantisce al Paese che l’Amministrazione,
prima di elaborare norme e disegnare strumenti, assicuri un doveroso
confronto con gli esperti di alto profilo competenti in materia che l’Italia
sa offrire” e v) che “esula completamente da questi rapporti, quindi, il
tema dell’equo compenso che si riferisce a rapporti professionali di lavoro
nell’ambito del settore privato”.
I suddetti chiarimenti darebbero ragione di tutti i vizi denunciati innanzi.
Un “confronto con gli esperti di alto profilo competenti in materia” assunto
“prima di elaborare norme e disegnare strumenti” sarebbe una richiesta di
prestazione d’opera intellettuale e, nello specifico, un servizio di
consulenza legale.
Non sarebbe vero nemmeno che l’invito sia rivolto a “personalità affermate,
principalmente provenienti dal mondo accademico”: i requisiti di
partecipazione menzionati nell’avviso indicano 5 anni di esperienza nel
settore giuridico di competenza, alternativamente in ambito accademico o
professionale.
Non si tratterebbe di una “collaborazione istituzionale”, ai fini della
quale il Ministero avrebbe potuto rivolgersi in via diretta e con altre
modalità alle istituzioni preposte, una su tutte agli Ordini degli Avvocati
ricorrenti.
Anche a voler, per ipotesi, concedere che si tratti di una diversa, quanto
nuova, atipica ed indeterminata forma di collaborazione “istituzionale”,
l’apporto consulenziale comunque accordato dal singolo professionista non
troverebbe in alcun modo una giustificazione causale.
Sarebbe palesemente illegittimo l’assunto finale del Ministero secondo il
quale esulerebbe da questi rapporti il tema dell’equo compenso “che si
riferisce a rapporti professionali di lavoro nell’ambito del settore
privato”, essendo ormai pacifico che l’applicazione del menzionato principio
rappresenta –per espresso riconoscimento legislativo (art. 19-quaterdecies,
comma 3, del D.L. n. 148/2017)– un dovere anche per tutte le
Amministrazioni pubbliche.
Infine, anche alla luce del chiarimento, l’Amministrazione non potrebbe
invocare nemmeno l’art. 7, comma 6, del d.lgs. 165/2001, atteso che, in
forza della normativa menzionata, anche tali incarichi beneficerebbero della
garanzia di un equo compenso.
Infine l’art. 7 del d.lgs. 165/2001 sarebbe inconferente, in quanto riguarda
“contratti di lavoro autonomo”, nella specie non configurabili.
...
IV - Il ricorso è privo di fondamento per le ragioni di seguito esposte.
V - Occorre inquadrare correttamente l’oggetto dell’avviso, impugnato col
ricorso in esame.
Con il predetto avviso, diretto a giuristi del mondo accademico e/o forense,
in possesso di esperienza di almeno 5 anni documentabile, anche a livello
europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario,
bancario, pubblico dell'economia o dei mercati finanziari o dei principi
contabili e bilanci societari, si chiede agli stessi una mera manifestazione
di interesse a prestare, senza che sia prefissata la frequenza e l’entità
dell’eventuale ‘prestazione’ nell’arco temporale di due anni, la propria
consulenza nelle stesse suddette materie “in vista anche dell’adozione e/o
integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro,
dell'adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive/regolamenti
comunitari”.
V.1 - La genericità non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che
lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo.
Come, infatti, è stato anche precisato con il comunicato stampa che ha
fornito i dovuti chiarimenti in ordine alla sua portata, all’esito della
valutazione dei curricula obbligatoriamente inviati dai su indicati
professionisti, non s’instaura alcun rapporto di lavoro né è prevista la
fornitura di un servizio professionale.
VI – Si deve ulteriormente evidenziare la previsione della possibilità, per
il professionista, di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque
momento.
VI.1 - Il prescritto preavviso di 30 giorni per esercitare tale diritto
obbedisce ad una mera esigenza organizzativa: in altre parole,
l’Amministrazione ha necessità di conoscere
ex ante sull’apporto di quali
professionalità nell’esame di questioni rilevanti può contare in un
determinato periodo.
VI.2 - L’obbligo, per il professionista, di concludere la propria attività
su eventuali questioni in corso è invece funzionale a garantire un’azione
della Pubblica Amministrazione efficace, che persegue il buon andamento:
un’interruzione potrebbe, infatti, determinare perdite di tempo e degli
apporti qualificati già conferiti dai professionisti che non intendano più
portare avanti la consulenza.
VI.3 – Sono elementi che fanno escludere la riconduzione della consulenza
all’ambito dei servizi, il cui affidamento è sottoposto alla disciplina del
Codice dei Contratti pubblici.
VI.4 - Conduce a tale conclusione anche l’assenza della previsione del
numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale
dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una
selezione vera e propria, con una graduatoria finale.
VI.5 - Perciò è evidente che nessun obbligo di applicare le norme del d.lgs.
n. 50/2016 sussisteva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
VII - La prescrizione di requisiti minimi si rendeva invece evidentemente
necessaria per acquisire manifestazioni di interesse solo da parte di
soggetti qualificati che, ove ritenuti idonei sulla base della valutazione
dei propri curricula, possano effettivamente dare un contributo rilevante
nelle materie e nell’ambito delle attività indicate nell’avviso censurato.
VIII - Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della
consulenza appare legittimo.
VIII.1 - Deve rilevarsi in proposito che nel nostro ordinamento non si
rinviene alcun divieto in tal senso.
VIII.2 - Non può ritenersi che la disciplina dell’equo compenso,
diffusamente ed analiticamente descritta dalla parte ricorrente ed
erroneamente invocata a sostegno delle proprie tesi, presenti tale carattere
ostativo.
Essa deve, infatti, intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro
sia stabilito, esso non possa che essere equo.
VIII.3 - Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in
alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria
consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei
due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in
denaro.
Lo stesso può invece in questo caso trarre vantaggi di natura diversa, in
termini di arricchimento professionale legato alla partecipazione ad
eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché
quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum
vitae.
Non bisogna dimenticare al riguardo che, se è vero che viene richiesta una
determinata esperienza documentabile negli ambiti di materia indicati
nell’avviso, è altresì vero che non si tratta di un’esperienza che può
essere vantata solo da professionisti che lavorano da lunghissimo periodo e
che per ciò stesso potrebbero non ricevere stimoli e vantaggi in termini
curriculari.
Il vaglio dei curricula garantisce al Ministero di scegliere solo quanti
siano ritenuti in concreto in grado di fornire un apporto valido, il che
assicura lo stesso in ordine al livello qualitativo elevato della
consulenza, ove acquisita.
Tuttavia potrebbe trattarsi di professionisti ancora giovani che, sebbene
qualificati, trovino ancora molti stimoli professionali nell’attività
descritta nell’avviso e ravvisino altresì nella stessa un’opportunità per
arricchire il proprio curriculum.
D’altronde anche professionisti con un bagaglio professionale consistente
potrebbero avere interesse, in quanto stimolante, a contribuire, con la
propria professionalità, all’elaborazione di norme per l’adeguamento
dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari.
IX - Dalle argomentazioni svolte nella presente disamina deriva che l’avviso
impugnato è legittimo ed il ricorso è infondato e deve essere respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 30.09.2019 n. 11410 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: «No»
al finanziamento delle sole spese di progettazione dell'opera senza le fasi
successive.
Stop al finanziamento delle sole spese di progettazione svincolate dalle
successive fasi di esecuzione dei lavori e finalizzazione dell'opera;
l'affidamento di un incarico di progettazione va necessariamente correlato
non solo a un'opera che sia stata programmata, ma anche a un'indicazione
sulla effettiva reperibilità delle risorse necessarie per la sua
realizzazione.
Con il
parere 12.09.2019 n. 352, la Sezione
regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia affronta, su
richiesta di un Comune, la pratica diffusa tra gli enti, a fronte della
mancanza di disponibilità di risorse per l'intera opera, di conferire un
incarico per le sole spese relative alla progettazione, imputandole al
titolo II, nella speranza di reperire in un momento successivo quelle
necessarie per il finanziamento dell' opera intera.
Dopo le novità del Dm 01.03.2019, la contabilizzazione, tra gli
investimenti, delle spese per il livello minimo di progettazione, richiede
che i documenti di programmazione dell'ente, che definiscono gli indirizzi
generali riguardanti gli investimenti e la realizzazione delle opere
pubbliche (Dup, Defr o altri documenti di programmazione), individuino in
modo specifico l'investimento a cui la spesa di progettazione è destinata,
prevedendone, altresì, le necessarie forme di finanziamento. Secondo i
giudici contabili, la contabilizzazione deve discendere da una chiara e
trasparente programmazione dell'opera da realizzare, dove l'indicazione
«specifica» delle «necessarie» forme di finanziamento ha un ruolo di
particolare rilievo.
In una fase successiva rispetto alla verifica del livello di progettazione
minima, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori
pubblici e le relative spese sono stanziate nel titolo II del bilancio di
previsione, con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera
complessiva. Ciò che rileva, dunque, per la corretta contabilizzazione della
spesa di progettazione è il riferimento agli stanziamenti «riguardanti
l'opera complessiva» a cui la fase progettuale è funzionalmente e
strutturalmente correlata.
Va evidenziato inoltre che la progettazione di un'opera, seppur articolata
secondo livelli, non può prescindere da un quadro trasparente determinato a
monte, relativo alla sua realizzazione e, sotto il profilo contabile, a una
chiara previsione ed effettiva individuazione delle forme di finanziamento.
La Corte dei conti ritiene, pertanto, che il conferimento di un incarico
relativo alle spese di progettazione, da contabilizzare tra le spese di
investimento, vada inserito nell'ambito di una effettiva e concreta
programmazione dell'opera, ove, di conseguenza, anche le risorse e i mezzi
finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o conoscibili
ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare che si faccia ricorso
a un affidamento non finalizzato al perseguimento di un concreto interesse
pubblico.
Risulta, altresì, indispensabile, proseguono i giudici, l'accertamento della
fattibilità e della finanziabilità dell'opera pubblica, quale condizione
minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di
progettazione, al fine di evitare una spesa di denaro pubblico inutile, nel
rispetto del più generale criterio di diligenza, che deve sempre
caratterizzare l'agire pubblico. Ciò vale anche nell'ipotesi in cui si
decida di far rientrare l'affidamento dell'incarico tra le spese correnti.
Conferimento dell'incarico
Infine, i giudici si soffermano sulle ipotesi vagliate dalla giurisprudenza
in tema di conferimento di incarichi subordinati alla concessione di
finanziamenti per la realizzazione di un' opera pubblica. L'inserimento nel
contratto d'opera professionale di una clausola di copertura finanziaria, in
base alla quale l'ente pubblico territoriale subordina il pagamento del
compenso al professionista alla concessione di un finanziamento, non
consente di derogare alle procedure di spesa, che non possono essere
differite al momento dell'erogazione del finanziamento; in mancanza di
finanziamento, il rapporto obbligatorio non è riferibile all'ente ma
intercorre tra il privato e l'amministratore o funzionario che abbia assunto
l'impegno.
L'articolo 24, comma 8-bis, del Dlgs 50/2016, da ultimo, prevede che le
stazioni appaltanti non possono subordinare la corresponsione dei compensi
relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività
tecnico-amministrative ad essa connesse, all'ottenimento del finanziamento
dell'opera progettata. Nella convenzione stipulata con il soggetto
affidatario sono previste le condizioni e le modalità per il pagamento dei
corrispettivi (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
10.10.2019).
---------------
La Sezione si pronuncia sul conferimento e sulla contabilizzazione di
incarichi di progettazione, anche alla luce delle modifiche introdotte dal
D.M. 01.03.2019 all’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118/2011.
La Sezione evidenzia
che per la corretta contabilizzazione della spesa di progettazione rileva il
riferimento agli stanziamenti sull’opera complessiva, a cui la fase
progettuale è funzionalmente e strutturalmente correlata.
Va, altresì,
rimarcato che la progettazione di un’opera, seppur articolata secondo
livelli, non può prescindere da un quadro trasparente e determinato a monte,
relativamente alla sua realizzazione e, sotto il profilo contabile,
relativamente ad una chiara previsione ed effettiva contezza delle relative
forme di finanziamento.
Il conferimento di un incarico relativo alle spese
di progettazione, secondo le regole predette e da contabilizzare tra le
spese di investimento, pertanto, va inserito nell’ambito di una effettiva e
concreta programmazione dell’opera, ove anche le risorse e i mezzi
finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o conoscibili
ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare che si faccia ricorso
ad un affidamento non funzionalizzato al perseguimento di un concreto
interesse pubblico.
Risulta, altresì, indispensabile l’accertamento della
fattibilità e della finanziabilità dell’opera pubblica, quale condizione
minima e imprescindibile per il conferimento di un incarico di
progettazione; ciò vale anche nell’ipotesi in cui si decida di far rientrare
l’affidamento dell’incarico tra le spese correnti, dovendo l’ente, se del
caso, valutare attentamente tale possibilità, pur sempre nel rispetto dei
principi e delle regole contabili e del perseguimento dell’interesse
pubblico della comunità amministrata.
---------------
Il Sindaco del Comune di Trescore
Balneario (BG) chiede un parere in merito al seguente quesito.
“Il principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria
di cui all’Allegato n. 4/2 del D.Lgs. 118/2011, così come modificato dal
decimo decreto correttivo del 01.03.2019, al punto 5.3.14 prevede, con
riferimento alla registrazione contabile delle spese per interventi inseriti
nel programma triennale dei lavori pubblici e nell’elenco annuale che “A
seguito della validazione del livello di progettazione minima previsto
dall’articolo 21 del d.lgs. 50 del 2016, gli interventi sono inseriti nel
programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese sono stanziate
nel Titolo II del bilancio di previsione. L’inserimento di un intervento nel
programma triennale dei lavori pubblici consente l’iscrizione nel bilancio
di previsione degli stanziamenti riguardanti l’ammontare complessivo della
spesa da realizzare, nel rispetto del principio della competenza finanziaria
cd. potenziata. Gli stanziamenti sono interamente prenotati a seguito
dell’avvio del procedimento di spesa e sono via via impegnati a seguito dei
contratti concernenti le fasi di progettazione successive al minimo o la
realizzazione dell’intervento. Gli impegni sono imputati contabilmente nel
rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata”.
Il nostro ente ha attualmente la disponibilità di risorse per le sole spese
di progettazione (di livello minimo e successive al livello minimo) e non
anche per il finanziamento dell’intera opera cui la progettazione si
riferisce.
Considerate tali premesse e considerato che molto spesso per ottenere
punteggi più elevati nell’ambito di finanziamenti a fondo perduto è
necessario disporre di un progetto definitivo ed esecutivo, è possibile
conferire un incarico per le sole spese relative alla progettazione
imputandole al titolo II, nella speranza di reperire in un momento
successivo le necessarie risorse per il finanziamento dell’intera opera?”.
...
2.1. Il D.M. 01.03.2019 (pubblicato in G.U. 25.03.2019, n. 71), all’articolo
3, ha apportato diverse modifiche al principio contabile applicato,
concernente la contabilità finanziaria di cui all’allegato 4/2 del d.lgs. n.
118/2011.
Tra le modifiche introdotte, va segnalato l’inserimento dei paragrafi
5.3.12, 5.3.13 e 5.3.14.
In particolare, il paragrafo 5.3.12 riguarda la registrazione contabile
delle spese per il livello minimo di progettazione richiesto per
l’inserimento di un intervento nel programma triennale dei lavori pubblici e
nell’elenco annuale e prevede che “La spesa riguardante il livello minimo
di progettazione, richiesto ai fini dell'inserimento di un intervento nel
programma triennale dei lavori pubblici, è registrata nel bilancio di
previsione prima dello stanziamento riguardante l'opera cui la progettazione
si riferisce. Per tale ragione, affinché la spesa di progettazione possa
essere contabilizzata tra gli investimenti, è necessario che i documenti di
programmazione dell'ente, che definiscono gli indirizzi generali riguardanti
gli investimenti e la realizzazione delle opere pubbliche (DUP, DEFR o altri
documenti di programmazione), individuino in modo specifico l'investimento a
cui la spesa di progettazione è destinata, prevedendone altresì le
necessarie forme di finanziamento. In tal caso, la spesa di progettazione
"esterna", consistente in una delle fattispecie previste dall'art. 24, comma
1, esclusa la lettera a), del d.lgs. n. 50 del 2016, è registrata, nel
rispetto della natura economica della spesa, al Titolo II della spesa, alla
voce U.2.02.03.05.001 "Incarichi professionali per la realizzazione di
investimenti" del modulo finanziario del piano dei conti integrato previsto
dall'allegato 6 al presente decreto. I principi contabili riguardanti la
progettazione esterna si applicano anche alle ipotesi di ricorso a una
centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati. Nel caso di
progettazione "interna", di cui al comma 1, lettera a), dell'art. 24, d.lgs.
n. 50 del 2016, le relative spese sono contabilizzate secondo la natura
economica delle stesse al Titolo I o al Titolo II della spesa. La
capitalizzazione delle spese riguardanti il livello minimo di progettazione
è effettuata attraverso le scritture della contabilità economico
patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in contabilità finanziaria.
Nel caso in cui la copertura dell'intervento sia costituita da un contributo
per il finanziamento dell'opera, comprensivo della spesa di progettazione,
concesso nell'esercizio successivo a quello in cui è stata impegnata la
spesa concernente la progettazione, per la quota riguardante la
progettazione il contributo è gestito come entrata libera, in quanto il
relativo vincolo è già stato realizzato e può essere destinato alla
copertura di spese correnti”.
Il paragrafo 5.3.13 riguarda la registrazione contabile delle spese di
progettazione riguardanti lavori di valore stimato, inferiore a 100.000
euro, prevedendo che “La spesa concernente gli interventi di valore
stimato inferiore a 100.000 euro è stanziata in bilancio anche se detti
interventi non sono inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici. In
tali casi, la spesa di progettazione è registrata nel Titolo II della spesa,
con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel
caso di progettazione interna che di progettazione esterna, in attuazione
dell'art. 113, comma 1, del Codice, il quale prevede "Gli oneri inerenti
alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore
dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero
alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle
ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di
coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione
quando previsti ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, alle
prestazioni professionali e specialistiche necessari per la redazione di un
progetto esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti
previsti per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture negli stati di
previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti". In ogni
caso, gli stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione
sono classificati tra le spese di personale (spesa corrente). La
capitalizzazione di tali spese è effettuata attraverso le scritture della
contabilità economico patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in
contabilità finanziaria”.
Infine, il nuovo paragrafo 5.3.14 –relativo alla registrazione contabile
delle spese per gli interventi inseriti nel programma triennale dei lavori
pubblici e nell’elenco annuale– prevede che “A seguito della validazione
del livello di progettazione minima previsto dall'articolo 21 del d.lgs. 50
del 2016, gli interventi sono inseriti nel programma triennale dei lavori
pubblici e le relative spese sono stanziate nel Titolo II del bilancio di
previsione. L'inserimento di un intervento nel programma triennale dei
lavori pubblici consente l'iscrizione nel bilancio di previsione degli
stanziamenti riguardanti l'ammontare complessivo della spesa da realizzare,
nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd. potenziata. In
particolare, nei casi in cui la copertura di tali spese risulti costituita
da entrate esigibili nel medesimo esercizio in cui sono esigibili le spese
correlate, nel bilancio di previsione gli stanziamenti di entrata e di spesa
sono iscritti distintamente con imputazione ai singoli esercizi di
esigibilità. Nei casi in cui la copertura di tali spese risulti costituita
da entrate esigibili anticipatamente rispetto all’esigibilità delle spese
correlate, nel bilancio di previsione è iscritto il fondo pluriennale
vincolato di spesa. Gli stanziamenti sono interamente prenotati a seguito
dell'avvio del procedimento di spesa e sono via via impegnati a seguito
della stipula dei contratti concernenti le fasi di progettazione successive
al minimo o la realizzazione dell'intervento. Gli impegni sono imputati
contabilmente nel rispetto del principio della competenza finanziaria cd.
potenziata. La spesa di progettazione riguardante i livelli successivi a
quello minimo richiesto per l'inserimento di un intervento nel programma
triennale dei lavori pubblici è registrata nel titolo secondo della spesa,
con imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel
caso di progettazione interna che di progettazione esterna, in attuazione
dell'art. 113, comma 1, del Codice, il quale prevede "Gli oneri inerenti
alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore
dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero
alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle
ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di
coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione
quando previsti ai sensi del decreto legislativo 09.04.2008 n. 81, alle
prestazioni professionali e specialistiche necessari per la redazione di un
progetto esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti
previsti per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture negli stati di
previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti". In ogni
caso, gli stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione
sono classificati tra le spese di personale (spesa corrente). La
capitalizzazione di tali spese è effettuata attraverso le scritture della
contabilità economico patrimoniale e non richiede alcuna rilevazione in
contabilità finanziaria”.
2.2. Dalle modifiche introdotte e sopra riportate, emerge che
per la contabilizzazione, tra gli investimenti, delle spese per il livello minimo
di progettazione, è necessario che i documenti di programmazione dell'ente,
che definiscono gli indirizzi generali riguardanti gli investimenti e la
realizzazione delle opere pubbliche (DUP, DEFR o altri documenti di
programmazione), individuino in modo specifico l'investimento a cui la spesa
di progettazione è destinata, prevedendone, altresì, le necessarie forme di
finanziamento.
In tal caso, la spesa di progettazione "esterna", consistente in una
delle fattispecie previste dall'art. 24, comma 1, esclusa la lettera a), del
d.lgs. n. 50 del 2016, è registrata, nel rispetto della natura economica
della spesa, al Titolo II della spesa, alla voce U.2.02.03.05.001 "Incarichi
professionali per la realizzazione di investimenti" del modulo
finanziario del piano dei conti integrato previsto dall'allegato 6 al
presente decreto.
Nel caso di progettazione "interna", di cui al
comma 1, lettera a), dell'art. 24, d.lgs. n. 50 del 2016, le relative spese
sono contabilizzate secondo la natura economica delle stesse al Titolo I o
al Titolo II della spesa.
Ne deriva che
la contabilizzazione in parola consegue ad una chiara e
trasparente programmazione dell’opera da realizzare, rispetto a cui
l’indicazione “specifica” delle “necessarie” forme di finanziamento
ne costituisce parte integrante.
Le previsioni di cui al paragrafo 5.3.14 attengono, sotto il profilo
cronologico, ad una fase successiva rispetto alla validazione del livello di
progettazione minima, previsto dall'articolo 21 del d.lgs. 50 del 2016, con
la conseguenza che, a seguito di tale validazione, gli interventi sono
inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici e le relative spese
sono stanziate nel Titolo II del bilancio di previsione.
In particolare, la spesa di progettazione riguardante i livelli successivi a
quello minimo richiesto per l'inserimento di un intervento nel programma
triennale dei lavori pubblici è registrata nel Titolo II della spesa, con
imputazione agli stanziamenti riguardanti l'opera complessiva, sia nel caso
di progettazione interna che di progettazione esterna. In ogni caso, gli
stipendi del personale dell'ente incaricato della progettazione sono
classificati tra le spese di personale (spesa corrente).
Ciò che rileva, dunque, per la corretta contabilizzazione della spesa di
progettazione è il riferimento agli stanziamenti “riguardanti l’opera
complessiva” a cui, in definitiva, la fase progettuale è funzionalmente
e strutturalmente correlata, ai fini del rispetto delle previsioni dei
principi contabili in parola.
In linea generale, inoltre, va evidenziato che
la progettazione di un’opera,
seppur articolata secondo livelli, non può prescindere da un quadro
trasparente e determinato a monte, relativamente alla sua realizzazione e,
sotto il profilo contabile, relativamente ad una chiara previsione ed
effettiva contezza delle relative forme di finanziamento.
La Sezione ritiene, pertanto,
che il conferimento di un incarico relativo
alle spese di progettazione, secondo le regole predette e da contabilizzare
tra le spese di investimento, vada inserito nell’ambito di una effettiva e
concreta programmazione dell’opera, ove, di conseguenza, anche le risorse e
i mezzi finanziari complessivi da utilizzare devono essere conosciuti o
conoscibili ex ante, con un grado di attendibilità tale da evitare
che si faccia ricorso ad un affidamento –e quindi vengano utilizzate risorse
pubbliche– non funzionalizzato al perseguimento di un concreto interesse
pubblico.
2.3. Occorre, altresì, aggiungere che lo stesso D.M. 01.03.2019, a seguito
delle previsioni normative di cui alla legge n. 145/2018 (articolo 1, commi
909-911), ha apportato modifiche anche in tema di formazione del Fondo
Pluriennale Vincolato (FPV), evidenziando l’importanza del principio di
correlazione dell’acquisizione delle risorse con il reale e monitorato
programma di sviluppo della spesa stessa, ove assume particolare rilievo
l’esatta e specifica declinazione delle fasi che attraversano l’arco
temporale che va dall’inserimento dell’opera nel programma triennale fino
alla esecuzione della stessa.
Sul punto, nella deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 19/SEZAUT/2019/INPR,
del 24.07.2019, si fa presente che “Le modifiche apportate dal predetto
provvedimento anticipano i tempi di costituzione del FPV a quello
dell'affidamento della progettazione successiva al livello minimo,
consentendo la prenotazione dell’intero stanziamento di spesa iscritto in
bilancio dopo l’inserimento dell’intervento nel programma triennale delle
opere pubbliche. È quanto mai opportuno alla luce di queste novità ricordare
che il Fondo funziona ed assolve al suo ruolo di contenitore dinamico
dell’acquisizione ed impiego di risorse nella misura in cui realmente è
correlato allo sviluppo del programma di spesa. Misuratore di efficacia di
questo istituto è il suo effettivo utilizzo. Le modifiche apportate al
principio contabile applicato impongono attenzione proprio su detto profilo,
portando in primo piano la necessità di un costante monitoraggio dello
sviluppo dei programmi di spesa per giustificare le ragioni della sua
conservazione e per garantire il corretto utilizzo del FPV. È evidente,
infatti, che più si dilata lo spazio temporale tra acquisizione delle
risorse e utilizzo delle stesse, più cresce l’esigenza di monitoraggio.
Questo spazio è teoricamente individuato nella declinazione delle fasi che
attraversano l’arco temporale che va dall’inserimento dell’opera nel
programma triennale fino alla esecuzione della stessa. Risulta, dunque,
necessario che detto arco temporale venga mantenuto in limiti fisiologici
affinché il complessivo sviluppo della filiera procedimentale non sbiadisca
la natura tipica del FPV quale strumento di rappresentazione della
programmazione e previsione delle spese pubbliche territoriali che possa
evidenziare con trasparenza e attendibilità il procedimento di impiego delle
risorse acquisite dall’ente. Detta esigenza risulta garantita se e nella
misura in cui il tempo che trascorre identifica sempre il tempo
dell’adempimento della prestazione contenuto dell’obbligazione in via di
perfezionamento. Secondo la disciplina del riformato principio contabile la
legittima conservazione delle risorse accantonate nel fondo a copertura di
spese di investimento non impegnate, presuppone sempre e comunque due
condizioni e cioè l’intero accertamento delle relative entrate e
l’inserimento dell’intervento nel programma triennale, con l’eccezione dei
lavori pubblici di importo tra 40 e 100mila euro. A queste condizioni
indispensabili e contestualmente verificate si aggiungono talune qualificate
situazioni alternative di seguito indicate quali l’impegno parziale del
quadro economico sulla base di precise obbligazioni giuridicamente
perfezionate ovvero l’attivazione delle procedure di affidamento dei livelli
di progettazione successivi al minimo e l’attivazione delle procedure di
affidamento dell’intervento da realizzare avviate dopo la validazione del
progetto da porsi a base della gara stessa.”.
2.4. Le disposizioni del d.lgs. n. 50/2016 -da ultimo modificato dal D.L. n.
32/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 55/2019– confermano
tale impostazione, laddove, all’articolo 21, comma 1, si prevede che le
amministrazioni aggiudicatrici adottano il programma triennale dei lavori e
che tali programmi sono approvati nel rispetto dei documenti programmatori e
in coerenza con il bilancio e, “per gli enti locali, secondo le norme che
disciplinano la programmazione economico-finanziaria degli enti”.
Al successivo comma 3, l’articolo 21 stabilisce, altresì, che il programma
triennale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti annuali contengono
i lavori il cui valore stimato sia pari o superiore a 100.000 euro e “indicano,
previa attribuzione del codice unico di progetto.., i lavori da avviare
nella prima annualità, per i quali deve essere riportata l'indicazione dei
mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio,
ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni
a statuto ordinario o di altri enti pubblici…”.
Ancora, l’articolo 23 del d.lgs. n. 50/2016, nel prevedere che la
progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli
di successivi approfondimenti tecnici (progetto di fattibilità tecnica ed
economica, progetto definitivo e progetto esecutivo), pone l’accento sulla
rilevanza della quantificazione delle spese per la realizzazione dell’opera
e del relativo cronoprogramma.
Ne deriva, dunque, che
la progettazione di un’opera pubblica non può
costituire un’attività fine a sé stessa e svincolata dalle successive fasi
di esecuzione dei lavori e finalizzazione dell’opera, con la conseguenza che
l’affidamento di un incarico di progettazione va ontologicamente correlato
non solo ad un’opera che sia stata programmata, ma anche ad un’indicazione
sulla effettiva reperibilità delle risorse necessarie per la sua
realizzazione.
Risulta, altresì, indispensabile l’accertamento della fattibilità e della
finanziabilità dell’opera pubblica, quale condizione minima e
imprescindibile per il conferimento di un incarico di progettazione, al fine
di evitare una spesa di denaro pubblico inutile
(vd. Corte dei conti
Sicilia, Sez. App., 24/11/2008, n. 364)
e nel rispetto del più generale
criterio di diligenza, che deve sempre caratterizzare l’agere
pubblico.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui si decida di far rientrare l’affidamento
dell’incarico tra le spese correnti, dovendo l’ente, se del caso, valutare
attentamente tale possibilità, pur sempre nel rispetto dei principi e delle
regole contabili e del perseguimento dell’interesse pubblico della comunità
amministrata.
2.5. Da ultimo, ed al solo fine di riferire circa le ipotesi vagliate dalla
giurisprudenza in tema di conferimento di incarichi subordinati alla
concessione di finanziamenti per la realizzazione di un'opera pubblica,
si
rammenta che, ai sensi dell’articolo 191 del TUEL, “Gli enti locali
possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul
competente programma del bilancio di previsione e l'attestazione della
copertura finanziaria di cui all'articolo 153, comma 5… Fermo restando
quanto disposto al comma 4, il terzo interessato, in mancanza della
comunicazione, ha facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i
dati non gli vengano comunicati” e che l’inserimento nel contratto
d’opera professionale di una clausola di cd. copertura finanziaria –in base
alla quale l’ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso
al professionista incaricato della progettazione di un’opera pubblica alla
concessione di un finanziamento– non consente di derogare alle procedure di
spesa, che non possono essere differite al momento dell’erogazione del
finanziamento; in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile
all’ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e
l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno
(vd. Cass.,
18/12/2014, n. 26657; Cass. civ., Sez. I, ord. 20/03/2018, n. 6970; Cass.
civ., ord. 11/03/2019, n. 6919).
Si ricorda, infine, che ai sensi dell’articolo 24, comma 8-bis, del d.lgs.
n. 50/2016 (comma aggiunto dall'art. 14, comma 1, lett. d), d.lgs.
19.04.2017, n. 56) “Le stazioni appaltanti non possono subordinare la
corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e
delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse all'ottenimento del
finanziamento dell'opera progettata. Nella convenzione stipulata con il
soggetto affidatario sono previste le condizioni e le modalità per il
pagamento dei corrispettivi con riferimento a quanto previsto dagli articoli
9 e 10 della legge 02.03.1949, n. 143, e successive modificazioni”. |
luglio 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Danno erariale al segretario comunale che autorizza l'incarico professionale
esterno a un dipendente dell'Ente.
I dipendenti della Pa a tempo parziale -che svolgono un orario lavorativo
non superiore alle 18 ore settimanali- possono essere autorizzati dall'ente
di appartenenza anche a svolgere altra attività lavorativa, inclusa quella
professionale a partita Iva. Tuttavia, l'amministrazione non può conferire
un incarico professionale esterno al medesimo dipendente.
Queste sono in
sintesi le conclusioni della Corte dei conti - Sez. giurisdiz. Puglia (sentenza
31.07.2019 n.
501) che ha condannato per danno erariale in solido il responsabile del
servizio finanziario e il segretario comunale che ha autorizzato l'incarico
esterno di resistenza nei giudizi tributari al medesimo responsabile del
servizio finanziario e dei tributi.
La vicenda
Il commissario straordinario di un Comune di modeste dimensioni aveva
attivato le procedure di recupero delle somme indebitamente corrisposte al
responsabile finanziario e dei tributi per l'incarico professionale di
resistenza in giudizio davanti alle commissioni tributarie.
In
considerazione del mancato versamento degli importi, la Procura della Corte
dei conti ha chiamato a rispondere di danno erariale sia il segretario
comunale, per aver espresso parere favorevole all'incarico professionale al
dipendente, sia il responsabile finanziario e dei tributi che, pur a
conoscenza della normativa, ha formalizzato e ricevuto le parcelle
professionali.
Nel caso di specie, la Procura ha contestato un reale
conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo soggetto, in quanto
l'attività di recupero tributario, non può che rientrare nelle funzioni
istituzionali dell'ente e del responsabile del settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo stesso soggetto che svolge,
all'interno, le funzioni di responsabile del servizio.
La difesa dei convenuti
Nelle memorie di costituzione in giudizio è stato rilevato come il
responsabile finanziario fosse un dipendente in part-time, con orario non
superiore alla metà del tempo pieno, autorizzato dall'ente a svolgere
attività professionale esterna.
La disposizione legislativa -articolo 11,
comma 3, Dlgs 546/1992– prevede espressamente che «L'ente locale nei cui
confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il
dirigente dell'ufficio tributi …», mentre l'articolo 15, comma 2-bis,
dispone che «Nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore,
dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui
all'articolo 53 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se
assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la
liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del
venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto».
La decisione del collegio contabile
I giudici contabili pugliesi oltre a ritenere fondate le conclusioni cui è
giunto il Pm contabile, di un reale conflitto tra le due posizioni assunte
dal responsabile finanziario -da un lato resistente in giudizio in quanto
dirigente dell'ufficio tributi e dall'altro lato in qualità di libero
professionista- hanno anche accertato l'inconsistenza del pagamento
previsto dalla normativa.
L'Aran ha, infatti, da sempre chiarito che, per l'attività di difesa avanti
alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta
un'integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di
incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico
intervento di regolazione nell'ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, ha precisato il collegio contabile, non c'è stato alcun
iter contrattuale per forme integrative di incentivi al personale, bensì
l'affidamento al dirigente responsabile del settore finanziario di due
incarichi esterni di rappresentanza del Comune davanti alle commissioni
tributarie, in palese violazione di legge.
Inoltre, stante la consapevolezza dei convenuti di tenere un comportamento
vietato dalla legge, si rientra nell'ipotesi di dolo con conseguente
responsabilità solidale dei convenuti al pagamento delle somme indebitamente
corrisposta al responsabile finanziario
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 26.08.2019).
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MASSIMA
Il thema decidendum del presente giudizio riguarda l’accertamento
della responsabilità dei convenuti –in qualità di dipendenti del Comune di
Roseto Valfortore- per il danno patrimoniale, asseritamente arrecato
all’ente, in conseguenza dell’indebito affidamento di incarico professionale
al responsabile del settore finanziario dott. MI., in difetto dei
presupposti di legge.
...
2. Nel merito, la domanda è fondata.
Occorre premettere che l’obbligo della pubblica
amministrazione di provvedere ai compiti istituzionali con la propria
organizzazione e con il proprio personale, costituisce regola fondamentale
dell’ordinamento, codificata da specifiche disposizioni di legge.
In particolare, l’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, recependo
quanto già previsto dal d.lgs. n. 29 del 1993, ha rafforzato il principio di
onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti delle pubbliche
amministrazioni, stabilendo che il trattamento economico contrattualmente
determinato remunera tutte le funzioni e i compiti loro attribuiti, nonché
qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o,
comunque, conferito dall’Amministrazione presso cui prestano servizio o su
designazione della stessa.
Pertanto, risulta in primo luogo violato il principio di onnicomprensività
della retribuzione, svolgendo il Mi. l’incarico di dirigente a tempo
determinato ex art. 110, comma 2, del d.lgs n. 267 de 2000.
Egli, seppure in regime di part-time, svolgeva le funzioni di
responsabile del settore finanziario e, come tale, era responsabile anche
della gestione dei tributi, ivi compresa, appunto, tutta l'attività relativa
al loro recupero.
Invero, in quanto titolare di posizione organizzativa, al Mi. era già
attribuita l'indennità di posizione, l'indennità di risultato e la specifica
indennità ad personam prevista dall'art. 110, comma 3, del d.lgs. n.
267 del 2000, oltre ad un rimborso spese di viaggio per raggiungere la sede
di servizio (deliberazione della Giunta comunale n. 116 del 13.11.2002).
In merito alle attività attribuite alla responsabilità dell’odierno
convenuto, inoltre, il decreto del Sindaco del Comune di Roseto Valfortore,
n. 5912 del 13.11.2002 dispone espressamente che il dott. Mi. dal 01.01.2003
veniva chiamato o svolgere le funzioni di responsabile del Settore
economico–finanziario, “comprendente tutti servizi economico e finanziari
esemplificativamente riferiti a: ….tributi ed entrate patrimoniali (gestione
di tutte le fasi compreso controllo riscossioni in concessione)”.
Di conseguenza, la rappresentanza dell’ente avanti alle Commissioni
tributarie rientrava appieno tra i compiti istituzionali affidati al Mi.,
con ciò smentendo tutte le eccezioni opposte dai convenuti circa la
legittimità dell’affidamento dell’incarico professionale. Né vi è prova che
l’Amministrazione non fosse in grado di provvedervi per l’eccessivo carico
di lavoro, meramente enunciato dal Mi..
Al riguardo, l'art. 11, comma 3, del D.Lgs 546/1992, come modificato
dall'art. 3-bis del D.L. 31.03.2005, n. 44 prevede espressamente che "L'ente
locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche
mediante il dirigente dell'ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali
privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione
organizzativa in cui è collocato detto ufficio".
Il Procuratore regionale, pertanto, ha correttamente contestato agli odierni
convenuti un reale conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo
soggetto (art. 6, comma 2, d.p.c.m. 117/1989). In particolare, l’attore
pubblico ha osservato che l’attività di recupero dell'ICI, non può che
rientrare nelle funzioni istituzionali dell'ente e del responsabile del
settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo
stesso soggetto che svolge, all'interno, le funzioni di responsabile del
servizio.
Il Collegio non può che condividere tale assunto.
Per l’attività in questione, al dirigente non spettava alcun compenso.
Priva di pregio appare, al riguardo l’eccezione opposta da parte convenuta
secondo cui il compenso sarebbe comunque spettato al Mi. ex art. 15, comma
2-bis (ora comma 2-sexies) del d.lgs n. 546 del 1992 che dispone “Nella
liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della
riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del
decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari,
si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli
avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi
previsto”.
Non vi è dubbio, infatti, che la liquidazione delle spese di difesa avviene
nei confronti dell’Amministrazione, risultata vittoriosa nel giudizio
tributario, e non già nei confronti del soggetto che la rappresenta. Sulla
questione, l'ARAN (RAL 1660) ha chiarito che, per l’attività di difesa
avanti alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta
un’integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di
incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico
intervento di regolazione nell’ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, non vi è stata alcun iter contrattuale per forme
integrative di incentivi al personale, bensì vi è stato l’affidamento al
dirigente responsabile del settore finanziario di due incarichi esterni di
rappresentanza del Comune avanti alle Commissioni tributarie, in palese
violazione di legge.
Sicché il compenso che è stato erogato al Mi., nella veste
di professionista esterno, rappresenta certamente un’indebita spesa
sostenuta dal Comune.
Il danno risarcibile ammonta a complessivi euro 163.991,74.
Responsabili in solido di tale indebita spesa risultano entrambi i convenuti
a titolo di dolo. Al riguardo, occorre chiarire che, nel
processo contabile, per dolo deve intendersi la consapevolezza dell’agente
di tenere un comportamento vietato dalla legge.
Il Mi. è responsabile per aver scientemente lucrato il compenso per la
difesa del Comune, pur nella piena consapevolezza di aver assunto l’obbligo
di svolgere tale attività in veste di dirigente responsabile del settore
finanziario.
La dott.ssa Ce., in qualità di Segretario generale
dell’ente, per il ruolo rivestito di garante della legittimità dell’azione
amministrativa del Comune, che nulla ha obiettato a tutela della corretta e
proficua gestione del denaro pubblico, esprimendo per di più parere
favorevole per l’affidamento dell’incarico in questione e provvedendo ad
impegnare e liquidare il compenso de quo.
L’indebita spesa, pari a complessivi euro 163.991,74, erogata dal Comune di
Roseto Valfortore è la conseguenza unica e diretta delle
condotte tenute dai convenuti, nella piena consapevolezza del totale
dispregio degli interessi dell’Amministrazione.
Ai soli fini della ripartizione interna delle quote di danno, per cui
ciascuno potrà eventualmente rivalersi nei confronti dell’altro responsabile
in solido, per il ruolo preponderante rivestito nella vicenda dal dott. Mi.,
a lui compete la maggior quota di danno pari al 70 per cento del danno
risarcibile, mentre il restante 30 va attribuito alla responsabilità della
dott.ssa Ce..
Trattandosi di responsabilità per dolo deve essere escluso
il ricorso al potere riduttivo dell’addebito.
Sull’importo di euro 163.991,74 per cui è condanna va computata la
rivalutazione monetaria dalla data dei pagamenti e fino alla pubblicazione
della presente sentenza. Per tutte le ragioni espresse, la domanda è
accolta.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia,
definitivamente pronunciando, accoglie la domanda attrice e, per l’effetto,
CONDANNA
I signori Ma.MI. e Ma.Ce.An.CE. al pagamento in solido della complessiva
somma di euro 163.991,74 (centossessantatremilanovecentonovantuno/74), oltre
rivalutazione monetaria, in favore del Comune di Roseto Valfortore.
Sulle somme rivalutate spettano all’Amministrazione gli interessi al tasso
legale decorrenti dalla data di deposito della sentenza e fino al totale
soddisfo. |
aprile 2019 |
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INCARICHI PROGETTUALI: Indebito
arricchimento verso la Pubblica Amministrazione per attività svolta dal
professionista senza contratto scritto.
L'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al
professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica
amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere
determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa
professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto
la sua opera a favore d'un privato, né in base all'onorario che la p.a.
avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto
d'un contratto valido.
---------------
5. Con il secondo motivo, l'Agenzia ricorrente censura la sentenza
impugnata per violazione dell'art. 2041 c.c., nonché per insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in
relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale
erroneamente ritenuto corretta la determinazione dell'indennità a titolo di
arricchimento senza causa sulla base delle tariffe professionali prodotte in
giudizio dagli attori (rectius, della parcella professionale redatta
e vistata dal competente ordine professionale), e non già sulla base
dell'effettivo impoverimento dagli stessi subiti a seguito della prestazione
svolta nell'interesse della pubblica amministrazione.
6. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione dell'art. 18 della legge n. 109/1994; dell'art. 4, co. 12-bis,
del d.l. n. 65/1989 conv. nella legge n. 155/1989; dell'art. 6 della legge n.
404/1977 e della Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 12/11/1987,
nonché per omessa motivazione circa un fatto decisivo controverso (in
relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale
trascurato di tener conto, ai fini della determinazione dell'indennità ex
art. 2041 c.c., delle norme richiamate in epigrafe, nonché per aver
riconosciuto, in favore delle controparti, somme a titolo di rimborso-spese
non adeguatamente documentate in conformità alle previsioni di legge.
7. Il secondo motivo è fondato e suscettibile di assorbire la
rilevanza del terzo.
8. Osserva il Collegio come, secondo l'orientamento fatto
proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di azione d'indebito
arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, conseguente
all'assenza di un valido contratto di appalto d'opera tra la pubblica
amministrazione e un professionista, l'indennità prevista dall'art. 2041
c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita
dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con
esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante
se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace
(Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124 - 01).
9. Pertanto, ai fini della determinazione dell'indennizzo
dovuto al professionista non possono essere assunte come parametro le
tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall'ordine
competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano
effettuate dal professionista in base un valido contratto d'opera con il
cliente (Sez. U, Sentenza n. 1875
del 27/01/2009, Rv. 606124 - 01, cit.).
10. Il richiamato insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (che
questo Collegio integralmente condivide e fa proprio, al fine di assicurarne
continuità, in consonanza con il successivo orientamento confermativo
assunto da Sez. 3, Sentenza n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195 - 01) ha con
ampia motivazione dimostrato per quali ragioni la opposta tesi sia
insostenibile.
11. Dall'affermazione secondo cui l'indennizzo dovuto all'impoverito, ai
sensi dell'art. 2041 c.c., non possa comprendere il lucro che questi avrebbe
realizzato se il contratto stipulato con la p.a. fosse stato valido ed
efficace, la giurisprudenza successiva ha tratto il necessario corollario
secondo cui l'impoverimento non può essere determinato (neppure
indirettamente quale parametro: cfr. Sez. U, Sentenza n. 1875 del
27/01/2009, cit., in motivazione, là dove richiama Sez. 2, Sentenza n. 9243
del 12/07/2000, Rv. 538406 - 01) sulla base della tariffa professionale
applicabile alle prestazioni eseguite dall'impoverito. Applicare quella
tariffa, infatti, significherebbe accordargli un indennizzo esattamente pari
a quanto avrebbe avuto diritto di pretendere dalla pubblica amministrazione
nell'ipotesi di stipula con essa d'un contratto valido (così si sono
pronunciate Sez. U, Sentenza n. 1875 del 27/01/2009, Rv. 606124; nello
stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 3905 del 18/02/2010, Rv. 611568; Sez. 3,
Sentenza n. 23780 del 07/11/2014, Rv. 633449; Sez. 3, Sentenza n. 19886 del
06/10/2015, Rv. 637195 - 01).
12. Questo Collegio non ignora che, dopo l'intervento delle Sezioni Unite,
alcune decisioni delle singole sezioni di questa Corte sono tornate ad
affermare che la tariffa professionale possa essere utilizzata per la stima
dell'indennizzo dovuto, ex art. 2041 c.c., a chi abbia lavorato per la
pubblica amministrazione senza la previa stipula d'un contratto scritto.
13. Tali decisioni, tuttavia non possono essere affatto condivise.
14. Non può essere condivisa, in primo luogo, la decisione pronunciata da
Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548: sia perché si pone in
contrasto inconsapevole con la pronuncia delle Sezioni Unite sopra ricordata
(nonché con Sez. U, Sentenza n. 23385 del 11/09/2008, Rv. 604467 - 01),
senza spendere una parola per motivare la propria opinione dissenziente; sia
soprattutto perché l'affermazione del principio (secondo cui l'indennizzo
può essere liquidato in base alle tariffe professionali) è compiuta in modo
apodittico e non corredato da ragioni giustificatrici.
15. Per le stesse ragioni non può essere condiviso il decisum di Sez.
3, Sentenza n. 26193 del 06/12/2011 (non massimata) e di Sez. 6 - 1,
Ordinanza n. 351 del 10/01/2017 (Rv. 642780 - 01): anch'esse infatti
ignorano di fatto le indicazioni delle Sezioni Unite e non sono sorrette da
alcuna approfondita motivazione.
16. Non costituisce, invece, una dissenting opinion rispetto alle
decisioni delle Sezioni Unite sopra ricordate la sentenza pronunciata da
Sez. 1, Sentenza n. 21227 del 14/10/2011, Rv. 619902.
Nel caso ivi deciso, infatti, il giudice di merito aveva negato la
possibilità di liquidare l'indennizzo ex art. 2041 c.c. in base alla tariffa
professionale, e la Corte di cassazione ritenne che "tale ratio decidendi
[fosse] da condividersi".
17. È appena il caso di rilevare come le opinioni dissenzienti appena
ricordate, oltre che isolate, neppure avrebbero potuto essere ritualmente
pronunciate, ostandovi il divieto di cui all'art. 374, co. 3, c.p.c.
(secondo cui "se la sezione semplice ritiene di non condividere il
principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime,
con ordinanza motivata, la decisione del ricorso").
18. Essendosi il giudice a quo espressamente uniformato
all'orientamento fatto proprio da Sez. 1, Sentenza n. 19942 del 29/09/2011,
Rv. 619548 (qui motivatamente confutato), in accoglimento del secondo motivo
del ricorso (rigettato il primo ed assorbito il terzo), dev'essere disposta
la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte
d'appello di Roma, in diversa composizione, cui è rimesso di provvedere,
sulla base degli elementi di fatto acquisiti al processo, alla decisione
dell'odierna controversia in applicazione del seguente principio di diritto:
"L'indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al
professionista che abbia svolto la propria attività a favore della pubblica
amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere
determinato, neppure indirettamente quale parametro, in base alla tariffa
professionale che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto
la sua opera a favore d'un privato, né in base all'onorario che la p.a.
avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto
d'un contratto valido"
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza
04.04.2019 n. 9317). |
marzo 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Parcella
a rischio se non è dettagliata nelle voci di spesa. L’ente pubblico effettua
spese solo se esiste l’impegno contabile.
Acque ancor agitate per le retribuzioni dei professionisti che ottengano
incarichi da pubbliche amministrazioni: la Corte di Cassazione, Sez. I
civile, con
ordinanza 11.03.2019 n. 6919 afferma che gli enti locali
possono effettuare spese solo se esiste un dettagliato impegno contabile. È
stata quindi respinta la richiesta di un architetto progettista e direttore
lavori che voleva essere retribuito per una struttura espositiva realizzata
nell’interesse di un Comune.
L’amministrazione si è difesa affermando di aver previsto la copertura
finanziaria dell’intera opera, ma di aver esaurito i fondi, avendo
modificato il progetto originario. La Cassazione ritiene che questa
motivazione sia sufficiente a negare il pagamento, perché l’ente avrebbe
dovuto identificare le diverse voci che compongono l’opera (spese generali,
tecniche, per compensi professionali...), e i mezzi per farvi fronte.
Secondo i giudici, qualora manchi la dettagliata previsione di spesa, al
professionista non rimangono che due strade: o rivolgersi (in proprio) al
singolo amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la
fornitura del servizio, oppure non eseguire la prestazione.
L’orientamento della Cassazione si presta a più critiche: innanzitutto
impone al professionista un’indagine approfondita sulla contabilità del
committente; inoltre, è vero che l’articolo 191 del Dlgs 267/2000 impone una
rigida contabilità ai Comuni, ma è anche vero che l’articolo 194 della
stessa norma prevede la possibilità di ottenere un riconoscimento di “debito
fuori bilancio” se si accerti e dimostri che la prestazione
professionale abbia arrecato un’utilità e un arricchimento per l’ente.
Inoltre esistono vari elementi di elasticità per le retribuzioni dei
professionisti, quali ad esempio il contratto condizionato all’ottenimento
del finanziamento: una norma del codice degli appalti ostacola le
prestazioni con pagamento subordinato al finanziamento (articolo 24, comma
8-bis, del Dlgs 50/2016), ma solo per gli appalti comunitari e, sottolinea
il Consiglio di Stato (5138/2018), privi di forma scritta.
Oltretutto, il caso deciso dalla Cassazione 6919/2019 fa eco ad altri
precedenti (22481/2018) che non danno nemmeno rilievo a una riduzione di
alcune voci nel corso dei lavori e all’innalzamento di altre, quali quelle
per competenze professionali: diventa quindi irrilevante che l’ente abbia
reperito le risorse per pagare il professionista con dei risparmi in corso
d’opera (peraltro, probabilmente ottenuti grazie all’impegno proprio del
progettista direttore dei lavori).
In sintesi, l’orientamento della Cassazione è improntato ad assoluta
rigidità a tutela della finanza locale, giungendo addirittura a escludere la
possibilità che il professionista ottenga dal giudice il riconoscimento di
un indebito arricchimento dell’ente locale. Altre volte, invece, proprio
attraverso il riconoscimento dell’utilità conseguita dall’ente locale, si è
ottenuta una delibera di pagamento, seppur per debito fuori bilancio e
quindi con il rischio di giudizi di responsabilità contabile per i pubblici
amministratori
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.03.2019).
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MASSIMA
8. Tanto premesso, le censure -che possono essere esaminate
congiuntamente per la loro connessione- sono complessivamente fondate.
8.1. L'art. 191, comma 1, T.U.E.L. dispone che gli enti locali possono
effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul
competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione
della copertura finanziaria, comunicati dal responsabile del servizio al
terzo interessato che -ferma l'obbligazione a carico dell'amministratore,
funzionario o dipendente dell'ente che abbia consentito la fornitura del
bene o servizio in violazione della norma (comma 4)- ha facoltà, in mancanza
della comunicazione suddetta, di non eseguire la prestazione.
8.2. Per quanto qui interessa, la norma chiude un risalente percorso
sviluppatosi a partire dagli artt. 284 e 288 del r.d. 03.03.1934, n. 383
(T.U. della legge comunale e provinciale) e scandito dall'art. 23 del di.
02.03.1989, n. 66 (conv., con modif., dalla legge 24.04.1989, n. 144),
inserito nel titolo IV dedicato al risanamento finanziario delle gestioni
locali, e quindi dall'art. 55 della legge 08.06.990, n. 142 (ordinamento
delle autonomie locali), in attuazione del principio costituzionale di buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost.
Dette previsioni -e, in particolare, l'art. 191 T.U.E.L., che ne riassume da
ultimo la portata precettiva-, nell'imporre l'indicazione dell'ammontare
delle spese e dei mezzi per farvi fronte, a pena di nullità delle relative
deliberazioni adottate in violazione di legge (si v. al riguardo Sez. U,
10.06.2005, n. 12195, Sez. U, 28.06.2005, n. 13831 e successive conformi),
tutelano, con tutta evidenza, il preminente interesse pubblico
all'equilibrio economico-finanziario delle amministrazioni locali in un
quadro di certezza della spesa secondo le previsioni di bilancio e di
trasparenza dell'azione amministrativa.
8.3. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, sì come presidiato
dall'orientamento rigoroso a più riprese espresso da questa Corte (tra le
molte: Sez. 1, 28.12.2010, n. 26202, sulla radicale nullità della delibera
non munita di copertura finanziaria e del conseguente contratto di
conferimento dell'incarico professionale; Sez. 1, 02.12.2016, n. 24655,
sulla necessaria cogenza del principio di equilibrio di bilancio anche a
fronte della tutela del diritto, di rango costituzionale, all'assistenza
socio-sanitaria; Sez. U, 18.12.2014, n. 26657 e Sez. 1, 20.03.2018, n. 6970,
sulla generale inderogabilità della previa provvista finanziaria), erra la
Corte di appello nel ritenere (p. 7 della sentenza) il diritto del Ca. al
compenso richiesto indebitamente inciso in conseguenza della modifica del
progetto originario (e, deve aggiungersi, dell'adozione della delibera
giuntale n. 39/2007 cit.), come sostenuto dall'appellante Ca. e dallo stesso
ribadito anche nella presente sede di legittimità.
La Corte di appello, infatti, recependo meccanicamente gli assunti
dell'appellante e senza confrontarsi con il detto quadro normativo come
interpretato da questa Corte, ha infondatamente ritenuto che le delibere
comunali anteriori a quella del 2007 avessero rispettato l'art. 191 T.U.E.L.
mercé la mera indicazione dell'impegno di spesa di lire 2.200.000.000 «comprensive
dei costi per la realizzazione dell'opera pubblica e dei compensi spettanti
al professionista» (p. 6), assumendo apoditticamente la sussistenza
della prova del conferimento dellfincarico (e dell'impegno di spesa) senza
tuttavia spiegarne le ragioni e soffermandosi solo sull'aspetto della
determinabilità del compenso alla stregua delle tariffe professionali.
8.4. Ora, secondo il controricorrente Ca., l'importo complessivo degli
onorari per il primo e secondo stralcio dei lavori assicurava ampiamente la
previsione di spesa occorrente per il compenso dovuto al professionista in
seguito complessivamente quantificato dall'ordine degli architetti (cfr. pp.
8-9 del controricorso) e «dalla lettura di tutte le delibere di
conferimento incarico (...), è riscontrabile l'indicazione dell'ammontare
dei compensi dovuti al professionista, contemplati nelle voci "spese
generali" e "somme a disposizione" e l'indicazione dei mezzi per farvi
fronte come risulta dai quadri economici dell'opera in precedenza riprodotti»
(p. 11).
Ma una siffatta modalità di indicazione della spesa, con la quale si
coacervano indistintamente le spese tecniche senza la precisa preventiva
indicazione di quelle per gli onorari professionali, non soddisfa affatto la
prescrizione dell'art. 191, comma 1, T.U.E.L., dovendosi ribadire
l'insegnamento -da ultimo compiutamente espresso da Sez. 1, 24.09.2018, n.
22481 sulla scorta dei principi via via affermati dalla giurisprudenza di
legittimità, cui si è fatto sinteticamente cenno in precedenza- secondo il
quale «La delibera comunale di conferimento di incarico
ad un professionista deve indicare l'ammontare della spesa, mediante
l'identificazione e la distinzione delle diverse voci che la compongono
(spese generali, tecniche, per compensi professionali, ecc.), ed i mezzi per
farvi fronte, ugualmente identificati e distinti analiticamente, cosi da
creare un doppio e congiunto (non alternativo) indice di riferimento che
vincola l'operato dell'ente locale in relazione alle spese stabilite
anticipatamente, in ragione dell'interesse pubblico all'equilibrio economico
e finanziario, e quindi al buon andamento della P.A.»,
che -prosegue la citata decisione in motivazione- «in
caso contrario la previsione normativa risulterebbe aggirata; invero non è
sufficiente che sussistano i mezzi economici, comunque previsti, anche se a
seguito di un risparmio di spesa, perché sia giustificato il loro utilizzo
per spese che non siano state previste e stabilite anticipatamente». |
febbraio 2019 |
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INCARICHI PROGETTUALI: Alla
CGUE l’individuazione degli operatori economici che possono partecipare alle
gare per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria.
Il Tar per il Lazio rimette alla Corte di giustizia UE il quesito
interpretativo diretto a verificare se il diritto europeo osti a una
normativa nazionale che non consente di partecipare alle gare per
l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria agli operatori
economici che eroghino tali prestazioni facendo ricorso a forme diverse da
quelle indicate dal legislatore nazionale
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Contratti pubblici – Affidamento servizi di architettura e ingegneria –
Operatori economici – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
Deve essere rimesso alla Corte di giustizia UE il
seguente quesito interpretativo: se il combinato disposto del “considerando”
n. 14 e degli articoli 19, comma 1, e 80, comma 2, della Direttiva
2014/24/UE ostino ad una norma come l’art. 46 del Decreto Legislativo n. 50
del 18 aprile 2016, a mezzo del quale l’Italia ha recepito nel proprio
ordinamento le Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, che consente
ai soli operatori economici costituiti nelle forme giuridiche ivi indicate
la partecipazione alle gare per l’affidamento dei “servizi di architettura
ed ingegneria”, con l’effetto di escludere dalla partecipazione a tali gare
gli operatori economici che eroghino tali prestazioni facendo ricorso ad una
diversa forma giuridica (1).
----------------
(1) I. – Il Tar per
il Lazio, con l’ordinanza in rassegna, ha rinviato alla Corte di giustizia
UE la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità con il diritto
europeo della normativa interna nella parte in cui consente ai soli
operatori economici costituiti nelle forme giuridiche indicate dall’art. 46
d.lgs. 18.04.2016, n. 50, c.d. codice dei contratti pubblici, di partecipare
alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria.
II. – Una fondazione di diritto privato, costituita ai sensi
dell’art. 14 c.c., desiderando partecipare a gare d’appalto indette da
amministrazioni locali per l’affidamento del servizio di classificazione del
territorio in base al rischio sismico, trasmetteva all’Anac il modulo
necessario per essere iscritta nell’elenco dei soggetti ammessi a
partecipare alle gare per l’affidamento di servizi di architettura e
ingegneria, previsto dall’art. 46 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Tuttavia, l’Anac, nel respingere la relativa richiesta, osservava che le
fondazioni non rientrano tra i soggetti previsti dall’art. 46, primo comma,
d.lgs. n. 50 del 2016, precisando che i soggetti tenuti agli obblighi di
comunicazione dei propri dati all’Autorità sono solo quelli previsti
dall’art. 6 del decreto 02.12.2016, n. 263 del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti. La ricorrente proponeva quindi ricorso
avverso tale nota.
III. – Con l’ordinanza in rassegna, il collegio, dopo aver
analizzato la normativa interna ed europea, ha osservato che:
a) con riferimento al diritto nazionale:
a1) l’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016 individua gli operatori economici che
possono partecipare alle gare per l’affidamento dei contratti;
a2) il citato d.m. n. 263 del 2016 disciplina in maniera differenziata i
soggetti che intendono partecipare a gare per l’affidamento di servizi di
architettura e ingegneria, distinguendo i vari operatori economici in “professionisti
singoli o associati”, “società di professionisti”, “società di
ingegneria”, “raggruppamenti temporanei” e “consorzi stabili di
società di professionisti e di società di ingegneria e dei GEIE”, ponendo
per ciascuno di essi l’obbligo di inserire ed indicare, nell’organigramma, i
soggetti impiegati per funzioni professionali e tecniche;
a3) i servizi attinenti alla sismologia e alla classificazione del
territorio in base al rischio sismico rientrano, a tutti gli effetti, nel
concetto di servizi di architettura e ingegneria e altri servizi tecnici di
cui all’art. 3, comma 1, lett. vvvv), d.lgs. n. 50 del 2016;
a4) l’art. 45 d.lgs. n. 50 del 2016 accoglie una concezione molto vasta di
operatore economico tale da potervi astrattamente includere anche gli enti
senza scopo di lucro;
a5) tuttavia, il citato art. 46 stabilisce che alle gare per l’affidamento
dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria sono ammesse solo
persone fisiche che rendono tali servizi a titolo professionale ovvero
società di ingegneria o comunque società costituite tra simili
professionisti; deve trattarsi di società con finalità di lucro costituite
ai sensi del Libro V del Codice civile. Possono poi concorrere i gruppi
europei di interesse economico, ovvero raggruppamenti temporanei o consorzi
stabili, costituiti comunque tra società di ingegneria o società regolate
dal Libro V del Codice civile italiano;
a6) il citato art. 46 –norma speciale rispetto all’art. 45– quindi, non
include le fondazioni e, in generale, gli enti senza scopo di lucro tra i
soggetti ammessi a partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi in
questione. Tale interpretazione è confermata dal d.m. n. 263 del 2016 che,
nell’indicare i requisiti che devono possedere i soggetti che intendono
partecipare a gare per l’affidamento dei detti servizi, prende in
considerazione solo i soggetti indicati dall’art. 46;
a7) la limitazione posta dal legislatore interno si può spiegare con la
delicatezza dei servizi in questione, l’elevata professionalità richiesta
per garantirne la qualità e la presunzione che i soggetti che erogano tali
servizi in via continuativa a titolo professionale e remunerato siano
maggiormente affidabili per la continuità della pratica e dell’aggiornamento
professionale;
b) con riferimento al diritto europeo, la direttiva 2014/24/UE prevede tra
l’altro che:
b1) al “considerando” n. 14, “la nozione di «operatori economici»
dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da comprendere
qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori,
la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla
forma giuridica nel quadro della quale ha scelto di operare. Pertanto
imprese, succursali, filiali, partenariati, società cooperative, società a
responsabilità limitata, università pubbliche o private e altre forme di
enti diverse dalle persone fisiche dovrebbero rientrare nella nozione di
operatore economico, indipendentemente dal fatto che siano «persone
giuridiche» o meno in ogni circostanza”;
b2) all’art. 19, primo comma, “Gli operatori economici che, in base alla
normativa dello Stato membro nel quale sono stabiliti, sono autorizzati a
fornire la prestazione di cui trattasi, non possono essere respinti soltanto
per il fatto che, secondo la normativa dello Stato membro nel quale è
aggiudicato l’appalto, essi avrebbero dovuto essere persone fisiche o
persone giuridiche. Tuttavia, per gli appalti pubblici di servizi e di
lavori nonché per gli appalti pubblici di forniture che comportano anche
servizi o lavori di posa in opera e di installazione, alle persone
giuridiche può essere imposto d’indicare, nell’offerta o nella domanda di
partecipazione, il nome e le qualifiche professionali delle persone
incaricate di fornire la prestazione per l’appalto di cui trattasi”;
b3) all’art. 80, secondo comma, “L’ammissione alla partecipazione ai
concorsi di progettazione non può essere limitata: al territorio di un solo
Stato membro o a una parte di esso; dal fatto che i partecipanti, secondo il
diritto dello Stato membro in cui si svolge il concorso, debbano essere
persone fisiche o persone giuridiche…”;
c) durante la vigenza della direttiva 2004/18/CE, con riferimento all’art.
34 del d.lgs. n. 163 del 2006, la Corte di giustizia CE, sezione IV,
23.12.2009, C-305/08, Cons. naz. interuniversitario scienze mare c. Reg.
Marche (Urbanistica e appalti, 2010, 551, con nota di DE PAULI; Appalti &
Contratti, 2010, fasc. 1, 96, con nota di DE NARDI; Foro amm.-Cons. Stato,
2009, 2776; Giurisdiz. amm., 2009, III, 970; Dir. pubbl. comparato ed
europeo, 2010, 861, con nota di DORACI; Dir. e pratica amm., 2010, fasc. 5,
48, con nota di PETULLÀ; Rass. avv. Stato, 2010, fasc. 1, 54; Arch. giur. oo.
pp., 2010, 207; Riv. amm. appalti, 2010, 51; Raccolta, 2009, I, 12129) ha
ritenuto che le norme europee dovevano essere interpretate nel senso che:
c1) consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro,
non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano
una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di
ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni
pubbliche, di partecipare a un appalto di servizi;
c2) ostano a una normativa nazionale che vieti a soggetti che non perseguono
un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano
autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto
dell’appalto considerato;
d) l’ampio concetto di operatore economico disegnato dalla Corte di
giustizia risulta accolto dal legislatore italiano nell’art. 45 d.lgs. n. 50
del 2016, che ha tuttavia adottato un concetto più ristretto per
l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria;
e) la giurisprudenza europea riguarda una norma di portata generale, ma può
dubitarsi del fatto che tale principio debba trovare sempre automatica
applicazione o se, invece, possa essere derogato in taluni specifici casi;
f) il tenore letterale degli artt. 19, comma 1, e 80, comma 2, della
direttiva 2014/24/UE sembra implicitamente lasciare spazio alla possibilità
che uno Stato membro possa circoscrivere la partecipazione solo a persone
fisiche o a determinate persone giuridiche, peraltro precisando che
l’operatore economico straniero, autorizzato nel proprio paese ad erogare la
prestazione oggetto di gara sotto una diversa forma giuridica, debba
comunque essere ammesso alla gara;
g) pertanto, sembra possibile ritenere che la direttiva 2014/24/UE abbia
lasciato agli Stati membri la possibilità di adottare, con riferimento a
determinate prestazioni, un concetto di operatore economico circoscritto,
includente solo determinate forme giuridiche;
h) con riferimento all’interesse transfrontaliero della questione,
h1) operatori economici stranieri potrebbero sentirsi obbligati, al fine di
concorrere a questo tipo di gare indette da un’amministrazione
aggiudicatrice italiana, a stabilirsi preventivamente in Italia, assumendo
una delle forme giuridiche indicate dall’art. 46 d.lgs. n. 50 del 2016;
h2) l’esclusione di alcuni operatori economici nazionali dalla possibilità
di partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi di architettura ed
ingegneria è comunque idonea a creare un effetto distorsivo della
concorrenza rispetto ad una tipologia di servizi che rappresenta un settore
di indubbio interesse anche per gli operatori economici stranieri.
IV. – Per completezza si segnala che:
i) con riferimento alla nozione di operatore economico nella giurisprudenza
europea, si veda Corte di giustizia CE, sezione IV, 23.12.2009, C-305/08
Cons. naz. interuniversitario scienze mare c. Reg. Marche, cit., secondo
cui, tra l’altro:
i1) “la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa
osta all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti
che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un
preminente scopo di lucro, di partecipare a una procedura di aggiudicazione
di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal
diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell'appalto
considerato”;
i2) “le disposizioni della direttiva del parlamento europeo e del
consiglio 31.03.2004, 2004/18/Ce, relativa al coordinamento delle procedure
di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di
servizi, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, n. 2, lett. a), e 8,
1º e 2º comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico»,
devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non
perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura
organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul
mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i
raggruppamenti costituiti da università e p.a., di partecipare ad un appalto
pubblico di servizi”;
j) con riferimento alla fornitura dei servizi di trasporto sanitario di
urgenza ed emergenza si vedano:
j1)
Cons. Stato, sezione III, ordinanza 05.11.2018, n. 6264 (oggetto
della
News US, in data 15.11.2018, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali), secondo cui vanno rimesse
alla Corte di giustizia UE “le seguenti questioni pregiudiziali: se, nel
caso in cui le parti sono entrambi enti pubblici, il 28° considerando,
l’art. 10 e l’art. 12, par. 4, della direttiva 2014/24/UE ostino alla
applicabilità di una norma nazionale (quale l’art. 5, in combinato disposto
con gli artt. 1, 2, 3 e 4, della legge della Regione Veneto n. 26 del 2012)
che, per l’affidamento del servizio di trasporto ordinario dei pazienti in
ambulanza, impone –anziché meramente facoltizzare– il convenzionamento tra
diversi enti pubblici, secondo lo schema del partenariato c.d.
pubblico-pubblico (di cui al predetto art. 12, par. 4, ed agli artt. 5,
comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016 e 15 della legge n. 241 del 1990), in
luogo dello svolgimento di una gara ad evidenza pubblica; se, nel caso in
cui le parti sono entrambi enti pubblici, il 28° considerando, l’art. 10 e
l’art. 12, par. 4, della direttiva 2014/24/UE ostino alla applicabilità
delle richiamate disposizioni della legge della Regione Veneto n. 26 del
2012, sulla base del partenariato pubblico-pubblico di cui al predetto art.
12, par. 4, ed agli artt. 5, comma 6, del d.lgs. 50/2016 e 15 della legge
241/1990, nel limitato senso di obbligare la stazione appaltante ad
esternare la motivazioni della scelta di affidare il servizio di trasporto
sanitario ordinario mediante gara, anziché mediante convenzionamento diretto”;
j2) Corte di giustizia UE, sezione V, 28.01.2016, C-50/14, Casta (in Foro
it., 2016, IV, 142, nonché in Guida al dir., 2016, 9, 104, con nota di
CASTELLANETA), secondo cui “qualora uno Stato membro consenta alle
autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato
per lo svolgimento di determinati compiti, un’autorità pubblica che intenda
stipulare convenzioni con associazioni siffatte non è tenuta, ai sensi del
diritto dell’Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie
associazioni” e che, qualora dette associazioni siano altresì
autorizzate, dalla normativa interna, ad esercitare anche determinate
attività commerciali, spetta allo Stato membro di “fissare i limiti entro
i quali le suddette attività possono essere svolte; detti limiti devono
tuttavia garantire che le menzionate attività commerciali siano marginali
rispetto all’insieme delle attività di tali associazioni, e siano di
sostegno al perseguimento dell’attività di volontariato di queste ultime”;
j3) Corte di giustizia UE, 11.12.2014, C-113/13, Asl 5, Spezzino c. Soc.
coop. sociale S. Lorenzo (Giurisdiz. amm., 2014, ant., 489; Foro it., 2015,
IV, 145, con nota di ALBANESE, La Corte di giustizia rimedita sul proprio
orientamento in materia di affidamento diretto dei servizi sociali al
volontariato (ma sembra avere paura del proprio coraggio); Quaderni dir. e
politica ecclesiastica, 2015, 554; Urbanistica e appalti, 2015, 508, con
nota di CARANTA; Ragiusan, 2015, fasc. 369, 74; Rass. dir. farmaceutico,
2015, 198; Dir. comm. internaz., 2015, 809, con nota di GRECO), secondo cui,
tra l’altro, “gli art. 49 Tfue e 56 Tfue devono essere interpretati nel
senso che non ostano ad una normativa nazionale che, come quella in
discussione nel procedimento principale, prevede che la fornitura dei
servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza debba essere
attribuita in via prioritaria e con affidamento diretto, in mancanza di
qualsiasi pubblicità, alle associazioni di volontariato convenzionate,
purché l'ambito normativo e convenzionale in cui si svolge l'attività delle
associazioni in parola contribuisca effettivamente alla finalità sociale e
al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio su
cui detta disciplina è basata”;
k) osserva ALBANESE, La Corte di giustizia rimedita sul proprio orientamento
in materia di affidamento diretto dei servizi sociali al volontariato (ma
sembra avere paura del proprio coraggio), cit., che:
k1) le pronunce della Corte di giustizia, in passato, erano caratterizzate:
dalla costante affermazione della rilevanza economica dei servizi di
trasporto sanitario di malati, in quanto riferibili a prestazioni offerte
sul mercato, rientrando quindi nell’ambito di applicazione delle direttive
europee sugli appalti; dal fatto che la natura non lucrativa dei soggetti
che erogano i servizi di trasporto sanitario non impedisce che essi vadano
qualificati come imprese quando svolgono attività economiche e che, quindi,
anche ad esse possano essere applicate procedure di selezione per
l’affidamento dei servizi economici di interesse generale previste dalle
direttive europee;
k2) i servizi di trasporto sanitario, di urgenza e non, vengono svolti in
molti paesi europei prevalentemente da organizzazioni di volontariato, in
collaborazione con le amministrazioni pubbliche preposte al settore, con
affidamento in modo diretto e senza procedure selettive aperte agli
operatori economici.
Tale scelta era giustificata dal convincimento che l’attività svolta senza
scopo di lucro e per motivazioni solidaristiche si attagli alle finalità
sociali delle prestazioni erogate meglio di quella di operatori commerciali
e dal presupposto per cui l’azione delle associazioni di volontariato si
pone al di fuori delle dinamiche del mercato, poiché esse non percepiscono
compensi remunerativi, ma solo il rimborso delle spese sostenute;
k3) la giurisprudenza amministrativa, muovendo da tali considerazioni, era
propensa a sostenere l’inammissibilità della partecipazione delle
associazioni di volontariato alle gare di appalto, poiché la gratuità delle
prestazioni che ne caratterizza l’azione le rende strutturalmente
incompatibili con le dinamiche concorrenziali, poiché estranea al mercato;
k4) il presupposto della gratuità dell’attività delle organizzazioni è stato
messo in dubbio dalla giurisprudenza europea che ha spinto i giudici
amministrativi italiani a mutare orientamento;
k5) la sentenza annotata afferma la legittimità della normativa ligure
sottoposta al suo esame che prevedeva che i servizi di trasporto sanitario
venissero affidati prioritariamente alle organizzazioni no profit a
fronte di rimborsi non forfetari, giustificati in base alle spese
effettivamente sopportate.
La sentenza muove dal carattere oneroso dei contratti di riferimento e
asserisce che la natura no profit dei soggetti affidatari dei servizi
non può portare ad escludere l’applicazione delle regole di pubblicità e
selezione dei concorrenti, disposte dalle direttive appalti. Tuttavia, la
Corte, argomentando dalla Costituzione italiana e dalla normativa italiana
che promuove e sostiene il volontariato e le sue finalità, ritiene
sussistenti ragioni che consentono di escludere l’applicazione delle norme
dell’UE poste a tutela della concorrenza;
k6) “il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., nonché
quello di solidarietà, sottesi alla legislazione che disciplina la
partecipazione delle organizzazioni di volontariato all’erogazione di
servizi sanitari, mirano a realizzare finalità sociali e a garantire
l’accessibilità e l’universalità delle prestazioni destinate a tutelare la
salute pubblica. Esse inoltre concorrono ad assicurare le prestazioni
sociali in condizioni di equilibrio economico di bilancio. «Obiettivi di tal
genere», sostiene con decisione il giudice europeo, «sono presi in
considerazione dal diritto dell’Unione» e l’affermazione non allude
evidentemente soltanto all’efficienza economica e al controllo dei costi,
assicurati dalla presenza delle organizzazioni non profit (pur ripetutamente
ricordati e sottolineati nella motivazione), bensì anche alla necessaria
attuazione delle finalità sociali, cui tende la legislazione richiamata”;
k7) “la corte, in definitiva, nella pronuncia in epigrafe, affermando che
la considerazione di valori quali la solidarietà, la sussidiarietà, le
finalità sociali, possono condurre a ridimensionare la portata delle
garanzie accordate dal diritto Ue alla libertà di prestazione dei servizi,
pone in dubbio anche l’idea che «l’efficienza» prodotta dall’applicazione
rigida delle regole della concorrenza comporti sempre anche il
raggiungimento di risultati di benessere. Anzi, le argomentazioni della
corte sembrano per contro sorrette dalla convinzione che la competizione sul
mercato difficilmente consenta di assicurare tutela adeguata a «beni di
importanza primaria», quali la salute. Altrettanto significativa appare
un’ulteriore conseguenza dell’affermazione secondo cui la partecipazione
delle organizzazioni di volontariato ai servizi in questione contribuisce al
controllo dei costi e all’efficienza economica nell’erogazione di «cure
sanitarie di qualità»: essa sembra a contrariis supporre che le regole
concorrenziali, generalmente invocate a contrasto degli sprechi e dello
sperpero di risorse, non garantiscono sempre e necessariamente tale
risultato”;
k8) anche il diritto europeo lascia quindi uno spazio per gli obiettivi
sociali e per la solidarietà, ma lo fa richiamando esclusivamente il diritto
interno del nostro Stato;
k9) al giudice europeo, tuttavia, è mancato il coraggio di andare fino in
fondo in quanto “con uno scarto notevole rispetto all’affermazione
secondo cui il diritto dell’Unione prende in considerazione «tali
obiettivi», la corte suffraga la legittimità della deroga alla direttiva
appalti, nel caso della legge ligure, ricordando che il diritto Ue riconosce
l’esistenza di uno spazio intangibile di competenza statale
nell’organizzazione dei sistemi di sanità pubblica e previdenziali, nel
quale è consentito ad uno Stato membro di fondare il proprio sistema
sanitario e previdenziale sui valori della solidarietà, anche introducendo
restrizioni (purché giustificate) al godimento da parte degli operatori
economici dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal trattato
per garantire un livello di tutela adeguato ed economicamente sostenibile a
diritti sociali, quali la salute”.
In definitiva “sembra che la Corte di giustizia non riesca a trovare
altro modo per affermare la rilevanza della solidarietà e delle finalità
sociali per il diritto europeo, se non quello di demandarne l’attuazione in
esclusiva agli Stati membri, dichiarando anzi che gli ambiti in cui essi
possono trovare applicazione appartengono alla sfera «riservata» agli Stati,
e così, in definitiva, espellendoli nuovamente dalla sfera di pertinenza del
diritto Ue”;
l) in dottrina, sulle singole categorie di operatori economici qualificati
per l’affidamento di servizi di ingegneria ex art. 46 del d.lgs. n. 50 del
2016 e sugli enti privati senza scopo di lucro quali operatori economici
idonei in generale, si veda R. DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici,
Bologna, 2017, 393 ss., e 724 ss., la quale precisa tra l’altro che:
l1) l’art. 46, primo comma, lett. a), individua la categoria generale dei
prestatori di servizi di ingegneria e architettura e le tipologie di
prestazioni che rientrano nella loro sfera di attività, mentre nelle
successive lettere viene data una più puntuale definizione di alcune delle
categorie menzionate, ivi compresa quella generale dei prestatori di
servizi;
l2) nel dettaglio, per i soggetti stabiliti in Italia, sono operatori
economici ammessi quelli rientranti nella citata lett. a), mentre per i
soggetti stabiliti in altri Stati membri, gli operatori economici ammessi
devono avere la qualità di prestatore di servizi inerenti l’ingegneria e
l’architettura secondo l’ordinamento di provenienza;
l3) a un decreto ministeriale attuativo è demandata la fissazione dei
requisiti che devono possedere i soggetti di cui all’art. 46, primo comma, e
dei criteri per garantire la presenza di giovani professionisti, in forma
singola o associata, nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di
progettazione, concorsi di progettazione e di idee;
l4) nella giurisprudenza più
recente si ritiene che gli enti privati senza fine di lucro possano
partecipare alle gare per l’affidamento di appalti pubblici diversi dai
servizi di architettura e ingegneria. L’assenza di fine di lucro non è di
per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici, come costantemente
ritenuto anche dalla giurisprudenza europea.
Nel caso in cui il bando richieda come requisito soggettivo il possesso
dell’iscrizione alla Camera di commercio, di cui tali associazione
normalmente difettano, tale prescrizione si pone, in difetto di impugnazione
e annullamento del bando, come causa ostativa alla partecipazione; nel caso
in cui il bando non dica nulla, si ritiene che il certificato di iscrizione
non sia requisito indefettibile e le amministrazioni possano essere ammesse
alla gara.
Ulteriore questione è quella della disparità di trattamento tra operatori
economici che potenzialmente deriva dalla partecipazione alle gare degli
enti no profit, atteso che normalmente gli enti senza fini di lucro
fruiscono di finanziamenti pubblici di cui non fruiscono gli imprenditori e
che li pongono in condizione di formulare offerte più basse, ma la questione
impone una soluzione caso per caso. In particolare, il diritto comunitario:
non impedisce la partecipazione agli appalti di enti senza scopo di lucro;
consente che possa partecipare a una gara di appalto un soggetto che fruisce
di aiuti di stato, purché tali aiuti siano lecitamente conseguiti; richiede
che sia fornita la prova concreta che l’ente sia in una posizione di
vantaggio;
m) sulla genesi e l’evoluzione dell’art. 46, anche alla luce delle novità
introdotte dal d.l. 18.04.2019, n. 32, “Disposizioni urgenti per il
rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli
interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a
seguito di eventi sismici” (cd. “Sblocca cantieri”), convertito
con modificazioni in
l.
14.06.2019, n. 55 (oggetto della
News normativa, n. 74 del 10.07.2019, alla quale si rinvia per
approfondimenti), e sul carattere derogatorio, rispetto all’art. 45,
dell’elenco dei soggetti abilitati a partecipare alle selezioni per gli
affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, S. TOSCHEI, in
Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLLI – R. DE NICTOLIS,
Milano, 2019, I, Fonti e principi, ambito, programmazione e progettazione,
1393
(TAR Lazio-Roma, Sez. I,
ordinanza 28.02.2019 n. 2644 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI:
Corte dei Conti, gratuiti gli incarichi nelle fondazioni
finanziate dagli Enti Locali.
Solo nel caso in cui la fondazione non riceva finanziamenti
pubblici è possibile prevedere la remunerazione in favore
degli amministratori, altrimenti spetta loro il solo
rimborso delle spese documentate.
Lo afferma la sezione regionale di controllo per la Sicilia
della Corte dei conti con il
parere 22.02.2019 n. 52.
Il quesito
La richiesta di parere riguarda la corretta applicazione
dell'articolo 6, comma 2, del Dl 78/2010 in base al quale la
partecipazione agli organi collegiali degli enti che
ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche e la
titolarità di organi è onorifica e può dar luogo al solo
rimborso delle spese sostenute, ove previsto. I gettoni di
presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta
giornaliera.
Il caso di specie riguarda una fondazione senza finalità di
lucro, costituita dal Comune per la tutela e la
valorizzazione del patrimonio artistico e monumentale, per
la quale si chiede se sia possibile prevedere un compenso
per i componenti del Cda, eventualmente finanziato non con
fondi comunali ma attraverso le risorse private acquisite
dalla fondazione stessa per le proprie finalità
istituzionali.
La Corte dice no
La sezione siciliana della Corte dei conti ha ricordato che
l'ambito applicativo dell'articolo 6, comma 2, è riferito a
tutti gli enti, con personalità giuridica di diritto
pubblico e privato, anche non ricompresi nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, che sono
destinatari di risorse pubbliche, per cui preclude di
erogare qualsiasi compenso in favore degli amministratori
qualora ricevano contributi pubblici.
Vengono esclusi i soli soggetti indicati nell'ultimo periodo
del comma 2, ossia pubbliche amministrazioni, università,
enti e fondazioni di ricerca, camere di commercio, enti del
servizio sanitario nazionale, enti previdenziali e
assistenziali nazionali, Onlus, associazioni di promozione
sociale, enti pubblici economici. Di conseguenza, i vincoli
si applicano anche nei confronti delle istituzioni che
promanano da enti locali, quali le fondazioni, tenute ad
applicare le stesse misure di contenimento dei costi,
considerato che le risorse che le stesse utilizzano
provengono in buona misura, se non prevalentemente,
dall'ente locale di riferimento.
I soldi pubblici
Il criterio per stabilire l'applicabilità o meno dei vincoli
di legge è dunque esclusivamente quello dell'erogazione di
contributi pubblici. Ne consegue che solo nel caso in cui la
fondazione non riceva finanziamenti pubblici è possibile
prevedere una remunerazione in favore degli amministratori,
fermo restando il rimborso delle spese documentate.
Remunerazione che i magistrati contabili siciliani comunque
esigono sia "limitata", probabilmente a ragione dello
spirito che anima le disposizioni di riferimento, quelle del
Dl 78/2010, che hanno dato il via alla lunga stagione della
spending review, con l'altrettanto consistente scia di
misure volte alla riduzione del costo degli apparati
pubblici e al contenimento delle spese (articolo
Quotidiano Enti Locali & Pa del 05.04.2019). |
gennaio 2019 |
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INCARICHI
PROGETTUALI: Prestazione
professionale senza iscrizione all'Albo: niente compenso.
Cassazione: è irrilevante la circostanza che l’elaborato sia controfirmato
da un altro professionista competente in materia.
Con l'ordinanza 24.01.2019 n. 2038, la Corte di
Cassazione -Sez. II civile- ha confermato che l'esecuzione di una
prestazione d'opera professionale di natura intellettuale, effettuata da chi
non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità
assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di
qualsiasi effetto, in contrario non rilevando la circostanza che il progetto
dell'opera realizzando risulti redatto da altro professionista (un
ingegnere) cui quello incaricato (un geometra) si sia al riguardo rivolto,
dal personale possesso del titolo abilitante da parte di quest'ultimo
dipendendo la validità del negozio.
Secondo l'orientamento giurisprudenziale della suprema Corte, ricorda la
sentenza, “la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra
in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri e degli
architetti sono illegittime, cosicché a rendere legittimo un progetto
redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o vistato da un
ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e
diriga le relative opere, perché è il professionista competente che deve
essere, altresì, titolare della progettazione, trattandosi di incombenze che
devono essere inderogabilmente affidate dal committente al professionista
abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le
relative responsabilità”
(commento tratto da www.casaeclima.com).
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MASSIMA
10.
Con il quinto motivo, il ricorrente Lo.Sa., lamentando la violazione
e l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 16 del r.d. n. 274 del
1929, dell'art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell'art. 2 della l. n. 1086 del
1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte
d'appello ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo che il
contratto di prestazione d'opera professionale stipulato da un geometra,
tutte le volte in cui il progetto prevede l'adozione, anche in minima parte,
di strutture in cemento armato in una futura costruzione civile, è nullo ai
sensi dell'art. 1418 c.c., per violazione di una norma imperativa, e non dà
diritto ad alcun compenso, laddove, al contrario, in base alle norme
previste dal r.d. n. 274 del 1929, che disciplina le competenze
professionali del geometra, dalla l. n. 144 del 1949, che ha approvato la
relativa tariffa, dal r.d. n. 2229 del 1939, dalla successiva l. n. 1086 del
1971 e dalla l. n. 64 del 1964, rientra nella competenza dei geometri anche
la progettazione di costruzioni di cemento armato, purché, secondo
un'indagine da svolgere caso per caso, tali costruzioni, sotto il profilo
tecnico-qualitativo, rientrino, per i problemi tecnici che implicano, nella
loro competenza professionale, al pari della direzione dei relativi lavori,
e che, secondo il criterio economico-quantitativo, non comportino pericoli
per l'incolumità pubblica.
11. Il motivo è infondato.
Il ricorrente, infatti, ha riproposto argomenti già più volte esaminati e
disattesi dalla giurisprudenza civile di questa Corte,
la quale ha costantemente evidenziato come ai geometri sia
solo consentita, ai sensi della norma contenuta nell'art. 16, lett. m), del
r.d. n. 274 del 1929, la progettazione, direzione e vigilanza di modeste
costruzioni civili, con esclusione in ogni caso di opere che prevedono
l'impiego di strutture in cemento armato, a meno che non si tratti di
piccoli manufatti accessori, nell'ambito di fabbricati agricoli o destinati
alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di
calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per
l'incolumità pubblica.
Peraltro, trattandosi di una scelta inequivoca del legislatore dettata da
evidenti ragioni di pubblico interesse, i limitati margini
di discrezionalità accordati all'interprete attengono soltanto alla
valutazione dei requisiti della modestia delle costruzioni, della non
necessità di complesse operazioni di calcolo ed all'assenza di implicazioni
per la pubblica incolumità, mentre invece, per l'altra condizione,
costituita dalla natura di annesso agricolo o industriale agricolo dei
manufatti, eccezionalmente progettabili dagli anzidetti tecnici anche nei
casi di impiego di cemento armato, non vi sono margini di sorta, attesa la
chiarezza e tassatività del precetto normativo, esigente un preciso
requisito (la suddetta destinazione), che o c'è o non c'è.
Disattesa, per le suesposte considerazioni, la possibilità di
un'interpretazione estensiva della citata disposizione, deve altresì
escludersi, ai sensi dell'art. 14 disp. gen., l'applicabilità analogica
della deroga, contenuta nell'art 16, lett. m), del r.d. cit., al generale
divieto di progettazione di opere in cemento armato, in considerazione della
evidenziata natura eccezionale della norma, che pertanto non si presta, de
iure condito, ad adattamenti di tipo "evolutivo", quale che sia la
meritevolezza delle esigenze al riguardo prospettate.
Va ancora precisato, per completezza, che di nessun apporto alla suddetta
tesi è il richiamo alle previsioni contenute nei testi normativi
disciplinanti le costruzioni in cemento armato e quelle nelle zone sismiche,
considerato che sia l'art. 2 della l. n. 1086 del 1971, sia l'art. 17 della
l. n. 64 del 1974 fanno riferimento, per quanto attiene alla progettazioni
in questione da parte delle varie categorie di professionisti, ai limiti
delle rispettive competenze, così chiaramente rinviando, senza introdurre
autonomi ed innovativi criteri attributivi di competenza, alle previgenti
rispettive normative professionali di riferimento, tra le quali, dunque, per
quanto riguarda i geometri, quella in precedenza esaminata, che è rimasta
immutata (Cass. n. 19292 del 2009; conf., Cass. n. 27441 del 2006; Cass. n.
6649 del 2005; Cass. n. 3021 del 2005; Cass. n. 5961 del 2004; Cass. n.
15327 del 2000; Cass. n. 5873 del 2000; Cass. n. 3046 del 1999; Cass. n.
1157 del 1996).
Ne consegue la nullità del contratto di affidamento della
direzione dei lavori di costruzioni civili ad un geometra, ove la
progettazione richieda l'esecuzione, anche parziale, dei calcoli in cemento
armato, trattandosi di attività demandata agli ingegneri, attese le limitate
competenze attribuite ai geometri dall'art. 16 del r.d. n. 274 del 1929
(Cass. n. 5871 del 2016; Cass. n. 19989 del 2013, per cui
il contratto di progettazione e direzione dei lavori relativo a costruzioni
civili che adottino strutture in cemento armato stipulato da un geometra
anteriormente all'abrogazione -ad opera del d.lgs. n. 212 del 2010- del r.d.
n. 2229 del 1939, è nullo in quanto contrario a norme imperative, sul
rilievo che la menzionata abrogazione, comportando l'introduzione di una
disciplina innovativa e non già interpretativa della normativa previgente,
non ha prodotto effetti retroattivi idonei ad incidere sulla qualificazione
degli atti compiuti prima della sua entrata in vigore e non ha, dunque,
influito sulla invalidità del contratto, regolata dalla legge del tempo in
cui lo stesso è stato concluso).
La decisione impugnata è, dunque, sul punto giuridicamente corretta: la
corte d'appello, infatti, dopo aver accertato, in fatto, che l'edificio
progettato dal ricorrente era destinato ad abitazione e richiedeva la
realizzazione di opere in cemento armato, ha giustamente ritenuto la nullità
del relativo contatto trattandosi di progetto redatto da un geometra in
materia estranea alla relativa competenza professionale.
...
14.
Con il settimo motivo, il ricorrente Lo.Sa., lamentando la violazione
e l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 16 del r.d. n. 274 del
1929, dell'art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell'art. 2 della l. n. 1086 del
1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3
c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte
d'appello, in accoglimento dell'eccezione di nullità contrattuale, ha
rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo irrilevante che
l'attività di progettazione e di direzione dei lavori delle strutture in
cemento armato fosse stata eseguita, in accordo con i committenti,
dall'arch.
Da., laddove, in realtà, ove il tecnico laureto abbia assunto, in modo
esplicito, sia nei confronti del committente privato, che della pubblica
amministrazione, la responsabilità per tutti quei profili che nell'ottica
della tutela della pubblica incolumità richiedono specificamente il suo
intervento, la normativa di legge sulle competenze professionali non può
dirsi violata.
15. Il motivo è infondato.
Escluso, infatti, per quanto in precedenza esposto, ogni rilievo ai fatti
che la sentenza non ha espressamente rappresentato quali oggetto del suo
accertamento, non avendo il ricorrente dedotto il come e il quando ne avesse
fatto allegazione nel corso del giudizio di merito, la Corte non può che
ribadire il principio per cui il progetto redatto da un geometra in materia
riservata alla competenza professionale degli ingegneri è illegittimo, a
nulla rilevando né che sia stato controfirmato da un ingegnere, né che un
ingegnere abbia eseguito i calcoli del cemento armato e diretto le relative
opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì,
titolare della progettazione, assumendosi la relativa responsabilità.
Ne consegue che, nella suddetta ipotesi, il rapporto tra il geometra ed il
cliente è radicalmente nullo ed al primo non spetta alcun compenso per
l'opera svolta, ai sensi dell'art. 2231 c.c. (Cass. n. 6402 del 2011).
È appena il caso di ricordare che nell'ambito della disciplina normativa
sopra evidenziato, dal quale emerge una chiara ripartizione di competenze
tra geometri ed altri professionisti in riferimento alla progettazione ed
alla direzione di opere relative a costruzioni ed edifici, trova fondamento
l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non vi sono
ragioni per discostarsi, secondo cui la progettazione e la direzione di
opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza
professionale degli ingegneri e degli architetti sono illegittime, cosicché
a rendere legittimo un progetto redatto da un geometra non rileva che esso
sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i
calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perché è il
professionista competente che deve essere, altresì, titolare della
progettazione, trattandosi di incombenze che devono essere inderogabilmente
affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio
statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità.
Anche per tale ragione, dunque, correttamente la sentenza impugnata ha
concluso per la nullità del contratto (Cass. n. 3021 del 2005, secondo cui, per il disposto dell'art. 2231 c.c., l'esecuzione di una
prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi
non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità
assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di
qualsiasi effetto, in contrario non rilevando la circostanza che il progetto
dell'opera realizzando risulti redatto da altro professionista (nel caso, un
ingegnere) cui quello incaricato (nel caso, un geometra) si sia al riguardo
rivolto, dal personale possesso del titolo abilitante da parte di quest'ultimo
dipendendo la validità del negozio). |
dicembre 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
esterni, illegittimi senza verifica delle carenze di risorse interne alla PA.
Nuovo intervento della magistratura contabile sugli incarichi dirigenziali a
soggetti esterni all'ente pubblico sulla base dell'articolo 19, comma 6, del
Dlgs 165/2001, che in via eccezionale consente il conferimento di funzioni
dirigenziali a tempo determinato «a persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale non rinvenibile nei ruoli
dell'Amministrazione».
In linea con i precedenti giurisprudenziali in materia, la Corte dei conti,
Sezione regionale di controllo per il Lazio, con la
deliberazione
05.12.2018 n. 71
interpreta in chiave restrittiva la facoltà per l'ente di utilizzare
l’istituto per sopperire al fabbisogno di personale occorrente al
funzionamento della Pa.
La questione
In questo caso, la Sezione ricusa il visto e la registrazione del decreto di
nomina triennale di un funzionario del Miur a dirigente di livello non
generale, con funzione tecnico-ispettiva, per la carenza del richiamo,
all'interno del provvedimento, del previo espletamento di procedure di
interpello interno volte ad accertare la non sussistenza di risorse
dirigenziali interne corrispondenti a quella oggetto del decreto di nomina.
Questo perché l'articolo 19, comma 6, del Dlgs 165/2001 consente il
conferimento di funzioni dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni
alla Pa in subordine al verificarsi seguenti condizioni:
a) non rinvenibilità di competenze analoghe all'interno dell'amministrazione
conferente;
b) particolare e comprovata qualificazione professionale del soggetto
prescelto.
La verifica
Per verificare la sussistenza del requisito di cui al punto a) è pertanto
indispensabile verificare previamente la carenza di risorse dirigenziali
interne dotate di quella professionalità che si cerca, in vista dello
specifico incarico da attribuire.
Il presupposto ha un'importanza fondamentale, tanto che il testo unico sul
pubblico impiego lo prevede, più in generale, per tutti gli incarichi
esterni, là dove l'articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001 dispone che «le
amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi
individuali, con contratti di lavoro autonomo, a esperti di particolare e
comprovata specializzazione», solo dopo «aver preliminarmente accertato
l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo
interno».
La decisione
Con la delibera in commento la Corte ribadisce il carattere essenziale della
verifica interna alla Pa, sulla base del principio secondo cui «è onere
dell'amministrazione utilizzare al massimo il personale in servizio e
ricorrere a contratti esterni solo nell'ipotesi di assoluta carenza di quel
tipo di specializzazione».
La limitazione del ricorso a contratti al di fuori di ruoli dirigenziali
deve essere perseguita, secondo una costante giurisprudenza, in ossequio a
una serie di esigenze concomitanti che spaziano dalle ragioni di
contenimento della spesa pubblica alla necessità di ottimizzare la
produttività del lavoro pubblico, nonché, da ultimo, per non mortificare le
aspettative professionali dei dirigenti interni che aspirino a ricoprire il
posto di lavoro in argomento.
Come si legge nella pronuncia, trova perciò conferma il principio secondo
cui «il sistema di provvista dirigenziale disciplinato dal citato d.lgs. n. 165/2001
considera come assolutamente eccezionale l'affidamento di funzioni
dirigenziali a soggetti che non abbiano superato il prescritto percorso di
qualificazione concorsuale per l'inserimento nel ruolo dirigenziale, che
resta la modalità di reclutamento “fisiologica”, coerente con il dettato
costituzionale posto a garanzia del migliore andamento dei pubblici uffici».
Va notata, peraltro, la convergenza della posizione dei giudici contabili
con gli indirizzi della Suprema Corte, là dove questa ha asserito che «in
tema di conferimento di incarichi dirigenziali, costituisce regola immanente
al sistema, corrispondente ad una finalità di economicità, efficienza e
buona amministrazione, il principio, esplicitato dal terzo periodo del comma
6 dell'articolo 19 del dlgs 165/2001 (…) secondo cui la nomina di un soggetto
esterno alla Pa è condizionata alla previa verifica dell'insussistenza,
all'interno dei ruoli organici, di una professionalità equivalente»
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 4621/2017)
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.01.2019). |
novembre 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
CV
collaboratori e privacy.
Domanda
La deliberazione ANAC n. 1310 del 28/12/2016 “Prime linee guida recanti
indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal
d.lgs. 97/2016” prevede la pubblicazione, nella sezione web di “Amministrazione
Trasparente” – Sottosezione “Consulenti e collaboratori”, del
curriculum vitae in formato europeo di ogni consulente o collaboratore
al quale viene conferito un incarico esterno.
Questo obbligo normativo è in contrasto con quanto previsto dal Regolamento
UE 679/2016 (GDPR) e dal decreto legislativo n. 101 del 10.08.2018?
Risposta
Il 25.05.2018, ha dispiegato tutti i suoi effetti il Regolamento (UE)
2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27.04.2016 «relativo
alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la
direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati)» (di
seguito GDPR).
In seguito, il 19.09.2018, è entrato in vigore il decreto legislativo
10.08.2018, n. 101 che adegua il Codice in materia di protezione dei dati
personali (decreto legislativo 30.06.2003, n. 196) alle disposizioni del
Regolamento (UE) 2016/679.
Con riferimento al quesito posto, occorre anzitutto evidenziare che
l’articolo 2-ter, del decreto legislativo 196/2003 –introdotto dal decreto
legislativo 101/2018– dispone al comma 1 che la base giuridica per il
trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di
interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, ai sensi
dell’art. 6, paragrafo 3, lett. b) del Regolamento (UE) 2016/679, «è
costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla
legge, di regolamento».
Ciò sta a dimostrare che il regime normativo per il trattamento di dati
personali da parte dei soggetti pubblici è rimasto sostanzialmente
inalterato, restando fermo il principio per cui lo stesso trattamento sia
consentito unicamente se ammesso da una norma di legge o di regolamento.
Pertanto, occorre che l’ente, prima di mettere a disposizione sul proprio
sito web istituzionale dati e documenti in forma integrale o per estratto
–allegati compresi– contenenti dati personali, verifichi che la disciplina
in materia preveda l’obbligo di pubblicazione e, in più, accerti il rispetto
di tutti i principi applicabili al trattamento dei dati personali contenuti
all’art. 5 del Regolamento (UE) 2016/679.
In particolare, assumono rilievo i principi di adeguatezza, pertinenza e
limitazione a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali i dati
personali sono trattati («minimizzazione dei dati») (par. 1, lett. c) e
quelli di esattezza e aggiornamento dei dati, con il conseguente dovere di
adottare tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare
tempestivamente i dati inesatti (o non pertinenti) rispetto alle finalità
per le quali sono trattati (par. 1, lett. d).
Nel caso di specie prospettato dal quesito, dovrà essere obbligatoriamente
pubblicato il curriculum vitae dell’incaricato (secondo l’articolo 15, comma
1, lettera b), decreto legislativo 33/2013, avendo cura di oscurare le
informazioni non direttamente connesse all’attività professionale, come ad
esempio la data di nascita, la residenza privata, la casella mail e il
numero di telefono privato del professionista (27.11.2018 - tratto da
e link a www.publika.it). |
ottobre 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Danno
erariale per la consulenza esterna che prova a superare il parere negativo
dei revisori.
L'ente non è abilitato a superare il parere negativo dell'organo di
revisione contabile ricorrendo a una consulenza esterna, sia per
l'autosufficienza della struttura interna a risolvere le problematiche
sollevate, sia in quanto non è possibile duplicare le attività di esclusiva
competenza dei revisori dei conti.
Queste le conclusioni cui giunge la Corte dei conti della Lombardia con la
sentenza 31.10.2018 n. 214.
L'impasse dell'ente a causa del parere negativo dei revisori
Dovendosi approvare il bilancio consuntivo, il collegio dei revisori dei
conti rilevava una non corretta contabilizzazione di alcune poste riferite,
in particolare, a una discordanza tra valori inseriti in bilancio e nella
delibera dei lavori commissionati, oltre a un’errata contabilizzazione di
interventi di manutenzioni interamente spesati nell'esercizio pur avendo
natura pluriennale. Il parere negativo sul consuntivo si ripercuoteva anche
sul bilancio di previsione, con il particolare rischio di non permettere
all'ente di rispettare le scadenze previste per la loro approvazione.
Le motivazioni per l'affidamento dell'incarico esterno
Per sbloccare l'iter di approvazione del bilancio consuntivo e del
preventivo, il responsabile della spesa oggetto di contestazione, unitamente
al responsabile finanziario e al direttore generale, anche a fronte
dell'imminente scadenza dei termini previsti dalla legge, affidavano in via
diretta un incarico a una società di revisione esterna. Ciò sia per
controllare la correttezza dei rilievi avanzati dall'organo di revisione,
sia per porre un eventuale rimedio contabile nell'ipotesi di veridicità
delle annotazioni negative sull'operato dell'ente.
Il direttore generale, inoltre, riteneva legittimo affidare a un terzo
indipendente la valutazione delle poste di bilancio in contestazione, in
quanto tale tipologia di verifica rappresenta, a suo dire, la modalità
normalmente utilizzata anche nel settore delle imprese laddove si manifesti
un contrasto tra amministratori e organi di controllo.
I rilievi dell'organo di revisione contabile -tra i cui compiti rientra
anche quello di garantire la legittimità e la correttezza dell'azione
amministrativa e contabile- sull'inutile spesa sopportata dall'ente,
mediante duplicazione delle attività riservate in via esclusiva al controllo
interno, causavano il rinvio a giudizio per danno erariale dei soggetti che
a vario titolo avevano operato illegittimamente.
Le conclusioni
Secondo la Corte dei conti Lombardia non può non essere rilevato come nel
nostro ordinamento giuridico le amministrazioni pubbliche debbano
prioritariamente provvedere ai propri compiti e funzioni con la propria
organizzazione e con proprio personale, salvo il ricorso a consulenti
esterni nelle limitate ipotesi previste dalla legge, stante il loro
carattere eccezionale e riguardante situazioni di assoluta mancanza di
professionalità interne.
Nel caso specifico, la controversia riguarda i rilievi dell'organo di
revisione contabile, questioni di non elevata complessità e, dunque, prive di
quelle peculiari connotazioni che avrebbero potuto consentire di poter
percorrere la strada alternativa del ricorso all'ausilio di terzi a titolo
oneroso.
In presenza di divergenze, tra organo di amministrazione attiva e organo di
controllo interno, che rappresenta una situazione di normale conflittualità,
la soluzione avrebbe dovuto obbligatoriamente essere ricercata tra l'ente e
l'organo di revisione, non certo ricorrendo a prestazioni esterne di tipo
oneroso.
In conclusione, per la Corte dei conti le spese sostenute per l'affidamento
dell'incarico esterno vanno considerate quale danno erariale, in
considerazione della deviazione ai principi di sana gestione amministrativa.
Il danno va addebitato ai soggetti che tale inutile spesa deciso
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 06.11.2018).
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DIRITTO
Non essendoci questioni in rito da affrontare si può passare alla disamina
del merito del giudizio.
Il Collegio evidenzia al riguardo che, in condivisione delle considerazioni
svolte dalla Procura, opera un principio basilare nel nostro ordinamento
giuridico, da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza contabile, in virtù
del quale le Amministrazioni pubbliche debbono prioritariamente provvedere
ai propri compiti ed alle proprie funzioni con la propria organizzazione e
con proprio personale, riservando ad ipotesi eccezionali e puntualmente
disciplinate dal legislatore ogni eventuale deroga al principio stesso.
Si tratta di un principio che trova il proprio fondamento nei principi, con
copertura costituzionale, del buon andamento e dell’imparzialità della
pubblica amministrazione, corroborati dalle esigenze di contenimento della
spesa pubblica.
In altri termini, la facoltà di ricorrere a consulenti esterni non può
considerarsi una prerogativa arbitraria di chi amministra, ma va collocata
nell’ambito di precisi contesti normativi predisposti dal legislatore, il
quale la consente solo in termini assolutamente residuali, con rigorose
garanzie procedimentali, e per periodi limitati.
Al riguardo, in condivisione dei richiami giurisprudenziali di cui all’atto
di citazione (in particolare, pag. 15), deve farsi pregnante riferimento a
quanto già affermato da questa Corte, con le ampie ed articolate motivazioni
di cui alla
sentenza
18.04.2017 n. 112 della I Sezione centrale d’Appello (cfr. anche la richiamata sentenza
18.04.2012 n. 303 della III Sezione centrale d’Appello), cui può sostanzialmente rinviarsi, anche ai
sensi dell’art. 17 delle norme di attuazione del codice della giustizia
contabile.
Sul piano fattuale non può che rilevarsi che la fattispecie controversa (rectius:
i rilievi dei revisori) si riferisce ad una problematica circoscritta e di
non particolare complessità, e, dunque, priva di quelle peculiari
connotazioni che avrebbero potuto consentire percorrere la strada
alternativa del ricorso all’ausilio di terzi a titolo oneroso. Di fatto,
nella fattispecie, si trattava di dover esaminare le valutazioni, mirate su
questioni specifiche, divergenti da quelle dell’Amministrazione attiva,
dell’organo di controllo interno, e quindi risolvere nella maniera più
appropriata le questioni emerse in sede di interlocuzione interna tra organi
aventi funzione diversa, già compensati con esborso a carico del pubblico
bilancio.
L’ Amministrazione avrebbe dovuto, poiché non si ignorano comunque le
problematiche nascenti da rapporti conflittuali che possono insorgere tra
organi di amministrazione attiva e organo di controllo interno, ricercare
una soluzione proporzionata e adeguata, senza ricorrere onerosamente ad un
soggetto esterno, a titolo oneroso, e ciò al di là del nomen utilizzato per
qualificare la prestazione di c.d. limited review richiesta all’esterno,
che, peraltro, risultando affidata ad un organo di esclusiva scelta
dell’Amministrazione attiva, nemmeno garantiva, ex ante, la rivendicata
imparzialità di un (pur comunque non ammissibile) parere di tipo “arbitrale”
diretto a regolare e ad eventualmente conciliare le opposte posizioni che si
confrontavano nella fattispecie.
Per l’effetto, si ravvisano, allo stato, in capo agli odierni convenuti
pienamente sussistenti gli elementi costitutivi della responsabilità per il
danno erariale arrecato all’Azienda Ospedaliera:
1) il rapporto d’impiego e/o di servizio in ragione del quale si è
verificato il comportamento pregiudizievole foriero di danno;
2) il danno erariale cagionato all’Amministrazione di appartenenza;
3) il nesso di causalità tra l’evento lesivo e il comportamento posto in
essere;
4) l’elemento soggettivo della colpa grave.
Nel dettaglio, come già nell’invito a dedurre e poi nell’atto introduttivo,
l’attrice Procura ha rappresentato con riferimento alle singole
responsabilità, l’importo che ciascun convenuto è tenuto a risarcire alla
stregua del ruolo e della funzione svolta nella vicenda in esame.
Il dott. PE., nella sua qualità di responsabile della U.O.C.
Approvvigionamenti Logistica e Servizi Alberghieri della A.O. Bolognini di
Seriate (BG), ha adottato la determinazione n. 7 del 07.02.2012, avente ad
oggetto l’illegittima acquisizione in affidamento diretto del servizio di
attività di limited review per l’U.O.C. Ragioneria allo Studio KPMG S.p.A.
L’incidenza causale di siffatta condotta, costituita dall’emanazione
dell’atto illecito, è stata quantificata in misura pari al 40% dell’esborso,
ossia per Euro 3.630,00, oltre accessori.
Il dott. DO., nella sua qualità di responsabile della U.O.C. Ragioneria
della A.O. Bolognini di Seriate (BG), ha richiesto l’affidamento del
servizio di limited review ad una società esterna, come richiamato nella
stessa determinazione in contestazione e come emerge dall’e-mail del
01.02.2012 con cui il medesimo inviava al dott. Pe. e al dott. Ve.
l’elenco delle aziende da invitare, corredato da un capitolato del servizio
di limited review da commissionare. L’incidenza causale di questa condotta,
costituita dalla proposta dell’atto illecito, tenendo conto che si trattava
di supportare proprio la U.O.C. di cui il Do. era direttore, è stata
quantificata in misura pari al 40% dell’esborso, ossia per Euro 3.630,00,
oltre accessori.
Il dott. VE., nella sua qualità di Direttore Amministrativo dell’A.O.
Bolognini, ha avallato la proposta di affidare l’incarico in contestazione.
si richiama l’e-mail del 01.02.2012 inviata alla Regione Lombardia con cui
l’Amministrazione regionale veniva informata delle intenzioni della A.O. di
affidare l’attività ad una società esterna nei seguenti termini: “in
considerazione del permanere della valutazione negativa da parte del
Collegio Sindacale si informa che l’Azienda intende attivare una limited
review affidata ad una società di revisione indipendente, a cui verrà
chiesto di esprimere una valutazione (limitata ai punti in contestazione del
bilancio consuntivo 2010)..”. L’incidenza causale di siffatta condotta è
stata quantificata in misura pari al 15% dell’esborso, ossia per Euro
1.361,25, oltre accessori.
Il dott. AM., nella sua qualità apicale di Direttore Generale dell’A.O.
Bolognini, a conoscenza dell’intera vicenda, è stato destinatario della
segnalazione da parte del Presidente del Collegio Sindacale
dell’illegittimità dell’incarico in contestazione. La Procura ha richiamato
in proposito la nota n. 6970 del 29.02.2012 indirizzata al Presidente del
Collegio Sindacale, ove il D.G. sosteneva la legittimità dell’incarico
esterno, facendo proprie le motivazioni alla base della limited review,
consistita nell’“affidare a un terzo indipendente la valutazione delle
poste di bilancio in contestazione. Tale tipologia di verifica rappresenta
la modalità normalmente utilizzata anche nel settore delle imprese laddove
si manifesti un contrasto tra amministratori e organi di controllo…Per tutto
quanto sopra esposto, non si ravvedono profili di “illegittimità” o di
“anomalia” nella determinazione n. 7 del 07.02.2012".
L’incidenza causale di siffatta duplice condotta omissiva è stata
quantificata in misura pari al 5% dell’esborso, ossia per Euro 453,75, oltre
accessori.
Tuttavia, quanto alla sussistenza e all’entità del danno (elemento
oggettivo), sussistente nella fattispecie, la Sezione reputa che –valutate
le singole responsabilità- possa trovare applicazione l’istituto della
riduzione dell’addebito, attesa la peculiarità del contesto, evidenziata
dettagliatamente dai difensori dei convenuti, nel quale è maturata la
vicenda all’esame della Sezione, con particolare riferimento all’impellenza
di giungere all’approvazione del bilancio consuntivo 2010 evitando le
conseguenze negative che la mancata approvazione avrebbe avuto a cascata
anche sul bilancio consuntivo 2011.
Non si è dunque trattato di una sprezzante violazione delle regole
contabilistiche formali e sostanziali che disciplinano la spesa pubblica,
bensì della ricerca di una soluzione prospetticamente rivolta alla
composizione di contrasti, la quale, se pur illegittima e dannosa, va
valutata con proporzionalità e congruità.
Ritiene pertanto il Collegio che, anche in considerazione dell’attività
comunque svolta in favore dell’Ente e dei risultati realizzati, nonché
tenuto conto del comportamento non collaborativo dei revisori, i convenuti
vadano condannati a risarcire all’ Azienda Ospedaliera Bolognini un importo
ridotto del 50% (€ 4.537,50) rispetto a quello indicato dalla Procura
attrice, già rivalutato, oltre agli interessi legali dal deposito della
presente sentenza al saldo, da imputarsi in via parziaria e nelle stesse
percentuali di ripartizione indicate dalla Procura stessa.
P.Q.M
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Lombardia
CONDANNA
I convenuti al pagamento della somma complessiva pari ad € 4.537,50 a favore
dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate così suddivisa:
FE.PE. € 1.815,00 (pari al 40%);
AL.DO. € 1.815,00 (pari al 40%);
GI.VE. € 680,62 (pari al 15%);
AM.AM. € 226,87 (pari al 5%), già rivalutata, oltre ad interessi
legali dal deposito della presente sentenza fino al soddisfo.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza e si liquidano nelle stesse
percentuali a carico dei convenuti in € 380,54 (trecentottanta/54) (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 31.10.2018 n. 214). |
settembre 2018 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Non
sussiste la responsabilità erariale circa l'affidamento all'esterno
dell'ente dell'incarico di frazionamento catastale di una strada allorché
detto incarico risulti effettivamente non affidabile all’interno
dell’amministrazione per ragioni puntualmente esposte.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa, le Amministrazioni
pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle
risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola
solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale
dipendente ed a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente
accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente
al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta,
non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del
limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma
1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e
sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della
disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine,
nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in
via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti, l’art. 20 della L.P. n. 23/1996,
concernente l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre
attività tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella
formulazione applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività
devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente
“compatibilmente con la quantità e la qualità di risorse professionali e
tecnologiche effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre la citata norma prevede (art. 20, comma 3)
che solo nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di
complesse questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o
di competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente dai
dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti
esterni.
Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il
Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i
limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta
alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e,
perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico.
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di giunta
municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di
frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità
tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una
carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione
GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente
consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del
servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze non può, pertanto,
ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione
degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
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2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta
all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato,
secondo la tesi attorea, in violazione dei principi di cui all’art. 7, c. 6,
del D.lgs. n. 165/2001.
In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha
contestato ai convenuti –nelle qualità di componenti della Giunta comunale
che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 44/2016) e di
Segretario che ne ha avallato la legittimità– di aver cagionato il danno
erariale di euro 2.325,71, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese
in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno dell’attività
di frazionamento (inerente una strada) che avrebbe dovuto essere svolta dal
personale assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, “solo in via meramente secondaria”, ha riferito il
contestato danno anche alla violazione delle regole sulla concorrenza,
essendo stato l’incarico affidato a trattativa privata senza un previo
confronto concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei
convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale
alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione del
provvedimento sussisteva un oggettivo deficit strumentale nell’ambito
dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la ragionevole scelta di
esternalizzare il servizio, a fronte anche di un ingente spesa, all’incirca
di 20.000,00 euro, necessaria per acquistare la particolare apparecchiatura
GPS satellitare.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno
poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la
disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la
sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale
il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi
rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la
normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7,
comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a
Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una
disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico
sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il
Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e
i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni
e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della
Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto,
in virtù di tale normativa, le Amministrazioni pubbliche
devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse
dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei
casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed
a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente accertata con
procedure formali che ne diano motivatamente conto
(cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale
Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine
di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta
(cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id.
n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015;
id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non
configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al
sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L.
n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzitutto,
rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca,
consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n.
23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e
dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al
primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento
di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di
apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali
dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni
incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del
patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane
fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi
per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio,
per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto,
in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei
convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in
materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza
negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata
normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte
Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto
parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del
D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di
Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente
enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse
provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale
potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4
dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi
internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono
stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n.
26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle
misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso, reputa il Collegio, sulla base di una lettura
letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art.
97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le
Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro
competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al
proprio servizio.
Infatti, l’art. 20 della L.P. n. 23/1996, concernente
l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre attività
tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella formulazione
applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività
devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente “compatibilmente
con la quantità e la qualità di risorse professionali e tecnologiche
effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre la citata norma prevede (art. 20, comma 3) che solo
nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di complesse
questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o di
competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente
dai dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti
esterni.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il
Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i
limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta
alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e,
perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico
(Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione
Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di giunta
municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di
frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità
tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una
carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione
GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente
consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del
servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze non può, pertanto,
ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione
degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
Né ritiene il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che i
componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un
voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale,
secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, non provvedendo
all’ordinaria strumentazione di un Ufficio Tecnico di rilevanti dimensioni “in
concorso con il responsabile dell’Ufficio Tecnico” al fine di “compiacere
la volontà di favorire professionisti esterni”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio
2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a
provare il prospettato “concorso” illecito per favorire soggetti
terzi.
Per quanto già evidenziato, deve ritenersi che all’atto dell’assunzione
della delibera n. 44/2016, l’Ufficio Tecnico del Comune di Cavalese non
fosse, oggettivamente, nelle condizioni di effettuare l’attività di
frazionamento della strada non possedendo la necessaria strumentazione.
Inoltre, le difese hanno provato –depositando il preventivo di una ditta
specializzata– che tale strumentazione aveva un costo particolarmente
elevato, di molto superiore a quanto corrisposto al professionista esterno
per effettuare il necessario singolo frazionamento e tanto consente di
escludere, in assenza di prova contraria da parte della Procura, che la
scelta di esternalizzare l’incarico possa configurarsi come irragionevole e,
in definitiva, dannosa per l’Ente.
Ciò posto, deve essere respinta la domanda risarcitoria formulata in via
principale da parte attrice, con riguardo alla violazione della normativa in
materia di incarichi esterni, non sussistendo i presupposti della
responsabilità amministrativa dei convenuti.
Né può trovare accoglimento la domanda risarcitoria formulata dal P.M. “in
via meramente secondaria”, in relazione al mancato rispetto delle regole
della concorrenza, non risultando in alcun modo provata, anche con riguardo
a tale prospettazione subordinata, la sussistenza dell’esistenza di un danno
erariale.
Conclusivamente, sulla base delle esposte considerazioni, assorbita ogni
altra questione e disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,
i convenuti vanno mandati assolti dagli addebiti di responsabilità
contestati nell’atto di citazione.
Avuto riguardo al proscioglimento nel merito, il Collegio deve provvedere
alla liquidazione delle spese di difesa, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del
Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016).
Ai sensi di tale disposizione, con la sentenza che esclude definitivamente
la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno,
ovvero della violazione degli obblighi di servizio, del nesso di causalità,
del dolo o della colpa grave, il Giudice non può disporre la compensazione
delle spese del giudizio e deve liquidare, a carico dell’Amministrazione di
appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa.
Sulla base della citata norma, esaminati gli atti di causa e facendo
applicazione dei parametri contenuti nel D.M. n. 55/2014 (“Regolamento
recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per
la professione forense”) si quantificano le spese legali, da porre a
carico del Comune di Cavalese, in favore della difesa del convenuto Gi.Ma.
nell’importo di euro 270,00 per compensi oltre spese generali (15%),
c.n.p.a. e I.V.A nonché in favore della difesa, unitariamente considerata,
degli altri convenuti We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Ma. e Va.Or., nell’importo
complessivo di euro 486,00 per compensi oltre spese generali (15%), c.n.p.a.
e I.V.A .
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti,
Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di
Trento, definitivamente pronunciando, assolve i convenuti
We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma.
(Corte dei Conti, Sez. giursidiz. Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.09.2018 n. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Sussiste
la responsabilità per danno erariale nel caso di affidamento, a
professionista esterno all’amministrazione, di un incarico di direzione
lavori e di coordinamento della
sicurezza in fase esecutiva n
assenza di adeguata e congrua motivazione che esponga in termini puntuali le
ragioni per le quali risulta l’impossibilità di utilizzo del personale
interno o dell’attrezzatura necessaria.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa, le Amministrazioni
pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle
risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola
solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale
dipendente ed a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente
accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente
al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta,
non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del
limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma
1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e
sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della
disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine,
nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in
via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti, l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante
“incarichi di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente
ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di norma
affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni aggiudicatrici
in possesso delle necessarie professionalità”, soggiungendo (comma 5) che
“la direzione dei lavori può essere costituita anche nella forma del gruppo
misto di direzione formato da dipendenti dell’Amministrazione e da
professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che la normativa in riferimento
prevede, in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma)
alla disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n.
23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di complesse
questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze organizzative delle
Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze anche temporanee di
organico o di competenze specifiche, attestate motivatamente dai dirigenti
dei servizi competenti d’intesa con il dirigente generale” la possibilità di
avvalersi, anche parzialmente, di soggetti di riconosciuta e specifica
competenza.
In definitiva, solamente in presenza di comprovate carenze
organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi,
l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente
costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione,
di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per
tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
---------------
Tanto premesso con
riguardo al quadro normativo di riferimento, appare
evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione
delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare
congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa
istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive
carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per
legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un
costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento
-allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che
non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con
incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma
rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa
erogazione di denaro pubblico.
---------------
Sul punto giova
ricordare la diversità dei compiti assegnati alle figure del direttore
dei lavori e del coordinatore della sicurezza, considerato che
il primo è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e
amministrativo dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è
tenuto a verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma
1, del D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta
applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le
imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al
committente ed al responsabile dei lavori le eventuali
inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed
imminente.
---------------
La questione dedotta in giudizio integra la fattispecie esaminata dalla
citata giurisprudenza, ovvero il caso di una delibera assunta in assenza di
qualsiasi congrua motivazione rispetto ai vincoli espressamente previsti dal
Legislatore per il conferimento di incarichi esterni.
Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e
conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì
provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare
l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche
parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni
lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso
l’Ufficio Tecnico.
Sicché, devono ritenersi integrati i presupposti della
responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo, non appare revocabile in dubbio che la
condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia
stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo
con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni
nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio
dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva,
con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e
buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento
soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza,
negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli
amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il
compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.
La totale mancanza di una motivazione che potesse
giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente,
invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della
colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la
quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e
della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio
comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane interne.
---------------
2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta
all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato,
secondo la tesi attorea, in violazione dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. n.
165/2001.
In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha
contestato ai convenuti -nelle qualità di componenti della Giunta comunale
che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 19/2016) e di
Segretario che ne ha avallato la legittimità- di aver cagionato il danno
erariale di euro 17.472,02, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese
in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno della
direzione lavori e del coordinamento della sicurezza in fase esecutiva delle
opere concernenti la realizzazione di un nuovo tratto di fognatura comunale
(in località Salanzada), che avrebbe dovuto essere svolto dal personale
assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, solo in “via meramente secondaria”, ha riferito il
contestato danno alla violazione delle regole sulla concorrenza, essendo
stato l’incarico affidato a trattativa privata senza previo confronto
concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei
convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale
alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione della stessa
sussisteva un deficit organizzativo e strumentale, nell’ambito
dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la scelta di
esternalizzare il servizio.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno
poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la
disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la
sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale
il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi
rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la
normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7,
comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a
Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una
disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico
sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il
Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e
i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni
e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della
Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto,
in virtù di tale normativa, le Amministrazioni pubbliche
devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse
dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei
casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed
a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente accertata con
procedure formali che ne diano motivatamente conto
(cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale
Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine
di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta
(cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id.
n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015;
id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non
configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al
sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L.
n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzi tutto,
rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca,
consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n.
23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e
dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al
primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento
di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di
apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali
dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni
incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del
patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane
fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi
per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio,
per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto,
in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei
convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in
materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza
negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata
normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte
Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto
parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del
D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di
Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente
enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse
provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale
potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4
dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi
internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono
stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n.
26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle
misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso, reputa il Collegio, sulla base di una lettura
letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art.
97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le
Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro
competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al
proprio servizio.
Infatti, l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante “incarichi
di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente
ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di
norma affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni
aggiudicatrici in possesso delle necessarie professionalità”,
soggiungendo (comma 5) che “la direzione dei lavori può essere costituita
anche nella forma del gruppo misto di direzione formato da dipendenti
dell’Amministrazione e da professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che la normativa in riferimento prevede,
in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma) alla
disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n.
23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di
complesse questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze
organizzative delle Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze
anche temporanee di organico o di competenze specifiche, attestate
motivatamente dai dirigenti dei servizi competenti d’intesa con il dirigente
generale” la possibilità di avvalersi, anche parzialmente, di soggetti
di riconosciuta e specifica competenza.
In definitiva, solamente in presenza di comprovate carenze
organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi,
l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente
costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione,
di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per
tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
Va, poi, evidenziato come la normativa provinciale di cui alla L.P. n.
26/1993 all’art. 22, comma 6, preveda la possibilità sia di tenere unite che
di separare le funzioni di direzione lavori e di coordinamento della
sicurezza (mentre la successiva L.P. n. 2 del 09.03.2016, all’art. 10,
recante “disposizioni per la progettazione e gli incarichi relativi
all’architettura e all’ingegneria”, opta per una tendenziale separazione
prevedendo che “gli incarichi di coordinatore per la sicurezza sono
affidati ad un soggetto diverso dal progettista e dal direttore dei lavori,
a meno che il responsabile del procedimento non ritenga opportuna la
coincidenza tra queste due figure”).
Sul punto giova ricordare la diversità dei compiti
assegnati alle figure del direttore dei lavori e del coordinatore
della sicurezza, considerato che il primo è preposto alla
direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo
dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è tenuto a
verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma 1, del
D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta
applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le
imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al
committente ed al responsabile dei lavori le eventuali
inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed
imminente.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento
-allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che
non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con
incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma
rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa
erogazione di denaro pubblico
(Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione
Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di Giunta municipale n.
19/2016 -votata dai convenuti We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma.
e la cui legittimità è stata avallata dal Segretario comunale dott. Gi.- non
rechi alcuna motivazione, così come invece previsto dalla stessa L.P. n.
26/1993, in ordine all’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse
interne dell’Ufficio Tecnico Comunale, risultando del tutto inconferente la
circostanza, evidenziata nella parte motiva del provvedimento, che il
geometra cui veniva affidato la direzione lavori ed il coordinamento della
sicurezza avesse già redatto la progettazione esecutiva dell’opera in base
ad un precedente incarico.
Pertanto, la questione dedotta in giudizio integra la
fattispecie esaminata dalla citata giurisprudenza, ovvero il caso di una
delibera assunta in assenza di qualsiasi congrua motivazione rispetto ai
vincoli espressamente previsti dal Legislatore per il conferimento di
incarichi esterni.
Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e
conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì
provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare
l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche
parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni
lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso
l’Ufficio Tecnico.
Giova, in proposito, ricordare come nei compiti ordinari di tali dipendenti
rientrasse, in base alle stesse indicazioni contenute nel P.E.G. (cfr. punto
E.1/Adempimenti amministrativi e tecnici) l’attività relativa al “progettare/dirigere
e controllare sotto il profilo della sicurezza le opere di competenza
dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione”.
Al fine di provare, in giudizio, la pretesa impossibilità del personale
interno di svolgere le ricordate funzioni ordinarie, i convenuti hanno
prodotto le dichiarazioni rese, in data 27/09/2017, dai dipendenti
dell’Ufficio Tecnico.
Questi ultimi hanno riferito, in particolare, di non disporre
dell’apparecchiatura necessaria per verificare l’inclinazione delle tubature
e di non aver avuto il “tempo necessario” per occuparsi della
prestazione esternalizzata, in quanto tale attività li avrebbe distolti “dalle
incombenze ordinarie”. Inoltre, hanno dichiarato di non aver mai
acquisito le certificazioni in materia di sicurezza.
Rileva il Collegio come in tali dichiarazioni non siano state indicate
dettagliatamente né le altre incombenze asseritamente preclusive
dell’espletamento delle mansioni rientranti negli ordinari compiti
dell’Ufficio Tecnico, né il costo dell’attrezzatura mancante, né tanto meno
l’incidenza dell’utilizzo di tale strumentazione nell’ambito dell’attività
esternalizzata.
Con riguardo, poi, alla dichiarazione dei dipendenti concernente la
mancanza, all’atto dell’assunzione della delibera n. 19/2016, dei requisiti
per svolgere il ruolo di Coordinatore della sicurezza, di cui all’art. 98
del Dlgs n. 81/2008 -non avendo i dipendenti dell’U.T.C. mai frequentato i
previsti corsi e, quindi, acquisito la necessaria certificazione- deve
rilevarsi come tale carenza non precludesse, vista la possibilità di
separare le funzioni di D.L. e di Coordinatore della sicurezza, di affidare
ad almeno uno dei numerosi professionisti interni (tre geometri ed un
architetto), l’attività di direzione lavori.
In ragione di quanto innanzi esposto, devono ritenersi
integrati i presupposti della responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo, non appare revocabile in dubbio che la
condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia
stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo
con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni
nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio
dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva,
con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e
buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento
soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza,
negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli
amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il
compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Non ritiene, invece, il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che
i componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un
voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale e che,
in particolare, secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, “la
mancata acquisizione (…) dell’attestato inerente al coordinamento sicurezza
(benché normale bagaglio del geometra professionista) risponda alla precisa
volontà dell’Amministrazione di favorire professionisti esterni (con la
connivenza delle risorse interne dell’Ufficio Tecnico Comunale)”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio
2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a
provare il prospettato “concorso” illecito volto a favorire soggetti
terzi.
La totale mancanza di una motivazione che potesse
giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente,
invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della
colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la
quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e
della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio
comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane interne.
Tale circostanza risulta evidenziata nella stessa relazione del dirigente
del Servizio Autonomie Locali della Provincia Autonoma di Trento ed è
accennata anche nelle dichiarazioni rese innanzi al P.M, in data 24/10/2017,
dal consigliere comunale che ha dato avvio, con il proprio esposto,
all’indagine della Procura contabile.
Reputa il Collegio che quest’ultima acquisizione istruttoria, contrariamente
a quanto sostenuto dalle parti convenute, sia stata ritualmente assunta
dalla Procura Regionale in piena osservanza dell’art. 67, settimo comma, del
Codice di Giustizia Contabile. Disposizione, quest’ultima, che consente
all’Inquirente di svolgere attività istruttoria anche successivamente
all’invito a dedurre nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, vi
sia stata la necessità di compiere accertamenti su ulteriori elementi di
fatto emersi a seguito delle controdeduzioni.
Vanno pertanto respinte le eccezioni delle difese in ordine
all’inutilizzabilità di tale atto istruttorio, dovendo altresì rilevarsi
come il contenuto di tali dichiarazioni non risulti, peraltro, determinante
al fine del decidere, emergendo per tabulas l’illegittimità della
delibera di Giunta.
2.5 Non è poi revocabile in dubbio il danno subito dal Comune di Cavalese
che, in esecuzione dell’illegittima delibera n. 19/2016, ha sostenuto, per
remunerare il professionista esterno, la complessiva spesa di euro
17.472,02, di cui euro 13.057,98 per la direzione lavori ed euro 4.414,04
per l’attività di coordinamento della sicurezza.
Ai fini della misura del risarcimento eziologicamente imputabile alla
condotta dei convenuti ritiene poi il Collegio, per le considerazioni che si
andranno di seguito ad esporre, di addivenire ad una minore quantificazione
rispetto al petitum richiesto da parte attrice.
Giova, al riguardo, premettere che nel giudizio di
responsabilità amministrativa, ove si tratti di responsabilità per colpa
grave, la natura personale e parziaria dell’obbligazione risarcitoria
consente al Giudice di tener conto di eventuali comportamenti concorrenti di
soggetti estranei al giudizio che costituendo, anche in parte, il motivo
dell’insorgenza del nocumento lamentato dall’Amministrazione riducano la
responsabilità del convenuto
(Corte conti, Sezione Prima Centrale d’Appello n. 435/2015; id. Sezione
Seconda Centrale d’Appello n. 156/2013; id. Sezione Terza Centrale d’Appello
n. 156/2010).
Sostanzialmente ricognitiva di tale orientamento giurisprudenziale risulta
la disposizione di cui all’art. 83 del Codice di Giustizia Contabile (D.L.gs.
n. 174/2016) che, pur vietando la chiamata in giudizio su ordine del
Giudice, gli consente di eseguire un accertamento incidentale su eventuali
condotte concausali, ai soli fini dell’esatta determinazione delle quote di
danno da porre a carico dei soggetti evocati in giudizio, con l’ulteriore
previsione, nei casi in cui emergano fatti nuovi rispetto a quelli posti a
base dell’atto introduttivo -circostanza, quest’ultima non concretatasi nel
caso di specie- della trasmissione degli atti al P.M.
Nello specifico, il danno azionato in via principale da parte attrice appare
il frutto del concorso di diverse responsabilità imputabili ai vari organi
dell’Ente, tra le quali vanno considerate anche quelle riferibili alle
evidenti disfunzioni organizzative presenti nell’Ufficio Tecnico Comunale.
A tal proposito è significativo rilevare come nessuno dei dipendenti in
servizio presso tale Ufficio, in possesso dei prescritti requisiti (diploma
di geometra o di laurea in architettura), abbia mai partecipato ai corsi
necessari a conseguire le certificazioni in materia di coordinamento della
sicurezza dei lavori pubblici, nonostante nei compiti ordinari degli stessi
rientrasse quello di “controllare sotto il profilo della sicurezza le
opere di competenza dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione”
(cfr. PEG 2015 e 2016).
A tale carenza della formazione del personale, con riguardo
al delicato e rilevante settore della sicurezza delle opere comunali, così
come con riferimento alla generale efficienza del Settore, avrebbero dovuto
porre cura e rimedio, in primo luogo, i responsabili dell’Ufficio Tecnico.
Oltre che del cennato contributo causale da parte di soggetti estranei al
giudizio, ai fini della corretta imputazione del danno ai convenuti, reputa
il Collegio di considerare anche la parziale utilitas conseguita
dall’Amministrazione danneggiata in relazione allo svolgimento dell’attività
concernente il coordinamento della sicurezza dei lavori, remunerata al
geometra incaricato con l’importo di euro 4.414,04, che i dipendenti
dell’Ufficio Tecnico, oggettivamente, non potevano svolgere in relazione al
provato mancato conseguimento delle necessarie certificazioni previste
dall’art. 98 del D.Lgs. n. 81/2008.
Come evidenziato da recente giurisprudenza del Giudice di appello, con la
norma di cui all’art. 1, comma 1-bis. della legge n. 20/1994 –secondo la
quale “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il
potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti
dall’amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione, o dalla
comunità amministrata, in relazione al comportamento degli amministratori o
dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”-
il Legislatore ha inteso affermare la natura sostanziale, e non meramente
formale, della responsabilità amministrativa, sicché il
Giudice contabile non può “denegare l’ingresso alla valutazione dei
vantaggi conseguiti dall’Amministrazione sul presupposto dell’illegittimità
delle condotte, poiché trattasi di un ragionamento tautologico, che esclude
l’inequivoca applicazione dell’art. 1-1-bis della legge n. 20 del 1994”
(cfr. Sezione Prima Centrale d’Appello n. 508/2017).
Ciò posto, in accoglimento della domanda risarcitoria formulata in via
principale dal Pubblico Ministero -e ritenuta assorbita la domanda
subordinata prospettata dal Requirente “solo in via meramente secondaria”
con riferimento al danno alla concorrenza (da ritenersi, quest’ultimo, non
provato)- reputa il Collegio che il danno imputabile alle condotte
gravemente colpevoli dei convenuti, con riguardo al nocumento derivato al
bilancio del Comune di Cavalese per la violazione della normativa in materia
di incarichi esterni, debba limitarsi, per le ragioni innanzi esposte
(concorso causale nel danno da parte di soggetti estranei al giudizio e
parziale utilitas conseguita dal Comune) alla quota del 50% del
richiesto importo di condanna.
Non sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del generale potere
riduttivo, in relazione all’evidente gravità delle condotte, per la
macroscopica violazione delle procedure di legge concernenti l’esternalizzazione
degli incarichi.
Conclusivamente, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,
deve disporsi la condanna dei convenuti al pagamento, in favore del Comune
di Cavalese, del complessivo importo di euro 8.736,00
(ottomilasettecentotrentasei/00), da suddividersi in parti uguali fra gli
stessi (per un settimo ciascuno, ovvero euro 1248,00 a carico di ogni
convenuto). Tale importo va maggiorato della rivalutazione monetaria dalla
data dell’indebito esborso (di cui al mandato di pagamento n. 1051 del
06/04/2017) sino alla pubblicazione della sentenza e degli interessi legali,
sulla sorte capitale rivalutata, da quest’ultima data all’effettivo
soddisfo.
In ragione della soccombenza in giudizio, i convenuti sono condannati al
pagamento, in solido, delle spese di giudizio in favore dello Stato nella
misura determinata in dispositivo.
In ordine alle statuizioni di condanna nei confronti dei convenuti si
ordina, a cura della Segreteria, la spedizione di copia della presente
sentenza in forma esecutiva all’ufficio del P.M., ai sensi dell’art. 212 del
Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016), per gli ulteriori
incombenti di sua competenza di cui agli artt. 213 e seguenti C.G.C.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti,
Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di
Trento, definitivamente pronunciando, condanna i convenuti
We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma. al pagamento, da
suddividersi in parti uguali fra gli stessi, della complessiva somma di euro
8.736,00 (ottomilasettecentotrentasei/00) in favore del Comune di Cavalese,
oltre rivalutazione monetaria, per come in motivazione, ed interessi legali
dalla pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo e, per l’effetto,
li condanna in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore dello
Stato, che sono liquidate in euro 1.083,36
(euro milleottantatre/36)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.09.2018 n. 34). |
agosto 2018 |
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INCARICHI PROGETTUALI: Stop
ai bandi pubblici senza compenso per il professionista.
Dal Tar Calabria stop ai bandi pubblici gratis.
A ribadire il concetto è il TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I, che, con la
sentenza 02.08.2018 n. 1507, ha annullato la delibera della
giunta del comune di Catanzaro n. 33 del 17.02.2016 dedicata alla
realizzazione del piano strutturale comunale.
La sentenza del tribunale è contraria a quanto dichiarato dal Consiglio di
stato con la sentenza 4614/2017, che aveva dichiarato legittimo il bando
emesso dal comune calabrese.
Il bando in questione, e la successiva sentenza del Cds, sono state tra le
cause scatenanti della manifestazione organizzata dalle varie categorie alla
fine del 2017 per la definizione di una norma per tutelare i compensi dei
lavoratori autonomi e alla conseguente riapertura della discussione sul
tema, conclusasi poi con l'approvazione della norma sull'equo compenso per i
professionisti avvenuta con la legge di bilancio 2017.
Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso contro il bando comunale
presentato da un ingegnere, peraltro neanche abilitato a poter prendere
parte alla gara. Il ricorso si basava sul fatto che, per l'espletamento
delle attività preposte nel bando, non vi fosse previsto un compenso per il
professionista incaricato ma solo un rimborso spese (seppur di 250 mila
euro).
Secondo il tribunale la gratuità del bando non è legittima perché in
violazione del codice degli appalti (dlgs 50/2016), in particolare nella
parte in cui viene stabilita l'essenziale onerosità degli appalti pubblici e
l'illegittimità di quelli che prevedano solo forme di rimborso spese o di
forme di compenso non finanziarie.
Se il codice degli appalti è il pilastro su cui si basa la sentenza del Tar
Calabria, nel dispositivo viene fatto uno specifico riferimento alla norma
sull'equo compenso approvata in legge di bilancio. La disposizione non può
trovare applicazione nel caso in questione, in quanto avvenuto prima
dell'approvazione della norma.
Però «le ricordate disposizioni (equo compenso), non direttamente
applicabili alla vicenda in esame, nondimeno lasciano emergere come
nell'ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al
lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo, una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto»
(articolo
ItaliaOggi del 14.08.2018).
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MASSIMA
1. – Gi.An., ingegnere, ha impugnato d’innanzi a questo Tribunale
Amministrativo Regionale il bando e il disciplinare di gara con i quali il
Comune di Catanzaro ha messo a gara l’affidamento dell’incarico per la
redazione del nuovo piano strutturale comunale, nonché le delibere
prodromiche all’indizione della gara.
Con motivi aggiunti egli ha impugnato anche gli atti attraverso i quali si è
giunti all’affidamento dell’incarico al R.T.I. St.As. d:rh architetti ed
associati / Cr. S.r.l. Società di Ingegneria.
...
6. – Gi.An. ha impugnato la legge speciale di gara anche nella parte in cui
prevede che l’incarico sia a titolo gratuito, salvo un rimborso delle spese
sino ad un ammontare massimo di € 250.000,00.
6.1. – Egli ritiene che tale clausola sia illegittima sotto vari profili e,
in particolare, si ponga in contrasto con le norme del codice civile e del
d.lgs. 18.04.2016, n. 50, dalle quali si ricaverebbe l’essenziale onerosità
degli appalti pubblici.
Tale illegittimità precluderebbe una seria partecipazione alla gara e,
pertanto, potrebbe essere fatta valere impugnando immediatamente il bando di
gara, senza la necessità di presentare domanda di partecipazione alla
procedura.
6.2. – Il Collegio conviene che la clausola che preveda la gratuità della
prestazione in favore dell’amministrazione pubblica sia, ove effettivamente
risulti essere illegittima, immediatamente lesiva della posizione giuridica
soggettiva dell’operatore che, pur essendo interessato a svolgere il
servizio, non intenda prestare gratuitamente la propria opera.
Si tratta, invero, di una clausola preclusiva della partecipazione, in
quanto impedisce di presentare un’offerta economicamente valida a colui che
non intenda prestare gratuitamente la propria opera.
La clausola è, pertanto, immediatamente impugnabile e Gi.An., pur non avendo
partecipato alla procedura, è legittimato a ricorrere al giudice
amministrativo per farne valere l’illegittimità.
7. – Nel merito della questione, il Tribunale, pur consapevole del diverso
avviso espresso dal giudice dell’appello (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
03.10.2017, n. 4614), ritiene di dover ribadire il proprio orientamento,
espresso con la sentenza del 13.12.2016, n. 2435, con la quale, su ricorso
degli ordini professionali interessati, era stato ritenuto illegittimo
proprio il bando nuovamente oggetto di sindacato.
8. – Possono dunque richiamarsi le motivazioni già rassegnate, con cui è
stata data risposta negativa alla questione giuridica concernente la
configurabilità di un appalto pubblico di servizi a titolo gratuito, ovvero
“atipico” rispetto alla disciplina normativa di cui al d.lgs. n. 50
del 2016.
9. – In effetti, la qualificazione dell’oggetto della gara in esame
–peraltro formalmente riconosciuta dalla stessa Amministrazione nel richiamo
alle diverse norme del d.lgs. n. 50 del2016– quale appalto di servizi è
desumibile dalla natura imprenditoriale che si richiede all’organizzazione
delle risorse, soprattutto umane, da parte dell’operatore economico
partecipante, in considerazione della peculiare complessità dell’oggetto
della specifica organizzazione e dalla predeterminazione della sua durata (cfr.
Cons. Stato, Sez. V, 11.05.2012, n. 2370; Cons. Stato, Sez. IV, 24.02.2000,
n. 1019).
L’affidamento ha infatti ad oggetto la “elaborazione, stesura e redazione
integrale del Piano Strutturale del Comune di Catanzaro” e di tutte le
norme, discipline, atti, piani, programmi e accordi di governo del
territorio, di settore e di programmazione, comunque correlati (ivi compresa
la redazione del regolamento edilizio e urbanistico); ovvero la redazione di
un atto di pianificazione territoriale, compresa la relativa necessaria “Valutazione
Ambientale Strategica”, che non tenga conto solo del profilo
urbanistico, ma anche dei diversi profili connessi (specificatamente
indicati: geologici, idrogeologici, sismici, ambientali, culturali,
tecnologici, storico-architettonici, socio-demografici, economici); la
natura organizzativo-imprenditoriale è peraltro imposta dalla stessa
stazione appaltante che richiede specificamente all’operatore di avvalersi
di una pluralità di figure professionali, specializzate in funzione delle
diverse competenze tecniche richieste dalla particolare complessità del
servizio di progettazione (cfr. art. 1, lett. b, n. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, del
capitolato speciale di appalto.
L’appalto pubblico di servizi rientra, come è noto, nella categoria dei “contratti
speciali di diritto privato” connotata da una disciplina, di derivazione
europea, derogatoria dei contratti di diritto comune, in ragione degli
interessi pubblici sottesi e della natura soggettiva del contraente
pubblico, e che trova la sua principale fonte nel cd. Codice di Contratti
Pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016). Non vi è dubbio che, alla stregua di tale
normativa speciale, il contratto di appalto sia contraddistinto dalla
necessaria “onerosità” e sinallagmaticità delle prestazioni, essendo
connotato sia dalla sussistenza di prestazioni a carico di entrambe le parti
che dal rapporto di reciproco scambio tra le stesse.
E’ sufficiente sul punto richiamare la definizione normativa di cui all’art.
3, co. 1, lett. ii), di “appalti pubblici” di cui al d.lgs. n. 50 del
2016 quali contratti a titolo oneroso e stipulati per iscritto; e, quanto
alla tipologia dei “servizi di architettura ed ingegneria e altri servizi
tecnici” alla definizione rinvenibile nell’art. 3 lett. vvvv) come
quelli “riservati ad operatori economici esercenti una professione
regolamentata ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 2005/36/CE”.
A tale specifica tipologia di servizi fa inoltre riferimento anche la norma
di cui all’art. 95, co. 3, lett. b), del d.lgs. n. 50 del 2016 che
stabilisce come obbligatorio il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo,
nell’ipotesi di contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria
e architettura, e degli altri servizi di natura tecnica ed intellettuale, di
importo superiore a € 40.000,00, così confermando la necessità che sia
specificato il valore della prestazione richiesta, ovvero che sia previsto
come elemento essenziale del contratto il corrispettivo.
Sul punto, come correttamente rappresentato da parte ricorrente, assumono
particolare rilievo le linee guida n. 1 e 2 adottate dall’ANAC,
rispettivamente con delibera del 14 e del 21.09.2016.
Con le prime, recanti Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria, e dirette a garantire la
promozione dell’efficienza, della qualità delle stazioni appaltanti, della
omogeneità dei procedimenti amministrativi ex art. 213, comma 2, d.lgs. n.
50 del 2016, si sottolinea l’esigenza che il corrispettivo degli incarichi e
servizi di progettazione ai sensi dell’art. 157 del Codice degli Appalti
venga determinato secondo criteri fissati dal decreto del Ministero della
Giustizia 17.06.2016 “nel rispetto di quanto previsto dall’art. 9, co. 2,
del decreto 24.01.2012 n. 1, convertito con modificazioni dalla Legge
24.03.2012 n. 27, così come ulteriormente modificato dall’art. 5 della legge
134/2012”, al fine di garantire anche il controllo da parte dei potenziali
concorrenti della congruità della remunerazione”.
Con le Linee Guida n. 2 “Offerta economicamente più vantaggiosa”, si
specifica che la valutazione dell’offerta sulla base di un prezzo o costo
fisso è ammessa solo entro i limiti rigorosi dell’art. 95, comma 7, del
Codice, ovvero o nell’ipotesi in cui esso sia rinvenibile sulla base di “disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di
determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici”, o, in
mancanza, “valutando con attenzione le modalità di calcolo o di stima del
prezzo o costi fisso. Ciò al fine di evitare che il prezzo sia troppo
contenuto per permettere la partecipazione di imprese “corrette” o troppo
elevato, producendo danni per la stazione appaltante”; fermo restando,
in questa ultima ipotesi, l’obbligo di un particolare impegno motivazionale
dal quale emerga l’iter logico comunque seguito per la determinazione del
prezzo fisso, a garanzia della imparzialità della scelta del contraente e in
generale dell’obiettivo che la concorrenza si svolga nel rispetto della
sostenibilità economica e quindi “serietà” delle offerte.
La necessaria predeterminazione del prezzo del servizio oggetto di appalto,
anche quando tale componente quantitativa sia valutata unitamente a quella
qualitativa, nell’ottica del legislatore sia nazionale che europeo, è
funzionale a garantire il principio di qualità della prestazione e della
connessa affidabilità dell’operatore economico, rispetto al quale va
contemperato e per certi versi anche “misurato” il principio generale
di economicità, cui solo apparentemente sembra essere coerente il risparmio
di spesa indotto dalla natura gratuita del contratto di appalto “atipico”.
Il principio della qualità delle prestazioni che l’amministrazione
aggiudicatrice intende acquistare sul mercato e che, in termini economici,
si traduce nella “serietà” dell’offerta sotto il profilo
quantitativo, è infatti alla base della regolamentazione specifica
dell’anomalia dell’offerta (ora disciplinata dall’art. 97 del Codice degli
Appalti), poiché, anche nella prospettiva del perseguimento da parte
dell’amministrazione del “risparmio di spesa”, le offerte che
appaiono “anormalmente basse rispetto ai lavori, alle forniture o ai
servizi potrebbero basarsi su valutazioni o prassi errate dal punto di vista
tecnico, economico o giuridico” (considerando 103 della Direttiva
2014/24 UE), così rischiando di rivelarsi, nel lungo periodo, poco
convenienti, foriere di ritardi, inadempimenti, contenziosi giurisdizionali
(cfr. Corte Cost. 05.03.1998 n. 40 i cui principi sono applicabili anche nel
vigore delle norme attuali; cfr. anche TAR Lombardia–Brescia, Sez. I,
09.07.2007 n. 621).
10. – Alla luce della natura essenzialmente onerosa del contratto di appalto
pubblico di servizi, devono ritenersi pertanto fondate le censure di
violazione delle norme del Codice degli appalti sopra indicate, che, come
indicato in premessa, costituiscono applicazioni specifiche del principio di
onerosità del contratto di appalto di servizi.
11. – Per mera completezza di motivazione pare opportuno aggiungere che ad
una diversa figura contrattuale, quella del contratto di opera di
prestazione professionale intellettuale ex art. 2230 e ss.cc. si riferisce
invece la delibera della Corte dei Conti sezione regionale di controllo per
la Calabria del 29.01.2016 n. 6, cui rinvia espressamente la determinazione
del Comune del 24.10.2016, n. 3059.
La considerazione che, almeno per una parte della giurisprudenza civilistica,
il corrispettivo in tale tipo contrattuale sia considerato quale elemento “naturale”
e non essenziale del contratto non rileva nel caso di specie, poiché, anche
alla stregua della disciplina civilistica, il contratto in controversia deve
essere invece qualificato come appalto di servizi, poiché connotato dalla
organizzazione dell’attività di servizi in forma imprenditoriale (cfr. Cass.
12519/2010); in quanto tale “tipicamente” oneroso e commutativo anche
secondo la disciplina civilistica, come attestato dall’art. 1657 c.c. che,
in caso di mancata determinazione del corrispettivo, rimette in via
sussidiaria tale determinazione al giudice; né il contratto di appalto
pubblico di servizi “gratuito” potrebbe essere configurato facendo
leva sulla generale capacità dell’amministrazione di stipulare contratti
atipici ex art. 1322 c.c., la quale deve essere comunque esercitata
compatibilmente la realizzazione degli interessi pubblici, ostandovi, da un
lato, la natura “speciale” e vincolante della disciplina
pubblicistica dei contratti di appalto; dall’altro, la considerazione che,
proprio alla luce dei principi di imparzialità, tutela della concorrenza ed economicità dell’azione amministrativa cui risponde il requisito della “onerosità”
del contratto di appalto di servizi come sopra indicato, il contratto di
appalto pubblico di servizi “atipico” perché gratuito non supererebbe
comunque il vaglio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2 c.c..
12. – Riportate, ai §§ 9-11, le motivazione della sentenza del 13.12.2016,
n. 2435, si intende operare qualche ulteriore riflessione, anche alla luce
delle sopravvenienze normative, che a parere del Collegio avvalorano la
soluzione cui in quella sede si era giunti.
12.1. – In primo luogo, con la l’art. 12 l. 22.05.2017 n. 81, la quale reca
“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure
volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del
lavoro subordinato”, è stato imposto alle amministrazioni pubbliche di
promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi nelle gare di appalti
pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l’assegnazione di
incarichi. In tal modo, viene espressamente riconosciuto un notevole rilievo
ai lavoratori autonomi nella dinamica delle relazioni economiche.
12.2. – Più significativamente, la l. 04.12.2017, n. 172, nel convertire
d.l. 16.10.2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19-quaterdecies, il quale, al
comma 3, stabilisce che la pubblica amministrazione, in attuazione dei
principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività,
garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni
rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di
entrata in vigore della citata legge di conversione.
Il compenso si intende equo, ai sensi del comma 2 dell’art. 13-bis l.
31.12.2012, n. 247, che proprio il citato art. 19-quaterdecies ha introdotto
e reso applicabile a tutti i professionisti, se è proporzionato alla
quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle
caratteristiche della prestazione.
12.3. – Le ricordate disposizioni, non direttamente applicabili –lo si
ribadisce– alla vicenda in esame, nondimeno lasciano emergere come
nell’ordinamento vi sia un principio volto ad assicurare non solo al
lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
Non a caso, l’art. 35 Cost. tutela il lavoro “in tutte le sue forme e
applicazioni”, mentre il successivo art. 36, nell’occuparsi del diritto
alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro.
12.4. – Ebbene, la configurabilità di un appalto pubblico di servizi a
titolo gratuito si pone in disarmonia rispetto a tale affresco, tenuto conto
che non ogni servizio prestato reca con se vantaggi curricolari e di
immagine tali da garantire, sia pure indirettamente, vantaggi economici tali
da soddisfare il diritto a un equo compenso.
Ciò, invero, pare al Collegio avvalorare la ricostruzione del sistema
adottata da questo Tribunale.
13. – In conclusione, il ricorso va accolto e gli atti oggetto di
impugnazione annullati.
Le parti non hanno dedotto che sia stato stipulato il contratto tra
l’amministrazione e il soggetto aggiudicatario, cosicché non occorre su di
esso pronunziare. |
luglio 2018 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Split
Payment Professionisti.
Domanda
Ho letto sul recente d.l. 87/2018, cd. “Decreto Dignità”
che si introducono modifiche all’attuale disciplina dello
split payment. In cosa consistono? Sono già in vigore? Come
mi devo comportare nel pagare fatture emesse prima
dell’entrata in vigore del decreto legge?
Risposta
L’art. 12 del d.l. 87 del 12/07/2018, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 161 del 13/07/2018 (reperibile al
seguente link:
www.contabilmente.it/files/74n_DL_Dignit_GU.pdf) introduce talune modifiche alla disciplina della scissione
dei pagamenti (c.d. split payment) per le prestazioni di
servizi, rese nei confronti della Pubblica amministrazione,
che siano assoggettate a ritenute alla fonte a titolo di
imposta sul reddito, ovvero a titolo di acconto.
La norma infatti introduce il comma 1-sexies dell’art.
17-ter, del DPR 633/1972 che testualmente recita: “Le
disposizioni del presente articolo non si applicano alle
prestazioni di servizi rese ai soggetti di cui ai commi 1,
1-bis e 1-quinquies, i cui compensi sono assoggettati a
ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito ovvero a
ritenuta a titolo di acconto di cui all’articolo 25 del
decreto del Presidente della Repubblica 29.09.1973, n. 600”.
Il nuovo regime, che rappresenta un sostanziale ritorno al
passato, ovvero alla disciplina vigente fino allo scorso
30.06.2017, è in vigore dal giorno 14/07/2018. L’art. 15 del
decreto stabilisce infatti che le norme in esso contenute
entrano in vigore il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il giorno
13/07/2018.
In sostanza, per i professionisti scompare l’attuale regime
di doppia ritenuta alla fonte (IRPEF e IVA) operato dagli
uffici ragioneria in fase di emissione del relativo
ordinativo di pagamento. Al professionista verrà trattenuta
la sola ritenuta d’acconto IRPEF, mentre verrà pagata l’IVA.
Il mandato continuerà ad essere emesso al lordo di entrambe
le imposte e sarà accompagnato da una sola reversale,
relativa alla ritenuta a titolo di acconto IRPEF, con
imputazione al titolo 9 dell’entrata, tipologia 100,
categoria 1 (Altre ritenute), con Piano finanziario di IV
livello E.9.01.01.99.000 e Piano finanziario di V livello
E.9.01.01.99.999.
Al comma 2 del medesimo articolo, il Legislatore chiarisce
che l’abolizione del regime di scissione dei pagamenti si
riferisce alle fatture emesse successivamente alla data di
entrata in vigore del decreto. Pertanto nel caso di una
fattura emessa nel mese di giugno 2018 e pagata in data
30/07/2018 troverà ancora applicazione l’attuale regime di
scissione dei pagamenti, con trattenuta da parte del
soggetto committente di IRPEF e IVA. In questa fase
transitoria, pertanto, gli uffici ragioneria dovranno
prestare la massima attenzione alla data di emissione della
fattura, fino ad esaurimento di quelle emesse prima del
14/07/2018.
Il Legislatore estende inoltre l’esclusione
dall’assoggettamento al regime dello split payment delle
medesime tipologie di prestazioni rese dalle società
partecipate o controllate da amministrazioni pubbliche,
nonché da enti pubblici economici nazionali, regionali e
locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche
di servizi alla persona. Sono questi i soggetti elencati
all’interno del comma 1-bis dell’art. 17-ter del dPR
633/1972, dalla lettera 0a) alla lettera d).
Si prevede altresì la disapplicazione del regime di split
payment anche per le prestazioni rese dai soggetti di cui al
comma 1-quinquies del medesimo articolo. Trattasi degli enti
pubblici gestori di demanio collettivo, limitatamente alle
cessioni di beni e alle prestazioni di servizi afferenti
alla gestione dei diritti collettivi di uso civico che,
tuttavia, erano già esclusi in precedenza. Con tutta
probabilità siamo di fronte ad un refuso del Legislatore.
Il testo del decreto verrà ora trasmesso al Parlamento per
la conversione in legge, che dovrà avvenire entro il termine
perentorio di sessanta giorni. Non resta che attendere il
completamento di questo iter che potrà apportare ulteriori
modifiche alla nuova disciplina normativa
(23.07.2018 - tratto da e link a www.publika.it). |
aprile 2018 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
Raggruppamento e servizi svolti.
Domanda
Nel caso di gare di progettazione come possono essere
richiesti i requisiti di partecipazione, in particolare
quelli che attengono all’avvenuto espletamento dei servizi
svolti, anche di “punta” nel caso di raggruppamenti?
Risposta
Le linee guida n. 1 di attuazione del d.lgs. 18.04.2016 n.
50 “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria” approvate
dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 973 del
14.09.2016 e aggiornate al d.lgs. 56/2017 con delibera del
Consiglio dell’Autorità n. 138 del 21.02.2018 definiscono al
paragrafo 2.2.2 i requisiti di partecipazione, tra cui
rientrano i servizi svolti, anche c.d. “di punta”.
Preliminarmente occorre individuare l’oggetto
dell’affidamento. Sul punto l’ANAC è più volte intervenuta
affermando che nei bandi ed avvisi per l’affidamento di
servizi di architettura ed ingegneria, all’onere di
specificazione dell’attività principale e delle attività
secondarie può assolversi anche mediante la mera
individuazione delle classi e categorie di progettazione,
con i relativi importi (delibera n. 431 del 24.04.2017).
All’art. 5 delle sopra citate linee guida, rubricato “Classi,
categorie e tariffe professionali” l’Autorità fornisce
delle indicazioni sulla classificazione delle prestazioni, e
sull’elasticità nella valutazione del possesso dei
requisiti.
Con riferimento alla partecipazione dei raggruppamenti le
linee guida si limitano ad affermare che i requisiti
finanziari e tecnici di cui al paragrafo 2.2.2 devono essere
posseduti cumulativamente dal raggruppamento, senza
specificare se il possesso del requisito debba essere
limitato ai lavori della classificazione prevalente per
importo, o estesa a tutte le lavorazioni.
In particolare, si ritiene che il requisito di
partecipazione di cui al sopra citato quesito, debba essere
differentemente disciplinato a seconda che si faccia
riferimento a raggruppamenti di tipo orizzontale, oppure
verticale. Pertanto:
1. nel caso di raggruppamenti di tipo orizzontale:
• requisito di cui al punto 2.2.2.1 lett. b): Il requisito
deve essere posseduto dal raggruppamento nel suo complesso.
Tutti gli operatori riuniti devono essere qualificati in
ognuna delle prestazioni previste (principale e secondarie).
Il mandatario in ogni classe e categoria deve possedere ed
eseguire il rispettivo requisito in misura percentuale
superiore ed il o i mandanti in ogni classe e categoria
devono possedere cumulativamente il rispettivo requisito
nella restante percentuale;
• requisito di cui al punto 2.2.2.1 lett. c): deve essere
posseduto per intero dalla mandataria che esegue in misura
maggioritaria (requisito non frazionabile);
2. nel caso di raggruppamento di tipo verticale:
• requisiti di cui al punto 2.2.2.1 lett. b e c): devono
essere posseduti dal raggruppamento nel suo complesso. Il
mandatario deve possedere il requisito nella percentuale del
100% con riferimento alla prestazione principale ed ogni
mandante deve possedere i requisiti nella percentuale del
100% con riferimento alla classe e categoria della
prestazione secondaria (04.04.2018 - link a
www.publika.it). |
febbraio 2018 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Il
revisore del Comune ha segnalato che la Società di cui il Comune è socio al
100% (gestrice della Casa di riposo) ha affidato, con atto
dell'Amministratore unico, l'incarico di tenere la contabilità della Società
pubblica ad un commercialista che risulta essere socio di una società
privata in cui è socio anche l'amministratore unico.
L'incarico è stato affidato alla persona fisica e non alla società di cui
anche l'amministratore unico è socio.
Si chiede se tale affidamento sia legittimo sia per quanto riguarda
l'eventuale conflitto di interesse sia per la eventuale necessità di
motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la contabilità
con propri dipendenti.
Il quesito in esame attiene, primariamente, all'eventuale sussistenza di un
"conflitto di interessi" in una peculiare fattispecie, concretamente
segnalata. In secondo luogo, viene chiesto di individuare i corretti
presupposti per un legittimo affidamento all"'esterno" di attività di
competenza propria di una società pubblica.
Principiamo dal primo problema, afferente, come detto, la sussistenza di un
conflitto di interesse. In via preliminare, è necessario definire il
concetto.
Secondo attenta e pacifica dottrina (Di Carlo E., "Il conflitto di
interessi nelle organizzazioni produttive", Rivista di politica
economica, 2012), il "conflitto di interessi" (sussistente o
potenziale) individua la situazione in cui l'interesse secondario (interesse
privato, finanziario o non finanziario) di un soggetto (agente o funzionario
pubblico) tende a interferire negativamente con l'interesse primario
(interesse pubblico), che deve essere perseguito dal medesimo soggetto.
Quindi, affinché ci sia "conflitto di interessi", occorre la presenza
di tre elementi chiave:
a) Una relazione di agenzia, tra un soggetto delegante (Pubblica
Amministrazione) e uno delegato (Funzionario), in cui il secondo ha il
dovere di agire nell'interesse (primario) del primo;
b) La presenza di un interesse secondario nel soggetto delegato (di
tipo finanziario o di altra natura);
c) La tendenza dell'interesse secondario ad interferire,
negativamente, con l'interesse primario. Il termine "tende a interferire"
vuole sottolineare che l'interferenza si presenta con diversa intensità a
seconda dell'agente portatore dell'interesse secondario e della rilevanza
assunta da tale interesse.
Definito il concetto di "conflitto di interesse", veniamo alla
concreta fattispecie. Il quesito fa riferimento ad una situazione in cui
interagiscono tre soggetti (persone fisiche e/o giuridiche). Precisamente:
1) Una società pubblica,
che gestisce una Casa di riposo. Tale società è partecipata al 100% da un
Comune.
2) L'amministratore unico
di tale società pubblica.
3) Un commercialista,
che risulta essere anche socio di una società privata, nella quale è socio
anche l'amministratore unico.
I tre soggetti sono stati opportunamente grassettati al fine di porli in
giusta evidenza.
E' stata, poi, sottolineata una data situazione di fatto (sussistenza di una
società privata, che vede soci due dei tre soggetti), che dovrà essere
esaminata con attenzione.
Ora, accade che l'Amministratore unico della società pubblica conferisce
(non è dato sapere se a seguito di gara o, peggio, mediante affidamento
diretto senza alcuna preventiva selezione) al commercialista l'incarico di "tenere"
la contabilità della medesima società pubblica.
Sussiste un conflitto di interesse in siffatta fattispecie? La risposta non
può che essere duplice.
Da un punto di vista teorico generale, è ben evidente che l'amministratore
unico riveste una duplice posizione in due distinte società (una pubblica ed
una privata) tendenzialmente foriera di conflitti. In fattispecie, appare
ben evidente che l'amministratore unico, "strumentalizzando" il suo
potere all'interno della società pubblica, favorisce il proprio collega
socio della distinta società privata (ove sono entrambi soci), conferendogli
un incarico, si suppone senza gara.
La sussistenza del conflitto, quindi, da un punto di vista teorico generale,
sussiste senza ombra di dubbio l'amministratore unico si fa "dominare"
dall'interesse secondario (privato), che condiziona e pregiudica l'interesse
primario all'imparzialità ed alla trasparenza.
Da un punto di vista prettamente giuridico, i riferimenti ed i fondamenti
devono essere rinvenuti nel D.P.R. 16.04.2013, n. 62, regolamento recante il
Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
Orbene, proprio in relazione alla concreta fattispecie, occorre tener conto
dell'art. 2, comma 3, del citato D.P.R., ove viene stabilito che le
Pubbliche amministrazioni estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di
condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti,
con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai
titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione
delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi
titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in
favore dell'amministrazione. Siffatta prescrizione normativa è importante,
in quanto soprattutto il "commercialista" non risulta essere
dipendente della società pubblica.
A questo punto, si impone un importante chiarimento. Precisamente, ai sensi
dell'art. 2, comma 1, del citato D.P.R., il Codice di comportamento si
applica, primariamente, ai pubblici dipendenti. Nei confronti di coloro che
non sono pubblici dipendenti, trova applicazione la riportata disposizione
(art. 2, comma 3, D.P.R. 16.04.2013, n. 62), in osservanza della quale le
Pubbliche amministrazioni devono estendere gli obblighi di condotta,
previsti dal Codice, ad altri soggetti, fra cui: a) il titolare di organi e
di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità
politiche; b) tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di
contratto o incarico e a qualsiasi titolo.
Ora, seppure non qualificassimo l'amministratore unico della società
pubblica quale "dipendente" della medesima (ma potremmo anche
addivenire a tale qualificazione), non vi è dubbio che il medesimo rientra
nella categoria "a". Parimenti, non vi è dubbio che il commercialista
rientra nella categoria "b".
Quindi, è ben possibile affermare che gli obblighi previsti dal D.P.R.
16.04.2013, n. 62 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici) trovano
tendenziale e piena applicazione anche nei riguardi di "altri"
soggetti, non propriamente dipendenti pubblici.
A questo punto, occorre tener conto dell'art. 7 del Codice, disciplinante
l'obbligo di astensione, il quale stabilisce che il dipendente (o altra
figura, come prima evidenziato) "si astiene dal partecipare all'adozione
di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero
di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi,
oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale,
ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa
pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi,
ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore,
procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute,
comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o
dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi
ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio
di appartenenza".
Ora, non vi è dubbio che l'amministratore unico della società pubblica si
trova in palese situazione di conflitto di interesse, in quanto, da un lato
riveste la predetta carica in una società pubblica, dall'altro è socio di
un'altra società (privata), nella quale il beneficiato commercialista è
anche socio. Appare ben evidente che, nei riguardi dell'amministratore
unico, il conflitto di interessi si manifesta, gravemente, in una duplice
forma:
- in una forma diretta, in quanto si potrebbe ben sospettare che
l'amministratore unico, conferendo al "proprio amico" socio
dell'altra società privata, coltiva un "interesse proprio";
- in una forma indiretta, in quanto il suo affidamento (si sospetta
senza gara!) è stato effettuato in favore di un professionista, guarda caso
socio in una distinta società privata, ove anche egli è socio.
Giustamente, in sede di quesito, si pone in evidenza il fatto che l'incarico
è stato affidato al commercialista, quale persona fisica, e non alla società
privata, che conosce la nefasta (in termini di conflitti di interesse)
compresenza dei due soggetti.
Pertanto, non sembrano sussistere dubbi in merito alla sussistenza di un
chiaro conflitto di interesse, confermato anche da un ulteriore elemento di
analisi.
Precisamente, occorre tener conto che, per costante giurisprudenza, le
situazioni di conflitto di interesse non sono tassative: "Il Collegio
ritiene di poter fare applicazione, in quanto non contraddetto dalla
disciplina attualmente vigente, del costante orientamento giurisprudenziale
(ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 19.09.2006, n. 5444) per cui "le situazioni
di conflitto di interessi, nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico non
sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione
alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti
dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo
potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite" (Cons.
Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415).
Quindi, al di là della corretta riferibilità della concreta situazione
all'art. 7, D.P.R. 16.04.2013, n. 62, occorre tener conto delle
considerazioni generali e teoriche prima effettuate, che testimoniano la
sussistenza di un palese conflitto di interessi.
Per quanto concerne l'altra parte del quesito, cioè "la eventuale necessità
di motivare la decisione di ricorrere all'esterno e non gestire la
contabilità con propri dipendenti", è possibile solo formulare
considerazioni generali, in quanto non sono stati forniti elementi
conoscitivi. Allora, in linea generale, occorre osservare che la "cura e la
tenuta" della contabilità di una società pubblica costituisce attività
propria ed istituzionale dell'Ente. Conseguentemente, occorre, senza dubbio,
una congrua motivazione per l'affidamento "esterno" dell'attività.
Precisamente, la società pubblica avrebbe dovuto ben illustrare le puntuale
ragioni, in base alle quali la struttura interna non è in grado di
effettuare l'indicata attività. Ciò, in base ad un principio generale, ben
espresso dall'art. 7, comma 6, lett. b), D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, secondo
cui, in caso di "incarichi esterni", l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse
umane disponibili al suo interno".
In altri termini, l'ente pubblico deve, innanzitutto, verificare se vi siano
al proprio interno dipendenti in possesso delle professionalità
specificamente richieste e, in caso affermativo, accertare se queste ultime
possano essere adibite allo svolgimento dell'incarico. La giurisprudenza
contabile, da tempo, richiede una rigorosa motivazione in merito.
Infatti, la sezione regionale di controllo per il Molise, con la
deliberazione 23.07.2009, n. 33, ha ben specificato come la rigorosa
motivazione, relativa alla necessità di ricorrere ad un apporto esterno,
debba anche dare atto dell'impossibilità di non avere potuto fare fronte
all'esigenza mediante il migliore o più produttivo impiego delle risorse
umane a disposizione dell'ente.
Ne consegue che l'ente non potrà limitarsi, nel motivare il ricorso
all'incarico, ad evidenziare l'indisponibilità del proprio personale, in
quanto "sovraimpegnato per la parte ordinaria", o "impegnato nel
perseguimento di altri obiettivi programmatici" (in tal senso: C. Conti,
Trentino-Alto Adige, sede di Trento, Sez giurisdizionale sentenza
19.02.2009, n. 6).
Pertanto, non sussiste alcun dubbio in relazione alla necessità di una
rigorosa motivazione.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 2 -
D.P.R. 16.04.2013, n. 62, art. 7 - D.Lgs. 30.03.2001, n. 165, art. 7 - Cons.
Stato Sez. V, 11.07.2017, n. 3415
Documenti allegati
C. Conti, Molise, Sez. controllo, 23.07.2009, n. 33
(01.02.2018 - tratto da http://www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
gennaio 2018 |
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ENTI LOCALI:
Richiesta parere "Regolare funzionamento dei servizi
comunali dell'Area amministrativa-contabile".
Gli enti locali possono ricorrere al
mercato esterno di soggetti specializzati in grado di
fornire un’attività di mero supporto e assistenza agli
uffici comunali, mediante proprio personale, nel rispetto
della vigente normativa disciplinante le modalità e
procedure da seguire per la corretta stipulazione di detti
contratti d’appalto, accertata comunque la compatibilità con
i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di
finanza pubblica.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alla possibilità di
affidare a soggetti terzi lo svolgimento di attività di
supporto e di assistenza all’area amministrativa-contabile
(gestione biblioteca, assistenza gestione tributi).
L’Ente rappresenta di versare in una situazione di oggettiva
difficoltà operativa, a causa di una rilevante carenza di
personale, e manifesta pertanto l’intenzione di provvedere a
fornire supporto ad alcuni uffici mediante l’affidamento a
ditte specializzate di determinate attività, al fine di
consentire l’espletamento delle funzioni di competenza.
Si precisa inoltre che le attività di supporto avverranno
sotto la direzione ed il coordinamento dei responsabili dei
settori interessati e che la ditta aggiudicataria dovrà
attenersi alle indicazioni dell’Amministrazione. Le modalità
di prestazione dei servizi, da parte della ditta
aggiudicatrice, saranno stabilite in un capitolato d’oneri
accettato da entrambe le parti.
In via preliminare, si ritiene doveroso evidenziare che
l'attività dello scrivente Servizio consiste nel fornire un
ausilio giuridico in termini generali agli enti locali per
le questioni che si presentano nel loro concreto operare,
affinché questi possano assumere autonomamente le decisioni
più opportune in relazione alle particolarità delle singole
fattispecie da affrontare.
Alla luce di un tanto, si esprimono le considerazioni che
seguono, inquadrando in linea generale la materia in esame,
sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali e
dottrinali reperiti al riguardo.
E’ da osservare che la magistratura contabile
[1] ha
rimarcato che l’ambito di estensione dell’istituto
concernente l’esternalizzazione dei servizi locali può
riguardare tutti i cosiddetti servizi pubblici di rilevanza
economica, rimanendo però escluse da tali fattispecie le
funzioni pubbliche essenziali che il Comune deve svolgere
direttamente tramite le proprie strutture, non potendo le
medesime essere appaltate a soggetti esterni, in quanto si
tratta di funzioni strettamente connaturate al soggetto
pubblico che ne è titolare.
Ne consegue che per gli enti locali è possibile procedere
all’attivazione di processi di esternalizzazione di servizi
pubblici a rilevanza economica, purché tale scelta produca “economie
di gestione”, dovendo invece necessariamente continuare
ad essere svolte in via diretta, mediante l’imputazione
dell’attività amministrativa alle proprie strutture, quelle
attività che sono connaturate all’esistenza stessa
dell’Ente, incluse tra queste ultime le attività dell’area
economico-finanziaria e di redazione del bilancio.
Nell’esaminare poi, nello specifico, la problematica
inerente all’affidamento a terzi, anche disgiunto,
dell’accertamento e della riscossione dei tributi comunali,
la magistratura amministrativa ha fornito importanti
delucidazioni. Ha precisato ad esempio la distinzione tra
l’attività di riscossione in senso stretto delle entrate
(tributarie e non) degli enti locali (per la quale è
richiesta l’iscrizione all’albo ex art. 53 del d.lgs.
446/1997) e l’affidamento delle attività di supporto alla
gestione, accertamento e riscossione delle predette entrate,
evidenziando che qualora l’oggetto dell’appalto sia
costituito dall’attività di supporto alla gestione, ecc., e
non già dall’affidamento di una concessione del servizio di
gestione, ecc., non viene in rilievo l’attribuzione di
funzioni pubbliche, mentre si configura una mera attività di
supporto alla gestione, accertamento e riscossione quando “il
controllo e la responsabilità su tutte le attività di
accertamento e riscossione rimane in capo alla stazione
appaltante, attraverso l’utilizzo di modelli da questa
predisposti, nonché attraverso il controllo e l’assunzione
di responsabilità da parte del funzionario responsabile del
Comune su tutte le attività svolte dall’aggiudicataria”.
[2]
In conclusione si ritiene percorribile quanto esplicitato da
codesto Comune, in considerazione del fatto che, nella
fattispecie prospettata, si tratta di garantire comunque
un’attività di mero supporto agli uffici comunali, in un
momento di incontestabile difficoltà, e non si configura la
diversa ipotesi di esternalizzazione di servizi.
Appare possibile pertanto, alla stregua di quanto sopra
riportato, il ricorso al mercato esterno di soggetti
specializzati in grado di fornire un’attività di mero
supporto e assistenza agli uffici comunali, mediante proprio
personale, ovviamente nel rispetto della vigente normativa
disciplinante le modalità e procedure da seguire per la
corretta stipulazione di detti contratti d’appalto,
accertata comunque la compatibilità con i relativi
stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza
pubblica.
---------------
[1] Cfr. Corte dei conti, sez. di controllo della regione
Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 4/2017/PAR.
[2] Cfr. Cons. di Stato, sez. V, sentenza n. 5952/2012 e TAR
Lazio, sez. II, sentenza n. 1105/2016. Tale orientamento è
stato confermato anche dall’ANAC (cfr. parere n. 170 del
23.10.2013) (10.01.2018 - link a
www.regione.fvg.it). |
novembre 2017 |
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INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Danno erariale per il Comune che delibera consulenze legali
a tutto campo.
Non possono ritenersi ammissibili le cosiddette «consulenze
globali», e cioè quelle che hanno ad oggetto la generalità
delle problematiche giuridiche che possano interessare tutta
l’attività istituzionale di un Comune atteso che i compiti
di collaborazione e le funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’Ente, fra cui è compreso il Sindaco, sono affidati per
legge al Segretario comunale e che quest’ultimo è
fiduciariamente scelto dal Sindaco stesso.
---------------
Come noto, “in materia di consulenze, ampia e consolidata
giurisprudenza di questa Sezione,
ha ricordato che l'acquisizione di professionalità
esterne da parte delle pubbliche amministrazioni in epoca
più risalente costituiva fenomeno del tutto occasionale e
legato ad esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di
peculiare e sistematica regolazione, ma di singole norme di
settore".
Nel corso del
tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per
eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore
pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola
generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs.
n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001,
statuendosi la possibilità per tutte
le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi
individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto
"per esigenze cui non possono far fronte con il personale in
servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione".
In altre parole, le pubbliche amministrazioni hanno
l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e
professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture,
e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità
e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi
professionalità e/o idoneità specifica).
---------------
La vicenda oggetto del presente giudizio si
inserisce a pieno titolo in un filone giurisprudenziale che
considera pacificamente illegittime, oltre che foriere di
danno erariale, tutte quelle consulenze a carattere globale
(per rendere i pareri di volta in volta richiesti in una o
più materie) a cagione del loro contenuto inevitabilmente
generico e del conseguente difetto del necessario requisito
dell’eccezionalità dell’incarico
(cfr.,
ex plurimis, Sezione
giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo
cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la
risoluzione di questioni di particolare complessità, il
ricorso ad una consulenza giuridica di carattere
specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza
legale non faccia eccezione ai principi normativi e
giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere
a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben
individuate che non risultino utilmente fronteggiabili
mediante l’impiego del personale in servizio. La
giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene
ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che
hanno ad oggetto la generalità delle problematiche
giuridiche che possano interessare tutta l’attività
istituzionale di un ente pubblico).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali
per il conferimento incarichi di consulenza non implica
soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione
amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per
l’illiceità della relativa spesa.
Peraltro, al cospetto di siffatti incarichi esterni il
pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla
luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente
duplicazione dei costi) [e] della menomazione e
demotivazione della professionalità del personale interno”,
essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una
struttura di consulenza esterna che non risponda ad
effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale,
possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e
svilire il personale entrato a far parte dell'organico
dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo
conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio”.
---------------
In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa
sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico
incarico oggetto del presente giudizio, va altresì
sottolineato come “il modulo organizzativo risultante da
tale generica forma di collaborazione risulta, nella
sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica
previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
(articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto
legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un
esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la
cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli
incarichi controversi- il principio generale secondo cui
non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per
la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato
rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e
funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il
sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267
del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione
locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso”.
---------------
(A) Il presente giudizio ha ad oggetto l’azione di
responsabilità intentata dalla Procura contabile nei
confronti di sei amministratori e due segretari comunali del
Comune di Presenzano in relazione ad un presunto danno
erariale di € 22.470,80-, che sarebbe stato da questi
cagionato all’Ente di appartenenza a causa di un incarico
esterno conferito ad un legale -e prorogato più volte nel
tempo– per consulenze “in materia di diritto civile, penale
e amministrativo, esternat[e] in pareri scritti e orali, a
richiesta del sindaco, del segretario e dei funzionari
responsabili delle posizioni organizzative”.
(B) In via preliminare va respinta l’eccezione di
prescrizione sollevata da tutti i convenuti, ad eccezione
del NA., in quanto manifestamente infondata.
Invero, i pagamenti per cui è causa sono stati tutti
effettuati a partire dal 14/07/2010 (cfr. mandato n.
836/2010), per cui, “essendo il primo atto interruttivo
datato 23/12/2014”, non appare decorso infruttuosamente il
termine quinquennale previsto dall’art. 1, co. 2, della
Legge n. 20/1994, secondo cui “Il diritto al risarcimento
del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni,
decorrenti dalla data in cui si è verificato fatto dannoso”.
(C) Nel merito la domanda è fondata.
Come noto, “in materia di consulenze, ampia e consolidata
giurisprudenza di questa Sezione (ex multis
sent. n. 1899/2011 e n. 533/2012), ha
ricordato che l'acquisizione di professionalità esterne da
parte delle pubbliche amministrazioni in epoca più risalente
costituiva fenomeno del tutto occasionale e legato ad
esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di peculiare
e sistematica regolazione, ma di singole norme di settore".
Nel corso del
tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per
eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore
pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola
generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs.
n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001 (recante il testo unico delle
disposizioni in materia di ordinamento del lavoro dei
pubblici dipendenti), statuendosi la possibilità per tutte
le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi
individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto
"per esigenze cui non possono far fronte con il personale in
servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione" (cfr. Sezione giur.
Campania, sent. n. 291 del 2017, cui si rinvia per un più
ampio excursus normativo).
In altre parole, le pubbliche amministrazioni hanno
l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e
professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture,
e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità
e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi
professionalità e/o idoneità specifica) (cfr. Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 339 del 2012).
Ciò premesso, la vicenda oggetto del
presente giudizio si inserisce a pieno titolo in un filone
giurisprudenziale che considera pacificamente illegittime,
oltre che foriere di danno erariale, tutte quelle consulenze
a carattere globale (per rendere i pareri di volta in volta
richiesti in una o più materie) a cagione del loro contenuto
inevitabilmente generico e del conseguente difetto del
necessario requisito dell’eccezionalità dell’incarico
(cfr.,
ex plurimis, Sezione
giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo
cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la
risoluzione di questioni di particolare complessità, il
ricorso ad una consulenza giuridica di carattere
specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza
legale non faccia eccezione ai principi normativi e
giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere
a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben
individuate che non risultino utilmente fronteggiabili
mediante l’impiego del personale in servizio. La
giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene
ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che
hanno ad oggetto la generalità delle problematiche
giuridiche che possano interessare tutta l’attività
istituzionale di un ente pubblico (C.d.C., Sez. III n.
75/2009; id. Sez. III n. 9/2003; id. Sez. Liguria n.
912/2003; id. Sez. Abruzzo n. 679/2004)”; cfr. altresì
Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 204 del 2011;
Sezione giur. Bolzano, sent. n. 32 del 2011; Sezione giur.
Lazio, sent., n. 123 del 2015; Prima Sezione giur. centrale
di appello, sent. n. 127 del 2014).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali
per il conferimento incarichi di consulenza non implica
soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione
amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per
l’illiceità della relativa spesa (Sezione giur. Campania,
sent. n. 982 del 2013; sent. n. 60 del 2012; Sezione giur.
Sicilia, sent. n. 4037 del 2011; Sezione giur. Veneto, sent.
n. 284 del 2011).
Peraltro, al cospetto di siffatti incarichi esterni il
pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla
luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente
duplicazione dei costi) [e] della menomazione e
demotivazione della professionalità del personale interno”
(cfr. Sezione giur. Campania, sent. n. 562 del 2013),
essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una
struttura di consulenza esterna che non risponda ad
effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale,
possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e
svilire il personale entrato a far parte dell'organico
dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo
conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio
(cfr. Sez. Abruzzo n. 750/2004)” (cfr. Sezione giur. Friuli
Venezia Giulia, sent. n. 41 del 2008).
In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa
sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico
incarico oggetto del presente giudizio, va altresì
sottolineato come “il modulo organizzativo risultante da
tale generica forma di collaborazione risulta, nella
sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica
previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
(articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto
legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un
esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la
cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli
incarichi controversi- il principio generale secondo cui
non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per
la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato
rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e
funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il
sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267
del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione
locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso”
(cfr. Sezione giur. Sicilia, sent. n. 47 del 2017).
In conclusione, per l’insieme di tali ragioni gli incarichi
conferiti dal Comune di Presenzano all’avv. MA. -e
segnatamente quelli prorogati con le delibere della Giunta
comunale n. 126 del 19/11/2009 e n. 3 del 13/01/2011-
debbono considerarsi non solo illegittimi, ma altresì
forieri di un danno erariale complessivamente quantificato
in € 22.470,80.
(D) Con riferimento alla quantificazione del danno, il
Collegio, pur considerando che l’incarico all’Avv.
MA. è stato disposto contra legem, non può esimersi
dal considerare che, come documentato dalle parti attraverso
la produzione di diversi pareri dallo stesso resi (e non
contestati da controparte), lo stesso, per anni, ha fornito
comunque prestazioni al Comune valutabili, equitativamente,
intorno al 20% del danno sopra determinato.
Invero, ai sensi dell’art. 1, co. 1-bis, della Legge n.
20/1994, “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il
potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi
comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o
da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in
relazione al comportamento degli amministratori o dei
dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.
Ne consegue, dunque, che il danno va rideterminato in €
8.986 per il danno conseguente alla delibera n. 126 del
19/11/2009 (primo rinnovo contestato) e in € 8.991 per il
danno conseguente alla delibera n. 3 del 13/01/2011 (secondo
rinnovo contestato).
Nessuna particolare compensazione può essere invece
riconosciuta in ordine ai vantaggi economici che sarebbero
derivati al Comune di Presenzano dagli indennizzi versati
dall’ENEL a causa della presenza sul territorio comunale di
una imponente centrale idroelettrica (e in riferimento ai
quali l’avv. MA. avrebbe prestato opera di
assistenza agli organi del Comune), trattandosi di vantaggi
che trovano la loro causa diretta in norme di legge (ad es.,
artt. 52 e 53 regio decreto 11.12.1933, n. 1775; art.
1 L. 27.12.1953, n. 959) e non certo negli incarichi
illegittimi oggetto del presente giudizio.
(E) In ordine alla suddivisione delle responsabilità tra i
singoli convenuti il Collegio ritiene di ascrivere una quota
del 50% del danno al segretario comunale pro tempore che con
grave negligenza è intervenuto senza nulla osservare –a
dispetto della macroscopica illegittimità dell’incarico–
nella seduta di Giunta in cui sono stati adottate le
delibere in contestazione (Ma.FE. in ordine alla
delibera n. 126 del 19/11/2009 e An.NA. in ordine alla
delibera n. 3 del 13/01/2011).
Invero, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale il
segretario (comunale o provinciale), ai sensi dell'art. 17
della L. n. 127 del 1997 e, successivamente, dell'art. 97
del D.L.vo 18.08.2000 n. 267, mantiene la specifica
funzione ausiliaria di garante della legalità e correttezza
amministrativa dell'azione dell'ente locale; infatti, il TUEL ha assegnato al segretario dell'ente locale, in linea
generale, oltre agli altri compiti indicati all'art. 97 del
T.U. citato, le “funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”.
Pertanto non può dubitarsi del fatto che il segretario
comunale abbia il preciso obbligo giuridico di segnalare
agli amministratori le illegittimità contenute negli
emanandi provvedimenti, al fine di impedire atti e
comportamenti illegittimi forieri di danno erariale e che,
in mancanza, il Segretario debba essere ritenuto
responsabile, a titolo di concorso omissivo, nella
causazione del fatto dannoso contestato (cfr. Sezione giur.
Puglia, sent. n. 168 del 2017; Sezione Friuli Venezia
Giulia, sent. n. 105 del 2010; Sezione giur. Lombardia,
sent. n. 473 del 2009; Prima Sezione centrale appello, sent.
n. 154 del 2008; cfr., altresì, nello stesso senso, Sezione
giur. Campania, sent. n. 280 del 2017; Sezione giur.
Campania, sent. 200 del 2017; Sezione giur. Campania, sent.
254 del 2016; Sezione giur. Campania, sent. 1064 del 2015;
Sezione giur. Campania, sent. 1061 del 2015; Sezione giur.
Campania, sent. 566 del 2011; Sezione giur. Campania, sent.
104 del 2011; contra, per una non condivisa lettura
riduttiva delle funzioni del Segretario comunale, cfr.
Sezione giur. Campania, sent. 320 del 2017).
Allo stesso modo, stante la macroscopica illegittimità degli
incarichi de quibus, il Collegio ritiene di suddividere la
restante quota del 50% del danno tra gli amministratori che,
con grave negligenza, hanno approvato le delibere n. 126 del
19/11/2009 (Vi.D'ER., Vi.ZI., Fu.FE., Ca.FO.) e n. 3 del 13/01/2011 (Vi.D'ER., An.Va.FE., Fu.FE., Ca.FO., Ni.PA.).
Ne consegue dunque gli odierni convenuti debbono essere
condannati al pagamento delle seguenti somme:
a) Ma.FE.al pagamento di € 4.493;
b) An.NA. al pagamento di € 4.495;
c) Vi.D'ER. al pagamento di € 2.022;
d) Vi.ZI. al pagamento di € 1.123;
e) Fu.FE. al pagamento di € 2.022;
f) Ca.FO. al pagamento di € 2.022;
g) An.Va.FE. al pagamento di € 899;
h) Ni.PA. al pagamento di € 899.
(F) Sulle predette somme dovrà essere corrisposta la
rivalutazione monetaria, da calcolarsi sulla base degli
indici ISTAT e con decorrenza dalla data di consumazione
dell’illecito, coincidente con quella dei singoli pagamenti
non dovuti, e sino alla data di deposito della presente
sentenza (Sezione giur. Puglia, sent. n. 324 del 2017;
Sezione giur. Veneto, sent. n. 71 del 2017).
Inoltre sulla somma in tal modo rivalutata sono dovuti gli
interessi legali dalla pubblicazione della presente
decisione fino all’effettivo soddisfo ai sensi dell’art.
1282 , 1° co, del codice civile (Sezione giur. Campania,
sentt. n. 637 del 2016; n. 635 del 2016; n. 544 del 2016; n.
417 del 2016; n. 362 del 2016)
(G) Le spese della sentenza, da liquidarsi con nota a
margine da parte della Segreteria (ex art. 31, comma 5,
c.g.c.), seguono la soccombenza e devono essere poste in
solido a carico dei convenuti condannati.
P.Q.M.
la Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la regione Campania,
in accoglimento della domanda:
1. RESPINGE le eccezioni di prescrizione;
2. CONDANNA i convenuti al pagamento, in favore del Comune di Presenzano, della seguenti somme, oltre rivalutazione
monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT,
dall'esborso e fino al giorno della pubblicazione della
presente sentenza, nonché interessi legali sulla somma così
rivalutata dalla predetta pubblicazione al soddisfo:
a) Ma.FE. a € 4.493;
b) An.NA. a € 4.495;
c) Vi.D'ER. a € 2.022;
d) Vi.ZI. a € 1.123;
e) Fu.FE. a € 2.022;
f) Ca.FO. a € 2.022;
g) An.Va.FE. a € 899;
h) Ni.PA. a € 899.
I predetti soggetti sono, poi, tenuti al pagamento, nei
confronti dell'erario, delle spese di giustizia che si
liquidano in € 936,68
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza 07.11.2017 n. 399). |
INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO:
Limiti spesa formazione.
Domanda
Vorrei iscrivermi ad uno dei vostri corsi di formazione
programmati in quest’ultima parte dell’anno, è vero –come
mi ha riferito qualche collega– che per il 2017 non
sussistono più i limiti alla spesa per la formazione del
personale dettati dall’art. 6 del d.l. 78/2010?
Risposta
La conversione in legge del d.l. 50/2017 ha introdotto una
serie di agevolazioni con il fine dichiarato di stimolare
gli enti locali al rispetto delle scadenze di legge dettate
per l’approvazione dei documenti fondamentali della propria
programmazione finanziaria.
Nel dettaglio, l’art. 21-bis del citato decreto ha previsto
che, per l’anno 2017, ai comuni (e alle loro forme
associative) che hanno approvato il rendiconto nei termini e
che hanno rispettato nell’anno precedente i vincoli di
finanza pubblica imposti dalla l. 243/2012, non si applicano
alcune limitazioni previste dall'art.
6 d.l. 78/2010 e, in
particolare, quelle riferite a:
– studi e incarichi di consulenza (comma 7);
– relazioni pubbliche, convegni, pubblicità e spese di
rappresentanza (comma 8); restano invece soggette a limite
le mostre;
– sponsorizzazioni (comma 9);
– spese per attività di formazione (comma 13).
Quanto al quesito, pertanto, per l’anno in corso l’ente non
è sottoposto ai limiti di spesa per la formazione del
personale imposti dal d.l. 78/2010 qualora abbia rispettato
la normativa sul Pareggio di Bilancio per l’anno 2016 e
approvato il relativo rendiconto entro il 30.04.2017 (06.11.2017 - link a
www.publika.it).
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RIEPILOGO
L'art.
21-bis decreto-legge 24.04.2017, n. 50, coordinato con la
legge di conversione 21.06.2017, n. 96, così
dispone:
Art. 21-bis. Semplificazioni
1. Per l’anno 2017, ai comuni e alle loro forme associative
che hanno approvato il rendiconto 2016 entro il 30.04.2017 e
che hanno rispettato nell’anno precedente il saldo tra
entrate finali e spese finali di cui all’articolo 9 della
legge 24.12.2012, n. 243, non si applicano
le limitazioni e i vincoli di cui:
a) all’articolo
6, commi 7, 8, fatta eccezione delle spese per mostre, 9 e
13, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122;
b) all’articolo
27, comma 1, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133.
2. A decorrere dall’esercizio 2018 le
disposizioni del comma 1 si applicano esclusivamente ai
comuni e alle loro forme associative che hanno approvato il
bilancio preventivo dell’esercizio di riferimento entro il
31 dicembre dell’anno precedente e che hanno rispettato
nell’anno precedente il saldo tra entrate finali e spese
finali di cui all’articolo 9 della legge 24.12.2012, n. 243.
In buona sostanza le limitazioni (temporaneamente) non
applicabili sono quelle:
●
di cui alla
precedente lett. a):
7.
Al fine di valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni,
a
decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed
incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed
incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti,
sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
incluse le autorità indipendenti, escluse le università, gli
enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati
nonché gli incarichi di studio e consulenza connessi ai
processi di privatizzazione e alla regolamentazione del
settore finanziario, non può essere
superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009.
L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui
al presente comma costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al
presente comma non si applicano alle attività sanitarie
connesse con il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del
personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
8. A decorrere dall'anno 2011
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti,
non possono effettuare spese per relazioni pubbliche,
convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un
ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta
nell'anno 2009 per le medesime finalità.
Al fine di ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e
di efficientare i servizi delle pubbliche Amministrazioni, a
decorrere dal 1° luglio 2010 l'organizzazione di convegni,
di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di
inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle
Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché da parte
degli enti e delle strutture da esse vigilati è subordinata
alla preventiva autorizzazione del Ministro competente.
L'autorizzazione è rilasciata nei soli casi in cui non sia
possibile limitarsi alla pubblicazione, sul sito internet
istituzionale, di messaggi e discorsi ovvero non sia
possibile l'utilizzo, per le medesime finalità, di
video/audio conferenze da remoto, anche attraverso il sito
internet istituzionale; in ogni caso gli eventi autorizzati,
che non devono comportare aumento delle spese destinate in
bilancio alle predette finalità, si devono svolgere al di
fuori dall'orario di ufficio. Il personale che vi partecipa
non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario
ovvero indennità a qualsiasi titolo. Per le magistrature e
le autorità indipendenti, fermo il rispetto dei limiti
anzidetti, l'autorizzazione è rilasciata, per le
magistrature, dai rispettivi organi di autogoverno e, per le
autorità indipendenti, dall'organo di vertice. Le
disposizioni del presente comma non si applicano ai convegni
organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli
incontri istituzionali connessi all'attività di organismi
internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste
da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle
Forze armate e delle Forze di polizia, nonché, per il 2012,
alle mostre autorizzate, nel limite di spesa complessivo di
euro 40 milioni, nel rispetto dei limiti derivanti dalla
legislazione vigente nonché dal patto di stabilità interno,
dal Ministero per i beni e le attività culturali, di
concerto, ai soli fini finanziari, con il Ministero
dell'economia e delle finanze.
9. A decorrere dall'anno 2011
le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti,
non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
(omissis)
13. A decorrere dall'anno 2011 la spesa
annua sostenuta
dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del
comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n.
196, incluse le autorità indipendenti, per
attività esclusivamente di formazione deve essere non
superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno
2009.
Le predette amministrazioni svolgono prioritariamente
l'attività di formazione tramite la Scuola superiore della
pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi
di formazione. Gli atti e i contratti posti in essere in
violazione della disposizione contenuta nel primo periodo
del presente comma costituiscono illecito disciplinare e
determinano responsabilità erariale. La disposizione di cui
al presente comma non si applica all'attività di formazione
effettuata dalle Forze armate, dal Corpo nazionale dei
vigili del fuoco e dalle Forze di Polizia tramite i propri
organismi di formazione, nonché dalle università.
● di cui alla precedente lett.
b):
Art. 27.
Taglia-carta
1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta,
dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche
riducono del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa
per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione
prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente
od inviata ad altre amministrazioni.
(omissis)
CONSIDERAZIONI
Ciò che più
interessa l'UTC sono:
- le spese per la formazione professionale (convegni, ecc.)
e, soprattutto
- le spese per studi ed incarichi di consulenza (di norma al
legale).
E' di tutta evidenza che, comunque, l'incarico al legale
esterno (per affari complessi) potrà essere legittimamente
affidato solo dopo aver preliminarmente interpellato per
iscritto il legale del comune (è cioè il Segretario Comunale
... se non non si vuole incorrere nella scure della Corte
dei Conti) il quale, nella fattispecie, dovrà motivatamente
per iscritto "dare forfait" all'interrogativo
formulato dal Dirigente/P.O. (comunque, sono fatti salvi ed impregiudicati i
numerosi limiti, da verificare di volta in volta e di cui
darne conto nella determinazione dirigenziale di affidamento
dell'incarico, individuati -sempre- dalla Corte dei Conti:
si consulti, in proposito, l'apposito
dossier INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI).
Invero, ricordiamo che l'art.
97 del D.Lgs. n. 267/2000 così recita:
CAPO II - Segretari comunali e provinciali
Art. 97. Ruolo e funzioni
1. Il comune e la provincia hanno un segretario titolare dipendente
dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei
segretari comunali e provinciali, di cui all'articolo 102 e
iscritto all'albo di cui all'articolo 98.
2. Il segretario comunale e provinciale svolge
compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
3. Il sindaco e il presidente della provincia, ove si avvalgano
della facoltà prevista dal comma 1 dell'articolo 108,
contestualmente al provvedimento di nomina del direttore
generale disciplinano, secondo l'ordinamento dell'ente e nel
rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli, i rapporti tra
il segretario ed il direttore generale.
4. Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei
dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e
per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il sindaco e
il presidente della provincia abbiano nominato il direttore
generale. Il segretario inoltre:
a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di
assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne
cura la verbalizzazione;
b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione
alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia
responsabili dei servizi;
c) roga, su richiesta dell’ente, i contratti nei quali
l’ente è parte e autentica scritture private ed atti
unilaterali nell'interesse dell'ente;
d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto
o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal
presidente della provincia;
e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi
prevista dall'articolo 108 comma 4.
5. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, può
prevedere un vicesegretario per coadiuvare il segretario e
sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
6. Il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali è
disciplinato dai contratti collettivi ai sensi del decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive
modificazioni ed integrazioni. |
ottobre 2017 |
|
INCARICHI PROGETTUALI:
Oggetto: D.Lgs. 56/2017. Trasmissione documento elaborato
dal DIPARTIMENTO CENTRO STUDI della FONDAZIONE del CONSIGLIO
NAZIONALE INGEGNERI titolato 'Non obbligatorietà e
inapplicabilità del ricorso ai mercati elettronici per
l'affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura dopo
le modifiche all'art. 36 del codice dei contratti (D.Lgs.
50/2016)' (Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 23.10.2017 n. 133). |
settembre 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Linee guida per il coordinatore della sicurezza
in fase di progettazione
(Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 27.09.2017 n. 117). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
L'affidamento all'esterno dell'ente di incarichi illegittimi
comporta sempre danno erariale.
I profili di illegittimità degli atti
costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle
condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso;
in altri termini, la non conformità dell’azione
amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo
svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé,
una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può
assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una
condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento
economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come
enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione
di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in
volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura
del principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e
qualitativamente significative devianze dalle vincolanti
prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate,
integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione, induce la considerazione secondo la
quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni
dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del
preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione
delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza
pubblica.
La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che
attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa,
anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale
che definiscono condizioni e procedure che legittimano
l’esborso; in tale peculiare contesto, per quanto di rilievo
nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di
carattere modale è presupposto di legittimità della spesa
sostenuta.
---------------
Questa Sezione d’Appello, dopo aver evidenziato che le
speciali condizioni:
- rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi
dell'ente;
- assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A. ovvero
carenza organica che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione
pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze
ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale
della P.A. o dell'ente pubblico;
- indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo
svolgimento dell'incarico esternalizzato;
- indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da parte del
privato di un'attività non continuativa;
- proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e
l'utilità conseguita dall'amministrazione,
che legittimano il conferimento di funzioni dell’Ente a
soggetti esterni alla P.A., ha affermato che tali requisiti
«….devono coesistere e, soprattutto, devono essere
oggettivamente sussistenti….».
Inoltre, ha precisato anche che, «….nei
rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti
posti dal legislatore all'azione degli amministratori,
soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a
tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si
ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria
del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il
legislatore pone agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte
quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è
sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si
realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni costituisce, quindi,
il presupposto antigiuridico che cagiona un danno erariale
per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti
esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono
escludono, quindi, che una qualche utilità possa attribuirsi
a una prestazione conseguente ad un incarico conferito
contra legem con conseguente impossibilità di considerare,
ai fini della quantificazione del danno risarcibile,
l’eventuale vantaggio conseguente all’attività del soggetto
esterno all’Ente, illegittimamente incaricato.
---------------
Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal
Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le
motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a
soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette
condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei
provvenimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a
firma della dr.ssa Fa., emerge chiaramente che:
· la genericità con la quale è stato definito l’oggetto degli
incarichi e la carenza di motivazione dei provvedimenti di
proroga, non soltanto non consente di valutare la
riconducibilità degli incarichi stesso alle funzioni
sindacali, ma preclude anche l’individuazione dell’utilità
attesa;
· il limite massimo di incarichi conferibili, ai sensi dell’art. 14
della L.r. n. 7/1992, che per il Comune di Salemi era pari a
2 (tenuto conto che la popolazione ivi residente non
superava le 30.000 unità), mentre, nella fattispecie, tale
limite è stato evidentemente ampiamente violato;
· non è stato rispettato il limite massimo del compenso mensile
indicato dall’art. 14 della L.r. n. 7/92, ove è previsto che
“....Agli esperti è corrisposto un compenso pari a quello
globale, previsto per i dipendenti in possesso della seconda
qualifica dirigenziale...” che era pari ad € 1.566,26
(come risulta chiaramente dalla attestazione del 14.10.2014,
a firma del Responsabile dell’Ufficio del Personale del
Comune di Salemi, allegata alla relazione del Capo Settore
Amministrazione delle Risorse dello stesso Comune n. prot.
23707 del 15.10.2014) poiché i compensi riconosciuti ai
consulenti avevano oscillato tra i 1.800,00 e i 2.448,00
euro mensili;
· non risulta presentata, da parte del Sindaco, e nemmeno dal Vice
Sindaco in funzione di supplenza, la relazione sull’attività
svolta al consiglio comunale, né è stata trovata altra
documentazione idonea a compendiare i risultati
dell’attività svolta dai consulenti; sul punto si osserva
che, per gli incarichi conferiti dalla odierna appellante,
appare logico che detta relazione avrebbe dovuto essere
presentata da quest’ultima;
· manca una effettiva e concreta ricognizione delle risorse interne
al fine di verificare che le medesime attività non potessero
essere svolte utilizzando i dipendenti del Comune;
· in violazione di quanto previsto dall’art. 3 della legge
finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007), gli incarichi
conferiti non erano stati inseriti nella programmazione
annuale del Consiglio comunale, e non era stato rispettato
il tetto di spesa, fissato dallo stesso organo, in
complessivi euro 8.800,00, con delibera n. 38 del
01.08.2008.
Tutto ciò premesso, non appare superfluo evidenziare che,
secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché
pacifico (cfr.,
ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007, n.
141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez.
Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di
illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della
dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di
quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non
conformità dell’azione amministrativa alle puntuali
prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo
idonea a generare, di per sé, una responsabilità
amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza
allorché quegli atti integrino una condotta almeno
gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per
l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come
enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione
di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in
volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del
principio porta il Collegio a ritenere che le plurime e
qualitativamente significative devianze dalle vincolanti
prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate,
integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione, induce la considerazione secondo la
quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni
dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del
preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione
delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza
pubblica.
La preservazione di tali valori ha luogo, oltre che
attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa,
anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale
che definiscono condizioni e procedure che legittimano
l’esborso; in tale peculiare contesto, per quanto di rilievo
nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di
carattere modale è presupposto di legittimità della spesa
sostenuta.
Le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della
motivazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio,
quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione
amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di
legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano
anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa;
tale ricostruzione è in linea con un orientamento
giurisprudenziale consolidato sia in primo grado
(tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent
06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n.
185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur.
Sicilia Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent.
03.04.2007, n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n.
672), che in grado di appello
(ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008, n. 237;
Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent.
20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n. 107;
Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74; Sez. App. I Sent.
04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259;
Sez. App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent.
13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha
ricevuto anche l’avallo di questa Sezione d’Appello
(cfr. Sent. 101/A/2010; 196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008;
122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver
evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza
dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente;
assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A.
ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione
pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
complessità dei problemi da risolvere che richiedono
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione
specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico esternalizzato; indicazione della durata
dell'incarico, svolgimento da parte del privato di
un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita
dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha
affermato che tali requisiti «….devono coesistere e,
soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….».
Inoltre, ha precisato anche che, «….nei
rapporti pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti
posti dal legislatore all'azione degli amministratori,
soprattutto quando, come nella specie, detti limiti mirano a
tutelare preminenti interessi pubblici, quali quelli che si
ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria
del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il
legislatore pone agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte
quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è
sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si
realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni costituisce, quindi,
nella fattispecie, il presupposto antigiuridico che ha
cagionato un danno erariale per l’Ente (pari alle somme che
sono state pagate a soggetti esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono escludono,
quindi, che una qualche utilità possa attribuirsi a una
prestazione conseguente ad un incarico conferito contra
legem con conseguente impossibilità di considerare, ai
fini della quantificazione del danno risarcibile,
l’eventuale vantaggio conseguente all’attività del soggetto
esterno all’Ente, illegittimamente incaricato.
Quanto detto, vale evidentemente anche per la posta di danno
corrispondente alle spese sostenute dal Comune di Salemi per
il rimborso delle missioni effettuate dal sig. Ip. in
quanto, dalla lettura dei provvedimenti autorizzativi nelle
missioni svolte, si evince che:
· l’Ip. veniva qualificato come addetto stampa e non come portavoce
e, quindi, i compiti affidati all’addetto stampa, diretti a
curare i rapporti tra l’Amministrazione e gli organi di
informazione, non giustificavano, in alcun modo, l’attività
diretta a coadiuvare l’organo di vertice fuori sede, da
ritenersi propria, invece, del portavoce;
· non appare giustificata l’utilità attesa per il Comune dalla
presenza del consulente nelle svariate località indicate
nella parte in fatto.
Ciò premesso, ritiene, tuttavia, il Collegio che debba
ritenersi legittima la nomina dell'avv. Ma., esperto in
materia di diritto degli enti locali, in quanto al punto n.
11 della nota prot. n. 21812 del 22.09.2014, a firma del
Segretario Generale del Comune di Salemi, viene precisato
che “....il Comune di Salemi non disponeva e non dispone
di Ufficio Legale e la pianta organica del Comune non ha mai
previsto personale con la qualifica di avvocato...” e,
pertanto, il compenso a quest’ultimo corrisposto, che ha
prestato all’Amministrazione la propria consulenza
giuridica, quantificato in euro 11.999,52 e imputato al
vice-sindaco Fa. (che ha adottato la determinazione
sindacale n. 61/2011, sulla cui base era stato pagato
l’importo contestato, mediante tranches erogate nella date
14.06.2011, 23.06.2011, 02.08.2011, 30.03.2012 e 12.04.2012)
non può essere ritenuto danno erariale.
Il danno erariale da addebitare all’appellante va, pertanto,
quantificato in euro 73.547,48.
Su detta somma il Collegio, tenuto conto della natura degli
addebiti e delle reiterate violazioni normative, ritiene non
applicabile il richiesto poter riduttivo di cui all'art. 52,
comma 2, del regio decreto 12.07.1934, n. 1214.
Per tali ragioni, in parziale accoglimento dell’appello e in
riforma della sentenza impugnata, la dr.ssa Fa.An. va
condannata a pagare al Comune di Salemi, la somma di euro
73.547,48, oltre rivalutazione monetaria che, con criterio
semplificativo favorevole all’appellante, va fatta decorrere
dall’ultimo dei pagamenti effettuati, e agli interessi
legali, su detta somma così rivalutata, dalla data di
pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo; le
spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione
Giurisdizionale d’Appello per la Regione siciliana,
definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente
l’appello, e, a parziale modifica della sentenza n.
518/2016, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte
dei Conti per la Regione siciliana,
condanna Fa.An.a a pagare, al Comune di Salemi, la somma di
euro 73.547,48, oltre rivalutazione monetaria, a decorrere
dall’ultimo dei pagamenti effettuati, e agli interessi
legali, su detta somma così rivalutata, dalla data di
pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Sicilia,
sentenza 19.09.2017 n. 112). |
INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto:
Informativa - 'LEGGE ANNUALE PER IL MERCATO E LA
CONCORRENZA' (Legge 04.08.2017, n. 124)
(Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 15.09.2017 n. 113). |
agosto 2017 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Affidamento di incarichi a liberi professionisti. Disciplina
applicabile.
Per stabilire se l'affidamento di
incarichi a liberi professionisti, connessi al funzionamento
di una stazione biologica nell'ambito di una Riserva
naturale regionale, debba avvenire secondo le procedure
previste per gli appalti di servizi dal D.Lgs. 50/2016,
oppure in base a quelle dettate per gli incarichi
individuali dall'art. 7, c. 6, del D.Lgs. 165/2001, occorre
avere riguardo ai caratteri propri dell'incarico che si
intende affidare e, quindi, alla sua qualificazione
giuridica.
La giurisprudenza individua, in termini generali, i
caratteri distintivi delle due fattispecie osservando,
peraltro, che il confine fra contratto d'opera intellettuale
e contratto d'appalto di servizi sfuma in sede di
applicazione della disciplina sui contratti pubblici, che
impone predeterminate procedure ad evidenza pubblica,
prodromiche alla stipulazione dei contratti da parte delle
PP.AA. e adotta una nozione ampia di appalto di servizi che
comprende, in alcuni casi, anche l'attività del
professionista intellettuale.
Il Comune rappresenta di ricevere annualmente un contributo regionale, di
importo costante, per il funzionamento di una stazione
biologica nell'ambito di una Riserva naturale regionale e
che, in ragione di un tanto, nel 2016 ha già affidato
direttamente, ai sensi dell'art. 125, comma 11, del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, l'incarico triennale per
lo svolgimento di determinate attività a tre professionisti,
esperti in materia ambientale.
Poiché, per il corrente anno, il Comune ha ricevuto un
contributo di importo superiore, esso intende affidare un
'servizio aggiuntivo' ai tre soggetti già incaricati e
chiede di conoscere se l'affidamento delle ulteriori
attività di cui trattasi, nonché la scelta dei
professionisti che dovranno essere individuati in futuro,
debbano avvenire secondo le procedure previste, per gli
appalti di servizi, dal decreto legislativo 18.04.2016,
n. 50, oppure in base a quelle dettate, per gli incarichi
individuali, dall'art. 7, comma 6, del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165.
Sentito il Servizio paesaggio e biodiversità della Direzione
centrale infrastrutture e territorio si rappresenta quanto
segue.
Va, anzitutto, chiarito che, per poter stabilire la
qualificazione giuridica degli incarichi che si intendono
affidare, occorre fare riferimento alle specifiche
caratteristiche delle attività/prestazioni che i
professionisti sono chiamati a svolgere: pertanto, tale
valutazione spetta, in via esclusiva, all'amministrazione
procedente.
Un tanto premesso si ritiene, comunque, di poter fornire, in
via meramente collaborativa, alcune considerazioni di
carattere generale, con l'auspicio di poter coadiuvare
l'Ente nell'assunzione delle proprie determinazioni al
riguardo.
È noto che per i contratti d'opera e di opera intellettuale
(nel cui ambito sono riconducibili quelli che le
disposizioni di finanza pubblica definiscono come 'ricerca',
'studio' e 'consulenza') si pone il problema di individuare
la normativa applicabile, atteso che la disciplina statale
che regola i contratti pubblici, nel recepire le direttive
comunitarie in materia, assimila alcuni di essi agli appalti
di servizi
[1].
Sulla tematica è intervenuta tanto la magistratura
contabile
[2]
(alla quale si farà prevalentemente
riferimento, stante il maggior numero di interventi) quanto
quella amministrativa
[3], ai cui insegnamenti è opportuno
rifarsi per ricavare i parametri che dovrebbero consentire
al Comune di stabilire la natura giuridica degli incarichi
che intende affidare e, conseguentemente, identificare la
procedura da osservare.
Gli incarichi a professionisti esterni sono generalmente
riconducibili, secondo il diritto civile, al contratto
d'opera (v. art. 2222
[4]) e, più precisamente, d'opera
intellettuale (v. art. 2229)
[5].
Come si è già accennato, il codice dei contratti pubblici,
delineando l'ambito oggettivo di applicazione, fornisce una
definizione di contratto di appalto di servizi
[6]
molto più
ampia di quella del codice civile, attraendo anche negozi
qualificabili come contratti d'opera o di opera
intellettuale.
Secondo il codice civile, la distinzione tra contratti
d'opera e di opera intellettuale e contratto d'appalto di
servizi (v. art. 1655
[7]) emerge dal carattere personale o
intellettuale delle prestazioni nei primi e dalla natura
imprenditoriale del soggetto esecutore, nel secondo.
L'appalto di servizi, pur presentando elementi di affinità
con il contratto d'opera (autonomia rispetto al
committente), si differenzia da questo per il profilo
dell'organizzazione, considerato che l'appaltatore esegue la
prestazione con mezzi e personale propri, che fanno ritenere
sussistente, assieme al requisito della gestione a proprio
rischio, la qualità di imprenditore commerciale.
Il prestatore d'opera, invece, pur dovendo anch'egli
svolgere, dietro corrispettivo, un servizio a favore del
committente, senza vincolo di subordinazione e con
assunzione del relativo rischio, si obbliga ad eseguirlo con
lavoro prevalentemente proprio, senza una necessaria
organizzazione.
Il confine fra contratto d'opera intellettuale e contratto
d'appalto di servizi sfuma in sede di applicazione della
disciplina sui contratti pubblici, che impone predeterminate
procedure, ad evidenza pubblica, prodromiche alla
stipulazione dei contratti da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Il codice dei contratti pubblici adotta certamente una
nozione ampia di appalto di servizi che comprende, in alcuni
casi, anche l'attività del professionista intellettuale, ma
tale nozione è finalizzata ad estendere l'ambito oggettivo
di applicazione della relativa disciplina in aderenza alle
direttive comunitarie di settore, volte a favorire il
confronto concorrenziale fra operatori economici, la libera
circolazione di servizi ed il diritto di stabilimento.
Pertanto, quella nozione non si ripercuote sulle definizioni
di contratto di prestazione d'opera, prestazione d'opera
intellettuale e di appalto di servizi delineate dal codice
civile, atteso che il codice dei contratti pubblici mira a
disciplinare le procedure di affidamento di un'ampia gamma
di contratti che, pur definiti come 'appalto', comprendono
una serie eterogenea di negozi civilistici
(somministrazione, mandato, trasporto, assicurazione, ecc.).
Quanto alla giurisprudenza amministrativa, si segnala che
anche il Consiglio di Stato
[8], valorizzando le differenze
fra i due contratti ai fini delle conseguenti ricadute in
materia di soggezione al codice dei contratti pubblici,
ritiene elemento qualificante dell'appalto di servizi, oltre
alla complessità dell'oggetto, la circostanza che
l'affidatario dell'incarico necessiti, per l'espletamento
dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione
finalizzata a soddisfare i bisogni dell'ente.
---------------
[1] Secondo D. Centrone («Il conferimento di incarichi di
consulenza e collaborazione da parte degli enti locali e
delle società partecipate, alla luce del nuovo Codice dei
contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016, e del testo unico
sulle società pubbliche, d.lgs. n. 175 del 2016», relazione
tenuta al Convegno sul tema 'Gli adempimenti in scadenza al
31.01.2017 per la prevenzione della corruzione e le
linee-guida per le città metropolitane', organizzato da UPI-ANCI Piemonte e tenutosi a Torino il 20.01.2017)
tale assimilazione concerne l'individuazione della procedura
di affidamento, «restando impregiudicata la qualificazione
della natura del contratto, da effettuare secondo le regole
del diritto civile interno».
[2] V., tra i più recenti interventi della Corte dei conti:
Sez. reg.le controllo per la Puglia, delib. n. 63/PAR/2014;
Sez. reg.le controllo per la Liguria, delib. n. 79/2015/PAR;
Sez. reg.le controllo per la Lombardia, delib. n.
51/2013/PAR, n. 178/2014/PAR e n. 162/2016/PAR.
[3] V., per tutte, la sent. del Consiglio di Stato - Sez. V,
n. 2730/2012.
[4] «Quando una persona si obbliga a compiere verso un
corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione
nei confronti del committente, si applicano le norme di
questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina
particolare nel libro IV.».
[5] «La legge determina le professioni intellettuali per
l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in
appositi albi o elenchi.
L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o
negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere
disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni
professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la
legge disponga diversamente.
Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli
albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che
importano la perdita o la sospensione del diritto
all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via
giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi
speciali.».
[6] V. l'art. 3, comma 1, lett. dd), ii) e ss), del D.Lgs.
50/2016.
[7] «L'appalto è il contratto col quale una parte assume,
con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a
proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio
verso un corrispettivo in danaro.».
[8] Sez. V, sent. n. 2730/2012 (02.08.2017
-
link a
www.regione.fvg.it). |
luglio2017 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
27.07.2016 n. 170 "Approvazione delle tabelle dei
corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle
prestazioni di progettazione adottato ai sensi dell’articolo
24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016"
(Ministero della Giustizia,
decreto 17.06.2016). |
giugno 2017 |
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CONSIGLIERI COMUNALI -
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Danno erariale per l’incarico esterno su attività gestibili
dai dipendenti dell’ente.
Il Comune che delibera l’affidamento di
un incarico esterno che si sarebbe potuto svolgere con il
proprio personale provoca un danno erariale in quanto viola,
con grave colpa, i principi di economicità, efficienza,
efficacia e ragionevolezza –sanciti dall’articolo 1 della L.
n. 241/1990 e dal Dlgs n. 165/2001- posti a fondamento del
buon andamento della Pa, di cui all’articolo 97 della
Costituzione.
---------------
La domanda risarcitoria dedotta in giudizio trae origine
dall’affidamento esterno di una prestazione d’opera
professionale -consistente nella ricerca della “attivazione
di risorse finanziarie non impositive”- in assenza dei
requisiti e delle condizioni che ne giustificassero
l’adozione, con conseguente danno corrispondente all’inutile
costo -pari ad € 40.500,00- riconosciuto alla ditta
affidataria a titolo di ingiusto corrispettivo, ed imputato
agli odierni convenuti (componenti della Giunta Municipale
che adottò la Deliberazione n. 90 del 06/10/2008) in ragione
delle responsabilità derivanti dalle funzioni e dai compiti
esercitati in concreto nella procedura di affidamento, alla
cui formazione era stato inizialmente riconosciuto il
contributo causale del Responsabile dell’Area Tecnica -ing.
Fr.Di.- il cui successivo decesso aveva comportato,
unitamente alla esclusione della imputazione di personale
responsabilità, la conseguente rideterminazione del danno,
oggi utilmente perseguibile, nella misura di € 32.400,00.
Il Collegio ritiene che la pretesa risarcitoria azionata da
Parte Pubblica sia fondata, e ciò sulle seguenti
considerazioni fattuali e giuridiche che ne determinano
l’integrale accoglimento, anche alla stregua di un percorso
valutativo che imponga “ex ante” la misurazione delle
regolari condotte esigibili, in fattispecie concreta, dai
convenuti.
Preliminarmente il Collegio intende soffermarsi sulla esatta
qualificazione giuridica da conferire alla “fattispecie
negoziale” individuata come produttiva del danno in
contestazione, ancorché su siffatta questione le parti non
abbiano sollevato alcuna specifica eccezione o rilievo “dubitativo”,
essendosi le ragioni della controversia sviluppate lungo la
traccia giuridico-normativa delineata dall’art. 7, co. 6,
D.Lgs. n. 165/2001 disciplinante il conferimento di
incarichi fiduciari esterni, nonostante, dagli atti di causa
emerga qualche riferimento al sistema degli appalti di
servizi.
Invero:
- la determina n. 320 Reg. Gen. del 14.10.2008, a firma
dell’ing. Fr.Di. reca ad oggetto l’“affidamento
prestazioni”;
- il successivo contratto del 16.10.2008 (sempre firmato
dall’ing. Di.), dopo aver riportato in premessa il richiamo
a “prestazione servizi ai sensi D.Lgs. n. 163/2006”,
individua quale oggetto dello stesso la “prestazione di
servizi”;
- lo stesso atto di citazione, nell’introdurre la
descrizione della vicenda di danno, discorre di “…prestazione
di servizi…”;
- e, in ultimo, la pur censurata modalità di affidamento
dell’incarico in argomento è quella –“negoziata”–
contemplata dal suddetto D.Lgs. n. 163/2006 disciplinante la
materia degli appalti di servizi.
In realtà, “…l’incarico di prestazione di servizi…”
affidato dal Comune di Stigliano alla ditta “L.S.”,
lungi dal consentire la pacifica ed agevole qualificazione
dello stesso nel novero del sistema degli “Appalti di
servizi”, configura una vera e propria fattispecie di “Conferimento
di incarico esterno”, con conseguente applicazione dei
presupposti, delle condizioni e dei limiti, di cui al D.Lgs.
n. 165 del 2001, posti a presidio della corretta
utilizzazione di tale modulo operativo.
E ciò, indipendentemente dal nomen iuris emergente
dagli atti del procedimento amministrativo e dagli scritti
di causa, inidonei a vincolare il Giudice nell’esercizio del
proprio dovere-potere di qualificare giuridicamente l’azione
ed il rapporto dedotto in giudizio, con l’unico limite
dell’integrità dei fatti e degli elementi costitutivi della
domanda (Cass. Sez. II nn. 15925/2007, 10922/2005 e
3980/2004; C.d.c. FVG, 20.02.2009, n. 73).
Del resto, che la fattispecie si inquadri nel “tipo”
degli incarichi e delle consulenze esterne, v’è conferma nel
richiamo, svolto in punto di motivazione del provvedimento
di affidamento, alla rilevata insufficienza, o
impreparazione, del personale organicamente inserito
nell’Ente per l’assolvimento della prestazione oggetto di
esternalizzazione.
In ogni caso, ed indipendentemente dalla qualificazione
giuridica prospettata dalle parti, ma nel rispetto di quei
principi di ragionevolezza non suscettibili di alcuna
indebita interferenza col divieto di sindacato sulle scelte
discrezionali dell’Amministrazione, va precisato come ormai
cogente ed obbligatorio si manifesti il dovere per ogni
Pubblica Amministrazione di rispettare le regole che
presidiano gli affidamenti di incarichi esterni –comunque
formalizzati– regole, queste, copiosamente e partitamente
enucleate dalla Corte dei conti nell’esercizio della
funzione giurisdizionale e di controllo sulla scorta
dell’impianto normativo di settore formatosi nel tempo, e
che conferiscono a tale “scelta operativa” il
carattere della eccezionalità, rispetto all’ordinario
impiego delle risorse professionali ritraibili dal proprio
organico.
Nella sintetizzata ottica organizzativa vanno quindi lette
le limitazioni costituite dalla peculiarità dell’oggetto
della prestazione conferita, dalla delimitazione temporale
dell’incarico, dalla coerenza del compenso con la qualità e
quantità del lavoro affidato e dalla inesistenza di figure
professionali “interne” in grado di assolvere a quel
compito, riscontrata mediante una reale, e dimostrata,
ricognizione.
I limiti, invero stringenti, al conferimento di incarichi
esterni, sommariamente richiamati, risultano essere stati
platealmente superati nell’ambito dell’affidamento del
servizio di “ricerca dei finanziamenti utilizzabili”
alla ditta “L.S.” sotto il duplice profilo
dell’assenza di tratti di particolare complessità o
specialità della prestazione, e del reale, concreto ed
attendibile riscontro della inidoneità del personale “intraneo”
a svolgere il servizio di cui si predicava, e disponeva, la
necessaria esternalizzazione.
E tanto, senza indugiare sui pur adombrati profili collusivi
documentalmente, e sospettosamente, emergenti dalla perfetta
coincidenza delle prerogative professionali vantate dalla
ditta in sede di illustrazione della propria offerta, con le
motivazioni poste a sostegno della Deliberazione giuntale n.
90 del 2008, la cui valenza di “mero” atto di
indirizzo, pure eccepita in sede difensiva dagli autori
della stessa per decolorarne la incidenza nella dinamica
causativa del danno, è clamorosamente smentita dalla
minuziosa e particolareggiata descrizione delle
caratteristiche della prestazione oggetto di affidamento,
sorprendentemente coincidenti con le specifiche distintive
della ditta affidataria.
In realtà, osserva il Collegio in aperta condivisione delle
stigmatizzazioni accusatorie sul punto, l’attività
ricognitiva delle disponibilità finanziarie “dormienti”
o “silenti”, non appare connotata da quel tratto di
alta complessità o specialità che imponga il ricorso ad
operazioni di particolare competenza non esigibile da
personale impiegato nella gestione del settore
economico-finanziario di un Comune che, a maggior dire per
quello di Stigliano, non contempla tra i propri compiti
quello di intraprendere o perseguire attività o strategie di
investimento, o di indebitamento, che in qualche modo, e con
elevato rischio, vengono riservate a soggetti finanziari
privati, certamente più avvezzi alla speculazione che alla
pianificazione.
Ed a conforto di tale valutazione non vale tanto richiamare
la pur facile constatazione del risultato -invero “ordinario”-
ottenuto dalla “fragorosa” iniziativa intrapresa (la
contabilizzazione dei mutui non utilizzati), quanto la
manifesta irragionevolezza di una scelta che, già in una
valutazione ex ante, avrebbe dovuto far intuire, in
un’ottica di credibile verosimiglianza sorretta dalla
doverosa conoscenza dei dati relativi alla esperienza
concreta della gestione delle risorse di bilancio, la
possibilità di definire in autonomia, e senza ricorso ad
onerose consulenze esterne, tale passaggio ricognitivo,
anche nella ritenuta necessarietà dello stesso per la
pianificazione di nuovi e proficui investimenti.
Peraltro, non è di poco conto rilevare come, successivamente
a tale riscontrata necessità, iniziative di identico tenore
e contenuto fossero state con successo intraprese dal Comune
(Determinazioni del Servizio di Urbanistica “lavorate”
dal personale dell’Ente e finalizzate all’accensione dei
mutui di € 235.000,00 e € 14.500,00): a conferma del fatto
che “…da soli si poteva!...”.
Né è ravvisabile, come ampiamente argomentato dalla difesa,
una condizione di insufficienza, numerica e qualitativa, del
personale impiegato cui poter affidare tale incombenza.
In disparte la pur condivisa osservazione sulla mancanza di
ogni reale e concreta indagine ricognitiva che valesse ad
integrare il requisito richiesto dalla normativa di settore
(ma sarebbe più corretto dire “richiesto dalle regole di
una ragionata e prudente amministrazione”) deve
rilevarsi come “L’assetto organizzativo del Comune ed il
piano di assegnazione contingenti di personale” di cui
alla Deliberazione n. 78 del 03/07/2003, non sostanzialmente
modificata dal successivo Atto giuntale (Deliberazione n. 5
del 28/01/2009) intervenuto sul punto, contemplasse
l’assegnazione al 2° Settore-Area Economico finanziaria di 9
unità di personale, 7 delle quali appartenenti alle
categorie B e C, e quindi con qualifica di “istruttore” e “collaboratore”:
pur volendo considerare il rilievo “incidente”
dell’assenza del dirigente, la descritta dotazione organica
non appare plausibilmente connotata da quella grave e
cronica penuria di risorse umane che offra ragione della
scelta di esternalizzazione effettuata.
Né in altri atti dell’Ente è dato rilevare un significativo
segnale di “criticità” della organizzazione del
personale che, nel settore coinvolto indirettamente nella
intrapresa iniziativa, ne paventasse in qualche modo
l’adottata soluzione “di rimedio”.
Sulla scorta delle dispiegate osservazioni,
il Collegio
giudica la scelta di ricorrere ad un oneroso servizio consulenziale esterno per la ricognizione delle risorse
finanziarie disponibili, intrapresa dalla Giunta Municipale
di Stigliano con la Deliberazione n. 90 del 2008,
come
segnata da grave ed inescusabile superficialità, nonché
produttiva di ingiustificato danno, costituito dal
corrispettivo riconosciuto alla ditta affidataria.
Di tale danno, pari ad € 32.400,00 per effetto dello
stralcio della quota inizialmente addebitata all’ing. Di.,
nelle more della vicenda giudiziaria deceduto, vanno
dichiarati responsabili gli odierni convenuti che, in
qualità di componenti della Giunta Municipale che adottò la
delibera di affidamento, offrirono decisivo ed unico
contributo causale all’avveramento dello stesso.
Somma comprensiva di rivalutazione monetaria. Interessi
legali dalla sentenza sino al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione
Basilicata così decide:
a) condanna gli odierni convenuti DI GI. Le., BA.An., CA.Gi. e
FE.Gi. al risarcimento, in parti uguali, in favore del
Comune di Stigliano, della somma complessiva di € 32.400,00.
Somma comprensiva di rivalutazione monetaria. Interessi
legali dalla sentenza sino al soddisfo (Corte dei Conti,
Sez. giurisdiz. Basilicata,
sentenza
16.06.2017 n. 62). |
maggio 2017 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI:
Danno erariale al sindaco per l’affidamento diretto di
incarichi legali.
Secondo i magistrati contabili
l'affidamento in via diretta, da parte del sindaco, del
patrocinio legale ad avvocati del libero foro, in presenza
all'interno dell'ente di una propria avvocatura civica,
costituisce colpa grave tale da generare danno erariale.
Una possibile ed eccezionale scelta di avvocati all'esterno,
resta, in ogni caso, attribuita in via esclusiva alla
competenza dell'organo gestionale (avvocatura) e non
all'organo politico che, avendo proceduto con un illegittimo
affidamento fiduciario, ne subisce le sorti in fatto di
responsabilità erariale trattandosi di spesa inutilmente
sostenuta dall'ente. In altri termini, i citati incarichi
effettuati dal sindaco, rientrando in una scelta di gestione
attiva, ne radicano le conseguenze e le relative
responsabilità.
Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei
conti, Sez. giurisdiz. per il Lazio con la
sentenza 29.05.2017 n. 124.
Il fatto
La causa amministrativa che vedeva esposta l'amministrazione
comunale, con rilevanti risarcimenti di danni richiesti da
una ditta aggiudicataria a cui era stata successivamente
disposta la revoca dell'aggiudicazione, aveva condotto il
sindaco ad affidare in via diretta la difesa dell'ente a due
avvocati esterni del libero foro, pur in presenza di una
avvocatura interna. L'amministrazione, a fronte delle
richieste avanzate dai ricorrenti e della possibile
soccombenza l'ente, addiveniva a una transazione con
l'aggiudicatario estromesso, transazione considerata
vantaggiosa per l'ente.
In considerazione della mancata preventiva definizione degli
onorari da corrispondere ai legali esterni, si addiveniva a
un accordo sulle somme da corrispondere, con il successivo
riconoscimento di un debito fuori bilancio da parte del
consiglio comunale per circa mezzo milione di euro. A fronte
di tale scelta fiduciaria e del rilevante importo
corrisposto, la Procura rinviava a giudizio di conto il
sindaco stimando il danno erariale pari alla differenza tra
quanto corrisposto ai legali esterni e quanto invece da
corrispondere agli avvocati interni (incentivi) in caso di
assegnazione a questi ultimi della difesa dell'ente.
La difesa dell'ex sindaco
Nelle proprie memorie di comparsa l'ex primo cittadino si
difende precisando come l'assistenza esterna era
giustificata dalla rilevanza economica del risarcimento
richiesto, tanto che la transazione, successivamente
raggiunta, era avvallata anche dall'avvocatura interna,
inoltre gli onorari pagati agli avvocati esterni prevedevano
una decurtazione importante, rispetto a quanto inizialmente
richiesto e, in ultimo, se di responsabilità doveva parlarsi
la stessa non poteva non trovare altri possibili
interlocutori a partire dai consiglieri comunali che avevano
votato il riconoscimento e quindi l'utilità della citata
prestazione, oltre ai responsabili dei servizi che ne
avevano sottoscritto i pareri di conformità contabile e
tecnica, ivi inclusa la stessa avvocatura civica che ne
aveva giudicato la congruità.
Le motivazioni del collegio contabile
Secondo il collegio contabile la responsabilità del danno
erariale, causato alle casse dell'ente locale, discende in
via preliminare dall'illegittimo conferimento diretto
effettuato dal sindaco, ossia in assenza di una comprovata e
motivata impossibilità di assegnazione della difesa
dell'ente alla propria avvocatura civica (composta da ben 24
legali interni). Altro aspetto fondamentale, che radica la
responsabilità al primo cittadino, è soprattutto la
circostanza che l'iniziativa per l'attribuzione
dell'incarico esterno era stata assunta dal sindaco mediante
una ingerenza nell'attività gestionale e tale che sul
medesimo non poteva non gravare anche un onere di verifica
della legittimità delle modalità con le quale si intendeva
conferire i citati incarichi.
In altri termini, se l'incarico esterno fosse stato
attribuito dal responsabile dell'avvocatura civica, lo
stesso avrebbe dovuto necessariamente motivare
l'impossibilità ad assolvere con la struttura interna il
citato incarico, oltre alle necessarie ed obbligatorie
attività gestionali, ivi comprese quelle relative
all'affidamento degli incarichi di patrocinio legale
all'esterno, mentre nel caso di specie il Sindaco,
inserendosi indebitamente nella gestione attiva, non può non
subirne le conseguenze degli incarichi illegittimi
attribuiti in via fiduciaria.
Il Collegio contabile considera, pertanto, le somme
corrisposte ai citati legali del libero foro come
diminuzione patrimoniale subita dall'ente con ripristino
della tutela contabile in capo al convenuto, applicando,
tuttavia, la riduzione di 1/3 delle somme che avrebbero
dovute essere poste in capo anche ad altri soggetti, non
chiamati dalla Procura contabile in giudizio, ma che in ogni
caso hanno partecipato alla successiva liquidazione delle
somme non dovute mediante il citato riconoscimento del
debito fuori bilancio (articolo Quotidiano Enti Locali &
Pa del 05.06.2017). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Affinché
l'affidamento di un incarico professionale all'esterno
dell'ente non sostanzi un danno erariale,
la giurisprudenza contabile ha precisato principi e
criteri da osservare, poi positivizzati dal legislatore,
quali:
a) i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni
possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza
dell'Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del personale dipendente e
conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si
possono nella maniera più assoluta riscontrare nell'apparato
amministrativo;
b) l'incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività
continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche
già individuate al momento del conferimento del quale
debbono costituire l'oggetto espresso;
c) l'incarico si deve caratterizzare per la specificità e la
temporaneità, dovendosi altresì dimostrare l'impossibilità
di adeguato assolvimento dell'incarico da parte delle
strutture dell'ente per mancanza di personale idoneo;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare
surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici
dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;
e) il compenso connesso all'incarico sia proporzionato all'attività
svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata
al fine di consentire l'accertamento della sussistenza dei
requisiti previsti;
g) l'organizzazione dell'Amministrazione deve essere comunque
caratterizzata per il rispetto dei princìpi di
razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza
sovrapposizione all'attività ed alla gestione
amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità
delle risorse umane nonché per l'economicità, trasparenza ed
efficacia dell'azione amministrativa, per il prioritario
impiego delle risorse umane già esistenti all'interno
dell'apparato;
h) l'incarico non deve essere generico o indeterminato, al fine di
evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli
organici dell'Ente, il che presuppone la previa ricognizione
e la certificazione dell'assenza effettiva nei ruoli
organici delle specifiche professionalità richieste;
i) i criteri di conferimento non devono rivelarsi generici, perché
la genericità non consente un controllo sulla legittimità
dell'esercizio dell'attività amministrativa di attribuzione
degli incarichi.
---------------
Con riguardo all’elemento soggettivo della responsabilità
amministrativa si reputa che la condotte del convenuto
(sindaco) sia stata connotata da colpa grave evincibile
dalla violazione di disposizioni normative chiare, non
connotate da complessità esegetiche in ordine al
conferimento di incarichi esterni.
---------------
4. Nel merito, il Collegio deve esaminare la vicenda
descritta nella premessa in fatto e procedere alla verifica
della sussistenza degli elementi tipici della responsabilità
amministrativa che si sostanziano in un danno patrimoniale,
economicamente valutabile, arrecato alla pubblica
amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o
dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e
l'evento dannoso, nonché, nella sussistenza di un rapporto
di servizio fra colui che lo ha determinato e l'ente
danneggiato.
5. Con riferimento all’elemento oggettivo va espressa
condivisione in ordine all’an del danno erariale
contestato dall’organo requirente e per le considerazioni
dallo stesso espresse.
Si premette che il quadro normativo di riferimento è
rappresentato:
· dall’art. 13, comma 5, del "Regolamento sull'Ordinamento degli
Uffici e dei Servizi" approvato con deliberazione della
Giunta Comunale n. 62 del 29.10.2002, e vigente all’epoca
dei fatti;
· dall'art. 6, comma 1, del "Regolamento di Organizzazione per
l'esercizio dell'azione di promovimento del giudizio,
resistenza alle liti, conciliazione e transazione"
approvato con deliberazione della Giunta Comunale n. 182 del
27.01.2001 e tuttora vigente;
· in termini generali, dall’art. 110 del Tuel e dall’art. 7, comma
6 e seguenti, del decreto legislativo n. 165/2001.
Sempre in subiecta materia la
giurisprudenza contabile ha precisato principi e criteri da
osservare, poi positivizzati dal legislatore con le
disposizioni normative richiamate:
a) i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni
possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza
dell'Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del personale dipendente e
conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si
possono nella maniera più assoluta riscontrare nell'apparato
amministrativo;
b) l'incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività
continuativa bensì la soluzione di specifiche problematiche
già individuate al momento del conferimento del quale
debbono costituire l'oggetto espresso;
c) l'incarico si deve caratterizzare per la specificità e la
temporaneità, dovendosi altresì dimostrare l'impossibilità
di adeguato assolvimento dell'incarico da parte delle
strutture dell'ente per mancanza di personale idoneo;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare
surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici
dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;
e) il compenso connesso all'incarico sia proporzionato all'attività
svolta e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata
al fine di consentire l'accertamento della sussistenza dei
requisiti previsti;
g) l'organizzazione dell'Amministrazione deve essere comunque
caratterizzata per il rispetto dei princìpi di
razionalizzazione, senza duplicazione di funzioni e senza
sovrapposizione all'attività ed alla gestione
amministrativa, per la migliore utilizzazione e flessibilità
delle risorse umane nonché per l'economicità, trasparenza ed
efficacia dell'azione amministrativa, per il prioritario
impiego delle risorse umane già esistenti all'interno
dell'apparato;
h) l'incarico non deve essere generico o indeterminato, al fine di
evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli
organici dell'Ente, il che presuppone la previa ricognizione
e la certificazione dell'assenza effettiva nei ruoli
organici delle specifiche professionalità richieste;
i) i criteri di conferimento non devono rivelarsi generici, perché
la genericità non consente un controllo sulla legittimità
dell'esercizio dell'attività amministrativa di attribuzione
degli incarichi.
Ciò posto, l’illegittimità del conferimento
di incarico in esame si evince:
· dalla chiara violazione delle disposizioni
regolamentari disciplinanti l’istituto, in base alle quali
apparteneva al Capo dell'Avvocatura Comunale sia il potere
di proposta di conferimento di incarichi professionali ad
avvocati del libero foro
(art. 13, comma 5, del "Regolamento sull'Ordinamento
degli Uffici e dei Servizi”), sia il
potere di scelta del legale esterno
(all'art. 6, comma 1, "Regolamento di Organizzazione per
l'esercizio dell'azione di promovimento del giudizio,
resistenza alle liti, conciliazione e transazione"),
mentre, nella fattispecie in esame, la nomina dei
legali esterni è avvenuta mediante la procura a firma del
Sindaco Gi.Al. estesa a margine dell'atto di costituzione
del Comune di Roma nel giudizio avanti al TAR Lazio;
· dall’omessa –seria e concreta- preliminare
verifica in ordine alla effettiva impossibilità di ricorrere
a risorse interne, imposta sia dalle disposizioni
regolamentari richiamate che, più in generale, da norme di
legge ordinaria.
Al riguardo anche i principi di diritto affermati dalle
Sezioni Riunite di questa Corte (delib. n. 6/2005) espressi
nel senso che “deve essere adeguatamente
motivato con specifico riferimento all’assenza di strutture
organizzative o professionalità interne all’ente in grado di
assicurare i medesimi servizi. L’affidamento dell’incarico
deve essere preceduto, perciò, da un accertamento reale, che
coinvolge la responsabilità del dirigente competente,
sull’assenza di servizi o di professionalità, interne
all’ente, che siano in grado di adempiere l’incarico”;
· dalla circostanza –ben posta in rilievo dall’organo requirente-
che all'epoca dei fatti, nel mese di febbraio 2009,
l'Avvocatura Civica romana disponeva di ben ventiquattro
avvocati in servizio permanente.
La grave carenza istruttoria rilevata
milita, peraltro, nel senso che la nomina dei legali esterni
sia stata frutto di scelta fiduciaria da parte dell'allora
Sindaco Al..
5.1 Non inficiano le conclusioni raggiunte le pur suggestive
argomentazioni difensive volte ad evidenziare:
· la estrema rilevanza ed importanza (anche economica) della
questione, giacché tale aspetto non rende legittimo il
conferimento dell’incarico effettuato in palese violazione
di disposizioni legislative e regolamentari;
· l’assenza di segnalazione da parte del Capo dell’Avvocatura in
ordine a una possibile violazione procedimentale del
conferimento dell’incarico che -pur valutabile in sede di
quantificazione del danno erariale imputabile- non ha
valenza esimente dalla responsabilità amministrativa in
ragione della esigibilità di una condotta informata ai
principi di diligenza da parte del “primo cittadino”,
e declinabile nella vicenda in esame in termini di
preliminare verifica in ordine alla legittimità delle
modalità del conferimento di incarico che si intendeva
effettuare;
· l’assenza di danno erariale asserita affermando che il compenso
professionale era correlato alla prestazione, in quanto
siffatta tesi sovrappone impropriamente due piani, quello
civilistico riguardante l’esecuzione dell’incarico e che
vede come Parti l’Ente locale e i legali interessati, e
quello contabile nel cui ambito si è consumata la
illegittima procedura di conferimento e nel quale vengono in
rilievo l’Ente nella veste di danneggiato e il dipendente in
quella di presunto danneggiante;
· l’assenza di danno erariale affermata -sotto diverso profilo-
sull’assunto secondo cui l’Ente locale non avrebbe
conseguito un risparmio ove l’incarico fosse stato svolto in
via esclusiva dagli Avvocati interni dell’Ente, in quanto
asserzione puramente ipotetica;
· l’interruzione di ogni nesso causale tra il presunto danno ed il
comportamento tenuto dal convenuto che sarebbe stata
determinata dall’adozione della delibera n. 64/2012, in
quanto tale erronea tesi scaturisce dall’omessa distinzione
tra la delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio
-che va a sanare un rapporto a contenuto patrimoniale tra
l’Ente e un soggetto esterno- doverosa ex art. 191 del Tuel
e la condotta illegittima e dannosa del convenuto foriera di
responsabilità amministrativa;
· l’impossibilità, da parte del sindaco, di essere a conoscenza del
regolamento dell’Ente articolato e complesso disciplinante
la materia, in quanto tale assunto –in astratto
condivisibile- non tiene conto che –in concreto- nella
fattispecie l’iniziativa per l’attribuzione dell’incarico
era assunta dal sindaco con una ingerenza nell’attività
gestionale e sul medesimo non poteva non gravare anche un
onere di verifica della legittimità delle modalità con le
quale si intendeva conferirlo;
· l’autentica di firma apposta consiste nell’attestazione che la
sottoscrizione è stata apposta in sua presenza da persona la
cui identità è stata previamente accertata conferendo anche
certezza alla data, ma non ha valenza di condivisione del
contenuto dell’atto.
6. Diverso apprezzamento si ritiene debba esprimersi in
ordine alla quantificazione del danno erariale -operata
dall’organo requirente in euro 468.720,00- che deve tener
conto del contributo causale di altri soggetti non evocati
in giudizio, sicché il danno risarcibile in favore dell’Ente
locale viene rideterminato in euro 312.480,00, oltre alla
rivalutazione monetaria dalla data (02.07.2013)
dell’esborso.
7. Con riguardo all’elemento soggettivo
della responsabilità amministrativa si reputa che la
condotte del convenuto sia stata connotata da colpa grave
evincibile dalla violazione di disposizioni normative
chiare, non connotate da complessità esegetiche in ordine al
conferimento di incarichi esterni.
8. Si reputano, inoltre, sussistenti, nella fattispecie in
esame, anche gli altri elementi della responsabilità
amministrativa, del rapporto di servizio –peraltro non
contestato- e del nesso di causalità.
9. In conclusione, accertata l’esistenza di tutti i
requisiti costitutivi della responsabilità amministrativa,
la domanda della Procura va accolta per le ragioni da questa
prospettate ma nella diversa misura dal Collegio determinata
oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali dalla
data della sentenza al soddisfo.
10. Alla soccombenza segue anche l’obbligo del pagamento
delle spese di giudizio.
P. Q. M.
La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione
Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza
ed eccezione reiette
RESPINGE
l’istanza di integrazione del contraddittorio.
CONDANNA
per l’addebito di responsabilità amministrativa di cui
all’atto di citazione in epigrafe, il signor Gi.Al. al
pagamento, in favore del comune di Roma Capitale, di
complessivi euro 312.480,00, oltre alla rivalutazione
monetaria dalla data del 02.07.2013.
Tale somma sarà gravate di interessi legali a far data dalla
pubblicazione della presente sentenza all’effettivo soddisfo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 29.05.2017 n. 124). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Notai,
limiti al falso ideologico. Esclusione se
l'omessa attestazione non provoca nullità.
La prima presa di posizione della Cassazione
sul collegamento con i lavori edilizi.
Il falso ideologico, a carico di un notaio,
non è configurabile se l'omessa attestazione
non incide sul contenuto dell'atto in modo
da determinarne la nullità in base alla
legge.
È questa la prima presa di posizione della
Corte di Cassazione, Sez. V penale, in tema di falso ideologico e
lavori edilizi (sentenza
08.05.2017 n. 22200).
In particolare secondo la Cassazione non
commette falso ideologico il notaio che, in
un atto pubblico da lui rogato, non attesta
l'avvenuta «realizzazione di interventi
edilizi c.d. “minori”, in quanto
insuscettibili di determinare la nullità
dell'atto traslativo, per l'epoca della
costruzione dell'immobile e per la
consistenza delle opere realizzate».
L'imputazione riguardava l'«attestazione da
parte del notaio rogante, nell'atto pubblico
stipulato per la compravendita di un
fabbricato, oggetto di opere edili che
avevano comportato il cambio di destinazione
d'uso di una loggia e di un magazzino, e
l'ampliamento planovolumetrico, che le opere
realizzate in epoca successiva ai titoli
legittimanti non richiedessero provvedimenti
abilitativi; circostanza non rispondente al
vero (secondo l'accusa), in quanto
l'immobile era stato trasformato e
modificato abusivamente in data antecedente
alla vendita, della quale erano a conoscenza
tutte le parti».
Con riferimento alla fattispecie concreta,
la sentenza ha affermato che il notaio aveva
l'obbligo di rogare l'atto, non ricorrendo
alcuna proibizione alla sua stipulazione.
Tale proibizione si configura, soltanto,
nell'ipotesi in cui esista un vizio che dia
luogo ad una nullità assoluta dell'atto. In
relazione all'abusivismo edilizio la nullità
assoluta dell'atto di compravendita si
realizza soltanto nell'ipotesi in cui, in
base alla normativa in materia, sia prevista
la sua «incommerciabilità».
Nella fattispecie esaminata, invece, «è
stata esclusa l'applicabilità delle norme
sull'incommerciabilità degli atti traslativi
aventi ad oggetto immobili abusivi»,
trattandosi di bene commerciabile in quanto
costruito «prima del 17.03.1985» e
sottoposto, successivamente a tale data,
soltanto ad interventi edili c.d. «minori».
Quindi, l'atto pubblico di compravendita non
era «proibito dalla legge», poiché non
affetto dal vizio di nullità
(articolo ItaliaOggi
Sette del
29.05.2017).
---------------
MASSIMA
1. Il ricorso è infondato.
2. Giova premettere che correttamente la
sentenza impugnata ha riqualificato il fatto
contestato nel rato di falso ideologico, e
non già materiale, in atto pubblico.
È altresì pacificamente emerso che le parti
venditrici, la parte acquirente ed il Notaio
rogante erano consapevoli della
realizzazione di alcuni interventi edilizi
illegittimi, pur tuttavia non richiamati
nell'atto di compravendita stipulato. Al
riguardo, va rammentato che
il falso ideologico per omissione è
integrato dalla condotta che, incidendo sul
significato di un enunciato dichiarativo o
constatativo, produca un'attestazione non
conforme ai fatti; tuttavia, l'omissione è
configurabile soltanto se sussista un
relativo obbligo giuridico di
rappresentazione di alcuni fatti, sicché, in
caso di omessa rappresentazione, l'atto
pubblico assuma il significato di
attestazione della loro inesistenza (cd.
attestazione implicita)
(in tal senso, Sez. 1, n. 46966 del
17/11/2004, Narducci, Rv. 231183: "La
falsità ideologica di un atto può derivare
anche dall'omissione o dalla incompletezza
dei dati in esso illustrati, quando il
contesto espositivo sia tale che la
parzialità dell'informazione si risolve
nella mendace negazione dell'esistenza di un
fatto").
Tanto premesso, la sentenza impugnata appare
immune da censure.
Nel caso in esame, infatti, è stata esclusa
l'applicabilità delle norme
sull'incommerciabilità degli atti traslativi
aventi ad oggetto immobili abusivi,
trattandosi di immobile realizzato prima del
17.03.1985 (e, addirittura, del 01.09.1967,
data di entrata in vigore della c.d. "legge-ponte"),
dies a quo per l'applicabilità
dell'art. 46, comma 1, d.P.R. 380/2001, e di
interventi edilizi c.d. "minori", non
rientranti nelle previsioni di cui all'artt.
46, comma 5-bis (in relazione all'art. 22,
comma 3) d.P.R. 380/2001.
Non ricorrendo un'ipotesi di nullità
dell'atto, pertanto, e sul presupposto che
l'art. 27 della l. 89 del 1913 (c.d. legge
notarile) prevede che "Il notaro è
obbligato a prestare il suo ministero ogni
volta che ne è richiesto", è stato
affermato che il Notaio rogante non avesse
il divieto di stipulare l'atto di
compravendita in oggetto, e non avesse
neppure l'obbligo di dichiarare l'esistenza
degli interventi edilizi "minori"
realizzati, in quanto non incidenti sul
regime di commerciabilità del bene.
L'art. 28 della legge notarile sancisce,
infatti, che "Il notaro non può ricevere
atti (...) se essi sono espressamente
proibiti dalla legge (...)".
Sicché, nel caso in esame, trattandosi di
bene commerciabile, in quanto costruito
prima del marzo 1985 ed oggetto di
interventi edilizi c.d. "minori",
l'atto pubblico di compravendita non era "proibito
dalla legge", in quanto non affetto dal
vizio della nullità sancito dall'art. 46
d.P.R. 380/2001.
In tal senso si è, altresì, espressa la
giurisprudenza civile di questa Corte,
secondo cui, in tema di responsabilità
disciplinare dei notai, il divieto, imposto
dall'articolo 28, comma primo, n. 1, della
legge 16.02.1913, n. 89, sanzionato con la
sospensione a norma dell'art. 138, comma
secondo, di ricevere atti "espressamente
proibiti dalla legge" attiene ad ogni
vizio che dia luogo ad una nullità assoluta
dell'atto, con esclusione, quindi, dei vizi
che comportano l'annullabilità o
l'inefficacia dell'atto (ovvero la stessa
nullità relativa) ed è sufficiente che la
nullità risulti in modo inequivoco (Cass.
Civ., Sez. 3, n. 11128 del 11/11/1997, Rv.
509864)
Del resto, lo stesso art. 2700 c.c.,
richiamato dal ricorrente, nel delimitare il
regime di efficacia dell'atto pubblico,
sancisce che questo "fa piena prova, fino
a querela di falso, della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha
formato, nonché delle dichiarazioni delle
parti e degli altri fatti che il pubblico
ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o
da lui compiuti".
Ebbene, oltre alla prova della provenienza
del documento, l'efficacia probatoria
dell'atto pubblico si estende alle
dichiarazioni e ai fatti avvenuti in
presenza del pubblico ufficiale; ma tale
efficacia riguarda soltanto le dichiarazioni
e i fatti rilevanti ai fini della formazione
dell'atto pubblico.
In altri termini,
l'omessa esposizione di un fatto assume il
significato della negazione della sua
esistenza soltanto quando la sua rilevanza
ne avrebbe imposto la manifestazione; al
contrario, non ricorre la c.d. attestazione
implicita, allorquando, come nel caso di
specie, non sussista l'obbligo di attestare
la realizzazione di interventi edilizi c.d.
"minori", in quanto insuscettibili di
determinare la nullità dell'atto traslativo,
per l'epoca della costruzione dell'immobile
e per la consistenza delle opere realizzate. |
INCARICHI PROFESSIONALI: Costi
di sicurezza esclusi per le opere di tipo
intellettuale. Consiglio di Stato. Appalti
pubblici.
Novità per le prestazioni di natura
intellettuale a pubbliche amministrazioni,
negli appalti di servizi soggetti alla
disciplina delle opere pubbliche (Dlgs
50/2016): il Consiglio di Stato esclude che
per esse vi siano costi di sicurezza da
indicare.
La
sentenza 08.05.2017 n.
2098, relativa alla fornitura e
manutenzione di software ad una società
pubblica della provincia autonoma di
Bolzano, decide il caso di un fornitore che
aveva indicato la cifra «zero» per i costi
di sicurezza, che il disciplinare di gara
imponeva fossero chiariti.
Per i giudici, quando la fornitura riguarda
un servizio di natura intellettuale, costi
di sicurezza non sono configurabili e, in
conseguenza, non si può escludere il
concorrente per asserita violazione
dell’articolo 87, comma 4, del Dlgs 163/2006
(oggi articolo 50, Dlgs 50/2016, Codice
appalti), dovendosi valutare in concreto se
la dichiarazione relativa all’offerta
economica sia congrua. Il confine tra
forniture di servizi di natura intellettuale
ed altri tipi di servizi assume rilievo con
l’evolversi delle professioni verso
strutture imprenditoriali, articolate in
organismi complessi, destinati ad operare
non solo presso la sede professionale ma
anche presso l’utente, anche in forme
societarie complesse.
Le recenti modifiche al Dlgs 50/2016 (Dlgs
19.04.2017 n. 56, pubblicato il 5 maggio
e in vigore dal 20 maggio) accentuano
(articolo 50) la differenza degli appalti di
servizi di natura intellettuale rispetto ad
altri servizi, esonerando i primi, per la
loro matrice personale, dalle clausole
sociali che garantiscono generica stabilità
occupazionale.
Restano di difficile definizione le figure
in cui i costi di sicurezza non sono
applicabili: la fornitura di pc con
assistenza tecnica on-site, quindi con
personale in loco, non è stata ritenuta
prestazione intellettuale (Tar Bologna,
sentenza 268/2015), nemmeno se vi è garanzia
post vendita (Consiglio di Stato,
1798/2015); consulenza e brokeraggio
assicurativo per una Regione non espongono a
rischi o pericoli (Consiglio di Stato,
1051/2016; Tribunale amministrativo di
Bolzano, 143/2017); il servizio di call
center, ritenuto di natura intellettuale
(Tar Bologna, 564/2016). Per i tecnici, la
redazione di un piano di rischi
idrogeologici con sopralluoghi e rilievi
espone a rischi specifici (Consiglio di
Stato, 3139/2016), come progettazione
lavori, demolizione e ricostruzione di una
scuola con sopralluoghi, rilievi e
misurazioni (Tar Veneto, 182/2017).
Altre volte i servizi di ingegneria a
supporto di una struttura tecnica di
un’azienda ospedaliera sono stati ritenuti
prevalentemente intellettuali, privi di
rischi specifici perché si esprimono in
attività di controllo e supervisione dei
lavori, senza partecipazione attiva ai
cantieri (Tar Napoli, 4150/2016); solo
professionale è anche l’attività degli
interpreti e traduttori (assistenza
linguistica negli asili nido della provincia
di Trento), anche se l’attività è prestata
in scuole (Consiglio di Stato, 223/2017).
In sintesi, analizzando i costi aziendali
emerge il ridursi delle prestazioni
meramente intellettuali, che si riducono
all’ideazione delle soluzioni, senza
necessità di verifiche e collaudi
(articolo Il Sole 24
Ore del 10.05.2017). |
aprile 2017 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: La
giurisprudenza contabile, nel tempo, ha elaborato una serie di principi e
criteri direttivi in materia di affidamento di incarichi di studio e
consulenza a soggetti esterni all'amministrazione e cioè:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che
richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante
svolgimento di attività continuativa, ma, anzi, la soluzione di specifiche
problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del
quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità
e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare
fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente; e) il
compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta
e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne
consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di
un incarico assolutamente generico e non motivato.
---------------
1. Nel merito, con motivi sostanzialmente riproduttivi delle difese svolte
in primo grado, e del medesimo tenore (tranne che per un aspetto riguardante
l'appellante Bi.Lo., per quanto appresso si dirà) gli appellanti sostengono
la legittimità e l'opportunità degli incarichi di consulenza affidati
all'avv. Mi., alla luce da un lato del licenziamento per giusta causa del
dirigente dott. Lu.Mu. e, dall'altro, della rispondenza degli incarichi
conferiti e delle relative determine ai criteri stabiliti dall'art. 7, comma
6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
I motivi, come sottolineato dalla Corte di primo grado, sono infondati.
In un breve ma doveroso excursus della normativa in
materia di incarichi esterni conferiti dalle Pubbliche Amministrazioni, la
legislazione di riferimento si è evoluta da ipotesi residuali e frammentarie
(art. 380 del D.P.R. 10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati civili dello
Stato, in materia di incarichi conferiti da ministri a professori
universitari ed esperti; art. 1 del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del
d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge 26.01.1982, n. 12, sul blocco degli
organici delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della legge 20.05.1985, n.
207, recante la disciplina transitoria per l'inquadramento del personale non
di ruolo delle (ex) USL) a ipotesi generalizzate a tutto il
settore pubblico, disciplinando regole e princìpi che peraltro già da
diversi anni avevano trovato ampia considerazione nella giurisprudenza
contabile.
Nel riportarsi all'ampia descrizione della materia contenuta nella sentenza
di primo grado (e prima ancora nella decisione di questa Sezione centrale di
Appello n. 611 del 2012), merita in questa sede ricordare che
negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte in sede di
legge finanziaria -artt. 34 della
legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350-
con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa;
sempre al medesimo scopo di contenere le relative spese, l’articolo 1, commi
9 e 11, del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n.
191, poneva un limite alla spesa per gli incarichi per le regioni, le
province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, prevedendo
altresì che l’affidamento d’incarichi, in assenza dei presupposti stabiliti
dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la
circolare 15.07.2004 n. 4 della Funzione pubblica, nella quale si
afferma (in piena sintonia con la
giurisprudenza della Corte dei conti nella materia, puntualmente richiamata)
la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per
prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata
autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di
lavoro autonomo; l’affidamento dell’incarico a terzi può, dunque, avvenire
solo nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad
una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti
in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo 1 della legge n. 191/2004
sono state sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11
e 42, della legge 30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), il cui
contenuto è stato peraltro illustrato dalle SS.RR. della Corte dei conti,
con deliberazione n. 6/2005, “Linee di indirizzo e criteri interpretativi
sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311 (finanziaria 2005) in
materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di
consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare, il comma 11, che si applica alle pubbliche
amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, dispone
che il conferimento dell’incarico deve essere adeguatamente
motivato ed “… è possibile soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero
nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali non economici e le
regioni possono, quindi, conferire incarichi esterni solo nei casi previsti
dalla legge nazionale o dalle leggi regionali, salvi gli eventi
straordinari. La norma ha poi confermato il limite della spesa per il
conferimento degli incarichi esterni, determinandolo nell’importo erogato
per lo stesso oggetto nel 2004.
Più di recente, l'esigenza di contenimento della spesa pubblica ha originato
numerosi interventi legislativi (D.L. n. 223/2006, convertito con L. n.
248/2006), il decreto sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008, conv. in
legge n. 133/2008), il decreto legislativo c.d. Brunetta, n. 150/2009, il
D.L. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010.
I principi recati da tali ultime normative –che sostanzialmente confermano,
seppure con ulteriori vincoli e limitazioni, quelli già in vigore– sono
stati oggetto anch’essi di apposita
deliberazione 24.04.2008 n. 6 della Corte dei conti, Sezione
delle autonomie, che ha precisato i criteri interpretativi delle nuove
norme.
La giurisprudenza contabile, nel tempo, ha elaborato una
serie di principi e criteri direttivi in materia di affidamento di incarichi
di studio e consulenza a soggetti esterni all'amministrazione:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a problemi che
richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante
svolgimento di attività continuativa, ma, anzi, la soluzione di specifiche
problematiche già individuate al momento del conferimento dell'incarico del
quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della specificità
e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per ampliare
fittiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente; e) il
compenso connesso all'incarico deve essere proporzionale all'attività svolta
e non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne
consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno erariale a fronte di
un incarico assolutamente generico e non motivato
(Corte dei conti, Sez. I app., 02.09.2008, n. 393, 17.09.2007, n. 248 e
31.05.2005, n. 187; Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III, 06.02.2006, n. 74
e 13.04.2005 n. 183; Sez. sic. appello, 02.04.2002, n. 46 e 01.08.2000, n.
100; SS.RR., 12.06.1998, n. 27).
Anche la Sezione controllo enti di questa Corte, già nella deliberazione
22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la necessità di evitare che
l’affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche di
assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento
e delle norme in materia di contenimento della spesa.
Alla luce della rassegna normativa e giurisprudenziale sopra richiamata, le
determine di conferimento e gli incarichi che ne sono oggetto non rispondono
ai criteri sopra indicati.
Infatti, come posto in evidenza nella decisione impugnata, essi
riguardavano, sostanzialmente, un'attività amministrativa, ossia di studio
delle possibili vertenze che potevano scaturire dai rapporti contrattuali
facenti capo al Consiglio regionale, nonché –per come si desume dalle
dichiarazioni dell'avv. Mi. e dal contratto– una serie di attività di
supporto, alquanto generiche, all'attività contrattuale o all'esecuzione di
sentenze della Giustizia amministrativa o di precedenti rapporti
contrattuali, oltre a varie attività di assistenza legale e di supporto
tecnico al datore di lavoro, anche per l'affidamento di contratti.
A tale proposito non si fa alcun riferimento, né nelle delibere di
conferimento, né nelle dichiarazioni del Mi., alla necessità di riordinare
il settore precedentemente diretto dal dott. Mu., licenziato senza
preavviso, necessità a cui si sarebbe dovuto porre rimedio con un'idonea
copertura di organico ovvero con la riorganizzazione del settore
dirigenziale, come, poi, è avvenuto.
Mancano, quindi, tutti gli elementi che permetterebbero di connotare come di
alta specificità ovvero straordinarietà il conferimento al consulente di
tali compiti, come, pure, la limitazione a periodi ristretti, poiché
l'incarico di fatto è continuato per oltre un anno, e senza rilevare quello,
non oggetto del giudizio, protrattosi nel corso del 2007, apparendo, quindi,
un modo surrettizio per comare il vuoto di organico determinatosi.
D'altro canto, non risponde neppure a verità che l'Avvocatura regionale
avesse l'obbligo di rendere pareri e consulenze esclusivamente nei confronti
della Giunta, con esclusione di altri organi ed enti regionali. Se è vero,
infatti, che la L.R. n. 11 del 1991 disciplina l'ordinamento amministrativo
della Giunta regionale e individua l'Avvocatura come servizio di quest'ultima,
è anche vero che l'Avvocatura poteva rendere pareri legali, a richiesta
degli organi, aree e settori dell'ente, in ordine a problemi giuridici
derivanti dall'applicazione di leggi e di regolamenti, attività legali con
rilevanza interna ed esterna, e similari.
Sarebbe, infatti, paradossale escludere il possibile intervento
dell'Avvocatura “Regionale” dall'attività di ausilio del Consiglio
regionale e ammettere, per converso, la legittimità di contratti a tempo
determinato con consulenti esterni, in contrasto con le finalità di
contenimento della spesa come sopra ricordate e di autosufficienza delle
pubbliche amministrazioni.
L'assenza in organico di figure idonee per l'espletamento dell'incarico,
assunta dagli appellanti, non è rilevante in questa sede, perché, pur
prendendo atto dell'esiguità del personale addetto al Consiglio, va
sottolineato che si trattava di personale che non avrebbe mai potuto
trattare le questioni oggetto della consulenza, che presupponevano un
adeguato titolo di studio e dovevano, quindi, essere appannaggio di una
figura dirigenziale ovvero dell'Avvocatura.
Gli appellanti non avrebbero dovuto limitarsi, come peraltro hanno fatto
solo ex post, a lamentare genericamente l'esiguità dell'organico del
personale, ma avrebbero dovuto indicare –come ben esposto nell'atto di
citazione– i motivi per i quali le attività consulenziali non potevano
essere svolti dal Servizio Programmi e contratti, retto, tra l'altro, dalla
dott.ssa Bi., ovvero dall'Avvocatura regionale, che non è stata neppure
richiesta di fornire assistenza in merito.
L'appellante Bi. lamenta, tra l’altro, anche l’assenza del nesso eziologico
tra la sua condotta e il supposto danno, sostenendo l’estraneità agli atti “genetici”
di conferimento dell’incarico (determina n. 91/VIII del 21.02.2008 e
relativa e coeva convenzione), mentre la successiva determina n. 283/VIII
del 10.07.2008 sarebbe una mera conseguenza di quella emessa dal Dirigente
del settore amministrazione n. 249 del 20.06.2008.
Tale conclusione non può essere condivisa, poiché tramite la determina da
lei firmata, assieme al dott. Si., è stata resa esecutiva la precedente
attività e quindi la condotta della Bianco si inserisce nella sequenza
causale con apporto fattivo e decisivo.
In ordine all’elemento soggettivo, la sentenza impugnata non merita le
censure descritte negli atti di appello.
Mette conto sottolineare la particolare competenza degli appellanti,
dirigente di Settore il primo e dell’Ufficio contratti la seconda, con
conseguente doverosa conoscenza delle norme di legge e di regolamento e
della disciplina degli incarichi esterni.
Trattasi, a tutta evidenza, di attività contra legem, per giunta
reiterata nel tempo e addirittura con un conferimento di incarico
antecedente rispetto alla determina di affidamento, per come si legge nella
determina n. 91 del 21.02.2008, che sottolineava che, con decorrenza
01.01.2008, il consulente aveva già cominciato a prestare la propria opera
professionale.
Quindi, sono del tutto pretestuosi i motivi di entrambi gli appellanti,
volti a censurare l’asserita carenza motivazionale della sentenza di primo
grado al riguardo
(Corte dei Conti, Sez. I centrale
d'appello,
sentenza
18.04.2017 n. 112). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Anche
per i piccoli incarichi di valore serve la selezione pubblica.
Illegittimo e non conforme a legge il regolamento di un Comune che affida
incarichi esterni in via fiduciaria anche per prestazioni meramente
occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica svolta in
maniera autonoma e saltuaria, non riconducibile a fasi di piani o programmi
del committente.
Queste sono le conclusioni della Corte dei
Conti
piemontese, nella
deliberazione 06.04.2018 n. 39.
Il caso oggetto di verifica
Il caso riguarda l'affidamento di un incarico esterno per importi superiori
ai 5mila euro, quale membro della commissione veterinaria per il palio della
città. I giudici hanno evidenziato come l’incarico avrebbe potuto
legittimamente essere disposto se avesse rispettato:
• una procedura comparativa;
• la ricognizione preventiva delle professionalità presenti all'interno del
Comune;
• l'osservanza dei limiti della riduzione delle spese per consulenze;
• l'accertamento preventivo che il programma dei pagamenti fosse compatibile
con gli stanziamenti di bilancio e le regole di finanza pubblica;
• l’adozione preventiva del piano della performance;
• l'inserimento dell'atto di spesa nel programma annuale degli incarichi;
• la valutazione della preventiva da parte del revisore o del collegio dei
revisori;
• la dichiarazione preventiva della Pa che il consulente non sia un
lavoratore pubblico o privato collocato in quiescenza.
Il Comune non ha effettuato l'esame comparativo sulla base della
disposizione del regolamento degli uffici e servizi secondo cui è possibile
l'affidamento dell'incarico «in via diretta e fiduciariamente, senza
l'esperimento di procedure di selezione» delle «sole prestazioni meramente
occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il
collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di
piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto
autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6
dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001».
Le indicazioni del collegio contabile
Per i giudici contabili le disposizioni regolamentari sono da considerare in
violazione di legge (articolo 7 del Dlgs 165/2001) in quanto contravvengono
ai principi di concorsualità, di trasparenza e di pubblicità. Infatti, «l'occasionalità
è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico
esterno» e l'astratta distinzione tra occasionalità e mera occasionalità
«non fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti
ricavabile dalla ratio sottesa all'articolo 7 del Testo unico del pubblico
impiego» (Corte dei Conti, Sezione Regionale di controllo per la Lombardia
deliberazione
03.07.2013 n. 294).
Le uniche eccezioni al principio dell'esame comparativo, secondo i giudici
contabili, si possono verificare quando la procedura concorsuale andata
deserta, in caso di unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo
oppure per un'assoluta urgenza determinata dall’imprevedibile necessità
della consulenza e non attribuibile a inerzia dell'amministrazione
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 19.04.2018).
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MASSIMA
Gli incarichi esterni devono essere conferiti sulla
base di una procedura pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e
pubblicità.
Le deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono
sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali
“procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il
profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale”.
Risulta, pertanto, in contrasto con tale principio la determinazione con la
quale sono stati affidati dal Comune gli incarichi relativi ad una
commissione veterinaria sulla base di una scelta discrezionale
dell’amministrazione procedente, finalizzata ad assicurare la continuità
rispetto alle edizioni precedenti in contrasto, pertanto, anche con il
principio della rotazione degli incarichi.
---------------
Parimenti risulta in contrasto con la disciplina richiamata la previsione
dell’art. 54, co. 1, lett. c), del regolamento sull’ordinamento dei servizi
e degli uffici del Comune, nella parte in cui consente l’affidamento
dell’incarico “in via diretta e fiduciariamente, senza l’esperimento di
procedure di selezione” delle “sole prestazioni meramente occasionali che si
esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in
maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di piani o programmi del
committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti
nelle fattispecie indicate al comma 6 dell’articolo 53 del decreto
legislativo n. 165 del 2001”.
L’esclusione, così come formulata, risulta troppo ampia e non tiene conto
dei richiamati principi di concorsualità, trasparenza e pubblicità.
Infatti, al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari
circostanze già richiamate, deve escludersi che la natura meramente
occasionale della prestazione, il carattere saltuario e pienamente autonomo
della stessa, possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di
pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione
dell’incarico.
...
Premesso in fatto
Il Comune di Asti con nota pervenuta in data 04.09.2017, prot. 8373, ha
trasmesso a questa Sezione, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, la determinazione del Dirigente del Settore cultura,
istituti culturali, manifestazioni e sport n. 1501, avente ad oggetto
l’affidamento dell’incarico di membro della commissione veterinaria per il
palio di Asti 2017 in favore dei dottori Pa.Bo., Fr.Po.,
Al.Fr., Ro.Gi., Ma.An., Ma.Ca. e
An.Ma.Br. per una spesa complessiva di euro 18.551,04.
Dall’esame di tale determinazione, si è evinto che non risultava:
l’espletamento di una procedura comparativa, la previa circostanziata
ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o professionalità
interne all’ente in grado di svolgere l’incarico, la dimostrazione che la
spesa sia stata finanziata con il contributo della Fondazione Cassa di
Risparmio o, in mancanza, l’osservanza dei limiti di spesa di cui al D.L. n.
78/2010 conv. in Legge n. 122/2010, art. 6, co. 7; l’accertamento preventivo
che il programma dei pagamenti sia compatibile con gli stanziamenti di
bilancio e le regole di finanza pubblica, ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett.
a), n. 2, D.L. n. 78/2009; la previa adozione del Piano della Performance ai
sensi e per gli effetti dell’art. 10, co. 5, D.lgs. n. 150/2009;
l’inserimento dell’atto di spesa nel programma annuale degli incarichi ex
art. 3, co. 55, l. 244/2007 e la coerenza con il medesimo.
Con nota istruttoria prot. 13300 del 02.11.2017, il Magistrato istruttore
richiedeva al Comune di Asti atti, documenti e informazioni a chiarimento di
quanto sopra.
Con nota di risposta a firma del Responsabile del servizio finanziario,
pervenuta al prot. n. 13989 del 17.11.2017, l’ente:
- in merito alla modalità di affidamento degli incarichi, allegava
comunicazione del dirigente del settore cultura, manifestazioni e sport;
- in merito alla ricognizione dell’assenza di strutture organizzative o
professionalità interne all’ente produceva la certificazione del dirigente
del settore risorse umane sulla ricognizione del personale;
- in merito alla dimostrazione che la spesa è stata finanziata con il
contributo della Fondazione cassa di risparmio allegava certificazione del
responsabile del servizio finanziario, parere del collegio dei revisori dei
conti, lettera della fondazione e atto di entrata n. 96 del 02.08.2017;
- quanto all’accertamento preventivo che il programma dei pagamenti sia
compatibile con gli stanziamenti di bilancio precisava che “la realizzazione
del Palio di Asti 2017 rappresenta un macro obiettivo di Performance,
inserito nel Piano della Performance 2017/2019 unificato organicamente nel
Piano Esecutivo di Gestione ai sensi dell’art. 169, comma 3-bis, del TUEL
D.Lgs. 267/2000 approvato con Delibera di Giunta comunale n. 60 del
14/02/2017”;
- quanto alla previa adozione del Piano della Performance riferiva che “come
indicato al punto precedente, ai sensi dell’art. 169, comma 3-bis, del TUEL
D.Lgs. 267/2000 2017/2019 il Piano della Performance 2017/2019 e il Piano
dettagliato degli Obiettivi 2017 sono unificati organicamente nel Piano
Esecutivo di Gestione 2017/2019 approvato con Delibera di Giunta comunale n.
192 del 11/4/2017”;
- quanto all’inserimento dell’atto di spesa nel programma annuale degli
incarichi ex art. 3, co. 55, l. 244/2007 riferiva che la spesa è stata
“inserita negli atti di Bilancio e di Programma approvati dal Consiglio
comunale come recita l’art. 61 del Regolamento sull’ordinamento degli Uffici
e dei Servizi”.
Non ritenendo superati tutti i rilievi mossi sull’atto oggetto di controllo,
il Magistrato istruttore chiedeva al Presidente della Sezione la
convocazione dell’odierna adunanza per l’esame collegiale della questione.
Considerato in diritto
1. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che
gli atti di spesa relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo
superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla competente sezione della
Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è funzionale all’espletamento delle
funzioni di controllo assegnate alle Sezioni regionali della Corte dei
Conti. Il controllo espletato non incide, nel caso specifico, sull’efficacia
dell’atto, ma si sostanzia in un riesame di legalità e regolarità,
finalizzato al confronto tra l’attività dell’amministrazione e i parametri
normativi vigenti (fra cui, in particolare, l’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001
e l’art. 110 del d.lgs. n. 267/2000) in un’ottica non più statica, ma
dinamica, che, come sottolineato dalla Corte costituzionale, conduca
all’adozione di effettive misure correttive da parte dell’ente (ex multis
Corte costituzionale sentenze n. 60 del 2013, n. 198 del 2012, n. 179 del
2007).
I presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di collaborazione
sono specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165,
così come a più riprese modificato.
La linea interpretativa restrittiva è, tuttavia, costante, in quanto, in
un’ottica di contenimento dei costi e di valorizzazione delle risorse
interne, le amministrazioni pubbliche devono svolgere le loro funzioni con
la propria organizzazione e con il proprio personale e solo in casi
eccezionali e negli stretti limiti previsti dalla legge possono ricorrere a
personale esterno.
A tal fine il comma 5-bis dell’art. 7 d.lgs. 165/2001, introdotto dal d.lgs.
25.05.2017, n. 75, ha sancito il divieto per le amministrazioni
pubbliche “di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in
prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui
modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in
violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità
erariale […]”. L’entrata in vigore del divieto è stata, tuttavia,
posticipata dall’art. 22, comma 8, della L. 27.12.2017, n. 205, “a
decorrere dal 01.01.2019" e, pertanto, fino a tale data, le
amministrazioni pubbliche, nel rispetto degli altri parametri normativi,
possono ancora ricorrere a tale tipologia contrattuale.
Il successivo comma 6, fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis,
individua, infatti, i presupposti necessari per poter conferire incarichi
individuali con contratto di lavoro autonomo:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di
funzionalità dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata
(è possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria solo nei casi espressamente previsti dalla normativa); non è
ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è
consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per
ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del
compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso
della collaborazione;
e) il conferimento degli incarichi deve avvenire mediante ricorso a
procedure comparative, adeguatamente pubblicizzate;
f) per gli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti è
necessaria la valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei conti
(Corte Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione
n. 231/2009/par del 14.05.2009; Corte Conti, Sezione regionale di
controllo per la Lombardia, deliberazione n. 506/2010/par del 23.04.2010).
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che in caso di conferimento
di un incarico di studio o di consulenza occorre altresì osservare i limiti
di spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge.
n. 122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi quali, ad esempio, la
copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici
trasferiti da altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte
deliberazione 25.10.2013 n. 362).
Per completezza va, infine, rammentato che in materia di incarichi esterni
rileva la previsione della “disciplina di cui all’art. 6, comma 1, D.L. 24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.08.2014,
n. 114, modificativa dell’art. 5, co. 9, del d.l. n. 95/2012, convertito con
l n. 135/2012, che ha posto il divieto di conferimento di incarichi
remunerati di studio e consulenza a soggetti già lavoratori privati o
pubblici collocati in quiescenza, consentendo a questi soggetti unicamente
incarichi gratuiti e comunque per una durata non superiore ad un anno”
(Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte,
deliberazione n. 22/2015/REG).
2. Quanto all’affidamento degli incarichi oggetto di esame, si rileva che,
all’esito dei chiarimenti forniti dal Comune di Asti, permangono criticità
con riferimento alle modalità di scelta dei soggetti a cui sono stati
affidati gli incarichi.
Innanzitutto si evidenzia la centralità del principio secondo cui
gli
incarichi esterni devono essere conferiti sulla base di una procedura
pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e pubblicità.
Come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza contabile, infatti,
le
deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente
riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura
concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo
soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale”
(Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 122/2014/REG
ed in senso analogo, ex multis, Sezione regionale di controllo per il
Piemonte, n. 61/2014; Sezione regionale di controllo per la Lombardia
parere 19.02.2013 n. 59; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione
n. 22/2015/REG; Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna,
deliberazione n. 28/2013/REG).
In proposito il dirigente del settore cultura, manifestazione e sport del
Comune di Asti, riferisce, nella nota prodotta dall’ente a seguito delle
richieste istruttorie di questa Sezione, che la commissione veterinaria è
presieduta e coordinata dal dott. Fu.Br., il quale “offre da sempre la
sua disponibilità a titolo gratuito”. Inoltre, il dirigente riferisce che
“in considerazione della delicatezza dell’incarico e dei rischi oggettivi
che la manifestazione comporta (3 corse da sette cavalli e 1 finale da 9
cavalli con partenza al canapo) viene richiesto al Dott. Fu.Br. di
segnalare i nominativi di professori universitari e veterinari di comprovata
esperienza nel settore che diano garanzie all’Amministrazione Comunale di
alta professionalità e di trasmettere i relativi curriculum; - gli
incarichi, valutati i curriculum, vengono poi conferiti ai sensi del
Regolamento sull’Ordinamento dei servizi e degli Uffici di questa
Amministrazione (art. 50 e seguenti)”.
L’affidamento degli incarichi relativi alla commissione veterinaria è stato,
dunque, effettuato senza il previo esperimento di una procedura pubblica
comparativa, adeguatamente pubblicizzata, ma piuttosto sulla base di una
scelta discrezionale dell’amministrazione procedente, finalizzata ad
assicurare la “continuità rispetto alle edizioni precedenti” (come
evidenziato nella determinazione n. 1501) in contrasto, pertanto, anche con
il principio della rotazione degli incarichi.
Né dalla motivazione della determinazione n. 1501 è possibile riscontrare la
ricorrenza di quelle specifiche ed eccezionali situazioni, tipizzate dalla
consolidata giurisprudenza contabile, che consentono di derogare alla regola
concorsuale.
In particolare, appare non rispondente a tale giurisprudenza la previsione
dell’art. 54, co. 1, lett. c), del regolamento sull’ordinamento dei servizi
e degli uffici del Comune di Asti, richiamato nella nota a firma del
dirigente del settore cultura, manifestazione e sport, nella parte in cui
consente l’affidamento dell’incarico “in via diretta e fiduciariamente,
senza l’esperimento di procedure di selezione” delle “sole prestazioni
meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il
collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di
piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto
autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6
dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.
L’esclusione, così come formulata, risulta troppo ampia e non tiene conto
dei richiamati principi di concorsualità, trasparenza e pubblicità. Infatti,
al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari circostanze
già richiamate, deve escludersi che la natura meramente occasionale della
prestazione, il carattere saltuario e pienamente autonomo della stessa,
possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di pubblicità,
trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico.
Infatti, come ben evidenziato dalla Sezione Regionale di controllo per la
Lombardia in un caso del tutto analogo, “l’occasionalità è una
caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di incarico esterno” e
l’astratta distinzione tra occasionalità e “mera” occasionalità “non
fornisce alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti ricavabile
dalla ratio sottesa all’art. 7 TUPI”
(Corte dei Conti Sezione Regionale di controllo per la Lombardia
deliberazione
03.07.2013 n. 294).
Pertanto la casistica riportata, pur potendo richiamare il contenuto della
Circolare n. 2/2008 della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la
disciplina delle prestazioni non incompatibili di cui all’art. 53 d.lgs.
165/2001, “non rileva ai fini dell’art. 7 TUPI, salvo che, nel caso
concreto, ricorra una delle tre eccezioni alla procedura comparativa di cui
sopra (procedura concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione
sotto il profilo soggettivo o l’assoluta urgenza determinata dalla
imprevedibile necessità della consulenza)”
(Corte dei Conti Sezione Regionale di controllo per la Lombardia
deliberazione
03.07.2013 n. 294).
Per quanto rilevato, pertanto, risultano non conformi alla disciplina
legislativa sia lo specifico atto di conferimento dell’incarico di cui alla
determinazione dirigenziale n. 1501, sia il regolamento sull’ordinamento dei
servizi e degli uffici nella parte in cui consente da parte del Comune
l’affidamento diretto e fiduciario di incarichi nei casi di prestazioni
meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il
collaboratore svolga in maniera saltuaria e del tutto autonoma.
Sussiste, dunque, l’obbligo del Comune di Asti di conformare la propria
azione amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla legge,
provvedendo anche alla revisione del disposto dell’art. 54, co. 1, lett. c),
del regolamento, e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle
iniziative assunte.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Piemonte
- dichiara l’atto di affidamento di incarico di cui alla
determinazione n. 1501 del 07.08.2017 del Comune di Asti non conforme alla
disciplina di legge per quanto esposto nella parte motiva;
- invita l’Amministrazione ad adottare gli opportuni provvedimenti
per conformare la propria attività alla legge in materia di affidamento di
incarichi, dando riscontro a questa Sezione delle iniziative
conseguentemente assunte; |
settembre 2016 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
I concorsi di idee.
DOMANDA:
Il comune intende bandire un concorso di idee ai sensi
dell’art. 156 del D.Lgs. 50/2016 al fine di acquisire,
mediante compenso a premi, idee per la futura progettazione
della riqualificazione di un’area strategica del paese.
A tali fini si richiede se il concorso debba essere
pubblicato con sistemi di evidenza pubblica al di fuori del
mercato elettronico, al fine di garantire la più ampia
partecipazione (anche dei giovani professionisti), o
all'interno del mercato elettronico in analogia alle
prestazioni di servizio.
RISPOSTA:
Va premesso che l’obbligo di far ricorso al mercato
elettronico trova tuttora fondamento nell'ambito delle
previsioni di cui all'art. 1, comma 450, della l. 296/2006,
il quale così dispone “Le amministrazioni statali
centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle
scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e
delle istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali
di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie
fiscali di cui al decreto legislativo 30.07.1999, n. 300,
per gli acquisti di beni e servizi di importo di importo
pari o superiore a 1.000 euro e al di sotto della soglia di
rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione di cui
all'articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207. Fermi
restando gli obblighi e le facoltà previsti al comma 449 del
presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui
all'articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165,
nonché le autorità indipendenti, per gli acquisti di beni e
servizi di importo pari o superiore a 1.000 euro e inferiore
alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare
ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al
sistema telematico messo a disposizione dalla centrale
regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative
procedure".
Ciò premesso si osserva che i concorsi di “idee”, pur
risultando assoggettati, in virtù dell’art. 156 del codice
dei contratti pubblici alle medesime disposizioni del capo
IV dettati per i concorsi di “progettazione”
(definiti dalla lett. ddd) dell’art. 3 del codice come “le
procedure intese a fornire alle stazioni appaltanti, nel
settore dell'architettura, dell'ingegneria, del restauro e
della tutela dei beni culturali e archeologici, della
pianificazione urbanistica e territoriale, paesaggistica,
naturalistica, geologica, del verde urbano e del paesaggio
forestale agronomico, nonché nel settore della messa in
sicurezza e della mitigazione degli impatti idrogeologici ed
idraulici e dell'elaborazione di dati, un piano o un
progetto, selezionato da una commissione giudicatrice in
base a una gara, con o senza assegnazione di premi”)
presentano natura del tutto diversa dai veri e propri “appalti”
di progettazione che sono qualificabili come “servizi”,
in quanto con i primi si tende ad acquisire non tanto un
bene o un servizio ma un’opera intellettuale dell’ingegno,
in genere tutelata dal diritto di autore (art. 2575 cod.
civ. e art. 1 l. diritto d’Autore).
In sostanza con il concorso di idee si acquisisce la
proprietà di una “idea progettuale” ritenuta la
migliore e frutto dell’ingegno della persona (non
necessariamente in possesso di determinati requisiti di
professionalità) mentre nel concorso di progettazione si
affida la realizzazione di un certo progetto come una vera e
propria prestazione professionale da eseguire a carico
dell’affidatario come obbligazione di risultato.
Il comma 4 del cit. art. 156 prevede infatti che il premio
venga dato “al soggetto o ai soggetti che hanno elaborato
le idee ritenute migliori” le quali “possono”, ma
quindi non necessariamente “debbono” essere poste a
base di un successivo concorso di progettazione o di un
appalto di servizi di progettazione al quale potrebbero
partecipare anche i soggetti premiati, se in possesso dei
requisiti soggettivi richiesti, mentre solo se previsto nel
bando il vincitore può anche divenire aggiudicatario di
eventuali livelli successivi di progettazione (v. commi 4, 5
e 6 art. 156 cit.).
Per queste ragioni si è dell’avviso che un concorso di idee,
salvo che non sia inserito nell’ambito di una procedura di
appalto di servizi, non sia assoggettabile agli obblighi del
mercato elettronico di cui al cit. comma 450 (art. 1 della
l. n. 296/2006) (link
a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
agosto 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI
Gli incarichi esterni.
DOMANDA:
Il quesito è inerente a due diversi aspetti della stessa
problematica, ovvero i corretti adempimenti da operare e
connessi alla cd. "amministrazione trasparente".
1^ Problematica - Incarichi a consulenti e collaboratori
esterni: Premesso che il Comune inserisce ed aggiorna
sull'apposito sito PERLA.Pa ogni informazione relativa a
consulenze e/o incarichi di natura onerosa, si chiede se le
stesse informazioni debbano obbligatoriamente essere
inserite anche sul sito "trasparenza" di questo Ente;
2^ Problematica - Attività di consulenza: questo
Comune ha affidato direttamente servizio consulenziale a
società che si avvale di esperto per risposta a quesiti in
tema di personale, controllo atti predisposti dall'Ente,
aggiornamento sulla normativa del settore e su
deliberazioni, pareri, sentenze della Corte dei Conti, nelle
sue varie sezioni.
Detto incarico deve essere inserito sul sito PERLA.Pa e sul
sito trasparenza dell'Ente?
RISPOSTA:
Il D.Lgs. n. 33/2013, emanato in attuazione dell’art. 1,
comma 35 della legge 190/2012, nell’ambito del riordino
della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni, ha modificato, all’art. 15, le
disposizioni in merito agli Obblighi di pubblicazione
relativi agli incarichi di collaborazione e consulenza
conferiti a soggetti esterni all’Amministrazione.
L’art. 15 cit. prevede l’obbligo di pubblicazione, sul sito
istituzionale dell’ente, nella sezione Amministrazione
trasparente, degli estremi degli atti di conferimento di
collaborazione o di consulenza a soggetti esterni per i
quali è previsto un compenso, completi di indicazione dei
soggetti percettori, del curriculum vitae, della
ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato, nonché la
comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica,
effettuata esclusivamente per via telematica, tramite il
sito www.perlapa.gov.it., dei relativi dati ai sensi
dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165.
In caso di omessa pubblicazione, il contratto è nullo ed
inefficace e l’eventuale pagamento del corrispettivo
determina la responsabilità del dirigente che l'ha disposto,
e il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta,
fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario ove
ne ricorrano le condizioni. La pubblicazione deve essere
effettuata entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e
per i tre anni successivi alla cessazione dell’incarico;
invece la comunicazione al Dipartimento della funzione
pubblica è semestrale.
La pubblicità delle attività di prestazione di servizi
consulenziali, svolte da persona giuridica, non è invece
regolata dall’articolo 15, bensì dall’articolo 37 del D.Lgs.
33/2013 (come modificato dall’art. 31 del D.Lgs. 97/2016).
Le stazioni appaltanti hanno l’obbligo di pubblicare sul
sito istituzionale dell’ente, nella sezione Amministrazione
trasparente, tutti gli atti e documenti relativi alla
procedura di affidamento (oggetto del bando, elenco degli
operatori invitati a presentare offerte, aggiudicatario,
importo di aggiudicazione, ecc…). Ogni qualvolta
l’amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi e
forniture proceda in assenza di gara pubblica, è tenuta a
pubblicare la delibera a contrattare (articolo 37, comma 2,
del D.Lgs. 33/2013).
Resta salvo quanto previsto dall'articolo 9-bis in materia
di pubblicazione delle banche dati, gli obblighi di
pubblicità legale, e gli obblighi di pubblicazione previsti
dal decreto legislativo 18.04.2016, n. 50 (link
a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
maggio 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Scelta Ctu, punito il giudice che concentra gli incarichi.
Professionisti. Il magistrato deve rispettare il criterio
della rotazione.
Perde un anno di anzianità il giudice che concentra gli
incarichi su due o tre consulenti d’ufficio, senza
rispettare il criterio della rotazione.
Le Sezioni unite
civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 18.05.2016 n. 10157,
respingono il ricorso di una toga contro la sentenza del
Consiglio superiore della magistratura che aveva punito la
violazione dell’obbligo di trasparenza nella trattazione
degli affari.
L’accusa era di aver “selezionato” una rosa
ristretta professionisti ai quali affidare numerosi
incarichi in tema di controversie previdenziali. Scelte
fatte malgrado la “preferenza” non fosse sfuggita al
presidente del Tribunale, che aveva invitato la toga, per
ben due anni, a rispettare la rotazione.
Lo stesso presidente aveva sollevato il problema anche in
una nota dalla quale emergeva che più del 50% degli
incarichi erano stati assegnati a due soli professionisti.
Il ricorrente aveva conferito ad una consulente 105
incarichi e ad un altro 71: pari rispettivamente al 24% e al
16% del totale. Il giudice incolpato aveva sottolineato
nella sua difesa che il limite del 10%, indicato come tetto
di assegnazione degli incarichi, dall’articolo 23 delle
disposizioni attuative del Codice civile, doveva essere
riferito ai mandati conferiti dall’intero ufficio
giudiziario. Una lettura corretta, ma che non serve a
scongiurare l’illecito.
La norma in questione prevede che il presidente del
Tribunale vigili affinché gli incarichi siano distribuiti
equamente tra gli iscritti all’albo, senza danno per
l’amministrazione della giustizia, «in modo tale che a
nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti
incarichi in misura superiore al 10 per 100 di quelli
affidati dall’ufficio». Sarà sempre il presidente a
garantire che sia assicurata l’adeguata trasparenza
nell’assegnazione degli incarichi anche attraverso gli
strumenti informatici.
I giudici sottolineano che la regola fondamentale della
norma esaminata è nella frase «gli incarichi siano equamente
distribuiti tra gli iscritti all’albo». La successiva
precisazione, relativa al limite del 10% (introdotta
dall’articolo 52 della legge 69/2009), è un criterio che
deve essere applicato dal presidente del Tribunale in
relazione a tutti gli incarichi complessivi, conferiti da
tutti i magistrati dell’ufficio ad un singolo consulente.
Solo il presidente è, infatti, nella condizione di avere
cognizione dell’insieme dei “lavori” attribuiti ad un
consulente e, in caso di superamento del tetto, può invitare
le toghe dell’ufficio ad astenersi da ulteriori nomine. In
tal senso -precisa il collegio- è condivisibile
l’interpretazione del ricorrente, ma questo non significa
che i suoi motivi siano fondati.
Correttamente la sentenza impugnata ha escluso che il limite
del 10%, nell’ipotesi esaminata, fosse applicabile agli
incarichi conferiti dai singoli magistrati. È ovvio,
infatti, che nei tribunali di dimensioni medio-grandi la
percentuale fissata sarebbe talmente alta, che ogni giudice
potrebbe concentrare gli incarichi su un unico consulente
senza mai raggiungerla.
Il criterio corretto è dunque
nell’«equa distribuzione degli incarichi che fa in ogni caso
capo ai singoli magistrati e che non è suscettibile di una
predeterminazione numerica o percentuale, dovendosene di
caso in caso verificare la violazione». La prova è che nel
capo di incolpazione non si fa alcun rifermento al tetto del
10%, ma solo alla mancata osservazione del principio di
rotazione in violazione del dovere di correttezza e
diligenza.
Il problema esaminato dalla Cassazione è sentito dal Csm,
che il 4 maggio scorso ha approvato le linee guida sul punto
(si veda Il Sole 24 Ore del 05.05.2016), in base alle
quali lo stesso professionista non potrà ricevere più del
10% degli incarichi.
La settima sezione dell’organo di
autogoverno dei giudici (relatore Francesco Cananzi) ha però
chiarito che la nozione di ufficio è flessibile: se in
questa rientra il Tribunale, nelle sedi più ampie è evidente
che il limite è nei fatti privo di conseguenze (articolo Il Sole 24 Ore del
19.05.2016). |
INCARICHI PROGETTUALI: I giovani professionisti possono limitarsi a firmare il
progetto. Appalti. L’interpretazione del Consiglio di Stato sui
raggruppamenti temporanei.
Spazio ai
giovani professionisti nella progettazione degli appalti
pubblici, sia che valga il testo unico 163/2006 sia che
valgano le norme applicative delle direttive europee (legge
11 e Dlgs 50 del 2016):
questo è il principio che si desume
dalla
sentenza 02.05.2016 n. 1680 del Consiglio di Stato,
Sez. VI.
La progettazione di lavori pubblici incentiva i
giovani professionisti prevedendo (articoli 253 e 263, Dpr
207/2010) che si possa operare con raggruppamenti temporanei
in cui vi sia almeno un professionista laureato abilitato da
meno di cinque anni all’esercizio della professione.
Secondo il Consiglio di Stato, la norma non impone una
specifica tipologia di rapporto professionale tra il giovane
professionista e gli altri componenti del raggruppamento
temporaneo di progettisti. Così basta che il raggruppamento
temporaneo comprenda un progettista che abbia anche «solo
sottoscritto» il progetto. Secondo i giudici, basta la
sottoscrizione del progetto, perché essa implica una
partecipazione professionale e, quindi, l’esistenza di un
rapporto professionale con il raggruppamento temporaneo.
Non sono quindi necessarie indagini ulteriori sul ruolo
rivestito dal giovane professionista all’interno del
raggruppamento o sulla tipologia specifica di rapporti tra
raggruppamento e professionista. Ciò perché la finalità
della norma è di promuovere la “presenza” del giovane
professionista nell’ambito del raggruppamento temporaneo,
consentendogli di maturare un’esperienza adeguata e di poter
così arricchire il proprio curriculum.
Diverso è il caso dell’indagine sui requisiti di
partecipazione per il personale tecnico (articolo 263, Dpr
207/2010): in materia di requisiti, si chiede alle imprese
concorrenti di fornire specifici dati circa le fatturazioni
Iva del personale tecnico utilizzato, con possibilità di
collaborazione a progetto solo nel caso di soggetti
esercenti arti o professioni.
Tra le agevolazioni per i giovani progettisti, c’è anche
quella sull’età professionale, poiché (articolo 253, Dpr
207/2010) si rimane «giovani professionisti» all’interno di
un quinquennio che decorre dall’iscrizione all’albo (e non
col superamento dell’esame di abilitazione). L’abilitazione,
infatti, è un requisito necessario per iscriversi, ma non
costituisce di per sé titolo all’esercizio della
professione: il solo esame di abilitazione non consente al
professionista di operare sottoscrivendo progetti,
occorrendo l’iscrizione all’albo.
Tutti questi concetti saranno utilizzabili anche nel regime
delle nuove direttive sugli appalti pubblici, poiché
identica, in più norme (articolo 1, lettera ccc, legge
11/2016; articoli 24, comma 5, 95, comma 13 e 154, comma 3, Dlgs 50/2016) è la logica di avvantaggiare i giovani
professionisti con migliori condizioni di accesso.
(articolo Il Sole 24 Ore dell'11.05.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
5.2. Sul requisito del giovane professionista (v. sopra,
pp. 2/a) e 3.2.).
Ad avviso dell'appellante l'articolo 253, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 richiede la sussistenza, tra giovane
professionista e RTP, di un rapporto di collaborazione
professionale o di dipendenza, condizione che, si afferma
nell'atto di appello, non sarebbe stata rispettata nel caso
di specie poiché la sottoscrizione del progetto da parte
dell'arch. Mo. non sarebbe indicativa della tipologia
di rapporto richiesto; anzi, si aggiunge, genererebbe dubbi
circa l'effettiva partecipazione del giovane professionista
all'attività progettuale.
Inoltre, si afferma nell'atto di
appello, il quinquennio di cui all'articolo 253, comma 5,
del d.P.R. n. 207/2010 decorrerebbe dalla data del
conseguimento dell’abilitazione all'esercizio della
professione, e non dall'iscrizione all'albo professionale.
E’ inoltre necessario, secondo l'appellante, che la qualità
di giovane professionista sia posseduta per tutta la durata
della procedura di gara, non potendo ritenersi sufficiente
il possesso del requisito di “giovane professionista” solo
alla scadenza della presentazione della domanda.
I profili di censura non sono meritevoli di accoglimento.
Diversamente da quanto sostiene l'appellante,
l'art. 253,
comma 5, del d.P.R. n. 207/2010, in base al quale “ai sensi
dell’art. 90, comma 7, del codice, i raggruppamenti
temporanei previsti dallo stesso art. 90, comma 1, lett. g)
del codice devono prevedere quale progettista la presenza di
almeno un professionista laureato abilitato da meno di
cinque anni all'esercizio della professione…”, nel fare
riferimento alla “presenza”, quale progettista, di almeno un
giovane professionista, non impone una specifica tipologia
di rapporto professionale che debba intercorrere tra il
giovane professionista e gli altri componenti del
raggruppamento temporaneo di progettisti, sicché per
integrare il requisito richiesto è sufficiente anche l’avere
(solo) sottoscritto il progetto.
L’avvenuta sottoscrizione
del progetto implica certamente una partecipazione
professionale e, quindi, l’esistenza di un rapporto
professionale con il raggruppamento temporaneo, senza la
necessità di indagini ulteriori sul ruolo rivestito dal
giovane professionista all’interno del raggruppamento, e
sulla tipologia specifica di rapporti tra raggruppamento e
professionista.
Né può dubitarsi del rispetto della “ratio”
della norma in quanto la finalità “promozionale” della
previsione concernente la “presenza” del giovane
professionista nell’ambito del raggruppamento temporaneo
–consentire al progettista di maturare un’esperienza
adeguata e di poter così arricchire il proprio “curriculum”– risulta rispettata.
Quanto agli ulteriori profili di censura sul punto, il
Collegio non condivide l'interpretazione, prospettata
dall'appellante, secondo la quale il termine quinquennale di
cui all'art. 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010
–“professionista laureato abilitato da meno di cinque anni
all’esercizio della professione”- decorrerebbe dal momento
del superamento dell'esame di abilitazione.
Infatti, il mero superamento dell'esame di abilitazione non
legittima il laureato a fregiarsi del titolo professionale.
Si consideri sul punto quanto dispone l’art. 2229, comma 1,
cod. civ.: “la legge determina le professioni intellettuali
per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in
appositi albi o elenchi”. Da ciò consegue che il titolo di
professionista è conseguito solo a seguito dell'iscrizione
nell'albo di riferimento, e che l'abilitazione è requisito
necessario per l'iscrizione anzidetta ma non costituisce di
per sé titolo legittimante all'esercizio della professione.
Il solo esame di abilitazione non consente al professionista
di operare come tale, sottoscrivendo progetti, poiché a
seguito di esso non risulta attestato il possesso dei
requisiti ulteriori occorrenti per l’esercizio della
professione; requisiti che invece sono attestati
dall’iscrizione all’albo, che costituisce dunque il solo
provvedimento “abilitante” in senso proprio all’esercizio
della professione.
Bene quindi la sentenza di primo grado ha considerato
irrilevante, al fine suindicato, il momento –anteriore-
dell’abilitazione, “che costituisce una delle fasi del
percorso di abilitazione all’esercizio della professione,
percorso che inizia con la laurea e termina con l’iscrizione
all’albo”.
E in maniera corretta il Tar ha aggiunto che le vicende
successive alla scadenza del termine della presentazione
della domanda –“e segnatamente il tempo occorrente
all’Amministrazione per la definizione della procedura di
gara”– non possono essere imputate alla impresa
partecipante alla gara, sicché, diversamente da quanto
sostenuto nell’appello, il possesso del requisito di
“giovane professionista” non è richiesto per tutta la durata
della procedura di gara.
E’ invece sufficiente, come è avvenuto nella specie, che il
requisito di “giovane professionista” sia posseduto al
momento della presentazione della domanda.
Appare evidente infatti come i requisiti come quello in
questione non possano soggiacere all’incertezza della durata
delle procedure di gara e dunque al principio di continuità
dei requisiti.
Risulta perciò inappropriato il richiamo compiuto
nell’appello a Cons. Stato, Ad. plen. n. 8 del 2015, nella
parte in cui si sancisce che “nelle gare di appalto per
l'aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali
e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo
alla data di scadenza del termine per la presentazione della
richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento,
ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino
all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto,
nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso,
senza soluzione di continuità”. |
aprile 2016 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Non è consentito procedere al conferimento di incarichi
esterni in assenza di una preventiva ricognizione puntuale
dell’assenza di strutture organizzative o professionalità
interne all’ente in grado di svolgere l’incarico.
• La legge (art. 1, comma 8, l. n.
190/2012) pone l’espresso divieto di consentire l’attività
di elaborazione del Piano triennale per la prevenzione della
corruzione a soggetti estranei all’amministrazione.
• Non è conforme a legge il conferimento di un incarico di
consulenza in assenza di una procedura comparativa
adeguatamente pubblicizzata. La particolare urgenza, che può
legittimare il diretto conferimento dell’incarico a favore
di un professionista, deve essere determinata dalla
imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un
termine prefissato o ad un evento eccezionale con la
precisazione che la “particolare urgenza” deve essere
connessa alla realizzazione dell’attività discendente
dall’incarico e che non è rilevante l’urgenza creata da
condotta imputabile all’ente anche nella fissazione di un
termine.
• Con l’atto di conferimento di incarico esterno il
funzionario che impegna la spesa deve accertare
preventivamente che il programma dei pagamenti sia
compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le
regole di finanza pubblica.
• L’eventuale avvio anticipato di prestazioni a favore della
pubblica amministrazione rispetto al conferimento di
incarico con relativo impegno di spesa è situazione del
tutto eccezionale ammessa nei soli casi tassativamente
previsti dal legislatore.
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L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che
gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione.
La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti controllati a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
Per completezza va dato atto che accanto alla disposizione
generale sopracitata
per gli enti locali vige altresì la
previsione più puntuale di cui all’art. 1, comma 42, della
legge 30.12.2004 n. 311 che stabilisce l’obbligo di
trasmissione alla magistratura contabile degli atti di
affidamento di incarichi di studio, ricerca e di
consulenza
ad estranei alla pubblica amministrazione, a prescindere dal
valore monetario, con obbligo di valutazione dell’organo di
revisione dell’ente.
La giurisprudenza contabile in relazione al suddetto
controllo ha affermato che ”l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”.
E’ infatti evidente che
alla pronuncia accertativa della magistratura contabile
consegua l’obbligo della P.A. di conformarsi alla stessa
onde assicurare il rispetto della legge e che
contestualmente possa derivare una responsabilità del
soggetto agente autore dell’atto contra legem.
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge
dell’incarico conferito dalla Regione
occorre rammentare che
i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di
collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti
costituiscono la codificazione di quanto ampiamente
affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al
conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese
soggette a controllo da parte della Sezione
(le consulenze,
gli studi, le ricerche, le spese per relazioni,
rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente; è stato in proposito
chiarito che: “il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge”;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno. Al proposito va rammentato che
in base ai principi generali di organizzazione
amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i
compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Tale
regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale
di buon andamento della pubblica amministrazione e il
conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti
esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di
speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il
legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in
linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni
esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo
(art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte
tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione
in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata e deve soddisfare esigenze
straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo;
l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita,
in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e
per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando
la misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni,
per esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, possono conferire incarichi individuali (con
contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di
collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti
di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della
comprovata specializzazione universitaria in caso di
stipulazione di contratti di collaborazione di natura
occasionale o coordinata e continuativa per attività che
debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o
albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello
spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività
informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di
ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il
collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di
cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso
di conferimento di un incarico di studio o di consulenza
occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti
dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n.
122/2010 e s.m.i.
(salve particolari ipotesi: es. la
copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e
specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati,
cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362)
e che in sede
di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi
dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009
convertito dalla legge n. 102/2009
(cfr. per le Regioni
l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2011, per gli enti locali
art. 74 d.lgs. n. 118/2011 di modifica dell’art. 183 TUEL),
ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma
dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di
bilancio o di cassa e con le regole di finanza pubblica,
salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in
responsabilità disciplinare ed amministrativa.
---------------
I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che
gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione.
La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti controllati a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
Per completezza va dato atto che accanto alla disposizione
generale sopracitata
per gli enti locali vige altresì la
previsione più puntuale di cui all’art. 1, comma 42, della
legge 30.12.2004 n. 311 che stabilisce l’obbligo di
trasmissione alla magistratura contabile degli atti di
affidamento di incarichi di studio, ricerca e di
consulenza
ad estranei alla pubblica amministrazione, a prescindere dal
valore monetario, con obbligo di valutazione dell’organo di
revisione dell’ente.
La giurisprudenza contabile in relazione al suddetto
controllo ha affermato che ”l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez.
reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
E’ infatti evidente che
alla pronuncia accertativa della magistratura contabile
consegua l’obbligo della P.A. di conformarsi alla stessa
onde assicurare il rispetto della legge e che
contestualmente possa derivare una responsabilità del
soggetto agente autore dell’atto contra legem.
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge
dell’incarico conferito dalla Regione
occorre rammentare che
i presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di
collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti
costituiscono la codificazione di quanto ampiamente
affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al
conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese
soggette a controllo da parte della Sezione
(le consulenze,
gli studi, le ricerche, le spese per relazioni,
rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in tal senso,
si può richiamare il
parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione.
In particolare,
la disciplina vigente prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente; è stato in proposito
chiarito che: “il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge”
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37, nonché Sez.
Reg. Lombardia, n. 244/2008);
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno. Al proposito va rammentato che
in base ai principi generali di organizzazione
amministrativa gli enti pubblici devono di norma svolgere i
compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Tale
regola trae il suo fondamento dal principio costituzionale
di buon andamento della pubblica amministrazione e il
conferimento degli incarichi di consulenza a professionisti
esterni alla P.A. si pone come eccezione in presenza di
speciali e peculiari condizioni. D’altro canto il
legislatore ha ormai da ben oltre un decennio previsto in
linea generale l’eccezionalità del ricorso a collaborazioni
esterne condizionandolo all’assenza di personale idoneo
(art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001), ribadendo più volte
tale regola e la necessità di fornire adeguata motivazione
in caso di ricorso all’esterno dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata e deve soddisfare esigenze
straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo;
l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita,
in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e
per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando
la misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni,
per esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, possono conferire incarichi individuali (con
contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di
collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti
di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della
comprovata specializzazione universitaria in caso di
stipulazione di contratti di collaborazione di natura
occasionale o coordinata e continuativa per attività che
debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o
albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello
spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività
informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di
ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il
collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di
cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso
di conferimento di un incarico di studio o di consulenza
occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti
dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n.
122/2010 e s.m.i.
(salve particolari ipotesi: es. la
copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e
specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati,
cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362)
e che in sede
di assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi
dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009
convertito dalla legge n. 102/2009
(cfr. per le Regioni
l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2011, per gli enti locali
art. 74 d.lgs. n. 118/2011 di modifica dell’art. 183 TUEL),
ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma
dei pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di
bilancio o di cassa e con le regole di finanza pubblica,
salvo incorrere, in caso di inosservanza di tale obbligo, in
responsabilità disciplinare ed amministrativa.
II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di
legittimità per il conferimento dell’incarico occorre
evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla
Regione Piemonte a mezzo della risposta inviata nel corso
dell’espletata istruttoria, mentre per gli aspetti inerenti
ai limiti annui di spesa correlati agli incarichi di studio
e consulenza ed all’avvenuta comunicazione dell’atto alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della
Funzione Pubblica le indicazioni fornite possono ritenersi
adeguate e sufficienti, non può dirsi ugualmente in ordine
agli altri rilievi formulati.
1. Innanzitutto appare necessario procedere all’analisi
della questione inerente la verifica preventiva circa
l’assenza di strutture organizzative o professionalità
interne all’amministrazione in grado di fare fronte
all’incarico.
La Regione in sede di risposta ha riferito che prima del
ricorso all’esterno sarebbero stati preventivamente sentiti
i responsabili dei Settori audit interno e Trasparenza ed
anticorruzione che avrebbero avuto a disposizione le
strutture maggiormente competenti ad effettuare la
valutazione dei rischi corruttivi relativi ai procedimenti
di competenza regionale; tuttavia tale attività “mai posta
in essere nell’ente Regione, avrebbe permesso l’applicazione
del principio di rotazione degli incarichi dirigenziali,
risultando però al momento del tutto estranea alle
conoscenze acquisite ed alle prassi: per tali ragioni non è
risultato reperibile una specifica e comprovata
professionalità in tale senso all’interno dell’Ente”.
Con riferimento alla previa verifica della presenza di
strutture in grado di far fronte all’esigenza occorre
evidenziare che la Regione Piemonte, nell’ambito della
propria autoorganizzazione in tema di conferimento di
incarichi esterni, ha assunto con la deliberazione di Giunta
regionale n. 28/1337 del 29.12.2010 (richiamata nella nota
di risposta del 03.03.2016 della Regione al punto 2) una
direttiva volta a fissare una disciplina delle procedure
comparative per il conferimento degli incarichi esterni da
parte delle Direzioni della Giunta regionale.
La citata Direttiva stabilisce all’art. 2 quale presupposto
per il conferimento di ogni incarico che la Direzione
competente verifichi “l’inesistenza qualitativa e
quantitativa, all’interno sia della propria struttura che
delle altre direzioni regionali, della figura professionale
idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione da effettuarsi presso tutte
le altre Direzioni regionali anche a mezzo richiesta via
posta elettronica.”.
Tale previo accertamento è ribadito al successivo articolo 3
quale elemento antecedente all’avvio dell’ordinaria
procedura selettiva mediante avviso pubblico.
Nel caso di specie occorre tuttavia evidenziare che la
Regione si è limitata a riferire in termini del tutto
generici che sarebbero stati sentiti (non si indica neppure
le modalità e le tempistiche) i responsabili dei Settori
audit interno e Trasparenza ed anticorruzione, ma che non
sarebbero state reperibili professionalità adeguate (non è
peraltro neppure chiaro chi avrebbe attestato tale
mancanza); tuttavia non vi è traccia alcuna della concreta
effettuazione della previa ricognizione interna sia a mezzo
posta elettronica ovvero attraverso altro mezzo, non essendo
stato fornito alcun elemento in proposito.
Si aggiunga inoltre che quanto riferito nella nota di
risposta dalla Regione Piemonte circa l’assenza di
professionalità interne in grado di occuparsi della
mappatura dei rischi non appare peraltro in linea con quanto
risultante dagli atti già assunti. In particolare risulta
che nel corso del 2014 la Regione Piemonte ha adottato il
Piano triennale della prevenzione della corruzione 2014-2016
e che al suddetto fine si è dovuta occupare espressamente
della mappatura dei rischi di corruzione all’interno della
propria organizzazione.
Risulta infatti al punto 6 del
citato Piano “Metodologia adottata per valutazione rischio”
un’articolata disamina dei rischi esistenti all’interno
dell’ente preceduta dall’esposizione del metodo utilizzato
per effettuare l’analisi, ove è stato riferito del processo
di gestione del rischio suddiviso in tre macro-fasi
(mappatura dei processi amministrativi a rischio;
valutazione del rischio corruzione; trattamento del rischio
corruzione) e puntualizzato che “l’attività di
individuazione e valutazione dei rischi è stata sviluppata
secondo la logica del “Control Risk self assesment (CRSA)
coinvolgendo tutti i direttori ed i dirigenti di Settore
della Giunta Regionale, come previsto dalla legge 190/2012.”
Inoltre è stato riferito che al fine del raggiungimento
dell’obiettivo “ogni direttore ha proceduto alla mappatura
dei processi di competenza della propria Direzione
attraverso la compilazione di una scheda tecnica inviata al RAT entro il 15.06.2014” e che all’esito si procede alla
valutazione del grado di rischio per ogni singola direzione.
Alla luce di quanto sopra
appare dunque smentita
l’affermazione per la quale all’interno della struttura
regionale non sarebbe mai stata effettuata alcuna attività
valutativa del rischio corruttivo e che pertanto non vi
sarebbero professionalità munite di conoscenze adeguate.
Si aggiunga che l’attività di mappatura dei rischi
corruttivi all’interno delle strutture regionali e
nell’ambito dei procedimenti trattati dalla Regione appare
per definizione una tipologia di attività che richiede
necessariamente una conoscenza della situazione interna
all’amministrazione ed alla scansione e gestione dell’iter
dei procedimenti amministrativi che non può essere detenuta
che da quei soggetti che operano quotidianamente ed
effettivamente all’interno della stessa (Direttori,
dirigenti, responsabili di servizi/uffici), sicché appare
non solo naturale ma assolutamente necessario che proprio
attraverso l’opera ed il coinvolgimento di tali soggetti si
proceda alla suddetta mappatura, essendo del tutto evidente
che viceversa un soggetto esterno all’amministrazione
regionale non avrebbe quel patrimonio conoscitivo necessario
per l’adeguato svolgimento di tale compito.
D’altronde il Piano triennale per dettato normativo (art. 1,
comma 9, legge n. 190/2012) deve, tra l’altro, rispondere
all’esigenza di individuare le attività in cui è più elevato
il rischio di corruzione ed è quindi un contenuto necessario
del piano la parte inerente alla gestione del rischio ed
dunque in primis l’individuazione di tutte le aree a rischio
all’esito di un processo di analisi e valutazione. In
ragione di quanto detto pertanto la legge (art. 1, comma 8,
l. n. 190/2012) pone l’espresso divieto di consentire
l’attività di elaborazione del Piano triennale a soggetti
estranei all’amministrazione.
In conclusione
l’affidamento all’esterno
dell’amministrazione regionale dell’attività consulenziale e
di studio volta alla redazione della mappatura dei rischi
corruttivi in ordine ai procedimenti gestiti dalla Regione
Piemonte, con relazione conclusiva degli esiti dell’attività
medesima,
non appare giustificato sia per inesistenza del
presupposto dell’assenza di strutture o professionalità
interne in grado di fare fronte alla relativa esigenza sia a
fortiori per violazione della disciplina di cui alla legge
n. 190/2012 in ordine alla redazione del Piano
anticorruzione e dei relativi aggiornamenti.
Sotto tale
profilo deve essere disposta la trasmissione della presente
alla locale Procura regionale della Corte dei Conti.
2. In secondo luogo per quanto il primo rilievo sia
dirimente in termini di non conformità alla disciplina
legislativa, va altresì evidenziato che laddove fosse stata
effettivamente riscontrabile l’esigenza di ricorrere
all’esterno della struttura comunque l’amministrazione
avrebbe dovuto ricorrere ad una procedura selettiva.
In proposito al suddetto rilievo la Regione con la nota di
risposta ha riferito che con le DGR n. 16/282 del 08.09.2014 e
n. 20/318 del 15.09.2014 è stata stabilita una riduzione del
numero delle Direzioni regionali e che con DGR n. 11/1409
del 11.05.2015 è stata disposta una riconfigurazione delle
strutture dirigenziali del ruolo della Giunta regionale con
individuazione di nuovi settori in numero inferiore
determinando per l’effetto una nuova struttura organizzativa
operativa a far data dal 03.08.2015.
Tale tempistica avrebbe reso assolutamente urgente procedere
alla mappatura dei rischi e alla conseguente applicazione
della rotazione dei dirigenti interessati in un tempo molto
ridotto. Conseguentemente sarebbe risultato applicabile
l’art. 5, comma primo, lett. b), della già citata DGR n.
28/1337 del 29.12.2010 secondo cui è ammesso il conferimento
dell’incarico in via diretta “in casi di assoluta urgenza
adeguatamente documenti e motivati, quando le scadenze
temporali ravvicinate e le condizioni per la realizzazione
di obiettivi specifici richiedano l’esecuzione della
prestazione professionale in tempi molto ristretti non
consentendo l’esperimento di procedure di selezione”.
Nella propria nota la Regione ha inoltre affermato che la
prestazione “è connotata da assoluta urgenza determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale
(redazione della mappatura dei rischi … alla luce della
riorganizzazione in corso)”.
Sotto il profilo procedurale va rammentato che
l’obbligo di
seguire procedure comparative per il conferimento degli
incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel
comma 6-bis del richiamato art. 7 d.lgs. n. 165/2001. Tale
obbligo è considerato da tempo dalla giurisprudenza
amministrativa e contabile un adempimento essenziale per la
legittima attribuzione di incarichi di collaborazione
(TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007; Cons. St.,
sentenza 28.05.2010 n. 3405; Corte Conti sez.
reg. contr. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37
e
parere 27.11.2012 n. 509).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto
modo di statuire che: “il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs.
n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di
disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative
per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in
concreto posto la necessità dell’espletamento della
procedura concorsuale, nella considerazione che un simile
modus operandi, implicando il rispetto di precisi
adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a
rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri
di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza,
costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez.
centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n.
23; analogamente la stessa sezione, delibera 26.10.2011, n.
21).
Pertanto
il ricorso a procedure comparative adeguatamente
pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto
nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza, del
tutto sovrapponibili a quelli altresì previsti all’art. 5
della Direttiva regionale in tema di incarichi esterni:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della collaborazione in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la
“particolare urgenza” deve essere “connessa alla
realizzazione dell’attività discendente dall’incarico”
(ex plurimis,
parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
Con riferimento proprio alla ricorrenza del requisito
dell’assoluta urgenza occorre tuttavia precisare che
l’eventuale ristrettezza dei tempi
(prospettata dalla
Regione a giustificazione dell’affidamento diretto)
incompatibile con la selezione non dovrebbe essere in alcun
modo imputabile all’amministrazione regionale, ma dipendere
da un termine non autonomamente fissato o essere
ricollegabile ad evento di carattere eccezionale.
Nella fattispecie invero la Regione fa riferimento al fatto
che la nuova struttura organizzativa sarebbe divenuta
operativa dal 03.08.2015 in virtù di un termine fissato dalla
Giunta regionale con deliberazione del 11.05.2015.
Si tratta
sotto questo primo profilo quindi non già di un elemento
temporale del tutto esterno come tale sottratto alla
determinazione da parte dell’amministrazione regionale, ma
viceversa di un termine stabilito internamente. Si aggiunga
inoltre che l’aggiornamento della mappatura dei rischi
corruttivi correlato alla nuova riorganizzazione non può
certo dirsi evento del tutto imprevedibile nel senso
individuato dalla giurisprudenza, trattandosi invero di
attività correlata alla riorganizzazione della struttura, da
tempo nota, avviata già nel 2014 dalla Giunta regionale con
le sopra richiamate delibere del 08.09.2014 e 15.09.2014.
Dunque anche sotto tale profilo
è evidente l’insussistenza
del presupposto dell’urgenza che possa legittimare la deroga
all’osservanza della procedura comparativa.
Va infine osservato comunque che il periodo intercorrente
tra l’ultima deliberazione della Giunta regionale di
individuazione dei singoli settori e l’entrata in vigore del
nuovo assetto (quasi tre mesi, rectius 84 giorni) non è
risultato comunque così ristretto da potersi affermare
l’impossibilità dell’espletamento della procedura
comparativa per la scelta dell’eventuale incaricato che si
fosse reso concretamente necessario (d’altro canto anche la
direttiva regionale all’art. 3, comma 4, prevede termini
ridotti per la presentazione delle offerte in caso di
urgenza).
Del resto l’eventuale ricorrenza di ritardi o
disfunzioni nella gestione dei procedimenti necessari
sarebbero comunque imputabili all’amministrazione regionale
quale apparato e si tratterebbe quindi di evenienza che non
legittimerebbe certo l’affidamento di un incarico in via
diretta.
Va infatti ribadito che
la giurisprudenza ha ripetutamente
evidenziato che l’assoluta urgenza deve essere determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale,
ricordando che la “particolare urgenza” deve essere
“connessa alla realizzazione dell’attività discendente
dall’incarico” e che non è dunque rilevante l’urgenza creata
da condotta imputabile all’ente
(sez. contr. Piemonte
20.06.2014, n. 122; sez. contr. Piemonte 26.03.2014 n. 61;
cfr. anche: sez. Lombardia 19.02.2013 n. 59; di recente cfr.
sez. contr. Piemonte, 18.02.2015, n. 22).
Conseguentemente
anche sotto tale aspetto l’atto di affidamento dell’incarico
non risulta rispettoso della vigente normativa.
3. In terzo luogo va osservato che
l’atto di incarico è
altresì in contrasto con il dettato normativo sotto il
profilo della mancata verifica che il pagamento fosse
compatibile con i vincoli finanziari.
Al riguardo va richiamata la previsione di cui all’art. 9,
co. 1, lett. a), n. 2 d.l. n. 78/2009 convertito dalla l. n.
102/2009, che pone in capo al funzionario che impegna una
spesa l'obbligo di accertare preventivamente che il
programma dei pagamenti sia compatibile con i relativi
stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica
(cfr. per le Regioni l’art. 56, co. 6, d.lgs. n. 118/2001).
Si tratta di obbligo preventivo posto direttamente in capo
al funzionario o dirigente che effettua l’impegno, di
qualunque servizio o settore esso sia e che va fatto a
prescindere dalle modalità di finanziamento della spesa,
essendo funzionale innanzitutto ad una verifica di cassa
circa l’effettiva sostenibilità del pagamento nei termini
contrattualmente previsti e alla conformità dello stesso con
il complesso dei vincoli vigenti.
Conseguentemente sotto
tale profilo non è adeguata la risposta della Regione che
sul punto non ha dato dimostrazione dell’espletamento di
tale accertamento preventivo, ma si è limitata ad affermare
che “il programma dei conseguenti pagamenti era compatibile
con i relativi stanziamenti di bilancio” ed al fine di
fornire prova di ciò ha fatto riferimento ad un elemento
successivo del tutto irrilevante riferendo “prova ne è che
nello stesso esercizio 2015 si è disposto il pagamento
dell’intero importo previsto”.
Va dunque ribadito che
la suddetta verifica preventiva è
essenzialmente un controllo inerente la cassa finalizzato ad
assicurare l’effettività del pagamento nei tempi stabiliti,
da effettuarsi operativamente mediante una programmazione
dei flussi di cassa ed un successivo monitoraggio nel corso
dell’anno delle disponibilità liquide, onde scongiurare
ritardi anche con riferimento alle previsioni contenute nel
d.lgs. n. 231/2002.
L’atto di incarico dunque non risulta conforme al dettato
normativo anche sotto tale profilo.
4. Infine occorre rilevare che alla rilevata illogicità
della previsione di quanto contenuto nell’art. 1, comma 11,
del contratto di consulenza che fissava il termine per la
consegna della relazione conclusiva al 25.05.2015 a fronte
della stipula del contratto in data 03.06.2015 la regione ha
replicato affermando che la stessa “trova una sua
spiegazione sia nell’urgenza –già ampiamente motivata nelle
argomentazioni sopra esposte– sia nel ritardo
amministrativo/contabile connesso alla formalizzazione
dell’incarico” e che si tratterebbe di un involontario
disallineamento tra la fase amministrativa di affidamento
dell’incarico e la fase di gestione di merito della
consulenza.
Al riguardo occorre evidenziare che
nella fattispecie
nessuna giustificazione sul piano giuridico può assumere
l’urgenza per giustificare di fatto una sostanziale
anticipazione della prestazione da parte di un soggetto
esterno all’amministrazione prima della stipula del
contratto e di fatto ancor prima dell’assunzione dell’atto
di incarico comportante impegno di spesa.
Nella fattispecie
l’incarico risulta infatti conferito con determinazione
dirigenziale del 25.05.2015, integrata quanto a spesa con
successiva determinazione del 28.05.2015, i cui impegni per
rendere esecutivo il provvedimento di spesa sono stati
registrati in data 29.05.2015, mentre da un lato il contratto
risulta sottoscritto solamente in data 03.06.2015 (secondo
quanto riferito nella nota a causa di un ritardo non meglio
specificato nella formalizzazione dell’incarico) e
dall’altro lato il testo contrattuale ha fissato al
consulente il termine per l’adempimento conclusivo al 25.05.2015 ovvero allorquando lo stesso atto amministrativo
connesso all’incarico doveva ancora essere completato.
E’ evidente che siffatto modo di operare
dell’amministrazione abbia di fatto determinato una anomala
richiesta di avvio dell’espletamento della collaborazione in
capo al consulente in via anticipata rispetto al contratto e
all’atto di conferimento ufficiale dell’incarico che di
fatto è intervenuto altresì in sanatoria rispetto alla
prestazione che era ormai in corso di espletamento se non
del tutto già esaurita.
In proposito non può che essere richiamata la regola per cui
nel vigente ordinamento l’eventuale avvio anticipato dei
lavori a favore della pubblica amministrazione rispetto al
conferimento di incarico con relativo impegno di spesa è
situazione del tutto eccezionale ammessa nei soli casi
tassativamente previsti dal legislatore
(ad. es. per i
lavori di somma urgenza art. 176 d.p.r. 05.10.2010 n. 207,
art. 191, co. 3, d.lgs. n. 267/2000),
sicché al di fuori di
tali ipotesi non è in alcun modo ammissibile tale modus procedendi.
In conclusione alle rilevate irregolarità dell’attribuzione
dell’incarico in questione consegue l’obbligo della Regione
Piemonte di conformare la propria azione amministrativa in
materia di affidamento di incarichi esterni alla legge e di
dare tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative
assunte.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il
Piemonte:
- dichiara l’atto di affidamento di
incarico di cui alla determinazione n. 276 del 25.05.2015,
integrata dalla determinazione n. 283 del 28.05.2015, della
Regione Piemonte non conforme alla disciplina di legge per
quanto esposto nella parte motiva;
- invita l’Amministrazione regionale ad adottare gli
opportuni provvedimenti per conformare la propria attività
alla legge in materia di affidamento di incarichi, dando
riscontro a questa Sezione delle iniziative conseguentemente
assunte;
- dispone la trasmissione della presente
deliberazione alla Procura Regionale presso la Sezione
giurisdizionale per la Regione Piemonte della Corte dei
Conti;
- dispone che la deliberazione sia trasmessa, a cura della
Segreteria, alla Regione Piemonte in persona del legale
rappresentante
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
deliberazione 07.04.2016 n. 34). |
marzo 2016 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Se
la scelta di affidare all’esterno la progettazione si ponga
in contrasto con le diverse disposizioni che impongono, di
regola, la redazione della progettazione di opere pubbliche
al personale interno della stazione appaltante.
Viene in rilievo, in proposito, l’art. 90, comma 6, del già
richiamato D.Lgs. 12/04/2006, n. 163 a mente del quale le
amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione
del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo
all’esterno “in caso di carenza in organico di personale
tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di
istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o
di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di
necessità di predisporre progetti integrali, così come
definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una
pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e
certificati dal responsabile del procedimento”.
La ricorrenza di uno dei casi previsti dalla testé
richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici
non è stata espressamente certificata dal convenuto nella
determinazione n. 55 del 02.02.2009, di conferimento
dell’incarico all’ing. Le..
Tale mancanza, che pur manifesta una illegittimità
procedurale, non riflette però, un
comportamento inosservante della citata disciplina
concernente l’attività di progettazione delle opere
pubbliche in quanto, dalla documentazione acquisita agli
atti di causa, emerge la sussistenza dei presupposti per
affidare all’esterno l’incarico di che trattasi.
E ciò non perché nella specie venga in applicazione la norma di cui
all’art. 91, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 -che stabilisce
che le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma
affidate al medesimo soggetto, pubblico o privato- atteso
che all’ing. Le. era stato commissionato dalla Giunta
Comunale soltanto uno studio di fattibilità, bensì per le
evidenti carenze di personale presso il settore Lavori
Pubblici del comune e conseguente difficoltà di
svolgere le funzioni d’istituto.
---------------
Ad escludere la presenza, alla data di conferimento
dell’incarico di progettazione all’ing. Le., di
professionalità interne al settore Lavori Pubblici in grado
di svolgere l’attività affidata all’esterno valgono,
inoltre, altre due circostanze.
In primo luogo deve rilevarsi che non è provato che il geom.
Ur., unico tecnico all’epoca in servizio presso tale
settore, fosse abilitato all’esercizio della professione,
requisito necessario, ex art. 90, co. 4, del D.Lgs.
12/04/2006, n. 163, per firmare i progetti redatti dai
tecnici interni.
Inoltre, ed è quel che maggiormente rileva, appare
discutibile che la progettazione di che trattasi potesse
essere redatta da un geometra.
Invero, al di là delle
asserzioni del requirente contabile circa la non complessità
dell’opera da progettare, deve rilevarsi che dallo stesso
studio di fattibilità elaborato in precedenza già dall’ing.
Le. emerge che tecnicamente la progettazione avrebbe
dovuto prevedere la realizzazione di un by pass in modo da
deviare le acque dal loro decorso esistente ed inoltre
l’appropriata allocazione di elettropompe per impianti di
spinta principale e supplementare.
Si trattava, quindi, di effettuare la progettazione di una
vera e propria opera idraulica che richiedeva conoscenze
tecniche specifiche e che, all’evidenza, risulta esulare dai
limiti dell’esercizio professionale di geometra; figura
professionale che in base al disposto di cui all’art. 16 del
R.D. 11/02/1929, n. 274, in questa materia deve limitarsi
alla progettazione di piccole opere inerenti alle aziende
agrarie, come lavori d'irrigazione, di bonifica e provvista
d'acqua per le stesse aziende.
---------------
La carenza in organico di tecnici in grado di svolgere
la progettazione affidata all’ing. Le., senza creare
ulteriore difficoltà nello svolgimento dei compiti
d’istituto, risulta inoltre dal contenuto della delibera di
Giunta Comune n. 56 dell’01.04.2008 di affidamento dello
studio di fattibilità al predetto libero professionista ove
si dà atto dell’esiguità dell’organico tecnico dei
dipendenti del Comune e della specificità delle attività
tecnico professionali richieste al tecnico esterno.
Appare, perciò, evidente che se la Giunta Comunale aveva
rilevato tale carenza quando ancora era in servizio presso
il settore lavori pubblici l’ing. Ma. e per un’attività
di mero studio di fattibilità, a maggior ragione una tale
carenza debba ritenersi sussistente, con riguardo alla ben
più articolata attività di progettazione all’inizio di
febbraio 2009, quando presso il predetto settore era rimasto
in servizio, come si è visto, il solo geom. Ur..
---------------
In conclusione, in considerazione di quanto fin qui
rilevato e dell’ulteriore circostanza che il Pi.,
seppure senza acquisire altre disponibilità e preventivi di
tecnici esterni e senza certificare espressamente le carenze
di organico, ha in definitiva dato continuità, anche per
motivi di urgenza, come specificato nel provvedimento
contestato in questa sede, all’incarico a carattere tecnico
già attribuito in precedenza dalla giunta comunale all’ing.
Le., non sono ravvisabili nel suo comportamento i
requisiti della colpa grave né sub specie della grave
inosservanza di disposizioni normative e di legge né della
grave trascuratezza nella salvaguardia degli interessi
economici dell’ente comunale.
---------------
La Procura regionale ha convenuto in giudizio il dott. Lu.Pi. contestandogli il danno finanziario di € 42.000,00,
costituito dalla differenza tra il compenso corrisposto
all’ing. Le., tecnico esterno, per la redazione del
progetto dell’opera pubblica di “recapito finale delle acque
reflue dell’impianto di depurazione a servizio dell’abitato
di Avetrana” e l’incentivo economico, non superiore al 2%
dell’importo dell’opera stessa, che il predetto comune
avrebbe dovuto corrispondere, ai sensi dell’allora vigente
comma 5 dell’art. 92 del D.Lgs. 12/04/2006, n. 163, ai
tecnici interni se la progettazione di che trattasi fosse
stata a questi affidata.
Reputa il Collegio che dall’esame complessivo della
fattispecie nel comportamento del convenuto Pi. non
emergano i profili della colpa grave.
1. In primo luogo deve rilevarsi che la Procura regionale,
per quanto abbia contestato al Pi. anche la circostanza
di aver affidato all’ing. Le. la progettazione e direzione
dell’opera pubblica di che trattasi in assenza di un
confronto concorrenziale tra altri liberi professionisti,
non ha messo in discussione la congruità del compenso
corrisposto al predetto tecnico esterno né che tale compenso
sia eccedente rispetto alle tariffe professionali in
relazione all’attività prestata.
Non rileva, quindi, in questa sede, in considerazione
dell’oggetto e della causa petendi della domanda, la pur
configurabile illegittimità del provvedimento emanato dal
convenuto sotto il menzionato profilo della mancata
richiesta di disponibilità e preventivi ad altri tecnici
esterni.
2. Occorre, quindi, esaminare se la scelta di affidare
all’esterno la progettazione in questione si ponga in
contrasto con le diverse disposizioni che impongono, di
regola, la redazione della progettazione di opere pubbliche
al personale interno della stazione appaltante.
Viene in rilievo, in proposito, l’art. 90, comma 6, del già
richiamato D.Lgs. 12/04/2006, n. 163 a mente del quale le
amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione
del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo
all’esterno “in caso di carenza in organico di personale
tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di
istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o
di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di
necessità di predisporre progetti integrali, così come
definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una
pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e
certificati dal responsabile del procedimento”.
Sotto un profilo meramente formale deve osservarsi, sebbene
non contestato specificamente dalla Procura regionale, che
la ricorrenza di uno dei casi previsti dalla testé
richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici
non è stata espressamente certificata dal convenuto nella
determinazione n. 55 del 02.02.2009, di conferimento
dell’incarico all’ing. Le..
Tale mancanza, che pur manifesta una illegittimità
procedurale, non riflette però, ad avviso del Collegio, un
comportamento inosservante della citata disciplina
concernente l’attività di progettazione delle opere
pubbliche in quanto, dalla documentazione acquisita agli
atti di causa, emerge la sussistenza dei presupposti per
affidare all’esterno l’incarico di che trattasi.
E ciò non perché nella specie, come sostenuto del difensore
del convenuto, venga in applicazione la norma di cui
all’art. 91, comma 4, del D.Lgs. 163/2006 -che stabilisce
che le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma
affidate al medesimo soggetto, pubblico o privato- atteso
che all’ing. Le. era stato commissionato dalla Giunta
Comunale soltanto uno studio di fattibilità, bensì per le
evidenti carenze di personale presso il settore Lavori
Pubblici del comune di Avetrana e conseguente difficoltà di
svolgere le funzioni d’istituto.
2.a In proposito deve evidenziarsi che per quanto la Procura
regionale affermi che la pianta organica dell’ente locale
vedeva in servizio, presso il Settore Lavori Pubblici l’ing.
Or. (a partire dall’01.0.2009) ed il geom. Ur. e
presso il Settore Urbanistica l’ing. Sp. ed il geom.
Cr., dagli atti di causa emerge, invece, che l’ing.
Or. è stato assunto in convenzione ex art. 110 del D.Lgs. 267/2000 solo a far data dall’01.12.2009, quindi in data
abbondantemente successiva al periodo in cui è stato
affidato e svolto l’incarico di progettazione dell’ing.
Le. (il progetto definitivo è stato approvato con
deliberazione di Giunta Comunale n. 115 del 18.08.2009).
Conferma poi della mancanza del dirigente del settore Lavori
Pubblici all’epoca dell’affidamento all’esterno
dell’incarico di che trattasi è contenuta nella
deliberazione di Giunta Comunale n. 4 del 29.01.2009, di
pochi giorni anteriore al contestato provvedimento del
convenuto Pi.; con tale delibera, nel dare atto che in
data 31.12.2008 era scaduto il rapporto di lavoro part-time
con l’ing. Do.Ma. già nominato dirigente del
settore LL.PP. e che tale settore era costituito da una sola
unità di personale nella persona del geom. Ur., si
sostituiva il predetto ing. Ma. con il geom. Ur.,
quale responsabile del procedimento di diverse opere
pubbliche, già finanziate o in corso di finanziamento, ad
eccezione dell’opera di cui si discute in questa sede per la
quale l’ing. Ma. veniva sostituto proprio con l’odierno
convenuto.
Quindi, dalla deliberazione giuntale appena indicata emerge
la conferma che l’ing. Or. non era in servizio all’epoca
dei fatti di causa.
2.b Da tale provvedimento emerge, inoltre, indirettamente,
la riprova che i tecnici interni, assegnati al settore
Urbanistica, ing. Sp. e geom. Cr., non
espletavano alcuna attività nel campo dei lavori pubblici.
Non si spiegherebbe, infatti, altrimenti l’affidamento
addirittura al segretario comunale del compito di
responsabile unico del procedimento di un opera pubblica se
non con l’impossibilità di affidare tale incarico ai tecnici
del settore urbanistica, evidentemente già in difficoltà con
i carici di lavoro del loro diverso ufficio.
Né a smentire la separazione tra le attività espletate dal
settore lavori pubblici rispetto a quelle del settore
urbanistica può valere il richiamo della Procura regionale
alla segnalazione effettuata dall’ing. Sp.,
responsabile del settore urbanistica, in data 25.05.2009,
alla Procura della Repubblica di Taranto circa la ritenuta
anomala assegnazione all’esterno della progettazione
riguardante il depuratore senza la verifica della
disponibilità delle professionalità interne.
Invero -in disparte che tale segnalazione, per quanto
richiamata nell’atto di citazione, non risulta depositata in
atti, così come anche gli all.ti dal n. 2 al n. 5 della nota
del Nucleo Polizia Tributaria Taranto prot. 272831/14 del
20.06.2014- deve rilevarsi, in ogni caso, che in sede penale
il procedimento, avviato presumibilmente a seguito di tale
esposto, risulta definito con sentenza del GUP di Taranto di
non luogo a procedersi perché il fatto non costituisce reato
e che in tale pronuncia si evidenzia la carenza del quadro
probatorio circa il prospettato abuso di ufficio anche sotto
il profilo della violazione di legge.
2.c Ad escludere la presenza, alla data di conferimento
dell’incarico di progettazione all’ing. Le., di
professionalità interne al settore Lavori Pubblici in grado
di svolgere l’attività affidata all’esterno valgono,
inoltre, altre due circostanze.
In primo luogo deve rilevarsi che non è provato che il geom.
Ur., unico tecnico all’epoca in servizio presso tale
settore, fosse abilitato all’esercizio della professione,
requisito necessario, ex art. 90, co. 4, del D.Lgs.
12/04/2006, n. 163, per firmare i progetti redatti dai
tecnici interni.
Inoltre, ed è quel che maggiormente rileva, appare
discutibile che la progettazione di che trattasi potesse
essere redatta da un geometra. Invero, al di là delle
asserzioni del requirente contabile circa la non complessità
dell’opera da progettare, deve rilevarsi che dallo stesso
studio di fattibilità elaborato in precedenza già dall’ing.
Le. emerge che tecnicamente la progettazione avrebbe
dovuto prevedere la realizzazione di un by pass in modo da
deviare le acque dal loro decorso esistente ed inoltre
l’appropriata allocazione di elettropompe per impianti di
spinta principale e supplementare.
Si trattava, quindi, di effettuare la progettazione di una
vera e propria opera idraulica che richiedeva conoscenze
tecniche specifiche e che, all’evidenza, risulta esulare dai
limiti dell’esercizio professionale di geometra; figura
professionale che in base al disposto di cui all’art. 16 del
R.D. 11/02/1929, n. 274, in questa materia deve limitarsi
alla progettazione di piccole opere inerenti alle aziende
agrarie, come lavori d'irrigazione, di bonifica e provvista
d'acqua per le stesse aziende.
3.c La carenza in organico di tecnici in grado di svolgere
la progettazione affidata all’ing. Le., senza creare
ulteriore difficoltà nello svolgimento dei compiti
d’istituto, risulta inoltre dal contenuto della delibera di
Giunta Comune n. 56 dell’01.04.2008 di affidamento dello
studio di fattibilità al predetto libero professionista ove
si dà atto dell’esiguità dell’organico tecnico dei
dipendenti del Comune e della specificità delle attività
tecnico professionali richieste al tecnico esterno.
Appare, perciò, evidente che se la Giunta Comunale aveva
rilevato tale carenza quando ancora era in servizio presso
il settore lavori pubblici l’ing. Ma. e per un’attività
di mero studio di fattibilità, a maggior ragione una tale
carenza debba ritenersi sussistente, con riguardo alla ben
più articolata attività di progettazione all’inizio di
febbraio 2009, quando presso il predetto settore era rimasto
in servizio, come si è visto, il solo geom. Ur..
4. In conclusione, in considerazione di quanto fin qui
rilevato e dell’ulteriore circostanza che il Pi.,
seppure senza acquisire altre disponibilità e preventivi di
tecnici esterni e senza certificare espressamente le carenze
di organico, ha in definitiva dato continuità, anche per
motivi di urgenza, come specificato nel provvedimento
contestato in questa sede, all’incarico a carattere tecnico
già attribuito in precedenza dalla giunta comunale all’ing.
Le., non sono ravvisabili nel suo comportamento i
requisiti della colpa grave né sub specie della grave
inosservanza di disposizioni normative e di legge né della
grave trascuratezza nella salvaguardia degli interessi
economici dell’ente comunale.
Il convenuto deve essere mandato assolto, quindi,
dall’addebito formulato dalla Procura regionale ed essendosi
costituito in giudizio a mezzo di difensore devono essere
liquidate le spese processuali, ai sensi dell’art. 10-bis,
decimo comma, D.L. 203/2005 conv. in L. 248/2005, in base ai
“parametri” dettati dal Regolamento adottato con D.M.
10/03/2014, n. 55, emanato ai sensi dell'articolo 13, comma
6, della legge 31.12.2012, n. 247.
In proposito, tenuto conto che l’odierno giudizio è stato
definito in esito a un’unica udienza di discussione, previo
deposito di un’unica memoria da parte dei due difensori
costituiti, senza svolgimento di una fase istruttoria, la
liquidazione è effettuata applicando, al valore medio di
liquidazione corrispondente a quello previsto per lo
scaglione di riferimento, una diminuzione del 30%.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità
iscritto al n. 32432 del registro di segreteria,
ASSOLVE
il convenuto Pi.Lu., dagli addebiti di
responsabilità amministrativa, formulati a suo carico dalla
Procura regionale
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Puglia,
sentenza 24.03.2016 n. 112). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Conferimento incarico di direzione artistica a
professionista esterno.
Il Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione ha chiarito (cfr. circolare n.
6/2014) che, ai fini dei divieti imposti dall'art. 5, comma
9, del d.l. 95/2012, come modificato dal d.l. 90/2014,
occorre prescindere dalla natura del rapporto, dovendosi
invece considerare l'oggetto dell'incarico.
La predetta disciplina, dunque, non esclude alcuna delle
forme contrattuali contemplate dall'articolo 7 del d.lgs.
165/2001, ma impedisce di utilizzare quelle forme
contrattuali per conferire incarichi aventi il contenuto
proprio degli incarichi vietati.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine ad alcune
problematiche afferenti al conferimento di un incarico di
direzione artistica delle stagioni musicali a professionista
esterno.
L'Ente si è posto la questione se detto incarico possa
rientrare eventualmente tra le tipologie contemplate
all'art. 5, comma 9, del d.l. 95/2012, come modificato dal
d.l. 90/2014, e se, in particolare, lo stesso incarico
rientri tra quelli consentiti in relazione a quanto
precisato dalla circolare n. 4/2015 [1]
emanata in materia dal Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione, a integrazione delle indicazioni
già fornite con la precedente circolare n. 6/2014.
Il richiamato articolo 5, comma 9, del d.l. 95/2012 impone,
com'è noto, il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui
all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (enti locali
compresi) di attribuire incarichi di studio e di consulenza
a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in
quiescenza.
Alle richiamate amministrazioni è altresì fatto divieto di
conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o
direttivi o cariche in organi di governo delle
amministrazioni sopra indicate e degli enti e società da
esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte
degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli
organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma
2-bis [2],
del d.l. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla l.
125/2013.
Come chiarito dal Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione [3],
gli incarichi vietati dalla citata norma sono solo quelli
espressamente contemplati, nello specifico incarichi di
studio e consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi,
cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e
società controllati. Si è inoltre precisato che 'la
disciplina in esame pone puntuali norme di divieto, per le
quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è
esclusa l'interpretazione estensiva o analogica'
[4].
Nella stessa sede si è pertanto rimarcato come tutte le
ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle
categorie sopra elencate debbano ritenersi sottratte ai
divieti di cui alla disciplina in esame.
Si osserva in proposito che compete all'Ente istante
procedere ad un'attenta valutazione del contenuto delle
prestazioni richieste e delle caratteristiche peculiari
dell'incarico in argomento, al fine di verificare se lo
stesso possa configurarsi quale incarico dirigenziale
(riferito - come precisato dal Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione -a 'direzione
di struttura' e, quindi, rientrante tra le tipologie
vietate dalla disciplina in esame) o come incarico
specialistico conferito ad un professionista esterno
[5]
(riconducibile alla casistica normata dall'art. 7, comma 6,
del richiamato d.lgs. 165/2001), che non implichi in
concreto lo svolgimento di funzioni direttive.
Si rileva quanto evidenziato dal Ministro, che ha chiarito
-nelle circolari citate- come 'ai fini dell'applicazione
dei divieti, occorre prescindere dalla natura giuridica del
rapporto, dovendosi invece considerare l'oggetto
dell'incarico. La disciplina in esame, dunque, non esclude
alcuna delle forme contrattuali contemplate dall'articolo 7
del decreto legislativo n. 165 del 2001
[6],
ma impedisce di utilizzare quelle forme contrattuali per
conferire incarichi aventi il contenuto proprio degli
incarichi vietati'.
Nella circolare n. 6/2014 [7],
in particolare, il predetto Ministro ha rimarcato che
restano ferme le disposizioni vigenti relative ai requisiti
e alle modalità di scelta dei soggetti ai quali conferire
incarichi, e alle procedure di conferimento (come quelle
contenute nell'articolo 7 del d.lgs. 165/2001). Non è quindi
escluso il ricorso a personale in quiescenza per incarichi
che non comportino funzioni dirigenziali o direttive e
abbiano oggetto diverso da quello di studio e consulenza.
Per il legittimo conferimento di incarichi a professionisti
esterni, si rinvia da ultimo, in generale, alle osservazioni
più volte formulate dalla Giurisprudenza contabile
[8], che
ha evidenziato quali siano i presupposti per un corretto
affidamento dei medesimi.
---------------
[1] Cfr. punto 5, ove si menzionano, tra gli incarichi
consentiti, quelli di 'direttore musicale, direttore del
coro e direttore del corpo di ballo'.
[2] Gli ordini, i collegi professionali, i relativi
organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa.
[3] Cfr. circolare n. 6/2014.
[4] Vedasi, in proposito, Corte dei conti, Sezione centrale
del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle
amministrazioni dello Stato, deliberazione n. 23/2014/PREV
del 30.09.2014.
[5] Le competenze richieste nella fattispecie in esame
sembrano assumere connotazioni ascrivibili a prestazioni
specialistiche, di elevata professionalità, in campo
artistico. Il TAR Veneto (cfr. sentenza n. 2187/2009) ha
sottolineato che il Direttore Artistico non è inquadrato
nell'ente e la procedura di reclutamento di tale figura non
è un concorso pubblico, considerato che trattasi di figura
professionale che rimane esterna all'ente medesimo.
[6] Il comma 6 dell'art. 7 disciplina il conferimento di
incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di
natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti
di particolare e comprovata specializzazione, per
prestazioni altamente qualificate. Il comma 6-bis prevede
inoltre che le amministrazioni pubbliche disciplinino e
rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure
comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione.
[7] Cfr. punto 5. Incarichi consentiti.
[8] Cfr., ex plurimis, Corte dei conti, sez. controllo
Piemonte, parere n. 194/2014 (16.03.2016 -
link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Concreta esercizio abusivo di una professione,
punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., il compimento
senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e
gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via
esclusiva a una determinata professione.
--------------
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito
illustrate.
2. Manifestamente infondata è la censura relativa alla
erronea applicazione dell'art. 348 cod. pen.
Il principio invocato dal ricorrente (Sez. U, n. 11545 del
15/12/2011, Cani, Rv. 251819) è stato invero affermato dalle
Sezioni Unite in relazione alla configurabilità del reato di
esercizio abusivo della professione in presenza del
compimento di atti, che, pur di competenza di una
determinata professione, non siano attribuiti ad essa in via
esclusiva. In tal caso, il Supremo Consesso ha ritenuto
dirimenti le modalità con cui tali atti siano realizzati: le
stesse, per continuatività, onerosità e (almeno minimale)
organizzazione, devono creare le oggettive apparenze di
un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente
abilitato.
Le Sezioni Unite nella medesima sentenza hanno invece
ribadito che concreta esercizio abusivo di una professione,
punibile a norma dell'art. 348 cod. pen., il compimento
senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e
gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via
esclusiva a una determinata professione.
E tale è il caso in esame, nel quale l'imputato ha posto in
essere atti tipici -come in premessa indicati- della
professione forense, ad essa attribuiti in via esclusiva e
quindi riservati a chi legittimamente tale professione può
esercitare (Corte
di Cassazione, Sez. VI,
sentenza
10.03.2016 n. 9957). |
febbraio 2016 |
|
CONSIGLIERI COMUNALI -
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Incarichi illegittimi, paga il sindaco. Corte dei
conti. Allo staff non possono essere assegnati compiti di
supporto amministrativo.
Matura responsabilità amministrativa
in capo al sindaco che assegna ai collaboratori dell’ufficio
di staff compiti di supporto agli uffici e, in questo caso,
si deve dare per presupposto il danno. La responsabilità non
si estende né al dirigente che ha dato il parere di
regolarità tecnica, né ai dirigenti e segretari che sono
intervenuti in una fase limitata, e il sindaco non può
invocare la carenza di specifica competenza professionale in
quanto si è in presenza di violazioni macroscopiche. A
riduzione del danno non possono essere invocati i vantaggi
comunque conseguiti dall’ente con l’attività dei
collaboratori.
Possono essere così sintetizzate le dure conclusioni della
Sez. di appello della Corte dei Conti della Sicilia, con
la
sentenza 17.02.2016 n. 27.
La Corte ha condannato il sindaco di un Comune che ha
assegnato incarichi di collaborazione ex articolo 90 del
Tuel a risarcire all’ente tutti i compensi erogati. La
sentenza deve essere segnalata soprattutto per la rigidità
con cui considera fonte di responsabilità amministrativa lo
svolgimento di compiti di supporto alle strutture
amministrative da parte dei collaboratori dell’ufficio di
staff, per la lettura assai riduttiva dell’esimente della
buona fede per gli amministratori e per la limitazione degli
ambiti di maturazione di responsabilità in capo ai dirigenti
che esprimono pareri contabili o intervengono in misura
limitata nel conferimento dell’incarico.
L’ufficio di staff è uno strumento di supporto dell’organo
politico e non può essere destinato a compiti analoghi nei
confronti delle strutture amministrative, perché in questo
caso sarebbe violato il principio di distinzione delle
competenze tra organi di governo e dirigenti. Da
sottolineare che la sentenza si riferisce a scelte compiute
prima dell’estate del 2014, cioè dell’entrata in vigore del
Dl 90/2014 che vietano espressamente agli uffici di staff di
adottare atti di gestione, rafforzando quindi il principio.
Il conferimento di incarichi con queste finalità deve
seguire le procedure ordinarie e rispettare i principi
dettati per le collaborazioni: il riferimento è all’articolo
7 del Dlgs 165/2001. Nel caso specifico, invece, gli
incarichi conferiti violavano questi principi in quanto non
erano di «alta specializzazione»; non era stata compiuta la
preventiva verifica dell’assenza di analoghe professionalità
all’interno dell’ente; non vi era l’individuazione in modo
chiaro dei compiti assegnati, con la connessa verifica che
non dovesse trattarsi di attività ordinarie, e non erano
stati individuati i criteri per la definizione dei compensi.
La sentenza aggiunge che, in questi casi, «i profili di
illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della
dannosità per l’erario». Altrettanto rigida è la
considerazione sull’impossibilità di ridurre la sanzione in
ragione del vantaggio conseguito dall’ente in quanto si deve
escludere che «una qualche utilità possa attribuirsi ad una
prestazione conseguente a un incarico conferito contra legem».
La sentenza prende invece una posizione “garantista” sulla
maturazione di responsabilità amministrativa in capo al
dirigente che ha dato il parere di regolarità contabile in
quanto questa attività è limitata agli aspetti contabili
«con esclusione di qualsiasi valutazione in ordine
all’intrinseca legittimità del procedimento».
Analoga posizione viene assunta per il coinvolgimento del
dirigente del settore personale e del segretario, in quanto
il loro intervento si era limitato alla fase iniziale.
Infine, non costituisce esimente l’assenza di una specifica
competenza professionale in capo al sindaco che deve
«acquisire le necessarie cognizioni», soprattutto perché
sono stati «violati i principi fondamentali che presiedono
all’attività amministrativa, nonché disposizioni di facile
interpretazione» (articolo Il Sole 24 Ore del 21.03.2016). |
CONSIGLIERI COMUNALI -
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: L’ufficio
di staff è organo strumentale allo svolgimento di funzioni
che sono proprie del sindaco; è, infatti, solo quest’ultimo
che può individuare in concreto le azioni per le quali abbia
necessità di supporto e delineare l’oggetto dell’incarico di
collaborazione così come come l’utilità attesa dallo
svolgimento dello stesso.
E' altrettanto evidente che tali incarichi di collaborazione
non possono risolversi in forme di supporto alla struttura
amministrativa dell’Ente, posto che, diversamente, verrebbe
meno quella separazione tra funzione di indirizzo e
coordinamento (propria dell’organo di vertice) e gestione
esecutiva (propria della struttura organizzativa) voluta
dalla recente riforma dell’ordinamento degli enti locali.
---------------
Nella fattispecie, in chiara violazione del predetto
precetto normativo, gli incarichi attribuiti non erano
evidentemente riferibili alle funzioni di indirizzo politico
e di controllo del sindaco ma comportavano lo svolgimento di
attività di amministrazione attiva rientranti nei compiti
istituzionali dell’Ente; ciò, rende evidente, nella
fattispecie, che lo strumento utilizzato (nomina di
componenti dell’ufficio di staff) è avvenuto per causa
diversa (attività di amministrazione attiva rientranti nei
compiti istituzionali dell’Ente) da quella prevista dalla
legge (funzioni di indirizzo politico e di controllo del
sindaco) con evidente illegittimità dovuta ad eccesso di
potere per “sviamento del potere dalla causa tipica”.
---------------
Sul punto, la giurisprudenza contabile ha affermato che è
illegittimo l'affidamento esterno di funzioni rientranti nel
compiti di strutture interne all'amministrazione,
determinando la sottrazione delle corrispondenti competenze
ad esse riservate e la nascita di una obbligazione
diseconomica (vietata dall'art. 1 della Legge n. 241/1990 e
dall'art. 97 della Costituzione) in quanto aggiuntiva
rispetto all'onere economico già relativo al competente
organo interno; inoltre , il conferimento di funzioni
dell’Ente a soggetti esterni rappresenta un’opzione
operativa percorribile solo in presenza di speciali
condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente
provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti:
- assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una
carenza organica che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da
accertare per mezzo di una reale ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del
personale;
- indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per il
conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni;
indicazione della durata dell'incarico;
- proporzione fra il compenso corrisposto all'incaricato e
l'utilità conseguita dall’Amministrazione;
- detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono
essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal
Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le
motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a
soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette
condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei
provvedimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a
firma del Ni., emerge chiaramente che:
● non risultano esplicitati gli eventuali connotati di alta
specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio
all’Ente;
● non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica
circa l’insussistenza di risorse interne che potessero
svolgere tali funzioni;
● non vi è una congrua ed analitica specificazione
dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
● non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali
sono stati quantificati i compensi corrisposti agli
incaricati.
---------------
Secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché
pacifico, i profili di illegittimità degli atti
costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle
condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso;
in altri termini, la non conformità dell’azione
amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo
svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé,
una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può
assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una
condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento
economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di
sintesi, deve comunque subire un’operazione di
attualizzazione e specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in
volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il
Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente
significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di
riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti
dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale
gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente
a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente
interesse alla corretta ed oculata allocazione delle
risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza
pubblica; la preservazione di tali valori ha luogo, oltre
che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla
spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere
modale che definiscono condizioni e procedure che
legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel
presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di
carattere modale è presupposto di legittimità della spesa
sostenuta; le lacune procedurali, rilevabili per il tramite
della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente
giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione
amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di
legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano
anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un orientamento
giurisprudenziale consolidato sia in primo grado che in
grado di appello.
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche
l’avallo di questa Sezione d’Appello, la quale, dopo aver
evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza
dell'incarico esternalizzato agli obiettivi dell'ente;
assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A.
ovvero carenza organica che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione
pubblica, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;
complessità dei problemi da risolvere che richiedono
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione
specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico esternalizzato; indicazione della durata
dell'incarico, svolgimento da parte del privato di
un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita
dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha
affermato che tali requisiti «….devono coesistere e,
soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….».
Inoltre, ha precisato anche che, «….nei rapporti
pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal
legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto
quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare
preminenti interessi pubblici, quali quelli che si
ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria
del paese. Pertanto, quando, come nel caso in esame, il
legislatore pone agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utile tutte
quelle spese che non rispettino i limiti da esso posti, è
sufficiente che la spesa si effettui contra legem perché si
realizzi il danno….».
---------------
Ritiene, inoltre, il Collegio che, alla produzione del
predetto danno erariale, non abbia, inoltre, fornito alcun
effettivo contributo causale, giuridicamente apprezzabile,
il funzionario che ha espresso parere favorevole in ordine
alla regolarità contabile dei provvedimenti d’incarico
emessi dal sindaco in quanto il parere di regolarità
contabile, apposto dal funzionario preposto al Servizio
Finanziario sul provvedimento di nomina emesso dal sindaco,
resta limitato alla verifica della competenza del soggetto
che ha disposto l’effettuazione della spesa, dell’esistenza
della relativa copertura finanziaria, della corretta
imputazione al pertinente capitolo di bilancio ecc., con
esclusione, quindi, di qualsiasi valutazione in ordine
all’intrinseca legittimità del procedimento decisionale che
ha condotto all’emissione del provvedimento in questione.
--------------
Dalla lettura delle predette disposizioni di legge, emerge
chiaramente che l’ufficio di staff è organo strumentale allo
svolgimento di funzioni che sono proprie del sindaco; è,
infatti, solo quest’ultimo che può individuare in concreto
le azioni per le quali abbia necessità di supporto e
delineare l’oggetto dell’incarico di collaborazione così
come come l’utilità attesa dallo svolgimento dello stesso; è
altrettanto evidente che tali incarichi di collaborazione
non possono risolversi in forme di supporto alla struttura
amministrativa dell’Ente, posto che, diversamente, verrebbe
meno quella separazione tra funzione di indirizzo e
coordinamento (propria dell’organo di vertice) e gestione
esecutiva (propria della struttura organizzativa) voluta
dalla recente riforma dell’ordinamento degli enti locali.
Nella fattispecie, in chiara violazione del predetto
precetto normativo, gli incarichi attribuiti dal Ni. non
erano evidentemente riferibili alle funzioni di indirizzo
politico e di controllo del sindaco ma comportavano lo
svolgimento di attività di amministrazione attiva rientranti
nei compiti istituzionali dell’Ente; ciò, rende evidente,
nella fattispecie, che lo strumento utilizzato (nomina di
componenti dell’ufficio di staff) è avvenuto per causa
diversa (attività di amministrazione attiva rientranti nei
compiti istituzionali dell’Ente) da quella prevista dalla
legge (funzioni di indirizzo politico e di controllo del
sindaco) con evidente illegittimità dovuta ad eccesso di
potere per “sviamento del potere dalla causa tipica”.
Sul punto, la giurisprudenza contabile ha affermato che è
illegittimo l'affidamento esterno di funzioni rientranti nel
compiti di strutture interne all'amministrazione,
determinando la sottrazione delle corrispondenti competenze
ad esse riservate e la nascita di una obbligazione
diseconomica (vietata dall'art. 1 della Legge n. 241/1990 e
dall'art. 97 della Costituzione) in quanto aggiuntiva
rispetto all'onere economico già relativo al competente
organo interno (Corte dei conti, Sez. Giur. Trentino Alto
Adige, n. 8 del 22.03.2010); inoltre , il conferimento di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni rappresenta un’opzione
operativa percorribile solo in presenza di speciali
condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente
provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti:
assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una
carenza organica che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata funzione, da
accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità
dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze del personale;
indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per il
conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni;
indicazione della durata dell'incarico; proporzione fra il
compenso corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita
dall’Amministrazione; detti presupposti sono cumulativi e,
soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.
Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal
Giudice di primo grado, di cui questo Collegio condivide le
motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a
soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette
condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei
provvedimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a
firma del Ni., emerge chiaramente che:
● non risultano esplicitati gli eventuali connotati di alta
specializzazione dei soggetti chiamati a prestare ausilio
all’Ente;
● non risulta essere stata compiuta alcuna concreta verifica
circa l’insussistenza di risorse interne che potessero
svolgere tali funzioni;
● non vi è una congrua ed analitica specificazione
dell’attività richiesta ai soggetti incaricati;
● non sono stati esplicitati i parametri in base ai quali
sono stati quantificati i compensi corrisposti agli
incaricati.
Tutto ciò premesso, non appare superfluo evidenziare che,
secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico
(cfr., ex multis, Corte conti, Sez. Lombardia, 05.03.2007,
n. 141; id., Sez. App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id.,
Sez. Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di
illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della
dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di
quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non
conformità dell’azione amministrativa alle puntuali
prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo
idonea a generare, di per sé, una responsabilità
amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza
allorché quegli atti integrino una condotta almeno
gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per
l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come enunciazione di
sintesi, deve comunque subire un’operazione di
attualizzazione e specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in
volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta il
Collegio a ritenere che le plurime e qualitativamente
significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di
riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti
dannosi per l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione secondo la quale
gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente
a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente
interesse alla corretta ed oculata allocazione delle
risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza
pubblica; la preservazione di tali valori ha luogo, oltre
che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla
spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere
modale che definiscono condizioni e procedure che
legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel
presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di
carattere modale è presupposto di legittimità della spesa
sostenuta; le lacune procedurali, rilevabili per il tramite
della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente
giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione
amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di
legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano
anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un
orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo
grado (tra le tante, più di recente, Sez. Giur. Lazio Sent.
06.05.2008, n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008, n. 185;
Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007, n. 50; Sez. Giur. Sicilia
Sent. 21.09.2007, n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007,
n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent. 30.08.2006, n. 672), che in
grado di appello (ex pluribus: Sez. I App Sent. 28.05.2008,
n. 237; Sez. App. III Sent. 05.04.2006, n. 173; Sez. App. II
Sent. 20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent. 16.02.2006, n.
107; Sez. App. III Sent. 06.02.2006, n. 74; Sez. App. I Sent.
04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent. 08.08.2005, n. 259; Sez.
App. I Sent. 31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent.
13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent. 28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha ricevuto anche
l’avallo di questa Sezione d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010;
196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008; 122/A/2008; 48/A/2007),
la quale, dopo aver evidenziato che le speciali condizioni (….rispondenza dell'incarico esternalizzato agli obiettivi
dell'ente; assenza di una apposita struttura organizzativa
della P.A. ovvero carenza organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che
richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali
competenze del personale della P.A. o dell'ente pubblico;
indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo
svolgimento dell'incarico esternalizzato; indicazione della
durata dell'incarico, svolgimento da parte del privato di
un'attività non continuativa; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità conseguita
dall'amministrazione) che legittimano il conferimento di
funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A., ha
affermato che tali requisiti «….devono coesistere e,
soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti….»;
inoltre, ha precisato anche che, «….nei rapporti
pubblicistici (…) si deve tenere conto dei limiti posti dal
legislatore all'azione degli amministratori, soprattutto
quando, come nella specie, detti limiti mirano a tutelare
preminenti interessi pubblici, quali quelli che si
ricollegano alle esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi economico-finanziaria del paese. Pertanto, quando, come nel caso in
esame, il legislatore pone agli amministratori pubblici
determinati vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non
utile tutte quelle spese che non rispettino i limiti da esso
posti, è sufficiente che la spesa si effettui contra legem
perché si realizzi il danno….».
L’illegittimità dei conferimenti di funzioni dell’Ente a
soggetti esterni costituisce, quindi, nella fattispecie, il
presupposto antigiuridico che ha cagionato un danno erariale
per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti
esterni all’Ente stesso).
Le considerazioni che precedono escludono, quindi, che una
qualche utilità possa attribuirsi ad una prestazione
conseguente ad un incarico conferito contra legem con
conseguente impossibilità di considerare, ai fini della
quantificazione del danno risarcibile, l’eventuale vantaggio
conseguente all’attività del soggetto esterno all’Ente,
illegittimamente incaricato di svolgere funzioni che
avrebbero dovuto essere svolte da dipendenti dell’Ente
stesso (in quanto attività istituzionali), per lo
svolgimento delle quali i dipendenti medesimi ricevono una
congrua retribuzione.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che non sia configurabile
un nesso di causalità tra la condotta della Giunta
municipale (che ha adottato la citata delibera n. 145/2008)
ed il danno azionato dal PM, in quanto, nella stessa, era
prevista, per altro su proposta del Ni. stesso,
l’istituzione di un ufficio di staff per lo svolgimento di
funzioni “intersettoriali” dando, quindi, al sindaco stesso
la possibilità di procedere alla nomina degli esterni da
effettuarsi, ovviamente in un momento successivo, nel
rispetto dei limiti di legge (utilizzando, cioè,
collaboratori esterni solo per funzioni di indirizzo
politico e di controllo proprie del sindaco e previa
verifica di indisponibilità di risorse interne).
Ciò che, invece, è stata causa del danno erariale in
questione è proprio la successiva nomina degli esterni da
parte del sindaco che ha conferito, a soggetti esterni,
incarichi che non erano riferibili, come già detto, alle
funzioni di indirizzo politico e di controllo proprie del
sindaco, e che non è stata preceduta da una preventiva
verifica di indisponibilità di risorse interne.
Ritiene, inoltre, il Collegio che, alla produzione del
predetto danno erariale, non abbia, inoltre, fornito alcun
effettivo contributo causale, giuridicamente apprezzabile,
il funzionario che ha espresso parere favorevole in ordine
alla regolarità contabile dei provvedimenti d’incarico
emessi dal sindaco in quanto il parere di regolarità
contabile, apposto dal funzionario preposto al Servizio
Finanziario sul provvedimento di nomina emesso dal sindaco,
resta limitato alla verifica della competenza del soggetto
che ha disposto l’effettuazione della spesa, dell’esistenza
della relativa copertura finanziaria, della corretta
imputazione al pertinente capitolo di bilancio ecc., con
esclusione, quindi, di qualsiasi valutazione in ordine
all’intrinseca legittimità del procedimento decisionale che
ha condotto all’emissione del provvedimento in questione.
Sempre in relazione al profilo del nesso di causalità, la
difesa dell’appellante ha affermato che, nella fattispecie,
i provvedimenti contestati si collocherebbero all'interno di
un procedimento amministrativo che si era aperto con la fase
istruttoria (in cui erano intervenuti il Responsabile del
procedimento ed il Dirigente dell'Ufficio competente, al
fine di comprovare, rispettivamente, la sussistenza dei
requisiti di legittimità della procedura e, dunque, degli
atti sindacali da deliberare, nonché la relativa regolarità
tecnica) e si era concluso con la stipula dei contratti
individuali di lavoro da parte del dirigente dell'Ufficio
Gestione Risorse Umane (e, talvolta, del Direttore
generale), attuativi delle scelte sindacali di nomina ma,
sempre, previa verifica della conformità a legge delle
stesse.
Sul punto si osserva che, nella fattispecie, il Ni. è
stato il proponente della delibera di giunta n. 145/2008, i
provvedimenti di nomina dei predetti collaboratori esterni
sono stati sottoscritti solo dal Ni. stesso e dal
funzionario preposto al Servizio Finanziario e le
convenzioni, per il conferimento dei singoli incarichi,
risultano sottoscritte solo dal collaboratore esterno e dal
Ni. stesso); inoltre, l’asserito intervento, nella
fattispecie, del dirigente dell'Ufficio Gestione Risorse
Umane (e, talvolta, del Direttore generale), in sede di
attuazione delle scelte sindacali di nomina (che avrebbe
dovuto verificare la conformità a legge delle stesse),
avrebbe, semmai, potuto riguardare soltanto taluni specifici
profili di esso (ad es.: la circostanza che il “Regolamento
comunale degli Uffici e dei Servizi” abbia previsto
espressamente l’esistenza di tale Ufficio; il fatto che non
venga superato il numero massimo di componenti che sia stato
eventualmente fissato dal predetto regolamento o da altra
deliberazione a carattere generale; la sussistenza di
specifici requisiti già previsti, in linea generale, da
norme di legge o di regolamento, la natura temporanea
dell’incarico conferito etc.), con esclusione, quindi, di
qualsiasi valutazione in ordine alla congruità delle
motivazioni relative all’effettiva necessità del
conferimento dell’incarico, alla concreta individuazione del
soggetto designato, alle mansioni da svolgere etc. (che
rientravano nelle prerogative del sindaco, unico soggetto
che poteva individuare in concreto le azioni per le quali
avesse necessità di supporto e delineare l’oggetto
dell’incarico di collaborazione così come come l’utilità
attesa dallo svolgimento dello stesso).
Infine, la difesa dell'appellante lamenta che erroneamente
il Giudice di primo grado abbia ritenuto la sussistenza
della colpa grave a carico del Ni.:
1. che non aveva le competenze professionali adeguate per
rendersi conto di eventuali illegittimità (data la
complessità della normativa regolante la fattispecie ed i
dubbi interpretativi conseguenti);
2. pur essendo asseritamente intervenuti, nel procedimento
di nomina dei predetti collaboratori esterni, funzionari
dell’Ente che nulla hanno eccepito in ordine alla
sussistenza di eventuali illegittimità.
A sostegno delle sue ragioni, ha richiamato la sentenza
della Prima Sezione Centrale d’Appello di questa Corte n.
107/2015.
Ha, inoltre, richiesto, a questa Corte, di sollevare una
questione di massima, innanzi alle SS.RR., per chiarire se
un amministratore, che deliberi dopo un procedimento
amministrativo (nel quale sono intervenuti gli organi
dell’apparato burocratico dell’Ente senza nulla eccepire in
ordine alla sussistenza di eventuali illegittimità dell’atto
da adottare) possa rispondere, per colpa grave, di eventuali
danni erariali conseguenti alla esecuzione della delibera
adottata.
In relazione al punto n. 1, si osserva, che la ricorrenza
dell’elemento soggettivo non può essere esclusa dal non
possedere adeguate cognizioni tecnico-giuridiche giacché chi
assume, per propria iniziativa, un munus pubblico ha anche
l’onere di acquisire le necessarie cognizioni per espletarlo
in conformità alla legge, altrimenti vi sarebbe una
condizione soggettiva precostituita che legittimerebbe
l’adozione di atti illegittimi, forieri di illeciti erariali
e senza alcuna conseguenza per l’autore; ciò sarebbe,
evidentemente, paradossale.
In relazione al punto n. 2, si osserva che, in disparte
dalla limitata partecipazione, nella fattispecie di
funzionari dell’Ente di cui si è già detto (in quanto il
Ni. è stato il proponente della delibera di giunta n.
145/2008, i provvedimenti di nomina dei predetti
collaboratori esterni sono stati sottoscritti solo dal
Ni. stesso e, come già detto, dal funzionario preposto
al Servizio Finanziario e, infine, le convenzioni per il
conferimento dei singoli incarichi risultano sottoscritte
solo dal collaboratore esterno e dal Ni. stesso) appare
evidente che, nel caso in esame, le determinazioni sopra
richiamate sono state adottate in macroscopico dispregio
della disciplina applicabile e tale comportamento, pertanto,
appare connotato quanto meno dall’elemento psicologico della
colpa grave, poiché l’amministratore ha violato i principi
fondamentali che presiedono all’attività amministrativa,
nonché disposizioni di facile interpretazione contenute
nella normativa di rango primario, nello statuto comunale e
nel regolamento di organizzazione.
Tali ultime considerazioni consentono, infine, di escludere
l’applicabilità di un eventuale potere riduttivo
dell’addebito.
In ordine, poi, alla richiesta di rimettere la prospettata
questione di massima alle SS.RR. di questa Corte si osserva
quanto segue.
L’art. 1, comma 7, del decreto legge 15.11.1993, n.
453, convertito, con modificazioni, nella l. 14.01.1994
n. 19, prevede espressamente che “Le sezioni riunite della
Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle
questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali
centrali o regionali, ovvero a richiesta del procuratore
generale”.
A tale norma, l’art. 42, comma 2, della l. 18.06.2009 n.
69 ha aggiunto un ultimo periodo e precisamente “Il
Presidente della Corte può disporre che le sezioni riunite
si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di
diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni
giurisdizionali centrali o regionali e su quelli che
presentano una questione di massima di particolare
importanza. Se la sezione giurisdizionale, centrale o
regionale, ritiene di non condividere il principio di
diritto enunciato dalle sezioni riunite, rimette a queste
ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio.”.
E’ evidente che “…la decisione del giudizio" alla
quale fa riferimento l’ultima parte del comma aggiunto può
essere soltanto quella aventi ad oggetto i conflitti di
competenza, le questioni di diritto e le questioni di
massima, con esclusione di ogni possibile conferimento di
poteri di valutazione del merito delle questioni
controverse.
Una siffatta interpretazione della novella normativa si
inserisce, quindi, nel contesto dei poteri e delle
attribuzioni ben consolidate facenti capo alle Sezioni
riunite, per cui la norma, lungi dall’aver voluto creare una
nuova competenza (quella di esame del merito della
controversia) in capo al Supremo Organo giurisdizionale,
deve essere interpretata nell’unico significato possibile e
costituzionalmente orientato, consistente nel principio che
la rimessione del giudizio, in caso di dissenso, in tanto
sia possibile in quanto sia diretta ad approfondire e a
riesaminare sotto diversi profili la sola questione di
diritto, con ragioni che devono essere congruamente
esplicitate nell’ordinanza di rimessione.
In sostanza, le Sezioni riunite potrebbero, in caso di
dissenso adeguatamente motivato, rivedere il principio di
diritto affermato o dare una diversa soluzione alla
questione di massima presentata rispetto a quanto in
precedenza enunciato, rimettendo, poi, la definizione del
merito della fattispecie agli organi giurisdizionali
remittenti.
Nel caso di specie, facendo applicazione di predetti
principi, deve ritenersi inammissibile la richiesta della
difesa dell’appellante di sottoporre alle SS.RR. di questa
Corte la predetta questione (e, cioè, se un amministratore,
che deliberi dopo un procedimento amministrativo -nel quale
sono intervenuti gli organi dell’apparato burocratico
dell’Ente senza nulla eccepire in ordine alla sussistenza di
eventuali illegittimità dell’atto da adottare- possa
rispondere, per colpa grave, di eventuali danni erariali
conseguenti alla esecuzione della delibera adottata) in
quanto non è una questione di diritto ma una questione di
merito che deve essere risolta e decisa con riferimento ad
ogni singola ipotesi.
Infatti, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la
sussistenza della colpa grave non può essere affermata in
astratto ma deve essere valutata caso per caso.
Questo perché, non ogni condotta diversa da quella doverosa
implica colpa grave ma solo quella che sia caratterizzata da
particolare negligenza, imprudenza od imperizia e che sia
posta in essere senza l’osservanza, nel caso concreto, di un
livello minimo di diligenza, prudenza o perizia che dipende
dal tipo di attività concretamente richiesto all’agente in
quel settore della P.A. al quale è preposto e di tutte le
circostanze soggettive ed oggettive esistenti al momento in
cui la condotta causativa di danno è stata posta in essere.
Per le ragioni suesposte, l’appello deve essere respinto e
la sentenza impugnata appare meritevole di conferma.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. appello Sicilia,
sentenza 17.02.2016 n. 27). |
INCARICHI PROFESSIONALI: L’incarico
professionale va provato.
Il professionista
che chiede il pagamento dei compensi per la propria
prestazione deve provare che gli è stato conferito
l’incarico.
Contratti. Niente compenso per la prestazione se
l’architetto non è in grado di dimostrare il conferimento
del lavoro anche se la commissione è stata eseguita.
Lo ribadisce la
Corte d’appello di Lecce, Sez. distaccata di Taranto
(presidente Alessandrino, relatore Cosenza), con la
sentenza
01.02.2016.
Con decreto del 2001 il giudice aveva ingiunto a una Srl di
pagare 74 milioni di lire a un architetto; la somma era
stata richiesta quale compenso per l’opera che il
professionista affermava di aver svolto su commissione della
società.
Il Tribunale aveva poi revocato il provvedimento
monitorio, accogliendo l’opposizione che la Srl aveva
presentato in base all’articolo 645 del Codice di procedura
civile. Contro la sentenza di primo grado il professionista
ha quindi proposto appello, contestando la valutazione delle
prove effettuata dal Tribunale.
Nel respingere l’impugnazione, la Corte osserva,
innanzitutto, che «manca la prova scritta della commissione»
e non risultano anticipazioni di «spese e/o acconti sul
compenso ex articolo 2234 del Codice civile». Tant’è che
l’ordine professionale, nel rilasciare il proprio parere di
congruità sui compensi richiesti, aveva tenuto conto solo
della relazione presentata dall’architetto, precisando che
non era stata esibita alcuna lettera d’incarico. Ciò impone
-prosegue il giudice d’appello- di «valutare rigorosamente
la prova orale espletata» in primo grado.
Secondo la Corte, le testimonianze assunte dal Tribunale
dimostrano che l’architetto aveva senz’altro svolto le
«attività di cui invoca il compenso»; tuttavia, tali prove
non consentono di ritenere che la Srl «sia stata la
committente dell’opera» di cui il professionista ha chiesto
il pagamento. La Corte conferma quindi la sentenza del
Tribunale e condanna l’appellante al pagamento delle spese
del grado, che liquida in tremila euro.
La decisione è conforme alla giurisprudenza della Corte
suprema. Secondo il giudice di legittimità, il
professionista che chiede il pagamento della propria
prestazione d’opera deve dimostrare -si legge nella
sentenza 1244 del 2000- «l’avvenuto conferimento del
relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare,
chiaramente e inequivocamente, la volontà di avvalersi della
sua attività e della sua opera» da parte del cliente.
Infatti, l’obbligo di eseguire una prestazione d’opera
professionale intellettuale scaturisce da un contratto
(articolo 2230 del Codice civile), che presuppone uno
scambio di consensi tra committente e professionista.
Il che
-conclude la Cassazione- «costituisce, prima ancora che un
principio regolatore dei contratti di prestazione d’opera
intellettuale, un principio regolatore dell’intera materia
contrattuale» (articolo Il Sole 24 Ore del
04.04.2016 - tratto da www.centrostudicni.it). |
gennaio 2016 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
L'incarico di consulenza diretta all'esterno
dell'ente, camuffato da "corso di formazione del personale
per futuri adempimenti amministrativi",
è illegittimo e cagiona danno erariale.
Nulla quaestio in ordine alla possibilità per
il personale di essere affiancato da esperti esterni nella
fase di apprendimento di procedure complesse od innovative
ma, nella fattispecie, tutto ciò non è avvenuto ed il
rapporto si è invece concretizzato nella classica figura
della consulenza esterna richiesta dalla Responsabile della
Direzione Area di Coordinamento risorse, assumendosene la
responsabilità per aver colposamente aggirato i limiti di
spesa introdotti dal legislatore.
---------------
A parere di questo Collegio, nella vicenda in esame si
ravvisa l’esistenza di tutti i presupposti necessari e
sufficienti per l’esercizio dell’azione di responsabilità
amministrativo-contabile.
In primo luogo è indubitabile che all’epoca degli eventi la
parte convenuta era direttamente legata all’Amministrazione
comunale da un rapporto di servizio, rilevanti però nella
fattispecie sono l’indagine sull’elemento soggettivo, sul
nesso causale e l’individuazione della posta di danno
azionabile.
1. Elemento soggettivo
Sul punto è determinante il tenore del carteggio intercorso
tra la convenuta (ed altri Dirigenti interessati) e la Srl
Ca. e As..
Come già rilevato, tra l’altro, è stata acquisita dalla Gdf
la “scheda di richiesta corso e di input alla
progettazione” per l’inserimento nel “Piano annuale
della formazione del personale” di quanto richiesto.
In effetti in esito a tale scheda, né datata né
sottoscritta, risulta inserito nel suddetto piano un corso
denominato “tutoring finalizzato alla ricostruzione dei
fondi salario accessorio” destinato secondo la scheda a
n. 5/10 dipendenti di cat. D3, e che, diversamente, nel
Piano salgono a n. 25.
La natura di consulenza diretta, piuttosto che di formazione
del personale per futuri adempimenti amministrativi, emerge
al tenore delle mail rinvenute dalla GdF (all. 2/4 nota
citata).
In data 20.04.2012 al dr. Ta. viene richiesto un suo “supporto
per chiarire alcuni aspetti” circa le procedure seguite
dal Comune per la ricostruzione del fondo miglioramento
servizi relativamente agli straordinari per l’anno 1993 ex
DPR 333/1990.
Sempre nella stessa mail viene richiesto se “la procedura
adottata è corretta” e se può inviare una “tabella di
calcolo che ritiene valida per verificare se abbiamo
effettuato correttamente i calcoli” per quanto concerne
la Dichiarazione congiunta n. 14 del CCNL del 2004.
In calce a tutto questo viene trasmesso in visione al dr.
Ta. un elaborato circa il Riallineamento Progressioni
Orizzontali.
Successivamente in data 28.04.2012 il suddetto dr. Ta. invia
al Comune del “materiale relativo alle economie di
gestione che abbiamo verificato con la Provincia di Perugia
e, ancor prima, con il Comune di Perugia”.
In data 19.06.2012 il Comune invia “il materiale che
stiamo predisponendo per la ricostruzione dei fondi”.
Il 26.06.2012 al dr. Ta. viene chiesto “qualche altro
suggerimento per recuperare nuove risorse”.
In data 03.07.2012 il Comune allega una “delibera
indirizzo delegazione trattante” nel testo “rivisto
dopo tel. con Assessore”.
Il 22.07.2012 il dr. Ta. trasmette “il parere relativo al
Comune di Monza di cui ti ho parlato”.
Con rinvio all’ulteriore documentazione in atti, tutta di
analogo tenore, si può dedurre che ben prima dell’inizio del
corso, formalizzato con la citata determina del 13.06.2012,
era già avviata una attività di consulenza che sfocia, tra
l’altro, in un parere datato 24.11.2012, il cui incipit
“in relazione al quesito posto e dopo attenta disamina
degli atti tutti per come trasmessi, esprimo il seguente
sintetico avviso”, contraddice la natura dell’affermato
tutoraggio di n. 25 dipendenti.
In realtà, dalla scarna documentazione reperita dalla GdF
(all. 2/3 nota citata) presso la Direzione risorse umane del
Comune, emergono solo sette schede presenza giornaliere con
una media di 5/6 dipendenti o meglio dei Dirigenti apicali
interessati e non risulta nemmeno un elaborato scritto, ad
uso dei soggetti da “formare”.
Tutte queste considerazioni inducono il Collegio ad
escludere la natura formativa della iniziativa che non si è
neanche svolta sotto la forma dell’eccepito tutoraggio.
In altri termini nulla quaestio in ordine alla
possibilità per il personale di essere affiancato da esperti
esterni nella fase di apprendimento di procedure complesse
od innovative ma, nella fattispecie, tutto ciò non è
avvenuto ed il rapporto si è invece concretizzato nella
classica figura della consulenza richiesta dalla dr.ssa Ne.,
nella sua qualità di Responsabile della Direzione Area di
Coordinamento risorse, assumendosene la responsabilità per
aver colposamente aggirato i limiti di spesa introdotti dal
legislatore (di cui meglio infra).
2. Nesso
In effetti, nella fattispecie nessun dubbio sussiste in
ordine alla circostanza che la contestazione del danno alla
dr.ssa Ne. deriverebbe dal fatto che, trattandosi di
attività di consulenza e non formativa, si sarebbe dovuta
applicare la normativa relativa agli incarichi esterni la
quale, come noto, è costituita da molteplici fonti.
Secondo quanto riportato espressamente nell’atto di
citazione, “per quanto riguarda il caso in questione,
vengono in rilievo l'art. 7, comma 6, del d.lgs. n.
165/2001, che indica i presupposti di legittimità per il
conferimento di incarichi; l'art. 3, comma 56, della l. n.
244/2007, che dispone che i limiti, i criteri e le modalità
per l'affidamento di incarichi di collaborazione devono
essere fissati con apposito regolamento, e che la violazione
delle disposizioni regolamentari costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale; l'art. 1,
comma 127, della l. n. 662/1996; il Regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del Comune di
Firenze.
In aggiunta, l'art. 3, comma 18, della l. n. 244/2007,
abrogato dal d.lgs. n. 33/2013, ma all'epoca dei fatti in
vigore, e quindi applicabile, disponeva che i contratti
relativi ai rapporti di consulenza con le pubbliche
amministrazioni erano efficaci a decorrere dalla data di
pubblicazione del nominativo del consulente, dell'oggetto
dell'incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale
dell'amministrazione, mentre l'art. 1, comma 127, della l.
n. 662/1996 (anch'esso abrogato, ma anch'esso applicabile),
come modificato dall'art. 3, comma 54, della l. n. 244/2007,
sanzionava l'omessa pubblicazione con la responsabilità
erariale del dirigente preposto.
Tra l'altro, per le consulenze si pone anche il problema del
rispetto del limite dell'importo massimo stabilito dalla
legge, ai sensi del d.l. n. 78/2010, convertito in legge
dall'art. 1, comma 1, della l. n. 122/2010, il quale
prevede, all'art. 6, comma 7, che la spesa annua per studi
ed incarichi di consulenza non possa essere superiore al 20%
di quella sostenuta nel 2009. Il che, presumibilmente, non
avrebbe consentito al Comune di Firenze di venire incontro
alle richieste della Ca. e As..
In definitiva, poiché non aveva rispettato la normativa
prevista dalle norme di legge e regolamentari per
l'affidamento di incarichi esterni, la dott.ssa Ne. appariva
essere responsabile di un danno erariale, pari all'importo
pagato alla Ca. e As., asseritamente a titolo di spesa per
"formazione".
In sintesi il tenore delle dichiarazioni rese alla GdF ed
i riscontri documentali integrano un nesso tra il
comportamento, connotato da colpa azionabile e l’erogazione
contra legem delle somme in questione.
3. Danno erariale
Come sostenuto dalla Procura in citazione e come integrato
in sede di discussione orale, gli esborsi patrimoniali di
cui trattasi sia per la non corretta imputazione e
qualificazione della prestazione resa dalla Srl esterna, sia
per la successiva riscontrata “inutilità” della
stessa (come detto il Comune non ha dato esecuzione alla
determina n. 2013/DD/00619 del 22.01.2013 che la Dr.ssa Ne.
ha adottato alla fine del rapporto con il Dr. Ta.),
costituiscono una posta di danno erariale (€. 20.000,00) che
deve essere integralmente imputata a carico della Dr.ssa
So.Ne., sia pure in termini omnicomprensivi di interessi e
di rivalutazione monetaria.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono
dovuti, invece, gli interessi nella misura del saggio legale
fino al momento del saldo
(Corte
dei Conti, Sez. giurisdizionale Toscana,
sentenza 25.01.2016 n. 28). |
settembre 2015 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
Intervento sostitutivo della stazione appaltante a favore di
INARCASSA, ai sensi dell'art. 4, D.P.R. n. 207/2010.
La normativa vigente definisce il
documento unico di regolarità contributiva (DURC) quale
certificato che attesta la regolarità di un operatore
economico per quanto concerne gli adempimenti,
specificamente, INPS, INAIL, nonché cassa edile per i
lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di
riferimento (art. 6, D.P.R. n. 207/2010) e statuisce
l'intervento sostitutivo della stazione appaltante
espressamente nei confronti di detti istituti previdenziali
in caso di inadempienza contributiva dell'esecutore e del
subappaltatore accertata con il DURC (art. 4, comma 2,
D.P.R. n. 207/2010).
Per quanto concerne la possibilità per le stazioni
appaltanti di applicare l'intervento sostitutivo anche nei
confronti di INARCASSA, nell'ipotesi di irregolarità
contributiva accertata verso quest'ultima, l'AVCP ha
ritenuto che non si possa procedere ad un'applicazione
analogica dell'art. 4, D.P.R. n. 407/2010, argomentando
sulla base del tenore letterale dell'art. 6, D.P.R. n.
207/2010, che parla di accertamento della regolarità di un
operatore economico per quanto concerne 'gli adempimenti
INPS, INAIL, nonché Cassa edile per i lavori', e del fatto
che le norme in tema di DURC sono contenute nel titolo II
della parte I del D.P.R. n. 207/2010, contenente norme in
materia 'di tutela dei diritti dei lavoratori'.
L'Ente chiede un parere in merito alla possibilità di
liquidare gli importi dovuti ad un libero professionista,
per l'incarico di RUP svolto, a prescindere dalla
Certificazione di regolarità contributiva.
Un tanto anche alla luce dei pareri ANAC, secondo cui non
sarebbe possibile per la stazione appaltante attivare la
procedura sostitutiva, in caso di certificazione negativa di
regolarità contributiva, stante la natura privata della
Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli
Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti (INARCASSA).
Sentito il Servizio lavori pubblici della Direzione centrale
infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale,
lavori pubblici, edilizia, si esprime quanto segue.
La questione posta dall'Ente è stata già affrontata da
questo Servizio nel parere prot. n. 16037, del 07.05.2012
[1], le
cui conclusioni si ritiene di confermare, non essendo nel
frattempo sopravvenuti novelle normative, chiarimenti
interpretativi o pronunce giurisprudenziali di diverso
avviso.
In quella sede, nel richiamare la normativa in materia di
DURC, in particolare gli artt. 6 e 4 del D.P.R. n. 207/2010
[2],
nonché l'art. 90, comma 7, D.Lgs. n. 163/2006, in materia di
appalti di servizi attinenti all'ingegneria ed
all'architettura [3],
si è affermato che, in considerazione della specificità
della previsione di cui all'art. 4, comma 2, D.P.R. n.
207/2010, statuente l'intervento sostitutivo
dell'amministrazione aggiudicatrice espressamente nel caso
di irregolarità contributiva verso INP S, INAIL e cassa
edile per il lavori, ed in assenza, altresì, di indicazioni
da parte delle autorità competenti che in qualche modo
estendano l'ambito di detto intervento sostitutivo, non
sembra potersi sostenere una sua applicazione, per analogia,
all'ipotesi di irregolarità contributiva verso INARCASSA.
Alle medesime conclusioni è pervenuta l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture ( AVCP) [4],
argomentando dall'interpretazione letterale dell'art. 6,
D.P.R. n. 207/2010, il quale in modo esplicito parla della
funzione del DURC di accertamento della regolarità di un
operatore economico per quanto concerne 'gli adempimenti
INPS, INAIL, nonché cassa edile per i lavori, verificati
sulla base della rispettiva normativa di riferimento'.
Per l'AVCP non solo sono indicati espressamente due istituti
che erogano prestazioni contributive e assicurative, ma è
anche prevista una (ed una sola) eccezione, la cassa edile.
Inoltre, osserva l'AVCP, le norme in tema di DURC sono
dettate nel titolo II della parte I del D.P.R. n. 207/2010,
contenente nome in materia 'di tutela dei diritti dei
lavoratori' [5].
Le considerazioni esposte consentono di ritenere, venendo al
caso di specie, la possibilità per l'Ente di liquidare
quanto dovuto al professionista incaricato del ruolo di RUP,
con la precisazione, peraltro, che l'irregolarità
contributiva verso INARCASSA può avere delle conseguenze per
i pagamenti di importo superiore ad € 10.000 da effettuare
da parte delle pubbliche amministrazioni, qualora INARCASSA
si sia attivata per la riscossione dei contributi insoluti.
L'art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973, introdotto dall'art. 2,
comma 9, D.L. n. 262/2006, convertito con modificazioni,
dalla L. n. 286/2006, stabilisce, infatti, che 'le
amministrazioni pubbliche e le società a prevalente
partecipazione pubblica, prima di effettuare a, qualunque
titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila
euro, verificano, anche in via telematica, se il
beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento
derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento
per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e,
in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano
la circostanza all'agente della riscossione competente per
territorio, ai fini dell'esercizio dell'attività di
riscossione delle somme iscritte a ruolo'.
---------------
[1] Il parere è consultabile sul sito della Regione
Friuli Venezia Giulia, all'indirizzo web: http://autonomielocali.regione.fvg.it/
[2] L'art. 6 in parola definisce il documento unico di
regolarità contributiva , a tutela dei lavoratori, in
particolare il regime del Documento unico di regolarità
contributiva (DURC). Detta norma definisce, inoltre, ai
commi 3 e 4, le fasi in cui le amministrazioni
aggiudicatrici acquisiscono d'ufficio il documento unico di
regolarità contributiva in corso di validità.
L'art. 4, comma 2, in commento, prevede che nelle ipotesi in
cui il DURC acquisito riveli un'inadempienza contributiva
relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del
contratto, le amministrazioni aggiudicatrici trattengono dal
certificato di pagamento l'importo corrispondente
all'inadempienza e dispongono il pagamento di quanto dovuto
direttamente agli enti previdenziali e assicurativi.
[3] L'art. 90, comma 7, in commento, impone la verifica
della regolarità contributiva in relazione alla fase di
affidamento dell'incarico, senza recare ulteriori
disposizioni per l'intervento sostitutivo della stazione
appaltante in caso di inadempienza contributiva.
[4] Cfr. AVCP, ora ANAC, parere n. 26 del 06.10.2011. Sempre
nel senso della non sostenibilità di un'applicazione
analogica delle disposizioni in tema di intervento
sostitutivo della stazione appaltante anche per
l'irregolarità contributiva accertata verso INARCASSA, si è
espressa anche l'ANCI, parere del 28.01.2015.
[5] Per completezza di esposizione, si segnala che INARCASSA,
chiamata ad esprimersi sull'intervento sostitutivo in suo
favore da parte della stazione appaltante, nel rilevare che
detto istituto è previsto dalla legge in caso di
irregolarità contributiva accertata verso INPS, INAIL e
Casse Edili, si è dichiarata disponibile a ricevere le somme
a copertura dei crediti contributivi da essa vantati,
qualora la stazione appaltante ritenga di procedere in tal
senso, previo accordo del professionista interessato (v.
nota n. 96 del 12.03.2014) (23.09.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Diplomati
tecnici in forse. Accesso al tirocinio a misura di
professione.
Le posizioni delle categorie in attesa di
chiarimenti di Miur e Giustizia.
Nuovi diplomati tecnici appesi a un
filo. O meglio, in balia dei ministeri della giustizia e
dell'istruzione.
Dopo la circolare con cui il Miur ha fissato nel IV livello
di qualifica europeo (Eqf) le competenze rilasciate dal
nuovo titolo di istruzione tecnica, i ragazzi che a luglio
scorso sono entrati in possesso del diploma stanno andando
incontro a sorti differenti (si veda ItaliaOggi del
28.08.2015).
A seconda della categorie interessate (periti industriali,
geometri, periti agrari e agrotecnici) le soluzioni proposte
per le iscrizioni ai tirocini cambiano. Almeno per ora. Il
22 settembre prossimo, infatti, presso il Miur è in
programma un incontro interlocutorio tra i presidenti delle
categorie e i funzionari che si stanno occupando della
vicenda nella speranza che anche il dicastero del ministro
Andrea Orlando si faccia sentire. In attesa, però, che la
politica faccia il suo corso le categorie hanno dovuto
scegliere quale strada percorre.
Divisi tra coloro che ritengono che il contenuto della
circolare non imponga alcun tipo di restrizione e coloro che
invece ritengono che la circolare metta un punto ad una
questione su cui il Miur aveva sempre taciuto, in ballo c'è
il futuro di migliaia di ragazzi in fila per le iscrizioni.
E se i neodiplomati in questione sono aspiranti periti
agrari la risposta che si sentiranno dare è un «forse».
Come, infatti, ha sottolineato il presidente del Centro
studi Aspera (Associazione periti agrari) Andrea Bottaro, «è
necessario che i ragazzi abbiano pazienza. Posto che secondo
noi i neodiplomati non hanno effettivamente i requisiti per
l'accesso al tirocinio in quanto, di fatto, non in possesso
del titolo di periti agrari perché il nuovo diploma non lo
prevede, stiamo mettendo in piedi una confronto con il
ministero della giustizia affinché questi giovani possano
usufruire dell'equivalenza del titolo», ha spiegato
Bottaro, «così facendo, in un secondo momento potremo,
prima farli iscrivere al tirocinio e, successivamente, fare
arrivare i ragazzi ad un livello di preparazione tale da
permettergli di fare l'esame finale». Per ora, quindi,
tutti in fila in attesa. Situazione diversa, invece, quella
dei periti industriali che ritengono che la circolare non
lascia dubbi di sorta circa l'impossibilità di far accedere
i ragazzi al tirocinio.
«Al momento abbiamo dato l'input ai nostri uffici di non
accettare le iscrizioni dei neodiplomati», ha spiegato a
ItaliaOggi il presidente del Consiglio nazionale dei periti
industriali e dei periti industriali Laureati, Giampiero
Giovannetti, «fino a che non arriveranno chiarimenti dai
ministeri le porte sono chiuse. Non possiamo, infatti,
correre il rischio di far iscrivere dei ragazzi e poi dover
dire loro a percorso iniziato che non possono più avere
accesso all'esame perché privi dei requisiti necessari».
Strade percorribili, quindi, o l'iscrizione all'università o
un percorso presso gli istituti tecnici superiori, con tutte
le conseguenze del caso. Ipotesi diametralmente opposta,
quella di geometri e agrotecnici. Per entrambi, infatti, se
pur con motivazioni differenti non sussistono dubbi di sorta
circa la possibilità di fare iscrivere i ragazzi
neodiplomati.
«Per quanto riguarda la nostra categoria», ha
spiegato a ItaliaOggi il presidente del Consiglio nazionale
geometri e geometri laureati Maurizio Savoncelli, «i
riferimenti normativi sono chiari ( dpr 328/2010 e legge
75/1985) e ci danno la possibilità di far iscrivere senza
nessun problema i ragazzi al praticantato. Esiste, infatti,
raccordo normativo tra il vecchio e il nuovo diploma».
Per gli aspiranti geometri, quindi, nessun problema e
iscrizioni aperte. Stessa sorte, infine, anche per gli
aspiranti agrotecnici
(articolo ItaliaOggi
del 17.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it). |
agosto 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
La colpevolezza degli Organi politici, che
hanno posto in essere provvedimenti ritenuti forieri di
danno, può non assurgere a gravità perseguibile, nel caso in
cui gli stessi abbiano adottato le contestate decisioni
sulla base del parere di un organo tecnico.
---------------
Il Collegio rileva la sussistenza di tutti gli elementi
costitutivi della responsabilità amministrativa nei
confronti degli odierni convenuti
giusti i profili di antigiuridicità delle condotte poste
in essere dagli stessi laddove si è contravvenuto alle
disposizioni del Regolamento del Comune il quale precisa che “in caso di
mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone
l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno
successivo”.
---------------
Il caso in esame
risulta riconducibile al comma 1 dell’art. 110 dlgs n.
267/2000, riferendosi all’affidamento di un posto di
funzioni già previsto in pianta organica.
Infatti, la riconducibilità del caso di specie all’ipotesi
disciplinata al comma 1 dell’art. 110 del TUEL è peraltro
affermata nella stessa iniziale
delibera n. 167/2011 di conferimento dell’incarico alla Lo.
ove si precisa che “… si rende
necessario provvedere all’individuazione ed al conferimento
dell’incarico di responsabile dell’Area Tecnica”.
Pertanto, rientrando la fattispecie in
esame nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 110
TUEL, molteplici appaiono i profili di illegittimità che
hanno caratterizzato la condotta dei convenuti.
Comunque, anche prescindendo dal fatto che si applichi al
caso di specie il comma 1 e non il comma 2 dell’art. 110 del
TUEL, è indubbio che nell'individuazione
dei soggetti cui conferire un incarico ai sensi di tale
articolo di legge siano insuperabili i fondamentali canoni
di legittimità, imparzialità e buon
andamento, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione,
in ragione dei quali, pur essendo insiti in tali procedure
il carattere della discrezionalità ed un margine più o meno
ampio di fiduciarietà, è indispensabile che le
amministrazioni assumano la relativa determinazione con una
trasparente ed oggettiva valutazione della professionalità
del soggetto affidatario che non può basarsi su valutazioni
meramente soggettive, ma deve essere ancorata quanto più
possibile a circostanze oggettive.
L'esigenza di operare scelte discrezionali
ancorate a parametri quanto più possibili oggettivi e
riscontrabili evidenzia l'opportunità che le amministrazioni
si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali
per l'affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi.
Ciò al fine di consolidare anche in questo ambito la
trasparenza e ridurre le possibilità di contenzioso.
Tale convincimento si fonda anche su costante giurisprudenza
della Corte Costituzionale
che ha espresso un chiaro orientamento
volto ad escludere l’esistenza di una “dirigenza di
fiducia” e dunque la possibilità di un’interpretazione
della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta
discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente
cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di
pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure
comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una
procedimentalizzazione dell’iter da seguire.
Con riferimento al caso di specie gli
odierni convenuti, ciascuno secondo il ruolo ricoperto
nell’adozione delle deliberazioni in argomento, hanno,
invece, determinato il conferimento diretto dell’incarico ad personam alla Lo., senza avere preventivamente fissato i
criteri per la selezione e valutazione dei curricula
dei potenziali aspiranti né adottato misure di pubblicità ma
effettuando tale scelta sulla base di una valutazione
personale ampiamente discrezionale.
Appare dunque, in assenza di idonea
motivazione, del tutto irragionevole, quasi al limite della
contraddittorietà, la scelta operata dal Sindaco e dalla
Giunta, con l’assistenza del Segretario comunale di affidare
ad un soggetto estraneo all’Amministrazione le funzioni di
Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pontevico.
---------------
L’ente locale conferente non può far ricorso
all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale
che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa
esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di
assunzione, con conseguente elusione delle disposizioni in
materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche
amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di
personale.
---------------
Si ritiene che il
comportamento tenuto da tutti i convenuti nell’odierno
giudizio sia particolarmente inescusabile e connotato da
colpa grave, alla luce dell’inequivoca normativa di
riferimento e della costante giurisprudenza della Corte
costituzionale e di questa Corte formatasi in materia di
conferimento di incarichi a soggetti estranei
all’Amministrazione.
Risulta di immediata percezione, infatti,
che il carattere indubbiamente fiduciario delle nomine non
può debordare nell’arbitrio ma deve comunque corrispondere a
dei canoni (sindacabili in questa sede) di ragionevolezza e
buona amministrazione.
Pertanto, anche ammettendo l’impossibilità,
indimostrata nell’odierno giudizio, di far fronte al
fabbisogno con professionalità interne, ipotizzate non
idonee, l’acquisizione dall’esterno di tali figure doveva
avvenire previa verifica delle professionalità disponibili,
condotta anche a seguito di idonea pubblicità.
---------------
La rimanente quota del 10% di danno erariale addebitabile al Revisore dei
conti per il parere favorevole fornito ai sensi del comma 42
dell’art. 1 della legge n. 311/2004 sulla delibera n.
35/2012, dovrà restare a carico della collettività,
stante la mancata citazione nei confronti di questi ultimi.
---------------
---------------
Passando ora al caso di specie va rilevato che il conflitto
esistente fra la posizione degli amministratori (Bo.,
Gu. e Fr.) rispetto a quella del Responsabile pro
tempore del Servizio Finanziario dell’Ente (Ma.), non è
solo “virtuale”, ma concreto ed è rilevabile dagli
atti del processo.
Infatti, ad esempio, nella delibera n. 5 del 10.01.2012, con
cui veniva prorogato l’incarico di Responsabile di P.O.
all’Arch. Lo. per il periodo gennaio-dicembre 2012, si
premette che tale decisione è stata adottata dopo aver “visto,
altresì, il parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49
del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza,
dalla dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile
del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile
sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”.
Tanto precisato, secondo consolidata giurisprudenza di
questa Corte, la colpevolezza degli Organi politici, che
hanno posto in essere provvedimenti ritenuti forieri di
danno, può non assurgere a gravità perseguibile, nel caso in
cui gli stessi abbiano adottato le contestate decisioni
sulla base del parere di un organo tecnico.
Pertanto, tenuto conto che la Ma., Responsabile del
Settore Finanziario, si è costituita congiuntamente ai
Membri della Giunta Comunale (Bo., Fr. e Gu.),
con unica memoria del medesimo difensore (Do.Be.),
il conflitto di interessi tra i convenuti appare evidente e
reale e ciò comporta –per pacifica e risalente
giurisprudenza– la nullità della costituzione in giudizio e
la conseguente contumacia dei convenuti (cfr. in proposito
Cass. Sez. III n. 2779/68).
Nel merito il Collegio deve per prima cosa precisare che
con
riguardo all’affidamento dell’incarico all’Architetto
An.Lo. si rileva che:
- tale incarico è stato affidato al menzionato Architetto
con delibera n. 167/2011 della Giunta comunale di Pontevico,
costituendo così per il periodo dal 29 agosto al 31.12.2011
“… in applicazione dell’art. 110, comma 2, del D.Lgs. n.
267/2000, un rapporto lavorativo a tempo determinato, di
diritto privato, al di fuori della dotazione organica,
consistente nell’attribuzione della responsabilità dell’Area
Tecnica …”, in conseguenza del fatto che l’Ingegnere
Em.Ro. aveva “… presentato formale rinuncia a
ricoprire …” tale area;
- il trattamento economico complessivo risulta pari ad “…
euro 1.300,00, riferito a n. 8 ore di servizio settimanale”,
oltre all’incremento “… nella misura del 4% a titolo di
contributo previdenziale e del 20% quale imponibile IVA”;
- tale delibera è stata emessa tenendo conto anche dei “…
pareri favorevoli espressi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Segretario
Comunale, in qualità di Responsabile dell’Area
Amministrativa e di Responsabile dell’Area Finanziaria …”
e dell’attestazione di copertura finanziaria rilasciata nel
caso di specie sempre dal Segretario Comunale;
- il provvedimento in esame è stato deliberato nella
riunione della Giunta Comunale del 16.08.2011 presieduta dal
Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed
unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Mi. ed
al Gu. (cfr. all. n. 1 del fascicolo della Procura);
- con successiva delibera n. 5/2012 l’incarico affidato alla
Lo. veniva prorogato per tutto l’anno 2012 stabilendo il
medesimo importo e le stesse ore settimanali già individuati
nella precedente delibera;
- in tale provvedimento si è tenuto conto anche del “…
parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal Segretario
Comunale, in qualità di Responsabile dell’Area
Amministrativa in ordine alla regolarità tecnica sulla
proposta di deliberazione di cui all’oggetto …” e “…
della dott.ssa Ma.St., in qualità di Responsabile
del Servizio Finanziario in ordine alla regolarità contabile
sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta
Comunale del 10.01.2012 presieduta dal Gu. nella
sua qualità di Vice Sindaco con voti favorevoli ed unanimi
espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al
Mi. ed al Re. (cfr. all. n. 2 del fascicolo
della Procura);
- con delibera n. 64/2012 è stato deciso che
per il periodo
intercorrente dal 1° aprile al 31.12.2012 l’orario di lavoro
settimanale della Lo. fosse aumentato da 8 a 12 con
conseguente aumento dell’importo mensile da corrispondere
per euro 2.400,00 oltre al 4% a titolo di contributo
previdenziale ed al 21% per IVA;
- in tale provvedimento si è tenuto conto anche del “…
parere favorevole espresso ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dall’arch. Lo.An., Responsabile dell’Area Tecnica, in ordine alla
regolarità tecnica sulla proposta di deliberazione di cui
all’oggetto …” e “… della dott.ssa Ma.St.,
in qualità di Responsabile del Servizio Finanziario in
ordine alla regolarità contabile sulla proposta di
deliberazione di cui all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta
Comunale del 27.03.2012 presieduta dal Bo. nella sua
qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi
da quest’ultimo unitamente al Fr., al Gu., al
Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 3 del fascicolo della
Procura);
- infine, con delibera n. 165/2012 l’incarico della Loda
veniva prorogato per tutto il 2013 con le medesime
condizioni di tempo di impiego (12 ore settimanali) ed
economiche (euro 2.400,00
oltre al 4% a titolo di contributo previdenziale ed al 21%
per IVA), già individuate nella precedente delibera;
- anche in questo caso per la formazione di tale delibera
si
è tenuto conto sempre del “… parere favorevole espresso
ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per
quanto di competenza, dall’arch. Lo.An.,
Responsabile dell’Area Tecnica, in ordine alla regolarità
tecnica sulla proposta di deliberazione di cui all’oggetto …”
e “… della dott.ssa Ma.St., in qualità di
Responsabile del Servizio Finanziario in ordine alla
regolarità contabile sulla proposta di deliberazione di cui
all’oggetto”;
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta
Comunale del 18.12.2012 presieduta dal Bo. nella sua
qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi
da quest’ultimo unitamente al Fr., al Mi., al Gu., al Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 4 del
fascicolo della Procura).
Per quanto poi riguarda la posizione della Geometra Ti.Az. si rileva invece che:
- con delibera n. 35/2012 la Giunta comunale di Pontevico ha
affidato alla menzionata Geometra “… l’incarico di
prestazione d’opera intellettuale al fine dell’espletamento
delle attività legate al settore edilizia privata ed
urbanistica …” in considerazione del fatto che “il
dipendente Ing. Em.Ro. ha presentato domanda di
mobilità in data 30/01/2012”;
- il trattamento economico risulta pari ad euro 28,00
all’ora incluso IVA ed oneri previdenziali per n. 8 ore
settimanali;
- tale delibera è stata emessa tenendo conto anche dei “…
pareri favorevoli espressi ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, per quanto di competenza, dal
Responsabile dell’Area Tecnica, arch. Lo.An. e dal
Responsabile dell’Ufficio Ragioneria, Ma. dott.ssa
St., in ordine –rispettivamente– alla regolarità
tecnica e contabile sulla proposta di deliberazione di cui
all’oggetto";
- il provvedimento in esame è stato deliberato nella
riunione della Giunta Comunale del 31.01.2012 presieduta dal
Bo. nella sua qualità di Sindaco con voti favorevoli ed
unanimi espressi da quest’ultimo unitamente al Fr., al Gu. ed al Re. (cfr. all. n. 5 del fascicolo della
Procura);
- da ultimo, con delibera n. 166/2012 l’incarico della
Az. veniva prorogato per tutto il 2013 con le medesime
condizioni di tempo di impiego (8 ore settimanali) ed
economiche (euro 28,00 all’ora incluso IVA ed oneri
previdenziali), già individuate nella precedente delibera;
- anche in questo caso per la formazione di tale delibera
si
è tenuto conto sempre dei “… pareri favorevoli espressi
ai sensi dell’art. 49 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, per
quanto di competenza, dal Responsabile dell’Area Tecnica,
arch. Lo.An. e dal Responsabile dell’Ufficio
Ragioneria, Ma. dott.ssa St., in ordine
–rispettivamente– alla regolarità tecnica e contabile sulla
proposta di deliberazione di cui all’oggetto";
- tale delibera è stata adottata nella riunione della Giunta
Comunale del 18.12.2012 presieduta dal Bo. nella sua
qualità di Sindaco con voti favorevoli ed unanimi espressi
da quest’ultimo unitamente al Fr., al Mi., al Gu., al Re. ed al Pi. (cfr. all. n. 5.1 del
fascicolo della Procura).
Tanto premesso, per entrambe le posizioni sopra
dettagliatamente descritte
il Collegio rileva la sussistenza
di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità
amministrativa nei confronti degli odierni convenuti.
Ora prima di esaminare distintamente per posizione (Lo. e Az.) i profili di antigiuridicità delle condotte poste
in essere dagli odierni convenuti va rilevato a fattor
comune che il Regolamento del Comune di Pontevico all’art.
2, punto 6) precisa che “in caso di
mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone
l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno
successivo”.
Pertanto, considerato che l’incarico è stato affidato alla
Lo. il 29.08.2011 e alla Az. il 31.01.2012, poi
entrambi prorogati nelle successive annualità,
deve rilevarsi,
come peraltro evidenziato nella
delibera
20.02.2014 n. 83 e
nella
delibera 20.02.2014 n. 84 della Sezione
di Controllo per la Regione Lombardia “… la
mancanza del presupposto di legittimità per l’affidamento di
incarichi per gli esercizi 2012 e 2013, in palese violazione
del regolamento comunale” atteso che “… il comune di
Pontevico, mediante elusione, non ha rispettato il Patto di
stabilità per l’anno 2010 (così come accertato dalla
deliberazione di questa Sezione n. 409/2012/PRSE depositata
il 25/09/2012, con corredo sanzionatorio per l’anno 2013) ed
ha violato il Patto di stabilità per l’anno 2011 (delibera
n. 293/2013/PRSE depositata il 25/06/2013, con applicazione
delle sanzioni per l’anno 2012, susseguente la violazione)”.
Tanto precisato, con riguardo all’incarico affidato
all’Architetto Lo. deve evidenziarsi, ai fini del corretto
inquadramento della vicenda in esame, che l’art. 110, commi
1, 2 e 3 del TUEL, D.lgs. n. 267/2000 –nel testo precedente
le modifiche apportate dal D.L. 24.06.2014, n. 90– così
disponeva: "1. Lo statuto può prevedere che la copertura
dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di
qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa
avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto
pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di
diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla
qualifica da ricoprire;
2. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei
servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza,
stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della dotazione organica,
contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte
specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per
la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in
misura complessivamente non superiore al 5 per cento del
totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area
direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti,
il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo
in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno
dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte
specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi
restando i requisiti richiesti per la qualifica da
ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura
complessivamente non superiore al 5 per cento della
dotazione organica dell'ente arrotondando il prodotto
all'unità superiore, o ad una unità negli enti con una
dotazione organica inferiore alle 20 unità;
3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere
durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del
presidente della provincia in carica. Il trattamento
economico, equivalente a quello previsto dai vigenti
contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale
degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento
motivato della giunta, da una indennità ad personam,
commisurata alla specifica qualificazione professionale e
culturale, anche in considerazione della temporaneità del
rapporto e delle condizioni di mercato relative alle
specifiche competenze professionali. Il trattamento
economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti
in stretta correlazione con il bilancio”.
Alla luce del riportato testo normativo, appare ora
necessario esaminare le due distinte previsioni di cui al
primo ed al secondo comma del citato art. 110.
Il diverso ambito di applicazione delle due ipotesi,
oltre a risultare evidente dal dato letterale, riferendosi
un caso alla copertura di posti di responsabile di
area amministrativa “già in organico”, l’altro
ai contratti a tempo determinato stipulati “al di fuori
della dotazione organica”, è chiarito anche dalle
SS.RR. di questa Corte che in sede di controllo
(Del. nn. 12 e 13 del 2011) si sono
pronunciate in ordine alla diretta applicabilità agli enti
territoriali, limitatamente al conferimento degli incarichi
dirigenziali a contratto previsti dall’art. 110, comma 1,
TUEL, delle disposizioni contenute nell’art. 19, commi 6 e
6-bis, del d.lgs. 165/2011 ed hanno avuto modo di definire
quella al comma 2 come “una fattispecie del tutto diversa
da quella disciplinata dal comma precedente, in quanto volta
a sopperire, ad esigenze gestionali straordinarie che, sole,
determinano l’opportunità di affidare funzioni, anche
dirigenziali, extra ordinem e quindi al di là delle
previsioni della pianta organica dell’Ente locale”.
Tanto precisato, il caso in esame risulta più correttamente
riconducibile al comma 1 dell’art. 110, riferendosi
all’affidamento di un posto di funzioni già previsto in
pianta organica.
Infatti, la riconducibilità del caso di specie all’ipotesi
disciplinata al comma 1 dell’art. 110 del TUEL è peraltro
affermata –contraddittoriamente con le motivazioni delle
delibere sopra richiamate e con le prospettazioni difensive
opposte nell’odierno giudizio– nella stessa iniziale
delibera n. 167/2011 di conferimento dell’incarico alla Lo.
ove si precisa che “… si rende
necessario provvedere all’individuazione ed al conferimento
dell’incarico di responsabile dell’Area Tecnica”.
Pertanto, rientrando la fattispecie in
esame nell’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 110
TUEL, molteplici appaiono i profili di illegittimità che
hanno caratterizzato la condotta dei convenuti.
Comunque, anche prescindendo dal fatto che si applichi al
caso di specie il comma 1 e non il comma 2 dell’art. 110 del
TUEL, è indubbio che nell'individuazione
dei soggetti cui conferire un incarico ai sensi di tale
articolo di legge siano insuperabili i fondamentali canoni
di legittimità, imparzialità e buon
andamento, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione,
in ragione dei quali, pur essendo insiti in tali procedure
il carattere della discrezionalità ed un margine più o meno
ampio di fiduciarietà, è indispensabile che le
amministrazioni assumano la relativa determinazione con una
trasparente ed oggettiva valutazione della professionalità
del soggetto affidatario che non può basarsi su valutazioni
meramente soggettive, ma deve essere ancorata quanto più
possibile a circostanze oggettive.
L'esigenza di operare scelte discrezionali
ancorate a parametri quanto più possibili oggettivi e
riscontrabili evidenzia l'opportunità che le amministrazioni
si dotino preventivamente di un sistema di criteri generali
per l'affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi.
Ciò al fine di consolidare anche in questo ambito la
trasparenza e ridurre le possibilità di contenzioso.
Tale convincimento si fonda anche su costante giurisprudenza
della Corte Costituzionale
(sentenze n. 103 e 104 del 2007 e sentenza n. 161 del 2008)
che ha espresso un chiaro orientamento
volto ad escludere l’esistenza di una “dirigenza di
fiducia” e dunque la possibilità di un’interpretazione
della normativa vigente nel senso di ammettere la scelta
discrezionale, senza limiti, dei soggetti esterni all’ente
cui conferire gli incarichi, nonché la necessità di forme di
pubblicità che assicurino la trasparenza, procedure
comparative anche non concorsuali, richiedendo quindi una
procedimentalizzazione dell’iter da seguire.
Con riferimento al caso di specie gli
odierni convenuti, ciascuno secondo il ruolo ricoperto
nell’adozione delle deliberazioni in argomento, hanno,
invece, determinato il conferimento diretto dell’incarico ad personam alla Lo., senza avere preventivamente fissato i
criteri per la selezione e valutazione dei curricula
dei potenziali aspiranti né adottato misure di pubblicità ma
effettuando tale scelta sulla base di una valutazione
personale ampiamente discrezionale.
Appare dunque, in assenza di idonea
motivazione, del tutto irragionevole, quasi al limite della
contraddittorietà, la scelta operata dal Sindaco e dalla
Giunta, con l’assistenza del Segretario comunale di affidare
ad un soggetto estraneo all’Amministrazione le funzioni di
Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Pontevico.
Passando ora all’incarico affidato alla Az. è
sufficiente sul punto fare integrale richiamo agli
innumerevoli profili di illegittimità individuati dalla
delibera 20.02.2014 n. 84 della Sezione regionale di Controllo Lombardia
e condivisibilmente rilevati anche per l’incarico
alla Loda con la
delibera
20.02.2014 n. 83 sempre della stessa Sezione
regionale.
In particolare, in quella sede per entrambi gli incarichi è
stata eccepita la violazione dell’art. 7 TUPI nella parte in
cui “… impone lo svolgimento di procedure comparative per
l’affidamento di ogni incarico …” e relativamente “…
alla durata dell’incarico e al contenuto delle mansioni
affidate esternamente”.
Nello specifico per entrambe le posizioni è stato affermato
che “… non è riscontrabile il
presupposto di eccezionalità, in quanto la necessità di un
dipendente con professionalità tecniche per l’ente locale
rappresenta una esigenza organizzativa che si configura come
permanente. Ne consegue che l’ente locale conferente non può
far ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei
per lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a
personale che dovrebbe essere previsto in organico,
altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una
forma atipica di assunzione, con conseguente elusione delle
disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle
Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della
spesa di personale”
(cfr.
delibera
20.02.2014 n. 83
e
delibera 20.02.2014 n. 84 Sez. Regionale Controllo Lombardia).
Occorre ora valutare se le condotte finora descritte siano
frutto di comportamenti dolosi o gravemente colposi che
hanno prodotto danno all’erario comunale.
In proposito, si ritiene che il
comportamento tenuto da tutti i convenuti nell’odierno
giudizio sia particolarmente inescusabile e connotato da
colpa grave, alla luce dell’inequivoca normativa di
riferimento e della costante giurisprudenza della Corte
costituzionale e di questa Corte formatasi in materia di
conferimento di incarichi a soggetti estranei
all’Amministrazione.
Risulta di immediata percezione, infatti,
che il carattere indubbiamente fiduciario delle nomine non
può debordare nell’arbitrio ma deve comunque corrispondere a
dei canoni (sindacabili in questa sede) di ragionevolezza e
buona amministrazione.
Pertanto, anche ammettendo l’impossibilità,
indimostrata nell’odierno giudizio, di far fronte al
fabbisogno con professionalità interne, ipotizzate non
idonee, l’acquisizione dall’esterno di tali figure doveva
avvenire previa verifica delle professionalità disponibili,
condotta anche a seguito di idonea pubblicità.
In relazione alla sussistenza del danno e alla sua
quantificazione, secondo la Procura esso in fattispecie
consiste nella retribuzione lorda, pari ad euro 99.870,77,
che il Comune di Pontevico ha corrisposto complessivamente
alla Lo. e alla Az. per effetto del conferimento e
delle successive proroghe dei due incarichi.
Tale importo è stato addebitato agli odierni convenuti e per
la ripartizione delle relative quote ne sono stati
ipotizzati i criteri, come in fatto riportati.
Tutto ciò premesso, prima dell’individuazione della
percentuale di responsabilità dei convenuti, il Collegio
deve valutare la fondatezza dell’eccezione difensiva per cui
dal danno erariale, come prospettato dalla Procura, dovrebbe
essere detratta l’utilitas comunque conseguita
dall’Amministrazione comunale, ipotizzata in via subordinata
dai convenuti.
Nel caso specifico, considerato che nel loro complesso i due
incarichi consentivano di svolgere in sostanza le medesime
funzioni che l’Ing. Ro. svolgeva per dovere
istituzionale alle dipendenze dell’Amministrazione comunale
(prima della formale rinuncia di quest’ultimo a ricoprire la
P.O. dell’Area Tecnica e del suo trasferimento per mobilità
volontaria), ne deriva la ricorrenza dei presupposti per
riconoscere l’utilità delle attività comunque svolte in
esecuzione degli incarichi in esame a vantaggio del Comune
di Pontevico. Inoltre, poiché detta utilità è conseguenza
immediata e diretta dello stesso fatto causativo
dell'addebito contestato, la stessa deve considerarsi come
un vantaggio economicamente valutabile (cfr. Sez. Emilia
Romagna n. 874 del 19.03.2002 e n. 12 del 19.01.1998; Sez. III n. 126 dell’11.05.1998; Sez. Lombardia n. 1000 del
24.06.1998).
Tale utilità, si precisa tuttavia, non è idonea, come invece
vorrebbero le difese dei convenuti, ad elidere integralmente
il pregiudizio patrimoniale causato al Comune di Pontevico.
Di conseguenza, operando una valutazione equitativa delle
prestazioni svolte dall’Architetto Lo. e dalla Geometra Az. per l’Amministrazione danneggiata e tenuto conto
dei vantaggi da questa conseguiti in conseguenza degli
incarichi illegittimi, si ritiene equo determinare il danno
nell’importo complessivo di euro 30.000,00 comprensivo di
rivalutazione monetaria. Detto importo tiene conto delle
retribuzioni che in ogni caso il Comune avrebbe dovuto
erogare in favore del funzionario destinato a svolgere
quelle mansioni.
Pertanto, ferma restando la quantificazione generale del
danno così rideterminata, la ricostruzione sin qui svolta
induce a ritenere che, per quanto attiene al Sindaco Bo.,
il suo ruolo sia stato preminente rispetto agli altri
componenti della Giunta, avendo sia per la Lo. che per l’Az.
presieduto, votando in senso favorevole, le sedute che hanno
deliberato l’affidamento dei rispettivi incarichi; ad esso,
pertanto, deve essere imputato il 20% del danno anche in
considerazione del fatto che ha presieduto, votando sempre
in senso favorevole, anche le sedute di Giunta che hanno
prorogato tali incarichi ad eccezione di quella tenutasi in
data 10.01.2012 che ha visto la proroga dell’incarico
affidato alla Lo. per tutto il 2012 e per la quale è
risultato assente. Inoltre, si aggiunga anche il fatto che
sempre il Bo. ha firmato in rappresentanza del Comune di
Pontevico i disciplinari di incarico in esecuzione delle
delibere in esame.
Per quanto poi riguarda il Vice Sindaco Gu. (presente a
tutte le sedute che hanno dato luogo sia all’affidamento
degli incarichi sia ai successivi rinnovi e votante in
tutte, in senso favorevole) e l’Assessore Fr. (assente
solo nella seduta di Giunta del 16.08.2011 che ha
determinato con delibera n. 167/2011 il conferimento
dell’incarico alla Lo. e presente, nonché votante in senso
favorevole in tutte le altre sedute) il Collegio ritiene che
l’acritica ratifica delle decisioni portate all’attenzione
degli organi collegiali abbia contribuito al verificarsi del
pregiudizio accertato e debba essere sanzionata con
l’addebito rispettivamente del 10% al Gu. e del 5% al
Fr. del danno erariale così come sopra complessivamente
quantificato.
La rimanente quota del 15% addebitabile agli altri
componenti della Giunta regionale (Mi., Re. e
Pi.) presenti (in particolare solo Mi. per la
delibera n. 167/2011; Mi. e Re. per la delibera
n. 5/2012; Re. per la delibera n. 35/2012; Re. e
Pi. per la delibera n. 64/2012; Mi., Re. e
Pi. per la delibera 165/2012 e sempre Mi., Re. e Pi. per la delibera n. 166/2012) nelle
sedute in esame e votanti sempre in senso favorevole, dovrà
restare a carico della collettività, stante la mancata
citazione nei confronti di questi ultimi.
Sussiste altresì la specifica responsabilità sempre per
colpa grave del segretario comunale Lo. avendo questi
vistato tutti i disciplinari di incarico in esecuzione delle
delibere in trattazione e rilasciato:
- per la delibera n. 167/2011 (con cui è stato conferito per
la prima volta l’incarico alla Lo.) il parere favorevole
nella qualità sia di Responsabile dell’Area Amministrativa
che di quella Finanziaria, nonché l’attestazione di
copertura finanziaria;
- per la delibera n. 5/2012 il parere favorevole nella
qualità di Responsabile dell’Area Amministrativa.
Al segretario Lo. deve, quindi, essere imputata, anche
in considerazione della partecipazione attiva solo in due
delibere, una quota pari al 20% del danno riconosciuto.
Per quanto poi riguarda la Dott.ssa Ma. il Collegio
rileva che quest’ultima deve altresì rispondere sempre per
colpa grave avendo questi rilasciato:
- per la delibera n. 5/2012 il parere favorevole in qualità
di Responsabile del Sevizio Finanziario;
- per la delibera n. 35/2012 il parere favorevole in qualità
di Responsabile dell’Ufficio di Ragioneria;
- per la delibera n. 64/2012 il parere favorevole in qualità
di Responsabile del Servizio Finanziario;
- per la delibera n. 165/2012 il parere favorevole in
qualità di Responsabile del Servizio Finanziario;
- per la delibera n. 166/2012 il parere favorevole in
qualità di Responsabile dell’ufficio di Ragioneria.
Pertanto, alla Dott.ssa Ma., considerato il diffuso
apporto tecnico fornito, deve essere imputata una quota pari
al 20% del danno riconosciuto.
La rimanente quota del 10% addebitabile al Revisore dei
conti per il parere favorevole fornito ai sensi del comma 42
dell’art. 1 della legge n. 311/2004 sulla delibera n.
35/2012, dovrà altresì restare a carico della collettività,
stante la mancata citazione nei confronti di questi ultimi.
Di conseguenza il complessivo danno erariale, quantificato
in complessivi euro 30.000,00, deve così imputarsi:
- Bo. la somma di euro 6.000,00 (20% di euro 30.000,00);
- Gu. la somma di euro 3.000,00 (10% di euro
30.000,00);
- Fr. la somma di euro 1.500,00 (5% di euro 30.000,00);
- Lo. la somma di euro 6.000,00 (20% di euro 30.000,00);
- Ma. la somma di euro 6.000,00 (25% di euro 30.000,00).
La condanna alle spese segue la soccombenza anche per i
convenuti dichiarati contumaci, sulla base del consolidato
principio della Corte di Cassazione secondo cui “l’individuazione
del soccombente si fa in base al principio di causalità, con
la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre
le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che,
col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col
darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non
rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo
protrarsi” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7182 del
30/05/2000 e recentemente Cass. Civ. Sez. VI Ordinanza n.
373 del 13.01.2015)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 04.08.2015 n. 142). |
luglio 2015 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Posizione Organizzativa.
Condanna per inutile conferimento di incarico di Posizione
Organizzativa a personale esterno.
I giudici contabili lombardi, pur verificando la conformità
alla legge del conferimento di incarico di Posizione
Organizzativa ad un soggetto esterno, dimostrano l'inutilità
delle funzione conferite, chiamano a rispondere del relativo
danno erariale, equivalenti alle spese inutilmente
sopportate, i soggetti che a vario titolo hanno partecipato
al citato conferimento dell'incarico.
In particolare sono
stati chiamati in ugual misura a rispondere del danno
erariale:
a) il Sindaco, in quanto partecipante in via
prevalente alla citata inutile nomina;
b) il Segretario
Comunale, per aver ricoperto il citato ruolo prima
dell'affidamento dell'incarico senza aver obiettano nulla
sulla sua inutilità;
c) il soggetto percettore
dell'incarico, in quanto in qualità di funzionario dell'ex Ages non poteva non sapere dell'inutilità dell'incarico che
gli veniva conferito.
Infine la parte restante del danno
erariale, pari al 10% delle somme inutilmente spese, è stata
attribuita ai componenti della Giunta Comunale per aver
adottato la deliberazione di conferimento dell'incarico (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza
27.07.2015 n. 134). |
giugno 2015 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Ai fini del legittimo
conferimento degli incarichi esterni il ricorso a procedure
comparative adeguatamente pubblicizzate non può essere
derogato con affidamento diretto per incarichi al di sotto
di una determinata soglia monetaria di spesa. L’eventuale
difforme previsione regolamentare dell’ente deve essere
oggetto di disapplicazione.
Con l’atto di conferimento di
incarico esterno il funzionario che impegna la spesa deve
accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia
compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le
regole di finanza pubblica.
---------------
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”.
---------------
I presupposti di legittimità
per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono
specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001,
n. 165.
I citati presupposti costituiscono la
codificazione di quanto ampiamente affermato dalla
giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti
riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo
da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per
relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare, la disciplina vigente
prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare coerente con le
esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è
stato in proposito chiarito che: “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge”;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di
norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di
proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal
principio costituzionale di buon andamento della pubblica
amministrazione e il conferimento degli incarichi di
consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come
eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un
decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del
ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza
di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare
esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il
rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è
consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare
il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore,
ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di
affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente
determinati durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le
amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, possono conferire incarichi
individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale,
occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a
esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto
dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al d.lgs. 10.09.2003, n. 276,
purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore;
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio
o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di
spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito
con legge. n. 122/2010 e s.m.i.
(salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa
mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da
altri soggetti pubblici o privati); inoltre in sede di
assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi
dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009
convertito dalla legge n. 102/2009, ha l'obbligo di
accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia
compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le
regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di
inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare
ed amministrativa.
---------------
L’obbligo di seguire procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione è
puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla
giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per
la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in
proposito è stato affermato che “il conferimento di
incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve
avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e
non già in base alla sola valutazione di idoneità del
prescelto”.
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato,
in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità
e massima partecipazione:
la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “l'affidamento
di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da
conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione
non può prescindere dal preventivo svolgimento di una
selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata”
ed ancora: “qualsivoglia
pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un
professionista esterno un incarico di collaborazione, di
consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante
qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche
occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una
procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e
adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di
omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione
del servizio".
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto
modo di statuire che: “il comma 6-bis
dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per
le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento di incarichi di
collaborazione, ha in concreto posto la necessità
dell’espletamento della procedura concorsuale, nella
considerazione che un simile modus operandi, implicando il
rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli
operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione
conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità
e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97”.
Pertanto, il ricorso a procedure
comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato
con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla
giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare
urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione
dell’attività discendente dall’incarico”.
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente
chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di
incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una
soglia individuata in valore monetario (o di un numero
massimo di ore della prestazione richiesta al
collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto
non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”,
in particolare agli affidamenti in economia.
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa
Sezione ha già avuto modo
di affermare, esaminando un regolamento comunale che
prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa
pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per
incarichi eccedenti una determinata soglia monetaria, che
una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto
prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come
introdotto dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di
conversione, a mente del quale “Le
amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche,
secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza
lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di
sotto delle quali le procedure comparative non sono
necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “Va
aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti
sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza
ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo
riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti
pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui,
quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va
quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve
essere generalizzato, salve circostanze del tutto
particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura
concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione
sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.)”.
In proposito occorre evidenziare quindi che
non risulta compatibile con il vigente quadro
normativo la disciplina prevista dal regolamento dell’ente
camerale del 11.07.2008 (art. 7, lett. b),
peraltro non oggetto di approvazione con deliberazione
collegiale di questa Sezione, secondo cui
sarebbe possibile procedere ad affidamenti senza procedura
di comparazione per incarico di ammontare sino ad €
5.000,00, oltre IVA ed eventuali oneri obbligatori.
Conseguentemente l’ente camerale avrebbe dovuto
correttamente, previa disapplicazione della citata
previsione regolamentare, provvedere ad individuare
l’incaricato a seguito di procedura comparativa pubblica, in
conformità con l’art. 7, comma 6-bis, d.lgs. n. 165/2001.
---------------
I.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo complessivo superiore a cinquemila
euro devono essere trasmessi alla competente sezione della
Corte dei conti per l'esercizio del controllo successivo
sulla gestione.
La finalità di tale previsione normativa è riconducibile
all’accertamento, di tipo collaborativo, da parte della
Corte, dell’idoneità dell’attività amministrativa posta in
essere dagli enti controllati a raggiungere determinati
risultati, attraverso una verifica della sua efficacia,
efficienza ed economicità, che non può comunque prescindere
da un riscontro della conformità della stessa a norme
giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”
(Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge
dell’incarico conferito dalla Camera di Commercio occorre
rammentare che i presupposti di legittimità
per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono
specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001,
n. 165 (Norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la
codificazione di quanto ampiamente affermato dalla
giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti
riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo
da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per
relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in
tal senso, si richiama il
parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione.
In particolare, la disciplina vigente
prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare coerente con le
esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è
stato in proposito chiarito che: “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge”
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg.
Lombardia, n. 244/2008);
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di
norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di
proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal
principio costituzionale di buon andamento della pubblica
amministrazione e il conferimento degli incarichi di
consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come
eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un
decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del
ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza
di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare
esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il
rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è
consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare
il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore,
ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di
affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente
determinati durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le
amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, possono conferire incarichi
individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale,
occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a
esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto
dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al d.lgs. 10.09.2003, n. 276,
purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore;
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio
o di consulenza occorre altresì osservare i limiti di
spesa introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito
con legge. n. 122/2010 e s.m.i.
(salve particolari ipotesi: es. la copertura della spesa
mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da
altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte
parere 25.10.2013 n. 362); inoltre in sede di
assunzione dell’impegno di spesa il funzionario, ai sensi
dell’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009
convertito dalla legge n. 102/2009, ha l'obbligo di
accertare preventivamente che il programma dei pagamenti sia
compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le
regole di finanza pubblica, salvo incorrere, in caso di
inosservanza di tale obbligo, in responsabilità disciplinare
ed amministrativa.
II.
Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di
legittimità per il conferimento dell’incarico occorre
evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti con la
nota pervenuta il 24.04.2015, solo con riferimento ad alcuni
aspetti oggetto di rilievo risultano essere state fornite
indicazioni o chiarimenti atti a giustificare sotto un
profilo di regolarità e legittimità l’operato
dell’amministrazione.
In particolare è stata fornita puntuale indicazione circa
l’avvenuta pubblicazione dell’incarico conferito sul sito
web dell’amministrazione e circa il rispetto dei limiti di
spesa fissati dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010. Non adeguate
risultano invece le giustificazioni inerenti l’affidamento
dell’incarico in via diretta e l’accertamento preventivo
della compatibilità con i vincoli finanziari del programma
di spesa.
1. In primo luogo va rilevato che
l’obbligo di seguire procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione è
puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7
D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla
giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per
la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in
proposito è stato affermato che “il conferimento di
incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve
avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e
non già in base alla sola valutazione di idoneità del
prescelto”
(TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato,
in ossequio ai principi generali di trasparenza, pubblicità
e massima partecipazione:
la giurisprudenza amministrativa ha poi ricordato che “l'affidamento
di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da
conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione
non può prescindere dal preventivo svolgimento di una
selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata”
(Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed ancora: “qualsivoglia
pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un
professionista esterno un incarico di collaborazione, di
consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante
qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche
occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una
procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e
adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di
omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione
del servizio”
(TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte Conti sez.
reg. contr. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37;
parere 27.11.2012 n. 509 che ribadiscono i principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto
modo di statuire che: “il comma 6-bis
dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per
le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento di incarichi di
collaborazione, ha in concreto posto la necessità
dell’espletamento della procedura concorsuale, nella
considerazione che un simile modus operandi, implicando il
rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli
operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione
conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità
e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97”
(Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità
Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione
delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto, il ricorso a procedure
comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato
con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla
giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare
urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione
dell’attività discendente dall’incarico”
(ex plurimis,
parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente
chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di
incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una
soglia individuata in valore monetario (o di un numero
massimo di ore della prestazione richiesta al
collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto
non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”,
in particolare agli affidamenti in economia
(Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37; Sez.
contr. Prov. Trento, n. 2/2010 e n. 8/2010; cfr le recenti Sez.
contr. reg. Piemonte
parere 25.10.2013 n. 362;
parere 19.12.2013 n. 421).
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa
Sezione (parere
20.12.2012 n. 5) ha già avuto modo
di affermare, esaminando un regolamento comunale che
prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa
pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per
incarichi eccedenti una determinata soglia monetaria, che
una siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto
prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come
introdotto dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di
conversione, a mente del quale “Le
amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche,
secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione”, senza
lasciare spazio all’introduzione di soglie di valore al di
sotto delle quali le procedure comparative non sono
necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “Va
aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti
sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza
ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo
riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti
pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui,
quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va
quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve
essere generalizzato, salve circostanze del tutto
particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura
concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione
sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.)
(cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)”
(cfr. di recente sez. controllo Piemonte,
parere 11.04.2014 n. 11).
In proposito occorre evidenziare quindi che
non risulta compatibile con il vigente quadro
normativo la disciplina prevista dal regolamento dell’ente
camerale del 11.07.2008 (art. 7, lett. b),
peraltro non oggetto di approvazione con deliberazione
collegiale di questa Sezione, secondo cui
sarebbe possibile procedere ad affidamenti senza procedura
di comparazione per incarico di ammontare sino ad €
5.000,00, oltre IVA ed eventuali oneri obbligatori.
Conseguentemente l’ente camerale avrebbe dovuto
correttamente, previa disapplicazione della citata
previsione regolamentare, provvedere ad individuare
l’incaricato a seguito di procedura comparativa pubblica, in
conformità con l’art. 7, comma 6-bis, d.lgs. n. 165/2001.
In coerenza con quanto detto l’ente camerale nel conformarsi
alla presente pronuncia dovrà, tra l’altro, procedere per il
futuro alla immediata disapplicazione della citata
disposizione regolamentare, fermo restando la doverosità di
una modifica al testo regolamentare nella parte oggetto del
segnalato contrasto con la disciplina legislativa come
puntualmente interpretata dalla giurisprudenza contabile
(cfr. Corte conti, sez. reg. contr., 11.04.2014, n. 76).
III.
In secondo luogo l’atto di affidamento
dell’incarico di consulenza è altresì in contrasto con il
dettato normativo anche sotto il profilo della mancata
verifica che il pagamento sia compatibile con i vincoli
finanziari.
Al riguardo va richiamata la previsione di
cui all’art. 9, co. 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 78/2009
convertito dalla l. n. 102/2009, che pone in capo al
funzionario che impegna una spesa l'obbligo di accertare
preventivamente che il programma dei pagamenti sia
compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le
regole di finanza pubblica.
Si tratta di obbligo preventivo posto
direttamente in capo al funzionario o dirigente che effettua
l’impegno, di qualunque servizio o settore esso sia e che va
fatto a prescindere dalle modalità di finanziamento della
spesa, essendo funzionale innanzitutto ad una verifica di
cassa circa l’effettiva sostenibilità del pagamento nei
termini contrattualmente previsti e alla conformità dello
stesso con il complesso dei vincoli vigenti.
Conseguentemente sotto tale profilo non è adeguata la
risposta della Camera di Commercio che sul punto si è
limitata ad affermare che in sede di bilancio di previsione
sarebbero state stanziate risorse sufficienti risultando una
somma di € 20.000,00, risultando assicurata unicamente la
capienza del capitolo di bilancio.
La suddetta verifica preventiva è infatti essenzialmente un
controllo inerente la cassa finalizzato ad assicurare
l’effettività del pagamento nei tempi stabiliti, da
effettuarsi operativamente mediante una programmazione dei
flussi di cassa ed un successivo monitoraggio nel corso
dell’anno delle disponibilità liquide, onde scongiurare
ritardi anche con riferimento alle previsioni contenute nel
d.lgs. n. 231/2002, modificato dal d.lgs. n. 192/2012, in
tema di lotta al ritardo nei pagamenti delle transazioni
commerciali.
Va infine rammentato che secondo l’espressa previsione di
legge in caso di inosservanza di tale
obbligo, quale misura organizzativa per garantire il
tempestivo pagamento delle somme dovute, il soggetto
inadempiente può incorrere in responsabilità disciplinare ed
amministrativa. L’atto di incarico dunque non risulta
conforme al dettato normativo anche sotto tale profilo.
Alle rilevate irregolarità consegue l’obbligo della Camera
di Commercio di conformare la propria azione amministrativa
in materia di affidamento di incarichi alla legge e di dare
tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 08.06.2015 n. 98). |
maggio 2015 |
|
INCARICHI PROGETTUALI:
Nelle gare il professionista risponde
individualmente.
Un professionista iscritto in un elenco di una stazione
appaltante, se viene scelto per presentare una offerta non
può candidarsi in raggruppamento temporaneo con altri
professionisti, ma deve rispondere a titolo individuale.
È quanto afferma l'Autorità nazionale anticorruzione con il
parere
sulla normativa 06.05.2015 rif.
AG 38/15/AP nel quale si è esaminata la legittimità
dell'esclusione di un professionista, iscritto a titolo
individuale in un elenco costituito da un ente locale per
l'affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
Era
successo che la stazione appaltante aveva esperito una
procedura negoziata senza bando (ex articolo 57, comma 6 del
Codice dei contratti pubblici) per affidare un incarico di
valore inferiore a 100 mila euro. Per questa tipologia di
affidamenti l'articolo 267 del Regolamento del codice (dpr
207/2010) detta una disciplina specifica prevedendo che la
stazione appaltante, in alternativa al classico avviso di
gara, può selezionare il mercato avvalendosi di un apposito
elenco (aperto), in ogni caso rispettando il criterio di
rotazione.
Il punto era decidere se la partecipazione del
professionista iscritto all'elenco individualmente, ma nella
fattispecie candidatosi in raggruppamento con altri
professionisti, fosse legittima.
L'Autorità propende per la
tesi negativa affermando che in base all'art. 90, comma 1,
lett. d) e lett. g), del codice, parallelamente a quanto
previsto nell'articolo 34, appare «evidente che il
Raggruppamento temporaneo di professionisti è soggetto
sostanzialmente diverso dal professionista individuale,
contemplandosi in due distinte categorie “i liberi
professionisti singoli e associati (lett. d) e i
raggruppamenti temporanei” costituiti dai soggetti di cui
alle lett. d), e), f) f-bis) e h) ai quali si applicano le
disposizioni di cui all'art. 37 in quanto compatibili (lett.
g). Dal momento quindi che il raggruppamento temporaneo
consiste “in un soggetto collettivamente organizzato,
costituito per la partecipazione alle gare, sostanzialmente
diverso dalle identità soggettive di coloro che vi
partecipano” e che l'invito era per professionisti e non per
raggruppamenti temporanei, l'esclusione era legittima e non
si può parlare neanche di modificazione soggettiva ai sensi
dell'articolo 51 del codice dei contratti»
(articolo ItaliaOggi del 26.05.2015
- tratto da www.centrosctudicni.it). |
aprile 2015 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Sussiste
l’obbligo in capo all’Amministrazione committente di
esigere, anche in caso di incarichi di assistenza legale, un
preventivo che consenta di quantificare l’onere complessivo
che rimarrà a carico del bilancio dell’Ente, così da poter
procedere alle necessarie scritturazioni contabili e ad
apprestare la necessaria copertura finanziaria.
Nel caso in cui i predetti incarichi assumano connotazioni
di rapporti contrattuali di durata, l’Ente dovrà
periodicamente verificare il maturare di ulteriori
spettanze, in maniera da poter tempestivamente rispettare il
previsto procedimento per la corretta effettuazione di
spese.
Qualora le previste disposizioni non siano state rispettate,
l’Amministrazione dovrà verificare preliminarmente, sulla
base della vigente normativa, l’effettiva spettanza di
compensi in capo al professionista incaricato; quando
ricorrano le condizioni previste all’art. 194, comma 1,
lett. e), del TUEL, si potrà procedere al riconoscimento del
debito fuori bilancio, sempre però nel limite dell’utilità e
dell’arricchimento per l'Ente, che devono debitamente essere
accertati e dimostrati, ed a condizione che detto debito
scaturisca dall’espletamento di pubbliche funzioni e servizi
di competenza dello stesso Ente.
---------------
Con la nota di cui in epigrafe il Sindaco del Comune di
Sant’Angelo Le Fratte ha formulato una «… richiesta di
parere in materia di onorari da riconoscersi a favore di
legale che ha prestato attività in favore dell'ente, in
assenza di preventivo impegno di spesa e sottoscrizione di
disciplinare e/o convenzione regolante in maniera precisa i
rapporti tra ente e professionista anche sotto l'aspetto
economico».
A tal uopo è stato, tra l’altro, precisato, che:
– «Gli incarichi professionali di cui trattasi risultano
conferiti senza l'adozione di determina a contrarre e la
stipula di una convenzione e soprattutto in assenza di
predeterminazione dell'onorario spettante al professionista
incaricato»;
– «… stante probabilmente l'impossibilità al momento del
conferimento degli incarichi di acquisire un preventivo di
massima che si avvicinasse il più possibile alla spesa
definitiva, negli atti assunti all'epoca del conferimento
degli incarichi è stato previsto l'obbligo del
professionista a comunicare tempestivamente, ai fini
dell'assunzione dell'eventuale ulteriore impegno di spesa,
l'importo definitivo della parcella professionale, al fine
di quantificare correttamente l'impegno di spesa necessario
e predispone adeguata copertura finanziaria, considerando
evidentemente variabili, connaturali al tipo di incarico in
esame, che avrebbero potuto determinare incertezza sulla
quantificazione dell'impegno finanziario».
Dopo aver esternato l’intenzione dell'Amministrazione di «…effettuare
una rigorosa verifica dei presupposti normativi preordinati
al valido e regolare riconoscimento del debito fuori
bilancio», il Sindaco ha chiesto che fosse espresso
parere «… circa la riconoscibilità del diritto del
professionista ad ottenere il pagamento di compensi per
l'attività espletata a favore dell'ente, accertato che, da
un lato, l'obbligo di comunicazione tempestiva
dell'incremento della parcella, prefissato in sede di
conferimento dell'incarico, non è mai stato rispettato dal
professionista incaricato, dall'altro, negli anni il
Responsabile del procedimento ha omesso qualsivoglia
attività di monitoraggio».
Il Sindaco ha, altresì, chiesto «… di conoscere in
quale misura ed in base a quali parametri debba essere
valutata l'attività espletata in favore dell'ente, ammesso
che sia riconoscibile il diritto del professionista ad
ulteriori compensi».
...
3. La richiesta di parere, per la parte ritenuta
ammissibile, riguarda la individuazione dei presupposti
normativi che presiedono al valido e regolare riconoscimento
del debito fuori bilancio per onorari, scaturente dalla
prestazione professionale fornita da un legale in assenza di
un preventivo impegno di spesa e della sottoscrizione di un
disciplinare e/o di una convenzione regolante il rapporto
economico.
In mancanza di una esaustiva individuazione normativa delle
caratteristiche dell’istituto, il punto 91 del Principio
Contabile n. 2, approvato dall’Osservatorio per la finanza e
la contabilità degli Enti locali il 18.11.2008,
definisce il debito fuori bilancio come «…
un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una
determinata somma di denaro, assunta in violazione delle
norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa
degli enti locali».
L’art. 191 del D.lgs. 18.08.2000, n. 267 (TUEL), dopo aver
specificato che gli enti locali possono effettuare spese
solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul
competente programma del bilancio di previsione e
l'attestazione della copertura finanziaria, stabilisce che,
nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni
e servizi in violazione degli obblighi individuati nei primi
tre commi, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini
della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai
sensi dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato
fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che
hanno consentito la fornitura. La norma ha, peraltro,
specificato che, per le esecuzioni reiterate o continuative,
detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili
le singole prestazioni.
L’art. 194 del TUEL detta la disciplina regolante il
riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio,
stabilendo che, in occasione della
deliberazione con cui l’Organo consiliare effettua la
ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi e
verifica se permangono gli equilibri generali di bilancio
(art. 193, secondo comma, del TUEL), o con la diversa
periodicità prevista dai regolamenti di contabilità, gli
enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori
bilancio compresi nelle tipologie tassativamente indicate
nelle lettere da a) ad e).
L’ultima ipotesi, contemplata dalla norma
alla lett. e), prevede la fattispecie dell’acquisizione di
beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai primi
tre commi dell'articolo 191, che può essere oggetto di
riconoscimento solo «…nei limiti degli accertati e
dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito
dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di
competenza».
Al punto 98 del Principio Contabile n. 2 è specificato che:
– «… la sussistenza dell’utilità
conseguita va valutata in relazione alla realizzazione dei
vantaggi economici corrispondenti agli interessi
istituzionali dell’ente. Sono comunque da qualificarsi utili
e vantaggiose le spese specificatamente previste per legge»;
– «L’arricchimento corrisponde alla
diminuzione patrimoniale sofferta senza giusta causa dal
soggetto privato e terzo che va indennizzato nei limiti
dell’arricchimento ottenuto dall’ente».
Particolarmente conferente, per il caso di specie, si rivela
la precisazione secondo la quale «In
occasione di contratti di prestazione d’opera intellettuale
l’ente deve determinare compiutamente, anche in fasi
successive temporalmente, l’ammontare del compenso (esempio
gli incarichi per assistenza legale) al fine di evitare la
maturazione di oneri a carico del bilancio non coperti
dall’impegno di spesa inizialmente assunto. Il regolamento
di contabilità dell’ente potrà disciplinare l’assunzione di
ulteriore impegno, per spese eccedenti l’impegno originario,
dovute a cause sopravvenute ed imprevedibili»
(punto 108 princ. cont. n. 2).
Il punto 5.2, lett. g), principio contabile applicato
concernente la contabilità finanziaria (Allegato n. 4/2 al
D.Lgs. 118/2011) ha tra l’altro precisato che «…gli
impegni derivanti dal conferimento di incarico a legali
esterni, la cui esigibilità non è determinabile, sono
imputati all’esercizio in cui il contratto è firmato, in
deroga al principio della competenza potenziata, al fine di
garantire la copertura della spesa».
In sede di predisposizione del rendiconto, in occasione
della verifica dei residui, «…se
l’obbligazione non è esigibile, si provvede alla
cancellazione dell’impegno ed alla sua immediata
re-imputazione all’esercizio in cui si prevede che sarà
esigibile, anche sulla base delle indicazioni presenti nel
contratto di incarico al legale. Al fine di evitare la
formazione di debiti fuori bilancio, l’ente chiede ogni anno
al legale di confermare o meno il preventivo di spesa sulla
base della quale è stato assunto l’impegno e, di
conseguenza, provvede ad assumere gli eventuali ulteriori
impegni. Nell’esercizio in cui l’impegno è cancellato si
iscrive, tra le spese, il fondo pluriennale vincolato al
fine di consentire la copertura dell’impegno nell’esercizio
in cui l’obbligazione è imputata».
4. Dai principi esposti emerge l’obbligo,
in capo all’Amministrazione committente di esigere, anche in
caso di incarichi di assistenza legale, un preventivo che
consenta di quantificare l’onere complessivo che rimarrà a
carico del bilancio dell’Ente, così da poter procedere alle
necessarie scritturazioni contabili e ad apprestare la
necessaria copertura finanziaria.
Nel caso in cui i predetti incarichi assumano connotazioni
di rapporti contrattuali di durata, l’Ente dovrà
periodicamente verificare il maturare di ulteriori
spettanze, in maniera da poter tempestivamente rispettare il
previsto procedimento per la corretta effettuazione di
spese.
Qualora le previste disposizioni non siano state rispettate,
l’Amministrazione dovrà verificare preliminarmente, sulla
base della vigente normativa, l’effettiva spettanza di
compensi in capo al professionista incaricato; quando
ricorrano le condizioni previste all’art. 194, comma 1,
lett. e), del TUEL, si potrà procedere al riconoscimento del
debito fuori bilancio, sempre però nel limite dell’utilità e
dell’arricchimento per l'Ente, che devono debitamente essere
accertati e dimostrati, ed a condizione che detto debito
scaturisca dall’espletamento di pubbliche funzioni e servizi
di competenza dello stesso Ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata,
parere 14.04.2015 n. 20). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Corte conti divisa sul conferimento degli incarichi di
studio e consulenza.
Divieto assoluto per le province di conferire incarichi di
studio e consulenze, anche se finanziati da risorse del
Fondo sociale europeo. Anzi no: possibilità di conferire gli
incarichi.
Che il caos regni sovrano nella riforma delle province ormai
è un dato di fatto. Ad aumentarlo non aiutano certo i pareri
delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti,
divise su tutto.
Nuova occasione di interpretazioni
diametralmente opposte, dopo quelle relative alla
possibilità di assumere mediante mobilità, è la portata
della norma contenuta nell'articolo 1, comma 420, lettera
g), della legge 190/2014, ai sensi del quale alle province
delle regioni a statuto ordinario è fatto divieto di
attribuire incarichi di studio e consulenza.
Per la sezione
regionale di controllo dell'Emilia Romagna,
parere 10.04.2015 n. 64, si tratta di un divieto assoluto. La sezione
Emilia-Romagna mette il divieto previsto dalla citata
lettera g) dell'articolo 1, comma 420, della legge di
Stabilità 2014 con la sua precedente lettera b), ove si
prevede il divieto «effettuare spese per relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di
rappresentanza».
Il parere nota che mentre per relazioni
pubbliche e convegni sono vietate le «spese», ma non la
fattispecie, allora è possibile per una provincia porre in
essere relazioni pubbliche e manifestazioni se le connesse
«spese» sono neutrali, perché finanziate dall'esterno,
appunto con fondi europei. Cosa diversa è, invece, il
divieto di incarichi di studio e consulenze. Secondo la
sezione Emilia-Romagna «il legislatore non pone per le
province un mero divieto di sostenere le relative spese, ma,
più radicalmente, preclude l'attribuzione di detti
incarichi».
Insomma, si tratterebbe di un divieto assoluto e
rigoroso, delineato «in sintonia con quanto stabilito dal
citato comma 420, per i rapporti di lavoro alle dipendenze
delle province».
In totale e frontale contraddizione con le
indicazioni della sezione Emilia Romagna si pone il
parere
30.03.2015 n. 137 della sezione regionale di controllo
per la Lombardia.
La Sezione Lombardia ritiene che i divieti
contenuti nell'articolo 1, comma 420, della legge 190/2014,
ivi compreso quello relativo a incarichi di studio e
consulenza sono «preordinati non tanto (o non solo) al
riordino delle Province (peraltro ancora in attesa di
conoscere il quadro completo delle proprie funzioni) quanto
piuttosto a conseguire risparmi di spesa nella dimensione
del coordinamento della finanza pubblica», come
confermerebbe il contenuto della circolare interministeriale
1/2015.
Di conseguenza, se lo scopo del comma 420, lettera
g), è conseguire risparmi di spesa, secondo la sezione
Lombardia «non vi sarebbe motivo di includere nel divieto
anche le spese per studi e consulenze finanziati con fondi
di provenienza comunitaria, secondo l'insegnamento».
In
particolare, sottolinea il parere, se la provincia ha
presentato progetti da finanziare precedentemente
all'entrata in vigore della legge 190/2014 e tali progetti
siano approvati: in questo caso, infatti, l'ente si è
assunto «una serie di obblighi il cui mancato adempimento
potrebbe esporre lo stesso, oltre che a responsabilità nei
confronti degli eventuali partner, anche alla perdita dei
finanziamenti conseguiti con un grave danno per le proprie
finanze».
Il parere della sezione Lombardia, comunque,
chiude con l'invito indiretto alle province a valutare
l'opportunità di presentare progetti finanziati dalla Ue,
mostrando qualche incrinatura nella teoria secondo la quale
i finanziamenti europei consentirebbero comunque gli
incarichi vietati per legge
(articolo ItaliaOggi del 17.04.2015
- tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto:
chiarimenti sulle prestazioni occasionali - nota MEF
n. 4594/2015
(Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri
Liberi Professionisti,
nota 09.04.2015 n. 20511 di prot.). |
marzo 2015 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Con
parere
11.02.2009 n. 37
la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame
dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di
affidamento degli incarichi di collaborazione e delle
consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti pareri ed ha
individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi
da 54 a 57, della legge n. 244 del 2007 stabilisce l’obbligo
di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di collaborazione,
studio e ricerca, nonché di consulenza, a
soggetti estranei all’amministrazione; la competenza ad
adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene
alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal
Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma,
lett. a, del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del decreto legge n.
112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha
unificato gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto
professionale e gli incarichi di studio e
consulenza (riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma), tutti caratterizzati
dal grado di specifica professionalità richiesta (in
particolare, questi presupposti distinguono dette ipotesi
dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato per lo
svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente);
3) quanto alla locuzione
“particolare e comprovata specializzazione universitaria”,
questa Sezione ha già chiarito che con essa si intende il
possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello
che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo
universitario, basato su conoscenze specifiche inerenti il
tipo di attività professionale oggetto dell’incarico; la
specializzazione richiesta, per essere “comprovata”, deve
essere poi fatta oggetto di specifico accertamento in
concreto condotto sull’esame di documentati curricula; e ciò
perché il mero possesso formale di titoli non sempre è
sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste
capacità professionali
(ma v. ora anche l’art. 11, commi 1, 2 e 4, del decreto
legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 114 del 2014);
4) il nuovo testo dell’art. 7 del decreto
legislativo n. 165 del 2001
(testo unico del pubblico impiego, da ora innanzi TUPI)
richiede, come presupposti di legittimità, tutti i
requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile
necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione
o di studio; in particolare, quello della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che
si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge, oltre che previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42 del decreto legislativo n.
267 del 2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del decreto
legge n. 112 del 2008 ha eliminato l’obbligo di individuare
nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile,
prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale
nel bilancio preventivo; è pertanto necessario accertare, in
sede di conferimento, l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni
autonome, si richiamano inoltre le considerazioni contenute
nel punto 6 del
parere
11.03.2008 n. 37
di questa Sezione sull’inapplicabilità della disciplina a
materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione
tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve
essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale, adeguatamente pubblicizzate; in proposito si è
posto il problema della possibilità ed eventualmente dei
limiti sussistenti all’affidamento diretto dell’incarico; in
taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti
previsti nel Codice dei contratti pubblici (decreto
legislativo n. 163 del 2006), tuttavia, la materia è
estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi
e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri: deve
invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali
deve essere generalizzato e che può prescindersi da esso
solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio:
a) procedura concorsuale andata deserta, b) unicità della
prestazione sotto il profilo soggettivo, c) assoluta urgenza
determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza
in relazione ad un termine prefissato o ad un evento
eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti
gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i
contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare:
l’oggetto della prestazione, la durata, la modalità di
determinazione del corrispettivo, i termini di pagamento, le
verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile
in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di
incarico;
10) nel regolamento deve essere
espressamente precisato che le società partecipate debbono
osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per
gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo
dell’ente locale sulla relativa osservanza.
---------------
1.- L’art. 3 della legge 24.12.2007, n. 244, come modificato
dall’art. 46, comma 3, decreto legge 25.06.2008, n. 112, e
dalla relativa legge di conversione –nel dettare le regole
alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il
conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di
ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei
all’amministrazione– al comma 56 stabilisce quanto segue: “con
il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in conformità
a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i
criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di
collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le
tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni
regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale. Il limite massimo della
spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel
bilancio preventivo degli enti territoriali”.
Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le
disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono
trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo
della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro
adozione”.
Questa Sezione ha individuato, con il
parere
11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224,
i criteri interpretativi della normativa al fine di
stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri
di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si
colloca la funzione di controllo.
2.- Al riguardo, necessario punto di partenza è la
considerazione di quella funzione delle Sezioni regionali
della Corte dei conti rispetto agli enti locali che si
sostanzia nell’esercizio di un controllo di natura “collaborativa”,
nell'ambito del quale il legislatore, come ha riconosciuto
la Corte costituzionale, è libero di assegnare qualsiasi
competenza, purché vi sia un fondamento costituzionale
rinvenibile in una lettura adeguatrice delle norme
originariamente dettate per lo Stato, quali gli artt. 100,
81, 97 primo comma e 28 della Costituzione (cfr. le sentenze
della Corte costituzionale nn. 179 del 2007 e 60 del 2013).
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei
conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non
può essere fine a se stesso, ma deve essere finalizzato allo
svolgimento di specifiche funzioni, come messo in luce dalla
Sezione in più occasioni (per tutte, la deliberazione n. 11
del 26.10.2006).
La trasmissione dei regolamenti deve ritenersi pertanto
strumentale al loro esame e ad un’eventuale pronuncia della
Sezione regionale. Questa forma di controllo, in
particolare, è ascrivibile alla categoria del riesame di
legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro delle
disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i limiti
normativi di settore (in particolare l’art. 7 del decreto
legislativo n. 165 del 2001 e l’art. 110 del decreto
legislativo n. 267 del 2000), oltre ad ogni altra
disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di
natura finanziaria, riferite a questa materia (v. ancora la
sentenza, prima richiamata, n. 60 del 2013).
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali
siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale,
ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di
controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti
locali, ha ritenuto ascrivibili al riesame di legalità e
regolarità le verifiche previste dall’art. 1, commi 166 e
seguenti, della legge n. 166 del 2005; alla stessa maniera,
come s’è prima visto, deve esser qualificato anche il
controllo ex art. 3, comma 57, della legge n. 244 del 2007,
che ha la caratteristica –in una prospettiva non più statica
(come era il tradizionale controllo di legalità), ma
dinamica– di finalizzare il confronto tra fattispecie e
parametro normativo all’adozione di misure correttive (cfr.
ancora la sentenza n. 60 del 2013).
Lo strumento per raggiungere siffatto risultato può essere
individuato nell’applicazione dell’iter procedurale dettato
dall’art. 1, comma 168, della legge n. 266 del 2005 (ora
abrogato dall’art. 3 comma, 1-bis, del decreto legge n. 174
del 2012, convertito con legge n. 213 del 2013 e sostituito
dal nuovo art. 148-bis del TUEL, introdotto dall’art. 3 del
citato decreto legge n. 174 del 2012), norma che prevede
specifiche pronunce da indirizzare all’ente controllato (cui
spetta l’adozione delle necessarie misure correttive),
nonché la vigilanza sull’effettiva adozione delle misure
stesse (in tal senso, per tutte, v. la deliberazione di
questa Sezione n. 294/2013/REG).
Con
parere
11.02.2009 n. 37
la Sezione ha stabilito alcuni criteri omogenei per l’esame
dei regolamenti trasmessi dai Comuni in materia di
affidamento degli incarichi di collaborazione e delle
consulenze.
Nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha richiamato i propri precedenti parere
11.03.2008 n. 37
e
parere
06.11.2008 n. 224
ed ha individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi
da 54 a 57, della legge n. 244 del 2007 stabilisce l’obbligo
di normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di collaborazione,
studio e ricerca, nonché di consulenza, a
soggetti estranei all’amministrazione; la competenza ad
adottare i regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene
alla Giunta, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal
Consiglio (art. 48, terzo comma, e art. 42, secondo comma,
lett. a, del T.U.E.L.);
2) l’art. 46 del decreto legge n. 112 del
2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha unificato
gli incarichi di collaborazione ad alto contenuto
professionale e gli incarichi di studio e
consulenza (riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma), tutti caratterizzati
dal grado di specifica professionalità richiesta (in
particolare, questi presupposti distinguono dette ipotesi
dalle collaborazioni “normali”, il cui uso è vietato
per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente);
3) quanto alla locuzione “particolare e
comprovata specializzazione universitaria”, questa
Sezione ha già chiarito,
con il
parere
12.05.2008 n. 28
e
parere
12.05.2008 n. 29,
che con essa si intende il possesso di conoscenze
specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con
un percorso formativo di tipo universitario, basato su
conoscenze specifiche inerenti il tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico; la specializzazione
richiesta, per essere “comprovata”, deve essere poi
fatta oggetto di specifico accertamento in concreto condotto
sull’esame di documentati curricula; e ciò perché il
mero possesso formale di titoli non sempre è sufficiente a
comprovare l’acquisizione delle richieste capacità
professionali (ma
v. ora anche l’art. 11, commi 1, 2 e 4, del decreto legge n.
90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
114 del 2014);
4) il nuovo testo dell’art. 7 del decreto
legislativo n. 165 del 2001
(testo unico del pubblico impiego, da ora innanzi TUPI)
richiede, come presupposti di legittimità, tutti i
requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile
necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione
o di studio; in particolare, quello della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che
si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge, oltre che previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42 del decreto legislativo n.
267 del 2000;
5) il comma 3 dell’art. 46 del decreto
legge n. 112 del 2008 ha eliminato l’obbligo di individuare
nel regolamento il livello massimo di spesa sostenibile,
prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale
nel bilancio preventivo; è pertanto necessario accertare, in
sede di conferimento, l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni
autonome, si richiamano inoltre le considerazioni contenute
nel punto 6 del
parere
11.03.2008 n. 37
di questa Sezione sull’inapplicabilità della disciplina a
materia già autonomamente regolamentata e sulla distinzione
tra incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve
essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale, adeguatamente pubblicizzate; in proposito si è
posto il problema della possibilità ed eventualmente dei
limiti sussistenti all’affidamento diretto dell’incarico; in
taluni casi, le amministrazioni fanno riferimento ai limiti
previsti nel Codice dei contratti pubblici (decreto
legislativo n. 163 del 2006), tuttavia, la materia è
estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi
e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri: deve
invece affermarsi che il ricorso a procedure concorsuali
deve essere generalizzato e che può prescindersi da esso
solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio:
a) procedura concorsuale andata deserta, b) unicità della
prestazione sotto il profilo soggettivo, c) assoluta urgenza
determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza
in relazione ad un termine prefissato o ad un evento
eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti
gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i
contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare:
l’oggetto della prestazione, la durata, la modalità di
determinazione del corrispettivo, i termini di pagamento, le
verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile
in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di
incarico;
10) nel regolamento deve essere
espressamente precisato che le società partecipate debbono
osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per
gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo
dell’ente locale sulla relativa osservanza.
3.- Con specifico riferimento alla previsione regolamentare
esaminata nella presente deliberazione –il cui oggetto è
definito dal deferimento disposto, di modo che resta
impregiudicata ogni valutazione su altre disposizioni del
medesimo regolamento ovvero su modifiche dello stesso medio
tempore o successivamente intervenute– si deve rilevare che
detta previsione si pone in contrasto con disposizioni sia
costituzionali sia legislative.
3.1.- In primo luogo, al riguardo, la Sezione ricorda
che l’art. 36, primo comma, della Costituzione stabilisce,
con norma ritenuta direttamente precettiva ed imperativa nei
rapporti fra le parti, che “il lavoratore ha diritto ad
una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e
alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” (v., fra
le molte, Corte di Cassazione, sezione lavoro, 17.01.2011,
n. 896; 04.12.2013, n. 27138).
Nell’ambito dei rapporti di impiego, è dunque la prestazione
dell’attività lavorativa, di per sé considerata, a fondare
il diritto alla retribuzione, tanto che questa è dovuta
anche laddove difetti una valida fattispecie contrattuale
regolatrice dell’attività prestata, come espressamente
previsto dall’art. 2126 del codice civile (secondo cui “la
nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce
effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità
dell'oggetto o della causa”).
Al di fuori delle speciali normative legislative dettate per
il c.d. “terzo settore” (v. in generale l’art. 2,
commi 1 e 2, della legge n. 266 del 1991, che s’informa però
ad un precipuo fine solidaristico non applicabile di per sé
alla sfera dell’organizzazione amministrativa), dunque, la
mera prestazione dell’attività legislativa impone, in ogni
caso, l’erogazione del relativo compenso.
A ciò il regolamento dell’ente –quale fonte di
autoorganizzazione, nell’ambito dell’autonomia, anche
costituzionale, garantita all’ente– non può dunque derogare
(esponendo peraltro l’ente, così facendo, al rischio d’esser
convenuto ex post in giudizio dal prestatore di
lavoro che chieda la dovuta retribuzione, in virtù del
richiamato quadro normativo).
3.2.- In secondo luogo, un analogo contrasto con la
disciplina legislativa vigente emerge con riferimento a quel
carattere fiduciario, che, secondo l’ente, permetterebbe il
conferimento diretto dell’incarico senza l'esperimento di
procedure di selezione (art. 9, comma 2).
Atteso che l’art. 7, comma 6-bis, del T.U.P.I. è espressione
dei principi costituzionali di buon andamento e di
imparzialità delle amministrazioni pubbliche –attraverso,
appunto, la previsione della procedura concorsuale o
comunque comparativa per l’affidamento di tali incarichi– se
ne deve dedurre che, ferma restando la sua applicazione da
parte di ogni soggetto pubblico destinatario della norma,
vengano rimessi ai relativi ordinamenti le sole modalità
delle procedure comparative medesime: la doverosa osservanza
della norma primaria non consente, quindi, alcuna deroga, in
riferimento al carattere fiduciario della prestazione, da
parte degli ordinamenti delle singole amministrazioni tenute
all’osservanza della disciplina dell’art. 7 T.U.P.I. (salvo,
in generale, i casi prima visti).
Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti
pubblici in questione di stabilire ad libitum,
attraverso i propri statuti e regolamenti, categorie che,
per quantità o qualità dell’incarico, sono sottratte alle
procedure concorsuali, così svuotando di contenuto, tra
l’altro, la stessa norma sul controllo (v. la deliberazione
n. 294/2013/REG di questa Sezione)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 30.03.2015 n. 150). |
febbraio 2015 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Conferimento di incarico esterno di studio. Deroga al limite
di spesa.
Secondo la Corte dei conti (cfr. sez.
reg. di controllo per la Puglia, n. 131/PAR/2014) il limite
di spesa per incarichi di studio e consulenza, per gli enti
locali, deve essere individuato non nella misura di una
percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009, ma
in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009
per le varie voci previste dall'art. 6 del d.l. 78/2010.
Il Comune si è posto la questione della possibilità di
derogare al limite di spesa imposto dall'art. 6, comma 7,
del d.l. 78/2010 e successive modifiche e integrazioni, per
il conferimento di incarichi di studio e consulenza, non
avendo sostenuto l'Ente spese, per tale finalità, nell'anno
2009.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprime quanto segue.
Si ritiene utile riportare le articolate considerazioni
esplicitate dalla Corte dei conti [1],
che ha avuto modo di esprimersi nello specifico, in ordine
ad analoga problematica sottoposta da un ente locale.
La Corte dei conti, dopo aver evidenziato che si configurano
quali incarichi di studio quelli volti a ricercare soluzioni
su questioni inerenti all'attività di competenza della
amministrazione conferente, ha ricostruito il quadro
normativo vigente in materia di limiti di spesa per
l'affidamento di incarichi di studio, ricerca e consulenza,
con particolare riferimento ai limiti posti dal legislatore
in rapporto alla spesa sostenuta, a tale titolo, nell'anno
2009.
L'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010 ha stabilito, da prima,
che a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per incarichi
di consulenza e studi, anche per gli enti locali, non può
essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009.
Successivamente la disciplina sopra richiamata è stata
implicitamente modificata dall' art. 1, comma 5, del d.l.
101/2013, come modificato dalla legge di conversione
30.10.2013, n. 125, che prevede che la spesa annua per studi
e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e
incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti,
sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall'ISTAT, non può essere superiore, per l'anno
2014 all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013 e,
per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 così come
determinati dall'applicazione delle disposizioni di cui al
comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, convertito con
modificazioni in l. 122/2010.
In sostanza -precisa la Corte dei Conti- il legislatore ha
ulteriormente ridotto il limite di spesa precedentemente
previsto dal citato art. 6, comma 7, in rapporto alla spesa
sostenuta nell'anno 2009: infatti, il nuovo limite è pari al
16% (80% del 20%) per l'anno 2014 e al 15% (75% del 20%) per
l'anno 2015.
Una nuova modifica alla disciplina relativa al conferimento
degli incarichi in esame è stata poi disposta dall'art. 14
del d.l. 66/2014 [2],
il quale, confermando i limiti derivanti dalle vigenti
disposizioni e in particolare le disposizioni di cui
all'art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 e all'art. 1, comma
5, del d.l. n. 101/2013, ha previsto che le amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione [3],
a decorrere dall'anno 2014, non possono conferire incarichi
di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva
sostenuta nell'anno per tali incarichi è superiore rispetto
alla spesa per il personale dell'amministrazione che
conferisce l'incarico, come risultante dal conto annuale del
2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa pari o
inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni
di euro [4].
In pratica, consolidando l'orientamento restrittivo seguito
costantemente negli ultimi anni, il legislatore ha ritenuto
di limitare, sempre sotto il profilo della spesa, ma in modo
diverso rispetto al passato, la possibilità di conferire
incarichi di consulenza, studio e ricerca: ai limiti basati
sulla spesa storica si affiancano quelli derivanti dal
rapporto delle relative spese con le spese di personale
La medesima sezione Puglia ha osservato che la questione
specifica relativa alla individuazione dei limiti di spesa
per il conferimento di incarichi di consulenza e studio nei
confronti degli enti che non hanno sostenuto, a tale titolo,
spese nell'anno 2009 era stata affrontata dalla Corte dei
conti della Lombardia in sede consultiva
[5]. In tale
contesto si era rilevato che la ratio sottesa alla
legge statale in esame è quella di rendere operante, a
regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di
consulenza e di studio e non quella di vietare agli enti
locali la possibilità di conferire incarichi esterni qualora
ne ricorrano i presupposti di legge.
La Sezione Lombardia era giunta alla conclusione che la
norma de qua, per gli enti locali che nel corso
dell'anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di
incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando
un diverso parametro di riferimento. Si era osservato a tal
proposito che, se non si adottasse questa interpretazione,
la riduzione lineare prevista finirebbe per premiare gli
enti meno virtuosi che, nel corso dell'anno 2009, hanno
sostenuto una spesa per consulenze eventualmente rilevante,
mentre si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti
più virtuosi che, in quello stesso anno, hanno sostenuto una
spesa pari a zero.
Pertanto -concludeva la Sezione Lombardia- non sussistendo
un parametro finanziario precostituito (in quanto la spesa
per l'anno 2009 è stata pari a zero), il limite da
individuare sarebbe quello della spesa strettamente
necessaria nell'anno in cui si verifica l'assoluta necessità
di conferire un incarico di consulenza o di studio (limite
di spesa che, a sua volta, sarebbe il parametro finanziario
per gli anni successivi).
Al riguardo, la Sezione Puglia ha precisato come la
soluzione prospettata nella predetta deliberazione della
Sezione Lombardia debba però essere rivista alla luce della
successiva sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012.
Con quest'ultima sentenza, nel dichiarare non fondate le
questioni di legittimità costituzionale prospettate in
relazione anche al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010, la
Consulta ha ribadito che il legislatore statale può
legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle
politiche di bilancio, ma che questi vincoli possono
considerarsi rispettosi della autonomia delle Regioni e
degli enti locali solo quando stabiliscono un limite
complessivo che lascia agli stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi
di spesa.
Pertanto, la Sezione Puglia, con riferimento agli enti
locali, ha ritenuto che l'art. 6 in argomento prevede un
limite complessivo nell'ambito del quale gli enti
interessati restano liberi di allocare le risorse tra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa. Una volta determinato,
quindi, il volume complessivo delle riduzioni da apportare
in base all'art. 6 citato, ogni ente ha la possibilità di
decidere su quali voci effettuare le riduzioni, senza
sottostare ai vincoli specifici previsti. E' possibile, in
sostanza, non rispettare un vincolo specifico, ma tale
sforamento dovrà esser compensato da una corrispondente
maggiore riduzione della spesa rispetto ad un altro vincolo
specifico previsto.
All'orientamento espresso in materia da parte della Corte
costituzionale si è adeguata la stessa Corte dei conti, che
ha avuto modo di sottolineare che 'l'assenza di spese per
consulenze nell'esercizio 2009, in considerazione della
necessità di individuare un obiettivo complessivo di
risparmio secondo le indicazioni ermeneutiche contenute
nella sentenza n. 139/2012 cit., non giustifica
l'individuazione di un nuovo'tetto di spesa'
[6].
La distribuzione degli interventi riduttivi tra le singole
voci previste dalla norma, tuttavia, non comporta la libera
ed incondizionata derogabilità delle misure di contenimento,
trattandosi pur sempre di norma assistita da sanzioni
specifiche in caso di inosservanza [7].
Secondo la Corte dei conti, Sezione Puglia, in
considerazione della lettura data all'art. 6 del d.l.
78/2010 dalla Corte costituzionale, lettura che deve essere
estesa anche all'analogo art. 1, comma 5, del d.l. 101/2013,
'sia per non incorrere in interpretazioni censurabili sul
piano della legittimità costituzionale, sia per l'espresso
rinvio disposto dal legislatore all'art. 6, co. 7, del D.L.
78/2010, il limite per gli incarichi di studio e consulenza
(...) deve essere individuato non nella misura di una
percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009
(disposizione applicabile solo in via indiretta),
circostanza questa che rende irrilevante la presenza o
l'assenza di spese sostenute a tale titolo nel 2009, ma in
rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per
le varie voci previste dalla norma indicata (es. acquisto
autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni da apportare
sempre in termini complessivi. A tale limite complessivo,
come già indicato, si aggiunge quello previsto dall'art. 14
del D.L. 66/2014 rapportato alle spese di personale(...) Per
il conferimento degli incarichi in argomento (....) rimane
ferma, inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi
presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7
del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti
previsti (es. obblighi di pubblicazione)'.
----------------
[1] Cfr. sez. reg. di controllo per la Puglia, n.
131/PAR/2014.
[2] Convertito, con modificazioni, in l. 89/2014.
[3] Come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'art. 1, comma
2, della l. 196/2009.
[4] Il comma 3 dell'art. 14 precisa che, per le
amministrazioni non tenute alla redazione del conto annuale
nell'anno 2012, ai fini dell'applicazione della disposizione
di cui al comma 1, si fa riferimento ai valori risultanti
dal bilancio consuntivo 2012.
[5] Cfr. sez. Lombardia, n. 227/2011/PAR.
[6] Cfr. sez. reg. Puglia, deliberazione n. 15/PRSP/2014.
[7] Cfr. sez. Veneto, n. 189/2013/PAR
(11.02.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
dicembre 2014 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Tutti i
provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa
assunzione del relativo <impegno contabile ed attestazione
della (relativa) copertura finanziaria>, ex art. 191 TUEL,
ivi compresi i provvedimenti con i quali il Comune
conferisce apposito incarico legale ad un avvocato per la
tutela delle ragioni del Comune stesso.
Qualora vengano in essere
obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta
procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede,
comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità
ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni
rientranti nelle fattispecie dettagliatamente elencate
nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di
riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare..
Nel caso, dunque, di mancanza dell’impegno contabile
relativo al conferimento degli incarichi legali de quibus,
si verte in una fattispecie di acquisizione di servizi in
violazione del citato art. 191 del d.lgs. n° 267 del 2000,
con possibilità di riconduzione, a sanatoria, nel sistema di
contabilità dell’Ente, solo mediante attivazione del
procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori
bilancio di cui all’art. 194 del d.lgs. n° 267 del 2000
cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al
riguardo, anche con riferimento –per quanto concerne la
specifica fattispecie qui in esame- alla necessità della
sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al comma 1,
lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e
servizi acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai
commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191 (“nei limiti degli
accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente,
nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e
servizi di competenza”, ex art. 194 cit.).
---------------
Con la nota indicata
in epigrafe il Sindaco interpellante, facendo riferimento ad
incarichi di patrocinio legale dell’Ente affidati, nel
passato, con deliberazioni della Giunta comunale ovvero con
determinazioni dirigenziali, a svariati legali, e premesso
che i predetti provvedimenti di conferimento “recavano
assunzione di impegno contabile ex art. 183 T.U.E.L. per
importi a volte simbolici, a volte comunque insufficienti a
coprire l’ammontare del compenso finale”, mentre “alcune
delibere, risalenti agli anni ’90, sono del tutto prive di
impegno contabile”, rappresenta il contrasto emerso, in sede
di regolazione delle competenze finali ritenute spettanti ai
predetti legali, tra l’orientamento espresso dal
Responsabile del Settore Legale dell’Ente e la Dirigente
dell’Area economico-finanziaria.
In particolare –come precisato nella richiesta di parere in
argomento- il primo, facendo riferimento alla deliberazione
della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per
l’Emilia Romagna, n. 256 del 25.07.2013, sostiene che la
fattispecie “andrebbe affrontata con una semplice
integrazione dell’impegno contabile originariamente assunto
integrando l’atto di impegno di spesa originario
nell’esercizio corrente (anche se diverso da quello di
conclusione del giudizio ed anche se esso comporta la
decuplicazione dell’impegno originario)”, mentre la suddetta
Dirigente dell’Area economico finanziaria, facendo anch’essa
riferimento a precedenti giurisprudenziali della Corte dei
conti (deliberazioni della Sezione regionale di controllo
per la Campania n. 9 del 2007 e n. 8 del 2009, nonché della
Sezione regionale di controllo per la Sardegna n. 2 del 2007
e della Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo n. 360
del 2008), “sostiene che la rilevantissima differenza fra
l’impegno originariamente assunto e la spesa finale evidenzi
con chiarezza che ci si trovi di fronte a spese assunte, pur
all’interno delle categorie di utilità ed arricchimento per
l’ente nell’esercizio di pubbliche funzioni e servizi di
competenza, ma certamente al di fuori delle prescrizioni di
cui all’art. 191 T.U.E.L., e quindi nella fattispecie tipica
dei debiti fuori bilancio”.
Analogo contrasto –espone il Sindaco interpellante– si è
verificato, con riferimento ad una proposta di delibera
dell’Ente sottoposta al parere del Collegio dei revisori -all’interno di detto Organo “nel quale uno dei componenti
propende per la riconoscibilità del debito fuori bilancio e
due componenti ritengono che debba seguirsi la procedura
della integrazione di impegno contabile a competenza”.
Conseguentemente, al fine di poter consentire agli Organi
deliberanti del Comune, con l’ausilio consultivo di questa
Sezione, di portare a soluzione le questioni di che
trattasi, il Sindaco dell’Ente chiede parere in subiecta
materia ex art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003 n.
131.
...
La richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di
Marano di Napoli trae origine, in realtà, da due distinte
fattispecie, che rientrano nella materia della contabilità
pubblica, ciascuna delle quali ha generato perplessità
ritenute abbisognevoli di un supporto consultivo di questa
Sezione.
Da un lato, invero, viene rappresentato, dall’Ente
interpellante, il conferimento di incarichi –conferiti a
“diversi legali”- di rappresentanza e di difesa in giudizio
del Comune, con “assunzione di impegno contabile ex art. 183 T.U.E.L. per importi a volte simbolici, a volte comunque
insufficienti a coprire l’ammontare del compenso finale”, e,
dall’altro, l’Ente medesimo fa riferimento al conferimento
di analoghi incarichi, con “alcune delibere […] del tutto
prive di impegno contabile”.
Ciò premesso, va osservato che, con riferimento alla prima
delle suesposte tipologie di provvedimenti (conferimento di
incarichi con assunzione di impegni ex art. 183 del d.lgs.
n. 267 del 2000, poi rivelatisi insufficienti), viene
documentata in atti l’esistenza di una “proposta di
deliberazione” di riconoscimento di debito fuori bilancio ex
art. 194, comma 1, lett. e), del d.lgs. n° 267 del 2000,
trasmessa al Collegio dei revisori dei conti dell’Ente ai
sensi dell’art. 239 del menzionato d.lgs. n. 267 del 2000,
dal Dirigente A.E.F., relativa all’ammontare delle
competenze professionali di un avvocato, eccedenti l’importo
inizialmente impegnato, quale successivamente integrato con
ulteriore impegno a titolo di acconto.
Su tale proposta si è già espresso l’interpellato Collegio,
come da verbale del 15.07.2014, acquisito agli atti.
Da quanto è dato evincere dal contenuto del menzionato
verbale, tra i componenti del Collegio dei revisori è
insorto un contrasto interpretativo, in quanto il Presidente
di tale Collegio ha ritenuto che, nella fattispecie, dovesse
essere formulato, così come richiesto, specifico parere in
ordine al riconoscimento di debito fuori bilancio, mentre
gli altri due componenti si sono mostrati favorevoli
all’applicazione di una procedura di adeguamento dello
stanziamento iniziale “integrando l’originario impegno di
spesa per soddisfare integralmente la pretesa creditoria del
professionista al fine di evitare maggiori oneri derivanti
da eventuali procedure di esecuzione con addebito a carico
del responsabile del servizio per le ulteriori somme
riconosciute rispetto alla pretesa iniziale”.
Conclusivamente, il predetto Collegio, a maggioranza, ha
ritenuto “di non dover esprimere alcun parere limitandosi a
ritrasmettere l’intero fascicolo al Responsabile proponente
per l’esatto adempimento” (p.v. citato, pag. 5).
Dunque, risulta che, relativamente alla suindicata
fattispecie di effettiva esistenza di uno stanziamento
iniziale (ancorché poi rivelatosi insufficiente) relativo
all’ammontare della spesa per il conferimento di incarichi
legali, presso l’Ente non solo sono già stati esplicitati
precisi, quanto contrastanti, convincimenti da parte dei
competenti Dirigenti (cfr. richiesta di parere in esame,
pag. 2), ma è già stata avviata e conclusa una procedura
consultiva, all’esito della quale è emerso un chiaro
(ancorché non unanime) orientamento dell’interpellato
Collegio dei revisori.
Da ciò consegue, in parte qua, l’inammissibilità della
richiesta di parere in argomento, non essendo consentito
alla Sezione né di ingerirsi, con proprie valutazioni e
secondo propri orientamenti, nelle scelte discrezionali di
esclusiva competenza dell’Ente, né, comunque, di finalizzare
la funzione consultiva svolta ex art. 7, comma 8, della
legge 05.06.2003 n. 131, alla composizione di contrasti
interpretativi -insorti e formalizzati all’interno
dell’Ente interpellante– già, peraltro, motivatamente
sottoposti all’esame dell’Organo di revisione. Invero, in
tal caso, “il parere richiesto implicherebbe un giudizio
della Sezione su valutazioni già compiute e su posizioni già
assunte da Organi dell’Ente, con l’effetto di trasformare,
di fatto, la funzione consultiva in una sorta di funzione di
controllo sulla conformità a legge di atti, valutazioni e/o
comportamenti posti in essere da Organi comunali, o di
dirimere conflitti fra detti Organi: funzioni che, invero,
sono precluse alla Corte dei conti nella presente sede”
(così Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la
Campania, deliberazione n. 239/2012 del 27.09.2012).
Circa l’altra fattispecie contemplata nel quesito posta alla
Sezione (ipotesi di assoluta mancanza, ab origine, di previo
impegno di spesa), non appare sussistere la suddetta
preclusione alla trattazione di merito in questa sede
consultiva, sicché la richiesta di parere in argomento
risulta, relativamente alla già descritta, ulteriore,
fattispecie, ammissibile anche sotto il profilo oggettivo.
Al riguardo, va anzitutto affermato, in adesione alla
consolidata giurisprudenza di questa Corte, che “tutti i
provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa
assunzione del relativo <impegno contabile ed attestazione
della (relativa) copertura finanziaria>, ex art. 191 TUEL,
ivi compresi i provvedimenti con i quali il Comune
conferisce apposito incarico legale ad un avvocato per la
tutela delle ragioni del Comune stesso” (così, condivisibilmente, Corte dei conti, Sezione regionale di
controllo per l’Abruzzo, deliberazione n. 360/2008 del 14-18.07.2008).
Il rispetto delle procedure previste dalla legge nel caso di
assunzione di obbligazioni giuridiche nei confronti di terzi
(in particolare: artt. 182-185 e 191 del d.lgs. n° 267 del
2000) garantisce, invero, il soddisfacimento dell’obbligo
della copertura finanziaria degli atti da cui derivano
impegni di spesa, e consente di evitare la formazione di
debiti originati in sede extracontabile (in terminis, cfr.
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia
Romagna, deliberazione n° 256/2013 del 25.07.2013).
A ciò va aggiunto che “qualora vengano in essere
obbligazioni giuridiche al di fuori della descritta
procedura ordinaria, l’ordinamento giuscontabile prevede,
comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità
ordinaria dell’ente, purché si tratti di obbligazioni
rientranti nelle fattispecie dettagliatamente elencate
nell’art. 191 TUEL e purché venga adottato un atto di
riconoscimento del debito da parte dell’organo consiliare”
(Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per
l’Emilia Romagna, deliberazione n° 256/2013 cit.; cfr. anche
Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione
n° 55/2013 dell’11-17.06.2013, con particolare
riferimento alla necessità di valutazione dell’utilità della
prestazione).
Nel caso, dunque, di mancanza dell’impegno contabile
relativo al conferimento degli incarichi legali de quibus,
si verte in una fattispecie di acquisizione di servizi in
violazione del citato art. 191 del d.lgs. n° 267 del 2000,
con possibilità di riconduzione, a sanatoria, nel sistema di
contabilità dell’Ente, solo mediante attivazione del
procedimento per l’eventuale riconoscimento di debito fuori
bilancio di cui all’art. 194 del d.lgs. n° 267 del 2000
cit., con tutte le condizioni e le limitazioni previste al
riguardo, anche con riferimento –per quanto concerne la
specifica fattispecie qui in esame- alla necessità della
sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al comma 1,
lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e
servizi acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai
commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191 (“nei limiti degli
accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente,
nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e
servizi di competenza”, ex art. 194 cit.).
Questa Corte, peraltro, ha già più volte esaminato la
normativa relativa al riconoscimento dei debiti fuori
bilancio, pronunciandosi esaustivamente in ordine alla
natura e alle caratteristiche di tale procedura (ex plurimis,
cfr. Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna,
deliberazione n° 311/2012 del 26.07.2012); in questa
sede, dunque, attese le finalità della richiesta di parere
in esame, non può, al riguardo, che essere ribadita la
necessità che –anche nella fattispecie de qua– venga
data puntuale, motivata e razionale osservanza alle
disposizioni di legge che disciplinano la materia
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania,
parere 29.12.2014 n. 261). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
La nullità derivante dall’adozione d’una delibera
di conferimento dell’incarico professionale non accompagnata
dall’attestazione della necessaria copertura finanziaria può
essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito
da parte dell’ente locale, ai sensi dell’art. 24 del
decreto-legge 02.03.1989, n. 66 (convertito, con
modificazioni, nella legge 24.04.1989, n. 144), poi seguito
dal d.lgs. n. 267 del 2000 (art. 191 e 194); tale
dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna
efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia
privo della forma scritta.
Il credito di chi ha fornito la prestazione od il servizio
nei confronti della p.a. sussiste dunque direttamente nei
confronti del funzionario. Questi, ove manchino i necessari
adempimenti formali per la validità dell’impegno di spesa
assunto dalla p.a., ne risponderà in proprio verso il
privato fornitore.
L’insorgenza del rapporto obbligatorio direttamente tra il
fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbia
consentito la prestazione comporta l’impossibilità di
esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento
senza causa, stante il difetto del necessario requisito
della sussidiarietà.
Pertanto, dopo l’introduzione della normativa di cui agli
artt. 191 e 194 del D.Lgs. n. 267/2000, la questione del
riconoscimento dell’utilità della prestazione può porsi di
regola solo allorché siano il funzionario o l’amministratore
responsabili verso il privato a proporre l’azione di cui
all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A..
1.2. Tutti i motivi possono essere esaminati congiuntamente,
e vanno dichiarati infondati per due ragioni assorbenti e
preliminari.
1.3. La prima ragione è che il contratto stipulato dal
ricorrente col Comune di Roccarainola è nullo per difetto di
forma scritta, e tale nullità non può essere sanata dal
riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte della
p.a..
1.4. E’ stato, infatti, lo stesso ricorrente ad ammettere
che il contratto da lui stipulato col Comune di Roccarainola
non aveva forma scritta.
La stipula con la pubblica amministrazione di un qualsiasi
contratto privo della forma scritta è nulla, e tale nullità
non può essere sanata attraverso il riconoscimento, da parte
della amministrazione committente, dell’utilità della
prestazione ricevuta.
Questa Corte, al riguardo, con orientamento ormai
consolidato ha già stabilito che “il riconoscimento di un
debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs.
25.02.1995, n. 77, costituisce un procedimento discrezionale
che consente all’ente locale di far salvi, nel proprio
interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti
tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di
copertura contabile, ma non ha la funzione di introdurre una
sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi –come
quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ‘ad
substantiam’– né apportare una deroga al regime di
inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui
all’art. 23 del d.l. 02.03.1989, n. 66, convertito, con
modificazioni, nella legge 24.04.1989 n. 144” (Sez. 1,
Sentenza n. 25373 del 12/11/2013, Rv. 629076).
Da ciò consegue che mentre la nullità derivante
dall’adozione d’una delibera di conferimento dell’incarico
professionale non accompagnata dall’attestazione della
necessaria copertura finanziaria può essere sanata
attraverso la ricognizione postuma di debito da parte
dell’ente locale, ai sensi dell’art. 24 del decreto-legge
02.03.1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, nella
legge 24.04.1989, n. 144), poi seguito dal d.lgs. n. 267 del
2000 (art. 191 e 194), tale dichiarazione, per contro, non
rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il
contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta
(Sez. 3, Sentenza n. 27406 del 18/11/2008, Rv. 605528).
1.5. Nel caso di specie, pertanto, la nullità del contratto
stipulato tra l’ing. P.G.A. ed il Comune di Roccarainola, in
quanto privo di forma scritta, non può essere in alcun modo
sanata dal riconoscimento dell’utilità della prestazione da
parte della amministrazione comunale: sicché resta
irrilevante nel presente giudizio se la Corte d’appello
abbia o meno correttamente escluso la sussistenza della
prova di tale riconoscimento.
1.6. La seconda ragione preliminare ed assorbente di
infondatezza del ricorso è che l’azione di ingiustificato
arricchimento è una azione residuale, accordata
dall’orientamento quando l’impoverito non disponga di alcun
strumento giuridico a tutela della propria pretesa.
Tale presupposto non sussiste nel caso di spese fuori
bilancio dei Comuni (e, più in generale, degli enti locali).
1.7. Giova ricordare, a tal fine, come il legislatore, per
porre limite ad una preoccupante crescita delle spese degli
enti locali, nel 1989 stabilì che “nel caso in cui vi sia
stata l’acquisizione [da parte dell’ente locale] di beni o
servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 [e
cioè senza la deliberazione autorizzativa né l’impegno
contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di
previsione], il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini
della controprestazione e per ogni altro effetto di legge
tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario
che abbiano consentita la fornitura. Detto effetto si
estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti
coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni”
(art. 23, comma 4, d.l. 02.03.1989 n. 66, convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L.
24.04.1989, n. 144).
Successivamente, tale norma venne abrogata dall’art. 123,
comma 1, lettera (n), d.Lgs. 25.02.1995, n. 77 (recante “Ordinamento
finanziario e contabile degli enti locali”), e
sostituita dall’art. 35, comma 4, dello stesso decreto, il
quale ha introdotto in subiecta materia una
importante novità, vale a dire la possibilità per l’ente
locale di riconoscere, con deliberazione consiliare, la
legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da
acquisizioni di beni o servizi non autorizzate, “nei
limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento
per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza”.
La legge è passata quindi da un sistema di “irresponsabilità
assoluta” della p.a., nel caso di assunzione di beni o
servizi non regolarmente deliberate, ad un sistema di “irresponsabilità
relativa”, nel quale a determinate condizioni la p.a.
poteva decidere di “riconoscere” il debito fuori
bilancio.
L’ultima tappa dell’evoluzione normativa in subiecta
materia è rappresentata dall’approvazione del testo
unico sugli enti locali (d.lgs. 18.08.2000 n. 267), il cui
art. 191 ha stabilito che “nel caso in cui vi è stata
l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo
indicato nei commi 1, 2 e 3 [e cioè in assenza dell’impegno
contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di
previsione e l’attestazione della copertura finanziaria], il
rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della
controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi
dell’articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato
fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che
hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o
continuative detto effetto si estende a coloro che hanno
reso possibili le singole prestazioni”.
Il successivo art. 194, comma 1, lettera (e), stabilisce poi
che gli enti locali, con apposita deliberazione, possono
riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio
derivanti da “acquisizione di beni e servizi, in
violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3
dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati
utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito
dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di
competenza”.
Il credito di chi ha fornito la prestazione od il servizio
nei confronti della p.a. sussiste dunque direttamente nei
confronti del funzionario. Questi, ove manchino i necessari
adempimenti formali per la validità dell’impegno di spesa
assunto dalla p.a., ne risponderà in proprio verso il
privato fornitore. L’insorgenza del rapporto obbligatorio
direttamente tra il fornitore e l’amministratore o il
funzionario che abbia consentito la prestazione comporta
l’impossibilità di esperire nei confronti del Comune
l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del
necessario requisito della sussidiarietà.
Pertanto, dopo l’introduzione della normativa sopra
riassunta, la questione del riconoscimento dell’utilità
della prestazione può porsi di regola solo allorché siano il
funzionario o l’amministratore responsabili verso il privato
a proporre l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei
confronti della P.A. (così, testualmente, Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 1391 dei 23/01/2014, Rv. 629726; nello stesso
senso, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 12880 del
26/05/2010, Rv. 613213) (Corte
di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 19.12.2014 n. 26911 -
link a http://renatodisa.com). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Per
i comuni vige il divieto di effettuare qualsiasi spesa in
assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o in
mancanza dal segretario) sul competente capitolo di bilancio
di previsione.
L'incarico di progettare l'opera pubblica affidato al
professionista non sfugge alla regola: l'ente locale non può
effettuare alcuna spesa se non c'è una delibera ad hoc che
l'autorizza e un relativo impegno contabile a bilancio da
comunicare ai terzi interessati: diversamente, dunque,
rispondono il sindaco o il dirigente che l'hanno consentito.
La previsione della clausola di copertura finanziaria nel
contratto stipulato con il professionista non può comunque
consentire di rinviare il momento in cui il comune deve
indicare l'ammontare della spesa e i mezzi per farvi fronte.
Insomma: non si può differire all'arrivo del finanziamento
l'osservanza delle modalità procedimentali previste per gli
enti locali. Nel caso in cui l'incarico è affidato senza
prima mettere nero su bianco l'impegno contabile e attestare
l'impegno finanziario ecco che si rompe il nesso di
immedesimazione organica con l'amministrazione, la quale non
può essere considerata responsabile, diversamente
dall'amministratore locale o dal funzionario pubblico. E
anche quando la provvista è a carico di un altro ente
l'obbligazione di pagamento resta sempre a carico del
comune, che è il soggetto finanziato.
Il divieto, per i Comuni, in base all’art. 23,
commi terzo e quarto, del D.L. 66/1989 convertito, con
modifiche, nella L. n. 144/1989
di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno
contabile registrato dal Ragioniere (o dal Segretario, in
mancanza del ragioniere) sul competente capitolo del
bilancio di previsione, trova applicazione anche qualora la
spesa dell’Ente territoriale sia interamente finanziata da
altro Ente Pubblico, dovendo anche in tal caso avere luogo
la verifica della copertura della spesa nel bilancio del
Comune che assume l’impegno di spesa.
---------------
Il contratto d’opera professionale, con il
quale un Ente Pubblico territoriale abbia affidato la
progettazione di un’opera pubblica subordinando con apposita
clausola il pagamento del compenso al professionista alla
concessione di un finanziamento per la realizzazione
dell’opera da progettarsi, non si sottrae all’applicazione
dell’art. 23 commi terzo e quarto, del D.L. 66/1989
convertito, con modifiche nella L. n. 144/1989.
In particolare la previsione della clausola
c.d. di copertura finanziaria non consente di rinviare
all’ottenimento del finanziamento l’osservanza delle
modalità procedimentali, inderogabilmente dettate dalla
norma di cui all’art. 23 cit.; con la conseguenza che, in
difetto, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’Ente,
intercorrendo -ai fini della contro prestazione- fra il
privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto
l’impegno.
---------------
… dovendo affermarsi i seguenti principi:
7.1 la norma di cui all’art. 23, commi
terzo e quarto, del D.L. n. 66 del 1989 convertito, con
modifiche nella L. n. 144 del 1989
(abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs.
25/02/1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo
decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n.
342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo
decreto) –dettando una disciplina che, nel dare applicazione
al disposto dell’art. 97 Cost., rende estraneo l’ente
pubblico all’attività posta in essere dal suo funzionario o
amministratore senza le modalità procedimentali previste–
viene ad incidere sull’efficacia del contratto,
collocandosi nell’area dell’ordinamento civile riservata
alla competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. ed è,
pertanto, applicabile anche ai Comuni della Regione Sicilia,
a prescindere dal suo formale recepimento nella legislazione
regionale;
7.2 il divieto, per i Comuni, in base
all’art. 23, commi terzo e quarto, del D.L. 66 del 1989
convertito, con modifiche, nella L. n. 144 del 1989
(abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs.
25.02.1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo
decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n.
342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo
decreto) di effettuare qualsiasi spesa in
assenza di impegno contabile registrato dal Ragioniere (o
dal Segretario, in mancanza del ragioniere) sul competente
capitolo del bilancio di previsione, trova applicazione
anche qualora la spesa dell’Ente territoriale sia
interamente finanziata da altro Ente Pubblico, dovendo anche
in tal caso avere luogo la verifica della copertura della
spesa nel bilancio del Comune che assume l’impegno di spesa.
7.3 il contratto d’opera professionale, con
il quale un Ente Pubblico territoriale abbia affidato la
progettazione di un’opera pubblica subordinando con apposita
clausola il pagamento del compenso al professionista alla
concessione di un finanziamento per la realizzazione
dell’opera da progettarsi, non si sottrae all’applicazione
dell’art. 23 commi terzo e quarto, del D.L. 66 del 1989
convertito, con modifiche nella L. n. 144 del 1989
(abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n), D.Lgs.
25.02.1995 n. 77, e sostituito dall’art. 35 del medesimo
decreto, poi modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 15.09.1997 n.
342 e, quindi, abrogato dall’art. 274, lett. h), del D.Lgs.
18.08.2000 n. 267, e sostituito dall’art. 191 del medesimo
decreto).
In particolare la previsione della clausola
c.d. di copertura finanziaria non consente di rinviare
all’ottenimento del finanziamento l’osservanza delle
modalità procedimentali, inderogabilmente dettate dalla
norma di cui all’art. 23 cit.; con la conseguenza che, in
difetto, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’Ente,
intercorrendo -ai fini della contro prestazione- fra il
privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto
l’impegno (Corte
di Cassazione,
Sezz. unite civili,
sentenza
18.12.2014 n. 26657). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Incarichi senza copertura, risponde il sindaco o il
dirigente.
Il comune che incarica il professionista per la
progettazione di un'opera pubblica ben può subordinare con
una clausola ad hoc il pagamento del compenso alla
concessione del finanziamento necessario a realizzare
l'intervento. Ma servono comunque la delibera autorizzativa
e la registrazione dell'impegno di spesa a bilancio,
altrimenti il rapporto obbligatorio non è riferibile
all'amministrazione ma intercorre invece fra il privato, da
una parte, e, dall'altra, l'amministratore locale o il
funzionario pubblico che ha autorizzato la fornitura. E ciò
anche quando è un altro ente, per esempio la regione, a
finanziare interamente l'intervento (vale anche per la
Sicilia, nonostante lo statuto speciale, perché si tratta di
leggi nazionali).
Lo stabiliscono le Sezz. unite civili della Corte di Cassazione con
la
sentenza 18.12.2014 n. 26657 che compone
un contrasto di giurisprudenza.
Accolto, nella specie, il ricorso dell'ente locale. Vale
sempre il principio di contabilità pubblica secondo cui per
i comuni vige il divieto di effettuare qualsiasi spesa in
assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o in
mancanza dal segretario) sul competente capitolo di bilancio
di previsione.
L'incarico di progettare l'opera pubblica affidato al
professionista non sfugge alla regola: l'ente locale non può
effettuare alcuna spesa se non c'è una delibera ad hoc che
l'autorizza e un relativo impegno contabile a bilancio da
comunicare ai terzi interessati: diversamente, dunque,
rispondono il sindaco o il dirigente che l'hanno consentito.
La previsione della clausola di copertura finanziaria nel
contratto stipulato con il professionista non può comunque
consentire di rinviare il momento in cui il comune deve
indicare l'ammontare della spesa e i mezzi per farvi fronte.
Insomma: non si può differire all'arrivo del finanziamento
l'osservanza delle modalità procedimentali previste per gli
enti locali. Nel caso in cui l'incarico è affidato senza
prima mettere nero su bianco l'impegno contabile e attestare
l'impegno finanziario ecco che si rompe il nesso di
immedesimazione organica con l'amministrazione, la quale non
può essere considerata responsabile, diversamente
dall'amministratore locale o dal funzionario pubblico. E
anche quando la provvista è a carico di un altro ente
l'obbligazione di pagamento resta sempre a carico del
comune, che è il soggetto finanziato.
Resta da capire che
cosa accade al professionista.
Quando accetta la clausola che vincola il suo compenso
all'ottenimento del finanziamento dell'opera, il progettista
non rinuncia certo alle sue spettanze: si configura invece
l'inserimento in un contratto d'opera professionale,
normalmente oneroso, di una condizione potestativa (articolo
ItaliaOggi del 19.12.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
novembre 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi esterni - Regolamento interno ente locale -
Incarichi meramente occasionali - Deroga all'evidenza
pubblica - Inammissibilità - Non conformità all'art. 7 tupi
- Ragioni.
La disposizione regolamentare
prevede che «Sono escluse dalle procedure comparative e
dagli obblighi di pubblicità le sole prestazioni
meramente occasionali che si esauriscono in una
prestazione episodica, non riconducibile a fasi di piani o
programmi del committente e che si svolge in maniera del
tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate
al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. 165 del 2001».
La previsione non è conforme a legge.
In merito, peraltro, si osserva che l’occasionalità
è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di
incarico esterno, venuta meno la quale, in ragione del
carattere stabile del bisogno amministrativo che si intende
soddisfare, l’ente sarebbe tenuto a farvi fronte con un
impiego stabile ovvero ad esternalizzare in appalto.
Per tale ragione non pare corretta
l’astratta distinzione tra occasionalità e
“mera” occasionalità, in quanto non fornisce
alcun criterio discriminativo implicito o altrimenti
ricavabile dalla ratio sottesa all’art. 7 TUPI; piuttosto
essa appare prefigurare una clausola per deroghe de facto
alla regola della procedura comparativa, simile a quella
della soglia minima per valore, pacificamente ritenuta
illegittima da questa Corte.
Infatti, come nei casi delle soglie di valore di irrilevanza
ai fini della procedura comparativa, non si può che ribadire
che gli enti sono tenuti alla
stretta osservanza del principio dell’evidenza pubblica
nell’assegnazione degli incarichi. In altre parole, la
normativa primaria di cui all’art. 7, comma 6-bis, del
D.lgs. n. 165/2001 non consente alcuna deroga alle procedure
comparative, se non con successiva norma di pari rango, allo
stato attuale non esistente.
I soggetti pubblici destinatari
della norma possono, secondo i loro ordinamenti,
semplicemente adattare e indicare le modalità di selezione e
pubblicità delle procedure, non disciplinarne gli stessi
presupposti.
La doverosa osservanza della norma
primaria non consente, quindi, alcuna deroga da parte degli
ordinamenti delle singole amministrazioni tenute
all’osservanza della disciplina dell’art. 7 TUPI.
Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti
pubblici in questione di stabilire “ad libitum”, attraverso
i propri statuti e regolamenti, categorie che, per quantità
o qualità dell’incarico, sono sottratte alle procedure
concorsuali, così svuotando di contenuto, tra l’altro, la
stessa norma sul controllo (perché inibita a controllare la
spesa pubblica ogni qualvolta vengano poste eccezioni alle
procedure secondo parametri di merito non sottoposti a
controllo e variabili da ente a ente).
Ne conseguirebbe, quindi, che il controllo della Corte sulla
materia sarebbe limitato principalmente al corretto rispetto
della soglia prevista dalla normativa statutaria e
regolamentare, con aperta violazione dei principi di
imparzialità garantiti costituzionalmente.
---------------
La giurisprudenza della Corte ha da tempo individuato i
seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi
da 54 a 57, della Legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di
normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e
ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei
all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti
degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel
rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art.
48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a), del
TUEL);
2) l’art. 46 del D.L. n. 112/2008,
convertito nella Legge n. 133/2008, ha unificato gli
incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale
e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli
all’interno della tipologia generale di collaborazione
autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica
professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono
dalle collaborazioni “comuni”, il cui uso è vietato per lo
svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione
“particolare e comprovata specializzazione universitaria”, è
stato chiarito che con essa si intende il possesso di
conoscenze specialistiche equiparabile a quello che si
otterrebbe con un percorso formativo di tipo universitario,
basato su conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione
richiesta, per essere “comprovata”, deve essere oggetto di
accertamento in concreto condotto sull’esame di documentati
curriculari. Il mero possesso formale di titoli non sempre è
sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste
capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del D.lgs. n.
165/2001 (TUPI) richiede, come presupposti di legittimità,
tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza
contabile necessari per il ricorso ad incarichi di
collaborazione o di studio. In particolare, quello della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che
si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge, oltre che previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42 TUEL;
5) il comma 3 dell’art. 46 del D.L. n.
112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel
regolamento il livello massimo di spesa sostenibile,
prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale
nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in
sede di conferimento, l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni
autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel
punto 6 della deliberazione SRC Lombardia n. 37/2008 del
04.03.2008, sull’inapplicabilità della disciplina a materia
già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra
incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve
essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è
posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito
l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le
amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel
Codice dei contratti pubblici, D.lgs. n. 163/2006. Tuttavia,
la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di
beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti
criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure
concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi
solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio
procedura concorsuale andata deserta, unicità della
prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza
determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza
in relazione ad un termine prefissato o ad un evento
eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti
gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i
contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare:
oggetto della prestazione, durata, modalità di
determinazione del corrispettivo, termini di pagamento,
verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile
in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di
incarico;
10) nel regolamento deve essere
espressamente precisato che le società partecipate debbono
osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per
gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo
dell’ente locale sulla relativa osservanza.
---------------
In data 22.09.2014,
con nota prot. C.C. n. 4565, il Comune di Caserta (CE) ha
trasmesso alla Sezione Regionale di controllo per la
Campania la delibera di Giunta Comunale n. 144 del
21.03.2008, avente ad oggetto l’approvazione del nuovo
regolamento per il conferimento di incarichi “Regolamento
sull'Ordinamento degli Uffici e Servizi del Comune di
Caserta”, approvato con deliberazione di G.C. n. 560 del
19.07.02000 e s.m.i.
Sulla base dei criteri enunciati dalla giurisprudenza di
questa Corte in merito all’interpretazione dell’art. 7 del
D.lgs. n. 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego, da ora
innanzi TUPI) e delle altre norme e principi in materia, il
Magistrato istruttore ha deferito la questione all’esame
collegiale della Sezione.
...
1. La
legge finanziaria per il 2008 (L. 24.12.2007, n. 244), nel
dettare le regole alle quali gli enti locali debbono
conformarsi per il conferimento di incarichi di
collaborazione, di studio e di ricerca, nonché di
consulenza, a soggetti estranei all’amministrazione, ha
previsto la necessaria emanazione, da parte di ciascun ente
locale, di norme regolamentari, da trasmettere alla
competente Sezione regionale della Corte dei conti entro
trenta giorni dall’adozione (obbligo esteso all’ipotesi di
modifiche future ai testi già approvati).
La Corte dei conti (cfr. SRC Lombardia, deliberazioni nn. 28
e 29/2008/PAR, 37/2008/REG e 224/2008) ha da tempo elaborato
i criteri interpretativi della normativa al fine di
stabilire, nell’esame dei regolamenti pervenuti, parametri
di verifica uniformi, nonché l’alveo giuridico in cui si
sostanzia la funzione di controllo.
Il comma 57 dell’art. 3 della legge n. 244/2007 obbliga gli
enti a trasmettere alla Corte dei conti le disposizioni
regolamentari inerenti agli incarichi di collaborazione
esterna, a qualunque titolo affidati. In base al dato
testuale, l’efficacia delle disposizioni regolamentari non è
subordinata al loro esame da parte della Corte, che non è
chiamata ad effettuare un controllo preventivo di
legittimità ma, nella logica di sistema, la trasmissione è
da ritenere finalizzata all’esercizio delle competenze
tipiche della magistratura contabile.
1.1. Al
riguardo, necessario punto di partenza è la considerazione
che le Sezioni regionali della Corte dei conti possono
svolgere, tra gli altri, vari controlli di natura “collaborativa”
nell'ambito dei quali il Legislatore, come ha riconosciuto
dalla la Corte costituzionale, è libero di assegnare
qualsiasi competenza, purché vi sia un fondamento
costituzionale rinvenibile, in base ad una lettura
adeguatrice rispetto al nuovo assetto della Repubblica,
nelle norme originariamente dettate per lo Stato, quali gli
artt. 100, 81, 97, primo comma, e 28 della Costituzione
(cfr. sentenza Corte cost. n. 179/2007).
Tali controlli “collaborativi” possono avere una
struttura aperta quanto ad oggetto e parametro di
valutazione (controlli eventuali ai sensi dell’art. 3 della
L. n. 20/1994, oggetto di specifica programmazione,
caratterizzati per l’allargamento del parametro a regole di
buona prassi, dall’esito meramente conformativo, nel senso
dell’autocorrezione dell’Amministrazione) ovvero possono
avere carattere “dicotomico” (Corte costituzionale n.
40/2014) in cui la Magistratura di controllo è chiamata a
valutare e decidere secondo lo schema tipico e naturale
della funzione magistratuale, ovvero secondo lo schema di
conformità/non conformità ad un parametro normativo, sia
esso afferente un’attività o un atto.
In assenza di specifiche conseguenze di legge, relativamente
alle irregolarità normative rilevate, resta fermo il dovere
di riesame delle criticità evidenziate dalla Corte dei Conti
da parte dell’Amministrazione al fine del ripristino della
regolarità amministrativa e contabile, come esplicitamente
affermato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 198/2012),
con l’obbligo di porre in essere, in ossequio a costante
approdo della giurisprudenza, un procedimento di secondo
grado per rimuovere le ridette irregolarità (si ricade nella
casistica di “autotutela doverosa” che, come noto,
comprende «l'ipotesi di illegittimità dell'atto
dichiarata da sentenza passata in giudicato del giudice
ordinario, e quella di illegittimità dell'atto dichiarata da
un'autorità di controllo priva del potere di annullamento.
È, peraltro, pacifico in giurisprudenza che per gli atti che
esplicano effetti giuridici ripetuti nel tempo il principio
di legalità impone all'Amministrazione il loro adeguamento
in ogni momento al quadro normativo di riferimento. In tali
ipotesi l'interesse pubblico all'esercizio dell'autotutela è
"in re ipsa" e si identifica nella cessazione di ulteriori
effetti "contra legem" cfr. Consiglio di Stato VI, sentenza
17.01.2008, n. 106» TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.04.2012, n. 1527).
In alcuni di questi controlli, in presenza di presupposti
specifici (di norma determinate tipologie di “gravi
irregolarità”), il Legislatore ha previsto conseguenze
specifiche ed il superamento dell’effetto meramente
conformativo nel senso della necessità dell’autotutela
vincolata, prevedendo un effetto “interdittivo”,
rimesso ad un’ulteriore attività di accertamento della
Magistratura di controllo; effetto interdittivo, peraltro,
operante sul piano meramente finanziario e non su quello
della capacità dell’ente (autodichia e capacità negoziale).
È questo il caso della fattispecie dell’art. 148-bis TUEL,
comma 3, in ipotesi di mancanza o inidoneità delle misure di
autocorrezione adottate da un ente a valle di una pronuncia
specifica della Corte.
1.1.1.
In questo quadro, l’obbligo di trasmissione alla Corte dei
conti di atti e documenti, da parte degli enti locali, non
può essere fine a sé stesso, ma deve essere finalizzato allo
svolgimento delle specifiche funzioni, come già messo in
luce dalla Sezione (cfr. SRC Campania n. 221/2014/VSG e n.
21/2014/REG).
La trasmissione dei regolamenti deve quindi ritenersi
strumentale al più generale potere di controllo di cui
l’art. 1, commi da 166 a 172, della Legge n. 266 del 2005 e
all’art. 148-bis TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1,
lettera e), del D.L. n. 174/2012. Tali previsioni hanno
istituito ulteriori tipologie di controllo, estese alla
generalità degli enti locali e degli enti del Servizio
sanitario nazionale, ascrivibili a controlli di natura
preventiva finalizzati ad evitare danni irreparabili
all’equilibrio di bilancio.
Tali controlli si collocano, pertanto, su un piano
nettamente distinto rispetto al controllo sulla gestione
amministrativa di natura collaborativa in senso lato; la
Corte costituzionale, infatti, «Nel pronunciarsi sulla
conformità a Costituzione delle norme che disciplinano tale
tipologia di controllo, in relazione agli enti locali e agli
enti del Servizio sanitario nazionale (art. 1, commi da 166
a 172, della legge n. 266 del 2005), […] ha altresì
affermato che esso “è ascrivibile alla categoria del
sindacato di legalità e di regolarità, di tipo complementare
al controllo sulla gestione amministrativa” (sentenza n. 179
del 2007)» (sentenze n. 60 del 2013). Tali controlli,
come si anticipava, sono caratterizzati da un esito di tipo
“dicotomico” o binario di conformità al parametro
normativo.
Detto in altri termini, il Legislatore, accanto al controllo
generale di cui all’art. 1, commi da 166 a 172, della legge
n. 266 del 2005 e 148-bis TUEL, ha previsto forme di
controllo specifico, riguardanti determinate tipologie di
spese; ha così istituito il controllo sui regolamenti in
questione e, similmente, sugli incarichi oltre una
determinata soglia di importo (cfr. infra), come, più di
recente, sulle spese di rappresentanza (art. 16, comma 26,
del D.L. n. 138/2011, conv. nella Legge n. 148/2011).
Di conseguenza, anche il controllo sui regolamenti deve
essere svolto secondo schema “binario” di conformità
(C. cost., sent. n. 40/2014), dovendosi assumere a parametro
delle disposizioni regolamentari lo statuto dell’ente, i
limiti normativi di settore (in particolare l’art. 7 del
d.lgs n. 165/2001 e l’art. 110 TUEL) oltre ad ogni altra
disposizione legislativa che contenga indicazioni, anche di
natura finanziaria, riferite a questa materia.
1.2.
Fissati i parametri di raffronto, occorre verificare quali
siano gli effetti del controllo.
Al riguardo va ricordato che la Corte costituzionale,
ricostruendo il quadro complessivo dell’attività di
controllo della Corte dei conti nei confronti degli enti
locali, ha ritenuto ascrivibile al riesame di legalità e
regolarità (alla stessa maniera delle verifiche previste
dall’art. 1 comma 166 e seguenti della legge n. 166/2005)
anche il controllo ex art. 3, comma 57, della legge n.
244/2007, che ha la caratteristica, in una prospettiva non
più statica (come era il tradizionale controllo di
legalità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra
fattispecie e parametro normativo all’adozione di misure
correttive.
Tanto premesso, sotto il profilo sostanziale,
la giurisprudenza della Corte ha da tempo
individuato i seguenti principi:
1) la disciplina dettata dall’art. 3, commi
da 54 a 57, della Legge n. 244/2007 stabilisce l’obbligo di
normazione regolamentare di limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di collaborazione, studio e
ricerca, nonché di consulenza, a soggetti estranei
all’amministrazione. La competenza ad adottare i regolamenti
degli uffici e dei servizi appartiene alla Giunta, nel
rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio (art.
48, terzo comma, e art. 42, secondo comma, lett. a), del
TUEL);
2) l’art. 46 del D.L. n. 112/2008,
convertito nella Legge n. 133/2008, ha unificato gli
incarichi di collaborazione ad alto contenuto professionale
e gli incarichi di studio e consulenza, riconducendoli
all’interno della tipologia generale di collaborazione
autonoma, tutti caratterizzati dal grado di specifica
professionalità richiesta. Questi presupposti li distinguono
dalle collaborazioni “comuni”, il cui uso è vietato
per lo svolgimento delle funzioni ordinarie dell’ente;
3) quanto alla locuzione “particolare e
comprovata specializzazione universitaria”, è stato
chiarito che con essa si intende il possesso di conoscenze
specialistiche equiparabile a quello che si otterrebbe con
un percorso formativo di tipo universitario, basato su
conoscenze specifiche inerenti al tipo di attività
professionale oggetto dell’incarico. La specializzazione
richiesta, per essere “comprovata”, deve essere
oggetto di accertamento in concreto condotto sull’esame di
documentati curriculari. Il mero possesso formale di titoli
non sempre è sufficiente a comprovare l’acquisizione delle
richieste capacità professionali;
4) il nuovo testo dell’art. 7 del D.lgs. n.
165/2001 (TUPI) richiede, come presupposti di legittimità,
tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza
contabile necessari per il ricorso ad incarichi di
collaborazione o di studio. In particolare, quello della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente comporta che
si possa ricorrere a contratti di collaborazione solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge, oltre che previste dal programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42 TUEL;
5) il comma 3 dell’art. 46 del D.L. n.
112/2008 ha eliminato l’obbligo di individuare nel
regolamento il livello massimo di spesa sostenibile,
prevedendo invece la fissazione del limite massimo annuale
nel bilancio preventivo. È pertanto necessario accertare, in
sede di conferimento, l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite;
6) quanto all’oggetto delle collaborazioni
autonome, si richiamano le considerazioni contenute nel
punto 6 della deliberazione SRC Lombardia n. 37/2008 del
04.03.2008, sull’inapplicabilità della disciplina a materia
già autonomamente regolamentata e sulla distinzione tra
incarico professionale ed appalto di servizi;
7) il conferimento dell’incarico deve
essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale, adeguatamente pubblicizzate. In proposito si è
posto il problema del se, ed in quali limiti, sia consentito
l’affidamento diretto dell’incarico. In taluni casi, le
amministrazioni fanno riferimento ai limiti previsti nel
Codice dei contratti pubblici, D.lgs. n. 163/2006. Tuttavia,
la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di
beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti
criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure
concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi
solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio
procedura concorsuale andata deserta, unicità della
prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza
determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza
in relazione ad un termine prefissato o ad un evento
eccezionale;
8) l’atto di incarico deve contenere tutti
gli elementi costitutivi ed identificativi previsti per i
contratti della Pubblica Amministrazione, in particolare:
oggetto della prestazione, durata, modalità di
determinazione del corrispettivo, termini di pagamento,
verifiche del raggiungimento del risultato (indispensabile
in ipotesi di proroga o rinnovo);
9) in ogni caso, tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere o determinazioni di
incarico;
10) nel regolamento deve essere
espressamente precisato che le società partecipate debbono
osservare i principi e gli obblighi fissati in materia per
gli enti cui appartengono, nonché i criteri per il controllo
dell’ente locale sulla relativa osservanza
(art. 18 del D.L. 112/2008, SRC Lombardia, n. 350/2011/PAR).
1.3.
Infine si rammentano i seguenti obblighi di
legge.
1.3.1.
L’art. 15 del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013, rafforzando un
obbligo già a suo tempo disposto dall’art. 3, comma 54 della
Legge 24.12.2007, n. 244 (finanziaria per il 2008)
impone alle amministrazioni (anche gli enti locali)
che si avvalgono di collaboratori esterni o che
affidano incarichi di consulenza di pubblicare: a)
gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; b) il
curriculum vitae; c) i dati relativi allo svolgimento di
incarichi o di attività professionali; d) i compensi,
comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di
collaborazione, con l’indicazione dei soggetti percettori,
della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato.
Tale obbligo di pubblicità, è assolto
arricchendo i contenuti necessari dei siti web istituzionali
indicati dall’articolo 54 del decreto legislativo
07.03.2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale),
mediante l’inserimento dei richiamati dati nella home
page dei siti istituzionali degli enti, all’interno
dell’apposita sezione denominata “amministrazione
trasparente”
(cfr. art. 9 del medesimo d.lgs. n. 33/2013).
La medesima disposizione, ai commi 2 e 3, conferma e
rinsalda anche le conseguenze e le sanzioni previste dal
richiamato art. 3 della finanziaria 2008 per l’ipotesi di
mancata pubblicazione dei dati relativi all’affidamento a
titolo oneroso dei prefati incarichi a soggetti esterni alla
pubblica amministrazione.
In particolare, si prevedono, accanto al vincolo
sull’efficacia dei relativi atti di affidamento, le
conseguenti responsabilità disciplinari ed erariali in capo
ai dirigenti che danno corso al pagamento dei relativi
compensi: “la pubblicazione degli
estremi degli atti di conferimento di incarichi […] di
collaborazione o di consulenza a soggetti esterni a
qualsiasi titolo per i quali è previsto un compenso,
completi di indicazione dei soggetti percettori, della
ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato, nonché la
comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri -
Dipartimento della funzione pubblica dei relativi dati ai
sensi dell'articolo 53, comma 14, secondo periodo, del
decreto legislativo 30.03.2001, n. 165 e successive
modificazioni, sono condizioni per l'acquisizione
dell'efficacia dell'atto e per la liquidazione dei relativi
compensi. Le amministrazioni pubblicano e mantengono
aggiornati sui rispettivi siti istituzionali gli elenchi dei
propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il
compenso dell'incarico. […]”
(comma 2) ”In caso di omessa
pubblicazione di quanto previsto al comma 2, il pagamento
del corrispettivo determina la responsabilità del dirigente
che l'ha disposto, accertata all'esito del procedimento
disciplinare, e comporta il pagamento di una sanzione pari
alla somma corrisposta, fatto salvo il risarcimento del
danno del destinatario ove ricorrano le condizioni di cui
all'articolo 30 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104.”
1.3.2.
Altrettanto importante è l’obbligo di sottoporre le
ipotesi di incarico al parere preventivo dei Revisori. Tale
obbligo è stato previsto dall’art. 1, comma 42, Legge n. 311
del 30.12.2004 (finanziaria per il 2005).
In proposito, a fronte di pronunciamenti inizialmente
orientati nel senso dell’intervenuta abrogazione della
disposizione (cfr. ad esempio, la delibera n. 4/2006/AUT
della Sezione delle Autonomie, di approvazione delle Linee
guida per l’attuazione dell’art. 1, comma 173 della Legge n.
266 del 2005) la successiva giurisprudenza
costante delle Sezioni regionali di controllo di questa
Corte si sono pronunciate per la permanenza in vigore
dell’art. 1, comma 42, della Legge n. 311/2004
(cfr. SRC Lombardia, deliberazioni nn. 213/2010; 506/2010;
cfr. anche SRC Piemonte 69/2011).
1.3.3.
Infine, si rammenta l’obbligo di invio alla
Corte dei conti degli gli incarichi di importo superiore a €
5.000,00: l’art. 1, comma 173, della Legge 23.12.2005, n.
266, infatti, ha previsto che gli atti di spesa relativi ai
precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a €
5.000,00 devono essere trasmessi alla competente sezione
della Corte dei conti per l’esercizio del controllo
successivo sulla gestione, di tipo “dicotomico”, di
cui alla L. 266/2005.
Questa Corte ha già affermato che “l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei
requisiti di Legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta, da un lato,
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e, dall’altro, la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”
(SRC Lombardia, n. 244/2008).
Anche in questo caso, come si è già sottolineato, il
Legislatore accanto al controllo generale di cui all’art. 1,
commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005 e 148-bis
TUEL ha previsto forme di controllo specifico, riguardante
determinate tipologie di spese.
2. Nel
caso specifico, in merito al Regolamento del Comune di
Caserta, si osserva quanto segue, con riguardo alla
previsione di cui al 6§2. Tale disposizione
regolamentare prevede che «Sono escluse dalle procedure
comparative e dagli obblighi di pubblicità le sole
prestazioni meramente occasionali che si esauriscono
in una prestazione episodica, non riconducibile a fasi di
piani o programmi del committente e che si svolge in maniera
del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie
indicate al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. 165 del 2001».
La previsione non è conforme a legge.
Sul punto, il Collegio non ignora che, in effetti, la
previsione è conforme al contenuto della Circolare n. 2/2008
della Presidenza del Consiglio.
In merito, peraltro, si osserva che l’occasionalità
è una caratteristica strutturale di tutti i provvedimenti di
incarico esterno, venuta meno la quale, in ragione del
carattere stabile del bisogno amministrativo che si intende
soddisfare, l’ente sarebbe tenuto a farvi fronte con un
impiego stabile ovvero ad esternalizzare in appalto
(cfr. supra, a proposito della ratio dell’art.
7 TUPI e la sua connessione con l’art. 36 dello stesso Testo
unico).
Per tale ragione non pare corretta
l’astratta distinzione tra occasionalità e “mera”
occasionalità, in quanto non fornisce alcun criterio
discriminativo implicito o altrimenti ricavabile dalla
ratio sottesa all’art. 7 TUPI; piuttosto essa appare
prefigurare una clausola per deroghe de facto alla
regola della procedura comparativa, simile a quella della
soglia minima per valore, pacificamente ritenuta illegittima
da questa Corte
(cfr. ex plurimis, Sez. centr. contr. leg. n.
12/2011).
Infatti, come nei casi delle soglie di valore di irrilevanza
ai fini della procedura comparativa, non si può che ribadire
che gli enti sono tenuti alla stretta
osservanza del principio dell’evidenza pubblica
nell’assegnazione degli incarichi. In altre parole, la
normativa primaria di cui all’art. 7, comma 6-bis, del
D.lgs. n. 165/2001 non consente alcuna deroga alle procedure
comparative, se non con successiva norma di pari rango, allo
stato attuale non esistente.
Pertanto, la conformità della norma regolamentare alla
Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.
2/2008 non esime la disposizione da censure, sia per la
natura dell’atto giuridico in questione, che non è una fonte
del diritto, sia per l’indiscussa giurisprudenza contabile,
la quale ha mostrato ripetutamente il proprio orientamento
restrittivo verso eccezioni “interpretative” alla
regola dell’evidenza pubblica.
In definitiva, atteso che la richiamata norma è espressione
dei principi costituzionali di buon andamento e di
imparzialità delle amministrazioni pubbliche –attraverso,
appunto, la previsione di procedura concorsuale per
l’affidamento di tali incarichi– se ne deve dedurre che
i soggetti pubblici destinatari della norma possono,
secondo i loro ordinamenti, semplicemente adattare e
indicare le modalità di selezione e pubblicità delle
procedure, non disciplinarne gli stessi presupposti.
La doverosa osservanza della norma primaria
non consente, quindi, alcuna deroga da parte degli
ordinamenti delle singole amministrazioni tenute
all’osservanza della disciplina dell’art. 7 TUPI.
Diversamente opinando, invero, si consentirebbe agli enti
pubblici in questione di stabilire “ad libitum”,
attraverso i propri statuti e regolamenti, categorie che,
per quantità o qualità dell’incarico, sono sottratte alle
procedure concorsuali, così svuotando di contenuto, tra
l’altro, la stessa norma sul controllo (perché inibita a
controllare la spesa pubblica ogni qualvolta vengano poste
eccezioni alle procedure secondo parametri di merito non
sottoposti a controllo e variabili da ente a ente).
Ne conseguirebbe, quindi, che il controllo della Corte sulla
materia sarebbe limitato principalmente al corretto rispetto
della soglia prevista dalla normativa statutaria e
regolamentare, con aperta violazione dei principi di
imparzialità garantiti costituzionalmente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania,
parere 14.11.2014 n. 235). |
INCARICHI PROFESSIONALI: I
presupposti di legittimità per il ricorso ad incarichi di
collaborazione sono specificamente enucleati dall’art. 7 del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165
(norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti costituiscono la
codificazione di quanto ampiamente affermato dalla
giurisprudenza contabile in ordine al conferimento di atti
riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a controllo
da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per
relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare, la disciplina vigente
prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare coerente con le
esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è
stato in proposito chiarito che: “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge";
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che, in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa, gli enti
pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali
avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo
fondamento dal principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione e il conferimento degli
incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A.
si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari
condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben
oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità
del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo
all’assenza di personale idoneo
(art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare
esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il
rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è
consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare
il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore,
ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di
affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente
determinati durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione;
e) deve sussistere il requisito
della “comprovata specializzazione anche universitaria”: le
amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, possono conferire incarichi
individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale,
occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a
esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto
dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo
10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità
di accertare la maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o
di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa
introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con
legge. n. 122/2010 e s.m.i..
---------------
L’Azienda Sanitaria Locale TO 2 (in seguito l’Azienda
Sanitaria), con nota pervenuta in data 11.02.2014 prot. n.
2131, ha trasmesso a questa Sezione Regionale di Controllo,
ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n.
266, una serie di deliberazioni del Direttore Generale ed in
particolare la deliberazione n. 41 del 24.01.2014 (munita
dei pareri favorevoli del direttore sanitario e del
direttore amministrativo), avente ad oggetto l’affidamento
di un incarico di assistenza legale “a seguito di
richiesta di pagamento sanzioni amministrative per
prescrizioni in materia di sicurezza e salute sul lavoro”
a favore dell’….(omissis)… per un spesa di € 5.000,00 oltre
oneri accessori.
Per inciso va sottolineato che nell’ambito della predetta
trasmissione veniva altresì inoltrata la deliberazione n. 38
del 24.01.2014 avente ad oggetto la liquidazione di spese
legali a favore di un proprio dipendente quale rimborso
delle spese sostenute nell’ambito di un processo penale
all’esito di un giudizio definito positivamente per il
medesimo, ai sensi dell’art. 25 del CCNL del 1998-2001 del
relativo comparto, provvedimento in relazione al quale alcun
rilievo è stato mosso ma che –in questa sede- assume un
rilevanza indiretta in relazione ad un profilo inerente alla
concreta attiva posta in essere dalla P.A. a seguito
dell’atto oggetto di controllo.
Dall’esame della deliberazione n. 41/2014, come
rilevato con la prima nota istruttoria, si è evinto che
non risultava: la previa procedura comparativa per la scelta
dell’incaricato, la previa ricognizione dell’assenza di
strutture organizzative o professionalità interne all’ente
in grado di svolgere l’incarico, né l’avvenuta pubblicazione
sul sito web dell’incarico.
...
I.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione. La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti controllati a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che ”l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di uno o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”
(Sez. reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge
dell’incarico conferito dalla Azienda sanitaria occorre
rammentare che i presupposti di legittimità
per il ricorso ad incarichi di collaborazione sono
specificamente enucleati dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001,
n. 165 (norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche). I citati
presupposti costituiscono la codificazione di quanto
ampiamente affermato dalla giurisprudenza contabile in
ordine al conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia
di spese soggette a controllo da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche, le spese per
relazioni, rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità), in
tal senso, si può richiamare il recente
parere 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione).
In particolare, la disciplina vigente
prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare coerente con le
esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; è
stato in proposito chiarito che: “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge”
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37,
nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008);
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che, in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa, gli enti
pubblici devono di norma svolgere i compiti istituzionali
avvalendosi di proprio personale. Tale regola trae il suo
fondamento dal principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione e il conferimento degli
incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A.
si pone come eccezione in presenza di speciali e peculiari
condizioni. D’altro canto il legislatore ha ormai da ben
oltre un decennio previsto in linea generale l’eccezionalità
del ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo
all’assenza di personale idoneo
(art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata e deve soddisfare
esigenze straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il
rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è
consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare
il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore,
ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di
affidamento dell'incarico;
d) devono essere preventivamente
determinati durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le
amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, possono conferire incarichi
individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale,
occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a
esperti muniti di tale requisito.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto
dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo
10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità
di accertare la maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso di conferimento di un incarico di studio o
di consulenza occorre altresì osservare i limiti di spesa
introdotti dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con
legge. n. 122/2010 e s.m.i.
(salve particolari ipotesi.; es. la copertura della spesa
mediante finanziamenti aggiuntivi e specifici trasferiti da
altri soggetti pubblici o privati, cfr. sez. contr. Piemonte
parere 25.10.2013 n. 362).
II.
Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di
legittimità per il conferimento dell’incarico occorre
evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla
Azienda Sanitaria a mezzo delle varie risposte e dei
documenti inviati nel corso dell’espletata istruttoria,
mentre per gli aspetti inerenti alla pubblicazione sul sito
web dell’ente risultano essere state fornite indicazioni
adeguate e sufficienti, non può dirsi ugualmente in ordine
alla procedura utilizzata per il conferimento dell’incarico.
Va inoltre evidenziato che problematiche risultano residuare
quanto alla previa ricognizione dell’assenza di strutture e
professionalità interne all’ente in grado di far fronte
all’incarico e ad ulteriori aspetti concernenti
l’affidamento dell’incarico in questione e la vicenda
sottostante.
Preliminarmente occorre puntualizzare la natura
dell’incarico conferito all’…(omissis)... nell’ambito del
controllo successivo esercitato da questa sezione. Va
infatti evidenziato che la deliberazione n. 41/2014, oggetto
del presente procedimento di controllo, trasmessa quale
incarico di assistenza legale come risultante dal tenore
letterale dell’oggetto e della stessa parte dispositiva, è
stata dunque rappresentata quale atto di conferimento di un
incarico esterno in ambito stragiudiziale. Tuttavia
all’esito dell’articolata attività istruttoria la natura
dello stesso incarico si è rivelata invero parzialmente
differente e la sottostante realtà si e dimostrata ben
diversa e molto più articolata di quanto ufficialmente e
sinteticamente riportato nel provvedimento assunto dal
Direttore Generale.
Invero l’analisi dei documenti e delle risposte istruttorie
ha consentito di accertare che per effetto della
deliberazione 41/2014 l’A.S.L. TO 2 ha incaricato
…(omissis)… di effettuare le opportune valutazioni e le
eventuali modifiche alle procedure afferenti la sicurezza
sui luoghi di lavoro dell’azienda sanitaria, consegnando
allo stesso la relativa documentazione (nota di risposta
pervenuta il 20.06.2014 prot. n. 6766), con riesame
dell’organizzazione delle deleghe (nota pervenuta il
26.02.2014, prot. n. 2615). Inoltre al legale è stato
conferito altresì un incarico in ambito giudiziale, ma
contrariamente a quanto dichiarato in sede di risposta
istruttoria, l’Azienda non ha incaricato l’…(omissis)… di
proporre un ricorso avverso le sanzioni amministrative
pecuniarie irrogate.
Invero quanto all’avvenuta proposizione di un ricorso in via
giurisdizionale amministrativa in nome e per conto dell’ASL
TO 2 non vi è alcuna documentazione. Di contro, dalla
lettura degli atti è emerso che l’…(omissis)… è stato
incaricato della difesa personale del Direttore Generale
nell’ambito del procedimento penale R.G.N.R. 1838/14, tanto
che lo stesso legale in data 20.03.2014 ha presentato una
memoria difensiva ex art. 367 c.p.p. all’autorità
inquirente. Dall’esame complessivo degli atti emerge dunque
che in realtà non sia stato presentato alcun ricorso in nome
e per conto dell’Azienda sanitaria avverso sanzioni
amministrative. In realtà nel caso di specie trattandosi di
sanzioni per violazione delle norme sulla sicurezza sui
luoghi di lavoro, viene in rilievo la disciplina di cui al
d.lgs. n. 81/2008, segnatamente gli artt. 29, 64 e 65 del
citato d.lgs., la cui violazione dà luogo (ex art. 301)
all’applicazione delle disposizioni in materia di
prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli
20, e seguenti, del decreto legislativo 19.12.1994, n. 758.
Conseguentemente nella suddetta vicenda risultano essere
state riscontrate violazioni alla disciplina sulla sicurezza
sui luoghi di lavoro, che hanno dato luogo all’avvio di un
procedimento penale ovviamente nei confronti di una persona
fisica, come del resto esplicitato nelle avvertenze e
prescrizioni (punti 6-7-8-9-) al verbale di ispezione e
prescrizioni V45/13 dello Spresal dell’ASL TO4.
In conseguenza di ciò è quindi emerso che
con il provvedimento de quo all’…(omissis)… è stato
conferito un incarico composito in parte di natura
stragiudiziale correlato all’analisi ed alla revisione delle
procedure afferenti la sicurezza sui luoghi di lavoro
dell’azienda ed in parte di natura giudiziale, peraltro non
già per la rappresentanza e tutela dell’Azienda Sanitaria,
ma bensì per la difesa di una persona fisica nell’ambito del
procedimento scaturito dall’ispezione (sfociata nel verbale
V45/13) degli ufficiali di polizia giudiziaria dello Spresal
dell’ASL TO4.
Chiarita la natura del tutto peculiare dell’incarico in
questione occorre analizzare gli elementi problematici
afferenti al controllo sulla gestione del provvedimento
conferito con la deliberazione n. 41/2014.
II.1.
In primo luogo va evidenziato il fatto che
l’incarico in questione (in parte come detto di
natura stragiudiziale) è stato conferito in assenza di una
previa procedura comparativa.
In proposito si osserva che l’obbligo di
seguire procedure comparative per il conferimento degli
incarichi di collaborazione è puntualmente declinato nel
comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale
obbligo è considerato dalla giurisprudenza amministrativa un
adempimento essenziale per la legittima attribuzione di
incarichi di collaborazione; in proposito è stato affermato
che “il conferimento di incarichi di collaborazione
esterna da parte delle P.A. deve avvenire previo esperimento
di procedure para-selettive e non già in base alla sola
valutazione di idoneità del prescelto”
(TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai
principi generali di trasparenza, pubblicità e massima
partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi
ricordato che “l'affidamento di
incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a
soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può
prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione
comparativa adeguatamente pubblicizzata”
(Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed ancora: “qualsivoglia
pubblica amministrazione può legittimamente conferire ad un
professionista esterno un incarico di collaborazione, di
consulenza, di studio, di ricerca o quant’altro, mediante
qualunque tipologia di lavoro autonomo, continuativo o anche
occasionale, solo a seguito dell’espletamento di una
procedura comparativa previamente disciplinata ed adottata e
adeguatamente pubblicizzata, derivandone in caso di
omissione l’illegittimità dell’affidamento della prestazione
del servizio”
(TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte Conti sez.
reg. contr. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37;
parere 27.11.2012 n. 509 che ribadiscono i
principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto
modo di statuire che: “il comma 6-bis
dell’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per
le amministrazioni di disciplinare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento di incarichi di
collaborazione, ha in concreto posto la necessità
dell’espletamento della procedura concorsuale, nella
considerazione che un simile modus operandi, implicando il
rispetto di precisi adempimenti procedurali e moduli
operativi, concorra a rendere l’operato dell’Amministrazione
conforme ai parametri di efficienza, efficacia, economicità
e trasparenza, costituzionalmente tutelati ex art. 97”
(Corte Conti, sez. centrale controllo prev. legittimità
Stato, 02.10.2012, n. 23; analogamente la stessa sezione
delibera 26.10.2011, n. 21).
Pertanto, il ricorso a procedure
comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato
con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla
giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare
urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione
dell’attività discendente dall’incarico”
(ex plurimis,
parere 14.03.2012 n. 67 Sez. Contr. Lombardia).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente
chiarito dalla giurisprudenza contabile,
non può ritenersi legittima la previsione di affidamenti di
incarichi senza procedura comparativa al di sotto di una
soglia individuata in valore monetario (o di un numero
massimo di ore della prestazione richiesta al
collaboratore), poiché “la materia è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto
non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri”,
in particolare agli affidamenti in economia
(Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37;
Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/2010 e n. 8/2010; cfr le
recenti Sez. contr. reg. Piemonte
parere 25.10.2013 n. 362;
parere 19.12.2013 n. 421).).
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa
Sezione (parere
20.12.2012 n. 5) ha già avuto modo di affermare,
esaminando un regolamento comunale che prevedeva
l’osservanza di una procedura comparativa, resa pubblica con
pubblicazione all’albo pretorio, solo per incarichi di
importo superiore ad € 5.000,00, che una
siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto
prevede l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come
introdotto dall’art 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di
conversione, a mente del quale “Le amministrazioni pubbliche
disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli
incarichi di collaborazione”, senza lasciare spazio
all’introduzione di soglie di valore al di sotto delle quali
le procedure comparative non sono necessarie o non sono rese
pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “Va
aggiunto che si è posto il problema del se e in quali limiti
sia consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza
ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo
riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti
pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui,
quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va
quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve
essere generalizzato, salve circostanze del tutto
particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura
concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione
sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.)
(cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)”
(cfr. di recente sez. controllo Piemonte,
parere 11.04.2014 n. 11).
Ancora va evidenziato che nella fattispecie l’azienda ha
riferito di aver formato un elenco di avvocati nell’ambito
del quale ha ritenuto di nominare per l’incarico in
questione l’…(omissis)… senza alcuna procedura comparativa
(nota pervenuta il 26.02.2014 prot. n. 2615). Tuttavia,
anche a seguito di puntuale richiesta di chiarimento, l’ASL
ha escluso l’esistenza di un testo regolamentare
disciplinante i criteri e le modalità di scelta del
collaboratore nell’ambito dell’elenco di avvocati, ribadendo
sostanzialmente la fiduciarietà quale fondamentale criterio
di selezione (cfr. nota pervenuta il 20.06.2014, prot. n.
6766).
Dunque alla luce di quanto detto è evidente
che l’ente riservandosi di scegliere di volta in volta i
soggetti esterni da incaricare sulla base di un criterio di
tipo fiduciario agisce in contrasto con il dettato
legislativo.
Ne consegue dunque che nel caso di specie
la procedura seguita dall’Amministrazione provinciale non
risulta conforme alla disciplina legislativa ed in
particolare alla previsione circa la necessità di una
procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata.
II.2.
In secondo luogo l’amministrazione nel caso di specie
laddove ha conferito all’…(omissis)… altresì un incarico di
consulenza e supporto stragiudiziale in ordine alle
valutazioni ai fini delle “eventuali modifiche da
apportare alla procedura” circa la sicurezza sui luoghi
di lavoro (cfr. nota pervenuta il 20.6.2014 prot n. 6766),
avendo “anche chiesto di riesaminare l’organizzazione
sulle deleghe per la sicurezza sui luoghi di lavoro”
cfr. nota pervenuta il 26.02.2014 prot. n. 2615),
non ha chiarito adeguatamente se prima di procedere
all’avvio dell’iter procedimentale per l’affidamento
dell’incarico abbia effettuato una puntuale ricognizione
circa l’assenza di strutture organizzative o professionalità
interne all’ente in grado di far fronte all’esigenza sottesa
all’incarico in questione, dando ovviamente conto delle
eventuali modalità di espletamento di tale adempimento. In
secondo luogo neppure all’esito dell’istruttoria sono
chiaramente emerse le ragioni per le quali sia stata
necessitata la scelta di rivolgersi all’esterno della
struttura amministrativa, posto che ovviamente per tale
profilo l’assenza di un’avvocatura interna all’ente è del
tutto inconferente.
D’altro canto nella nota di risposta pervenuta il
26.02.2014, prot n. 2615, è stato di contro affermato che “all’interno
dell’azienda è presente una struttura organizzativa che si
occupa di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro,
svolge la propria attività in modo congruo e soddisfacente”.
Conseguentemente sotto tale profilo le dichiarazioni rese
nella citata risposta dal Direttore Generale e dal Dirigente
Responsabile appaiono in realtà comprovare il fatto che nel
caso di specie sia stato fatto ricorso all’esterno della
struttura per far fronte ad un’esigenza che, al contrario di
quanto asserito, avrebbe potuto essere fronteggiata con le
risorse interne.
Tale circostanza si riverbera indubbiamente sulla
legittimità della deliberazione di conferimento
dell’incarico a favore dell’…(omissis)…, non constando
affatto un presupposto essenziale affinché l’Amministrazione
potesse rivolgersi all’esterno della propria struttura. Del
resto che l’assenza di strutture
organizzative o professionalità interne all'ente in grado di
assicurare l’esigenza dell’ente sia requisito essenziale
pena l’illegittimità dell’incarico e causa di danno erariale
è pacifico, tanto che anche il legislatore ha anche avuto
modo di cristallizzare la suddetta regola a livello generale
ponendo tale elemento quale primo presupposto e incipit
della previsione normativa (cfr. art. 6, co. 1, d.lgs. n.
165/2001). Alla
luce delle argomentazioni sopra esposte in ordine
all’attribuzione dell’incarico in ambito stragiudiziale si
impone la trasmissione della presente delibera alla Procura
regionale per il Piemonte per quanto di propria competenza.
III.
Dall’analisi della vicenda oggetto di controllo va altresì
rilevato il fatto che nella fattispecie
l’Azienda ha conferito ad un legale l’incarico di difesa
personale del Direttore Generale nell’ambito di un
procedimento penale in palese violazione dei principi di
trasparenza, pubblicità, nonché dell’elementare principio di
corrispondenza delle condotte a quanto formalmente ed
ufficialmente contenuto negli atti amministrativi
autorizzativi.
Dall’istruttoria è inoltre emerso il pagamento da parte
dell’ASL di una sanzione pecuniaria irrogata al Direttore
Generale. Ciò comporta la trasmissione della presente al
rappresentante del Pubblico ministero presso questa Corte,
al responsabile per la prevenzione della corruzione,
nominato ai sensi della l. n. 190/2012, nonché all’Assessore
alla Sanità della Regione Piemonte.
In conclusione alle rilevate irregolarità/illegittimità
dell’attribuzione della collaborazione consegue l’obbligo
della Azienda Sanitaria di conformare la propria azione
amministrativa in materia di affidamento di incarichi alla
legge e di dare tempestivo riscontro alla Sezione delle
iniziative assunte
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 13.11.2014 n. 242). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Pa,
sì al patrocinio dei legali in pensione.
Corte conti Puglia. Vietati solo i pareri.
Le pubbliche amministrazioni possono
attribuire, a titolo gratuito con rimborso spese e al
massimo per un anno (non rinnovabile), incarichi
professionali di rappresentanza e patrocinio giudiziale
anche ad avvocati in pensione ex dipendenti poiché non
rientrano tra quelli di studio e consulenza vietati dalla
normativa per il taglio della spesa e la riforma della Pa.
Lo ha stabilito la Corte dei conti nel
parere 06.11.2014 n. 193 della Sezione regionale
di controllo per la Puglia su una richiesta interpretativa
presentata dal presidente della Regione Puglia, Nichi
Vendola.
I giudici hanno chiarito uno dei limiti applicativi del
divieto di conferire incarichi a soggetti già lavoratori
privati o pubblici collocati in quiescenza posto in capo a
tutte le amministrazioni dello Stato dalla cosiddetta
spending review bis (articolo 5, comma 9, Dl 95/2012,
convertito in legge 135/2012) e modifiche estensive della
riforma della Pa (articolo 6, Dl 90/2014, convertito in
legge 114/2014).
In particolare, ha spiegato il collegio, mentre nella
versione previgente, il divieto riguardava gli ex dipendenti
«che nell’ultimo anno avessero svolto funzioni e attività
corrispondenti a quelli oggetto dell’incarico da conferire,
a seguito della modifica introdotta con Dl 90/2014, il
divieto è stato esteso a tutti i soggetti “già lavoratori
privati o pubblici collocati in quiescenza”»,
interessando cioè «non solo gli ex dipendenti dell’ente,
ma tutti i lavoratori (dipendenti, lavoratori autonomi)
privati o pubblici (quindi, a prescindere dalla natura
dell’ex datore di lavoro) in quiescenza» e qualunque
incarico di studio e consulenza poiché «sul piano
oggettivo non più necessario che l’oggetto del conferimento
consista in attività o mansioni già svolte in precedenza».
La Sezione ha ritenuto che «in difetto di previsione
contraria sul piano normativo, gli incarichi professionali
di rappresentanza e patrocinio giudiziale rimangono estranei
alla nozione di incarichi di studio e consulenza»
definita negli ultimi anni da pronunce della stessa Corte
dei conti (deliberazione n. 6/2005, n. 6/2008, n. 131/2014).
In base a quest’ultime sono incarichi di consulenza «quelli
volti ad acquisire da un soggetto esperto un giudizio su una
determinata questione», quelli di studio invece sono «volti
a ricercare soluzioni su questioni inerenti all’attività di
competenza dell’amministrazione conferente, i cui risultati
verranno trasfusi in una relazione scritta finale».
Nella nozione di consulenza non rientra l’attività di
rappresentanza processuale e di difesa in giudizio, ma
l’incarico al legale se prevede la resa di un mero parere.
Il divieto, che vale anche per funzioni dirigenziali,
direttive o cariche in organi di governo delle Pa e degli
enti e società controllati (escluse le giunte degli enti
territoriali e gli organi elettivi degli enti pubblici
associativi), vale per tutti gli incarichi conferiti anche
dagli organi costituzionali dal 25.06.2014, data
dell’entrata in vigore della Riforma della Pa (articolo Il Sole 24 Ore del
27.12.2014). |
ottobre 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI:
L. Sergio,
Incarico per prestazione professionale con corrispettivo
subordinato al finanziamento dell’opera. La posizione della
Corte di Cassazione civile
(12.10.2014 - link a www.studiocataldi.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Il funzionario o l’amministratore comunale che
consentano lo svolgimento di una prestazione in assenza di
un regolare contratto ne rispondono in proprio.
Non è dunque necessario che essi siano parte attiva o
comunque abbiano determinato in prima persona la
prestazione, essendo sufficiente che non si siano opposti
all’esecuzione.
La disposizione di cui al Decreto Legge n. 66 del 1989,
articolo 23, (convertito, con modificazioni, in Legge
24.04.1989, n. 144, e riprodotta nel Decreto Legislativo n.
77 del 1995, articolo 35) prevede che nel caso in cui vi sia
stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione
dell’obbligo indicato nel comma 3 (che richiede la
sussistenza della deliberazione autorizzativa nelle forme
previste dalla legge e divenuta esecutiva, nonché
dell’impegno contabile registrato sul competente capitolo
del bilancio di previsione), il rapporto obbligatorio
intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro
effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore
o il funzionario che abbiano consentita la fornitura.
Questa norma è stata interpretata dalla Corte di appello nel
senso che per configurarne l’operatività sia necessario che
il funzionario assuma un ruolo attivo e decisionale
nell’affidamento dell’incarico di svolgere le prestazioni
professionali. Questa lettura è contraria al senso fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la
connessione di esse (articolo 12 preleggi) e alla finalità
della normativa, indiscutibilmente volta a prevenire il
formarsi di debiti fuori bilancio a carico delle
amministrazioni.
3.1) L’uso del verbo “consentire” descrive infatti il
comportamento di chi, trovandosi privo del potere
decisionale sul conferimento dell’incarico o l’acquisizione
del bene, nell’esercizio delle sue funzioni permetta che
avvenga l’acquisizione della prestazione o della fornitura,
senza opporvisi per quanto dovuto nei limiti delle sue
attribuzioni. Il disposto normativo è volto a far sì che un
contratto non perfezionatosi secondo legge non pervenga alla
fase esecutiva.
A questo fine viene responsabilizzato l’amministratore o il
funzionario che, chiamato ad operare, a cagione del suo
ufficio, per la conclusione e l’attuazione del contratto,
cooperi, lasci che la prestazione venga eseguita. Il
legislatore vuole invece, lo si desume dalla scelta
dell’espressione verbale, che il funzionario neghi il suo
consenso e comunque non presti, per quanto possibile,
l’opera che sarebbe suo dovere compiere se il contratto
fosse stato formato a norma di legge.
Lasciar fare in luogo di ostacolare; assecondare; cooperare:
sono manifestazioni di quel comportamento consenziente che
il legislatore ha voluto vietare e dal quale fa scaturire
conseguenze a carico del funzionario o dell’amministratore.
3.2) Ha dunque errato la Corte di appello nel descrivere il
comportamento configurato dal legislatore, cioè il “consentire”,
alla stregua di un ruolo di “iniziativa o determinante
intervento”.
Ed è quindi fondato il ricorso nella parte in cui invoca,
tra l’altro, il precedente costituito da Cass. 10640/2007,
secondo cui si ha l’insorgenza del rapporto obbligatorio, ai
fini del corrispettivo, direttamente con l’amministratore o
il funzionario che abbia consentito la prestazione in tutti
i casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione
dell’ente locale, e quindi anche quando, approvata dal
Comune la proposta di conferimento dell’incarico
professionale con lo schema di disciplinare, sia mancata la
stipulazione del contratto e quando in mancanza del
prescritto impegno contabile, l’esecuzione di fatto del
rapporto sia stata tuttavia consentita dall’amministratore o
dal funzionario.
4) Fondato è anche il motivo di ricorso che denuncia
l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata,
laddove nega portata “consenziente” alle missive
trasmesse dal resistente ai professionisti.
Per la Corte di appello trattavasi di attività meramente di
“contenuto amministrativo”, di semplice trasmissione
delle determinazioni della P.A. ai suoi fornitori.
La sentenza, nelle sue brevissime proposizioni, non spiega
però come sia possibile attribuire questo contenuto,
puramente esecutivo, quasi alla stregua di adempimento
coatto, in presenza di comunicazioni come quelle dettagliate
in ricorso.
4.1) In particolare si segnalano, per il tenore del tutto
opposto (e quindi bisognoso di ben più penetranti
spiegazioni):
a) quella del 19.03.1992, in cui, dopo aver comunicato
l’approvazione dell’affidamento dell’incarico, il resistente
invitava i ricorrenti a “provvedere con urgenza a dare
corso al disciplinare di incarico”.
b) i telegrammi del 01.04.1992, del 06.04.1992 e del
04.06.1992 in cui, senza alcun riferimento a mandato di
alcun altro soggetto sopraordinato, il dirigente di settore
(OMISSIS) “ordinava” a ciascuno dei due
professionisti “l’immediata consegna” degli
elaborati.
Il tutto, si badi, come sottolinea il ricorso, con la
presumibile consapevolezza, posto il ruolo dirigenziale,
dell’incompletezza della fattispecie contrattuale, nonché in
presenza di noti “problemi connessi al finanziamento
dell’opera” (ricorso pag. 15, riferito a lettera
(OMISSIS) del 17.04.1992 riprodotta a pag. 12).
Questi scritti sono apparentemente segno di esplicazione del
ruolo dirigenziale in piena sintonia con. l’ente comunale e
i suoi amministratori.
Vi è dunque insufficiente spiegazione (pur astrattamente
possibile, previa un’analisi di atti e comportamenti del
funzionario che dimostrino una qualche forma di dissenso
dall’operato dell’ente) di come si possa ritenere che
espressioni quali quelle descritte possano essere intese in
modo diverso da quel “consentire”, che e’ stato
delineato dal legislatore. Discende da quanto esposto
l’accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata
e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di
appello di Trieste per nuovo esame dell’appello e la
liquidazione delle spese di questo giudizio.
La Corte si atterrà al seguente principio di diritto: “In
tema di spese dei Comuni (e, più in generale, degli enti
locali) ai fini dell’interpretazione del disposto dal
Decreto Legge 02.03.1989, n. 66, articolo 23, comma 4,
(convertito, con modificazioni, in Legge 24.04.1989, n.
144), che stabilisce l’insorgenza del rapporto obbligatorio,
quanto al corrispettivo, direttamente con l’amministratore o
il funzionario che abbia consentito la prestazione, va
escluso che l’attività di consentire la prestazione debba
consistere in un ruolo di iniziativa o di determinante
intervento del funzionario, essendo sufficiente che questi
ometta di manifestare il proprio dissenso e presti invece la
sua opera come se fosse in presenza di una valida ed
impegnativa obbligazione dell’ente locale” (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 09.10.2014 n. 21340 -
link a http://renatodisa.com). |
settembre 2014 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI: I presupposti di legittimità per il ricorso
ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati
dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche).
I citati presupposti
costituiscono la codificazione di quanto ampiamente
affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al
conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese
soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze,
gli studi, le ricerche, le spese per relazioni,
rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità).
In particolare, la disciplina vigente prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente; è stato in proposito
chiarito che: “il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge”;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di
norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di
proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal
principio costituzionale di buon andamento della pubblica
amministrazione e il conferimento degli incarichi di
consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come
eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un
decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del
ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza
di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata e deve soddisfare esigenze
straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo;
l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita,
in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e
per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando
la misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni,
per esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, possono conferire incarichi individuali (con
contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di
collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti
di tale requisito. Si prescinde dal requisito della
comprovata specializzazione universitaria in caso di
stipulazione di contratti di collaborazione di natura
occasionale o coordinata e continuativa per attività che
debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o
albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello
spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività
informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di
ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il
collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di
cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso
di conferimento di un incarico di studio o di consulenza
occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti
dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n.
122/2010 e s.m.i..
---------------
La Provincia di Asti con nota pervenuta in data 11.07.2014, prot. n. 7166, ha trasmesso a questa Sezione Regionale di
Controllo, ai sensi dell’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, la determinazione del Dirigente del
Servizio programmazione e gestione finanziaria, n. 2682 del
25.06.2014, avente ad oggetto l’affidamento dell’incarico di
assistenza in ordine al servizio di tenuta della contabilità
IVA e adempimenti fiscali per il periodo 01.07.2014-30.06.2015,
a favore del dr. G.M.L., già affidatario
del suddetto incarico per il periodo luglio 2011-giugno
2014, per una spesa complessiva di € 6.400,00.
Dall’esame di tale determinazione, come rilevato con nota
istruttoria, si è evinto che non risultava:
- l’espletamento
di una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata,
- la
previa circostanziata ricognizione dell’assenza di strutture
organizzative o professionalità interne all’ente in grado di
svolgere l’incarico,
- l’eccezionalità e la straordinarietà
delle esigenze da soddisfare con l’incarico conferito,
- l’avvenuta pubblicazione sul sito web dell’incarico, né
l’inclusione o meno dell’incarico nell’ambito del programma
da approvarsi ai sensi dell’art. 42, co. 2, d.lgs. n. 267/2000.
Con nota istruttoria prot. 7329 del 22.07.2014 il Magistrato
istruttore richiedeva alla Provincia di Asti atti, documenti
e informazioni a chiarimento di quanto sopra.
Con nota di risposta prot. 73910/2014 del 06.08.2014, a firma
del Dirigente del Servizio programmazione e gestione
finanziaria, pervenuta al prot. n. 7686 del 06.08.2014, l’ente
comunicava “che con nota prot. n. 52258/2014 è stata inviata
a tre professionisti iscritti all’albo dei Dottori
commercialisti la richiesta di preventivo per l’affidamento
di servizio di tenuta contabilità IVA ed adempimenti fiscali
per il periodo luglio 2014/giugno 2015, stante la mancanza
di professionalità interne a cui affidare la gestione della
normativa fiscale e che potesse assicurare altresì la
necessaria consulenza agli uffici dell’Ente”.
La nota proseguiva inoltre descrivendo la situazione
dell’ente in particolare sotto il profilo della dotazione di
personale, dando atto che la situazione era peggiorata
rispetto al periodo di vigenza del precedente affidamento di
consulenza fiscale, conferito per il periodo
01.07.2011-30.06.2014.
Sotto il profilo procedurale l’ente comunicava poi “in
ordine alla procedura comparativa scelta, alle modalità e
formalizzazione dell’affidamento sono state seguite le
disposizioni previste dal vigente REGOLAMENTO PER I LAVORI
LE FORNITURE E I SERVIZI IN ECONOMIA E PER LA GESTIONE
DELL’ALBO FORNITORI” aggiungendo che “Con determina
dirigenziale n. 2682 del 25/06/2014, a seguito dell’esame
comparato dei curricula si è quindi proceduto
all’affidamento al dott. Garbarino Mario Luciano del
servizio di tenuta contabilità IVA e adempimenti fiscali”.
Quanto alla pubblicazione, infine, l’ente aggiungeva “si
precisa che la determina di affidamento dell’incarico
succitata è stata pubblicata in data 07/07/2014 (ed è
tutt’ora visibile) sul sito web della provincia di Asti,
nell’area Amministrazione Trasparente= Consulenti e
Collaboratori = categoria Programmazione e Gestione
Finanziaria”.
Non ritenendo superati tutti i rilievi mossi sull’atto
oggetto di controllo, il Magistrato istruttore chiedeva al
Presidente della Sezione la convocazione dell’odierna
adunanza per l’esame collegiale della questione.
...
I. L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266,
ha previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti
commi 9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro
devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte
dei conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione. La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti controllati a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
La giurisprudenza contabile ha già affermato che
”l’accertamento dell’illegittimità per il mancato rispetto
di uno o più dei requisiti di legge (talora verificabile nei
limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da
un lato l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez.
reg. contr. Lombardia, n. 244/2008).
Preliminarmente alla verifica di conformità alla legge
dell’incarico conferito dalla Provincia di Asti occorre
rammentare che i presupposti di legittimità per il ricorso
ad incarichi di collaborazione sono specificamente enucleati
dall’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche). I citati presupposti
costituiscono la codificazione di quanto ampiamente
affermato dalla giurisprudenza contabile in ordine al
conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese
soggette a controllo da parte della Sezione (le consulenze,
gli studi, le ricerche, le spese per relazioni,
rappresentanza, mostre, convegni, pubblicità); in tal senso,
si richiama la recente deliberazione di questa Sezione n.
362/2013/SRCPIE/INPR.
In particolare, la disciplina vigente prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente; è stato in proposito
chiarito che: “il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009, nonché Sez.
Reg. Lombardia, n. 244/08);
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno.
Al proposito va rammentato che in base ai principi generali
di organizzazione amministrativa gli enti pubblici devono di
norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di
proprio personale. Tale regola trae il suo fondamento dal
principio costituzionale di buon andamento della pubblica
amministrazione e il conferimento degli incarichi di
consulenza a professionisti esterni alla P.A. si pone come
eccezione in presenza di speciali e peculiari condizioni.
D’altro canto il legislatore ha ormai da ben oltre un
decennio previsto in linea generale l’eccezionalità del
ricorso a collaborazioni esterne condizionandolo all’assenza
di personale idoneo (art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001),
ribadendo più volte tale regola e la necessità di fornire
adeguata motivazione in caso di ricorso all’esterno
dell’amministrazione;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata e deve soddisfare esigenze
straordinarie ed eccezionali; non è ammesso il rinnovo;
l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita,
in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e
per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando
la misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione;
e) deve sussistere il requisito della “comprovata
specializzazione anche universitaria”: le amministrazioni,
per esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, possono conferire incarichi individuali (con
contratti di lavoro autonomo professionale, occasionale o di
collaborazione coordinata e continuativa) a esperti muniti
di tale requisito. Si prescinde dal requisito della
comprovata specializzazione universitaria in caso di
stipulazione di contratti di collaborazione di natura
occasionale o coordinata e continuativa per attività che
debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o
albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello
spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività
informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di
ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il
collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di
cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore.
Va inoltre aggiunto, sotto un profilo generale, che
in caso
di conferimento di un incarico di studio o di consulenza
occorre altresì osservare i limiti di spesa introdotti
dall’art. 6, co. 7, d.l. 78/2010 convertito con legge. n.
122/2010 e s.m.i. (salve particolari ipotesi.; es. la
copertura della spesa mediante finanziamenti aggiuntivi e
specifici trasferiti da altri soggetti pubblici o privati,
cfr. sez. contr. Piemonte 25.10.2013, n. 362).
II. Esaurita questa breve ricognizione dei presupposti di
legittimità per il conferimento dell’incarico occorre
evidenziare che all’esito dei chiarimenti forniti dalla
Provincia di Asti con la nota pervenuta il 06.08.2014, mentre
per gli aspetti inerenti alla pubblicazione sul sito web
dell’ente risultano essere state fornite indicazioni
adeguate e chiarificatorie, in ordine ai restanti rilievi non
può dirsi ugualmente.
1. Innanzitutto sotto il profilo procedurale va osservato
che l’obbligo di seguire procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione è
puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo è considerato dalla
giurisprudenza amministrativa un adempimento essenziale per
la legittima attribuzione di incarichi di collaborazione; in
proposito è stato affermato che “il conferimento di
incarichi di collaborazione esterna da parte delle P.A. deve
avvenire previo esperimento di procedure para-selettive e
non già in base alla sola valutazione di idoneità del
prescelto” (TAR Puglia n. 494 del 19.02.2007).
Tale
obbligo deve ritenersi generalizzato, in ossequio ai
principi generali di trasparenza, pubblicità e massima
partecipazione: la giurisprudenza amministrativa ha poi
ricordato che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o
di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla
Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata” (Cons. St., 28.05.2010, n. 3405) ed
ancora: “qualsivoglia pubblica amministrazione può
legittimamente conferire ad un professionista esterno un
incarico di collaborazione, di consulenza, di studio, di
ricerca o quant’altro, mediante qualunque tipologia di
lavoro autonomo, continuativo o anche occasionale, solo a
seguito dell’espletamento di una procedura comparativa
previamente disciplinata ed adottata e adeguatamente
pubblicizzata, derivandone in caso di omissione
l’illegittimità dell’affidamento della prestazione del
servizio” (TAR Piemonte, 29.09.2008 n. 2106; cfr. Corte
Conti sez. reg. contr. Lombardia, 11.02.2009. n. 37;
27.11.2012, n. 509 che ribadiscono i principi in questione).
Anche a livello centrale la magistratura contabile ha avuto
modo di statuire che: “il comma 6-bis dell’art. 7 del d.lgs.
n. 165/2001, prevedendo l’obbligo per le amministrazioni di
disciplinare e rendere pubbliche le procedure comparative
per il conferimento di incarichi di collaborazione, ha in
concreto posto la necessità dell’espletamento della
procedura concorsuale, nella considerazione che un simile
modus operandi, implicando il rispetto di precisi
adempimenti procedurali e moduli operativi, concorra a
rendere l’operato dell’Amministrazione conforme ai parametri
di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza,
costituzionalmente tutelati ex art. 97” (Corte Conti, sez.
centrale controllo prev. legittimità Stato, 02.10.2012, n.
23; analogamente la stessa sezione, delibera 26.10.2011, n.
21).
Pertanto, il ricorso a procedure comparative adeguatamente
pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto
nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della collaborazione in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la
“particolare urgenza” deve essere “connessa alla
realizzazione dell’attività discendente dall’incarico” (ex plurimis, deliberazione Sez. Contr. Lombardia n. 67/2012/IADC).
In conseguenza di quanto detto dunque, come ripetutamente
chiarito dalla giurisprudenza contabile, non può ritenersi
legittima la previsione di affidamenti di incarichi senza
procedura comparativa al di sotto di una soglia individuata
in valore monetario (o di un numero massimo di ore della
prestazione richiesta al collaboratore), poiché “la materia
è del tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di
beni o servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per
analogia a detti criteri”, in particolare agli affidamenti
in economia (Corte Conti, Sez. contr. Reg. Lombardia, n.
37/09; Sez. contr. Prov. Trento, n. 2/10 e n. 8/10; cfr le
recenti Sez. contr. reg. Piemonte n. 362/2013; 421/2013).
In proposito va rilevato il fatto che in passato questa
Sezione (deliberazione 20.12.2012, n. 5)
ha già avuto modo
di affermare, esaminando un regolamento comunale che
prevedeva l’osservanza di una procedura comparativa, resa
pubblica con pubblicazione all’albo pretorio, solo per
incarichi di importo superiore ad € 5.000,00, che una
siffatta disciplina “non risulta conforme a quanto prevede
l’art. 7, comma 6-bis, del D.lgs. n. 165/2001, come introdotto
dall’art. 32 D.L. 223/2006 e relativa legge di conversione, a
mente del quale “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e
rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure
comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione”, senza lasciare spazio all’introduzione di
soglie di valore al di sotto delle quali le procedure
comparative non sono necessarie o non sono rese pubbliche.”
La sezione piemontese puntualizzava altresì “Va aggiunto che
si è posto il problema del se e in quali limiti sia
consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza
ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo
riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti
pubblici. La materia, peraltro, è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, cui,
quindi, non può farsi ricorso neppure per analogia. Va
quindi ribadito che il ricorso a procedure concorsuali deve
essere generalizzato, salve circostanze del tutto
particolari ed eccezionali (quali, ad es., la procedura
concorsuale andata deserta, l’unicità della prestazione
sotto il profilo soggettivo, l’assoluta urgenza determinata
dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione
ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale, ecc.)
(cfr. Sez. Lombardia Del. n. 379 del 26.06.2009)” (cfr.
di recente sez. controllo Piemonte, 11.4.2014, n. 11). Di
conseguenza in questa sede non è applicabile la disciplina
di cui al d.lgs. n. 163/2006.
In proposito, quindi, la risposta fornita dall’ente
provinciale secondo cui sarebbero state seguite le
disposizioni previste dal Regolamento per i lavori, le
forniture e i servizi in economia non è affatto idonea a
giustificare l’operato dell’ente, anzi non fa altro che
confermare che non è stata osservata la procedura corretta.
Infatti in proposito trattandosi di collaborazione esterna
di carattere professionale, e non già di appalto di servizi
di cui al d.lgs. n. 163/2006, avrebbe dovuto esser osservato
il disposto dell’art. 142 “Selezione degli esperti mediante
procedure comparative” del “Regolamento degli uffici e dei
servizi del personale provinciale”, adottato dalla Provincia
di Asti con DGP n. 38 del 21.2.2011.
Nel caso di specie l’attivazione di una procedura
ultraristretta (richiesta di preventivo rivolta a 3
professionisti) per la selezione del consulente esterno non
risulta essere in linea con la previsione di cui all’art. 7, co. 6-bis, d.lgs. n. 165/2001, né risulta essere rispettosa
dell’art. 142 del citato Regolamento provinciale che prevede
che l’amministrazione debba procedere “alla selezione degli
esperti esterni ai quali conferire incarichi professionali
mediante procedure comparative, pubblicizzate con appositi
avvisi …” e che “la Pubblicazione dell’avviso deve avvenire
almeno 15 giorni prima della scadenza del termine previsto
per la presentazione delle domande”.
La procedura seguita dalla Provincia di Asti, non appare
dunque legittima.
E’ infatti evidente che l’ente riservandosi di scegliere di
volta in volta i soggetti esterni da incaricare sulla base
di una comparazione del tutto ristretta a pochi, rectius a
pochissimi soggetti (come nell’incarico in questione)
individuati discrezionalmente dall’amministrazione, attiva
un procedimento che non solo non garantisce una pubblicità
minimamente adeguata, ma che rischia di divenire strumento
idoneo a consentire di fatto affidamenti di tipo fiduciario
in radicale contrasto con il dettato legislativo.
Nella fattispecie dunque la procedura seguita
dall’Amministrazione provinciale non risulta conforme alla
disciplina legislativa ed in particolare alla previsione
circa la necessità di una procedura comparativa
adeguatamente pubblicizzata, né alla specifica normativa
regolamentare dell’ente che prevede l’espletamento di una
procedura aperta con pubblicazione di un avviso di
selezione.
2. In secondo luogo nel caso di specie non risulta in alcun
modo che l’Ente, prima di procedere all’avvio dell’iter
procedimentale per l’affidamento dell’incarico, abbia
effettuato una puntuale ricognizione circa l’assenza di
strutture organizzative o professionalità interne all’ente
in grado di far fronte all’esigenza sottesa all’incarico in
questione.
Invero nella risposta istruttoria il Dirigente si
è limitato ad affermare in modo peraltro generico “le
condizioni dell’ente, in particolare le sue attuali
dimensioni e le ridotte risorse di personale, inducono ad
attestare che, anche ad una reale e circostanziata
ricognizione, siano assenti strutture organizzative o
professionalità interne in grado di assicurare detto
servizio specialistico”. Aggiungendo ancora che all’interno
del settore “non sono presenti figure professionali in
possesso dell’abilitazione di ragioniere/dottore
commercialista o comunque necessari per l’espletamento del
servizio oggetto della presente”.
In realtà quanto riferito nella nota non dà nessun riscontro
di quella preventiva ricognizione che l’ente avrebbe per
legge dovuto effettuare, anzi la stessa formulazione
letterale della nota conferma il fatto che non sia stata
fatta preventivamente tale ricognizione. Ciò è tanto più
grave in ragione del fatto il “Regolamento degli uffici e
dei servizi del personale provinciale” nell’ambito del capo XII “Conferimento di incarichi professionali ad esperti
esterni all’amministrazione” prevede all’art. 141 quale
presupposto per l’affidamento di incarichi esterni che “Il
dirigente competente deve aver preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili all’interno del Servizio e delle altre strutture
dell’Ente. La verifica deve essere adeguatamente riportata
nel provvedimento di attivazione della procedura”.
Anche il fatto che non vi sarebbero dipendenti muniti
dell’abilitazione quale ragioniere/dottore commercialista
appare irrilevante, posto che per lo svolgimento dei compiti
nel settore fiscale nell’ambito di un ente pubblico non è
necessaria tale abilitazione, propeduetica all’iscrizione
del relativo albo per l’esercizio della libera professione.
Parimenti l’affermazione circa il fatto che non vi sarebbero
figure idonee allo svolgimento dei compiti in questione
risulta apodittica e pare scontrarsi con la realtà
effettiva.
Invero la stessa natura dell’incarico (attività di tenuta
della contabilità e adempimenti fiscali) depone nel senso
che nel caso di specie sia stato fatto ricorso all’esterno
della struttura per far fronte ad un’ordinaria esigenza che
avrebbe potuto essere normalmente fronteggiata con le
risorse interne.
E’ infatti evidente che la legittimità di un incarico di
assistenza e consulenza in campo fiscale e tributario per le
esigenze di una Provincia, presupporrebbe la mancanza in
tutta la struttura amministrativa dell’ente di alcuna figura
professionale in grado di far fronte ad adempimenti di
carattere fiscale e tributario e munita delle necessarie
conoscenze per far fronte ad ordinarie esigenze cui in detto
campo è chiamata ad operare qualsivoglia amministrazione
pubblica.
Dunque quanto dichiarato dal Dirigente della Provincia di
Asti circa l’assenza di figure professionali in grado di
fronteggiare il compito in questione appare del tutto
inverosimile atteso che si tratta di un ente pubblico di
considerevoli dimensioni, munito di un’apposita
articolazione nell’ambito finanziario. Infatti dalla
risposta istruttoria del 06.08.2014 e dai relativi allegati
trasmessi, emerge il fatto che all’interno della Provincia
esiste un’apposita articolazione denominata “Servizio
Programmazione e gestione Finanziaria”, munita di vari
dipendenti di categorie “C” e “D”. In particolare
dall’elenco del personale in servizio suddiviso per
qualifica e mansione presso la suddetta articolazione,
allegato alla nota di risposta dell’ente locale, risultano
effettivamente assegnati: tre funzionari finanziari, tutti
inquadrati quali “D6”, sei Coordinatori
amministrativo-contabile, tutti appartenenti alla categoria
apicale “D” (di cui tre D1, due D3 ed uno D4), ed ancora 4
istruttori amministrativo-contabili appartenenti alla
categoria “C” (due C5, uno C3 ed uno C2).
Del resto proprio
il citato Servizio, secondo informazioni fornite dalla
stessa Provincia mediante il proprio sito accessibile alla
generalità degli utenti, è intestatario tra le varie
ordinarie competenze (nell’ambito dell’ufficio spese) della
gestione degli “Adempimenti fiscali in materia di IVA,
IRAP,INPS ed Irpef …” nonché della ”Consulenza a tutti gli
uffici per le informazioni necessarie all'attività in
materia finanziaria”. In siffatto quadro è evidente che non
possa risultare veritiero il fatto per cui la Provincia
sarebbe priva di qualsivoglia figura professionale in alcun
modo idonea a occuparsi di tematiche ed adempimenti in campo
fiscale e tributario.
Tale circostanza si riverbera indubbiamente sulla
legittimità della determinazione di conferimento
dell’incarico a favore del dott. G., non constando
affatto un presupposto essenziale affinché l’Amministrazione
possa rivolgersi all’esterno della propria struttura.
Dagli elementi sopra rappresentati emerge altresì in modo
evidente il fatto che l’incarico esterno sia stato
attribuito non già per fare fronte ad esigenze eccezionali e
straordinarie dell’Ente pubblico, ma per ottemperare ad una
serie di precisi ed inderogabili obblighi di legge ed
espletare compiti del tutto ordinari e di assoluta routine
per qualunque organizzazione amministrativa. Infatti il
suddetto incarico ha come oggetto non già un’attività
peculiare e non consueta della Provincia, ma inequivocamente
compiti inerenti l’ordinaria gestione amministrativa
(compresa la consulenza agli uffici dell’ente). D’altro
canto il fatto che l’incarico de quo non attenga ad
un’esigenza dell’ente locale temporanea ed eccezionale
(bensì di carattere ordinario e stabile) è altresì
confermato dal fatto il consulente esterno è affidatario del
servizio di assistenza e consulenza ininterrottamente sin
dal luglio 2011, come esplicitato nella stessa premessa
della determinazione dirigenziale n. 2682 del 25.06.2014.
In proposito la condotta in questione appare altresì
illegittima in quanto in puntuale contrasto con quanto
previsto dall’art. 7, co. 6, d.lgs. n. 165/2001, come
modificato dall’art. 46, comma 1, D.L. 25.06.2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla L. 06.08.2008,
n. 133, nella parte in cui dispone “Il ricorso a contratti
di collaborazione coordinata e continuativa per lo
svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei
collaboratori come lavoratori subordinati è causa di
responsabilità amministrativa per il dirigente che ha
stipulato i contratti”.
Alla luce delle argomentazioni sopra esposte l’attribuzione
della consulenza de qua da parte dell’amministrazione,
altresì alla luce della previsione di cui al d.lgs. n.
165/2001 che delinea una espressa fattispecie di
responsabilità erariale, impone la trasmissione della
presente delibera alla Procura regionale per il Piemonte per
quanto di propria competenza.
3. L’atto di conferimento dell’incarico in questione si
appalesa altresì in contrasto con la disciplina di legge
anche in ordine alla mancata inclusione nel programma di
competenza del Consiglio Provinciale ai sensi dell’art. 42
d.lgs. n. 267/2000.
La Provincia di Asti a seguito delle contestazioni mosse in
sede istruttoria circa la mancanza di ogni riferimento
all’inclusione nell’ambito del programma annuale non ha
fornito alcuna giustificazione al riguardo.
Nel caso di specie, trovando applicazione –come già detto-
la disciplina generale di cui all’art. 7 d.lgs n. 165/2001 e
le puntuali previsioni dettate successivamente in materia
dal legislatore in materia di incarichi e non certo la
normativa del codice dei contratti pubblici, doveva
osservarsi altresì il vincolo della programmazione imposto
dall’art. 3, co. 55, l. n. 244/2007, così come modificato
dall’art. 46, co. 2, d.l. 112/2008.
In conclusione alle rilevate irregolarità dell’attribuzione
della collaborazione consegue l’obbligo della Provincia di
Asti di conformare la propria azione amministrativa in
materia di affidamento di incarichi alla legge e di dare
tempestivo riscontro alla Sezione delle iniziative assunte
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 26.09.2014 n. 194). |
agosto 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Pubblicità
consulenze.
Domanda
Vorrei sapere quali sono le conseguenze e le responsabilità
in caso di mancata pubblicità degli incarichi di consulenza
affidati dalla Pubblica amministrazione
Risposta
L'art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996 prevede un
duplice obbligo per le Pubbliche amministrazioni: quello di
pubblicare gli elenchi degli incarichi di consulenza
conferiti e quello di comunicare copia di tali elenchi al
Dipartimento della funzione pubblica.
La legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008) ha previsto
espressamente, per il dirigente che ometta tali adempimenti,
il procedimento disciplinare e la responsabilità erariale.
Con l'art. 53 del dlgs 165/2001, modificato con la legge
190/2012, il legislatore ha dettato disposizioni volte ad
impedire alle Pubbliche amministrazioni di conferire nuovi
incarichi fino all'avvenuta pubblicazione e comunicazione di
quelli precedenti.
Il dlgs n. 33/2013 ha precisato che, la pubblicazione sul
sito internet dell'Amministrazione e la comunicazione alla
Funzione pubblica degli incarichi conferiti, costituiscono
«condizioni per l'acquisizione di efficacia dell'atto e per
la liquidazione dei relativi compensi».
Per il dirigente che abbia disposto il pagamento, senza la
preventiva pubblicazione dell'affidamento dell'incarico, è
previsto il pagamento di una sanzione pari alla somma
corrisposta, oltre all'eventuale risarcimento del danno.
Con la sentenza 15.05.2014, n. 424, la Corte dei conti
ha precisato che l'art. 53, comma 15, del dlgs 165/2001, che
vieta l'affidamento di ogni nuovo incarico fino all'avvenuta
comunicazione di quelli precedenti, deve considerarsi norma
di «ordine pubblico» e, in quanto tale, suscettibile di
determinare la nullità tutti i contratti stipulati in
assenza della prescritta condizione di legge (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Requisiti
consulenze.
Domanda
Quali sono i presupposti di legittimità per il conferimento
di consulenze esterne da parte della Pubblica
amministrazione?
Risposta
L'art. 7, comma 6, del dlgs 165/2001 subordina, l'affidamento
di incarichi a personale estraneo alla Pubblica
amministrazione, a una serie di presupposti di legittimità.
Tali prescrizioni hanno lo scopo di circoscrivere gli spazi
di discrezionalità dell'amministrazione pubblica
attribuendo, all'adozione di simili misure organizzative, un
carattere di eccezionalità.
La legittimità della stipula di contratti di lavoro
autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa
con professionisti esterni, è condizionata ai seguenti
presupposti: l'oggetto del contratto deve rientrare nei
compiti istituzionali dell'amministrazione conferente; deve
essere stata preliminarmente verificata l'utilizzabilità
delle risorse interne; la prestazione da affidare deve avere
necessariamente durata limitata nel tempo; devono essere
determinati durata, luogo, oggetto e compenso.
La legge prescrive espressamente, in caso di conferimento di
incarichi esterni, al di fuori di tali condizioni, una causa
di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha
stipulato i relativi contratti.
Si evidenzia, infine, che allo scopo di dare la massima
visibilità alla scelta dell'amministrazione pubblica di
affidare un incarico esterno e, contemporaneamente, di
consentire un controllo da parte della collettività
sull'utilizzo delle risorse pubbliche, il legislatore ha
ritenuto di assoggettare tali contratti a un rigido regime
di pubblicità (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014). |
luglio 2014 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Compensi professionali per attività di progettazione –
Convenzione che subordina il pagamento del compenso
all’ottenimento della concessione edilizia – Condizione
potestativa mista – Ritiro della domanda di concessione
edilizia da parte del committente in pendenza della
condizione – Recesso anticipato del committente
dall’incarico professionale ex art. 2237 c.c. – Fictio iuris
di avveramento della condizione – Artt. 1358 e 1359 c.c. –
Diritto al compenso – Sussistenza.
Nell’ipotesi di convenzione che
subordina il pagamento del compenso in favore del
professionista per prestazioni di progettazione al rilascio
della concessione edilizia deve ritenersi operante la fictio
iuris di avveramento della condizione, ex art. 1359 c.c.,
qualora il committente provveda autonomamente al ritiro
della domanda di concessione edilizia, dovendosi valutare
l’esistenza di un interesse contrario all’avveramento della
condizione (rilascio della concessione edilizia) in capo al
committente non in termini astratti o facendo riferimento al
solo momento della conclusione del contratto, ma
valorizzando il dato dell’effettivo interesse delle parti
all’epoca in cui si è verificato il fatto o comportamento
che ha reso impossibile l’avveramento della condizione.
L'art. 1359 cod. civ., in forza del quale la condizione si
ha per avverata se è mancata per causa imputabile alla parte
controinteressata al suo avveramento, non si riferisce solo
a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al
verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di
chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta,
di non avere più interesse al verificarsi della condizione,
ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare
al contratto un elemento modificativo dell''iter' attuativo
della sua efficacia. Detta norma è applicabile anche alla
c.d. condizione potestativa mista, il cui avveramento
dipende in parte dal caso e in parte dalla volontà di uno
dei contraenti.
L'art. 1359 c.c. trova applicazione anche nel caso in cui
l'interesse di una delle parti -originariamente convergente
con quello della controparte- si modifichi in corso di
rapporto fino a risultare contrario all'avveramento della
condizione, avuto anche riguardo alla previsione di cui
all’art. 1358 c.c., che impone alle parti l’obbligo
giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato
di pendenza della condizione, e che va osservato anche con
riguardo all’attività di attuazione dell’elemento
potestativo della condizione mista.
Non può negarsi che il ritiro di un'istanza di concessione
edilizia sia chiaramente sintomatico del venir meno
dell'interesse ad ottenerla da parte di chi tale istanza
aveva presentato e deve ritenersi pertanto che integri un
comportamento idoneo a configurare un'ipotesi di 'interesse
contrario' comportante l'operatività della previsione
dell'art. 1359 c.c..
L'art. 2237, 1° co. c.c. ('il cliente può recedere dal
contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese
sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta'),
bilanciando i contrapposti interessi tra le parti, riconosce
al cliente un illimitato diritto di recesso, ma —al tempo
stesso- garantisce al professionista il rimborso delle
spese e il pagamento del compenso per le attività svolte
fino al momento della revoca dell'incarico.
A fronte della revoca dell'incarico professionale (o
recesso) da parte del committente, il professionista non ha
di norma interesse a richiedere la risoluzione del contratto
(già verificatasi per effetto del recesso) ed il conseguente
risarcimento dei danni, ma può senz'altro agire per
conseguire il pagamento delle spettanze maturate per
l'attività svolta
(Corte di Cassazione, Sez. III civile,
sentenza
18.07.2014 n. 16501 - massima tratta da www.diritto.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sull'affidamento
dell'incarico di "Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione" onnicomprensivo di
euro 1.500,00, manifestamente e palesemente incongruo e
inadeguato.
L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 dispone che
“L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici,
servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve
garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì
rispettare i principi di libera concorrenza, parità di
trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità
indicate nel presente codice”. I suddetti principi sono
ribaditi anche dal successivo art. 27, il quale stabilisce
che anche i c.d. “contratti esclusi” sono affidati “nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità”.
A tutela della qualità delle prestazioni, poi, il
legislatore nazionale ha posto specifiche norme volte a
garantire che il corrispettivo offerto dall’appaltatore
nelle gare pubbliche sia proporzionato e sufficiente
rispetto all’oggetto dell’appalto. Ci si riferisce agli
articoli 86 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006 in materia di
verifica dell’anomalia delle offerte, la cui finalità “è
quella di evitare che offerte troppo basse espongano
l'Amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione
in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella
richiesta, o con modalità esecutive in violazione di norme,
con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi.
L'appalto deve quindi essere aggiudicato a soggetti che
abbiano prestato offerte che, avuto riguardo alle
caratteristiche specifiche della prestazione richiesta,
risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo
economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che
l'esecuzione della prestazione comporta a carico
dell'appaltatore…”.
Ancora, “Il meccanismo previsto per l’eliminazione delle
offerte ingiustificatamente anomale dal novero di quelle
ammesse ad una gara è teso ad evitare che possa risultare
aggiudicataria di una gara una ditta che, per l’esiguità del
prezzo offerto, non sia poi in grado di assicurare una
prestazione adeguata alle esigenze che l’amministrazione
vuole soddisfare con l’appalto indetto”.
La ratio del sub procedimento di verifica dell’anomalia è,
pertanto, quella di accertare la serietà, la sostenibilità e
la sostanziale affidabilità della proposta contrattuale, in
maniera da evitare che l’appalto sia aggiudicato a prezzi
eccessivamente bassi, tali da non garantire la qualità e la
regolarità dell’esecuzione del contratto oggetto di
affidamento.
Se tanto è vero “a valle” delle procedure di aggiudicazione,
a maggior ragione, parallelamente, lo stesso principio deve
fondare l’attività della Pubblica Amministrazione “a monte”
della procedura stessa, e cioè nella fase
dell’individuazione dell’importo determinato proprio dalla
stazione appaltante quale corrispettivo del servizio da
acquisire.
---------------
Nel caso specifico, a fronte della prestazione professionale
complessa e specializzata richiesta, l’Istituto scolastico
ha previsto un compenso omnicomprensivo di euro 1.500,00,
manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.
Tanto è ancora più evidente se si considera che il predetto
importo include anche le spese vive da sostenere per
l’espletamento dell’incarico (spese di viaggio,
assicurazione, materiale di consumo, disponibilità di
specifici programmi) e, inoltre, che lo stesso incarico deve
essere espletato su due plessi scolastici situati in Comuni
diversi (Galatina e Galatone), distanti quasi 20 chilometri
uno dall’altro.
Sicché l’importo palesemente esiguo offerto potrebbe indurre
il professionista ad una non corretta esecuzione
dell’incarico ed essere foriera di probabili futuri
contenziosi. Ciò è tanto più grave in relazione alla
delicatezza dell’oggetto dell’incarico, che coinvolge la
vita e la sicurezza degli operatori scolastici e degli
alunni.
Il Collegio osserva, inoltre, che la stazione appaltante non
ha motivato in ordine alle modalità seguite nella
determinazione del compenso. Al riguardo, non è
condivisibile il rilievo opposto dall’Istituto resistente
relativo alla mancanza di parametri tabellari professionali
minimi inderogabili.
Il Collegio non ignora che l’articolo 9 del decreto legge
24.01.2012, n. 1, convertito con legge 24.03.2012, n. 27, ha
disposto, al comma 1, l’abrogazione delle tariffe delle
professioni regolamentate nel sistema ordinistico. E’
evidente, pertanto, che le stesse non possono essere più
indicate nemmeno quale possibile riferimento per
l’individuazione del valore della prestazione.
Tuttavia, lo stesso art. 9, al comma 4, pur con specifico
riferimento al mercato privato, fornisce indicazioni utili
anche per la determinazione dell’importo relativo ai
compensi per l’espletamento di incarichi affidati dalle
Pubbliche Amministrazioni, stabilendo che, in ogni caso, la
misura del compenso “deve essere adeguata all'importanza
dell'opera e va pattuita indicando per le singole
prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese,
oneri e contributi”.
Da tale disposizione si ricava che la determinazione
dell’importo dell’affidamento non può essere connotata da
arbitrarietà: le stazioni appaltanti non possono, quindi,
porre a base di gara un importo senza un minimo di analisi
che consenta di comprendere le modalità esatte di
determinazione dell’importo e senza motivare il percorso
tecnico-logico seguito nella determinazione del valore
stesso.
L’interpretazione di cui innanzi risulta, altresì, coerente
con quanto prescritto dalla lettera d) del comma 1)
dell’articolo 264 del d.P.R. n. 207 del 2010, nella parte in
cui dispone che nel bando di gara devono essere indicate le
modalità di calcolo del corrispettivo. Difatti, se il
riferimento alla possibilità di utilizzo delle tariffe
professionali è da ritenersi abrogato, è tuttavia da
considerare ancora del tutto vigente l’obbligo di illustrare
le predette modalità.
A questi fini le stazioni appaltanti non possono limitarsi
ad una generica e sintetica indicazione del compenso, ma
devono specificare con accuratezza ed analiticità i singoli
elementi che compongono la prestazione, nonché dare conto
del percorso motivazionale seguito per la determinazione del
suo valore.
Tali principi sono stati espressi anche dall’Autorità di
Vigilanza sui Contratti Pubblici con la deliberazione n. 49
del 03.05.2012.
Nel caso di specie, al contrario, nel bando di gara non vi è
traccia alcuna dei criteri di calcolo specificamente
utilizzati dall’Istituto per la quantificazione del
corrispettivo.
Fermo restando quanto innanzi esposto, la Sezione osserva,
infine, che, in extrema ratio, l’Amministrazione avrebbe
potuto motivare l’esiguità del corrispettivo fissato anche
ricorrendo a giustificazioni di natura diversa, inerenti, ad
esempio, la necessità di conciliare l’esiguità delle risorse
di bilancio disponibili con l’adempimento di obblighi di
legge (quale, appunto, quello relativo alla prevenzione e
protezione), o, ancora, la richiesta di collaborazione e
disponibilità ai professionisti eventualmente interessati.
Tanto avrebbe, altresì, consentito di evitare quella lesione
della “dignità professionale”, in considerazione della quale
l’ordine ricorrente si è determinato a respingere la
richiesta della Stazione appaltante di pubblicazione sul
proprio albo dell’avviso in questione.
Al riguardo, si richiama il condivisibile ed autorevole
orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è stata
riconosciuta la possibilità della prestazione gratuita per
l’attività professionale: in tal senso è la sentenza della
Cassazione Civile, 17.08.2005, n. 16966, per la quale “Come
più volte affermato da questa Corte, poiché l'onerosità
costituisce un elemento normale del contratto d'opera
intellettuale, ma non essenziale ai fini della sua validità,
è consentita al professionista la prestazione gratuita della
sua attività professionale per i motivi più vari che possono
consistere nell'affectio o nella benevolentia, o in
considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con
riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio”.
... per l'annullamento del bando di gara prot. n. 7367/C12,
relativo al conferimento di incarico di "Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione", indetto dal Dirigente
Scolastico dell'Istituto Professionale I.I.S.S. "Falcone e
Borsellino" di Galatina pubblicato sull'Albo Pretorio
on-line dell'Istituto il 24.12.2013, nella parte in cui
prevede quale compenso per il professionista aggiudicatario
l'importo di euro 1.500,00 omnicomprensivo;
...
E’, invece, fondato ed assorbente il rilievo
relativo alla violazione dei principi di proporzionalità,
ragionevolezza e logicità (in uno, degli obblighi
motivazionali), nei limiti di seguito indicati.
Il Collegio osserva che l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
163/2006 dispone che “L'affidamento e l'esecuzione di opere
e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del
presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni
e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità,
efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve
altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità
di trattamento, non discriminazione, trasparenza,
proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità
indicate nel presente codice”. I suddetti principi sono
ribaditi anche dal successivo art. 27, il quale stabilisce
che anche i c.d. “contratti esclusi” sono affidati “nel
rispetto dei principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza,
proporzionalità”.
A tutela della qualità delle prestazioni, poi, il
legislatore nazionale ha posto specifiche norme volte a
garantire che il corrispettivo offerto dall’appaltatore
nelle gare pubbliche sia proporzionato e sufficiente
rispetto all’oggetto dell’appalto. Ci si riferisce agli
articoli 86 e seguenti del d.lgs. n. 163/2006 in materia di
verifica dell’anomalia delle offerte, la cui finalità “è
quella di evitare che offerte troppo basse espongano
l'Amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione
in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella
richiesta, o con modalità esecutive in violazione di norme,
con la conseguenza di far sorgere contestazioni e ricorsi.
L'appalto deve quindi essere aggiudicato a soggetti che
abbiano prestato offerte che, avuto riguardo alle
caratteristiche specifiche della prestazione richiesta,
risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo
economico all'insieme dei costi, rischi ed oneri che
l'esecuzione della prestazione comporta a carico
dell'appaltatore…” (ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, n.
2063 del 15.04.2013).
Ancora, “Il meccanismo previsto per l’eliminazione delle
offerte ingiustificatamente anomale dal novero di quelle
ammesse ad una gara è teso ad evitare che possa risultare
aggiudicataria di una gara una ditta che, per l’esiguità del
prezzo offerto, non sia poi in grado di assicurare una
prestazione adeguata alle esigenze che l’amministrazione
vuole soddisfare con l’appalto indetto”( TAR Sicilia,
Palermo, Sentenza 07/09/2011 n. 1608).
La ratio del sub procedimento di verifica dell’anomalia è,
pertanto, quella di accertare la serietà, la sostenibilità e
la sostanziale affidabilità della proposta contrattuale, in
maniera da evitare che l’appalto sia aggiudicato a prezzi
eccessivamente bassi, tali da non garantire la qualità e la
regolarità dell’esecuzione del contratto oggetto di
affidamento.
Se tanto è vero “a valle” delle procedure di aggiudicazione,
a maggior ragione, parallelamente, lo stesso principio deve
fondare l’attività della Pubblica Amministrazione “a monte”
della procedura stessa, e cioè nella fase
dell’individuazione dell’importo determinato proprio dalla
stazione appaltante quale corrispettivo del servizio da
acquisire.
Nel caso specifico, a fronte della prestazione professionale
complessa e specializzata richiesta (si veda l’articolo 2
del bando), l’Istituto scolastico ha previsto un compenso
omnicomprensivo (articolo 7 del bando) di euro 1.500,00,
manifestamente e palesemente incongruo e inadeguato.
Tanto è ancora più evidente se si considera che il predetto
importo include anche le spese vive da sostenere per
l’espletamento dell’incarico (spese di viaggio,
assicurazione, materiale di consumo, disponibilità di
specifici programmi) e, inoltre, che lo stesso incarico deve
essere espletato su due plessi scolastici situati in Comuni
diversi (Galatina e Galatone), distanti quasi 20 chilometri
uno dall’altro.
Sicché l’importo palesemente esiguo offerto potrebbe indurre
il professionista ad una non corretta esecuzione
dell’incarico ed essere foriera di probabili futuri
contenziosi. Ciò è tanto più grave in relazione alla
delicatezza dell’oggetto dell’incarico, che coinvolge la
vita e la sicurezza degli operatori scolastici e degli
alunni.
Il Collegio osserva, inoltre, che la stazione appaltante non
ha motivato in ordine alle modalità seguite nella
determinazione del compenso. Al riguardo, non è
condivisibile il rilievo opposto dall’Istituto resistente
relativo alla mancanza di parametri tabellari professionali
minimi inderogabili.
Il Collegio non ignora che l’articolo 9 del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito con legge 24.03.2012, n.
27, ha disposto, al comma 1, l’abrogazione delle tariffe
delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. E’
evidente, pertanto, che le stesse non possono essere più
indicate nemmeno quale possibile riferimento per
l’individuazione del valore della prestazione.
Tuttavia, lo stesso art. 9, al comma 4, pur con specifico
riferimento al mercato privato, fornisce indicazioni utili
anche per la determinazione dell’importo relativo ai
compensi per l’espletamento di incarichi affidati dalle
Pubbliche Amministrazioni, stabilendo che, in ogni caso, la
misura del compenso “deve essere adeguata all'importanza
dell'opera e va pattuita indicando per le singole
prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese,
oneri e contributi”.
Da tale disposizione si ricava che la determinazione
dell’importo dell’affidamento non può essere connotata da
arbitrarietà: le stazioni appaltanti non possono, quindi,
porre a base di gara un importo senza un minimo di analisi
che consenta di comprendere le modalità esatte di
determinazione dell’importo e senza motivare il percorso
tecnico-logico seguito nella determinazione del valore
stesso.
L’interpretazione di cui innanzi risulta, altresì, coerente
con quanto prescritto dalla lettera d) del comma 1)
dell’articolo 264 del d.P.R. n. 207 del 2010, nella parte in
cui dispone che nel bando di gara devono essere indicate le
modalità di calcolo del corrispettivo. Difatti, se il
riferimento alla possibilità di utilizzo delle tariffe
professionali è da ritenersi abrogato, è tuttavia da
considerare ancora del tutto vigente l’obbligo di illustrare
le predette modalità.
A questi fini le stazioni appaltanti non possono limitarsi
ad una generica e sintetica indicazione del compenso, ma
devono specificare con accuratezza ed analiticità i singoli
elementi che compongono la prestazione, nonché dare conto
del percorso motivazionale seguito per la determinazione del
suo valore.
Tali principi sono stati espressi anche dall’Autorità di
Vigilanza sui Contratti Pubblici con la deliberazione n. 49
del 03.05.2012.
Nel caso di specie, al contrario, nel bando di gara non vi è
traccia alcuna dei criteri di calcolo specificamente
utilizzati dall’Istituto per la quantificazione del
corrispettivo.
Fermo restando quanto innanzi esposto, la Sezione osserva,
infine, che, in extrema ratio, l’Amministrazione avrebbe
potuto motivare l’esiguità del corrispettivo fissato anche
ricorrendo a giustificazioni di natura diversa, inerenti, ad
esempio, la necessità di conciliare l’esiguità delle risorse
di bilancio disponibili con l’adempimento di obblighi di
legge (quale, appunto, quello relativo alla prevenzione e
protezione), o, ancora, la richiesta di collaborazione e
disponibilità ai professionisti eventualmente interessati.
Tanto avrebbe, altresì, consentito di evitare quella lesione
della “dignità professionale”, in considerazione della quale
l’ordine ricorrente si è determinato a respingere la
richiesta della Stazione appaltante di pubblicazione sul
proprio albo dell’avviso in questione.
Al riguardo, si richiama il condivisibile ed autorevole
orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è stata
riconosciuta la possibilità della prestazione gratuita per
l’attività professionale: in tal senso è la sentenza della
Cassazione Civile, 17.08.2005, n. 16966, per la quale
“Come più volte affermato da questa Corte (v. Cass.
7741/1999; Cass. 8787/2000), poiché l'onerosità costituisce
un elemento normale del contratto d'opera intellettuale, ma
non essenziale ai fini della sua validità, è consentita al
professionista la prestazione gratuita della sua attività
professionale per i motivi più vari che possono consistere
nell'affectio o nella benevolentia, o in considerazioni di
ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un
personale ed indiretto vantaggio”.
Tuttavia, neanche in tal senso l’Istituto Scolastico ha
motivato nel bando di che trattasi.
Pertanto, il ricorso è fondato e deve essere accolto per
difetto di motivazione dell’atto impugnato
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 16.07.2014 n. 1844 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Sono
incarichi di consulenza quelli volti ad acquisire da
un soggetto esperto un giudizio su una determinata
questione, sono incarichi di studio quelli volti a
ricercare soluzioni su questioni inerenti alla attività di
competenza della amministrazione conferente e sono
incarichi di ricerca (in base ad un programma definito
dalla amministrazione) quelli volti ad individuare norme o
documenti e/o a ricostruire eventi o situazioni.
Tali incarichi sono tutti riconducibili al più ampio
contesto degli incarichi di collaborazione esterna.
---------------
In merito alla possibilità di affidare incarichi di
consulenza, studio e ricerca nell’anno
2014, in assenza di spesa a tale titolo nell’anno 2009, il
limite per gli incarichi di studio e
consulenza (sono esclusi gli incarichi di ricerca
per le ragioni già espresse) deve essere individuato non
nella misura di una percentuale della spesa sostenuta a tale
titolo nel 2009 (disposizione applicabile solo in via
indiretta), circostanza questa che rende irrilevante la
presenza o l’assenza di spese sostenute a tale titolo nel
2009, ma in rapporto alla spesa complessivamente sostenuta
nel 2009 per le varie voci previste dalla norma indicata
(es. acquisto autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni
da apportare sempre in termini complessivi.
A tale limite complessivo, come già indicato, si aggiunge
quello previsto dall’art. 14 del D.L. 66/2014 rapportato
alle spese di personale (applicabile anche agli incarichi
di ricerca).
Per il conferimento degli incarichi in argomento (ivi
compresi gli incarichi di ricerca) rimane ferma,
inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi
presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7
del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti
previsti.
---------------
Con la nota indicata, il Sindaco del Comune di
Bitonto (BA), dopo aver richiamato l’art. 6, co. 7, del D.L.
78/2010, l’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 e l’art. 14, co.
1, del D.L. 66/2014, ha chiesto il parere di questa
Sezione in merito alla possibilità di affidare incarichi di
consulenza, studio e ricerca nell’anno 2014, in assenza di
spesa a tale titolo nell’anno 2009, ferma restando la
necessità della sussistenza di tutti gli altri presupposti
richiesti dalla vigente normativa in materia.
...
Il quesito posto dalla amministrazione richiedente riguarda
essenzialmente la possibilità, per un ente locale, di
affidare incarichi di consulenza, studio e
ricerca nell’anno 2014 se il medesimo ente non ha
sostenuto alcuna spesa a tale titolo nell’anno 2009.
Negli ultimi anni il legislatore si è occupato più volte e
per vari aspetti della possibilità, per gli enti locali, di
affidare incarichi di consulenza, studio e
ricerca. Le varie norme che si sono susseguite nel
tempo, fondamentalmente, hanno riguardato sia i limiti di
spesa che i presupposti necessari per il conferimento di
tali incarichi. Non sempre le norme in argomento hanno
riguardato testualmente tutte le tre diverse tipologie di
incarico elencate, infatti, in molti casi, come di seguito
riportato, il legislatore ha formulato disposizioni solo
sugli incarichi di studio e sulle consulenze
senza occuparsi, quindi, degli incarichi di ricerca.
I vari interventi legislativi che si sono susseguiti nel
corso degli ultimi anni sono stati tutti caratterizzati
dalla evidente volontà di arginare il conferimento di tali
incarichi, non solo in attuazione di una generale politica
di contenimento della spesa pubblica, ma anche per evitare
(o almeno ridurre) un fenomeno che ha spesso originato una
spesa inutile ed aggiuntiva rispetto a quella che gli enti
interessati avrebbero potuto e dovuto sostenere mediante un
adeguato ed efficiente utilizzo del proprio personale.
In varie occasioni, peraltro, gli enti hanno fatto ricorso a
tali incarichi sostanzialmente per aggirare la normativa in
materia di assunzioni o, comunque, per celare rapporti di
vero e proprio lavoro subordinato. Per la realizzazione di
tali obiettivi, il legislatore ha operato su più piani
prevedendo, per il conferimento degli incarichi in
argomento, rigidi limiti di spesa, precisi presupposti, una
elevata procedimentalizzazione, varie forme di controllo e
pubblicità e un articolato e severo apparato sanzionatorio.
Prima di procedere alla soluzione del quesito proposto,
risulta necessario definire il contenuto di tali
incarichi, tutti riconducibili al più ampio contesto degli
incarichi di collaborazione esterna.
Anche alla luce delle indicazioni offerte dalla Corte dei
conti, Sezioni riunite in sede di controllo, con la
deliberazione 15.02.2005 n. 6,
può ritenersi che sono incarichi di
consulenza quelli volti ad acquisire da un soggetto
esperto un giudizio su una determinata questione, sono
incarichi di studio quelli volti a ricercare soluzioni
su questioni inerenti alla attività di competenza della
amministrazione conferente (in tal senso anche il D.P.R.
338/1994) e sono incarichi di ricerca (in base ad un
programma definito dalla amministrazione) quelli volti ad
individuare norme o documenti e/o a ricostruire eventi o
situazioni.
La Corte dei conti, sia a livello centrale che a livello
regionale, sia in sede di controllo che in sede
giurisdizionale, con numerose deliberazioni e sentenze, ha
dedicato particolare attenzione agli incarichi di studio,
ricerca e consulenza in virtù degli evidenti e rilevanti
riflessi sulla spesa pubblica degli stessi. Pur essendo
state approvate in un quadro normativo diverso da quello
attuale, rivestono tuttora una particolare utilità per una
adeguata conoscenza della fattispecie in esame la già
richiamata
deliberazione 15.02.2005 n. 6 delle Sezioni
riunite in sede di controllo (con la quale sono state
approvate le linee di indirizzo e i criteri interpretativi
sulle disposizioni della legge 311/2004 in materia di
affidamento di incarichi di studio, ricerca o
consulenza) e la
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008
della Sezione delle Autonomie (con la quale sono state
approvate le linee di indirizzo e i criteri interpretativi
dell’art. 3, co. 54-57, della legge 244/2007 in materia di
regolamenti degli enti locali per l’affidamento di
incarichi di collaborazione, studio, ricerca
e consulenza).
Ciò premesso, al fine di dare risposta al
quesito proposto, appare necessario procedere alla
individuazione della vigente normativa in materia di limiti
di spesa per l’affidamento di incarichi di studio,
ricerca e consulenza, con particolare riferimento
ai limiti posti dalla legge in rapporto alla spesa
sostenuta, a tale titolo, nell’anno 2009.
L’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010, con l’espresso fine di
valorizzare le professionalità interne, seguendo una linea
ormai consolidata (es. art. 1, co. 11, legge 311/2004),
anche per i Comuni, prevede che, a
decorrere dall’anno 2011, la spesa annua per studi ed
incarichi di consulenza (anche conferiti a dipendenti
pubblici) non può essere superiore al 20% di quella
sostenuta nell’anno 2009. Con riferimento a tale norma, la
Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, con
deliberazione n. 7/CONTR/2011, ha chiarito che il concetto
di “spesa sostenuta nell’anno 2009” deve riferirsi
alla spesa programmata per la suddetta annualità e che le
spese alimentate con risorse provenienti da enti pubblici o
privati estranei all’ente devono essere escluse dal computo.
Successivamente, con sentenza n. 139/2012, nel dichiarare
non fondate le questioni di legittimità costituzionale
sollevate in relazione all’art. 6 del D.L. 78/2010 (e,
quindi, anche della norma in argomento), la Corte
costituzionale ha affermato che i tagli disposti dal
legislatore non operano per gli enti locali in via diretta,
ma solo come disposizioni di principio.
Quindi, una volta determinato il volume complessivo delle
riduzioni da effettuare (tra le spese da ridurre ai sensi
del citato art. 6 figurano anche quelle per relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza,
sponsorizzazioni, missioni, formazione e acquisto,
manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture), ogni
ente ha la possibilità di decidere su quali voci
effettuarle, senza sottostare ai vincoli specifici stabiliti
dal menzionato art. 6.
La normativa descritta successivamente è
stata implicitamente modificata. L’art. 1, co. 5, del D.L.
101/2013, infatti, anche per gli enti locali, ha stabilito
che la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza (anche conferiti a dipendenti pubblici) non
può essere superiore, per l’anno 2014, all’80% del limite di
spesa per l’anno 2013 e, per l’anno 2015, al 75% dell’anno
2014, così come determinati dalla applicazione dell’art. 6,
co. 7, del D.L. 78/2010 sopra riportato. In sostanza, il
legislatore ha ulteriormente ridotto il limite di spesa
precedentemente previsto dal citato art. 6, co. 7: in
rapporto alla spesa sostenuta nell’anno 2009, infatti, il
nuovo limite è pari al 16% (80% del 20%) per l’anno 2014 e
al 15% (75% del 20%) per l’anno 2015.
Appare doveroso evidenziare sin d’ora che anche all’art. 1,
co. 5, del D.L. 101/2013 occorre dare una lettura conforme a
quanto espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 139/2012. Pertanto, anche tale taglio disposto dal
legislatore non opera per gli enti locali in via diretta, ma
solo come disposizione di principio. Quindi, ancora una
volta, determinato il volume complessivo delle riduzioni da
effettuare, ogni ente ha la possibilità di decidere su quali
voci effettuarle, senza sottostare a vincoli specifici. La
necessità di leggere l’art. 1, co. 5, del D.L. 101/2013 alla
luce della sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012
deriva non solo dalla evidente omogeneità esistente tra le
due norme, ma anche dall’espresso rinvio operato dallo
stesso art. 1, nel quantificare il limite di spesa,
all’applicazione dell’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010.
Una nuova modifica alla disciplina relativa
al conferimento degli incarichi in esame è stata disposta
dall’art. 14 del D.L. 66/2014 (in attesa di conversione in
legge) il quale ha previsto, anche per gli enti locali,
confermando espressamente i limiti derivanti dalle vigenti
disposizioni e, in particolare, le disposizioni prima
riportate (art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 e art. 1, co. 5,
del D.L. 101/2013), a decorrere dall’anno
2014, un ulteriore limite di spesa rapportato non più alla
spesa precedentemente sostenuta per la medesima ragione ma
alla spesa per il personale dell’ente che conferisce
l’incarico (1,4% se la spesa del personale è superiore a 5
milioni di euro, 4,2% se la spesa è pari o inferiore).
In pratica, consolidando l’orientamento restrittivo seguito
costantemente negli ultimi anni, il legislatore ha ritenuto
di limitare, sempre sotto il profilo della spesa ma in modo
diverso dal passato, la possibilità di conferire
incarichi di consulenza, studio e ricerca:
ai limiti basati sulla spesa storica si affiancano quelli
derivanti dal rapporto delle relative spese con le spese del
personale. Tale ultimo limite di spesa risulta non
interessato dalla sentenza della Corte costituzionale n.
139/2012 e può considerarsi aggiuntivo e non sostitutivo
rispetto a quelli precedentemente stabiliti.
Appare necessario evidenziare che mentre
l’art. 6, co. 7, del D.L. 78/2010 e l’art. 1, co. 5, del
D.L. 101/2013 riguardano “la spesa annua per studi
ed incarichi di consulenza” (senza comprendere,
quindi, gli incarichi di ricerca), l’art. 14 del D.L.
66/2014 limita gli “incarichi di consulenza,
studio e ricerca”. Si tratta di una
osservazione non irrilevante: nel caso in cui l’incarico non
sia sussumibile nelle due categorie degli incarichi per
studi e consulenza (ad esempio perché riconducibile
nell’ambito degli incarichi di ricerca) non si applicano i
limiti previsti in materia dal D.L. 78/2010 e dal D.L.
101/2013.
Appare infatti preferibile, anche in virtù del rigoroso
apparato sanzionatorio previsto dalle due norme citate, la
valorizzazione di una interpretazione letterale (Sez.
Lombardia
parere 07.02.2011 n. 68).
Tale conclusione risulta confermata da un altro aspetto:
laddove il legislatore ha voluto porre dei freni anche agli
incarichi di ricerca lo ha espressamente previsto.
Indicativo in tal senso è il secondo periodo del comma 9
dell’art. 1 del D.L. 168/2004 (non più vigente in quanto
abrogato dall’art. 46 del D.L. 112/2008) il quale,
contrariamente al primo periodo (formalmente non abrogato)
che prevedeva un taglio lineare di spesa nei confronti dei
soli incarichi di studio e consulenza, stabiliva precisi
presupposti per “l’affidamento
di incarichi di studio o di ricerca ovvero di
consulenza”.
Analoga conclusione si ricava dall’art. 1, co. 11, della
legge 311/2004. Ciò conduce a ritenere che il limite di
spesa recentemente stabilito dal D.L. 66/2014, di contenuto
diverso dai precedenti in quanto rapportato non alle spese
precedentemente sostenute al medesimo titolo ma alla spesa
per il personale, si aggiunge (non si sostituisce) a quelli
già precedentemente previsti dal D.L. 78/2010 e dal D.L.
101/2013 solo per gli incarichi di studio e di
consulenza in quanto, per gli incarichi di ricerca
(ai quali i limiti previsti dal D.L. 66/2014 certamente si
applicano), i limiti indicati non si applicavano e non si
applicano.
In base, quindi, alla ricostruzione normativa effettuata,
con particolare riferimento agli enti che (come il Comune
richiedente) non hanno sostenuto alcuna spesa nell’anno 2009
per incarichi di studio, ricerca e/o
consulenza, i dubbi interpretativi, eventualmente, si
pongono per gli incarichi di studio e di
consulenza e non per gli incarichi di ricerca i
quali non erano disciplinati dall’art. 6, co. 7, del D.L.
78/2010 e per i quali non valgono i relativi limiti di
spesa.
La questione relativa alla individuazione dei limiti di
spesa per il conferimento di incarichi di consulenza
e di studio nei confronti degli enti che non hanno
sostenuto a tale titolo spese nell’anno 2009 è stata già
affrontata dalla Corte dei conti in sede consultiva (Sez.
Lombardia,
parere 29.04.2011 n. 227). In tale occasione è
stato osservato che la ratio sottesa
alla legge statale in esame è quella di rendere operante, a
regime, una riduzione della spesa per gli incarichi di
consulenza e di studio e non di vietare agli enti
locali la possibilità di conferire incarichi esterni quando
ne ricorrono i presupposti di legge.
In questo senso, infatti, verrebbe disattesa la finalità
perseguita dal legislatore per quegli enti locali che, nel
corso dell’anno 2009, non hanno sostenuto alcuna spesa a
titolo di incarichi per studi e consulenze;
infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si
finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa per
essi un divieto assoluto alla stipula di questa tipologia di
contratti. In base a tale considerazione, la Sez. Lombardia,
con la deliberazione menzionata, è giunta alla conclusione
che la norma de qua, per gli enti
locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto
alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e
consulenze, va applicata individuando un diverso
parametro di riferimento.
D’altra parte, se non si adottasse questa interpretazione,
la riduzione lineare prevista finirebbe per premiare gli
enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno
sostenuto una spesa per consulenze eventualmente rilevante;
al contrario, si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli
enti più virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto
una spesa pari a zero. Non essendoci un
parametro finanziario precostituito (in quanto la spesa per
l’anno 2009 è stata pari a zero), il limite individuato
dalla Sez. Lombardia è stato quello della spesa strettamente
necessaria nell’anno in cui si verifica l’assoluta necessità
di conferire un incarico di consulenza o di studio
(limite di spesa che, a sua volta, sarebbe il parametro
finanziario per gli anni successivi).
La soluzione prospettata nel
parere 29.04.2011 n. 227
della Sez. Lombardia (che poteva essere sostenuta anche in
base all’art. 3, co. 56, della legge 244/2007, come
modificato dall’art. 46 del D.L. 112/2008, secondo il quale
“il limite massimo della spesa annua per incarichi di
collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli
enti territoriali”), come già sostenuto da questa
Sezione in occasione dell’esame di un rendiconto
(deliberazione n. 15/PRSP/2014), deve essere rivista alla
luce della successiva sentenza della Corte costituzionale n.
139/2012. Con quest’ultima sentenza, nel dichiarare non
fondate le questioni di legittimità costituzionale
prospettate in relazione anche al comma 7 dell’art. 6 del
D.L. 78/2010, è stato ribadito che il legislatore statale
può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle
politiche di bilancio ma che questi vincoli possono
considerarsi rispettosi della autonomia delle Regioni e
degli enti locali solo quando stabiliscono un limite
complessivo che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi
di spesa.
In altre parole, con riferimento agli enti
locali, l’art. 6 in argomento prevede un limite complessivo
nell’ambito del quale gli enti interessati restano liberi di
allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di
spesa. Una volta, quindi, determinato il volume complessivo
delle riduzioni da apportare in base all’art. 6 citato, ogni
ente ha la possibilità di decidere su quali voci effettuare
le riduzioni, senza sottostare ai vincoli specifici
previsti. E’ possibile, in sostanza, non rispettare un
vincolo specifico ma tale sforamento dovrà essere compensato
da una corrispondente maggiore riduzione della spesa
rispetto ad un altro vincolo specifico previsto.
La Corte dei conti ha tenuto conto immediatamente
dell’orientamento espresso in materia da parte della Corte
costituzionale (Sezione delle Autonomie, deliberazione n.
10/2012). A tale orientamento, come già riferito, non poteva
non adeguarsi anche questa Sezione che ha pure avuto modo di
evidenziare che “l’assenza di spese per consulenze
nell’esercizio 2009, in considerazione della necessità di
individuare un obiettivo complessivo di risparmio secondo le
indicazioni ermeneutiche contenute nella sentenza n.
139/2012 cit., non giustifica l’individuazione di un “nuovo”
tetto di spesa” (deliberazione n. 14/PRSP/2014). La
distribuzione degli interventi riduttivi tra le singole voci
previste dalla norma, tuttavia, non comporta la libera ed
incondizionata derogabilità delle misure di contenimento,
trattandosi pur sempre di norma assistita da sanzioni
specifiche in caso di inosservanza (Sez. Veneto, n.
189/2013/PAR).
In considerazione, quindi, della lettura data all’art. 6 del
D.L. 78/2010 dalla Corte costituzionale dalla quale questa
Sezione non ha motivo di discostarsi, lettura che deve
essere estesa anche all’analogo art. 1, co. 5, del D.L.
101/2013, sia per non incorrere in interpretazioni
censurabili sul piano della legittimità costituzionale, sia
per l’espresso rinvio disposto dal legislatore all’art. 6,
co. 7, del D.L. 78/2010, il limite per gli
incarichi di studio e consulenza (sono
esclusi gli incarichi di ricerca per le ragioni già
espresse) deve essere individuato non nella misura di una
percentuale della spesa sostenuta a tale titolo nel 2009
(disposizione applicabile solo in via indiretta),
circostanza questa che rende irrilevante la presenza o
l’assenza di spese sostenute a tale titolo nel 2009, ma in
rapporto alla spesa complessivamente sostenuta nel 2009 per
le varie voci previste dalla norma indicata (es. acquisto
autovetture, missioni, ecc.), con le riduzioni da apportare
sempre in termini complessivi.
A tale limite complessivo, come già indicato, si aggiunge
quello previsto dall’art. 14 del D.L. 66/2014 rapportato
alle spese di personale (applicabile anche agli incarichi
di ricerca).
Per il conferimento degli incarichi in argomento (ivi
compresi gli incarichi di ricerca) rimane ferma,
inoltre, la necessità della sussistenza dei numerosi
presupposti richiesti dalla vigente normativa (es. art. 7
del D.Lgs. 165/2011) e del rispetto dei vari adempimenti
previsti (es.
obblighi di pubblicazione) (Corte dei Conti, Sez. controllo
Puglia,
parere 07.07.2014 n. 131). |
giugno 2014 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO
IMPIEGO:
R. Lasca,
L'omofonia del termine
“incarichi” usato dal legislatore delegato pro TRASPARENZA e
anti CORRUZIONE - Corretto? Mica tanto. Semmai: due
pesi e due misure per la stessa finalità! Ma c'è comunque
tanto da dire su entrambi i versanti normativi! (25.06.2014). |
maggio 2014 |
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INCARICHI PROFESSIONALI: Omessa comunicazione degli incarichi affidati: danno
erariale.
Risponde di danno erariale il responsabile di una U.O. del
Comune che ometta la comunicazione al Dipartimento della
Funzione Pubblica degli incarichi retribuiti affidati
nell'anno precedente ai propri dipendenti o, con cadenza
semestrale, ad estranei.
Non v’è dubbio che un danno si sia
concretizzato, poiché la disposizione di cui all’art. 53,
commi 14 e 15, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui
dispone che gli incarichi, senza il preventivo adempimento
di pubblicità, non possono essere conferiti, ha natura di
norma di ordine pubblico, posta a tutela della trasparenza e
correttezza dell’azione amministrativa, oltreché presidio al
legittimo impiego di somme di pertinenza pubblica.
Come tale, gli incarichi conferiti (e i correlati contratti
e impegni finanziari) per quello che qui rileva sono affetti
da nullità, secondo il principio generale rappresentato
dalla disposizione ex artt. 1343 e 1418 c.c.
La Procura Regionale chiede che
questo Collegio condanni il sig. I. per il danno allo stesso
addebitato e relativo, quanto al profilo funzionale,
all’omesso adempimento di quanto previsto dall’art. 53,
comma 15, D.Lgs. n. 165/2001 il quale prevede che “Le
amministrazioni che omettono gli adempimenti di cui ai commi
da 11 a 14 non possono conferire nuovi incarichi fino a
quando non adempiono. I soggetti di cui al comma 9 che
omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella
sanzione di cui allo stesso comma 9”.
In particolare, per quello che qui riguarda, il precedente
comma 14, premesso che la norma ha la finalità di
assoggettare a puntuale e costante verifica la corretta
applicazione di quanto indicato nell’art. 1, commi 123 e
127, della legge 23.12.1996 n. 662, impone alle
amministrazioni pubbliche di comunicare al Dipartimento
della Funzione Pubblica, entro il 30 giugno di ogni anno, i
compensi percepiti dai propri dipendenti per incarichi
esperiti anche nello svolgimento di compiti d’ufficio e,
semestralmente, l’elenco dei collaboratori esterni.
...
Il Collegio non condivide l’assunto difensivo.
Il richiamato art. 3, comma 54, del D.Lgs. n. 244/2007,
testualmente prevede che l’omessa pubblicazione degli
incarichi di consulenza e collaborazione (di cui all’art. 7,
co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001) configura ex se un
illecito disciplinare e costituisce fonte di “responsabilità
erariale del dirigente preposto”.
La difesa del ricorrente, come detto, richiamando la lettera
della norma, ne invoca l’inapplicabilità in ragione del
mancato possesso di qualifica dirigenziale da parte
dell’ing. I..
Appare però sufficientemente chiaro al Collegio che la
locuzione usata dal Legislatore non possa intendersi in
stretta ed esclusiva aderenza al dato letterale, né vi è
dimostrazione alcuna che lo stesso Legislatore abbia voluto
ricondurre quella fattispecie di responsabilità ai soli
soggetti in possesso della qualifica dirigenziale,
limitandone così (e irragionevolmente) l’applicabilità.
“Dirigente preposto”, secondo la costruzione
semantica che questo Collegio reputa corretta, ha riguardo a
colui che è responsabile, in posizione apicale, di una
struttura che, per l’appunto, dirige quale “preposto”.
In questo senso la responsabilità attiene a tutti coloro
che, per la propria posizione nel complesso organizzatorio
della struttura, o plesso di essa, hanno il potere
funzionale di assumere decisione e interagire con altri
organi in posizione di autonomia, non conoscendo, al di
sopra di loro e nello stesso ufficio, posizioni
gerarchicamente sovraordinate.
Che questa sia stata la posizione dell’ing. I. -dipendente
comunale- nell’ufficio da lui diretto, ovvero Unità
Operativa Sistemi Informatici del Comune di Anagni, non vi è
dubbio perché è con atto a sua firma che l’Ente ha
riscontrato la richiesta del Dipartimento della Funzione
Pubblica; atto nel quale egli stesso si qualifica “Il
Responsabile”.
Il convincimento del Collegio è, allora, quello che –in
disparte la qualificazione del livello contrattuale– l’ing.
I. svolgeva una funzione pienamente riconducibile alla
responsabilità attribuita dall’art. 3, comma 54, del D.Lgs.
n. 244/2007.
Affermato che il convenuto ha pieno titolo giuridico per
rispondere di “responsabilità erariale”, la
valutazione dev’essere allora compiuta sulla sussistenza di
tutti gli elementi che concretizzano tale tipo di
responsabilità, con particolare riguardo, nel caso di
specie, sia alla concretizzazione di un danno alle pubbliche
finanze dell’Ente sia alla condotta del soggetto attore
(vista nel suo grado di riprovevolezza) sia all’esistenza di
idoneo legame etiologico.
Quanto al primo, non v’è dubbio che un danno si sia
concretizzato, poiché la disposizione di cui all’art. 53,
commi 14 e 15, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui
dispone che gli incarichi, senza il preventivo adempimento
di pubblicità, non possono essere conferiti, ha natura di
norma di ordine pubblico, posta a tutela della trasparenza e
correttezza dell’azione amministrativa, oltreché presidio al
legittimo impiego di somme di pertinenza pubblica.
Come tale, gli incarichi conferiti (e i correlati contratti
e impegni finanziari) per quello che qui rileva sono affetti
da nullità, secondo il principio generale rappresentato
dalla disposizione ex artt. 1343 e 1418 c.c. (v. Corte Cost.
n. 290/2001).
Non avrebbe ragione, volendo opinare in senso contrario,
porre un preciso e radicale limite al conferimento da un
lato e riconoscerne, dall’altro, una qualche
validità.
Semmai va scrutinata, secondo la regola generale della
compensatio lucri cum danno, se gli incarichi
illegittimamente conferiti abbiano prodotto una qualche
utilità all’Ente danneggiato.
In questo senso va premesso che, prendendo in esame gli
incarichi che residuano dalla modifica della domanda del
P.M., ossia quello conferito al sig. P., per €. 340,00
(senza motivazione) e quello svolto dal dott. M., per €.
2080,00, per la realizzazione di un regolamento comunale,
ritiene il Collegio che detti incarichi avrebbero potuto
essere svolti dagli uffici comunali, non essendoci prova
alcuna dell’impossibilità di questi ad assolvere ai relativi
oneri.
Dubbio che invece, anche per l’assenza di adeguata prova
contraria, può ravvisarsi per l’attività promozionale del
vino cesanese non essendoci agli atti affermazione e
dimostrazione che il Comune avrebbe potuto correntemente
svolgere un’attività che, normalmente, non rientra tra i
normali compiti amministrativi dell’Ente ma, semmai, di
appositi uffici per il turismo o pro-loco.
Quanto all’utilità prodotta, non essendoci in atti alcuna
prova contraria, il Collegio, presuntivamente, ne ammette un
parziale soddisfacimento, valutabile secondo criteri
equitativi.
Alla luce di quanto precede, pertanto, il danno
addebitabile, di cui all’atto di citazione e alla modifica
della domanda intervenuta in udienza, può essere individuato
in €. 2.000,00 (euro duemila/00), addebitabile sicuramente
alla mancanza di adeguata diligenza dell’ing. I. il quale,
per grado di cultura, funzione svolta e professionalità
acquisita, avrebbe dovuto essere pienamente consapevole
degli obblighi a lui imposti dalla normativa.
La mancata, puntuale ottemperanza a detti obblighi non può
che essere valutata come colpa grave del medesimo e, per
l’effetto, ritenere come addebitabile il danno che ne è
conseguito, del quale la condotta del convenuto non
rappresenta solo l’antecedente storico –come detto dalla
difesa– ma assolutamente anche la premessa logico-giuridica
della realizzazione.
Danno che, tuttavia, il Collegio ritiene che debba anche
ascriversi, in parte, agli organi comunali preposti al
conferimento di detti incarichi e che avrebbero potuto
preventivamente chiedere assicurazione all’ing. I. circa
l’avvenuto adempimento dei presupposti legali per il loro
conferimento, così come rientrante nella sua sfera di
doverosa responsabilità.
Non averlo fatto significa aver concorso, con l’odierno
convenuto, alla realizzazione dell’evento dannoso.
Per questo, all’ing. I., in conclusione, deve essere
addebitata una quota parte del danno, pari ad €. 1.000,00
(euro mille/00), rivalutabile a decorrere dalla data di
mancata pubblicazione dell’ultimo incarico, ai sensi
dell’art. 53, comma 14, del D.Lgs. n. 165/2001) e sino alla
data di deposito della presente sentenza, dalla quale
decorreranno interessi legali sino all’effettivo soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz.
Lazio,
sentenza 15.05.2014 n. 424). |
aprile 2014 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Niente proroghe sine die per gli incarichi.
Stop agli incarichi esterni reiterati nel tempo. Infatti, la
previsione contenuta nel testo unico del pubblico impiego,
secondo cui gli incarichi esterni possono essere conferiti
allo scopo di sopperire a esigenze di carattere non
permanente e per le quali le pubbliche amministrazioni si
trovino nell'effettiva impossibilità di fare ricorso alle
risorse umane e professionali in servizio, intende evitare
che siano stipulati contratti per rispondere a fabbisogni
permanenti delle stesse p.a. e che la «straordinarietà» si
traduca in un modus operandi sistematico. Ne consegue che
nel caso in cui le esigenze dell'amministrazione che
conferisce l'incarico dovessero perdurare, la stessa, in
luogo di rinnovare «sine die» i contratti con personale
esterno, dovrà obbligatoriamente programmare i propri
fabbisogni di personale.
È quanto ha rilevato la Corte dei Conti, Sez. centrale di
controllo sulla legittimità degli atti del governo e delle
amministrazioni dello stato, nel testo della
deliberazione
16.04.2014 n. 7 diffusa ieri con cui ha ricusato il visto e la
registrazione di un contratto di prestazione d'opera
professionale tra un'università e un soggetto esterno
nonostante il professionista fosse in possesso dei requisiti
culturali e che l'ateneo avesse svolto una procedura
comparativa tra più potenziali soggetti, prima di affidare
l'incarico.
Per la magistratura contabile nei casi in cui vi è una
reiterazione temporale dell'oggetto dell'incarico (in questo
caso anche dello stesso soggetto), viene dedotta la
violazione dell'articolo 7, comma 6. del dlgs n. 165/2001,
nella parte in cui prescrive la temporaneità degli incarichi
esterni. È pacifico che l'affidamento a un soggetto esterno
di attività, ancorché altamente qualificate, per le quali le
pubbliche amministrazioni non possono far fronte con il
proprio personale, deve rispondere a un carattere
esclusivamente temporaneo che sia limitato e coerente con la
durata del progetto.
In pratica, ha sottolineato la Corte,
tale affidamento rappresenta comunque un rimedio eccezionale
per far fronte a esigenze particolari e straordinarie
dell'amministrazione conferente. Il legislatore, come detto,
ha rimarcato tale natura nella disposizione di legge sopra
evidenziata, allo scopo di evitare che vengano stipulati
contratti di lavoro autonomo per rispondere a fabbisogni
permanenti delle p.a. e che la straordinarietà delle
condizioni che portano a sottoscrivere un contratto di
consulenza esterna, possa trasformarsi in un modus operandi
sistematico piuttosto che di carattere eccezionale. Anche
sotto il profilo di evitare che la reiterazione di incarichi
possa tradursi in forme atipiche di assunzione, con la
conseguente elusione delle disposizioni in materia di
accesso al pubblico impiego e delle disposizioni relative al
contenimento della spesa di personale.
Nel caso sotteso al vaglio del collegio, la prestazione
contenuta nel contratto era già reiterata (da almeno otto
anni) e legata a esigenze stabili dell'Ateneo. Pertanto,
dopo un così lungo lasso di tempo è arduo pensare che si
possa ancora parlare di eccezionalità della prestazione per
poter legittimare l'incarico.
Piuttosto, tali esigenze si ravvisano come ordinarie, tenuto
conto che la p.a. in questo lasso di tempo non è riuscita ad
individuare una soluzione idonea che sia stata in grado di
evitare la stipula del contratto. In poche parole, una volta
che le esigenze della p.a. siano perduranti, la stessa ha
l'onere di ripensare e rimodulare i fabbisogni del personale
in organico, anche con specifico riferimento
all'aggiornamento e alla formazione dei profili
professionali (articolo ItaliaOggi del
29.04.2014). |
marzo 2014 |
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INCARICHI PROFESSIONALI:
Distinzione tra incarichi di studio, di
consulenza e di
ricerca conferiti dalla pubblica amministrazione.
Il presupposto indispensabile
per l’affidamento di incarichi esterni è che
l’amministrazione abbia preliminarmente accertato
“l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse
umane disponibili al suo interno” [art. 7, comma 6,
lett. b), d.lgs. 165/2001]. Il riscontro concreto di
tale condizione essenziale richiede una reale
ricognizione di una situazione di oggettiva ed
eccezionale impossibilità -sia sul piano qualitativo
che sul piano quantitativo- di far fronte alle
esigenze con le risorse interne all’amministrazione,
in quanto assurge a regola generale il principio
dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti.
Di conseguenza, l’affidamento all’esterno di
incarichi in difetto di tale presupposto è fonte di
responsabilità per danno erariale.
Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti
sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio,
sentenza 18.11.2011 n. 1619
che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli
difficoltà in termini di gestione ed organizzazione”
e sezione giurisdizionale per la Calabria, sentenza
20.08.2012 n. 240 secondo
cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in
qualunque delle ipotesi sopra riportate, e
consentito solo allorquando nell’ambito della
dotazione organica non sia possibile reperire
personale competente ad affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza”.
Va da sé, infine, che non
possono formare oggetto di conferimento all’esterno
quelle attività afferenti alle funzioni essenziali
dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già
destinate, all’interno dell’organigramma
amministrativo, specifiche strutture e risorse (es.
attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria
ecc.).
---------------
In merito alla distinzione interna alla categoria
delle collaborazioni autonome, le Sezioni
Riunite in sede di controllo hanno chiarito che gli
incarichi di studio, di consulenza e
di ricerca si distinguono per l’oggetto della
prestazione dedotta in contratto, il quale non muta
la propria natura giuridica, rientrando comunque
nella categoria dei contratti di prestazione d’opera
intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni
Riunite:
►
gli incarichi di studio si risolvono nello
svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse
dell’amministrazione, nonché nella consegna di una
relazione scritta finale in cui vengono illustrati i
risultati dello studio e le soluzioni proposte;
►
gli incarichi di ricerca, invece,
presuppongono la preventiva definizione del
programma da parte dell’amministrazione;
►
le consulenze, infine, riguardano le
richieste di pareri ad esperti.
Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i
seguenti parametri per valutare la legittimità degli
incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria
organizzazione, della figura professionale idonea
allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri
per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto
all’incaricato e l’utilità conseguita
dall’amministrazione.
---------------
Il Sindaco del Comune di Ugento chiede alla Sezione
un parere in merito all’applicabilità o meno dei
vincoli e della disciplina di cui agli artt. 3,
comma 55 e 56, l. 244/2007 e art. 6, comma 7, d.l.
78/2010 per l’affidamento all’esterno di alcune
attività che richiedono professionalità tecniche
allo stato attuale non disponibili all’interno del
Comune, poiché “quelle presenti sono oberate dai
numerosissimi adempimenti ed attività di servizi
istituzionali”.
Nella richiesta del parere vengono enunciate in
maniera analitica le attività oggetto degli
incarichi da affidare e consistenti in:
"1. istruttoria e verifica paesaggistica delle
pratiche di condono edilizio-Profili professionali
richiesti architetto e ingegnere;
2. Verifica tecnico giuridica dei piani di
lottizzazione. Il professionista dovrà procedere
alla verifica di tutta la documentazione presente
all’interno dei faldoni dei Piani di Lottizzazione,
alla successiva ricognizione tecnico giuridica dello
stato attuativo dei predetti piani dello stato
attuativo dei predetti Piani ed alla predisposizione
degli atti necessari per il perfezionamento del loro
iter approvativo. Nel corso dello svolgimento dei
lavori, in relazione all’evoluzione degli stessi,
potranno poi essere concordati tra il professionista
aggiornamenti del programma di attività, sempre nei
limiti dell’oggetto del disciplinare di incarico e
del suo programma di lavoro generale. profilo
professionale richiesto: ingegnere;
3. Perizia tecnica circa l’effettivo stato dei
luoghi in cui sono custoditi i beni museali,
bibliotecari e di archivio storico; la perizia dovrà
anche indicare le carenze strutturale dei luoghi
l’eventuale cattiva esecuzione di opere di
ristrutturazione eseguite, l’individuazione e la
quantificazione di opere necessarie per rendere
funzionali tali opere e quantificazione di eventuali
danni subiti dall’amministrazione. Profilo
professionale richiesto: architetto;
4. Perizia tecnica necessaria per la quantificazione
economica dei contratti di concessione e gestione
dei predetti beni comprovante la sussistenza
dell’equilibrio economico-finanziario della
concessione e gestione di servizi relativi ai
suddetti beni museali, bibliotecari e di archivio
storico. Profilo professionale richiesto; dottore
commercialista”.
Secondo il Comune, si tratta di compiti volti alla
realizzazione, a vantaggio dell’amministrazione, di
un risultato finale e che dovranno essere svolti a
prescindere da obblighi di presenza fissa; per tali
ragioni, non integrerebbero né fattispecie di
rapporto di lavoro dipendente né fattispecie di
incarichi di studio, ricerca e consulenza.
Sulla base di tali premesse, l’Ente ritiene che
le attività da affidare costituirebbero singole
forniture di servizi tecnici, rientrati nell’ambito
di disciplina del d.lgs. 163/2006 e non soggetti a
quella dell’art. 3, commi 55 e 56, della l. 244/2007
né ai limiti di spesa di cui all’art. 6, comma 7,
d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010.
Di qui la richiesta di parere circa la corretta
interpretazione della normativa sopra richiamata.
...
Passando al merito della richiesta, occorre
sottolineare, in via preliminare, che
il presupposto indispensabile per
l’affidamento di incarichi esterni è che
l’amministrazione abbia preliminarmente accertato “l’impossibilità
oggettiva di utilizzare risorse umane disponibili al
suo interno” [art. 7, comma 6, lett. b), d.lgs.
165/2001]. Il riscontro concreto di tale condizione
essenziale richiede una reale ricognizione di una
situazione di oggettiva ed eccezionale impossibilità
-sia sul piano qualitativo che sul piano
quantitativo- di far fronte alle esigenze con le
risorse interne all’amministrazione, in quanto
assurge a regola generale il principio
dell’autosufficienza dell’organizzazione degli enti
(Sezione regionale per il controllo della Toscana
parere 11.05.2005 n. 6).
Di conseguenza, l’affidamento
all’esterno di incarichi in difetto di tale
presupposto è fonte di responsabilità per danno
erariale.
Al riguardo, tra le tante, si segnalano, le seguenti
sentenze: sezione giurisdizionale per il Lazio,
sentenza 18.11.2011 n. 1619
che ritiene insufficiente il riferimento a “notevoli
difficoltà in termini di gestione ed organizzazione”
e sezione giurisdizionale per la Calabria,
sentenza 20.08.2012 n. 240 secondo
cui “il conferimento di incarichi all’esterno, in
qualunque delle ipotesi sopra riportate, e
consentito solo allorquando nell’ambito della
dotazione organica non sia possibile reperire
personale competente ad affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza”.
Va da sé, infine, che non possono
formare oggetto di conferimento all’esterno quelle
attività afferenti alle funzioni essenziali
dell’ente, per l’espletamento delle quali sono già
destinate, all’interno dell’organigramma
amministrativo, specifiche strutture e risorse (es.
attività dell’ufficio tecnico, della ragioneria
ecc.).
Ciò posto e ponendo mente in maniera specifica al
quesito, il Comune di Ugento chiede se la normativa
in tema di vincoli e limiti per il conferimento di
incarichi dettata dall’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010
e dall’art. 3, comma 55 e 56, l. 344/2007 (legge
finanziaria 2007) si debba applicare o meno al
conferimento delle attività che ha deciso di
esternalizzare, poiché -a giudizio dell’ente- si
verterebbe in un’ipotesi di appalto di servizi.
L’art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l.
122/2010, fissando un tetto finanziario
all’affidamento di incarichi per studi e
consulenze, sancisce espressamente che “al
fine di valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa
annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa
quella relativa a studi ed incarichi di consulenza
conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni di cui al comma 3
dell’articolo 1 della legge 31.12.2009 n. 196,
incluse le autorità indipendenti, escluse le
università, gli enti e le fondazioni di ricerca e
gli organismi equiparati nonché gli incarichi di
studio e consulenza connessi a processi di
privatizzazione ed alla regolamentazione del settore
finanziario, non può essere superiore al 20 per
cento di quella sostenuta nell’anno 2009”.
Alla stessa ratio di
contenimento degli incarichi esterni si ispira anche
l’art. 3, commi 55 e 56, della legge finanziaria del
2008 che, riferendosi ai contratti di
collaborazione autonoma, subordinano la
possibilità per l’ente di conferire gli incarichi,
indipendentemente dall’oggetto della prestazione,
alla ricorrenza di due condizioni: in primo luogo,
la prestazione deve riguardare le “attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste nel
programma approvato dal Consiglio ai sensi
dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo
18.08.2000 n. 267”
(art. 3, comma 55, l. 344/2007).
In secondo luogo, l’Ente deve dotarsi di un
regolamento che fissi “in conformità con le
disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le
modalità per l’affidamento di incarichi di
collaborazione autonoma, che si applicano a
tutte le tipologie di prestazioni”
(art. 3, comma 56, l. 244/2007).
Le due norme sopra citate si
riferiscono ad un’identica tipologia di contratti,
raggruppabili all’interno di un’unica nozione di
collaborazione autonoma che può assumere
contenuto diverso (richieste di parere,
consulenze legali, studi e ricerche) ma
che si caratterizza, in tutti i casi, per l’elevata
e qualificata professionalità richieste al
consulente che agisce, nell’esplicazione
dell’incarico, con la massima autonomia
(cfr. Sezione Regionale di Controllo per la Liguria,
parere 21.06.2011 n. 54).
Si tratta, in sostanza, di
contratti aventi per oggetto prestazioni d’opera
intellettuale, inquadrabili nella tipologia del
contratto di lavoro autonomo di cui agli artt.
2229-2238 c.c..
In merito alla distinzione interna alla categoria
delle collaborazioni autonome, le Sezioni
Riunite in sede di controllo nella
deliberazione 15.02.2005 n. 6 hanno
chiarito che gli incarichi di
studio, di consulenza e di ricerca
si distinguono per l’oggetto della prestazione
dedotta in contratto, il quale non muta la propria
natura giuridica, rientrando comunque nella
categoria dei contratti di prestazione d’opera
intellettuale.
In particolare, secondo le richiamate Sezioni
Riunite, gli incarichi di studio si risolvono
nello svolgimento di un’attività di studio,
nell’interesse dell’amministrazione, nonché nella
consegna di una relazione scritta finale in cui
vengono illustrati i risultati dello studio e le
soluzioni proposte. Gli incarichi di ricerca,
invece, presuppongono la preventiva definizione del
programma da parte dell’amministrazione. Le
consulenze, infine, riguardano le richieste di
pareri ad esperti.
Le stesse Sezioni Riunite hanno, poi, individuato i
seguenti parametri per valutare la legittimità degli
incarichi e delle consulenze esterne:
a) rispondenza dell’incarico agli
obiettivi dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della propria
organizzazione, della figura professionale idonea
allo svolgimento dell’incarico, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei criteri
per lo svolgimento dell’incarico;
d) indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra il compenso corrisposto
all’incaricato e l’utilità conseguita
dall’amministrazione.
Si tratta di vincoli e limiti applicabili
esclusivamente ai contratti di collaborazione
autonoma nei diversi contenuti sopra richiamati
(studio, ricerca, consulenza),
mentre rimangono estranei alla disciplina appena
delineata gli appalti di servizi di cui al d.lgs.
163/2006 che hanno per oggetto la prestazione
imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con
organizzazione strutturata e prodotta senza
caratterizzazione personale (Sezione delle Autonomie
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008).
Quest’ultima osservazione consente di individuare
gli elementi essenziali che differenziano l’appalto
di servizi dal contratto di collaborazione
autonoma: nel primo, infatti, la connotazione
spiccatamente personale della prestazione dovuta
viene sostituita dalla stabile organizzazione
imprenditoriale e dall’assunzione del rischio del
debitore.
Sulla distinzione tra contratto di collaborazione
autonoma e appalto di servizi questa
Corte si è recentemente pronunciata con
parere 07.06.2013 n. 236
della Sezione Lombardia, ove si osserva “La
consulenza nell’accezione che qui rileva (rectius la
collaborazione autonoma) è assimilata al
contratto d’opera intellettuale, artistica o
artigiana, disciplinato dagli artt. 2222 e seguenti
c.c., che è considerato una species del genus
contratto di lavoro. Tale tipo negoziale ricomprende
l’esecuzione di una prestazione frutto
dell’elaborazione concettuale e professionale di un
soggetto competente nello specifico settore di
riferimento, senza vincolo di subordinazione e in
condizioni di assoluta indipendenza. Nel contratto
d’opera la prestazione richiesta può assumere tanto
i connotati di un’obbligazione di mezzi (es. un
parere, una valutazione o una stima peritale),
quanto i caratteri dell’obbligazione di risultato
(ad es. la realizzazione di uno spartito musicale, o
di un’opera artistica di particolare pregio).
Nel contratto di appalto, l’esecutore si
obbliga nei confronti del committente al compimento
di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo
in denaro, con organizzazione dei mezzi necessari
(di tipo imprenditoriale) e con assunzione in
proprio del rischio di esecuzione della prestazione
(art. 1655 c.c.).
(…..)Ne consegue che le norme in tema di appalto si
palesano nelle ipotesi in cui il professionista si
sia obbligato a strutturare una stabile
organizzazione per l’esecuzione della prestazione,
mentre la carenza di tale requisito derivante
dall’unicità, dalla singolarità e puntualità
dell’incarico, nonché dalla determinatezza dell’arco
temporale in cui si deve svolgere la prestazione
professionale, inducono a qualificare la fattispecie
quale contratto di prestazione d’opera e dunque
quale consulenza e/o collaborazione autonoma”.
Sulla base di tale coordinate ermeneutiche
l’elemento discretivo tra appalto di
servizi e contratto di collaborazione non
è -contrariamente a quanto ritenuto dal Comune
richiedente- né il conseguimento per
l’amministrazione di un risultato finale mediante il
conferimento dell’incarico, né la circostanza che
l’attività non importa obblighi di presenza fissa in
ufficio, bensì la presenza o meno, in capo
all’affidatario, di un’organizzazione
imprenditoriale con assunzione del rischio della
prestazione oggetto del contratto.
In assenza di siffatti elementi, con conseguente
rilevanza dell’elemento personalistico della
prestazione intellettuale, l’incarico da affidare
rientra necessariamente nella categoria degli
studi, consulenze e delle
collaborazioni autonome soggette alla disciplina
di cui agli artt. 3, comma 55 e 56, l. 244/2007 e
art. 6, comma 7, d.l. 78/2010 conv. in l. 122/2010,
fermo restando quanto detto in via preliminare in
merito all’art. 7, comma 6 e ss, d.lgs. 165/2001, ai
presupposti di oggettiva impossibilità ed
eccezionalità per legittimare l’affidamento
all’esterno (che dovrà essere adeguatamente motivato
sotto tale profilo) ed in merito alla non
esternabilità delle attività rientranti tra le
funzioni essenziali dell’ente
(Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia,
parere 20.03.2014 n. 63). |
INCARICHI PROGETTUALI: Sull'affidamento
di incarichi progettuali condizionati al finanziamento
(futuro) dell'opera pubblica.
La Corte rimette gli atti al Primo
Presidente, per l'eventuale assegnazione della causa alle
Sezioni Unite Civili, circa le questioni sollevate con il
ricorso principale e con il secondo ed il terzo motivo del
ricorso incidentale che hanno ad oggetto la validità dei
contratti di prestazione d'opera professionale stipulati
dagli enti pubblici territoriali nei quali il pagamento del
compenso dovuto al professionista sia condizionato al
finanziamento dell'opera la cui progettazione costituisce
oggetto dell'incarico conferito.
Si discute in particolare se tale condizione valga a
sottrarre il contratto al disposto dell'art. 23, commi terzo
e quarto, del decreto-legge n. 66 del 1989 (abrogato
dall'art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25.02.1995,
n. 77, e sostituito dall'art. 35 del medesimo decreto, a sua
volta abrogato dall'art. 274, lett. hh, del d.lgs.
18.08.2000, n. 267, e sostituito dall'art. 191 del medesimo
decreto), applicabile ratione temporis alla fattispecie in
esame, che subordina l'effettuazione di qualsiasi spesa alla
sussistenza di una delibera autorizzativa ed alla
registrazione del relativo impegno contabile sul competente
capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai
terzi interessati, prevedendo che, in mancanza, il rapporto
obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e
l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la
fornitura
(Corte di
Cassazione, Sez. I civile,
ordinanza
17.03.2014 n. 6123).
---------------
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febbraio 2014 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sull'illegittimo affidamento a professionisti esterni delle
mansioni ordinarie dell'U.T.C. anziché assumere a tempo
pieno, con conseguente responsabilità erariale.
Va accertato che gli atti di affidamento
di incarico esterno del comune non sono conformi ai presupposti di legge per:
• violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di
procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico
esterno, salve le eccezioni previste;
• violazione dell’art.
7 TUPI in merito alla durata dell’incarico e al contenuto
delle mansioni affidate esternamente;
Si invita
l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni
provvedimenti per conformare la propria attività ai
presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico nonché
ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
---------------
La necessità di un dipendente con professionalità tecniche
per l’ente locale rappresenta una esigenza organizzativa che
si configura come permanente.
Ne consegue che l’ente locale conferente non può fare
ricorso all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per
lo svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a
personale che dovrebbe essere previsto in organico,
altrimenti questa esternalizzazione si tradurrebbe in una
forma atipica di assunzione, “con conseguente elusione delle
disposizioni in materia di accesso all’impiego nelle
Pubbliche amministrazioni, nonché di contenimento della
spesa di personale” .
---------------
Questa Sezione rileva che la criticità denunciata
dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una
professionalità idonea a svolgere le funzioni dell’ufficio
tecnico) non può essere affrontata eludendo i vincoli di
finanza pubblica in materia di spesa per il personale e
violando le norme sull’affidamento all’esterno degli
incarichi professionali (art. 7 TUPI).
---------------
Le recenti novelle legislative che hanno
inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle
consulenze da parte degli enti locali sono accomunate da un
indiscusso principio ispiratore: l’amministrazione deve
svolgere le sue funzioni con la propria organizzazione e il
proprio personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti
di collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo
nei casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica
esistente” (in
questo senso, si veda la sentenza della Corte Conti, II sez.
app., del 20.03.2006).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle
collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il Legislatore
ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai
fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le
disposizioni di cui agli artt. 34 della Legge 27.12.2002, n.
289, 3 della Legge 24.12.2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11 del
decreto Legge 12.07.2004, n. 168, convertito con Legge
30.07.2004, n. 191 (sostituite, a decorrere dal 01.01.2005,
dall’articolo 1, commi 11 e 42, della Legge 30.12.2004, n.
311) con l’introduzione di fattispecie tipizzate di illecito
amministrativo contabile, per cui la violazione del disposto
normativo “costituisce illecito disciplinare e determina
responsabilità erariale”.
In questo contesto va inquadrata la funzione di controllo
esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei conti
sugli atti di affidamento di consulenze esterne; funzione
che la magistratura svolge su due livelli, ovvero su quello
più generale che investe l’esercizio della potestà
regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello
più specifico che attiene la singola determina di
affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale
della Corte dei Conti sui regolamenti adottati dagli Enti
locali per l'affidamento di incarichi di collaborazione
autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei
Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli
enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3
della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n.
244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L.
25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma
56 recita che “con il regolamento di cui all'articolo 89
del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in
conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i
limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di
incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a
tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle
disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite
massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è
fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”.
Il successivo comma 57, poi, sancisce che “le
disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono
trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo
della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro
adozione”.
Questa Sezione con le deliberazioni 37/2008, 224/2008 e
37/2009 ha individuato alcuni principi che devono informare
le disposizioni regolamentari in materia (si vedano anche le
più recenti, Lombardia/715/2010/REG del 30.06.2010 e
Lombardia/967/2010/REG del 22.10.2010).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione
si incentra sulle singole determinazioni di affidamento di
incarico esterno di cui si è detto in premessa;
conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di
carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere
per qualificare come conforme alla disciplina la determina
in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali
sulle singole determinazioni di affidamento di incarichi a
soggetti esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione. La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti locali a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che “l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”
(Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che un utilizzo improprio delle
collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è
fonte di responsabilità.
Questo principio -affermato dalla giurisprudenza contabile
in materia di conferimento di incarichi esterni nella P.A.-
è stato recentemente fatto proprio dal legislatore
nell'articolo 22, comma 2, della legge n. 69 del 2009, e poi
dall'articolo 17, comma 27, della legge n. 102 del 2009, che
hanno novellato l’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n.
165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto
che il ricorso a contratti di
collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento
di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come
lavoratori subordinati è causa di responsabilità
amministrativa per il dirigente che ha stipulato i
contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla
disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito
dall’amministrazione comunale di Padenghe sul Garda, occorre
indicare quali sono in linea generale i presupposti di
legittimità per il conferimento di “incarichi esterni”
(presupposti di carattere sostanziale e procedimentale) che
la Corte dei Conti valuta nello svolgimento dell’attività di
controllo attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge
23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp.
(modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi
sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008)
qualifica “come presupposti di legittimità tutti i
requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile
necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di
studio” (Sez. Contr. Reg. Lombardia, delib. n.
224/2008).
1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione. In merito a questo presupposto,
questa Sezione ha già chiarito che “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.lvo 267/2000” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n.
37/2009, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
2) L’inesistenza, all’interno della propria
organizzazione, della figura professionale idonea allo
svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una
reale ricognizione.
3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri
per lo svolgimento dell’incarico.
4) L’indicazione della durata dell’incarico.
5) La proporzione fra il compenso corrisposto
all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare
che “il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008,
unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui
all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di
collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di
individuare nel regolamento il livello massimo di spesa
sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la
fissazione del limite massimo annuale nel bilancio
preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario
accertare in sede di conferimento degli incarichi
l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il
rispetto del suo limite” (Sez. contr. Reg. Lombardia, n.
37/2009).
6) Il requisito della “comprovata specializzazione
universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui
non possono far fronte con personale in servizio, possono
conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro
autonomo professionale, occasionale o di collaborazione
coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e
comprovata specializzazione universitaria”.
7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene
affidato l’incarico esterno. Le Sezioni Riunite della
Corte dei Conti (delib. n. 6/2005) hanno già ricordato che “l’atto
di incarico deve contenere tutti gli elementi costitutivi ed
identificativi previsti per i contratti della Pubblica
Amministrazione ed in particolare oggetto della prestazione,
durata dell’incarico, modalità di determinazione del
corrispettivo e del suo pagamento, ipotesi di recesso,
verifiche del raggiungimento del risultato. Quest’ultima
verifica è peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o
rinnovo dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere di incarico” (Sez.
contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
8) La valutazione del revisore o del collegio dei
revisori dei conti. In numerose delibere le Sezioni
Regionali di Controllo hanno ribadito che le disposizioni
della legge 311/2004 (finanziaria 2005) concernenti la
valutazione dell’organo interno di revisione, non sono state
né abrogate esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006
né sono incompatibili con la disciplina intervenuta
successivamente, pertanto tale obbligo permane (Corte Conti,
sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del
14.05.2009; Corte Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib.
n. 506/2010/par. del 23.04.2010; contra, ma con affermazione
apodittica, delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle
Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione
riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità
nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla
gestione di pertinenza della magistratura contabile.
L’intervento del revisore contabile è necessario quale
titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di
raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti,
sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del 23
aprile 2010; Sez. Contr. Reg. Piemonte, parere n. 23 del
18.03.2010).
9) L’obbligo di seguire procedure comparative. Ogni
Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7 D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla
maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato
che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web
istituzionale. La legge finanziaria per il 2008
modificando il comma 127, art. 1, della legge n. 662/1996,
impone alle amministrazioni (anche gli enti locali) che si
avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi
di consulenza per i quali è previsto un compenso, di
pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti,
con l’indicazione dei soggetti percettori, della ragione
dell’incarico e dell’ammontare erogato.
III) Profili di non conformità a legge
della determina di affidamento di incarico oggetto della
presente deliberazione. Incarichi conferiti all’arch. J.S.
per consulenza all’Ufficio Tecnico Comunale a decorrere dal
2008.
Si tratta di un’attività per cui il suddetto soggetto ha
ricevuto plurimi incarichi che hanno coperto il periodo
01.01.2008–31.12.2013. Segnatamente, gli incarichi sono
stati conferiti con le seguenti cadenze: (omissis).
Le determine di cui sopra presentano sia
vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune di
Padenghe sul Garda, contravvenendo ai principi in precedenza
esposti, ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione
professionale esterna in violazione di norme di legge,
erroneamente ritenendola, a volte una consulenza in un
ambito limitato d’intervento, a volte un appalto di servizi
da conferire in via diretta ai sensi dell’art. 125, comma 2,
del D.Lgs. 163/2006, atteso che la prestazione richiesta
all’architetto in questione si è sempre risolta, nella
sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che avrebbe
dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico
impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lungo lasso temporale in cui sono stati conferiti gli
incarichi al professionista in questione, senza peraltro mai
valutare con tenore esplicito il buon esito dei precedenti
incarichi, si è tradotto in una surrettizia instaurazione di
un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in
violazione del principio dell’accesso concorsuale ai
pubblici uffici.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa
deliberazione, il comune di Padenghe sul Garda ha violato le
seguenti norme di legge:
1) violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento
di procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico
esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Infatti, “l'affidamento di incarichi di
consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti
esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere
dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa
adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent.
28.05.2010, n. 3405).
In proposito questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che
impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere
dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative
eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale”).
Dunque, poiché nel caso di specie
non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere
eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune di Padenghe sul Garda, avendo proceduto all’affidamento diretto
dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI
che impone l’espletamento di una procedura comparativa per
la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
2) Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata
dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate
esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della
prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie
prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni
fondamento giuridico, posto che risulta per tabulas che
l’oggetto del primo incarico all’Arch. S. è ”di
consulenza professionale presso l’ufficio tecnico comunale”,
senza alcuna specificazione circa la specialità e la
contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare
nell’asserito incarico di collaborazione professionale
l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro
pubblico a tempo determinato in carenza di procedure
concorsuali o selettive dei possibili candidati. La medesima
indeterminatezza dell’oggetto della prestazione si riscontra
nelle successive determine di proroga sino al 31.12.2013.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra
il comune di Padenghe sul Garda e l’arch. J.S. (ovvero,
primo incarico annuale nel 2008 successivamente prorogato)
non risponde ai principi più volte ribaditi dalla
Magistratura contabile (ex multis Sezione Centrale
del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle
Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV
del 13.01.2012 e la delibera n. 24/2011) secondo cui
la
durata dei contratti di collaborazione (ex art. 7, c. 6, del
d.lgs. n. 165/2001) devono avere “natura temporanea, in
quanto conferiti allo scopo di sopperire ad esigenze di
carattere temporaneo per le quali l’amministrazione non
possa oggettivamente fare ricorso alle risorse umane e
professionali presenti al suo interno. Al riguardo, infatti,
l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in materia
considera l’incarico di collaborazione coordinata e
continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a
fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione
committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di
completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente
all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute
all’interno di uno specifico progetto”.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve essere
collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è
stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento.
La “proroga si configura, essenzialmente, come
spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque,
come una sorta di ultra-attività del contratto originario”
(delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 cit.).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di
eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con
professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una
esigenza organizzativa che si configura come permanente. Ne
consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso
all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale
che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa
esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di
assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni
in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche
amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di
personale” (Sezione Centrale del controllo di
legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni
dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012).
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi
all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti
(delibera n. 20 del 04.04.2011): “fermo restando il
limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non
sottoposti alle regole del patto di stabilità possono
procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557,
557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296
(legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del
d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed
occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma anche se non vi siano state
corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di
un’adeguata programmazione del personale e di una
riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga
assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la
previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca
occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema
di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di
incarichi di consulenza”.
Dunque, questa Sezione rileva che la
criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza
di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le
funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata
eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa
per il personale e violando le norme sull’affidamento
all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
P.Q.M.
La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la
Lombardia accerta che gli atti di affidamento di incarico
esterno del comune di Padenghe sul Garda sopra individuati,
non sono conformi ai presupposti di legge come esposti in
parte motiva.
Stante il recesso comunicato dal professionista incaricato
con effetto a far data dal 30.09.2013, la Sezione invita
l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni
provvedimenti per conformare in futuro la propria attività
ai presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico
nonché ai principi di buon andamento di cui all’art. 97
Cost.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al
Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di
Padenghe sul Garda per quanto di competenza.
Dispone che la presente deliberazione sia
trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti per
le determinazioni di competenza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
deliberazione 20.02.2014 n. 87). |
INCARICHI PROFESSIONALI: L'’amministrazione deve svolgere le sue
funzioni con la propria organizzazione e il proprio
personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di
collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei
casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica
esistente”.
---------------
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole
determinazioni di affidamento di incarichi a soggetti
esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9 (ndr:
studi ed incarichi di consulenza
conferiti a soggetti estranei all'amministrazione), 10
(ndr:
spese per relazioni pubbliche, convegni,
mostre, pubblicità e di
rappresentanza), 56
(ndr:
somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni
o altre utilità comunque denominate, corrisposti per
incarichi di consulenza) e 57
(ndr:
contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione.
Questa Sezione ha già affermato che “l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere”.
Si aggiunga che un utilizzo improprio delle collaborazioni
esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di
responsabilità. Questo principio -affermato dalla
giurisprudenza contabile in materia di conferimento di
incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto
proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della
legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27,
della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo
7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U.
Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che il ricorso a
contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo
svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei
collaboratori come lavoratori subordinati è causa di
responsabilità amministrativa per il dirigente che ha
stipulato i contratti.
-----
Occorre indicare
quali sono in linea generale i presupposti di legittimità
per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di
carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei
Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo
attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp.
qualifica
“come presupposti di legittimità tutti i requisiti già
ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il
ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio”.
1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa
Sezione ha già chiarito che “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.lvo 267/2000”.
2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione,
della figura professionale idonea allo svolgimento
dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione.
3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per
lo svolgimento dell’incarico.
4) L’indicazione della durata dell’incarico.
5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato
e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il
profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che “il
comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini
dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione
autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel
regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per
taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite
massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti
territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di
conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite".
6) Il requisito della “comprovata specializzazione
universitaria”.
Le amministrazioni, per esigenze cui non
possono far fronte con personale in servizio, possono
conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro
autonomo professionale, occasionale o di collaborazione
coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e
comprovata specializzazione universitaria”.
7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene
affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti
hanno già ricordato che “l’atto di incarico deve contenere
tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti
per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in
particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico,
modalità di determinazione del corrispettivo e del suo
pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento
del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro
indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo
dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere di incarico”.
8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori
dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno
ribadito che le disposizioni della legge 311/2004
(finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo
interno di revisione, non sono state né abrogate
esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono
incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente,
pertanto tale obbligo permane.
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione
riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità
nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla
gestione di pertinenza della magistratura contabile.
L’intervento del revisore contabile è necessario quale
titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di
raccordo con gli organi di controllo esterno.
9) L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D. Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione. Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla
maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato
che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata”.
10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web
istituzionale.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127,
art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni
(anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori
esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è
previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i
relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti
percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare
erogato.
---------------
III) Profili di non conformità a legge degli atti di
affidamento di incarico oggetto della presente
deliberazione.
Il comune,
mediante elusione, non ha rispettato il Patto di stabilità
per l’anno 2010 ed ha violato il
Patto di stabilità per l’anno 2011.
Il vigente Regolamento per l’affidamento di
incarichi individuali di collaborazione autonoma approvata
dalla Giunta Comunale stabilisce che “in caso di
mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone
l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno
successivo”.
Si rileva quindi la mancanza del presupposto di legittimità
per l’affidamento di incarichi per gli esercizi 2012 e 2013,
in palese violazione del regolamento comunale.
Incarichi conferiti alla geom. T.A. per
attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica.
Le deliberazioni di giunta comunale
n. 35 del 31.01.2012 e n. 166 del 18.12.2012
con
le quali è stato affidato l’incarico di prestazione di opera
intellettuale alla geom. T.A. per attività
inerenti l’edilizia privata ed urbanistica presentano sia
vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune, contravvenendo ai principi in precedenza esposti,
ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione
professionale esterna in violazione di norme di legge,
atteso che la prestazione in questione si è sempre risolta,
nella sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che
avrebbe dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico
impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lasso temporale in cui sono stati conferiti gli incarichi
alla professionista in questione, senza peraltro mai
valutare con tenore esplicito il buon esito del precedente
incarico ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati,
si
è tradotto in una surrettizia instaurazione di un rapporto
di lavoro subordinato a tempo determinato in violazione del
principio dell’accesso concorsuale ai pubblici uffici.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa
deliberazione, il comune ha violato le seguenti
norme di legge:
1. Violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di
procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico
esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione. Infatti, “l'affidamento
di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da
conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa
adeguatamente pubblicizzata”.
In proposito questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che
impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere
dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative
eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale”).
Dunque, poiché nel caso di specie non
ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere
eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune, avendo proceduto all’affidamento diretto
dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI
che impone l’espletamento di una procedura comparativa per
la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
2. Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata
dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate
esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della
prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie
prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni
fondamento giuridico, posto che risulta per tabulas che
l’oggetto degli incarichi alla geom. T.A. sono
”le attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica”,
senza alcuna specificazione circa la specialità e la
contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare
nell’asserito incarico di collaborazione professionale
l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro
pubblico a tempo determinato in carenza di procedure
concorsuali o selettive dei possibili candidati.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra
il comune e la geom. T.A. (ovvero, primo incarico a
decorrere dal 2012 successivamente prorogato a tutto
il 2013) non risponde ai principi più volte ribaditi
dalla Magistratura contabile secondo cui
la durata dei contratti di
collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001)
devono avere “natura temporanea, in quanto conferiti allo
scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per
le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare
ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo
interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale
prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione
coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile,
se non a fronte di un ben preciso interesse
dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed
al solo fine di completare le attività oggetto
dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di
attività avviate contenute all’interno di uno specifico
progetto”.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve
essere collegato alla possibilità che il progetto, per il
quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a
compimento. La “proroga si configura, essenzialmente, come
spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque,
come una sorta di ultra-attività del contratto originario”.
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di
eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con
professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una
esigenza organizzativa che si configura come permanente.
Ne
consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso
all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale
che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa
esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di
assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in
materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche
amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di
personale”.
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi
all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti: “fermo restando il
limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non
sottoposti alle regole del patto di stabilità possono
procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557,
557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n.
296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7,
del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed
occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma anche se non vi siano state
corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa o per programma
abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata
programmazione del personale e di una riorganizzazione degli
uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni
pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e
a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e
qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di
collaborazione non costituisca occasione di elusione dei
limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa
pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza”.
---------------
La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la
Lombardia
accerta che gli atti di affidamento di incarico
esterno del comune sopra individuati, non sono
conformi ai presupposti di legge come esposti in parte
motiva.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa alla
Procura regionale della Corte dei conti per le
determinazioni di competenza.
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Le recenti novelle legislative che hanno inciso sulla
disciplina degli atti di affidamento delle consulenze da
parte degli enti locali sono accomunate da un indiscusso
principio ispiratore: l’amministrazione deve svolgere le sue
funzioni con la propria organizzazione e il proprio
personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di
collaborazione con “soggetti esterni è consentito solo nei
casi previsti dalla Legge, od in relazione ad eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica
esistente” (in questo senso, si veda la
sentenza
20.03.2006 n. 122 della Corte
Conti, II sez. app.).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle
collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il Legislatore
ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai
fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le
disposizioni di cui agli artt. 34 della Legge 27.12.2002, n. 289, 3 della Legge 24.12.2003, n. 350 e 1,
commi 9 e 11 del decreto Legge 12.07.2004, n. 168,
convertito con Legge 30.07.2004, n. 191 (sostituite, a
decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo 1, commi 11 e
42, della Legge 30.12.2004, n. 311) con l’introduzione
di fattispecie tipizzate di illecito amministrativo
contabile, per cui la violazione del disposto normativo
“costituisce illecito disciplinare e determina
responsabilità erariale”.
In questo contesto va inquadrata la funzione di controllo
esercitata dalle sezioni regionali della Corte dei conti
sugli atti di affidamento di consulenze esterne; funzione
che la magistratura svolge su due livelli, ovvero su
quello
più generale che investe l’esercizio della potestà
regolamentare dell’ente locale conferente, nonché su quello
più specifico che attiene la singola determina di
affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei Conti
sui regolamenti adottati dagli Enti locali per l'affidamento
di incarichi di collaborazione autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei
Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli
enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3
della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n.
244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L.
25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma
56 recita che “con il regolamento di cui all'articolo 89 del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, sono fissati, in
conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i
limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di
incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a
tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle
disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite
massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è
fissato nel bilancio preventivo degli enti territoriali”. Il
successivo comma 57, poi, sancisce che “le disposizioni
regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per
estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte
dei conti entro trenta giorni dalla loro adozione”.
Questa Sezione con
il
parere
11.03.2008 n. 37,
parere
06.11.2008 n. 224 e
parere
11.02.2009 n. 37
ha individuato alcuni principi che devono informare
le disposizioni regolamentari in materia (si vedano anche i
più recenti, Lombardia
parere 30.06.2010 n. 715 e
Lombardia
parere 22.10.2010 n. 967).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione
si incentra sulle singole determinazioni di affidamento di
incarico esterno di cui si è detto in premessa;
conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di
carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere
per qualificare come conforme alla disciplina la determina
in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole
determinazioni di affidamento di incarichi a soggetti
esterni alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9 (ndr:
studi ed incarichi di consulenza
conferiti a soggetti estranei all'amministrazione), 10
(ndr:
spese per relazioni pubbliche, convegni,
mostre, pubblicità e di
rappresentanza), 56
(ndr:
somme riguardanti indennità, compensi, retribuzioni
o altre utilità comunque denominate, corrisposti per
incarichi di consulenza) e 57
(ndr:
contratti di consulenza)
di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione.
La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti locali a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che “l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere” (Sez.
contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che un utilizzo improprio delle collaborazioni
esterne per ricoprire uffici dell’ente è fonte di
responsabilità. Questo principio -affermato dalla
giurisprudenza contabile in materia di conferimento di
incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto
proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della
legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27,
della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo
7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U.
Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto che il ricorso a
contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo
svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei
collaboratori come lavoratori subordinati è causa di
responsabilità amministrativa per il dirigente che ha
stipulato i contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla
disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito
dall’amministrazione comunale di Pontevico,
occorre indicare
quali sono in linea generale i presupposti di legittimità
per il conferimento di “incarichi esterni” (presupposti di
carattere sostanziale e procedimentale) che la Corte dei
Conti valuta nello svolgimento dell’attività di controllo
attribuitale dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp.
(modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi
sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008)
qualifica
“come presupposti di legittimità tutti i requisiti già
ritenuti dalla giurisprudenza contabile necessari per il
ricorso ad incarichi di collaborazione o di studio” (Sez.
Contr. Reg. Lombardia,
parere
06.11.2008 n. 224).
1) La rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa
Sezione ha già chiarito che “il requisito della
corrispondenza della prestazione alla competenza attribuita
dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.lvo 267/2000”
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37, nonché Sez. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
2) L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione,
della figura professionale idonea allo svolgimento
dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione.
3) L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per
lo svolgimento dell’incarico.
4) L’indicazione della durata dell’incarico.
5) La proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato
e l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il
profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare che “il
comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando ai fini
dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione
autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel
regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per
taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite
massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti
territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di
conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite”
(Sez. contr. Reg. Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37).
6) Il requisito della “comprovata specializzazione
universitaria”.
Le amministrazioni, per esigenze cui non
possono far fronte con personale in servizio, possono
conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro
autonomo professionale, occasionale o di collaborazione
coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e
comprovata specializzazione universitaria”.
7) Obbligo di motivazione della determina con cui viene
affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delibera
15.02.2005 n. 6/2005)
hanno già ricordato che “l’atto di incarico deve contenere
tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti
per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in
particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico,
modalità di determinazione del corrispettivo e del suo
pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento
del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro
indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo
dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere di incarico”
(Sez. contr. Reg. Lombardia, n.
parere
11.02.2009 n. 37).
8) La valutazione del revisore o del collegio dei revisori
dei conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno
ribadito che le disposizioni della legge 311/2004
(finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo
interno di revisione, non sono state né abrogate
esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono
incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente,
pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr.
Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del 14.05.2009; Corte
Conti, sez. reg. contr. Lombardia,
parere 23.04.2010 n. 506; contra, ma con affermazione apodittica,
delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle
Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione
riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità
nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla
gestione di pertinenza della magistratura contabile.
L’intervento del revisore contabile è necessario quale
titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di
raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti,
sez. reg. contr. Lombardia,
parere 23.04.2010 n. 506;
Sez. Contr. Reg. Piemonte,
col
parere 18.03.2010 n. 23).
9) L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D. Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla
maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato
che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
10) L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web
istituzionale.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127,
art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni
(anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori
esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è
previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i
relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti
percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare
erogato.
III) Profili di non conformità a legge degli atti di
affidamento di incarico oggetto della presente
deliberazione.
Preliminarmente occorre osservare che il comune di Pontevico,
mediante elusione, non ha rispettato il Patto di stabilità
per l’anno 2010 (così come accertato dalla deliberazione di
questa Sezione n. 409/2012/PRSE depositata il 25/09/2012,
con corredo sanzionatorio per l’anno 2013) ed ha violato il
Patto di stabilità per l’anno 2011 (delibera n. 293/2013/PRSE
depositata il 25/06/2013, con applicazione delle sanzioni
per l’anno 2012, susseguente la violazione).
Ciò premesso,
si evidenzia che il vigente Regolamento per l’affidamento di
incarichi individuali di collaborazione autonoma approvata
dalla Giunta Comunale di Pontevico con deliberazione n. 87
del 21.04.2009, che si applica a tutte le tipologie di
prestazioni, all’art. 2, punto 6), stabilisce che “in caso di
mancato rispetto del Patto di stabilità, sussistendone
l’obbligo, non possono essere conferiti incarichi nell’anno
successivo”.
Si rileva quindi la mancanza del presupposto di legittimità
per l’affidamento di incarichi per gli esercizi 2012 e 2013,
in palese violazione del regolamento comunale.
Incarichi conferiti alla geom. T.A. per
attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica.
Le deliberazioni di giunta comunale del comune di Pontevico
n. 35 del 31.01.2012 e n. 166 del 18.12.2012
con
le quali è stato affidato l’incarico di prestazione di opera
intellettuale alla geom. T.A. per attività
inerenti l’edilizia privata ed urbanistica presentano sia
vizi sostanziali sia vizi procedimentali; il comune di Pontevico, contravvenendo ai principi in precedenza esposti,
ha fatto ricorso all’istituto della collaborazione
professionale esterna in violazione di norme di legge,
atteso che la prestazione in questione si è sempre risolta,
nella sostanza, in una mera ridondanza delle mansioni che
avrebbe dovuto svolgere per dovere istituzionale un pubblico
impiegato alle dipendenze dell’amministrazione comunale.
Il lasso temporale in cui sono stati conferiti gli incarichi
alla professionista in questione, senza peraltro mai
valutare con tenore esplicito il buon esito del precedente
incarico ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati,
si
è tradotto in una surrettizia instaurazione di un rapporto
di lavoro subordinato a tempo determinato in violazione del
principio dell’accesso concorsuale ai pubblici uffici.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa
deliberazione, il comune di Pontevico ha violato le seguenti
norme di legge:
1. Violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di
procedure comparative per l’affidamento di ogni incarico
esterno, salve le eccezioni previste.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Infatti, “l'affidamento di incarichi di
consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti
esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere
dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa
adeguatamente pubblicizzata” (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
In proposito questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che
impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere
dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative
eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale”).
Dunque, poiché nel caso di specie non
ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere
eccezionale, questa Sezione ritiene che il comune di Pontevico, avendo proceduto all’affidamento diretto
dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI
che impone l’espletamento di una procedura comparativa per
la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
2. Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata
dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate
esternamente.
Con riferimento all’indeterminatezza dell’oggetto della
prestazione, le osservazioni contenute nelle memorie
prodotte dall’amministrazione sono destituite di ogni
fondamento giuridico, posto che risulta per tabulas che
l’oggetto degli incarichi alla geom. T.A. sono
”le attività inerenti l’edilizia privata ed urbanistica”,
senza alcuna specificazione circa la specialità e la
contestualizzazione delle prestazioni, tale da dissimulare
nell’asserito incarico di collaborazione professionale
l’instaurazione surrettizia di un rapporto di lavoro
pubblico a tempo determinato in carenza di procedure
concorsuali o selettive dei possibili candidati.
Infine, si osserva che la durata del rapporto intercorso tra
il comune di Pontevico e la geom. T.A. (ovvero,
primo incarico a decorrere dal 2012 successivamente
prorogato a tutto il 2013) non risponde ai principi più
volte ribaditi dalla Magistratura contabile (ex multis
Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli
atti del Governo e delle Amministrazioni dello
Stato,
delibera
13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV e la
delibera
20.12.2011 n.
SCCLEG/24/2011/PREV) secondo cui
la durata dei contratti di
collaborazione (ex art. 7, c. 6, del d.lgs. n. 165/2001)
devono avere “natura temporanea, in quanto conferiti allo
scopo di sopperire ad esigenze di carattere temporaneo per
le quali l’amministrazione non possa oggettivamente fare
ricorso alle risorse umane e professionali presenti al suo
interno. Al riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale
prevalente in materia considera l’incarico di collaborazione
coordinata e continuativa non rinnovabile e non prorogabile,
se non a fronte di un ben preciso interesse
dell’Amministrazione committente, adeguatamente motivato ed
al solo fine di completare le attività oggetto
dell’incarico, limitatamente all’ipotesi di completamento di
attività avviate contenute all’interno di uno specifico
progetto”.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve
essere collegato alla possibilità che il progetto, per il
quale è stato conferito l’incarico, non venga portato a
compimento. La “proroga si configura, essenzialmente, come
spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque,
come una sorta di ultra-attività del contratto originario”
(delibera
13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV cit.).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di
eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con
professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una
esigenza organizzativa che si configura come permanente.
Ne
consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso
all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale
che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa
esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di
assunzione, “con conseguente elusione delle disposizioni in
materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche
amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di
personale” (Sezione Centrale del controllo di legittimità
sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato,
delibera
13.01.2012 n. SCCLEG/1/2012/PREV).
In conclusione, l’amministrazione comunale deve attenersi
all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti
(delibera n. 20 del 04.04.2011): “fermo restando il
limite della spesa storica riferito al 2004, gli enti non
sottoposti alle regole del patto di stabilità possono
procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi 557,
557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n.
296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7,
del d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed
occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma anche se non vi siano state
corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa o per programma
abbiano carattere temporaneo nelle more di un’adeguata
programmazione del personale e di una riorganizzazione degli
uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni
pubbliche indefettibili venga assicurato, prioritariamente e
a regime, mediante la previsione in organico di adeguato e
qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di
collaborazione non costituisca occasione di elusione dei
limiti di spesa previsti in tema di contenimento di spesa
pubblica, ed in particolare di incarichi di consulenza”.
Dunque, questa Sezione rileva che la criticità denunciata
dall’amministrazione comunale (carenza di dipendente con una
professionalità idonea a svolgere le attività legate al
settore edilizia privata ed urbanistica) non può essere
affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia
di spesa per il personale e violando le norme
sull’affidamento all’esterno degli incarichi professionali
(art. 7 TUPI).
P.Q.M.
La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la
Lombardia accerta che gli atti di affidamento di incarico
esterno del comune di Pontevico sopra individuati, non sono
conformi ai presupposti di legge come esposti in parte
motiva.
Invita l’Amministrazione comunale ad adottare gli opportuni
provvedimenti per conformare la propria attività ai
presupposti normativi per l’affidamento dell’incarico nonché
ai principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al
Presidente del Consiglio comunale e al Sindaco del comune di
Pontevico per quanto di competenza.
Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa alla
Procura regionale della Corte dei conti per le
determinazioni di competenza
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
delibera 20.02.2014 n. 84). |
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Progettazione interna. Oneri per l'iscrizione del dipendente
all'albo/collegio e per l'aggiornamento professionale.
Ai sensi dell'art. 90, c. 4, del D.Lgs.
163/2006, per provvedere alla progettazione di opere e
lavori pubblici, i dipendenti delle pubbliche
amministrazioni devono essere 'abilitati all'esercizio della
professione' (fatta salva l'ipotesi disciplinata dall'art.
253, comma 16, dello stesso decreto), senza che sia
necessaria l'iscrizione all'albo o al collegio
professionale.
Il Comune, atteso che l'art. 90 del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 [1],
prevede che le prestazioni concernenti la redazione dei
progetti per la realizzazione di opere e di lavori pubblici
sono espletate, in via prioritaria, dagli uffici tecnici
delle stazioni appaltanti (comma 1, lett. a)
[2]) e
che, in tale ipotesi [3],
i progetti medesimi sono firmati da dipendenti delle
amministrazioni «abilitati all'esercizio della
professione» (comma 4, primo periodo
[4])
[5],
afferma che parrebbe potersi dedurre che, per svolgere il
predetto incarico, il dipendente pubblico 'debba essere
annualmente in regola con il pagamento dell'iscrizione
all'albo/collegio di appartenenza'.
Anzitutto, appare necessario rilevare che la richiamata
previsione del Codice dei contratti pubblici, ai sensi della
quale i progetti redatti all'interno delle pubbliche
amministrazioni sono firmati da dipendenti 'abilitati
all'esercizio della professione', ripropone la norma già
contenuta nell'art. 17, comma 2, primo periodo
[6], della
legge 11.02.1994, n. 109, come sostituito dall'art. 6, comma
2, della legge 18.11.1998, n. 415.
La Corte dei conti -Sezione del controllo per la Regione
Sardegna [7],
chiamata ad esprimersi sulla legittimità dell'assunzione, a
carico del bilancio comunale, della tassa annuale di
iscrizione all'albo professionale di un dipendente a tempo
indeterminato, osserva che occorre, preliminarmente,
stabilire se la predetta iscrizione costituisca requisito
per lo svolgimento dell'attività lavorativa.
Il Giudice contabile afferma che «Così non è più nella
materia dei lavori pubblici, in quanto la disciplina di cui
all'articolo 17 della legge 109 del 1994 è stata modificata
dalla legge n. 415 del 1998 nel senso che non è richiesta
l'iscrizione all'albo professionale per i dipendenti
pubblici che firmino i progetti, ma è sufficiente il
possesso dell'abilitazione professionale».
Su analoga questione, la Corte dei conti -Sezione regionale
di controllo per le Marche [8],
precisa che «occorre tener conto che l'abilitazione
-intesa quale accertamento dei requisiti
tecnico-professionali- si distingue dall'iscrizione all'albo
professionale e risulta esserne presupposto».
«La vigente disciplina» -prosegue il Collegio- «accoglie
pienamente questo principio, distinguendo la redazione di
progetti da parte dei dipendenti abilitati all'esercizio
della professione (senza necessità di iscrizione all'albo:
art. 90 quarto comma d.lgs. 163/2006) dalla redazione di
progetti da parte di professionisti esterni iscritti negli
appositi albi (art. 90 settimo comma d.lgs. 163/2006)».
[9]
Anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture (Avcp) [10]
rileva che l'art. 90 del Codice dei contratti pubblici,
nell'individuare i soggetti deputati ad espletare le
prestazioni relative alla progettazione preliminare,
definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori e
agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo, distingue
tra progettazione interna ed esterna, prevedendo che i
progetti redatti dai soggetti interni all'amministrazione
sono firmati da dipendenti abilitati all'esercizio della
professione.
L'Avcp ricorda che la disposizione ricalca quella
introdotta, nella normativa previgente, con un intervento
normativo del 1998, epoca alla quale risale la scelta del
legislatore di distinguere i requisiti richiesti ai soggetti
cui affidare la progettazione interna ed esterna, «esonerando
i dipendenti delle amministrazioni dall'obbligo di
iscrizione all'albo professionale».
L'Avcp richiama, poi, la rilevante osservazione svolta
dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
[11],
secondo la quale «La circostanza che le prestazioni
relative alla progettazione attengono ad un'attività umana
prettamente intellettiva e di contenuto corrispondente a
quello proprio di una professione liberale, individualmente
esercitata, non è idonea a far ritenere che, nel nostro
ordinamento, i tecnici appartenenti ad ufficio pubblico
svolgano un'attività di libera professione in quanto autori
delle medesime elaborazioni intellettive proprie delle
professioni liberali. Quel che, invece, è vero, è che
l'attività di progettazione svolta da funzionari pubblici è
attività professionalmente qualificata, ma non di libera
professione».
Si ritiene utile segnalare che -nel medesimo atto- la
predetta Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici
chiarisce, inoltre, che «Questa qualificazione
professionale è garantita dalla legge quadro col prevedere
che gli addetti ai competenti uffici (art. 17, comma 2),
oltre alla garanzia data dalla selezione per l'accesso
all'impiego, debbano possedere per poter firmare il progetto
l'abilitazione all'esercizio della professione, ovvero, per
i tecnici diplomati, il pregresso esercizio di analoghi
incarichi, ritenuto equipollente. È significativo che in
tali sensi si sia modificato il testo originario della
norma, come introdotta dalla legge n. 216/1995 [...] e che
prevedeva anche la necessità di iscrizione al competente
albo professionale, in quanto tale modifica sta a comprovare
il carattere non decisivo, ai fini dell'oggettiva
affidabilità della prestazione, di detta iscrizione».
---------------
[1] «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE».
[2] «1. Le prestazioni relative alla progettazione
preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla
direzione dei lavori e agli incarichi di supporto
tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del
procedimento e del dirigente competente alla formazione del
programma triennale dei lavori pubblici sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
[...]».
[3] Nonché quando le prestazioni di cui trattasi sono
espletate:
- dagli uffici consortili di progettazione e di direzione
dei lavori costituiti dai comuni, dai rispettivi consorzi ed
unioni, dalle comunità montane, dalle aziende per i servizi
sanitari, dai consorzi, dagli enti di industrializzazione e
dagli enti di bonifica [lett. b)];
- dagli organismi di altre pubbliche amministrazioni, di cui
le singole stazioni appaltanti possono avvalersi per legge
(lett. c)).
[4] «4. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1,
lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti delle
amministrazioni abilitati all'esercizio della professione.
[...]».
[5] Disposizioni analoghe sono contenute nell'art. 9, commi
1 e 2, della legge regionale 31.05.2002, n. 14, i quali
prevedono che: «1. Le prestazioni finalizzate alla
realizzazione di lavori pubblici e in particolare quelle
relative alla progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva, nonché alla direzione dei lavori sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
[...].
2. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1,
lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti in possesso
del titolo di abilitazione o equipollente ai sensi della
normativa vigente in materia.».
[6] «2. I progetti redatti dai soggetti di cui al comma 1,
lettere a), b) e c), sono firmati da dipendenti delle
amministrazioni abilitati all'esercizio della professione.
[...]».
[7] Parere n. 1/2007 del 19.01.2007.
[8] Deliberazione n. 9/2008/Par. del 03.06.2008, che
richiama il già citato parere della Sezione regionale di
controllo per la Sardegna n. 1/2007 e quello della Sezione
regionale di controllo per la Toscana, reso con
deliberazione n. 11P/2008 del 22.04.2008.
[9] La Corte dei conti rammenta, per completezza, che l'art.
253, comma 16, del D.Lgs. 163/2006 (il cui contenuto è
sostanzialmente identico a quello recato dall'art. 17, comma
2, secondo periodo, della L. 109/1994, come sostituito
dall'art. 6, comma 2, della L. 415/1998 ed integrato dalla
previsione introdotta dal comma 9 dello stesso art. 6)
consente, a certe condizioni, lo svolgimento di attività
tecnico-professionale a personale dipendente munito di
titolo di studio, ma non abilitato.
Il testo della disposizione è il seguente: «16. I tecnici
diplomati che siano in servizio presso l'amministrazione
aggiudicatrice alla data di entrata in vigore della legge 18.11.1998, n. 415, in assenza dell'abilitazione, possono
firmare i progetti, nei limiti previsti dagli ordinamenti
professionali, qualora siano in servizio presso
l'amministrazione aggiudicatrice ovvero abbiano ricoperto
analogo incarico presso un'altra amministrazione
aggiudicatrice, da almeno cinque anni e risultino inquadrati
in un profilo professionale tecnico e abbiano svolto o
collaborato ad attività di progettazione.».
[10] Parere AG 6/2012 del 12.06.2012.
[11] Atto di regolazione 04.11.1999, n. 6 (17.02.2014
-
link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Avvocati, parcelle senza segreti.
Il cliente deve conoscere tempi e costi della controversia.
Gli adempimenti previsti dal codice deontologico forense,
approvato dal Cnf.
Rapporti in chiaro tra avvocato e cliente. All'atto del
conferimento dell'incarico al legale, infatti, la parte
assistita deve contestualmente essere informata: della
complessità e delle ipotesi di soluzione della controversia,
della durata del processo e degli oneri preventivabili, che
il cliente può richiedere siano messi per iscritto. Da
controllare, anche, che l'avvocato renda noti gli estremi
della polizza assicurativa ed emetta fattura fiscale per
ogni pagamento avvenuto.
Sono alcune delle regole che
disciplinano il rapporto tra avvocato e cliente contenute
nel nuovo codice deontologico forense, approvato dal Cnf (si
veda ItaliaOggi del 5 febbraio scorso), che stringe anche le
maglie su adempimenti contributivi e pratiche scorrette per
attirare clienti.
Il rapporto avvocato-cliente. Una delle parti più importanti
del nuovo codice deontologico forense riguarda il rapporto
tra l'avvocato e il cliente, dove sono indicati quali sono i
diritti della parte assistita. Che deve essere informata,
all'atto dell'assunzione dell'incarico da parte
dell'avvocato, delle caratteristiche e dell'importanza della
controversia e delle attività da espletare, con precisazione
delle iniziative e delle ipotesi di soluzione.
L'avvocato
deve informare il cliente anche sulla prevedibile durata del
processo e sugli oneri ipotizzabili, e, su richiesta,
comunicare in forma scritta, a colui che conferisce
l'incarico professionale, il prevedibile costo della
prestazione. Deve poi mettere per iscritto la possibilità di
avvalersi del procedimento di mediazione previsto dalla
legge e, ove ne ricorrano le condizioni, all'atto del
conferimento dell'incarico, deve informare la parte
assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a
spese dello stato. Ancora, l'avvocato deve rendere noti al
cliente gli estremi della propria polizza assicurativa.
Ogni
volta ne venga richiesto, è anche tenuto a informare la
parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui
affidato, e deve fornire loro copia di tutti gli atti e
documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l'oggetto
del mandato e l'esecuzione dello stesso sia in sede
stragiudiziale che giudiziale. L'avvocato deve infine
comunicare al cliente la necessità del compimento di atti
necessari a evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti
pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso.
Adempimenti e paletti. Oltre ai numerosi obblighi
informativi dell'avvocato nei confronti del cliente, il
nuovo codice detta le regole per esercitare la professione
forense: dagli adempimenti fiscali, previdenziali,
assicurativi, contributivi. Ai divieti di stringere patti di
quota lite, di pubblicità comparativa, di siti web con
banner pubblicitari, di accaparrarsi la clientela o
esercitare la professione in luoghi pubblici. Stringendo
così il cerchio sui tanti avvocati che, complice la crisi e
la «proletarizzazione» della professione, non riescono a
pagare i contributi o le provano tutte pur di conquistare
qualche cliente in più.
La corretta informazione sulla
propria attività professionale consiste nel rispetto dei
doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e
riservatezza, con riferimenti alla natura e ai limiti
dell'obbligazione professionale. L'avvocato, inoltre, non
deve dare informazioni comparative rispetto ad altri
professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie,
suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o
incarichi non inerenti l'attività professionale.
Regole
stringenti anche per la pubblicità e l'uso del web:
l'avvocato può utilizzare, a fini informativi,
esclusivamente i siti con domini propri senza reindirizzamento,
direttamente riconducibili a sé, allo studio legale
associato o alla società di avvocati alla quale partecipi,
previa comunicazione al Consiglio dell'ordine di
appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.
Che, inoltre, non può contenere riferimenti commerciali o
pubblicitari sia mediante l'indicazione diretta sia mediante
strumenti di collegamento interni o esterni. Le informazioni
diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche
informatico, devono inoltre essere trasparenti, veritiere,
corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o
suggestive e non comparative (articolo ItaliaOggi
Sette del 10.02.2014). |
gennaio 2014 |
|
INCARICHI PROGETTUALI:
A. Mancini,
Determinazione degli importi a base d’asta nell’affidamento
dei servizi tecnici: il D.M. 143/2013 (Bollettino di
Legislazione Tecnica n. 1/2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
G.U. 27.01.2014 n. 21 "Definizioni e ambito di
applicazione dei pagamenti mediante carte di debito" (D.M.
24.01.2014). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
No all’incarico senza una seria verifica dell’impossibilità
di utilizzo delle risorse disponibili all’interno.
Come stabilito dalla legislazione di settore e ampiamente
precisato dalla giurisprudenza, infatti, è insufficiente, ai
fini di giustificare l’affidamento di un incarico
all’esterno, una mera affermazione teorica di carenza di
personale idoneo necessitando, invece, una reale
ricognizione volta a dare la dimostrazione della carenza di
personale nei settori interessati e soprattutto
dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con
le quali far fronte alle esigenze istituzionali.
La
giurisprudenza ha, altresì, precisato che soltanto in
situazioni del tutto eccezionali risulta possibile ricorrere
ad incarichi esterni di alta professionalità ed, in questo
caso, tale accertata ed eccezionale impossibilità deve
essere valutata in concreto e “caso per caso”, attraverso
l'esame della motivazione del provvedimento, che deve essere
congrua ed esauriente
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto,
sentenza 21.01.2014 n. 26 - massima tratta da www.respamm.it).
---------------
Venendo al merito dell’azione promossa, la domanda di condanna azionata
dalla Procura appare fondata e deve, pertanto, essere
accolta, sia pure nei limiti della prescrizione di cui
sopra, posto che la fattispecie in esame configura un
illecito amministrativo, consistente nel conferimento contra legem di un incarico esterno, produttivo di danno erariale.
III.1. Ritiene, infatti, la Sezione che
in fattispecie siano
presenti tutti gli elementi tipici della responsabilità
amministrativa la quale, come noto, può sussistere ove sia
ravvisabile, oltre al danno erariale causalmente collegabile
con la condotta/e del/dei convenuto/i, pur se cagionato ad
amministrazioni o enti pubblici diversi da quello di
appartenenza, anche l’elemento psicologico del dolo o della
colpa grave
(art. 1, comma 1, della legge 14.01.1994 n.
20, nel testo sostituito dall’art. 3 del D.L. 23.10.1996 n. 543, convertito nella legge 20.12.1996 n. 639).
Si ricorda in proposito che il conferimento di incarichi e
di consulenze a professionisti esterni all'Amministrazione è
stato, ed è tuttora, oggetto di esame da parte della Corte
dei Conti in sede giurisdizionale e di controllo proprio con
la finalità di sanzionare la produzione di danno all'Erario
derivante da spese improduttive e non giustificate,
attribuite a soggetti estranei all'Amministrazione.
Al riguardo, questa Sezione non può che ribadire quelli che
costituiscono principi giurisprudenziali consolidati in
materia di conferimenti di incarichi e consulenze esterne
intesi a ritenere che,
per l’assolvimento dei compiti
istituzionali, l’amministrazione pubblica deve
prioritariamente avvalersi delle proprie strutture
organizzative e del personale che vi è preposto.
In tale ottica –ed in conformità a quanto stabilito
dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30.03.2001,
n. 165-
è stato ripetutamente affermato che la facoltà, per
le pubbliche amministrazioni, di affidare il perseguimento
di determinate finalità all’opera di soggetti ad essa
esterni, dotati di “particolare e comprovata
specializzazione” riveste natura di eccezionalità, può
avvenire solo in presenza di situazioni particolari e
contingenti, nel rispetto di tutti i presupposti imposti
dalla legge quali: la straordinarietà ed eccezionalità delle
esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di
personale interno idoneo, il carattere limitato nel tempo,
l’oggetto circoscritto della consulenza, ecc. e deve
conformarsi ai criteri di efficacia ed economicità
dell'azione amministrativa
(cfr., tra le ultime, Corte dei
conti, Sez. III Centrale d’Appello, sent. n. 306/10 del
24.02.2010; Sez. II Centrale d’Appello, sent. n. 263 del
26.08.2008; Sez. I Centrale d’Appello, sent. 220/2008 del
01.04.2008; Sez. Veneto, sent. n. 471/2010) ed ai principi
di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost..
In base a quanto sin qui detto, pertanto,
l'affidamento di
incarichi a soggetti esterni non consegue ad una libera ed
incondizionata scelta (nel senso di ricorrervi o meno), ma è
strettamente collegata alla effettiva sussistenza del
carattere di eccezionalità della contingente situazione,
quale sopra delineata.
Le esposte considerazioni, in definitiva, se da un lato
attestano che nell’ordinamento vigente, salvo i limiti posti
alla spesa pubblica, non sussiste alcun divieto, di
carattere generale per le Pubbliche Amministrazioni di
conferire a soggetti estranei incarichi professionali per
l’assolvimento di determinati compiti, dall’altro, tuttavia,
confermano che il ricorso a tale strumento convenzionale non
può concretizzarsi se non nel rispetto dei limiti e delle
condizioni sopra specificati.
In ragione di ciò
la giurisprudenza della Corte dei conti,
sia in sede di controllo (SS.RR delib. n. 6/CONTR/05 del 15.02.2005) sia in sede giurisdizionale
ha dettato
principi e criteri direttivi in grado di orientare utilmente
l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e complessità
delle situazioni concrete, sulla base dei quali l’incarico
(o la consulenza) esterno può essere ritenuto legittimo
qualora ci sia:
a) rispondenza agli obiettivi
dell’amministrazione;
b) inesistenza, all’interno della
propria organizzazione, della figura professionale idonea
allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di
una reale ricognizione;
c) indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;
d)
indicazione della durata dell’incarico;
e) proporzione fra
il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità
conseguita dall’amministrazione. La mancanza anche di una
sola delle riferite condizioni, rende il conferimento
dell'incarico illecito di talché il compenso ad esso
conseguente costituisce ingiusto depauperamento delle
finanze dell'Ente (cfr. Sezioni Riunite, 12.06.1998 n.
27).
A quanto sopra,
il dettato normativo di riferimento ha
aggiunto l’ulteriore requisito che l’incaricato esterno sia
un esperto nella materia, la cui competenza deve risultare
provata, ovvero emergente da dati oggettivi.
Dal predetto impianto normativo e giurisprudenziale si può
dunque ritenere che
il conferimento di consulenze esterne,
per poter rimanere ancorato a principi di legittimità e
liceità delle relative scelte, deve essere caratterizzato da
alto contenuto di professionalità ma soprattutto dalla
necessità di inserire temporaneamente nell'organizzazione
dell'Amministrazione, personale di provata competenza per
fronteggiare esigenze particolari, e non ordinarie, cui non
sia possibile adibire con risultati vantaggiosi, unità di
personale già in servizio presso l'Ente.
Più nello specifico, con riferimento alla disciplina
regolamentare dell’Amministrazione, al quadro normativo
sopra delineato si aggiungono: le disposizioni sulle
procedure gestionali in tema di collaborazioni coordinate e
continuative e consulenze, approvate con decreto del
Commissario Straordinario Arpav del 31.12.2002 n. 1062, le
successive disposizioni sulle procedure gestionali approvate
con decreto del Commissario Straordinario del 18.04.2006 n.
294 e le disposizioni contenute nel Regolamento Arpav,
approvato con DGR della Regione Veneto n. 450 del
28/12/2006.
Le predette disposizioni, infatti, ammettono il ricorso a
collaboratori esterni solo per la soluzione di problematiche
complesse che necessitino di specifiche competenze
professionali, a condizione che non sia possibile avvalersi,
con risultato ottimale, del personale in servizio mantenendo
gli stessi tempi e modi, ovvero quando sussista
l’impossibilità di rispondere ad esigenze derivanti da norme
cogenti con il personale in organico o l’esigenza di
utilizzare un profilo con professionalità non disponibile
all’interno dell’organico. Ad ogni modo l’affidamento deve
essere conseguente ad una verifica interna della
disponibilità delle figure professionali esistenti a cura
del Direttore/Dirigente della Struttura.
III.1.1. Alla luce delle richiamate norme nonché dei principi
della consolidata giurisprudenza contabile formatasi in
materia, che ha fornito un indubbio supporto ermeneutico,
arricchendo la fattispecie astratta di ulteriori requisiti e
contenuti,
il conferimento dell’incarico esterno non solo
doveva essere giustificato unicamente per far ricorso ad
alte professionalità, ma doveva seguire solo dopo un esame
approfondito della utilità effettiva della prestazione e
dopo il riscontro dell'assenza di risorse umane interne
capaci di dare il proprio contributo. L'amministrazione
doveva, altresì, accertare -anche attraverso un meccanismo
di selezione informale– l’idoneità allo scopo dell’extraneus,
le cui capacità dovevano essere formalizzate in atti.
Ciò considerato e premesso, nel caso all’esame, è ampiamente
provato dall’Organo requirente e dalla documentazione tutta
versata in atti che l’incarico di che trattasi è stato
conferito in violazione della prescrizione che imponeva la
preliminare verifica dell’impossibilità di utilizzo delle
risorse disponibili all’interno, non potendosi considerare
tale la mera affermazione di insufficienza d’organico, del
tutto generica, senza riferimento a dati concreti, contenuta
dalla nota della dott.ssa S. del 22.02.2007 in
riscontro a quella del 15.02.2007 del Direttore Generale,
dott. D.
Come stabilito dalla legislazione di settore e ampiamente
precisato dalla giurisprudenza (cfr. tra le tante: Corte dei
Conti, Sez. Calabria n. 62 del 28.01.2010; Sez. Friuli n.
106 del 12.05.2010; Sez. Veneto n. 284 del 20.05/2011; Sez.
Sicilia n. 1679 del 29.04.2011 e n. 4037 del 09.12.2011;
Sez. Campania n. 144 del 10.02.2012), infatti,
è
insufficiente, ai fini di giustificare l’affidamento
all’esterno, una mera affermazione teorica di carenza di
personale idoneo necessitando, invece, una reale
ricognizione volta a dare la dimostrazione della carenza di
personale nei settori interessati e soprattutto
dell’insussistenza di adeguate professionalità interne con
le quali far fronte alle esigenze istituzionali.
La
giurisprudenza ha, altresì, precisato che
soltanto in
situazioni del tutto eccezionali risulta possibile ricorrere
ad incarichi esterni di alta professionalità ed, in questo
caso, tale accertata ed eccezionale impossibilità deve
essere valutata in concreto e “caso per caso”, attraverso
l'esame della motivazione del provvedimento, che deve essere
congrua ed esauriente
(Corte dei conti, Sez. Contr. Toscana, Delib. 11.05.2005 n. 6).
Conseguentemente, il
provvedimento deliberativo dell’affidamento dell’incarico
(in specie la più volte richiamata deliberazione del
Direttore Generale n. 182 del 29.03.2007) avrebbe dovuto
precisare le effettive motivazioni del ricorso a risorse
esterne, indicare l’alta ed eccezionale professionalità
richiesta nel caso di specie, evidenziare i reali carichi di
lavoro del personale interno con professionalità analoghe a
quelle richieste e dare contezza della effettuata completa
ricognizione delle professionalità esistenti all'interno
dell'amministrazione e dei percorsi di formazione e
riqualificazione sviluppati, verificando la possibilità o la
convenienza di aggiornare il personale non utilizzato (cfr.
in termini: Delib. Sez. Contr. Toscana cit.).
In luogo di tutto ciò, invece, la Deliberazione di che
trattasi si limita semplicemente ad affermare, in maniera
del tutto apodittica, senza elementi concreti di
valutazione, che: <Vista la corrispondenza intercorsa tra il
Direttore Generale e il Dirigente del Servizio Comunicazione
ed Educazione Ambientale per l’avvio del progetto sopra
indicato; Vista altresì la nota in data 13.03.2007…… con la
quale il signor B.S., in riscontro a conforme
richiesta del Direttore Generale…….. comunicava la propria
disponibilità a collaborare, in forma coordinata e
continuativa, per la redazione, sviluppo e svolgimento delle
attività inerenti il progetto di cui sopra che, data la
particolare specificità, richiede una competenza e
professionalità in dinamiche comunicative applicate ai temi
ambientali, non disponibile attualmente tra le risorse
interne; Considerato che il sunnominato sig. S. è
stato individuato sulla base della specifica professionalità
posseduta (è iscritto all’Ordine Nazionale dei giornalisti),
e della competenza dimostrata nello svolgimento di
precedenti collaborazioni intrattenute con Arpav per
incarichi analoghi, ed inoltre per il fatto che,
nell’immediato, è l’unico a poter organizzare e sviluppare
in breve il complesso incarico di cui trattasi, in quanto è
a conoscenza dei meccanismi di funzionamento dell’agenzia ed
ha già svolto incarichi di analoga complessità anche presso
altre Amministrazioni come l’Arpav Friuli Venezia Giulia>.
Come, del resto, giustamente evidenziato dall’Organo
Requirente,
il compito affidato all’incaricato esterno non
era certo di particolare complessità, e non vi è alcuna
prova del fatto che il predetto fosse l’unico in grado di
eseguirlo, non potendosi considerare idonea allo scopo la
circostanza che lo stesso avesse già in precedenza
collaborato con Arpav. Inoltre, le due precedenti
collaborazioni, espletate nel 2005 e 2006, non inerivano
all’oggetto del conferimento di che trattasi, riguardando
l’una, un generico programma di divulgazione ambientale in
ambito regionale e l’altra, una attività di informazione ad
enti e cittadini sul piano di monitoraggio ambientale
dell’autostrada A31 Valdastico sud.
Non provata e, quindi, insussistente anche la ragione
d’urgenza, non potendosi considerare tale la circostanza che
poiché: “per il progetto Agenda 21 Locale, la Regione
percepiva importanti contributi statali e, a sua volta,
alimentava il fondo di progetto dell’Arpav, vi era la
necessità di non perdere tali finanziamenti dando corretta e
tempestiva attuazione del progetto stesso" (pag. 11 memoria
di costituzione e difesa del convenuto Drago Andrea).
Inoltre,
l’incarico è stato conferito in violazione delle
disposizioni che impongono alle amministrazioni pubbliche di
disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento
degli incarichi di collaborazione (art. 6-bis del D.Lgs
165/2001) posto che l’incarico è stato infatti conferito in
maniera diretta
(deliberazione del Direttore Generale n. 182
del 29.03.2007),
in violazione anche della norma
regolamentare interna contenuta al punto 5 delle
disposizioni sulle procedure gestionali approvate con
decreto del Commissario Straordinario 1062/2002, in virtù
della quale “Il conferimento di un incarico di
collaborazione è conseguente ad una procedura selettiva, per
soli titoli, per esami, o per titoli ed esami, da attuarsi
mediante avviso pubblico” nonché in violazione della
successiva disposizione contenuta al punto 5.1 delle
disposizioni sulle procedure gestionali approvate con
decreto del Commissario Straordinario 294/2006 in base alla
quale “Il conferimento di un incarico di co.co.co. è
conseguente, di norma, ad una procedura selettiva specifica,
per soli titoli, per esami, o per titoli ed esami, da
attuarsi mediante avviso pubblico”.
Giova, anche da ultimo, evidenziare che la stessa
considerazione svolta dalla difesa del convenuto F. (pag.
10 memoria di costituzione e difesa) in relazione al mancato
espletamento della gara: <D’altra parte, sin dal 2002 vige
in Arpav una deliberazione del Direttore Generale (D.G. 1062
del 31.12.2002) che, all’art. 6 (Consulenza professionale ed
occasionale), stabilisce espressamente: “Nel caso sussista
la necessità di ricorrere ad una consulenza
specialistico-professionale anche occasionale ….l’incarico
può essere conferito su base fiduciaria, dopo aver
effettuato una scelta tra più esperti di analoga competenza
in materia, se esistenti”> avvalora la fondatezza
dell’impianto accusatorio posto che, in specie, non vi è
stata alcuna scelta tra più esperti né tantomeno è stata
data la prova che lo S. fosse l’unico del settore. Tra
l’altro come evidenziato in narrativa, e più volte precisato
dall’Organo Requirente, l’incarico è stato conferito a
soggetto privo di laurea ed a fronte di un curriculum privo
della documentazione di supporto.
III.1.2. In specie risultano, poi, violate le disposizioni
sui requisiti soggettivi dell’affidatario e sui limiti di
compenso.
Infatti, come correttamente evidenziato dalla procura, le
disposizioni sulle procedure gestionali approvate con
decreto del Commissario Straordinario 1062/2002 e quelle
approvate con decreto 294/2006 stabiliscono, per il
conferimento di una collaborazione co.co, un compenso lordo
annuo fino ad euro 18.000,00, per laureato junior, e fino a
20.000, per laureato senior.
Nonostante l’incaricato esterno non fosse munito di laurea e
fosse, quindi, carente del requisito soggettivo per
l’affidamento in questione, con deliberazione n. 182 del
29.03.2007, si disponeva il formale affidamento al predetto
dell’incarico dietro corresponsione di un compenso lordo
omnicomprensivo di € 36.500,00 oltre ad un rimborso spese
fino ad un massimo di €. 2.000,00, superiore (raddoppiato)
ai limiti stabiliti con D.D.G. n. 1062/2002 <in
considerazione dell’elevato livello di professionalità
richiesto dall’incarico>.
III.1.3. Risulta, altresì, che il predetto compenso è stato
corrisposto per intero, nonostante la prestazione sia stata
parziale e, peraltro, ritenuta insufficiente.
L’incaricato avrebbe dovuto curare: lo sviluppo di un
progetto finalizzato all’implementazione delle pagine web
con l’obiettivo di fornire metodi e strumenti agli
operatori, l’aggiornamento dei processi di Agenda 21
attivati in Veneto, l’implementazione della banca dati
relativa ai progetti di Agenda 21, la valutazione di
risultati positivi e criticità dei progetti finanziati.
L’oggetto della prestazione veniva individuato dal
contratto, stipulato il 23.04.2007, e meglio specificato
dalla nota del 02.04.2007 della Dirigente del Servizio
Comunicazione e Servizio Ambientale.
Come risulta dagli atti di causa, premesso che l’incaricato
nell’ottobre del 2007 era transitava presso la Regione, lo
stesso nell’arco di tempo considerato aveva eseguito,
peraltro parzialmente, solo uno dei punti dell’oggetto
contrattuale (il primo punto), ossia “In parte il progetto
di implementazione delle pagine web, relative allo sviluppo
dei progetti di Agenda 21 locale” (cfr. verbale di audizione
del 05.09.2012 della convenuta S.). Ciò nonostante,
fino al marzo 2008, ossia fino alla scadenza contrattuale,
all’incaricato è stato corrisposto il corrispettivo
contrattuale.
Inoltre dalla corrispondenza intervenuta tra l’incaricato e
la Dirigente S. emerge con evidenza l’insufficienza
qualitativa della prestazione resa.
III.3. In considerazione di tutta quanto sopra addotto,
emerge con tutta evidenza la fondatezza dell’addebito di
responsabilità: sono state violate le norme sugli
affidamenti degli incarichi, sono state violate le
disposizioni sui requisiti soggettivi dell’affidatario e sui
limiti di compenso, è stata corrisposto l’intero compenso a
fronte sia di una prestazione contrattuale eseguita,
dall’incaricato, solo per una parte minima, ed in maniera
inadeguata, è stato attestato, sulle note mensili di
pagamento, l’avvenuto regolare svolgimento della
prestazione, anche dopo l’ottobre del 2007, nonostante il
collaboratore avesse smesso l’adempimento contrattuale,
transitando presso la Regione e, pertanto, si attestava ciò
di cui non si aveva contezza, ignorando che il corrispettivo
trova la sua esclusiva ragione nel contratto e nella
derivante prestazione da rendere nei modi e termini ivi
stabiliti.
La colpa grave dei convenuti è insita nei comportamenti
adottati, ampiamente descritti in narrativa, le cui
violazioni dei doveri di servizio in relazione a principi e
norme dell’agire amministrativo chiari ed inequivocabili,
che non era possibile ignorare, sono palesi.
In conseguenza, l’intero corrispettivo pagato
all’incaricato, fatti salvi gli effetti della prescrizione
di cui sopra, da assumere al lordo, dal momento che le somme
sono state erogate da Arpav per intero, è da ritenere causa
di ingiusto pregiudizio economico per l’ente pubblico e,
pertanto, deve essere risarcito.
Quanto all’apporto causale di ciascun convenuto alla
causazione del danno, la Sezione, tenuto conto delle
funzioni rivestite e dei comportamenti adottatiti, ritiene
congrua ed adeguatamente motivata la ripartizione effettuata
dalla Procura dalla quale, pertanto, ritiene di non doversi
discostare. |
APPALTI SERVIZI
- INCARICHI PROFESSIONALI: Se
le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e
alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento
del servizio di distribuzione del gas naturale siano
riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n.
101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.
125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
Per quanto concerne il presupposto che
giustifica il conferimento, da parte del Comune, di
incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che il
ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante,
all’affidamento di incarichi di studio e consulenza
necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla
gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto
della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che
prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui
l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti
dotati delle necessarie professionalità e competenze per
l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi, perché il
Comune di possa conferire a un soggetto esterno l’attività
necessaria alla predisposizione degli atti di gara
(comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e
alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il
Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra
l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli
impianti e alla gestione della gara.
-------------
La copertura degli oneri di gara è a carico del gestore
aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo
una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011,
n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli
connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei limiti di cui al
decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano
strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione
e gestione della gara che il legislatore impone per
l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14,
comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario
che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del
Comune siano attività che non gravino già sul gestore
uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di
obblighi nei confronti dell’ente locale
(ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”,
d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono
soggette al rispetto dei generali criteri della
ragionevolezza e della proporzionalità.
---------------
Quanto alla rappresentazione
contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione
appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal
gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara,
la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano
registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal
capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna
specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del
loro “rimborso” al Comune da parte del gestore
aggiudicatario.
---------------
Il sindaco del Comune di Brescia, mediante nota n.
126111 del 28.11.2013, chiede se le spese relative alla
predisposizione degli atti di gara e alla successiva
gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei
limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013
(convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013)
per studi e incarichi di consulenza.
...
L’art. 1, comma 5, decreto legge
31.08.2013, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30.10.2013, n. 125, dispone limiti alle spese,
relativamente agli anni 2014 e 2015, per studi e incarichi
di consulenza, incluse quelle relative a studi e incarichi
di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenute
dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione e dalle autorità
indipendenti.
La ratio della norma, così come di altre simili,
previste in precedenti provvedimenti (ad esempio, l’art. 6,
comma 7, decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla
legge 30.07.2010, n. 122), è quella di operare un
consistente contenimento di dette spese, la cui entità ha
raggiunto, nel corso degli anni, dimensioni che il
legislatore ha valutato esorbitanti rispetto alle effettive
esigenze delle amministrazioni.
L’estensione dell’ambito applicativo della norma alle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione rende evidente
che anche le autonomie locali sono chiamate a partecipare,
nel rispetto degli articoli 117, comma 3, e 119, comma 2,
della Costituzione, al raggiungimento degli obiettivi di
sana gestione finanziaria pubblica che la Repubblica si è
impegnata a realizzare.
L’art. 1, comma 5, decreto legge n.
101/2013 fa espresso riferimento alla spesa annua sostenuta,
dalle amministrazioni pubbliche di cui s’è detto, per studi
e incarichi di consulenza, conferiti sia a soggetti esterni
alla pubblica amministrazione, sia a pubblici dipendenti.
Gli incarichi di studio e consulenza cui la norma si
riferisce sono quelli conferiti per approfondire tematiche
di interesse dell’amministrazione; si tratta, inoltre, di
prestazioni di cui l’amministrazione, nell’esercizio della
sua discrezionalità, decide di avvalersi per il
conseguimento delle proprie finalità.
Al fine di valutare se le spese relative alla
predisposizione degli atti di gara e alla successiva
gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale, sostenute dal Comune di
Brescia quale stazione appaltante, rientrino o meno nei
limiti di cui all’art. 1, comma 5, decreto legge n.
101/2013, occorre esaminare il contenuto delle prestazioni
professionali oggetto dell’incarico e se i relativi oneri
siano determinati da servizi o adempimenti cui l’ente è
tenuto per legge (cfr. Corte conti, SS.RR. in sede di
controllo, delibera n. 6/CONTR/05).
Nel caso in esame, fra le spese che il comune di Brescia,
quale stazione appaltante dell’Atem Brescia 3 Città e
impianto di Brescia per la gara unica avente ad oggetto
l’affidamento del servizio di distribuzione del gas
naturale, si propone di sostenere rientrano quelle di
valutazione preliminare degli impianti (di cui, però, la
richiesta di parere non specifica in che cosa consistano),
oltre alle spese connesse alla gestione della gara (anche in
tal caso, su tali spese non sono forniti ulteriori
elementi).
Si tratterebbe, nella prospettazione del Comune di Brescia,
di spese funzionalmente connesse alla procedura di gara, sia
nella fase preliminare al suo svolgimento, sia in quella
successiva della gestione della gara.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il
conferimento, da parte del Comune di Brescia, di incarichi
di studio e consulenza, occorre rilevare che
il ricorso, da parte del Comune, quale stazione
appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e
consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara
e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel
rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n.
165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli
casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno,
di soggetti dotati delle necessarie professionalità e
competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi, perché il Comune
di Brescia possa conferire a un soggetto esterno l’attività
necessaria alla predisposizione degli atti di gara
(comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e
alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il
Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra
l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli
impianti e alla gestione della gara.
Quanto alla riconducibilità o meno di tali spese nei limiti
di cui al decreto legge n. 101/2013, si rileva che le spese
vengono anticipate dal Comune, stazione appaltante, per
essere poi a questo rimborsate dall’aggiudicatario-gestore
mediante un corrispettivo che quest’ultimo dovrà versare al
Comune.
L’art. 8, comma 1, del decreto del Ministero dello sviluppo
economico 12.11.2011, n. 226 chiarisce, infatti, che “il
gestore aggiudicatario della gara corrisponde alla stazione
appaltante un corrispettivo una tantum per la copertura
degli oneri di gara, ivi inclusi gli oneri di funzionamento
della commissione di gara”. Il riferimento alla “copertura
degli oneri di gara” appare essere comprensivo di tutte
le spese necessarie alla predisposizione e gestione della
gara (il legislatore ha, inoltre, specificato che vi
rientrano anche gli oneri per il funzionamento della
commissione di gara). La copertura degli
oneri di gara è a carico, quindi, del gestore
aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo
una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m.
12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi
quelli connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei
limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in
cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla
definizione e gestione della gara che il legislatore impone
per l’attività di distribuzione del gas naturale
(art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e,
in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento
dell’incarico da parte del Comune siano attività che non
gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad
adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente
locale (ad
esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”,
d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al
rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della
proporzionalità.
Inoltre, nella quantificazione del corrispettivo che il
gestore dovrà versare alla stazione appaltante, lo stesso
art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226 dispone che i
criteri per la definizione del corrispettivo siano definiti
dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (l’Autorità
vi ha provveduto con delibera 11.10.2012, n. 407/2012/R/gas,
“Criteri per la definizione del corrispettivo una tantum
per la copertura degli oneri di gara per l’affidamento del
servizio di distribuzione del gas naturale”); nello
stabilire il quantum del corrispettivo, la stazione
appaltante dovrà, quindi, rispettare tali criteri.
Del resto, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità
delle spese che il Comune si propone di sostenere per la
definizione e gestione della gara per l’affidamento
dell’attività di distribuzione del gas naturale è funzionale
ad evitare che vengano caricati sul gestore oneri ulteriori
ed eccedenti a quelli strettamente necessari. In caso
contrario, potrebbe verificarsi una traslazione (almeno di
parte) degli oneri sostenuti dal gestore sui consumatori,
quali utenti tenuti al pagamento del prezzo per il servizio.
Quanto alla rappresentazione contabile
delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante
e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore
aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la
Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano
registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso
dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con
un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai
tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del
gestore aggiudicatario
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 17.01.2014 n. 23). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
MONITORAGGIO DEGLI ATTI DI SPESA RELATIVI A
COLLABORAZIONI, CONSULENZE, STUDI E RICERCHE, RELAZIONI
PUBBLICHE, CONVEGNI, MOSTRE, PUBBLICITA’ E RAPPRESENTANZA,
POSTI IN ESSERE NELL’ESERCIZIO FINANZIARIO 2010 DAGLI ENTI
PUBBLICI AVENTI SEDE NELL’EMILIA-ROMAGNA (Corte dei
Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
deliberazione 15.01.2014 n. 2).
---------------
Di particolare interesse sono gli
argomenti trattati di seguito indicati:
►
2.3.1 I vincoli sostanziali al conferimento degli incarichi
professionali o di collaborazione
►
2.3.2 La nuova disciplina degli incarichi professionali
esterni affidati a dipendenti pubblici
►
2.3.3 I vincoli finanziari al conferimento degli incarichi
professionali o di collaborazione
...
►
2.3.5 I vincoli finanziari alle spese relative a relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza
...
►
2.4 Gli obblighi di pubblicità preventiva e successiva
...
►
2.4.1 La pubblicità preventiva
►
2.4.2 La pubblicità successiva
...
►
2.5 Gli orientamenti giurisprudenziali in materia di
incarichi di studio e di consulenza |
INCARICHI PROGETTUALI:
Oggetto: DM 143/2013 - Regolamento recante determinazione
dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di
affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi
all'architettura ed all'ingegneria (Consiglio Nazionale
degli Ingegneri,
circolare 14.01.2014 n. 313). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Personale degli enti locali. Incarichi di studio e
consulenza.
In materia di spesa per incarichi di
studio e consulenza, gli enti locali della Regione Friuli
Venezia Giulia applicano le disposizioni statali, in
particolare, per gli anni 2014 e 2015, il disposto di cui
all'art. 1, commi 5 e 5-bis, del d.l. 101/2013, convertito
in l. 125/2013, come avvalorato dall'intervenuta
abrogazione, ai sensi della legge finanziaria regionale per
il 2014, dell'art. 12, comma 10, della l.r. 22/2010, nonché
dell'art. 14, comma 11, lett. c), della l.r. 27/2012.
Il Comune, in ordine alle limitazioni di spesa per il
conferimento di incarichi di studio e consulenza, si è posto
la questione dell'applicabilità, agli enti locali del Friuli
Venezia Giulia, delle disposizioni previste dal legislatore
nazionale nel decreto legge 31.08.2013, n. 101, art. 1,
commi 5, 5-bis e 6. L'Ente chiede inoltre se, con
riferimento alla locuzione 'spese sostenute' a tale titolo,
vadano considerate le spese impegnate o quelle
effettivamente liquidate.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprime quanto segue.
Il comma 5 del citato art. 1, come modificato dalla legge di
conversione 30.10.2013, n. 125, prevede che la spesa annua
per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa
a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici
dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'ISTAT, non può essere
superiore, per l'anno 2014 all'80 per cento del limite di
spesa per l'anno 2013 e, per l'anno 2015, al 75 per cento
dell'anno 2014 così come determinato dall'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 7 dell'art. 6 del d.l. 78/2010,
convertito con modificazioni in l. 122/2010. Secondo
quest'ultima previsione, a decorrere dall'anno 2011 la spesa
annua per studi ed incarichi di consulenza non può essere
superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009.
Si ritiene che la normativa statale in argomento sia
applicabile alle amministrazioni locali della Regione Friuli
Venezia Giulia, anche alla luce dell'intervenuta abrogazione
delle norme regionali disciplinanti la materia.
Al riguardo si rileva che l'art. 12, comma 10, della l.r.
22/2010 (finanziaria 2011), stabiliva che il rispetto delle
disposizioni di principio che prevedono il contenimento di
alcune componenti di spesa, previste da alcune norme del
d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010, tra le quali anche
l'art. 6, comma 7 richiamato, concernente la spesa per gli
incarichi in oggetto, 'è garantito per gli enti locali
della Regione Friuli Venezia Giulia con il conseguimento
degli obiettivi in materia di coordinamento della finanza
pubblica contenuti nell'art. 12 della legge regionale
30.12.2008, n. 17 (Legge finanziaria 2009) e successive
modifiche'.
In particolare, l'art. 12, comma 19, lett. b-bis, della
citata l.r. 17/2008, prevedeva che, in caso di mancato
raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità, gli
enti nell'esercizio successivo 'non possono sostenere
spese per studi e incarichi di consulenza, incluse quelle
relative a studi e incarichi di consulenza relativi a
pubblici dipendenti, (...) in misura superiore al 50 per
cento della media delle spese sostenute allo stesso titolo
nel triennio precedente'.
Al riguardo si precisa che il comma 19 in argomento, che,
secondo quanto previsto dalla l.r. 22/2010, trovava
applicazione per gli enti locali della Regione in luogo
dell'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010, è stato
successivamente abrogato dall'art. 14, comma 27, della l.r.
27/2012.
Peraltro il contenuto del comma 19 era stato riprodotto dal
medesimo articolo 14, al comma 11, lett. c).
Da ultimo è intervenuto l'art. 14, comma 22, della legge
regionale 27.12.2013, n. 23 (Legge finanziaria 2014)
[1], che
ha abrogato sia la disposizione di cui al richiamato art.
12, comma 10, della l.r. 22/2010, sia la disposizione di cui
all'art. 14, comma 11, lett. c), della L.R. 27/2012.
Pertanto, anche per gli enti locali della Regione Friuli
Venezia Giulia, per gli anni 2014 e 2015, trova applicazione
il disposto di cui all'art. 1, comma 5 e 5-bis, del d.l.
101/2013, convertito in l. 125/2013.
Atteso che, ai sensi del comma 9 dell'art. 1, del d.l.
101/2013, le disposizioni del medesimo articolo 'costituiscono
norme di diretta attuazione dell'articolo 97 della
Costituzione, nonché principi di coordinamento della finanza
pubblica ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della
Costituzione', il legislatore regionale ha ritenuto di
procedere all'abrogazione di norme non più coerenti con il
quadro normativo statale, nel frattempo delineatosi, in
vista di addivenire alla redazione di una disciplina
organica in materia di contenimento della spesa.
In relazione, infine, al quesito attinente alla locuzione 'spese
sostenute', si ritiene che la medesima vada interpretata
nel senso di spesa impegnata, considerato che i bilanci
degli enti locali sono redatti in termini di competenza
[2].
---------------
[1] Pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 del
07.01.2014 al B.U.R. n. 1 del 02.01.2014.
[2] Si segnala, al riguardo, che nella circolare n. 2/2013
del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in
relazione alle norme di contenimento della spesa, ivi prese
in esame, si è chiarito che «ai fini della quantificazione
dei limiti massimi di spesa introdotti dalle norme di
contenimento di seguito richiamate, laddove si fa
riferimento alla 'spesa sostenuta' in un determinato
esercizio, deve intendersi tale la spesa impegnata
nell'esercizio di competenza e non anche le somme erogate
nel predetto esercizio ma di pertinenza di esercizi
pregressi». Si ritiene, pertanto, che tale interpretazione
debba coerentemente valere anche in relazione alla
disposizione di cui all'art. 1, comma 5, del d.l. 101/2013
(13.01.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI
- INCARICHI PROGETTUALI:
Il riconoscimento di un debito da parte di un
ente locale, pur facendo salvo l’impegno di spesa in
precedenza assunto senza copertura contabile, non comporta
la sanatoria del contratto eventualmente nullo o comunque
invalido, come quello privo della forma scritta “ad
substantiam”; il riconoscimento di debito, infatti, non può
costituire esso stesso fonte di obbligazione.
Con il terzo motivo, come detto, il ricorrente sostiene che
dovevano essere ritenute fondate la sua domanda proposta ex
art. 1988 c.c. e quella di ingiustificato arricchimento ex
art. 2041 c.c., sviluppa argomenti per sostenere la
fondatezza di tali domande; assume che, essendo stato posto
a fondamento del credito non un titolo, ma il semplice
riconoscimento di debito, il giudice di appello non avrebbe
potuto rilevare di ufficio la nullità del contratto dal
quale il riconoscimento traeva origine.
Il motivo, con riferimento alla domanda di ingiustificato
arricchimento, resta assorbito dalla rilevata
inammissibilità della domanda per tardività.
Con riferimento alla domanda fondata sul riconoscimento di
debito se ne rileva la manifesta infondatezza perché, come
riconosciuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte
(Cass. 11021/2005; Cass. 9412/2011; Cass. 1423/2013), il
riconoscimento di debito non costituisce una autonoma
causa obligandi e quindi non può produrre effetti ove,
come nella specie, il credito non possa sorgere per la
nullità del contratto; il relativo accertamento, pertanto
non può dirsi estraneo al thema decidendum sottoposto
al giudice del merito con la domanda di adempimento
contrattuale (pur facilitata dall’inversione dell’onere
probatorio per il riconoscimento titolato del debito) e il
giudice ha correttamente rilevato di ufficio la nullità, per
la mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam
per i contratti della p.a., del contratto dal quale
scaturiva il debito pur riconosciuto dal Comune, secondo la
tesi del ricorrente, contestata invece dal Comune che aveva
attribuito alla delibera il significato di una mera
attestazione di disponibilità delle risorse.
Va ulteriormente rilevato che con il giudizio di opposizione
era stata contestata la fondatezza nel merito della pretesa
azionata così che anche sotto questo profilo, l’accertamento
della causa debendi era stato sottoposto al giudice (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 10.01.2014 n. 405 -
link a http://renatodisa.com). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Assicurazione professionale: le FAQ.
In seguito alle numerose richieste pervenute sul tema
dell'assicurazione professionale, il Centro Studi del Cni ha
deciso di aprire una sezione dedicata alle FAQ. Grazie a
questa gli ingegneri potranno ottenere le risposte alle
domande più frequenti pervenuteci.
Al fine di favorire la fruizione delle informazioni, le FAQ
sono proposte per aree tematiche. Quelle che trovate in
allegato sono le prime aree. Altre saranno attivate nei
prossimi giorni.
---------------
►
FAQ - Collaboratori società di ingegneria e di
professionisti
►
FAQ - Dipendenti e collaboratori imprese private
►
FAQ - Dipendenti pubblici
►
FAQ - Soci società ingegneria, professionisti e studi
►
FAQ - Liberi professionisti (link a www.centrostudicni.it). |
dicembre 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
G.U. 27.12.2013 n. 302 "Autorizzazione al trattamento dei
dati sensibili da parte dei liberi professionisti"
(Garante per la protezione dei dati personali,
autorizzazione 12.12.2013 n. 4/2013).
---------------
Ambito di applicazione.
L’autorizzazione è rilasciata, anche senza richiesta, ai liberi
professionisti tenuti ad iscriversi in albi o elenchi per
l’esercizio di un’attività professionale in forma
individuale o associata, anche in conformità al decreto
legislativo 02.02.2001, n. 96, o alle norme di attuazione
dell’art. 24, comma 2, della legge 07.08.1997, n. 266, in
tema di attività di assistenza e consulenza.
Sono equiparati ai liberi professionisti i soggetti iscritti nei
corrispondenti albi o elenchi speciali istituiti anche ai
sensi dell’art. 34 del regio decreto-legge 27.11.1933, n.
1578 e successive modificazioni e integrazioni, recante
l’ordinamento della professione di avvocato.
L’autorizzazione è rilasciata anche ai sostituti e agli ausiliari
che collaborano con il libero professionista ai sensi
dell’art. 2232 del codice civile, ai praticanti e ai
tirocinanti presso il libero professionista, qualora tali
soggetti siano titolari di un autonomo trattamento o siano
contitolari del trattamento effettuato dal libero
professionista.
Il presente provvedimento non si applica al trattamento dei dati
sensibili effettuato:
a) dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli
psicologi, dal personale sanitario infermieristico, tecnico
e della riabilitazione, ai quali si riferisce
l’autorizzazione generale n. 2/2013;
b) per la gestione delle prestazioni di lavoro o di
collaborazione di cui si avvale il libero professionista o
taluno dei soggetti sopra indicati, alla quale si riferisce
l’autorizzazione generale n. 1/2013;
c) da soggetti privati che svolgono attività investigative,
dai giornalisti, dai pubblicisti e dai praticanti
giornalisti di cui agli articoli 26 e 33 della legge
03.02.1963, n. 69. |
INCARICHI PROFESSIONALI - APPALTI:
Sul riconoscimento, o meno, dei debiti fuori
bilancio.
Il riconoscimento dei debiti
fuori bilancio afferisce ad un istituto
pubblicistico previsto dagli artt. 191 e 194 TUEL,
che impone al Comune di valutare e apprezzare
eventuali prestazioni rese in suo favore, ancorché
in violazione formale delle norme di contabilità.
Trattasi di una novità rispetto al precedente
assetto normativo della finanza locale (art. 35,
comma 4, d.lgs. 25.02.1995, n.77 che prevedeva
unicamente, in caso di acquisizione di beni e
servizi in violazione degli obblighi di contabilità,
che “il rapporto obbligatorio intercorre(sse), ai
fini della controprestazione, e per ogni effetto di
legge, tra il privato fornitore e l’amministratore,
funzionario o dipendente che (aveva) consentito la
fornitura”).
L’art. 4 del d.lgs. 15.09.1997, n. 342, confluito
nell’art. 191 del TUEL, ha introdotto il principio
della validità del rapporto obbligatorio
direttamente con l’Amministrazione, a condizione che
la prestazione o il bene fornito siano riconoscibili
come dei debiti fuori bilancio (art. 194) e, quindi,
che siano passibili di dichiarazione di utilità da
parte dell’ente, con conseguente previsione di
spesa, anche fuori bilancio, nel caso in cui il
relativo impegno non sia stato ancora previsto.
La ratio della disciplina contenuta nel TUEL è,
quindi, quella di garantire il riconoscimento di
debiti per prestazioni e servizi resi in favore
dell’ente locale che, benché privi di titolo, siano
considerati utili per l’amministrazione.
Si è recepita in definitiva quella che è stata
l'elaborazione giurisprudenziale, in particolare
della Corte dei conti, ma anche del giudice
ordinario, stabilendo che sono permanentemente
sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di beni
e servizi, relativi a spese assunte in violazione
delle norme giuscontabili, per la parte di cui sia
accertata e dimostrata l'utilità e l'arricchimento
che ne ha tratto l'ente locale, sempre che rientrino
nelle funzioni di competenza dell'ente.
Il riconoscimento del debito fuori bilancio
costituisce, pertanto, atto dovuto come si desume
dall’art. 194 del TUEL e l’amministrazione non può
sottrarsi attraverso una semplice e immotivata
comunicazione di un qualunque ufficio, essendo
invece necessario un procedimento ad hoc.
---------------
Quanto al procedimento per il riconoscimento del
debito fuori bilancio, l’art. 194 del TUEL
stabilisce che “con deliberazione consiliare di cui
all’art. 193, comma 2, o con diversa periodicità
stabilita dai regolamenti di contabilità, gli enti
locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori
bilancio derivanti da:… e) acquisizione di beni e
servizi, in violazione degli obblighi di cui ai
commi 1, 2, 3 dell’art. 191, nei limiti degli
accertati e dimostrati utilità e arricchimento per
l’ente, nell’espletamento di pubbliche funzioni e
servizi di competenza”.
La proposta della deliberazione per il
riconoscimento dei debiti spetta al responsabile del
servizio competente per materia che dovrà accertare
l’eventuale effettiva utilità che l'ente ha tratto
dalla prestazione altrui, che è un concetto di
carattere funzionale, costituendo l'arricchimento un
concetto derivato, teso alla misurazione
dell'utilità ricavata.
E’ quindi necessaria un’attività istruttoria da
parte del responsabile del settore formalizzata in
una relazione che contenga i riferimenti della
situazione debitoria dell’ente da riconoscere
eventualmente ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett.
e), del D.Lgs. n. 267/2000, la sussistenza dei
requisiti oggettivi richiesti per il legittimo
riconoscimento di ciascun debito, ovvero l’utilità e
l’arricchimento per l’Ente di servizi acquisiti
nell’ambito dell’espletamento di servizi di
competenza.
E’ utile rammentare che il riconoscimento dei
debiti fuori bilancio afferisce ad un istituto pubblicistico
previsto dagli artt. 191 e 194 TUEL, che impone al Comune di
valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in suo
favore, ancorché in violazione formale delle norme di
contabilità.
Trattasi di una novità rispetto al precedente assetto
normativo della finanza locale (art. 35, comma 4, d.lgs. 25.02.1995, n. 77 che prevedeva unicamente, in caso di
acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi
di contabilità, che “il rapporto obbligatorio intercorre(sse),
ai fini della controprestazione, e per ogni effetto di
legge, tra il privato fornitore e l’amministratore,
funzionario o dipendente che (aveva) consentito la
fornitura”).
L’art. 4 del d.lgs. 15.09.1997, n. 342, confluito
nell’art. 191 del TUEL, ha introdotto il principio della
validità del rapporto obbligatorio direttamente con
l’Amministrazione, a condizione che la prestazione o il bene
fornito siano riconoscibili come dei debiti fuori bilancio
(art. 194) e, quindi, che siano passibili di dichiarazione
di utilità da parte dell’ente, con conseguente previsione di
spesa, anche fuori bilancio, nel caso in cui il relativo
impegno non sia stato ancora previsto.
La ratio della disciplina contenuta nel TUEL è, quindi,
quella di garantire il riconoscimento di debiti per
prestazioni e servizi resi in favore dell’ente locale che,
benché privi di titolo, siano considerati utili per
l’amministrazione.
Si è recepita in definitiva quella che è stata
l'elaborazione giurisprudenziale, in particolare della Corte
dei conti, ma anche del giudice ordinario, stabilendo che
sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da
acquisizioni di beni e servizi, relativi a spese assunte in
violazione delle norme giuscontabili, per la parte di cui
sia accertata e dimostrata l'utilità e l'arricchimento che
ne ha tratto l'ente locale, sempre che rientrino nelle
funzioni di competenza dell'ente.
Il riconoscimento del debito fuori bilancio costituisce,
pertanto, atto dovuto come si desume dall’art. 194 del TUEL
e l’amministrazione non può sottrarsi attraverso una
semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio,
essendo invece necessario un procedimento ad hoc.
Quanto al procedimento per il riconoscimento del debito
fuori bilancio, l’art. 194 del TUEL stabilisce che “con
deliberazione consiliare di cui all’art. 193, comma 2, o con
diversa periodicità stabilita dai regolamenti di
contabilità, gli enti locali riconoscono la legittimità dei
debiti fuori bilancio derivanti da:… e) acquisizione di beni
e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2,
3 dell’art. 191, nei limiti degli accertati e dimostrati
utilità e arricchimento per l’ente, nell’espletamento di
pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
La proposta della deliberazione per il riconoscimento dei
debiti spetta al responsabile del servizio competente per
materia che dovrà accertare l’eventuale effettiva utilità
che l'ente ha tratto dalla prestazione altrui, che è un
concetto di carattere funzionale, costituendo
l'arricchimento un concetto derivato, teso alla misurazione
dell'utilità ricavata (Cassazione Civile, Sezione I, 12.07.1996, n. 6332).
E’ quindi necessaria un’attività istruttoria da parte del
responsabile del settore formalizzata in una relazione che
contenga i riferimenti della situazione debitoria dell’ente
da riconoscere eventualmente ai sensi dell’art. 194, comma
1, lett. e), del D.Lgs. n. 267/2000, la sussistenza dei
requisiti oggettivi richiesti per il legittimo
riconoscimento di ciascun debito, ovvero l’utilità e
l’arricchimento per l’Ente di servizi acquisiti
nell’ambito dell’espletamento di servizi di
competenza
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.12.2013 n. 6269 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Difetti di progettazione: si può chiedere il
risarcimento entro 10 anni.
La Corte di cassazione è intervenuta, con la pronuncia che
si annota, sul dibattuto tema dell'applicazione della
decadenza di cui all'art. 2226 c.c., secondo comma,
all'ipotesi in cui l'oggetto della prestazione del
professionista sia consistita in una prestazione di opera
intellettuale.
Nel caso di specie era avvenuto che un architetto aveva
richiesto l'emanazione di un decreto ingiuntivo nei
confronti del proprio cliente, il quale, tuttavia, si era
opposto deducendo l'inadempimento del professionista ai
propri obblighi contrattuali.
Il professionista, da parte sua, aveva però dedotto la
decadenza del diritto di denunciare vizi da parte del
cliente ai sensi del secondo comma dell'art. 2226 c.c., il
quale così prevede: “Il committente deve, a pena di
decadenza denunziare le difformità e i vizi occulti al
prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta.
L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna”.
Il giudice di primo grado aveva rigettato tale eccezione del
convenuto opposto; eccezione però successivamente accolta
nel grado di appello.
Il cliente aveva dunque proposto ricorso per cassazione al
fine di censurare la pronuncia della Corte d'appello sotto
il profilo della falsa applicazione dell'art. 2226 c.c. al
caso di specie.
La Corte, nell'esaminare la questione, ha ricordato come il
tema dell'applicazione della predetta disposizione
all'ipotesi del contratto d'opera intellettuale sia stato
oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite, riferita, in
particolare, alla fattispecie del professionista che abbia
assunto l'obbligo di redigere un progetto o di svolgere
l'attività di direzione di lavori.
Le Sezioni Unite, con pronuncia n. 15871/2005 avevano
infatti chiarito che “Le disposizioni dell'art. 2226
c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell'azione di
garanzia per vizi dell'opera, sono inapplicabili alla
prestazione d'opera intellettuale, ed in particolare alla
prestazione del professionista che abbia assunto
l'obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria
o della direzione dei lavori, ovvero l'uno e l'altro
compito, attesa l'eterogeneità della prestazione rispetto a
quella manuale, cui si riferisce l'art. 2226 c.c., norma che
perciò non è da considerare tra quelle richiamate dall'art.
2230 c.c.”.
Nella pronuncia di cui odiernamente si dà conto, la Corte ha
dunque ribadito tale principio giurisprudenziale, in
considerazione del fatto che le obbligazioni svolte, nel
caso di specie, dal professionista, risultavano esattamente
analoghe a quelle oggetto della pronuncia delle Sezioni
Unite (Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 20.12.2013 n. 28575 - link a www.altalex.com). |
INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
20.12.2013 n. 298 "Regolamento recante determinazione dei
corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di
affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi
all’architettura ed all’ingegneria" (Ministero
della Giustizia,
decreto 31.10.2013 n. 143). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi di consulenza e di collaborazione conferiti a
soggetti esterni alla pubblica amministrazione.
I presupposti di legittimità per il ricorso ad
incarichi di collaborazione sono specificamente richiamati
nel testo dell’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165.
I medesimi presupposti costituiscono la trasposizione
normativa dell’ampia elaborazione pretoria riferita al
conferimento di atti riferiti all’estesa tipologia di spese
soggette a controllo da parte della Sezione (le
consulenze, gli studi, le ricerche, le
spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni,
pubblicità) e, pertanto, devono ritenersi esigibili anche
per questi ultimi.
In particolare, la norma sopra citata prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale
proroga dell'incarico originario è consentita, in via
eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per
ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la
misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione.
---------------
L'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata.
Pertanto, il ricorso a procedure comparative adeguatamente
pubblicizzate può essere derogato con affidamento diretto
nei limitati casi individuati dalla giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata
deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la
“particolare urgenza” deve essere “connessa alla
realizzazione dell’attività discendente dall’incarico”.
Non può ritenersi legittima, quindi,
la previsione di affidamenti di incarichi senza procedura
comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore
monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione
richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del tutto
estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o
servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia
a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in
economia.
---------------
Infine, si rammentano gli obblighi
di pubblicizzazione sul sito web da parte degli enti che si
avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi
di consulenza, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 14.03.2013,
n. 33, il cui contenuto precettivo ha sostituito quanto già
disposto dall’art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996.
---------------
L’art. 1, comma 173, della
legge 23.12.2005, n. 266, ha previsto che gli atti di spesa
relativi ai precedenti commi 9, 10, 56 e 57 di importo
superiore a 5.000 euro devono essere trasmessi alla
competente sezione della Corte dei conti per l'esercizio del
controllo successivo sulla gestione. La finalità di tale
previsione normativa è riconducibile all’accertamento, di
tipo collaborativo, da parte della Corte, dell’idoneità
dell’attività amministrativa posta in essere dagli enti
controllati a raggiungere determinati risultati, attraverso
una verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità,
che non può comunque prescindere da un riscontro della
conformità della stessa a norme giuridiche.
I presupposti di legittimità per il ricorso
ad incarichi di collaborazione sono specificamente
richiamati nel testo dell’art. 7 del d.lgs. 30.03.2001, n.
165 (Norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche). I medesimi
presupposti costituiscono la trasposizione normativa
dell’ampia elaborazione pretoria riferita al conferimento di
atti riferiti all’estesa tipologia di spese soggette a
controllo da parte della Sezione
(le consulenze, gli studi, le ricerche,
le spese per relazioni, rappresentanza, mostre, convegni,
pubblicità) e, pertanto, devono ritenersi
esigibili anche per questi ultimi
(in tal senso, si richiama la recente
deliberazione 25.10.2013 n. 362 di questa Sezione).
In particolare, la norma sopra citata
prevede che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale
proroga dell'incarico originario è consentita, in via
eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per
ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la
misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto
dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo
10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità
di accertare la maturata esperienza nel settore.
A questo richiamo è necessario far seguire alcune
specificazioni.
In primo luogo, con riguardo al presupposto della
rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione, la magistratura contabile ha già avuto
occasione di chiarire che “il requisito
della corrispondenza della prestazione alla competenza
attribuita dall’ordinamento all’amministrazione conferente è
determinato dal poter ricorrere a contratti di
collaborazione autonoma solo con riferimento alle attività
istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma
approvate dal Consiglio dell’ente locale ai sensi dell’art.
42 del D.lvo 267/2000”
(Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009 e n. 244/2008).
L’obbligo di seguire procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di collaborazione è
puntualmente declinato nel comma 6-bis del richiamato art. 7
D.Lgs. n. 165/2001. Tale obbligo deve ritenersi
generalizzato, in ossequio ai principi generali di
trasparenza, pubblicità e massima partecipazione: una parte
della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato che “l'affidamento
di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da
conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione
non può prescindere dal preventivo svolgimento di una
selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata”
(Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
Pertanto, il ricorso a procedure
comparative adeguatamente pubblicizzate può essere derogato
con affidamento diretto nei limitati casi individuati dalla
giurisprudenza:
a) procedura comparativa andata deserta;
b) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
c) assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile
necessità della consulenza in relazione ad un termine
prefissato o ad un evento eccezionale, ricordando che la “particolare
urgenza” deve essere “connessa alla realizzazione
dell’attività discendente dall’incarico”
(ex plurimis, deliberazione Sez. Contr. Lombardia n.
67/2012/IADC).
Non può ritenersi legittima, quindi, la
previsione di affidamenti di incarichi senza procedura
comparativa al di sotto di una soglia individuata in valore
monetario (o di un numero massimo di ore della prestazione
richiesta al collaboratore), poiché “la materia è del
tutto estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o
servizi, pertanto non può farsi ricorso neppure per analogia
a detti criteri”, in particolare agli affidamenti in
economia (Sez.
contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009; Sez. contr. Prov. Trento,
n. 2/2010 e n. 8/2010).
Infine, si rammentano gli obblighi di
pubblicizzazione sul sito web da parte degli enti che si
avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi
di consulenza, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 14.03.2013,
n. 33, il cui contenuto precettivo ha sostituito quanto già
disposto dall’art. 1, comma 127, della legge n. 662/1996.
Richiamati i suddetti principi legislativi e
giurisprudenziali in materia, si osserva che la
deliberazione in esame qualifica in modo espresso la
tipologia dell’incarico conferito al soggetto esterno quale
consulenza economico-finanziaria, con predisposizione di
elaborati a seguito dell’esame e studio di documentazione.
Pertanto l’Amministrazione è tenuta ad osservare il dettato
legislativo e regolamentare per l’affidamento di tale
tipologia di incarico esterno all’Ente.
Sul punto si richiama la necessità di esperire una procedura
comparativa per l’affidamento delle consulenze in discorso,
modalità di selezione che, dalla deliberazione stessa e
dalla risposta ai rilievi istruttori mossi in merito a tale
criticità, si evince che sia stata disattesa in favore di
un’individuazione diretta dell’affidatario. A quanto sopra
si aggiunga che lo stesso atto di conferimento non riconduce
neppure la prestazione in oggetto nell’alveo degli incarichi
di progettazione di cui alla parte III del D.P.R.
05.10.2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante «Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE»), essendo il medesimo qualificato come “studio
di prefattibilità”.
Al contrario, nell’atto è espressamente affermato che la
medesima consulenza esula dall’ambito degli affidamenti di
incarichi di cui all’art. 14 del Regolamento richiamato,
relativo allo studio di fattibilità, ed è esplicitato che “occorrerà
in seguito procedere al conferimento di un incarico di
consulenza e assistenza economico-finanziaria in materia di
affidamento di concessione di lavori pubblici con il sistema
del Project Financing”.
Inoltre, è principio fondamentale in
materia di contabilità e contrattualistica pubblica che la
volontà della Pubblica Amministrazione, intesa ad instaurare
un qualsiasi rapporto negoziale
–nel caso in esame un contratto di consulenza per la
realizzazione di un nuovo polo sanitario-
non può essere desunta per implicito da atti o fatti, ma
deve essere manifestata nelle stesse forme richieste dalla
legge, tra le quali, in primo luogo, l'atto scritto ad
substantiam
(artt. 16 e 17 R.D. 18.11.1923, n. 2440; Cass. 11.01.2000,
n. 188 e 12.07.2000, n. 9246).
Nella fattispecie, come si evince dall’atto stesso e come
confermato dalla risposta dell’ente in fase istruttoria,
l’affidamento della consulenza è avvenuto “per vie brevi”
(come testualmente riportato nella nota dell’ente prot. n.
113560 del 31.10.2013), senza un previo conferimento formale
dell’incarico in atto scritto e firmato per accettazione dal
consulente contraente.
Peraltro, dalla documentazione allegata alla medesima nota
di risposta dell’ente, emerge che, proprio in conseguenza di
tale affidamento informale, i contenuti dell’attività
oggetto d’incarico sono riportati soltanto, ex post,
nella relazione finale presentata dal consulente stesso
(unitamente al dettaglio del proprio onorario) a cui ha
fatto seguito la deliberazione in esame. Tale circostanza
evidenzia come nella fattispecie non
risulta rispettato il disposto dell’art. 7 del d.lgs.
30.03.2001, n. 165, nella parte in cui prevede che debbano
essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione.
Infine, l’esame complessivo dell’iter procedimentale seguito
dagli Uffici dell’Azienda Ospedaliera per conseguire la
consulenza, evidenzia una carenza nelle azioni di
programmazione dell’attività contrattuale dell’ente, posto
che il conferimento diretto ed informale dell’incarico in
discorso, nell’anno 2012, ha comportato una passività
sopravvenuta nell’anno finanziario successivo, alla quale ha
fatto fronte la deliberazione scrutinata
(Corte
dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 19.12.2013 n. 421). |
INCARICHI PROGETTUALI: Appalti, arrivano i parametri.
Fissati i corrispettivi a base di gara dei servizi
professionali. Via libera della
Corte dei conti al decreto. Torna la liquidazione
forfettaria delle spese.
Via libera della Corte dei conti ai nuovi parametri per i
servizi professionali di ingegneria e architettura. Dal
prossimo anno quindi si cambia e le stazioni appaltanti
finalmente avranno riferimenti certi per determinare
l'importo da porre a base di gara nell'ambito dei contratti
pubblici dei servizi di ingegneria e architettura.
Dopo la
registrazione della Corte dei conti che ne ha accertato la
sostenibilità dal punto finanziario, infatti, il decreto
ministeriale (giustizia di concerto con infrastrutture) che
determina «i corrispettivi a base di gara per gli
affidamenti di contratti di servizi attinenti
all'architettura e all'ingegneria» è pronto per essere
pubblicato a giorni in Gazzetta Ufficiale. Si tratta di un
provvedimento dall'elaborazione complessa ma necessario,
dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni (1/2012)
aveva cancellato ogni riferimento tariffario, privando le
stazioni appaltanti di regole per calcolare gli importi e
per stimare, di conseguenza, l'importo economicamente più
corretto per le procedure di affidamento professionale.
Proprio per sanare tale criticità il governo era intervenuto
con un ulteriore decreto stabilendo che per determinare i
corrispettivi da porre a base di gara si sarebbero applicati
i parametri individuati appunto con un decreto che avrebbe
definito anche «le classificazioni delle prestazioni
professionali relative ai predetti servizi». Il
provvedimento richiama nella valutazione del compenso quanto
stabilito nel decreto relativo ai parametri giudiziali
(140/2012) prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità. Il compenso sarà infatti
determinato dalla somma dei prodotti tra il costo delle
singole categorie che compongono l'opera, la sua specificità
e la complessità delle prestazioni.
Torna poi la
liquidazione forfettaria delle spese che secondo il
provvedimento è determinato secondo percentuali standard
degli oneri sostenuti dal professionista. Tra le modifiche
introdotte dopo l'approvazione del Consiglio di stato quella
che specifica che «il corrispettivo non deve» (e non più
«non può») determinare un importo a base di gara superiore a
quello derivante dall'applicazione delle tariffe
professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del
medesimo decreto-legge. Nulla viene detto, invece, su chi
deve controllare che il corrispettivo non determini importi
a base d'asta superiori a quello derivanti dall'applicazione
del vecchie tariffe (dm 04/04/2001 e legge 143/1949).
Il Cds
infatti (condividendo la richiesta del Consiglio superiore
dei lavori pubblici e dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici) aveva chiesto al ministero della
giustizia di inserire un passaggio per affermare la
competenza della stazione appaltante sulla verifica del
rispetto del vincolo tariffario. Ma questo secondo i piani
alti di Via Arenula avrebbe rappresentato un'inutile
complicazione burocratica, con un aggravio di costi
(articolo ItaliaOggi del
14.12.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Per le commissioni «Pa» non si applicano tariffe.
Cassazione. La collaborazione dei
professionisti.
Incarichi a
ingegneri e avvocati liberi da tariffe, qualora si tratti di
partecipazioni a commissioni tecniche.
Lo sottolinea la
sentenza 13.12.2013 n. 27919 della Corte di Cassazione,
Sez. I civile, decidendo una lite sorta più di dieci anni or sono, quando
ancora vigevano i minimi tariffari (legge 223/2006).
I professionisti invocavano l'inderogabilità delle tariffe
minime (articolo 24 della legge 794/1942), ma la sentenza
esclude l'applicabilità di tale inderogabilità in quanto il
loro incarico era stato affidato all'interno di una
commissione tecnica (di gara, di concorso) e quindi non era
equiparabile a una prestazione professionale. Si trattava –osserva la Corte- di un'attività atipica, diluita
all'interno di un organo rappresentativo di più
professionalità. In altri termini, nell'organo collegiale
non si distinguevano i singoli contributi, e ciò ha impedito
di isolare una singola attività professionale. In questi
casi, quindi, il compenso per l'avvocato e per l'ingegnere
va valutato in relazione alla partecipazione all'organo
collegiale, e non come somma di specifici, singoli
contributi professionali.
Anche quando le tariffe erano inderogabili, cioè prima della
legge 223/2006, secondo la Corte avvocati e ingegneri non
potevano invocare il rispetto dei minimi, perché tali limiti
erano previsti solo per le prestazioni tipizzate (giudiziali
ed extragiudiziali per avvocati) ed esclusive della
professione (per gli ingegneri).
Il principio è valido ancor oggi, perché regola i casi in
cui a professionisti collegiati vengono affidati incarichi
atipici: così quando a un avvocato si chiede attività
generica di studio o ricerca nel campo giuridico, esclude
l'applicabilità' delle tariffe (Cassazione 7438/1994),
mentre per ingegneri e architetti vi è un orientamento che
sottopone a contribuzione previdenziale sia le attività che
richiedono competenze tecniche (Cassazione 5827/2013), sia i
compensi percepiti quale amministratore di società. Di
recente, poi, vi sono segnali a livello comunitario
favorevoli all'applicazione delle tariffe minime (Corte di
giustizia Ue 12.12.2013 in causa C-327/12), sicché il
settore è ancora alla ricerca di punti fermi.
Il caso deciso dalla Cassazione con la sentenza 27919/2013
applica le leggi del tempo della controversia, e cioè una
normativa che vedeva nei minimi tariffari l'esigenza di
tutelare il decoro dei professionisti, collegando tale
decoro alle prestazioni tipiche. Inoltre, per gli ingegneri,
all'epoca si distingueva tra incarichi conferiti da una
pubblica amministrazione e quelli di un privato, in quanto
solo per questi ultimi valeva il limite previsto dai minimi
tariffari. Appunto perché la partecipazione dell'avvocato a
una commissione non era ritenuta un'attività tipica (non
esigendo una difesa tecnica in giudizio), e l'ingegnere non
poteva vantare un incarico conferito da un privato (ma da
una pubblica amministrazione), nessuno dei due
professionisti ha potuto ancorare le proprie pretese a
tariffe professionali (articolo Il Sole 24 Ore del
14.12.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Pos obbligatorio. Anzi no.
Necessario un decreto attuativo, che non c'è.
Da Bankitalia i chiarimenti sull'adempimento in
vigore fra pochi giorni.
Anche se arrivasse l'apposito decreto con le disposizioni
attuative entro il 01.01.2014, i professionisti
potranno tranquillamente continuare a incassare i compensi
tramite bonifico bancario in base a un accordo con il
cliente. L'articolo 15 del decreto legge 179/2012, infatti,
non introduce a partire dal prossimo anno un obbligo di
utilizzo di strumenti di pagamento elettronico a carico del
pagatore, bensì solo un obbligo di accettazione della carta
di debito a carico del venditore di beni e servizi.
È quanto
chiarisce Banca d'Italia in risposta alla lettera di Federarchitetti inviata qualche settimana fa.
In questi ultimi mesi, molte sono state le iniziative contro
la norma varata dall'allora Governo Monti: dalla Fondazione
studi dei consulenti del lavoro che per prima ha messo in
luce l'inapplicabilità dell'obbligo senza il decreto del
ministero dello sviluppo economico a Inarsind (altro
sindacato di architetti e ingegneri) che ha invitato i suoi
iscritti a non dotarsi di Pos in studio, passando per la
protesta telematica di un gruppo di professionisti che su
Facebook sta riscuotendo molti consensi.
Tutti d'accordo che si tratta di un regalo alle banche,
considerando la commissione da pagare su ogni transazione e
il canone per l'utilizzo dello strumento di pagamento
elettronico. Premette Bankitalia che «la finalità della
norma è quella di favorire una più efficace azione di
contrasto a fenomeni di illecito in campo finanziario e
fiscale». Quanto ai costi dell'operazione, la Banca centrale
cerca di smorzare le polemiche di questi mesi spiegando che
«il mercato delle soluzioni Pos offre prodotti sempre più
avanzati e diversificati sotto il profilo sia tecnologico
sia tariffario. Soluzioni innovative sono disponibili per
l'accettazione di pagamenti anche al di fuori dei
tradizionali punti vendita, ad esempio attraverso l'utilizzo
di dispositivi mobili collegabili a computer, smartphone o
tablet, con formule tariffarie spesso a misura delle diverse
categorie di clientela».
Tuttavia resta fondamentale l'emanazione del provvedimento
attuativo dell'articolo 15 del dl 179/2012 di cui al momento
non c'è traccia. «Abbiamo una produzione normativa
ballerina», denuncia il presidente di Federarchitetti
Paolo Grassi, «che ci fa perdere solo del tempo. Si
poteva già chiarire tutto nella norma primaria, invece no.
Così oggi ci ritroviamo un obbligo che è semplicemente un
intralcio inutile». «Il problema non è la
tracciabilità dei pagamenti», aggiunge Rosario De Luca,
presidente del centro studi dei consulenti del lavoro, «bensì
il fatto che si impone ai professionisti di fare un regalo
alle banche di circa due miliardi di euro. Se lo Stato
ritiene necessario questo adempimento noi siamo disponibili
a farlo, purché sia per noi a costo zero»
(articolo ItaliaOggi del
13.12.2013 - tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
D. Russo,
Nessuna immunità per i consiglieri regionali che affidano
consulenze esterne
(04.12.2013 - link a www.federalismi.it). |
novembre 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: C.
Trovò,
I professionisti e l’obbligo di polizza - Per i
professionisti iscritti ad Albi è entrato in vigore, lo
scorso 15 agosto, l’obbligo di stipulare un’assicurazione
rischi professionali al fine di garantire il soddisfacimento
risarcitorio dei clienti. L’obbligo è stato introdotto dalla
Riforma delle professioni (Consulente
Immobiliare n. 941/2013). |
INCARICHI PROGETTUALI: Compenso
«base» ai progettisti. Lavori pubblici. Bocciato il calcolo
sul valore finale dell'opera.
Il compenso al progettista di un'opera pubblica si calcola
sul valore dell'opera preventivata dal Comune nel
disciplinare di incarico. E se viene predisposto un progetto
di valore superiore, senza un disciplinare integrativo in
forma scritta, il professionista non ha titolo per
richiedere ulteriori compensi.
Lo ha deciso il
TRIBUNALE di Caltanissetta (giudice Sole) con
sentenza
26.11.2013.
Il contenzioso riguardava l'opposizione a un decreto
ingiuntivo emesso su richiesta di un ingegnere, componente
di un raggruppamento di professionisti che aveva ricevuto da
un Comune l'incarico di redigere il progetto un'opera
pubblica del costo complessivo preventivato di 900mila euro.
L'elaborato finale conteneva però la progettazione di
un'opera ben più ampia di valore superiore a sette milioni
di euro e a questa somma il professionista aveva parametrato
la propria quota di compenso, ingiungendone il pagamento al
Comune.
L'ente aveva proposto opposizione, ammettendo di avere
conferito l'incarico ma contestando di dovere corrispondere
l'esoso onorario richiesto, perché riguardante attività di
progettazione che esulavano dall'oggetto dell'incarico.
Il professionista sosteneva invece che il raggruppamento
temporaneo di cui faceva parte si era attenuto al progetto
preliminare quanto all'organizzazione planimetrica
dell'opera; tuttavia, dopo la stipula del disciplinare si
erano resi necessari ulteriori rilievi geologici e vari
adattamenti che ne avevano consigliato l'ampliamento. Di
queste esigenze era stato informato il responsabile unico
del procedimento; quindi era stato convocato un successivo
incontro con l'amministrazione comunale, al fine di
illustrare il progetto e discutere dei propri compensi. A
seguito di tale incontro i vertici comunali –sindaco
compreso– avrebbero consentito alla "revisione" del
progetto.
Il tribunale tuttavia non ha ritenuto che tali allegazioni
potessero dimostrare la fondatezza delle pretesa del
progettista.
Il giudice ha richiamato l'articolo 2723 del Codice civile,
in base al quale se a un contratto consacrato in un
documento si aggiunge in seguito un altro patto, il nuovo
accordo dovrà essere dimostrato con prova scritta e si potrà
ricorrere alla prova testimoniale solo se appare verosimile
che esso sia avvenuto verbalmente. Siccome in questo caso la
modifica dell'accordo avrebbe comportato l'aumento del
valore dell'opera di più di sette volte rispetto a quello
originario, già questo basterebbe a ritenere poco verosimile
che una tale revisione non abbia avuto consacrazione in un
disciplinare integrativo.
In ogni caso il tribunale ritiene decisivo il fatto che nei
contratti di diritto privato stipulati dalla pubblica
amministrazione vige il principio formalistico, che richiede
sempre la forma scritta per la validità dell'atto: forma che
deve essere adottata anche per le modifiche successive del
contratto. Per questo il decreto ingiuntivo è stato
revocato.
Il principio applicato dal tribunale era stato già affermato
in analoghe vicende dai giudici di legittimità (di recente,
con la sentenza 8539/2011 della Cassazione) (articolo
Il Sole 24 Ore del 24.02.2014 -
tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Appalti, progettisti più liberi.
Possono partecipare ai lavori di cui hanno fatto i progetti.
L'apertura nel ddl europea 2013-bis.
Unico limite: dimostrare di non avere vantaggi.
Negli appalti integrati di progettazione e costruzione il
progettista potrà partecipare alla procedura per
l'affidamento dei lavori pubblici se riuscirà a dimostrare
che l'avere predisposto il progetto posto a base di gara non
lo favorisce rispetto agli altri concorrenti.
È quanto
prevede il disegno di legge europea 2013-bis all'esame del
Parlamento con una modifica al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (il codice dei contratti pubblici)
relativamente agli affidatari di incarichi di progettazione
che partecipano alla successiva fase di affidamento dell'
appalto o della concessione di lavori dell'opera progettata.
Attualmente il codice dei contratti pubblici, all'articolo
90, comma 8, stabilisce il divieto per l'affidatario di un
incarico di progettazione di partecipare agli appalti o alle
concessioni di lavori pubblici, nonché agli eventuali
subappalti o cottimi per i quali hanno svolto le prestazioni
progettuali. La norma riguarda i casi di progettisti che
intendono partecipare con una impresa di costruzioni ad una
procedura di affidamento di un appalto di lavori (appalto
integrato) e, di fatto, sono esclusi da ogni possibile
ruolo: non possono essere in raggruppamento con l'impresa,
né essere indicati dal momento che hanno predisposto la
progettazione posta a base di gara.
In passato su questa disposizione il Consiglio di stato
(sez. VI, 02.10.2007 n. 5087) aveva affermato che il
divieto opera «nella sola ipotesi in cui il progettista
partecipi della esecuzione dei lavori, e non nel caso in cui
un soggetto che abbia eseguito lavori partecipi ad una gara
per l'affidamento di un incarico di progettazione»; inoltre
era stato precisato che la regola è «espressione del
principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui
applicazione è necessaria per garantire parità di
trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il
fatto che i concorrenti ad una procedura di evidenza
pubblica debbano rivestire la medesima posizione».
Nella modifica proposta all'esame del Parlamento si prevede
un divieto non, tout court, a partecipare alle gare, bensì
ad «essere affidatari degli appalti o delle concessioni di
lavori pubblici, nonché degli eventuali subappalti o
cottimi». Fin qui la norma non sembra cambiare molto la
situazione attuale. È invece il comma aggiuntivo 8-bis ad
introdurre un elemento rilevante laddove stabilisce che il
divieto non si applica laddove il progettista dimostri «che
l'esperienza acquisita nell'espletamento degli incarichi di
progettazione non sia tale da determinare un vantaggio che
possa falsare la concorrenza con gli altri operatori.».
In tal senso si era espressa in passato la Corte di
giustizia europea, ma quel che è certo è che la
dimostrazione di non avere assunto posizioni di vantaggio
sarà sempre difficile da dimostrare, dal momento che non è
sempre detto che avere messo a disposizione di tutti i
concorrenti la progettazione redatta (e quindi posta a base
di gara) di per sé costituisca elemento tale da mettere
tutti i concorrenti sullo stesso piano. Chi ha studiato
l'intervento a fondo progettando a livello preliminare o
definitivo difficilmente sarà sullo stesso piano di chi non
sa nulla dell'opera
(articolo ItaliaOggi
del 14.11.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Contratti professionali scritti.
Se la p.a. è parte, forma richiesta ad substantiam.
Una sentenza della Corte di cassazione interviene
sul conferimento di incarichi.
È richiesta la forma scritta ad substantiam per il contratto
d'opera professionale, al fine di garantire il regolare
svolgimento dell'attività amministrativa.
Ad affermarlo è stata la Corte di Cassazione, Sez. I civile, con
sentenza
04.11.2013 n. 24679, esprimendosi su un caso di
contratti stipulati con la pubblica amministrazione, circa
il conferimento di incarico per il rifacimento parziale
dell'illuminazione pubblica.
Già i giudici di legittimità, sulla vicenda, ebbero modo di
affermare che la ricostruzione della volontà negoziale del
Comune, «si scontra con la necessità della forma scritta e
della chiara e contestuale formazione della volontà
contrattuale delle parti».
I giudici della Suprema corte, richiamando un consolidato
orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 1167/2013 e n.
1752/2007), secondo cui per il contratto d'opera
professionale, quando ne sia parte committente una pubblica
amministrazione, e anche quando questa agisce iure privatorum, è richiesta «la forma scritta ad substantiam,
che è strumento di garanzia del regolare svolgimento
dell'attività amministrativa nell'interesse del cittadino,
costituendo remora ad arbitri, sia della collettività,
agevolando l'espletamento della funzione di controllo, e,
per tale via, espressione dei principi di imparzialità e
buon andamento della p.a. posti dall'art. 97 Cost.».
Hanno, poi, osservato gli Ermellini che «il contratto deve,
quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un
apposito documento, recante la sottoscrizione del
professionista e del titolare dell'organo attributario del
potere di rappresentare l'ente interessato nei confronti dei
terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione
del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine
alla prestazione da rendere e al compenso da corrispondere.
Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale,
ai fini d'una valida conclusione del contratto rimane del
tutto irrilevante l'esistenza di una deliberazione con la
quale l'organo collegiale dell'ente abbia conferito un
incarico a un professionista, o ne abbia autorizzato il
conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta
contrattuale, ma un atto con efficacia interna all'ente
avente natura autorizzatoria e quale unico destinatario il
diverso organo legittimato ad esprimere la volontà
all'esterno»
(articolo ItaliaOggi Sette
dell'11.11.2013).
---------------
La massima
1. Per il contratto d’opera
professionale, quando ne sia parte committente una P.A., e
pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in
ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del r.d.
18.11.1923, n. 2440, la forma scritta “ad substantiam”, che
è strumento di garanzia del regolare svolgimento
dell’attività amministrativa nell’interesse sia del
cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della
collettività, agevolando l’espletamento della funzione di
controllo, e, per tale via, espressione dei principi di
imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97
Cost.
2. Il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte
committente una P.A. deve tradursi, a pena di nullità, nella
redazione di un apposito documento, recante la
sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo
attributario del potere di rappresentare l’ente interessato
nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la
concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili
determinazioni in ordine alla prestazione da rendere e al
compenso da corrispondere
(massima tratta da e link a http://renatodisa.com). |
ottobre 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Riduzione dei compensi per incarichi di collaudo affidati a
dipendenti di pubbliche amministrazioni.
In caso di
incarico di collaudo conferito dall'ente locale ad un
dipendente pubblico di altro ente, anche statale, opera
l'obbligo di trattenuta del 50% sul 'compenso spettante'
prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008,
convertito dalla legge n. 133 del 2008.
---------------
La trattenuta si applica nei modi previsti dall'art. 61 ma a
far data dall'entrata in vigore della legge. In
considerazione di tale conclusione non dovrebbe determinarsi
l'inconveniente adombrato da codesto Comune che si preoccupa
di evidenziare come 'prima dell'entrata in vigore della
disciplina in esame costituiva prassi tra i professionisti
offrire un corrispettivo determinato da tariffa
professionale e scontato di una percentuale oscillante tra
il 30% ed il 40% (70% o 60% dell'onorario desumibile dalla
tariffa professionale)'.
Sicché ove 'la riduzione del 50% si
ritenesse applicabile all'onorario già scontato del 30% o
del 40%, il professionista incaricato finirebbe per
percepire (a titolo di compenso per gli affari affidatigli)
soltanto la metà della somma (35% oppure 30%), a suo tempo
convenuta con l'Amministrazione'. Tale conseguenza potrebbe
esporre 'l'Amministrazione a costi ed oneri legali
aggiuntivi'. Orbene, tale 'inconveniente' può ritenersi
scongiurato dal fatto che la disposizione in parola spiega i
suoi effetti dalla data della sua entrata in vigore dunque
non ex tunc.
---------------
Occorre premettere che la norma nella sua formulazione fa
riferimento a collaudi conferiti nell'ambito
dell'Amministrazione statale, anche se la Corte
costituzionale, con la citata sentenza n. 341 del 2009, ha
chiarito che la disposizione è di generale applicazione e
dunque riguarda anche gli enti locali; sicché si pone il
problema di stabilire a quale ente pubblico debba essere
riversata la metà del compenso professionale nel caso in cui
il collaudatore sia terzo rispetto all'Amministrazione
pubblica committente.
Circa la risoluzione del quesito
occorre aggiungere che dall'istruttoria compiuta è emerso
che, nel caso di specie, i compensi a tariffa professionale
previsti per l'espletamento del collaudo sono a carico
dell'Ente locale; in tale ipotesi deve ritenersi che i
beneficiari del 'risparmio di spesa' per il Comune
committente debbano essere i dipendenti dell'Ente locale
medesimo, indipendentemente dal fatto che il collaudo sia
conferito ad un soggetto terzo all'Ente.
La soluzione
prospettata appare la più aderente alla ratio della norma
intesa al contenimento della spesa corrente dell'Ente, che
vede contestualmente alimentato il fondo di amministrazione
dei dirigenti dell'Ente medesimo.
---------------
La Corte dei Conti, sezione regionale Emilia-Romagna,
esamina i seguenti quesiti del Comune di San Giovanni in
Persiceto:
- "nel caso di incarico di collaudo conferito
dall'ente locale ad un dipendente pubblico di altro ente,
anche statale, opera la trattenuta del 50% sul 'compenso
spettante' prevista dall'art. 61, comma 9, del d.l. 112 del
2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008?";
- "ove la risposta al quesito precedente
sia affermativa, la trattenuta prevista dall'art. 61, comma
9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133
del 2008, va calcolata sull'importo spettante ai sensi della
tariffa professionale vigente al momento del conferimento
dell'incarico oppure sull'importo già scontato pattuito nel
contratto di incarico stipulato tra l'ente locale e
collaudatore pubblico di altra amministrazione?";
- "ove la risposta al primo quesito sia affermativa,
il 50% del compenso spettante al collaudatore dipendente
pubblico va versato in apposito capitolo di bilancio
dell'Amministrazione conferente l'incarico oppure in
apposito capitolo di bilancio dell'Amministrazione cui
appartiene il dipendente pubblico incaricato del collaudo?".
...
Preliminarmente, la sezione rammenta che la Corte
costituzionale, con sentenza n. 341 del 2009, ha evidenziato
che la norma in contesto si applica a tutte le
amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, in quanto concorre alla
realizzazione di obiettivi di contenimento e
razionalizzazione della spesa, imponendo una riduzione delle
somme che, in aggiunta alla retribuzione, sono corrisposte,
a titolo di incentivo o di compenso, a determinate categorie
di dipendenti pubblici, per lo svolgimento di specifiche
attività.
Altrettanto opportuno il richiamo testuale alla disposizione
di cui si discorre (art. 61, comma 9, d.l. 112/2008,
convertito in legge 133/2008), a mente del quale: "Il 50
per cento del compenso spettante al dipendente pubblico per
l'attività di componente o di segretario del collegio
arbitrale è versato direttamente ad apposito capitolo del
bilancio dello Stato; il predetto importo è riassegnato al
fondo di amministrazione per il finanziamento del
trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai
fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del
personale di magistratura e dell'Avvocatura dello Stato ove
esistenti; la medesima disposizione si applica al compenso
spettante al dipendente pubblico per i collaudi svolti in
relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture. Le disposizioni di cui al presente comma si
applicano anche ai corrispettivi non ancora riscossi
relativi ai procedimenti arbitrali ed ai collaudi in corso
alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto".
Quindi la precisazione del successivo comma 17 che prevede
la non applicabilità agli enti territoriali dell'obbligo di
versamento (delle riduzioni di spesa in commento) in
apposito capitolo del bilancio dello Stato.
Conseguentemente delineato il quadro giuridico di
riferimento, la sezione esprime i propri avvisi sugli
aspetti inquadrati dall'ente istante, come segue:
- come detto "... la Corte
costituzionale ha ritenuto che la disposizione in esame sia
di portata generale; essa pertanto si applica anche agli
enti territoriali ad esclusione della parte in cui essa
impone l'obbligo di versare ad apposito capitolo del
bilancio dello Stato le riduzioni di spesa derivanti dalla
misura in essa prevista. Ne discende che al primo quesito
va data risposta affermativa e dunque in caso di incarico di
collaudo conferito dall'ente locale ad un dipendente
pubblico di altro ente, anche statale, opera l'obbligo di
trattenuta del 50% sul 'compenso spettante' prevista
dall'art. 61, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito
dalla legge n. 133 del 2008";
- quanto al secondo quesito, "...
la trattenuta si applica nei modi previsti dall'art. 61 ma a
far data dall'entrata in vigore della legge. In
considerazione di tale conclusione non dovrebbe determinarsi
l'inconveniente adombrato da codesto Comune che si preoccupa
di evidenziare come 'prima dell'entrata in vigore della
disciplina in esame costituiva prassi tra i professionisti
offrire un corrispettivo determinato da tariffa
professionale e scontato di una percentuale oscillante tra
il 30% ed il 40% (70% o 60% dell'onorario desumibile dalla
tariffa professionale)'. Sicché ove 'la riduzione del 50% si
ritenesse applicabile all'onorario già scontato del 30% o
del 40%, il professionista incaricato finirebbe per
percepire (a titolo di compenso per gli affari affidatigli)
soltanto la metà della somma (35% oppure 30%), a suo tempo
convenuta con l'Amministrazione'. Tale conseguenza potrebbe
esporre 'l'Amministrazione a costi ed oneri legali
aggiuntivi'. Orbene, tale 'inconveniente' può ritenersi
scongiurato dal fatto che la disposizione in parola spiega i
suoi effetti dalla data della sua entrata in vigore dunque
non ex tunc";
- quanto al terzo quesito, "...
occorre premettere che la norma nella sua
formulazione fa riferimento a collaudi conferiti nell'ambito
dell'Amministrazione statale, anche se la Corte
costituzionale, con la citata sentenza n. 341 del 2009, ha
chiarito che la disposizione è di generale applicazione e
dunque riguarda anche gli enti locali; sicché si pone il
problema di stabilire a quale ente pubblico debba essere
riversata la metà del compenso professionale nel caso in cui
il collaudatore sia terzo rispetto all'Amministrazione
pubblica committente. Circa la risoluzione del quesito
occorre aggiungere che dall'istruttoria compiuta è emerso
che, nel caso di specie, i compensi a tariffa professionale
previsti per l'espletamento del collaudo sono a carico
dell'Ente locale; in tale ipotesi deve ritenersi che i
beneficiari del 'risparmio di spesa' per il Comune
committente debbano essere i dipendenti dell'Ente locale
medesimo, indipendentemente dal fatto che il collaudo sia
conferito ad un soggetto terzo all'Ente. La soluzione
prospettata appare la più aderente alla ratio della norma
intesa al contenimento della spesa corrente dell'Ente, che
vede contestualmente alimentato il fondo di amministrazione
dei dirigenti dell'Ente medesimo"
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 23.10.2013 n. 269 -
tratto da www.publika.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
INCARICO PROFESSIONALE DI PROGETTAZIONE E RESPONSABILITA'.
Quando il contratto d’opera concerne la
redazione di un progetto esecutivo, fra gli obblighi del
professionista vi è quello di redigere un progetto conforme,
oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche
che disciplinano le modalità di edificazione su un dato
territorio, in modo da non compromettere il conseguimento
del provvedimento amministrativo che abilita all’esecuzione
dell’opera, essendo questa qualità del progetto una delle
connotazioni essenziali di un tale contratto di opera
professionale: per l’effetto, il mancato perfezionamento del
procedimento amministrativo volto a garantire l’idoneità
sotto il profilo sismico dell’edificio progettato,
compromettendo il positivo esito della procedura
amministrativa volta ad assicurare la realizzazione
dell’opera, non può che costituire inadempimento
caratterizzato da colpa grave e quindi fonte di
responsabilità del progettista nei confronti del committente
per il danno da questi subito in conseguenza della mancata o
comunque ritardata realizzazione dell’opera.
La questione involge una domanda avanzata dal cliente di un
architetto al risarcimento dei danni al medesimo conseguiti
per effetto del mancato adempimento della propria
obbligazione professionale. Segnatamente, il cliente
lamentava l’impossibilità di iniziare i lavori della
progettata costruzione entro il termine stabilito a pena di
decadenza nel titolo abilitativo edilizio rilasciato.
Nello specifico, si tratta di valutare se l’incarico di
progettare la costruzione, di curare il rilascio della
concessione edilizia e di seguire la direzione dei lavori,
comprenda anche il compito di ottemperare alla prescrizione
imposta dal provvedimento concessorio, in quel caso la
richiesta di nulla osta al Genio Civile ai fini degli
adempimenti relativi alla normativa antisismica. Tale ultimo
aspetto costituiva, a dir dell’attore, un’obbligazione
implicitamente collegata alla direzione dei lavori, attività
nella quale rientra ogni adempimento volto ad assicurare la
realizzazione dell’opera e non già un mero adempimento
burocratico riservato al committente e proprietario.
La Cassazione -richiamati propri precedenti a Sezioni Unite
(n. 15781/2005)- ricorda che la distinzione tra obbligazioni
‘‘di mezzi’’ e ‘‘di risultato’’ è ininfluente
ai fini della valutazione della responsabilità di chi è
incaricato di redigere un progetto di ingegneria o
architettura, in quanto il mancato conseguimento dello scopo
pratico avuto di mira dal cliente è, comunque, addebitabile
al professionista ove sia conseguenza dei suoi errori che
rendano le previsioni progettuali inidonee ad essere
attuate. Ancora (Sez. Un. n. 577/2008) ricorda che è ormai
superata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di
risultato, specie nelle ipotesi di prestazione d’opera
intellettuale, tenuto conto che un risultato è dovuto in
tutte le obbligazioni, richiedendosi in ogni obbligazione la
compresenza sia del comportamento del debitore che del
risultato, sia pure in proporzione variabile.
Del resto, il comportamento rilevante, nell’ipotesi di
azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle ‘‘obbligazioni
di comportamento’’ è quello che integra una causa o una
concausa ‘‘efficiente’’ del danno. Spetta al debitore
dimostrare che tale inadempimento non vi è stato o che, pur
esistendo, non è stato, nella fattispecie concreta, causa
dell’evento dannoso lamentato.
La Corte osserva che se è vero che il progetto, sino a
quando non sia materialmente realizzato, costituisce una
fase preparatoria, strumentalmente preordinata alla concreta
attuazione dell’opera, è anche vero che, sul piano tecnico e
giuridico, il progettista deve assicurare la conformità del
progetto alla normativa urbanistica ed individuare in
termini corretti la procedura amministrativa da utilizzare,
così da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei
problemi che precedono e condizionano la realizzazione
dell’opera richiesta dal committente (cfr. Cass. n. 2257 del
2007; Cass. n. 11728 del 2002; Cass. n. 22487 del 2004).
Sicché la scelta del percorso amministrativo da seguire per
ottenere il titolo autorizzativo idoneo al tipo d’intervento
edilizio progettato (nella specie, l’ottenimento del nulla
osta antisismico) spetta al professionista, trattandosi di
attività per la quale occorre una specifica competenza
tecnica e non certo un mero adempimento burocratico.
Rientra quindi nell’obbligo di diligenza a carico del
prestatore di opera professionale, ex art. 1176 c.c., comma
2, tanto il risultato finale mirante a soddisfare
l’interesse del creditore (committente) quanto i mezzi
necessari per realizzarlo, tramite l’adozione di determinate
modalità di attuazione che esigono il rispetto delle regole
professionali in funzione del raggiungimento del risultato
finale (Corte di
Cassazione, Sez. II civile, sentenza 15.10.2013 n. 23342
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 12/2013). |
INCARICHI PROGETTUALI: Nel
nostro ordinamento trova accoglimento il principio giuridico
secondo cui l’esternalizzazione delle attività sarebbe
consentito solo nel caso di constatata impossibilità o
inidoneità della struttura pubblica a svolgere una
determinata attività e che il ricorso alle prestazioni
intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione può
essere ritenuto legittimo nei casi in cui si debbano
risolvere problemi specifici aventi carattere contingente e
speciale e difettando nell’apparato burocratico strutture
organizzative idonee e professionalità adeguate.
Tuttavia devesi condividere la corretta impostazione della
Procura attrice, che sottende all’odierno atto di citazione,
secondo cui tali ipotesi non devono porsi in contrasto con
il precetto normativo che impone di limitare il ricorso a
professionalità esterne solo a casi eccezionali e per
attività professionali che non possono essere effettuate dal
personale interno, limiti che nella prospettazione attorea
sono stati, invece, sostanzialmente elusi in tutti i casi
contrattuali contestati.
---------------
Risponde a principi di economicità e ragionevolezza la
vigenza, in via generale, dell'obbligo delle pubbliche
amministrazioni di far fronte alle ordinarie competenze
istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego
delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono,
rendendosi ammissibile il ricorso ad incarichi e consulenze
professionali esterne soltanto in presenza di specifiche
condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle
esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di
personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e
l'oggetto circoscritto dell'incarico e/o della consulenza.
Sostanzialmente, in materia di consulenze esterne o di
affidamento di incarichi all’esterno dell’amministrazione, è
stato ripetutamente affermato dal giudice contabile che la
P.A., in conformità del dettato costituzionale, deve
uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità,
economicità, efficienza e imparzialità, dei quali è
corollario, per ius receptum, il principio per cui essa,
nell'assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi
prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
In proposito la giurisprudenza di questa Corte si è più
volte pronunciata indicando i parametri entro i quali tali
rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite e
ha ritenuto per lo più antigiuridico e produttivo di danno
erariale -giova ribadire- certamente il conferimento di
incarichi per attività alle quali si può far fronte con
personale interno dell'ente e, a maggior ragione, per
attività estranee ai suoi fini istituzionali, ovvero troppo
onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.
Di converso, in casi particolari e contingenti, è stata
ammessa la legittimazione della P.A. ad affidare il
perseguimento di determinate finalità all'opera di estranei,
purché dotati di provata capacità professionale e specifica
conoscenza tecnica della materia di cui vengono chiamati ad
occuparsi, ogni volta che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità delle esigenze da
soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al
loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta
organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità
delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto
qualitativo che quantitativo.
Tali parametri, se da un lato attestano che nell'ordinamento
non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere ad
esternalizzazioni per l'assolvimento di determinati compiti,
dall'altro, tuttavia, confermano che la utilizzazione del
modulo negoziale non può concretizzarsi se non nel rispetto
delle condizioni e dei limiti sopra specificati.
---------------
Gli illegittimi affidamenti di c.d. “supporto” (all'attività
interna istituzionale), se non effettivamente necessitati da
specifiche e contingenti esigenze, realizzano degli
squilibri di competenze interne all’apparato amministrativo,
dirigenziali e non, e una inevitabile diseconomicità, atteso
che l’attività e le competenze proprie della dirigenza
interna, per realizzare una “buona amministrazione”, devono
vertere in maniera significativa sulla capacità
organizzativa e gestionale delle strutture amministrative e
della forza lavoro assegnate alle relative strutture.
La vicenda all’esame attiene, come esposto in narrativa, ad
una ipotesi di responsabilità amministrativa per il danno
erariale conseguito all’ANAS a seguito di pagamenti relativi
a contratti di acquisizioni di servizi e conferimento di
incarichi e consulenze con soggetti esterni per attività
rientranti nelle funzioni ricoperte in seno al medesimo
Ente.
...
Al riguardo si rileva che la fattispecie di danno erariale
portata all'esame della Sezione involge in via generale,
come desumibile da quanto esposto in narrativa, la
problematica sottesa al conferimento di incarichi a
personale esterno e, in particolare, le modalità di pratica
attuazione di tali scelte operative, non improntate, in
sostanza, al perseguimento degli obiettivi di economicità ed
efficienza, e anzi rivelatesi produttive di un danno
concreto a carico dell'Amministrazione, oltre che in
violazione della disciplina anche comunitaria vigente in
materia.
Dalla contestazione mossa ai convenuti emerge innanzitutto
la violazione del principio costituzionale di buon andamento
dell'attività della P.A. e nello specifico, l’aver stipulato
l’ANAS, nelle persone in alcuni casi del suo vertice e, in
altri, di alti dirigenti, una serie di contratti, con
soggetti estranei all’amministrazione, per l’espletamento di
attività, che, peraltro, potevano e dovevano essere svolte
da personale dipendente dell’azienda medesima.
Vero è che nel nostro ordinamento trova accoglimento il
principio giuridico secondo cui l’esternalizzazione delle
attività sarebbe consentito solo nel caso di constatata
impossibilità o inidoneità della struttura pubblica a
svolgere una determinata attività e che il ricorso alle
prestazioni intellettuali di soggetti estranei
all’amministrazione può essere ritenuto legittimo nei casi
in cui si debbano risolvere problemi specifici aventi
carattere contingente e speciale e difettando nell’apparato
burocratico strutture organizzative idonee e professionalità
adeguate. Tuttavia devesi condividere la corretta
impostazione della Procura attrice, che sottende all’odierno
atto di citazione, secondo cui tali ipotesi non devono porsi
in contrasto con il precetto normativo che impone di
limitare il ricorso a professionalità esterne solo a casi
eccezionali e per attività professionali che non possono
essere effettuate dal personale interno, limiti che nella
prospettazione attorea sono stati, invece, sostanzialmente
elusi in tutti i casi contrattuali contestati.
Pertanto, ai fini della definizione della domanda di
responsabilità per le vicende contrattuali dedotte in
giudizio e delle diverse posizioni delle parti, il Collegio,
in primo luogo, ribadisce la piena adesione alla
giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, di questa
Sezione, che già in precedenti giudizi (ricordati anche da
parte attrice) si è pronunciata in maniera del tutto analoga
alla ormai costante giurisprudenza, che si richiama
interamente in motivazione anche nel caso all’esame (cfr.,
tra tutte, Sez. giur. Lazio 14.12.2009, n. 1922 e 03.08.2010, n. 1598).
Risponde a principi di economicità e ragionevolezza la
vigenza, in via generale, dell'obbligo delle pubbliche
amministrazioni di far fronte alle ordinarie competenze
istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego
delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono,
rendendosi ammissibile il ricorso ad incarichi e consulenze
professionali esterne soltanto in presenza di specifiche
condizioni quali la straordinarietà e l'eccezionalità delle
esigenze da soddisfare, la carenza di strutture e/o di
personale idoneo, il carattere limitato nel tempo e
l'oggetto circoscritto dell'incarico e/o della consulenza.
Sostanzialmente, in materia di consulenze esterne o di
affidamento di incarichi all’esterno dell’amministrazione, è
stato ripetutamente affermato dal giudice contabile che la
P.A., in conformità del dettato costituzionale, deve
uniformare i propri comportamenti a criteri di legalità,
economicità, efficienza e imparzialità, dei quali è
corollario, per ius receptum, il principio per cui essa,
nell'assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi
prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
In proposito la giurisprudenza di questa Corte si è più
volte pronunciata indicando i parametri entro i quali tali
rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite e
ha ritenuto per lo più antigiuridico e produttivo di danno
erariale -giova ribadire- certamente il conferimento di
incarichi per attività alle quali si può far fronte con
personale interno dell'ente e, a maggior ragione, per
attività estranee ai suoi fini istituzionali, ovvero troppo
onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.
Di
converso, in casi particolari e contingenti, è stata ammessa
la legittimazione della P.A. ad affidare il perseguimento di
determinate finalità all'opera di estranei, purché dotati di
provata capacità professionale e specifica conoscenza
tecnica della materia di cui vengono chiamati ad occuparsi,
ogni volta che si verifichino:
a) la straordinarietà e
l'eccezionalità delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza
di strutture e di apparati preordinati al loro
soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta
organizzazione, la carenza, in relazione all'eccezionalità
delle finalità, del personale addetto, sia sotto l'aspetto
qualitativo che quantitativo.
Tali parametri, se da un lato
attestano che nell'ordinamento non sussiste un generale
divieto per la P.A. di ricorrere ad esternalizzazioni per
l'assolvimento di determinati compiti, dall'altro, tuttavia,
confermano che la utilizzazione del modulo negoziale non può
concretizzarsi se non nel rispetto delle condizioni e dei
limiti sopra specificati.
---------------
Anche per
tutti i suddetti incarichi descritti al sopracitato punto 3
la domanda attorea si appalesa fondata in quanto risulta per tabulas che trattasi di fattispecie contrattuali poste in
essere senza procedure comparative con altri potenziali
contraenti e in assenza di qualsiasi indicazione circa la
necessità di specifiche competenze professionali e,
comunque, di verifica sulla presenza di figure professionali
interne e in servizio idonee allo svolgimento degli
incarichi esternalizzati; in disparte la considerazione che,
stando all’oggetto degli incarichi, hanno riguardato
attività riservate all’apparato amministrativo e sono
consistite in un generico c.d. “supporto
tecnico-specialistico”, che, in diversi casi e per gran
parte, non si è tradotto nella produzione di lavori e/o
documentazione a corredo dell’attività svolta, precludendo,
peraltro, il ragionevole riscontro sul relativo adempimento
contrattuale.
In realtà, in qualche caso (come per la fattispecie
contrattuale di cui alla sopracitata lett. a) del punto 3,
alla luce dei reports prodotti, si è trattato di
elaborazione di meri dati statistici e di competenze proprie
del personale dirigente ANAS (quale appunto l’organizzazione
e ottimizzazione delle risorse, umane e materiali) e,
comunque, di attività riservate all’apparato amministrativo.
Al riguardo il Collegio condivide la richiamata
giurisprudenza (Sez. giur. Trentino Alto Adige n. 8/2010) in
base alla quale devesi ritenere che gli illegittimi
affidamenti di c.d. “supporto”, quali quelli di specie, se
non effettivamente necessitati da specifiche e contingenti
esigenze, realizzino, viceversa, degli squilibri di
competenze interne all’apparato amministrativo, dirigenziali
e non, e una inevitabile diseconomicità, atteso che
l’attività e le competenze proprie della dirigenza interna,
per realizzare una “buona amministrazione”, devono vertere
in maniera significativa sulla capacità organizzativa e
gestionale delle strutture amministrative e della forza
lavoro assegnate alle relative strutture.
Analoghe
argomentazioni valgono del resto anche per tutti gli altri
incarichi e, segnatamente, per quelli di cui alle lett. e)
ed f) del punto 3, atteso che rientrano appieno nella sfera
dirigenziale l’organizzazione e l’ottimizzazione delle
risorse, umane e materiali in cui in sostanza consistono.
Valgono per tutte le relative fattispecie, anche le
considerazioni generali e le rilevate violazioni circa
l’attività di fatto scarsamente tecnica commissionata, circa
l’assenza di proporzionalità economica dei compensi e la
liquidazione forfettaria sindacata dalla giurisprudenza già
citata intervenuta in casi del tutto analoghi (Sez. giur.
Lazio n. 1598/2010 e Sez. I Centrale d’Appello n. 145/2009).
Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, i contratti
indicati alle lett. c) e d) del punto 3, aventi ad oggetto
attività connesse ai compiti ex d.lgs. n. 231/2001, in
condivisione con l’assunto attoreo, si appalesa altresì
inidonea a supportare la scelta la motivazione dei
conferimenti basata sulla generica affermazione dell’ANAS di
“non disporre di risorse interne atte a garantire in tempi
rapidi l’identificazione dei processi/aree aziendali a
rischio” o, comunque, di ricorrere agli Organismi già
istituiti. Infatti, a riprova della ritenuta responsabilità
dei convenuti, occorre evidenziare, oltre alle contestazioni
già formulate, anche il fatto che in tali casi esisteva un
Organismo interno e, cioè, un apposito Auditing che era
stato già costituito, dopo la istituzione di un apposito
Gruppo di lavoro, nonché l’Organismo di Vigilanza composto
da professionisti esterni e supportato da apposito staff,
formato da diversi avvocati e dall’Auditing interno
aziendale (tutte attività adeguatamente remunerate, come si
evince dalle note nn. 317, 318, 319 e 320 del 06.10.2003
del Presidente ANAS).
A conferma del suddetto convincimento giova anche richiamare
le premesse dell’Ordine di Servizio n. 01 del 02.02.2004 (adottato, prima del conferimento degli incarichi in
questione dal Direttore Generale Sabato per la istituzione
un apposito Gruppo di lavoro che “…provveda a completare il
sistema di procedure in attuazione del d.lgs. 231/2001”), nel
quale si legge testualmente che “….l’Auditing Interno, con
la istituzione dell’Organismo di Vigilanza, ne è divenuto
operativamente Ufficio strumentale e che deve quindi
svolgere le conseguenti complesse funzioni di verifica sul
corretto rispetto delle procedure attualmente vigenti”.
Si rileva, infine, che le attività affidate rientrano
appieno tra i compiti che l’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001
affidati direttamente all’Organo dirigente dell’Ente e
all’Organismo di Vigilanza e Controllo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 14.10.2013
n. 683). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Personale degli enti locali. Incarico. Riduzione spesa.
La Corte dei conti ha chiarito che gli
incarichi di studio si caratterizzano per lo svolgimento di
un'attività di studio, nell'interesse dell'amministrazione,
che si traduce nella consegna di una relazione scritta
finale, nella quale sono illustrati i risultati e le
soluzioni proposte.
Gli incarichi di consulenza riguardano invece le richieste
di pareri ad esperti.
Il Comune ha chiesto di conoscere se un incarico di
co.co.co., da affidare per la realizzazione del progetto 'Sportello
di Friulano', rientri o meno tra gli studi e incarichi
di consulenza la cui spesa è oggetto di riduzione ai sensi
dell'art. 1 del d.l. 101/2013.
Sentito il Servizio finanza locale, si esprimono le seguenti
considerazioni.
La citata norma, al comma 5, prevede che la spesa annua per
studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a
studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici
dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'ISTAT (tra le quali
figurano i comuni), non possa superare il 90 per cento del
limite di spesa per l'anno 2013, così come determinato
dall'applicazione della disposizione di cui al comma 7
dell'art. 6 del d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010.
Preliminarmente si ritiene opportuno evidenziare l'aspetto
rilevante ai fini di un corretto inquadramento della
questione prospettata, con specifico riferimento alla
locuzione 'incarichi di studio e consulenza'.
Si rammenta, infatti, a tal proposito che la Corte dei conti
[1], nel
fornire a suo tempo linee di indirizzo e criteri
interpretativi sulle disposizioni della legge 30.12.2004, n.
311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento di
incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza, ha
puntualizzato le definizioni di seguito riportate.
In particolare, si è chiarito in tale sede che 'gli
incarichi di studio possono essere individuati con
riferimento ai parametri indicati dal D.P.R. n. 338/1994
che, all'articolo 5, determina il contenuto dell'incarico
nello svolgimento di un'attività di studio, nell'interesse
dell'amministrazione. Requisito essenziale, per il corretto
svolgimento di questo tipo d'incarichi, è la consegna di una
relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i
risultati dello studio e le soluzioni proposte'.
Le consulenze invece si è inoltre precisato-
riguardano le richieste di pareri ad esperti.
Per quanto riguarda poi gli incarichi di collaborazione
coordinata e continuativa (co.co.co.) la Corte dei conti ha
osservato che i medesimi, per la loro stessa natura che
prevede la continuità della prestazione e un potere di
direzione dell'amministrazione, appaiono distinti dalla
categoria degli incarichi esterni. Si è precisato comunque
che: 'resta fermo....che, qualora un atto rechi il nome
di collaborazione coordinata e continuativa, ma, per il suo
contenuto, rientri nella categoria degli incarichi di studio
o di ricerca o di consulenza, il medesimo sarà soggetto al
limite di spesa.....'.
Pertanto, in relazione all'attività richiesta per l'incarico
in argomento ed alle sue peculiari caratteristiche, si
ritiene che l'Ente debba valutare in concreto se il medesimo
esuli dalle fattispecie prospettate, come pare risultare
dagli elementi forniti, trattandosi di incarico per la
gestione di un progetto particolare.
Da ultimo si osserva che ai sensi dell'art. 13, comma 16,
lett. b), punto 3-bis, della l.r. 24/2009, i rapporti di
co.co.co. coperti da finanziamenti concessi ai sensi della
l. 482/1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze
linguistiche storiche), e della l. n. 38/2001 (Norme a
tutela della minoranza linguistica slovena della regione
Friuli Venezia Giulia) sono stipulati in deroga al limite di
spesa imposto dal comma 16 del medesimo articolo.
---------------
[1] Cfr. Sez. Riunite in sede di controllo, delibera
15.02.2005, n. 6/CONTR/O (09.10.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
settembre 2013 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: CONSIGLIO
DEI MINISTRI/ Le novità contenute nel ddl Europea 2013-bis
approvato ieri
Appalti p.a. aperti ai progettisti.
No all'esclusione automatica dalla fase di affidamento.
Chi ha progettato un'opera pubblica non può essere
automaticamente escluso dalla successiva fase di affidamento
dell'appalto o concessione relativi all'opera progettata. Il
progettista deve in concreto dimostrare che l'aver
partecipato alla progettazione non comporti un'alterazione
della par condicio.
È quanto prevede l'articolo 18 della
bozza di disegno di legge Europea 2013-bis, approvato ieri
dal Consiglio dei ministri, che prevede una modifica,
rubricata sotto il titolo delle disposizioni a tutela della
concorrenza, sul ruolo del progettista nell'ambito delle
procedure di affidamento di appalti e concessioni di lavori
pubblici disciplinato dall'articolo 90, comma 8, del Codice
dei contratti pubblici.
La norma oggetto di intervento,
presente fin dalla prima legge Merloni del 1994 e riproposta
tale e quale nel Codice dei contratti pubblici, pone il
divieto assoluto di partecipazione ad appalti e concessioni
da parte di chi sia risultato affidatario di un incarico di
progettazione precedente e relativo alla stessa opera da
appaltare o da affidare in concessione.
Su questa norma da
tempo la giurisprudenza (anche dell'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici) si è espressa affermando
che la disposizione, incidendo sulla partecipazione dei
soggetti alle gare e, quindi, sulla libertà di impresa, va
interpretata in senso rigoroso, riguardando ipotesi che
possono comportare una incompatibilità e, conseguentemente,
l'esclusione dalla gara (fra le molte, Cons. stato, sez. VI
13.02.2004 n. 561 e Tar Piemonte, sez. I, 28/02/2007 n. 882).
Va anche considerato che il principio affermato
nell'articolo 90, comma 8, del Codice dei contratti è stato
di recente utilizzato dal Consiglio di stato per affermare
(contrariamente a una giurisprudenza fino ad allora
prevalente) che la disposizione è applicabile per analogia
anche all'interno della fase progettuale (affidatario della
progettazione preliminare, rispetto all'affidamento di altri
livelli successivi) in quanto a garanzia dell'imparzialità e
della parità di trattamento.
Lo stesso divieto è stato poi
applicato anche in casi non disciplinati dal Codice, come
quello del direttore tecnico dell'impresa appaltante che
aveva partecipato alla progettazione dell'opera nella fase
relativa alla elaborazione finalizzata al finanziamento. La
norma esaminata ieri, nel ribadire il divieto ammette però
la possibilità per il progettista di essere «affidatario
dell'appalto o della concessione», laddove dimostri che
l'esperienza acquisita nell'espletamento degli incarichi di
progettazione non sia tale da determinare un vantaggio che
possa falsare la concorrenza con gli altri operatori.
In
tale modo il Codice si riallinea a quanto già anni fa la
Corte di giustizia aveva affermato (sentenza del 03.03.2005, C-21/03) bocciando un divieto analogo posto dalla
normativa belga e ritenendo necessaria «una procedura di
verifica sugli effetti distorsivi sulla concorrenza»
derivanti dalla posizione di un consulente della stazione
appaltante, al fine di garantire il principio di parità di
trattamento
(articolo ItaliaOggi del 21.09.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI:
Appalti fuori dal caos. Alla Corte dei
conti il dm sui nuovi parametri.
Il Consiglio di stato ha dato il via
libera al decreto. Stop ai ribassi dell'80%.
Gare di appalto fuori dal caos. Si avvia
al tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si
presentavano alle gare offrendo progettazione ed esecuzione
delle opere a prezzi stracciati, con ribassi anche dell'80%
rispetto al prezzo iniziale.
Dopo il via libera del Consiglio di stato dei giorni scorsi,
infatti, il decreto ministeriale che determina «i
corrispettivi a base di gare per gli affidamenti di
contratti di servizi attinenti all'architettura e
all'ingegneria», sia avvia a saltare l'ultimo ostacolo:
il visto di legittimità della Corte dei conti, alla cui
attenzione è attualmente.
Un regolamento dalla gestione complicata dopo un anno di
rinvii, tra bocciature di organi controllo e fine anticipata
della legislatura, ma comunque necessario per superare, come
rileva il Consiglio di stato nel suo recente parere n.
3626/2013, «la situazione di indeterminatezza
venutasi a creare a seguito dell'elaborazione di tutta la
disciplina in materia di tariffe professionali».
Il punto di partenza.
Il decreto liberalizzazioni (n. 1/12) aveva di fatto
cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni
appaltanti di regole per calcolare gli importi e per
determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle
professioni tecniche che alimentava un'eccessiva
discrezionalità delle stazioni appaltanti e poca trasparenza
nelle gare d'appalto.
Proprio questo un intervento del governo Monti, per dare
avvio alla normalizzazione degli appalti, aveva inserito nel
Decreto sviluppo un articolo che prevedeva un decreto
interministeriale per la definizione e l'applicazione di
parametri individuati per i corrispettivi da porre a base di
gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici
dei servizi tecnici.
Nel decreto sviluppo veniva specificato che il nuovo sistema
di parametri tariffari non doveva determinare un importo a
base di gara maggiore a quello derivante dall'applicazione
delle tariffe professionali vigenti (dm 04/04/2001), prima
dell'entrata in vigore dello stesso decreto. Ma era stato
proprio questo passaggio a determinare uno dei primi motivi
di stop al provvedimento.
Il complicato iter del provvedimento.
Secondo il primo parere del Consiglio superiore dei lavori
pubblici e poi dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici, infatti, gli onorari calcolati con quei parametri
sarebbero potuti risultare più alti di quelli determinati
dalle vecchie tariffe professionali. Ma non solo, perché il
Cslp aveva suggerito anche ai ministeri competenti
(giustizia e infrastrutture) di precisare nel testo del
regolamento che «compete al responsabile del procedimento
accertare che il corrispettivo da porre a base di gara non
superi quello derivante dall'applicazione delle tariffe
professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del
provvedimento».
In sostanza secondo il Consiglio superiore la stazione
appaltante dovrebbe affidare al Rup (Responsabile unico del
procedimento) il compito di verificare, in fase di
predisposizione degli atti di gara, che le vecchie tariffe
ormai abrogate non sarebbero state superate, procedendo
sempre e comunque, ad accertare per ogni singola ipotesi di
affidamento il rispetto del calmiere imposto dalla legge n.
27/2012. Ma questo passaggio secondo l'ufficio legislativo
del ministero della giustizia, avrebbe rappresentato una
complicazione burocratica inutile e anche non opportuna sul
versante della spesa.
Piuttosto, secondo il parere del Consiglio di stato il
ministero potrebbe eventualmente aggiungere una formula
differente specificando che «il rispetto del vincolo è
garantito dalla stazione appaltante», formula che dicono
i giudici di Palazzo Spada «sembra più adeguatamente
soddisfare le esigenze rappresentate nei pareri e
contestualmente considera nel dovuto conto le precisazioni
ministeriali per evitare di rendere particolarmente onerosa
l'attività amministrativa» (articolo ItaliaOggi del
20.09.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Privatizzazioni, consulenze libere.
Le consulenze relative a processi di privatizzazione sono
escluse dai limiti di spesa previsti per gli incarichi. Gli
enti locali le possono quindi utilizzare per razionalizzare
le proprie società partecipate.
L'articolo 1, comma 5, del
Dl sul pubblico impiego ha infatti ridotto la spesa annua
per studi e incarichi di consulenza (inclusi quelli
conferiti a pubblici dipendenti) sostenuta dalle
amministrazioni pubbliche, ma ha contestualmente escluso dal
limite gli incarichi connessi ai processi di privatizzazione
e alla regolamentazione del settore finanziario.
La disposizione si pone in stretta correlazione con
l'articolo 6, comma 7, della legge 122/2010, di cui replica
i contenuti e che richiama, stabilendo che la riduzione va
computata applicando la vecchia norma. Tuttavia, è evidente
il rafforzamento della previsione rispetto al 2010. La nuova
disposizione esclude in modo esplicito dalla riduzione sia
le consulenze alle università e alle istituzioni di ricerca
sia quelle affidate per sviluppare i processi di
privatizzazione. La ratio della norma è chiara: le risorse
orientate su incarichi finalizzati a facilitare le
particolari operazioni permettono alle amministrazioni di
conseguire risultati che potenzialmente incidono in modo
positivo sulle proprie dinamiche economico-finanziarie.
Ma l'esclusione dal limite di spesa non determina altre
deroghe alla disciplina delle consulenze. Pertanto, le
amministrazioni locali dovranno conferire gli incarichi nel
rispetto dei presupposti e degli elementi procedurali
stabiliti dall'articolo 7, comma 6, del Dlgs 165/2001 e del
proprio regolamento sulle collaborazioni autonome. Inoltre,
la spesa deve essere ricondotta al programma annuale degli
incarichi.
Rientrano nella deroga disposta dalla Dl sul pubblico
impiego le consulenze relative a processi per la cessione
totale delle partecipazioni, per la costituzione di società
miste con socio privato operativo o per la cessione a
privati di quote societarie con finalizzazioni diverse. In
termini estensivi, la disposizione può essere riferita a
tutti i percorsi finalizzati a concretizzare forme di
partenariato pubblico-privato di lunga durata, come le gare
per l'affidamento di servizi pubblici locali che comportino
una traslazione della titolarità al gestore (articolo Il
Sole 24 Ore del 02.09.2013). |
ENTI LOCALI - INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
DECRETO-LEGGE 31.08.2013, n. 101 - Disposizioni urgenti per
il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle
pubbliche amministrazioni -
NOTA DI LETTURA LE DISPOSIZIONI DI INTERESSE PER I COMUNI
(ANCI, settembre 2013). |
agosto 2013 |
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APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROGETTUALI:
Le ricorrenti chiedono
congiuntamente il ristoro economico per la mancata (e
dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle spese sostenute
per la partecipazione alla gara.
La prima voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione
dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato
conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti
progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto
posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a
quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del
c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di
responsabilità precontrattuale dell’amministrazione
aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca
dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare
il contratto).
Le predette poste sono tra loro alternative, poiché qualora
sia riconosciuto un danno da mancata aggiudicazione, la
misura corrisponde al risultato netto patrimoniale che il
soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto
dell’affidamento illegittimamente negato, con detrazione
delle spese sostenute dal concorrente per accedere alla
selezione, poiché queste sarebbero state definitivamente a
carico dello stesso anche in caso di aggiudicazione.
La partecipazione alle gare di appalto comporta per le
imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico
delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso
di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe
comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di
affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato
nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si
ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo.
La medesima incompatibilità con il risarcimento del mancato
utile ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata
anche rispetto alla perdita di chance potenzialmente
correlabile al risarcimento della lesione dell’interesse
contrattuale negativo, in quanto dette chances riguardano le
favorevoli occasioni contrattuali di segno alternativo alla
partecipazione alla procedura di appalto della quale si
tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato
conseguimento dell’utile connesso ad una determinata
procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore
risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale
perdita di occasioni alternative alla procedura stessa.
Le ricorrenti avanzano la pretesa
risarcitoria per la mancata aggiudicazione dell’appalto di
progettazione dell’intervento di riqualificazione di Piazza
della Libertà, affidato ad altro raggruppamento di
professionisti illegittimamente collocato al primo posto
della graduatoria.
Sotto un primo versante, va sottolineato che le
ricorrenti chiedono congiuntamente il ristoro economico per
la mancata (e dovuta) aggiudicazione e il rimborso delle
spese sostenute per la partecipazione alla gara. La prima
voce fatta valere è funzionale alla reintegrazione
dell’interesse positivo, il quale consiste nel mancato
conseguimento delle utilità economiche che gli aspiranti
progettisti avrebbero ricavato dall’esecuzione del contratto
posto a gara. Viceversa le spese sostenute per partecipare a
quest’ultima costituiscono poste risarcibili nell’ambito del
c.d. interesse negativo, azionabile in ipotesi di
responsabilità precontrattuale dell’amministrazione
aggiudicatrice (ad es. in caso di illegittima revoca
dell’aggiudicazione o di ingiustificato rifiuto di stipulare
il contratto). Le predette poste sono tra loro alternative,
poiché qualora sia riconosciuto un danno da mancata
aggiudicazione, la misura corrisponde al risultato netto
patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito
per effetto dell’affidamento illegittimamente negato, con
detrazione delle spese sostenute dal concorrente per
accedere alla selezione, poiché queste sarebbero state
definitivamente a carico dello stesso anche in caso di
aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/02/2013
n. 799).
La partecipazione alle gare di appalto comporta per
le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico
delle imprese medesime, sia in caso di vittoria, sia in caso
di mancata aggiudicazione: il costo in questione sarebbe
comunque stato sostenuto dall’impresa anche in caso di
affidamento, per cui lo stesso deve ritenersi incorporato
nella differenza tra ricavi e costi all’esito della quale si
ottiene l’utile ritraibile dal servizio medesimo (Consiglio
di Stato, sez. V – 18/04/2012 n. 2258).
La medesima
incompatibilità con il risarcimento del mancato utile
ritraibile dall’esecuzione dell’appalto va registrata anche
rispetto alla perdita di chance potenzialmente correlabile
al risarcimento della lesione dell’interesse contrattuale
negativo, in quanto dette chances riguardano le favorevoli
occasioni contrattuali di segno alternativo alla
partecipazione alla procedura di appalto della quale si
tratti: il soggetto che domanda il ristoro per il mancato
conseguimento dell’utile connesso ad una determinata
procedura selettiva non può agire per cumulare un ulteriore
risarcimento inteso a tenerlo indenne dalla contestuale
perdita di occasioni alternative alla procedura stessa
(Consiglio di Stato, sez. V – 06/07/2012 n. 3966)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.08.2013 n. 738 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI:
Dal disciplinare alle società. La riforma resta ferma al palo.
Ricognizione ItaliaOggi Sette a un anno dal dpr: per i
professionisti è cambiato poco.
La riforma delle professioni compie un anno. Ma è ancora
sulla carta. Nella pratica, infatti, per ordini e
professionisti è cambiato ben poco, se non nulla: le società
tra professionisti si contano col lumicino, per le troppe
incognite sui trattamenti fiscali e previdenziali. Così come
i consigli di disciplina, non ancora partiti, soprattutto a
livello territoriale, per la difficoltà, in particolare per
le categorie tecniche, di trovare professionisti disponibili
a candidarsi. L'assicurazione obbligatoria, che entrerà in
vigore il 15 agosto, può rivelarsi un boomerang per gli
iscritti agli albi, dato che le compagnie, per le quali non
è previsto alcun obbligo di legge, possono farla da padrone
e proporre contratti anche molto onerosi o addirittura
rifiutarsi di sobbarcarsi il rischio. Insomma, a un anno
dalla sua approvazione, il dpr Severino (n. 137/2012) rimane
un cantiere ancora aperto.
È quanto emerge dalla
ricognizione di ItaliaOggi Sette, che ha passato in rassegna
i singoli ordini professionali per verificare lo stato di
attuazione della riforma. Dal canto loro, i Consigli
nazionali hanno cercato di non farsi trovare impreparati
all'appuntamento previsto dal dpr, che ha fornito loro,
appunto, 12 mesi per adeguarsi alle nuove regole. Ma
entriamo nel dettaglio.
Sistema disciplinare. L'esempio più eclatante è il
regolamento sul sistema disciplinare che le professioni
hanno dovuto approvare entro 90 giorni dall'entrata in
vigore della riforma (15.11.2012). A partire dal via
libera ministeriale di quel regolamento, poi, ogni ordine
territoriale avrebbe dovuto inviare al tribunale competente
un elenco dei componenti del consiglio di disciplina. Questo
dovrà essere composto da una quantità di nominativi pari al
doppio del numero dei consiglieri che il presidente del
tribunale è chiamato a designare. A partire da quella rosa
il presidente del tribunale dove ha sede il consiglio
nominerà i consiglieri del Consiglio di disciplina
territoriale.
Ed è stato proprio questo il punto più
controverso che ha rallentato fino ad ora la creazione del
nuovo sistema, la difficoltà di trovare (e poi di pagare)
una rosa di professionisti disponibili allo svolgimento del
compito richiesto. Di fatto ora i consigli di disciplina
territoriali si contano sulle dita di una mano, così come
quelli nazionali per i quali però le procedure sono diverse.
Questo organo è, infatti, previsto solo per alcune categorie
professionale (Agronomi e forestali, Agrotecnici, Assistenti
sociali, Biologi, Commercialisti, Consulenti del lavoro e
Tecnologi alimentari) giacché la maggior parte degli Albi è
stata costituita prima della Costituzione e conserva quindi
la giurisdizione speciale che la legge gli attribuiva.
Formazione continua e tirocinio. Per quanto riguarda la
formazione continua, già vigente in alcuni casi nel mondo
delle professioni, i regolamenti sono stati sì predisposti
ma non entreranno in vigore prima del 2014. Altro snodo
cruciale è quello del regolamento sul tirocinio non tanto
nei tempi, con il nuovo tetto a 18 mesi, ma nell'esigenza di
un passaggio ordinato tra vecchie e nuove regole. Alcune
categorie (commercialisti per esempio) avevano già attivato
un ampio sistema di convenzioni con gli atenei, con la
possibilità di incrociare il periodo di tirocinio con la
laurea specialistica: la regola dei 18 mesi attuata dal
regolamento impone naturalmente di rivedere le convenzioni
per adeguarle al nuovo calendario, ma resta da chiarire il
destino dei percorsi già attivati con le nuove regole.
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Dal 15 agosto via all'obbligo dell'rc professionale. Le
convenzioni stipulate dagli ordini.
Parte la corsa all'assicurazione.
Corsa all'assicurazione obbligatoria. È scattato infatti per
tutti i professionisti l'obbligo di stipulare una polizza
che copra i rischi della responsabilità civile
professionale. Tutti gli ordini, quindi, sia a livello
nazionale sia locale, si sono mossi per stipulare accordi e
convenzioni con agenzie di assicurazione per guidare e
tutelare i propri iscritti nella scelta della polizza, che
può rivelarsi anche molto costosa. Soprattutto perché il dpr
n. 137/2012 non prevede alcun obbligo per le compagnie.
Entriamo nel dettaglio.
Professioni giuridico-economiche. Per quanto riguarda gli
avvocati, la professione è regolamentata dalla nuova legge
di disciplina dell'ordinamento professionale forense (n.
247/2012) che da un lato, in materia di rc professionale,
recepisce quanto previsto dal dpr Severino, dall'altro però
l'assolvimento dell'obbligo è condizionato all'approvazione,
da parte del ministero della giustizia del dm sulle
condizioni essenziali e i massimali minimi. Dunque, il
termine del 15 agosto non riguarda gli avvocati. Ad ogni
modo, il Cnf ha affidato al broker Aon spa la consulenza sul
programma assicurativo.
Il Consiglio nazionale dei
consulenti del lavoro, invece, che stima attualmente circa
15 mila professionisti assicurati su un totale di 22 mila,
ha stipulato una convenzione con la compagnia Aig. I
principali accordi prevedono: il premio di assicurazione
commisurato agli introiti netti Iva contabilizzati
dall'assicurato nell'anno precedente lo stesso; l'oggetto
dell'attività professionale assicurata è relativo alla
professione nella sua interezza; retroattività illimitata se
il consulente è già assicurato, cinque anni se non è
assicurato. Quanto ai costi, invece, si parte da 270 euro
per un volume d'affari Iva fino a 40 mila euro l'anno, fino
a 3.450 euro per un volume d'affari fino a 500 mila euro.
Oltre e fino a 1,5 milioni è previsto il premio per la
fascia precedente più il 4 per mille sulla differenza del
fatturato.
Professioni tecniche. Il Collegio nazionale degli
agrotecnici, che stima a oggi circa 500-1.000 professionisti
assicurati su circa 15 mila, ha rinnovato e confermato il
contratto stipulato nel 2007 con «Aec Master broker»,
appoggiato ai Lloyd's. Copre le seguenti tre aree:
responsabilità civile, rischi del patrimonio, rischi della
persona. A questo prodotto assicurativo ne è stato aggiunto
un secondo, con Marsh Italia. Entrambi i prodotti sono
divisi per scaglioni di fatturato (si parte da 25 mila, il
più basso) e per massimali assicurabili.
Sono possibili
estensioni per settori particolari, le polizze prevedono la
retroattività. A prescindere dai due prodotti «validati» dal
Collegio nazionale, gli iscritti all'albo sono liberi di
assicurarsi con qualunque altra compagnia o broker. Il costo
è di 230-250 euro per un fatturato entro i 25 mila euro. Il Conaf ha proceduto invece ad una gara pubblica per
selezionare una compagnia per Polizza collettiva ad adesione
e la gara (aggiudicata il 23.07.2013 e sottoscritta il 2
agosto) è stata aggiudicata per due anni alla Compagnia Aig
Europe Limited.
Franchigia e premi flessibili tagliati a misura di
professionista, copertura postuma ma, soprattutto, un
disciplinare dettagliato senza clausole sulle attività del
perito industriale. La copertura assicurativa per i periti
industriali, per la prima volta estesa anche alle nuove
forme societarie parte da questi principi ed è il risultato
della collaborazione tra il Cnpi e il Broker Assicurativo
Marsh S.p.a. grazie al quale è stato siglato un accordo
quadro per una polizza sottoscritta con la compagnia Aig
Europe Limited. Il costo è di circa 400 euro annuo per un
volume di affari compreso entro i 50 mila euro e un
massimale di 250 mila euro.
Nessuna convenzione predefinita per il Consiglio nazionale
degli ingegneri che invece ha inviato una circolare in cui
sono selezionate alcune offerte segnalate in virtù della
conformità con i parametri fissati dal Cni. Le proposte in
linea con la griglia di qualità degli ingegneri sono sei:
Aec master broker, Gava broker, Link broker, Consulbrokers,
Aon e Marsh. A queste si aggiunge la polizza Willis di
Inarcassa che, al momento, rappresenta il riferimento di
tutto il mercato.
Così un professionista con fatturato di 50 mila euro dovrà
pagare, per un massimale di 500 mila euro con una franchigia
di 2.500, intorno ai 400 euro all'anno. Chi guadagna 200
mila euro dovrà, invece, pagarne almeno 1.300 per una
copertura simile. Mentre per un fatturato di 300 mila euro
si sale fino a 1.700 euro. Gli architetti, invece, si sono
affidati a un avviso pubblico per selezionare le compagnie
con le quali sottoscrivere una convenzione (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI:
I giudici estendono la responsabilità dei professionisti.
L'obbligo di assicurarsi scatta giovedì ma le sentenze hanno
tracciato la rotta.
L'obbligo di assicurarsi contro i danni provocati ai clienti
debutta solo giovedì 15 agosto, ma i professionisti devono
fare già da tempo i conti con le condanne ai risarcimenti
inflitte dai giudici. Anzi: negli ultimi anni la
giurisprudenza ha virato verso una maggiore severità nel
valutare la condotta degli iscritti agli Albi, arrivando a
censurare il mancato raggiungimento del risultato.
Obbligo non per tutti
L'obbligo di stipulare una polizza per la responsabilità
professionale è stato introdotto dalla legge 148/2011 e poi
precisato dal Dpr 137/2012, insieme agli altri interventi
dedicati al mondo delle professioni. Sempre il Dpr 137/2012
ha fatto slittare di un anno l'applicazione dell'obbligo di
assicurarsi, che in origine doveva diventare operativo ad
agosto 2012.
Ma non tutti i professionisti sono coinvolti dalla scadenza
di Ferragosto. I notai, ad esempio, sono già assicurati da
anni: già nel 1999 il Consiglio nazionale del notariato ha
stipulato una polizza che copre tutti gli iscritti e nel
2006 assicurarsi è diventato obbligatorio. Per avvocati e
medici, invece, l'appuntamento con la polizza obbligatoria è
spostato più avanti. Gli avvocati, infatti, seguono la
corsia tracciata dalla riforma forense (legge 247/2012), che
prevede le polizze professionali debbano essere stipulate in
base alle condizioni che il ministero della Giustizia deve
ancora stabilire. E ai professionisti della sanità è stata
concessa una nuova proroga di un anno, approvata nel corso
del passaggio in Parlamento per la conversione in legge del
decreto del fare (69/2013).
Tutti gli altri iscritti agli Albi, se svolgono un'attività
libero professionale organizzata, devono dotarsi di adeguate
coperture per salvaguardare il proprio patrimonio e
garantire il soddisfacimento delle pretese risarcitorie dei
clienti che si ritengono danneggiati. Chi non si assicura
commette un illecito disciplinare, sanzionato dai Consigli
nazionali, che però hanno spiegato (si veda «Il Sole 24 Ore
del lunedì» del 5 agosto) che non avvieranno i controlli
prima di settembre.
Giurisprudenza in evoluzione
Ma quali sono i casi in cui scatta la responsabilità del
professionista? Per i giudici, in linea generale, il
contratto d'opera professionale impone di garantire al
cliente non il raggiungimento comunque del risultato
auspicato, ma l'adozione della dovuta diligenza per
conseguirlo (obbligazione "di mezzi"). Ad esempio, un medico
–secondo la giurisprudenza tradizionale– non può essere
tenuto a garantire la guarigione del paziente, né un
mediatore può assicurare al cliente che l'affare che si è
assunto l'onere di promuovere venga effettivamente concluso.
I giudici, piuttosto, devono valutare se la prestazione
svolta è idonea a soddisfare l'interesse del cliente, per
poter ritenere che l'incarico professionale sia stato
eseguito a regola d'arte.
Ma negli ultimi anni la magistratura sta sempre più
valorizzando le aspettative del cliente. E, in alcuni
settori professionali, ha spostato l'ago della bilancia
verso una censura per il mancato raggiungimento del
"risultato". È il caso, ad esempio, del commercialista che,
nella redazione di una dichiarazione dei redditi, incorrere
nell'obbligo di risarcire il danno al proprio cliente legato
alle sanzioni tributarie erogate dall'Erario che verifichi
la non pertinenza di costi in detrazione perché non
documentati. Ciò anche se tali costi siano stati riportati
dallo stesso contribuente al professionista. La diligenza
del revisore contabile, dunque, si estende fino all'onere di
verificare la veridicità di quanto dichiarato dal proprio
cliente in sede di conferimento dell'incarico (si veda la
sentenza 9916/2010 della Cassazione).
Un profilo di diligenza elevato è richiesto anche
all'avvocato, chiamato a prevedere (si veda la sentenza
della Cassazione 18612/2013) anche le possibili evoluzioni
giurisprudenziali per sciogliere un contrasto. L'avvocato
deve quindi adottare a favore del proprio assistito la linea
processuale più prudenziale, tenendo anche presente la
possibilità che vengano rivisitati gli orientamenti
prevalenti circa la tematica per la quale il cliente si è
affidato alla sua assistenza.
---------------
SINDACO DI SOCIETÀ
Se viene dimostrato in giudizio il nesso causale tra
l'omesso controllo della contabilità da parte dei sindaci
della società e il fallimento, va affermata la
responsabilità professionale degli stessi professionisti.
Infatti, il danno non si sarebbe verificato se i sindaci
avessero tenuto una condotta conforme ai loro doveri e se
gli eventi successivi si fossero evoluti secondo le regole.
Perché sussista il nesso causale è necessario dimostrare che
l'omissione dei controlli aveva consentito di proseguire
l'attività e che l'effettuazione dei controlli avrebbe
consentito di evitare il danno - Cassazione, sentenza 13081
del 27.05.2013
AVVOCATO
L'opinabilità della soluzione giuridica che si prospetti al
professionista gli impone una diligenza e una perizia
adeguate alla contingenza: la scelta professionale sulla
strategia processuale da adottare deve cadere sulla
soluzione che consenta di tutelare maggiormente il cliente.
L'esistenza di un contrasto giurisprudenziale e la
compresenza di approdi non collimanti fra loro non possono
costituire esimenti dalla colpa grave per l'avvocato che
adotti la linea poi disattesa in sede di composizione del
conflitto - Cassazione, sentenza 18612 del 05.08.2013
COMMERCIALISTA
Costituisce obbligo di diligenza del commercialista nel
redigere la dichiarazione dei redditi non appostare costi
privi di documentazione o non inerenti all'anno della
dichiarazione, comportamento che radica la responsabilità
del consulente nei confronti del contribuente dichiarante e
che ne giustifica la condanna al risarcimento dei danni. Se
viola questo obbligo, il professionista deve essere
condannato a pagare la metà delle sanzioni erariali, in
virtù della colpa concorrente del contribuente - Cassazione,
sentenza 9916 del 26.04.2010
DIRETTORE DEI LAVORI
Il direttore dei lavori è responsabile, in concorso con
l'appaltatore, dei difetti dell'opera appaltata e deve
rispondere di eventuali danni verso terzi. Circa la
responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera
appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente
presta un'opera professionale in esecuzione di
un'obbligazione di mezzi e non di risultati, ma deve
utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per
assicurare il risultato che il committente si aspetta di
conseguire - Cassazione, sentenza 1218 del 27.01.2012
MEDICO
La responsabilità del medico dipendente da struttura
sanitaria pubblica o privata va ricondotta agli articoli
1218 e seguenti del Codice civile. L'inquadramento vale per
il medico e per la struttura. La Cassazione ha inquadrato la
responsabilità dell'operatore sanitario nell'ambito
contrattuale (l'accettazione del paziente in ospedale
comporta la conclusione di un contratto) e ha ravvisato
natura contrattuale anche nell'obbligazione del medico
dipendente dalla struttura verso il paziente - Tribunale di
Milano, sentenza 6757 del 2013.
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Il nodo. Complesso delimitare il danno.
Perimetro incerto per i risarcimenti.
LA DIFESA/ Necessario provare l'assoluta impossibilità di
raggiungere lo scopo o di evitare il pregiudizio al proprio
assistito.
Il professionista che commette un errore non scusabile deve
rispondere delle conseguenze arrecate al proprio cliente. Ma
come si determina il danno da risarcire? Si tratta di una
questione importante perché l'entità del danno che si
rischia di provocare in base all'attività svolta è uno degli
elementi chiave per guidare il professionista nella scelta
della polizza giusta.
Nel nostro ordinamento, chi commette un'azione illecita (e
in questa definizione rientra anche il comportamento errato
del professionista) deve risarcire tutti i danni che possono
essere messi in relazione causale diretta con la propria
condotta. Nel caso dell'attività professionale, non sempre è
agevole determinare il danno risarcibile perché le azioni e
le omissioni del professionista possono avere molteplici
conseguenze non sempre tutte riferibili alla condotta
colpevole.
Così, se è chiaro che il medico deve risarcire le lesioni
conseguenti a una propria errata tecnica operatoria, è anche
evidente che non deve rispondere delle conseguenze menomanti
legate alla malattia contratta dal paziente per causa
naturali non imputabili ad alcuno. Il problema, piuttosto, è
definire la linea di confine tra le diverse situazioni.
Anche il commercialista che sbaglia a redigere il conto
economico per il proprio assistito non è tenuto a versare al
Fisco i maggiori oneri fiscali a carico del contribuente, ma
deve risarcire il danno per le sanzioni comminate
dall'Erario come, ad esempio, gli interessi di mora sul
ritardato pagamento imputabile all'errore del
professionista.
Talvolta, prevedere i danni futuri collegati in via diretta
al l'errore non è semplice. Si pensi all'architetto che
commette un errore nella progettazione di un edificio. In
questo caso, il danno può consistere nei costi per le
modifiche strutturali che si rendano necessarie per ovviare
alle carenze del progetto. Ma l'impresa immobiliare
committente può anche subire un danno di tipo finanziario
perché, ad esempio, il tempo necessario al ripristino ad
arte del manufatto ritarda la vendita delle unità
immobiliari finite alla clientela. Mentre il notaio che non
effettua le visure catastali che attestano la libertà da
vincoli dell'unità immobiliare oggetto della compravendita
tra privati, deve risarcire, secondo la giurisprudenza (si
veda la sentenza 14865/2013 della Cassazione) tutti i danni
subiti dall'acquirente che veda inaspettatamente sottratto
alla sua disponibilità il bene pur regolarmente acquistato,
oltre agli onere fiscali e finanziari sostenuti, ad esempio,
per contrarre il mutuo.
L'assunzione di un incarico, dunque, pone il professionista
nella condizione di dover fornire al cliente il contributo
tecnico necessario a conseguire il risultato sperato. La
negligenza o l'imperizia nell'eseguire il mandato lo
espongono alla necessità di provare in un giudizio che,
anche adottando la miglior scienza, non sarebbe stato
possibile raggiungere lo scopo (perché impedito da fattori a
lui non riconducibili), o che i danni lamentati si sarebbero
comunque verificati a prescindere dell'errore commesso (tratto da Il Sole 24 Ore del
12.08.2013). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Oggetto: rettifica e aggiornamento prospetti polizza
professionale allegati alla circolare n. 250 del 12.07.2013
(Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 06.08.2013 n. 262). |
luglio 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Non è conforme a legge il
contratto di collaborazione avente ad oggetto un incarico di
lavoro autonomo occasionale (nella specie, un incarico per
la produzione di testi scientifici), conferito senza il
preventivo espletamento di una procedura comparativa atta a
garantire la maggiore partecipazione degli interessati e la
migliore selezione del personale.
Nello stesso senso, si è precisato che il ricorso, da parte
del dirigente di un ente pubblico, a personale con contratto
di lavoro autonomo è illegittimo e fonte di danno erariale
ove non costituisca il mezzo indispensabile per far fronte
ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria
e non sia inteso ad attuare obiettivi e progetti specifici,
determinati e temporanei, impossibili da realizzare con i
dipendenti in servizio presso l'amministrazione.
La giurisprudenza amministrativa, sulla stessa scia di
quella contabile, ha chiarito che sebbene non sussista una
previsione di rango legislativo che vieti l'affidamento a
studi legali dell'attività di consulenza stragiudiziale,
l'indizione di siffatta procedura selettiva rimane
un'ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste
dalle norme in materia di attività consultiva resa
dall'Avvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato ovvero
di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli
professionisti (per specifiche questioni) secondo la
procedura di cui all'art. 7, d.lg. n. 165 del 2001 (seppure
anche quest'ultima norma, avente carattere eccezionale).
... per l'annullamento della delibera della giunta
provinciale di Varese prot. n. 88612/3.6, emessa e
dichiarata immediatamente eseguibile il giorno 16.10.2012, pubblicata all'albo pretorio il 23.10.2012, con
la quale è stata disposta l'instaurazione di un rapporto di
collaborazione esterna con un giornalista professionista non
inserito nella pianta organica dell'ente, per lo svolgimento
dell'incarico di addetto stampa e responsabile editoriale
della testata giornalistica “provincia di Varese informa
online” e di ogni altro atto presupposto, connesso o
consequenziale.
...
... appare evidente che la delibera impugnata sia
illegittima per violazione dell’art. 7, co. 6,
d.lgs. 165/2001.
La norma in parola consente alle amministrazioni la
possibilità di conferire incarichi individuali, con
contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o
coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e
comprovata specializzazione anche universitaria, solo per
fronteggiare esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio e a condizione che:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale
proroga dell'incarico originario è consentita, in via
eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per
ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la
misura del compenso pattuito in sede di affidamento
dell'incarico;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione
universitaria in caso di stipulazione di contratti di
collaborazione di natura occasionale o coordinata e
continuativa per attività che debbano essere svolte da
professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che
operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri
artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto
dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di
orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione
dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10.09.2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità
di accertare la maturata esperienza nel settore.
Tale norma è stata interpretata rigorosamente dalla
giurisprudenza contabile e amministrativa, perché ha
rappresentato un primo passo verso la riduzione della spesa
pubblica e, quindi, per evitare inutili sprechi di danaro
pubblico.
Sul punto, la giurisprudenza contabile ha, ad esempio,
chiarito che non è conforme a legge il contratto di
collaborazione avente ad oggetto un incarico di lavoro
autonomo occasionale (nella specie, un incarico per la
produzione di testi scientifici), conferito senza il
preventivo espletamento di una procedura comparativa atta a
garantire la maggiore partecipazione degli interessati e la
migliore selezione del personale (cfr., Corte Conti sez.
contr., 07.05.2012, n. 10).
Nello stesso senso, si è precisato che il ricorso, da parte
del dirigente di un ente pubblico, a personale con contratto
di lavoro autonomo è illegittimo e fonte di danno erariale
ove non costituisca il mezzo indispensabile per far fronte
ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria
e non sia inteso ad attuare obiettivi e progetti specifici,
determinati e temporanei, impossibili da realizzare con i
dipendenti in servizio presso l'amministrazione (cfr., Corte
Conti sez. III, 04.05.2012, n. 339).
La giurisprudenza amministrativa, sulla stessa scia di
quella contabile, ha chiarito che sebbene non sussista una
previsione di rango legislativo che vieti l'affidamento a
studi legali dell'attività di consulenza stragiudiziale,
l'indizione di siffatta procedura selettiva rimane
un'ipotesi eccezionale rispetto a quelle ordinarie previste
dalle norme in materia di attività consultiva resa
dall'Avvocatura dello Stato e dal Consiglio di Stato ovvero
di affidamento di incarichi di collaborazione a singoli
professionisti (per specifiche questioni) secondo la
procedura di cui all'art. 7, d.lg. n. 165 del 2001 (seppure
anche quest'ultima norma, avente carattere eccezionale
(cfr., TAR Roma Lazio sez. II, 07.07.2009, n. 6527).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche il provvedimento
impugnato va annullato per violazione dell’art. 7, co. 6,
d.lgs. 165/2001.
Nel caso di specie l’amministrazione ha conferito l’incarico
di addetto stampa e responsabile editoriale della testata
giornalistica “Provincia di Varese informa on line” ad un
giornalista esterno all’ente “dopo aver valutato i carichi
di lavoro attribuiti alle risorse umane operanti nella
struttura”. Emerge nitidamente che il provvedimento non ha
motivato in relazione alle esigenze di carattere
straordinario ed eccezionale che consentono il ricorso a
figure professionisti esterne, ma si è limitato ad una mera
motivazione di stile che rende illegittimo il provvedimento
impugnato.
Ne deriva che il ricorso va accolto e il provvedimento
impugnato va annullato (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.07.2013 n. 1997 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: Arriva
la Legge di conversione del Decreto del Fare?
La Camera ha votato la fiducia al
disegno di Legge di conversione del “Decreto del fare”.
Assicurazione professionale obbligatoria dal 15.08.2013,
possibilità per i professionisti di accedere al fondo unico
di garanzia e ristrutturazioni con modifica della sagoma
tranne che in alcune zone dei centri storici sono alcune
delle novità contenute nel provvedimento.
Tra le novità più interessanti che riguardano il settore
segnaliamo:
Polizza professionale
L’obbligo di stipulare un’assicurazione professionale, che
copra eventuali danni arrecati a terzi nell’esercizio della
propria attività è confermato al 15.08.2013.
Solo i professionisti del settore sanitario beneficeranno
della proroga di un anno. Quindi, ingegneri, architetti,
geometri dovranno stipulare la polizza; al riguardo,
rinviamo alla precedente notizia di BibLus-net con il
Vademecum del CNI su come scegliere la polizza.
Fondo centrale di garanzia per i
professionisti
Gli interventi del Fondo centrale di garanzia per le piccole
e medie imprese sono estesi ai professionisti iscritti agli
ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni
professionali iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero
dello Sviluppo Economico.
I professionisti, quindi, dovrebbero avere un accesso
facilitato al credito.
Cambio di sagoma con Scia
Le demolizioni e ricostruzioni potranno avvenire senza il
rispetto della sagoma originaria e gli interventi potranno
essere realizzati con SCIA (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività). I Comuni, comunque, individueranno le zone
dei centri storici da escludere da questa semplificazione.
Fisco
Equitalia non potrà sequestrare il macchinario o il bene
mobile se l’azienda o il professionista dimostra che esso è
“strumentale” alla propria attività.
L’unica casa di abitazione non può essere pignorata.
Previste anche comunicazioni telematiche semplificate per le
Partite Iva.
Disoccupati ed esodati che non hanno più il datore di lavoro
a fare da sostituto di imposta, avranno comunque i crediti
fiscali entro l’anno rivolgendosi al Caf.
Appalti
Per le gare d’appalto bandite dopo l’entrata in vigore della
Legge di conversione e fino al 21.12.2014, l'ente pubblico
potrà anticipare all’appaltatore il 10% dell’importo
contrattuale a patto che ciò sia previsto dal disciplinare
di gara
(25.07.2013 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTAZIONE: Parametri
per le gare di progettazione: l’ultima bozza del Decreto va
al Consiglio di Stato.
Il nuovo regolamento contenente le regole per stabilire i
corrispettivi da porre a base di gare per i servizi di
ingegneria e architettura (c.d. “Decreto Parametri bis”)
ha ottenuto il via libera dal Ministero delle Infrastrutture
ed è stato inviato al Consiglio di Stato.
Il “Decreto Parametri bis” non ha avuto un iter
semplice: ricordiamo, infatti, che la prima bozza era stata
bocciata nel gennaio 2013 sia dal Consiglio Superiore dei
Lavori Pubblici che dall'Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici, poiché in certi casi i parametri
proposti potevano portare alla definizione di corrispettivi
più alti rispetto a quelli previsti dalle vecchie tariffe
professionali del D.M. 04.04.2001, oramai abrogate.
L’articolo 9 della Legge n. 27/2012 prevede, infatti, che i
nuovi parametri non debbano superare i compensi derivanti
dalle vecchie tariffe minime.
A ribadirlo è stato anche il CSLLPP auspicando che la
responsabilità della verifica di non superamento sia
affidata al Responsabile Unico del Procedimento (RUP); il
Ministero della Giustizia, però, non ha condiviso la
proposta del CSLLPP di affidare al RUP tale incombenza.
L’ultima parola sulla
bozza del Decreto passa quindi, al Consiglio di Stato
(25.07.2013 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Il decreto appalti esce dal pantano.
I parametri al Consiglio di stato.
Al Consiglio di stato il regolamento sui parametri per la
gare di appalto. Dopo il concerto del ministero delle
infrastrutture, quindi, il decreto predisposto dal ministero
della giustizia che determina «i corrispettivi a base di
gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti
all'architettura e all'ingegneria» può finalmente riprendere
il suo percorso, finora tormentato, verso l'approvazione
definitiva. Sempre che i giudici di Palazzo Spada, che
potrebbero esaminarlo già entro la fine del mese, non
trovino rilievi sostanziali.
Il nodo scoperto sta infatti
nella figura del Rup, il responsabile unico del procedimento
che, a parere (si tratta del secondo parere espresso
nell'adunanza del 17 maggio) del Consiglio superiore dei
lavori pubblici è tenuto «in fase di predisposizione degli
atti di gara, ad accertare che il corrispettivo da porre a
base di gara non superi quello derivante dall'applicazione
delle vecchie tariffe professionali vigenti prima
dell'entrata in vigore del decreto».
In sostanza, secondo il Cslp, la stazione appaltante deve provvedere a verificare
che le nuove tariffe non determinino importi a base di gara
superiori a quelli derivanti all'applicazione delle
precedenti (dm 04/04/2001), in particolare, affidando al Rup
di controllare che gli importi a base d'asta per i servizi
di architettura e ingegneria siano inferiori appunto alle
vecchie tariffe. Un passaggio inutile secondo le categorie
tecniche che attendono il provvedimento da oltre un anno, ma
anche per l'ufficio legislativo del ministero della
giustizia che ha ritenuto più opportuno «ai fini della buona
procedura amministrativa» non inserire questo passaggio che
si tradurrebbe solo in una complicazione in più anche in
termini di spesa.
La questione di non superare le vecchie tariffe era stato un
passaggio preciso esplicitato dalla legge delega. I nuovi
parametri, diceva il provvedimento governativo, avrebbero
dovuto rispettare un paletto preciso: non determinare un
importo a base di gara superiore a quello che derivava
dall'applicazione delle tariffe professionali vigenti prima
dell'entrata in vigore dello stesso decreto. Ma proprio il
superamento di questo paletto aveva bloccato l'iter del
provvedimento.
Secondo il parere del gennaio 2013 del Consiglio superiore
dei lavori pubblici (sostanzialmente condiviso con quello
dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici), infatti,
il nervo scoperto della prima bozza di provvedimento era
proprio questo: determinare onorari superiori a quelli delle
vecchie tariffe previste dal dm 04.04.2001 e quindi in
contrasto con il vincolo stabilito dalla stessa legge
delega. I valori dei parametri allegati alla bozza di
decreto interministeriale quindi furono rivisti. Il testo
tornò infatti nelle stanze dell'ufficio legislativo del
ministero della giustizia dalle quali era partito, per le
opportune modifiche. Ma solo ieri, tra le resistenze di
qualcuno e il cambio di governo, è arrivato il concerto
anche del ministero. Ora tutti confidano nella rapidità del
Consiglio di stato
(articolo ItaliaOggi del 19.07.2013). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Sentenza della corte di giustizia europea.
Tariffe anche in base al decoro professionale.
Al giudice la valutazione dei possibili effetti restrittivi
della concorrenza.
Il tariffario di una categoria che stabilisce il compenso
per una prestazione anche in base al decoro professionale
può avere effetti restrittivi della concorrenza. E quindi è
rimessa al giudice, caso per caso, la valutazione della
legittimità di un compenso che deve tenere conto anche della
tutela degli interessi del consumatore.
Un chiarimento, quello contenuto nella
sentenza
18.07.2013 n. C-136/12
emessa ieri della Corte di giustizia europea, che non
esclude a priori la validità di quei tariffari degli ordini
professionali che le liberalizzazioni del 2006 declassarono
da «inderogabili» a facoltativi. Anzi. Peccato che nel
frattempo il legislatore abbia completamente cancellato
dall'ordinamento giuridico qualsiasi riferimento alle
tariffe e rimesso al libero mercato la definizione di un
onorario professionale. Ma vediamo meglio come la Corte del
Lussemburgo è arrivata ad occuparsi del caso italiano dei
geologi.
Tutto inizia nel luglio del 2006. Con il decreto Bersani (dl
223/2006) sono aboliti, fra le altre cose, i minimi
tariffari inderogabili utilizzati fino a quel momento dagli
iscritti agli albi professionali. Nel giro di qualche mese
tutte le categorie si adeguano, ma qualcuno lo fa ponendo il
paletto del decoro. Il che vuol dire che gli iscritti non
potranno praticare prezzi stracciati in quanto è in
contrasto con il prestigio della professione alla quale si
appartiene. Fra i più convinti di questa tesi ci sono i
geologi.
Questi ultimi, però, finiscono nel mirino
dell'Antitrust che con una delibera del 23/6/2010 multa il
Consiglio nazionale per aver posto in essere un'intesa
restrittiva della concorrenza e ordina di assumere misure
atte a porre termine all'illecito riscontrato.
La battaglia in primo grado. I vertici della professione
tecnica però non ci stanno. E si rivolgono al Tar Lazio, che
respinge il ricorso presentato. I giudici amministrativi con
la sentenza n. 1757 del 25.02.2011 chiariscono che il
provvedimento dell'Antitrust è legittimo.
Il Tar però, allo
stesso tempo, ritiene viziato il provvedimento dell'Autorità
nella parte in cui si sostiene che il riferimento, nel
codice del Consiglio nazionale, al «decoro professionale»
quale criterio di commisurazione del compenso del
professionista costituisca a priori una «restrizione della
concorrenza». Obiezione, quest'ultima, impugnata al
Consiglio di stato dall'Agcm. Per motivi diversi anche il
Cng propone appello.
La battaglia in secondo grado. Nell'atto di appello, in base
all'articolo 267 del Trattato di funzionamento dell'Unione
europea (Tfue), gli avvocati del Consiglio nazionale dei
geologi chiedono (e ottengono) al Consiglio di stato di
sottoporre, in via pregiudiziale, alcune questioni alla
Corte di giustizia europea.
Una di queste è volta a chiarire
se la legislazione europea: vieti e inibisca il riferimento
alle componenti di dignità e decoro del professionista nella
composizione del compenso professionale e se comportino
effetti restrittivi della concorrenza professionale;
stabilisca se i requisiti di dignità e decoro, quali
componenti del compenso del professionista in connessione
con tariffe definite espressamente come derogabili nei
minimi, possano ritenersi finalizzati a comportamenti
restrittivi della concorrenza (si veda anche ItaliaOggi del
22/03/2012)
La sentenza della Corte di giustizia.
Nella sua sentenza di ieri i giudici hanno dichiarato che «le
regole come quelle previste dal codice deontologico relativo
all'esercizio della professione di geologo in Italia,
approvato dal Consiglio nazionale dei geologi il 19.12.2006
e modificato da ultimo il 24.03.2010, che prevedono come
criteri di commisurazione delle parcelle dei geologi, oltre
alla qualità e all'importanza della prestazione del
servizio, la dignità della professione, costituiscono una
decisione di un'associazione di imprese che può avere
effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno».
Quindi si rimanda al giudice del rinvio (il Tar) la
valutazione, alla luce del contesto globale in cui tale
codice deontologico dispiega i suoi effetti, compreso
l'ordinamento giuridico nazionale nonché la prassi
applicativa di detto codice da parte dell'Ordine nazionale
dei geologi, «se i predetti effetti si producano nel caso
di specie. Tale giudice deve anche verificare se, alla luce
di tutti gli elementi rilevanti di cui dispone, le regole
del medesimo codice, in particolare nella parte in cui fanno
riferimento al criterio relativo alla dignità della
professione, possano essere considerate necessarie al
conseguimento dell'obiettivo legittimo collegato a garanzie
accordate ai consumatori dei servizi dei geologi»
(articolo ItaliaOggi del 19.07.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: P.a., maglie strette sulle intese.
Accordi vietati se non per servizi pubblici comuni.
Gli effetti sulle amministrazioni della sentenza
del Cds
sull'affidamento degli appalti.
Vietati gli accordi fra amministrazioni se non finalizzati
all'adempimento di un servizio pubblico comune; si violano
le direttive europee se gli accordi riguardano prestazioni
comprese nelle direttive europee e un corrispettivo ancorché
limitato al rimborso dei costi; molte attività potranno
quindi essere aperte alla concorrenza privata.
È questo uno degli effetti principali che potrebbe derivare
dall'applicazione dei principi affermati dalla V Sez. del Consiglio di
Stato con la
sentenza
15.07.2013 n. 3849, pronuncia che riveste una sua particolare
importanza dal momento che gli accordi fra Amministrazioni
costituiscono, insieme al più organico e articolato sistema
del cosiddetto «in house», uno dei meccanismi attraverso i
quali le pubbliche amministrazioni evitano di mettere sul
mercato e affidare a terzi con procedure ad evidenza
pubblica contratti di lavori, forniture e servizi, spesso
anche di rilievo.
Il fatto.
La vicenda prende le mosse da un affidamento, per importo
soggetto alla normativa comunitaria (200 mila euro),
riguardante servizi di studio e valutazione della
vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere, disposto
dalla Asl di Lecce a favore dell'Università del Salento.
Dopo la sentenza di primo grado del Tar Puglia, che aveva
già dichiarato illegittimo l'affidamento diretto
dell'incarico all'Università per omesso ricorso alle
procedure di evidenza pubblica, il Consiglio di stato aveva
rimesso alla Corte di giustizia la questione della
legittimità degli accordi ex articolo 15 della legge 241/1990.
La giurisprudenza comunitaria. La Corte europea (sentenza
del 19.12.2012, causa C 159/11), aveva affermato la
violazione delle norme delle direttive appalti in quanto
l'accordo non costituiva una forma di cooperazione in comune
di attività fra due amministrazioni aggiudicatrici (così
come prevede la legge 241/90), bensì un vero e proprio
contratto di consulenza per servizi a fronte del pagamento
di un compenso per il quale occorreva procedere con gara,
ammettendo tutti gli operatori economici interessati ad
acquisire la commessa.
In precedenza la stessa Corte
(sentenza 09.06.2009, causa C-480/06) aveva ammesso forme
di collaborazione soltanto a condizione che fossero
coinvolte esclusivamente entità pubbliche; vi fosse la
realizzazione congiunta di un servizio pubblico con una
effettiva condivisione di compiti pubblici e responsabilità;
non vi fossero trasferimenti finanziari, a parte quelli
corrispondenti ai costi effettivi sostenuti per le
prestazioni; fosse assente ogni interesse di natura
commerciale. Prima ancora (sentenza 13.01.2005, causa
C-84/03), invece, era stato sostenuto che l'istituto
dell'accordo interamministrativo non potesse essere
utilizzato quale strumento di elusione della normativa in
materia di evidenza pubblica.
Il nodo dell'esercizio «in comune» di una attività. Il punto
rispetto al quale ruota la questione della legittimità degli
accordi fra Amministrazione è quello della configurabilità
di una cooperazione tra enti pubblici «finalizzata a
garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico
comune a questi ultimi». L'art. 15 della legge n. 241/1990
contempla una delle possibili forme di cooperazione tra enti
pubblici, comunque imperniato sul carattere «comune» delle
attività il cui svolgimento viene con essa disciplinato. Il
Consiglio di stato premette che le direttive europee come
prima finalità hanno quella di imporre alle amministrazioni
il rispetto della concorrenza laddove debbano affidare
attività economicamente contendibili e, conseguentemente, in
negativo, escludere l'applicazione delle regole di gara
quando non vi siano rischi di distorsioni del mercato
interno.
Se questo è il presupposto, affermano i giudici,
allora gli accordi tra pubbliche amministrazioni previsti
dalla legge generale sul procedimento amministrativo,
legittimi sotto il profilo comunitario e nazionale, sono
necessariamente soltanto quelli aventi la finalità di
disciplinare attività non deducibili in contratti di diritto
privato, perché non inquadrabili in alcuna delle categorie
di prestazioni elencate nell'allegato II-A alla direttiva
appalti n. 2004/18. Pertanto all'interno dell'articolo 15
sono riconducibili quegli accordi il cui contenuto e forma
siano finalizzati a regolare le rispettive attività
funzionali, purché di nessuna di queste possa appropriarsi
uno degli enti stipulanti.
Chiarita l'incerta giurisprudenza del Consiglio di stato. Il
Consiglio di stato attribuisce alla pronuncia della Corte di
giustizia relativa al caso esaminato, anche un'importante
valenza di chiarimento del contrasto tra i principi
comunitari da un lato e alcune pronunce della stessa quinta
sezione che avevano reputato legittimo l'affidamento a
titolo oneroso tra pubbliche amministrazioni di un servizio
ricadente tra i compiti di uno degli enti (sentenze n.
1707/2007; n. 4539/2010; n. 6548/2010).
In questo caso
assume valenza, oltre ai principi già illustrati, anche il
profilo del corrispettivo: afferma infatti il Consiglio di
stato che qualora un'amministrazione si ponga rispetto
all'accordo come operatore economico-prestatore di servizi a
fronte di un corrispettivo «anche non implicante il
riconoscimento di un utile economico ma solo il rimborso dei
costi, non è possibile parlare di una cooperazione tra enti
pubblici per il perseguimento di funzioni di servizio
pubblico comune, ma di uno scambio tra i medesimi» e,
quindi, si è in presenza di un contratto soggetto alle
direttive, da affidare con gara
(tratto da ItaliaOggi Sette del del
19.08.2013). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Oggetto: informativa sull'obbligo di stipula di polizza
professionale (Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
circolare 12.07.2013 n. 250). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Dagli architetti i modelli di contratto per le prestazioni
professionali.
Il Decreto Liberalizzazioni (D.L. 1/2012 convertito in Legge
27/2012 e s.m.i.) ha abrogato definitivamente le tariffe
professionali regolamentate nel sistema ordinistico e ha
previsto che il compenso per la prestazione debba essere:
●
pattuito al momento del conferimento dell’incarico
●
adeguato all’importanza dell’opera
●
adeguato alla prestazione da eseguire
Il professionista, quindi, è tenuto ad informare il cliente,
attraverso un preventivo, su misura del compenso, grado di
complessità dell’incarico, oneri e spese ipotizzabili e a
specificare mediante un contratto la natura e la complessità
della prestazione.
Per agevolare i progettisti nella redazione dei contratti,
il Consiglio Nazionale degli Architetti ha pubblicato una
raccolta di Contratti-tipo utili all’attività professionale.
Gli esempi proposti sono i seguenti:
●
contratto architetto collaboratore
●
contratto coworking
●
contratto architetto committente privato
●
contratto architetto committente privato collaudo
●
contratto architetto sola determinazione del compenso
●
contratto architetto domiciliazione
●
contratto RTP
●
contratto avvalimento
●
contratto rete
(11.07.2013 - link a www.acca.it). |
giugno 2013 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Contratti.
Sì a clausole sospensive.
Il compenso del tecnico può essere vincolato.
Per la Cassazione la clausola che condiziona il compenso di
professionisti, ingegneri e architetti, al reperimento di
finanziamenti da destinare alla realizzazione di un'opera
pubblica non è affetta da nullità.
Per la Suprema corte le parti di un rapporto contrattuale
possono prevedere, nell'esercizio dell'autonomia privata,
che l'efficacia di un'obbligazione giuridica resti
condizionata, in senso sospensivo o risolutivo,
all'avverarsi di un evento futuro e incerto (articoli 1322-
1353 del Codice civile).
Con la
sentenza
24.06.2013 n. 15786, la Corte di Cassazione -Sez.
II civile-
interviene a difesa del primato della fonte contrattuale;
pertanto il compenso spettante al professionista, ancorché
elemento naturale del contratto di prestazione d'opera
intellettuale, sarebbe liberamente determinabile dalle
parti, salvi i casi di indisponibilità in base a tariffe.
Sul tema (e giungendo alle stesse conclusioni) si era in
precedenza espressa la stessa Corte, a sezioni unite, con la
sentenza 18450/2005, con cui veniva dichiarata valida la
clausola sospensiva ai sensi della quale il pagamento del
compenso ad un ingegnere da parte di un ente pubblico veniva
condizionato alla concessione di un finanziamento per la
realizzazione del l'opera da progettare.
Nella normativa concernente le professioni di ingegnere ed
architetto manca una disposizione espressa diretta a
sanzionare con la nullità eventuali clausole in deroga ai
minimi tariffari, pertanto la tariffa rappresenta una fonte
sussidiaria e suppletiva, alla quale si può ricorrere ai
sensi dell'articolo 2233 del Codice civile solo in assenza
di pattuizioni al riguardo.
Il principio di inderogabilità della tariffa è infatti
diretto a evitare che il professionista possa essere indotto
a prestare la propria opera a condizioni lesive della
dignità professionale, ma non può tradursi in norma
imperativa idonea a rendere invalida qualunque patto in
deroga, allorché questa sia stata attentamente valutata
dalle parti nell'ambito di una libera ponderazione dei
rispettivi interessi.
In presenza di condizione sospensiva, il contratto non può
pertanto considerarsi a titolo gratuito; il negozio d'opera
professionale resta oneroso ma in esso è introdotto per
volontà dei contraenti un elemento ulteriore, cioè un evento
che condiziona il pagamento del compenso al finanziamento
dell'opera, in assenza del quale la prestazione non può
essere eseguita.
La sentenza conferma anche per il settore pubblico la
validità di formule contrattuali poste a tutela degli
interessi collettivi, purché inserite in contratti
liberamente sottoscritti dalle parti
(articolo Il Sole 24 Ore del 22.07.2013).
---------------
Il compenso per prestazioni
professionali va determinato in base alla tariffa ed
adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso
non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233
cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i
vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo
rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia
intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di
quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli
usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non
operano i criteri di cui all'art. 36, primo comma, Cost.,
applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato.
La violazione dei precetti normativi che impongono
l'inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli
ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge
05.05.1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418,
primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto
trattasi di precetti non riferibili ad un interesse
generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un
interesse della categoria professionale
(massima tratta da www.neldiritto.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sullo svolgimento, in modo continuativo sin dal
2007, dell'attività istituzionale dell'ente
(supporto all'ufficio tecnico comunale per
l'evasione di pratiche edilizie) affidata ad un
tecnico esterno.
Occorre indicare quali sono in linea generale i
presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi
esterni” (presupposti di carattere sostanziale e
procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello
svolgimento dell’attività di controllo attribuitale
dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7 T.U. Pubb. Imp.
(modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi
sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008)
qualifica <<come presupposti di legittimità
tutti i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza
contabile necessari per il ricorso ad incarichi di
collaborazione o di studio>> e cioè:
1) La
rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già
chiarito che <<il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge o previste dal programma approvate dal Consiglio
dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000>>.
2)
L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione,
della figura professionale idonea allo svolgimento
dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione.
3) L’indicazione
specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell’incarico.
4) L’indicazione della
durata dell’incarico.
5) La
proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e
l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare
che <<il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008, unificando
ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui all’art. 89
del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di collaborazione
autonoma, ha eliminato l’obbligo di individuare nel
regolamento il livello massimo di spesa sostenibile per
taluni di essi, prevedendo invece la fissazione del limite
massimo annuale nel bilancio preventivo degli enti
territoriali. E’, pertanto, necessario accertare in sede di
conferimento degli incarichi l’esistenza di un apposito
stanziamento di spesa ed il rispetto del suo limite>>.
6) Il
requisito della “comprovata specializzazione universitaria”:
le amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte
con personale in servizio, possono conferire incarichi
individuali (con contratti di lavoro autonomo professionale,
occasionale o di collaborazione coordinata e continuativa) a
esperti “di particolare e comprovata specializzazione
universitaria”.
7)
Obbligo di motivazione della determina con cui viene
affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti
hanno già ricordato che <<l’atto di incarico deve contenere
tutti gli elementi costitutivi ed identificativi previsti
per i contratti della Pubblica Amministrazione ed in
particolare oggetto della prestazione, durata dell’incarico,
modalità di determinazione del corrispettivo e del suo
pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento
del risultato. Quest’ultima verifica è peraltro
indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo
dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere di incarico>>.
8) La
valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei
conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno
ribadito che le disposizioni della legge 311/2004
(finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo
interno di revisione, non sono state né abrogate
esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono
incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente,
pertanto tale obbligo permane.
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione
riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità
nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla
gestione di pertinenza della magistratura contabile.
L’intervento del revisore contabile è necessario quale
titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di
raccordo con gli organi di controllo esterno.
9) L’obbligo di
seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione. Di fatto, però,
la norma è stata disattesa dalla maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato
che <<l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata>>.
10) L’obbligo
pubblicazione degli elenchi sul sito web.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127,
art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni
(anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori
esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è
previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i
relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti
percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare
erogato.
---------------
L'amministrazione comunale deve attenersi
all’insegnamento delle Sezioni Riunite della Corte
dei Conti secondo cui: “fermo restando il limite
della spesa storica riferito al 2004, gli enti non
sottoposti alle regole del patto di stabilità
possono procedere, ai sensi del combinato disposto
dei commi 557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge
27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e
dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112/2008,
all’instaurazione in via temporanea ed occasionale
di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma anche se non vi siano
state corrispondenti cessazioni di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma abbiano carattere
temporaneo nelle more di un’adeguata programmazione
del personale e di una riorganizzazione degli uffici
in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili
venga assicurato, prioritariamente e a regime,
mediante la previsione in organico di adeguato e
qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non
costituisca occasione di elusione dei limiti di
spesa previsti in tema di contenimento di spesa
pubblica, ed in particolare di incarichi di
consulenza”.
Dunque, questa Sezione rileva che la criticità
denunciata dall’amministrazione comunale (carenza di
dipendente con una professionalità idonea a svolgere
le funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere
affrontata eludendo i vincoli di finanza pubblica in
materia di spesa per il personale e violando le
norme sull’affidamento all’esterno degli incarichi
professionali (art. 7 TUPI).
Piuttosto, l’ente locale dovrebbe attivarsi per
valutare se attraverso lo strumento della gestione
in forma associata con altri comuni possa svolgere
la funzione de qua senza incappare nelle violazioni
di legge sin qui evidenziate.
---------------
Nel corso dell’esame del questionario inviato dal Comune di
Porto Valtravaglia in merito al consuntivo per l’anno 2011,
il Magistrato Istruttore, avviata un’indagine sul
mancato rispetto dei vincoli finanziari posto dall’art. 6
D.L. n. 78/2010 (riduzione dell’80% della spesa sostenuta
nell’anno 2009 per studi e consulenze), rilevava che <<dalla
documentazione allegata emerge che il geom. C. svolge, in
modo continuativo sin dal 2007, attività istituzionale
dell'ente (supporto all'ufficio tecnico comunale per
l'evasione di pratiche edilizie)>>.
Sulla scorta di detto rilievo, dunque, il Magistrato
Istruttore chiedeva all'ente locale di chiarire se la spesa
sostenuta fosse stata <<computata in quella per il
personale e se per il "rinnovo" dell'incarico per l'anno
2011>> fosse stata espletata <<una nuova procedura
compartiva rispetto a quella che risulta dalla determina n.
37 del 26.02.2007 per il triennio 2007-2009>>.
Il revisore dei conti comunicava che <<la spesa del
professionista non è stata computata tra le spese del
personale ma non allo scopo di eludere il vincolo di spesa
che è rispettato anche includendo l’intero costo del
professionista>>. Il revisore, inoltre, aggiunge che <<per
l’assegnazione dell’incarico al professionista C.C. per
l’anno 2011 non è stata espletata la procedura comparativa>>.
Il Magistrato Istruttore, sulla scorta della risposta del
revisore, chiedeva al Presidente della Sezione di convocare
in adunanza l’ente locale per l’esame collegiale della
vicenda.
Prima dell’adunanza l’ente locale inviava memoria in cui
confermava il mancato espletamento di procedura comparativa
in sede di affidamento dell’incarico anche per l’anno 2012
al medesimo professionista. Aggiungeva, però, che per l’anno
2012 la spesa sostenuta per l’incarico era stata computata
in quella per il personale. La mancata acquisizione del
parere del revisore e il mancato invio della determina alla
Corte ai sensi dell’art. 1, comma 173, l. n. 266/2005
venivano ascritti ad “una mera dimenticanza”.
All’adunanza del 05.06.2013 sono intervenuti in
rappresentanza del Comune di Porto Valtravaglia il Sindaco,
il Segretario comunale, il Responsabile del Servizio
Finanziario e il Responsabile dell’ufficio tecnico.
...
Le recenti novelle legislative che hanno
inciso sulla disciplina degli atti di affidamento delle
consulenze da parte degli enti locali sono accomunate da un
unico principio ispiratore: l’amministrazione deve svolgere
le sue funzioni con la propria organizzazione e il proprio
personale; conseguentemente, il ricorso a rapporti di
collaborazione con <<soggetti esterni è consentito solo
nei casi previsti dalla legge, od in relazione ad eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica
esistente>>
(in questo senso, si veda la sentenza della Corte Conti, II
sez. app., del 20.03.2006).
La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle
collaborazioni negli ultimi anni hanno spinto il legislatore
ad intervenire in materia con disposizioni restrittive ai
fini del contenimento della spesa. Si vedano, ad esempio, le
disposizioni di cui agli artt. 34 della legge 27.12.2002, n.
289, 3 della legge 24.12.2003, n. 350 e 1, commi 9 e 11, del
d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito con legge 30.07.2004, n.
191 (sostituite, a decorrere dal 01.01.2005, dall’articolo
1, commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n. 311)
con l’introduzione di fattispecie tipizzate di
illecito amministrativo contabile, per cui la violazione del
disposto normativo <<… costituisce illecito disciplinare
e determina responsabilità erariale>>.
Da ultimo, poi, si richiama la lettera dell’art. 6, comma 7,
del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che
recita: <<al fine di valorizzare le
professionalità interne alle amministrazioni a decorrere
dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di
consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1
della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità
indipendenti, escluse le università, gli enti e le
fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli
incarichi di studio e di consulenza connessi ai processi di
privatizzazione e alla regolamentazione del settore
finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di
quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi
in assenza dei presupposti di cui al presente comma
costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità
erariale>>.
In questo quadro normativo va contestualizzata la funzione
di controllo esercitata dalle sezioni regionali della Corte
dei Conti sugli atti di affidamento di consulenze esterne;
funzione che la magistratura contabile svolge su due
livelli, ovvero su quello più generale che investe
l’esercizio della potestà regolamentare dell’ente locale
conferente, nonché su quello più specifico che attiene la
singola determina di affidamento dell’incarico.
I) Il controllo della sez. regionale della Corte dei
Conti sui regolamenti adottati dagli Enti locali per
l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma.
Con riferimento all’attività di controllo che la Corte dei
Conti esercita a livello di regolamentazione adottata dagli
enti, in questa sede, è sufficiente ricordare che l’art. 3
della legge Finanziaria per l’anno 2008 (legge 24/12/2007 n.
244), come sostituito dall’art. 46, comma 3, D.L.
25.06.2008, n. 112 e relativa legge di conversione, al comma
56 recita che <<con il regolamento di
cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18.08.2000, n.
267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle
disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per
l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che
si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La
violazione delle disposizioni regolamentari richiamate
costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità
erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi
di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo degli
enti territoriali>>.
Il successivo comma 57, poi, sancisce che <<le
disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono
trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo
della Corte dei conti entro trenta giorni dalla loro
adozione>>.
Questa Sezione con le deliberazioni
37/2008, 224/2008 e 37/2009 ha individuato alcuni principi
che devono informare le disposizioni regolamentari in
materia (si vedano
anche le più recenti, Lombardia/715/2010/REG del 30.06.2010
e Lombardia/967/2010/REG del 22.10.2010).
Nel caso di specie, tuttavia, la verifica di questa Sezione
si incentra sulla singola determina di affidamento di
incarico esterno di cui si è detto in premessa;
conseguentemente, è opportuno soffermarsi sui presupposti di
carattere procedimentale e sostanziale che devono ricorrere
per qualificare come conforme alla disciplina la determina
in parola.
II) Il controllo delle sezioni regionali sulle singole
determine di affidamento di incarichi a soggetti esterni
alle amministrazioni locali.
L’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n.266, ha
previsto che gli atti di spesa relativi ai precedenti commi
9, 10, 56 e 57 di importo superiore a 5.000 euro devono
essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei
conti per l'esercizio del controllo successivo sulla
gestione. La finalità di tale previsione normativa è
riconducibile all’accertamento, di tipo collaborativo, da
parte della Corte, dell’idoneità dell’attività
amministrativa posta in essere dagli enti locali a
raggiungere determinati risultati, attraverso una verifica
della sua efficacia, efficienza ed economicità, che non può
comunque prescindere da un riscontro della conformità della
stessa a norme giuridiche.
Questa Sezione ha già affermato che <<l’accertamento
dell’illegittimità per il mancato rispetto di una o più dei
requisiti di legge (talora verificabile nei limiti di
sindacabilità di scelte discrezionali) comporta da un lato
l’obbligo di rimuovere, ove possibile, l’atto con un
provvedimento di secondo grado e dall’altro la
responsabilità del soggetto che lo ha posto in essere>>
(Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 244/2008).
Si aggiunga che un utilizzo improprio delle
collaborazioni esterne per ricoprire uffici dell’ente è
fonte di responsabilità. Questo principio -affermato dalla
giurisprudenza contabile in materia di conferimento di
incarichi esterni nella P.A.- è stato recentemente fatto
proprio dal legislatore nell'articolo 22, comma 2, della
legge n. 69 del 2009, e poi dall'articolo 17, comma 27,
della legge n. 102 del 2009, che hanno novellato l’articolo
7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.
Nel nuovo art. 7 T.U. Pubbl. Imp., infatti, è stato previsto
che il ricorso a contratti di
collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento
di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come
lavoratori subordinati è causa di responsabilità
amministrativa per il dirigente che ha stipulato i
contratti.
Prima di procedere alla verifica di conformità alla
disciplina giuridica vigente dell’incarico esterno conferito
dall’amministrazione comunale di Cardano al Campo,
occorre indicare quali sono in linea generale i
presupposti di legittimità per il conferimento di “incarichi
esterni” (presupposti di carattere sostanziale e
procedimentale) che la Corte dei Conti valuta nello
svolgimento dell’attività di controllo attribuitale
dall’art. 1, comma 173, della legge 23.12.2005, n. 266.
Il nuovo testo del sesto comma dell’art. 7
T.U. Pubb. Imp.
(modificato dall’art. 3, comma 76, della l. n. 244/2007, poi
sostituito dall’art. 46, comma 1, d.l. n. 112/2008)
qualifica <<come presupposti di legittimità tutti
i requisiti già ritenuti dalla giurisprudenza contabile
necessari per il ricorso ad incarichi di collaborazione o di
studio>> (Sez.
Contr. Reg. Lombardia, delib. n. 224/2008):
1) La
rispondenza dell’incarico agli obiettivi
dell’amministrazione.
In merito a questo presupposto, questa Sezione ha già
chiarito che <<il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge o previste dal programma approvate dal Consiglio
dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000>>
(Sez. contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009, nonché Sez. Reg.
Lombardia, n. 244/2008).
2)
L’inesistenza, all’interno della propria organizzazione,
della figura professionale idonea allo svolgimento
dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione.
3)
L’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo
svolgimento dell’incarico.
4)
L’indicazione della durata dell’incarico.
5) La
proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e
l’utilità conseguita dall’amministrazione.
Sotto il profilo della spesa è, tuttavia, doveroso ricordare
che <<il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008,
unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui
all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di
collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di
individuare nel regolamento il livello massimo di spesa
sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la
fissazione del limite massimo annuale nel bilancio
preventivo degli enti territoriali. E’, pertanto, necessario
accertare in sede di conferimento degli incarichi
l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa ed il
rispetto del suo limite>> (Sez. contr. Reg. Lombardia,
n. 37/2009).
6) Il
requisito della “comprovata specializzazione
universitaria”: le amministrazioni, per esigenze cui non
possono far fronte con personale in servizio, possono
conferire incarichi individuali (con contratti di lavoro
autonomo professionale, occasionale o di collaborazione
coordinata e continuativa) a esperti “di particolare e
comprovata specializzazione universitaria”.
7)
Obbligo di motivazione della determina con cui viene
affidato l’incarico esterno.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (delib. n. 6/2005)
hanno già ricordato che <<l’atto di incarico deve
contenere tutti gli elementi costitutivi ed identificativi
previsti per i contratti della Pubblica Amministrazione ed
in particolare oggetto della prestazione, durata
dell’incarico, modalità di determinazione del corrispettivo
e del suo pagamento, ipotesi di recesso, verifiche del
raggiungimento del risultato. Quest’ultima verifica è
peraltro indispensabile in ipotesi di proroga o rinnovo
dell’incarico. In ogni caso tutti i presupposti che
legittimano il ricorso alla collaborazione debbono trovare
adeguata motivazione nelle delibere di incarico>> (Sez.
contr. Reg. Lombardia, n. 37/2009).
8) La
valutazione del revisore o del collegio dei revisori dei
conti.
In numerose delibere le Sezioni Regionali di Controllo hanno
ribadito che le disposizioni della legge 311/2004
(finanziaria 2005) concernenti la valutazione dell’organo
interno di revisione, non sono state né abrogate
esplicitamente dalla finanziaria per l’anno 2006 né sono
incompatibili con la disciplina intervenuta successivamente,
pertanto tale obbligo permane (Corte Conti, sez. reg. contr.
Lombardia, delib. n. 231/2009/par. del 14.05.2009; Corte
Conti, sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par.
del 23.04.2010; contra, ma con affermazione apodittica,
delibera in data 17.02.2006 della Sezione delle Autonomie).
L’obbligo di verifica da parte dell’organo di revisione
riguarda il singolo atto di spesa e assolve a finalità
nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla
gestione di pertinenza della magistratura contabile.
L’intervento del revisore contabile è necessario quale
titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di
raccordo con gli organi di controllo esterno (Corte Conti,
sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 506/2010/par. del
23.04.2010; Sez. Contr. Reg. Piemonte, parere n. 23 del
18.03.2010).
9)
L’obbligo di seguire procedure comparative.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Di fatto, però, la norma è stata disattesa dalla
maggior parte degli enti.
Una parte della Giurisprudenza amministrativa ha ricordato
che <<l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di
collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica
amministrazione non può prescindere dal preventivo
svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente
pubblicizzata>> (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
10)
L’obbligo pubblicazione degli elenchi sul sito web.
La legge finanziaria per il 2008 modificando il comma 127,
art. 1, della legge n. 662/1996, impone alle amministrazioni
(anche gli enti locali) che si avvalgono di collaboratori
esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è
previsto un compenso, di pubblicare sul proprio sito web i
relativi provvedimenti, con l’indicazione dei soggetti
percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare
erogato.
III) Profili di non conformità a legge della determina di
affidamento di incarico oggetto della presente
deliberazione.
La determina del responsabile dell’area tecnico-manutentiva
del Comune di Porto Valtravaglia n. 10, del 17.02.2011,
avente per oggetto il conferimento di <<tutte le attività
in materia di edilizia privata ed in particolare
l'istruttoria, la gestione e il controllo delle pratiche
edilizie>>, presenta sia vizi sostanziali sia vizi
procedimentali; dunque il Comune di Porto Valtravaglia,
contravvenendo ai principi in precedenza esposti, ha fatto
ricorso all’istituto della collaborazione professionale
esterna in violazione di norme di legge.
Alla luce di quanto già esposto nella prima parte di questa
deliberazione, il Comune di Porto Valtravaglia ha violato le
seguenti norme di legge:
1) violazione del comma 173 dell’art. 1, della legge n. 266/2005
(legge finanziaria per il 2006) che impone agli enti locali
l’obbligo di acquisire il parere del revisore dei conti e,
quando l’atto di spesa supera la spesa annua di cinquemila
euro, di trasmettere l’affidamento dell’incarico di studio o
di consulenza alla sezione regionale di controllo
territorialmente competente.
La violazione della norma che impone l’obbligo di invio alla
Corte dei Conti dell’atto di spesa è riscontrabile
documentalmente (infatti, solo dopo specifica richiesta
istruttoria del Magistrato Istruttore, l’amministrazione di
Porto Valtravaglia ha comunicato di aver conferito
l’incarico di collaborazione professionale). Come emerge
dalla determina di affidamento in esame “la relativa
spesa complessiva di € 24.910,08=, IVA e CIPAG 4% compresi”
è stata “impegnata ed imputata all'intervento 1010603,
capitolo 5010370” del Bilancio di previsione 2011.
Altresì riscontrabile documentalmente è la mancata
acquisizione del parere del revisore dei conti (per la
necessità della sua acquisizione si rimanda a quanto detto
al n. 8 del paragrafo II della presente motivazione).
2) violazione dell’art. 7 TUPI che impone lo svolgimento di
procedure comparative per l’affidamento dell’incarico
esterno.
Ogni Amministrazione deve adottare e rendere pubbliche le
procedure comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione (comma 6-bis, art. 7, D.Lg.vo n. 165/2001).
Tale obbligo è considerato dalla giurisprudenza
amministrativa un adempimento essenziale per la legittima
attribuzione di incarichi di collaborazione (TAR Puglia n.
494/2007). Infatti, <<l'affidamento di incarichi di
consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti
esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere
dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa
adeguatamente pubblicizzata>> (Cons. St., sent. 28.05.2010, n. 3405).
Il revisore ha affermato che <<per l’assegnazione
dell’incarico al professionista C.C. per l’anno
2011 non è stata espletata la procedura comparativa>>.
In sede di adunanza è stato accertato che anche l’incarico
affidato nel corso del 2012 è avvenuto in violazione di
detta regola.
In proposito questa Sezione ribadisce che l’art. 7 TUPI che
impone l’espletamento di procedure comparative a prescindere
dall’importo pattuito. Detta regola trova solo tre tassative
eccezioni (“procedura comparativa andata deserta”; “unicità
della prestazione sotto il profilo soggettivo”; “assoluta
urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della
consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un
evento eccezionale”). Dunque, poiché nel caso di specie
non ricorre nessuna di queste tre ipotesi aventi carattere
eccezionale, questa Sezione ritiene che il Comune di Porto
Valtravaglia, avendo proceduto all’affidamento diretto
dell’incarico, abbia violato il disposto dell’art. 7 TUPI
che impone l’espletamento di una procedura comparativa per
la selezione dell’affidatario di un incarico esterno.
3) Violazione dell’art. 7 TUPI in merito alla durata
dell’incarico e al contenuto delle mansioni affidate
esternamente.
La durata del rapporto intercorso tra il Comune di Porto
Valtravaglia e il geom. C. (ovvero, primo incarico
triennale dal 2007 al 2010 e successivi incarichi annuali
nel 2011 e nel 2013) non risponde ai principi più volte
ribaditi dalla Magistratura contabile (ex multis
Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del
Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delibera n.
SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 e la delibera n. 24/2011)
secondo cui la durata dei contratti di collaborazione (ex
art. 7, c. 6, del d.lgs. n.165/2001) devono avere <<natura
temporanea, in quanto conferiti allo scopo di sopperire ad
esigenze di carattere temporaneo per le quali
l’amministrazione non possa oggettivamente fare ricorso alle
risorse umane e professionali presenti al suo interno. Al
riguardo, infatti, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente
in materia considera l’incarico di collaborazione coordinata
e continuativa non rinnovabile e non prorogabile, se non a
fronte di un ben preciso interesse dell’Amministrazione
committente, adeguatamente motivato ed al solo fine di
completare le attività oggetto dell’incarico, limitatamente
all’ipotesi di completamento di attività avviate contenute
all’interno di uno specifico progetto>>.
Infatti, l’istituto giuridico della proroga deve essere
collegato alla possibilità che il progetto, per il quale è
stato conferito l’incarico, non venga portato a compimento.
La <<proroga si configura, essenzialmente, come
spostamento in avanti del termine contrattuale, e, dunque,
come una sorta di ultra-attività del contratto originario>>
(delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012 cit.).
Chiarito che è manifestamente illegittimo l’incarico
professionale “protratto per anni”, si osserva che
nel caso di specie questa Sezione formula dubbi sulla
possibilità di qualificare l’incarico de quo come contratto
co.co.co. a progetto. Infatti, <<la necessità di
ricorrere ad un incarico di collaborazione di tipo
coordinato e continuativo, invero, deve costituire un
rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari,
per le quali l’Amministrazione necessiti dell’apporto di
specifiche competenze professionali esterne, in quanto non
rinvenibili al suo interno>> (Sezione Centrale del
controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle
Amministrazioni dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV
del 13.01.2012).
Nel caso di specie non è riscontrabile il presupposto di
eccezionalità, in quanto la necessità di un dipendente con
professionalità tecniche per l’ente locale rappresenta una
esigenza organizzativa che si configura come permanente. Ne
consegue che l’ente locale conferente non può fare ricorso
all’affidamento di incarichi a soggetti estranei per lo
svolgimento di funzioni ordinarie, attribuibili a personale
che dovrebbe essere previsto in organico, altrimenti questa
esternalizzazione si tradurrebbe in una forma atipica di
assunzione, <<con conseguente elusione delle disposizioni
in materia di accesso all’impiego nelle Pubbliche
amministrazioni, nonché di contenimento della spesa di
personale>> (Sezione Centrale del controllo di
legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni
dello Stato, delibera n. SCCLEG/1/2012/PREV del 13.01.2012).
D’altra parte, nel corso dell’istruttoria è emerso che c’è
un dipendente assegnato al funzionamento dell’ufficio
tecnico comunale, anche se in convenzione con il Comune di
Grantola.
Si aggiunga che la spesa per l’incarico de quo, non è
stata inserita nelle spese per il personale per l’anno 2011.
In conclusione, l’amministrazione comunale
deve attenersi all’insegnamento delle Sezioni Riunite della
Corte dei Conti
(delibera n. 20 del 04.04.2011) secondo cui: “fermo
restando il limite della spesa storica riferito al 2004, gli
enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità
possono procedere, ai sensi del combinato disposto dei commi
557, 557-bis e 562 dell’art. 1 della legge 27.12.2006 n. 296
(legge finanziaria per il 2007) e dell’art. 76, comma 7, del
d.l. n. 112/2008, all’instaurazione in via temporanea ed
occasionale di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa o per programma anche se non vi siano state
corrispondenti cessazioni di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, a condizione che:
- detti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
o per programma abbiano carattere temporaneo nelle more di
un’adeguata programmazione del personale e di una
riorganizzazione degli uffici in forma associata;
- l’esercizio di funzioni pubbliche indefettibili venga
assicurato, prioritariamente e a regime, mediante la
previsione in organico di adeguato e qualificato personale;
- il ricorso a tali forme di collaborazione non costituisca
occasione di elusione dei limiti di spesa previsti in tema
di contenimento di spesa pubblica, ed in particolare di
incarichi di consulenza”.
Dunque, questa Sezione rileva che la
criticità denunciata dall’amministrazione comunale (carenza
di dipendente con una professionalità idonea a svolgere le
funzioni dell’ufficio tecnico) non può essere affrontata
eludendo i vincoli di finanza pubblica in materia di spesa
per il personale e violando le norme sull’affidamento
all’esterno degli incarichi professionali (art. 7 TUPI).
Piuttosto, l’ente locale dovrebbe attivarsi per valutare se
attraverso lo strumento della gestione in forma associata
con altri comuni possa svolgere la funzione de qua
senza incappare nelle violazioni di legge sin qui
evidenziate
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 17.06.2013 n. 243). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PROGETTUALI:
INDAGINE CAMPIONARIA INCARICHI ESTERNI AFFIDATI
DAGLI ENTI LOCALI VENETI NEL TRIENNIO 2009–2011.
---------------
L'indagine della
Corte dei Conti del Veneto la possiamo definire un
utilissimo vademecum sul come, quando e perché affidare
legittimamente incarichi professionali/progettuali
all'esterno dell'Ente senza incappare nel possibile
risarcimento del danno circa il modus operandi non conforme
alla legge.
Buona lettura e, soprattutto, memorizzate ogni singola
parola ...
02.12.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
INDICE
SEZIONE I
PREMESSA E QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO |
§1. Quadro normativo di riferimento
§2. Affidamento di incarico, sana gestione e comportamenti
elusivi
§3. La distinzione con la fattispecie del contratto di
lavoro subordinato
§4. La distinzione con l’ appalto di servizi
§5. Presupposti e disciplina dell’affidamento di incarichi
esterni
5.1 Presupposti di legittimità di carattere sostanziale
5.1.1 Il preliminare accertamento dell'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo
interno
5.1.1.1 Le caratteristiche dell’accertamento
5.1.1.2 Il problema delle competenze specifiche e delle
funzioni ordinarie
5.1.1.3 La necessaria caratteristica oggettiva
dell’impossibilità
5.1.2 La corrispondenza della prestazione alle
competenze attribuite dall'ordinamento all’ente
5.1.3 La corrispondenza dell’oggetto della prestazione
ad obiettivi e progetti specifici e determinati
5.1.4 L’alta qualificazione della prestazione
5.1.5 La preventiva determinazione della durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione
5.1.5.1 Durata
5.1.5.2 Oggetto
5.1.5.3 Luogo
5.1.5.4 Compenso
5.1.5.5 Forma
5.2 Presupposti di legittimità di carattere procedimentale
5.2.1 L’obbligo di motivazione della determinazione (o
in generale del provvedimento) con cui viene affidato
l’incarico esterno
5.2.2 L’obbligo di effettuare una procedura comparativa
per la selezione dell’affidatario
5.2.3 La previa approvazione di un apposito regolamento
(art. 3, c. 56, L. 24-12-2007 n. 244, art. 89 del T.U.E.L)
5.2.4 Il vincolo quantitativo di spesa
5.2.5 I limiti di spesa stabiliti dalla legge
5.2.6 Il possibile superamento del limite di spesa
5.2.7 L’obbligo di pubblicazione sul sito web
5.2.8 Le novità introdotte dalla Legge 190/2012 e dal
D.Lgs. 33/2013
5.2.9 La valutazione dell’organo di revisione
5.2.10 Gli obblighi di comunicazione degli atti di
spesa susseguenti al conferimento di incarichi esterni
5.3 Conclusioni
§6. L’orientamento interpretativo
assunto dalla Sezione
§7. Tipologie di incarico
7.1 Contratti di studio, ricerca e consulenza
7.2 Collaborazione coordinata e continuativa
§8. Particolare tipologie di rapporti
8.1 Portavoce e Ufficio stampa
8.2 Direttore generale e dirigenti a contratto
8.3 Personale con incarichi all’interno dello staff di organi di
governo
8.4 Incarichi esterni a personale in quiescenza
8.5 L’incarico all’assistente sociale
8.6 L’incarico di responsabile del servizio prevenzione e
protezione ex D.Lgs. 09.04.2008, n. 81
8.7 L’affidamento al broker
8.8 L’affidamento degli incarichi legali
8.9 Servizi di formazione professionale |
SEZIONE II
ANALISI GENERALE DEI DATI RICEVUTI |
§9. Premessa metodologica
§10. Analisi generale dei dati pervenuti |
SEZIONE III
LE RISULTANZE DELL’INDAGINE: ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE |
§11. Le criticità rilevate. Premessa
§12. Criticità derivanti dalla distinzione del concetto di
lavoro subordinato con quello di affidamento di incarico
§13. Criticità generate da carenze o violazioni dei
presupposti dei contratti d’opera
§14. Criticità generate dalla distinzione tra la fattispecie
del contratto d’opera e quello di appalto di servizi
§15. Altre criticità |
SEZIONE IV
CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI OPERATIVI |
§16. Gli esiti collaborativi dell’indagine
§17. L’applicazione necessaria del principio di
concorsualità
§18. L’indispensabile utilizzo del controllo interno
successivo di regolarità amministrativa (art. 147-bis del
Tuel) (Corte
dei Conti, Sez. controllo Veneto,
deliberazione 11.06.2013 n. 146). |
INCARICHI PROFESSIONALI: La p.a. pagherà i professionisti. Crediti ammessi alla
certificazione e cedibili alle banche.
Il senato ha approvato il dl 35 che ora torna alla
camera per la conversione in legge.
Al banchetto dei pagamenti della p.a. siederanno anche i
professionisti. I crediti da loro vantati verso la pubblica
amministrazione si affiancano a pieno titolo a quelli per
somministrazioni, forniture e appalti che potranno essere
oggetto di certificazione da parte delle regioni e degli
enti locali per essere poi ceduti a banche e intermediari
finanziari.
Doveva essere un passaggio lampo e limitato a poche,
fondamentali, modifiche quello del dl 35 al senato. E invece
il testo che ieri è stato licenziato con larghissima
maggioranza dall'aula di palazzo Madama (247 voti
favorevoli, 7 astenuti, tutti del gruppo di Sel e nessun
voto contrario) presenta molte sostanziali novità, a
cominciare proprio dall'ampliamento della platea dei
beneficiari. Che ovviamente non può non piacere ai diretti
interessati.
«Si tratta di una boccata d'ossigeno anche per
i liberi professionisti, che entrano a pieno titolo tra i
beneficiari del decreto», ha commentato il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «In una fase economica
difficilissima, il provvedimento approvato dal senato
potrebbe sbloccare ingenti risorse a favore di migliaia di
professionisti, soprattutto dell'area tecnica e sanitaria,
che vantano crediti certi, liquidi ed esigibili per svariati
milioni di euro nei confronti della pubblica amministrazione
centrale e locale».
Anche il Consiglio nazionale degli
architetti plaude alle modifiche introdotte dai relatori
Antonio D'Alì (Pdl) e Giorgio Santini (Pd) in un momento in
cui «gli architetti stanno soffrendo, quanto o più delle
imprese, lo scandalo dei ritardati o mai avvenuti pagamenti
da parte delle pubbliche amministrazioni che stanno
strozzando migliaia di professionisti e le loro famiglie,
già colpite duramente dalla crisi».
Tra gli emendamenti
approvati a palazzo Madama si segnalano anche quelli
presentati in extremis dai relatori e che hanno portato a
uno slittamento di un giorno della tabella di marcia,
costringendo la camera dei deputati a un vero superlavoro
per la definitiva conversione in legge del decreto che dovrà
avvenire entro il 7 giugno.
Lunedì sera infatti (si veda ItaliaOggi di ieri) il duo
Santini-D'Alì aveva partorito tre sostanziali modifiche in
materia di finanza locale, molto attese e richieste dai
comuni. Dalla proroga dell'uscita di scena di Equitalia
dalla riscossione locale (che è slittata al 2014) a quella
dei bilanci comunali (che a causa delle incertezze legate
alla sospensione della prima rata dell'Imu potranno essere
chiusi solo quando si conoscerà l'esito della riforma dei
tributi immobiliari locali e quindi entro la nuova dead line
del 30 settembre), passando per la restituzione dei 600
milioni che i sindaci si aspettavano a titolo di rimborso
dell'Imu sui fabbricati di proprietà comunale.
Il farraginoso meccanismo messo in piedi dal Mef l'anno
scorso prevedeva infatti che i comuni dovessero pagare (per
di più a sé stessi) l'Imu sui propri fabbricati. L'equivoco
normativo però non si limitava a creare una semplice partita
di giro, ma incideva direttamente sui trasferimenti erariali
ai comuni ridotti nel 2012 proprio in funzione del gettito
Imu potenziale. L'emendamento Santini-D'Alì, su
sollecitazione del governo, ha chiuso la partita non senza
qualche polemica. Sono stati infatti stanziati 600 milioni
di euro, ma 400 di questi sono stati reperiti dai fondi a
disposizione delle imprese. Il fondo per pagare i debiti
degli enti locali si riduce così di 200 milioni nel 2013 e
di altri 200 milioni nel 2014. «È stata una scelta del
governo», ha spiegato il relatore Santini, aggiungendo che
«il fondo verrà rimpolpato nel 2014».
Approvato infine un emendamento che salva le elezioni per il
rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia
tributaria in programma il prossimo 23 giugno. I giudici
sovrannumerari che entro quella data non siano stati immessi
nelle funzioni giurisdizionali non potranno né votare né
essere eletti
(articolo ItaliaOggi del 05.06.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze p.a., vietato scegliere sempre gli stessi. Corte
conti: discrezionalità e trasparenza a braccetto.
Nella scelta di avvalersi di consulenti esterni, appare
estremamente incongruo nella fase valutativa delle
candidature che la pubblica amministrazione non esprima una
specifica preferenza in ordine al titolo di studio
posseduto, ma destini specifica preparazione nel settore in
cui si richiede detta consulenza. Infatti, operando in tal
modo, l'amministrazione pubblica finisce per giovarsi dei
medesimi soggetti. Lo scopo cui deve tendere l'agire
pubblico è quello di assicurarsi il miglior profilo
possibile, attraverso un giudizio complessivo sull'intero
curriculum del candidato e non che un singolo aspetto sia
sufficiente a sorreggere l'intera valutazione. Anzi, nel
settore dei fondi europei, si assiste sempre più a una
costante reiterazione di apporti professionali esterni
all'organico della p.a., a scapito degli uffici già preposti
e che sono in grado di curare i predetti progetti.
È quanto ha affermato la Corte dei conti, sezione centrale
di controllo di legittimità sugli atti delle amministrazioni
dello stato, nel testo della recente
deliberazione
04.06.2013 n.
10, con cui ha ricusato il visto e la conseguente
registrazione ad alcuni contratti di consulenza esterna
sottoscritti dal dipartimento per le pari opportunità,
nell'ambito di programmi operativi co-finanziati con fondi
europei.
Nei casi in esame, le doglianze della magistratura
contabile si sono soffermate sui requisiti ritenuti
necessari per l'espletamento dell'attività lavorativa. Posto
che il dipartimento individua i soggetti attraverso
l'immissione delle autocandidature in una «long list», è il
passo successivo che desta perplessità. In pratica, se da un
lato il dipartimento non esprime una specifica preferenza in
ordine al titolo di studio (e quindi i collaboratori
selezionati sono muniti di diverso diploma di laurea),
dall'altro si richiede, invece, una specifica preparazione
nel settore delle «pari opportunità». Specializzazione,
scrive la Corte, che possiedono solo coloro che abbiano già
ricoperto lo stesso tipo di consulenza. Ne consegue che in
tal modo l'amministrazione «finisce per giovarsi, in modo
più o meno continuo, sempre degli stessi soggetti».
Se tale modus operandi può farsi rientrare nella
discrezionalità dell'azione amministrativa, è altresì
pacifico che la stessa deve muoversi entro i binari del buon
agire, della razionalità e della trasparenza. L'obiettivo,
ovvero l'interesse, che l'amministrazione pubblica deve
perseguire è quello di pervenire all'individuazione delle
migliori risorse disponibili che, non necessariamente,
coincidono con chi ha già operato presso la stessa p.a.
Richiedere e attribuire un ulteriore punteggio a una
specifica professionalità nella materia oggetto della
consulenza, pone, a detta della Corte, in una situazione «deteriore»
tutti coloro che, pur muniti di titoli culturali di elevato
valore e di adeguate esperienze professionali, non abbiano
già svolto tale specifica attività. Lo scopo della p.a. è
quello di assicurarsi il miglior profilo professionale,
attraverso un giudizio che implichi la valutazione delle
complessive qualità dei soggetti, evitando che un singolo
aspetto di cui si compone il curriculum, sia
sufficiente a sorreggere il giudizio complessivo.
A questo quadro, la Corte aggiunge che, nel caso di fondi
europei, «si assiste a una costante reiterazione di
apporti professionali esterni, vale a dire una sorta di
provvista parallela di personale», a scapito di una
struttura stabile dell'ufficio che è in grado di curare
direttamente tali progetti
(articolo ItaliaOggi del 26.06.2013).
---------------
Massima deliberazione 04.06.2013 n. 10.
In tema di contratto di collaborazione
coordinata e continuativa ai sensi dell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001, è consentita –in sede di controllo di
legittimità- la verifica circa la rispondenza ai principi di
razionalità, trasparenza, non-discriminazione dei criteri
adottati dalla Commissione esaminatrice per la selezione dei
candidati.
Nel caso di specie, mentre l’Amm.ne non esprimeva alcuna
preferenza in ordine al titolo di studio necessario per
l’espletamento dell’incarico, attribuiva esclusiva rilevanza
all’esperienza maturata nello specifico settore, in modo
tale da privilegiare coloro che avessero ricoperto lo stesso
tipo di incarico.
La Sezione ha ritenuto che lo scopo cui deve tendere
l’Amministrazione è quello di reperire il soggetto dotato
del miglior profilo professionale attraverso un giudizio
atto a ponderare le complessive qualità degli scrutinandi ed
evitando che, un singolo aspetto di cui si compone il
curriculum, possa sorreggere il giudizio complessivo.
Inoltre, il corretto utilizzo delle collaborazioni esterne,
secondo il modello delineato dall’art. 7, comma 6 citato,
postula un ambito temporale limitato, circostanza che non
ricorre nel caso esaminato ove, nello specifico settore dei
fondi europei, si assiste ad una costante reiterazione di
apporti professionali esterni a scapito di una progressiva e
adeguata strutturazione dell’Ufficio in grado di curare tale
attività.
Per quanto attiene la retribuzione stabilita nei suddetti
contratti di collaborazione, la Sezione ha stabilito che
deve essere evidenziato l’iter logico seguito dall’Amm.ne
per l’attribuzione del massimale di costo, posto che la
circolare 2/2009 del Ministero del Lavoro (disciplinante il
settore ed in base alla quale si era autovincolata),
stabilisce che esso è “soggetto a contrattazione tra le
parti in relazione alle specifiche competenze… (omissis) dei
soggetti chiamati a svolgere le attività”. |
maggio 2013 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI - VARI:
È conto alla rovescia: a ogni professionista la sua polizza.
Obbligati alla sottoscrizione oltre 2 milioni di iscritti
all'albo e le società entro il 15 agosto.
Countdown per la sottoscrizione di una polizza di
responsabilità civile per tutti i professionisti iscritti in
albi. Tale obbligo (che peraltro è imposto anche a tutte le
nuove società fra professionisti) dovrà essere assolto entro
il prossimo 15 agosto da tutti coloro, fra i circa 2 milioni
di iscritti a un albo professionale, che a oggi non hanno
ancora provveduto.
L'obbligo nasce con l'art. 3, comma 5,
lett. e), del dl 13/08/2011, n. 138 , e viene confermato con
la conversione nella legge 14/09/2011 n. 148, in G.U. 216 del
16/09/2011. Una regolamentazione (soft) dell'obbligo avviene
con il dpr 137/2012 con il quale è peraltro stabilità una
proroga annuale dell'obbligo dall'agosto 2012 all'agosto
2013.
Tutti i professionisti (e le società da loro costituite)
dovranno rendere noto ai clienti, evidenziando loro al
momento dell'assunzione dell'incarico, come si legge nel
regolamento «gli estremi della polizza professionale, il
relativo massimale e ogni variazione successiva». La
violazione di tale dovere costituirà un illecito
disciplinare. Ecco, in dettaglio, i maggiori rischi da
coprire per ciascuna categoria professionale, da un lato, e
dall'altro il confronto tra alcuni prodotti proposti dalle
principali compagnie assicurative.
La copertura per il commercialista. La polizza Rc
professionale tiene indenne l'assicurato di quanto questi
sia tenuto a pagare (a titolo di sanzioni, interessi e
spese) per danni colposamente cagionati a terzi, compreso i
clienti, in conseguenza di errori personalmente commessi
nell'esercizio della professione, mentre restano sempre
escluse da copertura le sanzioni dirette comminate al
professionista. Nelle condizioni standard del contratto
viene normalmente inclusa la copertura per danni relativi:
a) all'attività di tenuta di contabilità, registri Iva e
redazione di dichiarazioni fiscali, a causa di errori (non
dolosi) imputabili al consulente;
b) al fatto colposo o doloso di collaboratori, sostituti di
concetto, praticanti e dipendenti facenti parte dello studio
professionale;
c) alla perdita, distruzione, danneggiamento di documenti di
proprietà dell'assicurato o per i quali egli è legalmente
responsabile o custode nell'esercizio dell'attività
professionale;
d) a lesioni corporali e/o materiali involontariamente
cagionati a terzi, compresi i clienti, in relazione alla
conduzione dei locali e delle attrezzature adibite
all'attività dell'assicurato, nonché per fatti dolosi o
colposi dei dipendenti e collaboratori dello studio;
e) a perdite patrimoniali subite dai clienti e seguito
dell'apposizione del visto di conformità (c.d. visto
leggero) e/o dall'asseverazione per gli studi di settore e
della certificazione tributaria (c.d. visto pesante), a
condizione che l'Assicurato abbia e mantenga per tutto il
periodo di Assicurazione i requisiti previsti dalle norme
applicabili per l'esercizio di tali attività;
f) a perdite patrimoniali cagionate a terzi in conseguenza
dell'errato trattamento dei dati personali (privacy) degli
assistiti conseguente ad atti colposi.
Da evidenziare, tuttavia, che alcuni rischi, ordinariamente
riscontrabili nell'attività di dottore commercialista ed
esperto contabile, vengano «coperti» solo se espressamente
richiamati dal contratto e, di norma con una integrazione
del premio.
In particolare, si tratta di rischi rinvenibili nello
svolgimento di specifiche funzioni, quali:
- consigliere di amministrazione o del consiglio di
gestione;
- membro di collegi sindacali (o altro organo di controllo)
di società o enti;
- revisore legale dei conti in società;
- membro di Commissione tributaria (legge 13/4/1988 n. 117);
- revisore/amministratore in Enti locali;
- liquidatore, anche giudiziale, di società o imprese;
- curatore e commissario giudiziale;
- incaricato per l'invio telematico di dichiarazioni fiscali
(dpr 322/98 e succ. mod.);
- incaricato del pagamento di imposte, tasse e contributi
(anche online) per conto del cliente;
- consulente su pratiche per l'accesso a finanziamenti
agevolati o a fondo perduto;
- amministratore di stabili (condomini);
- consulenza del lavoro o in materia giuslavoristica;
- mediatore ex dlgs 28/2010 e dm 180/2010;
- amministratore di centri elaborazione dati;
- direttore presso Caf.
Va puntualizzato, in ogni caso, che una attenzione deve
essere dedicata alle clausole relative alla «franchigia»
e, soprattutto, allo «scoperto», ordinariamente
inserite nelle polizze, che rimangono, comunque a carico
degli assicurati (articolo
ItaliaOggi Sette del 20.05.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi ex art. 90 TUEL.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione
siciliana, condanna il Presidente della Provincia di
Palermo al risarcimento del danno erariale subito dall'ente,
nella misura corrispondente alle retribuzioni erogate a
soggetti esterni all'amministrazione assunti -a tempo
determinato- per le funzioni di segreteria e diretta
collaborazione del vertice politico.
Il danno patrimoniale è ravvisato nell' illegittimità degli
atti adottati in violazione della normativa vigente ed in
contrasto con i principi di efficacia ed economicità
dell'azione amministrativa.
La magistratura contabile:
- rammenta le condizioni che legittimano la costituzione
degli uffici di staff ai sensi dell'art. 90 del TUEL e la
necessità che la prescritta previsione regolamentare (ROUS)
abbia contenuti specifici ed analatici, con l'indicazione
del numero dei componenti (dette strutture) e, soprattutto,
delle modalità di conferimento dei relativi incarichi;
- evidenzia i limiti che la giurisprudenza ha individuato in
materia di assunzione/utilizzo di soggetti estranei alla
pubblica amministrazione che si desumono, in primo luogo,
dal principio secondo il quale le pubbliche amministrazioni
devono, di norma, svolgere i compiti istituzionali
avvalendosi del proprio personale; la conferma risiede anche
nell'art. 7, comma 6, d.lgs. 165/2001 che legittima gli
incarichi individuali ad esperti di provata competenza solo
per esigenze cui gli enti non possono far fronte con il
personale in servizio, per giustificati motivi e per una
effettiva utilità;
- sottolinea che occorre collocare la facoltà in contesto (affinché
sia corretta e legittima) "... nel solco dell'orientamento
giurisprudenziale tracciato dalla Corte di cassazione in
relazione ai principi di legalità, di economicità ed
efficacia - affermati dal primo comma dell'art. 1 della
legge 07/08/1990, n. 241, e strettamente collegati con il
fondamentale principio di buona amministrazione di cui
all'art. 97 della Costituzione"; pertanto, "il potere
discrezionale di ricorrere a professionalità esterne da abidire ad uffici di staff e di diretta collaborazione,
anche con esperti o consulenti, del vertice politico non può
ritenersi svincolato dal rispetto dei principi enunciati dal
citato primo comma dell'art. 1 della legge n. 241/1990".
L'inosservanza della normativa e dei sopracitati principi
generali è riscontrata dalla Corte in relazione al fatto che
gli incarichi esterni conferiti:
- non facevano alcun riferimento a concrete esigenze
dell'ufficio di supporto agli organi politici; la
motivazione riportata negli atti era una semplice ed
astratta affermazione dell'utilità di migliorare il grado di
efficienza dell'ufficio;
- non erano stati preceduti dalla preventiva verifica
dell'insussistenza di professionalità interne da adibire ai
compiti richiesti, così come mancanti anche della sola
indicazione delle ragioni di preferenza delle
professionalità esterne rispetto al personale in servizio;
in particolare "Questo principio del preventivo utilizzo
delle risorse già disponibili all'interno
dell'Amministrazione, affermato dalla giurisprudenza
contabile in relazione al conferimento di incarichi di
consulenza o di alta professionalità, assume una maggiore
valenza per l'attribuzione di compiti di Segreteria,
rispetto ai quali, nonostante l'indubbio carattere
fiduciario, può ragionevolmente presumersi la presenza
all'interno dell'Ente di soggetti in grado di assicurare lo
svolgimento di queste attività di assistenza del vertice
politico dell'Ente, che in astratto richiedono un normale
livello di competenze professionali e di diligenza,
reperibile senza particolari difficoltà tra i numerosi
dipendenti della Provincia di Palermo" (Corte dei Conti,
Sez. giurisdiz. Sicilia,
sentenza
16.05.2013 n. 1953 - tratto da www.publika.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI
COMUNALI: Vi
è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo
tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza
contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato
all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali
avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario
del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97
Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di
uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità.
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno
(esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni
in cui la legge lo preveda.
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che
disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi
dall’esegesi dell’art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’ art.
110, comma 1, 2, e 6 del dlg. 267/2000 (con esclusivo
riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co. 11
e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del d.l.
223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della l.
244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di
fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di
incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste,
è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione
organica non sia possibile reperire personale competente ad
affrontare problematiche di particolare complessità od
urgenza.
--------------
Requisito imprescindibile della responsabilità
amministrativo-contabile è la sussistenza del
danno erariale.
Il legislatore
si è occupato di disciplinare in
dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla
collaborazione esterna così esprimendo a monte una
valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo,
assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che
non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità
dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in
presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.
Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al M.
costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a
prescindere dall’attività concretamente svolta da questi,
poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che
avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da
soggetti interni all’amministrazione stessa.
---------------
L’evento dannoso per
cui è causa (ndr: illegittimo incarico professionale
all'esterno dell'ente) è stato determinato non solo dalla condotta
colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento
di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio
ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere
favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta
municipale con la quale è stato deciso il conferimento
dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142
del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere
dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del
diritto, svolge una specifica funzione di garante della
legalità e della correttezza amministrativa dell’azione
dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione
giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto
rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione
della palese violazione dei parametri normativi.
---------------
1) La questione posta al vaglio del Collegio riguarda una
ipotesi di danno erariale relativo all’attribuzione di un
incarico a soggetto estraneo all’ente comunale.
In particolare, parte requirente contesta agli odierni
convenuti di aver conferito, con contratto di diritto
privato a tempo determinato, la gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata
al sig. Macrì, in assenza dei presupposti cui il legislatore
subordina l’esternalizzazione.
2) In primo luogo si ritiene di dovere premettere alcune
considerazioni, tenendo comunque presente che con la
delibere richiamata in citazione è stato stipulato un
contratto a tempo determinato in ragione dell’art. 110,
comma 2° del Tuel.
Vi è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo
tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza
contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato
all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali
avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario
del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97
Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di
uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità (Corte dei conti,
Sez. Sardegna, 18.09.2008, n. 1831; Corte dei conti, Sez.
Lazio, 12.05.2008, n. 787).
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno
(esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni
in cui la legge lo preveda (Sez. controllo, 26.11.1991, n. 111; SS. RR., 23.06.1992, n. 792, e 12.06.1998, n. 27; Sez. II, 13.06.1997, n. 81, e 18.10.1999, n. 271).
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che
disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi
dall’esegesi dell’ art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’art.
110, comma 1, 2, e 6 del dlgs. 267/2000 (con esclusivo
riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co.
11 e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del
d.l. 223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della
l. 244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di
fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di
incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste,
è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione
organica non sia possibile reperire personale competente ad
affrontare problematiche di particolare complessità od
urgenza.
3) Tanto premesso, come innanzi evidenziato, la disposizione
di riferimento è contenuta nell’art. 110, comma 2, del d.lgs.
276/200, che consente, entro i limiti e seguendo i criteri e
le modalità indicate nel regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, di stipulare contratti a tempo
determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari
dell'area direttiva.
Anche detta disposizione, tuttavia, subordina il ricorso a
risorse esterne solo in assenza di professionalità analoghe
presenti all'interno dell'ente.
4) Ebbene, il Collegio non ritiene che l’incarico assegnato al Macrì sia stato conferito in presenza dei
presupposti legittimanti.
In primo luogo occorre chiarire che le incombenze assegnate
al suddetto avevano la forma di “operazioni
amministrative”, e quindi avevano un esclusivo contenuto
materiale.
Con riferimento all’attività contabile e tributaria,
infatti, quando si parla di gestione operativa (soprattutto
in un ente di ridottissime dimensioni), non può che farsi
riferimento all’attività necessaria per portare ad
esecuzione le già disposte decisioni amministrative, in
termini di pagamenti delle spese e di riscossioni
dell’entrate.
Trattasi, sostanzialmente di operazioni reali seguite dai
doveri di annotazione nelle scritture contabili dell’ente delle
operazioni svolte; compiti dunque aventi esclusivamente
natura esecutiva.
Ebbene, dall’esame della pianta organica risulta che,
all’epoca dei fatti, nell’Area Amministrativa nel Comune di
Serrata vi era un posto (coperto) di istruttore
amministrativo, categoria C, posizione economica C5 le cui
mansioni erano perfettamente compatibili con “la gestione
operativa dell’attività contabile e tributaria” di un paese
di 1.000 abitanti circa.
L’istruttore amministrativo, infatti, secondo la
declaratoria dei profili professionali di cui al CC.N.EE.LL.
del 31/03/1999, svolge un’attività caratterizzata da
contenuti di concetto con responsabilità di risultato
relativi a specifici processi produttivi/ amministrativi, ha
un’autonomia di iniziativa circoscritta al proprio ambito
operativo tant’è che se posto nell’ambito di una
organizzazione di medie dimensioni assume la funzione di
capoufficio. E’ un lavoratore che svolge attività
istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile,
curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di
legge ed avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche
del profilo, la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei
dati.
Peraltro che le mansioni attribuite al Macrì fossero al
massimo quelle proprie dell’istruttore amministrativo emerge
senza alcun dubbio altresì ove si pongano a confronto con
quelle proprie del funzionario, Istruttore Direttivo,
categoria d (profilo immediatamente superiore alla cat. C)
al quale, invece, è chiesto di espletare funzioni di elevato
contenuto professionale che si concretizzano in attività di
studio, di ricerca, di elaborazione di piani e programmi, di
predisposizione e formazione di atti e provvedimenti di
notevole grado di difficoltà.
Non solo; la Giunta Municipale aveva previsto in pianta
organica, nell’area amministrativa, un posto di istruttore
contabile, categoria C.
Tanto premesso, si ritiene che le incombenze assegnate al
ragioniere esterno avrebbero dovuto essere espletate
dall’Istruttore amministrativo già presente nell’Area
Amministrativa o addirittura, da altro dipendente (anche
con profilo funzionale inferiore) mediante la progressione
verticale.
Detto assunto, infatti, scaturisce dalla delibera
dell’Organo giuntale avente ad oggetto “approvazione nuova
dotazione organica e piano triennale delle assunzioni” nella
quale viene chiaramente affermato “la copertura del posto di
istruttore contabile è prevista mediante la progressione
verticale”; la qualcosa lascia presumere che nell’ambito
della dotazione organica vi fossero professionalità ,anche
di profilo inferiore alla C, capaci di svolgere le funzioni
assegnate all’esterno.
5) Tra l’altro, nella delibera con la quale si autorizza il
sindaco al conferimento dell’incarico esterno, nessuna
motivazione concreta viene formulata in ordine alla
inesistenza di idonea professionalità nell’ambito dell’ente.
Nessun argomento, infatti, viene esternato in ordine alla
eventuale inidoneità dell’istruttore amministrativo in
organico a svolgere le mansioni esternalizzate Né risulta in
altro modo che una tale valutazione sia stata concretamente
svolta.
In proposito il Collegio condivide quanto affermato dalla
Sezione Toscana, nella sentenza n 329/2009, e cioè che “non
si può ignorare la necessità che tali valutazioni siano
suffragate da serie e documentate azioni”.
6) Invero, l’attribuzione della gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria all’istruttore
amministrativo in organico sarebbe stata altresì possibile
in considerazione dell’esigua mole di lavoro conferita
all’esterno; si consideri al riguardo che Il Macrì, secondo
il contratto, avrebbe dovuto garantire almeno due accessi
settimanali in ufficio; e per tuziorismo si evidenzia che le
mansioni affidate al ragioniere potevano essere svolte solo
in ufficio.
Ebbene, seppure l’istruttore fosse già impegnato all’Ufficio
anagrafe (per come assunto dalla difesa), ben poteva
svolgere anche detta ulteriore mansione anche solo in
considerazione della modesta entità di lavoro che l’ ufficio
anagrafe di un paesino di meno di 1000 abitanti è chiamato
ad espletare.
7) Ma la illegittimità scaturisce anche da altra
considerazione.
Il Macrì, contro ogni principio che disciplina
l’esternalizzazione, è stato consulente contabile presso il
comune di Serrata dal 1980 al 2002, ed incaricato
all’Ufficio finanziario e tributario dal 2003 a tutt’oggi.
In sostanza il suddetto ragioniere, a dispetto di tutte le
norme che regolano le procedure di reclutamento e di
assunzione del personale nelle pubbliche amministrazioni,
svolge attività lavorativa a favore del comune di Serrata da
oltre trent’anni senza aver mai superato un concorso
pubblico.
Tanto emerge sia dal curriculum vitae del Macrì che dalla
deliberazione della Giunta municipale nella quale è
espressamente dichiarato “che l’Ufficio di ragioneria si è
avvalso del supporto del Rag. Macrì Tito da lungo tempo”.
Tanto premesso, l’incarico è stato conferito in assenza dei
presupposti normativi.
8)
Requisito imprescindibile della responsabilità
amministrativo-contabile è, tuttavia, la sussistenza del
danno erariale.
Il difensore dei convenuti oppone, in proposito, che
l’amministrazione avrebbe comunque beneficiato delle
prestazioni professionali rese dal Macrì.
Il Collegio tuttavia ritiene di non poter condividere detto
assunto e di non poter configurare un’ipotesi di vantaggio
derivante all’amministrazione locale.
Il legislatore, infatti,
si è occupato di disciplinare in
dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla
collaborazione esterna così esprimendo a monte una
valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo,
assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che
non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità
dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in
presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.
Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al Macrì
costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a
prescindere dall’attività concretamente svolta da questi,
poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che
avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da
soggetti interni all’amministrazione stessa.
9) La Procura ha ritenuto di citare il Sindaco e gli
assessori che hanno deliberato di conferire l’incarico al Macrì.
E’ fuori ogni dubbio che il danno testé configurato sia
etiologicamente riconducibile alla condotta posta in essere
dai suddetti soggetti.
Si consideri, infatti, che il Sindaco e gli assessori Sofi e
Sorrento, con il provvedimento n. 4 del 07.01.2010, hanno
deliberato il conferimento della gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata
al rag. Macrì. Così come, il Sindaco, in ottemperanza a
quanto disposto nella delibera giuntale, ha provveduto a
conferire l’incarico.
Tutti atti illegittimi, per i motivi innanzi indicati e
forieri del danno erariale per cui è causa.
10)
Ma la condotta, oltre ad essere illecita è altresì
connotata da colpa grave.
I suddetti, infatti, in spregio alle norme che regolano la
materia con assoluta noncuranza dei parametri normativi
(propri dell’azione amministrativa) dell’efficacia,
dell’efficienza e dell’economicità ed in violazione alle più
elementari regole di buona amministrazione, hanno gestito
con evidente negligenza e trascuratezza il patrimonio del
Comune di Serrata.
Peraltro la gravità della colpa appare di tutta evidenza
proprio in considerazione che detto incarico è stato
conferito, senza soluzione di continuità, dal 2003 ad oggi.
Non solo; gli odierni convenuti ben conoscevano la dotazione
organica nonché la previsione di copertura del posto di
istruttore contabile mediante la progressione verticale: loro
stessi, infatti, lo avevano deliberato nel 2009.
Un ulteriore elemento emerge dagli atti e cioè che il Comune
di Serrata, da oltre venticinque anni utilizzava
l’esternalizzazione per provvedere ai bisogni istituzionali
dell’ente evidentemente considerando il ricorso a
professionalità esterne come una prerogativa arbitraria
propria degli amministratori.
In ogni caso, l’elemento che, a fortiori, convince il
Collegio ad affermare la gravità della colpa nella condotta
degli odierni convenuti, scaturisce dal fatto che il 05.03.2010, quindi appena due mesi dopo il conferimento, il gruppo
consiliare “Nuovi orizzonti” chiedeva al Sindaco, alla
Giunta Municipale ed al Segretario comunale, di revocare
l’incarico al Macrì in considerazione dei molteplici profili
di illegittimità.
Ebbene, anche a fronte di una puntuale ed argomentata
richiesta di revoca, i suddetti organi non hanno inteso
prendere posizione, mantenendo, seppure avvisati della
illegittimità, l’incarico al Macrì in spregio alle
disposizioni che disciplinano la materia.
11) L’ultimo profilo da esaminare riguarda la ripartizione
del danno evidenziando che “se il fatto dannoso è causato da
più persone, la Corte dei conti, valutate le singole
responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha
preso” (art. 1-quater l. 20/1994 ).
Il Collegio ritiene innanzi a tutto che l’evento dannoso per
cui è causa è stato determinato non solo dalla condotta
colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento
di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio
ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere
favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta
municipale con la quale è stato deciso il conferimento
dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142
del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere
dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del
diritto, svolge una specifica funzione di garante della
legalità e della correttezza amministrativa dell’azione
dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione
giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto
rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione
della palese violazione dei parametri normativi.
Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover imputare
idealmente il 25% del danno erariale al segretario comunale
non citato e di ripartire il restante 75% in parti uguali
tra il sindaco (Vinci Salvatore) e gli altri due membri
della giunta municipale presenti alla seduta del 07.01.2010 (Sofi Angelo e Sorrenti Gioacchino) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria,
sentenza 10.05.2013 n. 159). |
INCARICHI PROGETTAZIONE:
Non è necessario per poter partecipare
all'affidamento di incarichi di progettazione in qualità di
raggruppamento temporaneo avere come associato un
professionista abilitato da meno di cinque anni
all'esercizio della professione.
Per poter partecipare all'affidamento di incarichi di
progettazione in qualità di raggruppamento temporaneo non è
necessario avere come associato un professionista abilitato
da meno di cinque anni all'esercizio della professione, e
ciò in quanto il c. 7 dell'art. 90 del codice dei contratti
(D.lgs. n. 163/2006), parla soltanto di "presenza" di
un giovane professionista, con evidenti finalità di
carattere "promozionale", non potendo essere intesa
come prescrizione di un vero e proprio obbligo di "associare"
il giovane professionista al raggruppamento.
Pertanto, ai fini della valida partecipazione di un R.T.I. a
procedure indette per l'aggiudicazione di servizi di
progettazione, è sufficiente che nella compagine del
raggruppamento sia contemplata la presenza, con rapporto di
collaborazione professionale o di dipendenza, di un
professionista abilitato iscritto all'albo da meno di cinque
anni, senza la necessità che questi assuma anche
responsabilità contrattuali.
Ciò che conta, in definitiva, è che il giovane
professionista -pur senza assurgere a responsabilità sociali
probabilmente non proporzionate alla sua ridotta formazione
professionale- partecipi al servizio di progettazione
oggetto di affidamento maturando esperienze professionali e
lavorative.
È questa la finalità promozionale della previsione, che
viene radicalmente disattesa ove il giovane professionista
-pur figurando sulla carta come componente del gruppo di
lavoro- non è in realtà investito della benché minima
incombenza collaborativa e non può quindi acquisire alcuna
utile esperienza formativa (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 08.05.2013 n. 268 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Gare, giovani uniti.
Se associati in Rti hanno i requisiti.
Il Tar
Calabria sui requisiti nelle gare per i progettisti.
Nelle gare di progettazione il giovane professionista, se
associato in raggruppamento, non è tenuto a documentare
requisiti di qualificazione, ma deve essere abilitato da
meno di cinque, anni, iscritto all'albo e avere un preciso
ruolo come progettista che gli consenta di acquisire
un'utile esperienza formativa.
È quanto afferma il TAR Calabria-Reggio Calabria, con la
sentenza 08.05.2013
n. 268, che ha avuto anche modo di precisare che nei
raggruppamenti di progettisti il limite minimo per la
mandataria vale soltanto in caso di raggruppamenti
orizzontali e nell'ambito dei sub raggruppamenti
orizzontali.
I giudici hanno preso in esame una gara di
progettazione in cui il raggruppamento aggiudicatario,
costituito in forma mista, aveva associato un giovane
professionista che però non dichiarava né requisiti di
qualificazioni, né quote di partecipazione al
raggruppamento. Accertata la finalità «promozionale» della
norma sul giovane professionista (art. 253, comma 5, del dpr
207/2010) e il fatto che la «presenza» nel raggruppamento
può anche non essere assicurata anche soltanto indicando un
collaboratore di uno degli associati, il tribunale ha
precisato che se il giovane professionista viene associato
nel raggruppamento, non risultano comunque operanti anche
nei suoi confronti gli obblighi di qualificazione, né
l'obbligo (allora vigente) di indicare la quota di
partecipazione.
Per il collegio giudicante quel che conta
(ed è questa la ratio della legge) è che il giovane
professionista, senza assumere responsabilità sproporzionate
rispetto alla sua limitata formazione professionale, possa
partecipare al servizio di progettazione oggetto
dell'appalto maturando esperienze professionali e
lavorative. Devono però essere rispettati i paletti posti
dal regolamento del Codice (non più di cinque anni dal
superamento dell'esame di stato; iscrizione all'albo e
coinvolgimento come progettista nella compagine che si
candida.
Il fatto che sia stato qualificato come «mandante»,
in assenza di una specifica previsione di quota
partecipativa, «non può assurgere a causa di esclusione
del raggruppamento, vista la finalità della previsione
normativa e considerato che i requisiti di partecipazione
previsti dal bando erano interamente assolti dagli altri
professionisti». Un secondo aspetto trattato nella
sentenza attiene alla norma del requisito minimo che può
essere richiesto dalle Amministrazioni la mandataria di un
raggruppamento di progettisti.
A tale riguardo il Tar precisa che l'articolo 261, comma 7,
del dpr 207/2010 opera solo nell'ambito dei raggruppamenti
orizzontali e che, quindi, nel caso specifico il limite
fissato (al 40%) doveva essere verificato non in rapporto
all'intero ammontare dell'appalto, ma rispetto alla classe e
categoria per la quale era stato costituito il sub
raggruppamento orizzontale
(articolo ItaliaOggi del 17.05.2013). |
INCARICHI PROGETTUALI - SICUREZZA LAVORO:
Oggetto: Art. 12, D.Lgs. n. 81/2008 e successive
modifiche e integrazioni - risposta al quesito relativo ai
requisiti professionali del coordinatore per la
progettazione e per l'esecuzione dei lavori - definizione di
"attività lavorativa nel settore delle costruzioni"
(Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Commissione
per gli Interpelli,
interpello 02.05.2013 n. 2/2013). |
aprile 2013 |
|
INCARICHI PROGETTUALI:
L’estensione dell’obbligo di assicurazione agli iscritti
all’Ordine degli ingegneri (art. 3, comma 5, lettera e),
del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148 e art. 5 del
D.P.R. 07.08.2012, n. 137) (Centro
Studi Consiglio Nazionale Ingegneri, aprile 2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Ritiene questo Collegio che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero
professionista, avvocato esterno all’Amministrazione,
destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale,
questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione
dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il
2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del
d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20
del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del
codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art.
20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione).
---------------
Con la richiamata nota
il Sindaco del Comune di Nocciano (PE) sottopone al parere
della scrivente Sezione diversi quesiti:
1. se al servizio di consulenza legale, consistente nella
redazione di pareri, in valutazioni, in espressione di
giudizi utili per orientare le scelte dell'amministrazione
su problematiche in materia amministrativa, civile o penale,
debba applicarsi la normativa di cui all'art. 7, comma 6 e
ss., del D.lgs 165/2001 o se invece debba applicarsi la
normativa di cui al D.lgs 263/2006, allegato 118 ed in
particolare quella sul cottimo fiduciario (art. 125, comma
11) mediante affidamento diretto;
2. se qualora la normativa applicabile risulti essere
quella sugli incarichi esterni, l'ente sia tenuto alla
liquidazione delle spettanze in favore del professionista e
debba successivamente, -posto che la norma statuisce che in
caso di omessa pubblicazione la liquidazione del
corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o
consulenza di cui al presente comma costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale del
dirigente preposto- attivare procedura di rivalsa nei
confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato
seguito ad un contratto inefficace, o se invece
l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18,
legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente
a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del
professionista che ha reso la propria prestazione
professionale sulla base di un contratto valido ma
inefficace.
In particolare, il Sindaco fa presente che,
• con delibera G.C. n. 29/2009 veniva affidato ad avvocato
il servizio di assistenza legale in merito a problematiche,
di diritto amministrativo, civile e penale, che non abbiano
assunto la forma di contenzioso, per 1 anno, al fine di
fornire un supporto sia agli amministratori che ai
funzionari, con la stessa delibera veniva approvato apposito
disciplinare di incarico;
• con successiva determina il responsabile competente
provvedeva ad assumere impegno di spesa per € 5.000 oltre
iva e cap;
• allo scadere del primo anno con delibera di G.C. n.
35/2010 veniva affidato, per un ulteriore anno, il servizio
di assistenza legale al medesimo professionista;
In ottemperanza a detto incarico il professionista forniva
la propria prestazione professionale rilasciando pareri sia
scritti che verbali sia su richiesta degli organi politici
che dei responsabili di servizio, per i periodi stabiliti e
richiedeva il pagamento del corrispettivo pattuito.
L'attuale responsabile, nell'eseguire l'istruttoria per la
liquidazione delle spettanze del prefato professionista, e
ritenendo applicabile alla fattispecie la normativa sugli
incarichi ad esterni, rileva quanto segue:
1. il conferimento dell'incarico in oggetto sembrerebbe
avvenuto in assenza di procedura comparativa in ossequio dei
principi di pubblicità, trasparenza e obiettività e comunque
senza confronto fra più curricula.
2. L'attività di cui è stato incaricato il professionista,
oggetto dell'incarico, non ha un contenuto dettagliato.
3. Non risulta adottata dall'ente una disciplina
regolamentare della materia ai sensi dei commi 55 e ss.
dell'art. 3 della Legge finanziaria 2008.
4. risulta una inosservanza dell'obbligo di pubblicazione
sul sito web del provvedimento di incarico, secondo quanto
stabilito dall'art. 3, comma 18, legge 244/2007, in forza
del quale: "I contratti relativi a rapporti di consulenza
con le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, sono
efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del
nominativo del consulente, dell'oggetto dell'incarico e del
relativo compenso sul sito istituzionale
dell'amministrazione stipulante."
La norma in esame non specifica quando deve essere
pubblicato l'incarico sul sito internet, ma di fatto rende
inefficace un contratto che (pur giuridicamente valido) non
è stato ancora reso pubblico, tuttavia nel caso di specie
non è stato provveduto ad inserire sul proprio sito web
nominativo, oggetto e compenso previsto per l'incarico né
prima della stipula del disciplinare né dopo.
...
L’art. 3, commi da 54 a 57, della legge 24.12.2007, n. 244
ha fissato regole di carattere procedimentale e sostanziale
alle quali gli enti locali debbono conformarsi per il
conferimento di incarichi di collaborazione, di studio e di
ricerca nonché di consulenze a soggetti estranei
all’amministrazione.
Il dato di maggiore rilievo della disciplina dettata dalla
legge finanziaria 2008 è, da una parte, l’obbligo di
normazione regolamentare dei limiti, criteri e modalità di
affidamento degli incarichi di cui sopra nonché del tetto di
spesa annua, dall’altro la subordinazione del conferimento
dell’incarico e delle consulenze ad un documento
programmatico approvato dal Consiglio.
Le disposizioni operano su piani diversi.
Le norme regolamentari dettano una disciplina generale ed
astratta per l’affidamento dell’incarico, disciplina alla
quale deve uniformarsi ciascun provvedimento in concreto
adottato dall’amministrazione.
Il primo contenuto precettivo del comma 56 dell’art. 3 della
legge finanziaria per il 2008 è l’obbligo, posto in capo
all’ente locale, di dettare norme regolamentari compiute in
materia (debbono essere infatti fissati limiti, modalità e
criteri per l’affidamento dell’incarico o della consulenza).
Prima della emanazione del citato comma 56, art. 3, legge
244/2007 non
necessariamente l’ente locale era munito di una disciplina
regolamentare degli incarichi. E’ sufficiente ricordare in
proposito il quarto comma dell’art. 89 del T.U.E.L.
L’adozione delle norme regolamentari deve avvenire nel
rispetto delle competenze e delle procedure previste dal
T.U.E.L.
Va allora posta in evidenza l’autonomia statutaria degli
enti locali, con la conseguenza che lo statuto è il punto di
riferimento primario nell’adozione dei regolamenti, sia per
quanto riguarda la dislocazione delle competenze per la loro
emanazione, sia per quanto riguarda i principi ai quali deve
conformarsi il testo normativo.
In mancanza di norme statutarie derogatorie la competenza ad
adottare regolamenti degli uffici e dei servizi appartiene
alla Giunta, nel rispetto però dei criteri generali
stabiliti dal consiglio (art. 48, terzo comma, ed art. 42,
secondo comma, lett. a, del T.U.E.L.)
Altro punto di riferimento relativamente al contenuto delle
norme regolamentari sono i criteri generali fissati dal
Consiglio. Il testo del comma 56 citato sembra in ogni caso
presupporre la necessità di comunque rivalutare in sede
regolamentare la materia degli incarichi e delle consulenze
per stabilire più stringenti criteri ed in ogni caso il
limite massimo della spesa (complessiva).
Può, pertanto, affermarsi che, sia nella ipotesi in cui non
siano state precedentemente inserite nel regolamento di
organizzazione disposizioni sul conferimento di incarichi e
consulenze, sia nella ipotesi in cui sia necessario
modificare “in parte qua” detto regolamento, il
Consiglio comunale deve previamente fissare i criteri ai
quali la Giunta dovrà attenersi nell’adozione delle norme
regolamentari.
Le attività da regolamentare secondo le disposizioni
contenute nell’art. 3, commi 54-57, della legge finanziaria
per il 2008 riguardano una pluralità di ipotesi non
omogenee, in quanto la disciplina ivi prevista si applica
sia agli incarichi di collaborazione sia a quelli di studio
e ricerca, sia alle consulenze.
In particolare gli incarichi di collaborazione attengono a
due finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff
del sindaco o degli assessori ovvero supportare l’attività
degli ordinari uffici dell’ente. Le differenze non sono
irrilevanti.
Nella prima ipotesi gli incarichi di collaborazione possono
essere conferiti dal Sindaco o dagli assessori competenti “intuitu
personae” a soggetti che rispondono a determinati
requisiti di professionalità entro i limiti, anche di spesa,
secondo i criteri e con le modalità previste nel regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e fermo restando
il limite massimo di durata dell’incarico da conformarsi
alla permanenza in carica del soggetto competente.
Nella seconda ipotesi il discorso è più complesso.
Va innanzitutto ricordato che le norme regolamentari intese
a disciplinare detti incarichi debbono adeguarsi, in forza
dell’art. 34, comma 6-ter, della legge n. 248/2006 di
conversione del D.l. n. 223/2006, ai principi contenuti
nell’art. 32 della medesima legge, dettati a fini di
contenimento della spesa e del coordinamento della finanza
pubblica. La vicenda, peraltro, si inserisce nel più
complesso discorso della provvista di personale a tempo
determinato per lo svolgimento dell’attività dell’ente. Le
disposizioni regolamentari vanno, pertanto, coordinate con
le norme di cui all’art. 3, commi da 90 a 96, dell’art. 3
della legge finanziaria 2008.
In ogni caso qualsiasi contratto di lavoro a tempo
determinato o di collaborazione coordinata e continuativa
deve essere preceduto da procedure selettive di natura
concorsuale in forza dei noti principi costituzionali, oltre
che delle specifiche disposizioni da ultimo richiamate
(cfr., sulla esigenza di rispettare i principi
costituzionali di organizzazione, la sentenza della Corte
Cost. n. 27 del 21.02.2008), senza far riferimento alle
soglie di ricorso alle procedure selettive previste in
materia di lavori pubblici, del tutto estranee alla materia.
L’organo competente a conferire l’incarico è il dirigente
preposto al settore, secondo il normale ordine delle
attribuzioni.
Più ampi sono gli adempimenti previsti per l’affidamento di
incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze a
soggetti estranei all’amministrazione.
Infatti ai sensi dell’art. 3, comma 55, della legge
finanziaria per il 2008 “l’affidamento da parte degli
enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di
consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può
avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal
Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. b), T.U.E.L.”
La norma da ultimo citata comprende un’ampia tipologia di
documenti programmatici di competenza del Consiglio; di
conseguenza gli incarichi di cui si parla debbono essere
previsti nel loro oggetto da documenti programmatici, che
scontino con adeguata motivazione la necessità/opportunità
di ricorrere all’incarico. La spesa prevista dovrà poi
essere inserita, concorrendo al limite massimo fissato nel
regolamento, nell’apposito stanziamento del bilancio
annuale. Va, peraltro, precisato che il limite massimo di
spesa indicato nel regolamento deve essere fissato
discrezionalmente dall’ente secondo criteri di razionalità e
rapportato alle dimensioni dell’ente con particolare
riguardo alla spesa per il personale.
Infatti, secondo giurisprudenza amministrativa consolidata
(cfr. Cons. di St., sez. IV, sentenza n. 263/2008)
l’incarico professionale (di consulenza, studio o ricerca)
in linea generale si configura come contratto di prestazione
d’opera ex artt. 2222-2238 c.c. riconducibile al modello
della locatio operis, rispetto al quale assume
rilevanza la personalità della prestazione resa
dall’esecutore. Concettualmente distinto rimane, pertanto,
l’appalto di servizi, il quale ha ad oggetto la prestazione
imprenditoriale di un risultato resa da soggetti con
organizzazione strutturata e prodotta senza
caratterizzazione personale. Ciò fatto salvo quanto disposto
dall’art. 91 D.Lgs. n. 163/2006 per gli incarichi di
progettazione.
Esemplificativamente
con riferimento all’incarico conferito
ad un libero professionista avvocato esterno
all’Amministrazione, va distinta l’ipotesi della richiesta
di una consulenza, studio o ricerca, destinata
sostanzialmente a sfociare in un parere legale, rispetto
alla rappresentanza e patrocinio giudiziale.
La prima ipotesi rientra sicuramente nell’ambito di
previsione dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge
finanziaria per il 2008.
La seconda, invece, esorbita concettualmente dalla nozione
di consulenza, e quindi ad essa non potrà applicarsi la
disciplina della legge finanziaria per il 2008 sopra
indicata.
Peraltro, appare possibile ricondurre la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B
del D.Lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art.
20 del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme
del codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto
art. 20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione ecc.).
Va affermato che
il legislatore, positivizzando principi di
origine pretoria,
segnatamente della giurisprudenza contabile, all’art. 7 del
D.Lgs. n. 165/2001
ha indicato i presupposti essenziali per
il ricorso agli incarichi esterni:
- l’oggetto della
prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite
dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
- la prestazione deve essere di
natura temporanea e altamente qualificata;
- devono essere
preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione.
Inoltre è previsto che le amministrazioni pubbliche
disciplinino e rendano pubbliche, secondo i propri
ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli
incarichi e che i regolamenti di cui all’art. 110, co. 6, del
D.Lgs. n. 267/2000 si adeguino ai principi suindicati.
Le leggi finanziarie, oltre a fissare precisi limiti di
spesa per gli incarichi esterni, hanno rafforzato il regime
di trasparenza degli stessi, attraverso l’obbligo della
pubblicità e dell’adeguata motivazione, ed il controllo sui
medesimi in capo agli organi interni e alla Corte dei conti
(L. n. 662/1996, D.l n. 168/2004, L. n. 311/2004, L. n.
266/2005).
Com’è noto
il D.L. n. 168/2004 ha distinto tre tipologie di
incarichi esterni: di studio, di ricerca, di consulenza.
La Corte dei conti SS.RR. in sede di controllo (delib. n. 6
del 15.02.2005) ne ha fornito una definizione:
per gli incarichi di studio il riferimento è all’art. 5 D.P.R. n.
338/1994 che richiede sempre la consegna di una relazione
scritta; gli incarichi di ricerca presuppongono
la preventiva definizione del programma da parte
dell’amministrazione; le consulenze si sostanziano nella
richiesta di un parere ad un esperto esterno.
Il tratto che accomuna le differenti tipologie è, secondo le
SS.RR., la sostanziale riconducibilità di tali fattispecie
alla categoria del contratto di lavoro autonomo, più
precisamente il contratto di prestazione d’opera
intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.
Restano esclusi, quindi, da questo ambito i “rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa”, che, com’è noto,
rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro
autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro
subordinato (art. 409, n. 3 c.p.c.). Gli incarichi di
collaborazione coordinata e continuativa, infatti, per la
loro stessa natura, che prevede la continuità della
prestazione ed un potere di direzione dell’amministrazione,
in via concettuale apparirebbero incompatibili con gli
incarichi esterni, caratterizzati (di norma) dalla
temporaneità e dall’autonomia della prestazione.
Resta fermo peraltro, secondo le SS.RR., che, qualora un
atto rechi il nome di collaborazione coordinata e
continuativa, ma, per il suo contenuto, rientri nella
categoria degli incarichi di studio o di ricerca o di
consulenza, il medesimo sarà soggetto al limite di spesa,
alla motivazione, ai controlli ed alle altre prescrizioni
imposte dalla normativa generale sugli incarichi esterni.
In particolare gli incarichi di studio possono essere
conferiti a soggetti particolarmente qualificati nella
materia. Essi debbono avere ad oggetto materie di interesse
del soggetto che li conferisce, avere durata certa e
concludersi con la presentazione di elaborati espositivi dei
risultati dello studio o della ricerca. Tutti questi
elementi debbono risultare dall’atto di
conferimento dell’incarico di studio, che regola il rapporto
tra soggetto conferente ed incaricato.
Il comma 56 dell’art. 3 della legge finanziaria per il 2008
sottopone alla dettagliata disciplina regolamentare, oltre
che gli incarichi di “studio o di ricerca ovvero di
consulenze”, anche quelli di “collaborazione”.
Del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione del comma
56 risultano essere gli incarichi conferiti ex art. 90 del
TUEL (Uffici di supporto agli organi di direzione politica),
ossia le cosiddette “collaborazioni di staff”. Infatti
l’art. 90 TUEL fa espresso riferimento a dipendenti
dell’ente ovvero a “collaboratori assunti con contratto a
tempo determinato” (collocati, se dipendenti da una pubblica
amministrazione, in aspettativa senza assegni), cui si
applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del
personale degli enti locali e, quindi, a figure
professionali sostanzialmente riconducibili al rapporto di
lavoro subordinato.
Più complesso è il discorso relativo all’esatta
delimitazione delle cosiddette “collaborazioni coordinate e
continuative” (ex art. 409 n. 3 c.p.c.) e alla loro
distinzione rispetto agli incarichi di consulenza.
Costituisce ormai un principio condiviso (cfr. Corte dei
conti delib. SS.RR. n. 6/2005 nonché circolare Dip. Funz.
Pubbl. 15.03.2005) quello secondo cui dalla lettura
sistematica delle disposizioni delle leggi finanziarie più
recenti (cfr. legge n. 311/2004 finanziaria per il 2005 e
legge n. 266/2005 finanziaria per il 2006 le quali fissano
tetti di spesa separati per incarichi di consulenza e co.co.co., in particolare conglobando contratti a termine e
co.co.co. in un unico tetto di spesa) emerge l’intenzione
del legislatore di stabilire una linea di demarcazione tra
le collaborazioni ad alto contenuto professionale e le altre
“semplici”
collaborazioni coordinate e continuative. Le prime hanno ad
oggetto prestazioni implicanti un’alta specializzazione (non
rinvenibile nelle normali competenze del personale della
P.A.) e una correlativa attività lavorativa sostanzialmente
autonoma. Le altre co.co.co. sono state spesso utilizzate
negli ultimi anni (analogamente ai contratti di lavoro a
tempo determinato e a fronte dei tagli o blocchi delle
assunzioni di lavoratori subordinati nella P.A.) per
l’espletamento di prestazioni ordinarie non richiedenti un
elevato grado di autonomia organizzativa.
Pertanto, il criterio per distinguere le collaborazioni ad
alto contenuto professionale dalle semplici co.co.co. va
ravvisato in un canone di sostanzialità, in base al
contenuto della prestazione ed alle modalità di svolgimento
della stessa (cfr. anche Corte conti sez. giur. reg. Umbria
n. 447/2005).
Questa logica distintiva appare ancora attuale nell’impianto
della legge finanziaria per il 2008, ed anzi è portata
all’estreme conseguenze.
Da un lato l’utilizzo delle “ordinarie” co.co.co. appare
attualmente fortemente ristretto: la logica della legge
finanziaria per il 2008 è, infatti, quella di evitare il
formarsi di precariato nella P.A., anche attraverso un
rigido contenimento del lavoro flessibile (cfr. art. 3, comma
79), con la conseguenza che per l’espletamento delle
ordinarie attività amministrative varrà il principio
generale “dell’autosufficienza”.
Dall’altro lato, vengono ulteriormente fissati i limiti alle
collaborazioni esterne ad elevata professionalità
prevedendo, per queste ultime, gli adempimenti di cui ai
commi 53-57 dell’art. 3.
L’individuazione dell’alta professionalità risulta peraltro
subordinata al requisito della “particolare e comprovata
specializzazione universitaria” di cui al comma 76 dell’art.
3 della legge finanziaria per il 2008.
Le collaborazioni ad elevata professionalità, pertanto,
rientrano nell’ambito di applicazione del comma 56 dell’art.
3 legge finanziaria per il 2008 e quindi necessitano della
disciplina ad opera del regolamento dell’ente locale. Le
altre “semplici” co.co.co., al contrario, ne sono escluse;
peraltro l’utilizzo di quest’ultime non risulta conforme
alla logica sottostante alla legge finanziaria 2008, che è
quella di limitare l’instaurazione di rapporti di lavoro
parasubordinato e/o flessibile per l’esercizio di attività
amministrative ordinarie.
Conseguentemente,
ritiene questo Collegio, così come
previsto nelle “Linee di Indirizzo e criteri interpretativi
dell’art. 3, commi 54-57 della l. 244/2007 in materia di
regolamento degli enti locali per l’affidamento di incarichi
di collaborazione, studio, ricerca e consulenza” emanate
dalla Sezione Autonomie nell’Adunanza del 14.03.2008,
che, con riferimento all’incarico conferito ad un libero
professionista, avvocato esterno all’Amministrazione,
destinato sostanzialmente a sfociare in un parere legale,
questo rientra sicuramente nell’ambito di previsione
dell’art. 3, commi da 54 a 57, della legge finanziaria per il
2008.
Peraltro,
appare possibile ricondurre solo la
rappresentanza/patrocinio legale nell’ambito dell’appalto di
servizi, dovendosi fare in generale riferimento alla
tipologia dei “servizi legali” di cui all’allegato 2B del
d.lgs. n. 163/2006, che costituisce, ai sensi dell’art. 20
del decreto, uno dei contratti d’appalto di servizi
cosiddetti “esclusi”, assoggettato alle sole norme del
codice dei contratti pubblici richiamate dal predetto art.
20, nonché i principi indicati dal successivo art. 27
(trasparenza, efficacia, non discriminazione).
Per ciò che concerne la richiesta relativa al comportamento
del Comune ed in particolare se “l'ente sia tenuto alla
liquidazione delle spettanze in favore del professionista e
debba successivamente, attivare procedura di rivalsa nei
confronti di chi, in assenza della pubblicazione, ha dato
seguito ad un contratto inefficace, o se invece
l'inosservanza di quanto stabilito dall'art. 3, comma 18,
legge 244/2007 determina l'assoluta impossibilità dell'ente
a provvedere alla liquidazione del compenso in favore del
professionista che ha reso la propria prestazione
professionale sulla base di un contratto valido ma
inefficace” si ricorda che l’attività consultiva di cui
all’art. 7, comma 8, della Legge 131/2003, intestata alle
Sezioni regionali di controllo della Corte, non può
riferirsi a scelte o a comportamenti amministrativi
specifici, riconducibili all’ambito di esercizio della
discrezionalità amministrativa del singolo ente.
Nei documenti d’indirizzo sopra richiamati, viene infatti
precisato che possono rientrare nella funzione consultiva
della Corte dei Conti le sole “questioni volte ad ottenere
un esame da un punto di vista astratto e su temi di
carattere generale”, dovendo quindi ritenersi inammissibili
le richieste concernenti valutazioni su casi o atti
gestionali specifici.
Per questo motivo, il Collegio ritiene di
non poter effettuare una valutazione sulla correttezza del
comportamento dell’Ente per non incorrere nel coinvolgimento
diretto di questa Sezione nell’amministrazione attiva di
competenza dell’Ente interessato, non rientrante nei canoni
dalla funzione consultiva demandata alla Corte dei conti
(Corte dei Conti, Sez. controllo Abruzzo,
parere 30.04.2013
n. 25). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Consulenze, no web no money.
Senza pubblicazione non è possibile liquidare l'onorario.
La Corte conti ha condannato un responsabile finanziario a
una sanzione pari al compenso.
Il funzionario pubblico che liquida un compenso ad un
consulente esterno, nonostante l'amministrazione non abbia
ottemperato alla pubblicazione, sul proprio sito internet,
del relativo provvedimento di conferimento, è soggetto, a
titolo di responsabilità erariale, al pagamento di una
sanzione pari al compenso pattuito.
---------------
È quanto ha deciso la Sez. giurisdizionale della Corte
dei Conti per la regione Molise, nel testo della recente
sentenza
29.04.2013 n. 48, applicando, per la prima volta sul
panorama giurisprudenziale, i precetti indicati dal
legislatore all'articolo 1, comma 127, della legge
finanziaria 2007 (come modificato dall'art. 3 comma 54, della
finanziaria 2008), dirimendo la vicenda che ha visto
convenuto in giudizio un responsabile finanziario di un
comune molisano che aveva provveduto a liquidare il compenso
a un soggetto esterno, non avendo preventivamente verificato
la pubblicazione dell'incarico sulla pagina istituzionale
dell'amministrazione comunale.
E nei fatti oggetto del giudizio in esame, al momento del
pagamento, sulla home-page del comune non vi era alcuna
traccia del provvedimento di incarico.
Come si ricorderà, la disposizione sopra richiamata impone
che le p.a. che si avvalgono di collaboratori esterni o che
affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un
compenso, sono tenute (è pertanto un obbligo e non certo una
facoltà) a pubblicare sul proprio sito web i relativi
provvedimenti completi di indicazione dei soggetti
percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare
erogato. La norma, poi, prevede che in caso di omessa
pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli
incarichi di collaborazione o di consulenza costituisca
illecito disciplinare e determini la responsabilità erariale
del dirigente preposto al pagamento.
Secondo il collegio giudicante della magistratura contabile
molisana, la disposizione si mostra chiara e non necessita
di alcuna interpretazione estensiva nel prevedere una
responsabilità erariale per tutti quei casi in cui si
provveda a liquidare gli incarichi di collaborazione, senza
che si sia preventivamente pubblicato, sul sito della p.a.,
il provvedimento di incarico, completo dei dati che vanno
nella direzione auspicata dei principi che devono regolare
la massima trasparenza e pubblicità tra la pubblica
amministrazione e il cittadino.
Entrando nel merito, sotto il profilo del danno, il collegio
ha osservato che la responsabilità di cui sopra non implica
necessariamente che si accerti la sussistenza di un danno
patrimoniale (quindi di un depauperamento delle casse
comunali). Pertanto, in queste ipotesi, occorrerà solamente
verificare la semplice violazione della disposizione
normativa, oltre ad accertare la sussistenza dell'elemento
psicologico della colpa grave (o del dolo, in alcuni casi)
in capo al soggetto convenuto.
In particolare, ha aggiunto la Corte nella sua attenta
disamina, deve essere chiarito che la norma violata, pur
connotando l'illiceità della liquidazione del compenso in
assenza dei necessari requisiti di pubblicità e trasparenza,
non individua una specifica sanzione come conseguenza della
violazione commessa. La sua quantificazione, quindi, è
rimessa all'autonoma valutazione del giudice contabile.
Sotto il profilo soggettivo, è indubbio che la condotta del
responsabile finanziario sia connotata da colpa grave, sia
per la funzione apicale rivestita in seno all'ente locale
sia perché la norma, al verificarsi della liquidazione delle
spettanze (siamo nel novembre del 2009), era già in vigore
da circa due anni (1/1/2008). La colpa grave, pertanto, è
collegata all'inescusabilità dell'errore interpretativo su
una norma sanzionatoria che, ammette il collegio, «si mostra
estremamente chiara e inequivoca» o, in alternativa, alla
mancata attivazione di un procedimento che avrebbe
consentito al convenuto di accertare la regolare osservanza
della norma.
Tuttavia, nella quantificazione del danno, rispetto alla
richiesta della Procura, pari all'ammontare del compenso,
liquidato in 3.900 euro, il collegio ha optato per un suo
dimezzamento. In questo caso, infatti, trova applicazione
l'istituto della «compensatio lucri cum damno»,
ovvero la detrazione dall'importo contestato dei vantaggi
comunque ricevuti dall'amministrazione, grazie all'opera
svolta dal consulente esterno (articolo
ItaliaOggi del 24.05.2013). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Il dettato normativo non sembra, in
considerazione dell’ampiezza della locuzione utilizzata,
consentire alcuna limitazione al novero delle consulenze
prese in esame ai fini della riduzione della spesa”.
Del
resto, l’esclusione delle consulenze talmente specialistiche
da essere comunque al di fuori delle professionalità interne
all’Amministrazione “non
appare coerente con la disciplina dettata in materia
(articolo 7 del decreto legislativo 165/2001) che prevede,
espressamente, tra i presupposti per il ricorso a
collaborazioni, il preliminare accertamento
dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili all’interno dell’Amministrazione e la natura
temporanea e altamente qualificata della prestazione resa da
esperti di particolare e comprovata specializzazione”.
Ne deriva che il Comune è tenuto a
rispettare il limite di spesa ex art. 6, comma 7, del d.l.
n. 78/2010, nel vigente quadro legale ed ermeneutico della
giurisprudenza costituzionale e contabile.
---------------
Il Sindaco del Comune di Cisano Bergamasco (BG) ha posto
alla Sezione una richiesta di parere sulla corretta
interpretazione ed applicazione dell’art. 6, comma 7, del
d.l. n. 78/2010.
Più nel dettaglio, l’organo rappresentativo dell’ente
osserva quanto segue.
Il Comune nel 2009 ha affidato un unico incarico di
consulenza per l’esigua somma di Euro 2.856,00. Premesso
ciò, il Sindaco chiede se sia possibile affidare nel 2013
un incarico per assistenza legale per problematiche di
particolare difficoltà sorte per pratiche edilizie
complesse, non rispettando il limite di cui all’art. 6, c.7,
del D.L. 78/2010. In base a tale disposizione, le
Pubbliche Amministrazioni possono, per l’anno in corso,
conferire incarichi di consulenza nel limite del 20% della
spesa effettivamente sostenuta nel 2009.
L’organo rappresentativo dell’ente precisa che tale
consulenza legale risulta necessaria: infatti, nel settore
tecnico non vi sono figure professionali in grado di
formulare pareri su pratiche così complesse, ragion per cui
si rivela indispensabile un legale specializzato.
Tale incarico verrebbe affidato di volta in volta
specificandone la motivazione, per un importo complessivo
non superiore, complessivamente nell’anno 2013, alla somma
di euro 10.000,00.
...
La tematica relativa all’esegesi dell’art. 6, comma 7, del
d.l. n. 78/2010 è stata affrontata dalle Sezioni Riunite
della Corte dei Conti in sede nomofilattica, con specifico
riferimento alla possibilità di escludere dall’applicazione
dei limiti previsti dall’art. 6, comma 7, le spese per
incarichi di consulenza “talmente specialistiche che
siano comunque al di fuori delle professionalità interne
all’amministrazione” (Corte dei Conti, Sezioni Riunite,
n. 50/2011).
Il Supremo Consesso della Magistratura contabile, la cui
esegesi riveste natura vincolante per tutte le sezioni
regionali di controllo della Corte dei Conti, ha ritenuto
che “il dettato normativo non sembra, in
considerazione dell’ampiezza della locuzione utilizzata,
consentire alcuna limitazione al novero delle consulenze
prese in esame ai fini della riduzione della spesa”. Del
resto, l’esclusione delle consulenze talmente specialistiche
da essere comunque al di fuori delle professionalità interne
all’Amministrazione –proseguono le Sezioni Riunite– “non
appare coerente con la disciplina dettata in materia
(articolo 7 del decreto legislativo 165/2001) che prevede,
espressamente, tra i presupposti per il ricorso a
collaborazioni, il preliminare accertamento
dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili all’interno dell’Amministrazione e la natura
temporanea e altamente qualificata della prestazione resa da
esperti di particolare e comprovata specializzazione”.
Ne deriva che il Comune di Cisano Bergamasco (BG) è tenuto a
rispettare il limite di spesa ex art. 6, comma 7, del d.l.
n. 78/2010, nel vigente quadro legale ed ermeneutico della
giurisprudenza costituzionale e contabile
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 18.04.2013 n. 157). |
APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALI: Contributi
alla luce del sole. Dal 20 aprile trasparenza anche per
incarichi e appalti.
Ecco cosa cambierà con l'entrata in vigore del
decreto legislativo n. 33 del 2013.
Cambia la pubblicità per contributi, incarichi e appalti. Il
20 aprile prossimo entrerà in vigore il dlgs 33/2013,
decreto legislativo sul riordino della trasparenza, che
spazza via l'articolo 18 del dl 83/2012, convertito in legge
134/2012, sostituito dagli articoli 26 e 27 del nuovo
decreto.
In sostanza, il legislatore, sia pure con notevole
confusione, distingue più nettamente le fattispecie di
pubblicità che fino al 4 aprile scorso erano tutte comprese
nell'abolito articolo 18: contributi, incarichi di
collaborazione e appalti.
Contributi.
È la fattispecie di provvedimenti più chiara. Non vi è alcun
dubbio che gli articoli 26 e 27 si riferiscano a procedure
mediante le quali le amministrazioni pubbliche assegnano «sovvenzioni,
contributi, sussidi ed ausili finanziari alle imprese, e
comunque vantaggi economici di qualunque genere a persone ed
enti pubblici e privati», in applicazione dell'articolo
articolo 12 della legge 241/1990, se di importo superiore a
mille euro.
In questo caso, si pubblicano senza alcun problema i dati
elencati dall'articolo 27, comma 1, anche se occorre
precisare che detta elencazione non menziona i provvedimenti
di assegnazione, che, come vedremo in seguito, sono
essenziali.
Incarichi di collaborazione.
La nuova formulazione dell'articolo 26 del dlgs 33/2013
elimina il riferimento contenuto, precedentemente, nel comma
1 dell'articolo 18 ai «compensi a persone,
professionisti, imprese ed enti privati». Dunque, gli
incarichi professionali di collaborazione e consulenza,
prima inclusi nell'articolo 18, sembrano estrapolati. In
effetti, la disciplina della pubblicità degli incarichi di
collaborazione esterna si riscontra prevalentemente
nell'articolo 15, commi 2 e 3, del decreto di riordino, i
quali sostituiscono l'articolo 1, comma 127, della legge
662/1996 e l'articolo 3, comma 18, della legge 244/2007,
anch'essi aboliti.
Tuttavia, l'articolo 27, comma 1, continua a citare tra i
dati da pubblicare il «curriculum del soggetto incaricato».
Ora, poiché nell'ambito dell'erogazione di contributi e
sussidi non vi è alcun soggetto «incaricato», e visto
che la gran parte delle informazioni da rendere note ai
sensi dell'articolo 15 coincidono con quelle richieste
dall'articolo 27, comma 1, è corretto ritenere che per
quanto riguarda gli incarichi esterni l'elenco dei dati da
pubblicare sia quello previsto dall'articolo 27, comma 1,
integrato con gli specifici elementi richiesti dall'articolo
15: in particolare, la «ragione dell'incarico».
Appalti.
Gli articoli 26 e 27 non contengono più alcun riferimento
indiretto agli appalti. L'elenco dei dati da pubblicare
previsto dall'articolo 27, comma 1, alla lettera h) non
contiene più il periodo, presente invece nell'abolito
articolo 18, «nonché al contratto e capitolato della
prestazione, fornitura o servizio». Dunque, gli articoli
26 e 27 non disciplinano la pubblicità degli appalti.
E questo è confermato dall'articolo 37 del decreto di
riordino, il quale in modo espresso sancisce che la
pubblicità relativa agli appalti di lavori, forniture e
servizi è contenuta esclusivamente nelle specifiche norme
del dlgs 163/2006 e nell'articolo 1, comma 32, della legge
190/2012 (legge «anticorruzione»).
Efficacia.
Altra rilevantissima modifica apportata dal dlgs 33/2013
rispetto all'abolito articolo 18 concerne la condizione di
efficacia, connessa alla pubblicazione dei dati. La norma
abolita stabiliva che detta pubblicazione condizionasse
l'efficacia del «titolo legittimante»; ciò
significava che occorreva pubblicare il contratto o la
convenzione regolanti i rapporti di appalto, collaborazione
o contributo (era totalmente erronea la tesi che il titolo
legittimante potessero essere le fatture).
L'articolo 26, comma 3, del decreto di riordino, invece,
stabilisce che la pubblicazione costituisce «condizione
legale di efficacia dei provvedimenti che dispongano
concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore
a mille euro nel corso dell'anno solare al medesimo
beneficiario». Sparisce, quindi, il riferimento al
titolo legittimante.
Occorre, allora, pubblicare il provvedimento di assegnazione
(delibera, determina) e tale pubblicazione lo rende
efficace, non dunque, la pubblicazione all'albo pretorio,
che resta in ogni caso necessaria. Pertanto, sebbene
l'articolo 27, comma 1, non li menzioni nel suo elenco di
dati da pubblicare, è evidente che i provvedimenti di
assegnazione dei contributi o sussidi, nonché degli
incarichi di collaborazione, debbono essere necessariamente
pubblicati, così da permettere l'acquisizione di efficacia.
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La Consip non è sempre obbligatoria.
Nessun obbligo di adesione alle convenzioni Consip per gli
enti locali, tranne che per le forniture di energia, gas,
combustibili e telefonia; è invece obbligatorio il rispetto
dei parametri-qualità prezzo desunti dalle convenzioni
stipulate dalle centrali di committenza.
È questo il quadro che si trae dalla lettura delle norme che
si sono succedute in questi ultimi mesi e sulle quali sono
sorte, in sede interpretative, alcune tesi difformi che
meritano di essere meglio chiarite e specificate alla luce
della normativa vigente.
In sintesi la situazione è tale per cui, alla luce del
decreto c.d. spending review bis (legge 94/2012 di
conversione del dl 52/2012), che ha rafforzato l'obbligo,
per tutte le p.a., di fare ricorso alle convenzioni Consip
per gli acquisti, ai sensi dell'art. 1, c. 499, della legge
296/2006, come modificato di recente dalla stessa legge 94,
effettivamente esistono da un lato l'obbligo di adesione
alle convenzioni Consip per le sole amministrazioni statali
(tranne per quelle operanti nel settore dell'istruzione:
scuole e università) e dall'altro l'obbligo di utilizzo
delle convenzioni stipulate dalle centrali regionali da
parte del servizio sanitario nazionale.
Per gli enti locali (ma sono esclusi gli enti con
popolazione fino a 1.000 abitanti, o a 5.000 per i comuni
montani), invece, i paletti sono due: utilizzare i parametri
di qualità e prezzo, sia delle convenzioni stipulate dalla
centrale di committenza statale o da quelle regionali, come
limiti massimi per la stipulazione dei contratti; aderire
alle convenzioni Consip per i contratti di fornitura di
energia elettrica; gas; carburanti rete e carburanti
extra-rete; combustibili per riscaldamento; telefonia fissa
e telefonia mobile (le precise categorie merceologiche sono
indicate dall'art. 1 c. 7, del dl 95/2012).
Sull'aggiudicatario dei contratti.
C'è poi, sull'altro versante (privato), l'obbligo di
pagamento di una commissione non superiore all'1,5% del
valore del contratto per l'aggiudicatario delle convenzioni
stipulate da Consip, per l'aggiudicatario di gare su delega
bandite da Consip nell'ambito del Programma di
razionalizzazione degli acquisti del Dipartimento
dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi,
nonché per l'aggiudicatario degli appalti basati su accordi
quadro (articolo
ItaliaOggi del 12.04.2013. |
APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: R.
Lasca,
I prodotti degli “Incarichi esterni” e degli “Appalti”
e relativi contratti: due fattispecie sicuramente distinte
oggi per le PP.AA. italiane? - La Corte dei Conti della
Lombardia prova a distinguere con la delibera collaborativa
n. 51/2013: ma qualcosa non torna …. in punto di diritto!
Vediamo esattamente cosa (08.04.2013). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Oggi in Gazzetta Ufficiale il decreto sulla pubblicità delle
informazioni degli enti.
P.a. con patrimoni trasparenti.
Via al diritto di accesso civico. Pubblici gli incarichi.
Istituzione del diritto di accesso civico; totale
trasparenza sulle situazioni patrimoniali di politici e
amministratori pubblici e sulle loro nomine; pubblici tutti
gli incarichi di consulenza affidati a terzi; prevista
l'adozione di un programma triennale per la trasparenza e la
nomina del responsabile della trasparenza in ogni
amministrazione.
Sono queste alcune delle novità contenute
nel decreto legislativo recante la disciplina degli obblighi
di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni
da parte delle p.a. (D.Lgs.
14.03.2013 n. 33), approvato in via definitiva dal
Consiglio dei ministri del 15.02.2013 e in
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di oggi 05.04.2013.
Il provvedimento, modellato sul «Freedom of Information Act»
della legislazione statunitense, afferma il principio
generale dell'accessibilità immediata agli atti della
pubblica amministrazione a semplice richiesta del cittadino.
Si procede quindi all'introduzione de iure del diritto di
accesso civico consistente nella potestà attribuita a tutti
i cittadini di avere accesso e libera consultazione ai
documenti relativi all'attività della pubblica
amministrazione. Infatti si prevede che la richiesta di
accesso civico non sia sottoposta ad alcuna limitazione
quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, che
non debba essere motivata, che sia gratuita e presentata al
«Responsabile della trasparenza», figura che ogni
amministrazione dovrà istituire.
La maggior parte degli obblighi previsti dal decreto e che
faranno capo alle amministrazioni pubbliche poggerà sulla
piattaforma internet e sulle reti telematiche in generale.
Su ogni sito istituzionale l'Amministrazione dovrà rendere
accessibile e facilmente consultabile una apposita sezione
ove devono essere pubblicati gli atti e le delibere per
almeno cinque anni o fino a che non perdono effetto) cui il
cittadino dovrà avere libero accesso. Non solo: al fine di
una maggiore chiarezza di lettura ogni provvedimento o atto
amministrativo dovrà contenere i link alle leggi di
riferimento. Si prevede poi che ogni Amministrazione adotti
un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da
aggiornare annualmente, finalizzato a garantire un adeguato
livello di trasparenza, legalità e «sviluppo della
cultura dell'integrità».
Per quel che riguarda i politici, il regolamento stabilisce
l'obbligo di pubblicità delle situazioni patrimoniali di
politici e parenti entro il secondo grado. Dovranno essere
rese pubbliche le nomine dei direttori generali delle Asl,
oltre che gli accreditamenti delle strutture cliniche.
Evidenza pubblica anche per la pubblicazione dei rendiconti
dei gruppi consiliari regionali e provinciali, nonché per
gli atti e le relazioni degli organi di controllo, da parte
delle regioni, delle province autonome e delle province,
evidenziando, in particolare, le risorse trasferite a
ciascun gruppo, con indicazione del titolo di trasferimento
e dell'impiego delle risorse utilizzate.
Trasparenza assoluta per gli incarichi dei dipendenti
pubblici: si prevede infatti che siano pubblicati sul sito
dell'amministrazione di appartenenza del dipendente l'elenco
di tutti gli incarichi autorizzati, con l'indicazione della
durata e del compenso spettante per ogni incarico, in
aggiunta alla pubblicazione del singolo incarico sul sito
dell'amministrazione conferente, diversa da quella di
appartenenza. Per i soggetti esterni all'amministrazione
rimane fermo l'elenco complessivo degli incarichi affidati
consultabile sulla banca dati del Dipartimento della
funzione pubblica. Da pubblicare anche i dati relativi
all'ammontare complessivo dei premi stanziati per la
performance dei dipendenti pubblici e l'ammontare dei premi
effettivamente distribuiti.
Inoltre le amministrazioni dovranno pubblicare i dati
relativi all'entità del premio mediamente conseguibile dal
personale, i dati relativi alla distribuzione del
trattamento accessorio, in forma aggregata. Previsto anche
l'obbligo di pubblicazione annuale di un indicatore dei
tempi medi di pagamento per l'acquisto di beni, servizi e
forniture, denominato «indicatore di tempestività dei
pagamenti
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
marzo 2013 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Il
previo accertamento in ordine alla regolarità
dell’affidamento dell’incarico a soggetti esterni della
progettazione in argomento risulta necessario in quanto una
eventuale illegittimità dello stesso avrebbe inevitabilmente
ripercussioni sulla legittimità del procedimento relativo
alla approvazione del progetto disposta con l’ordinanza
commissariale in esame. Tale accertamento inoltre risulta
necessario anche in considerazione del fatto che un incarico
di progettazione affidato illegittimamente a liberi
professionisti esterni in presenza di tecnici interni che
avrebbero potuto provvedere alla progettazione stessa può
determinare danno erariale.
L’art. 90, co. 6, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che è
possibile affidare la progettazione a liberi professionisti
in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero
di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei
lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso
di lavori di speciale complessità o di rilevanza
architettonica o ambientale o in caso di necessità di
predisporre progetti integrali che richiedono l'apporto di
una pluralità di competenze, casi che devono essere
accertati e certificati dal responsabile del procedimento.
Tutto ciò premesso, considerato che l’affidamento
dell’incarico a progettisti esterni (contrariamente a quanto
avvenuto, con riferimento alla medesima opera, per
l’incarico al geologo) è avvenuto sostanzialmente sulla base
della sola motivazione che “è
altresì urgente ed indifferibile provvedere alla esecuzione
dei lavori” e che “la progettazione degli interventi di che
trattasi è complessa ed articolata”, senza quindi adeguati
riferimenti all’eventuale indispensabilità del conferimento
dell’incarico a soggetti esterni e, soprattutto, in assenza
di adeguati riferimenti alla eventuale carenza di
progettisti interni che avrebbero potuto redigere il
progetto in argomento lo stesso affidamento non può essere
ritenuto legittimo.
La specifica motivazione addotta nel provvedimento indicato
(urgenza ed indifferibilità di provvedere alla esecuzione
dei lavori e progettazione complessa ed articolata) non
risulta infatti da sola sufficiente a giustificare il
conferimento di un oneroso incarico di progettazione a
soggetti esterni all’Amministrazione.
2. Il progetto
approvato con l’ordinanza in esame risulta predisposto da
soggetti esterni. L’affidamento dell’incarico di
progettazione è avvenuto a seguito della determinazione del
Comune di Catanzaro (Soggetto attuatore) n. 7046 del
22.12.2010 con la quale è stata indetta “gara d’appalto”
per la redazione della intera progettazione (e della
direzione dei lavori) per un importo di euro 90.000,00
(importo complessivo di euro 110.160.00, comprensivo di
cassa e IVA) sulla base della motivazione che “è altresì
urgente ed indifferibile provvedere alla esecuzione dei
lavori” e che “la progettazione degli interventi di
che trattasi è complessa ed articolata”.
L’affidamento dell’incarico è stato effettuato con
determinazione del Comune di Catanzaro n. 1079 del
15.03.2011 (rettificata con successiva determinazione n.
3095 del 26.07.2011, non trasmessa), dopo una procedura
negoziata con invito rivolto a n. 5 professionisti il
17.01.2011 (scadenza prevista per la presentazione della
domanda 30.01.2011).
Il previo accertamento in ordine alla
regolarità dell’affidamento dell’incarico a soggetti esterni
della progettazione in argomento risulta necessario in
quanto una eventuale illegittimità dello stesso avrebbe
inevitabilmente ripercussioni sulla legittimità del
procedimento relativo alla approvazione del progetto
disposta con l’ordinanza commissariale in esame. Tale
accertamento inoltre risulta necessario anche in
considerazione del fatto che un incarico di progettazione
affidato illegittimamente a liberi professionisti esterni in
presenza di tecnici interni che avrebbero potuto provvedere
alla progettazione stessa può determinare danno erariale
(Corte dei conti, sez. giur. Toscana, 31.01.2006, n. 7).
L’art. 90, co. 6, del D.Lgs. 163/2006 stabilisce che
è possibile affidare la progettazione a liberi
professionisti in caso di carenza in organico di personale
tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di
istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o
di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di
necessità di predisporre progetti integrali che richiedono
l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono
essere accertati e certificati dal responsabile del
procedimento.
Come sopra indicato, tale norma è derogabile, nel caso
specifico, per effetto dell’art. 1, co. 11, dell’O.P.C.M.
3862/2010, “ove ritenuto indispensabile e sulla base di
specifica motivazione”, “nel rispetto dei principi
generali dell’ordinamento giuridico” e “dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario”.
Come già specificato, l’art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M.
3862/2010 precisa che, per l’attuazione degli interventi
previsti, “ove non sia possibile l’utilizzazione delle
strutture pubbliche”, è consentito affidare la
progettazione anche a liberi professionisti esterni
avvalendosi, “ove necessario”, delle deroghe previste
dall’art. 3 dell’O.P.C.M. 3741/2009.
Tutto ciò premesso, considerato che
l’affidamento dell’incarico a progettisti esterni
(contrariamente a quanto avvenuto, con riferimento alla
medesima opera, per l’incarico al geologo)
è avvenuto sostanzialmente sulla base della sola motivazione
(determinazione del Comune di Catanzaro n. 7046 del
22.12.2010) che “è altresì urgente ed
indifferibile provvedere alla esecuzione dei lavori” e
che “la progettazione degli interventi di che trattasi è
complessa ed articolata”, senza quindi adeguati
riferimenti all’eventuale indispensabilità del conferimento
dell’incarico a soggetti esterni e, soprattutto, in assenza
di adeguati riferimenti alla eventuale carenza di
progettisti interni che avrebbero potuto redigere il
progetto in argomento, tenendo conto di quanto disposto dal
citato art. 2, co. 1, dell’O.P.C.M. 3862/2010, lo stesso
affidamento non può essere ritenuto legittimo.
La specifica motivazione addotta nel
provvedimento indicato (urgenza ed indifferibilità di
provvedere alla esecuzione dei lavori e progettazione
complessa ed articolata) non risulta infatti da sola
sufficiente a giustificare il conferimento di un oneroso
incarico di progettazione a soggetti esterni
all’Amministrazione.
Corre l’obbligo inoltre di evidenziare che l’incarico di
progettazione esterno, pur risultando molto più oneroso di
una progettazione interna e pur essendo stato motivato con
la urgenza ed indifferibilità di provvedere alla esecuzione
dei lavori, non ha evidentemente consentito il rispetto del
cronoprogramma previsto dallo stesso Commissario delegato la
cui scansione temporale risulta ampiamente violata. Non
essendo stata trasmessa la convenzione con i progettisti
esterni non è purtroppo possibile stabilire se risultano
rispettati i tempi previsti dalla stessa per la
predisposizione della progettazione. E’ certo comunque che,
al momento della scadenza dello stato di emergenza
(28.02.2013), il cui termine peraltro è stato più volte
prorogato, l’iter di progettazione delle opere necessarie
non risulta terminato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Calabria,
deliberazione 28.03.2013 n. 16). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Corte
dei conti. Verifiche sulle Regioni.
Sindacabili gli atti dei consiglieri.
La Corte dei conti può sindacare sugli atti dei consiglieri
regionali.
La vicenda riguarda alcuni consiglieri che, in
qualità di componenti dell'ufficio di presidenza del
consiglio regionale della Basilicata, con una delibera nel
2005 affidarono a un soggetto esterno l'incarico di redigere
un progetto di organizzazione del consiglio regionale con
una spesa di 23.869 euro.
La procura regionale della Corte dei conti della Basilicata
ha ritenuto illegittimo l'atto di conferimento
dell'incarico, e i giudici contabili hanno dichiarato il
proprio difetto di giurisdizione, ritenendo applicabile al
caso l'immunità garantita ai componenti del consiglio
regionale dall'articolo 122, comma 4, della Costituzione
«per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle
proprie funzioni».
I giudici della
Sez. I giurisdizionale
centrale
di appello della Corte dei
Conti, con la sentenza
07.03.2013 n. 190, hanno invece affermato il principio
che l'insindacabilità dei consigli regionali e dei loro
appartenenti incontra precisi limiti, relativi appunto a un
diretto collegamento delle attività poste in essere con
l'esercizio dell'attività assembleare. Conseguentemente, la
sentenza impugnata é stata annullata ed è stata dichiarata
la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione
contabile.
È importante sottolineare come le recenti norme
(in particolare, l'articolo 1, commi 10 e seguenti, del Dl 19.10.2012, n. 174, convertito dalla legge n. 213/2012),
secondo cui i vari gruppi consiliari regionali sono tenuti a
redigere appositi rendiconti e sono assoggettati a controlli
delle spese da parte della Corte dei conti) emanate allo
scopo di contrastare i fenomeni di mala gestio e di sperpero
di denaro pubblico da parte dei gruppi politici delle
assemblee territoriali, hanno contribuito ad offrire ai
giudici di appello una valida chiave interpretativa delle
norme costituzionali in materia e della portata delle
guarentigie per i medesimi consigli.
Senza la giurisdizione contabile della Corte dei conti,
infatti, si verrebbe a creare una zona franca, un'area di
privilegio sottratta ad ogni sindacato giurisdizionale sulla
correttezza e la regolarità della gestione del danaro
pubblico, in quanto l'unico riscontro operante sarebbe
quello costituito dalla rendicontazione interna
all'assemblea (articolo Il Sole 24 Ore del
18.03.2013 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenti al palo.
Solo incarichi di valenza politica. Giro di vite della Corte dei conti sulle regioni.
I consigli regionali rispondono alla Corte dei conti nel
caso in cui conferiscano incarichi di consulenza non
pertinenti alla loro funzione «politica».
La sentenza della
Corte dei Conti, Sez. I giurisdizionale centrale,
sentenza 07.03.2013 n. 190, stringe le maglie dei controlli sulle
assemblee legislative regionali, fornendo grazie alla
riforma dei controlli, il dl 174/2012, convertito in legge
213/2012, un'interpretazione innovativa sulla presunta
insindacabilità delle decisioni dei consigli.
La sentenza,
accogliendo l'appello presentato dalla procura della
Basilicata avverso la decisione del giudice di prime cure,
smonta dalle radici la presunzione molto radicata negli
organi legislativi delle regioni di essere sostanzialmente
al di fuori di ogni controllo sul loro operato. Occasione
del contendere era stata la contestazione mossa dalla
medesima Procura di danno erariale, per il conferimento da
parte dell'ufficio di presidenza del consiglio della regione
Basilicata di un incarico di consulenza per l'organizzazione
del Consiglio regionale, assegnato ad un soggetto esterno,
per un importo di 23.869 euro.
Secondo la Procura si era
trattato di un incarico assegnato in violazione dei limiti e
vincoli imposti dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001,
in particolare per l'assenza della specificità dell'attività
da svolgere, considerata di ordinaria amministrazione, anche
considerando la presenza, nell'organico del consiglio
regionale, di un direttore generale, 9 dirigenti e 46
funzionari direttivi.
Tuttavia, la sentenza di primo grado non aveva esaminato la
questione, fermandosi immediata alla questione pregiudiziale
dell'assenza della giurisdizione della magistratura
contabile, dovuta all'insindacabilità del consiglio. La
Procura ha sostenuto che, a ben vedere, l'articolo 122 della
Costituzione e la giurisprudenza costituzionale debbono
essere letti nel senso di riconoscere alle assemblee
regionali mera autonomia organizzativa, a differenza del
parlamento che dispone di poteri e prerogative discendenti
dall'esercizio della sovranità. La sentenza ha ritenuto che
l'organizzazione del consiglio non rientra tra le funzioni «politiche»
dell'assemblea, ma si tratti di mera «amministrazione
attiva», cioè pura ed ordinaria gestione, non
riguardanti lo svolgimento dei lavori dei consiglieri, ma
della struttura servente.
Secondo la sezione, le funzioni puramente amministrative non
sono garantite da immunità ed insindacabilità. E questo è
confermato dall'articolo 1, commi 10 e seguenti, del dl
174/2012, che contribuisce a chiarire i limiti delle
guarentigie assicurate dalla Costituzione ai consigli
regionali, riguardanti solo ed esclusivamente le attività
politiche. Sicché, la Corte dei conti può esercitare la
propria giurisdizione allo scopo di sanzionare la mala
gestione amministrativa, come può essere l'assegnazione di
incarichi di consulenza per attività ordinarie
(articolo ItaliaOggi del 15.03.2013
- tratto da www.cndcec.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto:
Abolizione tariffe professionali e pareri congruità
(Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati,
nota 06.03.2013 n. 2377 di prot.). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Dm appalti al
palo.
Gare di progettazione senza bussola.
Il regolamento sui compensi finisce nel pantano.
Finiscono (per ora) in un cassetto i parametri per i
compensi delle gare di progettazione. L'atteso regolamento
che avrebbe dovuto determinare «i corrispettivi a base di
gara per gli affidamenti di contratti di servizi attinenti
all'architettura e all'ingegneria», si impantana, infatti,
di nuovo nelle stanze ministeriali.
Questa volta a cercare di trovare una quadratura del cerchio
rispetto ai rilievi sollevati è il ministero delle
infrastrutture guidato da Corrado Passera che, insieme a
quello della giustizia, ha ricevuto la delega per
determinare tali corrispettivi appunto con un decreto
interministeriale «che avrebbe anche definito le
classificazioni delle prestazioni professionali relative ai
predetti servizi».
Ma il tutto con un paletto preciso: «I
parametri individuati non possono condurre alla
determinazione di un importo a base di gara superiore a
quello derivante dall'applicazione delle tariffe
professionali vigenti prima dell'entrata in vigore del
presente decreto». Proprio quello che viene contestato al
provvedimento. E il rischio che il testo passi direttamente
nelle mani del nuovo governo è dietro l'angolo vista la
difficoltà dei due dicasteri di venire a capo di tale
criticità.
Il regolamento, infatti, ha ricevuto poche
settimane fa pesanti osservazioni da parte del Consiglio
superiore dei lavori pubblici e dell'Autorità di vigilanza
dei contratti pubblici secondo i quali i parametri contenuti
nel provvedimento supera le vecchie tariffe professionali e
volta le spalle al mercato. Secondo i due organi, che hanno
fornito un parere sostanzialmente allineato, il quadro di
sintesi e le verifiche elaborate dal ministero della
giustizia con tanto di grafici e tabelle presenti nella
relazione illustrativa non sono sufficienti a ricavare che i
parametri non determinino corrispettivi maggiori delle
vecchie tariffe.
E non solo perché secondo l'Authority il
calcolo del corrispettivo non sembrerebbe rinconducibile ai
risultati di un'analisi di mercato, ma piuttosto a un
approccio pragmatico che ha assunto quali riferimenti le
precedenti tariffe e quelle del recente dm 240/2010.
Un'accusa respinta al mittente dalle stesse categorie
tecniche che hanno invece verificato come, in tutte le
ipotesi declinabili, i parametri risultano sempre inferiori
alle abolite tariffe del 2001 e, quindi, sono in sintonia
con la legge.
Il punto semmai è che secondo qualcuno si è dato spazio ad
interpretazioni che non tengono conto delle differenze e
novità della nuova normativa, non automaticamente
comparabile con quella precedente, peraltro sempre a parere
delle categorie tecniche carente in molti aspetti
(articolo ItaliaOggi del
05.03.2013 - link a www.corteconti.it). |
febbraio 2013 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI/PROGETTUALI:
D. de Paolis,
Determinazione dei compensi professionali: indicazioni
pratiche sui parametri cui fare riferimento (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 2/2013). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
A. Camarda,
Incarichi professionali: consulenze o appalto di servizi?
(Diritto e
pratica amministrativa n. 2/2013). |
CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI: Enti
pubblici e incarichi professionali.
1. Le scelte elettive degli amministratori,
dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a quelli
giuridici di economicità (ottimizzazione dei risultati in relazione
alle risorse disponibili), di efficacia (idoneità dell’azione
amministrativa alla cura effettiva degli interessi pubblici da perseguire,
congruenza teleologia e funzionale) e di buon andamento, sono
soggette al controllo della Corte dei Conti perché assumono rilevanza sul
piano della legittimità e non della mera opportunità dell’azione
amministrativa.
2. Non eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se
l’amministratore abbia compiuto l’attività per il perseguimento di finalità
istituzionali dell’ente, ma anche se nell’agire amministrativo ha rispettato
dette norme e principi giuridici e dunque la Corte dei Conti non viola il
limite giuridico della “riserva di amministrazione” -da intendere come
preferenza tra alternative, nell’ambito della ragionevolezza, per il
soddisfacimento dell’interesse pubblico- sancito dalla L. 14.01.1994, n. 20,
art. 1, comma 1, come modificato dalla L. 23.10.1993, n. 546, art. 3:
"..ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali..." -nel controllare anche la giuridicità sostanziale- e cioè
l'osservanza dei criteri di razionalità, nel senso di correttezza e
adeguatezza dell'agire, logicità, e proporzionalità tra costi affrontati e
obbiettivi conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del potere
amministrativo e confini del sindacato giurisdizionale - dell'esercizio del
potere discrezionale.
3. L’insindacabilità “nel merito” delle scelte discrezionali
compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti
non comporta che esse siano sottratte al sindacato giurisdizionale di
conformità alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice contabile non viola i
limiti esterni della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di
responsabilità per danno erariale gli amministratori che hanno conferito
incarichi professionali senza determinazione specifica di contenuto, durata,
criteri, compenso, in contrasto con il D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7,
u.c. (secondo il quale “per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”).
4. L’esame da parte della Corte dei Conti delle scelte degli
amministratori pubblici di UNIRE (Unione Nazionale Incremento Razze Equine)
di incaricare professionisti esterni per consulenze, pareri e difesa
giudiziale alla luce dei presupposti legali e delle clausole generali di
giuridicità innanzi richiamati al fine di verificare la legittimità della
scelta e la correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i
compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale principio del buon
andamento e della ragionevole proporzionalità tra costi e benefici in
relazione ai fini da perseguire, non travalica il limite esterno della
giurisdizione erariale
(massima tratta da www.neldiritto.it -
Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 21.02.2013 n. 4283). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Il giudice contabile non viola i limiti esterni
della propria giurisdizione quando sottopone a giudizio di
responsabilità per danno erariale gli amministratori che
hanno conferito incarichi professionali senza determinazione
specifica di contenuto etc.
L'insindacabilità "nel merito" delle scelte
discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse
siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità
alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice
contabile non viola i limiti esterni della propria
giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità
per danno erariale gli amministratori che hanno conferito
incarichi professionali senza determinazione specifica di
contenuto, durata, criteri, compenso, in contrasto con il
D.Lgs. 03.02.1993, n. 29, art. 7, u.c., secondo il quale "per
esigenze cui non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali ad esperti di provata competenza,
determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione", e dunque il conferimento
dell'incarico è legittimo solo in ipotesi di impossibilità
oggettiva, da rappresentare nella delibera di far fronte
all'esigenza richiesta con personale interno
all'organizzazione, la cui qualificazione professionale
l'amministrazione ha infatti l'obbligo di verificare
periodicamente ed incrementare.
Pertanto, nel caso di specie, l'esame da parte della Corte
dei conti delle scelte degli amministratori pubblici di
UNIRE di incaricare professionisti esterni per consulenze,
pareri e difesa giudiziale alla luce dei presupposti legali
e delle clausole generali di giuridicità innanzi richiamati
al fine di verificare la legittimità della scelta e la
correttezza della gestione delle risorse pubbliche per i
compensi corrisposti, alla luce anche del fondamentale
principio del buon andamento e della ragionevole
proporzionalità tra costi e benefici in relazione ai fini da
perseguire, non travalica il limite esterno della
giurisdizione erariale (Corte di Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 21.02.2013 n. 4283 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
PA, consulenze esterne solo se indispensabili.
Il manager pubblico può rispondere di danno erariale nel
caso in cui affidi incarichi esterni a professionisti fatta
eccezione nel caso in cui sussista una impossibilità
oggettiva di svolgere l'attività all'interno dell'ente con
i propri dipendenti.
Diventa sempre più restringente per le pubbliche
amministrazioni legittimare le motivazioni per affidare
incarichi esterni a professionisti; la
Corte di Cassazione, Sezz. unite civili,
sentenza 21.02.2013 n. 4283, ha affermato che
il manager pubblico che affida un incarico ad un consulente
esterno risponde di danni erariali se non dimostra che vi è
una riscontrata oggettiva impossibilità di far svolgere tale
incarico all'interno dell'ente.
Nel novembre 2003 la Procura regionale citava in giudizio
amministratori e dipendenti di un ente pubblico chiedendone
la condanna per responsabilità amministrativo-contabile, per
aver conferito incarichi professionali a soggetti esterni
all'ente.
La Corte dei Conti con sentenza del 2010 ha condannato gli
amministratori a pagare una cifra di poco inferiore ai
quarantamila euro ciascuno per l'illecito conferimento
dell'incarico di redazione di un parere richiesto a degli
avvocati nonché a pagare una somma di poco superiore ai
quattromila euro per illecito conferimento agli stessi
avvocati del mandato difensivo innanzi al TAR; agli stessi
amministratori erano, inoltre, contestati illeciti
conferimenti a professionisti in relazione ad un ricorso
promosso davanti al Consiglio di Stato.
La Corte dei Conti, in particolare, osserva che le pubbliche
amministrazioni hanno l'obbligo di provvedere ai compiti
affidatile con la propria organizzazione ed il proprio
personale in servizio ed il ricorso a soggetti esterni è
consentito solo nei casi previsti dalla legge o per eventi
straordinari, non sopperibili con la struttura burocratica.
Nel caso specifico erano stati attribuiti, da parte degli
amministratori pubblici, incarichi in maniera eccessiva a
dei professionisti per difendere l'ente pubblico presso il
Consiglio di Stato, senza accertare se quello interno era
abilitato ad agire innanzi alle magistrature superiori; per
i giudici amministrativi la somma pagata costituiva danno
per l'ente e doveva essere ripartito tra i responsabili. Gli
amministratori pubblici avverso la sentenza della Corte dei
Conti ricorrono in Cassazione.
Per i giudici della Corte di Cassazione la sentenza
impugnata ha condannato i manager pubblici al risarcimento
del danno per l'affidamento a soggetti estranei di incarichi
di collaborazione, consulenza e studio pur potendo costoro
avvalersi di personale interno. Gli amministratori pubblici
nel ricorso contestano, in particolare, la giurisdizione
della Corte dei Conti e negano l'incidenza negativa sul
bilancio dell'ente attraverso la denuncia della violazione
di norme e principi che, nel disciplinare i poteri degli
amministratori nella gestione della finanza pubblica,
costituiscono il merito dell'azione amministrativa, in modo
tale che i relativi comportamenti non sarebbero auspicabili
dalla Corte dei Conti.
Di notevole importanza alla luce dei recenti interventi del
legislatore in tema di collaborazioni esterne nelle
pubbliche amministrazioni, è la deliberazione n. 7,
depositata il 21.01.2009, della Corte dei Conti
-Sezione regionale di controllo per il Veneto- riguardante
gli incarichi conferiti nel contesto delle gestione delle
risorse umane, con particolare riferimento ai Comuni privi
di avvocati dipendenti che si affidano a collaborazioni con
soggetti esterni.
Nel caso in esame gli incarichi in questione sono
inquadrabile nella categoria 21 "servizi legali" contemplata
nell'Allegato IIB, D.Lgs. n. 163 del 2006, cd. Codice degli
Appalti, recante l'elencazione dei contratti d'appalto dei
servizi esclusi ex art. 20, con conseguente necessaria
osservanza delle disposizioni poste dallo stesso art. 20 e
dei principi generali sanciti dall'art. 27. Lo stesso art.
7, D.Lgs. n. 165 del 2001 che disciplina gli incarichi di
collaborazione autonoma, al comma 6-bis è ben lontano dal
consentire i conferimenti "intuitu personae"; tale norma
impone invece che le Amministrazioni pubbliche disciplinino
e rendano pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure
comparative per il conferimento degli incarichi di
collaborazione.
Secondo la Sezione regionale della Corte dei Conti
l'Amministrazione deve predisporre tutti quegli strumenti
idonei ad assicurare in modo adeguato l'osservanza dei
principi, di valenza generale, di trasparenza, pubblicità ed
apertura alla libera concorrenza, così come richiesto
dall'ormai consolidata giurisprudenza interna e comunitaria.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento
gli amministratori, nel ricorso in Cassazione, censurano il
comportamento della Corte dei Conti che ha sindacato
l'esercizio del potere procedimentale di acquisire un parere
da soggetti estranei all'amministrazione, senza tenere conto
che la P.A., nel rispetto del principio di adeguatezza e
completezza dell'istruttoria, è obbligata ad accertare
d'ufficio la realtà dei fatti e la consistenza degli atti.
L'ufficio legale dell'ente pubblico era composto da un solo
avvocato e due funzionari che dovevano fronteggiare il
contenzioso complessivo. Il ricorso a professionisti esterni
era un atto indispensabile per fronteggiare un imminente
contenzioso e l'ufficio legale non aveva competenze sulla
materia oggetto del contenzioso stesso.
Per la Corte di Cassazione le scelte degli amministratori,
dovendo conformarsi ai suddetti criteri di legalità e a
quelli giuridici di economicità, di efficacia e di buon
andamento sono soggette al controllo della Corte dei Conti
perché assumono rilevanza sul piano della legittimità e non
della mera opportunità dell'azione amministrativa.
Per i giudici di legittimità occorre ribadire il principio
secondo il quale l'insindacabilità "nel merito" delle scelte
discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla
giurisdizione della Corte dei Conti, non comporta che esse
siano sottratte al sindacato giurisdizionale di conformità
alla legge formale e sostanziale che regola l'attività e
l'organizzazione amministrativa, e quindi il giudice
contabile non viola i limiti esterni alla propria
giurisdizione quando sottopone a giudizio di responsabilità
per danno erariale gli amministratori che hanno conferito
incarichi professionali senza rispettare le indicazioni
contenute nella normativa di riferimento e soprattutto senza
determinazione specifica di contenuto, durata, compenso,
etc. in relazione all'affidamento conferito .
Per la Corte di Cassazione il ricorso dei manager pubblici
deve essere respinto, mentre la giurisdizione della Corte
dei Conti va confermata (commento tratto da www.ipsoa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: I
giudici contabili possono sindacare sulle consulenze.
Danno erariale a carico dei manager pubblici che affidano
incarichi a professionisti esterni a meno che non sussista
«impossibilità oggettiva» di svolgere l'attività all'interno
dell'ente. Quindi la Corte dei conti può sindacare sulla
necessità dei consulenti esterni.
Lo hanno stabilito le
Sezioni unite civili della Corte di Cassazione che, con la
sentenza
21.02.2013 n. 4283, hanno confermato la
condanna per danno erariale a carico di alcuni
amministratori pubblici che avevano conferito incarichi di
assistenza legale nonostante l'attività potesse essere
svolta all'interno.
Il Collegio esteso è stato quindi chiamato a decidere sui
limiti della Corte dei conti in caso di scelte discrezionali
della pubblica amministrazione. E, se per certi versi ha
ribadito l'insindacabilità di tali scelte per altri ha
ammesso l'ingerenza: sul punto –dice espressamente la
Cassazione– il giudice contabile non vìola i limiti esterni
della sua giurisdizione quando sottopone a giudizio di
responsabilità chi ha conferito incarichi professionali
senza determinazione specifica di contenuto, durata, criteri
e compenso.
Insomma, ad avviso del Massimo consesso di piazza Cavour,
che ha respinto integralmente il ricorso della difesa, non
eccede la giurisdizione contabile non solo la verifica se
l'amministratore abbia compiuto l'attività per il
perseguimento di finalità istituzionali dell'ente, ma anche
se nell'agire amministrativo ha rispettato dette norme e
principi giuridici e dunque la Corte dei conti non viola il
limite giuridico della «riserva di amministrazione» –da
intendere come preferenza tra alternative, nell'ambito della
ragionevolezza, per il soddisfacimento dell' interesse
pubblico– sancito dall'art.1, comma 1, della legge 14
gennaio 1994 n. 20, come modificato dall'art. 3 della legge
23.10.1993 n. 546.
Ferma restando, dicono le stesse
norme, l'insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali nel controllare anche la giuridicità
sostanziale, e cioè l'osservanza dei criteri di razionalità,
nel senso di correttezza e adeguatezza dell'agire, logicità,
e proporzionalità tra costi affrontati e obbiettivi
conseguiti, costituenti al contempo indici di misura del
potere amministrativo e confini del sindacato
giurisdizionale, dell'esercizio del potere discrezionale.
La vicenda riguarda alcuni ex vertici della Unire che
avevano affidato a legali esterni di seguire un contenzioso
di fronte al Tar e poi al Consiglio di stato. La consulenza
era costata all'ente oltre 200 mila euro. Per questo il
procuratore presso la Corte dei conti ha contestato ai
manager il danno erariale. La difesa ha sostenuto che il
giudice contabile non può invadere la sfera discrezionale
dell'ente. Ma la Cassazione non ha condiviso la tesi e ha
respinto integralmente il ricorso.
Se da un lato Piazza Cavour ribadisce che non si può entrare
nel merito delle decisioni degli enti pubblici dall'altro
sostiene che se la consulenza poteva essere fatta da un
interno si configura il danno erariale
(articolo ItaliaOggi del
22.02.2013). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Appalti, parametri al palo.
Nel dm valori più alti delle vecchie tariffe.
Stop dall'Autorità di vigilanza: il decreto volta
le spalle al mercato.
Il regolamento sui parametri per le gare di appalto inciampa
nello stesso vincolo contenuto nella legge delega (1/12
modificato dal dl Sviluppo 83/2012): supera le vecchie tariffe
professionali e volta le spalle al mercato.
Lo fa rilevare
l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nel
parere 06.02.2013 n. 14435 di prot. inviato al ministero della
giustizia sullo «Schema di regolamento che definisce i
parametri da utilizzare per la determinazione dell'importo
da porre a base di gara nell'ambito dei contratti pubblici
dei servizi di ingegneria e architettura».
Un testo molto atteso dopo che il decreto legge sulle
liberalizzazioni aveva di fatto cancellato ogni riferimento
tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per
calcolare gli importi e per determinare le corrette
procedure per l'affidamento. E alimentando una situazione di
eccessiva discrezionalità.
Una situazione destinata, però, a
protrarsi ancora a lungo, visto il mix combinato della
conclusione imminente della legislatura, anche se il testo
potrebbe procedere nel suo iter, e della richiesta invece
dell'Autorità di raddrizzarne il tiro. Senza considerare
inoltre che sul provvedimento pende ancora il parere del
Consiglio di stato che dovrebbe arrivare proprio in questi
giorni. In ogni caso, le osservazioni dell'Autorità, che
seguono quelle del Consiglio superiore dei lavori pubblici,
rileva una serie di criticità invitando l'ufficio
legislativo di Via Arenula a rimetterci mano.
Innanzitutto,
rileva l'Avcp, il quadro di sintesi e le verifiche elaborate
dal ministero della giustizia con tanto di grafici e tabelle
presenti nella relazione illustrativa non sono sufficienti a
ricavare che i parametri non determinino corrispettivi
maggiori delle vecchie tariffe. In questo senso, l'organo di
vigilanza guidato da Sergio Santoro suggerisce che nella
predisposizione degli atti di gara il responsabile del
procedimento abbia l'obbligo di accertare che non siano
superati gli importi «delle precedenti soglie tariffarie,
con conseguente violazione del vincolo di cui al comma 2
dell'art. 1 del dm in esame».
Qualora questo accadesse il
prezzo a base d'asta dovrebbe essere ridotto «almeno del
valore ricavabile dalle precedenti soglie». Non solo perché
per l'Autorità i parametri per il calcolo del corrispettivo
«non sembrerebbero rinconducibili ai risultati di un'analisi
di mercato, ma piuttosto a un approccio pragmatico che ha
assunto quali riferimenti le precedenti tariffe e quelle del
recente dm 240/2010. Quindi, il ricorso ai parametri deve
essere effettuato nel rispetto del codice dei contratti
pubblici (dlgs 163/2006) che indica che le stazioni
appaltanti hanno la possibilità non l'obbligo di rifarsi
alle tariffe professionali».
Di conseguenza è consentito loro determinare l'importo della
prestazione, tenendo conto delle precedenti esperienze di
affidamento e dell'andamento del mercato, nel caso in cui i
parametri del decreto in discussione «conducano a
corrispettivi, da ritenersi quale massimo di riferimento,
superiori»
(articolo ItaliaOggi dell'08.02.2013
- tratto da www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: Lavori
in casa. Sconto sul 36-50% anche per professionisti senza
Albo.
Detraibile la parcella del progettista di interni.
Possono essere detratte al 36% (50% per i pagamenti
effettuati dal 26.06.2012 al 30.06.2013) le spese
per tutte le prestazioni professionali "strettamente"
collegate alla realizzazione degli interventi agevolati,
indipendentemente dall'iscrizione del prestatore ad Albi o
Collegi. Infatti, sono agevolate anche tutte le consulenze,
"strettamente" connesse alla realizzazione degli interventi
di cui si parla nella mail arrivata al Sole 24 Ore.
Anche dopo la conferma a regime dell'incentivo del 36-50%,
attuata dal 01.01.2012, restano detraibili le spese
sostenute per la «progettazione e per prestazioni
professionali connesse all'esecuzione delle opere edilizie e
alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione
vigente in materia» (articolo 16-bis, comma 2, Tuir). La
disposizione è simile a quella in vigore fino al 2011,
quindi, sono confermate tutte le interpretazioni fornite sul
tema dall'agenzia delle Entrate, la quale ha chiarito che
sono detraibili al 36% (50% per i pagamenti effettuati dal
26.06.2012 al 30.06.2013) le spese «per la
progettazione e le altre prestazioni professionali
connesse», per la «messa in regola degli edifici» alle
normative sugli impianti, «per la relazione di conformità
dei lavori alle leggi vigenti» e «per l'effettuazione di
perizie e sopralluoghi» (risoluzione n. 229/E/2009;
risoluzione Dre Lombardia n. 76227/1999, circolari n.
57/E/1998 e n. 121/E/1998).
Questa elencazione non ha valore tassativo, in quanto la
risoluzione n. 229/E/2009 consente di beneficiare
dell'agevolazione anche per tutte le «prestazioni
professionali comunque richieste dal tipo di intervento»
e per «gli altri eventuali costi strettamente collegati»
alla sua realizzazione (voce confermata recentemente anche
dalla circolare n. 19/E/2012, risposta 1.9). Si tratta di
due categorie "residuali" di spese, nelle quali
possono rientrare anche le consulenze per la divisione degli
spazi interni, per la posizione degli impianti, per la
scelta dei materiali del pavimento e dei rivestimenti, per i
disegni degli infissi, delle porte o dei portoni, per le
relative finiture interne, le tinteggiature, i cartongessi,
gli isolamenti.
Queste consulenze possono essere detratte solo se sono «comunque
richieste dal tipo di intervento» agevolato o se sono "strettamente"
collegate alla sua realizzazione
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.02.2013). |
COMPETENZE PROFESSIONALI: Nuovo
regolamento professionale dei Geometri: ecco la bozza.
Il Consiglio Nazionale dei Geometri e dei Geometri Laureati
ha pubblicato una bozza del nuovo regolamento professionale
dei Geometri.
Il documento si pone l’obiettivo di ridisegnare il quadro
della professione di geometra, rinnovando il vecchio testo
risalente al 1929.
I punti chiave sono:
● rinnovamento dei contenuti del vecchio regolamento del
1929
●
elenco puntuale delle competenze del geometra e del geometra
laureato (tutela dell'ambiente e del territorio, topografia,
edilizia, estimo e sicurezza sul lavoro, etc.)
●
sistema di autogoverno della categoria, con semplificazione
delle strutture territoriali e del sistema elettorale
●
chiarimenti sul percorso per l’accesso all'esame di Stato
per l’abilitazione all’esercizio della professione
(07.02.2013 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: E’
pronto il regolamento per le società tra professionisti:
ecco il testo finale!
Il Regolamento per le società tra professionisti, dopo un
iter abbastanza contrastato, è stato firmato dal Ministero
della Giustizia e ora attende solo il via libera del
dicastero dello Sviluppo Economico.
Gli argomenti principali del regolamento sono:
● requisiti che devono possedere i soci
●
obbligo di fornire al cliente una serie di informazioni, tra
cui l’elenco dei singoli soci professionisti con titolo o qualifica
professionale di ciascuno
●
divieto di partecipazione a più società tra professionisti
●
modalità di iscrizione all’Albo professionale
●
responsabilità disciplinari della società
Pertanto, con questo nuovo regolamento i professionisti
potranno aggregarsi in enti riconosciuti legalmente
(07.02.2013 - link a www.acca.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: P.a., incarichi al canto del cigno.
No ai rinnovi. Sì alle proroghe ma il compenso non cambia.
La legge di stabilità 2013 limita
ancora la possibilità di conferire collaborazioni.
La legge di stabilità 2013 limita ulteriormente la
possibilità di conferire incarichi di collaborazione da
parte delle pubbliche amministrazioni: vengono vietati i
rinnovi e sono di fatto rese assai poco appetibili le
proroghe.
La disposizione è contenuta nel comma 147 dell'articolo 1
della legge n. 228/2012 e ha un carattere permanente,
infatti è dettata come modifica all'articolo 7, comma 6, del
dlgs n. 165/2001.
Essa si aggiunge ai vincoli procedurali e al tetto alla
spesa introdotti dalla legislazione degli ultimi anni. Oltre
al contenimento della spesa la nuova disposizione vuole
obbligare le amministrazioni a scegliere i professionisti,
rispettando i vincoli di pubblicità quanto il ricorso a
criteri di selezione comparativa.
L'ambito di applicazione della disposizione è assai ampio:
sono esclusi unicamente gli incarichi cosiddetti
professionali, cioè quelli conferiti ai sensi del dlgs n.
163/2006, cioè il Testo unico sugli appalti. Ricordiamo che
i principali incarichi professionali sono la rappresentanza
in giudizio per gli avvocati e gli incarichi di
progettazione, direzione lavori, collaudo ecc. per i lavori
pubblici, nonché la progettazione di strumenti urbanistici.
La disposizione non si applica neppure agli incarichi
conferiti a società. Per cui sono compresi nell'ambito di
applicazione della disposizione sia le collaborazioni
coordinate e continuative sia gli incarichi di
collaborazione occasionale sia gli incarichi di consulenza,
studio e ricerca.
Il rinnovo degli incarichi di collaborazione conferiti a
persone fisiche è seccamente vietato da parte del
legislatore. Il carattere assai rigido della disposizione
non ammette deroghe di sorta.
Di conseguenza, per esempio, l'eventuale finanziamento del
conferimento di questi incarichi con risorse provenienti da
altre amministrazioni o dalla Unione europea o da privati
non apre la possibilità di rinnovo.
Il secondo precetto dettato dal legislatore è l'imposizione
di drastici limiti alla possibilità di prorogare questi
incarichi. In primo luogo, viene previsto che ciò sia
possibile solamente in presenza di circostanze eccezionali.
E cioè il progetto o l'obiettivo per il cui raggiungimento
l'incarico è stato conferito non è stato raggiunto e ciò non
deve essere in alcun modo imputabile al collaboratore. Si
deve sottolineare che questa innovazione non ha un carattere
stravolgente rispetto ai principi dettati dalla legislazione
precedentemente in vigore: siamo in presenza di un
rafforzamento dei vincoli che erano già in vigore.
L'innovazione di maggiore rilievo è la seguente: la proroga
è consentita «ferma restando la misura del compenso pattuito
in sede di conferimento dell'incarico». La norma è quanto
mai chiara: in caso di proroga non è possibile attribuire
alcun nuovo compenso, si rimane nell'ambito di quello già
fissato. È evidente la conseguenza che questa disposizione
determinerà: la proroga degli incarichi di consulenza,
collaborazione, studio e ricerca non sarà più ambita da
parte dei professionisti privati. Pertanto, oltre alla
spinta che si determinerà al completamento entro i termini
previsti di tutte le attività connesse agli incarichi, le
amministrazioni dovranno dare corso al conferimento di un
nuovo incarico nel caso in cui intendano completare o
intendano proseguire le attività per le quali hanno deciso
di utilizzare risorse esterne.
Il che vuol dire in particolare che: l'incarico deve essere
compreso nella programmazione adottata dall'ente, occorre
dimostrare che non vi sono nell'ente risorse professionali
in grado di svolgere quella attività, il collaboratore deve
essere di norma in possesso della laurea, si deve garantire
un'adeguata pubblicità preventiva alla volontà dell'ente di
conferire incarichi, il compenso deve essere fissato sulla
base di criteri oggettivi, l'incarico deve riguardare
attività ulteriori rispetto a quelle ordinarie, il
conferimento deve essere pubblicato sul sito internet, nel
caso di compensi superiori a 5 mila euro occorre dare
informazione alla sezione regionale di controllo della Corte
dei conti e occorre dare comunicazione al dipartimento della
funzione pubblica
(articolo ItaliaOggi dell'01.02.2013). |
gennaio 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi esterni ad alto rischio. Affidamenti con concorso
e se mancano professionalità. Per la
Corte conti della Campania sussistono gli estremi per la
responsabilità erariale.
È fonte di danno erariale la nomina di un funzionario
esterno con contratto stipulato ai sensi dell'art. 110, c. 1, dlgs. n. 267/2000, in assenza dei presupposti che
legittimano la scelta, e delle procedure selettive pubbliche
e trasparenti, in presenza di professionalità interne
confacenti alle esigenze organizzative, ma ritenute «ostili»
alla politica.
Lo ha argomentato la Corte dei conti, sez.
giurisdizionale per la Campania, che con
sentenza 31.01.2013 n.
138 ha condannato il sindaco di un comune al pagamento
del danno erariale in favore del comune amministrato, per
avere conferito un incarico a un professionista esterno a
copertura del posto di responsabile del servizio
finanziario, pur in presenza del responsabile interno della
struttura.
A viziare insanabilmente il provvedimento di
individuazione avrebbero concorso almeno quattro
circostanze:
1. la mancata previsione dell'assunzione ex art. 110 c. 1
Tuel all'interno della programmazione annuale del fabbisogno
di personale, documento autorizzatorio obbligatorio rispetto
a qualsivoglia tipologia di assunzione;
2. la sussistenza di un impedimento di non poco conto
relativo alla persona dell'incaricato esterno e consistente
nella titolarità in capo al medesimo di un rapporto di
lavoro a tempo pieno e indeterminato presso altro comune;
3. la violazione di una norma statutaria che consentiva, in
coerenza con una serie di principi normativi contenuti nel
dlgs n. 165/2001, l'assunzione di professionalità esterne
all'ente unicamente nel caso di mancanza di professionalità
interne equivalenti;
4. il mancato previo esperimento di una procedura selettiva
pubblica.
La procura contabile ha ritenuto le condizioni evidenziate
elementi sintomatici di una volontà dichiaratamente
arbitraria del sindaco, finalizzata alla rimozione di un
funzionario non gradito, in aperto contrasto con un
principio di rilievo costituzionale (separazione tra
politica e amministrazione) posto a presidio
dell'imparzialità e della sana gestione della cosa pubblica.
I rilievi della procura contabile sono stati accolti dal
collegio che ha ritenuto sussistenti in capo al sindaco
tutti gli elementi tipici della responsabilità
amministrativa e lo ha condannato alla refusione del
nocumento erariale procurato all'ente.
Il principio di
separazione tra politica e gestione (oggi sancito nell'art.
4 del dlgs n. 165/01), è proposito risalente nell'operato
del legislatore italiano ed è dogma che ha trovato
affermazione anche in ambito comunitario. Da anni sul tema
si avvicendano una moltitudine di riforme tutte finalizzate
a rendere operativi postulati già normati, ma la prassi
amministrativa italiana ha registrato, nel tempo, costanti
ingerenze della classe politica nell'ambito di decisioni
squisitamente tecniche; consuetudine che persiste nonostante
più volte censurata dalla giurisprudenza amministrativa e
costituzionale.
Nell'ultimo decennio, la riforma della p.a. italiana ha,
infatti, gradualmente ridotto, sin quasi all'eliminazione,
ogni competenza gestionale in capo all'organo politico, nel
convincimento che le decisioni sulla gestione della cosa
pubblica debbano essere adottate in piena autonomia dai
dirigenti. Solo i tecnici possiedono una professionalità
corrispondente alle funzioni disimpegnate e non sono esposti
ai condizionamenti dell'elettorato. Le leggi che via via si
sono occupate di riformare la dirigenza pubblica in Italia
hanno dilatato le distanze tra tecnici e politici, anche
mediante l'introduzione obbligatoria di meccanismi di scelta
selettivi e meritocratici, ecco che la prassi infligge
ancora sonore smentite a quello che a oggi resta, nonostante
i buoni propositi del legislatore, un principio scritto ma
poco praticato.
Anche la legge delega (legge 15/2009) all'art. 6 contempla
principi e criteri in materia di dirigenza pubblica dettati
«al fine di rafforzare il principio di distinzione tra le
funzioni di indirizzo e controllo e le funzioni di gestione
amministrativa spettanti alla dirigenza regolando il
rapporto tra organi di vertice e dirigenti in modo da
garantire la piena e coerente attuazione dell'indirizzo
politico degli organi di governo in ambito amministrativo».
E la circostanza che la legge nel 2009 sia dovuta tornare
sull'argomento a distanza di vent'anni attraverso la
revisione delle disciplina degli incarichi dirigenziali è
sintomatico del fatto che tutto il quadro normativo
esistente si è rivelato, a conti fatti, del tutto inadeguato
(articolo ItaliaOggi del 19.07.2013). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Servizi di progettazione: ecco le linee guida sui contratti
professionali degli architetti!
Le ultime modifiche legislative hanno portato
all’abrogazione delle tariffe professionali.
Il principio di stabilire patti chiari tra professionista e
committente prima di assumere un incarico professionale è un
elemento fondamentale, sancito anche dall’articolo 9 della
Legge 27/2012.
Ricordiamo, brevemente, che il compenso per la prestazione
deve essere pattuito al momento del conferimento
dell’incarico e adeguato all'importanza dell'opera e alla
prestazione da eseguire. Inoltre, il professionista è tenuto
ad informare il cliente, attraverso un preventivo, riguardo:
● misura del compenso
●
grado di complessità dell’incarico
●
tutti gli oneri e le spese ipotizzabili
●
altro (IVA, contributi integrativi, ritenute, etc.)
Il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori,
Paesaggisti e Conservatori (CNAPPC) ha pubblicato un
documento contenente delle Linee guida alla redazione del
contratto, con i seguenti tre esempi
●
esempio di contratto relativo a “Progettazione
Architettonica Integrata per Committenza Privata”
●
esempio di contratto “Semplificato” relativo a
“Progettazione Architettonica Integrata per Committenza
privata”
●
esempio di contratto relativo a Progettazione di Piani
Urbanistici Attuativi
Nelle premesse, il CNAPPC ricorda che non è sufficiente
l'accordo verbale e che il principio di stabilire patti
chiari tra professionista e committenti prima di assumere un
incarico professionale è un elemento fondamentale (24.01.2013
- link a www.acca.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Bozza del decreto (di imminente pubblicazione
sulla G.U.) emanato dal Ministro
della giustizia di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti che in attuazione dell’art.
9, comma 2, del decreto-legge 24.01.2012, n. 1 (convertito
dalla legge 24.03.2012, n. 27), successivamente integrato
dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 22.06.2012, n. 83
(convertito dalla legge 07.08.2012, n. 134) determina il
corrispettivo da porre a basa di gara per l’affidamento di
contratti di servizi attinenti all’architettura ed
all’ingegneria. |
dicembre 2012 |
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INCARICHI
PROFESSIONALI - URBANISTICA:
Elaborazione di un nuovo PRG - Incarico a
professionista esterno - Grave pregiudizio alle casse
dell'Ente - Condotte commissive e omissive - Responsabilità
del Sindaco e del Dirigente - Configurabilità.
Il Dirigente dell'Ufficio di Piano, essendo funzionalmente
perfettamente edotto sull’iter progettuale e sul lavoro
svolto dalla struttura preposta all'elaborazione di un nuovo
PRG, ha l'obbligo di rappresentare al Sindaco e agli altri
Organi dell'Ente l'irragionevolezza di eventuali scelte (per
es. di avviare ex novo un lavoro già svolto).
Nella specie, entrambi (Sindaco e Dirigente), con le
rispettive condotte commissive e omissive, hanno arrecato un
grave pregiudizio alle casse dell'Ente che ha pagato un
professionista esterno per il perseguimento di un obiettivo
dichiarato (progetto del nuovo PRG) mai attuato e che nella
realtà dei fatti si è limitato a fornire supporto lavorativo
nell'ordinaria gestione dell'attività dell'Ufficio, quali
l'aggiornamento dei dati e la collaborazione per la
predisposizione di varianti parziali o minori.
In particolare, il Dirigente anziché ottemperare ai propri
obblighi di funzionario pubblico a difesa delle ragioni
dell'Ente, ha preferito adottare un comportamento meramente
acquiescente conformandosi pedissequamente alla volontà
dell'Organo politico.
Responsabilità contabile - Affidamento
incarichi di consulenza esterna - Illegittima acquisizione
di un'ulteriore unità di personale - Configurabilità - Art.
110, c. 6, T.U. n. 267/2000 - Art. 97 Cost..
In materia di responsabilità contabile, gli enti locali
possono fare ricorso all'affidamento di incarichi a
professionisti, anche per lo svolgimento di funzioni
istituzionali, ogni qual volta non sia possibile utilizzare
personale in servizio nell'Amministrazione locale. Ciò
nell'ipotesi in cui tale impossibilità dipenda dalla carenza
nell'ambito della struttura locale di personale,
qualitativamente o quantitativamente, idoneo per lo
svolgimento dei compiti e delle funzioni che l'Ente deve
esercitare nel caso specifico o anche nella ipotesi in cui
la realizzazione del lavoro o dell'elaborato, commissionato
a professionisti esterni, non rientri nelle competenze
specifiche del personale dei propri uffici o servizi.
Inoltre, per la nomina dei consulenti esterni la
giurisprudenza della Corte dei conti ha fissato ulteriori
principi per la legittimità dell’incarico:
- il conferimento dell'incarico deve essere legato a
problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti
le normali competenze;
- l'incarico deve concernere la soluzione di specifiche
problematiche già individuate al momento del conferimento
dello stesso e del quale devono costituire l'oggetto;
- l'incarico deve presentare le caratteristiche della
specificità e della temporaneità;
- l'incarico non deve rappresentare uno strumento per
ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli
organici dell'ente;
- il compenso connesso all'incarico deve essere
proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera
forfettaria;
- la delibera di conferimento deve essere adeguatamente
motivata;
- i criteri di conferimento non devono essere generici;
(Sezione III Centrale n. 9 del 2003, Sezione III Centrale n.
279 del 2002, Sezione III Centrale n. 149 del 2004, Sezione
Giurisdizionale Puglia n. 200 del 2001; Sezione
Giurisdizionale Toscana n. 258 del 2003);
- l'adeguatezza del rapporto proporzionale tra i compensi
erogati all'incaricato e le corrispondenti utilità
conseguite dall'Amministrazione conferente.
Conferimento incarichi di consulenza -
Natura e limiti.
La possibilità di conferire incarichi di consulenza di
natura autonoma deve essere attentamente valutata dalle
Amministrazioni pubbliche sia in ragione degli specifici
limiti di spesa imposti dal Legislatore, ma anche dei
presupposti giuridici che ne legittimano il ricorso. Il
rispetto di questi ultimi, in particolare, considerato il
carattere straordinario dell'esigenza, la temporaneità e
l'alta qualificazione della prestazione e l'obbligo di
motivazione, impongono all'Amministrazione la conoscenza
approfondita della proprie risorse, in termini
organizzativi, economici e di professionalità.
Nella specie, la prestazione del professionista, (dall'anno
2006 al mese di giugno 2010) in buona sostanza, ha
rappresentato per l'Amministrazione l'acquisizione di
un'ulteriore unità di personale a disposizione dell'Ufficio
di Piano, pur se effettuata eludendo le norme che
disciplinano il reclutamento di dipendenti pubblici anche a
tempo determinato (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Marche,
sentenza 21.12.2012 n. 138 -
link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalti senza ribassi selvaggi. Nuovi parametri
per i servizi di ingegneria e architettura.
È in dirittura d'arrivo il provvedimento per la
liquidazione dei compensi professionali.
È finita l'era delle liberalizzazioni selvagge nei bandi per
la pubblica amministrazione. L'era in cui cioè, con
l'eliminazione delle tariffe, le gare per i servizi di
ingegneria e architettura venivano aggiudicate a prezzi
stracciati con ribassi anche del 90% rispetto al prezzo
iniziale.
È in dirittura d'arrivo, infatti, un nuovo provvedimento che
dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la
liquidazione dei corrispettivi in caso di contenzioso, si
occuperà di comporre il mosaico complessivo di riforma delle
professioni: si tratta di un decreto interministeriale
(giustizia-infrastrutture) che definisce i parametri da
utilizzare per la determinazione dell'importo da porre a
base di gara nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi
di ingegneria e architettura.
Il contesto generale.
Un testo dall'elaborazione
complessa (il ministero sta finendo le consultazioni con le
categorie interessate per inviarlo al Consiglio di stato) ma
necessario, dopo che il decreto legge sulle liberalizzazioni
(1/12) aveva di fatto cancellato ogni riferimento
tariffario, privando le stazioni appaltanti di regole per
calcolare gli importi e per determinare, di conseguenza, le
corrette procedure per l'affidamento. Un'assenza di regole
denunciata a gran voce dalle categorie professionali che,
tra le altre cose, ha alimentato, soprattutto in questi
mesi, un'eccessiva discrezionalità delle stazioni
appaltanti.
Anche se l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi di
ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per il
settore già colpito da modifiche significative nel 2006 con
l'eliminazione delle tariffe minime obbligatorie, introdotta
dalle lenzuolate Bersani. Questa abolizione pur con alcune
eccezioni (giacché il ricorso alle tariffe non era vietato
del tutto se utilizzate come parametri di riferimento) non
contemplava comunque più l'obbligo per le stazioni
appaltanti di applicare tariffe fisse o minime con il
risultato di avere ribassi delle offerte nelle gare
pubbliche anche del 90% del loro valore iniziale.
Comunque per sanare tale criticità il governo era
intervenuto con il decreto sviluppo stabilendo che per la
determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara
nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei
servizi tecnici si sarebbero applicati i parametri
individuati appunto con un decreto interministeriale che
avrebbe anche definito «le classificazioni delle
prestazioni professionali relative ai predetti servizi».
Il tutto con un paletto preciso: «I parametri individuati
non possono condurre alla determinazione di un importo a
base di gara superiore a quello derivante dall'applicazione
delle tariffe professionali vigenti prima dell'entrata in
vigore del presente decreto».
I punti principali del testo.
La battaglia dei periti industriali che hanno sostenuto
assieme al Pat, il lavoro dei tecnici del ministero per la
stesura del testo, è stata orientata soprattutto a eliminare
gli aspetti eccessivamente discrezionali. Così è saltata, in
primo luogo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni
di aumentare o diminuire gli importi a base di gara del 60%
in maniera completamente discrezionale come invece è
avvenuto nel decreto sui parametri per le liquidazioni
giudiziali dei compensi dei professionisti (dm 140/12). Allo
stesso modo quel parametro indicato nel testo con la lettera
«G», che nel calcolo degli importi a base di gara servirà a
definire la «complessità della prestazione», vedrà
diminuire la sua portata discrezionale.
Il decreto, infatti, non fissa più (come nelle versioni
circolate in precedenza) una forbice tra due valori (ridotto
e elevato), ma quozienti fissi e non derogabili stabiliti a
seconda della categoria e della destinazione funzionale
dell'opera. Il provvedimento richiama nella valutazione del
compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità.
Torna poi la liquidazione forfettaria delle spese, in
sostanza l'importo delle spese e degli oneri accessori,
invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
secondo percentuali standard degli oneri sostenuti dal
professionista che varieranno tra il 10 e il 25% a seconda
del valore dell'opera.
Il commento.
«L'offerta economica calcolata su basi false»,
commenta il presidente del Cnpi Giuseppe Jogna, «era
tristemente diventata l'unica variabile nelle
aggiudicazioni, e abbiamo assistito a corse al ribasso per
firmare contratti un po' usa e getta. Ma non solo, perché
nonostante l'evidente abnormità dei ribassi, le stazioni
appaltanti, forse perseguendo un miope criterio di
risparmio, non hanno quasi mai dato applicazione al concetto
di offerta anomala.
Uno scenario quasi da Far west che sull'onda delle selvagge
liberalizzazioni ha assimilato le attività professionali a
quelle dell'impresa dove prevale il minor costo anche a
scapito della qualità dei servizi. Ecco perché ben venga
questo decreto che sono convinto risolleverà l'alto livello
qualitativo che, da sempre, ha caratterizzato gli studi di
progettazione nel nostro paese» (articolo
ItaliaOggi del 21.12.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Gare senza by-pass. Accordi tra atenei e p.a.
illegittimi. La Corte di giustizia
Ue sugli incarichi in affido diretto.
Illegittimi gli accordi di
collaborazione stipulati fra amministrazioni e università
per affidare in via diretta e senza gara, incarichi per
servizi di ingegneria e di consulenza; gli accordi previsti
dalla legge 241/90 non possono essere utilizzati per eludere
l'obbligo di affidare a terzi con gara contratti a titolo
oneroso, e sono legittimi soltanto se prevedono una
effettiva cooperazione fra i due enti, senza prevedere un
compenso.
È quanto si afferma nella
sentenza
19.12.2012 (causa C 159/11)
della Corte di giustizia Ue che vede come parti in causa da
un lato l'Asl di Lecce e dall'altro lato l' Ordine degli
ingegneri della provincia di Lecce e il Consiglio nazionale
degli ingegneri, l'Oice e il Consiglio nazionale degli
architetti.
La vicenda prende le mosse da un affidamento, per importo
soggetto alla normativa comunitaria, riguardante servizi di
studio e valutazione della vulnerabilità sismica di
strutture ospedaliere, disposto dalla Asl Lecce a favore
dell'università del Salento. Dopo la sentenza di primo grado
del Tar Puglia, che aveva dichiarato illegittimo
l'affidamento diretto dell'incarico all'Università, per
omesso ricorso alle procedure di evidenza pubblica, il
Consiglio di stato aveva rimesso la questione alla Corte di
giustizia in via pregiudiziale sulla legittimità degli
accordi ex art. 15 della legge 241/1990.
La Corte Ue accoglie in toto le conclusioni dell'Avvocato
generale e afferma la violazione delle norme delle direttive
appalti in quanto l'accordo non costituisce una forma di
cooperazione in comune di attività fra due amministrazioni
aggiudicatrici (così come prevede la legge 241/1990), bensì
un vero e proprio contratto di consulenza per servizi a
fronte del pagamento di un compenso per il quale occorreva
procedere con gara, ammettendo tutti gli operatori economici
interessati ad acquisire la commessa. L'accordo di
collaborazione, peraltro, non può essere neanche qualificato
come affidamento in house dal momento che non esiste
«controllo analogo» fra Asl e Università, essendo enti
totalmente distinti.
È quindi contraria alle direttive «una normativa
nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara,
di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici
istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui (e
la verifica spetta al giudice nazionale) tale contratto non
abbia il fine di garantire l'adempimento di una funzione di
servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto
unicamente da considerazioni e esigenze connesse al
perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico, o sia tale
da porre un prestatore privato in situazione privilegiata
rispetto ai concorrenti».
Per i giudici l'illegittimità dell'accordo va letta in
relazione al fatto che il contratto «potrebbe condurre a
favorire imprese private qualora tra i collaboratori esterni
altamente qualificati cui, in base al contratto l'università
può ricorrere per la realizzazione di talune prestazioni,
fossero inclusi prestatori privati»
(articolo ItaliaOggi del
20.12.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Sentenza della Corte di giustizia. Gare d'appalto
obbligatorie per le consulenze.
L'INDICAZIONE/ Non è rilevante che l'amministrazione
aggiudicatrice non persegua un fine di lucro.
Un'amministrazione pubblica è tenuta
procedere a gare d'appalto anche nei casi di contratti di
consulenza conclusi con un'altra amministrazione
aggiudicatrice che non persegue fini di lucro. Poco importa,
poi, che la remunerazione prevista nel contratto sia
limitata al rimborso spese.
È la conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea nella
sentenza
19.12.2012 (causa C 159/11)
che chiarisce l'applicazione della normativa Ue in materia
di appalti.
È stato il Consiglio di Stato a sottoporre alla Corte di
giustizia un quesito pregiudiziale sulla direttiva 2004/18
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi
(recepita in Italia con decreto legislativo 12.04.2006 n.
163).
Ai giudici amministrativi si erano rivolti associazioni e
ordini professionali di ingegneri e architetti che
contestavano la legittimità del provvedimento di
attribuzione, da parte dell'Azienda sanitaria locale di
Lecce, di uno studio sulla vulnerabilità sismica delle
strutture ospedaliere all'Università del Salento senza gara
a evidenza pubblica. Il contratto prevedeva una
remunerazione limitata al rimborso spese. Una circostanza
che -secondo la Asl- consentiva di escludere la necessità di
una gara e di sottrarre il contratto al perimetro della
normativa Ue. Una conclusione non condivisa dalla Corte di
giustizia.
Prima di tutto, precisa Lussemburgo, la direttiva 2004/18
non prevede un'esclusione delle gare di appalto nei casi in
cui la remunerazione è basata sul rimborso delle spese. Non
solo. Le eccezioni all'applicazione delle normativa Ue in
materia di appalti pubblici sono limitate e riguardano
unicamente il caso di un contratto di appalto stipulato da
un ente pubblico a vantaggio di un altro ente pubblico sul
quale il primo esercita un controllo. Una situazione che non
ricorre nel caso dei rapporti tra azienda sanitaria e
Università. Né è applicabile l'altra eccezione stabilita
nella direttiva fondata sulla circostanza che il contratto
concluso dai due enti pubblici serva «a garantire
l'adempimento di una funzione di servizio pubblico comune».
Le attività commissionate, infatti, avevano sì un fondamento
scientifico ma «non assomigliavano ad attività di ricerca
scientifica».
C'è poi un ulteriore elemento che ha fatto sorgere
perplessità alla Corte di giustizia. Il contratto di
consulenza, infatti, prevedeva la possibilità per
l'Università di ricorrere a prestatori di servizi privati
per lo svolgimento di alcune attività. Questa possibilità
–chiarisce la Corte– può condurre a favorire alcune imprese
private con il ricorso a collaboratori esterni qualificati.
Di qui la necessità di una gara per evitare che un
prestatore privato sia poi in una situazione privilegiata
rispetto ai concorrenti
(articolo Il
Sole 24 Ore del 20.12.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Corte
dei conti. Liquidazione di compensi.
Il pagamento errato condanna i segretari.
OBBLIGHI CONDIVISI/ Anche il responsabile del servizio
finanziario è tenuto a vigilare sulla correttezza degli atti
per versare gli onorari.
Particolare attenzione va prestata alla liquidazione di
corrispettivi professionali (parcelle legali) con un
rigoroso controllo che, coinvolgendo il responsabile di
servizio che adotta la liquidazione e il responsabile del
servizio finanziario, eviti di liquidare compensi non dovuti
sulla base di semplici preavvisi di fatture presentate dal
professionista e in assenza di documentazione idonea a
giustificare la misura del compenso richiesto.
La
sentenza
14.12.2012 n. 1125 della sezione Corte dei Conti Veneto
chiarisce il ruolo di garante in capo al segretario comunale
e al ragioniere, e articola le responsabilità per omissione
di controllo cui vanno incontro il responsabile di servizio
(nella fattispecie era anche segretario comunale) che ha
disposto la liquidazione dei compensi, e il responsabile del
servizio finanziario che ha apposto il visto di regolarità
contabile.
La responsabilità del responsabile di servizio/segretario
comunale che ha adottato l'atto discende dalla mancata
verifica della congruità del compenso riconosciuto, e dal
contrasto con il generale dovere, conseguente alla sua
posizione di segretario generale (articolo 97 del Dlgs
267/2000) di essere garante della legalità e della
correttezza amministrativa dell'azione del l'ente locale. In
relazione al ruolo del segretario comunale/responsabile di
servizio si è riconosciuta una maggiore incidenza causale
nella determinazione del danno, quantificabile nella misura
del 60% dell'intero. Il restante 40% è stato addebitato al
concorso colposo del ragioniere capo perché le circostanze
non giustificavano l'emissione dei titoli di pagamento e che
avrebbero dovuto determinare almeno la richiesta di
giustificazioni idonee.
Nell'affermare la responsabilità del ragioniere per il visto
sull'atto irregolare, la Corte evidenzia che non c'è una
differenza ontologica tra il parere di regolarità contabile,
previsto per le deliberazioni degli organi rappresentativi,
e il visto per le determinazioni dei responsabili dei
servizi; il controllo di regolarità finanziaria deve essere
ritenuto afferente alla legittimità della spesa, implicando
un giudizio sulla sua conformità alle leggi e ai regolamenti
(Corte conti, sezione giurisdizionale Sicilia, n.
1337/2012).
A fronte di compensi liquidati sulla base di determinazioni
illegittimamente assunte, c'è per il dirigente del settore
finanziario il dovere di sospendere i pagamenti illegittimi,
ed eventuali esoneri di responsabilità sono possibili solo
in esito a un'analisi complessiva delle particolari
circostanze del caso deciso e della non rilevabilità
immediata delle illegittimità accertate.
Nel caso affrontato dalla sentenza, invece, si è rilevato
che l'anomalia delle liquidazioni effettuate dal
responsabile del servizio poteva essere facilmente rilevata
dal ragioniere capo
(articolo Il Sole 24 Ore del
31.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
L'art. 90 del dlgs 267/2000 dispone, al comma
1, che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei
servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle
dirette dipendenze del sindaco, del presidente della
provincia, della Giunta o degli assessori, per l'esercizio
delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite
dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero,
salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente
deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo
determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica
amministrazione, sono collocati in aspettativa senza
assegni.
Le assunzioni ai sensi dell'art. 90 del TUEL presentano
quindi alcune caratteristiche particolari che possono essere
riassunte alla luce della giurisprudenza formatasi in
materia:
- si tratta di assunzioni a tempo determinato e non possono
essere affidate tramite incarichi di collaborazione
coordinata e continuativa;
- si tratta di posti in dotazione organica e pertanto per i
posti il singolo ente sulla base della propria autonomia
regolamentare dovrà valutare a quale categoria si
riferiscono le necessità del Comune ai fini delle assunzioni
ex art. 90 del Tuel;
- possono essere affidate esclusivamente per funzioni di
supporto di attività di indirizzo e di controllo alle
dirette dipendenze del Sindaco, al fine di evitare qualunque
sovrapposizione con le funzioni gestionali ed istituzionali,
che devono invece dipendere dal vertice della struttura
organizzativa dell'ente;
- agli uffici in oggetto possono essere affidate la gestione
delle risorse umane, strumentali e finanziarie strettamente
strumentali e funzionali all'esercizio dei compiti medesimi.
- tali assunzioni rientrano nel concetto di spesa di
personale.
Inoltre:
- il compenso di base deve essere corrispondente ad un
compenso erogato per la categoria di appartenenza del CCNL
Enti Locali sulla base di quanto previsto nella dotazione
organica per quel preciso posto da ricoprire in riferimento
alle disposizioni dell'art. 90 del Tuel;
- anziché prevedere diversi compensi accessori sarà
possibile individuare un unico emolumento (indennità di
staff) onnicomprensiva di qualsiasi altra retribuzione
accessoria.
Venendo al merito della
questione, il problema sottoposto all'esame di questo
Collegio riguarda una richiesta risarcitoria avanzata dalla
procura regionale competente in relazione all'affidamento di
alcuni incarichi intervenuto presso il Comune di Molinara in
assenza di procedure di valutazione e con il ricorso a
normativa non conferente.
Tali incarichi sarebbero stati conferiti ai sensi
dell'articolo 90 del testo unico numero 267 del 2000 e
tenuto conto dell'articolo 13 del regolamento
sull'ordinamento degli uffici del Comune.
L'articolo 90 citato dispone al comma 1 che Il regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la
costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del
sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o
degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo
e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da
dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti
dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori
assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se
dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati
in aspettativa senza assegni.
Conformemente a tale previsione, il regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi del comune ha
previsto che il sindaco per l'esercizio delle funzioni di
indirizzo e controllo può assumere personale di alta
specializzazione [?] scegliendolo intuitu personae e
sulla base di un curriculum.
Le assunzioni ai sensi dell'art. 90 del TUEL presentano
quindi alcune caratteristiche particolari che possono essere
riassunte alla luce della giurisprudenza formatasi in
materia:
- si tratta di assunzioni a tempo determinato e non possono
essere affidate tramite incarichi di collaborazione
coordinata e continuativa (Corte dei conti Puglia Sentenza
n. 241/2007);
- si tratta di posti in dotazione organica (Corte dei conti
Toscana Sentenza 622/2004) e pertanto per i posti il singolo
ente sulla base della propria autonomia regolamentare dovrà
valutare a quale categoria si riferiscono le necessità del
Comune ai fini delle assunzioni ex art. 90 del Tuel;
- possono essere affidate esclusivamente per funzioni di
supporto di attività di indirizzo e di controllo alle
dirette dipendenze del Sindaco, al fine di evitare qualunque
sovrapposizione con le funzioni gestionali ed istituzionali,
che devono invece dipendere dal vertice della struttura
organizzativa dell'ente (Corte dei conti Lombardia
Deliberazione 43/2007);
- agli uffici in oggetto possono essere affidate la gestione
delle risorse umane, strumentali e finanziarie strettamente
strumentali e funzionali all'esercizio dei compiti medesimi
(Corte dei conti Toscana Deliberazione n. 5P/2008 in parte
in contrapposizione con la Corte dei conti Lombardia poco
sopra citata).
- tali assunzioni rientrano nel concetto di spesa di
personale (Corte dei conti Lombardia Deliberazione 43/2007)
Inoltre:
- il compenso di base deve essere corrispondente ad un
compenso erogato per la categoria di appartenenza del CCNL
Enti Locali sulla base di quanto previsto nella dotazione
organica per quel preciso posto da ricoprire in riferimento
alle disposizioni dell'art. 90 del Tuel;
- anziché prevedere diversi compensi accessori sarà
possibile individuare un unico emolumento (indennità di
staff) onnicomprensiva di qualsiasi altra retribuzione
accessoria.
Da quanto precede emerge con chiarezza che ogni riferimento
a procedure selettive appare inconferente alla fattispecie,
tenuto conto del rapporto fiduciario che lega il sindaco
alle persone da collocare nell'ufficio di staff. Quindi ogni
censura in proposito sarebbe destituita di fondamento.
Peraltro, proprio da un lato la fiduciarietà del rapporto e
dall'altro le funzioni per le quali dei soggetti vengono
chiamati a collaborare determinano un necessario problema
interpretativo della norma.
Per stessa dichiarazione del difensore degli odierni
appellanti, gli stessi in realtà erano stati chiamati a
svolgere funzioni prettamente esecutive. Il medesimo
difensore ha altresì dichiarato in udienza che si trattava
di personale non laureato addetto a mansioni di segreteria
che, tra l'altro, finiva con l'essere sostanzialmente
sottopagato con un indubbio vantaggio per l'ente locale.
Ora, non vi è chi non veda come tale impostazione cozzi
contro la previsione normativa sia dell'articolo 90 del
testo unico, sia dell'articolo 13 del regolamento comunale.
Nel primo infatti si specifica che la funzione che gli
odierni appellanti sono stati chiamati a svolgere
nell'ambito dell'ufficio di staff avrebbe dovuto essere
quella di collaborazione alle dirette dipendenze del sindaco
per l'esercizio della funzione di indirizzo e controllo. Il
secondo dato normativo, quello del regolamento, ci dice che
doveva trattarsi di personale altamente specializzato,
selezionato, oltretutto, sulla base di un curriculum che
evidentemente è destinato ad evidenziare le capacità ed i
trascorsi professionali.
Si chiede ora il Collegio, attesa anche l'interpretazione
che la giurisprudenza ha dato in particolare dell'articolo
90 del testo unico, se personale non laureato, destinato a
fare fotocopie e rispondere al telefono -come testualmente
affermato da uno dei difensori degli appellanti in udienza-
risponda ai criteri di collaborazione alle funzioni di
indirizzo e controllo nonché di alta specializzazione nelle
funzioni dimostrata da una base curriculare.
Non solo, ma la caratteristica della fiduciarietà del
rapporto implica che evidentemente la scelta ricada su
soggetti che sono appunto di fiducia dell'autorità politica
(così è anche, ad esempio, per coloro che vengono immessi
negli uffici di diretta collaborazione ai sensi
dell'articolo 19 del decreto legislativo numero 165 del 2001
per lo Stato), al fine di svolgere compiti anche dedicati
che non a caso, nella fattispecie sia la legge che il
regolamento riconducono alle più alte funzioni di indirizzo
e controllo.
In verità, a questo Collegio sembra che il Comune si sia
avvalso della normativa in esame in modo assai improprio, al
fine di assumere dei collaboratori che avrebbero dovuto
probabilmente essere reclutati secondo diverse procedure.
Non sembra conferente in proposito la precisazione che il
Comune abbia dato vita ad una fattispecie a formazione
progressiva costituita da due momenti: un primo momento
-delibera giuntale- che ha individuato i presupposti per il
conferimento dell'incarico, all'uopo specificando la natura
del rapporto, la qualifica da ricoprire e la circostanza che
il Comune non versasse in condizioni di dissesto finanziario
non è strutturale; un secondo -decreto sindacale- con il
quale si è operata all'individuazione del soggetto,
scegliendolo attraverso la comparazione tra i requisiti
generali richiesti nella delibera di giunta, le funzioni
necessarie all'ente e il curriculum.
Tale procedimento infatti non impedisce di considerare
improprio il riferimento normativo, anche se questo Giudice
deve riconoscere che non ricorrono gli estremi per
l'integrazione di un comportamento a titolo di dolo, né
tanto meno di dolo contrattuale: è stato chiarito, infatti,
che l'incarico ex articolo 90 non può negli effetti andare a
sovrapporsi a competenze gestionali ed istituzionali
dell'ente. Se così il legislatore avesse voluto, si sarebbe
espresso in maniera completamente diversa e non avrebbe
affatto fatto riferimento alle funzioni di indirizzo e
controllo dell'autorità politica.
Che costoro poi si siano accontentati di compensi
particolarmente bassi, non appare un motivo significativo
per ritenere che il Comune abbia agito legittimamente; anzi,
ciò risulterebbe anche in contrasto con una prestazione che,
secondo i dettami di legge, avrebbe dovuto essere
qualificata e avrebbe dovuto essere di un certo rilievo
professionale.
Certo è che, in ogni caso, la prestazione è stata resa e di
questo non può non essere tenuto conto ai fini della
considerazione delle utilità che il Comune ha comunque
derivato dalla vicenda
(Corte dei Conti,
Sez. I centrale d'Appello,
sentenza
06.12.2012 n. 785 -
link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Oggetto: liquidazione dei compensi professionali
(Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori
Paesaggisti e Conservatori,
circolare 05.12.2012 n. 1123 di prot.). |
novembre 2012 |
|
COMPETENZE PROGETTUALI - INCARICHI PROGETTUALI: Le
determinazioni con cui le pubbliche amministrazioni
stabiliscono i criteri per selezionare i collaboratori
costituisce manifestazione di ampia discrezionalità
rientrante nel merito amministrativo, e possono quindi
essere sindacate solo in caso di errore manifesto o
manifesta irragionevolezza.
---------------
Le competenze dei geometri in tema di ricognizione della
viabilità sono limitate alle “operazioni di tracciamento di
strade poderali e consorziali ed inoltre, quando abbiano
tenue importanza, di strade ordinarie…” (art. 16, comma
primo, lett. b] R.D. 274/1929).
Dalla competenza dei geometri esulano anche alcune delle
attività richieste per l’incarico in questione, come le
verifiche sulle condizioni di manutenzione e transitabilità
delle strade nonché delle preclusioni al traffico esistenti,
e la definizione della loro importanza dal punto di vista
funzionale, storico e paesaggistico.
Coglie quindi nel segno la difesa dell’Amministrazione
laddove evidenzia che l’oggetto dell’incarico da affidare è
più ampio rispetto alle competenze legislativamente
stabilite per la categoria dei geometri, ed è quindi logico
che essi ne siano stati esclusi.
... per l'annullamento della determinazione dirigenziale n.
694 del 06.07.2009 della Comunità Montana Colline Metallifere,
contenente l’avviso pubblico per il conferimento di un
incarico esterno di collaborazione autonoma per la
ricognizione e classificazione della viabilità extraurbana
di pubblico interesse, nonché della determinazione n. 866
del 26.08.2009 di assegnazione dell’incarico, nonché infine
di tutti gli atti presupposti e/o consequenziali tra cui, in
particolare, i verbali di aggiudicazione in prima e seconda
seduta rispettivamente del 24.07.2009 e del 14.08.2009, nonché gli artt. 11 e 11-bis del Regolamento di
organizzazione degli uffici e dei servizi approvato con
delibera della Giunta Esecutiva della Comunità Montana delle
Colline Metallifere n. 87 del 25.9.2003 e modificato con
successiva delibera della Giunta Esecutiva n. 1 del
20.01.2009, ovvero di tutte quelle norme regolamentari della
Comunità Montana che disciplinano e limitano l’affidamento
di incarichi a soggetti esterni.
...
Va rilevato in primo luogo che le determinazioni con cui le
pubbliche amministrazioni stabiliscono i criteri per
selezionare i collaboratori costituisce manifestazione di
ampia discrezionalità rientrante nel merito amministrativo,
e possono quindi essere sindacate solo in caso di errore
manifesto o manifesta irragionevolezza.
Nel caso di specie non si rilevano tali vizi nella decisione
di limitare l’accesso alla procedura in esame ai soli
laureati escludendo, tra l’altro, la categoria ricorrente
dei geometri poiché l’oggetto della gara è più ampio di
quanto previsto dall’art. 16, R.D. 11.02.1929, n. 274
che regolamenta l’esercizio di tale professione.
Per quanto qui interessa, le competenze dei geometri in tema
di ricognizione della viabilità sono limitate alle
“operazioni di tracciamento di strade poderali e consorziali
ed inoltre, quando abbiano tenue importanza, di strade
ordinarie…” (art. 16, comma primo, lett. b] R.D. 274/1929).
Dalla competenza dei geometri esulano anche alcune delle
attività richieste per l’incarico in questione, come le
verifiche sulle condizioni di manutenzione e transitabilità
delle strade nonché delle preclusioni al traffico esistenti,
e la definizione della loro importanza dal punto di vista
funzionale, storico e paesaggistico. Coglie quindi nel segno
la difesa dell’Amministrazione laddove evidenzia che
l’oggetto dell’incarico da affidare è più ampio rispetto
alle competenze legislativamente stabilite per la categoria
dei geometri, ed è quindi logico che essi ne siano stati
esclusi.
Non ha pregio il richiamo al diritto al libero esercizio
della professione poiché i provvedimenti gravati non
limitano in alcun modo l’esercizio libero professionale del
mestiere di geometra
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 22.11.2012 n. 1890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI -
INCARICHI PROFESSIONALI: Dal
primo gennaio 2013 parcelle pagate puntualmente.
«Finalmente i liberi professionisti non saranno più
costretti ad aspettare mesi e mesi per vedere onorata la
loro prestazione professionale. Con la pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo sulle transazioni
commerciali si colma l'ennesima lacuna normativa che fino a
oggi ha penalizzato il lavoro dei professionisti, perché il
ritardo dei pagamenti è un grosso problema che coinvolge le
pmi, ma soprattutto i liberi professionisti che lavorano con
la pubblica amministrazione e con le imprese».
Con queste parole, il presidente di Confprofessioni saluta
il varo definitivo del decreto legislativo 09.11.2012,
n. 192 recante «Modifiche al decreto legislativo 09.10.2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva
2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10,
comma 1, della legge 11.11.2011, n. 180», che è stato
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15.11.
scorso.
«Si tratta di un provvedimento che va nella stessa
direzione cui Confprofessioni lavora da mesi, richiedendo
l'estensione ai professionisti del diritto di compensare i
crediti con la pubblica amministrazione», aggiunge Stella,
«come confermano gli emendamenti presentati da Confprofessioni al decreto sulla crescita in Commissione
industria al Senato».
Dal 01.01.2013, dunque, i liberi professionisti
potranno contare su regole più severe per la riscossione dei
propri crediti nei confronti della p.a. Il decreto sulle
transazione commerciali, infatti, riformula la definizione
di «pubblica amministrazione» ai fini della tempestività dei
pagamenti, estendendo le nuove regole a tutti i soggetti che
già oggi rientrano nella disciplina del codice degli
appalti.
Parecchie le altre novità introdotte con il decreto 192/2012
che coinvolgono i liberi professionisti. Decorso il termine
di pagamento, che rimane fissato in 30 giorni dal
ricevimento della fattura o della parcella, scatta
automaticamente la decorrenza degli interessi moratori,
senza la necessità di costituzione in mora. Il tasso minimo
di interesse legale moratorio passa dal 7 all'8%, oltre al
saggio fissato dalla Bce per le operazioni di
rifinanziamento.
Più strette anche le regole per derogare i
termini di pagamenti e tempi certi per la verifica della
congruità della prestazione professionale. Infine, è
prevista una somma forfettaria di 40 euro da aggiungere
all'importo dovuto al creditore in caso di ritardato
pagamento, a titolo di rimborso per le spese di recupero
(articolo ItaliaOggi del
22.11.2012). |
INCARICHI PROGETTUALI: Professionisti.
La Cassazione interviene su compensi e revoca dell'incarico.
Il committente che recede paga solo il lavoro fatto.
Se il geometra ha esorbitato dalle funzioni l'accordo è
nullo.
Incarico al professionista sotto esame in Corte di Cassazione. Con la
sentenza 09.11.2012 n. 19502 è stato affrontata la
questione della qualificazione della responsabilità per
danni nel caso del compenso a un geometra che aveva
esercitato competenze esclusive degli ingegneri. Nella
pronuncia 19524, sempre depositata ieri, è stabilito che la
revoca dell'incarico provoca il pagamento del lavoro sin lì
svolto ma senza ulteriori indennità.
Più in dettaglio, la sentenza 19502 esamina la situazione di
due committenti che si erano opposti al decreto ingiuntivo
fatto emettere da un geometra che aveva svolto per loro
attività per la ristrutturazione di un immobile che
esorbitavano dalla sua competenza professionale. La Corte
d'appello aveva accolto in parte la richiesta dei
committenti sul compenso ma senza riconoscere i danni da
loro subiti a causa degli errori del geometra. La Cassazione
ha confermato la sentenza d'appello, riconoscendo che il
compenso non era dovuto ma quanto ai danni, che il
ricorrente legava indissolubilmente alla nullità del
contratto, la Cassazione ha specificato che non erano
compresi nella domanda in quanto la responsabilità che si va
a configurare in casi del genere è quella extracontrattuale.
Nella sentenza 19524, invece, la vicenda riguarda due
ingegneri cui era stato conferito da una giunta provinciale
l'incarico di redigere il progetto esecutivo di
completamento e del secondo stralcio funzionale di una
strada. Dopo la consegna del progetto, però, la giunta aveva
revocato l'incarico giudicando che si fosse verificato un
inadempimento da parte dei progettisti. Questi avevano
chiesto il compenso per il lavoro effettivamente prestato e
un'indennità per indebito arricchimento.
Il Tribunale sposava la tesi dell'inadempimento (per il
ritardo nella consegna e per la pretesa di un compenso
triplo rispetto al pattuito) mentre la Corte d'appello
accoglieva le richieste degli ingegneri e li liquidava con
300mila euro di «equo compenso». Contro questa sentenza,
però, ricorrevano gli stessi professionisti, lamentando che
l'importo non era stato deciso sulla base della tariffa
professionale e non comprendeva le spese. Ricorreva anche,
per altre ragioni, la Provincia.
La Cassazione ha respinto tutti i ricorsi. Intanto perché
nel ricorso originario i professionisti avevano fatto
riferimento all'articolo 2227 del Codice civile (che parla
proprio di «equo compenso») e non 2237 che, non prevedendo
comunque alcuna indennità, parla però in modo più ampio di
«compenso per l'opera prestata».
La Cassazione ha poi
ricordato che l'articolo 2237 prevede sì un'amplissima
facoltà di recesso da parte del committente ma questi è
tenuto a corrispondere il compenso al prestatore per l'opera
da lui svolta «mentre nessuna indennità è prevista (a
differenza di quanto prescritto dall'articolo 2227) per il
mancato guadagno». Il giudice, però, non poteva far
riferimento all'articolo 2237 perché extra petitum
mentre ha fatto riferimento all'onorario che sarebbe
spettato se i lavori fossero poi stati realizzati
(articolo Il Sole 24 Ore del 10.11.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Integrativo
in pensione, tutto tace. Silenzio sulla possibilità di
applicare il 4% anche alla p.a.. Dal
ministero del lavoro l'apertura, ma dall'economia nessun
segnale dopo oltre un mese.
Un mese senza nessun segnale. Questa è la risposta attuale
del ministero dell'Economia alla posizione assunta da Michel
Martone circa la legittimità che i liberi professionisti
applichino il «contributo integrativo» al 4% anche alle
pubbliche amministrazioni. Stiamo parlando dell'opportunità
concreta di aumentare le loro pensioni introdotta dalla
mini-riforma Lo Presti (legge 133/2011) e dal suo
indebolimento dato proprio dal ministero dell'Economia con
una propria interpretazione restrittiva del testo di legge:
i suoi tecnici hanno imposto che il contributo integrativo
rimanga al 2% invece di salire al 4% (o al 5%) nel caso in
cui la richiesta di parcella del libero professionista sia
diretta a comuni, regioni, Asl e così via.
La posizione dell'Economia è frutto di soggettiva
interpretazione di una clausola di salvaguardia prevista
effettivamente nel testo di legge Lo Presti, che esorta a
varare provvedimenti «senza maggiori oneri per la finanza
pubblica», paventando una necessaria politica di
controllo della spesa. Il monito contenuto
nell'interpretazione del ministero non ha nulla a che
vedere, però, con lo spirito del provvedimento, dato che
negare di innalzare il contributo al 4%, contrariamente a
quanto invece fanno già molti liberi professionisti di altri
ordini professionali, significa discriminare solo alcune
categorie malcapitate, tra cui biologi, psicologi, periti
industriali e tanti altri. Inoltre una simile
interpretazione contraddice la volontà stessa del
legislatore, come risulta dagli atti preparatori al testo.
Il viceministro del Welfare, tagliando la testa al toro,
aveva sottolineato come non fosse giusto impedire solo ad
alcuni liberi professionisti ciò che è permesso ad altri,
dato che un simile atteggiamento si macchierebbe in ogni
caso di incostituzionalità. Rispondendo all'interrogazione
parlamentare urgente proposta proprio da Antonino Lo Presti
(Fli), Martone invitava il ministero dell'Economia ad un
ripensamento della posizione assunta che non trovava
fondamento: invece ad oggi nessuna risposta.
Ovviamente la questione coinvolge immediatamente non solo
gli interessi delle Casse di previdenza, ma prima di tutto i
diritti previdenziali dei liberi professionisti iscritti.
Minore contribuzione integrativa si traduce, infatti, in
minori disponibilità economiche da poter ridistribuire sulle
future pensioni in un clima di sostanziale disparità e con
un mercato del lavoro abbastanza statico. Invece la legge Lo
Presti è chiarissima e si rivolge indistintamente alla
collettività, non operando distinzione tra cliente pubblico
e privato.
E in uno Stato di diritto in cui la certezza della norma è
un pilastro, un ritardo, o meglio, il protrarsi della una
presa di posizione da parte dell'Economia senza aperture al
confronto non appare assolutamente giustificabile
(articolo ItaliaOggi del 02.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ottobre 2012 |
|
INCARICHI
PROGETTUALI: L'appalto
è aperto.
Ok al progettista collaboratore p.a..
Tar Lazio: niente stop se la consulenza non dà vantaggi.
Un professionista che ha collaborato con la stazione
appaltante per gli studi preparatori di un appalto può
partecipare alla gara con una impresa di costruzioni se la
sua collaborazione non ha determinato effettivi vantaggi
competitivi rispetto agli altri concorrenti.
Lo afferma il
TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la
sentenza
18.10.2012 n. 8595
che
affronta il tema della portata dell'art. 90, comma 8 del
Codice contratti in relazione all'incompatibilità del
progettista in un appalto integrato (di progettazione
esecutiva e costruzione) affidato sulla base di un progetto
preliminare.
L'impresa aveva indicato quale progettista
qualificato un professionista che aveva avuto modo di
collaborare alla redazione degli studi specialistici del
progetto preliminare. Si doveva quindi verificare se si
fosse determinata una asimmetria informativa con gli altri
partecipanti alla gara, tale da alterare la concorrenza.
Il
Tar premette che la ratio della norma del Codice è quella di
evitare che colui che ha avuto una parte determinante
nell'elaborazione del progetto posto a base di gara possa
poi concorrere all'aggiudicazione della stessa,
compromettendo o falsando la concorrenza tra i partecipanti
alla gara stessa, a esclusivo favore dell'impresa posta in
grado di profittare di informazioni riservate attinenti alla
fase progettuale, o addirittura giovandosi di un progetto
redatto in maniera da favorire nell'aggiudicazione l'impresa
stessa.
La sentenza richiama quindi la giurisprudenza Ue del
2005 (sentenza del 03 marzo, sez. III) che ha avuto modo di
chiarire che la normativa nazionale non può ex se
precludere, la partecipazione alla gara di un soggetto che
sia stato incaricato della ricerca, della sperimentazione,
dello studio o dello sviluppo di attività propedeutiche a un
appalto, «senza che si conceda alla medesima la
possibilità di provare che, nel caso di specie, l'esperienza
da essa acquisita non possa falsare la concorrenza».
Occorre, quindi, una valutazione caso per caso sulla reale
configurabilità di una simmetria informativa che evidenzi la
presenza di «indizi seri, precisi e concordanti sulla
circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a
questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante
nell'indirizzo delle scelte dell'amministrazione o ne abbia
ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare
la concorrenza».
Nel caso specifico, la verifica fatta dalla commissione
giudicatrice aveva fatto emergere alcuni elementi ritenuti
sufficienti ad escludere l'incompatibilità alla
partecipazione alla gara di lavori: a) l'alterità della
predisposizione del documento tecnico alla cui redazione ha
collaborato il professionista e dell'apporto specifico
fornito dal professionista rispetto alla formazione
dell'elaborato progettuale posto a base di gara; b) la
integrale rimessione della fase progettuale dell'intervento
a funzionari pubblici; c) la soluzione di continuità
intervenuta nell'andamento di tale fase; d) la messa a
disposizione degli studi specialistici a tutti i
partecipanti.
Diverso sarebbe stato, ovviamente, laddove il professionista
avesse predisposto materialmente il progetto posto a base di
gara (articolo ItaliaOggi del
02.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Progettisti nelle gare di appalto: quali incompatibilità?
Il TAR Lazio-Roma, Sez. I, con la corposa
sentenza
18.10.2012 n. 8595 ha fornito un interessante orientamento
giurisprudenziale in merito alle incompatibilita' per i
progettisti ai sensi del comma 8, dell'articolo 90, del
Codice degli Appalti Pubblici.
In merito, si deve rilevare che il citato art. 90, comma 8,
del D.Lgs. n. 163/2006 testualmente dispone che:
“Gli affidatari di incarichi di progettazione non possono
partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori
pubblici, nonché agli eventuali subappalti o cottimi, per i
quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione;
ai medesimi appalti, concessioni di lavori pubblici,
subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto
controllato, controllante o collegato all'affidatario di
incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di
collegamento si determinano con riferimento a quanto
previsto dall'articolo 2359 del codice civile. I divieti
(….) sono estesi ai dipendenti dell'affidatario
dell'incarico di progettazione, ai suoi collaboratori nello
svolgimento dell'incarico e ai loro dipendenti, nonché agli
affidatari di attività di supporto alla progettazione e ai
loro dipendenti”.
L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti, al pari della
giurisprudenza, ha già avuto modo di evidenziare la ratio e
la portata della disposizione applicata nel caso di specie
dalla stazione appaltante, ricordando che incorre nel
divieto in essa sancito il partecipante alla procedura di
affidamento di lavori che abbia predisposto o abbia avuto
modo di conoscere, anche indirettamente, la progettazione
preliminare, in quanto è sufficiente il solo sospetto della
possibile lesione della trasparenza nella circolazione delle
informazioni legate all’intervento, a costituire un vulnus
al principio della par condicio.
Ciò rileva soprattutto in considerazione del criterio di
aggiudicazione prescelto per l’affidamento dei lavori di cui
trattasi, che è quello dell’offerta economicamente più
vantaggiosa nell’ambito del quale sono previsti specifici
punteggi per le soluzioni progettuali migliorative proposte
in sede di offerta tecnica.
La vicenda Il Sindaco di un ente locale nella qualità di
Commissario delegato per l’emergenza traffico indiceva in
data 25.01.2010 una procedura aperta ai sensi dell’art.
53, comma 2, lett. c), del Codice degli Appalti Pubblici per
l’affidamento della progettazione e realizzazione della
“piattaforma logistica intermodale con annesso scalo
portuale” .
Il disciplinare di gara prevedeva l’attribuzione alle
offerte dei partecipanti ammessi alla gara di un punteggio
complessivo massimo pari a 100, da determinarsi sulla base
di elementi di valutazione in parte qualitativi, in forza di
valutazioni discrezionali della competente commissione
esaminatrice (75/100), in parte oggettivi (25/100).
A conclusione dei lavori, protrattisi per 17 sedute, la
commissione valutatrice formalizzava in data 27/28.07.2010 la graduatoria di merito della gara, nella quale si
classificava al primo posto, l’offerta di una SPA .
Una delle ditte partecipanti classificatasi al quarto posto
della graduatoria richiedeva infruttuosamente alla stazione
appaltante, mediante memorie e diffide, l’esclusione dalla
gara dei soggetti figuranti nelle prime tre posizioni e
l’aggiudicazione a se dei lavori. Intervenivano nel
procedimento l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture e l’Avvocatura dello Stato.
Con decreto n. 26 del 22.08.2011 il Commissario delegato
aggiudicava definitivamente la gara alla SPA classificatasi
prima in graduatoria.
L’analisi del TAR La contestazione avanzata dalla società
ricorrente era relativa al fatto che vi era la presenza, tra
i progettisti incaricati di un ingegnere con elementi di
incompatibilità in quanto già collaboratore nell’ambito
della redazione della relazione generale degli studi
specialistici del progetto del porto oggetto
dell’affidamento ; in sostanza era contestato la contestuale
partecipazione alla gara di un professionista sotto la
duplice veste di progettista per la stazione appaltante e
affidatario o dipendente/consulente dell’affidatario.
Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato premette che la ratio
della normativa risponde all’esigenza di assicurare par
condicio, trasparenza e concorrenzialità nello svolgimento
delle procedure a evidenza pubblica, ciò in particolare
mirando a evitare che colui che ha avuto una parte
determinante nell’elaborazione del progetto posto a base di
gara possa poi concorrere all’aggiudicazione della stessa.
L’Avvocatura dello Stato osserva che la giurisprudenza
comunitaria recepita da pronunciamenti del giudice
nazionale, ha evidenziato come l’art. 90, comma 8, del Codice
degli Appalti Pubblici sia norma di stretta interpretazione
e che la normativa nazionale non può precludere, pena la
violazione del principio di proporzionalità e di libertà di
iniziativa economica, la presentazione di una domanda di
partecipazione o di una offerta per un appalto pubblico di
lavori, di forniture o di servizi da parte di una impresa (o
di una persona fisica alla stessa collegata nei termini
sopra considerati) che sia stata incaricata della ricerca,
della sperimentazione, dello studio o dello sviluppo di tali
lavori, forniture o servizi, senza che si conceda alla
medesima la possibilità di provare che, nel caso di specie,
l’esperienza da essa acquisita non possa falsare la
concorrenza.
Il TAR osserva che le norme sulle incompatibilità ed i
connessi divieti agiscono in prevenzione, ovvero sono norme
che tendono a prevenire il pericolo di pregiudizio, e,
verificato il caso di incompatibilità, tendono a
salvaguardare la genuinità della gara attraverso la
prescrizione del divieto di partecipazione; le stesse non
presuppongono né intervenuta la lesione, né la sussistenza
di un concreto tentativo di compromissione.
E’, dunque, sufficiente che gli indizi (ferma la loro
serietà, precisione e concordanza) riguardino situazioni
che, oggettivamente, pongono un determinato concorrente in
una posizione di squilibrio (per sé favorevole) nei
confronti degli altri concorrenti, e tale da determinare,
indipendentemente dal concretizzarsi del vantaggio, una
violazione della par condicio.
Il Tribunale amministrativo ritiene di dover concordare:
• sia con il professionista, quando afferma, nelle stesse
controdeduzioni, che l’esperienza acquisita dalla
partecipante alla gara di appalto mediante l’indicazione del
progettista non era idonea a falsare la concorrenza, non
rinvenendosi in capo alla stessa, per il suo tramite, alcun
vantaggio ingiustificato, derivante dalla conoscenza di
elementi specifici, non in possesso delle altre imprese pure
partecipanti;
• sia con la commissione di gara che, nel vagliare la
posizione della stessa partecipante ha escluso che lo stesso
potesse essere escluso dalla partecipazione alla
competizione per l’indicazione di cui trattasi.
Può ancora aggiungersi e l’elemento ancora testimonia a
sfavore della tesi della ditta ricorrente che le conclusioni
cui è pervenuta la commissione di gara in relazione alla
posizione della partecipante e dell’ingegnere sono state
comunicate dalla stazione appaltante anche all’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici, nell’ambito dell’esame
da quest’ultima effettuato di una più ampia serie di
questioni relative alla gara per cui è causa, e sono state
oggetto di un vaglio sostanzialmente favorevole da parte
dell’Autorità, espressamente per quanto concerne l’andamento
e la consistenza del segmento procedimentale costituito
dalla predetta verifica, avendo la detta Autorità rilevato,
con atto n. 51360 del 10.05.2011, che “la commissione ha
seguito una procedura completa, acquisendo ulteriore
documentazione e le controdeduzioni dell’impresa” ,
senza null’altro approfondire o richiedere sul punto (commento tratto da www.ispoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: LEGGE DI STABILITÀ/ Partecipate nel mirino. Saltano blocco
contratti e contributo di solidarietà. P.a., consulenze non
rinnovabili.
Proroga solo in via eccezionale. E il compenso resta lo
stesso.
Tempi duri per l'esercito di consulenti degli enti pubblici.
Gli incarichi (per forza di cose temporanei e altamente
qualificati come prevede il Testo unico del pubblico
impiego) non potranno essere rinnovati e sarà ammessa la
proroga solo in via eccezionale se il progetto per cui sono
state conferite le consulenze non è ancora stato completato
a causa di ritardi non imputabili al collaboratore. E,
particolare non di poco conto, anche in caso di proroga, il
compenso resterà quello pattuito al momento del conferimento
dell'incarico. Il giro di vite sulle consulenze si estenderà
anche alle partecipate, ossia alla galassia delle società
controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche
amministrazioni, su cui si era già abbattuta la scure della
spending review. Oltre a essere soggette al tetto del 50%
della spesa 2009 per co.co.co. e contratti a termine,
saranno soggette ai limiti e agli obblighi di trasparenza
nel conferimento degli incarichi vigenti per tutta la
pubblica amministrazione.
Ancora una volta il taglio delle spese della p.a. passa
attraverso la messa a dieta delle consulenze. Il ddl di
stabilità 2013 non sfugge a questa regola ormai consolidata,
stabilendo un generale divieto di rinnovo degli incarichi,
salvo le eccezioni di cui si è detto.
Chi invece può sorridere sono i grand commis di stato per il
dietrofront sulla proroga a tutto il 2014 del contributo di
solidarietà (5% sopra i 90 mila euro lordi annui di
stipendio, 10% sopra i 150 mila) introdotto dalla manovra
2010 di Giulio Tremonti. Salta anche il blocco del rinnovo
dei contratti pubblici per il 2014.
Il doppio passo indietro è stato imposto dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 223/2012 che giovedì ha
dichiarato incostituzionale il prelievo (si veda ItaliaOggi
di ieri). Stessa sorte è toccata alla trattenuta del 2,5%
sul tfr degli statali, anche questa prevista dal dl 78/2010
e spazzata via dalla Consulta. Con la conseguenza che ora le
p.a. dovranno restituire le somme illegittimamente
trattenute a decorrere dal 1° gennaio 2011. Secondo la
Uil-Fpl nelle tasche degli statali dovrebbero tornare in
media 600 euro l'anno per un lavoratore di fascia C. «Una
grande soddisfazione» che il sindacato guidato da Giovanni Torluccio rivendica rimarcando la differenza con le altre
sigle sindacali le quali, ricorda, «non hanno dimostrato
alcun interesse in proposito, ma anzi hanno fatto proprie le
tesi dell'Inpdap sulla correttezza della trattenuta del
2,50%».
«Sin dall'approvazione della norma, abbiamo sempre sostenuto
che fosse illegittima in quanto violava il principio di
eguaglianza e quello di parità di trattamento retributivo
rispetto al settore privato», ha proseguito.
Tornando al ddl di stabilità, l'unica novità confermata
rispetto all'impianto originario, riguarda il dimezzamento
della retribuzione (non sarà toccata invece la contribuzione
figurativa) dei permessi fruiti per assistere familiari
disabili (per esempio i genitori). Continueranno a essere
pagati al 100% i permessi richiesti per patologie dello
stesso dipendente o per l'assistenza ai figli o al coniuge.
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Giro di vite sugli acquisti di auto e immobili.
Scatta subito il divieto per le pubbliche amministrazioni di
acquistare o prendere in leasing autovetture. Divieto che,
però, non si applica per gli acquisti effettuati dalle
amministrazioni che ricadono nel cosiddetto comparto
sicurezza e per quelle che devono garantire i livelli
essenziali di assistenza sociale e sanitaria. Dal prossimo
Capodanno, le stesse p.a. non possono acquistare immobili né
stipulare contratti di locazione passiva, salvo che non si
tratti di rinnovi di contratti già in essere. Dal 2014,
invece, gli enti territoriali e quello del Servizio
sanitario nazionale potranno effettuare operazioni di
acquisto di immobili solo se sarà documentata e certificata
l'assoluta indispensabilità del predetto immobile ai fini
istituzionali.
Stretta, invece, per il biennio 2013-2014,
sull'acquisto di mobili e arredi. Le p.a. a tal fine, non
dovranno sforare il 20% della spesa sostenuta nel 2011.
Infine, anche le scuole e le università dovranno attingere
alle convenzioni presenti sul mercato telematico per
l'acquisto di beni e servizi. È quanto contenuto all'interno
della legge di stabilità varata dall'esecutivo nella serata
di mercoledì scorso e che, in pratica, fa stringere ancora
di più la cinghia al comparto della pubblica
amministrazione.
Auto nuove addio. Un divieto senza precedenti quello che si
abbatte sul parco auto della p.a. La legge di stabilità,
infatti, dispone che le amministrazioni pubbliche inserite
nel conto economico Istat (anche gli enti territoriali,
pertanto) a decorrere dalla data di entrata in vigore della
stessa, non possono acquistare autovetture né possono
acquisirle mediante la stipula di contratti di leasing.
E
per evitare qualche «furbetto», la norma tiene a precisare
che si intendono revocate anche le procedure di acquisto
iniziate dal 9 ottobre scorso. Da questo taglio netto con il
passato, escluse espressamente le amministrazioni del
comparto sicurezza e quelle che sono tenute a garantire
servizi sociali e sanitari. La norma, infine, sancisce che
per le regioni il divieto costituisce una condizione
inderogabile ai fini dell'erogazione dei trasferimenti
erariali.
Stretta sugli immobili. Per il prossimo anno, tutte le p.a.
e le authority non potranno acquistare immobili né stipulare
contratti di locazione passiva. Divieto che non opera nel
caso di rinnovi contrattuali ovvero nei casi in cui la
«nuova» locazione sia economicamente più vantaggiosa per
acquisire disponibilità di locali in sostituzione di
immobili dismessi.
Dal gennaio 2014, invece, scatterà il
divieto per gli enti territoriali e per quelli del Ssn di
acquistare immobili. Tranne nei casi in cui il responsabile
del procedimento attesti «l'indispensabilità e l'indilazionabilità»
dell'operazione. Quest'ultima, inoltre, dovrà essere
connotata dalla massima trasparenza in quanto, sia il prezzo
pattuito (che dovrà essere preliminarmente definito congruo
dall'Agenzia del demanio) che il soggetto alienante,
dovranno essere resi noti sul sito internet dell'ente.
A dieta su mobili e arredi. Per il prossimo biennio,
l'esecutivo intende sforbiciare anche la spesa sostenuta
dalle p.a. per mobili e arredi. Si dispone, infatti che
tutte le p.a., le authority e la Consob (ma non gli enti e
gli organismi vigilati dalle regioni, dalle province
autonome e dagli enti locali) non potranno sostenere spese a
tali fini di ammontare superiore al 20% della spesa
sostenuta nel 2011. I dirigenti responsabili dell'eventuale
violazione ne risponderanno sotto il profilo amministrativo
e disciplinare. I risparmi conseguiti dovranno essere
versati entro il 30 giugno al bilancio statale.
Scuola e mercato telematico.
Operando una modifica all'articolo 1, comma 449, della legge
finanziaria 2007 (la legge n. 296/2006), l'esecutivo ha
disposto che anche gli istituti e le scuole di ogni ordine e
grado, le istituzioni educative e quelle universitarie, sono
tenute ad approvvigionarsi dei beni e servizi disponibili
sul mercato telematico, utilizzando le cosiddette
convezioni-quadro
(articolo taliaOggi del 13.10.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
SPESE GIUDIZIALI CIVILI - LIQUIDAZIONE –
ABROGAZIONE DELLE TARIFFE PROFESSIONALI – DISCIPLINA
TRANSITORIA - ART. 41 DEL D.M. 140 DEL 2012.
Le S.U. hanno affermato che, agli effetti dell’art. 41 del
d. m. 20.07.2012, n. 140, il quale ha dato attuazione
all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24.01.2012, n. 1,
convertito in legge 24.03.2012, n. 27, i nuovi parametri,
cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti
in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da
applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale
intervenga in un momento successivo alla data di entrata in
vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso
spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia
ancora completato la propria prestazione professionale,
ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in
parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe
abrogate (Corte di
Cassazione, Sezz. Unite Civili,
sentenza 12.10.2012 n. 17405
- link a www.cortedicassazione.it). |
settembre 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI: Compensi
professionali: come calcolo la parcella per una prestazione
durata oltre 10 anni?
La Corte di Cassazione, Sez. II civile, si pronuncia, con la
sentenza 28.09.2012 n. 16581, in merito al calcolo della
parcella di un professionista la cui prestazione lavorativa
si è protratta per ben 11 anni.
La tariffa applicabile è quella relativa all’inizio
dell’attività, quando è stato sottoscritto il contratto, o
si fa riferimento alla tariffa vigente al momento della
liquidazione? Oppure sarebbe opportuno frazionare la
prestazione professionale?
Durante il corso degli anni c’è stata una evoluzione delle
tariffe professionali, fino all’attuale abolizione delle
stesse e determinazione del compenso attraverso un
preventivo di massima, al momento dell’affidamento
dell’incarico, basato esclusivamente sulla contrattazione
privata tra professionista e cliente (v. art. 2233 del
Codice Civile).
Nel caso in esame, la Cassazione decide che il compenso del
professionista va calcolato prendendo come riferimento le
tariffe vigenti a fine lavori, dovendo considerare “unitaria”
la natura dell’incarico conferito e non frazionato nel corso
degli anni in rapporto alle diverse prestazioni eseguite.
In conclusione, vale la tariffa in vigore a fine incarico.
Ma a questo punto potremmo chiederci: cosa accade per i
lavori iniziati prima dell’abolizione e terminati oggi,
quando le tariffe professionali sono ormai abrogate?
Ad inizio lavori il professionista poteva far affidamento a
tariffe ben precise; alla fine dell’espletamento
dell’incarico lo stesso professionista potrebbe, invece,
correre il rischio di andare incontro ad un compenso
inferiore calcolato (eventualmente in fase di contenzioso)
con il D.M. 20.07.2012 n. 140.
Inoltre, l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire
il compenso determinato rispetto al preventivo fino al 60%
(04.10.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI - PROGETTUALI: Integrativo 4% anche
con le p.a.. La risposta del Lavoro
ai professionisti.
Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare al
professionista il contributo integrativo al 4% e non al 2%.
Questo il senso della risposta fornita dal viceministro al
Lavoro Michel Martone a un'interrogazione proposta alla
camera dal deputato Antonino lo Presti. Un'apertura di
credito nel senso dalla possibilità di applicazione a pieno
titolo anche nel caso delle pubbliche amministrazioni, che
coinvolge e interessa tutti i liberi professionisti iscritti
alle Casse di nuova generazione finora penalizzati da
un'interpretazione in senso contrario del ministero
dell'economia.
La legge «Lo Presti», dal luglio 2011, ha
fornito la possibilità ai liberi professionisti di aumentare
la loro pensione attraverso l'utilizzo di una parte del
contributo integrativo riconosciuto in fattura dal cliente
al momento di liquidare una prestazione professionale. Ma a
una condizione: che il contributo fosse debitamente
aumentato dal 2 al 4%. Questo principio, però, era stato
circoscritto dal ministero dell'economia che metteva al
riparo le pubbliche amministrazioni dal riconoscere la
possibilità di applicare il 4% al posto del 2, coinvolgendo
i professionisti iscritti alle Casse del 103: biologi,
infermieri, psicologi, periti industriali e le quattro
professioni legate alla Cassa pluricategoriale (attuari,
chimici, dottori agronomi e forestali, geologi).
Insomma, il ministero dell'economia introduceva il principio
del doppio binario: quando lavori per un privato, il
contributo integrativo si applica al 4%, quando lavori per
il pubblico, quel contributo resta fermo al 2%. In questo
caso, per i liberi professionisti avrebbe significato niente
possibilità di mettere da parte più denari per la futura
pensione.
Il viceministro Martone, però, ha aperto a una revisione
dell'interpretazione, rispondendo all'interrogazione
parlamentare presentata dallo stesso onorevole Lo Presti
(seduta
20.09.2012 n. 689). Martone ha riconosciuto che
sono intervenuti due fattori che meritano un ripensamento
della lettura limitativa della legge 133/2011: anzitutto
sono stati aboliti i minimi tariffari e, in secondo luogo, è
palese come sia incostituzionale discriminare alcune
categorie professionali rispetto ad altre, spesso coinvolte
in lavori sostanzialmente simili
(articolo ItaliaOggi del 28.09.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ Dagli ordini i
facsimile delle lettere di incarico. Prima regola: mettere
tutto per iscritto. Niente tariffe e infinite clausole È il
nuovo contratto professionale.
Fra professionista e cliente patti chiari e amicizia lunga.
Sembra essere questo lo spirito che sta animando gli ordini
in questi giorni che, pur non essendo previsto l'obbligo di
preventivo scritto, si stanno dando da fare per dare
istruzioni ai propri iscritti su come rendere chiari, e
quindi evitare problemi in futuro, gli accordi sul
conferimento dell'incarico.
Ed ecco quali sono i punti che non possono mai mancare in un
contratto-tipo: l'oggetto e il grado di complessità
dell'incarico, da esplicitare il più possibile, il compenso
e gli oneri ipotizzabili, il recesso, gli estremi della
polizza professionale, la clausola di mediazione. Ma
comunque l'indicazione unanime degli ordini è: mettere tutto
per iscritto e non lasciare nulla di sottinteso al cliente.
Riguardo la determinazione del compenso, invece, se da un
lato i minimi tariffari sono stati aboliti, dall'altro, con
tutta probabilità, i nuovi parametri elaborati dal ministero
della giustizia per la liquidazione dei compensi da parte
del giudice (dm n. 140/2012) saranno presi a riferimento dai
professionisti per quantificare la propria prestazione
professionale. E metterla al riparo da eventuali
contenziosi. Il resto è lasciato al libero mercato. Ma
vediamo meglio le indicazioni degli ordini ai professionisti
alla luce del dl liberalizzazioni, del dpr di riforma delle
professioni e del dm parametri.
Gli ordini giuridico-economico-contabili. Il Consiglio
nazionale forense, da ultimo, ha elaborato un modello di
contratto per gli iscritti (si veda ItaliaOggi del 20
settembre). Le clausole più importanti riguardano la
privacy, la conciliazione, l'antiriciclaggio, la difficoltà
dell'incarico, eventuali imprevisti, la quantificazione del
compenso, o per fasi o per ore di attività.
Anche il
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili ha messo a disposizione il facsimile di
lettera di incarico professionale. Dove non devono mai
mancare le clausole riferibili a: oggetto e grado di
complessità dell'incarico, compenso e oneri ipotizzabili,
recesso, estremi della polizza professionale.
«La principale
indicazione da dare ai professionisti è che il conferimento
dell'incarico venga fatto per iscritto», afferma Massimo Mellacina, consigliere delegato alle tariffe, «lo stesso
decreto sui parametri prevede che il professionista debba
dare prova del preventivo onorario pre-concordato. Quanto ai
parametri, lo consideriamo uno strumento a uso esclusivo
dell'organo giudiziale. Detto ciò, che poi possa essere
assunto dal professionista come base di riferimento la
considero un'opzione possibile e ragionevole. Chiaramente,
non è più vincolante come lo era la tariffa minima».
Pure i
consulenti del lavoro hanno diramato un facsimile di
conferimento di incarico professionale. Gli elementi chiave
sono: l'oggetto e grado di complessità del mandato, il
compenso, durata e recesso, obblighi del professionista e
del mandante. «In seguito all'abolizione delle tariffe è
sorta l'esigenza di predisporre un facsimile di conferimento
di incarico professionale», afferma il presidente, Marina
Calderone, «uno strumento utile, visto che il mandato è
diventato un elemento basilare del rapporto tra il
professionista e il proprio cliente».
Le professioni tecniche. Il Consiglio nazionale degli
ingegneri ha elaborato, tramite il proprio Centro studi, un
documento con una serie di linee guida per ogni fattispecie
di contratto: dall'incarico professionale con committenti
privati, ai mansionari, agli incarichi per i lavori
pubblici. «Ora la difficoltà, per il professionista, è
individuare il compenso senza potersi riferire alle
tariffe», afferma il presidente del Cni, Armando Zambrano,
«si tratta di una contraddizione perché l'utente ha
un'informazione in meno. Con i nuovi parametri, poi, siamo
al paradosso, perché le indicazioni che utilizza il giudice
alla fine del procedimento diventano il compenso del
professionista, mentre non possono essere utilizzate dal
professionista prima del contenzioso».
Il Consiglio
nazionale dei periti industriali sta lavorando in questi
giorni per predisporre un contratto tipo «che sarà molto
complesso», assicura il presidente, Giuseppe Jogna, «perché
abbiamo parecchie specializzazioni. Cercheremo di mettere a
disposizione una sorta di scrittura privata di contratto di
incarico lasciando poi ampio spazio a quella che è
l'attività vera propria. Detto ciò, l'importante, per il
professionista, è che il contratto sia molto chiaro ed
esplicito perché le attività professionali tecniche, come
quella di progettazione, hanno la particolarità di poter
subire modifiche in corso d'opera. È necessario quindi che
il committente ne sia ampiamente informato, perché spesso ci
si nasconde dietro l'asimmetria delle conoscenze».
«Per
quello che riguarda i parametri», continua Jogna, «è
chiaro che il professionista non può utilizzarli. Però dico
anche che se il cliente si lamenta del prezzo e non ha la
capacità di individuare qual sia il meccanismo utilizzato
dal professionista per determinare quella cifra, se si fa
riferimento ai parametri non si sbaglia. Anche perché in un
eventuale contenzioso il giudice può trovare coerente questo
comportamento. In altre parole: come si fa a definire una
prestazione complessa se non dando un'occhiata ai parametri,
in modo tale che il contratto sia salvo in caso di
contenzioso».
Anche il Consiglio nazionale degli agrotecnici sta mettendo
a punto un facsimile. «Non è una semplice lettera di
incarico», afferma il presidente, Roberto Orlandi, «vogliamo
chiarire come costruire il contratto per evitare eventuali
contenziosi. Anche perché, per quanto riguarda la
determinazione del compenso, i nuovi parametri escludono
molte nostre competenze. Il punto principale da chiarire,
comunque, è la descrizione puntuale della prestazione» (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
I COMPENSI DEI PROFESSIONISTI/ L'eliminazione delle
tariffe affida alle parti la negoziazione. Unico riferimento
i nuovi parametri. Il prezzo lo fa il libero mercato.
Un contratto con il professionista: l'abbandono delle
tariffe affida al mercato e, quindi, alle parti di negoziare
il compenso. Anche se si rischia di lasciare nell'indefinito
una materia che prima era regolata da decreti ministeriali.
In mancanza delle tariffe, però, l'unico punto di
riferimento è rappresentato dai parametri stabiliti con il
decreto ministeriale n. 140/2012. Anche se non bisogna
cadere in un equivoco.
I parametri del decreto 140/2012 non
sono un tariffario sopravvissuto finalizzato a regolare i
rapporti con la clientela; i parametri sono linee guida per
il magistrato, chiamato a decidere quale sia il giusto
compenso per il professionista, in una controversia con il
cliente o, per gli avvocati, in sede di liquidazione
giudiziale dei compensi. Non sono invece una griglia
obbligatoria nei rapporti interni tra professionista e
cliente. Anzi la legge vorrebbe eliminare qualsiasi griglia
cogente per la determinazione delle tariffe e lasciare tutto
alla libera negoziazione tra le parti.
D'altro canto c'è una ragione che incentiva il
professionista a stendere il contratto vincolante per il
cliente: il contratto stipulato e accettato dal cliente,
infatti, è intoccabile anche dal magistrato. L'articolo 1
del decreto 140/2012 prevede che l'organo giurisdizionale
che deve liquidare il compenso dei professionisti applica i
parametri, ma solo in difetto di accordo tra le parti in
ordine allo stesso compenso.
Questo significa che il giudice deve valutare innanzitutto
se sia stato stipulato un contratto valido tra le parti; in
questo caso deve applicare il contratto e non può passare
alla applicazione dei parametri.
Naturalmente il cliente potrà contestare la validità del
contratto e sostenerne la nullità totale o parziale;
tuttavia si parte dal contratto; mentre se il contratto non
c'è, allora il professionista non può che affidarsi alla
discrezionalità giudiziale.
L'interesse del professionista a bloccare la discrezionalità
giudiziale nella determinazione del compenso è molto alto.
Si noti, infatti, che i parametri stabiliti dal decreto
140/2012 innanzitutto non sono vincolanti nemmeno per il
giudice, che può discostarsene nei casi concreti; in secondo
luogo i parametri sono fissati con una forbice molto ampia
tra il valore più basso e il valore del maggiore incremento.
Non essendoci più un tariffario unico, seppure modulabile,
considerata la forbice minimo-massimo per singole
prestazioni, il professionista, per regolare i rapporti
economici con la propria clientela, è, dunque, incentivato a
costruire un proprio tariffario di studio.
Anzi il cliente che entra in uno studio professionale e
assegna un incarico si vedrà consegnare il contratto, magari
a seguito di un preventivo di massima, oltre che alcune
specifiche informazioni previste da leggi di settore (dalla
privacy alla conciliazione).
Secondo il disegno del legislatore l'abolizione delle
tariffe e la riconduzione dei compensi ai rapporti
contrattuali dovrebbe incentivare la concorrenza tra
professionisti, singoli e associati, e tra società
professionali.
Non a caso i compensi possono essere oggetto della
pubblicità informativa (su cui si veda il dpr 07/08/2012 n.
137, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14.08.2012, regolamento di attuazione dei principi dettati
dall'articolo 3, comma 5, del decreto legge n. 138 del 2011
in materia di professioni regolamentate).
Quindi lo studio professionale potrà preparare una brochure
informativa con il proprio preziario e magari diffonderlo
tramite il sito internet. Così sarà data al cliente la
possibilità di scelta del professionista anche sulla base
del fattore compenso praticato.
A questo proposito va richiamato il decreto ministeriale n.
137/2012 sulla disciplina delle professioni regolamentate,
che dedica un apposito articolo alla libera concorrenza e
alla pubblicità informativa. Innanzi tutto la pubblicità
informativa è ammessa con ogni mezzo purché attinente
l'attività delle professioni regolamentate, le
specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla
professione, la struttura dello studio professionale e anche
i compensi richiesti per le prestazioni.
La pubblicità informativa deve essere funzionale
all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare
l'obbligo del segreto professionale e non dev'essere
equivoca, ingannevole o denigratoria.
Infine, così si chiude l'articolo 4 del decreto 137, la
violazione della disposizione sui principi della pubblicità
informativa costituisce illecito disciplinare, oltre a
integrare una violazione delle disposizioni previste dal
codice del consumo e dalle norme sulla pubblicità
ingannevole.
Questi ultimi riferimenti potrebbero però mettere in dubbio
la qualifica del professionista e spostarla sul versante
imprenditoriale, esito questo fortemente avversato dagli
ordini. A parte queste considerazioni generali, va
sottolineato che la possibilità di mettere a confronto le
tariffe pratiche attraverso le forme lecite di pubblicità
comparativa è ulteriore elemento che spinge alla
individuazione di un tariffario di studio e di una
contrattualistica standard a uso del singolo professionista,
dello studio associato e della società tra professionisti (articolo
ItaliaOggi Sette del 24.09.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Cosa
accade se la parcella del tecnico “lievita” rispetto al
preventivo?
In seguito all’abolizione delle tariffe professionali il
compenso per le prestazioni va pattuito al momento del
conferimento dell'incarico, con un preventivo di massima
basato esclusivamente sulla contrattazione tra
professionista e committente.
Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di
complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni
utili circa la complessità dell’incarico e gli oneri
ipotizzabili, dal momento del conferimento fino alla
conclusione dell'incarico.
A tal riguardo si esprime la II Sez. civile della Corte di Cassazione che, con la
sentenza 18.09.2012 n. 15628,
respinge il ricorso presentato da un professionista che
aveva richiesto un compenso più alto rispetto a quello
pattuito inizialmente con il cliente, avendo svolto
ulteriori e più costose prestazioni rispetto a quelle
concordate.
La Cassazione stabilisce che il compenso non può essere
ritoccato; in caso di incremento delle prestazioni il
professionista è tenuto ad informare tempestivamente il
cliente, altrimenti si potrebbe configurare un comportamento
non corretto da parte del tecnico
(commento tratto da www.acca.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Disciplinari–tipo e mansionari per le prestazioni
professionali dell’Ingegnere (committenti pubblici e
privati). On-line tutte le schede singole (in formato Word)
per il proprio utilizzo (link a www.centrostudicni.it):
1)
committenti pubblici;
2)
committenti privati. |
INCARICHI
PROGETTUALI:
DISCIPLINARI-TIPO E MANSIONARI PER LE
PRESTAZIONI PROFESSIONALI DELL’INGEGNERE (committenti
pubblici e privati) (Quaderni del Centro Studi
Consiglio Nazionale Ingegneri, n. 135/2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Guida
e Vademecum sulla riforma delle professioni.
Il 12 settembre scorso il Consiglio Nazionale degli
Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha
messo in rete due documenti relativi alla riforma delle
professioni:
una guida, in riferimento al Decreto del
Presidente della Repubblica del 07.08.2012, ed
un vademecum con le domande più frequenti e le relative
risposte, come ad esempio:
►
Cos’è la riforma delle professioni?
►
È possibile farsi pubblicità?
►
I neo laureati dovranno effettuare un tirocinio per poter
fare l’esame di Stato?
►
Cosa cambia con la riforma?
►
Le tariffe rimangono abrogate?
In allegato a questo articolo il vademecum sulla riforma e
la guida in cui si fa riferimento ad alcuni articoli del DPR
137/2012 che hanno comportato i cambiamenti più
significativi allo sviluppo della riforma delle professioni,
in particolare:
● abrogazione delle tariffe professionali
●
obbligo di concordare preventivamente con i clienti il
compenso professionale
●
obbligo di indicare i dati della propria polizza
●
tirocinio per potere sostenere l’esame di Stato
(13.09.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI/PROGETTUALI:
Mandato professionale, mai
più senza l'accordo sul compenso.
Gli effetti del regolamento del Mingiustizia. Parametri
applicati solo in caso di dissenso.
Per il professionista è ormai indispensabile che il mandato
professionale contenga anche l'accordo sul compenso.
I parametri previsti dal regolamento emanato dal ministero
della giustizia verranno applicati dal giudice solo in caso
di mancato accordo tra le parti sul compenso stesso. Qualora
il professionista sia in grado di dimostrare che tra le
parti era stato raggiunto un accordo sul compenso il giudice
non potrà che prenderne atto e liquidare il compenso sulla
base dell'accordo sottoscritto.
Nell'ambito delle regole generali dettate dal regolamento,
viene precisato come nel compenso determinato con
l'applicazione dei parametri non siano ricomprese le spese
da rimborsare, «secondo qualsiasi modalità, compresa quella
concordata in modo forfettario», né tantomeno non vi sono
ricompresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo per
lo svolgimento dell'incarico. Sono a carico del
professionista i costi per le prestazioni rese dai suoi
collaboratori.
Il compenso così liquidato comprende l'intero corrispettivo
dovuto per la prestazione resa, ivi comprese le attività
accessorie alla stessa.
In caso di incarichi collegiali il compenso, che rimane
sempre unico, può essere aumentato fino al doppio; l'unicità
del compenso nel caso di incarico conferito a una società
tra professionisti, anche se la prestazione è stata resa da
più soci.
Per gli incarichi non portati a compimento ovvero per quelli
che sono prosecuzione di incarichi precedentemente affidati
ad altri si dovrà tener conto dell'opera effettivamente
svolta.
L'assenza di prova del preventivo di massima costituisce
elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la
liquidazione del compenso.
In nessun caso le soglie numeriche indicate, sia come minimi
che come massimi, sono elementi vincolanti per la
liquidazione stessa: cioè i parametri costituiscono un mero
riferimento per il giudice, e quindi possono essere anche
disattesi.
Secondo quanto riportato dalla relazione ministeriale,
quest'ultima disposizione, si è resa necessaria, per evitare
che i parametri assurgessero al ruolo di tariffa.
Rimangono sul punto delle perplessità, soprattutto alla luce
delle prassi che sembrano ormai prevalere da alcuni anni in
alcuni tribunali, di liquidare sempre e comunque i compensi
minimi, quando non addirittura sotto i minimi, per gli
incarichi di ausiliario del giudice (ctu) o nelle procedure
concorsuali, e ciò indipendentemente dal lavoro
effettivamente svolto e dalle singole circostanze che
possono aver interessato lo svolgimento dell'incarico
stesso.
Sarà pertanto opportuno che l'accordo sul compenso sia
trasfuso nel mandato professionale, divenuto oramai sempre
più uno strumento indispensabile per il professionista e per
l'organizzazione del proprio lavoro.
Rileggendo con attenzione il 4 comma dell'art. 9, dl 1/2012,
nella parte che riguarda il preventivo di massima, si rileva
come l'attenzione della norma sia posta alla «misura» del
compenso, e non al compenso stesso inteso quale puntuale
riferimento a un univoca misura di valore: oggetto della pattuizione tra il cliente ed il professionista è quindi la
modalità di determinazione del compenso, cioè rendere noto
al cliente come verrà determinato il compenso per la
prestazione richiesta, esplicitando tutte le voci di costo
relative alle singole prestazioni che si rendono necessarie
o, per meglio dire, che si presume si rendano necessarie per
l'adempimento dell'incarico conferito (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalti, stop ai
ribassi selvaggi.
Il compenso del progettista deve salvaguardare l'interesse
pubblico. In arrivo un dm
giustizia-infrastrutture che rivede le liberalizzazioni in
materia di tariffe.
Appalti con tariffe professionali in chiaro. Si avvia al
tramonto l'era in cui le stazioni appaltanti si presentavano
alle gare offrendo progettazione ed esecuzione delle opere a
prezzi stracciati (con ribassi anche del 90% rispetto al
prezzo iniziali) svilendo così il ruolo del professionista.
Sta, infatti, per arrivare un decreto con nuovi parametri
precisi: il corrispettivo del tecnico dovrà, infatti, essere
composto da compenso, spese ed oneri accessori, essere
congruo, salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la
qualità delle opere.
Dopo la definizione dei parametri (dm 01/08/2012) per la liquidazione dei corrispettivi in caso di
contenzioso, un altro provvedimento si occuperà di comporre
lo scenario complessivo di riforma delle professioni che,
tra i suoi capisaldi ha visto l'abolizione delle tariffe
professionali e un nuovo sistema per la definizione dei
compensi: si tratta del decreto interministeriale
giustizia-infrastrutture (ora all'attenzione di
quest'ultimo) che dovrà definire i parametri da utilizzare
per la determinazione dell'importo da porre a base di gara
nell'ambito dei contratti pubblici dei servizi di ingegneria
e architettura.
Un passaggio necessario dopo che il decreto
legge sulle liberalizzazioni (1/12) aveva di fatto
cancellato ogni riferimento tariffario, privando le stazioni
appaltanti di regole per calcolare gli importi e per
determinare, di conseguenza, le procedure per l'affidamento.
Un'assenza di regole denunciata a gran voce dalle
professioni tecniche che, tra le altre cose, rischiava di
alimentare un'eccessiva discrezionalità delle stazioni
appaltanti che, invece, con il nuovo regolamento avranno a
disposizione un riferimento sulla base del quale impostare
le gare. Ma l'assenza di riferimenti tariffari per i servizi
di ingegneria e di architettura non è uno scenario nuovo per
il settore già colpito in questo senso da modifiche
significative nel 2006 con l'eliminazione delle tariffe
minime obbligatorie, introdotta dalle lenzuolate Bersani.
Questa abolizione pur con delle eccezioni (giacché il
ricorso alle tariffe non era vietato del tutto se utilizzate
come parametri di riferimento) non contemplava comunque più
l'obbligo per le stazioni appaltanti di applicare tariffe
fisse o minime con il risultato di avere ribassi delle
offerte nelle gare pubbliche anche del 90% del loro valore
iniziale. Una situazione che il decreto in questione punta a
correggere, pur avendo dall'altra parte abolito le tariffe
per i compensi.
Il corrispettivo, si legge infatti nel dm, composto da
compenso, spese ed oneri accessori, deve essere congruo,
salvaguardare l'interesse pubblico e garantire la qualità
delle opere. Il provvedimento richiama nella valutazione del
compenso quanto stabilito nel decreto relativo ai parametri
giudiziali prevedendo anche la classificazione dei servizi
professionali, tenendo conto della categoria dell'opera e
del grado di complessità. All'interno della stessa categoria
d'opera sono qualificanti «le destinazioni funzionali
delle opere con grado di complessità uguale o maggiore a
quello di base di gara».
Si ottiene così un metodo che quantifica il prezzo in base
alla complessità dell'incarico, all'importanza dell'opera e
alle voci di costo. L'importo delle spese e degli oneri
accessori, invece si legge sul dm, è determinato «forfettariamente»
in una percentuale del compenso pari al 25% per importo
delle opere fino a 1 milione di euro e pari al 10% per
importo di opere pari o superiore a 25 mila euro; per gli
importi intermedi infine dicono i ministeri le percentuali
si applicano per interpolazione lineare»
(articolo ItaliaOggi dell'08.09.2012). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE: La
regola ex art. 90, comma 8, dlgs 163/2006 è espressione del
principio generale di trasparenza ed imparzialità, la cui
applicazione è necessaria per garantire parità di
trattamento, che ha per suo indefettibile presupposto il
fatto che i concorrenti a una procedura di evidenza pubblica
debbano rivestire la medesima posizione.
Il legislatore, vietando a coloro che direttamente o
indirettamente (agli affidatari degli incarichi di
progettazione e ai loro dipendenti e collaboratori) abbiano
partecipato alla progettazione di concorrere nelle gare per
l’affidamento dell’esecuzione dei lavori progettati, ha
voluto assicurare la massima autonomia e l’assoluta
separazione tra attività di progettazione dei lavori e le
attività esecutive degli stessi e, quindi, evitare che il
redattore del progetto possa essere in modo diretto o
indiretto anche l’esecutore dei lavori.
In tal modo, non si tratta, quindi, di ricercare ipotesi
tipiche, normativamente individuate dal legislatore, al fine
di verificare se gli elementi consentano di ricondurre la
posizione a tali ipotesi, ma di valutare se vi sia stata una
differente posizione di partenza nella partecipazione alla
procedura per l’affidamento dell’incarico di progettazione
in esame, che abbia dato luogo a un possibile indebito
vantaggio. La regola generale della incompatibilità
garantisce la genuinità della gara, e il suo rispetto
prescinde dal fatto che realmente si sia dato un vantaggio
per un concorrente a motivo di una qualche sua contiguità
con l’Amministrazione appaltante. In tal senso, quel che
rileva è la situazione dei partecipanti alla gara, il cui
esame deve evidenziare, in modo oggettivo, una disomogeneità
di partenza per la particolare posizione in cui qualche
concorrente viene a trovarsi.
Ovviamente, tale ricerca deve essere condotta con attenzione
e rigore, dovendosi essa concludere negativamente nel caso
in cui difettino indizi seri, precisi e concordanti sulla
circostanza che il partecipante alla gara, o il soggetto a
questo collegato, abbia rivestito un ruolo determinante
nell’indirizzo delle scelte dell’Amministrazione o ne abbia
ricevuto un tale flusso di informazioni riservate da falsare
la concorrenza.
---------------
Anche se la norma dell’art. 90, comma 8, si riferisce al
rapporto tra appalti di lavori e preventiva progettazione,
non si può non ritenere applicabile il principio generale
del divieto di partecipazione di chi abbia una posizione di
vantaggio relativamente agli appalti di servizi.
Il Collegio ritiene
opportuno, preliminarmente precisare quanto segue.
- l’art. 90, comma 8, del Codice degli appalti, prevede:
“Gli affidatari di incarichi di progettazione non possono
partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori
pubblici, nonché agli eventuali subappalti o cottimi, per i
quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione;
ai medesimi appalti, concessioni di lavori pubblici,
subappalti e cottimi non può partecipare un soggetto
controllato, controllante o collegato all’affidatario di
incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di
collegamento si determinano con riferimento a quanto
previsto dall’articolo 2359 del codice civile. I divieti di
cui al presente comma sono estesi ai dipendenti
dell’affidatario dell’incarico di progettazione, ai suoi
collaboratori nello svolgimento dell’incarico e ai loro
dipendenti, nonché agli affidatari di attività di supporto
alla progettazione e ai loro dipendenti”;
- la regola è espressione del principio generale di
trasparenza ed imparzialità, la cui applicazione è
necessaria per garantire parità di trattamento, che ha per
suo indefettibile presupposto il fatto che i concorrenti a
una procedura di evidenza pubblica debbano rivestire la
medesima posizione;
- il legislatore, vietando a coloro che direttamente o
indirettamente (agli affidatari degli incarichi di
progettazione e ai loro dipendenti e collaboratori) abbiano
partecipato alla progettazione di concorrere nelle gare per
l’affidamento dell’esecuzione dei lavori progettati, ha
voluto assicurare la massima autonomia e l’assoluta
separazione tra attività di progettazione dei lavori e le
attività esecutive degli stessi e, quindi, evitare che il
redattore del progetto possa essere in modo diretto o
indiretto anche l’esecutore dei lavori (Cons. Stato, sez. VI,
07.11.2003 n. 7130);
- in tal modo, non si tratta, quindi, di ricercare ipotesi
tipiche, normativamente individuate dal legislatore, al fine
di verificare se gli elementi consentano di ricondurre la
posizione a tali ipotesi, ma di valutare se vi sia stata una
differente posizione di partenza nella partecipazione alla
procedura per l’affidamento dell’incarico di progettazione
in esame, che abbia dato luogo a un possibile indebito
vantaggio. La regola generale della incompatibilità
garantisce la genuinità della gara, e il suo rispetto
prescinde dal fatto che realmente si sia dato un vantaggio
per un concorrente a motivo di una qualche sua contiguità
con l’Amministrazione appaltante. In tal senso, quel che
rileva è la situazione dei partecipanti alla gara, il cui
esame deve evidenziare, in modo oggettivo, una disomogeneità
di partenza per la particolare posizione in cui qualche
concorrente viene a trovarsi;
- ovviamente, tale ricerca deve essere condotta con
attenzione e rigore, dovendosi essa concludere negativamente
nel caso in cui difettino indizi seri, precisi e concordanti
sulla circostanza che il partecipante alla gara, o il
soggetto a questo collegato, abbia rivestito un ruolo
determinante nell’indirizzo delle scelte
dell’Amministrazione o ne abbia ricevuto un tale flusso di
informazioni riservate da falsare la concorrenza (Cons.
Stato, sez. V, 15.01.2008 n. 36);
- né, d’altro canto il principio di massima partecipazione
alle gare può essere assolutizzato come valore in sé, in
quanto, se è senza dubbio auspicabile la più ampia
partecipazione dei concorrenti alle gare (in quanto ciò -garantendo una scelta più ampia- soddisfa il principio di
buon andamento), è altrettanto vero che il detto principio
deve ricevere una lettura “relativizzata”, nel senso che è
auspicabile la più ampia partecipazione nel rispetto del
prevalente principio della tutela della concorrenza,
realizzato attraverso la tutela della “par condicio”
dei concorrenti;
- alla luce di quanto esposto, anche se la norma dell’art.
90, comma 8, si riferisce al rapporto tra appalti di lavori
e preventiva progettazione, non si può non ritenere
applicabile il principio generale del divieto di
partecipazione di chi abbia una posizione di vantaggio
relativamente agli appalti di servizi, oggetto della
presente controversia (Cons. di St., sez. IV, 23.04.2012, n.
2402; Idem, 03.05.2011, n. 2650; TAR Piemonte, Torino, sez.
I, 15.06.2012, n. 714; Cons. di St., sez. V, 04.03.2008 n.
889)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.09.2012 n. 1472 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
G.U. 22.08.2012 n. 195 "Regolamento recante la
determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di
un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai
sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24.01.2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24.03.2012, n. 27"
(Ministero della Giustizia,
decreto 20.07.2012 n. 140).
---------------
PROFESSIONI/ Un compenso per fasi di
giudizio. Per gli avvocati non si fa più riferimento a
singole attività. In Gazzetta il regolamento sui compensi.
Che è operativo fin da oggi.
Compenso agli avvocati per fasi del giudizio e non più per
singole attività. Il prontuario per i giudici per la
liquidazione dei compensi ai professionisti (regolamento n.
140 del 20.07.2012) approda in G.U. (n. 195 del 22.08.2012)
e si applica fin da oggi ogni volta che il magistrato deve
quantificare quanto è dovuto al professionista (non solo
avvocato, ma anche dottore commercialista ed esperto
contabile, notaio o professionista tecnico o altro
professionista).
Il regolamento (si veda ItaliaOggi del 18 agosto) si
caratterizza per il fatto di costituire un indirizzo di
massima, non vincolante né per il giudice né tanto meno nel
rapporto tra cliente e professionista.
La liquidazione da parte del giudice, per gli avvocati,
avviene all'esito della causa o al momento in cui si
rilascia un decreto ingiuntivo o in altro provvedimento che
per legge preveda la liquidazione delle spese. Per l'ambito
forense va sottolineato che vengono riportati parametri
anche per il caso in cui l'avvocato si autoliquida i
compensi nell'atto di precetto, che da l'avvio
all'esecuzione forzata.
Il prontuario si caratterizza per il fatto di costituire una
griglia, non obbligatoria per il magistrato e tanto meno nel
rapporto tra cliente e proprio avvocato.
Il prontuario non è vincolante per il magistrato, in quanto
costituisce una linea di indirizzo per la determinazione del
corrispettivo sia in sentenza sia negli altri provvedimenti
nei quali la legge attribuisce al giudice di liquidare le
spese.
Il giudice è svincolato dall'applicazione cogente delle
cifre, ma è soggetto ai principi generali relativi alla
determinazione del compenso in relazione alla quantità e
alla qualità della prestazione effettuata.
È vero che per le singole voci del prontuario si indicano
livelli minimi e livelli massimi, ma non si tratta di
importi cogenti e vincolanti. D'altra parte l'abbandono del
sistema delle tariffe, stabilite con decreto ministeriale,
non poteva essere frustrato dalla individuazione di
parametri minimi e massimi altrettanto obbligatori.
Il prontuario non è, poi, vincolante nei rapporti tra
cliente e professionista singolo, associato o società
professionale.
Nei rapporti interni sarà il contratto di prestazione di
opera intellettuale a determinare i compensi spettanti al
professionista, senza alcun obbligo di riferimento ai
parametri ministeriali.
Peraltro questo non significa che non vi sia alcuna regola
per la determinazione dei compensi in sede contrattuale. Si
pensi per la categoria degli avvocati, per i quali rimane
vigente la regola del codice deontologico forense, che
impone di non stabilire compensi eccessivi o sproporzionati.
La nuova situazione (abolizione delle tariffe obbligatorie e
individuazione di parametri per la liquidazione giudiziale),
unita al valore del preventivo e del contratto di
conferimento di incarico, potrà spingere i professionisti
singoli o associati e le società professionali a costruire
un proprio prezziario, da riversare nelle scritture
contrattuali, e da utilizzare anche nella pubblicità
informativa consentita dalle norme deontologiche. Il
prontuario si caratterizza per tutte le categorie
professionali per una spiccata semplificazione e
onnicomprensività. Per gli avvocati si abbandona un sistema
articolato in diritti e onorari rapportati alle autorità
giudiziarie procedenti e al valore della causa, in cui sia i
diritti che gli onorari elencavano ogni singola prestazione:
dalla formazione del fascicolo alla corrispondenza con parti
e controparti, dalla stesura degli atti di causa alla
notificazione della sentenza, e così via.
I parametri individuano alcune fasi: di studio della
controversia; di introduzione del procedimento; istruttoria;
decisoria; esecutiva. In relazione a ciascuna fase il
parametro è onnicomprensivo, anche se suscettibile di
aumenti e diminuzioni. La semplificazione riguarda anche il
procedimento di ingiunzione e il precetto. In quest'ultimo
caso è l'avvocato che redige l'atto, che avvia l'esecuzione
forzata: i parametri ministeriali individuano quattro
scaglioni con relativo compenso onnicomprensivo. I parametri
per gli avvocati mandano, dunque, in soffitta sia i diritti
che gli onorari e individuano una unica voce di compenso.
L'importo conteggiato dal giudice sarà comunque
onnicomprensivo per la prestazione professionale, incluse le
attività accessorie alla stessa.
Nei compensi, determinati dal regolamento, non sono comprese
le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità: le parti
possono anche mettersi d'accordo per il rimborso in modo
forfettario. Non sono compresi oneri e contributi dovuti a
qualsiasi titolo. Mentre sono compresi i costi degli
ausiliari incaricati dal professionista.
Quando l'incarico professionale è conferito a una società
tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno
solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più
soci.
Una importante novità, che vale per tutti i professionisti,
riguarda il preventivo. L'assenza di prova del preventivo di
massima (articolo 9, comma 4, terzo periodo, del decreto
legge 1/2012) costituisce elemento di valutazione negativa
da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del
compenso (articolo ItaliaOggi del
23.08.2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
La carenza di personale interno eventualmente idoneo a
svolgere il compito affidato all’esterno deve accertato per
mezzo di una reale ricognizione.
Invero, il conferimento di incarichi all’esterno, anche attraverso un co.co.co., è consentito solo allorquando nell’ambito della
dotazione organica non sia possibile reperire personale
competente ad affrontare problematiche di particolare
complessità od urgenza.
In altri termini la facoltà di
ricorrere a collaborazioni esterne non può considerarsi una
prerogativa arbitraria di chi amministra ma va collocata
nell’ambito del contesto normativo predisposto dal
legislatore il quale la consente solo in situazioni
assolutamente residuali e per un tempo assolutamente
limitato (massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. giur. Calabria,
sentenza 20.08.2012 n. 240). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Abolizione
dei tariffari senza riflessi per lo stato.
Parere del Consiglio di stato sul dpr con i
nuovi parametri.
L'abolizione delle tariffe non deve
danneggiare le casse professionali e gli
archivi notarili.
È quanto prevede il
parere 13.08.2012 n. 3576 del Consiglio
di Stato, che ha licenziato favorevolmente
lo schema di Regolamento sulla
determinazione dei parametri per oneri e
contribuzioni dovuti alle Casse
professionali e agli Archivi, in attuazione
dell'articolo 9, comma 2, secondo e terzo
periodo, del decreto-legge 1/2012.
Si tratta di un derivato della abolizione
delle tariffe professionali e il principio
generale da perseguire è salvaguardare
l'equilibrio finanziario, anche di lungo
periodo, delle casse previdenziali
professionali; inoltre si deve evitare una
riduzione delle principali entrate
dell'amministrazione degli archivi notarili
(tassa archivio, tassa iscrizione al
Registro generale dei testamenti e diritti
per i servizi resi all'utenza), basate sulla
tariffa notarile.
Lo schema di regolamento mantiene un importo
base di calcolo unico sia per le tasse che
per i contributi; tale importo rimane
graduale per gli atti di valore determinato
o determinabile, mentre è stabilito in
misura fissa per gli altri atti, a seconda
della tipologia dell'atto.
Inoltre gli importi da indicare al
repertorio per il calcolo di tasse e
contributi sono stati adeguati all'andamento
dell'inflazione nel periodo 2001-2011 (23%).
Il Consiglio di stato rileva che
l'adeguamento non deve necessariamente
essere pienamente corrispondente
all'incremento Istat per le professioni
liberali, soprattutto in un momento di crisi
economica e finanziaria.
Anche se la misura, più bassa del tasso
d'inflazione, deve essere rimessa
all'amministrazione, tenuto conto anche
della finalità di salvaguardare l'equilibrio
finanziario, anche di lungo periodo, delle
casse previdenziali professionali.
Lo schema di decreto prevede una sola
tabella per i parametri determinati in
misura graduale, da applicare sia per gli
atti pubblici, sia per le scritture private
autenticate, con allineamento agli importi
previsti per gli atti pubblici.
Il Consiglio di stato suggerisce, tuttavia,
di conservare una riduzione per le scritture
private autenticate o, comunque, di
mantenere una unica tabella con importi
determinati in misura inferiore e non
allineati verso l'alto.
Altro punto da rivedere è l'importo dovuto
per il rilascio delle copie di atto
cartaceo, raddoppiato in caso di copia
esecutiva: palazzo Spada chiede di valutare
la congruità degli importi, tenuto conto che
si tratta di un semplice rilascio di copie
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012 - link a
www.corteconti.it). |
luglio 2012 |
|
APPALTI FORNITURE E SERVIZI - INCARICHI
PROGETTUALI - SICUREZZA LAVORO: Consip,
la gara è la regola.
Le gare Consip sono illegittime se prevedono
che l'aggiudicatario possa a sua volta
scegliere senza gara professionisti ai quali
affidare servizi di ingegneria, proponendoli
direttamente alle amministrazioni aderenti
alla convenzione Consip; occorre invece
affidare una gara ad hoc.
È questo il
contenuto principale della interessante
sentenza
16.07.2012 n. 4163 della
VI Sez. del Consiglio di stato.
La sentenza,
almeno con riguardo all'impostazione di
alcune gare seguite da Consip negli ultimi
anni, pone dei paletti invalicabili quando
le attività date in appalto contengano anche
servizi di ingegneria e architettura, sia
pure in misura complessivamente marginale.
Nel caso specifico gli atti di gara
prevedevano che l'aggiudicatario stipulasse
una convenzione con la Consip, aperta
all'adesione delle amministrazioni
interessate, attraverso la quale egli si
impegnasse a indicare all'amministrazione
aderente alla convenzione il curriculum e
quindi il nominativo del professionista da
incaricare per lo svolgimento del
coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione e in fase di esecuzione.
In
prima istanza il Tar aveva giudicato
legittimo l'operato della Consip sul rilievo
che le attività di coordinamento della
sicurezza non sarebbero riservate a
ingegneri e architetti e che gli affidamenti
non sarebbero stati soggetti
all'applicazione dell'articolo 91 del Codice
dei contratti pubblici. Il Consiglio di
stato ribalta il giudizio di primo grado
innanzitutto per quel che riguarda la non
esclusività delle prestazioni in capo a
ingegneri e architetti.
Per quel che riguarda invece le modalità di
affidamento di tali prestazioni i giudici
affermano che se ad assumere le vesti del
committente-datore di lavoro è un soggetto
pubblico, le regole per la individuazione
delle figure professionali incaricate del
coordinamento della sicurezza non potrebbero
essere diverse da quelle prescritte dal
codice dei contratti in relazione alle
medesime figure.
Si tratta quindi di attività riservate da
affidare secondo le regole del Codice dei
contratti pubblici: oltre 100.000 euro con
gara e al di sotto con la procedura a inviti
(a cinque) prevista dall'art. 57, comma 6.
La convenzione è dunque illegittima perché
aggira l'evidenza pubblica
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012 - link a www.corteconti.it).
---------------
Coordinatori sicurezza: Sentenza del
Consiglio di Stato sulle modalità di
affidamento.
Con la
sentenza
16.07.2012 n. 4163, il Consiglio
di Stato, sezione VI, si è definitivamente
espresso in merito alle modalità delle
nomine del coordinatore della sicurezza in
fase di progettazione ed in fase di
esecuzione nei cantieri temporanei e mobili.
La vicenda nasce da un ricorso del Consiglio
nazionale degli Ingegneri contro la Consip
s.p.a. per la riforma della sentenza n.
7124/2011 del Tar del Lazio–Roma sezione III
concernente la fornitura servizi e gestione
integrata della salute e della sicurezza sui
luoghi di lavoro.
Con bando pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale delle comunità europee del
23.10.2009 Consip spa aveva indetto una gara
a procedura aperta, strutturata in sei lotti
corrispondenti a distinte aree geografiche
del Paese, per la fornitura del servizio di
gestione integrata della sicurezza sui
luoghi di lavoro negli immobili in uso a
qualsiasi titolo alle pubbliche
amministrazioni.
Tra i tanti servizi oggetto di gara era
anche ricompreso il servizio denominato “Misure
di sicurezza nei cantieri”, avente ad
oggetto la fornitura, alle amministrazione
richiedenti, delle risorse e degli strumenti
necessari a garantire la tutela della salute
e della sicurezza nei cantieri temporanei e
mobili che rientrano nel campo di
applicazione del d.lgs. n. 81 del 2008, in
forza del quale l'aggiudicatario avrebbe tra
l'altro fornito all'amministrazione i
nominativi del coordinatore della sicurezza
in fase di progettazione e del coordinatore
della sicurezza in fase esecutiva.
Con ricorso al Tar del Lazio il Consiglio
Nazionale degli Ingegneri aveva impugnato
gli esiti della predetta gara nella parte in
cui a mezzo di tale selezione è stato
sostanzialmente affidato all'aggiudicatario
dei singoli lotti d'appalto anche il compito
di indicare alle amministrazioni aderenti
alla convenzione i nominativi dei soggetti
responsabili dei servizi relativi al
coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione ed in fase di esecuzione.
Con sentenza n. 7124 del 05.09.2011 il Tar
aveva respinto il ricorso.
Ora il Consiglio di stato da ragione al
Consiglio nazionale degli Ingegneri
precisando che le conclusioni cui pervengono
i giudici del Tar in ordine alla legittimità
degli affidamenti degli incarichi di
coordinatore della sicurezza in fase di
progettazione e di coordinatore della
sicurezza in fase esecutiva non appaiono
condivisibili.
I Giudici di Palazzo Spada ricordano che
alla luce delle previsioni contenute negli
articoli 90 e 91 del Codice dei contratti,
l'affidamento degli incarichi di
progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva nonché gli incarichi di supporto
tecnico-amministrativo, può essere compiuto
in favore di una pluralità di soggetti ma
quel che più rileva è che, indipendentemente
dalla natura giuridica del soggetto
affidatario dell'incarico, lo stesso deve
essere espletato da professionisti iscritti
negli appositi albi previsti dai vigenti
ordinamenti professionali, personalmente
responsabili e nominativamente indicati già
in sede di presentazione dell'offerta, con
la specificazione delle rispettive
qualificazioni professionali. Deve inoltre
essere indicata, sempre nell'offerta, la
persona fisica incaricata dell'integrazione
tra le varie prestazioni specialistiche.
Quanto alle modalità di affidamento,
l'articolo 91 è tassativo nel prescrivere
che gli incarichi di progettazione, di
coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione, di direzione dei lavori, di
coordinamento della sicurezza in fase di
esecuzione e di collaudo , ovvero, per i
soggetti operanti nei settori di cui alla
parte III, delle disposizioni ivi previste.
Nella sentenza viene, anche, precisato che
tali affidamenti, nei quali rientrano anche
quelli afferenti i servizi di coordinatore
della sicurezza in fase di progettazione ed
in fase di esecuzione, postulano
l'esperimento di una procedura ad evidenza
pubblica per l’individuazione del contraente
e che, anche per le gare di importo
inferiore alla soglia di centomila euro,
devono comunque osservarsi i principi di non
discriminazione, parità di trattamento,
proporzionalità e trasparenza, secondo la
procedura prevista dall'articolo 57, comma
6, del Codice dei contratti. Per altro,
nell'articolo 91, comma 8, del codice dei
contratti viene definito il divieto di
affidamento di attività di progettazione
coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione, direzione dei lavori,
coordinamento della sicurezza in fase di
esecuzione, collaudo, indagine e attività di
supporto a mezzo di contratti a tempo
determinato o altre procedure diverse da
quelle previste dal codice.
Peraltro ai giudici del Consiglio di Stato,
stante l'obbligo normativo dell'evidenza
pubblica in tal genere di affidamenti, non
appare pertinente, per evidente
incompatibilità applicativa, il richiamo
alla disciplina del subappalto ed ai suoi
limiti applicativi (commento tratto da
www.lavoripubblici.it). |
giugno 2012 |
|
INCARICHI
PROGETTUALI:
M. De Cilla,
INADEMPIMENTO DEL PROGETTISTA - DIRETTORE DEI
LAVORI: QUALE GIURISDIZIONE? (Gazzetta Amministrativa n.
2/2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure
urgenti per la crescita del Paese"
(D.L.
22.06.2012 n. 83).
---------------
Le disposizioni del Decreto Legge sono
già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per
ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni
di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi
(SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl
semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del Decreto, riproponiamo
il documento di sintesi delle principali
disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a
http://www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Parcelle
più leggere per i tecnici. Spese e oneri
dell'attività fuori dalla liquidazione dei
compensi. Il decreto con i parametri di
riferimento riduce gli onorari dei
professionisti fino al 30%.
Parcelle più leggere
fino al 30% per le prestazioni professionali
di area tecnica. Per lo meno nel calcolo
degli onorari giudiziari. Anche se, a detta
di molti, i nuovi parametri per la
liquidazione dei compensi diventeranno
implicitamente i nuovi riferimenti tariffari
nella contrattazione con i clienti.
Secondo l'atteso decreto che contiene i
criteri per la liquidazione degli onorari
per le professioni regolamentate (si veda
ItaliaOggi di ieri), infatti, sul calcolo
dovuto per esempio a un'opera di
progettazione o direzione lavori, di
verifica o collaudo di un impianto elettrico
scompare qualsiasi rimborso delle spese e
degli oneri sostenuti per svolgere
l'attività. Il che significa una media di
circa il 20-30% in meno dei compensi
professionali dovuti fino ad ora, quando
queste spese venivano calcolate a piè di
lista o su base forfettaria fino a un
massimo del 60% degli onorari. In sostanza
se, per esempio, per una ristrutturazione
edilizia del valore di 100 mila euro il
professionista fino ad ora avrebbe incassato
circa 13 mila euro e a queste, poi, aggiunto
tutti i rimborsi e spese sostenute per
l'attività, ora queste voci saranno
ricomprese nel calcolo totale.
Un passaggio che ha fatto andare su tutte le
furie le diverse rappresentanze delle
professioni tecniche. Basti pensare, spiega
Pasquale Caprio, presidente del dipartimento
competenze e compensi professionale del
Consiglio nazionale degli architetti, «che
secondo le nostre simulazioni effettuate
sulla base di questi parametri il compenso,
per esempio, su una progettazione di un
edificio scolastico, sarà decurtato ancora
di più rispetto al criterio tariffario
risalente a una vecchia legge del 1949 il
cui ultimo aggiornamento risale a oltre 30
anni fa, nel 1987». Ma non solo, perché
il regolamento messo a punto dal ministro
della giustizia, Paola Severino, lascia
anche un margine di discrezionalità nella
mani del giudice che, si legge nell'articolo
36 del testo, «in considerazione della
natura dell'opera, del pregio della
prestazione, dei risultati e dei vantaggi
anche economici, può aumentare o diminuire
il compenso di regola fino al 60%».
Una norma questa che sono in molti a
ritenere addirittura frutto di un svista: «mi
sembra un passaggio incongruo», spiega
il numero degli ingegneri Armando Zambrano,
«perché se c'è una complessità specifica
che nel testo è stata ricompresa in una
determinata forbice di valore, allora non si
capisce questo abbattimento o questa
maggiorazione a cosa serva. Se, poi, si
tratta di considerare l'eventuale urgenza
della prestazione allora la diminuzione non
ha alcun senso».
Dito puntato anche per la scomparsa di
qualsiasi riferimento di un parametro legato
alla prestazione a ora, quella che nei
vecchi tariffari era detta a vacazione: «Il
mio tempo, in sostanza non vale nulla»,
tuona ancora Capria, «perché qualora non
si possa far riferimento ai parametri ma si
debba considerare il fattore tempo, il
professionista non potrà essere pagato».
In tutto questo i professionisti di area
tecnica, dunque, salvano solo un principio:
il regolamento in questione una volta
entrato in vigore diventerà il nuovo punto
di riferimento per le stazioni appaltanti da
utilizzare per le gare di progettazione.
«Un passaggio importante», spiega il
numero uno dei periti industriali Giuseppe
Jogna, «che finalmente porrà fino
all'arbitrio delle amministrazioni pubbliche
nel calcolo degli onorari dovuto all'assenza
di riferimenti per la cancellazione delle
tariffe e soprattutto alla tentazione di
sottostimarne gli importi. D'ora in poi,
quindi, chi determinerà il bando farà
importi compatibili con tali parametri e
soprattutto con la logica del lavoro»
(articolo ItaliaOggi del
23.06.2012). |
INCARICHI PROGETTUALI: Dal
13 agosto obbligo di polizza assicurativa
per tutti i professionisti. Ecco i termini
da conoscere prima di stipulare il contratto.
Dal 13.08.2012 architetti, ingegneri,
geometri, notai, avvocati, commercialisti,
ossia tutti i liberi professionisti dovranno
avere una polizza assicurativa a tutela di
errori professionali.
Lo stabilisce la Legge 148/2011 (di
conversione del Decreto 138/2011) che
prevede:
Þ
l’obbligo di stipulare un’assicurazione
privata per la responsabilità civile, a
partire dal 13.08.2012;
Þ
l’obbligo di indicare al cliente i dati
della polizza assicurativa al momento del
conferimento dell’incarico.
Ma cosa vuol dire franchigia, premio,
massimale, claims made?
In allegato a questo articolo, oltre al
testo coordinato del Decreto 138/2011, la
redazione di BibLus-net propone ai propri
lettori un documento contenente le
definizioni principali legate ad una
polizza, da conoscere assolutamente prima
della stipula
(21.06.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Gare,
professionisti da non discriminare. Cds:
il bando deve essere aperto.
È illegittimo l'operato di una stazione
appaltante che, per affidare un incarico di
progettazione e direzione lavori, ha
invitato con procedura negoziata senza bando
di gara soltanto i professionisti operanti
nel territorio comunale.
È quanto ha
affermato il Consiglio di stato, Sez. V, con la recente
sentenza 13.06.2012 n. 3469 che ha preso in
considerazione l'operato di una stazione
appaltante che aveva esperito una procedura
di affidamento per servizi di ingegneria e
architettura (progettazione e direzione
lavori) ai sensi dell'articolo 91 del Codice
dei contratti pubblici che ammette la
procedura negoziata senza bando di gara per
gli incarichi al di sotto dei 100.000 euro
di valore.
La stazione appaltante si era
limitata ad invitare alcuni professionisti
operanti nel territorio comunale e un
raggruppamento di professionisti, poi
risultato aggiudicatario dell'incarico
operante al di fuori dell'area comunale.
I
giudici hanno comunque dichiarato
illegittimo il bando sia perché erano stati
invitati professionisti locali, sia perché
era mancata una vera e propria indagine di
mercato. L'illegittimità è conseguente alla
violazione di principi generali di origine
comunitaria di non discriminazione e parità
di trattamento che determina una barriera
all'accesso al mercato «e non consente,
quindi, limitazioni di accesso al mercato
per ratione loci, ovvero in ragione
dell'ubicazione della sede in un determinato
territorio».
La sentenza chiarisce che la scelta di
limitare la partecipazione ai professionisti
locali, non supportata da un'indagine volta
a verificare le professionalità più
qualificate con riguardo all'oggetto della
proceduta, si è, in definitiva, sostanziata
in una limitazione territoriale aprioristica
in contrasto con i principi comunitari in
tema di tutela della concorrenza, di libertà
di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi, volti a garantire l'affermazione di
un mercato comune libero da restrizioni
discriminatorie collegate alla nazionalità o
alla sede formale.
La sentenza non ritiene di legittimare
l'operato della stazione appaltante neanche
in relazione all'avvenuto invito del
raggruppamento operante al di fuori del
territorio comunale (poi risultato
aggiudicatario), elemento inidoneo a
documentare l'avvenuta indagine per
selezionare le migliori esperienze, capacità
economiche e qualifiche
(articolo ItaliaOggi del
21.06.2012). |
INCARICHI PROGETTUALI:
E' illegittimo il criterio
seguito da un comune di limitare la
partecipazione alla procedura negoziata per
l'affidamento di un incarico di
progettazione e direzione lavori soltanto ai
professionisti che operano nel territorio
comunale.
Il principio di non discriminazione impone
che tutti i potenziali offerenti siano posti
in condizioni di eguaglianza e non consente,
quindi, limitazioni di accesso al mercato "ratione
loci", ovvero in ragione dell'ubicazione
della sede in un determinato territorio.
Pertanto, nel caso di specie, la scelta del
comune di limitare la partecipazione alla
procedura negoziata, senza previa
pubblicazione del bando, per l'affidamento
di un incarico di progettazione e direzione
lavori per la costruzione di una struttura
polifunzionale d'interesse comprensoriale
destinata ad attività sportive e ricreative,
ai professionisti locali, non supportata da
un'indagine volta a verificare le
professionalità più qualificate con riguardo
all'oggetto della procedura, si è
sostanziata in una limitazione territoriale
aprioristica in contrasto con i principi
comunitari in tema di tutela della
concorrenza, di libertà di stabilimento e di
libera prestazione dei servizi.
La valorizzazione di detto dato territoriale
costituisce, quindi, una barriera di accesso
in contrasto con i principi comunitari volti
a garantire l'affermazione di un mercato
comune libero da restrizioni discriminatorie
collegate alla nazionalità o alla sede
formale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2012 n. 3469 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - ATTI
AMMINISTRATIVI:
Sussiste la legittimazione degli
Ordini ad impugnare gli atti delle procedure
di evidenza pubblica quando l’interesse
fatto valere sia quello all’osservanza di
prescrizioni a garanzia della par condicio
dei partecipanti, nonostante che in fatto
dalla procedura selettiva sia stato
avvantaggiato un singolo professionista.
Non può negarsi che fra gli interessi
istituzionali dell’Ordine vi è anche quello
di assicurare il pieno aspetto della par
condicio nell’esercizio dell’attività
professionale, e quindi non può neanche
negarsi la legittimazione a far valere in
giudizio tale interesse anche nei confronti
di iscritti che si ritiene possano operare
professionalmente in dispregio di tale
principio di parità.
Detta linea argomentativa si sposa con il
rilievo dottrinale secondo cui l’interesse
collettivo non s’identifica nella sommatoria
degli interessi individuali degli associati
ma si compendia nella sintesi degli stessi
in un interesse collettivo qualitativamente
diverso da quelli dei singoli. Ne deriva
l’insussistenza di alcuna incompatibilità,
logica e giuridica, tra lesione
dell’interesse astratto della collettività e
beneficio arrecato all’interesse
individuale.
Non coglie nel segno la prima censura volta
a dedurre il difetto di legittimazione degli
Ordini professionali in ragione del
contrasto sussistente tra gli interessi
degli iscritti invitati alla procedura di
selezione del contraente e gli interessi
degli altri professionisti rappresentati.
Ad avviso della Sezione la ricorrenza di
tale supposto conflitto va verificata in
relazione all’interesse istituzionale
astrattamente perseguito, con la conseguenza
che l’ente esponenziale, chiamato alla
tutela dell’interesse collettivo
inscindibilmente traguardato e non alla
sostituzione processuale dei singoli
portatori degli interessi individuali, è
legittimato a reagire avverso i
provvedimenti lesivi dell’interesse della
collettività senza che assuma rilievo il
vantaggio tratto dagli specifici
professionisti iscritti.
Merita condivisione, al riguardo, la
pronuncia dell’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 10 del 03.06.2011,
che ha riconosciuto la legittimazione dell’Ordine in caso di conflitto tra l’interesse
istituzionale leso dall’atto ed il beneficio
contingente ricavato dai singoli
professionisti.
In questa prospettiva è stata riconosciuta
la legittimazione degli Ordini ad impugnare
gli atti delle procedure di evidenza
pubblica quando l’interesse fatto valere sia
quello all’osservanza di prescrizioni a
garanzia della par condicio dei
partecipanti, nonostante che in fatto dalla
procedura selettiva sia stato avvantaggiato
un singolo professionista.
Ad avviso dell’Adunanza è appunto all’
“interesse istituzionalizzato” che occorre
far riferimento.
Difatti, “non può negarsi che fra gli
interessi istituzionali dell’Ordine vi è
anche quello di assicurare il pieno aspetto
della par condicio nell’esercizio
dell’attività professionale, e quindi non
può neanche negarsi la legittimazione a far
valere in giudizio tale interesse anche nei
confronti di iscritti che si ritiene possano
operare professionalmente in dispregio di
tale principio di parità”.
Detta linea argomentativa si sposa con il
rilievo dottrinale secondo cui l’interesse
collettivo non s’identifica nella sommatoria
degli interessi individuali degli associati
ma si compendia nella sintesi degli stessi
in un interesse collettivo qualitativamente
diverso da quelli dei singoli. Ne deriva
l’insussistenza di alcuna incompatibilità,
logica e giuridica, tra lesione
dell’interesse astratto della collettività e
beneficio arrecato all’interesse
individuale.
Applicando dette coordinate ermeneutiche al
caso di specie si deve concludere nel senso
della legittimazione degli Ordini a reagire
avverso provvedimenti lesivi dell’interesse
istituzionale degli enti esponenziali a
garantire la par condicio, il favor partecipationis
e il superamento di misure limitative della
concorrenza, senza che assumano rilievo, in
senso ostativo, i vantaggi tratti dai
singoli professionisti per effetto
dell’adozione di atti lesivi di detti valori (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.06.2012 n. 3469 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Se appare ragionevole ipotizzare
che in tema di prestazioni di opere
dell’ingegno, con specifico riguardo alle
attività del progettista, il rapporto tra
costi e ricavi possa essere diverso rispetto
a quanto avviene per gli appalti di lavori
pubblici, giacché nei lavori pubblici
incidono in modo sensibile i costi delle
materie prime, del cantiere, per la
manodopera e per l’acquisto o il noleggio di
macchinari, mentre l’attività di
progettazione, come avviene per ogni
prestazione d’opera intellettuale, è
affidata in via prevalente al lavoro
intellettuale del progettista, non va però
sottaciuto che la giurisprudenza, nel
determinare il risarcimento del danno da
lucro cessante in materia di lavori pubblici
(ma anche di attività di progettazione)
applica, di regola, il cosiddetto “criterio
del decimo” limitando il risarcimento per
equivalente alla misura massima del 10% del
prezzo offerto.
---------------
Vanno impiegati criteri equitativi per
quantificare il cosiddetto danno curriculare
richiesto dagli appellanti.
Ci si riferisce al ristoro del pregiudizio
economico connesso alla impossibilità di far
valere, nelle future contrattazioni, il
requisito economico collegato alla
esecuzione della attività di progettazione.
L’impiego di criteri equitativi induce a
riconoscere questa voce di danno nella
misura del 10 % dell’utile economico (detto
altrimenti, nel 2% del prezzo offerto).
Poiché il danno curriculare si concretizza
nel nocumento alla immagine sociale della
impresa, o del professionista, con
riferimento all’aspetto del radicamento nel
territorio, risulta evidente la contiguità
con quello che in perizia viene qualificato
come “danno per il mancato ritorno di
immagine”.
... per la riforma della sentenza del TAR
PIEMONTE-TORINO -SEZIONE I, n. 303/2008,
resa tra le parti, concernente risarcimento
del danno ingiusto derivante
dall'illegittimo affidamento dell'incarico
di progettazione del restauro e adeguamento
funzionale delle Officine Grandi Riparazioni
a sede espositiva, museale ed Urban Center
Torino in favore del R.T. SO.TEC. srl;
...
Quanto all’utile economico che sarebbe
derivato agli appellanti dalla esecuzione
della attività di progettazione, la “perizia
di stima del danno” arch. Filippi,
depositata in giudizio il 28.12.2011,
richiama, a pagina 2, le statistiche
elaborate dalla Agenzia delle Entrate in
base ai dati degli studi di settore relativi
alle società e ai professionisti operanti
nel campo delle prestazioni professionali di
ingegneri e architetti. Dai dati messi a
disposizione dall’Agenzia si rileva che nel
settore interessato, su scala nazionale,
l’utile sarebbe rappresentato da una
percentuale variabile tra il 40% e il 60%
dei ricavi. Il mancato utile netto dei
ricorrenti/appellanti viene stimato, in
via cautelativa, nella percentuale minima
“pari al 40% dell’importo corrisposto ai
progettisti”.
Il Collegio ritiene eccessiva la
quantificazione del mancato utile indicata
in perizia.
In primo luogo è verosimile che, sul piano
statistico, i dati forniti dall’Agenzia
delle Entrate con riferimento alle
prestazioni professionali di ingegneri e
architetti –dati che, considerando numerose
variabili idonee a influenzare il risultato
economico del professionista, valgono come
mere ipotesi probabilistiche- riguardino, in
misura predominante, contrattazioni tra
privati, contrattazioni che non soggiacciono
alle regole proprie delle procedure
pubbliche e che possono quindi consentire
margini di guadagno superiori rispetto a
queste ultime.
In secondo luogo, se appare ragionevole
ipotizzare che in tema di prestazioni di
opere dell’ingegno, con specifico riguardo
alle attività del progettista, il rapporto
tra costi e ricavi possa essere diverso
rispetto a quanto avviene per gli appalti di
lavori pubblici, giacché nei lavori pubblici
incidono in modo sensibile i costi delle
materie prime, del cantiere, per la
manodopera e per l’acquisto o il noleggio di
macchinari, mentre l’attività di
progettazione, come avviene per ogni
prestazione d’opera intellettuale, è
affidata in via prevalente al lavoro
intellettuale del progettista, non va però
sottaciuto che la giurisprudenza, nel
determinare il risarcimento del danno da
lucro cessante in materia di lavori pubblici
(ma anche di attività di progettazione: v.
Cons. St., VI, nn. 115/2012 e 1774/2003)
applica, di regola, il cosiddetto “criterio
del decimo” limitando il risarcimento per
equivalente alla misura massima del 10% del
prezzo offerto.
In questo contesto, il Collegio stima equo
determinare il mancato utile nella misura
della metà di quanto specificato nella
perizia di parte, vale a dire nella misura
del 20% del prezzo indicato nella offerta
economica del RTP PCA.
Poiché nella perizia il mancato guadagno è
ragguagliato non solo all’incarico di
progettazione dell’intervento e al
coordinamento della sicurezza, ma anche a
“integrazioni di onorari” per attività
ulteriori, deliberate a partire dal
18.12.2003 e che esulano dall’oggetto
specifico della procedura, occorre precisare
che la determinazione del mancato guadagno
dovrà essere parametrata in via esclusiva
alla offerta economica presentata dal RTP
PCA nella procedura che si è conclusa nella
seduta del 18.10.2002.
Occorre inoltre puntualizzare –v. “supra”,
p. 3.2., “in finem”, e 4.1.- che nel
quantificare le somme da versare agli
appellanti si terrà conto del fatto che il
giudizio è stato proposto solo da tre dei
cinque partecipanti alla procedura, non
avendo proposto ricorso gli offerenti RPA e
MEDIF. Stando alla perizia, sul punto non
contestata dalla difesa comunale (v. pag.
8), gli appellanti vantavano nel complesso
una percentuale del 65% sull’importo dei
compensi, data dalla somma delle rispettive
percentuali parziali. La quantificazione del
danno dovrà pertanto essere
proporzionalmente ridotta sulla base del
riparto “pro quota” indicato nella perizia.
Vanno impiegati criteri
equitativi per quantificare il cosiddetto
danno curriculare richiesto dagli appellanti
(v. pag. 20 ric. app.) .
Ci si riferisce al ristoro del pregiudizio
economico connesso alla impossibilità di far
valere, nelle future contrattazioni, il
requisito economico collegato alla
esecuzione della attività di progettazione.
L’impiego di criteri equitativi induce a
riconoscere questa voce di danno nella
misura del 10 % dell’utile economico (detto
altrimenti, nel 2% del prezzo offerto).
Poiché il danno curriculare si concretizza
nel nocumento alla immagine sociale della
impresa, o del professionista, con
riferimento all’aspetto del radicamento nel
territorio (cfr., sul punto, Cons. St., VI,
n. 2751/2008), risulta evidente la contiguità
con quello che in perizia viene qualificato
come “danno per il mancato ritorno di
immagine”.
Non sono invece liquidabili le
spese e i costi sostenuti dal RTP PCA per la
preparazione dell’offerta e più in generale
della documentazione di gara (v. pag. 4
perizia). La partecipazione alla gara
implica infatti oneri che, almeno di regola,
restano a carico del soggetto che abbia
inteso prendere parte a una procedura di
selezione, e ciò sia nel caso di
aggiudicazione, sia nella ipotesi di mancata
aggiudicazione: le spese di partecipazione
alla gara sono il “prezzo dell’acquisto di
una opportunità di guadagno” (così Cons. St., V, 541/2012 e 808/2010, p. 17.3.; v. anche IV,
n. 6485 del 2010, § 44, cui si rinvia ai
sensi degli articoli 60, 74 e 88, comma 2,
lett. d), del cod. proc. amm.).
Non è riconoscibile nemmeno il
pregiudizio economico sofferto per la
gestione della gara, incluso quello connesso
alla assistenza e alla consulenza legale e
alle spese di difesa giudiziale, con
riguardo al giudizio impugnatorio terminato
con la sentenza Cons. St., V, n. 1805/2005.
In sede di liquidazione del risarcimento del
danno per mancata aggiudicazione non è,
infatti, ravvisabile una responsabilità
delle parti per spese legali e per danni
processuali atteso che, per quanto riguarda
in particolare le spese legali si tratta di
danni successivi all’aggiudicazione, come
tali non riconoscibili.
In materia di spese
processuali trova inoltre applicazione non
la disciplina dell’illecito aquiliano
dettata dall’art. 2043 cod. civ., ma la
disciplina di cui agli articoli 90 e
seguenti c. p.c., disposizioni applicabili
anche nei giudizi amministrativi (conf.
Cons. St., V, 541/2012, 6873/2009 e IV,
3340/2008; v. anche CdS, VI, n. 2751/2008, cui
si rinvia ex c. p. a.). Le spese per
reperire la documentazione necessaria per
“la procedura di ricorso” (v. pag. 5
perizia), in quanto propedeutiche rispetto
alle spese propriamente legali, vanno
assoggettate al “regolamento” appena
stabilito per quest’ultima tipologia di
spese.
Va soggiunto che, trattandosi di
debito di valore, agli appellanti spetta
anche la rivalutazione monetaria dal giorno
della stipulazione del contratto da parte
della società dichiarata illegittimamente
aggiudicataria fino alla pubblicazione della
presente sentenza, a decorrere dalla quale,
in forza della liquidazione giudiziale, il
debito di valore si trasforma in debito di
valuta.
Sulla somma totale, calcolata secondo le
indicazioni fatte sopra, vanno invece
computati gli interessi legali dalla data
del deposito della presente sentenza sino
all'effettivo soddisfo (giurisprudenza
pacifica, il che esime da citazioni
particolari) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.06.2012 n. 3314 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI Dal
Consiglio Nazionale degli Architetti il “Secondo
Contributo” sul calcolo dei compensi per
l’affidamento di servizi.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti ha
inviato all’AVCP il “Secondo Contributo”
per l'aggiornamento delle linee guida in
merito all'affidamento dei servizi (per la
prima Circolare del CNAPPC si rinvia il
lettore all’art. “Dal Consiglio Nazionale
degli Architetti un esempio su come
calcolare i compensi dei professionisti”).
Il nuovo documento del Consiglio degli
Architetti contiene chiarimenti in merito a:
● criteri di determinazione dell’importo a
base di gara dei servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria
● requisiti speciali
● verifica di congruità delle offerte
● soglie di affidamento
● concorsi sottosoglia
● interpretazione servizi di punta
● organico medio annuo
● rivalutazione importi lavori progettati
● problemi pratici derivanti
dall’applicazione dell’art. 10 della legge
n. 183/2011
(31.05.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto:
lavori pubblici - Prime indicazioni per il
calcolo del corrispettivo da porre a base
d'asta negli affidamenti di servizi di
architettura e ingegneria, dopo
l'abrogazione delle tariffe - AVCP:
deliberazione n. 49 del 03.05.2012
(Consiglio Nazionale degli Architetti
Pianificatori Paesaggistici e Conservatori,
circolare 22.05.2012 n. 66).
---------------
Dal Consiglio Nazionale degli Architetti un
esempio su come calcolare i compensi dei
professionisti.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti ha
divulgato la circolare 22.05.2012 n. 66
contenente indicazioni sul calcolo dei
compensi di ingegneri e architetti da porre
a base di gara.
La Circolare analizza la metodologia
proposta dall’AVCP (vedi l’articolo
“Abolizione tariffe professionali: come si
calcolano i compensi di ingegneri e
architetti da porre a base di gara?”),
proponendo un esempio di calcolo secondo le
istruzioni AVCP e paragonando i risultati
con quelli ottenuti applicando le vecchie
tariffe.
Si evidenzia che in alcuni casi i risultati
sono paragonabili, ma facendo una serie di
simulazioni non sempre i risultati sono
analoghi. Pertanto, afferma il Consiglio
degli Architetti, si attende comunque
l’emanazione del Decreto del Ministero della
Giustizia (come previsto dal Decreto
Liberalizzazioni) contenente le Tabelle
Parametriche
(24.05.2012 - link a www.acca.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI: L'università
non può essere affidataria di incarichi da
altre p.a..
Le università non possono essere affidatarie
dirette di incarichi da altre
amministrazioni per servizi di ingegneria e
consulenza; gli accordi previsti dalla legge
241/1990 non possono essere utilizzati per
eludere l'obbligo di affidare a terzi con
gara servizi di consulenza; se infatti
l'accordo non ha ad oggetto lo svolgimento
di una attività comune alle amministrazioni
e prevede un compenso, si tratta di un
contratto di appalto soggetto a gara e i
professionisti e le società devono potere
competere per l'acquisizione del contratto.
Sono queste le
conclusioni 23.05.2012 n. C-159/11 che l'Avvocato
generale Verica Trstenjak ha proposto ieri
alla Corte di giustizia che vede come parti in
causa da un lato l'Azienda sanitaria locale
di Lecce e dall'altro lato l'Oice, l'Ordine
degli ingegneri della Provincia di Lecce e
il Consiglio nazionale degli ingegneri.
La
vicenda prende le mosse da un affidamento,
per importo soggetto alla normativa
comunitaria, dei servizi di studio e
valutazione della vulnerabilità sismica di
strutture ospedaliere, disposto dalla Asl
Lecce a favore dell'Università del Salento.
Dopo la sentenza di primo grado del Tar
Puglia, che aveva dichiarato illegittimo
l'affidamento diretto dell'incarico
all'università, per omesso ricorso alle
procedure di evidenza pubblica, il Consiglio
di stato aveva rimesso la questione alla
Corte di giustizia in via pregiudiziale. Si
trattava di stabilire se l'affidamento
potesse ritenersi legittimo e inquadrabile
in un accordo ex articolo 15 della legge
241/1990 e se quindi fosse necessario esperire
una gara.
In attesa della sentenza della
Corte, l'Avvocato generale nelle sue
conclusioni si orienta nel senso di ritenere
illegittimo l'affidamento in quanto
l'accordo non costituisce una forma di
cooperazione in comune di attività fra due
amministrazioni aggiudicatrici (così come
prevede la legge 241/1990), bensì un vero e
proprio contratto di consulenza per servizi
a fronte del pagamento di un compenso per il
quale occorreva procedere con gara,
ammettendo tutti gli operatori economici
interessati ad acquisire la commessa.
Pertanto l'Avvocato generale ritiene
contrario alle direttive appalti pubblici
«una disciplina nazionale che consente di
stipulare accordi scritti tra
un'amministrazione aggiudicatrice e
un'Università di diritto pubblico verso un
corrispettivo non superiore ai costi
sostenuti per l'esecuzione della
prestazione, ove l'Università esecutrice
possa rivestire la qualità di operatore
economico».
In sostanza l'Avvocato generale,
riconoscendo all'Università la qualità di
operatore economico, sulla base della
sentenza C-305/08 del 23.12.2009, afferma
indirettamente che in tale qualità non
avrebbe potuto sottoscrivere un accordo ma
poteva semmai partecipare a una gara, con
gli altri operatori, per l'aggiudicazione
dell'appalto. In ogni caso, poi, l'accordo
non corrisponde ai requisiti previsti dalla
legge, anche ribaditi dall'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici, e in
particolare non prevede né alcuna attività
in comune, né l'assenza di corrispettivi
(sono invece ammessi i meri rimborsi spese)
(articolo ItaliaOggi
del 24.05.2012 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
È necessaria la gara per
l'incarico di studio della vulnerabilità
sismica di un ospedale.
L'incarico di esecuzione di attività di
studio e valutazione della vulnerabilità
sismica di determinati ospedali è
necessariamente assoggettato a procedura di
aggiudicazione di appalto, cui è applicabile
la direttiva 2004/18. L'incarico di
esecuzione di attività di studio e
valutazione della vulnerabilità sismica di
determinati ospedali è necessariamente
assoggettato a procedura di aggiudicazione
di appalto, cui è applicabile la direttiva
2004/18. Dato che, in questa occasione, non
è stata indetta una gara, è stata
riscontrata una violazione della direttiva.
Siccome la normativa nazionale ammette
accordi come quelli tra ASL e Università,
essa è a sua volta contraria alla direttiva.
Ne consegue che, la direttiva 2004/18, in
particolare gli articoli 1, paragrafo 2,
lettere a) e d), 2, 28, nonché l'allegato II,
categorie 8 e 12, deve essere interpretata
nel senso che essa osta ad una disciplina
nazionale che consente la stipulazione di
accordi in forma scritta tra
un'amministrazione aggiudicatrice ed
un'Università di diritto pubblico per lo
studio e la valutazione della vulnerabilità
sismica di strutture ospedaliere da
eseguirsi alla luce delle normative
nazionali in materia di sicurezza delle
strutture ed in particolare degli edifici
strategici, verso un corrispettivo non
superiore ai costi sostenuti per
l'esecuzione della prestazione, ove
l'Università esecutrice possa rivestire la
qualità di operatore economico (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Avvocato Generale Verica Trstenjak,
conclusioni 23.05.2012 n. C-159/11 -
link a http://eur-lex.europa.eu). |
APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: La
legittimazione a ricorrere e l'interesse a
ricorrere si radicano in capo ad un
soggetto, nel caso di procedura negoziata,
solo perché imprenditore operante nel
settore interessato, senza che occorra che
abbia presentato apposita domanda di
partecipazione alla gara.
---------------
L’avvenuta esecuzione integrale della
prestazione esclude qualsiasi interesse del
ricorrente all’annullamento degli atti di
gara.
---------------
La scelta del contraente per l'affidamento
di un incarico per lo svolgimento di una
prestazione d'opera intellettuale (art. 2230
cod. civ.), a seguito di una gara formale o
informale, o anche per trattativa privata, è
atto di gestione, privo di qualsiasi
contenuto di indirizzo per gli uffici. Si
risolve, infatti, nella individuazione del
soggetto o dei soggetti che appaiano più
quotati, secondo regole obiettive e
prefissate, per il conseguimento dei fini
della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli
organi elettivi o politici del Comune, si
risolve, invece, nella fissazione delle
linee generali da seguire e degli scopi da
perseguire con l'attività di gestione. Non
rientra, perciò, in questa attribuzione, la
scelta di un contraente qualsiasi dell'ente.
In questo caso, la scelta spetta ai
dirigenti, secondo l'esplicito disposto
dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o
ad una commissione composta da soggetti
aventi adeguata esperienza professionale per
condurre una selezione ispirata al
soddisfacimento di siffatte esigenze
tecniche.
---------------
La scelta dei soggetti da invitare alla
gara, effettuata dall’amministrazione
attraverso l’utilizzo dell’albo degli
avvocati di Milano, risponde a criteri di
trasparenza e di proporzionalità rispetto
all’oggetto della gara in quanto la
professionalità richiesta in via principale
era quella di avvocato. Non sussistendo
infatti sul mercato, per i noti limiti
all’esercizio della professione legale in
forma societaria, solo da poco in fase di
superamento, figure professionali complesse
in grado di soddisfare contemporaneamente
requisiti legali e tecnici,
l’amministrazione ha correttamente fatto una
scelta nell’ambito dei professionisti ai
quali era richiesta la prestazione
principale, rimanendo a loro carico il
compito di trovare le modalità organizzative
volte ad associare altri tipi di
professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che la scelta
dell’amministrazione di assoggettare gli
appalti dei servizi legali in questione alla
disciplina degli artt. 20 e 27 del Codice
degli appalti, in quanto rientranti
nell'allegato 2B del D.Lgs. n. 163/2006,
esclude la possibilità di assoggettarli alla
disciplina degli altri contratti di lavoro
autonomo di alta professionalità prevista
dall’art. 7, comma 6 e ss. del D. Lgs.
165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una
disciplina esaustiva della materia.
---------------
E' legittima la scelta della P.A. di non
prendere in considerazione l’offerta di una
ditta del settore, non invitata ad una
procedura semplificata ed accelerata di
cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11,
del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha
presentato comunque l’offerta, ove sia stata
motivata con riferimento al fatto che
-nonostante la partecipazione di un solo
concorrente dei cinque formalmente invitati-
la ditta interessata sia stata più volte
invitata in passato a procedure di cottimo
fiduciario, e, in un caso, sia risultata
aggiudicataria.
Analoghe considerazioni valgono per il caso
in questione, avendo il ricorrente già
fruito di plurimi incarichi senza gara, ed
in mancanza di prova del fatto che il
ricorrente fosse l’unico in grado di fornire
il servizio richiesto. L’amministrazione ha
quindi correttamente applicato principi di
parità di trattamento e di concorrenza che
hanno permesso ad altri legali, aventi gli
stessi titoli del ricorrente, di instaurare
una collaborazione con il Comune in una
materia particolarmente complessa come la
redazione di atti di gara e di costituzione
di società.
---------------
L'art. 1, comma 67, della Legge n. 266/2005,
che ha introdotto il contributo a favore
dell'Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici (poi ribadito dall’art. 6, comma 1,
del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle successive
deliberazioni dell’Autorità di vigilanza in
data 10/01/2007 e 24.01.2008), tutela un
interesse erariale a contenuto
economico-finanziario, connesso alle
esigenze di copertura delle spese (generali
e di funzionamento) dell’Autorità di
vigilanza, e traduce tale interesse in una
nuova imposizione di carattere fiscale a
carico delle imprese interessate, mediante
la pretesa sostanziale all’ottenimento del
pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma,
viceversa, non si traduce né può tradursi,
nella previsione di filtri formali
insuscettibili di regolarizzazione formale e
quindi capaci di causare l’esclusione di
imprese che comunque adempiono al previsto
onere contributivo e che sono inoltre in
possesso dei prescritti requisiti economici
e professionali, e che consentirebbero
dunque di estendere la competizione per la
scelta della migliore offerta.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, in qualità di affidatario
(senza gara) di due precedenti incarichi di
consulenza relativi alla costituzione della
società mista concessionaria della linea 4
della metropolitana milanese, impugna gli
atti della procedura di affidamento del
servizio di consulenza legale relativo alla
linea 4 della metropolitana indetta dal
Comune per i seguenti motivi:
A) incompetenza per violazione dell’art. 48 TUEL, art. 43 dello
Statuto comunale, art. 13 del Regolamento
comunale sull’ordinamento degli uffici e dei
servizi, in relazione ai contenuti del piano
esecutivo di gestione 2009. A suo dire
l’approvazione del bando avrebbe dovuto
essere preceduta dalla previa approvazione
da parte della Giunta comunale, in quanto il
valore dell’appalto era costituito
dall’intero ammontare della spesa e non
dalla sola parte a carico del Comune;
B) violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001, dell’art. 3, comma
56, della L. 244/2007 e dell’art. 31 del
Regolamento comunale, posto che non sarebbe
stata adeguatamente vagliata la mancanza di
adeguate professionalità interne, sia sotto
il profilo legale che sotto quello
ingegneristico;
C) violazione dell’art. 27, comma 10 del Codice dei contratti e
dell’art. 51, comma 5, del regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi
ed eccesso di potere nella selezione dei
professionisti invitati alla procedura
negoziata in quanto non sarebbero stati
invitati soggetti in potenziale possesso dei
requisiti per partecipare alla selezione;
D) illegittimità della preselezione degli invitati alla procedura
negoziata, atteso che non sarebbe stato
invitato il ricorrente, che pur si era già
occupato della costituzione della società in
questione. Il mancato invito del ricorrente,
in particolare, avrebbe violato i principi
di economicità, imparzialità, trasparenza,
buona fede e concorrenzialità;
E) violazione del principio di trasparenza non avendo avuto il
ricorrente alcuna notizia dell’avvio della
procedura;
F) violazione di legge ed eccesso di potere per incoerenza tra
l’oggetto della prestazione e le esigenze
dell’amministrazione, nonché tra il criterio
di preselezione e quello di valutazione
comparativa delle offerte;
G) violazione dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 in quanto
la gara avrebbe per oggetto un contratto
aperto nell’oggetto; indeterminatezza della
durata dell’incarico; violazione
dell’obbligo di predeterminazione del
compenso; contraddizione con precedenti atti
nella previsione della clausola secondo la
quale la durata dell’incarico è “di 12
mesi o comunque fino all’aggiudicazione”;
H) eccesso di potere per travisamento dei fatti nella
determinazione dell’oggetto della gara;
I) violazione dell’art. 1, comma 67, della L. 23/12/2005, n. 266 e
della deliberazione dell’A.V.CC.PP., avendo
il Comune permesso all’aggiudicatario di
regolarizzare il pagamento della tassa
dovuta all’Autorità di vigilanza, benché il
mancato pagamento fosse previsto come causa
di esclusione dalla gara.
Lo stesso ha, infine, chiesto il
risarcimento dei danni per perdita di chance
nella misura del 50% del compenso
contrattuale.
...
E' indirizzo prevalente nella giurisprudenza
amministrativa che la legittimazione a
ricorrere e l'interesse a ricorrere si
radicano in capo ad un soggetto, nel caso di
procedura negoziata, solo perché
imprenditore operante nel settore
interessato (Cons. Stato, sez. V,
18.12.2002, n. 7055; Ad. plen. 07.04.2011,
n. 4), senza che occorra che abbia
presentato apposita domanda di
partecipazione alla gara (cfr. in termini
Cons. Stato V 10.09.2009, n. 5426;
31.12.2007, n. 6797; 27.10.2005, n. 5996;
04.05.2004, n. 2696; Cons. Stato, III,
19.04.2011, n. 2404).
4.
Venendo all’esame delle domande proposte
occorre limitare l’oggetto del giudizio
all’accertamento dell'illegittimità
dell'atto ai soli fini risarcitori in quanto
l’avvenuta esecuzione integrale della
prestazione esclude qualsiasi interesse del
ricorrente all’annullamento degli atti di
gara.
5.
Nel merito va respinto il primo motivo,
in quanto la mancanza dell’atto di indirizzo
della Giunta, previsto dall’art. 43 dello
Statuto comunale per i contratti di valore
superiore alla soglia comunitaria, non ha
inciso sulla legittimazione del dirigente ad
adottare i suddetti atti.
In materia la giurisprudenza ha affermato
che “la scelta del contraente per
l'affidamento di un incarico per lo
svolgimento di una prestazione d'opera
intellettuale (art. 2230 cod. civ.), a
seguito di una gara formale o informale, o
anche per trattativa privata, è atto di
gestione, privo di qualsiasi contenuto di
indirizzo per gli uffici. Si risolve,
infatti, nella individuazione del soggetto o
dei soggetti che appaiano più quotati,
secondo regole obiettive e prefissate, per
il conseguimento dei fini della P.A.
L'attività di indirizzo, riservata agli
organi elettivi o politici del Comune, si
risolve, invece, nella fissazione delle
linee generali da seguire e degli scopi da
perseguire con l'attività di gestione. Non
rientra, perciò, in questa attribuzione, la
scelta di un contraente qualsiasi dell'ente.
In questo caso, la scelta spetta ai
dirigenti, secondo l'esplicito disposto
dell'art. 107 del T.U. n. 267/2000 citato, o
ad una commissione composta da soggetti
aventi adeguata esperienza professionale per
condurre una selezione ispirata al
soddisfacimento di siffatte esigenze
tecniche” (Cons. Stato, sez. V,
09.09.2005, n. 4654).
Nel caso in questione la mancata
sottoposizione dell’atto di indizione della
gara all’esame della Giunta si giustifica
correttamente con la previsione di una spesa
a carico del Comune inferiore alla soglia
comunitaria, indipendentemente dal fatto che
una parte del corrispettivo fosse a carico
del socio privato della costituenda società
mista.
Infatti se è vero, come affermato dal
ricorrente, che il Comune in questo modo ha
promesso l’obbligazione o il fatto del
terzo, è anche vero che in caso di
inadempimento del terzo la prestazione non
resta a carico del promittente, ma sorge a
suo carico esclusivamente un’obbligazione
indennitaria (art. 1381 c.c.). Ne consegue
che non esisteva un’obbligazione
giuridicamente perfezionata a carico del
Comune per l’intero ammontare del valore
dell’incarico e, di conseguenza, non
sussistevano i presupposti per l’assunzione
di un impegno di spesa ai sensi dell’art.
183 del D.Lgs. 267/2000 per l’intera somma
e neppure quelli per la sottoposizione
dell’atto all’indirizzo della Giunta.
A ciò si aggiunge che l’atto di indirizzo,
quale atto integrativo della competenza
dirigenziale, è ampiamente discrezionale, se
rettamente inteso come atto volto a fissare
le linee generali da seguire e gli scopi da
perseguire, con la conseguenza che, da un
lato, non dà titolo al risarcimento del
danno in quanto non è possibile stabilire,
neppure in forma probabilistica, quale
sarebbero state le possibilità di un esito
diverso; dall’altro la sua mancanza si
risolve in un vizio meramente formale, che
può essere sanato mediante ratifica.
6.
Il secondo motivo di ricorso è
inammissibile, essendo evidente che colui
che contesta di non essere stato invitato
alla gara non ha interesse a mettere in
dubbio la necessità dell’affidamento
all’esterno del servizio. Infatti nessun
vantaggio può derivargli dall’accertamento
che l’amministrazione avrebbe potuto trovare
le competenze tecniche necessarie allo
svolgimento dell’incarico al proprio
interno.
7.
Il terzo motivo è egualmente
infondato, non essendo possibile desumere
dal semplice fatto che abbia presentata
domanda uno solo degli invitati, che gli
inviti spediti dal Comune fossero
finalizzati a favorire solo
l’aggiudicatario.
Infatti la scelta dei soggetti da invitare
alla gara, effettuata dall’amministrazione
attraverso l’utilizzo dell’albo degli
avvocati di Milano, risponde a criteri di
trasparenza e di proporzionalità rispetto
all’oggetto della gara in quanto la
professionalità richiesta in via principale
era quella di avvocato. Non sussistendo
infatti sul mercato, per i noti limiti
all’esercizio della professione legale in
forma societaria, solo da poco in fase di
superamento, figure professionali complesse
in grado di soddisfare contemporaneamente
requisiti legali e tecnici,
l’amministrazione ha correttamente fatto una
scelta nell’ambito dei professionisti ai
quali era richiesta la prestazione
principale, rimanendo a loro carico il
compito di trovare le modalità organizzative
volte ad associare altri tipi di
professionisti o imprese.
A ciò si aggiunge che, a differenza di
quanto affermato dal ricorrente, la scelta
dell’amministrazione, non contestata dal
ricorrente, di assoggettare gli appalti dei
servizi legali in questione alla disciplina
degli artt. 20 e 27 del Codice degli
appalti, in quanto rientranti nell'allegato
2B del D.Lgs. n. 163/2006, esclude la
possibilità di assoggettarli alla disciplina
degli altri contratti di lavoro autonomo di
alta professionalità prevista dall’art. 7,
comma 6 e ss. del D. Lgs. 165/2001.
Infatti il Codice degli appalti detta una
disciplina esaustiva della materia (vedi
parere della Corte dei Conti, Sezione delle
Autonomie, del 14.03.2008 "Linee di
indirizzo e criteri interpretativi dell'art.
3, commi 54-57 della L. 244/2007, in materia
di Regolamenti degli Enti Locali per
l'affidamento di incarichi di
collaborazione, studio, ricerca e consulenza").
8.
Il quarto motivo va respinto, essendo
l’amministrazione tenuta, ai sensi dell’art.
27 del Codice, ad osservare il principio di
rotazione nell’assegnazione degli incarichi
di cui all’allegato IIB al Codice.
In materia la giurisprudenza ha affermato
che è legittima la scelta della P.A. di non
prendere in considerazione l’offerta di una
ditta del settore, non invitata ad una
procedura semplificata ed accelerata di
cottimo fiduciario ex art. 125, comma 11,
del D.Lgs. n. 163 del 2006, ma che ha
presentato comunque l’offerta, ove sia stata
motivata con riferimento al fatto che
-nonostante la partecipazione di un solo
concorrente dei cinque formalmente invitati-
la ditta interessata sia stata più volte
invitata in passato a procedure di cottimo
fiduciario, e, in un caso, sia risultata
aggiudicataria (Tar Lombardia, Brescia, II,
21.01.2011 n. 137).
Analoghe considerazioni valgono per il caso
in questione, avendo il ricorrente già
fruito di plurimi incarichi senza gara, ed
in mancanza di prova del fatto che il
ricorrente fosse l’unico in grado di fornire
il servizio richiesto. L’amministrazione ha
quindi correttamente applicato principi di
parità di trattamento e di concorrenza che
hanno permesso ad altri legali, aventi gli
stessi titoli del ricorrente, di instaurare
una collaborazione con il Comune in una
materia particolarmente complessa come la
redazione di atti di gara e di costituzione
di società.
...
13.
Il nono motivo di ricorso va respinto
in quanto la giurisprudenza (TAR LAZIO,
Roma, Sez. II-bis - 07/05/2009, n. 4893) ha
chiarito che l'art. 1, comma 67, della Legge
n. 266/2005, che ha introdotto il contributo
a favore dell'Autorità di Vigilanza sui
contratti pubblici (poi ribadito dall’art.
6, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006 e dalle
successive deliberazioni dell’Autorità di
vigilanza in data 10/01/2007 e 24.01.2008),
tutela un interesse erariale a contenuto
economico-finanziario, connesso alle
esigenze di copertura delle spese (generali
e di funzionamento) dell’Autorità di
vigilanza, e traduce tale interesse in una
nuova imposizione di carattere fiscale a
carico delle imprese interessate, mediante
la pretesa sostanziale all’ottenimento del
pagamento a pena di esclusione dalla gara.
La previsione della medesima norma,
viceversa, non si traduce né può tradursi,
nella previsione di filtri formali
insuscettibili di regolarizzazione formale e
quindi capaci di causare l’esclusione di
imprese che comunque adempiono al previsto
onere contributivo e che sono inoltre in
possesso dei prescritti requisiti economici
e professionali, e che consentirebbero
dunque di estendere la competizione per la
scelta della migliore offerta
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 17.05.2012 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L. Bellagamba,
Abbaglio del Consiglio di Stato: i servizi
attinenti all'urbanistica non rientrano
nella disciplina specifica prevista per i
servizi attinenti all'architettura e
all'ingegneria - commento a Consiglio di
Stato, Sez. V, sentenza 15.05.2012 n. 2800
(17.05.2012 - link a
www.linobellagamba.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L. Bellagamba,
Ma le tariffe professionali sono state
proprio abrogate nell’ambito del codice dei
contratti pubblici? Note a margine della
deliberazione dell’Autorità di vigilanza,
03.05.2012 n. 49 (link a www.linobellagamba.it). |
APPALTI - INCARICHI PROGETTUALI: Contratti
pubblici. Regime documento unico di
regolarità contributiva e irregolarità
contributiva verso INARCASSA.
La normativa vigente
definisce il documento unico di regolarità
contributiva (DURC) quale certificato che
attesta contestualmente la regolarità di un
operatore economico per quanto concerne gli
adempimenti, specificamente, INPS, INAIL,
nonché cassa edile per i lavori, verificati
sulla base della rispettiva normativa di
riferimento e statuisce l'intervento
sostitutivo della stazione appaltante
espressamente nei confronti di detti
istituti previdenziali in caso di
inadempienza contributiva dell'esecutore e
del subappaltatore accertata con il DURC
(art. 4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010).
In considerazione della specificità della
norma richiamata ed in assenza, altresì, di
indicazioni da parte delle autorità
competenti che in qualche modo estendano
l'ambito dell'intervento sostitutivo, ivi
previsto, sembra non potersi sostenere una
sua applicazione, per analogia, all'ipotesi
di irregolarità contributiva verso INARCASSA.
---------------
L'Ente riferisce di dover procedere alla
liquidazione del saldo del corrispettivo
spettante ad un professionista incaricato
della direzione di lavori pubblici, di cui
ha accertato l'irregolarità contributiva
INARCASSA; chiede, dunque, l'Ente se debba
essere applicato, per analogia, il dettato
normativo di cui all'articolo 4, commi 2 e
3, del D.P.R. n. 207/2010, in materia di
intervento sostitutivo della stazione
appaltante, in caso di inadempienza
contributiva, precisando che il
professionista non ha dipendenti.
Sentito il Servizio lavori pubblici, della
Direzione centrale infrastrutture, mobilità,
pianificazione territoriali e lavori
pubblici, si esprimono le seguenti
considerazioni.
Le norme cui fa riferimento l'Ente
concernono la materia della regolarità
contributiva, a tutela dei lavoratori, in
particolare il regime del Documento unico di
regolarità contributiva (DURC).
L'art. 6, D.P.R. n. 207/2010, definisce il
documento unico di regolarità contributiva,
quale certificato che attesta
contestualmente la regolarità di un
operatore economico per quanto concerne gli
adempimenti, specificamente, INPS, INAIL,
nonché cassa edile per i lavori, verificati
sulla base della rispettiva normativa di
riferimento.
La medesima norma disciplina, inoltre, ai
commi 3 e 4, le fasi in cui le
amministrazioni aggiudicatrici acquisiscono
d'ufficio il documento unico di regolarità
contributiva in corso di validità[1]: per la
verifica della dichiarazione sostitutiva
relativa al requisito di cui all'art. 38,
comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 163/2006[2];
per l'aggiudicazione del contratto; per la
stipula del contratto; per il pagamento
degli stati avanzamento lavori o delle
prestazioni relative a servizi e forniture;
per il certificato di collaudo, di regolare
esecuzione, di verifica di conformità, per
l'attestazione di regolare esecuzione e per
il pagamento del saldo finale (art. 6, comma
3, D.P.R n. 207/2010)[3].
Il comma 2, dell'art. 4, D.P.R. n. 207/2010,
dispone che, qualora, nelle ipotesi di cui
ai commi 3 e 4 del richiamato art. 6, il
DURC acquisito riveli un'inadempienza
contributiva relativa a uno o più soggetti
impiegati nell'esecuzione del contratto, le
amministrazioni aggiudicatrici trattengono
dal certificato di pagamento l'importo
corrispondente all'inadempienza, e
dispongono il pagamento di quanto dovuto
direttamente agli enti previdenziali e
assicurativi.
Il successivo comma 3 prevede, inoltre, in
ogni caso, delle ritenute dello 0,50%
sull'importo netto progressivo delle
prestazioni, che possono essere svincolate
soltanto in sede di liquidazione finale,
previo rilascio del documento unico di
regolarità contributiva.
Ciò premesso e venendo al caso di specie
riguardante l'applicazione, o meno, in via
analogica, della previsione di cui all'art.
4, comma 2, D.P.R. n. 207/2010, relativa
all'intervento sostitutivo
dell'amministrazione aggiudicatrice, al caso
di irregolarità contributiva accertata
specificamente verso INARCASSA, Cassa
Nazionale di Previdenza ed Assistenza per
gli Ingegneri ed Architetti Liberi
Professionisti, si esprime quanto segue.
Per gli appalti di servizi attinenti
all'ingegneria ed all'architettura, la
vigente normativa impone la verifica della
regolarità contributiva in relazione alla
fase di affidamento dell'incarico (art. 90,
comma 7, D.Lgs. n. 163/2006), senza recare
ulteriori disposizioni per l'intervento
sostitutivo della stazione appaltante in
caso di inadempienza contributiva.
In considerazione della specificità della
previsione di cui all'art. 4, comma 2,
D.P.R. n. 207/2010, statuente l'intervento
sostitutivo dell'amministrazione
aggiudicatrice espressamente nel caso di
irregolarità contributiva verso INPS, INAIL
e cassa edile per i lavori, ed in assenza,
altresì, di indicazioni da parte delle
autorità competenti che in qualche modo
estendano l'ambito di detto intervento
sostitutivo, sembra non potersi sostenere
una sua applicazione, per analogia,
all'ipotesi di irregolarità contributiva
verso INARCASSA.
Per completezza di analisi, si segnala che
l'irregolarità contributiva verso INARCASSA
può avere delle conseguenze per i pagamenti
da effettuare da parte delle pubbliche
amministrazioni, in relazione all'importo e
qualora INARCASSA si sia attivata per la
riscossione dei contributi insoluti. L'art.
48-bis, D.P.R. n. 602/1973, introdotto
dall'art. 2, comma 9, D.L. n. 262/2006,
convertito, con modificazioni, in L. n.
286/2006, stabilisce, infatti, che 'le
amministrazioni pubbliche e le società a
prevalente partecipazione pubblica, prima di
effettuare, a qualunque titolo, il pagamento
di un importo superiore a diecimila euro,
verificano, anche in via telematica, se il
beneficiario è inadempiente all'obbligo di
versamento derivante dalla notifica di una o
più cartelle di pagamento per un ammontare
complessivo pari almeno a tale importo e, in
caso affermativo, non procedono al pagamento
e segnalano la circostanza all'agente della
riscossione competente per territorio, ai
fini dell'esercizio dell'attività di
riscossione delle somme iscritte a ruolo'[4].
---------------
[1] Il ministero del lavoro della salute
e delle politiche sociali, nel ricordare
che, ai sensi dell'art. 2, D.M. 24.10.2007,
il DURC è rilasciato dall'INPS e dall'INAIL
'e, previa convenzione con i predetti Enti,
dagli altri Istituti previdenziali che
gestiscono forme di assicurazione
obbligatoria', ha chiarito che, per i
lavoratori eventualmente iscritti presso
enti previdenziali diversi dall'INPS e dall'NAIL,
nelle more della stipulazione della predetta
convenzione, la certificazione attestante la
regolarità contributiva andrà richiesta
direttamente a tali Enti, tenuti a
rilasciarla (Cfr.: MLPS interpello n.
9/2009).
[2] La norma richiamata richiede per i
soggetti che partecipano alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, pena
esclusione, il non aver commesso violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e
assistenziali, secondo la legislazione
italiana o dello Stato in cui sono
stabiliti.
[3] Il comma 4, dell'art. 6, D.P.R. n.
207/2010, prevede che, ferme restando le
ipotesi di acquisizione del DURC per la
stipula del contratto e per il pagamento
degli stati avanzamento lavori o delle
prestazioni relative a servizi e forniture,
'qualora tra la stipula del contratto e il
primo stato di avanzamento dei lavori di cui
all'art. 194, o il primo accertamento delle
prestazioni effettuate relative a forniture
e servizi di cui all'art. 307, comma 2,
,ovvero tra due successivi stati di
avanzamento dei lavori o accertamenti delle
prestazioni effettuate relative a forniture
e servizi, intercorra un periodo superiore a
centottanta giorni, le amministrazioni
aggiudicatrici acquisiscono il documento
unico di regolarità contributiva relativo
all'esecutore ed ai subappaltatori entro i
trenta giorni successivi alla scadenza dei
predetti centottanta giorni; entro il
medesimo termine, l'esecutore ed i
subappaltatori trasmettono il documento
unico di regolarità contributiva ai soggetti
di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b),
che non sono un'amministrazione
aggiudicatrice'.
[4] Si ricorda che a norma dell'art. 17, L.
n. 6/1981, Norme in materia di previdenza
per gli ingegneri e gli architetti,
INARCASSA ha facoltà di procedere alla
riscossione dei contributi insoluti, delle
sanzioni e dei relativi interessi a mezzo
ruoli da essa compilati e resi esecutivi
dalla intendenza di finanza competente per
territorio e da porre in riscossione secondo
le norme previste per la riscossione delle
imposte dirette
(07.05.2012 - link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
La denuncia di un presunto
generalizzato incremento dei consulenti
esterni da parte di un Ente pubblico di per
sé non costituisce ancora, in assenza di
altri elementi di giudizio oltre il mero
aumento del loro numero rispetto al passato,
ipotesi di danno (Corte dei Conti, Sez.
III centrale d'appello,
sentenza 02.05.2012 n.
328 - link a www.corteconti.it). |
aprile 2012 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
R. Patumi,
L’attribuzione degli incarichi professionali esterni da
parte degli enti locali (Istituzioni del Federalismo
n. 4/2012 - tratto da www.regione.emilia-romagna.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Opere, il progettista non coordina i lavori.
Il progettista di un'opera non può essere
affidatario dell'incarico di coordinatore
dei lavori.
È quanto affermato dal Consiglio
di Stato che, con la
sentenza
23.04.2012 n. 2402 della IV Sez., si è
pronunciato sulla gara di Autovie venete per
l'affidamento del servizio di coordinatore
per l'esecuzione dei lavori di un tratto
della terza corsia dell'A4, aggiudicata con
il 52% di ribasso, per un totale di circa 2
milioni di euro.
Il raggruppamento aggiudicatario della
commessa contava fra i propri partecipanti
anche alcune società che avevano partecipato
alla redazione di parti del progetto
preliminare e definitivo. Gli articoli 5 e
12 del disciplinare di gara precludevano,
richiamando l'articolo 90, comma 8, del
Codice dei contratti pubblici, la
partecipazione a tutti coloro che avessero
concorso alla redazione del progetto
preliminare e/o definitivo dell'opera,
ancorché non vi fosse una norma specifica
nel Codice (che contempla espressamente
soltanto l'incompatibilità fra progettista e
appaltatore o concessionario).
In primo grado il Tar del Lazio (sentenza n.
3707/2011) aveva accolto il ricorso del
secondo classificato. Il Consiglio di stato
ha confermato la pronuncia affermando che la
disciplina contenuta nell'art. 90, comma 8,
del Codice dei contratti «va reputata quale
espressione di un principio generale in
forza del quale ai concorrenti deve essere
riconosciuta un'omogenea posizione,
implicante la più rigorosa parità di
trattamento». In particolare occorre,
valutare «se lo svolgimento di pregressi
affidamenti presso la stessa stazione
appaltante possa aver creato, per taluno dei
concorrenti stessi, degli speciali vantaggi
incompatibili con i principi, propri non
soltanto dell'ordinamento italiano, ma anche
di quello comunitario, di libera concorrenza
e di parità di trattamento». Per i giudici,
quindi, non rileva l'assenza di una espressa
copertura normativa perché la verifica sulla
posizione di vantaggio è comunque funzionale
al rispetto dei principi comunitari in
materia di libera prestazione di servizi,
non discriminazione e trasparenza.
Nel caso di specie, si legge nella sentenza,
da un lato il progetto, «ancorché
formalmente intestato ad Autovie Venete,
risulta elaborato per una parte consistente
dalle società aggiudicatarie del contratto»
e, dall'altro, «i giudizi dei commissari
di gara dimostrano che la positiva
valutazione delle offerte tecniche poggia
proprio sull'approfondita conoscenza degli
elaborati progettuali». Da ciò la
dimostrazione del vantaggio competitivo e
quindi la conferma della sentenza di primo
grado (articolo ItaliaOggi
del 28.04.2012). |
INCARICHI PROGETTUALI:
I professionisti partecipanti a
gare pubbliche hanno l’obbligo di indicare
le eventuali forme di collaborazione tra
loro?
I progettisti che partecipano insieme ad una
gara devono sempre indicare la forma
giuridica in base alla quale intendono
collaborare al fine di svolgere l’incarico.
Questo è quanto stabilito dal TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,con la
sentenza 23.04.2012 n. 713 che ha
rigettato il ricorso presentato da alcuni
professionisti che contestavano tale
obbligo, dopo la loro esclusione da parte
della Stazione Appaltante da una gara per
lavori di riqualificazione urbana.
In base alla sentenza, il mancato
chiarimento della forma di collaborazione
costituisce motivo di esclusione da una gara
pubblica (commento tratto da www.acca.it -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi e danno erariale.
Un'altra condanna per danno erariale dalla
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per
il Lazio, con la
sentenza
19.04.2012 n. 427.
L'oggetto dell'incarico a personale estraneo
sono prestazioni di consulenza
tecnico-amministrativa al Sindaco ed agli
altri organi politici del Comune, rapporti
con organi tecnici di enti sovracomunali,
consulenza sugli adempimenti per i
finanziamenti extra bilancio e per gli
adempimenti del settore tecnico comunale,
rapporti con i professionisti esterni
dell'amministrazione e controllo degli atti
progettuali e amministrativi.
I profili di illegittimità e causa di danno
patrimoniale attengono alla violazione dei
presupposti per il conferimento degli
incarichi esterni previsti dall'art. 7,
comma 6, del d.lgs. 165/2001,
sinteticamente:
- attività ordinaria ed istituzionale
anziché esigenze straordinarie con necessità
di competenze altamente qualificate;
- oggetti non definiti, ma tematiche ad
ampio spettro;
- assenza di una reale ricognizione in
ordine alla mancanza di personale interno
idoneo, quantitativamente e/o
qualitativamente, allo svolgimento dei
compiti;
- assenza di relazioni ricognitive e
riepilogative redatte dal professionista al
termine dell'incarico.
Precisa, la Corte "... nella fattispecie,
l'illiceità della condotta di conferimento
dell'incarico deriva principalmente dal
ricorso allo strumento dell'incarico
esterno, pur in situazione di carenza di
personale, quale mezzo per lo svolgimento di
funzioni ordinarie e continuative" (tratto da www.publika.it).
---------------
...
L'ipotesi di
danno portata all'esame della Sezione
involge, come desumibile dalla precedente
narrativa, in via generale, la problematica
sottesa al conferimento di incarichi a
personale estraneo all'Amministrazione e, in
particolare, le modalità di pratica
attuazione di tali scelte operative, non
improntate, secondo la tesi accusatoria
riferita al caso di specie, al perseguimento
degli obiettivi di economicità ed
efficienza, ed anzi rivelatesi produttive di
un danno concreto a carico
dell'Amministrazione.
La contestazione mossa ai convenuti è quella
di avere nella specie violato oltreché il
principio costituzionale di buon andamento
dell'attività della P.A. anche, nello
specifico, la disposizione di cui all'art. 7
del d.l.vo n. 29/1993, così come modificato
dall'art. 5 del d.l.vo n. 546/1993, che pone
il divieto di conferire incarichi a
personale estraneo all'apparato
amministrativo per l'espletamento di compiti
istituzionalmente attribuiti al personale
dipendente, salvo che si tratti (giusta
quanto ha avuto modo di affermare la
giurisprudenza contabile nella soggetta
materia) di soddisfare esigenze eccezionali
e straordinarie e difetti la struttura
organizzativa necessaria al loro
soddisfacimento, ovvero quando, pur
sussistendo tale struttura, il personale che
vi è addetto non risulti idoneo
quantitativamente e qualitativamente.
Il legislatore, come noto, ha disciplinato
la materia in via generale con l'art. 7, del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165 (già d.lgs.
03.02.1993, n. 29 e successive modificazioni
ed integrazioni) che prevede al comma 6 che:
“Per esigenze cui non possono far fronte
con personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire
incarichi individuali ad esperti di provata
competenza, determinando preventivamente
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione.”.
In proposito la giurisprudenza di questa
Corte si è più volte pronunciata indicando i
parametri entro i quali tali rapporti e le
correlative spese sono da ritenersi lecite
(v., fra le altre, Sez. II, 22.04.2002, n.
136/A; Sez. III, 08.01.2003, n. 9 ; Sez. I,
31.05.2005, n. 187; Sez. I, 08.08.2005, n.
259; Sez. Lazio, 21.10.2003, n. 2137).
Il giudice contabile ha ammesso la
legittimazione della P.A. ad affidare il
perseguimento di determinate finalità
all'opera di estranei dotati di provata
capacità professionale e specifica
conoscenza tecnica della materia di cui
vengono chiamati ad occuparsi, ogni volta
che si verifichino:
a) la straordinarietà e l'eccezionalità
delle esigenze da soddisfare;
b) la mancanza di strutture e di apparati
preordinati al loro soddisfacimento, ovvero,
pur in presenza di detta organizzazione, la
carenza, in relazione all'eccezionalità
delle finalità, del personale addetto, sia
sotto l'aspetto qualitativo che
quantitativo.
Tali parametri, se da un lato attestano che
nell'ordinamento non sussiste un generale
divieto per la P.A. di ricorrere ad
esternalizzazioni per l'assolvimento di
determinati compiti, dall'altro, tuttavia,
confermano che la utilizzazione del modulo
negoziale non può concretizzarsi se non nel
rispetto delle condizioni e dei limiti sopra
specificati.
Dal quadro normativo sopra riportato e dalla
giurisprudenza contabile che si è andata via
via formando sia in sede di controllo che in
sede giurisdizionale, è possibile riassumere
i seguenti criteri per valutare la
legittimità degli incarichi e delle
consulenze esterne:
a) rispondenza dell'incarico agli obiettivi
dell'amministrazione;
b) inesistenza, all'interno della propria
organizzazione, della figura professionale
idonea allo svolgimento dell'incarico, da
accertare per mezzo di una reale
ricognizione;
c) indicazione specifica dei contenuti e dei
criteri per lo svolgimento dell'incarico;
d) indicazione della durata dell'incarico.
Ma soprattutto è dato cogliere un principio
normativo di fondo che disciplina tutta la
materia:
il conferimento di incarichi
all'esterno, in qualunque delle ipotesi
sopra riportate, è possibile solo
allorquando nell'ambito della dotazione
organica non sia possibile reperire
personale qualitativamente competente ad
affrontare problematiche di particolare
complessità od urgenza.
A fronte di tale impostazione, i convenuti
si difendono, in buona sostanza, adducendo
la perfetta conformità della delibera di
conferimento dell’incarico in contestazione
ai principi costituzionali, normativi e
giurisprudenziali invocati dalla Procura a
sostegno della domanda, essendosi reso
indispensabile il ricorso alla consulenza
del geometra Scarsella a cagione della
carenza nell'organico di personale ed alla
sussistenza di esigenze particolari.
Tanto precisato occorre verificare se nella
fattispecie dedotta in giudizio ricorrano o
meno le sopra richiamate condizioni.
La delibera G.M. n. 105 del 24/05/2006 di
affidamento dell’ incarico annuale di
consulenza tecnico-amministrativa al Geom.
S.M. per l’importo di €
22.032,00, prevedeva lo svolgimento di varie
attività:
- consulenza tecnico-amministrativa al
sindaco ed agli altri organi politici del
Comune;
- rapporti con gli organi tecnici degli Enti
sovracomunali;
- consulenza nella programmazione e sugli
iter burocratici delle opere pubbliche;
- consulenza sugli adempimenti delle
documentazioni relative alla richiesta di
finanziamento extra bilancio;
- consulenza sugli adempimenti
tecnico-amministrativi al settore tecnico
comunale;
- rapporti con i professionisti esterni
dell’amministrazione e controllo degli atti
progettuali e amministrativi.
Dall’esame della sua motivazione e di quanto
emerge agli atti del giudizio in merito alla
situazione del personale in organico,
l'incarico non appare legittimamente
conferito con riferimento alle mansioni
affidate, che si sostanziano in attività
assolutamente affrontabili da un qualunque
tecnico e in assenza di esigenze di
carattere straordinario, o necessità di
competenze altamente qualificate (che non
emergono dal curriculum e comunque non sono
necessarie per l'espletamento
dell'incarico).
Si tratta infatti di attività dirette al
coordinamento delle varie attività tecniche,
al controllo degli atti procedimentali
amministrativi, tutte attività riservate a
dipendenti dell’ente e che, nella specie,
dovrebbero essere, in gran parte, di
competenza dei dirigenti.
Tra l’altro la relazione finale, redatta
dall’Amministrazione (prot. non
V2007/02474), sul lavoro svolto dal geom.
S. evidenzia che gran parte delle
attività elencate (in materia cimiteriale,
di raccolta differenziata, di smaltimento
acque, di sistemazione della rete fognaria)
attengono a mansioni che successivamente
alla riorganizzazione dell’ente erano state
demandate al dipendente U. D’O. (nota
del segretario comunale in data 15.01.2007).
Si consideri inoltre che dalla convenzione
d'incarico non è dato rinvenire un ambito di
intervento del consulente connotato da
oggetti ben definiti, bensì tematiche
d'intervento contenutisticamente orientate
per lo più ad un'attività tecnico
professionale di consulenza propositiva ed
emendativa ad ampio spettro in aperta
violazione con il contenuto del comma 6
dell'art. 7 del d.lvo n. 165/2001.
Ma vi sono ulteriori profili di
illegittimità che val la pena di
evidenziare.
Dagli atti non risulta che l’amministrazione
si sia preoccupata di effettuare una reale
ricognizione in ordine alla mancanza di
personale idoneo a svolgere l'attività
conferita all'esterno.
Al contrario con motivazioni generiche e
prive di riscontri concreti, viene riferita
la assoluta carenza di personale interno
idoneo allo svolgimento dell’incarico
esternalizzato.
E pertanto in presenza di incarico quale
quello in questione connotato da un oggetto
oltremodo esteso per ambiti di intervento e
contemporaneamente generico nella
definizione dei relativi contenuti (e
pertanto censurabile sotto il profilo della
difficoltà di operare un controllo di
ragionevolezza sulla rispondenza delle
prestazioni richieste ad effettive esigenze
dell'amministrazione non altrimenti
fronteggiabili con il personale interno), e
non rivelatisi in rapporto alle particolari
circostanze ed emergenze sopra evidenziate
sicuramente orientato al raggiungimento di
finalità istituzionali, non sussistendo agli
atti relazioni ricognitive e riepilogative
redatte dal professionista al termine
dell'attività - ritiene il Collegio
ravvisabile nel comportamento posto in
essere dalle parti convenute la sussistenza
del requisito della gravità della colpa.
Inoltre, ancorché sia provata nella
fattispecie la carenza di personale, non
pare ammissibile il ricorso allo strumento
dell'incarico esterno per la attribuzione di
competenze del tutto ordinarie della
amministrazione, svincolate da esigenze di
carattere straordinario o eccezionale. In
altri termini, se pur mancasse personale
adeguato per le attività segnalate, non è
per ciò solo dimostrato che una razionale ed
efficiente organizzazione dell’Ente non
avrebbe potuto aversi, facendo invece leva
su meccanismi di adibizione temporanea di
personale di altri uffici eventualmente
utilizzabile, e che nella fattispecie non è
affatto dimostrato che fosse inesistente o,
appunto, inutilizzabile.
Inoltre occorre aggiungere, come sostenuto
anche dalla Procura che
se effettivamente
sussistevano necessità di personale, si
sarebbero potute colmare le carenze
strutturali con assunzioni a tempo
indeterminato. Tali assunzioni, al contrario
di quanto affermato in sede di deduzioni
dalle parti convenute, potevano essere
effettuate, nei limiti previsti dalle norme
per il personale degli enti locali.
In altri termini,
nella fattispecie
l’illiceità della condotta di conferimento
dell’incarico deriva principalmente dal
ricorso allo strumento dell'incarico
esterno, pur in situazione di carenza di
personale, quale mezzo per lo svolgimento di
funzioni ordinarie e continuative.
Profilo di colpa grave nella condotta dei
convenuti è dunque quello di non aver
utilizzato lo strumento dell'incarico
esterno conformemente alla lettera e allo
spirito delle disposizioni sull'utilizzo del
personale nelle pubbliche amministrazioni
sopra citate e del più generale principio di
economicità nella spesa, accertandosi
previamente della impossibilità del ricorso
all'utilizzo di altro personale in servizio
presso l’Ente.
In ordine all'imputabilità del fatto, il
Collegio ritiene che dell'instaurazione dei
rapporti negoziali produttivi di danno
ingiusto per l'erario devono ritenersi in
buona parte coloro che concorsero ad
approvare la delibera n. 105 del 24/05/2006
(T., Di N., Di S., C.,
V.) il cui comportamento illecito, alla
luce degli elementi probatori in atti,
configura sotto l'aspetto soggettivo la
colpa grave contestata dal Requirente.
Infatti la condotta dei medesimi non è
risultata conforme al dettato normativo,
essendosi discostati con evidente e
inescusabile leggerezza dal modello
organizzativo previsto dal sistema e che,
per la posizione rivestita, avrebbero dovuto
ben conoscere.
Il comportamento dei convenuti,
contrassegnato dalla mancanza di una idonea
e preventiva valutazione circa la
sussistenza dei presupposti necessari per il
legittimo conferimento dell'incarico e per
il conseguente pagamento della prestazione,
deve ritenersi ingiustificabile e
approssimativo, considerato anche che non si
rinvengono nella fattispecie situazioni e
circostanze particolari atte a dar luogo ad
errore scusabile.
Pertanto, nel rammentare che, ai sensi
dell’art. 1 della legge 20 del 1994, testo
novellato dall’art. 3 del decreto-legge n.
543 del 1996 convertito con legge 639 del
1996 il criterio di imputazione del danno
all’agente è ormai costituito dalla colpa
grave, che la giurisprudenza individua nella
“sprezzante trascuratezza dei propri
doveri, resa estensiva da un comportamento
improntato alla massima negligenza o
imprudenza, ovvero ad una particolare
noncuranza degli interessi dell’Ente
amministrato o ancora a grossolana
superficialità nell’applicazione del norme
di diritto” (SSRR 27/A/1997), osserva il
Collegio che nella fattispecie, condizioni
simili possono ritenersi presenti a carico
dei sig.ri F.T., A. Di N., M.C., G.V. e V.
di S. (link a www.corteconti.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI -
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U.
03.04.2012 n. 79, suppl. ord. n. 65, "Ripubblicazione
del testo del decreto-legge 24.01.2012, n.
1, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24.03.2012, n. 27, recante:
«Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo
sviluppo delle infrastrutture e la
competitività»". |
marzo 2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Appalti al sicuro.
Affidamenti diretti fino a 40 mila. La
risposta del ministero delle infrastrutture
sull'art. 125.
Legittimi gli affidamenti diretti, senza
gara, disposti dalle stazioni appaltanti per
incarichi di progettazione, direzione lavori
e collaudo di importo fino a 40 mila euro.
È
quanto precisato dal ministero delle
infrastrutture con la
risposta 29.03.2012
del sottosegretario Guido Improta alla
Commissione ambiente della Camera, rispetto
a un'interrogazione (C.5/05557
- Innalzamento del limite per il
conferimento fiduciario degli incarichi
professionali nell'ambito dei lavori
pubblici) presentata da Guido Dussin (Lega Nord).
Si chiude così una
querelle sulla quale anche l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici si era
espressa nell'ottobre scorso (parere n. 181)
derivante dal mancato coordinamento fra due
norme.
In particolare l'art. 4, comma 15
della legge 106/2011 ha modificato sia
l'art. 125, comma 11 del Codice dei
contratti pubblici, portando a 40 mila euro
la soglia per gli affidamenti fiduciari per
servizi e forniture affidate da
amministrazioni pubbliche, sia l'art. 267,
comma 10 del dpr 207/2010 (regolamento del
Codice) eliminando il richiamo alla norma
del Codice in materia di affidamenti
diretti, con la conseguenza di ritenere
ammissibili solo i cottimi fiduciari fino a
20 mila euro.
Si trattava di stabilire se fosse legittimo,
alla luce delle modifiche della legge 106,
affidare in via fiduciaria e quindi
direttamente, senza confronto informale fra
più soggetti, incarichi di servizi di
progettazione, direzione lavori e collaudo
anche per importi compresi fra 20 mila e 40
mila euro. Si potevano infatti ritenere
illegittimi tali affidamenti, attribuendo al
disposto di cui all'art. 267 del regolamento
del Codice un carattere di specialità
rispetto alla normativa di riferimento
(l'art. 125, comma 11 del Codice che fissa a
40 mila euro la soglia per affidare
direttamente tutti i servizi), con la
conseguenza che sarebbero stati illegittimi
gli affidamenti compresi fra 20 mila e 40
mila euro.
Il ministero ha affermato la prevalenza
della norma del Codice (art. 125, comma 11),
così come modificata dalla legge 106/2011,
su quella del regolamento, in considerazione
del carattere non delegificante del dpr
207/2010, che non autorizza quindi in alcun
modo un'interpretazione che possa ritenere
prevalente l'art. 267 rispetto alla norma di
legge.
Il ministero, inoltre, ha affermato che la
norma regolamentare, avendo eliminato il
richiamo al secondo periodo del comma 11
dell'art. 125 del Codice, deve essere letta
nel senso di ritenere applicabile la soglia
dei 40 mila euro a tutte le tipologie di
servizi e forniture e non, quindi, nel senso
di non ammettere alcun affidamento diretto o
soltanto cottimi fiduciari fino a 20 mila
euro.
Il ministero ha confermato quanto l'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici, nel
parere n. 181 del 20/10/2011, aveva
affermato ritenendo che la volontà del
legislatore sia stata quella di assoggettare
l'intero ambito dei servizi di cui all'art.
252 (Servizi attinenti all'architettura e
all'ingegneria) alla nuova disciplina
prevista dall'art. 125, comma 11 e, quindi,
alla soglia dei 40 mila euro
(articolo ItaliaOggi
del 31.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it) |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L’incarico esterno deve
essere necessariamente determinato nel suo oggetto.
Invero, l’oggetto dell’incarico costituisce il parametro di base per
valutare sia la rispondenza dell’incarico medesimo ai fini
istituzionali dell’ente, sia la reale sussistenza della
ineludibile necessità di fare ricorso a terzi (c.d.
“indefettibilità” della consulenza), sia la “congruità” e la
“proporzionalità” del compenso e sia, infine, il corretto
espletamento dell’attività commissionata
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. III giurisdiz. centrale
d'appello,
sentenza
28.03.2012 n. 263
- link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Con riferimento a quegli enti che nel corso dell’anno 2009
non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per
studi e consulenze questa Sezione ha avuto modo di osservare
che
<<la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella
di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per
gli incarichi di consulenza e di studio; tuttavia, il
Legislatore non ha inteso vietare agli enti locali la
possibilità di conferire incarichi esterni quando ne
ricorrono i presupposti di legge.
In questo senso, verrebbe
disattesa la finalità perseguita dal legislatore per quegli
enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto
alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze;
infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si
finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa un divieto
assoluto alla stipula di questa tipologia di contratti.
Diversamente, interpretando la norma in chiave funzionale
–ovvero, valorizzando che la finalità della norma è quella
di ridurre l’incidenza che questa tipologia di spesa ha sui
bilanci degli enti locali e non quella di vietare agli enti
medesimi di conferire incarichi esterni quando vi sussistono
i presupposti di legge- si deve giungere alla conclusione
che la norma de qua, per quegli enti locali che nel corso
dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di
incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando
un diverso parametro di riferimento.
D’altra parte, se non
si adottasse questa interpretazione, la riduzione “lineare”
prevista dall’art. 6, comma 7, cit. finirebbe per premiare
gli enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno
sostenuto una spesa per consulenze rilevante; al contrario,
si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più
virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa
pari a zero>>.
---------------
Il Sindaco del Comune di Botticino ha posto alla Sezione
un quesito in ordine all’applicazione della disciplina in
materia di conferimento di incarichi di consulenza e, più in
particolare, sulla portata dell'articolo 6, comma 7, del
D.L. n. 78/2010 che prevede che le Pubbliche Amministrazioni
(tra cui rientrano anche i Comuni) possano, per l'anno in
corso, conferire incarichi di consulenza, nel limite del 20%
della spesa effettivamente sostenuta nell'anno 2009.
...
La richiesta di parere concerne l’esegesi dell’art. 6, comma
7, del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che
recita: <<al fine di valorizzare le professionalità
interne alle amministrazioni a decorrere dall’anno 2011 la
spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa
quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti
a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge
31.12.2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti, escluse
le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli
organismi equiparati nonché gli incarichi di studio e di
consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla
regolamentazione del settore finanziario, non può essere
superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno
2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti
di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale. Le disposizioni di cui al
presente comma non si applicano alle attività sanitarie
connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del
personale delle Forze Armate, delle Forze di polizia e del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco>>.
Nella richiesta di parere il sindaco rappresenta che <<nell'anno
2009 la spesa sostenuta dal Comune di Botticino per il
conferimento di incarichi di consulenza fu di € 13.000,00;
il limite normativamente stabilito per l'anno in corso,
quindi, è di € 2.600,00; quanto sopra come comunicato dal
servizio Finanziario dell'Ente>>.
In particolare,
l’ente locale chiede se il limite di spesa
stabilito dalla norma innanzi richiamata, <<possa essere
motivatamente derogato, in quanto: si tratta di conferire un
parere ad un legale specializzato in materia di
contrattualistica e procedimenti in materia di coltivazione
di cave; l'incarico deve essere conferito per individuare la
corretta procedura finalizzata a conseguire il valore
economico maggiore a favore della Amministrazione Comunale
e, nel contempo, rispettare il ruolo di ente coinvolto nel
procedimento di formazione del piano di coltivazione; data
la specificità della materia, all'interno dell'Ente non vi
sono figure tecnico professionali in grado di effettuare
l'analisi e rilasciare il parere richiesto>>.
Prima di soffermarsi sulla questione ermeneutica prospettata
dall’ente locale istante, occorre tuttavia precisare che la
decisione se procedere o meno ad affidare un incarico di
consulenza legale per una problematica di particolare
difficoltà attiene al merito dell’azione amministrativa e
rientra, ovviamente, nella piena ed esclusiva
discrezionalità e responsabilità dell’ente che potrà
orientare la sua decisione in base alle conclusioni
contenute nel parere che segue.
L’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, pone un chiaro
limite di spesa storicizzato alla frazione di un quinto di
quella sostenuta nel 2009, quale requisito per la
legittimità del conferimento dell’incarico di consulenza e
studio, con un espresso presidio sanzionatorio in termini di
responsabilità erariale e disciplinare. In sede di referto
sulla gestione, la Sezione ha già sottolineato, in merito a
questa norma, che
il superamento del vincolo di spesa e la violazione del
regime restrittivo si traduce in una violazione di legge,
costituendo vizio di validità del provvedimento
amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio
dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo,
illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale
(delibera
13.12.2010 n. 1051 – indagine sul fenomeno degli
incarichi di consulenza e di collaborazione autonoma
affidati dagli enti locali della Lombardia nell’anno 2009).
In sede consultiva, questa Sezione ha poi precisato che <<come
emerge dal tenore letterale della norma, la portata della
disposizione limitativa concerne gli incarichi per studi e
consulenze, senza ricomprendere né quelli di ricerca né le
altre collaborazioni autonome>> (Lombardia/68/2011/PAR
del 07.02.2011).
Ad ogni modo, la richiesta di parere formulata dal sindaco
del Comune di Bottino ha ad oggetto un incarico di
consulenza legale per una problematica di particolare
difficoltà, per cui la fattispecie rientra nell’ambito
applicativo della norma in esame. Infatti, <<la
giurisprudenza contabile (sin dalla deliberazione SS.RR. in
sede di controllo n. 6 del 15.02.2005) ha fornito
un’articolata definizione degli istituti oggetto del limite
di spesa: per gli incarichi di studio il riferimento è
all’articolo 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la
consegna di una relazione scritta espositiva della soluzione
proposta al fine di orientare la successiva attività
dell’ente, mentre le consulenze si sostanziano nella
richiesta di parere ad un esperto esterno. Queste ultime
possono assumere un vario contenuto (ad es. soluzione di
questioni e problemi controversi, consulenze legali
stragiudiziali, tecniche, tributarie e contabili), sfociando
anche in valutazioni, espressioni di giudizi e supporti
specialistici>> (Lombardia/68/2011/PAR del 07.02.2011).
Con riferimento a quegli enti che nel corso dell’anno 2009
non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di incarichi per
studi e consulenze questa Sezione ha avuto modo di osservare
<<la ratio sottesa alla legge statale in esame è quella
di rendere operante, a regime, una riduzione della spesa per
gli incarichi di consulenza e di studio; tuttavia, il
Legislatore non ha inteso vietare agli enti locali la
possibilità di conferire incarichi esterni quando ne
ricorrono i presupposti di legge. In questo senso, verrebbe
disattesa la finalità perseguita dal legislatore per quegli
enti locali che nel corso dell’anno 2009 non hanno sostenuto
alcuna spesa a titolo di incarichi per studi e consulenze;
infatti, se si adottasse una interpretazione letterale, si
finirebbe per ritenere che la norma de qua fissa un divieto
assoluto alla stipula di questa tipologia di contratti.
Diversamente, interpretando la norma in chiave funzionale
–ovvero, valorizzando che la finalità della norma è quella
di ridurre l’incidenza che questa tipologia di spesa ha sui
bilanci degli enti locali e non quella di vietare agli enti
medesimi di conferire incarichi esterni quando vi sussistono
i presupposti di legge- si deve giungere alla conclusione
che la norma de qua, per quegli enti locali che nel corso
dell’anno 2009 non hanno sostenuto alcuna spesa a titolo di
incarichi per studi e consulenze, va applicata individuando
un diverso parametro di riferimento. D’altra parte, se non
si adottasse questa interpretazione, la riduzione “lineare”
prevista dall’art. 6, comma 7, cit. finirebbe per premiare
gli enti meno virtuosi che, nel corso dell’anno 2009, hanno
sostenuto una spesa per consulenze rilevante; al contrario,
si tradurrebbe in un divieto assoluto per gli enti più
virtuosi che, quello stesso anno, hanno sostenuto una spesa
pari a zero>> (Lombardia, parere n. 227/2011; in senso
contrario Sez. contr. Piemonte delibera n. 21/2012/SRCPIE/PAR
dell’08.03.2012).
Nel caso di specie, tuttavia, l’interpretazione in chiave
funzionale sin qui prospettata –ovvero, volta a limitare le
spese per incarichi di collaborazione esterna e non ad
eliminare detta voce di spesa dal bilancio degli enti
locali- non può trovare spazio. Infatti, nella richiesta di
parere il sindaco rappresenta che <<nell'anno 2009 la
spesa sostenuta dal Comune di Botticino per il conferimento
di incarichi di consulenza fu di € 13.000,00>>.
In conclusione, con riferimento alla fattispecie
rappresentata dal Comune di Botticino,
il parametro di
riferimento per poter applicare il limite di spesa fissato
dall’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010 è di facile
individuazione in quanto l’ente locale, nel corso dell’anno
del 2009, ha sostenuto spese per incarichi di studio e di
consulenza; conseguentemente trova applicazione il vincolo
di finanza pubblica nei termini posti dal legislatore,
ovvero secondo il parametro del 20 per cento della spesa
sostenuta nell’anno 2009
(Corte dei Conti, Sez. controllo
Lombardia,
parere 28.03.2012 n. 88). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI -
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI: G.U.
24.03.2012 n. 71, suppl. ord. n. 53/L, "Testo
del decreto-legge 24.01.2012, n. 1,
coordinato con la legge di conversione
24.03.2012, n. 27, recante:
«Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo
sviluppo delle infrastrutture e la
competitività»". |
INCARICHI
PROFESSIONALI: La violazione degli ormai
noti vincoli posti dalla legge al conferimento di incarichi
esterni fonda ipso facto la colpa grave degli
amministratori.
Nella fattispecie, deve in effetti ritenersi che fosse da tempo notoria,
presso gli enti locali, l’impossibilità di avvalersi
dell’onerosa collaborazione di personale esterno per compiti
che potevano essere ugualmente svolti dalle risorse umane
interne.
E questa notorietà comporta indubbiamente la
gravità delle colpe sia degli amministratori che approvarono
la deliberazione di conferimento dell’incarico e del
dirigente che espresse parere favorevole sul provvedimento,
che del dirigente che emanò la determinazione
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz. centrale
d'appello,
sentenza
23.03.2012 n. 174
- link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Sebbene
l’art. 90, comma 8, del codice dei contratti
pubblici sancisca l’incompatiblità fra
esecuzione dei lavori ed attività di
progettazione degli stessi, il medesimo
principio deve ritenersi applicabile anche
agli appalti di servizi di progettazione,
con conseguente divieto di aggiudicazione
dell’incarico di progettazione definitiva ai
professionisti che abbiano elaborato o
concorso ad elaborare la progettazione
preliminare, qualora da ciò possa derivare
in capo agli stessi una posizione di
vantaggio rispetto ai concorrenti.
La giurisprudenza del Giudice amministrativo
d’appello ha di recente sancito che, sebbene
l’art. 90, comma 8, del codice dei contratti
pubblici sancisca l’incompatiblità fra
esecuzione dei lavori ed attività di
progettazione degli stessi, il medesimo
principio deve ritenersi applicabile anche
agli appalti di servizi di progettazione,
con conseguente divieto di aggiudicazione
dell’incarico di progettazione definitiva ai
professionisti che abbiano elaborato o
concorso ad elaborare la progettazione
preliminare, qualora da ciò possa derivare
in capo agli stessi una posizione di
vantaggio rispetto ai concorrenti (Cons.
Stato, IV, 03/05/2011, n. 2650)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.03.2012 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2012 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI: Società
partecipate, incarichi di consulenza con
procedure Ue.
I principi comunitari della gara devono
essere applicati anche agli incarichi di
consulenza delle società partecipate sebbene
non siano appalti di servizi.
Lo ha sancito
il TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
con la
sentenza 17.02.2012 n. 130.
Nel caso in esame una società con
partecipazione di capitale pubblica
totalitaria, costituita secondo il modello
societario in house, avente a oggetto la
riqualificazione di un vasto ambito urbano,
aveva indetto una gara pubblica per il
conferimento di un incarico di consulenza a
un esperto con competenze specialistiche in
materia di pianificazione urbana.
All'esito della procedura di valutazione
comparativa il secondo classificato aveva
contestato gli atti di gara deducendone
l'illegittimità dal momento che non si
trattava di un appalto di servizi bensì di
un contratto d'opera professionale,
inquadrabile tra i contratti di cui
all'articolo 2230 c.c.: per questo motivo,
secondo il ricorrente, la gara espletata non
era doverosa e la procedura non doveva
essere soggetta alle norme del codice dei
contratti di cui al dlgs 163 del 2006.
Il Collegio respinge il ricorso.
Innanzitutto, i giudici amministrativi
precisano che ciò che caratterizza l'appalto
è l'assunzione del compimento di un
servizio, con assunzione dei mezzi necessari
e con gestione a proprio rischio, ai sensi
dell'articolo 1655 c.c.: si tratta, pertanto
di un'obbligazione di risultato che, di
regola avviene mediante un'organizzazione di
media o grande impresa.
La mancanza degli elementi sopraccitati
nella fattispecie in oggetto, invece,
comporta la qualificazione del rapporto in
termini di contratto d'opera professionale,
non sussistendo alcuna assunzione di rischio
e tenuto conto del contenuto della
prestazione richiesta che costituisce
un'attività individuale di assistenza e
consulenza con la quale il professionista
mette a disposizione i propri mezzi e
capacità professionali, indipendentemente
dal raggiungimento di un risultato.
Tuttavia, anche se d'accordo con il
ricorrente nella qualificazione del
contratto, il Collegio chiarisce che anche
per i contratti di consulenza debbano essere
applicati i principi del Trattato dell'Ue
ossia il principio di concorrenza e di
quelli, che ne rappresentano attuazione e
corollario, di trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione e parità di
trattamento. «Tali principi, infatti, si
elevano a principi generali di tutti i
contratti pubblici, e sono direttamente
applicabili, a prescindere dalla ricorrenza
di specifiche norme comunitarie o interne e
in modo prevalente su eventuali disposizioni
interne di segno contrario»
(articolo ItaliaOggi del
24.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Responsabilità istruttoria e affidamento di
consulenze.
La dirigenza pubblica trentina è stata scossa dalla
sentenza 10.02.2012 n. 1 della Corte dei conti,
sezione giurisdizionale Trento, con la quale un dirigente
generale della Provincia è stato condannato per aver
affidato, a due professionisti esterni, una consulenza
reputata illegittima.
La decisione
L’alto burocrate, ritenendo inadeguato il personale della
propria struttura, ha esternalizzato l’attività di controllo
avente ad oggetto “l’esperimento […] della fase di
controllo sulle dichiarazioni di spesa rese dai beneficiari
finali delle risorse”.
Nella sentenza è stato puntualizzato che i provvedimenti
(deliberazioni della Giunta provinciale n. 1550/2004 e n.
1102/2005) erano giustificati “dal numero di ore
occorrenti per lo svolgimento dell’incarico e dalla
impossibilità di reperire all’interno della struttura
provinciale le figure professionali idonee ad espletarlo.
Detta circostanza era stata indicata […] con […] precedente
nota […] al Dipartimento Organizzazione, personale e affari
generali, che avrebbe espresso un generico orientamento
positivo alla soluzione contrattuale proposta in via
temporanea”.
Il contenuto delle prestazioni acquisite dai professionisti
(nella specie, revisori contabili) consisteva “[…] nella
verifica della coincidenza delle dichiarazioni con documenti
contabili regolarmente quietanzati e nell’ammissibilità
delle spese secondo la normativa vigente, nonché nella
segnalazione all’Ufficio […] di qualsiasi irregolarità
rilevata nel corso della verifica”; la Procura attrice,
quindi, ha sostenuto che quella che, impropriamente, era
stata qualificata come consulenza era, in realtà, “[…]
un’attività di mero controllo di dati attestati con
dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ovvero una vera e
propria prestazione di attività lavorativa, effettuata non
per fronteggiare temporanee esigenze ma per periodi in
realtà collegati senza soluzione di continuità in un arco
temporale che va dal luglio 2004 al dicembre 2008”.
Secondo la magistratura contabile, dunque, non si era in
presenza di attività complessa, legittimante un incarico
esterno, ma di una tipologia di controllo interno, demandato
in via esclusiva alle stesse amministrazioni ai sensi del
Dlgs n. 286/1999; e trattavasi, per giunta, di un compito “più
legato ad un’attività di riscontro formale, che non ad un
controllo sostanziale dei costi ammissibili”.
Le argomentazioni formulate dalla Procura l’hanno portata
anche ad escludere che le prestazioni oggetto di
contestazione potessero essere caratterizzate dal requisito,
normativamente previsto, dell’alta professionalità.
Il convenuto, da parte sua, ha sostenuto che la decisione di
ricorrere alla consulenza era stata adottata dalla Giunta
provinciale; che il personale del Dipartimento, e degli
uffici in cui questo si articolava, non era in grado di
svolgere i prescritti controlli nei tempi ritenuti
necessari; che l’attività esternalizzata implicava compiti
ad alto contenuto specialistico.
Il Collegio, in primo luogo, ha concentrato l’attenzione
sulle caratteristiche dell’attività affidata ai due
professionisti; e, dopo aver esaminato il quadro normativo
comunitario, nazionale e provinciale, ha precisato che “trattandosi
di dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà ai sensi
dell’art. 47 del Dpr 445/2000, sono, quindi, sottoposte ad
idonei controlli a campione al fine di verificarne la
veridicità”, operazione, quest’ultima, consistente nella
verifica della perfetta conformità tra spese dichiarate e
correlativa documentazione contabile.
Sulla base di una tale valutazione, ha concluso che “l’oggetto
degli incarichi conferiti rientrava nell’ambito dei
controlli di cui all’art. 25 del decreto del Presidente
della Giunta provinciale 27.12.2000, n. 33-51/Leg e degli
artt. 46 e ss. del decreto del Presidente della Repubblica
28.12.2000, n. 445, attività di competenza
dell’amministrazione a norma del citato art. 71 del Dpr
445/2000, ed ordinariamente svolta da qualifiche non
particolarmente elevate”.
Quanto alla presunta difficoltà e complessità dell’attività
di controllo affidata ai due professionisti esterni, la
sezione trentina ha contraddetto le tesi difensive, traendo
spunto, oltretutto, dalla documentazione prodotta dal
medesimo convenuto; dalla quale è emerso che il bando di
concorso, pubblicato per reperire personale esperto in
attività di revisione e gestione contabile, non prevedeva
specifici requisiti di ingresso.
L’organo giudicante, infatti, ha affermato che “la
selezione presupponeva un generico diploma di laurea
-trattandosi comunque di concorso per l’assunzione di
funzionari- non orientato a particolari indirizzi o
attività. Inoltre, si desume dalle prove orali dello
specifico indirizzo del concorso -più genericamente rivolto
a soddisfare le ‘necessità di coordinamento e di
accompagnamento delle azioni a cofinanziamento del Fondo
sociale europeo’- che esso non richiedeva un particolare
grado di specializzazione”.
Anche uno dei due incaricati ha confermato la natura “generica”
dei compiti affidati, avendo affermato che “I soggetti
beneficiari del Fse esibiscono alla Provincia delle
dichiarazioni sostitutive di atto notorio in cui dichiarano
i costi sostenuti in un determinato arco di tempo. La nostra
funzione è quella di controllare l’esistenza dei documenti
in originale e i relativi attestati di pagamento, quindi,
dobbiamo accertare che le spese siano state documentate e
pagate. Nell’esaminare la documentazione ci si attiene ai
criteri per la formazione degli strumenti di programmazione
settoriale”. Il professionista ha, inoltre, aggiunto che
“Di fronte a difficoltà interpretative nell’applicazione
dei criteri la sottoscritta chiede il parere all’Ufficio
competente della Provincia”.
Adempimenti istruttori e conferimento di
incarico
La sezione giudicante, quindi, considerati gli elementi di
fatto accertati (attività di ordinaria competenza
dell’amministrazione, non particolare complessità delle
prestazioni, non necessità di competenze specialistiche di
elevato profilo), ha esaminato l’attività istruttoria, posta
a fondamento dei provvedimenti di conferimento degli
incarichi, per verificare se fosse stata supportata “da
atti ricognitivi idonei a dimostrare l’assoluta
indisponibilità di personale interno per effettuare i
controlli in questione”. Circostanza, quest’ultima,
imprescindibile per la legittimità delle consulenze.
Il Collegio, al proposito, ha rilevato alcune discrasie che,
inevitabilmente, hanno condizionato la decisione finale.
Dalla documentazione relativa alla deliberazione della
Giunta provinciale n. 1550/2004 è emerso che il convenuto ha
chiesto al Dirigente generale del dipartimento
Organizzazione, personale e affari generali l’autorizzazione
a ricorrere ad incarichi esterni, per lo svolgimento di
compiti istituzionali che avrebbero comportato un’ingente
attività lavorativa (pari a 1.200 ore), finalizzata alla
verifica di 200 dichiarazioni di spesa (calcolando, quindi,
per ciascuna pratica, un tempo medio di lavoro di 6 ore),
sul presupposto della mancanza, all’interno della struttura
diretta, di personale idoneo a svolgere la suddetta
attività.
La risposta del dirigente generale competente si è limitata
a richiamare i vincoli posti dalla normativa vigente,
rimettendo, all’istante, la valutazione dei presupposti per
il conferimento; pur non costituendo un assenso, “la nota
viene citata nelle premesse della deliberazione di Giunta
provinciale n. 1550/2004, che vi ha attribuito,
incongruamente, il netto significato di parere positivo”.
Il giudice contabile ha inoltre evidenziato una peculiare
discrasia temporale, nel procedimento di conferimento
dell’incarico, rilevando che “la procedura presenta una
curiosa distorsione cronologica, in quanto il dirigente del
dipartimento ha chiesto di attivare consulenze prima della
richiesta ufficiale da parte del direttore dell’ufficio
interessato; il che contrasta con quanto disposto dall’art.
31 della citata L.P. n. 7/97 […]”.
Neppure l’esame della seconda deliberazione della Giunta
provinciale (n. 1102/2005) è riuscito a scalfire la
convinzione che l’istruttoria sia stata condotta in modo
superficiale. Nella sentenza, coerentemente, si legge ”che,
nella specie, non risulta sufficientemente sondata la
possibilità di procurarsi all’interno dell’amministrazione
le figure professionali idonee allo svolgimento
dell’incarico, presupposto indefettibile del relativo
affidamento […]” .
L’analisi effettuata dal giudice contabile si è
successivamente orientata verso profili squisitamente
organizzativi, riguardanti, in particolare, le modalità di
gestione delle risorse assegnate alla struttura del
convenuto, il raffronto costi/benefici in rapporto alla
duplice opzione dell’utilizzo di risorse interne/esterne,
l’eventuale necessità di ricorrere allo strumento della
formazione.
Considerato, infatti, che le deliberazioni con cui erano
stati conferiti gli incarichi esterni risultavano sprovviste
del parere che il dirigente generale avrebbe dovuto
redigere, ai sensi dell’art. 5 della Lp n. 7/1997, sono
stati acquisiti gli organici, di fatto e di diritto, del
Dipartimento e dell’Ufficio coinvolti nella vicenda
contabile, relativi al biennio 2004-2005.
Nei due anni presi in considerazione, lasso di tempo nel
corso del quale l’esternalizzazione oggetto di giudizio si è
consolidata, è emerso che al Dipartimento, a capo del quale
era preposto il convenuto, erano assegnati 461 dipendenti;
secondo la spontanea comunicazione della direttrice
dell’Ufficio di Supporto dipartimentale, circa 70 unità
erano in possesso dei requisiti per poter svolgere i
controlli affidati ai professionisti.
Il convenuto ha motivato l’affidamento esterno, sostenendo
che l’Ufficio competente a svolgere i controlli, quando è
stato incardinato nel proprio Dipartimento, aveva subito una
significativa riduzione d’organico rispetto alla dotazione
che aveva in precedenza (passando da 34 a 17 unità). Ed è
stato, altresì, precisato che solo nove di queste unità
avrebbero potuto essere impiegate nell’attività di controllo
delle dichiarazioni trasmesse dai beneficiari dei
contributi; ciò non sarebbe stato possibile, perché i nove
funzionari erano impegnati nel raggiungimento di differenti
obiettivi di lavoro.
La sezione territoriale, nel valutare gli obiettivi
assegnati al personale potenzialmente idoneo
all’espletamento dei controlli, “e cercando di
comprendere il linguaggio criptico con cui gli obiettivi
stessi sono descritti”, ha osservato che “quasi tutti
i dipendenti segnalati appaiono impegnati in concorsi,
raccordi, monitoraggi, coordinamenti, partecipazioni ed
attività che appaiono per lo più di supporto ad altre: per
di più, è dato conoscere le occupazioni svolte da solo una
parte del personale, poiché degli altri dipendenti in
servizio presso l’Ufficio […] (nel numero complessivo di 34,
secondo la documentazione trasmessa in esito ad ordinanza
istruttoria) si conoscono solo le qualifiche professionali”.
L’organo giudicante, inoltre, ha constatato che l’attività
dei consulenti ha comportato 3.600 ore di lavoro,
retribuite, nell’arco di quattro anni e mezzo, con una
complessiva spesa di 242.990 euro. Applicando i medesimi
parametri numerici, all’attività svolta all’interno
dell’amministrazione, il giudice ha concluso che “l’impegno
lavorativo di un impiegato pubblico è computabile in 36 ore
settimanali, detta attività avrebbe comportato
l’utilizzazione di un solo dipendente per 100 settimane
lavorative totali, equivalenti a circa 23 settimane
all’anno. Non è, quindi, neppure lontanamente ipotizzabile
che gli oltre 70 funzionari in servizio presso il
Dipartimento […] (ai quali si devono aggiungere quelli
assegnati all’Ufficio […]) negli anni 2004-2005, dichiarati
astrattamente idonei a svolgere i controlli sulle
dichiarazioni sostitutive di atto notorio, fossero
assolutamente e totalmente indisponibili allo svolgimento di
tale attività, anche considerando che ad essa avrebbero
potuto essere preposte più unità di personale non pienamente
utilizzato in altre mansioni: il che non è in assoluto
precluso dall’eventuale conseguimento degli obiettivi
assegnati. Più in particolare, considerando anche solo i
dipendenti dell’Ufficio […] indicati dalla difesa, si
osserva che il fatto che quasi tutti gli obiettivi siano
stati comunque conseguiti non esclude automaticamente che i
singoli dipendenti ad essi preposti fossero assolutamente
indisponibili ad effettuare anche i controlli sulle
dichiarazioni sostitutive, ovviamente previa formazione, ove
necessaria”.
Infine, in merito al fatto che gli stessi consulenti, in
caso di dubbi interpretativi, chiedevano pareri all’Ufficio
competente della Provincia, è stato sottolineato che la
dichiarata circostanza “non lascia residuare alcun dubbio
sul fatto che l’attività in questione non vantasse, neppure
di fatto, non solo l’elevato contenuto specialistico proprio
dell’attività di consulenza, ma neppure quello del rapporto
di collaborazione, e che rientrasse invece nell’ambito
dell’ordinaria attività di amministrazione. Ne è riprova il
fatto che ‘l’Ufficio competente della Provincia’ veniva
interpellato dai professionisti ‘di fronte a difficoltà
interpretative’, e quindi avrebbe potuto formare, con piena
soddisfazione anche degli interessi erariali, dipendenti
provinciali idonei ai controlli invece affidati all’esterno,
tanto più che essi implicavano un dispendio di tempo assai
limitato, in proporzione non solo all’intera compagine del
personale provinciale, ma anche a quella in dotazione al
Dipartimento […] e perfino allo stesso Ufficio […]”.
La difesa, tra le varie giustificazioni proposte, ha anche
sollevato la problematica del presunto ruolo marginale del
convenuto in relazione al meccanismo causale del danno: in
buona sostanza, è stato evidenziato come il dirigente
generale abbia posto in essere un comportamento meramente
attuativo di atti rientranti nella competenza della Giunta
provinciale e adottati dall’organo collegiale.
Il giudice contabile, però, ha dissentito da un tale punto
di vista, imputando al convenuto la responsabilità della
carente attività istruttoria, attività che si pone quale
indefettibile presupposto dei provvedimenti di incarico
adottati dalla Giunta provinciale, e che rientra nella
esclusiva competenza del dirigente generale, ai sensi
dell’art. 16 della legge provinciale n. 7/1997.
La condotta del dirigente generale avrebbe, dunque, tratto
in inganno l’organo collegiale, determinandolo a deliberare
gli incarichi esterni, sul duplice errato presupposto
dell’impossibilità di utilizzare personale interno e della
conseguente necessità di avvalersi di prestazioni esterne ad
alto contenuto professionale.
Conclusioni
L’accertamento della responsabilità del convenuto suona,
senza dubbio, come un campanello d’allarme che non può
essere ignorato. Da un lato, infatti, è palpabile la
sensazione che la responsabilità sia stata dichiarata più
per carenze istruttorie che non per la sostanziale
illegittimità della consulenza in sé; il che, per certi
versi, potrebbe apparire difficilmente accettabile. Non è da
escludere, infatti, che la stessa fattispecie, qualora fosse
stata motivata in modo diverso e più coerente, avrebbe
potuto essere decisa in senso opposto o, quanto meno,
addebitando una misura di risarcimento più mite.
Da altro punto di vista, inoltre, sarebbe auspicabile che la
magistratura contabile, nel valutare le singole fattispecie,
non entrasse nel merito dell’organizzazione degli uffici
pubblici. Non spetta, di certo, al giudice, ritornando al
caso in esame, stabilire come deve essere impiegato il
personale o quante unità debbano essere utilizzate, e per
quanto tempo, nello svolgimento delle attività
istituzionali, escluse, ovviamente, le ipotesi di modalità
di svolgimento irrazionali o arbitrarie.
Gli amministratori, dal canto loro, dovranno prestare più
attenzione alla fase istruttoria, che dovrà essere
caratterizzata dalla compatibilità, coerente e razionale,
tra presupposti e decisione finale, e all’adeguato
bilanciamento tra risorse umane assegnate e obiettivi da
realizzare. In tal senso, notevole importanza deve essere
attribuita, nell’ambito delle organizzazioni pubbliche, ai
processi di riorganizzazione, alle competenze del personale
e alle modalità di impiego in rapporto ai compiti da
svolgere (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Personale.
La Corte dei conti condanna un sindaco per
dieci anni di consulenze extra organico.
Incarichi di vertice agli esterni limitati
anche nella durata.
La maxisanzione: tutti i compensi pagati
vanno risarciti.
Giocare con le norme per aggirare i limiti
previsti per gli incarichi di lavoro
autonomo e i vincoli in materia di rapporti
fiduciari può costare caro.
Se ne è reso conto il sindaco di un piccolo
comune in provincia dell'Aquila, il quale,
per poter usufruire delle prestazione del
responsabile dell'ufficio tecnico, da lui
selezionato con incarico esterno, ha fatto
ricorso all'articolo 110, comma 2, del Testo
unico enti locali (Dlgs 267/2000). Ma i
magistrati contabili prima lo hanno
condannato a una sanzione tutto sommato
modesta, poi, in appello, hanno inasprito
l'importo del danno erariale.
Può essere
così riassunto il contenuto della
sentenza
08.02.2012 n. 66
della Corte dei conti - Sez. III Giur.
centrale d'appello.
Il sindaco abruzzese aveva conferito un
incarico ad un ingegnere per sopperire alla
carenza di personale qualificato. Dopo
alcuni anni, il professionista era diventato
responsabile dell'ufficio tecnico e
l'incarico aveva assunto la veste di «alta
professionalità», fuori dotazione organica,
a tempo determinato e parziale.
La Corte, innanzitutto, ha evidenzia come il
ricorso a personale esterno debba essere
motivato da esigenze eccezionali, impreviste
e transitorie, mentre, normalmente si deve
provvedere ai compiti istituzionali con il
personale inquadrato nella propria
organizzazione. I giudici contabili quindi
hanno ravvisato un primo profilo di
illegittimità nel ricorso ad un'alta
professionalità fuori dotazione organica
assegnata a compiti ordinari. Senza contare
che le esigenze si erano rivelate tutt'altro
che temporanee e predeterminate, in quanto
l'incarico era durato una decina d'anni,
proroghe comprese.
Molto significativo un passaggio della
sentenza nel quale i giudici contabili,
hanno contestato al sindaco di aver fatto
ricorso ad «una sorta di contraddittoria e
inammissibile commistione tra le distinte
ipotesi disciplinate dall'articolo 110 del Tuel» al comma 1, al comma 2 e al comma 3
(oggi comma 6). Di fatto, la Corte ha
considerato l'incarico come una vera e
propria assunzione del tecnico comunale, non
legata ad esigenze eccezionali.
La condanna al danno, quindi, è stata
inevitabile. Ma i magistrati contabili hanno
osservato che, nel caso di specie, non si
può neppure parlare di riduzione per utilità
derivante dalla prestazione resa a favore
del Comune. In primo luogo perché l'utilità
deve essere comprovata dal soggetto che
vorrebbe usufruire dello sconto sulla
sanzione, non potendosi ricavare benefici
solo dalla mera prestazione resa, e, in
secondo luogo, perché l'ingegnere non ha
affiancato le professionalità interne,
presenti ed aventi titolo per assumere la
responsabilità del servizio, ma si è
sostituito ad esse. Il danno erariale è
stato quantificato pari a tutte le
retribuzioni corrisposte, con l'aggiunta di
una quota parte dell'assegno ad personam,
che seppure riconosciuto sproporzionato
rispetto all'incarico, è addebitato solo in
parte al sindaco, in quanto deciso in seno
alla giunta.
---------------
LA MASSIMA
Non sussiste un generale divieto per la Pa
di ricorrere a collaborazioni esterne o a
contratti di durata o, ancora, a consulenze,
ma l'utilizzo di personale esterno non può
concretizzarsi se non nel rispetto di
determinate condizioni e limiti previsti dal
legislatore.
I limiti trovano la propria ratio
nella necessità di evitare il conferimento
generalizzato di consulenze esterne,
l'assunzione di personale in assenza di
condizioni legittimanti, l'aggravio di costi
e la violazione di norme cogenti le quali
richiedono, per l'accesso alla pubblica
amministrazione, lo svolgimento di una
procedura concorsuale (articolo Il Sole 24 Ore del
02.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Sul
danno erariale cagionato dal sindaco per
aver affidato ad un professionista esterno
l'incarico di responsabile dell'U.T.C..
Nell’ordinamento
vigente non sussiste un generale divieto per
la P.A. di ricorrere a collaborazioni
esterne o a contratti di durata o, ancora, a
consulenze per far fronte ad esigenze
particolari, ma che l’utilizzo di personale
esterno alla Pubblica amministrazione non
può concretizzarsi se non nel rispetto di
determinate condizioni e limiti previsti
espressamente dal legislatore e,
specificatamente, dall’art. 7 del D.lgs. 03.02.1993 n. 29 (“6. Ove non
siano disponibili figure professionali
equivalenti, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione”), dall’art.
110 del TUEL (“1. Lo statuto può prevedere
che la copertura dei posti di responsabili
dei servizi o degli uffici, di qualifiche
dirigenziali o di alta specializzazione,
possa avvenire mediante contratto a tempo
determinato di diritto pubblico o,
eccezionalmente e con deliberazione
motivata, di diritto privato, fermi restando
i requisiti richiesti dalla qualifica da
ricoprire.
2. Il regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, negli enti in cui è
prevista la dirigenza, stabilisce i limiti,
i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della
dotazione organica, contratti a tempo
determinato per i dirigenti e le alte
specializzazioni, fermi restando i requisiti
richiesti per la qualifica da ricoprire….Per
obiettivi determinati e con convenzioni a
termine, il regolamento può prevedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità”) e dall’art. 7 del Decreto
legislativo 30/03/2001 n. 165 (“6. Per
esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi
individuali ad esperti di provata
competenza, determinando preventivamente
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione”).
I limiti contenuti nelle disposizioni sopra
indicate trovano la propria ratio nella
necessità di evitare il conferimento
generalizzato di consulenze esterne,
l'assunzione di personale in assenza di
condizioni legittimanti, l’aggravio di costi
inutili ed eccessivi per i pubblici bilanci
e la violazione di norme cogenti le quali
richiedono, per l'accesso alla pubblica
amministrazione, una selezione di più
candidati preceduta da adeguata pubblicità
del bando e svolgimento di una procedura
concorsuale.
La giurisprudenza ha, inoltre, da tempo,
affermato il principio secondo cui ogni ente
pubblico deve provvedere ai propri compiti
con la propria organizzazione e il proprio
personale e la possibilità di far ricorso a
personale esterno può essere ammessa
soltanto nei limiti e alle condizioni in cui
la legge lo preveda o anche quando sia
impossibile provvedere altrimenti ad
esigenze eccezionali e impreviste, di natura
transitoria.
---------------
L’incarico conferito ad un professionista
esterno alla p.a. a far data dal 1998 (per
carenza di personale qualificato), prorogato
di anno in anno ... e, quindi, attribuito
nuovamente quale incarico di alto contenuto
professionale al di fuori della dotazione
organica, a tempo determinato e tempo
parziale in qualità di funzionario tecnico
responsabile dell'ufficio tecnico servizio
lavori pubblici e urbanistica (...) a
decorrere dalla data dell'01.10.2002 per la
durata del mandato elettorale pari ad anni 5
e poi ancora prorogato, non solo non può
ritenersi temporaneo e predeterminato quanto
alla sua durata, ma non può certamente
definirsi come un incarico di alta
specializzazione in quanto concernente
compiti ordinari di un dipendente comunale
inquadrato nella pianta organica
(precedentemente svolti dal geometra ...).
L’attribuzione di tale incarico
-configurabile come una sorta di
contraddittoria e inammissibile commistione
tra le distinte ipotesi disciplinate
dall'art. 110 TUEL ai commi 1 (incarichi
temporanei per la copertura di posti di
responsabili dei servizi), 2 (incarichi al
di fuori della dotazione organica conferiti
con contratti a tempo determinato per i
dirigenti e le alte specializzazioni) e 3
(collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità per obiettivi determinati e
conferiti con convenzioni a termine)–
presupponeva una coerente qualificazione e
soprattutto una congrua e ragionevole
motivazione che giustificasse il ricorso al
personale esterno.
Non può non convenirsi con la Procura
regionale laddove ha evidenziato come il
contratto del 2002 stipulato con l’ing. ...
“non si configurava come un fatto
eccezionale adottato per raggiungere uno
specifico obiettivo, bensì come
un'assunzione di fatto del tecnico
all'interno della dotazione organica del
personale dell'amministrazione comunale
(senza alcun concorso) …”.
Andavano, infatti, specificati, come
richiesto dall’art. 51 del regolamento
comunale, l'oggetto dell'incarico
(individuato genericamente, in contratto,
quale “responsabile dell’UTC” ), il
contenuto delle prestazioni (indicate
approssimativamente nelle “mansioni inerenti
alle attività ricomprese nella declaratoria
della categoria”), le modalità di
svolgimento delle stesse (“da svolgere, come
da contratto, nei luoghi e nei tempi in cui
il dipendente, di concerto con
l’Amministrazione, riterrà opportuni…"), gli
obiettivi da perseguire (nella specie, non
precisati), l'ammontare del compenso,
l'inizio e la durata dell'incarico.
Tali rilevanti carenze contenutistiche
risultano vieppiù evidenti laddove
l’incarico in parola veniva
contraddittoriamente definito come “al di
fuori della dotazione organica”, “ad alto
contenuto professionale” (quando, invece, si
trattava di svolgere attività amministrative
ordinarie) e veniva, su tale inconsistente
presupposto, indebitamente compensato con
l'indennità ad personam stabilita dal citato
art. 110 del D.lgvo n. 267 del 2000, oltre
alla normale retribuzione prevista dal CCNL.
---------------
Le modalità con cui si è svolta la vicenda
evidenziano una condotta gravemente colposa
del sindaco in quanto posta in essere in
violazione della normativa di riferimento.
Infatti, il sindaco conferiva e rinnovava
-immotivatamente (nonostante le doglianze
sollevate dal dipendente geom. ...)-
l’incarico al professionista esterno a cui
veniva affidato, nell’ambito della nuova
pianta organica (la quale prevedeva –in un
Comune di modeste dimensioni quale quello di
Balsorano- lo sdoppiamento dell’Ufficio
Tecnico in Servizio LL.PP. e Servizio
Urbanistica), la responsabilità di entrambi
i servizi tecnici nonostante l’espressa
attribuzione del livello D1 del Servizio
Lavori Pubblici al geom. ... il quale aveva
svolto in passato entrambe le funzioni poi
affidate all’ing. ....
---------------
FATTO
1.
Con la sentenza impugnata, la Corte dei
Conti, Sezione Giurisdizionale per
l’Abruzzo, condannava il sig. ..., in
qualità di sindaco del Comune di Balsorano,
al risarcimento del danno -in favore del
predetto ente- di euro 40.000, comprensivi
di interessi legali, per aver stipulato un
illegittimo contratto di lavoro subordinato
con l’ing. ....
Al riguardo, veniva evidenziato che il
predetto ingegnere era stato assunto dal
Comune (a seguito di accordo sottoscritto il
10.09.2002) con mansioni, a tempo
determinato e parziale, di funzionario
tecnico responsabile dell'Ufficio tecnico
comunale a decorrere dall'01.10.2002 e
che, per tale incarico, della durata di
cinque anni, il sig. ..., oltre al
normale trattamento economico, aveva
percepito (come da delibera di G.C. n. 95
del 10.09.2002) un'indennità ad personam
di euro 2.000,00 per 12 mensilità a fronte
di un’attività lavorativa "con percentuale
oraria di lavoro dei 5/6 dell'orario a tempo
pieno".
Il Collegio, nel rilevare che il predetto
professionista era già stato reclutato negli
anni precedenti (delibera di Giunta n. 169
del 22.09.1998) e che l'incarico era
stato tacitamente prorogato anno per anno
con incremento dell'orario lavorativo
(nonché protratto negli anni successivi allo
scadere del mandato del sindaco ...),
rilevava che l'assunzione -pur facendo
espresso riferimento all'art. 110 del testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali reso con decreto legislativo n.
267 del 2000- in realtà non poteva dirsi
legittima.
Riteneva, infatti, che l’affidamento
dell’incarico non potesse configurarsi né
come consulenza esterna (mancandone i
presupposti della temporaneità e della
eccezionalità e predefinizione dei
contenuti), né come incarico di lavoro
dipendente a tempo determinato non essendo
prescritta l'osservanza di un orario di
lavoro predefinito dal datore né effettuata
la preliminare selezione di più candidati
con adeguata pubblicità del bando e
svolgimento di una procedura concorsuale.
La Sezione, rilevato un evidente contrasto
con la normativa di settore (art. 7 del
d.lgvo n. 29 del 1993; art. 110 del TUEL;
art. 7 del d. lgvo n. 165 del 2001),
riteneva che il sindaco ...
fosse stato il regista di tutta la vicenda
protrattasi per lunghi anni e che la sua
condotta dovesse essere censurata sotto il
profilo della colpa grave tenuto conto,
anche, che lo stesso “non ebbe mai a
riconsiderare i presupposti dell'incarico,
nonostante i continui esposti e le doglianze
del geometra dell'ufficio tecnico comunale”.
...
DIRITTO
1.
Va, preliminarmente, disposta la riunione
in rito degli appelli indicati in epigrafe
ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanti
proposti avverso la stessa sentenza.
2.
Per ragione di ordine logico, il Collegio
ritiene, quindi, di esaminare, innanzitutto,
i motivi d'appello formulati dal sig. ... ed,
in primis, quelli di rito.
2.1.
Con riferimento, quindi, all'eccepita
nullità della sentenza per violazione
dell'art. 163, n. 7 c.p.c. e art. 38 c.p.c.
(mancato avvertimento delle decadenze
relative alla tardiva costituzione del
convenuto), si rileva che, come da
consolidata giurisprudenza di questa Corte,
le citate disposizioni non possono trovare
applicazione nel giudizio di responsabilità
in quanto lo stesso risulta strutturato in
maniera diversa da quello civile essendo di
competenza del Presidente della Sezione
fissare il giorno dell’udienza di
trattazione della causa ed il termine per la
costituzione del convenuto (art. 5 del d.l.
n. 453/1993, convertito dalla l. n.
19/1994).
Ciò rende inapplicabile al processo
contabile il disposto di cui all'art. 163,
n. 7 c.p.c, che impone all'attore di
indicare nell'atto di citazione il giorno
dell'udienza con l'invito al convenuto di
costituirsi nel termine di venti giorni
prima della data della stessa udienza,
ovvero dieci giorni prima, in caso di
abbreviazione del termine, con
l'avvertimento che la costituzione tardiva
comporta le decadenze di cui all'art. 167
cit..
2.2.
Quanto alla nullità della sentenza per
nullità dell’attività istruttoria della
Procura posta in essere in assenza di una
specifica notizia di danno, va considerato
che la doglianza, pur ammissibile (in quanto
“può essere fatta valere in ogni momento, da
chiunque vi abbia interesse”) ai sensi
dell’art. 17, comma 30-ter, del decreto
legge 01/07/2009, n. 78, conv. in legge
03/08/2009, n. 102, nel testo modificato dal
decreto–legge 03/08/2009, n. 103, contenente
“Disposizioni correttive del decreto–legge
anticrisi n. 78 del 2009, convertito nella
legge 141/2009”, è infondata (“Le Procure
della Corte dei Conti possono iniziare
l’attività istruttoria ai fini
dell'esercizio dell'azione di danno erariale
a fronte di specifica e concreta notizia di
danno, fatte salve le fattispecie
direttamente sanzionate dalla legge.
Qualunque atto istruttorio o processuale
posto in essere in violazione delle
disposizioni di cui al presente comma, salvo
che sia stata già pronunciata sentenza anche
non definitiva alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, è nullo e la relativa
nullità può essere fatta valere in ogni
momento, da chiunque vi abbia interesse,
innanzi alla competente Sezione
Giurisdizionale della Corte dei Conti, che
decide nel termine perentorio di 30 giorni
dal deposito della richiesta”).
Dall’esame del fascicolo processuale emerge,
chiaramente, che l’attività istruttoria e
processuale, posta in essere dalla Procura e
censurata con l’appello incidentale, ha
avuto origine da una specifica segnalazione,
da parte del geometra del Comune di
Balsorano, sig. ..., in ordine alla
fattispecie ora al vaglio del Giudicante.
Dal tenore della denuncia (allegata agli
atti di causa), si ritiene che la stessa
integri una notizia concreta e specifica di
danno.
Al riguardo, è stato più volte chiarito
dalla giurisprudenza di questa Corte che
ogni valutazione circa la sussistenza degli
elementi necessari (condizioni dell’azione)
per l’esercizio dell’azione di
responsabilità (danno certo ed attuale,
individuazione dei presunti responsabili,
valutazione della condotta e dell’elemento
soggettivo della colpa grave, nesso di
causalità), spetta esclusivamente all’organo
inquirente nell’ambito delle funzioni
istituzionali assegnategli, all’uopo
comprensive di specifiche e dettagliate
competenze istruttorie riconosciutegli dalla
normativa vigente (e consistenti nella
possibilità di chiedere in comunicazione
atti e documenti, di disporre audizioni
personali, perizie e consulenze, sequestro
di documenti, delega di adempimenti
istruttori a funzionari delle pubbliche
amministrazioni, ispezioni e accertamenti
diretti presso pubbliche amministrazioni ex
artt. 74 TU 1214/1934, 2, comma 4, e 5,
comma 6 della legge n. 19 del 1994, 16,
comma 3, del d.l. n. 152/1991 conv. in legge
n. 203/1991).
Ne consegue che la denuncia in parola –circostanziata quanto alla vicenda descritta- ben rappresenta una concreta e specifica
notizia di danno in ragione della quale la
Procura era legittimata ad attivare
l’attività istruttoria di competenza con la
conseguenza che, né questa, né i successivi
atti pre-processuali (invito a dedurre) e
processuali (atto di citazione in giudizio),
possono ritenersi affetti da alcun vizio ai
sensi dell’art. 17, comma 30–ter, citato.
2.3.
Dev’essere, quindi, affrontata,
l'eccezione di prescrizione sollevata dalla
difesa del sig. ....
Orbene, non solo la prescrizione
(diversamente da quanto sostenuto
dall’appellato–appellante incidentale) non
è rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art.
2938 cc., ma il motivo di censura deve
ritenersi inammissibile ai sensi dell'art.
345, comma 2, c.p.c. , perché proposto per
la prima volta in appello.
La circostanza che il sig. ... sia stato
contumace in primo grado non assume,
infatti, alcun rilievo in ordine
all’ammissibilità della stessa tenuto conto
che “la parte rimasta contumace in primo
grado non può godere, nel giudizio di
appello, di diritti processuali più ampi di
quelli spettanti alla parte ritualmente
costituita in quel primo giudizio, e deve,
conseguentemente, accettare il processo
nello stato in cui si trova, con tutte le
preclusioni e decadenze già verificatesi”
(Cass. civ., sez. I, 04.05.1998, n.
4404).
2.4.
In ordine, poi, alla doglianza relativa
all’errata interpretazione dell’art. 110 D.lgs. n. 267/2000 e degli artt. 36, 49, 51,
53 del Regolamento di organizzazione degli
Uffici e dei Servizi del Comune di Balsorano,
il Collegio ritiene necessario sottolineare,
innanzitutto, come la ricostruzione della
vicenda operata dalla Sezione Territoriale
non solo trovi pieno riscontro negli atti di
causa, ma assuma rilevanza al fine di
valutare in concreto se la condotta in
contestazione possa ritenersi conforme al
dettato legislativo.
Va, senz'altro, considerato che
nell’ordinamento vigente non sussiste un
generale divieto per la P.A. di ricorrere a
collaborazioni esterne o a contratti di
durata o, ancora, a consulenze per far
fronte ad esigenze particolari, ma che
l’utilizzo di personale esterno alla
Pubblica amministrazione non può
concretizzarsi se non nel rispetto di
determinate condizioni e limiti previsti
espressamente dal legislatore e,
specificatamente, dall’art. 7 del Decreto
legislativo 03.02.1993 n. 29 (“6. Ove non
siano disponibili figure professionali
equivalenti, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione”), dall’art.
110 del TUEL (“1. Lo statuto può prevedere
che la copertura dei posti di responsabili
dei servizi o degli uffici, di qualifiche
dirigenziali o di alta specializzazione,
possa avvenire mediante contratto a tempo
determinato di diritto pubblico o,
eccezionalmente e con deliberazione
motivata, di diritto privato, fermi restando
i requisiti richiesti dalla qualifica da
ricoprire.
2. Il regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, negli enti in cui è
prevista la dirigenza, stabilisce i limiti,
i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della
dotazione organica, contratti a tempo
determinato per i dirigenti e le alte
specializzazioni, fermi restando i requisiti
richiesti per la qualifica da ricoprire….Per
obiettivi determinati e con convenzioni a
termine, il regolamento può prevedere
collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità”) e dall’art. 7 del Decreto
legislativo 30/03/2001 n. 165 (“6. Per
esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi
individuali ad esperti di provata
competenza, determinando preventivamente
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione”).
I limiti contenuti nelle disposizioni sopra
indicate trovano la propria ratio nella
necessità di evitare il conferimento
generalizzato di consulenze esterne,
l'assunzione di personale in assenza di
condizioni legittimanti, l’aggravio di costi
inutili ed eccessivi per i pubblici bilanci
e la violazione di norme cogenti le quali
richiedono, per l'accesso alla pubblica
amministrazione, una selezione di più
candidati preceduta da adeguata pubblicità
del bando e svolgimento di una procedura
concorsuale.
La giurisprudenza ha, inoltre, da tempo,
affermato il principio secondo cui ogni ente
pubblico deve provvedere ai propri compiti
con la propria organizzazione e il proprio
personale e la possibilità di far ricorso a
personale esterno può essere ammessa
soltanto nei limiti e alle condizioni in cui
la legge lo preveda o anche quando sia
impossibile provvedere altrimenti ad
esigenze eccezionali e impreviste, di natura
transitoria.
Nel caso di specie, l’incarico conferito
all’ing. ... a far data dal 1998 (per
carenza di personale qualificato), prorogato
di anno in anno (delibere di Giunta comunale
n. 169 del 22.09.1998, n. 271 del 27.12.2000, n. 230 del 29.11.2001)
e, quindi, attribuito nuovamente quale
incarico di alto contenuto professionale al
di fuori della dotazione organica, a tempo
determinato e tempo parziale in qualità di
funzionario tecnico responsabile
dell'ufficio tecnico servizio lavori
pubblici e urbanistica (...) a decorrere
dalla data dell'01.10.2002 per la durata
del mandato elettorale pari ad anni 5
(contratto individuale di lavoro
sottoscritto il 10.09.2002) e poi
ancora prorogato (delibera G.C. n. 105 del
2007), non solo non può ritenersi temporaneo
e predeterminato quanto alla sua durata, ma
non può certamente definirsi come un
incarico di alta specializzazione in quanto
concernente compiti ordinari di un
dipendente comunale inquadrato nella pianta
organica (precedentemente svolti dal
geometra ...).
L’attribuzione di tale incarico -configurabile come una sorta di
contraddittoria e inammissibile commistione
tra le distinte ipotesi disciplinate
dall'art. 110 TUEL ai commi 1 (incarichi
temporanei per la copertura di posti di
responsabili dei servizi), 2 (incarichi al
di fuori della dotazione organica conferiti
con contratti a tempo determinato per i
dirigenti e le alte specializzazioni) e 3
(collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità per obiettivi determinati e
conferiti con convenzioni a termine)–
presupponeva una coerente qualificazione e
soprattutto una congrua e ragionevole
motivazione che giustificasse il ricorso al
personale esterno.
Non può non convenirsi con la Procura
regionale laddove ha evidenziato come il
contratto del 2002 stipulato con l’ing.
... “non si configurava come un
fatto eccezionale adottato per raggiungere
uno specifico obiettivo, bensì come
un'assunzione di fatto del tecnico
all'interno della dotazione organica del
personale dell'amministrazione comunale (senza alcun concorso) …”.
Andavano, infatti, specificati, come
richiesto dall’art. 51 del regolamento
comunale, l'oggetto dell'incarico
(individuato genericamente, in contratto,
quale “responsabile dell’UTC” ), il
contenuto delle prestazioni (indicate
approssimativamente nelle “mansioni inerenti
alle attività ricomprese nella declaratoria
della categoria”), le modalità di
svolgimento delle stesse (“da svolgere, come
da contratto, nei luoghi e nei tempi in cui
il dipendente, di concerto con
l’Amministrazione, riterrà opportuni…"), gli
obiettivi da perseguire (nella specie, non
precisati), l'ammontare del compenso,
l'inizio e la durata dell'incarico.
Tali rilevanti carenze contenutistiche
risultano vieppiù evidenti laddove
l’incarico in parola veniva
contraddittoriamente definito come “al di
fuori della dotazione organica”, “ad alto
contenuto professionale” (quando, invece, si
trattava di svolgere attività amministrative
ordinarie) e veniva, su tale inconsistente
presupposto, indebitamente compensato con
l'indennità ad personam stabilita dal citato
art. 110 del D.lgvo n. 267 del 2000, oltre
alla normale retribuzione prevista dal CCNL.
---------------
2.5.
Quanto alla rilevata “erroneità
dell'impugnata sentenza per violazione
dell'art. 1, comma 1, legge 19/01/1994 n. 20
(…) mancando, nel caso di specie, il dolo e
la colpa grave per l’addebitabilità del
presunto danno erariale al ...”,
il Collegio ritiene, viceversa, che le
modalità con cui si è svolta la vicenda
evidenzino una condotta gravemente colposa
del sindaco in quanto posta in essere in
violazione della normativa di riferimento.
Il sig. ..., come evidenziato in
sentenza, conferiva e rinnovava -immotivatamente (nonostante le doglianze
sollevate dal dipendente ...)- l’incarico
al professionista esterno a cui veniva
affidato, nell’ambito della nuova pianta
organica (la quale prevedeva –in un Comune
di modeste dimensioni quale quello di Balsorano- lo sdoppiamento dell’Ufficio
Tecnico in Servizio LL.PP. e Servizio
Urbanistica), la responsabilità di entrambi
i servizi tecnici (vedasi contratto e
delibera n. 230 del 29.11.2001)
nonostante l’espressa attribuzione del
livello D1 del Servizio Lavori Pubblici al
geom. ... (vedasi all. 4 delibera n.
184 del 24.08.2000) il quale aveva svolto in
passato entrambe le funzioni poi affidate
all’ing. ... (delibera n. 169 del
22.08.1998)
(Corte dei Conti, Sez. III giurisdiz.
centrale d'appello,
sentenza 08.02.2012 n. 66). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni,
gare a rischio. Possibile paralisi dopo
l'abrogazione delle tariffe professionali.
Conseguenza della liberalizzazione per gli
affidamenti dei servizi di ingegneria e
architettura.
Rischio paralisi per le
gare di progettazione: con l'abrogazione
delle tariffe professionali niente più
riferimenti per la stima della base d'asta,
per i requisiti di partecipazione e per i
servizi svolti.
È questo l'effetto, se non sarà modificata
la norma in sede di conversione, connesso
all'applicazione dell'articolo 9 del
decreto-legge 24.01.2012 in materia di
liberalizzazioni nel settore delle gare per
affidamento di servizi di ingegneria e
architettura.
La norma del decreto prevede infatti
l'abrogazione delle «tariffe delle
professioni regolamentate nel settore
ordinistico», fra queste, quindi anche
quelle di ingegneri e architetti (legge
143/1949 e dm 04.04.2001). Non solo. La
norma stabilisce anche, al comma 4, che
siano abrogate anche le disposizioni vigenti
che per la determinazione del compenso
rinviano alle tariffe.
La norma del decreto-legge determina quindi
almeno una prima conseguenza sulla
determinazione del corrispettivo a base di
gara, dal momento che il Codice (art. 92,
comma 2) e il regolamento (dpr 207/2010262,
comma 2) stabilisce che i corrispettivi
previsti dal decreto ministeriale 04.04.2001
possono essere utilizzate per stabilire
l'importo a base di gara. Abrogando la
tariffa professionale gli uffici tecnici
delle stazioni appaltanti non potranno più
utilizzare questa possibilità e quindi, in
assenza di alcuna indicazione al riguardo,
dovranno stimare l'importo secondo altre
modalità, al momento non conosciute e non
chiare. Il rischio, ovviamente, è che la
base dell'appalto sia ulteriormente ridotta
e il contratto sia aggiudicato a un prezzo
molto ridotto (visto che la media dei
ribassi è pari al 40%).
In considerazione delle diverse norme del
dpr 207/2010 che fanno riferimento alle
tariffe professionali, ulteriori conseguenze
si determinano anche con riguardo ai profili
di qualificazione dei partecipanti.
L'articolo 263 del regolamento (per le gare
oltre i 100 mila euro) e l'articolo 267 (per
gli affidamenti al di sotto dei 100 mila
euro) infatti fanno proprio rinvio alle
classi e categorie delle vigenti tariffe
professionali per individuare i requisiti di
capacità tecnica; in particolare si deve
provare la propria capacità documentando
servizi appartenenti a lavori riconducibili
alle classi e categorie di cui all'articolo
14 della legge 143/1949. Difficile
immaginare quindi come, abrogata la legge
143, si possano documentare i requisiti. Il
problema assume una sua rilevanza anche in
sede di certificazione dei servizi svolti da
parte dei professionisti e delle società,
dal momento che le stazioni appaltanti non
hanno più alcun riferimento per classificare
i servizi svolti, risultando abrogato
l'articolo 14 della legge 143.
La cosa appare di non poca rilevanza anche
sotto il profilo dell'avvio e del
funzionamento dell'istituenda Banca dati
nazionale dei contratti pubblici prevista
dal decreto-legge sulle semplificazioni che
dovrebbe ricevere i certificati dei servizi
(di ingegneria e architettura) e che,
invece, per i progettisti rischia di non
ricevere nulla
(articolo ItaliaOggi dell'08.02.2012). |
gennaio 2012 |
|
INCARICHI PROGETTUALI: Oggetto:
Riforma delle professioni - Informativa n. 3
(Consiglio Nazionale degli Ingegneri,
nota 31.01.2012 n.
U-nd/407/2012 di prot.).
--------------
Riforma delle
professioni e abolizione delle tariffe
professionali. Arrivano i chiarimenti del
Consiglio Nazionale degli Ingegneri.
Il Decreto Liberalizzazioni, in attesa di
opportuna legge di conversione, ha apportato
alcune novità al regime delle professioni
(v. art. “Decreto Legge liberalizzazioni:
tante le novità per imprese, professionisti,
pubbliche amministrazioni, banche e
cittadini”), tra cui:
● abolizione delle tariffe professionali;
● obbligo di preventivazione;
● obbligo di copertura assicurativa.
Il CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri)
ha pubblicato una circolare finalizzata a
fornire indicazioni sulle nuove disposizioni
normative agli ingegneri iscritti agli albi
professionali.
Il CNI sottolinea che il nuovo Decreto non
cancella l’art. 2233 del codice civile:
resta pertanto inalterato il principio della
misura del compenso anche in relazione al
decoro della professione. Inoltre, non sono
cancellate le funzioni degli Ordini
provinciali nel rilascio dei pareri sulle
parcelle.
Nella circolare vengono fornite anche
indicazioni circa le modalità di pattuizione
del compenso e preventivazione
(commento tratto da www.acca.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: LIBERALIZZAZIONI/
Pubblicato in G.U. il decreto 1/2012 che
elimina l'obbligo per i professionisti.
Compensi, il preventivo non serve.
Tutti gli oneri vanno comunicati. Non
necessariamente per iscritto.
Il compenso del professionista va pattuito
per iscritto solo se è il cliente a
chiederlo. Gli iscritti agli ordini avranno
il mero obbligo di comunicare il compenso al
momento del conferimento dell'incarico
indicando il dettaglio delle voci di costo,
delle spese e dei contributi.
È quanto
emerge dall'articolo 9, inserito nel decreto
legge sulle liberalizzazioni n. 1/2012
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri,
in tema di professioni regolamentate.
Tra la
prima versione del dl uscita dal Cdm e
quella (rivisitata) oggi disponibile la
differenza è sostanziale giacché il
preventivo, pena l'apertura di una procedura
disciplinare, si rendeva necessario a
prescindere che il cliente avesse conferito
l'incarico (ante), mentre ora si parla
chiaramente di determinazione degli onorari
nel momento in cui il cliente ha effettuato
la scelta (post), tenendo conto
ulteriormente degli «oneri ipotizzabili dal
momento del conferimento alla conclusione
dell'incarico...».
Inoltre, è stato previsto che il «mandato
professionale» (definizione più corretta),
peraltro sempre predisposto dall'iscritto
all'albo più oculato anche al fine di
evitare ripensamenti ingiustificati da parte
del cliente, oltre che all'indicazione
presuntiva dell'onorario, debba indicare le
singole prestazioni e tutte le ulteriori
voci di costo, come spese, oneri e
contributi. In ogni caso la misura del
compenso deve essere adeguata all'importanza
dell'opera.
L'incarico professionale, inoltre, va
coperto da assicurazione per eventuali danni
causati nell'esercizio dell'attività
professionale e i dati della polizza vanno
comunicati ali cliente. L'inottemperanza di
quanto disposto costituisce illecito
disciplinare del professionista. Va ancora
evidenziata la discriminazione tra gli
obblighi posti a carico dei professionisti
iscritti agli ordini, rispetto a quelli non
iscritti che, guarda caso, non dovendo
tenere conto di queste disposizioni, creano
vere e proprie «alterazioni» del
mercato
(articolo ItaliaOggi del 25.01.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Sul risarcimento del danno per
illegittimo affidamento di incarico
all'esterno dell'ente pubblico.
---------------
Il diritto al risarcimento del danno si
prescrive in ogni caso in cinque anni,
decorrenti dalla data in cui si è verificato
il fatto dannoso, ovvero, in caso di
occultamento doloso del danno, dalla data
della sua scoperta.
Il “dies a quo”, dunque, è quello in cui si
è verificato il “fatto dannoso” e tale data
è stata identificata dalla giurisprudenza in
quella in cui si è verificato il danno quale
componente del fatto.
---------------
Per la generalità degli enti pubblici opera
l'art. 7, c. 6, del dlgs 30.03.2001, n. 165
(già D.lgs. 03.02.1993, n. 29), che consente
alle amministrazioni pubbliche di conferire
incarichi individuali ad esperti di provata
competenza e per esigenze cui non possano
far fronte con le risorse interne.
La giurisprudenza amministrativa ha
evidenziato come il conferimento d’incarichi
a soggetti esterni all'amministrazione abbia
costituito, e costituisca tuttora, una
fattispecie ricorrente in tema di
responsabilità amministrativa. E’ possibile
cogliere, nella giurisprudenza della Corte
dei conti, princìpi e criteri direttivi in
grado di orientare utilmente l'interprete e
l'operatore, pur nella varietà e complessità
delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, a
proposito dell’attribuzione d’incarichi,
sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere
legato a problemi che richiedono conoscenze
ed esperienze eccedenti le normali
competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto
non implicante svolgimento di attività
continuativa ma anzi la soluzione di
specifiche problematiche già individuate al
momento del conferimento dell'incarico del
quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le
caratteristiche della specificità e della
temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno
strumento per ampliare fittiziamente compiti
istituzionali e ruoli organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve
essere proporzionale all'attività svolta e
non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere
adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od
indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono
essere generici; ne consegue l'illegittimità
e la sussistenza di un danno erariale a
fronte di un incarico assolutamente generico
e non motivato.
Ciascuno dei requisiti sopra indicati
–lettere da a) ad h)- è essenziale ai fini
della liceità dell’incarico, per cui
l’accertamento del difetto di uno solo dei
presupposti sopra indicati è sufficiente a
qualificarlo come illecito; in proposito
si ritiene utile sottolineare che il fine
dell'art. 7 dlgs 165/2001 è quello di
escludere che sia affidato, con incarichi,
l’espletamento di normali attività che
potrebbero essere svolte dal personale
interno.
La disciplina in esso dettata vuole evitare,
dunque, che si possa verificare uno spreco
di risorse dell’ente pubblico, mascherando
per consulenza un’attività che può essere
svolta da personale interno
dell’Amministrazione, già da quest’ultima
retribuito.
La Pubblica Amministrazione, in conformità
al dettato di cui all’art. 97 della
Costituzione, deve infatti uniformare i
propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità dei
quali per ius receptum, diviene corollario
il principio secondo cui la stessa,
nell’assolvimento dei propri compiti
istituzionali, deve avvalersi
prioritariamente delle proprie strutture
organizzative e del personale che vi è
preposto.
Va in proposito premesso che, ai sensi
dell'art. 1, comma 2, della legge 14.1.1994
n. 20 (come successivamente modificato dalla
legge 20.12.1996 n. 639), il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in ogni
caso in cinque anni, decorrenti dalla data
in cui si è verificato il fatto dannoso,
ovvero, in caso di occultamento doloso del
danno, dalla data della sua scoperta.
Il “dies a quo”, dunque, è quello in
cui si è verificato il “fatto dannoso”
e tale data è stata identificata dalla
giurisprudenza in quella in cui si è
verificato il danno quale componente del
fatto.
---------------
Ritiene questo
Collegio opportuno, preliminarmente e
sinteticamente, illustrare la normativa e la
stessa giurisprudenza, in tema di
conferimento d’incarichi di collaborazione
da parte di pubbliche amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in
via generale la fattispecie, se non per casi
particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R.
10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati
civili dello Stato, che disciplinava gli
incarichi conferiti dai ministri a
professori universitari ed esperti di
analoga qualificazione. Altre normative
specifiche vietavano, in determinate
ipotesi, il conferimento d’incarichi
esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1
del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del
d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge
26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici
delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della
legge 20.05.1985, n. 207, recante la
disciplina transitoria per l'inquadramento
del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti
gli enti locali, quanto le norme generali
sull'organizzazione dei pubblici uffici- si
sono preoccupate, opportunamente, di
disciplinare la fattispecie, con la
fissazione di regole e principi che peraltro
già da diversi anni avevano trovato ampia
considerazione nella giurisprudenza
contabile.
La prima disposizione di legge in materia,
in ordine di tempo, è stata dettata per gli
enti locali dall'art. 51 della legge
08.06.1990, n. 142, come modificato dalla
legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata
poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n.
267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera
invece l'art. 7, c. 6, del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs.
03.02.1993, n. 29), che consente alle
amministrazioni pubbliche di conferire
incarichi individuali ad esperti di provata
competenza e per esigenze cui non possano
far fronte con le risorse interne.
Differenti sono le regole per il
conferimento degli incarichi da parte dei
Ministri, definite con il regolamento
approvato con D.P.R. 18.04.1994, n. 338.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo
improprio delle collaborazioni negli ultimi
anni, hanno portato il legislatore, in sede
di legge finanziaria -v. gli artt. 34 della
legge 27.12.2002, n. 289 e 3 della legge
24.12.2003, n. 350- ad intervenire in
materia con disposizioni restrittive ai fini
del contenimento della spesa; sempre al
medesimo scopo di contenere le relative
spese, l’articolo 1, commi 9 e 11, del d.l.
12.07.2004, n. 168, convertito con legge
30.07.2004, n. 191, poneva un limite alla
spesa per gli incarichi per le regioni, le
province e i comuni con popolazione
superiore a 5.000 abitanti, prevedendo
altresì che l’affidamento d’incarichi, in
assenza dei presupposti stabiliti
dall’articolo 1, comma 9, “… costituisce
illecito disciplinare e determina
responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la
circolare della Funzione pubblica n. 4 del
15.07.2004, nella quale si afferma (in piena
sintonia con la giurisprudenza della Corte
dei conti nella materia, puntualmente
richiamata) che la possibilità di ricorrere
a rapporti di collaborazione sussiste solo
per prestazioni di elevata professionalità,
contraddistinte da una elevata autonomia nel
loro svolgimento, tale da caratterizzarle
quali prestazioni di lavoro autonomo;
l’affidamento dell’incarico a terzi può
dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui
l’amministrazione non sia in grado di far
fronte ad una particolare e temporanea
esigenza con le risorse professionali
presenti in quel momento al suo interno.
Per completezza, può poi precisarsi che le
disposizioni dei commi 9 e 11 dell’articolo
1 della legge n. 191/2004 hanno cessato di
essere in vigore il 31.12.2004 e sono state
sostituite, a decorrere dall'01.01.2005,
dall’articolo 1, commi 11 e 42, della legge
30.12.2004, n. 311 (legge finanziaria 2005),
il cui contenuto è stato peraltro illustrato
dalle SS.RR. della Corte dei conti, con
deliberazione n. 6/2005, “Linee di
indirizzo e criteri interpretativi sulle
disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311
(finanziaria 2005) in materia di affidamento
d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di
consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare, il comma 11 dispone che
il conferimento dell’incarico deve essere
adeguatamente motivato ed “… è possibile
soltanto nei casi previsti dalla legge
ovvero nelle ipotesi di eventi straordinari”.
Le amministrazioni statali, gli enti
pubblici nazionali non economici e le
regioni possono quindi conferire incarichi
esterni solo nei casi previsti dalla legge
nazionale o dalle leggi regionali, salvi gli
eventi straordinari. La norma ha poi
confermato il limite della spesa per il
conferimento degli incarichi esterni,
determinandolo nell’importo erogato per lo
stesso oggetto nel 2004.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n.
248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007
per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244,
art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse
disposizioni, hanno da ultimo definito
ulteriormente il già articolato regime delle
collaborazioni esterne nella P.A.,
consolidando la tendenza a limitare il
ricorso a tali tipologie contrattuali ad
ipotesi eccezionali e, indirettamente,
costituendo i presupposti per una riduzione
della spesa correlata, con apposita modifica
del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I
principi recati da tali ultime normative
–che sostanzialmente confermano quelli già
in vigore– sono stati oggetto anch’essi di
apposita
deliberazione 24.04.2008 n. 6/2008
della Corte dei conti, Sez. autonomie, che
ha precisato i criteri interpretativi.
Per quel che riguarda invece la posizione
della giurisprudenza, va evidenziato come il
conferimento d’incarichi a soggetti esterni
all'amministrazione abbia costituito, e
costituisca tuttora, una fattispecie
ricorrente in tema di responsabilità
amministrativa. E’ possibile cogliere, nella
giurisprudenza della Corte dei conti,
princìpi e criteri direttivi in grado di
orientare utilmente l'interprete e
l'operatore, pur nella varietà e complessità
delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, a
proposito dell’attribuzione d’incarichi,
sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere
legato a problemi che richiedono conoscenze
ed esperienze eccedenti le normali
competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto
non implicante svolgimento di attività
continuativa ma anzi la soluzione di
specifiche problematiche già individuate al
momento del conferimento dell'incarico del
quale debbono costituire l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le
caratteristiche della specificità e della
temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno
strumento per ampliare fittiziamente compiti
istituzionali e ruoli organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve
essere proporzionale all'attività svolta e
non liquidato in maniera forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere
adeguatamente motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od
indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono
essere generici; ne consegue l'illegittimità
e la sussistenza di un danno erariale a
fronte di un incarico assolutamente generico
e non motivato.
Si possono citare in proposito, ex multis,
Corte dei conti, Sez. I, 02.09.2008, n. 393,
17.09.2007, n. 248 e 31.05.2005, n. 187;
Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III,
06.02.2006, n. 74 e 13.04.2005 n. 183; Sez.
sic. appello, 02.04.2002, n. 46 e
01.08.2000, n. 100; Sez. riun. 12.06.1998,
n. 27. Anche la Sezione controllo enti di
questa Corte, già nella deliberazione
22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la
necessità di evitare che l’affidamento
d’incarichi a terzi si traducesse in forme
atipiche di assunzione, con la conseguente
elusione delle disposizioni sul reclutamento
e delle norme in materia di contenimento
della spesa.
La posizione della giurisprudenza contabile,
sopra illustrata, è stata tenuta presente
sia dal Legislatore sia dalla stessa
Funzione Pubblica, in sede di adeguamento e
interpretazione della normativa
successivamente intervenuta nella materia
(cfr., in identici termini, Corte dei conti,
Sez. Prima Centrale Appello sent. n.
145/2009).
Ciascuno dei requisiti sopra indicati
–lettere da a) ad h)- è essenziale ai fini
della liceità dell’incarico, per cui
l’accertamento del difetto di uno solo dei
presupposti sopra indicati è sufficiente a
qualificarlo come illecito; in proposito
si ritiene utile sottolineare che il fine
del citato art. 7 è quello di escludere che
sia affidato, con incarichi, l’espletamento
di normali attività che potrebbero essere
svolte dal personale interno.
La disciplina in esso dettata vuole evitare,
dunque, che si possa verificare uno spreco
di risorse dell’ente pubblico, mascherando
per consulenza un’attività che può essere
svolta da personale interno
dell’Amministrazione, già da quest’ultima
retribuito (Corte dei conti, Sez. Lazio,
18.08.2009, n. 1660).
La Pubblica Amministrazione, in conformità
al dettato di cui all’art. 97 della
Costituzione, deve infatti uniformare i
propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità dei
quali per ius receptum, diviene
corollario il principio secondo cui la
stessa, nell’assolvimento dei propri compiti
istituzionali, deve avvalersi
prioritariamente delle proprie strutture
organizzative e del personale che vi è
preposto (Corte dei conti, Sez. Sardegna,
18.09.2008, n. 1831; Corte dei conti, Sez.
Lazio, 12.05.2008, n. 787).
---------------
Tanto premesso, il Collegio osserva che
l’esame della documentazione depositata sia
dalla Procura sia dalla difesa a sostegno
delle rispettive tesi, evidenzia che le
prestazioni lavorative richieste al p.i.e.
..., dedotte in contratto, ineriscono ad
attività di carattere squisitamente
tecnico-gestionale. Sul punto non vi è
contestazione perché la difesa espressamente
(pag. 10 e segg. della memoria difensiva)
afferma che “Nel corso del rapporto con
l’Amministrazione comunale di Laglio, ...
predispose tutti gli atti di gestione e le
determinazioni dell’Ufficio tecnico di poi
emanate dal Sindaco in qualità di
responsabile del servizio, avvalendosi
dell’attività istruttoria dell’arch. ... e
svolgendo pure autonomamente attività di
istruttoria delle pratiche, anche oltre
l’impegno orario (12 ore settimanali)
convenuto nell’incarico professionale”.
A ciò segue un elenco, documentato, dei “procedimenti
più significativi e complessi seguiti
interamente dal solo ...” [lettere da a)
sino a q) della memoria]. Ciò posto, si
respinge -perché ininfluente- la richiesta
di prova testimoniale al riguardo.
Altra specifica connotazione della
prestazione lavorativa del ... è stata la
continuità: dall’iniziale previsione di mesi
sei si è passati, con le delibere di proroga
indicate in narrativa, a ben oltre tre anni
di attività espletata. Tali rilevazioni
fattuali, ad avviso del Collegio, valgono ad
escludere che la fattispecie concreta
rientri sia nella previsione normativa ex
art. 90 d.lgs. n. 267/2000, poiché i compiti
svolti non attengono alle funzioni di
indirizzo e controllo previsti dalla norma
indicata, sia nella previsione normativa di
cui all’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, perché
per un verso la norma citata prevede, tra
l’altro, che i contratti a tempo determinato
di funzionari dell’area direttiva, di
dirigenti e alte specializzazioni possano
essere stipulati “solo in assenza di
professionalità analoghe presenti
all’interno dell’ente”
(nell’amministrazione comunale era presente,
come detto, l’arch. ...) e, per altro verso,
la temporaneità ed i limiti del rapporto
normativamente previsto non possono essere
elusi, come avviene nella fattispecie
considerata in ragione delle proroghe del
termine del contratto inizialmente
stipulato, e determinare un sostanziale
incardinamento del ... nel personale
dell’amministrazione comunale.
Il difetto dei requisiti sopra indicati,
essenziali per legittimare l’affidamento di
attività istituzionale, è da solo
sufficiente a qualificare come illecito
l’incarico affidato al ....
Anche se tali osservazioni hanno rilievo
assorbente ed esimono dall’esame analitico
degli altri profili d’illegittimità e
illiceità di affidamento dell’incarico di
cui trattasi, il Collegio –considerando il
contenuto effettivo dell’incarico e della
durata dello stesso- ritiene di
puntualizzare che la fattispecie concreta si
connota, in buona sostanza, come
incardinamento del p.i.e. ... nella
struttura amministrativa, con elusione della
normazione vigente in materia e violazione
dei princìpi e delle regole che attengono
all’imparzialità e buon andamento della P.A.
In merito all’elemento soggettivo
dell’illecito, il Collegio ritiene che si
tratti di colpa grave, considerate le
chiarissime previsioni normative concernenti
i requisiti di legittimità del conferimento
d’incarichi all’esterno, violate nel caso di
specie.
Il profilo d’illiceità accertato incide
anche sulla valutazione dei vantaggi
comunque conseguiti, ai sensi dell’art. 1,
comma 1-bis, L. n. 20/1994 in base al quale
“nel giudizio di responsabilità, fermo
restando il potere di riduzione, deve
tenersi conto dei vantaggi comunque
conseguiti dall’Amministrazione o dalla
comunità amministrata in relazione al
comportamento degli amministratori o dei
dipendenti pubblici soggetti al giudizio di
responsabilità”.
Occorre verificare e valutare se il medesimo
fatto generatore del danno ha anche
determinato un vantaggio in relazione ai
comportamenti tenuti; accertamento
dell’effettività dell’utilitas
conseguita; rispondenza della stessa
utilitas ai fini istituzionali
dell’Amministrazione che li riceve (Corte
dei conti, Sez. Lazio, 12.05.2008, n. 787).
Il Collegio, in proposito, osserva che
l’incarico di cui trattasi ha rivestito
carattere d’illiceità, tra l’altro, per il
carattere ordinario e continuato dei compiti
svolti e, pertanto, l’Ente danneggiato non
ha tratto alcuna utilità in ragione della
non compiuta utilizzazione e valorizzazione
delle professionalità interne, per cui, ai
sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della legge
14.01.1994, n. 20, non si può ridurre o
elidere il danno accertato: ciò in quanto
nel giudizio di responsabilità non possono
essere invocati, come fa la difesa, a titolo
di esimenti elementi e circostanze che
attengono alla gestione globale dell'ente o
struttura amministrativa (cfr., in termini
sostanzialmente identici, Corte dei conti,
Sez. Giur. Lomb. Sent. n. 648/2009 e Sez.
Terza Centrale Appello sent. n. 3/2003).
Nondimeno si ravvisano, nella vicenda in
esame, elementi (difficoltà strutturali e
operative del Comune, segnatamente
dell’Ufficio Tecnico a causa di
insufficienza di personale) i quali, pur non
potendo costituire esimenti di
responsabilità, sono, tuttavia, idonei a
giustificare l'esercizio del potere
riduttivo attribuito al Giudice contabile e,
pertanto, il danno addebitabile non sarà
rivalutato. (art. 52 TUCL n. 1214 del 1934)
(Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 24.01.2012 n. 26). |
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI: Preventivo
scritto su richiesta. Il cliente potrà
sollecitare il conteggio - Tirocinio anche
negli uffici pubblici.
LA PARTICOLARITÀ/ Atteso un decreto
Giustizia-Economia con parametri per
calcolare oneri e contribuzioni per la
previdenza notarile.
Contrordine: il preventivo del
professionista va messo per iscritto solo se
a richiederlo è il cliente stesso. Si
attenua la formulazione dell'articolo 9 del
Dl liberalizzazioni (atteso per la
pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale»)
che individua l'obbligo deontologico di
fornire per iscritto la pattuizione del
compenso e una previsione di onorario. Il
testo conferma il vincolo, tra cliente e
professionista, di mettere nero su bianco il
compenso per le prestazioni richieste (e i
dati della copertura assicurativa) con il
conferimento dell'incarico, la misura è «previamente
resa nota al cliente anche in forma scritta
se da questi (il cliente, ndr) richiesta».
Non è l'unica novità. Accanto al decreto
ministeriale che dovrà fornire i parametri
che servono al giudice nei casi di
contenzioso e di liquidazione delle spese
giudiziali, si profila un altro decreto
Giustizia-Economia dove sono stabiliti «i
parametri per oneri e contribuzioni alla
Casse professionali e agli archivi
precedentemente basati sulle tariffe».
Un riferimento alla Cassa dei notai che basa
i versamenti sul valore degli atti iscritti
dai professionisti nel repertorio notarile.
«Dall'onorario di repertorio –ha spiegato
Paolo Pedrazzoli, presidente della Cassa del
notariato– dipendeva non solo il calcolo dei
contributi, ma anche le spese di
funzionamento di Ordini e Consiglio
nazionale, oltre che la cosiddetta tassa
archivio di cui noi siamo solo esattori,
visto che la giriamo allo Stato. Speriamo
solo che il decreto con i nuovi parametri
arrivi presto, perché la Cassa rischia di
non poter avere versamenti per settimane. Se
dovesse tardare, dovrò mantenere i vecchi
parametri tariffari solo per calcolare gli
oneri previdenziali».
Per evitare, però, che questi parametri
possano rientrare come tariffe "mascherate"
nella determinazione degli onorari, la norma
chiarisce che ogni pattuizione di compenso
fatta sulla loro base è nulla. Nessuna
retromarcia, almeno in questa fase,
sull'equo compenso per il praticante, già
approvato lo scorso agosto con la legge
148/2011 ma cancellato dal decreto legge.
Infine, il tirocinio si arricchisce di una
possibilità in più. Confermata la
possibilità –previa convenzione tra Ordini e
ministero dell'Istruzione– di svolgere i
primi sei mesi di tirocinio (su 18 mesi al
massimo) in concomitanza con i corsi
universitari, analoghe convenzioni possono
essere stipulate tra Consigli nazionali e
ministero della Pubblica amministrazione per
consentire, a laurea ottenuta, di poter
svolgere il tirocinio, in tutto o in parte,
presso pubbliche amministrazioni.
Capitolo-reazioni. I commercialisti delle
sigle sindacali Sic e Andoc non si
scandalizzano tanto per le misure sulle
tariffe, quanto piuttosto per «i danni»
delle semplificazioni su collegio sindacali
e tirocinio. Nel primo caso –spiegano– la
riduzione da tre a uno dei "controllori"
nelle Srl «non comporterà un risparmio a
carico delle piccole imprese destinatarie ma
solo maggiori responsabilità a carico dei
professionisti incaricati, sempre nominati
dalla maggioranza societaria». Nel
secondo caso, si profila la «mortificazione»
del tirocinio.
Contro il Governo anche i giovani avvocati
dell'Aiga, che se la prendono contro
l'abolizione dell'equo compenso da erogare
al praticante, introdotto con la manovra
d'agosto: «È evidente –sottolinea il
presidente di Aiga, Dario Greco– che il
Governo è a favore dei giovani soltanto a
parole, ma nei fatti è capace di sfornare
esclusivamente provvedimenti punitivi».
---------------
Le entrate in vigore
01 | TARIFFE E PREVENTIVI
Abrogate da subito. Così come l'obbligo di
pattuizione scritta dei compensi e, a
richiesta, del preventivo.
Due successivi decreti (senza scadenza)
prevedono parametri per la liquidazione
giurisdizionale dei compensi e per la
determinazione di oneri e contribuzioni a
fini previdenziali.
02 | TIROCINIO
Le norme sul tirocinio anticipato di 6 mesi
all'università non sono subito applicabili
perché necessitano di un accordo quadro tra
Consigli nazionali degli Ordini e Miur.
Stessa cosa per la possibilità di svolgere
il tirocinio nella Pa.
03 | CONFIDI
Subito applicabile la norma che apre ai
liberi professionisti il patrimonio dei
condifi. Si applicano le norme del Dl
201/2011 (legge 214/2011).
04 | NOTAI
Entro 120 giorni dalla pubblicazione in
Gazzetta è atteso il decreto con la
distribuzione per Comuni della nuova pianta
organica aumentata di 500 posti.
Entro il 31.12.2012 sono espletate le
procedure del concorso per la nomina di 200
notai e per i concorsi da 200 e 150 posti
banditi nel 2010 e 2011.
Entro il 31.12.2013 è bandito un concorso
per 500 posti. Entro il 31.12.2014 è bandito
un concorso per 470 nuovi posti.
Sono invece immediatamente applicabili sia
le norme relative al vincolo, per il notaio,
di trascorrere almeno tre giorni la
settimana nel suo studio e almeno uno ogni
15 per ciascun Comune o frazione aggregati,
sia quelle che riguardano l'avvio
dell'azione disciplinare da parte di
procuratore della Repubblica e presidente
del Consiglio notarile
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - ENTI LOCALI -
INCARICHI PROFESSIONALI/PROGETTUALI - VARI:
G.U. 24.01.2012 n. 19, suppl. ord. n. 18/L,
"Disposizioni urgenti per la concorrenza,
lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività" (D.L.
24.01.2012 n. 1). |
INCARICHI PROFESSIONALI: LIBERALIZZAZIONI/ Approvato
in consiglio dei ministri il decreto legge
sulla concorrenza. Professioni, nuovi
adempimenti.
Scatta l'obbligo del preventivo scritto e
dell'assicurazione.
Nuovi adempimenti per i professionisti.
Debutta l'obbligo del preventivo scritto da
rilasciare al cliente sulla prestazione
richiesta. E soprattutto scatta il vincolo
della polizza assicurativa sui danni
eventualmente causati dall'esercizio
dell'attività professionale. Vanno quindi in
soffitta i tariffari (non più vincolanti dal
2006 ma comunque indicativi) per definire
l'onorario su una determinata prestazione.
A meno che non sia il giudice a dover
calcolare tale compenso. In questo caso sarà
possibile utilizzare i parametri stabiliti
con decreto del ministero vigilante (cioè
gli stessi tariffari vietati fra privati).
Sono queste alcune delle previsioni
contenute nel decreto legge sulle
liberalizzazioni approvato ieri in consiglio
dei ministri.
Tariffe. Il governo sceglie la linea soft
(rispetto alle ipotesi della prima ora). Se
in una prima versione la definizione del
compenso era rimessa alla completa
contrattazione fra le parti, nel decreto
approvato si rimane confermata l'abrogazione
delle tariffe delle professioni nel sistema ordinistico ma il giudice, in caso di
liquidazione dei compensi, potrà fare
riferimento ai parametri stabiliti con
decreto del ministero vigilante.
Questa
parte, in un primo momento non c'era. Ma non
solo. Restando in tema di compensi, questi
devono essere calcoli in base all'importanza
dell'opera e vanno pattuiti (oltre che per
iscritto) in modo omnicomprensivo. Il che
vuol dire che il professionista avrà la
possibilità di quantificare la qualità e il
rischio della prestazione.
Preventivo. In nome della trasparenza, il
decreto conferma che il professionista deve
rilasciare un preventivo scritto con il
prezzo della prestazione richiesta dal
cliente. L'atto deve essere corredato del
grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico.
L'inottemperanza di quanto disposto
costituisce illecito disciplinare e in
quanto tale sarà sanzionabile dall'ordine.
Assicurazione. Rappresenta la vera novità
del provvedimento. In una prima versione del
Dl, infatti, si prevedeva solo l'obbligo per
il professionista di indicare nel preventivo
se era titolare o meno di una polizza
assicurativa. Nella versione approvata ieri
invece scatta un vero e proprio vincolo.
Anticipando così una misura contenuta
all'articolo 3, comma 5, della legge nella
legge 148 del 2011. E non è l'unica.
Tirocinio. Un'altra misura che il governo ha
inteso anticipare, infatti, è quella sui
tirocini. Nel confermare che il periodo di
pratica in studio utile ai fini della
partecipazione all'esame di stato non potrà
essere superiore ai 18 mesi, si prevede che
sei mesi potranno essere svolti durante il
corso di laurea. Servirà però una
convenzione quadro ad hoc stipulata fra i
consigli nazionali degli ordini e il
ministro dell'istruzione, università e
ricerca.
Questa disposizione non si applica
alle professioni sanitarie per le quali
resta confermata la normativa vigente. In
materia di tirocinio però, il governo ha
fatto saltare (indirettamente) l'equo
compenso previsto per il giovane che nella
legge 148/2011 era previsto. Il decreto,
sopprime, fra le altre cose, dalla Manovra
di Ferragosto alcune sue parti. Una di
queste (articolo 3, comma 5, lettera c -
secondo periodo) è proprio la previsione
della remunerazione per il praticante.
Notai. Più concorrenza fra i notai.
L'attuale pianta organica (che prevede sulla
carta 5.779 professionisti in servizio anche
se al momento ce ne sono poco meno di
4.700), come revisionata da ultimo con i
decreti del ministero della giustizia il 23.12.2009 e in data 10.11.2011, è
aumentata di 500 posti. Per arrivare a
questo risulto si procederà con una serie di
concorsi a raffica. Non prima, però, di aver
concluso quelli in corso.
Al momento infatti
ci sono tre bandi che aspettano di essere
conclusi per 550 posti. Il decreto prevede
che entro il 2012 siano espletate tutte le
procedure per la nomina dei professionisti
nei vari distretti che ne necessitano. In un
secondo momento, cioè entro il 31.12.2013, ci sarà un nuovo bando per altri 500
posti. Entro il 31.12.2014 toccherà ad
altri 470 notai. Così facendo, a giudizio
dell'esecutivo, ci saranno abbastanza
professionisti sul mercato da creare la
concorrenza necessaria.
Tuttavia, «per
assicurare il funzionamento regolare e
continuo dell'ufficio, il notaro deve tenere
nel comune o nella frazione assegnatagli
studio aperto con il deposito degli atti,
registri e repertori notarili, e deve
assistere personalmente allo studio stesso
almeno tre giorni a settimana e almeno uno
ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione
di comune aggregati».
Confidi. Nella maggioranza del capitale
sociale dei consorzi fidi e delle società
cooperative che esercitano l'attività di
garanzia collettiva fidi spazio ai liberi
professionisti. È quanto emerge dal decreto
che modifica il comma 7, del dl n. 201/2011
(cosiddetta «manovra Monti»), convertito
nella legge n. 214/2011. I consorzi di
garanzia collettiva dei fidi sono enti
costituiti nella veste giuridica di
cooperativa o società consortile, che
esercitano in forma mutualistica attività di
garanzia collettiva dei finanziamenti in
favore delle imprese socie o consorziate.
La
modifica introdotta estende la
partecipazione anche ai liberi
professionisti (soci) a prescindere
dall'attività esercitata che, insieme alle
piccole e medie imprese (Pmi), devono
detenere almeno la metà più uno dei voti
esercitabili in assemblea, con il diritto a
nominare gli organi con funzione di gestione
e controllo strategico, di cui al richiamato
art. 39, dl n. 201/2011
(articolo ItaliaOggi del 21.01.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Obbligo
di gara per selezionare i professionisti.
Conseguenza diretta della liberalizzazione
delle professioni sarà l'obbligatorietà di
procedure di gara da parte delle pubbliche
amministrazioni per selezionare i
professionisti cui affidare servizi,
compresi gli avvocati.
La bozza del decreto sulle liberalizzazioni
incide sulle professioni con due mosse. In
primo luogo, abroga tutte le tariffe
professionali, sia minime sia massime (resta
il dubbio se l'abrogazione coinvolga anche
le tariffe notarili: il testo attualmente
circolante si rivolge anche ai notai). In
secondo luogo, elemento maggiormente
importante per i comportamenti che dovranno
assumere le pubbliche amministrazioni,
introduce l'obbligo per tutti i
professionisti di concordare in forma
scritta con il cliente il preventivo per la
prestazione richiesta. Il decreto stabilisce
che la redazione del preventivo è un obbligo
deontologico del professionista, la cui
inottemperanza costituisce illecito
disciplinare.
Risulta a questo punto chiaro che se il
professionista è obbligato nei confronti di
ciascun cliente privato a presentare un
preventivo scritto, ciò deve valere a
maggior ragione per la pubblica
amministrazione.
Infatti, tutti i rapporti contrattuali per
gli enti pubblici debbono essere
regolamentati in forma scritta a pena di
nullità. Come il professionista ha l'obbligo
deontologico di fornire il preventivo,
simmetricamente l'amministrazione pubblica
deve pretenderlo, per adempiere ai doveri di
imparzialità e trasparenza.
La combinazione tra abolizione delle tariffe
e della necessità del preventivo rompe per
sempre il fronte della «fiduciarietà» di
alcuni tipi di incarichi professionali, tra
i quali soprattutto quelli ad avvocati.
Nonostante risulti chiarissimo da tempo, per
effetto dell'allegato II B, punto 21, del
codice dei contratti, che gli incarichi ad
avvocati non sono «incarichi» di consulenza
o collaborazione, tuttavia è rimasta forte
in dottrina e anche giurisprudenza la teoria
secondo la quale non si debbano rispettare i
canoni delle procedure di appalto, vista la fiduciarietà intrinseca al legame tra
avvocato e committente e in presenza di un
tariffario minimo.
L'obbligo del preventivo non può non indurre
le amministrazioni a considerare l'aspetto
economico come elemento o tra gli elementi
fondamentali per la scelta del
professionista.
È cura minima acquisire più di un preventivo
e impostare una procedura concorrenziale,
applicando le procedure comunque
semplificate previste per i contratti ai
quali non si applica interamente la
disciplina del codice dei contratti
dall'articolo 27 del codice stesso, oppure
il cottimo fiduciario ai sensi dell'articolo
125.
L'era dell'affidamento diretto intuitu
personae è destinata al definitivo tramonto,
tranne per casi da motivare di specifica
urgenza e necessità, indotte, nel caso degli
incarichi ai legali, dai termini
procedimentali previsti dalle leggi
processuali
(articolo ItaliaOggi del 20.01.2012). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
I rimborsi spese legali a seguito di archiviazione e/o
sentenze di assoluzione non debbono essere considerati
debiti fuori bilancio, ancorché non vi sia alcun impegno di
spesa formale.
Sul punto, il Collegio ritiene che
il
procedimento di rimborso sia composto da una serie di
valutazioni logicamente connesse tra loro, che vanno dalla
richiesta dei diretti interessati corredata dalla
documentazione giustificativa, alla verifica da parte
dell’ente della sussistenza di tutti i presupposti richiesti ex lege per il rimborso.
L’eventuale decisione del rimborso può
essere adottata solo all’esito di tali valutazioni, da
formalizzare in un provvedimento gestionale che dia contezza
–attraverso adeguata motivazione- della sussistenza delle
condizioni sopra citate.
Solo in tale ipotesi può nascere
l’eventuale obbligazione per l’ente che, divenutone soggetto
passivo, può procedere con riferimento alle somme ritenute
congrue ad adottare impegno contabile sul bilancio
dell’esercizio in corso, coerentemente con il principio di
competenza finanziaria, ex artt. 183 e 191 del TUEL.
---------------
... il Sindaco del Comune di Castellammare del Golfo chiede
di sapere:
1. se i rimborsi spese legali a seguito di archiviazione
e/o sentenze di assoluzione debbano essere considerati
debiti fuori bilancio –atteso che non vi è alcun impegno di
spesa formale-;
2. se rientrano nell’ipotesi di cui all’art. 194, c. 1,
lett. a), del D.Lgs. n. 267/2000;
3. se l’eventuale delibera di riconoscimento di debito
fuori bilancio debba essere considerata dal Consiglio
comunale come mero atto ricognitorio (delibera SSRR per
la Regione siciliana in sede consultiva n. 2/2005) che
presuppone a priori il pagamento con apposita determinazione
dirigenziale o se invece debba soggiacere all’esclusiva
competenza consiliare.
...
Venendo al merito, con il primo quesito, il comune
chiede se il rimborso delle spese legali, ove ammissibile
ex lege, costituisca debito fuori bilancio, vista
l’assenza di formale impegno di spesa.
Sul punto, il Collegio ritiene che il
procedimento di rimborso sia composto da una serie di
valutazioni logicamente connesse tra loro, che vanno dalla
richiesta dei diretti interessati corredata dalla
documentazione giustificativa, alla verifica da parte
dell’ente della sussistenza di tutti i presupposti richiesti
ex lege per il rimborso
(che, con riferimento ai casi prospettati, esula dal
presente quesito e compete esclusivamente all’ente, in
possesso dei necessari elementi documentali e conoscitivi).
L’eventuale decisione del rimborso può
essere adottata solo all’esito di tali valutazioni, da
formalizzare in un provvedimento gestionale che dia contezza
–attraverso adeguata motivazione- della sussistenza delle
condizioni sopra citate.
Solo in tale ipotesi può nascere
l’eventuale obbligazione per l’ente che, divenutone soggetto
passivo, può procedere con riferimento alle somme ritenute
congrue ad adottare impegno contabile sul bilancio
dell’esercizio in corso, coerentemente con il principio di
competenza finanziaria, ex artt. 183 e 191 del TUEL
(in termini, Cfr. Sezione di controllo per la Lombardia,
delibera n. 514/2010/PAR).
Non rientrando la fattispecie astrattamente prospettata
nella fattispecie del debito fuori bilancio (peraltro
oggetto di ampia revisione interpretativa da parte delle
Sezioni Riunite per la Regione siciliana in sede di
controllo nella relazione sullo stato della finanza locale
2011), restano assorbiti i quesiti n. 2 e 3 (Corte
dei Conti, Sezz. riunite controllo Sicilia,
parere 12.01.2012 n. 2). |
INCARICHI PROGETTUALI:
È illegittimo l’affidamento
fiduciario dell’intervento esecutivo al
medesimo progettista dell’intervento
preliminare.
Tale modus operandi è in contrasto con i
principi europei di trasparenza, di
correttezza e di libera concorrenza ed è
stato pertanto stigmatizzato dal TAR
Campania-Napoli, Sez. II, nella
sentenza 03.01.2012 n. 6.
Il Collegio giudicante conforta il proprio
orientamento richiamando in punto di
diritto:
a) la circolare 06.06.2002, n. 8756 della
Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento per le politiche comunitarie
(G.U. n. 178 del 31.07.2002), nel punto
in cui si afferma come le pubbliche
amministrazioni, che intendono stipulare
contratti non regolamentati sul piano
europeo, pur non essendo vincolate da regole
analitiche in punto di pubblicità e di
procedura, siano comunque tenute ad
osservare, alla stregua dei principi di
diritto europeo, criteri di condotta che, in
proporzione alla rilevanza economica della
fattispecie ed alla sua pregnanza sotto il
profilo della concorrenza nel mercato
comune, consentano senza discriminazioni su
base di nazionalità e di residenza, a tutte
le imprese interessate di venire per tempo a
conoscenza dell’intenzione amministrativa di
stipulare il contratto e di giocare le
proprie chances competitive attraverso la
formulazione di un’offerta appropriata;
b) la primauté del diritto europeo ora
cristallizzata dal nuovo testo dell’art.
117, primo
comma, della Costituzione;
c) le determinazioni dell’Autorità di
Vigilanza dei lavori pubblici, nel punto in
cui ha censurato affidamenti di singoli
livelli progettuali, in epoche diverse ed al
medesimo professionista, affidamento che dev’essere
adeguatamente motivato per non risultare un
“frazionamento artificioso”, potenzialmente
elusivo delle regole applicabili
all’affidamento considerato nella sua
globalità (determinazioni
18/2001,
27/2002,
30/2002 e deliberazioni
328/2002 e
176/2003);
d) gli indirizzi espressi dal Consiglio di
Stato che in ripetute occasioni ha escluso
la possibilità per le Amministrazioni
appaltanti di rinegoziare con il soggetto
prescelto come contraente alcune condizioni
di esecuzione dei contratti aggiudicati in
esito a procedure concorsuali.
In
particolare, i giudici di Palazzo Spada
hanno negato la possibilità di modificare
l’oggetto del contratto di affidamento di un
servizio o di una fornitura o della
realizzazione di un’opera, perché vi è
palese violazione delle regole di
concorrenza e parità di condizioni tra i
partecipanti alla gara, concretandosi,
pertanto, un illegittimo esercizio della
funzione amministrativa, in palese contrasto
con le norme in tema di procedure di
evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. V,
sent. 6281/2002; Consiglio di Stato, sez. IV,
sent. n. 1544/2003).
Non si può, in altri termini, alterare il
contesto di rigore e di imparzialità entro
cui, conformemente alla normativa generale e
speciale di riferimento, necessariamente
deve svolgersi la competizione e di cui
resta unicamente garante proprio la stessa
Amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, il conferimento di un ulteriore
incarico professionale di progettazione di
opere pubbliche, mediante affidamento
diretto o fiduciario, c.d. “intuitu personae”,
completamente svincolato da qualsiasi iter
procedimentale, appare in contrasto con i
principi di trasparenza, di correttezza e di
libera concorrenza tra gli operatori, nonché
in contrasto con il Codice dei contratti, di
cui al D.Lgs. 163/2006, che all’art. 91
prevede la regola dell’affidamento
effettuato sulla base di un procedimento di
evidenza pubblica (commento tratto da
www.diritto.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it e
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
D. Immordino,
Presupposti di legittimità per l’affidamento
di incarichi professionali esterni - Corte
dei Conti Sez. Giurisdizionale per il Lazio,
con sentenza 18.11.2011 n. 1619
(link a www.diritto.it). |
anno 2011 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
G. G.A. Dato, Incarichi
professionali: obbligatoria l’evidenza
pubblica? Rimane divisa la giurisprudenza
sulle modalità di “affidamento” degli
incarichi professionali.
La sentenza del
TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 31.12.2011 n. 1680
racchiude una decisa presa di posizione
sulla vexata quaestio della necessità
(o meno) per il soggetto pubblico tenuto
all’osservanza della c.d. evidenza pubblica
di stimolare il confronto concorrenziale
prima di conferire un incarico
professionale.
Sulla questione la giurisprudenza appare
divisa, probabilmente in conseguenza delle
dissensiones che caratterizzano a
monte la stessa qualificazione (in termini
di appalto o meno) del rapporto negoziale
fra soggetto pubblico e libero
professionista.
Sono tre le tesi avanzate in giurisprudenza
sulla questione che ci occupa:
a)
secondo un primo orientamento, gli incarichi
ai liberi professionisti vanno qualificati
come contratti di lavoro autonomo, e non
appalti; la disciplina che li governa è,
quella dell’art. 7, comma 6 e ss., Dlgs n.
165/2001, il quale rinvia alla normativa
degli artt. 2222 e ss. c.c., in tema di
prestazione d’opera (Cons. Stato, sez. IV,
n. 263/2008);
b)
secondo altra ricostruzione (Tar Napoli,
sez. II, n. 4855/2008; Corte dei conti, sez.
reg. contr. Lombardia, delib. n.
29/pareri/2008; Corte dei conti, sez. reg.
contr. Calabria, delib. n. 144/2008; Corte
dei conti, sez. reg. contr. Veneto, delib.
n. 7/2009) l’affidamento diretto di un
incarico professionale viola i principi
costituzionali di buon andamento e
trasparenza e quelli comunitari di non
discriminazione, parità di trattamento,
pubblicità e proporzionalità, recepiti dal
citato art. 7 del Dlgs n. 165/2001, nel
testo novellato dall’art. 32 del Dl n.
223/2006 (c.d. decreto Bersani), conv. con
legge n. 248/2006, che impone alle PA
l’obbligo di concorrenza per il conferimento
degli incarichi (cfr. circolare del
ministero della Funzione pubblica n. 2
dell’11.03.2008), anche ove l’importo del
compenso sia inferiore alle soglie
comunitarie.
È stato osservato, altresì, che elementari e
indefettibili canoni di legalità impongono
alla PA che si determini a ricercare sul
libero mercato le forniture (di servizi,
beni, lavori, mano d’opera e collaborazione
professionale) di cui ha bisogno per il suo
funzionamento, di agire in modo imparziale e
trasparente, predefinendo criteri di
selezione e assicurando un minimo di
pubblicità e un minimo di concorso dei
soggetti interessati e titolati a stipulare
il contratto (Tar Napoli, sez. V, n.
382/2008);
c)
secondo una tesi intermedia (Corte dei
conti, sez. reg. contr. Basilicata, parere
n. 19/2009, con riferimento al caso degli
incarichi ai legali), la disciplina
riguardante gli appalti di servizi si
applica nella sola ipotesi in cui, insieme
all’esercizio della difesa, siano richieste
ulteriori prestazioni; dunque, la sola
prestazione del patrocinio è oggetto di un
contratto di prestazione d’opera
intellettuale che rientra nella disciplina
dell’art. 19, comma 1, lett. e), del Dlgs n.
163/2001, a mente del quale i contratti di
lavoro sono da considerare interamente
esclusi dal campo di applicazione del c.d.
codice dei contratti (cfr. anche Tar Lecce,
sez. II, n. 5053/2006, e Tar Reggio
Calabria, sez. I, n. 330/2007, che hanno
ritenuto applicabile la disciplina
codicistica in materia di appalti in caso di
affidamento di un’articolata attività
legale, che comprende l’assistenza e la
consulenza, oltre l’eventualità del
patrocinio legale).
La decisione in commento rafforza
l’orientamento proconcorrenziale: non
sussiste ragione alcuna che giustifichi un
affidamento diretto dell’incarico
professionale, dovendo l’ente rispettare le
regole procedurali dell’evidenza pubblica
(tratto da Diritto e Pratica
Amministrativa n. 2/2012). |
COMPETENZE GESTIONALI - INCARICHI
PROFESSIONALI:
Delibera della Giunta comunale
con cui si affida un incarico professionale.
Illegittimità per omesso esperimento di una
procedura di evidenza pubblica e per
incompetenza dell’esecutivo comunale.
E’ illegittima una deliberazione con la
quale la Giunta comunale ha affidato ad un
ingegnere, in via diretta, l’incarico
professionale per la realizzazione del piano
strutturale comunale; detto provvedimento,
infatti, da una parte, in ossequio ai
principi generali di concorrenza "per il
mercato", avrebbe dovuto essere adottato
dall’ente locale rispettando le regole che
presiedono allo svolgimento delle procedure
di evidenza pubblica e, dall’altra, è
illegittimo per incompetenza della Giunta in
quanto, pur trattandosi di una attività di
gestione, gli atti del procedimento sono
stati adottati non dall’organo burocratico
ma dall’organo politico, con conseguente
violazione dell’art. 107 del D.lgs. n. 267
del 2000 (Testo unico sull’ordinamento degli
enti locali) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 31.12.2011 n. 1680 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi di collaborazione esterna.
Torna sull'argomento la Corte dei Conti,
Sez. I Appello Giurisdiz.
Centrale che, con
sentenza
27.12.2011 n. 577, illustra la normativa e la
prassi giurisprudenziale in tema di
conferimento di incarichi di collaborazione
da parte delle pubbliche amministrazioni (tratto da www.publika.it
- link a www.corteconti.it).
---------------
I presupposti di
legittimità per il conferimento
dell'incarico o la stipula del contratto di
collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle
competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e
determinati; si tratta, cioè, di perseguire
obiettivi e progetti specifici
contenutisticamente e temporalmente
predeterminati e non determinati in modo del
tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da
parte dell'amministrazione conferente,
dell'impossibilità oggettiva di utilizzare
le risorse umane disponibili al proprio
interno; dunque, la previa verifica
organizzativa, puntuale e documentata, della
quale occorre dare conto nella lettera di
incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura
temporanea, con conseguente necessaria
predeterminazione del termine di scadenza,
per cui non sono consentiti incarichi
generici rinnovabili a tempo indefinito; per
questo, si richiede che vengano
preventivamente definiti gli elementi
essenziali del contratto, in modo da
delineare ex ante il perimetro dei
principali diritti e obblighi dei
contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere
"altamente qualificata"; dunque, la qualità
della professionalità coinvolta deve
chiaramente risultare da un apposito
procedimento di verifica di evidenza
pubblica, idoneo a dimostrare erga omnes la
specifica esperienza del soggetto incaricato
nell'attività dedotta in contratto.
Poiché
a tutte le pubbliche amministrazioni si
applicano, in materia di incarichi a
soggetti esterni, i limiti previsti
dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n.
165/2001, una volta individuata la necessità
di affidare incarichi all'esterno, la
singola amministrazione, nel rispetto dei
principi di imparzialità e buon andamento
sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare
che l'incarico venga assegnato ad esperti di
particolare e comprovata esperienza, abbia
una durata limitata nel tempo, un oggetto
ben determinato e deve predeterminare
l'entità del compenso e l'onere di spesa.
Ancora, è stata affermata chiaramente
l’impossibilità di ricorrere a rapporti di
collaborazione esterna per attività
ordinarie, con la conseguente illegittimità
dei contratti stipulati in violazione di
tali presupposti e conseguente
responsabilità erariale per gli indebiti
costi gravanti sull'ente.
Con la sentenza in epigrafe il geom. ... è
stato condannato a risarcire il comune di
Sant’Arcangelo (PZ) della somma di €
10.000,00, oltre le spese del giudizio,
corrispondente al 50% del danno che sarebbe
stato prodotto all’ente locale medesimo in
relazione ad un incarico, ritenuto
illegittimo e parzialmente inutile, che era
stato affidato dall’interessato ad un
professionista esterno.
In particolare, l’appellante, nella sua
qualità di responsabile dell’area tecnica
del comune, aveva predisposto e sottoposto
all’approvazione della Giunta il piano
economico-finanziario di attuazione di un
progetto (“Casa sicura”) nell’ambito
dei Programmi Integrativi di Conservazione –
cc.dd. “PIC” - finanziati dalla regione
Basilicata, con la previsione anche
dell’eventuale ricorso a personale esterno.
Nella fattispecie l’appellante, adducendo
carenze di organico, assenza di personale
laureato ed eccessivo carico di lavoro, con
proprio provvedimento aveva affidato un
incarico di consulenza ad un architetto,
libero professionista, che avrebbe dovuto
supportare la prevista attività in progetto.
Di fatto, tale attività era stata svolta da
un geometra (collaboratore in convenzione
con l’affidatario dell’incarico) e si era
risolta in una mera predisposizione di
tabelle e tabulati, che secondo il Giudice
qualunque geometra interno (dei quattro a
disposizione dell’ente) avrebbe potuto
agevolmente svolgere. Di qui, la riscontrata
responsabilità dell’appellante e la sua
condanna, con riduzione del 50%
dell’addebito ipotizzato in citazione; ciò,
da un lato per il parziale concorso della
giunta municipale nella causazione del danno
-con l’acritica approvazione della proposta
avanzata dal sig. ...– e, sotto altro
profilo, per una qualche utilità, comunque
riconosciuta dal primo Giudice al lavoro
svolto.
...
Ritiene questo Collegio opportuno, prima di
affrontare l’esame del merito, illustrare la
normativa e la prassi giurisprudenziale in
tema di conferimento di incarichi di
collaborazione da parte di pubbliche
amministrazioni.
In passato, le norme non disciplinavano in
via generale la fattispecie, se non per casi
particolari: cfr. l'art. 380 del D.P.R.
10.01.1957, n. 3 - T.U. sugli impiegati
civili dello Stato, che regolamentava gli
incarichi conferiti dai ministri a
professori universitari ed esperti di
analoga qualificazione. Altre normative
specifiche, vietavano poi in determinate
ipotesi il conferimento di incarichi
esterni: si citano, al riguardo, l'art. 1
del D.P.R. 28.05.1981, n. 247; l'art. 1 del
d.l. 26.11.1981, n. 678, conv. con legge
26.01.1982, n. 12, sul blocco degli organici
delle USL; infine, l'art. 14, comma 8, della
legge 20.05.1985, n. 207, recante la
disciplina transitoria per l'inquadramento
del personale non di ruolo delle USL.
Le riforme recenti -tanto quelle riguardanti
gli enti locali, quanto le norme generali
sull'organizzazione dei pubblici uffici- si
sono preoccupate, opportunamente, di
disciplinare la fattispecie, con la
fissazione di regole e princìpi che peraltro
già da diversi anni avevano trovato ampia
considerazione nella giurisprudenza
contabile.
La prima disposizione di legge in materia,
in ordine di tempo, è stata dettata per gli
enti locali dall'art. 51 della legge
08.06.1990, n. 142, come modificato dalla
legge 15.05.1997, n. 127; la norma è stata
poi trasfusa nell’art. 110 del T.U. n.
267/2000.
Per la generalità degli enti pubblici, opera
invece l'art. 7, c. 6, del decreto
legislativo 30.03.2001, n. 165 (già D.lgs.
03.02.1993, n. 29), che consente alle
amministrazioni pubbliche di conferire
incarichi individuali ad esperti di provata
competenza e per esigenze cui non possano
fra fronte con le risorse interne. Le
relative attribuzioni spettano ai dirigenti
i quali, sulla scorta proprio della riforma
in tema di organizzazione del lavoro
pubblico hanno assunto un ruolo diverso, con
la conseguente assunzione dei poteri del
privato datore di lavoro nella gestione
delle risorse umane e più in generale
nell’organizzazione degli uffici.
La crescita del fenomeno e l’utilizzo
improprio delle collaborazioni negli ultimi
anni, hanno successivamente portato il
legislatore, in sede di legge finanziaria
-v. gli artt. 34 della legge 27.12.2002, n.
289 e 3 della legge 24.12.2003, n. 350- ad
intervenire in materia con disposizioni
restrittive ai fini del contenimento della
spesa; sempre al medesimo scopo di contenere
le relative spese, l’articolo 1, commi 9 e
11 del d.l. 12.07.2004, n. 168, convertito
con legge 30.07.2004, n. 191, poneva un
limite alla spesa per gli incarichi per le
regioni, le province e i comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti,
prevedendo altresì che l’affidamento
d’incarichi, in assenza dei presupposti
stabiliti dall’articolo 1, comma 9, “…
costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”.
In ordine a tale normativa è intervenuta la
circolare della Funzione pubblica n. 4 del
15.07.2004, nella quale si afferma (in piena
sintonia con la giurisprudenza della Corte
dei conti nella materia, puntualmente
richiamata) che la possibilità di ricorrere
a rapporti di collaborazione sussiste solo
per prestazioni di elevata professionalità,
contraddistinte da una elevata autonomia nel
loro svolgimento, tale da caratterizzarle
quali prestazioni di lavoro autonomo;
l’affidamento dell’incarico a terzi può
dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui
l’amministrazione non sia in grado di far
fronte ad una particolare e temporanea
esigenza con le risorse professionali
presenti in quel momento al suo interno.
Le disposizioni dei commi 9 e 11
dell’articolo 1 della legge n. 191/2004
hanno cessato di essere in vigore il
31.12.2004 e sono state sostituite, a
decorrere dall'01.01.2005, dall’articolo 1,
commi 11 e 42, della legge 30.12.2004, n.
311 (legge finanziaria 2005), il cui
contenuto è stato peraltro illustrato dalle
SS.RR. della Corte dei conti, con
deliberazione n. 6/2005, “Linee di
indirizzo e criteri interpretativi sulle
disposizioni della legge 30.12.2004, n. 311
(finanziaria 2005) in materia di affidamento
d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di
consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”.
Più in particolare il comma 11, che si
applica alle pubbliche amministrazioni di
cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. n.
165/2001, dispone che il conferimento
dell’incarico deve essere adeguatamente
motivato ed “… è possibile soltanto nei
casi previsti dalla legge ovvero nelle
ipotesi di eventi straordinari”.
Il comma 42, che si applica agli enti locali
con popolazione superiore a 5.000 abitanti,
prevede analoghi principi (“L’affidamento
da parte degli enti locali di incarichi di
studio o di ricerca, ovvero di consulenze a
soggetti estranei all’amministrazione, deve
essere adeguatamente motivato con specifico
riferimento all’assenza di strutture
organizzative o professionalità interne
all’ente in grado di assicurare i medesimi
servizi, ad esclusione degli incarichi
conferiti ai sensi della legge 11.02.1994,
n. 109, e successive modificazioni.
In ogni caso l’atto di affidamento di
incarichi e consulenze di cui al primo
periodo deve essere corredato della
valutazione dell’organo di revisione
economico-finanziaria dell’ente locale e
deve essere trasmesso alla Corte dei conti.
L’affidamento di incarichi in difformità
dalle previsioni di cui al presente comma
costituisce illecito disciplinare e
determina responsabilità erariale”).
Insomma, il principio generale in materia è
quello secondo cui le amministrazioni
pubbliche possano conferire incarichi
esterni solo nei casi eccezionali sopra
ricordati.
Il D.L. n. 223/2006, conv. con L. n.
248/2006 e la legge finanziaria n. 244/2007
per l’anno 2008 (legge 24.12.2007, n. 244,
art. 3, commi da 54 a 57 e 76), con diverse
disposizioni, hanno definito ulteriormente
il già articolato regime delle
collaborazioni esterne nella P.A.,
consolidando la tendenza a limitare il
ricorso a tali tipologie contrattuali ad
ipotesi eccezionali e, indirettamente,
costituendo i presupposti per una riduzione
della spesa correlata, con apposita modifica
del testo dell’art. 7 D.Lgs. n. 165/2001. I
principi recati da tali ultime normative
–che hanno confermato e, anzi, ulteriormente
delimitato quelli già in vigore– sono stati
oggetto anch’essi di apposita deliberazione
della Corte dei conti, Sez. autonomie, n.
6/2008, che ha precisato i relativi criteri
interpretativi.
In anni ancor più recenti si è poi assistito
ad un profluvio di interventi legislativi in
materia di incarichi, spesso scoordinati e a
poca distanza di tempo tra di loro, sempre
mossi dalla preoccupazione di contenere il
fenomeno (e la relativa spesa pubblica);
sono intervenute in materia (tra le altre)
pressoché tutte le ultime leggi finanziarie,
il decreto c.d. Bersani (D.L. n. 223/2006,
convertito con L. n. 248/2006), il decreto
sullo sviluppo economico (D.L. 112/2008,
conv. con legge n. 133/2008), il decreto
legislativo n. 150/2009, la manovra
economica di cui al D.L. n. 78/2010, conv.
con L. n. 122/2010, etc.. Il legislatore ha
tentato di volta in volta –sempre allo scopo
di contenere e scoraggiare il fenomeno- di
meglio precisare i presupposti e le
condizioni che possono legittimare le
amministrazioni pubbliche a ricorrere agli
incarichi esterni; ha imposto svariati oneri
di pubblicità e comunicazione per le
amministrazioni; ha, infine, stabilito
severi limiti alla relativa spesa.
Per quel che riguarda invece la posizione
della giurisprudenza, va evidenziato come il
conferimento di incarichi di consulenza a
soggetti esterni all'amministrazione abbia
costituito, e costituisca tuttora, una
fattispecie ricorrente in tema di
responsabilità amministrativa.
Molte, tra le pronunzie più recenti, hanno
provveduto a chiarire in via generale la
portata delle norme in materia, e i
corrispondenti limiti alla possibilità, per
le amministrazioni pubbliche, del ricorso a
tali forme di collaborazione.
E’ stato evidenziato, in proposito, che le
pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di
far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse
umane e professionali esistenti nell'ambito
delle proprie strutture, e il ricorso ad
incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo in
presenza delle condizioni previste dalle
disposizioni legislative in materia (in
particolare, l’art. 7 D.L.vo n. 165/2001,
cit.), che esprimono principi di stretta
interpretazione (Corte dei conti, Sez. II
app., 26.08.2008, n. 363).
Più in generale, molte decisioni hanno
provveduto a ribadire che i presupposti di
legittimità per il conferimento
dell'incarico o la stipula del contratto di
collaborazione sono così schematizzabili:
1) l'oggetto deve essere corrispondente alle
competenze attribuite dall'ordinamento
all'amministrazione conferente e ad
obiettivi e progetti specifici e
determinati; si tratta, cioè, di perseguire
obiettivi e progetti specifici
contenutisticamente e temporalmente
predeterminati e non determinati in modo del
tutto generico ab origine;
2) occorre il preventivo accertamento, da
parte dell'amministrazione conferente,
dell'impossibilità oggettiva di utilizzare
le risorse umane disponibili al proprio
interno; dunque, la previa verifica
organizzativa, puntuale e documentata, della
quale occorre dare conto nella lettera di
incarico o nel contratto di collaborazione;
3) la prestazione deve essere di natura
temporanea, con conseguente necessaria
predeterminazione del termine di scadenza,
per cui non sono consentiti incarichi
generici rinnovabili a tempo indefinito; per
questo, si richiede che vengano
preventivamente definiti gli elementi
essenziali del contratto, in modo da
delineare ex ante il perimetro dei
principali diritti e obblighi dei
contraenti:
4) infine, la prestazione deve essere "altamente
qualificata"; dunque, la qualità della
professionalità coinvolta deve chiaramente
risultare da un apposito procedimento di
verifica di evidenza pubblica, idoneo a
dimostrare erga omnes la specifica
esperienza del soggetto incaricato
nell'attività dedotta in contratto (Corte
dei conti, Sez. I app., 02.09.2008 n. 393;
Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642 e
10.03.2006, n. 172; Sez. reg. Friuli-Venezia
Giulia, 28.01.2008, n. 41; Sez. reg.
Basilicata, 16.10.2008, n. 252).
E’ stato ancora precisato che, poiché a
tutte le pubbliche amministrazioni si
applicano, in materia di incarichi a
soggetti esterni, i limiti previsti
dall'art. 7, comma 6, del D.Lgs. n.
165/2001, una volta individuata la necessità
di affidare incarichi all'esterno, la
singola amministrazione, nel rispetto dei
principi di imparzialità e buon andamento
sanciti dall'art. 97 Cost., deve accertare
che l'incarico venga assegnato ad esperti di
particolare e comprovata esperienza, abbia
una durata limitata nel tempo, un oggetto
ben determinato e deve predeterminare
l'entità del compenso e l'onere di spesa
(Corte dei conti, Sez. reg. Lombardia,
05.03.2007, n. 141, 08.05.2009, n. 324 e
09.07.2009, n. 473).
Ancora, è stata affermata chiaramente
l’impossibilità di ricorrere a rapporti di
collaborazione esterna per attività
ordinarie, con la conseguente illegittimità
dei contratti stipulati in violazione di
tali presupposti e conseguente
responsabilità erariale per gli indebiti
costi gravanti sull'ente (Corte dei conti,
Sez. reg. Lombardia, 20.10.2009, n. 642). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Il quesito posto dal Comune, afferisce agli
oneri derivanti da eventuale copertura
assicurativa per i danni arrecati durante
l’espletamento degli incarichi tecnici.
Il Codice dei contratti impone ai
professionisti esterni la stipula di
apposita polizza, mentre nulla dispone per
gli incarichi di direzione lavori,
coordinatore della sicurezza e collaudo
(anche se nulla esclude che le
amministrazioni, in sede di bando di gara o
capitolato, possano imporre ai
professionisti esterni, nei limiti della
proporzionalità alla natura e complessità
dell’incarico affidato, la stipula di
apposita polizza a copertura dei rischi
professionali).
---------------
- il Codice dei
contratti ed il Regolamento attuativo non
impongono al Comune di sostenere la spesa
della polizza per la copertura assicurativa
dei rischi derivanti dalla responsabilità
civile per i danni arrecati a terzi da
propri dipendenti incaricati della funzione
di responsabile unico del procedimento,
direzione lavori, coordinamento per la
sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù
dell’espressa previsione legislativa (art.
90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs.
163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n.
207/2010), per i dipendenti interni
incaricati della progettazione e nella
misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del
Contratto collettivo nazionale, può
stipulare apposita copertura assicurativa
per i rischi derivanti da responsabilità
civile professionale verso terzi di propri
dipendenti, purché e nei limiti in cui gli
incarichi di RUP (e responsabile del
procedimento ai sensi della legge n.
241/1990), direzione lavori, coordinatore
per la sicurezza e collaudatore siano
ricompresi negli incarichi per i quali, ai
sensi del predetto CCNL, può essere
stipulata, con oneri a carico del Comune,
apposita polizza assicurativa (si rinvia
agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del
CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e
autonomie locali).
Rimane fermo che un ente pubblico può
assicurare quei rischi che rientrino nella
sfera della propria responsabilità
patrimoniale e che trasferiscano
all'assicuratore la responsabilità
patrimoniale stessa, mentre sarebbe priva di
giustificazione e, come tale, causativa di
danno erariale, l'assicurazione di eventi
per i quali l'ente non deve rispondere e che
non rappresentano un rischio per l'ente
medesimo.
L’art. 90
del d.lgs. 163/2006 (c.d. Codice dei
contratti pubblici) prevede che le
prestazioni relative alla progettazione
preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché
alla direzione dei lavori ed agli incarichi
di supporto tecnico-amministrativo alle
attività del responsabile del procedimento e
del dirigente competente alla formazione del
programma triennale dei lavori pubblici sono
espletate, fra gli altri, dagli uffici
tecnici delle stazioni appaltanti (oltre che
da professionisti esterni, singoli o
associati, e da società di ingegneria).
Nel caso in cui i progetti siano redatti da
tecnici interni, la norma sopra citata
dispone che siano firmati da dipendenti
delle amministrazioni abilitati
all'esercizio della professione (di
ingegnere, architetto, geometra, etc.),
senza richiedere l’iscrizione ai pertinenti
albi professionali (che pertanto non è
necessaria ai fini della firma dei progetti
e, in generale, delle attività tecniche
espletate da personale interno).
Analoga previsione si ritrova per la figura
del responsabile unico del procedimento (RUP),
per il quale la legge non richiede
esplicitamente neppure l’abilitazione
professionale (l’art. 10 d.lgs. 163/2006
dispone che “deve possedere titolo di
studio e competenza adeguati in relazione ai
compiti per cui è nominato”, precisando
che “per i lavori e i servizi attinenti
all’ingegneria e all’architettura deve
essere un tecnico” e che “il
regolamento determina i requisiti di
professionalità richiesti”).
Per il direttore dei lavori l’art. 130 del
d.lgs. 163/2006 non specifica le
abilitazioni professionali richieste ai
dipendenti interni ed ai professionisti
esterni, anche se sulla scorta di compiti e
funzioni affidate dal Regolamento (cfr.
artt. 147 e seguenti DPR n. 207/2010) appare
necessario il possesso di idonea
abilitazione professionale (fra l’altro
trattasi di attività che può espletare
cumulativamente anche il RUP o il
progettista, figure per le quali il
legislatore, come visto, ai sensi di legge,
richiede necessariamente una qualifica
tecnica).
Anche per l’attività di collaudo gli artt.
120 e 141 del d.lgs. 163/2006 non impongono
particolari requisiti professionali ai
soggetti incaricati, mentre l’art. 216 del
Regolamento prevede che costituisce
requisito abilitante l'essere laureato in
ingegneria, architettura, e, limitatamente a
un solo componente della commissione, in
geologia, scienze agrarie e forestali.
Richiede inoltre l'abilitazione
all'esercizio della professione, mentre
esclude espressamente, per i dipendenti
delle amministrazioni aggiudicatrici,
l'iscrizione ai rispettivi albi
professionali.
Appare opportuno precisare che i dipendenti
interni incaricati delle attività
sopraindicate hanno diritto a percepire, per
compensare i maggiori oneri ed i rischi
derivanti dall’espletamento di tale
attività, oltre la normale retribuzione
contrattuale, uno specifico incentivo pari
al due per cento dell’importo dell’opera
posto a base di gara (art. 92, comma, 5
d.lgs. 163/2006).
Venendo al tema centrale del quesito posto
dal Comune, afferente gli oneri derivanti da
eventuale copertura assicurativa per i danni
arrecati durante l’espletamento degli
incarichi tecnici in discorso, il Codice dei
contratti impone ai professionisti esterni
(incaricati delle attività di supporto al
RUP, progettazione e verifica/validazione
dei progetti, cfr. artt. 10, comma 7, 111,
112 d.lgs. 163/2006) la stipula di apposita
polizza, mentre nulla dispone per gli
incarichi di direzione lavori, coordinatore
della sicurezza e collaudo (anche se nulla
esclude che le amministrazioni, in sede di
bando di gara o capitolato, possano imporre
ai professionisti esterni, nei limiti della
proporzionalità alla natura e complessità
dell’incarico affidato, la stipula di
apposita polizza a copertura dei rischi
professionali).
Mentre, per quanto riguarda le attività
espletate da personale interno, in virtù del
rapporto di servizio che lega questi ultimi
all’ente pubblico appaltante, solo l’art.
90, comma 5, del d.lgs. 163/2006, in tema di
progettazione, prevede che “il
regolamento definisce i limiti e le modalità
per la stipulazione per intero, a carico
delle stazioni appaltanti, di polizze
assicurative per la copertura dei rischi di
natura professionale a favore dei dipendenti
incaricati della progettazione”. Analoga
previsione è stata poi inserita per il
personale interno incaricato dell’attività
di verifica della progettazione (cfr. art.
112, comma 4-bis, del d.lgs. 163/2006,
introdotto con la novella del d.lgs.
152/2008).
In virtù della richiamata delega
legislativa, l’art. 270 del Regolamento DPR
n. 207 del 05.10.2010 ha previsto che “qualora
la progettazione sia affidata a proprio
dipendente, la stazione appaltante provvede,
a fare data dal contratto, a contrarre
garanzia assicurativa per la copertura dei
rischi professionali, sostenendo l'onere del
premio con i fondi appositamente accantonati
nel quadro economico di ogni singolo
intervento ovvero ricorrendo a stanziamenti
di spesa all'uopo previsti dalle singole
stazioni appaltanti. L'importo da garantire
non può essere superiore al dieci per cento
del costo di costruzione dell'opera
progettata e la garanzia copre, oltre ai
rischi professionali, anche il rischio per
il maggior costo per le varianti di cui
all'articolo 132, comma 1, lettera e), del
codice”.
Analoga disposizione non si ritrova, invece,
né nel Codice né tantomeno nel Regolamento,
per le altre eventuali attività tecniche
funzionali all’aggiudicazione ed esecuzione
di un contratto d’appalto di lavori affidate
ed espletate da personale interno (si
rinvia, per l’attività di RUP e coordinatore
sicurezza in fase di progettazione, agli
artt. 10 del Codice e 9-10 del Regolamento;
per la direzione lavori ed il coordinamento
per la sicurezza durante l’esecuzione agli
artt. 130 del Codice e 147-151 del
Regolamento; per il collaudo gli artt. 120 e
141 del Codice e 216 del Regolamento).
In maniera similare, anche all’interno della
legge generale sul procedimento
amministrativo (legge n. 241 del 07.08.1990)
non si ritrova alcuna disposizione che
imponga la stipula, con oneri a carico
dell’amministrazione, di contratti di
assicurazione che coprano il rischio dei
danni arrecati a terzi per responsabilità
civile del personale interno (in
particolare, in questo caso, del
responsabile del procedimento individuato ai
sensi dell’art. 5 della legge n. 241/1990).
Pertanto le uniche norme di legge che
impongano alle amministrazioni
aggiudicatrici di stipulare apposita
copertura assicurativa a favore dei
dipendenti incaricati di attività tecnica
inerente l’aggiudicazione ed esecuzione di
lavori pubblici, sono quelle dettate in tema
di progettazione e verifica dei progetti (ai
citati artt. 90, comma 5, e 112, comma 4
bis, del Codice ed all’art. 270 del
Regolamento attuativo).
L’art. 90, comma 5, del d.lgs. 163/2006,
infatti, in considerazione della
responsabilità solidale del dipendente con
l’amministrazione per i danni arrecati a
terzi nell’esecuzione dell’incarico di
progettazione (cfr. art. 28 Costituzione,
art. 22 del DPR n. 3/1957 Testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato, art. 93 comma
1 del TUEL d.lgs. 267/2000), solleva il
dipendente tecnico dal rischio di dover
corrispondere a terzi il risarcimento dei
danni derivanti dall’attività svolta per
conto della stazione appaltante e ne
trasferisce invece l’onere
all’amministrazione, che ha comunque
interesse alla stipula della prevista
polizza assicurativa in quanto responsabile
anch’essa verso i terzi danneggiati.
La sopra citata norma non prevede e
disciplina, invece, come esposto più avanti,
alcuna tutela assicurativa contro il rischio
del risarcimento dei danni causati dal
dipendente, non a terzi ma
all’amministrazione, con dolo o colpa grave
(in coerenza agli artt. 18-21 del DPR n.
3/1957, 93 del TUEL d.lgs. 267/2000, 1 della
legge n. 20/1994).
La previsione, frutto di una precisa opzione
legislativa tesa, dalla riforma della c.d. “legge
Merloni” (109/1994) in poi, a favorire
la progettazione interna per garantire
risparmi di spesa e crescita professionale
del personale alle amministrazioni, poiché
limita l’applicazione di una regola generale
(quella della responsabilità dei dipendenti
pubblici per i danni arrecati a terzi
nell’esercizio delle funzioni) non può
essere applicata oltre i casi e tempi da
essa considerati (cfr. art. 14 delle
disposizioni preliminari al Codice civile).
Pertanto gli artt. 90, comma 5, e 112, comma
4-bis, del d.lgs. 163/2006 che impongono
alle amministrazioni la stipula di apposite
polizze assicurative per manlevare i propri
dipendenti incaricati della redazione e
validazione della progettazione non possono
legittimare analoga iniziativa per il
rischio di responsabilità in cui possano
incorrere gli stessi dipendenti interni ove
incaricati delle altre attività tecniche
previste dal Codice dei Contratti (RUP,
direzione lavori, coordinatori per la
sicurezza in fase di progettazione e di
esecuzione, collaudo) o il
funzionario/dirigente preposto al ruolo di
responsabile del procedimento ai sensi della
legge n. 241/1990.
Per i dipendenti espletanti queste ultime
attività, occorre rinvenire, eventualmente,
altra fonte normativa o contrattuale che
possa legittimare la stipula di contratti di
assicurazione per la copertura dei rischi di
danni a terzi, con oneri a carico
dell’amministrazione.
In tale direzione l’art. 43, comma 1, del
CCNL autonomie locali del 14.09.2000 prevede
che “gli enti assumono le iniziative
necessarie per la copertura assicurativa
della responsabilità civile dei dipendenti
ai quali è attribuito uno degli incarichi di
cui agli art. 8 e ss. del CCNL del
31.03.1999, ivi compreso il patrocinio
legale, salvo le ipotesi di dolo e colpa
grave. Le risorse finanziarie destinate a
tale finalità sono indicate nei bilanci, nel
rispetto delle effettive capacità di spesa”.
Il richiamato art. 8 del CCNL del 31/03/1999
dispone che gli enti del comparto
istituiscano posizioni di lavoro che
richiedono, con assunzione diretta di
elevata responsabilità di prodotto e di
risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione
di unità organizzative di particolare
complessità, caratterizzate da elevato grado
di autonomia gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti
di alta professionalità e specializzazione
correlate a diplomi di laurea e/o di scuole
universitarie e/o alla iscrizione ad albi
professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o
di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza
e controllo caratterizzate da elevate
autonomia ed esperienza.
La norma contrattuale precisa, inoltre, che
tali posizioni “possono essere assegnate
esclusivamente a dipendenti classificati
nella categoria D, sulla base e per effetto
di un incarico a termine conferito in
conformità alle regole di cui all’art. 9”.
Uno degli incarichi che, come prevede il
combinato disposto degli artt. 43 del CCNL
del 14/09/2000 e 8 del CCNL del 31/03/1999,
legittima la stipula di coperture
assicurative da parte del Comune a favore
dei propri dipendenti, attiene allo
svolgimento di attività con contenuti di
alta professionalità e specializzazione
correlate a diplomi di laurea e/o
all’iscrizione di ad albi professionali,
presupposti che si ritrovano, come visto in
precedenza, negli incarichi tecnici
affidabili ai sensi del d.lgs. 163/2006, ma
per i quali il Codice dei contratti non
impone alle amministrazioni aggiudicatrici
la stipula di alcuna polizza assicurativa (RUP,
direttore dei lavori, coordinatori per la
sicurezza, collaudatori).
Di conseguenza, ove le attività tecniche in
discorso siano comprese e qualifichino uno
degli incarichi affidati ai dipendenti, di
categoria D, ai sensi dell’art. 8 del CCNL
del 31/03/1999, è possibile per questi
ultimi beneficiare di eventuale copertura
assicurativa stipulata dal Comune contro i
rischi di danno a terzi derivanti
dall’attività tecnico professionale
espletata.
Naturalmente deve trattarsi
dell’assicurazione per la responsabilità
derivante da danni arrecati a terzi (ex art.
28 Costituzione e 93 del TUEL d.lgs.
267/2000), in cui il Comune in quanto
responsabile solidale ha un interesse alla
stipula del contratto (cfr. Corte dei Conti
sez. giurisdizionale per la Sicilia,
sentenza n. 734/2008), non della
responsabilità amministrativo contabile del
dipendente per i danni arrecati, con dolo o
colpa grave, all’amministrazione medesima.
In quest’ultimo caso, infatti, confermando
una giurisprudenza ormai consolidata (Corte
dei Conti, sezione giurisdizionale Umbria n.
553 del 10/12/2002, sezione giurisdizionale
Friuli Venezia Giulia n. 60 del 05/02/2003,
oltre che la citata sezione giurisdizionale
Sicilia n. 734 del 04/03/2008), il
legislatore ha sancito un apposito divieto
nell’art. art. 3 comma 59 della legge n.
244/2007 (“È nullo il contratto di
assicurazione con il quale un ente pubblico
assicuri propri amministratori per i rischi
derivanti dall’espletamento dei compiti
istituzionali connessi con la carica e
riguardanti la responsabilità per danni
cagionati allo Stato o ad enti pubblici e la
responsabilità contabile. I contratti di
assicurazione in corso alla data di entrata
in vigore della presente legge cessano di
avere efficacia alla data del 30.06.2008”).
Pertanto ai due quesiti formulati dal comune
di Berbenno può darsi risposta nei termini
che seguono:
- il Codice dei contratti
ed il Regolamento attuativo non impongono al
Comune di sostenere la spesa della polizza
per la copertura assicurativa dei rischi
derivanti dalla responsabilità civile per i
danni arrecati a terzi da propri dipendenti
incaricati della funzione di responsabile
unico del procedimento, direzione lavori,
coordinamento per la sicurezza e collaudo.
Deve stipularla, invece, in virtù
dell’espressa previsione legislativa (art.
90, comma 5, e 112, comma 4-bis, d.lgs.
163/2006) e regolamentare (art. 270 DPR n.
207/2010), per i dipendenti interni
incaricati della progettazione e nella
misura prevista dalle norme richiamate;
- il Comune, in aderenza alle previsioni del
Contratto collettivo nazionale, può
stipulare apposita copertura assicurativa
per i rischi derivanti da responsabilità
civile professionale verso terzi di propri
dipendenti, purché e nei limiti in cui gli
incarichi di RUP (e responsabile del
procedimento ai sensi della legge n.
241/1990), direzione lavori, coordinatore
per la sicurezza e collaudatore siano
ricompresi negli incarichi per i quali, ai
sensi del predetto CCNL, può essere
stipulata, con oneri a carico del Comune,
apposita polizza assicurativa (si rinvia
agli artt. 43 del CCNL 14.09.2000 e 8 del
CCNL 31/03/1999 del Comparto Regioni e
autonomie locali).
Rimane fermo, come anche evidenziato dalla
giurisprudenza contabile sopra richiamata,
che un ente pubblico può assicurare quei
rischi che rientrino nella sfera della
propria responsabilità patrimoniale e che
trasferiscano all'assicuratore la
responsabilità patrimoniale stessa, mentre
sarebbe priva di giustificazione e, come
tale, causativa di danno erariale,
l'assicurazione di eventi per i quali l'ente
non deve rispondere e che non rappresentano
un rischio per l'ente medesimo (Corte dei Conti, Sez.
controllo Lombardia,
parere 21.12.2011 n. 665). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Rapporti di lavoro ed incarichi
legati al mandato del Sindaco/Presidente
della Provincia.
Secondo la Corte dei Conti, Sez. Giurisdiz.
d'Appello per la Regione Siciliana (sentenza
16.12.2011 n. 377) ogni causa di
cessazione dalla carica del Sindaco o del
Presidente della Provincia (anche
anticipata, per dimissioni) determina
automaticamente la decadenza dei
contratti/incarichi in oggetto; una loro
prosecuzione (anche temporanea ed anche per
assicurare una asserita necessità di
adeguato funzionamento amministrativo
all'ente) è illegittima oltre che foriera di
possibile danno erariale qualora si tratti
di incarichi extradotazione organica (tratto
da www.publika.it). |
APPALTI - INCARICHI PROFESSIONALI: Nell'offerta anche il costo del lavoro.
ABBASSATO IL TETTO/
Riportato a 100mila euro il valore massimo
per l'affidamento di servizi di ingegneria e
architettura con procedura informale.
La gestione ottimale degli appalti pubblici
passa per alcune semplificazioni
procedurali, per l'aggregazione delle
stazioni appaltanti di minori dimensioni e
per un maggiore coinvolgimento dei soggetti
privati nella realizzazione e gestione di
opere pubbliche. Le ultime modifiche al
Codice dei contratti pubblici apportate dal
Dl 201/2011 introducono importanti novità
nella gestione delle gare, con
l'eliminazione e la correzione di
problematiche determinate dal contenuto
critico di alcune disposizioni.
Il dato più rilevante è l'eliminazione del
comma 3-bis dell'articolo 81 del Codice. In
base a tale norma, i concorrenti a una gara
dovevano formulare l'offerta al netto del
costo del lavoro e dei costi da essi
sostenuti per gli adempimenti in materia di
sicurezza. La norma abrogatrice richiama le
disposizioni sul rispetto del costo del
lavoro e delle misure di sicurezza negli
appalti, che devono essere necessariamente
attuate dagli appaltatori. Altrettanto
rilevante risulta l'abrogazione
dell'articolo 12 della legge 180/2011
(Statuto delle imprese), che innalzava la
soglia per l'affidamento di servizi di
ingegneria e architettura con gara
informale: così si riporta il valore massimo
per l'utilizzo della procedura semplificata
a 100mila euro, mentre oltre questa soglia è
necessaria la gara (secondo le previsioni
degli articoli 264-266 del regolamento
attuativo).
La linea di razionalizzazione è tradotta in
termini molto più ampi dall'articolo 23 del
Dl 201/2011, che integra l'articolo 33 del
Codice, introducendo una norma (comma 3-bis)
molto vincolante per i Comuni di minori
dimensioni (si veda l'articolo sopra).
Per ottimizzare i rapporti con il sistema
degli operatori economici più piccoli, la
manovra contiene anche molte norme che
evidenziano l'attenzione per le piccole e
medie imprese, stabilendo (con modifica
dell'articolo 2 del Codice) che le stazioni
appaltanti devono, ove possibile ed
economicamente conveniente, suddividere gli
appalti in lotti funzionali. Nell'ambito
della manovra ci sono anche molte
disposizioni che valorizzano l'apporto dei
privati alla realizzazione (e gestione) di
opere pubbliche.
L'articolo 42 modifica il comma 5
dell'articolo 143 del Codice, relativo alla
disciplina generale delle concessioni di
costruzione e gestione, stabilendo che, per
garantirne l'equilibrio
economico-finanziario, l'amministrazione
possa prevedere, a titolo di prezzo, la
cessione in proprietà o in diritto di
godimento di beni immobili nella loro
disponibilità, o espropriati allo scopo, per
assicurarne al privato l'utilizzazione o la
valorizzazione. La stessa disposizione
prevede che la gestione funzionale ed
economica possa anche riguardare opere
direttamente connesse a quelle oggetto della
concessione e da ricomprendere nella stessa.
In una prospettiva simile può interpretarsi
anche la disposizione inserita dall'articolo
45 del Dl 201/2011 nell'articolo 16 del Dpr
380/2011, con la quale si stabilisce (comma
2-bis) che, nell'ambito degli strumenti
attuativi e degli atti equivalenti comunque
denominati, nonché degli interventi in
diretta attuazione dello strumento
urbanistico generale, l'esecuzione diretta
delle opere di urbanizzazione primaria
funzionali all'intervento di trasformazione
urbanistica del territorio, di importo
inferiore alla soglia comunitaria (dall'01.01.2012, in base al regolamento
comunitario di revisione delle soglie, pari
a 5 milioni di euro), è a carico del
titolare del permesso di costruire e non
trova applicazione il Dlgs 163/2006.
La norma consente quindi ai soggetti
attuatori di piani urbanistici (ma anche ai
titolari di un permesso di costruire) di
realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione primaria strettamente
collegate all'intervento senza dover fare
gara, se di valore inferiore alla soglia Ue.
Tali aspetti dovranno essere definiti
all'interno delle convenzioni urbanistiche o
degli accordi procedimentali relativi ai
permessi di costruire
(articolo Il Sole 24
Ore del 12.12.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
esterni con il bollino blu.
Le amministrazioni e gli enti pubblici
devono svolgere i propri compiti
istituzionali, di norma, avvalendosi del
personale interno. Tale regola è espressione
del principio costituzionale di buon
andamento della pubblica amministrazione ed
è volta ad assicurare l'economicità
dell'azione pubblica. Il conferimento degli
incarichi di consulenza a soggetti esterni
rappresenta un'opzione operativa
percorribile solo in presenza di speciali
condizioni, ovvero l'assenza di una apposita
struttura organizzativa, una carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione, da accertare per
mezzo di una reale ricognizione e la
complessità dei problemi da risolvere che
richiedono conoscenze ed esperienze
eccedenti le normali competenze del
personale. Nel caso in cui vengano conferiti
incarichi a soggetti esterni senza che
l'amministrazione conferente abbia attivato
la preventiva ricognizione di detti
presupposti, scatta il danno erariale pari
ai compensi complessivamente erogati ai
professionisti esterni.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti
siciliana, nel testo della
sentenza
09.12.2011 n.
4037, con cui ha condannato il sindaco
di Campofelice di Roccella (Pa) a una somma
di poco superiore ai 215 mila euro per
l'illegittimo conferimento di alcuni
incarichi a personale esterno, risalenti al
biennio 2003-2005.
Scorrendo gli atti di conferimento, infatti,
la Corte ha potuto accertare che gli
incarichi professionali sono stati assegnati
senza rispettare le condizioni sopra
evidenziate. In particolare, non risulta
essere stata compiuta alcuna concreta
verifica circa la sussistenza di risorse
interne, attraverso una concreta valutazione
dei livelli di esperienza dei dipendenti e
un apprezzamento del grado di adeguatezza
delle cognizioni specialistiche degli
stessi, non vi è una congrua specificazione
dell'attività richiesta ai soggetti
incaricati e non sono stati esplicitati i
parametri in base ai quali sono stati
quantificati i compensi dei consulenti.
Ma vi è di più. La Corte ha sottolineato che
gli incarichi sono stati conferiti senza che
fossero avviate procedure pubbliche «che
consentissero di contemperare i principi
generali della trasparenza e del buon
andamento con l'esigenza dell'ente di
approvvigionarsi all'esterno di apporti
collaborativi a costi congrui»
(articolo ItaliaOggi del 07.01.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Le difficoltà in termini di gestione ed
organizzazione del personale del Comune non giustificano il
conferimento di un incarico professionale esterno.
L’illegittimità della delibera comunale consegue, oltre che alla
genericità dell'incarico, anche al fatto che le
problematiche afferenti al personale costituiscono un
momento indefettibile dei poteri di organizzazione e di
ordinamento delle risorse professionali e umane del Comune,
e che, inoltre, costituisce un ingiustificato pregiudizio
economico, per la notevole spesa sostenuta, l’incarico al
consulente estraneo all'Amministrazione a fronte di non
identificati contributi consulenziali e legali (in assenza,
peraltro, della individuazione di questioni concrete e
contenziosi effettivi).
A conferma di ciò giova evidenziare
che l’espletamento dell’incarico risulta confermato solo da
una scarna dichiarazione, rilasciata dal Sindaco, formulata
in modo generico e unicamente con riferimento al periodo
della consulenza, senza la possibilità di concreti e
puntuali riscontri per mancanza di atti o pareri scritti del
consulente, avendo egli intrattenuto esclusivamente rapporti
verbali diretti con gli organi elettivi, a favore dei quali
veniva espletata dichiaratamente l’attività di consulenza (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti Sez.
Giurisdizionale per il Lazio, con
sentenza 18.11.2011 n. 1619). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi professionali esterni e
danno erariale.
La Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per
il Lazio, con
sentenza 18.11.2011 n. 1619,
decide su un contenzioso relativo a quanto
in oggetto, riconoscendo responsabilità
patrimoniale e, conseguentemente, condanna
al risarcimento del danno erariale.
Emergono, nonostante i fatti esaminati
risalgano ad anni passati, interessati
principi e spunti di riflessione, fra i
quali:
- le "notevoli difficoltà incontrate
dall'ente comunale nella gestione ed
organizzazione" è riferimento del tutto
generico e non legittimante il ricorso ad
incarico di consulenza esterna;
- le problematiche afferenti al personale
costituiscono un momento indefettibile dei
poteri di organizzazione e di ordinamento
delle risorse professionali e umane del
Comune e, quindi, costituisce un
ingiustificato pregiudizio economico, anche
per la notevole spesa sostenuta, l'incarico
al consulente estraneo all'Amministrazione a
fronte di non identificati contributi
consulenziali e legali;
- non è adeguatamente motivata la carenza di
professionalità interne adeguate a far
fronte alle esigenze dell'ente;
- la violazione delle norme è palese anche
sotto l'aspetto che la estrema genericità
dell'oggetto della consulenza e la mancata
previsione di riscontri documentali
(redazione di studi e pareri) inibisce di
verificare il rispetto della vera finalità
della norma che è quella di escludere che
ordinarie attività siano affidate
all'esterno con incarichi di consulenza
(tratto da www.publika.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
E' illegittimo l’affidamento
dell’incarico (sotto soglia comunitaria) ad
un professionista esterno avvenuto in
assenza di qualsiasi valutazione. Invero,
l'art. 130 del codice dei contratti pubblici
dispone in capo alla p.a. un ordine di
priorità nell'affidamento dell'incarico di
direzione dei lavori: in primo luogo ai
propri dipendenti o di altra amministrazione
convenzionata, poi al progettista incaricato
e, soltanto in via residuale, a soggetti
esterni, comunque scelti nel rispetto delle
norme comunitarie.
L’impugnato provvedimento (ndr: determina n.
54 del 04.06.2011 del Responsabile del
Servizio tecnico comunale tecnico con la
quale è stato designato il tecnico, esterno
all’amministrazione, cui è stato affidato
l’incarico di direttore dei lavori relativi
all’adeguamento strutturale ed antisismico
della scuola di Gerre de’ Caprioli) risulta,
quindi, essere privo della necessaria
motivazione, la cui assenza potrebbe avere
notevole rilevanza in termini di
configurabilità di una fattispecie di
responsabilità erariale, per la verifica
della sussistenza della quale si ravvisa
l’opportunità della trasmissione della
presente sentenza alla competente Procura
Regionale della Corte dei Conti.
Come chiarito dalla giurisprudenza, per
l’affidamento di un incarico di
progettazione che non superi la soglia
comunitaria, trova applicazione l'art. 130
del codice dei contratti pubblici, che
dispone in capo alla p.a. un ordine di
priorità nell'affidamento dell'incarico di
direzione dei lavori: in primo luogo ai
propri dipendenti o di altra amministrazione
convenzionata, poi al progettista incaricato
e, soltanto in via residuale, a soggetti
esterni, comunque scelti nel rispetto delle
norme comunitarie (tra le tante TAR
Lazio-Roma, sez. II, 10.09.2010, n. 32214).
Ne discende che laddove, come nel caso di
specie, l’affidamento dell’incarico ad un
professionista esterno sia avvenuta in
assenza di qualsiasi valutazione alla luce
della sopra richiamata disposizione, il
provvedimento non può che essere considerato
illegittimo.
Né può condurre a diverse conclusioni il
fatto che il Comune, nella propria memoria
di costituzione, abbia evidenziato come la
scelta del conferimento dell’incarico sia
caduta su di un architetto (e, quindi, su di
una figura professionale diversa dagli
ingegneri che hanno redatto il progetto e
dall’ingegnere odierno ricorrente), a causa
della natura vincolata del bene e del
disposto di cui all’art. 52 comma 2 del
Regio Decreto 23.10.1925 n. 2537.
Premesso che, se così fosse, non è dato
comprendere come il fatto che la direzione
lavori sia affidata ad un architetto (figura
professionale individuata come competente
rispetto ad opere di edilizia civile che
presentano rilevante carattere artistico ed
il restauro e il ripristino degli edifici
contemplati dalla legge 20.06.1909, n. 364
per l’antichità e le belle arti) potesse
garantire il rispetto della norma laddove la
progettazione sia stata elaborata da
ingegneri, ciò che appare dirimente è che di
tale preteso obbligo di legge non è dato
alcun conto in sede di conferimento
dell’incarico.
L’impugnato provvedimento risulta, quindi,
essere privo della necessaria motivazione,
la cui assenza potrebbe avere notevole
rilevanza in termini di configurabilità di
una fattispecie di responsabilità erariale,
per la verifica della sussistenza della
quale si ravvisa l’opportunità della
trasmissione della presente sentenza alla
competente Procura Regionale della Corte dei
Conti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.11.2011 n. 1587 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: A discrezione sempre più incarichi.
Per effetto dell'innalzamento della soglia
per gli affidamenti. Le conseguenze per i
progettisti dell'entrata in vigore da ieri
del cosiddetto Statuto
delle imprese.
Sempre più discrezionali gli incarichi di
progettazione e servizi di ingegneria e
architettura della pubblica amministrazione.
Per incarichi fino a 193 mila euro la scelta
dei progettisti avverrà tramite elenchi o
avvisi di gara, ricorrendo anche al
sorteggio e con criteri di rotazione;
prevista la suddivisione in lotti degli
appalti; velocizzato l'iter di recepimento
della direttive europea per i ritardi nei
pagamenti delle pubbliche amministrazioni,
previste sanzioni dell'Antirust per le
grandi imprese.
Sono queste alcune delle
norme di maggiore rilievo contenute nella
legge dell'11.11.2011 il cosiddetto
Statuto delle imprese, in vigore da ieri.
Di
particolare impatto sul mercato delle
progettazioni è la modifica all'articolo 91,
comma 1 del Codice perché porta a 125.000
euro (per le amministrazioni centrali dello
Stato) e a 193 mila euro per tutte le altre
stazioni appaltanti, la soglia (in
precedenza pari a 100.000 euro) entro la
quale è ammesso scegliere progettisti,
direttori dei lavori, coordinatori per la
sicurezza e collaudatori con procedura
negoziata previo invito di almeno cinque
soggetti ai sensi di quanto disposto
dall'articolo 57, comma 6 del Codice. La
norma del Codice prescrive che la scelta dei
soggetti da invitare a presentare offerta
(almeno cinque) debba fare seguito ad
informazioni desunte da una indagine di
mercato.
In concreto, per quel che riguarda
le modalità di selezione del mercato ai fini
dell'individuazione degli invitati a
presentare offerta per incarichi fino alla
soglia comunitaria, l'articolo 267 del Dpr
207/2010, il regolamento del Codice, entra
nel dettaglio applicativo della disposizione
di rango primario che la legge sullo statuto
delle imprese ha modificato, prevedendo due
modalità propedeutiche all'individuazione
dei soggetti da invitare: l'istituzione di
elenchi di operatori economici, o
l'effettuazione di indagini di mercato
finalizzate al singolo affidamento che si
concretizzano nella pubblicazione di un
avviso di gara, in ogni caso rispettando il
criterio di rotazione degli incarichi.
In
entrambi i casi le amministrazioni dovranno
rispettare i principi di non
discriminazione, parità di trattamento,
proporzionalità e trasparenza, correttamente
e esaustivamente interpretati dall'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici che
ha anche specificato come le stazioni
appaltanti debbano evitare di inserire nei
bandi di gara (e ciò rileva anche per gli
affidamenti di maggiore importo) preferenze
territoriali o locali.
In ogni caso, per
effetto della modifica apportata
all'articolo 91 del Codice, le stazioni
appaltanti: - da 0 a 193.000 euro, potranno
optare per la procedura negoziata con invito
di almeno cinque soggetti; - oltre i 193 mila
euro saranno utilizzabili le procedure
(aperte, negoziate, ristrette) con
pubblicità europea, applicando gli articoli
da 263 a 266 del Regolamento.
La legge sullo
statuto delle imprese prevede anche il
recepimento della direttiva ritardati
pagamenti (da effettuare entro 12 mesi,
quindi con cinque mesi di anticipo rispetto
alla scadenza del marzo 2013): in questo
caso le norme europee, quando entreranno in
vigore, consentiranno pagamenti da parte
delle amministrazioni e dei privati entro un
massimo di 60 giorni. Previste anche
sanzioni e diffide per le grandi imprese
relativamente a comportamenti illeciti messi
in atto nei confronti delle piccole e medie
imprese.
In via generale vengono poi
introdotte norme che tutelano le piccole e
medie imprese che partecipano agli appalti:
la prova dei requisiti dovrà essere
effettuata solo dall'aggiudicatario
dell'appalto; sarà possibile una più ampia
autocertificazione dei requisiti con il
divieto di chiedere documenti già in
possesso dell'Amministrazione; sarà vietato
chiedere requisiti sproporzionati rispetto
all'oggetto dell'appalto
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2011). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Le innovazioni in materia di affidamento dei
servizi di ingegneria (art. 91, D.Lgs.
163/2006) derivanti dall’approvazione dello
Statuto delle imprese (Legge 11.11.2011, n.
180)
(15.11.2011
- tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: LA
LEGGE DI STABILITÀ/ La tariffa ora è un affare privato.
Gli ordini non potranno più vigilare sui
professionisti. I compensi saranno
determinati seguendo solo la legge del mercato.
Addio istruttorie, richiami, sanzioni
disciplinari. Le tariffe diventano un affare
privato tra professionista e cliente, con
buona pace degli ordini.
La nuova
rivoluzione, per il comparto, è contenuta in
due righe al comma 12 dell'art. 4-septies
del maxiemendamento alla legge di stabilità,
dove si prevede la soppressione [dall'art.
3, comma 5, lettera d), della legge n.
148/2011] delle parole: «prendendo come
riferimento le tariffe professionali. È
ammessa la pattuizione dei compensi anche in
deroga alle tariffe». E quindi di qualsiasi
riferimento a vincoli o riferimenti degli
ordini professionali. D'altra parte, il
cambiamento, per i professionisti, era già
in atto da tempo: dal decreto Bersani del
2006 che aveva sdoganato i minimi tariffari.
E da cinque anni sta andando avanti la lotta
degli ordini nei confronti di quelle
iniziative che, a loro dire, non rispettano
il livello di decoro minimo della
prestazione professionale.
L'ultima
frontiera è stata raggiunta proprio nei
giorni scorsi con il «caso Groupon» (si veda
ItaliaOggi dell'8 novembre scorso), con da
una parte il moltiplicarsi di medici,
architetti e ingegneri che propongono visite
specialistiche e certificazioni a prezzi
stracciati, dall'alt tra gli ordini di
riferimento che hanno intrapreso iniziative
di contrasto e denunce all'Antitrust.
Ebbene, da oggi presumibilmente le categorie
dovranno deporre le armi e i professionisti
sottostare alla sola legge del mercato. Ma
vediamo nel dettaglio tutte le novità e cosa
cambia nel rapporto professionista-cliente.
Il conferimento dell'incarico.
Professionista e cliente contratteranno il
compenso della prestazione in maniera
totalmente libera. Il tariffario, approvato
dal ministero della giustizia, non avrà
valore nemmeno come punto di riferimento.
Tranne in caso di mancata determinazione
consensuale del compenso, quando il
committente è un ente pubblico, in caso di
liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero
nei casi in cui la prestazione è resa
nell'interesse dei terzi. Altrimenti, gli
obblighi del professionista, nei confronti
del cliente, contenuti nella legge di
stabilità consistono nel comunicare: il
livello di complessità dell'incarico, tutte
le informazioni utili riguardo gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento
alla conclusione dell'incarico, gli estremi
della polizza stipulata per la
responsabilità professionale e il relativo
massimale.
Già, perché con la legge di
stabilità il professionista è tenuto a
stipulare idonea assicurazione per i rischi
derivanti dall'esercizio dell'attività
professionale. Le condizioni generali delle
polizza possono essere negoziate, in
convenzione con i propri iscritti, dai
Consigli nazionali e dagli enti
previdenziali dei professionisti.
Società fra professionisti. L'altra novità
prevista dal maxiemendamento (ma in linea
con le altre bozze circolate nei giorni
scorsi) riguarda le società tra
professionisti. L'esercizio delle attività
intellettuali potrà avvenire tramite società
partecipate non solo da professionisti
iscritti a ordini, albi e collegi (purché in
possesso del titolo di studio abilitante) ma
anche da soggetti non professionisti
soltanto per prestazioni tecniche o con una
partecipazione minoritaria, o per finalità
di investimento. Viene fissato poi in sei
mesi il tempo in cui il ministro dello
sviluppo economico dovrà adottare un
regolamento per disciplinare la materia.
Riforma delle professioni. Entro 12 mesi,
infine, verrà approvato il restyling del
comparto professionale. Restano invariati i
principi da seguire e già indicati nella
manovra di fine agosto: difesa dell'esame di
stato, libertà di accesso agli ordini,
istituzione di un equo compenso per i
tirocinanti ecc.
(articolo ItaliaOggi
Sette del 14.11.2011). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L’offerta
economicamente più vantaggiosa quale unico
criterio per l’aggiudicazione dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria
(art. 266, comma 4, DPR 207/2010)
(ottobre
2011 - tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Le risposte dell'ANCI.
Il direttore dei lavori.
Dovendo procedere all’affidamento di un
incarico di direzione dei lavori relativi al
risanamento conservativo di un immobile
scolastico, tutelato dalla Soprintendenza, i
cui lavori richiedono qualificate e
specifiche competenze tecniche si chiede:
1) se è possibile procedere all’affidamento
di che trattasi individuando, mediante
procedura prevista dalla normativa vigente,
un direttore lavori per le opere
architettoniche a cui affidare anche la
contabilità; un direttore lavori per le
strutture in cemento armato; un direttore
lavori per gli impianti meccanici.
2) se è possibile procedere, trattandosi di
un incarico di sola direzione lavori,
all’affidamento secondo il criterio del
prezzo più basso.
L’affidamento dell’incarico di cui al
quesito in esame appare soggetto alle
disposizioni del Dpr n. 207/2010, entrato in
vigore in data 08.06.2011, come si ricava
dall’art. 357, co. 9. L’art. 130 del codice
impone alle amministrazioni aggiudicatrici
di istituire, per l’esecuzione dei lavori
pubblici, un ufficio di direzione lavori
costituito da un direttore dei lavori ed
eventualmente da assistenti.
Il regolamento di esecuzione, in presenza
delle condizioni che non consentono lo
svolgimento delle attività tecniche connesse
alla progettazione ed all’esecuzione da
parte delle amministrazioni aggiudicatrici,
detta le modalità di affidamento dei servizi
attinenti all’architettura ed all’ingegneria
nella parte terza, artt. 252 e seguenti.
Inoltre, lo stesso regolamento conferma il
disposto del codice riguardo alla
costituzione di un ufficio di direzione dei
lavori (art. 147) che può essere formato dal
direttore, ed eventualmente, secondo le
dimensioni, tipologia e categoria
dell’intervento, da uno o più assistenti le
cui funzioni sono riportate nell’art. 149.
Secondo quanto dispongono sia il codice che
il regolamento non appare quindi possibile
costituire più uffici di direzione dei
lavori, ma occorre concentrare tutta
l’attività in un unico ufficio.
Il suddetto regolamento, alla parte terza,
dispone anche in merito alle procedure di
aggiudicazione dei servizi in esame di
importo sia inferiore che superiore a
100mila euro.
All’art. 266 sono dettate le modalità di
svolgimento della gara che avviene con il
criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa e con attribuzione di fattori
ponderali stabiliti dall’amministrazione
entro i valori fissati dalla citata norma
(tratto da Guida al Pubblico Impiego n.
10/2011). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: P.a., la
negligenza costa.
Incarichi al buio, si paga il doppio dei
compensi. La Corte conti della Sicilia
richiama le amministrazioni alla trasparenza.
Se un ente pubblico conferisce
legittimamente un incarico a un dipendente
statale, è tenuto a comunicare
all'amministrazione di appartenenza del
citato dipendente, ai sensi dell'art. 53,
comma 11, del dlgs n. 165/2001, anche
l'ammontare dei compensi erogati. In caso di
omissione, infatti, scatta la sanzione pari
al doppio degli emolumenti percepiti e
questo costituisce danno erariale a carico
dei vertici dell'ente inadempiente, in
quanto indice della negligenza a percepire
la sussistenza di un obbligo di legge,
previsto in una disposizione di agevolissima
interpretazione.
È quanto ha messo nero su bianco la sezione
giurisdizionale della Corte dei conti
siciliana, nel testo della
sentenza
26.10.2011 n.
3488, con cui ha condannato presidente
e direttore generale di un'autorità d'ambito
ottimale a rifondere le stesse casse
dell'ente, del danno pari alla sanzione
pagata per la violazione relativa all'omessa
comunicazione dei compensi percepiti da un
dipendente pubblico cui era stato conferito
un incarico di esperto amministrativo.
La norma sopra richiamata, infatti, prevede
che «entro il 30 aprile di ciascun anno, i
soggetti pubblici o privati che erogano
compensi a dipendenti pubblici per
incarichi, sono tenuti a dare comunicazione
all'amministrazione di appartenenza dei
dipendenti stessi dei compensi erogati
nell'anno precedente».
Norma, questa, di strettissima e rigorosa
interpretazione che prevede un altrettanto
rigoroso sistema sanzionatorio in caso di
inosservanza. Ne è prova l'articolo 6, comma
1, del dl n. /97 ove si prevede che «nei
confronti dei soggetti pubblici che non
comunicano l'ammontare degli emolumenti o
che si avvalgano di prestazioni di lavoro
autonomo o subordinato rese dai dipendenti
pubblici senza autorizzazione
dell'amministrazione di appartenenza, oltre
alle sanzioni per le eventuali violazioni
tributarie o contributive, si applica una
sanzione pecuniaria pari al doppio degli
emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma
a dipendenti pubblici».
È questo ciò che è avvenuto nella vicenda
sottoposta al giudizio della Corte
siciliana. Che non ha avuto dubbi nel
decidere per la condanna dell'ex presidente
e del direttore generale dell'autorità
d'ambito. Secondo la Corte, infatti, nel
caso di enti collettivi, in mancanza della
formalizzazione sulla ripartizione delle
competenze, l'obbligo di effettuare una
comunicazione è riferibile a quei soggetti
che, per l'ufficio ricoperto, hanno il
potere di amministrare e rappresentare
l'ente. Soggetti che hanno messo in pratica
una condotta negligente (quindi con colpa
grave, tale da generare l'inutile esborso)
in quanto l'adempimento, consistente in
un'azione di agevolissima realizzazione, era
(ed è) imposto da una norma chiara, inidonea
a dar luogo a dubbi interpretativi. Nella
norma di legge non è alcun margine di
discrezione e la semplicità dell'adempimento
richiesto ha indotto la Corte a ritenere che
l'omissione della comunicazione «integra un
negligente esercizio di compiti
istituzionali la cui gravità configura la
responsabilità amministrativa».
Ad avviso della Corte, si legge nella
sentenza, non può essere ignorato che del
danno sono stati chiamati a rispondere due
soggetti, professionalmente molto
qualificati, che ricoprivano posizioni
apicali nell'organigramma aziendale.
L'assunzione di tali uffici, nell'ambito di
una società di significativa consistenza, è
«indice inequivocabile della capacità dei
soggetti chiamati a ricoprirli, di percepire
la sussistenza di un obbligo di legge,
previsto in una disposizione di agevolissima
interpretazione e di assumere le conseguenti
iniziative per assicurare il rispetto di
tale obbligo»
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni,
gare in estinzione. A causa
dell'innalzamento della soglia per gli
affidamenti. Dopo le modifiche al Codice
appalti e l'approvazione del senato allo
Statuto di impresa.
Il mercato delle gare dei servizi di
ingegneria e architettura rischia di sparire
dopo le recenti modifiche normative che
cancellano le gare nazionali (fino a 193
mila euro) a vantaggio di affidamenti
diretti e trattative private; viceversa
viene rafforzato lo spazio operativo delle
progettazioni interne alle stazioni
appaltanti.
Ed è allarme rosso fra i progettisti. Tutto
ciò accade dopo il varo delle modifiche al
Codice di luglio e la recente approvazione
al Senato del disegno di legge «Statuto
di impresa» in attesa dell'approvazione,
in terza lettura, della Camera (ma dovrebbe
trattarsi di una formalità). Con
quest'ultimo provvedimento si porta a 125
mila euro (per le amministrazioni centrali
dello Stato) e a 193 mila per tutte le altre
stazioni appaltanti, la soglia fino alla
quale è ammesso scegliere i progettisti con
una gara informale previo invito di cinque
soggetti.
Si va, quindi a toccare, l'articolo 91,
comma 2 del Codice che rinvia all'articolo
57, comma 6 del Codice per la scelta dei
progettisti quando un incarico risulti di
importo inferiore a 100 mila euro e, quindi,
ammette la scelta con una sorta di gara
informale con invito a cinque soggetti
scelti a seguito di indagine di mercato, ma
in pratica fortemente discrezionale e senza
trasparenza successiva. La materia è
disciplinata anche dal regolamento del
Codice (dpr 207/2010) nel presupposto, però
che vi sia anche una fascia di incarichi (da
100 mila a 193 mila) affidabile con
ordinaria gara, senza inviti limitati a
pochi soggetti.
Invece con la norma approvata in Aula (dopo
che in Commissione industria era stata
soppressa) si cancellano di fatto le gare
nazionali (sotto la soglia dei 193 mila euro
di importo stimato) e si rende obbligatorio
il ricorso alla procedura negoziata con
invito a cinque da 40 mila a 193 mila.
Questo recente intervento normativo si somma
infatti al precedente ritocco apportato dal
decreto-legge 70/2011 che ha portato da 20
mila a 40 mila il tetto fino al quale le
stazioni appaltanti potranno sceglie
addirittura fiduciariamente, in via diretta,
l'affidatario dei servizi.
Dietro ad entrambe le operazioni c'è lo
zampino della Lega che ha caldeggiato la
modifica di luglio e che, con il disegno di
legge «Statuto di impresa», ha
portato a compimento un vero e proprio blitz
con un emendamento in Aula (del senatore
Luciano Cagnin) approvato nella quasi
indifferenza generale. Ma non è tutto: di
recente anche la Corte dei conti, con la
delibera n. 51 del 4 ottobre, ha escluso gli
incentivi per la progettazione interna di
opere pubbliche (che vanno al Rup, stazione
unica appaltante, e ai tecnici comunali) dal
tetto di spesa per il personale degli enti
locali.
Al riguardo la magistratura contabile sembra
essere stata chiara: gli incentivi sono «destinati
a remunerare prestazioni professionali
tipiche di soggetti individuati o
individuabili e che peraltro potrebbero
essere acquisite attraverso il ricorso
all'esterno dell'amministrazione pubblica
con possibili costi aggiuntivi per il
bilancio dei singoli enti». Per il
Centro studi del Cni, Consiglio nazionale
ingegneri, (dati riferiti al 2009) si tratta
dell'8,7% del mercato complessivo, per un
valore di 1,48 miliardi di corrispettivo
sottratto al libero mercato.
Le prospettive sono quindi fosche, tanto che
l'Oice, con il presidente Gabriele
Giacobazzi, ha sottolineato come la recente
norma approvata al Senato «renda
discrezionali il 92% degli affidamenti e
incentiva fortemente il processo di
suddivisione degli incarichi di rilievo
comunitario e oltre, con un quasi certo e
annunciato azzeramento delle gare
comunitarie». Senza parlare dei costi,
dal momento che in una trattativa privata,
di norma, il prezzo è più alto di almeno il
15-20%
(articolo
ItaliaOggi del 26.10.2011 -
tratto da www.corteconti). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Collaborazioni
e consulenze, l'oggetto deve essere chiaro.
Il conferimento di incarichi di
collaborazione e consulenza di carattere
generale, cioè senza una delimitazione
precisa dell'oggetto, determina l'insorgere
di responsabilità amministrativa in capo al
dirigente responsabile.
E' questa la
principale indicazione che si può trarre
dalla
sentenza
21.09.2011 n. 167 della Corte dei
Conti del Friuli-Venezia Giulia. Con questa pronuncia il dirigente
di una pubblica amministrazione è stato
condannato a rifondere l'80% dei compensi
erogati dall'ente a un ex sindacalista di
cui ci si era avvalsi per varie attività
relative alla gestione del personale.
La
sentenza evidenzia che per il conferimento
di questi incarichi occorre scegliere dei
soggetti che sono in possesso di una
adeguata professionalità: il titolo di
studio ne costituisce una sorta di
precondizione.
Il primo elemento contestato è il seguente:
«L'oggetto della consulenza erano questioni
tutte relative all'attività, propria
dell'ente, di gestione delle risorse umane.
Non si tratta pertanto della soluzione di
problematiche complesse e specifiche, ma di
questioni comportanti l'esercizio delle
funzioni amministrative di carattere organizzatorio. Nonostante la lunga
elencazione, non è stata operata alcuna
delimitazione di una particolare e specifica
questione da risolvere, per la quale fosse
apparso necessario acquisire l'apporto di un
soggetto esperto, ma è piuttosto stata
trasferita una rilevante parte della
attività ordinaria dell'ente, relativa ai
rapporti di lavoro con il personale; nella
fase genetica e in quella attuativa e
funzionale sussistono gli elementi per
configurare l'incarico quale ipotesi di non
consentita consulenza globale, per avere a
oggetto una generalizzata gamma di attività
dell'ente».
Ed ancora, il conferimento
dell'incarico non è stato preceduto da
alcuna analisi tesa a verificare se
nell'ente quella professionalità esisteva ed
era utilizzabile. Indagine resa ancora più
necessaria nel caso specifico dalla
circostanza che la dotazione organica
risultava essere adeguata ed in linea con le
previsioni.
E ancora, «il Collegio non può esimersi dal
rilevare, quale altro profilo di illiceità,
che non risulta sia stato rispettato il
principio amministrativistico di
concorsualità, che ispira in generale la
scelta del contraente e in base al quale
l'affidamento dell'incarico avrebbe dovuto
essere preceduto da gare informali, volte a
consultare una pluralità di soggetti»
(articolo ItaliaOggi del 04.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Consulenze
e pr, tagli senza sconti. Stretta su
incarichi specialistici e pubblicità
istituzionale. Le sezioni unite della Corte
dei conti chiariscono l'interpretazione
delle norme del dl 78/2010.
Il taglio delle spese
per consulenze, incarichi, pubbliche
relazioni e pubblicità non conosce
eccezioni. Nemmeno quando si tratta di
consulenze «altamente specialistiche», che
esulano dalle competenze delle
professionalità interne alle
amministrazioni, o di pubblicità
istituzionale, indispensabile per informare
i cittadini sulle modalità di fruizione dei
servizi pubblici. Entrambe non sfuggono,
contrariamente a quanto affermato dalla
Corte conti Lombardia, all'austerity
prevista dalla manovra correttiva 2010 (dl
78) che ha imposto una riduzione dell'80%
dei costi registrati nel 2009.
A chiarirlo sono le Sezioni unite di
controllo della
Corte Conti con la
delibera 21.09.2011 n. 50 resa
nota ieri.
I supremi giudici contabili sono stati
chiamati in causa dalla sezione dell'Emilia
Romagna a cui si era rivolto il Consiglio
delle autonomie locali della regione per
sciogliere una serie di dubbi
interpretativi. Sulla corretta lettura da
dare alle norme del dl 78 (art. 6, commi 7 e
8) i giudici emiliani hanno alzato le mani
rimettendo i quesiti alle sezioni unite. Le
quali tra la tesi più morbida suffragata
dalla Corte conti Lombardia (che propende
per escludere dal taglio le consulenze
specialistiche e le spese per le finalità
istituzionali previste dalla legge n.
150/2000) e quella più restrittiva fatta
propria dalla sezione dell'Emilia Romagna
hanno scelto quest'ultima. Sconfessando
apertamente i giudici lombardi la cui
interpretazione, hanno scritto, «non
appare coerente con la disciplina dettata in
materia che prevede tra i presupposti per il
ricorso a collaborazioni il preliminare
accertamento dell'impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane disponibili».
Quanto alle spese di pubblicità, le sezioni
unite hanno condiviso i timori della Corte
conti Lombardia in ordine ai possibili
effetti negativi sull'efficacia dei servizi,
ma hanno ritenuto di dover escludere dalla
stretta solo le forme di pubblicità previste
dalla legge come obbligatorie (per esempio
la pubblicità legale ndr). «L'ulteriore
esclusione», hanno scritto i giudici, «di
quelle relative alla c.d. pubblicità
istituzionale porterebbe inevitabilmente a
privare il precetto delle finalità di
risparmio previste» in considerazione
dell'ampiezza delle attività di formazione e
comunicazione di cui alla legge n. 150/2000.
Inoltre, hanno concluso le sezioni unite, un
altro argomento a favore di
un'interpretazione ampia della stretta, va
rinvenuto nella previsione di specifiche
deroghe (convegni organizzati dalle
università e dagli enti di ricerca, feste
nazionali e, solo per il 2012, mostre). «La
loro presenza, ove si accedesse a
un'interpretazione restrittiva, si
rivelerebbe in alcuni casi non utile,
potendo rientrare tra le forme di pubblicità
istituzionale»
(articolo ItaliaOggi
del 29.09.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
La progettazione esterna non può
essere affidata ad un dipendente pubblico a
tempo pieno.
L’art. 53 d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che
“quando il contratto ha per oggetto anche
la progettazione, ai sensi del comma 2, gli
operatori economici devono possedere i
requisiti prescritti per i progettisti,
ovvero avvalersi di progettisti qualificati,
da individuare nell’offerta, o partecipare
in raggruppamento con soggetti qualificati
per la progettazione. Il bando indica i
requisiti richiesti per i progettisti […]”.
L’art. 90, comma 1, lett. d) e ss., d.lgs. n
163 del 2006 a sua volta prevede che i
soggetti esterni ai quali può essere
affidata l’attività di progettazione sono
–in sintesi- i liberi professionisti
iscritti nel relativo albo professionale, le
società di professionisti o le società di
ingegneria.
Attesa la tassatività di un siffatto elenco
–da raccordare alla diretta
responsabilizzazione del soggetto della cui
prestazione ci si avvale- il soggetto “esterno”,
destinatario dell’incarico di progettazione
esterna, non può essere un pubblico
dipendente a tempo pieno. Quest’ultimo
invero non può esercitare la libera
professione e, quindi, non può assumere la
qualifica professionale che l’art. 90
richiede per i progettisti esterni.
In senso contrario non rileva
l’autorizzazione che l’Ing. ... aveva
ricevuto dall’Amministrazione di
appartenenza, perché tale autorizzazione non
poteva rimuovere la circostanza che la
prescrizione normativa da qui applicare
richiede in capo ai progettisti esterni un
vero e proprio status di libero
professionista (con tanto di iscrizione nel
relativo albo) e questo era precluso, nel
caso concreto, dall’esistenza di un rapporto
di lavoro a tempo pieno.
L’ing. ..., pertanto, non poteva essere un “progettista
qualificato” ai sensi dell’art. 53, né
un soggetto del quale la società incaricata
della progettazione si poteva avvalere,
anche solo come ausiliario, per integrare
parte dei requisiti di progettazione
richiesti dal bando di gara.
Inoltre, assume carattere assorbente
l’ulteriore e dirimente considerazione che
la pregressa attività svolta dall’Ing. ...
in qualità di dipendente pubblico non poteva
comunque essere utilizzata per integrare i
requisiti di progettazione richiesti dal
bando di gara.
La pregressa attività di progettazione
svolta per l’Amministrazione di appartenenza
è, infatti, esclusivamente riferibile a
quest’ultima.
Nemmeno, per escludere tale riferibilità
esclusiva, può valere la circostanza che i
progetti sono il frutto di un’attività umana
fondamentalmente intellettiva analoga
all’esercizio delle professioni liberali, in
quanto l’attività è svolta dal dipendente
ratione officii e non intuitu
personae e si risolve pertanto in una
modalità di svolgimento del rapporto di
pubblico impiego.
E’ da escludersi quindi che lo svolgimento
di tale attività consenta al dipendente di
acquisire in proprio un requisito di
qualificazione e, a maggior ragione, che
tale requisito di qualificazione possa poi
essere “prestato” o “ceduto” a
imprese private al fine di consentire la
partecipazione di queste ultime a gare di
appalto (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.09.2011 n. 5003 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Se di importo superiore ai
5.000,00 euro, anche incarichi inerenti ai
servizi di architettura e di ingegneria di
cui al D.Lgs. n. 163/2006 debbano essere
trasmessi alla Sezione regionale di
controllo della Corte dei Conti.
L’esclusione dall’obbligo di invio dei
provvedimenti di conferimento di incarichi
inerenti ai servizi di architettura e di
ingegneria discendeva dall’art. 1, comma 42,
della legge 30.12.2004, n. 311, che
originariamente prevedeva la trasmissione
alla Corte dei conti degli incarichi di
studio o di ricerca, ovvero di consulenze a
soggetti estranei all'amministrazione,
espressamente escludendo gli incarichi di
cui alla legge n. 109/1994 e successive
modificazioni.
La Sezione delle Autonomie della Corte dei
conti, nelle linee guida approvate con
deliberazione 02.03.2006 n. 4, ha
evidenziato come la nuova disciplina di cui
alla legge n. 266/2005 avesse sostituito ed
abrogato, per evidenti motivi di
incompatibilità, l’art. 1, commi 11 e 42,
della legge n. 311 del 2004.
Conseguentemente, non contemplando le
disposizioni di cui al comma 173 dell’art. 1
della legge n. 266/2005 alcuna eccezione per
gli atti di cui alla richiesta di parere, si
ritiene che, se di importo superiore ai
5.000,00 euro, anche incarichi inerenti ai
servizi di architettura e di ingegneria di
cui al D.Lgs. n. 163/2006 debbano essere
trasmessi alla Sezione regionale di
controllo della Corte dei Conti (cfr.:
parere 13.03.2009 n. 7 della
Sez. regionale del controllo per l’Emilia
Romagna; parere n. 3/Par/2007 e relazione
approvata con delibera n. 13/2010/SRCPIE/VSGF
del 23.02.2010 della Sezione regionale di
controllo per il Piemonte) (Corte dei Conti,
Sez. controllo Basilicata,
parere 01.09.2011 n. 32). |
INCARICHI PROFESSIONALI: MANOVRA BIS/ Enti,
professionisti scelti con gara.
La derogabilità delle tariffe spinge la p.a.
a trattare sul prezzo. Il dl 138 ammette la
pattuizione dei compensi per gli incarichi
anche in deroga ai minimi.
La derogabilità delle tariffe professionali
spinge le pubbliche amministrazioni a
conferire incarichi mediante gare col
criterio del prezzo più basso.
L'articolo 3, comma 5, lettera d), del dl
138/2011 costituisce indirettamente per le
amministrazioni l'obbligo di affidare
incarichi a professionisti (ingegneri,
architetti, avvocati, commercialisti,
psicologi) con una vera e propria
negoziazione dei compensi, da effettuare
ovviamente mediante le procedure di gara, ai
sensi del dlgs 163/2006.
La norma introdotta dalla manovra estiva
2011-bis, infatti, stabilisce che «il
compenso spettante al professionista è
pattuito per iscritto all'atto del
conferimento dell'incarico professionale
prendendo come riferimento le tariffe
professionali. È ammessa la pattuizione dei
compensi anche in deroga alle tariffe».
In sostanza si rimette alle parti la
determinazione del compenso. Sicché le
tariffe non costituiscono né un riferimento
obbligatorio, né possono essere lette come
minimi garantiti. La loro piena derogabilità
permette, anzi, la determinazione di
compensi anche di carattere forfetario.
Secondo l'ultimo periodo del citato articolo
3, comma 5, lettera d), «in caso di mancata
determinazione consensuale del compenso,
quando il committente è un ente pubblico, in
caso di liquidazione giudiziale dei
compensi, ovvero nei casi in cui la
prestazione professionale è resa
nell'interesse dei terzi si applicano le
tariffe professionali stabilite con decreto
dal ministro della giustizia».
La combinazione delle disposizioni
richiamate rende estremamente rischioso
affidare incarichi a professionisti senza
aver determinato consensualmente il
compenso. Infatti, l'applicazione giudiziale
del compenso attraverso le tariffe potrebbe
determinare un esborso di spesa superiore a
quello che, laddove si fosse svolta una gara
con ribasso delle voci di compenso, si
sarebbe potuto spuntare. Insomma, la mancata
negoziazione e fissazione consensuale dei
compensi rischia di aprire le porte alla
responsabilità erariale per le
amministrazioni che incautamente non
trarranno le necessarie conclusioni
derivanti dalla derogabilità delle tariffe.
Del resto, la magistratura contabile ha più
volte espresso l'avviso secondo il quale ai
fini della determinazione dell'impegno di
spesa e per evitare il maturare di debiti
fuori bilancio «va acquisita dall'avvocato,
al quale è stata affidata la rappresentanza
in giudizio del comune, un preventivo di
massima relativo agli onorari, alle
competenze ed alle spese che presuntivamente
deriveranno dall'espletamento dell'incarico
stesso ai fini di predisporre un adeguata
copertura finanziaria» (Corte dei conti,
sezione regionale di controllo per la
Campania, 04.02.2009, n. 8).
Risulterà, dunque, onere delle
amministrazioni, prima di affidare gli
incarichi, verificare quali elementi della
prestazione possano ricadere nelle voci di
tariffa, per costruire una griglia oppure
elaborare una base di gara forfetaria o «a
corpo» su cui chiedere il ribasso, attivando
così una vera e propria negoziazione del
compenso, tale da escludere l'applicazione
delle tariffe in caso di contenzioso ed
evitare un surplus imprevisto di spesa.
I medesimi adempimenti vanno svolti anche
nel caso in cui la normativa consenta
affidamenti diretti senza gara, come nel
caso di cottimi fiduciari
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Manovra
soft sulle professioni. Compensi da pattuire
con il cliente. Le tariffe valgono come
riferimento.
Un'istantanea
dell'esistente e una formulazione confusa
che prevede tutto e il suo contrario in
materia di onorari professionali, ma che
sostanzialmente recupera i tariffari
professionali "aboliti" dalla Bersani, nel
2006, assieme ai minimi.
Doveva essere la tempesta perfetta che si
abbatte sul mondo professionale. L'occasione
–forse unica perché dettata dall'urgenza dei
conti e da 20 anni di attesa– di scuotere
categorie in molti casi sostanzialmente
ancorate a regi decreti, fornendo loro gli
strumenti organizzativi ed economici
(costituire società flessibili e
multidisciplinari, fare ricerca o accedere
al credito) per ristrutturarsi e uscire
dalla crisi.
Quello che, invece, si affaccia con la
manovra d'agosto è un temporale estivo e
passeggero. Anche perché gran parte delle
misure sono già presenti nelle leggi
professionali, nei codici deontologici o in
regolamenti già in vigore che anticipano le
riforme degli ordinamenti che arrancano tra
Camera e Senato.
A partire dai compensi, per i quali, dietro
a una formulazione confusa, si riavvolgono
le lancette dell'orologio. Nel 2006, il
decreto legge Bersani aveva già abolito la
tariffa minima per i professionisti, con
possibilità del cliente di negoziare la
parcella. La formulazione contenuta nella
manovra, invece, non è altrettanto schietta:
«Il compenso spettante al professionista
–vi si legge– è pattuito per iscritto
all'atto del conferimento dell'incarico
professionale prendendo come riferimento le
tariffe professionali. È ammessa la
pattuizione dei compensi anche in deroga
alle tariffe stabilite con decreto dal
ministro della Giustizia».
Insomma, il compenso va sì pattuito, ma il
riferimento al tariffario recupera una
rilevanza che aveva perso nel decreto
Bersani. In pratica, si richiamano le
tariffe come "base" per il negoziato
e al contempo si dà la possibilità di
derogare alle tariffe stesse. Che comunque
restano applicabili in caso di contenzioso.
Per gli ingegneri –ad esempio– in tema di
tariffe, costituisce ancora illecito
disciplinare (oltre che nullità parziale del
contratto) la violazione dell'articolo 2233
del Codice civile, comma 2, in base al quale
«in ogni caso la misura del compenso deve
essere adeguata all'importanza dell'opera e
al decoro della professione».
Mentre, dopo un lungo braccio di ferro con
l'Antitrust, gli avvocati hanno rimosso
recentemente dal loro codice il collegamento
tra illecito disciplinare e Codice civile.
Non costituirà più illecito, ma che «la
misura del compenso debba essere adeguata
all'importanza dell'opera e al decoro della
professione» resta un "faro" sia
nel codice forense sia in quello dei
consulenti del lavoro. Più "liberisti",
sinora, si sono dimostrati i commercialisti,
nel cui codice il compenso è già liberamente
determinato dalle parti –senza alcun vincolo
di "decoro"– e deve essere
commisurato all'importanza dell'incarico,
alle conoscenze tecniche e all'impegno
richiesti.
La manovra di Ferragosto impone anche ai
professionisti la stipula di
un'assicurazione per danni derivanti
dall'esercizio professionale. Sebbene sia
sinora un obbligo vero e proprio solo per i
medici dipendenti e per i notai –per questi
ultimi la copertura è garantita dal
Consiglio nazionale e "ripagata"
dagli iscritti tramite le quote versate
all'Ordine– per le altre categorie (dai
legali ai consulenti, dagli ingegneri agli
architetti ai geometri) hanno stipulato
convenzioni con compagnie assicurative e
attivato moral suasion sugli
iscritti.
La pubblicità informativa –non comparativa,
denigratoria e rispettosa della privacy
della clientela– è già una realtà,
introdotta dal decreto Bersani. Ed è ormai "recepita"
negli ordinamenti e nella prassi quotidiana,
la formazione continua obbligatoria.
Così come fotografia dell'esistente è la
previsione di un equo compenso per i
praticanti, comunque non quantificato. Non è
obbligatorio ma opportuno per avvocati («magari
dopo il primo anno») e consulenti del
lavoro, che lo prevedono già nei rispettivi
codici. I commercialisti, benché
sottolineano «la natura gratuita» della
pratica, segnalano il dovere di
corrispondere al tirocinante una «borsa
di studio». Anche se sui forum online di
praticanti e precari non sono pochi gli "sfoghi"
di chi lamenta di lavorare a zero euro.
Inoltre, sia commercialisti sia consulenti
del lavoro prevedono già la possibilità
–come sancito dalla manovra– di integrare un
periodo di pratica al corso di studi
universitari. Abbreviando i tempi. In ogni
caso, avere inserito nero su bianco nel
decreto il compenso dei praticanti potrebbe
essere un primo passo per far acquisire un
profilo e un embrione di inquadramento al "ragazzo
di bottega" sinora non riconosciuto.
L'outsourcing del procedimento disciplinare
a un organo territoriale diverso da quello
amministrativo è, invece, mutuato dal
modello sinora in vigore per i soli notai.
Per gli eletti alle Coredi, le commissioni
regionali di disciplina, valgono anche una
serie di incompatibilità, tra componente
dell'organo e quelle di consigliere locale o
nazionale. Il problema resta per lo più il
basso numero di procedimenti disciplinari. A
parte i medici, secondo i dati forniti dagli
stessi Consigli nazionali, ogni anno sono
poche decine i procedimenti disciplinari da
affrontare.
Infine, se nella manovra non si fa cenno a
forme societarie o ad attività
multidisciplinari, sembra difficile che
possa cambiare davvero qualcosa anche sul
fronte dell'abbattimento alle restrizioni
d'impresa. Dato che le restrizioni potranno
restare in vigore per ragioni di interesse
pubblico, si presume che per notai e
farmacisti restino inalterate le barriere
quantitative. Sia quelle all'ingresso nella
professione, sia nella distribuzione delle
sedi e delle licenze (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.08.2011). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Conferimento incarico collaudatore opere
pubbliche libero professionista ex
dipendente.
Ai sensi della normativa
vigente, gli incarichi in materia di
realizzazione di opere pubbliche possono
essere conferiti a liberi professionisti ex
dipendenti, qualora il collocamento a riposo
sia avvenuto d'ufficio, non anche nel caso
di dimissioni volontarie, per cui vige un
espresso divieto.
La pubblica amministrazione non può affidare
un incarico ad un soggetto esterno se non si
è prima dotata di un apposito regolamento
con il quale disciplinare e rendere
pubbliche le procedure comparative per il
conferimento degli incarichi di
collaborazione.
---------------
L'Ente riferisce di aver conferito, nel
corso dell'anno 2010, un incarico di
collaudatore statico in corso di opera ad un
proprio dipendente, responsabile
dell'ufficio tecnico, ai sensi dell'art. 9,
comma 1, L.R. n. 14/2002, 'Disciplina
organica dei lavori pubblici', e di
essere intenzionato a rivolgersi ancora, per
la prosecuzione dell'incarico, al tecnico in
questione, in qualità di libero
professionista, in quanto attualmente in
quiescenza per anzianità di servizio.
Preliminarmente, si rende noto che lo
scrivente Ufficio ha già avuto modo di
esprimersi, di recente, con nota n. 23585
del 28.06.2011[1], sul conferimento degli
incarichi a personale già dipendente delle
amministrazioni, facendo riferimento alla
disciplina di cui all'articolo 25, L. n.
724/1994 (Legge Finanziaria 1995), tutt'ora
in vigore, in quanto non abrogato o
modificato dalle disposizioni legislative
intervenute successivamente[2].
Detta norma, al fine di garantire la piena
ed effettiva trasparenza e imparzialità
dell'azione amministrativa, prevede che gli
incarichi di consulenza, collaborazione,
studio e ricerca non possano essere
conferiti al personale dipendente delle
amministrazioni pubbliche, che sia cessato
volontariamente dal servizio, pur non avendo
il requisito previsto per il pensionamento
di vecchiaia, ma in presenza di quello
contributivo per la pensione anticipata di
anzianità, da parte dell'amministrazione di
provenienza o di amministrazioni con le
quali detto personale abbia avuto rapporti
di lavoro o impiego nei cinque anni
precedenti a quello della cessazione dal
servizio.
Come già osservato nella nota richiamata,
anche alla luce delle precisazioni fornite,
in altra occasione, dal Dipartimento della
funzione pubblica, la disposizione della
legge finanziaria del 1995 riguarda
l'ipotesi in cui il collocamento a riposo
sia avvenuto per dimissioni volontarie
(pensione anticipata di anzianità), non
ponendo invece impedimenti al conferimento
degli incarichi di consulenza in caso di
collocamento a riposo d'ufficio, per limiti
di età o contributivi.
Si è, inoltre, evidenziata la duplice
ratio della norma in argomento, quale
individuata dalla Corte dei Conti: la
salvaguardia della imparzialità e
trasparenza nel conferimento degli
incarichi, atteso che è proprio nei
particolari casi di ex dipendenti
dell'amministrazione che tali esigenze si
pongono in modo più pressante, da una parte;
la finalità di garantire risparmi di spesa,
impedendo il cumulo tra pensione e
retribuzione, dall'altra[3].
Anche la Corte Costituzionale ha rilevato
come il divieto di cui all'art. 25, L. n.
724/1994, 'tende ad arginare il fenomeno
di dimissioni accompagnate da incarichi ad
ex dipendenti, sì da garantire la piena ed
effettiva trasparenza e l'imparzialità
dell'azione amministrativa' (C. Cost.,
n. 406/1995).
E dunque, avuto riguardo alla normativa
richiamata e alle precisazioni acquisite in
merito dal Dipartimento della funzione
pubblica, si ritiene che non vi siano
impedimenti al conferimento dell'incarico di
collaudatore all'ex dipendente, qualora il
collocamento in quiescenza, che l'Ente
riferisce essere avvenuto per anzianità di
servizio, abbia avuto luogo d'ufficio, per
raggiunti limiti contributivi. Non si può,
invece, procedere a tale affidamento nel
caso in cui il dipendente, avendo raggiunto
i requisiti per la pensione anticipata di
anzianità, abbia volontariamente posto fine
al suo rapporto di servizio.
Per completezza di analisi, in materia di
conferimento di incarichi esterni, si
richiama, infine, l'attenzione, sul
contenuto dell'art. 7, D.Lgs. n. 165/2001,
che ne disciplina espressamente i requisiti,
ed in particolare sul comma 6-bis dell'art.
7, quale novellato dall'art. 32 del D.L. n.
223/2006 (Decreto Bersani, 'Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale,
per il contenimento e la razionalizzazione
della spesa pubblica, nonché interventi in
materia di entrate e di contrasto
all'evasione fiscale'), a norma del
quale la pubblica amministrazione non può
affidare un incarico ad un soggetto esterno
se non si è prima dotata di un apposito
regolamento con il quale disciplinare e
rendere pubbliche le procedure comparative
per il conferimento degli incarichi di
collaborazione[4].
---------------
[1] La nota è consultabile nella banca
dati on-line della Regione FVG all'indirizzo
web: http://autonomielocali.regione.fvg.it/aall/opencms/AALL/Servizi/pareri/
[2] Parere ANCI del 18.09.2007
[3] Corte dei Conti, Puglia, deliberazione
n. 3/2010. Nello stesso senso, Corte dei
Conti, Umbria, sentenza n. 235/2006. Nel
contesto dell'art. 25, L. 724/1995, la
trasparenza e l'imparzialità passano da
attributi generali dell'azione
amministrativa a specifici beni/valori da
tutelare, in relazione agli abusi
intrinsecamente presenti nel conferimento di
incarichi a chi, già dipendente
dell'amministrazione che attribuisce gli
incarichi stessi, ha volontariamente posto
fine al suo rapporto di servizio con
l'amministrazione, manifestando così un
chiaro disinteresse all'espletamento di
ulteriori attività lavorative con la
medesima .... Il divieto imposto dall'art.
25 in argomento deve ritenersi non più
operante dalla data in cui il soggetto
interessato ha raggiunto il requisito del
pensionamento di vecchiaia per aver compiuto
il 65° anno di età.
[4] La norma è richiamata dalla
giurisprudenza della Corte dei Conti: CdC,
deliberazione n. 25 del 19.11.2010
(10.08.2011 - link a
www.regione.fvg.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Le
planimetrie presentate a corredo della
richiesta di certificati ed autorizzazioni,
redatte -secondo le vigenti disposizioni-
dall'esercente una professione necessitante
speciale abilitazione dello Stato, hanno
natura di certificato, poiché assolvono la
funzione di dare alla pubblica
amministrazione un'esatta informazione
intorno allo stato dei luoghi.
Risponde, pertanto, del delitto previsto
dall'art. 481 c.p., il professionista che
rediga relazioni grafiche (planimetrie) non
conformi al predetto stato.
Con motivazione del tutto logica la Corte di
appello di Genova, nel giudizio di rinvio,
ha ritenuto la sussistenza della falsa
attestazione addebitata all'imputato.
Allo stesso era stato contestato di aver
attestato nella tavola inerente lo stato
attuale del fabbricato che il medesimo
presentava muri perimetrali aventi spessore
di circa cm. 50, mentre invece il reale
spessore dei muri variava da cm. 170 a cm.
130.
La Corte -disattendendo la tesi difensiva
che al momento del sopralluogo effettuato
dall'imputato non fossero stati ancora
ispessiti i muri perimetrali del fabbricato-
ha logicamente dedotto dalle dimensioni del
perimetro complessivo del rustico riportate
nella planimetria redatta dall'imputato che
detto ispessimento era stato già operato al
momento del sopralluogo effettuato
dall'imputato, e quindi questi aveva
falsamente attestato che i muri perimetrali
avevano uno spessore di cm. 50.
Detta falsa attestazione era stata compiuta
per consentire, nella ristrutturazione del
fabbricato, di ricavare una superficie
interna tre volte superiore a quella
originaria.
Deve invece essere accolto il motivo di
ricorso relativo alla qualificazione
giuridica del fatto, poiché questa Corte,
con giurisprudenza costante, ha stabilito
che le planimetrie presentate a corredo
della richiesta di certificati ed
autorizzazioni, redatte -secondo le vigenti
disposizioni- dall'esercente una professione
necessitante speciale abilitazione dello
Stato, hanno natura di certificato, poiché
assolvono la funzione di dare alla pubblica
amministrazione un'esatta informazione
intorno allo stato dei luoghi.
Risponde, pertanto, del delitto previsto
dall'art. 481 c.p., il professionista che
rediga relazioni grafiche (planimetrie) non
conformi al predetto stato (V. Sez. 5 sent.
5298 del 23.04.1993, Rv. 195375; Sez. 5
sent. 5098 dell'08.03.2000, Rv. 216056; Sez.
3 sent. 30401 del 23.06.2009, Rv. 244588;
Sez. 5 sent. 35615 del 14.05.2010, Rv.
248878)
(Corte di Cassazione, Sez. I penale,
sentenza 05.07.2011 n. 26172). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Annullamento/revoca d'ufficio di
un incarico professionale - Giurisdizione
amministrativa - Sussiste.
Rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia avente per
oggetto l'annullamento d'ufficio o la revoca
di un incarico professionale di
progettazione e di direzione lavori, atteso
che la controversia non riguarda la validità
ed efficacia del contratto ma il legittimo
uso del provvedimento di autotutela (Nella
sentenza il Collegio dà tuttavia atto che si
registra in giurisprudenza un orientamento
di segno opposto cui lo stesso ha ritenuto
di non aderire, cfr. da ultimo C.G.A., Sez.
giur. 31.05.2011, n. 402)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
22.06.2011 n.
1606 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
L’atto con cui il competente
organo comunale affida a un professionista
l'incarico della redazione di un progetto
per un'opera pubblica è valido e vincolante
nei confronti dell'ente soltanto qualora
contenga la previsione dell'ammontare del
compenso dovuto al professionista e dei
mezzi per farvi fronte, con la conseguenza
che l'inosservanza di tali prescrizioni
determina la nullità della determinazione in
parola, che si estende al contratto di
prestazione d'opera poi stipulato col
professionista.
L’atto con cui il competente organo comunale
affida a un professionista l'incarico della
redazione di un progetto per un'opera
pubblica è valido e vincolante nei confronti
dell'ente soltanto qualora contenga la
previsione dell'ammontare del compenso
dovuto al professionista e dei mezzi per
farvi fronte, con la conseguenza che
l'inosservanza di tali prescrizioni
determina la nullità della determinazione in
parola, che si estende al contratto di
prestazione d'opera poi stipulato col
professionista (cfr. TAR Campania Salerno,
sez. II, 15.04.2010, n. 3908) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 22.06.2011 n. 1606 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Incarichi
di progettazione sotto soglia: l'ente
appaltante non ha l'obbligo di pubblicare il
bando di gara.
Non sussiste la violazione delle norme
relative alle procedure ad evidenza
pubblica, trattandosi di appalto sotto
soglia comunitaria riguardante incarichi di
progettazione, per cui l’Ente non era
obbligato alla pubblicazione del bando di
gara.
Difatti, nonostante il bando contenga
erroneamente il richiamo all’art. 124 del
codice dei contrati, trattandosi di incarico
di progettazione di importo inferiore a
100.000 euro, trova applicazione l’art. 91,
2° comma, cod. contr. che così dispone: “Gli incarichi di progettazione di importo
inferiore alla soglia di cui al comma 1 (100.000 euro) possono essere affidati dalle
stazioni appaltanti, a cura del responsabile
del procedimento, ai soggetti di cui al
comma 1, lettere d), e), f), g) e h)
dell'articolo 90, nel rispetto dei principi
di non discriminazione, parità di
trattamento, proporzionalità e trasparenza,
e secondo la procedura prevista
dall'articolo 57, comma 6; l'invito è
rivolto ad almeno cinque soggetti, se
sussistono in tale numero aspiranti idonei.”
(massima tratta da
www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 13.06.2011 n. 1464
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni, largo all'in house. Il
Tar Toscana dice sì agli affidamenti.
È legittimo l'affidamento di attività di
progettazione da parte di un ente locale ad
una società in house, anche se costituita
per lo svolgimento di servizi pubblici
locali; la società in house, costituita
dall'ente locale, deve essere considerata
stazione appaltante e deve affidare
eventuali incarichi a terzi seguendo le
procedure del Codice e del regolamento.
E' quanto afferma il TAR Toscana, Sez. I,
con la
sentenza
13.06.2011 n. 1041, sul ricorso
presentato da un Ordine provinciale che
aveva eccepito la presunta illegittimità di
un affidamento di progettazione ad una
società in house di un ente locale,
costituita per la gestione di servizi
pubblici locali.
Il Tar in primo luogo chiarisce che l'art.
90 del Codice dei contratti pubblici ammette
che le amministrazioni pubbliche possano
svolgere progettazione di opere pubbliche
mediante affidamento ad una società in house
della stazione appaltante che viene a
configurarsi come un proprio ufficio
tecnico. Tutto ciò presuppone, però, che
sulla società medesima il comune eserciti un
controllo penetrante (il cosiddetto «controllo
analogo»), il quale esclude che la
società in house essa possa operare
autonomamente. Inoltre, il fatto che
l'ufficio tecnico della società operi
unicamente a favore dell'affidante e sotto
il suo diretto controllo, porta ad escludere
che nella fattispecie si sia realizzato un
affidamento esterno da parte della stazione
appaltante, violando il Codice dei contratti
pubblici.
Da ciò deriva che tale società deve essere
ricompresa nel concetto di stazione
appaltante «poiché quest'ultima non si
configura quale soggetto esterno
all'amministrazione medesima ma,
analogamente ai suoi uffici interni, ne
rappresenta una parte integrante, sia pure
giuridicamente separata». Pertanto se la
società in house dovesse successivamente
affidare a terzi incarichi di progettazione
sarà comunque tenuta ad applicare le norme
del Codice dei contratti pubblici.
Inoltre il Tar chiarisce che è del tutto
irrilevante che la società in house
sia stata costituita dal comune per lo
svolgimento di servizi pubblici locali nei
quali non sono comprese le attività di
progettazione delle opere pubbliche, né la
direzione lavori né il collaudo dette
stesse: «la normativa sui servizi
pubblici locali non esclude che la società
la quale gestisca un servizio pubblico
locale possa svolgere anche altre attività»,
fra cui anche la progettazione
(articolo ItaliaOggi
del 23.06.2011). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
La
palese illegittimità dell’atto di conferimento di un
incarico professionale esterno (nella specie ad un
architetto) determina l’illiceità dell’esborso con
conseguente danno erariale.
Le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione del
provvedimento, quindi, non sono meri vizi inficianti
l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla
sfera di legittimità del provvedimento, ma si riverberano
anche sugli effetti economici prodotti da questo, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Veneto,
sentenza
20.05.2011 n. 284 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Con
il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di
“esternalizzazione” di attività è stata
disciplinata con maggiore puntualità e
rigore, prevedendo (art. 7, comma 6) che
«per esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi
individuali, con contratti di lavoro
autonomo, di natura occasionale o coordinata
e continuativa, ad esperti di particolare e
comprovata specializzazione anche
universitaria, in presenza dei seguenti
presupposti di legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione».
- Dalla disciplina di riferimento emerge
l’obbligo per le Amministrazioni e gli Enti
pubblici di svolgere, di norma, i compiti
istituzionali avvalendosi del personale
interno. Tale regola è espressione del
principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione ed è
strumentalmente volta ad assicurare
l'economicità dell’azione pubblica.
- Il conferimento degli incarichi di
consulenza a soggetti esterni rappresenta
un’opzione operativa percorribile solo in
presenza di speciali condizioni e,
segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione
del pertinente provvedimento di
conferimento) i seguenti presupposti:
assenza di una apposita struttura
organizzativa ovvero una carenza organica
che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione, da accertare per mezzo di una
reale ricognizione; complessità dei problemi
da risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall’Amministrazione.
- I profili di illegittimità degli atti
costituiscono un sintomo della dannosità per
l’erario delle condotte che all’adozione di
quegli atti abbiano concorso. In altri
termini, la non conformità dell’azione
amministrativa alle puntuali prescrizioni
che ne regolano lo svolgimento pur non
essendo idonea a generare, di per sé, una
responsabilità amministrativa in capo
all’agente, può assumere rilevanza allorché
quegli atti integrino una condotta almeno
gravemente colposa, foriera di un nocumento
economico per l’Amministrazione.
... Gli incarichi sopra indicati presentano
numerosi profili di difformità rispetto ai
parametri normativi che, in maniera cogente,
ne regolano i conferimenti.
Tali parametri, alla luce delle
argomentazioni sviluppate dalla locale
Sezione d’Appello (Sez. App. Sicilia
88/A/2009), sulla scorta di un consolidato
orientamento della Corte di Cassazione
(Sent. 19815/2008; Sent. 4511/2006; Ord.
19667/2003), secondo cui «gli enti
pubblici economici –soggetti pubblici per
definizione e che perseguono fini del pari
pubblici attraverso risorse di eguale
natura– svolgono dunque anch’essi attività
amministrativa», devono rinvenirsi, come
per tutte le amministrazioni ed enti
pubblici diversi dagli enti locali,
nell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 29/1993,
che prevedeva che «per esigenze cui non
possono far fronte con il personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali ad
esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e
compenso della collaborazione».
Con il D.Lgs. 165/2001, la possibilità di “esternalizzazione”
di attività è stata disciplinata con
maggiore puntualità e rigore, prevedendo
(art. 7, comma 6) che «per esigenze cui
non possono far fronte con personale in
servizio, le amministrazioni pubbliche
possono conferire incarichi individuali, con
contratti di lavoro autonomo, di natura
occasionale o coordinata e continuativa, ad
esperti di particolare e comprovata
specializzazione anche universitaria, in
presenza dei seguenti presupposti di
legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve
corrispondere alle competenze attribuite
dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti
specifici e determinati e deve risultare
coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere
preliminarmente accertato l'impossibilità
oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura
temporanea e altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione».
In definitiva, dalla disciplina di
riferimento emerge l’obbligo per le
Amministrazioni e gli Enti pubblici di
svolgere, di norma, i compiti istituzionali
avvalendosi del personale interno. Tale
regola è espressione del principio
costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione ed è
strumentalmente volta ad assicurare
l'economicità dell’azione pubblica.
Il conferimento degli incarichi di
consulenza a soggetti esterni rappresenta
un’opzione operativa percorribile solo in
presenza di speciali condizioni e,
segnatamente, laddove sussistano (e vengano
conseguentemente esternate nella motivazione
del pertinente provvedimento di
conferimento) i seguenti presupposti:
assenza di una apposita struttura
organizzativa ovvero una carenza organica
che impedisca o renda oggettivamente
difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione, da accertare per mezzo di una
reale ricognizione; complessità dei problemi
da risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall’Amministrazione.
Detti presupposti sono cumulativi e,
soprattutto, devono essere oggettivamente
sussistenti.
Nella vicenda in esame i numerosi incarichi
sopra indicati risultano conferiti senza
rispettare le condizioni che legittimavano
l’impiego della speciale soluzione
gestionale. Ed, infatti, sulla base della
documentazione in atti:
- non risultano esplicitati i connotati di
alta specializzazione dei soggetti chiamati
a prestare ausilio all’Ente;
- non risulta essere stata compiuta alcuna
concreta verifica circa la sussistenza di
risorse interne, mediante una concreta
valutazione dei livelli di esperienza dei
dipendenti ed un apprezzamento del grado di
adeguatezza delle cognizioni specialistiche
dei medesimi per i realizzandi interventi;
- non vi è una congrua specificazione
dell’attività richiesta ai soggetti
incaricati;
- non sono stati esplicitati i parametri in
base ai quali sono stati quantificati i
compensi dei consulenti;
- non è rinvenibile alcun apprezzamento
della congruità della durata delle
prestazioni richieste.
Con specifico riferimento alla
indispensabile previa verifica di adeguate
professionalità interne, la difesa del
ricorrente ha contestato la completezza
della «istruttoria posta a sostegno della
richiesta della pubblica Accusa». La
doglianza, però, evidenzia un errore di
prospettiva.
La dimostrazione dell’insussistenza di
adeguate professionalità interne con le
quali far fronte alle esigenze
istituzionali, infatti, sarebbe dovuta
emergere, come risultato esplicito di una
indagine effettivamente compiuta, prima del
conferimento dell’incarico.
Pertanto, non gravava sulla Procura l’onere
di dimostrare che con il personale interno
poteva farsi fronte alle attività per le
quali erano stati conferiti incarichi a
soggetti esterni. In altri termini,
l’inottemperanza all’obbligo di legge di
verificare la sussistenza di una condizione
legittimante l’impiego di uno strumento
operativo, non rovescia sul soggetto che
quell’inottemperanza contesta, l’onere di
dimostrarne la ricorrenza. Quell’obbligo era
e continua ad essere riferibile,
esclusivamente, al soggetto che quella
verifica era chiamato a compiere prima di
conferire l’incarico.
Sulla Procura agente, quindi, incombeva
esclusivamente l’onere di constatare
l’insussistenza di quell’approfondimento di
carattere preliminare. E tale onere
probatorio risulta compiutamente assolto.
A tali profili invalidanti, afferenti i
singoli conferimenti di incarico, si
affianca, poi, un'altra anomalia alla quale
deve riconoscersi una non minore portata
inficiante.
Non può infatti essere sottaciuto che i
conferimenti sono stati operati senza
assicurare adeguata pubblicità alle esigenze
che giustificavano il ricorso a
professionalità esterne, senza, cioè,
avviare procedure che consentissero di
contemperare i principi generali della
trasparenza e del buon andamento con
l'esigenza dell’Ente, versante in una
condizione finanziaria oltremodo
deteriorata, di approvvigionarsi all’esterno
di apporti collaborativi a costi congrui,
frutto del fisiologico operare delle regole
della concorrenza.
Né, a diversa conclusione può pervenirsi
dando rilievo alle risultanze degli estratti
del protocollo interno, prodotti in udienza
dalla difesa del convenuto. Anche a voler
ritenere superabile l’opposizione
manifestata dalla Procura (sempre in sede di
trattazione orale della vertenza) alla
produzione documentale in ordine alla
mancanza di certezza della provenienza del
materiale, dai documenti prodotti non
emergono elementi valutativi che consentano
diversi apprezzamenti: le asserite relazioni
epistolari con altri soggetti che avrebbero
potuto svolgere l’incarico o con il soggetto
incaricato di svolgere l’incarico allo scopo
di ottenere una riduzione del compenso non
appaiono, infatti, corroborate da elementi
di riscontro idonee ad elevare il grado di
attendibilità delle affermazioni difensive
fino alla soglia della prova.
In proposito sembra opportuno evidenziare
che, secondo un orientamento
giurisprudenziale pressoché pacifico (cfr.,
ex multis, Corte conti, Sez.
Lombardia, 05.03.2007, n. 141; id., Sez.
App. III, 10.03.2003, n. 100/A; id., Sez.
Molise, 04.04.2002, n. 65/E), i profili di
illegittimità degli atti costituiscono un
sintomo della dannosità per l’erario delle
condotte che all’adozione di quegli atti
abbiano concorso.
In altri termini, la non conformità
dell’azione amministrativa alle puntuali
prescrizioni che ne regolano lo svolgimento
pur non essendo idonea a generare, di per
sé, una responsabilità amministrativa in
capo all’agente, può assumere rilevanza
allorché quegli atti integrino una condotta
almeno gravemente colposa, foriera di un
nocumento economico per l’Amministrazione.
Tale principio, certamente valevole come
enunciazione di sintesi deve comunque subire
un’operazione di attualizzazione e
specificazione, per tener conto dei
peculiari connotati dell’agire pubblico che,
di volta in volta, viene portato
all’attenzione del Giudice contabile.
Ebbene, tale operazione di taratura del
principio porta il Collegio a ritenere che
le plurime e qualitativamente significative
devianze dalle vincolanti prescrizioni di
riferimento in occasione dei conferimenti
degli incarichi di consulenza in precedenza
specificati integrano fatti dannosi per
l’erario dell’Ente.
A tale conclusione induce la considerazione
secondo la quale gli stringenti limiti al
conferimento degli incarichi a soggetti
esterni sono posti a garanzia del preminente
interesse alla corretta ed oculata
allocazione delle risorse, nonché a presidio
degli equilibri di finanza pubblica. La
preservazione di tali valori ha luogo, oltre
che attraverso la fissazione di tetti
quantitativi alla spesa, anche mediante
l’imposizione di vincoli di carattere modale
che definiscono condizioni e procedure che
legittimano l’esborso.
In tale peculiare contesto, il rispetto
delle limitazioni, per quanto di rilievo nel
presente giudizio, di carattere modale è
presupposto di legittimità della spesa
sostenuta per la remunerazione del
consulente: le lacune procedurali,
rilevabili per il tramite della motivazione
del provvedimento, quindi, non sono meri
vizi inficianti l’azione amministrativa con
rilevanza circoscritta alla sfera di
legittimità del provvedimento, ma si
riverberano anche sugli effetti economici
prodotti da questo, rendendo,
automaticamente, dannosa per l’erario la
conseguente spesa.
Tale ricostruzione è in linea con un
orientamento giurisprudenziale consolidato
sia in primo grado (tra le tante, più di
recente, Sez. Giur. Lazio Sent 06.05.2008,
n. 736; Sez. Giur. Sicilia Sent. 07.01.2008,
n. 185; Sez. Giur. Molise Sent. 28.02.2007,
n. 50; Sez. Giur. Sicilia Sent. 21.09.2007,
n. 2492; Sez. Giur. Veneto Sent. 03.04.2007,
n. 303; Sez. Giur. Calabria Sent.
30.08.2006, n. 672), che in grado di appello
(ex pluribus: Sez. I App Sent.
28.05.2008, n. 237; Sez. App. III Sent.
05.04.2006, n. 173; Sez. App. II Sent.
20.03.2006, n. 122; Sez. App. II Sent.
16.02.2006, n. 107; Sez. App. III Sent.
06.02.2006, n. 74 ; Sez. App. I Sent.
04.10.2005, n. 304; Sez. App. I Sent.
08.08.2005, n. 259; Sez. App. I Sent.
31.05.2005, n. 187; Sez. App. III Sent.
13.04.2005, n. 183; Sez. App. II Sent.
28.11.2005, n. 389).
In particolare, poi, tale indirizzo ha
ricevuto anche l’avallo della locale Sezione
d’Appello (cfr. Sent. 101/A/2010;
196/A/2009; 284/A/2008; 206/A/2008;
122/A/2008; 48/A/2007), la quale, dopo aver
evidenziato che le speciali condizioni
(rispondenza dell'incarico agli obiettivi
dell'ente; assenza di una apposita struttura
organizzativa della P.A. ovvero carenza
organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di
una determinata funzione pubblica, da
accertare per mezzo di una reale
ricognizione; complessità dei problemi da
risolvere che richiedono conoscenze ed
esperienze eccedenti le normali competenze
del personale della P.A. o dell'ente
pubblico; indicazione specifica dei
contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico; indicazione della durata
dell'incarico, svolgimento da parte del
consulente privato di un'attività non
continuativa; proporzione fra il compenso
corrisposto all'incaricato e l'utilità
conseguita dall'amministrazione) che
legittimano il conferimento degli incarichi
di consulenza a professionisti esterni alla
P.A. «devono coesistere e, soprattutto,
devono essere oggettivamente sussistenti»,
ha affermato che, «nei rapporti
pubblicistici (…) si deve tenere conto dei
limiti posti dal legislatore all'azione
degli amministratori, soprattutto quando,
come nella specie, detti limiti mirano a
tutelare preminenti interessi pubblici,
quali quelli che si ricollegano alle
esigenze di equilibrio della finanza
pubblica in un momento di grave crisi
economico-finanziaria del paese. Pertanto,
quando, come nel caso in esame, il
legislatore pone agli amministratori
pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utile tutte
quelle spese che non rispettino i limiti da
esso posti, è sufficiente che la spesa si
effettui contra legem perché si realizzi il
danno».
L’illegittimità dei conferimenti degli
incarichi costituisce il presupposto di
antigiuridicità da cui è viziato il
comportamento dell’allora Commissario
dell’Ente Fiera e l’antecedente causale da
cui discende il danno erariale subito
dall’Ente pari alle somme che sono state
pagate per la remunerazione dei consulenti.
Tale condotta è imputabile quantomeno a
titolo di colpa grave. Il Commissario,
infatti, ha reiteratamente posto in essere
comportamenti espressivi, in base ad un
consolidato orientamento della
giurisprudenza di questa Corte (cfr. per
tutte, Sez. App. Sicilia 101/A/2010), di un
elevato grado di colpevolezza, e cioè
connotati da “evidenti e marcate
trasgressioni degli obblighi di servizio o
di regole di condotta che siano ex ante
ravvisabili e riconoscibili per dovere
professionale d’ufficio, e che, in assenza
di oggettive ed eccezionali difficoltà, si
materializzano nell’inosservanza del minimo
di diligenza richiesto nel caso concreto
ovvero in una marchiana imperizia o in una
irrazionale imprudenza” (SS.RR. n. 56/A
del 1997).
In definitiva, considerando che le
prescrizioni normative a cui doveva
imperativamente essere conformata la
condotta gestionale afferente l’impiego di
professionisti esterni erano di una
chiarezza tale non consentire alcun
ragionevole spazio di opinabilità
interpretativa e applicativa, deve ritenersi
che i reiterati e rilevantissimi scostamenti
dal solco della legittimità siano dipesi da
ingiustificabile leggerezza gestionale che
integra una condotta gravemente colposa
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Sicilia,
sentenza 29.04.2011 n. 1679 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
CONSULENZE/ Nuovi limiti se la
spesa è stata zero.
Se un ente locale ha fatto registrare nel
2009 una spesa per incarichi e consulenze
pari a zero (il che rende impossibile
applicare la riduzione dell'80% imposta dal
dl 78/2010), bisognerà trovare un nuovo
parametro per il calcolo dei tagli. Il nuovo
limite sarà rappresentato dalla spesa
strettamente indispensabile che l'ente
sosterrà nell'anno in cui si verifica
l'assoluta necessità di conferire
l'incarico. E questa nuova soglia costituirà
a sua volta il punto di riferimento per
applicare i tagli negli anni successivi.
Lo ha chiarito la Corte dei conti della
Lombardia nel
parere 29.04.2011 n. 227.
I giudici lombardi hanno fatto notare che,
se non si adottasse questa interpretazione,
«la riduzione lineare prevista dall'art.
6, comma 7 (del dl 78 ndr), finirebbe per
premiare gli enti meno virtuosi che nel
corso del 2009 hanno sostenuto una spesa per
consulenze rilevante. Mentre al contrario si
penalizzerebbero gli enti più virtuosi che
nello stesso periodo hanno sostenuto una
spesa pari a zero».
In ogni caso, ha concluso la Corte, gli enti
dovranno sempre motivare in ordine alle
ragioni che hanno reso necessario il ricorso
agli incarichi (articolo
ItaliaOggi dell'11.05.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
No ai mutui per dare incarichi.
La spesa non può essere giustificata come
investimento. La Corte dei conti bacchetta
gli enti locali: l'elenco della Finanziaria
2004 è tassativo.
La spesa per il
conferimento di un incarico professionale
per la redazione di un piano urbanistico non
può essere finanziata dal comune attraverso
l'accensione di un mutuo o di un'altra forma
di indebitamento, in quanto non può essere
considerata quale spesa per investimento.
Questo, perché l'elenco delle operazioni
economiche che costituiscono investimenti,
contenuto all'art. 3, comma 18, della legge
Finanziaria 2004, è da considerasi tassativo
e, tra queste, non vi è menzionata la spesa
per la progettazione di un piano
urbanistico.
E' quanto hanno affermato le Sezz. riunite
di controllo della Corte dei Conti, nel
testo della
deliberazione 28.04.2011 n. 25,
dirimendo una questione di massima rilevanza
in merito alla possibilità di ricorrere
all'indebitamento per poter procedere
all'affidamento di un incarico professionale
per la redazione di un piano urbanistico.
...
(articolo
ItaliaOggi del 30.04.2011 -
tratto da www.ecostampa.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Ai
fini della conclusione di un contratto
d'opera professionale, che, quando ne sia
parte la pubblica amministrazione, va
redatto, a pena di nullità, in forma
scritta, è irrilevante l'esistenza di una
deliberazione dell'organo collegiale
dell'ente pubblico che abbia autorizzato il
conferimento dell'incarico al
professionista, richiamando ed approvando
anche lo schema del disciplinare, ove tale
deliberazione non risulti essersi tradotta
in atto contrattuale, sottoscritto dal
rappresentante esterno dell'ente stesso e
dal professionista.
Ai fini della conclusione di un contratto
d'opera professionale, che, quando ne sia
parte la pubblica amministrazione, va
redatto, a pena di nullità, in forma
scritta, è irrilevante l'esistenza di una
deliberazione dell'organo collegiale
dell'ente pubblico che abbia autorizzato il
conferimento dell'incarico al
professionista, richiamando ed approvando
anche lo schema del disciplinare, ove tale
deliberazione non risulti essersi tradotta
in atto contrattuale, sottoscritto dal
rappresentante esterno dell'ente stesso e
dal professionista.
Detta deliberazione non costituisce,
infatti, una proposta contrattuale nei
confronti del professionista, ma un atto con
efficacia interna all'ente pubblico, avente
per destinatario il diverso organo dell'ente
legittimato ad esprimere la volontà
all'esterno e carattere meramente
autorizzatolo (in tal senso è la massima
della sentenza n. 17695 del 2003; si
rammentano anche, da ultimo, Cass. n. 10299
del 2010 e, tra le altre, Cass. nn. 14570
del 2004 - 3042 del 2005 - 24296 del 2005 -
17650 del 2007 - 27407 del 2008)
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 20.04.2011 n. 9080). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Determinazione dell’Autorità per la
Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori,
servizi e forniture n. 5 del 27.07.2010
recante “Linee guida per l’affidamento
dei servizi attinenti all’architettura ed
all’ingegneria” - Analisi e commenti
(link a www.centrostudicni.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
C. Rapicavoli,
Incarichi di consulenza e collaborazione –
Chiarimenti della Corte dei Conti
(link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Conferimento
da parte della P.A. di un incarico
professionale di direttore dei lavori e
coordinatore per la sicurezza. La
controversia esula dalla giurisdizione del
Giudice amministrativo.
Una controversia avente ad oggetto la revoca
dell’incarico di direttore dei lavori e
coordinatore per la sicurezza, conferito ad
un professionista esterno dalla P.A., che
sia intervenuta successivamente alla stipula
del relativo contratto, esula dalla
giurisdizione del Giudice amministrativo, ai
sensi dell'art. 7 del Codice del processo
amministrativo, approvato con D.L.vo
02.07.2010 n. 104, poiché concerne la fase
esecutiva del contratto con la P.A., in cui
si configurano posizioni di diritto
soggettivo inerenti a rapporti di natura
privatistica, nelle quali non hanno
incidenza i poteri discrezionali e
autoritativi della P.A. stessa (Cfr. Cass.,
SS.UU., 19.11.2001, n. 14539; TAR Lazio, I,
19.02.2003, n. 1269; TAR Puglia-Lecce,
07.02.2003, n. 420; TAR Campania-Napoli,
22.09.2003, n. 11539 e da ultimo Cass. SS.UU.
12.05.2006 n. 10998).
Il conferimento, da parte di un Ente
pubblico, di un incarico ad un
professionista non inserito nella struttura
organica dell'Ente medesimo (e che mantenga,
pertanto, la propria autonomia organizzativa
e l'iscrizione al relativo albo) costituisce
espressione non di una potestà
amministrativa, bensì di semplice autonomia
privata (Cfr. TAR Puglia-Bari 27.10.1997, n.
715)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.03.2011 n. 415 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Oggetto: Art.
6, comma 7, del decreto legge 31.05.2010,
n. 78, convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 30.07.2010, n. 122. Spesa annua per studi ed incarichi
di consulenza (circolare
14.03.2011 n. 3/2011). |
INCARICHI PROFESSIONALI: La
Sezione ha già sottolineato in merito a questa norma (ndr:
art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010, convertito nella l. n.
122/2010) che
il superamento del vincolo di spesa e la violazione del
regime restrittivo si traduce in una violazione di legge,
costituendo vizio di validità del provvedimento
amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio
dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo,
illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale.
Come emerge dal tenore letterale della norma,
la portata della disposizione limitativa concerne gli
incarichi per studi e consulenze, senza ricomprendere
né quelli di ricerca né le altre collaborazioni
autonome.
Laddove l’incarico conferito dalla Pubblica Amministrazione
al soggetto terzo si configuri stricto sensu quale
consulenza o studio, la Sezione non ritiene possibile
individuare in via interpretativa tipologie di esclusione
dal tetto di spesa ex art. 6, comma 7, d.l. 78/2010,
valorizzando ad esempio “l’autofinanziamento”
dell’attività, atteso il chiaro tenore precettivo della
disposizione e la puntuale individuazione legale dei casi di
esclusione.
Invece,
nel caso in cui l’incarico –rientrante nell’ampio genus
delle collaborazioni autonome- non sia sussumibile in
queste due specifiche prestazioni (studio o consulenza),
esso non rientra nel limite di spesa in oggetto: a questo
proposito, infatti, è preferibile valorizzare
un’interpretazione letterale delle attività rientranti nel “tetto
di spesa” in stretto raccordo con l’espresso presidio
sanzionatorio.
---------------
Con nota n. 33012 del 16.12.2010 (prot. c.c. n. 15 del
03.01.2011) il Sindaco del Comune di Garbagnate Milanese (MI)
formula a questa Sezione un quesito in ordine alla deroga al
limite degli incarichi per consulenza.
Nel dettaglio, la Civica Amministrazione chiede se sia
possibile derogare al limite di spese per consulenze
previsto dall’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78/2010
convertito nella l. n. 122/2010, ammettendo quelle che
portano ad un incremento delle entrate migliorando il saldo
complessivo tra entrate e spese. Si ipotizza che un ente
debba conferire un incarico professionale con compenso in
percentuale sulle maggiori entrate o economie di spesa
superando, con il preventivo assenso dei revisori, il limite
di cui al d.l. n. 78/2010.
L’organo rappresentativo del Comune si interroga se sia
possibile assimilare tale fattispecie all’esclusione
dall’alveo delle spese per il personale degli incentivi per
il recupero dell’ICI, a fronte dell’autofinanziamento con
l’incremento delle entrate ed il conseguente miglioramento
del saldo complessivo tra entrate e uscite.
L’Amministrazione da ultimo osserva che, opinando in senso
negativo, le finanze comunali patirebbero un significativo
pregiudizio in quanto la limitazione di tali consulenze
comporterebbe la perdita di maggiori entrate o economie di
spesa anche di entità significativa.
...
La richiesta di parere concerne l’esegesi dell’art. 6, comma
7, del d.l. n. 78/2010 (convertito nella l. n. 122/2010) che
statuisce quanto segue: “al fine di valorizzare le
professionalità interne alle amministrazioni a decorrere
dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di
consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle
pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1
della legge 31.12.2009 n. 196, incluse le autorità
indipendenti, escluse le università, gli enti e le
fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati nonché gli
incarichi di studio e di consulenza connessi ai processi di
privatizzazione e alla regolamentazione del settore
finanziario, non può essere superiore al 20 per cento di
quella sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi
in assenza dei presupposti di cui al presente comma
costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità
erariale. Le disposizioni di cui al presente comma non si
applicano alle attività sanitarie connesse con il
reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle
Forze Armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco”.
La disposizione pone un chiaro limite di spesa storicizzato
alla frazione di un quinto di quella sostenuta nel 2009,
quale requisito per la legittimità del conferimento
dell’incarico di consulenza e studio, con un espresso
presidio sanzionatorio in termini di responsabilità erariale
e disciplinare.
In sede di referto sulla gestione la Sezione ha già
sottolineato in merito a questa norma che
il superamento del vincolo di spesa e la violazione del
regime restrittivo si traduce in una violazione di legge,
costituendo vizio di validità del provvedimento
amministrativo, motivo per l’annullamento d’ufficio
dell’atto di affidamento sotto il profilo amministrativo,
illecito disciplinare e causa di responsabilità erariale (delibera
13.12.2010 n. 1051 – indagine sul fenomeno degli
incarichi di consulenza e di collaborazione autonoma
affidati dagli enti locali della Lombardia nell’anno 2009).
Come emerge dal tenore letterale della norma,
la portata della disposizione limitativa concerne gli
incarichi per studi e consulenze, senza ricomprendere
né quelli di ricerca né le altre collaborazioni
autonome.
Al fine di cogliere nel concreto i confini di tale summa
divisio tra attività ricomprese ed escluse dall’alveo
dell’art. 6, comma 7, d.l. n. 78/2010, il Collegio rammenta
che la giurisprudenza contabile (sin dalla deliberazione
SS.RR. in sede di controllo n. 6 del 15.02.2005) ha fornito
un’articolata definizione degli istituti oggetto del limite
di spesa: per gli incarichi di studio il riferimento
è all’articolo 5 D.P.R. n. 338/1994 che richiede sempre la
consegna di una relazione scritta espositiva della soluzione
proposta al fine di orientare la successiva attività
dell’ente, mentre le consulenze si sostanziano nella
richiesta di parere ad un esperto esterno. Queste ultime
possono assumere un vario contenuto (ad es. soluzione di
questioni e problemi controversi, consulenze legali
stragiudiziali, tecniche, tributarie e contabili), sfociando
anche in valutazioni, espressioni di giudizi e supporti
specialistici.
Premesse tali generali coordinate ermeneutiche,
laddove l’incarico conferito dalla Pubblica Amministrazione
al soggetto terzo si configuri stricto sensu quale
consulenza o studio, la Sezione non ritiene possibile
individuare in via interpretativa tipologie di esclusione
dal tetto di spesa ex art. 6, comma 7, d.l. 78/2010,
valorizzando ad esempio “l’autofinanziamento”
dell’attività, atteso il chiaro tenore precettivo della
disposizione e la puntuale individuazione legale dei casi di
esclusione.
Invece,
nel caso in cui l’incarico –rientrante nell’ampio genus
delle collaborazioni autonome- non sia sussumibile in
queste due specifiche prestazioni (studio o consulenza),
esso non rientra nel limite di spesa in oggetto: a questo
proposito, infatti, è preferibile valorizzare
un’interpretazione letterale delle attività rientranti nel “tetto
di spesa” in stretto raccordo con l’espresso presidio
sanzionatorio.
Allo stato –ferma la mancanza dei necessari elementi di
fatto per una compiuta cognizione della fattispecie– non
appare agevole inquadrare le attività indicate dal Comune
nell’alveo degli incarichi di consulenza e di studio ut
supra descritti. Nella fattispecie oggetto del quesito,
infatti, sembra venire in emersione una modalità di
provvista dell’apparato comunale per lo svolgimento di
attività nuove o diverse rispetto a quelle ordinarie svolte
dall’ente locale mediante i propri uffici tecnici ed
amministrativi: orbene, queste attività ulteriori non paiono
comunque esaurirsi nella consegna al Comune di una relazione
scritta o nella richiesta di parere o di giudizio ad un
esperto extraneus all’Amministrazione.
Per completezza, si precisa che il conferimento
dell’incarico di collaborazione finalizzato alla provvista
del predetto apparato, benché tale da comportare un saldo
finanziario positivo, deve rispettare puntualmente i
requisiti di legittimità ex art. 7, comma 6, del d.lgs. n.
165/2001 sui quali si è più volte soffermata la
giurisprudenza della Sezione (da ultimo, cfr. la citata
delibera 13.12.2010 n. 1051) (Corte dei Conti, Sez.
controllo Lombardia,
parere 07.02.2011 n. 68). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi,
si respira. Fuori dai tagli le spese
finanziate. I chiarimenti delle sezioni
unite della Corte dei conti.
Per gli enti locali sono
fuori dal taglio alle spese per
collaborazioni e consulenze gli incarichi
finanziati da Ue, stato e regioni.
La
deliberazione
07.02.2011 n. 7 della Corte dei
conti, sezioni riunite, contiene indicazioni
preziosissime per l'applicazione dei tagli
alle spese apportati dall'articolo 6, comma
7, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010.
La disposizione ha stabilito che a decorrere
dal 2011 la spesa annua per studi e
incarichi di consulenza non possa essere
superiore al 20% di quella sostenuta
nell'anno 2009. Un primo problema posto
dalla disposizione riguarda il criterio di
computo delle spese, risultando incerto se
prendere come parametro la cassa o la
competenza.
Le sezioni riunite accolgono l'accezione di
«spese sostenute» fornita dalla
circolare 40/2010 del ministero
dell'economia, coincidente col concetto di
spesa impegnata. Dunque, il criterio da
seguire è quello della competenza e non
della cassa. Tanto più per gli enti locali,
obbligati dall'articolo 3, commi 54-57,
della legge 244/2007 a programmare gli
incarichi esterni.
Infatti, secondo la delibera 7/2007 «assumere
a riferimento il dato di cassa relativo
all'anno 2009 potrebbe non essere funzionale
alle esigenze di contenimento della spesa»
previste dalla manovra economica 2010, in
quanto il dato relativo a quanto
materialmente pagato quell'anno potrebbe
dipendere da circostanze del tutto fortuite
e casuali.
L'aspetto più rilevante della pronuncia
delle sezioni riunite, però, riguarda
l'esclusione dal computo del monte del 2009
delle spese per incarichi esterni, coperte
da finanziamenti aggiuntivi alle ordinarie
risorse di bilancio, provenienti da
trasferimenti di altri soggetti, pubblici o
privati. Dunque, non subiscono un taglio le
spese direttamente sorrette da un vincolo di
destinazione di un trasferimento pubblico.
Pertanto, per esempio, gli enti locali che
ricevano da un soggetto privato (per
esempio, una fondazione bancaria o uno
sponsor) finanziamenti per realizzare
progetti specifici includenti la necessità
di incarichi esterni, non restano vincolati
al drastico taglio della spesa.
Altrettanto può dirsi per finanziamenti
statali e regionali. Se così non fosse,
spiegano le sezioni riunite, si impedirebbe
l'erogazione della spesa per incarichi
esterni, nonostante risulti integralmente
finanziata da soggetti estranei all'ente
locale. In questo caso, se si computassero i
finanziamenti esterni nel taglio, non si
conseguirebbero i risparmi di bilancio per
singolo ente, oggetto della manovra
economica: l'unico effetto sarebbe ridurre
tout court le spese per incarichi, senza
significativi impatti finanziari sui
bilanci. Una conseguenza irrazionale, da
scongiurare.
Ovviamente, il semplice fatto che l'ente
locale riceva un finanziamento di terzi non
legittima di per sé l'assegnazione di
incarichi esterni: rimangono sempre in piedi
i presupposti e le condizioni previste
dall'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001.
Laddove, tuttavia, risultino rispettate le
condizioni per l'affidamento, se questo è
finanziato con risorse esterne, non cade
nelle lame del taglio imposto dalla manovra
2010
(articolo ItaliaOggi
del 11.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Responsabilità
amministrativo-contabile - Conferimento di
incarichi esterni – Collaborazioni
coordinate e continuative - Requisiti.
Responsabilità amministrativo-contabile –
Conferimento di incarichi esterni –
Collaborazioni coordinate e continuative -
Difetto dei requisiti di cui all’art. 7,
comma 6, d.lgs. n. 165/2001 - Sussistenza -
Fattispecie.
Conformemente alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte, deve
ritenersi antigiuridico e produttivo di
danno erariale il conferimento di incarichi
mediante contratti di co.co.co., aventi ad
oggetto attività alle quali si possa far
fronte con personale interno dell'ente, o
estranee ai fini istituzionali, o troppo
onerose in rapporto alle disponibilità di
bilancio.
Deve considerarsi conferito in difetto delle
condizioni previste dall’art. 7, comma 6,
del d.lgs. n. 165/2001, e quindi illecito e
produttivo di un danno ingiusto all’erario,
l’incarico co.co.co. attribuito ad un
professionista esterno, rispetto al quale
non sia rinvenibile un ambito d’intervento
connotato da un oggetto ben definito, bensì
relativo ad un’attività professionale di
consulenza ad ampio spettro ("analisi e
studio dei contesti amministrativi e tecnici
del settore distaccato di ... , sotto
l'aspetto gestionale..." ), che avrebbe
potuto svolgere il personale in organico (1)
---------------
(1) In merito all’illecito conferimento
di incarichi esterni, vedi anche, su questo
sito, la sentenza della Sez. Giurisdizionale
Lombardia n. 627/2010 e le sentenze della
Sez. Prima Centrale d’Appello n. 393/2008 e
n. 25/2010 (massima tratta da
www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti,
Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 18.01.2011 n. 83 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi esterni - Manovra
economica di cui al d.l. n.78/2010 -
Riduzione della spesa per studi e consulenze
- Interpretazione.
L'art. 6, co. 7, del d.l. n. 78/2010,
convertito in legge n. 122/2010, prevede
che, "al fine di valorizzare le
professionalità interne alle
amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011
la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza...non può essere superiore al 20%
di quella sostenuta nell'anno 2009".
La Sezione propende per l'interpretazione
più restrittiva del riferimento a "studi
e incarichi di consulenza", escludendo
quindi le collaborazioni coordinate e
continuative, nonché gli incarichi di
ricerca.
Il taglio percentuale della spesa si
riferisce non a quella stanziata, ma a
quella effettivamente sostenuta, cioè
impegnata, anche se non erogata nell'anno di
riferimento.
Il fine, perseguito dal legislatore, "di
valorizzare le professionalità interne alle
amministrazioni", induce a ritenere che
la riduzione del costo della spesa per gli
incarichi, non ricomprenda le consulenze
talmente specialistiche da non poter essere
affidate a professionalità interne
all'Amministrazione (massima tratta da
www.centrostudi-sv.org - Corte dei Conti,
Sez. controllo Lombardia,
parere 10.01.2011 n. 6). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Inarcassa: dall'01.01.2011 aumenta al 4% il
contributo integrativo per Ingegneri e
Architetti. Guida alla redazione delle
fatture.
L´aumento del contributo integrativo dal 2%
al 4% per ingegneri e architetti, previsto
dal D.M. 05.03.2010 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19/03/2010,
scatta a partire dal 01/01/2011.
Con l’occasione BibLus-net propone ai
lettori alcuni esempi di redazione di
fatture per prestazioni professionali
considerando tutta la casistica possibile
per tipologia di professionista: ... (link a
www.acca.it). |
anno 2010 |
|
INCARICHI PROGETTUALI - PUBBLICO IMPIEGO:
M. Balestieri,
Conferimento di incarichi di progettazione e
di direzione dei lavori ai dirigenti a
contratto: danno erariale
(Ufficio Tecnico n. 11-12/2010). |
INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO: Comune
di San Giorgio Jonico (TA) - Il Sindaco
chiede il parere di questa Corte in
ordine all’ambito applicativo della norma
dell’art. 25 della legge n. 724 del
23.12.1994; chiede cioè se il divieto -ivi
previsto- di conferimento di incarichi di
consulenza, collaborazione, studio e ricerca
per chi abbia cessato volontariamente dal
servizio a determinate condizioni (privo del
requisito previsto per il pensionamento per
vecchiaia, ma in presenza di quello per la
pensione anticipata di anzianità), da parte
dell’amministrazione di provenienza, si
riferisca solo ai rapporti di consulenza
oppure sia da applicarsi anche ai casi di “incarichi
a contratto ex art. 110, comma 2, TUEL”.
---------------
Con riferimento agli
“incarichi a contratto ex art. 110, comma 2,
TUEL” la norma citata è da disapplicare alla
luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19
D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40
D.Lgs. n. 150/2009.
Gli incarichi “a contratto” possono essere
conferiti dagli enti locali esclusivamente
ai sensi dell’art. 19, commi 6 e 6-ter, del
D.Lgs. 165/2001, con relativa necessità di
una procedura comparativa volta alla
selezione del destinatario dell’incarico.
La ratio della norma di divieto di cui alla
legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un
duplice obiettivo: da una parte,
salvaguardare l’imparzialità e la
trasparenza nel conferimento degli
incarichi, atteso che è proprio nel
particolare caso di ex dipendenti
dell’amministrazione che tali esigenze si
pongono in modo più pressante; dall’altra,
garantire risparmi di spesa, impedendo il
cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui
perseguimento contribuiscono oggi
l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e
la previsione, ai sensi dell’intervenuta
novella del corrente anno, dell’obbligo di
procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali
restrizioni quantitative di utilizzo
dell’istituto (art. 19, comma 6)– è
realizzato dalla norma in esame nel senso di
seguito esposto. E’ la stessa Corte
Costituzionale, supremo giudice delle leggi,
che ha avuto modo di chiarire come “la
disposizione tende ad arginare il fenomeno
di dimissioni accompagnate da incarichi ad
ex dipendenti, sì da garantire la piena ed
effettiva trasparenza e la imparzialità
dell'azione amministrativa” (sentenza n.
406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n.
724/1994, dunque, la “trasparenza” e
l'“imparzialità” passano da attributi
generali dell’azione amministrativa a
specifici beni-valori da tutelare, in
relazione agli abusi intrinsecamente
presenti nel conferimento di incarichi a
chi, già dipendente dall'Amministrazione che
attribuisce gli incarichi stessi, ha
volontariamente posto fine al suo rapporto
di servizio con l’Amministrazione medesima,
così manifestando un chiaro disinteresse
all’espletamento di ulteriori attività
lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione
Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e
perciò in contrasto con i canoni di
giustificatezza e ragionevolezza che
presiedono alla trasparenza ed
all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3
e 97 della Costituzione, affidare incarichi
ai dipendenti pubblici che volontariamente
cessino dal servizio, dimostrando così di
non volere più prestare il proprio operato a
vantaggio della loro ex Amministrazione di
appartenenza. E’ evidente infatti
l'irrazionalità, anche economica, del
conferimento di un incarico in simili
condizioni, ove si consideri che l’attività
commissionata con l’incarico stesso sarebbe
stata remunerata con il solo stipendio, se
il dipendente fosse rimasto ancora in
servizio, laddove -dopo le dimissioni- il
compenso per il ripetuto incarico si
aggiunge alla pensione, ossia alla
“retribuzione differita” dall’ex dipendente
medesimo, con un sensibile aumento dei costi
complessivi generali e, soprattutto, senza
assicurare una nuova professionalità di
ricambio, alla conclusione dell’incarico.
... il riferimento contenuto nel quesito
agli “incarichi a contratto ex art. 110,
comma 2, TUEL” è da considerare
improprio alla luce dell’interpretazione,
già sostenuta da questa Sezione, secondo la
quale la norma citata è da disapplicare alla
luce dell’intervenuta modifica dell’art. 19
D.Lgs. n. 165/2001 da parte dell’art. 40
D.Lgs. n. 150/2009.
I commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL risultano
non più applicabili, in quanto incompatibili
con la cd. riforma Brunetta e con una
lettura costituzionalmente orientata delle
norme, come riformulate.
Le tesi contrarie, basate essenzialmente sui
due elementi della “specialità”
dell’art. 110 e della “clausola di
rafforzamento” contenuta nell’art. 1,
comma 4, dello stesso TUEL, sono così state
sconfessate (parere
17.06.2010 n. 44 Sezione Regionale di
Controllo Puglia). Ne consegue che gli
incarichi “a contratto” possono
essere conferiti dagli enti locali
esclusivamente ai sensi dell’art. 19, commi
6 e 6-ter, del D.Lgs. 165/2001 (Corte
Costituzionale, sentenza 12.11.2010 n. 324),
con relativa necessità di una procedura
comparativa volta alla selezione del
destinatario dell’incarico.
La tendenza del legislatore in questi ultimi
anni, infatti, procede nel senso della
creazione di un assetto della dirigenza
pubblica prevalentemente fondato su rapporti
di lavoro a tempo indeterminato ai quali si
acceda mediante pubblica procedura
selettiva, con conseguente restrizione degli
spazi riservati ai contratti a termine,
specie se conferiti sulla base di elementi
di fiduciarietà.
Tale volontà tendenziale è desumibile anche
dalla riduzione delle quote percentuali di
dotazione organica entro cui è possibile il
conferimento degli incarichi, come previsto
dalla legge delega n. 15/2009 (poi sfociata
nel D.Lgs. n. 150/2010) rispetto alla
normativa previgente.
Occorre a questo punto, al fine di risolvere
la questione sottoposta all’odierna analisi,
interrogarsi sull’effettiva natura dei cd. “incarichi
a contratto” di cui all’art. 110 TUEL.
Tale norma dispone che l'affidamento degli
incarichi da parte degli enti locali possa
avvenire con contratto a tempo determinato
di diritto pubblico o, eccezionalmente e con
deliberazione motivata, con contratto di
diritto privato, purché il soggetto
incaricato disponga dei requisiti necessari
per la copertura della qualifica
professionale cui è destinato.
Detti incarichi, attribuiti al di fuori
della dotazione organica per espressa
previsione di legge, non possono avere
durata superiore al mandato elettorale del
sindaco. La specifica natura dei rapporti di
lavoro che ne derivano (chiarita anche dalla
rubrica della norma), è contrattuale; essi
non danno infatti diritto all'inserimento
nella dotazione organica
dell'amministrazione conferente, bensì
comportano l'affiancamento, alla dirigenza
di ruolo, di dirigenti non di ruolo, con
incarichi specifici e a tempo determinato.
Che si tratti poi di rapporti di lavoro
subordinato, è desumibile dal fatto che i
dirigenti o i responsabili di servizio,
destinatari della norma, risultano
sottoposti alle direttive degli organi
politici, elemento che contraddistingue,
congiuntamente ad altri indici sintomatici
-quali ed esempio l’essere oggetto della
prestazione una obbligazione di risultati e
non di mezzi- proprio il rapporto di lavoro
subordinato.
Sotto questo profilo tali incarichi si
differenziano dai contratti d'opera
professionale, nei quali, al contrario, non
è presente alcuna soggezione alle direttive
del committente, né vi è obbligazione di
risultato, bensì di mezzi, in quanto il
professionista svolge il suo operato
fornendo al committente un’opera o un
servizio verso un corrispettivo.
Ora, ad avviso della scrivente Sezione, la
ratio della norma di divieto di cui
alla legge n. 724/1994 è da ravvisarsi in un
duplice obiettivo: da una parte,
salvaguardare l’imparzialità e la
trasparenza nel conferimento degli
incarichi, atteso che è proprio nel
particolare caso di ex dipendenti
dell’amministrazione che tali esigenze si
pongono in modo più pressante; dall’altra,
garantire risparmi di spesa, impedendo il
cumulo tra pensione e retribuzione.
Orbene, il primo dei due obiettivi –al cui
perseguimento contribuiscono oggi
l’implicita abrogazione dell’art. 110 TUEL e
la previsione, ai sensi dell’intervenuta
novella del corrente anno, dell’obbligo di
procedura comparativa (art. 19, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 165 nuovo testo) e di sostanziali
restrizioni quantitative di utilizzo
dell’istituto (art. 19, comma 6)– è
realizzato dalla norma in esame nel senso di
seguito esposto. E’ la stessa Corte
Costituzionale, supremo giudice delle leggi,
che ha avuto modo di chiarire come “la
disposizione tende ad arginare il fenomeno
di dimissioni accompagnate da incarichi ad
ex dipendenti, sì da garantire la piena ed
effettiva trasparenza e la imparzialità
dell'azione amministrativa” (sentenza n.
406/1995).
Nel contesto dell'art. 25 della legge n.
724/1994, dunque, la “trasparenza” e
l'“imparzialità” passano da attributi
generali dell’azione amministrativa a
specifici beni-valori da tutelare, in
relazione agli abusi intrinsecamente
presenti nel conferimento di incarichi a
chi, già dipendente dall'Amministrazione che
attribuisce gli incarichi stessi, ha
volontariamente posto fine al suo rapporto
di servizio con l’Amministrazione medesima,
così manifestando un chiaro disinteresse
all’espletamento di ulteriori attività
lavorativa con essa (Corte Conti, Sezione
Giurisdizionale Umbria, n. 235/2006).
Risulterebbe infatti contraddittorio, e
perciò in contrasto con i canoni di
giustificatezza e ragionevolezza che
presiedono alla trasparenza ed
all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3
e 97 della Costituzione, affidare incarichi
ai dipendenti pubblici che volontariamente
cessino dal servizio, dimostrando così di
non volere più prestare il proprio operato a
vantaggio della loro ex Amministrazione di
appartenenza. E’ evidente infatti
l'irrazionalità, anche economica, del
conferimento di un incarico in simili
condizioni, ove si consideri che l’attività
commissionata con l’incarico stesso sarebbe
stata remunerata con il solo stipendio, se
il dipendente fosse rimasto ancora in
servizio, laddove -dopo le dimissioni- il
compenso per il ripetuto incarico si
aggiunge alla pensione, ossia alla “retribuzione
differita” dall’ex dipendente medesimo,
con un sensibile aumento dei costi
complessivi generali e, soprattutto, senza
assicurare una nuova professionalità di
ricambio, alla conclusione dell’incarico.
Così individuati la ratio, le
finalità e l’oggetto specifico della tutela
del “divieto” posto dall'art. 25
della legge n. 724/1994, è evidente che esso
copre ogni forma di incarico, e non solo
quelli di consulenza in senso stretto.
D’altronde se, ai fini di una diversa
conclusione, può indurre a dubbi
l'intestazione dell'art. 25, che menziona
solo gli “incarichi di consulenza”,
la lettera della norma, alla luce
dell’indagine appena tratteggiata circa
l’intento del legislatore, induce a
ritenere, ad avviso di questa Sezione, che
essa sia da riferirsi oltre che agli “incarichi
di consulenza, studio e ricerca”, anche
a quelli che danno luogo ad un rapporto di
lavoro subordinato (Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo Puglia,
parere 15.12.2010 n. 167). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Incarichi esterni ma solo dopo
una comparazione.
Gli enti pubblici possono affidare incarichi
professionali di collaborazione esterna solo
dopo una scelta comparativa: questo è il
principio sottolineato dal TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.12.2010 n. 26815 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore dell'08.12.2010 -
link a www.ecostampa.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Regolamento per gli incarichi
agli esterni.
La pubblica
amministrazione non può affidare un incarico
ad un soggetto estraneo se prima non si è
dotata di un apposito regolamento che
disciplini il conferimento di incarichi di
collaborazione, così come prevede l'articolo
7, comma 6-bis del testo unico sul pubblico
impiego. Inoltre, affinché l'incarico abbia
efficacia, è necessaria una verifica
preliminare che all'interno
dell'organizzazione dell'ente manchi il
personale idoneo, sia sotto il profilo
qualitativo che quantitativo e che le
prestazioni da conferire siano di carattere
eccezionale e temporaneo, escludendo a
priori proroghe di incarichi già conferiti.
È quanto ha rilevato la Sezione centrale di
controllo di legittimità della Corte dei
Conti, nel testo della
deliberazione 19.11.2010 n. 25,
con la quale ha ricusato il visto e non ha
ammesso a registrazione il conferimento da
parte dell'Autorità portuale di Trieste, di
un incarico di consulenza legale nello staff
della presidenza.
Il collegio della Corte, ha rilevato infatti
che, in violazione di quanto previsto
dall'articolo 7, comma 6-bis del dlgs n.
165/2001, l'ente non si è ancora dotato del
regolamento che disciplina e rende pubbliche
le procedure comparative per il conferimento
di incarichi di collaborazione e, la
mancanza di questo fondamentale presupposto
già di per è sarebbe condizione per la non
ammissione al vaglio del provvedimento di
incarico.
Quanto al merito dell'incarico, secondo
giurisprudenza ormai consolidata della
stessa magistratura contabile, il
conferimento di un incarico di consulenza a
soggetti esterni all'apparato amministrativo
può ritenersi legittimo ove si renda
necessario per affrontare problematiche di
particolare complessità o urgenza che non
possano essere adeguatamente o
tempestivamente risolte avvalendosi delle
professionalità interne e a condizione che
il medesimo incarico sia sufficientemente
determinato nei suoi contenuti e nella sua
durata.
Nel conferimento delle consulenze esterne,
pertanto, le amministrazioni pubbliche
devono attenersi a quattro fondamentali
principi. Innanzitutto, l'effettiva
rispondenza dell'incarico a obiettivi
specifici dell'amministrazione conferente.
Poi, dovrà essere certificato il carattere
eccezionale e temporaneo delle prestazioni
che costituiscono l'oggetto della
consulenza, nonché la comprovata mancanza
all'interno dell'organizzazione dell'Ente,
di personale idoneo, sotto il profilo
quantitativo o qualitativo, a sopperire alle
esigenze che determinano il ricorso alla
consulenza e, come detto, che l'attribuzione
ad esperti di particolare e comprovata
specializzazione, avvenga mediante una
procedura concorsuale che sia disciplinata
da un apposito regolamento interno. Nel caso
posto al vaglio della Corte, l'incarico
difetta dei requisiti di eccezionalità e
temporaneità, in quanto non fa riferimento
ad una problematica eccezionale, ma
abbraccia «tutte le implicazioni giuridiche
sottese alle normali attività istituzionali»
dell'autorità portuale di Trieste.
Quanto al carattere temporaneo, poi, la
Corte ha rilevato che «è evidente che
tali complesse attività non hanno neanche la
caratteristica di essere meramente
temporanee, giacché le prestazioni del
consulente si protraggono ormai da tre anni,
trattandosi di una proroga della consulenza
medesima».
Infine, l'ente concedente non ha
adeguatamente motivato la mancanza di
specifiche professionalità idonee allo
svolgimento di tali compiti all'interno
delle strutture organizzative. Anzi, si è
affermato che, in relazione al mancato
adeguamento della pianta organica alle
proprie esigenze, sono stati assunti alle
dipendenze dell'Autorità portuale due unità
in possesso di specifiche professionalità
parzialmente idonee ad assumere in
prospettiva mansioni di rilevante
responsabilità, dopo adeguato inserimento e
maturazione della necessaria esperienza (articolo
ItaliaOggi del 26.11.2010 - tratto da
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Responsabilità amministrativa e
contabile - Conferimento di incarichi di
consulenza da parte di pubbliche
amministrazioni – Requisiti.
Responsabilità amministrativa e contabile –
Conferimento di incarichi di consulenza da
parte di pubbliche amministrazioni –
Svolgimento di attività continuativa -
Illiceità - Fattispecie.
Responsabilità amministrativa e contabile –
Elementi – Colpa grave - Conferimento di
incarichi di consulenza in difetto dei
requisiti previsti dalle norme in materia -
Sussistenza - Fattispecie.
Responsabilità amministrativa e contabile -
Conferimento di incarichi di consulenza da
parte di pubbliche amministrazioni –
Compensatio lucri cum damno - Esclusione -
Fattispecie.
La disciplina in tema di conferimento di
incarichi di consulenza da parte di enti e
organismi pubblici è intesa ad evitare che
si possa verificare uno spreco di risorse
dell’ente pubblico, mascherando per
consulenza un’attività che può essere svolta
da personale interno dell’amministrazione e
già da quest’ultima retribuito; la pubblica
amministrazione, in conformità al dettato di
cui all’art. 97 della Costituzione, deve
infatti uniformare i propri comportamenti ai
criteri di legalità, economicità, efficienza
ed imparzialità, dei quali diviene
corollario il principio secondo cui la
stessa, nell’assolvimento dei propri compiti
istituzionali, deve avvalersi
prioritariamente delle proprie strutture
organizzative e del personale che vi è
preposto (1).
E’ illecito e fonte di danno erariale un
incarico di consulenza che si sia
sostanzialmente risolto nella direzione e di
gestione di una struttura amministrativa –peraltro protrattasi per oltre un
quinquennio- trattandosi nella specie di
attività del tutto incompatibile con i
requisiti, previsto dalle norme in materia,
della temporaneità e della necessaria
specificità dell’incarico, da intendere
soprattutto come apporto per la soluzione di
specifiche problematiche e non implicante
svolgimento di attività continuativa.
Sussiste l’elemento soggettivo della colpa
grave nei confronti del vertice
amministrativo di una struttura pubblica
(nella fattispecie, ASL), che abbia
conferito un incarico di consulenza in
violazione delle prescrizioni di legge, da
ritenere chiarissime in materia; ciò in
quanto, secondo consolidato orientamento
giurisprudenziale di questa Corte, la
determinazione del grado della colpa deve
essere compiuta tenendo soprattutto conto
della qualità del soggetto agente: a tal
fine assumono peculiare rilevo la qualifica
professionale rivestita, le specifiche
competenze ed attribuzioni, la posizione
funzionale, essendo fuori discussione che a
funzionari di elevata professionalità e con
attribuzioni di direzione sia richiesto un
particolare grado di perizia e diligenza
nella trattazione degli affari sottoposti
alla loro valutazione.
Nel caso di spesa illegittima sostenuta da
un ente pubblico (ASL) per il conferimento
di un incarico di consulenza in contrasto
con la disciplina normativa nella materia,
non vi è titolo a compensatio lucri cum
damno, neppure parziale, con riferimento
alle prestazioni fornite dal consulente,
dalle quali l’ente danneggiato non ha tratto
alcuna utilità, in ragione della non
compiuta utilizzazione e valorizzazione
delle professionalità interne (2).
---------------
(1) Cfr., in terminis, Corte dei conti,
Sezione giurisdizionale Lazio, 12.05.2008,
n. 787 e 18.08.2009, n. 1660; Sezione
giurisdizionale Sardegna, 18.09.2008, n.
1831
(2) Cfr., in terminis, Corte dei conti,
Sezione giurisdizionale Lazio, 12.05.2008,
n. 787; Sezione giurisdizionale
Emilia-Romagna, 15.01.2008, n. 21
(massima tratta da www.centrostudi-sv.org -
Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 02.11.2010 n.
627 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Intanto
le p.a. chiedono conti dedicati ai
professionisti.
Le pubbliche amministrazioni chiedono anche
ai professionisti di aprire conti dedicati.
L'applicazione dell'articolo 3 della legge
136/2010 sembra, infatti, non escludere i
consulenti dall'obbligo di tracciabilità dei
compensi. Anche andando al di là della
stretta lettera della formulazione della
norma. In effetti la disposizione citata
parla solo di appaltatori, subappaltatori e
subcontraenti della filiera delle imprese e
di concessionari di finanziamenti pubblici
anche europei a qualsiasi titolo interessati
ai lavori, ai servizi e alle forniture.
Tuttavia, allo scopo di chiarire la portata
dell'articolo 3, gli enti pubblici si stanno
chiedendo se debba essere usata la
definizione di operatore economico
introdotto dal codice dei contratti
pubblici.
Si tratta di una definizione molto ampia che
comprende una persona fisica, o una persona
giuridica, o un ente senza personalità
giuridica, compreso il gruppo europeo di
interesse economico (Geie), purché offra sul
mercato, rispettivamente, la realizzazione
di lavori o opere, la fornitura di prodotti,
la prestazione di servizi ...
(articolo ItaliaOggi
del 14.09.2010 - tratto da a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi
light con limiti incerti. La legge 122
impone di ridurre de1 10% i compensi
rispetto al 30.04.2010. Manovra, Mancano i
parametri per applicare la stretta ad
attività non frazionabili come progetti e
assistenza Legale.
Dal 1° gennaio 2011 tutte le pubbliche
amministrazioni individuate dall'Istat
dovranno ridurre del 10% i compensi ai
componenti di organi di indirizzo, direzione
e controllo, cda e organi collegiali, e ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
La norma (articolo 6, comma 3 della legge
122/2010) dispone l'adeguamento automatico
di queste voci di spesa rispetto ai valori
risultanti alla data del 30.04.2010, e ne
blocca gli importi massimi sino a tutto il
2013 ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 06.09.2010, pag. 11 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
L’ingegnere ha diritto al
compenso anche per la progettazione di
un’opera irrealizzabile.
L’ambito della responsabilità professionale
va progressivamente estendendosi a tutte le
categorie di professionisti, dai medici agli
avvocati, notai, commercialisti, ecc..
Accade, così, che anche l’operato degli
ingegneri e, più in generale, dei
progettisti viene sottoposto sempre più di
frequente al vaglio della giurisprudenza
sotto il profilo dell’adempimento degli
obblighi assunti nei confronti del proprio
cliente/committente.
Nell’ultimo periodo, si registrano alcune
interessanti pronunce, di merito e di
legittimità, già intervenute in tema di
responsabilità del progettista.
Nella sentenza 19.08.2010, n. 18747, giunge
al vaglio della Corte di Cassazione -sia
pure sotto il (solo) profilo della perdita
del diritto ai compensi- un caso nel quale
l’ingegnere aveva provveduto a redigere il
progetto di un fabbricato che, carte alla
mano, insisteva in parte sul fondo attiguo a
quello appartenente ai committente che,
peraltro, era di proprietà pubblica. Tale
circostanza ostava alla concessione della
licenza edilizia, con la conseguenza che il
progetto eseguito dal professionista era
risultato, in concreto, irrealizzabile.
Elemento decisivo, ancorché oggetto di
alterne soluzione da parte dei giudici di
merito, è rappresentato dal fatto che
fossero stati proprio i clienti ad invitare
l’ingegnere a realizzare il progetto
prevedendo lo “sconfinamento” in
proprietà comunale.
Secondo una prima prospettazione, un tale
accordo, in quanto concluso in violazione di
norme inderogabili, sarebbe da considerarsi
nullo, con conseguente venir meno del
diritto del professionista a percepire i
compensi.
Tale prospettazione, proposta dalla difesa
dei clienti, non ha convinto i Giudici di
Piazza Cavour, i quali non hanno ravvisato
che l’accordo avente ad oggetto la
progettazione di un fabbricato “irrealizzabile”
non si ponga in contrasto con nessuna norma
inderogabile. La conclusione, invero
perentoria, alla quale giunge la Suprema
Corte, è condivisibile ed assolutamente in
linea con gli indirizzi precedentemente
espressi in tema di c.d. nullità virtuale
dei contratti.
La violazione di norme indisponibili e
inderogabili dalla volontà delle parti non
vale da sola a concludere che la loro
violazione determina la radicale nullità del
contratto. Occorre, altresì, che le norme in
considerazione, che si assumono violate,
siano “norme di validità del contratto”,
norme cioè che si riferiscono espressamente
alla struttura o al contenuto del
regolamento negoziale delineato dalle parti
e che, in assoluto o in presenza di
determinate condizioni, vietano direttamente
o indirettamente la stipulazione stessa del
contratto.
Nella fattispecie, dunque, occorre
accantonare l’impostazione fondata
sull’istituto della nullità del contratto ed
affrontare la questione nell’ottica della
dicotomia adempimento/inadempimento
dell’obbligazione professionale, con tutte
le conseguenze che, rispettivamente ne
derivano.
La redazione di un progetto irrealizzabile,
ancorché rispondente alle indicazioni
provenienti dal cliente, integra di regola
un’ipotesi di inadempimento
dell’obbligazione gravante a carico del
professionista. Il progettista, infatti, è
senza dubbio tenuto ad informare i clienti
dei vincoli ed, in generale, di ogni
limitazione alla concreta realizzabilità del
progetto derivanti dalla normativa e,
quindi, a predisporre un progetto capace di
assicurare un risultato utile per il cliente
in quanto idoneo ad incassare le necessarie
autorizzazioni amministrative.
Nulla vieta, tuttavia, ai clienti di
commissionare al professionista un progetto
irrealizzabile, da redigere espressamente
senza rispettare uno o più vincoli derivanti
dalla normativa vigente. A condizione che il
professionista abbia correttamente e
preliminarmente adempiuto agli obblighi
informativi gravanti a carico del
progettista e, quindi, appurato che il
professionista abbia reso edotti i clienti
che le indicazioni fornite dai clienti sono
destinate a non poter trovare pratica
realizzazione, l’incarico di procedere
comunque alla redazione del progetto è
pienamente valido ed efficace.
E’ una questione di limiti e contenuto del
mandato: nell’ipotesi in esame, infatti,
l’oggetto del contratto è proprio quello di
predisporre un progetto senza rispettare uno
o più vincoli normativi. Un siffatto
contratto è pienamente valido, nella misura
in cui non è vietato da alcuna norma
imperativa (nullità) e (annullabilità) non
sottende alcun vizio del consenso, essendo
stati adempiuti preliminarmente i doveri
informativi).
A questo punto, come anticipato, la
questione ruota tutta intorno
all’adempimento/inadempimento
dell’obbligazione assunta
dall’ingegnere/mandatario nei confronti del
proprio mandante. Nella fattispecie, il
progettista ha correttamente adempiuto
all’incarico ricevuto, maturando in questo
modo il diritto alla controprestazione,
ossia al pagamento dei compensi.
Il ragionamento sotteso alla decisione della
Corte, in definitiva, appare rispondente ai
principi generali che presiedono alla
materia dei contratti in generale, nonché ai
più specifici principi, di fonte
giurisprudenziale, che si vanno formando nel
campo della responsabilità professionale
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 19.08.2010 n. 18747 -
link a www.altalex.com). |
INCARICHI PROGETTUALI: Progettazioni
Tariffe chiare e meno ribassi.
Maggiore dettaglio nella
definizione dei corrispettivi a base di gara
per la progettazioni; riferimento alle
tariffe professionali; accurata verifica
delle offerte anomale, riduzione
dell'incidenza dei ribassi offerti dai
progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi gli obiettivi perseguiti
dall'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con la
determinazione 27.07.2010 n.
5 sui servizi di ingegneria e architettura
(si veda ItaliaOggi del 29/07/2010), che fa
seguito ai lavori condotti da un apposito
tavolo tecnico, cui hanno partecipato
rappresentanti degli ordini professionali,
delle associazioni di categoria interessate
e del ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
La determinazione è stata pubblicata sul
supplemento ordinario n. 196 alla Gazzetta
Ufficiale n. 192 del 18.08.2010.
Il provvedimento (corredato da dieci
tabelle) fornisce indicazioni e chiarimenti
sulle disposizioni vigenti relative alle
modalità di affidamento, alla determinazione
dell'importo a base di gara,
all'individuazione dei requisiti di
partecipazione e dei criteri di
aggiudicazione dell'offerta, prestando
particolare attenzione al procedimento di
verifica della congruità delle offerte
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 24). |
INCARICHI PROFESSIONALI: In
tema di acquisizione da parte di un ente
pubblico di prestazioni professionali in
assenza di copertura finanziaria, il
riconoscimento del debito fuori bilancio non
costituisce fattispecie idonea a produrre i
medesimi effetti negoziali riconducibili
alla fattispecie legale (costituita dalla
delibera di conferimento dell’incarico,
dalla stipulazione del contratto e dal
relativo impegno contabile), ma può solo
fondare un’azione di indebito arricchimento
nei limiti del riconoscimento dell’utilità
della prestazione e dell’arricchimento per
l’Amministrazione.
Come è stato
osservato dalla Corte di Cassazione (sez. I,
n. 7966 del 27.03.2008), in tema di
acquisizione da parte di un ente pubblico di
prestazioni professionali in assenza di
copertura finanziaria, il riconoscimento del
debito fuori bilancio non costituisce
fattispecie idonea a produrre i medesimi
effetti negoziali riconducibili alla
fattispecie legale (costituita dalla
delibera di conferimento dell’incarico,
dalla stipulazione del contratto e dal
relativo impegno contabile), ma può solo
fondare un’azione di indebito arricchimento
nei limiti del riconoscimento dell’utilità
della prestazione e dell’arricchimento per
l’Amministrazione
(C.G.A.R.S.,
sentenza 12.08.2010 n. 1106 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO: Incarichi
anche senza laurea. Soprattutto nei piccoli
enti.
Non sempre è essenziale
il possesso della laurea per l'attribuzione
di un incarico ai sensi dell'art. 110 del
Tuel.
L'indicazione arriva dalla sezione regionale
della Corte dei Conti della Lombardia con la
deliberazione n. 702/2010.
L'attribuzione di tali incarichi nelle
amministrazioni prive di dirigenza deve
essere temperata sia in relazione alle
peculiari dimensioni organizzative dell'ente
sia alla necessità che i servizi e le
funzioni fondamentali vengano svolte
regolarmente ...
(articolo
Il Sole 24 Ore del 09.08.2010, pag. 8
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Consulenze esterne: solo se
esulano dalle competenze del personale.
L’interessante sentenza della Corte dei
Conti affronta l’annosa questione degli
incarichi e delle consulenze esterne, sempre
più spesso conferite, senza alcun criterio
di economicità e buon andamento per la
pubblica amministrazione (art. 1 della Legge
241/1990).
La vicenda riguarda la (CRIAS) Cassa
regionale per il credito alle imprese
artigiane siciliane, che in assenza di atti
deliberativi e senza procedure di evidenza
pubblica, conferisce alla SDA soluzioni di
azienda snc svariati servizi di consulenza.
Il Collegio dei revisori dei conti della (CRIAS)
segnala alla Procura regionale della Corte
dei Conti, tali irregolarità gestionali, che
non tengono conto delle professionalità e
delle competenze del personale in servizio,
e che risultano prive di atti deliberativi.
Il Consiglio di amministrazione dell’ente
non è stato mai informato, in violazione
dell’art. 13 dello Statuto della CRIAS, che
ne prevede l’esclusiva competenza per la
delibera degli atti di ordinaria e
straordinaria amministrazione.
E’ bene evidenziare che l’ordinamento
attribuisce ad un soggetto terzo, il P.M.
contabile, una legittimazione generale alla
tutela della finanza pubblica mediante
conferimento dello “ius postulandi”
nell’ipotesi di responsabilità patrimoniale
per i soggetti legati da un rapporto di
servizio, per danni arrecati nell’esercizio
delle funzioni ad esse affidate. L’interesse
dell’amministrazione danneggiata, nei
confronti dei convenuti in giudizio, assume
il ruolo di creditrice di un diritto
indisponibile, perché sotteso ad un
interesse pubblico.
La CRIAS istituita con legge regionale
50/1954 si configura come ente pubblico
economico strumentale della Regione
Siciliana, dotato di personalità giuridica
di diritto pubblico, ed avente come oggetto
della sua attività la concessione di
finanziamenti alle imprese artigiane.
Ha
quindi natura sia strumentale che di
servizio, e la sua caratterizzazione, anche
pubblicistica, scaturisce dalla presenza di
poteri di controllo di legittimità degli
atti di amministrazione, da parte
dell’Assessorato regionale della
cooperazione, del commercio,
dell’artigianato e della pesca, compresa
l’approvazione del bilancio, talché si deve
ritenere la natura pubblicistica dell’ente.
Gli atti che sono stati contestati dal P.M.
risultano giuridicamente inefficaci (ossia
nulli), poiché mai deliberati né mai inviati
al controllo di legittimità, attività di
controllo che risulta comunque soggetta alla
giurisdizione della Corte dei Conti (art. 3,
Legge 97/2001) (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Sicilia,
sentenza 04.08.2010 n. 1807 -
link a www.altalex.com). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Progettisti
in gara, senza trucchi. Riferimento alle tariffe e un argine
alla pratica dei ribassi. Una determinazione dell'Authority
lavori pubblici sui servizi di ingegneria e architettura.
Maggiore dettaglio nella definizione dei
corrispettivi a base di gara per la progettazioni;
riferimento alle tariffe professionali; accurata verifica
delle offerte anomale, riduzione dell'incidenza dei ribassi
offerti dai progettisti; maggiore qualità nelle offerte.
Sono questi alcuni degli obiettivi che intende perseguire
l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la
determinazione 27.07.2010 n. 5 sui servizi di
ingegneria e architettura, che fa seguito ai lavori condotti
da un apposito tavolo tecnico, coordinato dal consigliere
Giuseppe Borgia, cui hanno partecipato rappresentanti degli
ordini professionali, delle associazioni di categoria
interessate e del Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
Il provvedimento (corredato da dieci tabelle) fornisce
indicazioni e chiarimenti sulle disposizioni vigenti
relative alle modalità di affidamento, alla determinazione
dell'importo a base di gara, all'individuazione dei
requisiti di partecipazione e dei criteri di aggiudicazione
dell'offerta, prestando particolare attenzione al
procedimento di verifica della congruità delle offerte.
Il presupposto di questo articolato e accurato lavoro è la
rilevata disomogeneità delle procedure utilizzate dalle
stazioni appaltanti e il frequente ricorso ai ribassi
sproporzionati da parte degli operatori economici.
Per fare fronte a questi profili critici l'organismo di
vigilanza presieduto da Giuseppe Brienza ha preso in
considerazione, fra i tanti, il tema, delicatissimo, della
definizione dell'importo a base di gara ribadendo, nella
sostanza, l'opportunità di fare riferimento al d.m.
04.04.2001, le cui tariffe devono essere ritenute «motivatamente
adeguate» proprio in quanto approvate con legge.
Ciò detto, le linee guida chiedono alle stazioni appaltanti
di applicare il decreto del 2001 in maniera chiara ed
analitica, affinché il corrispettivo sia «congruo in
rapporto alla natura e complessità dei servizi da affidare e
alla qualità delle prestazioni attese».
A tale fine le stazioni appaltanti dovranno prevedere nei
documenti di gara una descrizione analitica delle
prestazioni professionali e dei loro costi, seguendo le
indicazioni contenute nelle tabelle allegate alle linee
guida, ove è indicata per ogni prestazione progettuale la
suddivisione della corrispondente aliquota parziale prevista
dal decreto ministeriale.
In sostanza l'Autorità chiede alle amministrazioni di
allegare al bando l'elenco degli elaborati richiesti con i
relativi costi Se quindi la stazione appaltante dovrà
suddividere ogni prestazione definendone anche la
percentuale di costo, in sede di predisposizione delle
offerte da parte dei progettisti e di verifica delle stesse
sarà possibile effettuare in maniera più accurata l'analisi
delle eventuali anomalie di ribasso.
Quindi, al dettaglio dei documenti posti a base di gara
dalla stazione appaltante dovrà corrispondere una più
adeguata verifica delle offerte anomale (ad oggi le gare di
servizi di ingegneria e architettura registrano il 37% di
ribasso medio, con punte anche del 70/75 %).
Tutto ciò dovrebbe essere evitato anche perché le linee
guida suggeriscono di applicare, anticipando il nuovo
regolamento del Codice, una formula di attribuzione dei
punteggi (allegato M dello schema di regolamento) che
dovrebbe disincentivare il fenomeno dei ribassi eccessivi.
Una particolare attenzione viene posta anche al contenuto
delle relazioni metodologiche, nonché alla valutazione dei
servizi analoghi (per i quali una tabella, la n. 1,
stabilisce quali prestazioni devono ritenersi assimilabili
in base all'articolo 14 della legge 143/1949).
Sono anche previste alcune indicazioni dedicate ai concorsi
di idee e di progettazione, per i quali si richiama la
necessità di indicare nel bando di concorso l'eventuale
affidamento degli sviluppi progettuali al vincitore del
concorso, previa anche indicazione dei requisiti richiesti
per lo svolgimento dei servizi successivi; in ogni caso è
precisato che nel concorso non può essere valutata l'offerta
economica ma solo la qualità dell'elaborato presentato.
Diverse le precisazioni sui requisiti di partecipazione alle
gare, per i quali sono applicabili l'articolo 63 del dpr
554/1999 e l'articolo 66 dello stesso dpr, nell'ottica di
garantire la par condicio ed evitare restrizioni della
concorrenza attraverso requisiti limitativi incongrui (articolo
ItaliaOggi del 29.07.2010 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI: Parcelle,
meglio pagarle subito. Gli oneri per i
ritardi gravano sul sindaco e sul
segretario. Per la prima volta la Corte dei
conti esonera da responsabilità l'ufficio
tecnico del comune.
Il sindaco e il segretario comunale che
gestiscono per conto dell'ente la richiesta
di un libero professionista di pagamento
della parcella sono direttamente e
personalmente responsabili dei maggiori
oneri che si siano determinati a seguito dei
ritardi nella liquidazione della stessa e
quindi sono chiamati a sostenere
direttamente tali oneri aggiuntivi.
Il responsabile dell'ufficio tecnico, anche
se formalmente responsabile, deve essere
ritenuto esente nel caso in cui non abbia
svolto alcun ruolo concreto nella vicenda.
In un piccolo comune il sindaco svolge un
ruolo preponderante rispetto agli uffici e
ai suoi responsabili e il segretario ha un
dovere di carattere generale di garantire il
rispetto delle prescrizioni legislative.
Possono essere così riassunti i più
importanti principi fissati dalla
sentenza 30.06.2010 n. 268
della II Sez. centrale di appello della
Corte dei Conti.
Siamo in presenza di una sentenza che, per
alcuni aspetti, conferma la interpretazione
per cui le condotte che determinano un danno
in termini di aumento della spesa posta a
carico dell'ente sono da ritenere colpevoli,
salvo che si dimostri che si era rimasti
comunque nell'ambito del tentativo non
coronato da successo di contenere tali
oneri.
L'aspetto innovativo della sentenza è invece
quello di avere fatto prevalere, nella
individuazione dei soggetti responsabili, il
dato sostanziale, cioè coloro che hanno
realmente gestito una vicenda, sul dato
formale, colui che aveva tale compito sulla
carta. Logica che ha anche ispirato i
giudici contabili nella individuazione della
misura della sanzione, posta per il 70% in
capo al sindaco e per il 30% in capo al
segretario, cifra ovviamente riferita ai
maggiori oneri sostenuti dall'ente rispetto
alla richiesta.
Il caso concreto scaturisce dalla parcella
presentata da un professionista per la
liquidazione del proprio compenso, parcella
che è stata inizialmente ritenuta superiore
a quanto pattuito e che, successivamente
alla sua riconduzione entro gli ambiti di
quanto previsto, è stata liquidata solo dopo
un decreto ingiuntivo e, quindi, aumentata
dagli interessi e dalle spese.
La difesa aveva invece sostenuto che la
condotta del sindaco e del segretario era
immune da responsabilità in quanto non hanno
opposto ricorso al decreto ingiuntivo,
quindi non hanno aumentato le spese a carico
dell'ente. E che comunque la responsabilità
andava posta in capo al responsabile
dell'ufficio tecnico, in quanto soggetto
competente a determinare la liquidazione del
compenso stesso.
L'elemento del ruolo marginale svolto dal
responsabile dell'ufficio tecnico risulta
dalle dichiarazioni rese dal sindaco e dal
segretario, nonché dalla documentazione
esaminata dai giudici contabili, nonché
dalla constatazione della sua cessazione
dall'incarico prima della emanazione del
decreto ingiuntivo. Il combinato disposto di
tali elementi determina, e questo è un punto
su cui la sentenza ha una valenza per molti
aspetti innovativa, una attenuazione «della
compartecipazione del tecnico comunale nella
causazione dell'evento dannoso fino a
renderla insignificante sotto il profilo
soggettivo della colpa grave».
Viene dalla sentenza affermato che dal
momento in cui il decreto ingiuntivo è stato
notificato all'ente e non vi sono state
opposizioni, in capo all'amministrazione era
posto esclusivamente l'obbligo di provvedere
in questo senso. Non è stata da parte dei
giudici giudicata come meritevole di
accoglimento la tesi per cui gli interessati
si erano mossi per cercare di ottenere una
qualche forma di riduzione degli oneri posti
a carico dell'ente, mentre non si sono
opposti per non aumentare gli stessi: «proprio
la piena consapevolezza da parte degli
appellanti circa l'insussistenza di un
qualsiasi motivo giuridico per proporre
validamente opposizione al decreto
ingiuntivo, alla quale sarebbe seguita la
sicura soccombenza, connota ancora di più in
termini di colpa grave il loro comportamento
omissivo e contrario alle regole di buona
amministrazione».
Gli oneri devono essere posti soprattutto a
carico del sindaco sia per il suo ruolo di
vertice dell'amministrazione, sia perché nel
caso specifico è stato che «risulta avere
più frequentemente tenuto i contatti con
l'ingegnere, inserendosi in prima persona
nella gestione della vicenda», quindi
per il comportamento effettivamente seguito.
Mentre il segretario si è limitato a
smistare le richieste all'ufficio non
assumendo il necessario ruolo di dare corso
alle stesse e, di conseguenza, altro
elemento assai innovativo della sentenza,
per non avere “dato concreta attuazione
alle doverose misure tecnico-legali atte ad
evitare il danno erariale".
Da sottolineare infine che la responsabilità
è stata nel caso specifico conteggiata in
misura assai ampia, avendo ad oggetto tutte
le maggiori spese sostenute dall'ente,
quindi gli oneri «della procedura
esecutiva, conseguenti e consequenziali, con
gli interessi legali successivi e le spese
per l'esecuzione, per bolli e per l'atto di
precetto»
(articolo ItaliaOggi
del 03.09.2010, pag. 27 - link a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI: Incarichi,
niente affidamenti diretti. Necessaria la
procedura comparativa anche per importi
minimi. Per la Corte dei conti i regolamenti
comunali che prescrivono il contrario sono
illegittimi.
Illegittimi i
regolamenti degli enti locali che consentono
l'affidamento diretto di incarichi di
collaborazione esterni, al di sotto di
determinate soglie dell'importo
contrattuale.
La Corte dei Conti, sezione regionale di
controllo per il Trentino-Alto Adige-Trento, con il
parere 10.06.2010 n. 18/2010 torna
sulla delicata questione dei criteri di
affidamento, censurando il regolamento di
organizzazione di un comune, che aveva
inserito nel regolamento la possibilità di
affidare gli incarichi professionali in via
diretta, senza cioè alcuna procedura
comparativa, a condizione che fossero di
valore inferiore ai 20 mila euro.
Dopo un primo rilievo della sezione, il
regolamento ha portato la soglia per gli
affidamenti diretti a 10 mila euro. Ma la
magistratura contabile ha censurato anche la
riduzione della soglia.
La deliberazione della sezione Trentino-Alto
Adige non si ferma, però, solo alla
stigmatizzazione dell'illegittimità del
regolamento e va oltre, fornendo preziose
indicazioni in merito ai presupposti al
ricorrere dei quali per le amministrazioni
risulterebbe possibile assegnare gli
incarichi senza procedere ad una selezione
preventiva.
In premessa, la deliberazione sottolinea che
in ogni caso l'ipotesi dell'affidamento
diretto deve costituire sempre un'eccezione,
da motivare, di volta in volta, nella
singola determinazione d'incarico con
riferimento all'ipotesi in concreto
realizzatasi. Ovviamente, la previsione di
una soglia di valore del contratto, specie
se particolarmente alta, consentirebbe di
trasformare l'affidamento diretto da evento
eccezionale a sistema normale.
Tra le motivazioni che possono giustificare
l'assegnazione senza procedura comparativa,
la magistratura contabile ritiene possa
farsi riferimento al requisito della «particolare
urgenza» connessa alla realizzazione
dell'attività discendente dall'incarico. In
altre parole, non deve risultare urgente
conferire l'incarico, ma svolgere
l'attività.
In aggiunta alle considerazioni della delibera, ovviamente anche nel caso
di urgenza le amministrazioni debbono aver
prima dell'incarico verificato che
sussistano tutti gli altri presupposti di
legittimità, tra i quali, in particolare, il
controllo sull'inesistenza della
professionalità all'interno dell'ente, la
pertinenza dell'attività con le competenze
istituzionali e la previsione nell'ambito
del programma degli incarichi, approvato dal
consiglio comunale.
Ancora, l'incarico diretto potrebbe
risultare ammissibile, a condizione che
l'amministrazione dimostri che le
prestazioni professionali di cui abbisogni
siano tali da non consentire forme di
comparazione. In questo caso, occorre avere
riguardo alla natura dell'incarico,
all'oggetto della prestazione oppure alle
abilità/conoscenze/qualificazioni
dell'incaricato. Insomma, per prestazioni
professionali infungibili, come quelle
caratterizzate da elevata funzione
intellettuale, è possibile non procedere
alla verifica comparativa, richiesta
dall'articolo 7, commi 6 e seguenti, del
dlgs 165/2001.
Ulteriore ipotesi di incarico diretto,
potrebbe essere una procedura selettiva
andata deserta, senza che ad essa abbia
partecipato alcun interessato.
In ogni caso, secondo la magistratura
contabile l'eccezionalità diretto è da
considerare di stretta interpretazione e non
consente deroghe, anche se discendenti
dall'esiguità del compenso pattuito per la
prestazione affidata al professionista
(articolo ItaliaOggi
del 20.08.2010, pag. 31 - link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - INCARICHI
PROGETTAZIONE: Incarico esterno
di progettazione - Revoca - applicabilità
art. 21 l. 07.08.1990.
Ex art. 21-quinquies, comma 1-bis, della l.
07.08.1990 la revoca di un atto
amministrativo ad efficacia durevole o
istantanea se incide su rapporti negoziali è
dovuto l'indennizzo parametrato al solo
danno emergente
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 08.07.2010 n.
2477 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Studi e consulenze col bilancino.
MANOVRA CORRETTIVA/ Comuni e province dovranno rimettere
mano alla programmazione. Spesa per gli incarichi di
collaborazione tagliata dell'80%.
La stretta sulle consulenze e gli
incarichi di collaborazione esterna vale anche per gli enti
locali, chiamati, dal 2011, a ridurre la spesa complessiva
destinata a tale scopo al 20% di quella sostenuta nel 2009.
Gli enti locali sono compresi nell'elenco delle pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della
legge 196/2009, richiamato dalle norme sul contenimento
della spesa contenute nel dl n. 78/2010, essendo contemplati
nella ricognizione effettuata dall'Istat e pubblicata sulla
G.U. n. 176 del 31.07.2009.
Dunque, a decorrere dall'anno 2011 comuni e province
dovranno ridurre dell'80% la spesa annua per studi ed
incarichi di consulenza, anche conferiti a pubblici
dipendenti rispetto a quella sostenuta nell'anno 2009.
Ciò non solo all'evidente scopo di conseguire risparmi di
spesa, ma anche al fine, esplicitato dalla manovra, «di
valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni».
L'articolo 6, comma 7, del dl n. 78/2010 estendendo la sua
portata anche agli enti locali, modifica implicitamente la
disciplina degli incarichi di collaborazione contenuta
nell'articolo 3, commi 18 e da 54 a 57, della legge
244/2007.
Tali disposizioni hanno sin qui assegnato a ciascun ente
locale la possibilità di fissare col regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, in conformità a
quanto stabilito dall'articolo 7, commi 6 e seguenti del
dlgs n. 165/2001, limiti, criteri e modalità per
l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, da
applicare a tutte le tipologie di prestazioni. Inoltre, il
limite massimo della spesa annua per incarichi di
collaborazione, ai sensi del comma 56 del citato articolo 3,
può essere fissato col bilancio ... (articolo
ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 34 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Quando la PA deve pagare il
progettista anche se la condizione non si
avvera.
Il giudice di legittimità accoglie il
ricorso, affermando il diritto
dell'architetto all'ottenimento dei compensi
per inerzia dell'amministrazione, poiché, "nel
caso di contratto con una pubblica
amministrazione in cui il pagamento del
compenso per l'opera professionale pattuita
sia subordinato alla circostanza che essa
ottenesse un finanziamento dell'opera
progettata da parte di un soggetto terzo, il
creditore della prestazione deve unicamente
provare il contratto, mentre sarà
l'amministrazione debitrice "sub condicione"
del compenso a dovere dimostrare, in
relazione ai suoi doveri nascenti dall'art.
1358 cod. civ. riguardo al comportamento che
doveva tenere al fine del finanziamento, che
il proprio comportamento fu conforme a detti
doveri" (Corte di Cassazione, Sez. I
civile,
sentenza 03.06.2010 n. 13469 -
link a www.altalex.com). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
L'attività
della P.A. deve, di regola, essere svolta dai propri organi
e uffici, per cui il ricorso a soggetti esterni è consentito
soltanto nei casi previsti dalla legge o in casi
eccezionali, da motivare idoneamente per far fronte a
situazioni non sopperibili con la struttura burocratica
esistente, ovvero in presenza di esigenze occasionali che
determinano “la necessità di fruire della specificità ed
infungibilità della prestazione esterna”.
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le
seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento
di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi
dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno
dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando
conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato
amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al
fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti
prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
Appare utile ricordare che
-sebbene appartenga alla discrezionalità insindacabile
dell’Amministrazione di procedere all’affidamento di
incarichi in presenza di particolari esigenze che
determinano la necessità di fruire della specificità ed
infungibilità della prestazione esterna per l’espresso
disposto dell’art. 3, primo comma, del D.L. 23.01.1996, n.
543 convertito nella legge 20.12.1996, n. 639– rimane
tuttavia integro il potere-dovere del giudice di verificare
la sussistenza dei presupposti legittimanti del ricorso a
tale eccezionale strumento di soddisfacimento degli
interessi dell’ente.
Ciò in quanto la valutazione del giudice non attiene al
merito della scelta adottata dagli organi
dell’amministrazione bensì al rispetto dei principi
costituzionali di ragionevolezza del loro operato e
dell’economicità e del buon andamento dell’Amministrazione
sancito dall’art. 97 della Costituzione (cfr, ex plurimis,
SS. RR. 01.03.1999, n. 4/A; Sez. III centrale d’appello,
16.12.2002 - 08.01.2003, n. 9).
Va soggiunto che -come affermato dalla Suprema Corte anche
recentemente- il limite della discrezionalità amministrativa
va escluso icto oculi in presenza di comportamenti
contra legem dell’amministratore o del dirigente
pubblico, “non potendo essi costituire esercizio di
scelta discrezionale insindacabile” (cfr. Cass. civ.
Sez. Unite civili, sent. n. 7024/ 2006; n. 5083/2008;
n.5288/2009 e Ord. n. 6410 del 02.03.2010).
Alla stregua delle precisazioni innanzi formulate, il
Collegio, dato per scontato che il giudizio contabile non
attiene al potere riservato in via esclusiva alla P.A. di
scegliere discrezionalmente le modalità di perseguimento
dell’interesse pubblico, osserva che il sindacato
giurisdizionale riguarda invece la legittimità e la
ragionevolezza dei mezzi prescelti; sicché non possono
ritenersi conformi a legge i provvedimenti che collidano con
tali principi o che contrastino con le regole di efficienza,
efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
Secondo un principio generale costantemente affermato dalla
Corte dei conti sia in sede di controllo che di
giurisdizione contabile, l’attività della P.A. deve, di
regola, essere svolta dai propri organi e uffici, per cui il
ricorso a soggetti esterni è consentito soltanto nei casi
previsti dalla legge o in casi eccezionali, da motivare
idoneamente per far fronte a situazioni non sopperibili con
la struttura burocratica esistente, ovvero in presenza di
esigenze occasionali che determinano “la necessità di
fruire della specificità ed infungibilità della prestazione
esterna” (cfr. ex plurimis, Sez. d’Appello Reg.
Sicilia, 04.06.2001, n. 105/A; Sez. III centrale,
07.06.2001, n. 133/A; Sez. Emilia Romagna, 07.06.2002, n.
1703; Sez. Lombardia, 08.06.2002, n. 1255).
Sono stati pertanto individuati dalla giurisprudenza le
seguenti condizioni che possono legittimare il conferimento
di incarichi a soggetti esterni alla P.A.:
a) rispondenza degli incarichi agli obiettivi
dell’Amministrazione conferente;
b) impossibilità di procurarsi le utilità all’interno
dell’organizzazione burocratica dell’ente, implicando
conoscenze non riscontrabili, in assoluto, nell’apparato
amministrativo;
c) esistenza di un’adeguata motivazione delle scelte, al
fine di rendere ostensiva la ricorrenza dei requisiti
prescritti;
d) specificità e temporaneità dell’incarico;
e) proporzione tra compensi ed utilità conseguite.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti riconosciuto la
possibilità di ricorrere ad incarichi esterni in presenza di
eccezionali eventi o situazioni straordinarie, quali la
carenza di specifiche professionalità interne, casi di
necessità e urgenza, straordinarietà della situazione,
lavori di particolare complessità, accertata difficoltà del
competente ufficio di svolgere le funzioni d’istituto,
affermando peraltro, costantemente, che le spese sostenute
per incarichi professionali esterni, riguardanti lo
svolgimento di prestazioni proprie delle qualifiche del
personale dipendente, all’infuori delle eccezionali ipotesi
innanzi specificate, configurano oneri posti indebitamente a
carico dell’ente pubblico e costituiscono perciò causa di
danno erariale (cfr, ex plurimis, SS.RR., 23.06.1992,
n. 792/A; Corte dei conti, Sez. I,13.06.1994, n. 3).
I principi di cui trattasi sono stati frequentemente
richiamati dalla Corte in decisioni relative a casi simili a
quelli in esame (cfr. ex plurimis, Sez. Sicilia,
06.09.1995, n. 302; Sez. Veneto, 04.12.1996, n. 471; Sez.
Emilia Romagna, 15.10.1996, n. 612; Sez. Abruzzo,
19.11.1997, n. 300) e sono stati ribaditi in circolari della
Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri
vigilanti, per cui la loro disapplicazione da parte delle
Amministrazioni pubbliche costituisce evidente indice di
sviamento di potere e di grave colpevolezza.
Tali indirizzi giurisprudenziali trovano puntuale riscontro,
per gli enti locali, nell’art. 51, settimo comma, della
legge n. 142/1990, poi trasfuso nell’art. 110, comma 6, del
D.lgs n. 267/2000, il quale prevede che “per obbiettivi
determinati e con convenzione a termine il regolamento può
prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di
professionalità”.
Analogamente (cioè con la medesima espressione
terminologica) dispone l’art. 41 del Testo unico delle leggi
regionali sull’ordinamento del personale dei Comuni della
Regione Autonoma Del Trentino-Alto Adige, approvato con
D.P.Reg. 10.02.2005, n. 2/L.
Per quanto riguarda, in particolare, le opere pubbliche, la
L.P. 10.09.1993 n. 26, recante norme in materia di lavori
pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli
appalti, riserva la priorità alla progettazione interna
(artt. 19 e 20, comma 2), limitando la progettazione esterna
ai casi di “soluzioni di complesse questioni tecniche,
pluralità di competenze specialistiche, carenze, anche
temporanee di organico..” ( art. 20, comma 3 e segg).
Per gli altri enti pubblici l’art.7, del D.l.vo n. 29/1993,
come modificato dall’art. 5 del D.l.vo n. 546/1993
riprodotto nell’art. 7, comma 6, del D.l.vo 30.03.2001, n.
165, dispone che: ”per esigenze cui non possono far
fronte con personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti
di provata competenza”, individuando, ai commi 6-bis e
6-ter, i presupposti indispensabili per il ricorso
all’attività di liberi professionisti -qualora sia
obiettivamente impossibile utilizzare risorse interne- nella
temporaneità dell’incarico, nell’elevata qualificazione
della prestazione e nella preventiva fissazione della
durata, luogo, oggetto e compenso pattuito.
Le disposizioni di cui innanzi (integrate successivamente ai
fatti di causa dall’art. 32 del Decreto Legge n. 223 del
2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248/2006
e dal comma 76 dell’art. 3 della legge 24.12.2007, n. 244)
contenute nei commi 6, 6-bis e 6-ter dell’articolo 7 del
D.Lgs. n. 165/2001, sono da ritenersi di carattere generale
ed applicabili, salvo deroghe particolari, nell’intero
settore dei pubblici poteri (cfr. Sez. II centrale,
26.08.2008, n. 263/A).
Come già accennato innanzi, l’obbligo per le amministrazioni
pubbliche di far fronte alle competenze istituzionali
mediante il migliore e più proficuo e produttivo utilizzo
delle risorse professionali esistenti nell’ambito della
propria struttura organizzativa e di ricorrere ad incarichi
esterni soltanto nei cari previsti dalla legge o in
relazione ad eventi straordinari o in casi eccezionali trova
il proprio fondamento nel principio del buon andamento
dell’amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione
(Corte dei Conti, Sez.
giurdiz. Trento,
sentenza 21.04.2010 n. 11 - link a http://bddweb.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Le amministrazioni e gli enti pubblici
devono di norma svolgere i compiti istituzionali avvalendosi
di proprio personale.
Se questa è la regola di carattere generale, che riposa, in
sostanza, sul principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione e, in particolare,
sull'obbligo (che di tale principio è espressione) degli
amministratori e dipendenti pubblici, di perseguire
l'economicità della spesa pubblica, il conferimento degli
incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A.
si pone come eccezione in presenza di speciali condizioni
che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A.
ovvero una carenza organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione
specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da
parte del consulente privato di un'attività non
continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto
all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione.
Rileva il Collegio che il ricorso da parte
dell'Amministrazione a soggetti estranei all’apparato
istituzionale per l'espletamento dei propri compiti deve
ritenersi consentito nel rispetto delle condizioni stabilite
dalla legge, o anche quando non sia possibile provvedere
altrimenti per evenienze sopraggiunte ed impreviste.
Come già precisato in precedenti pronunce, per tutte le
amministrazioni ed enti pubblici l’art. 7, sesto comma, del
D.Lgs. 29/1993, prevedeva che “per esigenze cui non
possono far fronte con il personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi
individuali ad esperti di provata competenza, determinando
preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione”. Con il decreto legislativo 30.03.2001,
n. 165, la possibilità di “esternalizzazione” di
attività è stata disciplinata con maggiore puntualità e
rigore, prevedendo l’art. 7, 6° comma, che “per esigenze
cui non possono far fronte con personale in servizio, le
amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi
individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura
occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di
particolare e comprovata specializzazione anche
universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di
legittimità:
a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle
competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati
e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità
dell'amministrazione conferente;
b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato
l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili al suo interno;
c) la prestazione deve essere di natura temporanea e
altamente qualificata;
d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione. “
Per gli enti locali, l’art. 51, comma settimo, della Legge
n. 142/1990, recepita dalla legge della Regione siciliana
11.12.1991, n. 48, indica i presupposti formali e
sostanziali che debbono ricorrere affinché si possa
procedere all’assegnazione di incarichi esterni, stabilendo
che “per obiettivi determinati e con convenzioni a
termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne
ad alto contenuto di professionalità”.
Come evidenziato, dunque, la disciplina generale e quella di
settore individuano i presupposti formali e sostanziali per
poter procedere al conferimento dell’incarico, per il quale
è comunque necessario che, se trattasi di ente locale, il
Regolamento dello stesso lo preveda e lo disciplini
compiutamente.
Da tutta la normativa citata si desume, anzitutto, che le
amministrazioni e gli enti pubblici devono di norma svolgere
i compiti istituzionali avvalendosi di proprio personale.
Se questa è la regola di carattere generale, che riposa, in
sostanza, sul principio costituzionale di buon andamento
della pubblica amministrazione e, in particolare,
sull'obbligo (che di tale principio è espressione) degli
amministratori e dipendenti pubblici, di perseguire
l'economicità della spesa pubblica, il conferimento degli
incarichi di consulenza a professionisti esterni alla P.A.
si pone come eccezione in presenza di speciali condizioni
che si possono così riassumere:
- assenza di una apposita struttura organizzativa della P.A.
ovvero una carenza organica che impedisca o renda
oggettivamente difficoltoso l'esercizio di una determinata
funzione pubblica, da accertare per mezzo di una reale
ricognizione;
- complessità dei problemi da risolvere che richiedono
conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del
personale della P.A. o dell'ente pubblico; indicazione
specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento
dell'incarico;
- indicazione della durata dell'incarico, svolgimento da
parte del consulente privato di un'attività non
continuativa; proporzione fra il compenso corrisposto
all'incaricato e l'utilità conseguita dall'amministrazione.
Le cennate condizioni devono coesistere e, soprattutto,
devono essere oggettivamente sussistenti.
Al complesso normativo suddetto il procuratore regionale ha
fatto riferimento e allo stesso nessuna erroneità della
ricostruzione normativa può essere contestata,
contrariamente a quanto affermato dalla difesa che opera un
distinguo che per quanto appresso si dirà è stato ed è del
tutto irrilevante ai fini della decisione assunta e da
assumere (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Reg.
Siciliana,
sentenza 29.03.2010 n. 101 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Incarichi
facili, in regione si può. La Corte conti Basilicata assolve
gli amministratori che avevano affidato una consulenza
esterna. Consiglieri coperti da immunità per gli atti di
organizzazione.
Consigli
regionali esenti da responsabilità per incarichi di
consulenze allegri. È nelle stanze dei parlamentini
regionali che si ferma l'applicabilità delle le rigorose
norme tendenti al contenimento dei costi per incarichi
esterni. Sicché, il consiglio regionale della Basilicata
nonostante la presenza di nove dirigenti e 46 funzionari
direttivi con profilo amministrativo può legittimamente
incaricare un avvocato esterno, per la riorganizzazione del
consiglio regionale. E questo nonostante l'articolo 7, comma
6, del dlgs 165/2001 e i tantissimi vincoli posti dalla
legge al ricorso a consulenti esterni.
Secondo la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della
Basilicata, intervenuta sulla questione con
sentenza 24.03.2010 n. 91, infatti, non risulta
possibile muovere rilievi né ai consiglieri regionali, né al
dirigente competente, per il munifico incarico di
«riorganizzazione», che, come spesso accade, chissà perché
viene assegnato a chi dell'organizzazione non fa parte.
A nulla sono valsi i rilievi espressi dal procuratore,
secondo il quale non solo la dotazione organica del
consiglio regionale era certamente dotata delle
professionalità necessarie per attendere alla funzione
affidata all'esterno, ma il risultato finale non è stato di
alcuna utilità e, soprattutto, l'ipotesi di riorganizzazione
non ha tenuto in alcun conto gli obiettivi di contenimento
delle spese di personale ... (articolo
ItaliaOggi del 07.05.2010 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: CORTE
CONTI/ La sezione di Trento stigmatizza una prassi diffusa
tra gli enti. Organizzazione ai dirigenti. Illegittimo
l'affidamento di consulenze esterne.
L'organizzazione delle amministrazioni è
una competenza che spetta in via prioritaria ai dirigenti.
Affidamenti di incarichi di consulenza a questo scopo,
dunque, si rivelano una inutile duplicazione dei costi,
specie se fondati sull'erroneo presupposto che l'incombenza
non sia appannaggio dei dirigenti.
Sono queste le conclusioni tratte dalla
sentenza 22.03.2010 n. 8 della Corte dei Conti,
Sez. giurisdizionale di Trento, che ha condannato il
dirigente di un servizio convenzionato di polizia
municipale, per aver assegnato una consulenza, finalizzata
alla modifica dell'assetto organizzativo del corpo.
I giudici contabili stigmatizzano in maniera tranciante un
vero e proprio vezzo delle amministrazioni, consistente nel
compiere continuamente modifiche organizzative, talora anche
di poco conto, facendole comunque passare come strategiche
e, di conseguenza, avvalersi di incaricati esterni esperti
in materia aziendalistica. Come se l'attività organizzativa
non fosse una specifica funzione degli organi
amministrativi, in collaborazione e secondo le direttive
degli organi politici.
Particolarmente dura è la sentenza nell'evidenziare che la
riorganizzazione, se attivata allo scopo di applicare alle
amministrazioni le tecniche della scienza aziendale, si
rivela potenzialmente poco utile ... (articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE: Incarichi
di progettazione ai raggi X. Devono essere valutati dai
revisori e trasmessi ai giudici contabili
Soggetti alla valutazione del collegio dei revisori dei
conti e all'invio alla sezione regionale della Corte dei
conti anche gli incarichi di progettazione e quelli
conferiti alle persone giuridiche.
Lo ha stabilito la Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo del Piemonte, col
parere 18.03.2010 n. 23/2010, che contiene
argomentazioni, tuttavia, difficilmente condivisibili.
Secondo i magistrati contabili, le disposizioni
dell'articolo 1, comma 42, della legge 311/2004 sono ancora
vigenti. Tuttavia, esse non fondano più l'obbligo da parte
delle amministrazioni locali di chiedere ai revisori dei
conti una valutazione preventiva sul rispetto del
presupposto dell'assenza di professionalità interne, allo
scopo di assicurare la legittimità degli incarichi di
collaborazione esterna ... (articolo
ItaliaOggi del 30.04.2010, pag. 32 - link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
M. Balestieri,
Consulenza illegittima: la prova dell'utilità della
prestazione incombe sul soggetto convenuto
(L'Ufficio Tecnico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: Anche
il professionista tecnico, al pari di tutte
le altre figure professionali, incorre in
responsabilità contrattuale, qualora nello
svolgimento dell’incarico ricevuto non tenga
una condotta conforme alla diligenza
prevista dall’art. 1176, 2° co. C.C.. Punto
di partenza è necessariamente la nozione di
“diligenza professionale”; attraverso tale
criterio, infatti, è possibile misurare in
concreto il contenuto delle obbligazioni che
derivano dal contratto d’opera intellettuale
e, quindi, valutare i presupposti in
presenza dei quali si verifica
l’inadempimento del professionista. Il
progettista è tenuto a realizzare disegni
rappresentativi ed elaborati accessori al
progetto. Qualora l’attività svolta presenti
vizi tali da non consentire un’esatta
esecuzione dell’opera progettata, il
professionista risponde ai sensi dell’art.
1218 C.C..
L’obbligo cui è tenuto l’incaricato della
redazione del progetto di costruzione di un
edificio, consistente nell’accertare
preventivamente e con assoluta precisione le
dimensioni, i confini e le altre
caratteristiche, anche sotto il profilo
delle limitazioni urbanistiche, dell’area
sulla quale debba eseguirsi la costruzione
medesima, sussiste come dato prodromico
essenziale per il corretto espletamento del
mandato professionale, ancorché tali
prestazioni non abbiano formato oggetto di
uno specifico incarico del cliente. Tale
responsabilità non richiede la colpa grave,
non implicando l’individuazione dei confini
o l’acquisizione e l’osservanza di norme
regolamentari pubbliche la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà,
tanto da essere detta attività ricompresa
anche nella competenza delle professioni
tecniche minori.
Se dall’edificazione di una costruzione in
violazione delle norme sulle distanze legali
sia derivato l’obbligo del committente della
riduzione in pristino, sussiste il diritto
di rivalsa del committente nei confronti del
progettista qualora l’irregolare ubicazione
della costruzione sia conforme al progetto e
non sia stata impedita dal professionista
medesimo in sede di esecuzione dei lavori.
Anche il professionista tecnico, al pari di
tutte le altre figure professionali, incorre
in responsabilità contrattuale, qualora
nello svolgimento dell’incarico ricevuto non
tenga una condotta conforme alla diligenza
prevista dall’art. 1176, 2° co. C.C.
Punto di partenza è necessariamente la
nozione di “diligenza professionale”;
attraverso tale criterio, infatti, è
possibile misurare in concreto il contenuto
delle obbligazioni che derivano dal
contratto d’opera intellettuale e, quindi,
valutare i presupposti in presenza dei quali
si verifica l’inadempimento del
professionista.
Il progettista è tenuto a realizzare disegni
rappresentativi ed elaborati accessori al
progetto. Qualora l’attività svolta presenti
vizi tali da non consentire un’esatta
esecuzione dell’opera progettata, il
professionista risponde ai sensi dell’art.
1218 C.C.
Nel caso concreto non vi è dubbio che nella
condotta del ... sia ravvisabile la colpa
(come incidentalmente riconosciuto dallo
stesso Tribunale e non contestato
dall’appellante incidentale e
dall’assicuratore).
Trattandosi di responsabilità contrattuale,
ai fini del riparto dell’onere probatorio,
l’attore deve limitarsi a provare il
contratto ed allegare l’inadempimento del
debitore, astrattamente idoneo a provocare
il danno lamentato. Competerà al debitore
dimostrare o che tale inadempimento non vi è
stato ovvero che, pur esistendo, esso non è
stato eziologicamente rilevante.
Nella specie la società committente ha
dedotto che il professionista era incorso in
errore non scusabile nell’individuazione
delle distanze della costruzione rispetto al
confine e che tale errore era stato
determinato dall’omesso rispetto del
regolamento edilizio comunale. A tale
allegazione il convenuto non ha replicato in
modo specifico, limitandosi a contestare
(genericamente) “…in ogni caso la
fondatezza della domanda…” e a
concentrare le proprie difese sulla
inopponibilità della transazione conclusa
dalla F.lli Rossi con i confinanti e sulla
non giustificabilità di certe spese, di cui
si chiedeva il rimborso.
Deve ritenersi che l’ingegnere progettista
sia responsabile dello sconfinamento della
costruzione progettata. Ed invero, l’obbligo
cui è tenuto l’ingegnere incaricato della
redazione del progetto di costruzione di un
edificio, consistente nell’accertare
preventivamente e con assoluta precisione le
dimensioni, i confini e le altre
caratteristiche, anche sotto il profilo
delle limitazioni urbanistiche, dell’area
sulla quale debba eseguirsi la costruzione
medesima, sussiste come dato prodromico
essenziale per il corretto espletamento del
mandato professionale, ancorché tali
prestazioni non abbiano formato oggetto di
uno specifico incarico del cliente (C.
89/3476).
E’ inoltre certo che tale responsabilità non
richiede la colpa grave, non implicando
l’individuazione dei confini o
l’acquisizione e l’osservanza di norme
regolamentari pubbliche la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà,
tanto da essere detta attività ricompresa
anche nella competenza delle professioni
tecniche minori.
In base a indagine tecnica (svolta nel
giudizio possessorio) è emerso che la
porzione di edificio destinata a cantine,
autorimesse e relativa area di manovra per
le autovetture, fuoriuscendo parzialmente
dal piano di campagna, avrebbe dovuto essere
presa in considerazione ai fini del rispetto
delle distanze dal confine, come imposto
dagli artt. 58 e 59 del regolamento edilizio
del Comune di Rignano sull’Arno, e che,
conseguentemente, risultando edificata in
violazione di tali disposizioni, fondata era
la pretesa della sua demolizione e/o
arretramento. Come detto, tali risultanze
non sono state oggetto di contestazione ad
opera delle altre due parti in causa.
Se dall’edificazione di una costruzione in
violazione delle norme sulle distanze legali
sia derivato l’obbligo del committente della
riduzione in pristino, sussiste il diritto
di rivalsa del committente nei confronti del
progettista qualora l’irregolare ubicazione
della costruzione sia, come nella specie,
conforme al progetto e non sia stata
impedita dal professionista medesimo in sede
di esecuzione dei lavori
(Corte d'Appello-Firenze, Sez. II,
sentenza 25.02.2010 n. 93). |
INCARICHI PROGETTUALI - LAVORI PUBBLICI:
Illegittimo subordinare il
compenso al finanziamento dell'opera.
È illegittimo
subordinare il pagamento di compensi
professionali (progettazione, indagini,
etc.) all'ottenimento del finanziamento per
la realizzazione dell'opera pubblica.
Questa, in sintesi, la conclusione del TAR
Puglia (sez. Lecce) che ha accolto un
ricorso finalizzato ad ottenere
l'annullamento di un bando per l'affidamento
di un incarico professionale.
L'incarico riguardava progettazione,
direzione lavori, coordinamento della
sicurezza, etc. con la precisazione che le
attività connesse all'esecuzione (direzione
lavori, etc.) sarebbero state affidate solo
in caso di finanziamento dell'opera e che,
comunque, il professionista si impegnava a
non pretendere alcun compenso, nemmeno per
spese vive, se l'intervento non fosse stato
ammesso a finanziamento.
Il TAR ha ritenuto che il bando fosse in
palese contrasto con le disposizioni
dell'art. 92 del Codice dei Contratti (D.Lgs.
163/2006) che recita: "Le amministrazioni
aggiudicatrici non possono subordinare la
corresponsione dei compensi relativi allo
svolgimento della progettazione e delle
attività tecnico amministrative ad essa
connesse all'ottenimento del finanziamento
dell'opera progettata"
(commento tratto da www.acca.it - TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.02.2010 n. 577 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Il
contratto d’opera professionale va
dichiarato nullo per contrarietà a norme
imperative, in quanto l’edificio di cui
trattasi non poteva certamente considerarsi
una “modesta costruzione civile” e pertanto
la sua progettazione esulava dalla
competenza del geometra perimetrata
dall’art. 16 del r.d. 11/02/1929 n. 274,
come si desume all’evidenza dalla
complessità e dalle caratteristiche
tecnico-costruttive dell’edificio (un
fabbricato di tre piani di mc. 3161 e mq.
355 con impiego di c.a.) e come confermato
dal ctu nonché confessato dallo stesso
attore il quale ha espressamente
riconosciuto che il progetto, implicando una
costruzione in c.a., eccedeva la propria
competenza, affermando che proprio per
questo aveva chiesto la collaborazione
dell’ing. ... il quale aveva redatto e
firmato gli elaborati progettuali.
Il contratto d’opera professionale va
dichiarato nullo per contrarietà a norme
imperative, in quanto l’edificio di cui
trattasi non poteva certamente considerarsi
una “modesta costruzione civile” e
pertanto la sua progettazione esulava dalla
competenza del geometra perimetrata
dall’art. 16 del r.d. 11/02/1929 n. 274
(cfr. Cass. 12193/2007; 17028/2006; n. 3021,
n. 6649, n. 7778 e n. 8545 del 2005), come
si desume all’evidenza dalla complessità e
dalle caratteristiche tecnico-costruttive
dell’edificio (un fabbricato di tre piani di
mc. 3161 e mq. 355 con impiego di c.a.) e
come confermato dal ctu nonché confessato
dallo stesso attore il quale ha
espressamente riconosciuto che il progetto,
implicando una costruzione in c.a., eccedeva
la propria competenza, affermando che
proprio per questo aveva chiesto la
collaborazione dell’ing. ... il quale aveva
redatto e firmato gli elaborati progettuali.
La nullità è rilevabile d’ufficio perché il
geom. ... agisce per l’esecuzione del
contratto nullo (peraltro la Corte condivide
la tesi secondo la quale il giudice deve
rilevare d’ufficio le nullità negoziali non
solo nell’ipotesi in cui sia stata proposta
l’azione di esatto adempimento, ma anche
quando sia stata proposta azione di
risoluzione, annullamento o rescissione del
contratto: Cass. 22/03/2005 n. 6170; Cass.
15/09/2008 n. 23674) e la questione
appartiene al contraddittorio già svolto,
dal momento che l’attore ha ammesso che la
progettazione in esame era riservata alla
competenza di un ingegnere .
La nullità poi non è esclusa dalla
circostanza che la prestazione di fatto sia
stata compiuta, su richiesta del ..., da un
ingegnere, poiché la validità del negozio
dipende dal personale possesso del titolo
abilitante da parte di chi ha ricevuto
l’incarico dal committente (cfr. Cass.
1572/2005 n. 3021 e Cass. 13/01/1984 n. 286)
e nella specie lo stesso attore ha sempre
sostenuto che l’incarico fu conferito a lui
personalmente né risulta che vi sia stato
alcun rapporto diretto tra i convenuti e
l’ingegnere che ha sottoscritto il progetto.
Per altro verso, ancora, è di tutto evidenza
che la “collaborazione” di cui parla
l’art. 2232 cod civ., dovendo avvenire sotto
la direzione del professionista incaricato,
non può riguardare la esecuzione di una
prestazione professionale che ecceda
l’abilitazione del professionista
incaricato, il quale non può certamente
dirigere l’esecuzione, da parte di altri, di
una prestazione per la quale egli non sia
abilitato (cfr. in termini Cass. 3108/1995).
Consegue da quanto sopra che nessun compenso
può essere liquidato al geom. ... per
l’attività di progettazione dell’edificio
(sicché si palesa superflua l’istanza di
assunzione di chiarimenti da parte del ctu
avanzata dal difensore dei convenuti).
L’allegazione dell’attore di avere pagato
l’onorario dell’ingegnere e di aver diritto
a ripetere dai committenti la remunerazione
corrisposta al “collaboratore”
costituisce deduzione nuova inammissibile.
L’attore infatti ha agito in giudizio
chiedendo l’adempimento del contratto
d’opera professionale concluso personalmente
con i convenuti ed il pagamento del compenso
dovutogli per le prestazioni professionali
svolte, non già per far valere un diritto di
regresso in relazione al pagamento di un
debito dei propri committenti verso il
professionista da lui incaricato della
redazione del progetto, né per la verità ha
mai provato di avere effettivamente eseguito
tale pagamento e per l’importo richiesto in
questa sede. D’altro canto è evidente che
egli non è neppure legittimato a chiedere il
compenso per conto dell’autore del progetto,
sia perché le ipotesi di sostituzione
processuale sono tassative , sia perché non
ha richiesto che la condanna fosse emessa a
favore dell’altro professionista, sia infine
perché, nel merito, non c’è alcuna prova di
un conferimento d’incarico da parte dei
convenuti nei confronti dell’ingegner
Orlandi.
Per ciò che concerne le prestazioni diverse
dal progetto, si ritiene che nulla possa
essere riconosciuto all’attore per
l’attività relativa alle prestazioni
preparatorie della progettazione e ad essa
connesse di cui al punto 4.3 pag. 13 della
relazione del ctu , atteso che la nullità
del contratto si estende alle prestazioni
strumentali connesse con la edificazione
(Cass. 7778/2005 cit.)
(CORTE D'APPELLO di Firenze, Sez. II,
sentenza 12.01.2010 n. 12). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: P.
Ati,
Incarichi esterni: lavoro autonomo o appalto pubblico di
servizio? Nota alla sentenza 23.12.2009 n. 2608 di TAR
Lombardia-Brescia (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
anno 2009 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
E' legittima l'esclusione di un
concorrente privo del titolo abilitante all'esercizio della
professione richiesto dal bando quale unico requisito di
ammissione.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente
pubblico, di decidere se ricorrere a figure professionali
esterne, anziché procedere all'affidamento del servizio
mediante una gara d'appalto.
E' legittima l'esclusione di un concorrente privo del titolo
abilitante all'esercizio della professione di dietista
richiesto dal bando quale unico requisito di ammissione, in
quanto non vi è equipollenza fra la figura professionale del
tecnologo alimentare e quella del dietista. Le prestazioni
richieste dal bando, nel caso di specie, come risulta
dall'oggetto dell'incarico da affidare sono
indiscutibilmente ed esclusivamente quelle proprie del
dietista, non quelle del tecnologo alimentare. Il nucleo
qualificante dell'attività di dietista consiste nel curare
l'interazione tra dieta ed essere umano, partendo dall'esame
della situazione concreta dell'interessato; diversamente, le
competenze professionali relative all'attività di tecnologo
alimentare consistono nel dirigere e controllare la c.d.
"filiera alimentare", vale a dire tutto ciò che occorre per
sviluppare, produrre ed offrire sul mercato alimenti di alta
qualità, prescindendo, quindi, dalla considerazione del
rapporto tra cibo e singolo fruitore.
Rientra nell'ampia discrezionalità di un qualsiasi ente
pubblico, e a maggior ragione di un ente a fini generali
come il comune, di determinare se ricorrere a figure
professionali esterne, e in caso affermativo a quali e in
che termini. Nel caso di specie, dunque, è corretta la
scelta del comune di affidarsi a dietisti per la
formulazione dei menu e di indire a tale scopo una procedura
di selezione, per il conferimento di alcuni incarichi di
prestazione di lavoro autonomo per prestazioni di dietista,
verifica e controllo dei servizi di ristorazione scolastica,
anziché procedere all'affidamento del servizio mediante una
gara d'appalto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.12.2009 n. 2608 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Gare, chiarimento sui requisiti. In G.U.
la circolare del ministero delle infrastrutture
sull'articolo 253 del dlgs 163/2006. Conta il fatturato
quinquennale e l'organico medio del triennio.
Per le gare di ingegneria e architettura, fino a fine
dicembre 2010, la norma del Codice che consente di
dimostrare i requisiti di ammissione alla gara su un arco
temporale più ampio è applicabile soltanto al fatturato
quinquennale e all'organico medio annuo del triennio, ma non
ai requisiti decennali sui servizi svolti e sui servizi «di
punta».
È quanto ha chiarito il ministero delle infrastrutture, con
la circolare del 12.11.2009, n. 4649 firmata dal direttore
generale per la regolamentazione dei contratti pubblici,
Bernadette Veca, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 274
del 24.11.2009.
Il chiarimento riguarda l'art. 253, comma 15-bis del dlgs.
163/06 che consente fino al 31.12.2010 di documentare i
requisiti per l'accesso alle gare di servizi di ingegneria e
architettura, con riguardo ai migliori tre anni del
quinquennio e ai migliori cinque anni del decennio.
La circolare, dopo avere riconosciuto che «l'ampliamento
dell'arco temporale utilizzabile per la dimostrazione del
possesso dei requisiti minimi introduce una maggiore
flessibilità per la qualificazione dei concorrenti»,
anche «al fine di contrastare gli effetti della crisi
economica del mercato che hanno investito anche il settore
dei contratti pubblici», chiarisce che il comma 15-bis
riguarda i requisiti previsti per i servizi di ingegneria e
architettura dal dpr 554/1999, ritenendo tali norme (art.
66, comma 1, del dpr 554/1999), «di dettaglio»,
implicitamente compatibili con il Codice dei contratti
pubblici.
Le stazioni appaltanti devono quindi fare riferimento,
nell'applicazione della disposizione agevolativa del «terzo
correttivo», ai requisiti del regolamento articolati su
base triennale, quinquennale e decennale e non ai requisiti
generali del Codice (artt. 41 e 42) che riguardano, per
tutti i tipi di appalto, soltanto l'ultimo triennio.
Ciò detto, il ministero specifica che la norma a sua volta
non si applica a tutti i quattro requisiti previsti dalla
disposizione regolamentare, ma «incide sui soli requisiti
di cui alle lettere a) e d) del comma 1 dell'art. 66 del dpr
554/1999 per i quali la dimostrazione del possesso è
richiesta rispettivamente su base quinquennale e su base
triennale». Pertanto relativamente al fatturato
quinquennale «globale», cioè per servizi di ingegneria e
architettura, dovranno chiedersi requisiti dei migliori
cinque anni del decennio precedente (per il ministero «si
consente di individuare su base decennale il requisito
quinquennale previsto dalla normativa regolamentare»).
Per il requisito triennale dell'organico medio annuo dei
tecnici, nei bandi si dovrà consentirne la prova facendo
riferimento ai tre migliori anni del quinquennio precedente
(secondo la circolare: «Si consente di individuare su
base quinquennale il requisito triennale previsto dalla
normativa regolamentare»).
Per gli altri due requisiti (espletamento nel decennio di
servizi di ingegneria e architettura relativi ai lavori da
progettare e due servizi «di punta» di cui alle
lettere b e c del comma 1 dell'articolo 66), il ministero
afferma che la norma del Codice risulta inapplicabile, «in
quanto la riduzione del periodo decennale (si passerebbe ai
cinque migliori anni del decennio, ndr) determinerebbe una
restrizione della possibilità di partecipare alle gare, in
contrasto con la ratio ispiratrice della norma transitoria,
introdotta con il precipuo intento di ampliare la
concorrenza».
Viene anche chiarito che la norma «incide esclusivamente
rispetto all'attività espletata da prendere in
considerazione ai fini della stima dell'importo», che
non può essere limitata ai soli «lavori da progettare»,
ma si riferisce anche ad altri servizi di architettura e di
ingegneria, a seconda del tipo di incarico da affidare
(articolo ItaliaOggi del 16.12.2009, pag. 48). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
In tema di responsabilità del segretario generale e del
responsabile del settore affari del personale di un ente
locale per danno erariale derivante dall’illegittimo
affidamento di incarichi in assenza dei requisiti di legge -
art. 28 D.Lo 30.03.2001 n. 165 (nella fattispecie la Sezione
ha riconosciuto la responsabilità dei convenuti per aver
affidato incarichi dirigenziali a personale interno privo
del requisito del diploma di laurea) (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Sardegna,
sentenza 14.12.2009 n. 1246 - link a http://bddweb.corteconti.it). |
INCARICHI PROGETTUALI: Ha
rilevanza giuridica l’interesse del
progettista ricorrente a contestare non solo
i provvedimenti di annullamento dei progetti
da questo redatti ma anche le iniziative
procedimentali che possano costituire
definitivo impedimento alla realizzazione
dell’opera da lui progettata.
L’Amministrazione può chiaramente decidere
di non dare esecuzione al progetto del
ricorrente, così come può decidere di dar
corso a una nuova progettazione che sia
incompatibile con il primo progetto, ma deve
far ciò nel rispetto delle regole che
presidiano la sua attività e nel rispetto
dei giudicati nel frattempo intervenuti.
Al Comune non è impedito annullare le
delibere con cui sono stati approvati i
progetti del ricorrente, purché ciò avvenga
in modo legittimo e con la partecipazione
dell’interessato, così come non gli è
impedito affidare ad altri la progettazione
dell’intervento da realizzare nell’area, ma
a condizione che sia previamente e
legittimamente rimossa la procedura che
riguarda il progetto redatto dal ricorrente.
Il Collegio, richiamando la copiosa
giurisprudenza in materia di interesse
morale al ricorso (cfr., fra le più recenti,
Cons. St., IV, n. 434/ 2009, Cons. St., V.
n. 1328/2008, Cons. St., IV, n. 4251/2007),
non può che confermare le valutazioni già
espresse in precedenza da questo Tribunale e
dal Consiglio di Stato con riferimento alla
rilevanza giuridica dell’interesse del
ricorrente a contestare, non solo i
provvedimenti di annullamento dei progetti
da questo redatti, ma anche le iniziative
procedimentali che (come quelle di cui agli
atti impugnati) possano costituire
definitivo impedimento alla realizzazione
dell’opera da lui progettata.
---------------
Va, infine,
svolta un’ultima considerazione
sull’affermazione del Comune secondo cui il
progettista non ha, comunque, titolo per
richiedere l’esecuzione del progetto,
potendo a questi solo riconoscersi un
limitato diritto a non veder stravolto il
proprio lavoro, con il conseguente diritto
dell’Amministrazione di eseguire l’opera
secondo modalità differenti rispetto a
quelle definite in precedenza, ovvero di non
eseguirla affatto.
Il Collegio condivide pienamente tale
assunto.
L’Amministrazione può chiaramente decidere
di non dare esecuzione al progetto del
ricorrente, così come può decidere di dar
corso a una nuova progettazione che sia
incompatibile con il primo progetto, ma deve
far ciò nel rispetto delle regole che
presidiano la sua attività e nel rispetto
dei giudicati nel frattempo intervenuti.
In conseguenza, al Comune non è impedito
annullare le delibere con cui sono stati
approvati i progetti del ricorrente, purché
ciò avvenga in modo legittimo e con la
partecipazione dell’interessato, così come
non gli è impedito affidare ad altri la
progettazione dell’intervento da realizzare
nell’area, ma a condizione che sia
previamente e legittimamente rimossa la
procedura, tutt’oggi sospesa, che riguarda
il progetto redatto dal ricorrente
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 10.12.2009 n. 1432 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Nei
bandi di gara per l’affidamento di incarichi di
progettazione è necessario indicare la classe e la categoria
o le classi e le categorie dell'intervento, in quanto ciò è
funzionale anche per la dimostrazione dei requisiti minimi
di partecipazione o della indicazione dei requisiti da
impiegare, nel caso che la procedura di gara sia la
licitazione privata, per la selezione dei concorrenti cui
inviare la lettera di invito a presentare offerta.
I lavori cui si riferiscono detti requisiti devono, infatti,
appartenere alla classe e alla categoria (o alle classi e
alle categorie) dell'intervento cui si riferisce il bando.
In questi casi vanno considerati gli interventi appartenenti
non solo alla classe e alla categoria (o alle classi e alle
categorie) dell'intervento cui si riferisce il bando, ma
anche alla classe ed alle categorie la cui collocazione
nell'ordine alfabetico sia pari o più elevata a quella
stabilita nel bando, in quanto questi interventi sono della
stessa natura ma tecnicamente più complessi (cfr.
determinazione 30/2002)
(parere
03.12.2009 n. 150 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: La
definizione di particolari condizioni di esecuzione
correlabili a requisiti di professionalità e di
imprenditorialità dei concorrenti rientra nell’area della
discrezionalità della stazione appaltante, il cui esercizio
deve conformarsi a principi di proporzionalità e
ragionevolezza.
In una gara per l’affidamento del contratto di progettazione
esecutiva e realizzazione di una seggiovia, è stato ritenuto
congruo il termine di cinque giorni dall’aggiudicazione
provvisoria per la consegna dei progetti, stante l’utilizzo
nell’opera di componenti altamente standardizzati, per i
quali l’attività di progettazione è minima.
Le capacità imprenditoriali di ciascun concorrente nel saper
affrontare, anche in relazione ai tempi di consegna,
l’incarico ottenuto svolgono, in tali casi, un ruolo
determinante per l’esito di gara
(parere
03.12.2009 n. 143 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Incarichi senza controlli. Corte conti:
le norme del dl n. 78/2009 si applicano solo alle
amministrazioni statali. Illegittima la verifica sulle
consulenze degli enti.
Le disposizioni in materia di controllo preventivo di
legittimità da parte della Corte dei conti, introdotte
dall'articolo 17, comma 30, del dl n. 78/2009, non si
applicano agli atti e ai provvedimenti di incarichi e
consulenze emanati dagli enti locali territoriali o dalle
loro articolazioni. Se, infatti, l'intento del legislatore
fosse stato quello di sottoporre a controlli singoli atti di
regioni o enti locali, avrebbe chiaramente introdotto delle
disposizioni legislative in contrasto con i principi sanciti
dalla Costituzione, la quale pone gli enti locali e
territoriali su un piano di equiordinazione con lo Stato e,
dunque, non più assoggettabili a controlli centralizzati.
Lo ha chiarito la Corte dei Conti, Sezione centrale di
controllo sulla legittimità degli atti delle amministrazioni
dello Stato, nel testo della
deliberazione 23.11.2009 n. 20/2009, con la
quale, per la prima volta dalla sua entrata in vigore, ha
chiarito l'ambito soggettivo e la portata delle disposizioni
contenute all'articolo 17, commi 30 e 30-bis, della manovra
d'estate.
I giudici della Corte hanno confermato la tesi anticipata
sulle colonne di ItaliaOggi il 16/10/2009.
Come si ricorderà, la norma richiamata ha inteso allargare
il controllo preventivo di legittimità della Corte, ex
articolo 3, comma 1, della legge n. 20/1994, anche agli atti
e contratti di conferimento incarichi ad esperti e
specialisti, nonché gli incarichi di studi e consulenza, ma
nulla dice in merito ai soggetti (pubblici) cui la norma è
indirizzata.
Preliminarmente all'esame dell'atto pervenutole (un
contratto di consulenza siglato da un'azienda sanitaria
locale), la Corte ha deciso sgomberare il campo con delle
osservazioni di fondamentale importanza in merito all'ambito
soggettivo del controllo previsto dal dl n. 78/2009. In
poche parole, a chi si indirizza tale controllo preventivo
di legittimità? Alle sole amministrazioni statali o
all'ampia dizione di pubblica amministrazione ex articolo 1,
comma 2, del dlgs n. 165/2001?
I magistrati della Corte hanno svolto pertanto un'ottima
analisi sulla genesi del provvedimento normativo.
L'intenzione del legislatore (d'urgenza) non era certo
quella di comprendere gli enti locali territoriali nel
novero dei soggetti cui si riferisce la norma. Ciò risulta
indirettamente dalla circostanza che l'emanazione della
norma «non è stata preceduta né accompagnata da
consultazioni con le regioni» che, come noto (Corte Cost. n.
417/2005), sono soggetti legittimati ad intervenire a tutela
delle autonomie locali. È vero che nella funzione
legislativa non sussiste alcun obbligo di consultazione, ma,
nel caso di specie, la Corte afferma che «sembra più
plausibile che il legislatore statale non abbia neppure
avvertito l'esigenza di una consultazione, proprio perché
non aveva alcuna intenzione di intervenire su competenze
proprie delle autonomie locali». D'altra parte, ha
proseguito il collegio della magistratura contabile, sarebbe
stato «difficilmente concepibile» che il legislatore
ignorasse che i controlli preventivi di legittimità su atti
di regioni ed enti locali oggi sfuggono al controllo
centralizzato. Per questo, la Corte ha ritenuto che una
competenza statale in materia di controlli preventivi di
legittimità sugli enti locali sarebbe incompatibile con la
Costituzione, anche se venisse invocata la potestà
legislativa in materia di coordinamento di finanza pubblica.
In tale ultimo caso, la Corte ha osservato che se si volesse
sottoporre a controlli interdittivi singoli atti di regioni
o enti locali, anziché limitarsi ad indicare l'esigenza di
una verifica più rigorosa sul versante delle spese per
consulenze ed incarichi, ciò esorbiterebbe dalla competenza
dello Stato, il quale ha titolo solamente a porre i principi
fondamentali, lasciando all'autonomia di regioni ed enti
locali, «la concreta previsione degli strumenti e dei
procedimenti di verifica» (articolo ItaliaOggi del
28.11.2009, pag. 27). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Concorso di idee - Proposte a pari
merito - Applicazione criterio del sorteggio - Non previsto
nella lex specialis - Legittimità - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Ai fini della definizione della questione oggetto della
controversia in esame, si osserva preliminarmente che
sebbene, come rilevato dal Comune di Avellino nella nota del
28.07.2008, l’Architetto Pasquale Petruzzo fosse stato
classificato nella graduatoria finale al quattordicesimo
posto (in un concorso dove era prevista l’assegnazione di
soli tre premi ed in presenza di cinque raggruppamenti
risultati a pari merito con i due punteggio più alti),
l’istanza è da ritenersi ammissibile, censurandosi in essa
il mancato rispetto da parte della stazione appaltante di
due clausole del bando di indubbio rilievo la cui violazione
-in astratto- potrebbe inficiare la legittimità di tutta la
procedura.
Quanto alla prima, e cioè all’art. 14, comma 2, essa -dopo
avere indicato l’entità dei tre premi messi a concorso-
precisa che «non saranno ammessi ex aequo».
Il tenore letterale della citata disposizione esclude la
sostenibilità della contestazione sollevata dall’Architetto
Pasquale Petruzzo che testualmente, nell’istanza, afferma: «ex
aequo non previsti invece nella graduatoria ci sono ex aequo».
Appare infatti evidente che la clausola del bando non possa
essere interpretata nel senso di escludere in astratto che
diversi progetti potessero ottenere il medesimo punteggio:
una simile statuizione sarebbe stata evidentemente
illegittima, condizionando a priori la valutazione della
Commissione nell’attribuzione dei punteggi ai singoli
candidati. Piuttosto, detta clausola era diretta ad
escludere -nell’ipotesi, possibile e consentita, di
assegnazione del medesimo punteggio a più concorrenti- che i
tre premi a concorso, rispettivamente dell’importo di €
30.000,00, € 10.000,00 e € 5.000,00, potessero essere
attribuiti a più di tre concorrenti. In altri termini, la
disposizione richiede che la Commissione “superi”
l’impasse dell’ex aequo non conferendo il premio a
tutti i “pari merito” ma risolvendo la situazione con
modalità previste dalla legge.
Ciò di fatto è avvenuto quando la Commissione, previa
comunicazione ai cinque raggruppamenti risultati (tre e due)
con il medesimo punteggio, ha proceduto nel contraddittorio
al sorteggio onde potere procedere all’assegnazione dei
premi, altrimenti non possibile in quanto esclusa dal bando
in presenza di ex aequo. Al riguardo si evidenzia che il
prescelto strumento del sorteggio è previsto dall’art. 77,
comma 2 del R.D. 827/1924, il quale stabilisce che: «Ove
nessuno di coloro che fecero offerte uguali sia presente, o
i presenti non vogliano migliorare l'offerta, ovvero nel
caso in cui le offerte debbano essere contenute entro il
limite di cui al secondo comma dell'art. 75 e all'ultimo
comma dell'art. 76, la sorte decide chi debba essere
l'aggiudicatario».
Seppure è indubbio che sarebbe stato conforme ad un
principio di maggiore trasparenza, completezza e chiarezza
nella redazione del bando prevedere nel medesimo art. 14
(dopo l’esclusione degli ex aequo, nel senso che non
si sarebbe proceduto ad attribuire più premi ai
raggruppamenti eventualmente aventi lo stesso punteggio) che
nell’ipotesi di “pari merito” la Commissione avrebbe
proceduto a scegliere il vincitore con il metodo del
sorteggio, non può dirsi che il ricorrere a tale metodo -in
una situazione di parità in concreto impeditiva
dell’attribuzione dei premi- sia stato illegittimo.
Ed infatti il sorteggio –secondo una costante giurisprudenza
riferita invero, in prima battuta, all’”esperimento di
miglioria”– costituisce una risorsa di carattere
generale cui le stazioni appaltanti possono fare riferimento
in caso di offerte aventi la medesima valutazione numerica
(TAR Sicilia Palermo sez. III 19/01/2007 n. 165; CGA Regione
Siciliana Sezione giurisdizionale 27/12/2006 n. 808; CGA
Regione Siciliana, Sez. giurisdizionale - sentenza
21.09.2006 n. 537).
I giudici amministrativi hanno avuto modo di evidenziare che
il ripetuto art. 77 -contenuto nel regolamento di
contabilità generale dello Stato- trova applicazione
generalizzata indipendentemente dal suo richiamo nei bandi
di gara; esso invero non è stato abrogato né implicitamente
né esplicitamente dalla successiva normativa in materia di
appalti, con la conseguenza che deve trovare applicazione in
tutte le procedure di gara (così: TAR Sicilia Palermo, II,
17.05.2001, n. 739). Applicando tali insegnamenti pretori al
caso di specie, ove l’esperimento di miglioria, trattandosi
di concorso di idee, non era realizzabile (è noto infatti
che esso debba riguardare solo il prezzo fermo ogni altro
elemento: così v. CGA, Sez. Giurisdizionale - sentenza
27.12.2006 n. 808), non rimaneva alla stazione appaltante
che ricorrere, come è avvenuto, previa convocazione dei
raggruppamenti interessati, al sorteggio.
In ordine alla seconda censura, secondo cui il Comune di
Avellino non avrebbe rispettato il termine di dieci giorni
previsto dall’art. 14 del bando necessariamente
intercorrente tra il termine dei lavori della Commissione e
la comunicazione dell’esito del concorso mediante
pubblicazione della graduatoria, si osserva che l’Architetto
Pasquale Petruzzo giunge a questa conclusione individuando
il momento finale dei lavori della Commissione nel
28.11.2007 e la data di pubblicazione del risultato finale
del concorso nel 17.04.2008.
Invero, dall’esame della documentazione trasmessa dal Comune
di Avellino e dall’attenta analisi delle scansioni
procedimentali caratterizzanti la vicenda in esame, deve
ritenersi che le predette date non corrispondano ai due “eventi”
significativi di cui al citato art. 14 (termine dei lavori
della Commissione; pubblicazione del risultato finale del
concorso). Ed infatti, con il 28.11.2007 si è conclusa
l’attività di concreta valutazione delle offerte dei diversi
raggruppamenti; il 14.04.2007 la Stazione Appaltante, per
garantire una migliore trasparenza delle operazioni, ha
pubblicato la determinazione dirigenziale dell’08.04.2007 in
cui si dava atto dei punteggi attribuiti ai diversi
raggruppamenti, ove però -com’è ormai noto- erano
individuabili due ex aequo (nel senso che a tre
raggruppamenti era stato attribuito il medesimo punteggio, e
così pure ad altri due).
In siffatto contesto non può correttamente affermarsi che i
lavori della Commissione erano terminati il 28.11.2007, né
che la pubblicazione del 14.04.2007 fosse quella della
graduatoria finale di merito. Ciò in quanto -proprio per la
clausola impeditiva contenuta nell’art. 14, comma 2, del
bando- non si poteva procedere alla distribuzione dei premi
in presenza di ex aequo; dunque i lavori della Commissione
non potevano dirsi terminati, dovendo essa individuare una
modalità legittima per superare il problema della parità dei
punteggi. Tant’è che la Commissione medesima veniva
nuovamente convocata, stabiliva di procedere in base
all’art. 77 del R.D. 827/1924 al sorteggio tra i
raggruppamenti risultati a pari merito, convocava a tal fine
i cinque raggruppamenti interessati e -in data 08.07.2007-
procedeva di fatto al sorteggio, così individuando i tre
vincitori del concorso di idee. La pubblicazione della
graduatoria definitiva, contenente anche i nominativi dei
tre raggruppamenti risultati vincitori dei premi messi a
concorso, era pubblicata in data 18.07.2007, nel rispetto,
quindi, del termine di dieci giorni previsto dall’ultimo
comma dell’art. 14 del bando.
In sintesi, la determina dirigenziale dell’08.04.2008 non
può essere qualificata come atto conclusivo del procedimento
equivalendo questo al provvedimento con cui vengono
attribuiti i premi: dato evincibile dalla lettura
sistematica del bando, dove il comma in questione è
all’interno di una disposizione volta a disciplinare il tema
dei “premi”. Risulta in tale contesto evidente la
volontà della stazione appaltante di individuare la
conclusione dei lavori della Commissione con la formazione
di una graduatoria utile alla effettiva attribuzione dei
premi.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che
l’operato del Comune di Avellino è conforme alla lex
specialis e alla normativa di settore
(parere
19.11.2009 n. 133 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE:
Appalti, niente affidamenti diretti tra
la Asl e l'Università. L'Oice ha presentato ricorso alla Ue
alla Corte dei Conti e all'Authority di vigilanza. Gli
atenei non possono partecipare alle gare di progettazione:
il caso dell'ospedale di Lecce.
Devono essere dichiarati illegittimi gli affidamenti di
progettazione disposti in via diretta a favore di una
Università da parte di una Asl; le Università non possono
progettare né partecipare a gare, ma devono limitarsi a
svolgere le loro attività istituzionali di ricerca
scientifica e di insegnamento.
E' quanto ha chiesto l'Oice, l'Associazione delle società di
ingegneria e architettura, con un ricorso presentato al Tar
Puglia di Lecce, unitamente a tre società associate, con il
patrocinio di Angelo Clarizia.
Il ricorso, che fa seguito ad un esposto presentato dalla
stessa Associazione alla Commissione europea, alla Corte dei
Conti e all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici,
sarà esaminato giovedì 19 in sede cautelare e ha ad oggetto
la legittimità di due affidamenti disposti dalla ASL Lecce
il 7 ottobre scorso a favore dell'Università del Salento.
Il primo affidamento, beneficiaria l'Università del Salento
di Lecce per una progettazione definitiva di una struttura
ospedaliera, prevede 676.000 euro di onorari, ai quali la
stazione appaltante prevede di aggiungere un incremento del
13% per «attività conto terzi», oltre alla
possibilità di un successivo affidamento della progettazione
esecutiva e della direzione dei lavori.
Il secondo affidamento riguarda un contratto di consulenza
per l'effettuazione di verifiche sismiche pari a 200.000
euro, disposto dalla stessa Asl di Lecce a favore del
Dipartimento di ingegneria dell'innovazione sempre
dell'Università del Salento.
L'Oice, così come gli ordini provinciali degli ingegneri e
degli architetti che hanno a loro volta presentato autonomi
ricorsi contro gli stessi affidamenti, censura l'affidamento
diretto di attività che dovevano invece essere messe sul
mercato con una regolare gara, peraltro anche di rilievo
comunitario. «Si tratta», ha detto il presidente
dell'Oice, Oddi Baglioni, «di affidamenti avvenuti, a
nostro avviso, in evidente violazione di legge e in
contrasto con quanto l'Autorità ha autorevolmente affermato
negli ultimi anni, con riferimento alla tematica del ruolo
delle Università in questo settore».
Ma l'obiettivo del ricorso, oltre a vedere dichiarata
l'illegittimità degli affidamenti, è anche quello di
ottenere una pronuncia che esamini a fondo il ruolo delle
Università in questo settore: «L'affidamento de quo»,
si legge nel ricorso, «è senz'altro illegittimo perché le
funzioni ed i compiti istituzionali dell'Università
consistono esclusivamente nella promozione della ricerca
scientifica e nell'offerta didattica; l''attività di
progettazione esula in toto dai fini istituzionali
dell'Ateneo in quanto attiene ad un'attività economica -ai
sensi della normativa comunitaria- di natura tecnica che non
riguarda la ricerca scientifica e l'insegnamento».
In passato l'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici
(delibera 119/2007) aveva stabilito che le università non
potessero svolgere attività di progettazione, né partecipare
a gare per tali affidamenti; soltanto società di ingegneria
cosiddette di spin off, costituite dalle Università,
ma autonome e operanti sul mercato, potrebbero partecipare
alle gare» (articolo ItaliaOggi del 18.11.2009, pag. 43). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Sulla possibilità per un raggruppamento
di professionisti di aggiudicarsi una gara pubblica
avvalendosi delle competenze di altre imprese.
Un operatore economico può provare il possesso dei requisiti
necessari per la partecipazione ad una gara di appalto
avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere
dalla natura giuridica, dai rapporti o dai vincoli che
intercorrono tra il prestatore e i soggetti dai quali trae
le competenze.
Nel caso di specie, pertanto, un raggruppamento di
professionisti partecipante ad una gara per l'affidamento
dei servizi di progettazione per il recupero, la
riqualificazione ed il restauro di un edificio può
legittimamente utilizzare l'istituto dell'avvalimento per le
attività residuali esplicitamente individuate dal bando di
gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.11.2009 n. 7054 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it).
------------------
Appalti, più spazi ai professionisti. Il
Consiglio di stato ha fornito un'interpretazione estensiva
dell'istituto dell'avvalimento. La società di architetti può
utilizzare anche imprese terze.
Via libera alle associazioni professionali negli appalti
pubblici. Infatti possono aggiudicarsi una gara avvalendosi
di altre aziende con competenze specifiche.
A questa conclusione è giunto il Consiglio di Stato che, con
la decisione n. 7054 del 12.11.2009, ha fornito
un'interpretazione estensiva dell'istituto dell'avvalimento
dando ragione a una associazione professionale di architetti
che aveva vinto un appalto per il restauro di una villa
comunale.
Il Collegio di Piazza Spada ha confermato la decisione
depositata dal Tar Lombardia secondo cui le i raggruppamenti
temporanei di professionisti sono sullo stesso piano dei
raggruppamenti di imprese. Fra l'altro, sulla decisione ha
pesato una sentenza della Corte di giustizia del '99 –si
legge nelle motivazioni– che ha avuto lo scopo di ampliare
la dinamica concorrenziale svolta dai raggruppamenti
temporanei di imprese e di professionisti.
In proposito, si legge nella decisione del Consiglio di
stato, «il primo giudice ritenne infondato nel merito il
ricorso osservando che, in omaggio allo scopo di ampliamento
della dinamica concorrenziale e della obiettiva funzione
antimonopolistica svolta dai raggruppamenti temporanei di
imprese e di professionisti (agli stessi equiparati nella
disciplina comunitaria), sin dal 1999 (cfr. la sentenza del
02.12.1999 nella causa C-176/98) la Corte di Giustizia ha
chiarito la interpretazione sostanzialista della direttiva
92/50, nel senso, cioè, di consentire ad un prestatore, per
comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e
tecnici di partecipazione ad una gara di appalto pubblico di
servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti,
qualunque sia la natura giuridica dei vincoli con gli
stessi, a condizione che sia in grado di provare di disporre
effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari
all'esecuzione dell'appalto». In sostanza, spiegano i
giudici, le direttive appalti pubblici non permettono di
restringere la possibilità di partecipare alle gare «ad
alcune categorie di operatori escludendone altre».
La Commissione Ue, secondo palazzo Spada, considera dunque
che «l'art. 34, par. 1 del codice, anche in combinato
disposto con l'art. 206, par. 1, nonché gli artt. 90 e 101,
anche in combinato con l'art. 237 sono contrari alle
direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, nella misura in cui essi
escludono la possibilità di partecipazione alle gare di
appalti e ai concorsi di progettazione soggetti a dette
direttive, per gli operatori che hanno una forma giuridica
diversa da quelle contemplate dai citati articoli»
(articolo ItaliaOggi del 17.11.2009, pag. 21). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Affidamento incarichi di progettazione.
Servizi di progettazione - Lex specialis - Clausola che
privilegia i professionisti che hanno progettato interventi
affini in un determinato ambito territoriale -
Illegittimità.
Ritenuto in diritto:
La questione sottoposta all’attenzione dell’Autorità attiene
alla legittimità di un bando di gara nella parte in cui
attribuisce ad un requisito professionale la natura di
titolo preferenziale, che consente di conferire al
concorrente che lo possiede un punteggio maggiore ai fini
dell’aggiudicazione del contratto.
Ferma restando infatti la considerazione che nella
determinazione dei requisiti di partecipazione ciascuna
Stazione Appaltante detiene un’ampia discrezionalità, che
consente anche di prescrivere requisiti diversi e più severi
rispetto a quelli normativamente fissati, in quanto volti a
perseguire uno specifico interesse pubblico, occorre
accertare se la previsione di un requisito ulteriore che di
per sé non impedisce la partecipazione a chi non lo detiene
costituisca di fatto, attraverso il riconoscimento di una
natura preferenziale, cui corrisponde una maggiorazione del
punteggio di valutazione dell’offerta, una limitazione alla
concorrenza e una discriminazione ingiustificata rispetto ai
concorrenti che non sono in possesso di quel requisito.
Nel caso di specie, considerato che la gara è stata indetta
con il criterio dell’“offerta economicamente più
vantaggiosa”, ai sensi dell’articolo 64, comma 2, del
DPR n. 554 /1999 e che tale disposizione, al “punto a)”,
consente di prendere in considerazione la “professionalità”
del partecipante sulla scorta di “documentazione grafica,
fotografica e descrittiva, la Stazione Appaltante era
legittimata a valutare adeguatamente la professionalità dei
partecipanti alla gara, anche considerando le esperienze
professionali svolte in precedenza.
Tuttavia, occorre accertare entro quali limiti tale
specifica facoltà della Stazione Appaltante sia
effettivamente realizzabile e come essa possa coordinarsi
con i principi comunitari, in materia di concorrenza e di
parità di trattamento, stante il fatto che la previsione di
criteri valutativi che ricolleghino un titolo preferenziale
ad esperienze pregresse connesse allo specifico ambito
territoriale interessato dall’intervento oggetto
dell’appalto, può tradursi in una lesione della concorrenza,
realizzando, in modo surrettizio, le condizioni per
assicurare una “preferenza diretta o indiretta” alle imprese
locali.
Sul punto, l’Autorità ha già avuto modo di sostenere che “i
criteri di valutazione dell’offerta, così come i requisiti
di partecipazione alla gara, che privilegiano direttamente o
indirettamente le imprese locali, si pongono in violazione
dei principi comunitari in tema di concorrenza e parità di
trattamento, nonché di libera circolazione, salvo il limite
della logicità e della ragionevolezza, ossia della loro
pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito”
(parere n. 251 del 10.12.2008).
Il problema fondamentale consiste, invero, nel discriminare
i casi in cui la clausola che stabilisce il criterio
preferenziale costituisca espressione della facoltà
–legittima– di valutare la professionalità specifica, da
quelli in cui si traduca nella decisione –illegittima– di
restringere la concorrenza a favore di determinate imprese.
Nel caso di specie, considerato che il punteggio attribuito
al requisito preferenziale è pari a 10 sui 40 riferiti alla
professionalità e tenuto conto che il requisito in questione
si riferisce non a qualsiasi intervento sul comprensorio di
un torrente, ma esclusivamente a quelli relativi al
comprensorio del torrente Melfia, deve ritenersi che la
combinazione di tali circostanze costituisca una condizione
suscettibile di ledere la concorrenza (cfr. parere n.
251/2008).
Peraltro, il requisito in questione non solo integra una
ingiustificata violazione del principio di concorrenza e del
principio di parità di trattamento, ma non sembra nemmeno
trovare una specifica motivazione nella tutela di un
particolare interesse pubblico perseguito dalla Stazione
Appaltante che consenta di giustificare quel particolare
riconoscimento preferenziale conferito al requisito.
Infatti la il Comune di Melfi ricollega il titolo
preferenziale ad una mera circostanza di fatto, la quale,
mentre si traduce in un vantaggio per il concorrente che si
trovi in tale condizione, non lascia trasparire il vantaggio
che la stazione appaltante ricaverebbe dal riconoscimento di
tale situazione.
In realtà, la “conoscenza” dell’ambito territoriale,
derivante dall’avere già svolto precedenti interventi,
comporta già in sede di progettazione un “vantaggio”
per il concorrente. Tale “conoscenza”, infatti, può
tradursi nella migliore e più adeguata attività di
progettazione, la quale forma già oggetto di specifica
valutazione (punto 11.2 - b.1), con valutazione “fattore
ponderale 20”. E’ questa la sede di valutazione in cui
la stazione appaltante può riconoscere il valore della “conoscenza”
del territorio: quella in cui si accerta il miglior livello
qualitativo del progetto presentato.
Al contrario, la previsione di un ulteriore “fattore
ponderale 10” per il fatto di “aver progettato
interventi affini nell’ambito del comprensorio idraulico del
torrente Melfia”, costituisce un indubbio vantaggio solo
per i concorrenti che possono vantare tale esperienza.
Ne consegue che la clausola inserita nella lex specialis,
nel prevedere che “costituisce ulteriore titolo
preferenziale l’aver progettato intereventi affini
nell’ambito del comprensorio idraulico del torrente Melfia”,non
è conforme ai principi di concorrenza e di parità di
trattamento che informano la materia dei contratti pubblici.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la
clausola in questione della lex specialis non è
conforme ai principi in materia di contratti pubblici
(parere
22.10.2009 n. 116 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Calcolo coefficienti per la
determinazione dei punteggi.
Gara d'appalto - Servizi di progettazione - Calcolo dei
coefficienti che concorrono alla determinazione del
punteggio finale - Trasformazione valori millesimali in
valori centesimali - Conformità alla normativa di settore -
Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di
inammissibilità dell’istanza di parere, sollevata dalla
società interveniente DAM S.p.A. in sede di contraddittorio
documentale.
In particolare, viene contestata l’assenza di una
controversia tra le parti, secondo quanto stabilito
dall’art. 3 del “Regolamento sul procedimento per la
soluzione delle controversie” adottato da questa
Autorità.
Invero, tale eccezione appare infondata, tenuto conto che la
nozione di controversia che viene in rilievo nella presente
sede precontenziosa è evidentemente più ampia rispetto alla
nozione tradizionale di ordine giurisdizionale.
Ne consegue, pertanto, che non necessita -come diversamente
affermato dalla DAM S.p.A.- la condizione connessa ad una
situazione di litispendenza o di controversia emergente da
atti formali, essendo sufficiente, ai sensi della norma
primaria di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del D.Lgs. n.
163/2006, che via siano “questioni insorte durante lo
svolgimento delle procedure di gara”, mentre per
espressa previsione di questa Autorità (art. 3, punto 2 del
citato Regolamento) la pendenza di giudizio costituisce una
causa tipica di non ammissibilità dell’istanza rivolta ad
acquisire il parere.
Nel merito è sufficiente constatare che, nell’economia della
procedura diretta ad aggiudicare il servizio di
progettazione in argomento, la Commissione giudicatrice ha,
in un primo momento, calcolato i coefficienti di valutazione
ed il punteggio finale riportando i singoli valori in
termini numerici decimali che contenevano anche
l’indicazione dei millesimi. Mentre, successivamente, in
applicazione dell’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, ha
ritenuto di riportare gli stessi valori in termini numerici
decimali con la sola indicazione dei centesimi.
Per operare tale trasformazione la Commissione ha eliminato
la cifra dei millesimi ed arrotondato quella dei centesimi
all’unità inferiore o superiore, a seconda che la cifra dei
millesimi stessi fosse inferiore a cinque o pari o superiore
a cinque. La stessa Commissione di gara ha poi annullato
tale diversa graduatoria dei soggetti partecipanti senza
raggiungere alcun convincimento sul corretto metodo di
calcolo da seguire.
Si evidenzia, al riguardo, che la soluzione del problema
connesso al corretto calcolo dei coefficienti che concorrono
alla determinazione del punteggio finale da assegnare a
ciascun soggetto partecipante può senz’altro ricavarsi da
una attenta lettura della lettera della legge. Infatti,
secondo l’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, espressamente
richiamato a tale scopo dal disciplinare di gara (art. 6,
comma 5), sono coefficienti compresi tra 0 e 1, quelli
espressi in valori centesimali, attribuiti a ciascun
concorrente; dove il coefficiente è pari a zero in
corrispondenza della prestazione minima possibile; mentre il
coefficiente è pari ad uno in corrispondenza della
prestazione massima offerta. Tutte le altre posizione
possono trovare una graduazione che in linea teorica e
matematica sarebbe data da una serie infinita di numeri. Per
tale ovvia ragione il legislatore ha ritenuto che gli stessi
coefficienti e, quindi, il punteggio finale fosse dato dalla
sommatoria di valori al massimo centesimali, cioè con due
sole cifre dopo la virgola.
Tale interpretazione logico sistematica induce a ritenere
che l’operato della Commissione di gara, come definito nel
verbale n. 7 del 23.06.2008, fosse corretto e sicuramente
aderente alla lettera ed allo spirito della legge, che
impone un criterio logico e prudenziale di valutazione.
Peraltro, la circostanza che l’art. 6, comma 5, del
disciplinare di gara espressamente dispone che “Successivamente
la commissione giudicatrice, in una o più sedute riservate,
procede, sulla base della documentazione contenuta nella
busta “B – Offerta tecnica” ed ai sensi delle disposizioni
di cui all’allegato E al D.P.R. n. 554/1999, alla
valutazione del merito tecnico e delle caratteristiche
qualitative e metodologiche…” consente di affermare che
il criterio adottato dalla Commissione di gara nel citato
verbale n. 7, per espresso richiamo della stazione
appaltante nel proprio disciplinare di gara, è stato
legittimamente predeterminato, diversamente da quanto
asserito dalla DAM S.p.A. Né, allo stesso tempo, la
Commissione nel successivo verbale n. 8 del 25.11.2008 ha
individuato una ragione di per sé sufficiente per derogare
al summenzionato criterio di calcolo.
Giova, infine, rilevare che l’operazione di trasformazione
dei valori millesimali in valori centesimali è del tutto
obiettiva e corretta, atteso che essa si rifà ad un dato
equo e casuale che più volte è stato utilizzato nella prassi
dalla p.a..
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che
l’utilizzo del criterio di cui all’allegato E del D.P.R. n.
554/1999 da parte della Commissione di gara è corretto e che
il criterio medesimo andava doverosamente applicato per
espresso richiamo del disciplinare di gara
(parere
08.10.2009 n. 109 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE:
Affidamento servizi di progettazione di
importo inferiore a 100.000 euro.
Servizi di progettazione - Affidamento
servizi di importo inferiore a 100.000 euro - Disciplina ex
art. 91, c. 2, dlgs. 163/2006 - Criteri di selezione
professionista - Necessità di analitica e rigorosa
predeterminazione elementi e sub-elementi di valutazione -
Va esclusa - Ragioni.
Ritenuto in diritto:
Alla luce dei parametri di legittimità desumibili dalla
determinazione di questa Autorità n. 1 del 19.01.2006, ancor
oggi attuali, il procedimento di evidenza pubblica per
l’affidamento dell’incarico professionale in oggetto,
siccome esperito dal Comune di ITRI non presta il fianco a
censure.
Invero, sotto nessuno dei profili in quella determinazione
evidenziati le doglianze dell’istante possono essere
positivamente apprezzate.
Si tratta, nel caso all’esame, dell’affidamento di servizi
di ingegneria di importo stimato inferiore a 100.000 euro,
com’è agevole desumere dagli stessi riferimenti normativi
del Bando versato in atti: l’art. 91, co. 2, del D.Lgs. n.
163/2006 (d’ora in avanti denominato “Codice”) – secondo cui
“gli incarichi di progettazione, di coordinamento della
sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori,
di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di
collaudo…di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1
(100.000 euro n.d.r.) possono essere affidati dalle stazioni
appaltanti, a cura del responsabile del procedimento…nel
rispetto dei principi di non discriminazione, parità di
trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la
procedura prevista dall'articolo 57, comma 6; l'invito è
rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale
numero aspiranti idonei” –e, per l’appunto, l’art. 57, co. 6
del Codice– secondo cui “ove possibile, la stazione
appaltante individua gli operatori economici da consultare
sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di
qualificazione economico finanziaria e tecnico organizzativa
desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di
trasparenza, concorrenza…Gli operatori economici selezionati
vengono contemporaneamente invitati a presentare le offerte
oggetto della negoziazione, con lettera contenente gli
elementi essenziali della prestazione richiesta. La stazione
appaltante sceglie l'operatore economico che ha offerto le
condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo
più basso o dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
previa verifica del possesso dei requisiti di qualificazione
previsti per l'affidamento di contratti di uguale importo
mediante procedura aperta, ristretta, o negoziata previo
bando”.
E’ noto che il principio di concorrenza e quelli di radice
comunitaria (che ne rappresentano attuazione e corollario)
di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento,
che hanno trovato recepimento espresso nel diritto interno
(come, per l’appunto, nell’art. 91 co. 2, del Codice),
costituendo principi fondamentali anche per il nostro
ordinamento ex art.1, co. 1, della legge 241/1990, si
elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e
sono direttamente applicabili, a prescindere dalla
ricorrenza di specifiche norme comunitarie od interne ed in
modo prevalente rispetto ad eventuali disposizioni interne
di segno contrario (cfr. ex multis: TAR Emilia
Romagna, Bologna, sez. II, 21.05.2008, n. 1978).
Il precedente normativo in subiecta materia è
costituito dall’art. 17, comma 12, della legge 109/1994,
così come modificato dalla legge n. 65/2005 in ottemperanza
al pronunciamento della Commissione europea che ebbe a
censurare la mancata previsione di alcun onere minimo di
messa in concorrenza e l’assenza di alcuna forma di
pubblicità, atta a consentire un confronto concorrenziale
fra i soggetti potenzialmente interessati alla prestazione
del servizio.
In osservanza a detti rilievi, il legislatore nazionale ha
eliminato la possibilità dell’affidamento diretto su base
fiduciaria degli incarichi per importo inferiore a 100.000
euro, facendo espresso richiamo all’obbligo da parte delle
stazioni appaltanti del rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e
trasparenza.
Ciò si è tradotto, per quanto rileva in questa sede,
nell’instaurazione di una apposita procedura negoziata
(previa pubblicazione di apposito Bando -che nella
fattispecie è stata effettuata alla stregua di opzione
strumentale alla ricerca di qualificate manifestazioni di
interesse- nelle spedite forme dell’Albo pretorio e del sito
internet della stazione appaltante), con la quale si è
proceduto ad una verifica preliminare tesa alla selezione
-mediante l’applicazione dei criteri selettivi
discrezionalmente enunciati nel Bando- di cinque candidati
ammessi a presentare la successiva offerta economica, per
l’affidamento dell’incarico secondo il prescelto criterio
del prezzo più basso.
La preliminare richiesta del possesso dei requisiti suddetti
per la partecipazione alla procedura negoziata di che
trattasi è avvenuta nel pieno rispetto del principio di
proporzionalità, risultando strettamente connessa alla
tipologia ed all'importo dell'incarico di che trattasi,
inferiore alla soglia dei 100.000 euro, senza peraltro
comportare il pericolo di una indebita restrizione della
concorrenza. Nessuna necessità ulteriore –dato il criterio
automatico (prezzo più basso) di aggiudicazione prescelto
dalla S.A.– è dato rinvenire nella fattispecie per divisare
il fondamento di una distinta predeterminazione di criteri
di valutazione delle offerte rapportati alla tipologia e
all’importo dell’incarico, altrimenti ravvisabile nel caso
di un incarico di maggior importo e complessità.
Per questo è bastevole rappresentare che nell’avviso di
selezione in argomento sono stati indicati i requisiti
minimi di idoneità professionale richiesti dalla stazione
appaltante per assumere l’incarico in questione, in modo
tale da consentire agli aspiranti, in assoluta condizione di
parità, di dimostrare -tramite il curriculum- il possesso di
una esperienza adeguata rapportata alla tipologia e
all’importo dell’incarico. Essendo, inoltre, il criterio di
aggiudicazione prescelto quello del prezzo più basso, non
era necessario che la S.A. fissasse ulteriori distinti
criteri e sub-criteri di merito comparativo per la selezione
dei cinque professionisti da invitare successivamente a
formulare l’offerta economica, così come preteso
dall’istante sulla falsariga del distinto criterio di
aggiudicazione costituito dall’offerta economicamente più
vantaggiosa ex art. 83 del Codice. E’ solo in relazione a
quest’ultimo criterio, infatti, che va tenuto distinto il
merito tecnico dell’offerta da valutarsi nella fase di
affidamento, con riguardo alle caratteristiche qualitative
dei progetti presentati, che l’offerente ritenesse
rappresentativi della propria capacità progettuale, in
rapporto a quella degli altri concorrenti.
Del resto, diversamente da quanto preteso al riguardo
dall’istante, questa Autorità ha già avuto modo di statuire,
con le deliberazioni n. 43/2007 e n. 86/2007, che l’avviso
deve riportare i criteri di selezione dei curricula, senza
la necessità di un'espressa e puntuale predeterminazione dei
pesi ponderali assegnati a ciascun criterio.
Dalle considerazioni sopra riportate emerge, dunque, che la
normativa cui fa riferimento il Bando, imponeva alla
stazione appaltante l'esperimento di una previa procedura di
tipo comparativo per l’individuazione di cinque candidati da
ammettere alla successiva fase dell’offerta economica,
assistita da una adeguata pubblicità.
Al riguardo, come espresso da questa Autorità con le
determinazioni n. 18/2001 e n. 30/2002, per “adeguata
pubblicità” deve intendersi quella pubblicità che,
seppure semplificata, risulti funzionale allo scopo di
raggiungere la più ampia sfera di potenziali professionisti
interessati all’affidamento, in relazione all’entità ed
all’importanza dell’incarico: ciò che è avvenuto nella
fattispecie, tenuto conto dell’importo e della tipologia
dell’incarico.
Inoltre, per quanto attiene al procedimento di selezione dei
candidati, la stazione appaltante ha puntualmente indicato
nel Bando gli elementi sui quali si sarebbe basata. Si è
trattato, in tutta evidenza, di oggettivi criteri
curriculari di confronto comparativo, proporzionati
all’incarico da conferire ed alle caratteristiche proprie
della procedura negoziata prescelta.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene che la procedura posta in essere dal
Comune di ITRI per l’affidamento dell’incarico in oggetto è
conforme alla normativa di settore
(parere
08.10.2009 n. 95 - link a
www.autoritalavoripubblici.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
La consulenza che aggira professionalità
interne danneggia l’erario anche se è utile alla Pa.
Affidamento di incarichi consulenziali da parte della Pa -
Violazione dei limiti di cui all’articolo 7 del Dlgs.
165/2001 e all’articolo 110, comma 6, Dlgs. 267/2000 -
Inesistenza del presupposto della mancanza di
professionalità interne alla Pa - Responsabilità erariale -
Sussiste.
Responsabilità erariale connessa a una consulenza affidata
in violazione dei limiti di legge - Consulenza
effettivamente espletata e dotata di utilità per la Pa -
Integrazione del danno erariale - Non è da escludere - Un
professionista interno alla Pa non avrebbe percepito
compensi aggiuntivi.
La Corte dei Conti, torna a intervenire in tema di
responsabilità erariale conseguente all’affidamento di
incarichi di consulenza in assenza dei presupposti previsti
dalla normativa.
Il caso esaminato riguarda l’affidamento da parte di un
dirigente di un ufficio speciale del Comune di Roma di due
incarichi di consulenza per la prestazione di pareri in
ambito normativo affidati, per supposta carenza di
professionalità interne al Comune, a un professore
universitario. La Corte dei Conti ribadisce due importanti
capisaldi della sua giurisprudenza in proposito:
- gli incarichi di consulenza devono essere prestati nel
rispetto dei presupposti di cui al Tu del Pubblico impiego e
del Tuel - tra cui spicca la necessità che non sussistano
adeguate professionalità interne alla Pa;
- il danno erariale sussiste anche ove la consulenza sia
prestata con utilità per la Pa; anche in tal caso, infatti,
si verifica un esborso di denaro pubblico che può essere
evitato attraverso l’utilizzo di professionalità di
personale interno alla PA medesima (Guida agli Enti Locali
n. 10/2010 - Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio,
sentenza 06.10.2009 n. 1868 - link a
www.ascolod.it).
---------------
Necessario verificare le competenze disponibili
(Guida agli Enti Locali n. 10/2010 - link a www.ascolod.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Incarico professionale.
Si chiede un
parere circa la legittimità, o meno, dell’assunzione da
parte del tecnico estensore del P.R.G.C. di incarichi
professionali commissionati da privati, attinenti alla
presentazione di D.I.A., domande di permessi di costruire o
P.E.C., e se eventuali motivi ostativi possano essere
circoscritti al periodo di adozione e/o approvazione
definitiva del P.R.G. e delle eventuali varianti al medesimo
(Regione Piemonte,
parere n.
111/2009 -
tratto da
www.regione.piemonte.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Corte conti Calabria sulle spese per
patrocini e soccombenze. Comuni, in bilancio le parcelle
degli avvocati.
Su patrocini e soccombenze, l'ente locale deve attivare gli
scudi. Infatti, i comuni devono prevedere nel bilancio di
previsione appositi stanziamenti di spesa per la copertura
degli oneri derivanti da competenze da riconoscere ai liberi
professionisti per la rappresentanza o il patrocinio
dell'ente ovvero di spese scaturenti da risarcimento danni.
Ciò in quanto, in sede di formazione del bilancio di
previsione l'amministrazione deve presentare un quadro più
fedele possibile delle proprie condizioni finanziarie.
Lo ha messo nero su bianco la sezione regionale di controllo
della Corte dei Conti per la Calabria, nel testo della
deliberazione 30.09.2008 n. 241 con la quale ha
fornito opportune precisazioni e chiarimenti in ordine alla
corretta esposizione in bilancio delle poste riguardanti le
spese inerenti la rappresentanza legale e il patrocinio
dell'ente in sede giudiziale.
Il quesito posto dal comune di Laino Borgo (Cs) verteva
proprio sulla possibilità di iscrivere, in sede di bilancio
di previsione, appositi stanziamenti cui attingere per poter
far fronte alle parcelle dei legali o dei professionisti
chiamati al patrocinio legale o alla rappresentanza
dell'ente ovvero per sopperire a possibili oneri correlati a
procedimenti giudiziari pendenti.
La Corte calabra ha quindi precisato che innanzitutto è lo
stesso Tuel (all'articolo 151) che sancisce l'obbligo di
integrità e veridicità del bilancio di previsione. Questo
significa che tutte le spese, anche quelle di minima entità,
devono essere attendibili e rispecchiare le reali condizioni
finanziarie in cui l'amministrazione locale verrà a trovarsi
nell'esercizio.
Ne consegue che l'amministrazione deve presentare un quadro
delle condizioni finanziarie che sia il più attendibile
possibile. Pertanto, le spese che sono imputabili a titolo
di oneri legali ovvero di risarcimento danni, devono trovare
allocazione nello stato di previsione del bilancio annuale
e, per gli enti che sono tenuti a redigerlo, anche nel
bilancio pluriennale.
La Corte comunque fornisce anche una diversa possibilità.
Se, infatti, al momento della formazione del bilancio gli
oneri di cui si tratta non possono essere previsti nella
misura necessaria, perché, per esempio, mancano precisi
elementi indicativi, l'amministrazione può sopperire
utilizzando il fondo di riserva ex articolo 166 del Tuel. A
tal fine, si potrà pertanto dimensionare lo stanziamento del
predetto fondo, con le possibili somme derivanti dalle
competenze per i patrocini e per le soccombenze. Ovviamente,
secondo quanto prescrive lo stesso testo unico, entro il
limite massimo del 2% del totale delle spese correnti.
A rafforzare la necessità di dotarsi di uno stanziamento di
spesa che possa coprire le eventuali soccombenze, la Corte
rileva come non di rado può succedere che il tesoriere
dell'ente provveda direttamente al pagamento forzato di una
somma prima che l'ente emetta il mandato, come nel caso di
provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Quest'ultima si
sostituisce all'amministrazione, la quale deve provvedere «tempestivamente»
alla regolazione contabile. Regolazione che necessiterà di
una variazione di bilancio se l'amministrazione «non ha
oculatamente provveduto allo stanziamento in sede di
formazione del bilancio di previsione».
In conclusione, si legge nel testo del parere, è demandata
alle valutazioni dell'ente l'opportunità di effettuare un
accertamento preventivo in previsione di una possibile
soccombenza dell'ente. Ma, al contempo, si suggerisce di non
sovradimensionare lo stanziamento dell'importo, in quanto
così operando si riducono le risorse destinate al
perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente stesso
(articolo ItaliaOggi dell'01.11.2008, pag. 39). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Niente
pressing dei politici sugli incarichi.
Al responsabile di servizio potrà essere contestato
l'illegittimo affidamento di un incarico esterno anche in
presenza di una direttiva con la quale gli organi politici
sollecitino l'assegnazione della collaborazione.
La
sentenza 18.09.2008 n. 1831 della Corte dei
Conti, Sez. giurisdizionale Sardegna, è fondamentale, per
dirimere una questione interpretativa ed applicativa, della
delicata disciplina concernente gli incarichi esterni, ai
sensi dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001.
La pronuncia priva di fondamento le tesi secondo le quali la
competenza all'assegnazione degli incarichi di lavoro
autonomo possa considerarsi «ibrida», distribuita, cioè, in
modo discrezionale tra organi di governo ed organi
gestionali degli enti locali. Al contrario, non vi sono
dubbi che si tratti di attività esclusivamente gestionale:
gli incarichi sono dei contratti veri e propri, sicché la
competenza sia per l'individuazione del contraente, sia per
la stipulazione, sia per la verifica del corretto
adempimento, spetta alla dirigenza, ai sensi dell'articolo
107, comma 3, del dlgs 267/2000.
Nel caso di specie, la Corte dei conti ha accertato la
responsabilità del dirigente, che ha assegnato
illegittimamente un incarico di consulenza, sia per
l'inutilità della prestazione, sia per la carenza di un
curriculum di concreto spicco, in capo al destinatario.
A fini difensivi, gli interessati hanno eccepito di aver
proceduto con urgenza all'affidamento dell'incarico, per
rispondere alle esigenze manifestate dagli organi di
governo, tese a procedere con urgenza, allo scopo di non
perdere le risorse cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo.
Per la Corte dei conti, tuttavia, tale elemento difensivo è
privo di pregio. Infatti, non vale ad integrare o sostituire
i presupposti previsti dalla legge per l'assegnazione degli
incarichi.
Il collegio giudicante ha fatto proprie le osservazioni del
procuratore, il quale ha sottolineato la vigenza del
principio della separazione tra organi politici e gestione
amministrativa, alla quale indubbiamente l'incarico di
lavoro autonomo deve essere riferito.
La sentenza sottolinea che gli organi di governo debbono
limitarsi a manifestare indirizzi operativi, non potendo
imporre azioni gestionali concrete, né sostituirsi agli
organi amministrativi competenti. In ogni caso, anche in
presenza di indirizzi o sollecitazioni, finalizzati ad
orientare gli organi gestionali ad acquisire gli incarichi
esterni, resta fermo che la struttura amministrativa gode di
piena autonomia in ordine a necessità, tempi e modi delle
azioni conseguenti.
Insomma, resta nella piena responsabilità dei dirigenti o
responsabili di servizio verificare se ricorrano, o meno, le
condizioni ed i presupposti, previsti dall'articolo 7, comma
6, del dlgs 165/2001, per procedere legittimamente
all'assegnazione degli incarichi. In mancanza di tali
presupposti, qualsiasi indirizzo o sollecitazione non
costituisce causa legittimante di un'assegnazione di
incarichi, in assenza dei presupposti previsti dalla legge
(articolo ItaliaOggi del 28.10.2008, pag. 46). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Fac-simile di REGOLAMENTO PER L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI
INDIVIDUALI DI COLLABORAZIONE AUTONOMA (Art. 3,
commi 54, 55, 56 e 57, legge n. 244/2007, art. 48, comma 3,
D. Lgs n. 267/2000, artt. 46, 76 e 77 D.L. n. 112/2008,
convertito nella legge n. 133/2008, artt. 21 e 22 legge n.
69/2009) (link a www.anci.lombardia.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Ribasso consentito. Il Tar Piemonte
respinge il ricorso degli ingegneri di Piemonte e Valle
d'Aosta. Ok all'aggiudicazione dei lavori al 75% in meno.
Sì al massimo ribasso negli appalti
pubblici. Per il Tar Piemonte, infatti, è legittima
l'aggiudicazione al 75% di ribasso per la progettazione
della Cittadella Policlinico di Torino. Respinto quindi il
ricorso della Federazione interregionale ordini degli
ingegneri del Piemonte e della Valle d'Aosta e dall'ordine
degli ingegneri della Valle d'Aosta. Secondo il tribunale,
il giudice amministrativo non può sindacare nel merito la
relazione del responsabile unico del procedimento che stima
il tempo minimo e il costo di una prestazione di
progettazione e direzione dei lavori ai fini della verifica
di congruità delle offerte.
È quanto ha stabilito il TAR Piemonte, Sez. I,
ordinanza 22.10.2009 n. 830 la cui ordinanza sarà
con tutta probabilità impugnata in Consiglio di stato, in
attesa della discussione del merito.
Il ricorso presentato dalla Fiopa e dall'Ordine ingegneri
regione Valle D'Aosta aveva a oggetto l'aggiudicazione
definitiva dell'appalto di servizi di progettazione e
direzione dei lavori di un parcheggio pluripiano presso la
Cittadella Politecnica a Torino.
L'appalto, bandito un anno fa, è stato aggiudicato, con il
criterio del prezzo più basso, ad una offerta che prevedeva
un ribasso del 75,11% rispetto all'importo posto a base di
gara di quasi due milioni di euro. I giudici, nelle
motivazioni dell'ordinanza cautelare, hanno in primo luogo
negato la legittimazione attiva della federazione
interregionale ritenendola «priva della rappresentatività
dei professionisti iscritti ai relativi ordini professionali».
Per i giudici la Federazione si limita a coordinare
l'attività degli ordini aderenti «senza assolvere a
funzioni e compiti di diretta rappresentanza degli iscritti».
Nulla quaestio invece per la legittimazione
dell'Ordine di Aosta che può quindi «impugnare in sede
giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera
giuridica dell'ente come soggetto di diritto, ma anche degli
interessi di categoria dei soggetti appartenenti all'ordine
o collegio, di cui l'ente ha la rappresentanza
istituzionale».
Venendo al merito della richiesta di sospensiva il Tar non
ha riconosciuto la violazione della norma del codice che
disciplina la valutazione dell'anomalia delle offerte (art.
88, comma 3 del dlgs 163/2006) in quanto la norma «non
vieta che nella valutazione di anomalia la relativa
commissione possa assumere a riferimento parametri ed
elementi guida individuati nella relazione redatta dal Rup
(responsabile unico del procedimento) per lo scrutinio di
anomalia effettuato in occasione della precedente
aggiudicazione della stessa gara, poi ritirata in via di
autotutela». In sostanza la relazione del Rup, che aveva
valutato in 2880 ore il tempo minimo e in 146.880 euro il
costo minimo della prestazione contrattuale (a 51 euro/ora),
ancorché predisposta per un'altra offerta, ben poteva essere
utilizzata anche con riguardo alla seconda aggiudicazione.
L'ordinanza chiarisce anche che il giudice amministrativo
non può sindacare le valutazioni tecnicamente discrezionali
espresse da organi amministrativi preposti alla valutazione
dell'anomalia, ma deve limitarsi ad accertare eventuali
elementi di manifesta incongruenza, illogicità e
irragionevolezza che, nel caso di specie, non sono stati
individuati.
Il collegio non accoglie neanche la censura relativa
all'inidoneità del livello di inquadramento del progettista
di impianti meccanici ed elettrici indicato in offerta, dal
momento che ritiene si tratti di un livello che comprende
mansioni che comportino «particolari conoscenze
tecnico-professionali», coerenti quindi con la figura
proposta. Adesso la questione passa al Consiglio di Stato
(articolo ItaliaOggi del 10.11.2009, pag. 32). |
INCARICHI PROGETTUALI:
LA RESPONSABILITA' DEGLI INGEGNERI - PROFILI DEONTOLOGICI,
CIVILISTICI E PENALISTICI (17.09.2009 - tratto da
www.lavatellilatorraca.it). |
INCARICHI PROGETTAZIONE:
C. Buonauro,
I rischi della semplificazione nella nuova
normativa sugli appalti pubblici: la
procedura di affidamento degli incarichi di
progettazione di ultima soglia (luglio 2009)
(link a http://doc.sspal.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Revoche non frazionabili. Sugli
affidamenti congiunti di progettazione. Illegittimo il
dietrofront a metà dell'incarico
Illegittimo revocare un incarico di
progettazione preliminare, definitiva, esecutiva e di
direzione lavori affidato congiuntamente a seguito di gara
pubblica e pubblicare un nuovo bando, dopo l'avvenuto
svolgimento della progettazione preliminare.
Lo ha stabilito il TAR Abruzzo-L'Aquila, Sez. I, con la
sentenza 27.07.2009 n. 361 concernente un
affidamento di servizi di progettazione, di direzione lavori
e di coordinatore per la sicurezza sia in fase di
progettazione, sia in fase di esecuzione.
Il caso esaminato dai giudici vedeva un comune pubblicare un
avviso per l'affidamento congiunto delle predette fasi per
un importo pari a 200 mila euro; successivamente la gara
veniva aggiudicata ad un professionista che iniziava a
svolgere l'incarico, redigendo il progetto preliminare
necessario per acquisire i finanziamenti regionali che, dopo
l'approvazione del preliminare venivano concessi dalla
regione.
Qualche mese dopo il comune ha restituito all'affidatario
dell'incarico il progetto definitivo che nel frattempo egli
aveva predisposto in attuazione del contratto, osservando
che l'incarico era stato conferito per redigere il solo
progetto preliminare e precisando che l'amministrazione non
aveva «ritenuto doveroso affidare al ricorrente le
ulteriori fasi della progettazione definitiva ed esecutiva e
della direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza»
dell'opera.
Il comune aveva anche provveduto a pubblicare un nuovo
avviso pubblico per l'affidamento dei servizi di
progettazione definitiva ed esecutiva, direzione lavori e di
coordinatore per la sicurezza. Da qui l'immediato ricorso al
Tar da parte dell'affidatario dell'incarico congiunto (di
progettazione e direzione lavori) che eccepiva che l'avviso
avesse previsto la redazione non solo del progetto
preliminare, ma di tutte le fasi della progettazione, e che
con la prima determinazione del comune fosse stato conferito
l'incarico di redigere il solo progetto preliminare solo in
quanto tale progetto era necessario per richiedere il
finanziamento regionale dell'opera. Inoltre si faceva notare
che, essendo stato ottenuto il finanziamento proprio in
ragione della valutazione positiva del progetto preliminare,
l'amministrazione non avrebbe potuto affidare ad altri
soggetti la progettazione definitiva ed esecutiva, nonché
gli incarichi di direzione lavori e di coordinatore.
La sentenza accoglie il ricorso avendo riguardo alla natura
dell'affidamento che riguardava non solo l'intera
progettazione dell'opera pubblica (cioè la redazione dei
progetti preliminare, definitivo ed esecutivo), ma anche
l'incarico di direzione lavori e di coordinatore per la
sicurezza. I giudici affermano che la stazione appaltante,
dopo aver dichiarato il ricorrente vincitore della selezione
espletata ed avergli conferito l'incarico di redazione del
progetto preliminare, non poteva indire una nuova selezione
per scegliere il professionista cui affidare la
progettazione definitiva ed esecutiva, nonché gli incarichi
di direzione lavori e di coordinatore per la sicurezza, in
quanto il conferimento di tali ultimi due incarichi era di
certo ricompreso nel bando. Gli atti di gara prevedevano
infatti che gli incarichi aventi ad oggetto le altre fasi
potevano essere per l'appunto conferiti al progettista
dell'opera.
La sentenza esclude inoltre che si potesse sostenere che la
procedura iniziata con l'avviso si era definitivamente
conclusa con il conferimento dell'incarico di progettazione
preliminare dei lavori in questione, in quanto all'epoca del
conferimento di tale incarico non avrebbero potuto
conferirsi anche gli altri incarichi sopra indicati, in
ragione della carenza della copertura finanziaria.
Per i giudici è evidente che il primo incarico fosse
connesso all'esigenza di avere il finanziamento e che esso
non avesse concluso la procedura di scelta del contraente
indetta con l'avviso iniziale, dal momento che tale bando
riguardava anche fasi diverse dalla redazione del progetto.
Non vi erano quindi in alcun modo gli spazi di legittimità e
di fondata motivazione per revocare l'incarico e pubblicare
un nuovo bando di gara (articolo ItaliaOggi del 02.09.2009,
pag. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
M. Lavatelli,
Progetti e tutela dell'autore (link a
www.lavatellilatorraca.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Incarichi esterni: alla procedura
comparativa non si applicano le norme sui concorsi.
Alle procedure comparative per
la scelta dell'esperto, figura professionale che rimane
esterna all'ente, previste dall'art. 7, comma 6-bis, del
D.Lgs. 165/2001, non sono applicabili i principi e le norme
in materia di pubblici concorsi per l'ammissione agli
impieghi
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.07.2009 n. 2187 - link a
www.altalex.com). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Bergamo:
se, dopo l'entrata in vigore della legge 266/2005
che limita l'invio alla Corte degli atti di spesa di importo
superiore a 5.000 euro, sia ancora obbligatorio acquisire
sugli incarichi in questione la preventiva valutazione
dell'organo di revisione ovvero se tale valutazione non sia
resa più necessaria
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
14.05.2009 n. 213
- link a www.corteconti.it). |
URBANISTICA:
Per affidare il P.R.G. serve l'appalto. Gli incarichi vanno
conferiti con procedure ad evidenza pubblica
(link a
http://rassegnastampa.formez.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Concorso
di idee - Commissione giudicatrice - Composizione -
Competenza - Sostituzione di ingegnere con altra figura -
Non conformità alla disciplina ex art. 84 dlgs. 163/2006 -
Fattispecie.
Ritenuto in diritto:
Per la soluzione della questione oggetto della controversia
occorre, preliminarmente, rilevare che, in ordine alla
nomina della Commissione giudicatrice, l’art. 84 del D.Lgs.
n. 163/2006, al comma 2, dispone che “La commissione,
nominata dall’organo della stazione appaltante competente ad
effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto,
è composta da un numero dispari di componenti, in numero
massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si
riferisce l’oggetto del contratto.”.
Nella fattispecie in esame, trattandosi di un concorso di
idee che sottintende un chiaro apprezzamento nel merito
delle proposte progettuali, il Bando di gara, nell’art. 9,
aveva già stabilito, sotto il profilo delle professionalità
ritenute necessarie, la composizione della Commissione,
richiedendo “n. 1 architetto esperto in progettazione
architettonica; n. 1 ingegnere esperto in impiantistica; n.
1 Responsabile del settore Lavori Pubblici”.
Occorre, tuttavia, considerare che, come ha sottolineato
anche la giurisprudenza (TAR Campania, Salerno, Sez. I,
sentenza 26.04.2007, n. 457), è da ritenersi tuttora vigente
la ripartizione di competenze professionali tra ingegneri ed
architetti prevista dagli art. 51 e 52 del r.d. 23.10.1925
n. 2537 (come confermato dall’art. 1, comma 2, D.Lgs.
27.01.1992 n. 129 di attuazione, tra l’altro, della
direttiva 85/384/Cee) e che tali norme, emanate in sede di
approvazione del regolamento per le professioni d’ingegnere
e di architetto, in particolare, riservano alla competenza
comune di architetti ed ingegneri le opere di edilizia
civile, mentre attribuiscono alla competenza generale degli
ingegneri quelle concernenti: le costruzioni stradali, le
opere igienico sanitarie (depuratori, acquedotti, fognatura
e simili), gli impianti elettrici, le opere idrauliche, le
operazioni di estimo, l’estrazione di materiali, le opere
industriali; ferma rimanendo per i soli architetti la
competenza in ordine alla progettazione delle opere civili
che presentino rilevanti caratteri artistici e monumentali
(art. 52, comma 2, cit., che conserva però alla concorrente
competenza degli ingegneri, secondo la regola generale, la
parte tecnica degli interventi costruttivi de quibus).
Inoltre, in via ancora più specifica, è stato altresì
precisato che “La competenza esclusiva degli ingegneri a
sottoscrivere progetti sussiste solo, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 51 e 52 del regolamento di cui al R.D.
n. 2537/1925, nel caso di progettazione e verifica degli
impianti; un architetto deve pertanto ritenersi abilitato a
sottoscrivere un progetto nel caso in cui non si debba
procedere alla progettazione di impianti, ma solo al loro
montaggio mediante l’esecuzione delle necessarie opere
murarie” (CGA - Sez. Giurisdizionale - sentenza
21.01.2005, n. 9).
Da quanto sopra discende che la contestata sostituzione,
operata dalla stazione appaltante in sede di nomina della
Commissione, della componente riservata alla professionalità
di ingegnere con altra professionalità laureata in
architettura e professore universitario associato, potrebbe,
in linea generale, reputarsi legittima laddove fosse
riscontrabile anche una equipollenza di competenze
professionali, da valutarsi, nel caso di specie, assurgendo
a parametro l’oggetto del concorso di idee.
Di particolare rilevanza, al riguardo, è l’art. 2 del bando
che individua l’oggetto del concorso nei seguenti termini “-
ampliamento dell’edificio scolastico di Corso Umberto,
scuola media, per accogliere gli studenti provenienti dalle
aule ospitate dall’edificio di via Panoramica; -
riconversione funzionale dell’edificio di via Panoramica in
nuova Sede Municipale, previo suo adeguamento sismico; -
riconversione funzionale dell’attuale edificio comunale di
via Panoramica in nuova sede della scuola elementare “A.
Vespucci”, attualmente sita in Corso Garibaldi, previo suo
adeguamento sismico; - demolizione dell’edificio scolastico
di Corso Garibaldi, unitamente alla struttura sportiva, e
realizzazione della Villa comunale con parcheggi interrati”.
Ebbene, il richiamato oggetto del concorso, riguardando sia
la progettazione di opere civili sia di infrastrutture
nonché adeguamenti sismici, mostra chiaramente la necessità
di specifiche competenze progettuali che rientrano nel
bagaglio esclusivo delle competenze professionali
dell’ingegnere.
Inoltre, occorre tenere in debito conto l’ulteriore
previsione contenuta nell’art. 3, comma 3, della lex
specialis, che individua espressamente l’esperienza
professionale e/o specializzazione richiesta ai concorrenti
in ambiti fortemente caratterizzati sotto il profilo
interdisciplinare, che, inevitabilmente, si ripercuotono
sulle necessarie esperienze e competenze professionali dei
componenti della Commissione nominata per giudicarli, o
quanto meno possono fungere da parametro di riferimento
delle stesse.
In particolare, la citata disposizione del bando richiede
una documentata esperienza nei seguenti ambiti di attività:
1) progettazione architettonica di opere similari a quella
oggetto dell’incarico; 2) calcolo delle strutture di opere
similari a quella oggetto dell’incarico; 3) impiantistica
elettrica; 4) impiantistica termo idrico sanitaria e di
condizionamento; 5) sicurezza dei cantieri.
Al riguardo si evidenzia che le attività di cui al punti 2),
3) e 4) rientrano indubbiamente nelle competenze
professionali esclusive degli ingegneri e non possono essere
espletate anche dagli architetti, fatta salva l’ipotesi che
si tratti di un professionista laureato all’esito della
speciale corso di laurea in architettura/ingegneria ed
abilitato anche all’esercizio della professione di
ingegnere.
In particolare, relativamente al calcolo delle strutture di
opere similari a quelle oggetto dell’incarico (non solo in
cemento armato ma anche antisismiche) la giurisprudenza ha
più volte rilevato che è “riservata agli ingegneri la
competenza per le costruzioni civili, anche modeste, che
adottino strutture in cemento armato.” (Cass. civ., Sez.
II, sentenza 26.07.2006, n. 17028).
Riguardo, poi, alla componente impiantistica, che si presume
da progettare trattandosi di concorso di idee, appare
contraddittorio individuare, nella fattispecie in esame, un
architetto quale “esperto in impiantistica”, atteso che,
come si evince dalla giurisprudenza sopra richiamata, la
competenza professionale alla progettazione di impianti è
propria degli ingegneri.
Da tutto quanto sopra discende la necessità della presenza
in Commissione della figura professionale dell’ingegnere
accanto a quella dell’architetto, come peraltro
espressamente prevedeva il bando in oggetto.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che la
composizione della Commissione giudicatrice, nominata dalla
Giunta del Comune di Monte di Procida, non è conforme alla
normativa di settore e alla lex specialis di gara
(parere
07.05.2009 n. 60 - link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Gara - Redazione PGT - Esperienze
analoghe extraregionali - Valutazione specifica - Necessità.
E' illegittimo il bando che privilegi, in modo esclusivo e
perciò discriminatorio, le sole esperienze di PPGT ex l.r.
Lombardia n. 12 del 2005.
Se è corretto che la relativa esperienza sia considerata in
modo specifico; è comunque evidente, anche alla stregua dei
canoni di diritto comunitario suscettibili di circolare
anche per ambiti di "sotto soglia", che esperienze
analoghe o consimili -prodottesi in altre regioni- non
possono essere confinate nell'ambito valutativo di PPRG:
esperienze queste ultime ormai obsolete (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 02.04.2009 n. 779 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI:
In tema di responsabilità per
illegittimo conferimento di incarichi di consulenza (la
Sezione, nella fattispecie, non ha ritenuto legittimo il
conferimento da parte di amministratori comunali di un
incarico quinquennale di responsabile dell'ufficio di
ragioneria).
Per quel che riguarda invece la
posizione della giurisprudenza, va evidenziato come il
conferimento di incarichi di consulenza a soggetti esterni
all'amministrazione abbia costituito, e costituisca tuttora,
una fattispecie ricorrente in tema di responsabilità
amministrativa. Orbene, nei casi in cui sia risultato che ai
compiti affidati agli esperti esterni era obiettivamente
possibile far fronte con le risorse interne dell'ente, è
spesso accaduto che la relativa spesa sia stata ritenuta un
danno patrimoniale per l'ente pubblico (inutilità della
spesa stessa), con conseguente condanna al risarcimento a
carico degli amministratori, o dirigenti, che tale spesa
deliberarono.
E’ possibile cogliere, nella giurisprudenza della Corte dei
conti, princìpi e criteri direttivi in grado di orientare
utilmente l'interprete e l'operatore, pur nella varietà e
complessità delle situazioni concrete.
I su detti principi e criteri da seguire, in ordine
all’attribuzione di incarichi, sono, in linea di massima:
a) il conferimento dell'incarico deve essere legato a
problemi che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti
le normali competenze;
b) l'incarico deve caratterizzarsi in quanto non implicante
svolgimento di attività continuativa ma anzi la soluzione di
specifiche problematiche già individuate al momento del
conferimento dell'incarico del quale debbono costituire
l'oggetto;
c) l'incarico deve presentare le caratteristiche della
specificità e della temporaneità;
d) l'incarico non deve rappresentare uno strumento per
ampliare fittiziamente compiti istituzionali e ruoli
organici dell'ente;
e) il compenso connesso all'incarico deve essere
proporzionale all'attività svolta e non liquidato in maniera
forfetaria;
f) la delibera di conferimento deve essere adeguatamente
motivata;
g) l'incarico non deve essere generico od indeterminato;
h) i criteri di conferimento non debbono essere generici; ne
consegue l'illegittimità e la sussistenza di un danno
erariale a fronte di un incarico assolutamente generico e
non motivato.
Si possono citare in proposito, ex multis, Corte dei conti,
Sez. I, 02.09.2008, n. 393, 17.09.2007, n. 248 e 31.05.2005,
n. 187; Sez. II, 11.06.2001, n. 208; Sez. III, 06.02.2006,
n. 74 e 13.04.2005 n. 183; Sez. sic. appello, 02.04.2002, n.
46 e 01.08.2000, n. 100; Sez. riun. 12.06.1998, n. 27. Anche
la Sezione controllo enti di questa Corte, già nella
deliberazione 22.07.1994, n. 33, aveva rappresentato la
necessità di evitare che l’affidamento di incarichi a terzi
si traducesse in forme atipiche di assunzione, con la
conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e
delle norme in materia di contenimento della spesa
(Corte dei Conti, Sez. I
giurisdiz. centrale,
sentenza 10.03.2009 n. 145 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Norme regolamentari in materia di
conferimento incarichi di collaborazione, di studio e di
ricerca nonché di consulenza a soggetti estranei
all'amministrazione
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
11.02.2009 n. 37).
1) La disciplina dettata dall’art. 3, commi da 54
a 57 della legge 244/2007 stabilisce l’obbligo di normazione
regolamentare dei limiti, criteri modalità di affidamento
degli incarichi di collaborazione, studio e ricerca nonché
di consulenza a soggetti estranei all’amministrazione.
La competenza ad adottare regolamenti degli uffici e dei
servizi appartiene alla Giunta nel rispetto dei criteri
generali stabiliti dal Consiglio (art. 48, terzo comma, ed
art. 42, secondo comma lett. A del T.U.E.L.).
2) L’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito nella
legge n. 133/2008 unifica gli incarichi di collaborazione ad
alto contenuto professionale e gli incarichi di studio e
consulenza, riconducendoli all’interno della tipologia
generale di collaborazione autonoma (da conferire perciò con
contratti di lavoro autonomo) tutti caratterizzati dal grado
di professionalità richiesta. Questo tipo di collaborazione
è diverso dalle collaborazioni “normali” il cui uso è
vietato per lo svolgimento delle funzioni ordinarie
dell’ente.
3) Quanto alla locuzione “particolare e comprovata
specializzazione universitaria” questa Sezione, ha già
chiarito (del. 28/pareri 2008) che con essa si intende il
possesso di conoscenze specialistiche equiparabile a quello
che si otterrebbe con un percorso formativo di tipo
universitario basato, peraltro, su conoscenze specifiche
inerenti al tipo di attività professionale oggetto
dell’incarico .
Inoltre la specializzazione richiesta, per essere
“comprovata” deve essere oggetto di accertamento in concreto
condotto sull’esame di documentati curricula.
Il mero possesso formale di titoli non sempre è necessario o
sufficiente a comprovare l’acquisizione delle richieste
capacità professionali.
4) Il nuova testo dell’art. 7 del D.L. n. 165/2001,
introdotto con l’art. 46 del D.L. n. 112/2008 convertito
nella l. n. 133/2008, qualifica poi come presupposti di
legittimità tutti i requisiti già ritenuti dalla
giurisprudenza contabile necessari per il ricorso ad
incarichi di collaborazione o di studio.
In particolare il requisito della corrispondenza della
prestazione alla competenza attribuita dall’ordinamento
all’amministrazione conferente è determinato dal poter
ricorrere a contratti di collaborazione autonoma solo con
riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla
legge o previste dal programma approvate dal Consiglio
dell’ente locale ai sensi dell’art. 42 del D.lvo 267/2000.
5) Il comma 3 dell’art. 46 del D.L. 112/2008,
unificando ai fini dell’inserimento nel regolamento di cui
all’art. 89 del D.lvo 267/2000 tutti gli incarichi di
collaborazione autonoma, ha eliminato l’obbligo di
individuare nel regolamento il livello massimo di spesa
sostenibile per taluni di essi, prevedendo invece la
fissazione del limite massimo annuale nel bilancio
preventivo degli enti territoriali.
E’, pertanto, necessario accertare in sede di degli
incarichi l’esistenza di un apposito stanziamento di spesa
ed il rispetto del suo limite.
6) Quanto all’oggetto si richiamano le considerazioni
contenute nel punto 6 della deliberazione di questa Sezione
n. 37/2008 dell'11.03.2008 sull’inapplicabilità della nuova
disciplina a materia già autonomamente regolamentata e sulla
distinzione tra incarico professionale ed appalto di
servizi.
7) Il conferimento dell’incarico deve essere
preceduto da procedure selettive di natura concorsuale ed
adeguatamente pubblicizzata.
Si è posto il problema del se ed in quali limiti sia
consentito l’affidamento diretto dell’incarico senza
ricorrere a procedure concorsuali, in taluni casi facendo
riferimento ai limiti previsti nel codice degli appalti
pubblici. Come già detto la materia è del tutto estranea a
quella degli appalti di lavori, di beni o servizi, pertanto
non può farsi ricorso neppure per analogia a detti criteri.
Deve invece affermarsi che il ricorso a procedure
concorsuali deve essere generalizzato e che da esse può
prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, e
cioè:
- procedura concorsuale andata deserta;
- unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo;
- assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità
della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad
un evento eccezionale.
8) L’atto di incarico deve contenere tutti gli
elementi costitutivi ed identificativi previsti per i
contratti della Pubblica Amministrazione ed in particolare
oggetto della prestazione, durata dell’incarico, modalità di
determinazione del corrispettivo e del suo pagamento,
ipotesi di recesso, verifiche del raggiungimento del
risultato. Quest’ultima verifica è peraltro indispensabile
in ipotesi di proroga o rinnovo dell’incarico.
9) In ogni caso tutti i presupposti che legittimano
il ricorso alla collaborazione debbono trovare adeguata
motivazione nelle delibere di incarico.
10) Nel regolamento deve essere espressamente
precisato che le società in house debbono osservare i
principi e gli obblighi fissati in materia per gli enti cui
appartengono nonché criteri per il controllo dell’Ente
locale sull’osservanza delle regole da parte delle Società
partecipate.
11) In ipotesi di difformità del regolamento dai
criteri soprannunciati ovvero all’insorgere di particolari
problemi interpretativi i magistrati istruttori deferiranno
la questione all’esame della Sezione. Negli altri casi
procederanno all’archiviazione degli atti regolamentari con
annotazioni del loro avvenuto esame. |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Le tariffe per i progettisti incaricati
dalla P.A. sono stabilite dal DM 04.04.2001.
Sussiste il carattere
recettizio del rinvio dell’art. 17, comma 12-ter, della
legge n. 109/1994, come introdotto dalla legge n. 166/2002
al D.M. 04.04.2001, con conseguente legificazione della
fonte originariamente secondaria e sua insensibilità alle
vicende giudiziarie che hanno interessato la disciplina
regolamentare, stante che, sul piano letterale, la
formulazione normativa, nella parte in cui stabilisce che
continua ad applicarsi “quanto previsto” nel D.M. in esame,
evoca il richiamo del contenuto sostanziale più che del
contenitore normativo.
La tesi del rinvio recettizio è l’unica capace di attribuire
all’art. 17, comma 12-ter, cit. un significato utile, non
essendo revocabile in dubbio che, in base ai principi
generali in tema di successione delle norme e di continuità
delle fonti il decreto ministeriale, ove non annullato,
avrebbe comunque continuato a trovare applicazione nelle
more dell’intervento della nuova disciplina regolamentare
prefigurato dalla prima parte della norma in esame;
Non è dubitabile, alla luce della lettera e della ratio
della disciplina in esame, che le disposizioni ultravigenti
del D.M. 04.04.2001 continuino ad operare alla stregua di
normativa che fissa un minimo inderogabile in tema di
compensi professionale
(Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 09.02.2009 n. 710 - link a
www.altalex.com). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Parere richiesto dal sindaco del comune di Castello D'Agogna
(PV) circa la corretta applicazione
dell'art. 1 co. 557 della legge finanziaria per anno 2005.
In particolare se consente di prescindere dal requisito del
possesso della specializzazione universitaria per incarichi
di lavoro autonomo conferiti da comuni con popolazione
inferiore ai 5.000 abitanti, a dipendenti a tempo pieno di
altre amministrazioni locali
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
22.01.2009 n. 3
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Affidamento
incarichi professionali - Modalità per importi inferiori a
100.000,00 € (link a www.mediagraphic.it). |
anno 2008 |
|
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Per gli incarichi esterni la gara è la
regola.
Affidamenti diretti solo in casi di urgenza - Procedura
comparativa per valutare i curricula dei candidati - Obbligo
di prevedere una procedura comparativa per l'attribuzione di
incarichi esterni - Necessità di argomentare chiaramente
l'accertamento della mancanza di professionalità interne -
Esclusione dei servizi tecnici professionali di ingegneria e
architettura.
1.
L’incarico deve rispondere ai compiti istituzionali
dell’Ente o alla programmazione approvata dal Consiglio ai
sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico
di cui al decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, oltre che
ad una reale ed indifferibile necessità
dell’amministrazione.
2.
All’interno della propria organizzazione, l’amministrazione
deve riscontrare in concreto (cioè con riferimento a precisi
parametri quali il numero e la qualificazione professionale
dl personale incardinato nel servizio istituzionalmente
deputato a quella attività) la carenza, sia sotto l’aspetto
qualitativo che quantitativo, della figura professionale
idonea allo svolgimento dell’incarico.
3.
Criterio generale è che l’incarico a soggetti esterni
all’amministrazione deve essere conferito ad “esperti di
particolare e comprovata specializzazione, anche
universitaria” (articolo 7, comma 6, del decreto
legislativo 30.03.2001 n. 165, così come novellato da ultimo
dall’articolo 46, comma 1, del D.L. 25.06.2008 n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133).
Tale espressione va interpretata nel senso che “…la
specializzazione universitaria deve costituire un
imprescindibile elemento di valutazione del livello di
professionalità e della particolare specializzazione
dell’incaricato…” (Sezione di controllo della Corte dei
conti per il Piemonte - parere n. 27 del 14.10.2008), talché
potrà prescindersi dalla “comprovata specializzazione
universitaria” solo per ipotesi tassative e, cioè, per
attività che devono essere svolte da “professionisti
iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel
campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri
artigianali, ferma restando la necessità di accertare la
maturata esperienza nel settore” (cfr. comma 1, secondo
periodo, del citato art. 46 del D.L. 25.06.2008 n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n.133).
4.
E’ necessario prevedere, come criterio generale di
assegnazione degli incarichi esterni, una procedura
comparativa per la valutazione dei curricula con criteri
predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei
principi di buon andamento ed imparzialità
dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della
Costituzione.
Pertanto, l’assegnazione diretta deve rappresentare una
eccezione, da motivarsi di volta in volta nella singola
determinazione di incarico con riferimento all’ ipotesi in
concreto realizzatasi, e può considerarsi legittima solo ove
ricorra il requisito della “particolare urgenza”
connessa alla realizzazione dell’attività discendente
dall’incarico, ovvero quando l’amministrazione dimostri di
avere necessità di prestazioni professionali tali da non
consentire forme di comparazione con riguardo alla natura
dell’incarico, all’oggetto della prestazione ovvero alle
abilità/conoscenze/qualificazioni dell’incaricato.
Né può legittimare l’esclusione della procedura comparativa
il riferimento a leggi speciali regolanti settori diversi
dell’azione amministrativa, quali, ad esempio, i servizi in
economia o i lavori pubblici.
A titolo esemplificativo deve conseguentemente rilevarsi che
presentano aspetti di non conformità alla ratio legis
previsioni regolamentari che:
a- escludano la procedura comparativa con riferimento ad un
compenso “non superiore a…..”;
b- per legittimare l’esclusione delle procedure di selezione
facciano riferimento a generiche “circostanze speciali ed
eccezionali”;
c- consentano l’affidamento diretto nel caso in cui la “procedura
comparativa sia andata deserta o la selezione dei candidati
sia stata infruttuosa”, senza precisare che in tali
ipotesi le condizioni previste dall’avviso di selezione non
possono essere sostanzialmente modificate
dall’amministrazione.
5.
La prestazione fornita all’amministrazione deve essere “altamente
qualificata”, espressione da intendersi in senso
oggettivo quale contenuto della prestazione, che non può
essere generica o coincidere con la normale competenza
posseduta dai titolari degli organi burocratici.
6.
Deve essere verificata la straordinarietà ed eccezionalità
delle esigenze da soddisfare, dovendosi, al contrario,
escludere la legittimità degli incarichi per soddisfare
esigenze ordinarie.
7.
L’incarico non può essere generico o indeterminato, ma deve
contenere, invece, l’individuazione specifica dei contenuti
e dei parametri utili per l’esecuzione dell’incarico. A tal
proposito opportuna appare la previsione di una norma
regolamentare ad hoc, che preveda l’obbligo, per il
responsabile del servizio competente, di formalizzare
l’incarico conferito mediante la stipulazione di un
disciplinare, inteso come atto contrattuale, in cui siano
specificati gli obblighi per il soggetto incaricato ed in
particolare:
a- la tipologia, il luogo e l’oggetto della prestazione;
b- la durata dell’incarico, che deve avere carattere
temporaneo e predeterminato sin dal provvedimento di
conferimento, dovendosi considerare la proroga come evento
del tutto eccezionale;
c- le modalità di determinazione del corrispettivo,
quantificato secondo criteri di mercato o tariffe e comunque
proporzionato alla tipologia, alla qualità ed alla quantità
della prestazione richiesta, in modo da perseguire,
comunque, il massimo risparmio e la maggiore utilità per
l’Ente;
d- le modalità di pagamento, che deve essere, comunque,
condizionato all’effettiva realizzazione dell’oggetto
dell’incarico;
e- la previsione di ipotesi di recesso e/o di risoluzione
e/o di clausole ritenute necessarie per il raggiungimento
del risultato atteso dall’Ente, con la previsione
regolamentare, per il responsabile del servizio competente,
di un potere di verifica dell’esecuzione e del buon esito
dell’incarico. Conseguentemente, ove i risultati della
prestazione non risultino conformi a quanto richiesto
dall’amministrazione nel disciplinare d’incarico o siano del
tutto insoddisfacenti, appare congruo prevedere la
fissazione di un termine per l’integrazione del risultato, o
la possibilità per l’amministrazione di risolvere il
contratto per inadempimento, ovvero di ridurre
proporzionalmente il corrispettivo, ove il risultato
parziale risulti di utilità per l’Ente;
f- le modalità di esecuzione e di adempimento della
prestazione.
8.
Si precisa inoltre che, come più sopra rilevato, l’art. 3,
comma 54, della legge 24.12.2007, n. 244, modificando
l’articolo 1, comma 127, della legge 662/1996, ha previsto
l’obbligo di pubblicazione sul sito web dell’Ente per i
provvedimenti di affidamento di incarico con indicazione dei
soggetti percettori, della ragione dell’incarico e
dell’ammontare del compenso.
A tal proposito appare opportuno, nel riportare in sede
regolamentare il citato disposto normativo, individuare sia
il funzionario responsabile del procedimento, sia il tempo
massimo per procedere alla pubblicazione.
9.
Si ritiene, altresì, che i suindicati principi regolamentari
possano costituire linee guida per la definizione dei
criteri e delle modalità per l’affidamento degli incarichi
da parte di società che gestiscono servizi pubblici locali a
totale partecipazione pubblica e/o da parte di società a
totale partecipazione pubblica o di controllo, ai sensi
dell’articolo 18, commi 1 e 2, del D.L. 25.06.2008 n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n.
133.
10.
La Sezione richiama, inoltre, l’attenzione degli Enti sulla
centralità ed importanza della motivazione di ciascun
provvedimento di incarico a soggetti esterni
all’amministrazione.
In tale sede deve essere esplicitato in modo chiaro ed
argomentato (e non con motivazioni generiche e/o
stereotipate) l’accertamento compiuto dall’Ente circa la
reale mancanza di professionalità interne in grado di
adempiere all’incarico conferito, nonché l’iter
logico-procedimentale che ha portato l’amministrazione
all’individuazione del soggetto incaricato ed ogni altro
elemento sopra indicato.
Appare infine inappropriato l’inserimento, riscontrato in
alcuni regolamenti pervenuti, di disposizioni volte a
disciplinare il conferimento di servizi tecnici
professionali di ingegneria ed architettura in quanto, tale
tipologia di incarichi, rientrante nella materia dei lavori
pubblici, trova regolamentazione nella normativa di cui al
D.Lgs. 12.06.2006, n. 163 e successive modificazioni (Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna,
parere 18.12.2008 n. 105). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Ritenuto
in diritto:
Al fine del corretto inquadramento giuridico della questione
sottoposta a questa Autorità, risulta necessario
evidenziare, preliminarmente, che il RTI provvisorio
aggiudicatario, composto da Sud Progetti S.r.l. e Med
Ingegneria S.r.l., ha inteso ricoprire con liberi
professionisti, indicati genericamente quali “risorse
esterne”, quattro delle sei figure professionali che, a pena
di esclusione, dovevano costituire la struttura operativa
minima richiesta dal bando di gara, in particolare quelle
di: un ingegnere/architetto capo progetto, persona fisica,
incaricato dell’integrazione tra le prestazioni
specialistiche; un ingegnere esperto nel settore dei
consolidamenti di rocce sciolte; un ingegnere esperto nel
consolidamento di rocce lapidee; un geologo con esperienza
nelle indagini e studi geologici.
In quanto “risorse esterne”, tali professionisti alla data
di presentazione dell’offerta non erano né soci, né
direttori tecnici, né facevano parte dell’organico di una
delle due società componenti il raggruppamento in qualità di
dipendenti o di collaboratori coordinati e continuativi
delle stesse e nemmeno partecipavano al raggruppamento
medesimo in virtù di un vincolo associativo, costituito o
costituendo.
Conseguentemente non sussisteva tra i detti liberi
professionisti ed il RTI, poi risultato provvisorio
aggiudicatario del complessivo incarico di progettazione in
oggetto, un rapporto giuridico formalmente idoneo ad
incardinarli organicamente all’interno della struttura del
raggruppamento medesimo e, quindi, atto a consentire loro di
fornire legittimamente a siffatto concorrente i propri
requisiti, necessari ai fini della qualificazione, e di
svolgere la parte di servizio loro assegnata.
Né può essere ritenuto idoneo a tali fini un contratto di
consulenza “ad hoc” tra il RTI partecipante alla gara e i
predetti professionisti.
Al riguardo, con specifico riferimento alla figura
professionale del geologo, che rientra tra quelle ricoperte
nel caso di specie con il ricorso a liberi professionisti,
al quale sarebbe spettato di redigere la relazione
geologica, prevista dalla lex specialis fra la
documentazione progettuale, si ricorda che la determinazione
di questa Autorità n. 3/2002 ha precisato la natura del
rapporto giuridico che deve intercorrere tra il geologo,
tenuto alla redazione della relazione geologica, per la
quale vige il divieto di subappalto, ed il soggetto
affidatario del servizio di progettazione.
A tal fine l’Autorità ha chiarito che, dall’esame coordinato
dell’art. 17, comma 14-quinquies e dell’art. 17, comma 8,
della legge 109/1994 e s.m., ora rispettivamente trasfusi
nell’art. 91, comma 3, e nell’art. 90, comma 7, del D.Lgs.
n. 163/2006, si evince che lo status giuridico
caratterizzante il rapporto tra il geologo ed il soggetto
affidatario possa essere sia di natura indipendente, sotto
forma di associazione temporanea, sia di natura subordinata,
in qualità di dipendente, sia di natura parasubordinata,
attraverso forme di collaborazione coordinata o continuativa
(in tal senso anche Cons. Stato, sez. V, 16.03.2005, n.
1075).
Rimangono, pertanto, esclusi dalle previsioni normative i
rapporti di consulenza professionale “ad hoc”, che possono
configurarsi nello specifico come forma di subappalto,
esplicitamente vietata dalle norme per la prestazione di
redazione della relazione geologica, in particolare qualora
tale rapporto non risulti dichiarato e quindi formalizzato
prima dell’affidamento dell’incarico.
Le medesime considerazioni si possono estendere anche alle
altre figure professionali della struttura operativa minima
ricoperte, nel caso di specie, con il ricorso a liberi
professionisti, ossia ingegnere, capo progetto, incaricato
dell’integrazione tra le prestazioni specialistiche, nonché
esperto nel settore dei consolidamenti di rocce sciolte ed
esperto nel consolidamento di rocce lapidee, poiché
anch’essi incaricati di attività per le quali, ai sensi del
richiamato art. 91, comma 3, vige il divieto di subappalto.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che
l’aggiudicazione provvisoria disposta dal Comune di Niscemi
in favore del RTI costituito dalle società di ingegneria Sud
Progetti S.r.l. e Med Ingegneria S.r.l. non è conforme alla
normativa di settore
(parere
10.12.2008 n. 258 - link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Il
comune può affidare un incarico al consigliere.
Un consigliere
comunale deve essere configurato come «soggetto esterno» al
comune e può essere legittimamente affidatario da
quest'ultimo di un incarico professionale
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 02.12.2008 n. 5928
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Approvazione di un documento di riferimento
per l'esercizio, da parte degli organi degli enti locali,
dei poteri nell'emanazione delle modifiche regolamentari in
materia di incarichi esterni, anche alla luce delle
disposizioni introdotte dall'art. 46 del D.L. n. 112/2008,
convertito nella legge n. 133/2008
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
06.11.2008 n. 224). |
LAVORI PUBBLICI: Ritenuto
in diritto:
La fattispecie rappresentata sottende un duplice ordine di
problematiche giuridiche.
La prima questione consiste nella valutazione di legittimità
dell’avviso per la costituzione dell’elenco di soggetti
qualificati ad assumere incarichi ex art. 91 D.Lgs. n.
163/2006, nonché incarichi di supporto
tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del
procedimento e del dirigente competente alla formazione del
programma triennale dei lavori pubblici relativi a
prestazioni di importo superiore a 20.000 € ed inferiore a
100.000,00 €.
Al riguardo è opportuno preliminarmente richiamare il quadro
normativo di riferimento, costituito dal combinato disposto
dell’art. 91, comma 2, e dell’art. 57, comma 6, del D.Lgs.
n. 163/2006 e s.m.
La prima disposizione riguarda in modo specifico
l’affidamento degli incarichi di progettazione di importo
inferiore a 100.000 € e stabilisce che detti incarichi
possono essere affidati “nel rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e
trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo
57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti,
se sussistono in tale numero aspiranti idonei".
L’art. 57, comma 6, invece, ha carattere generale e
stabilisce che “ove possibile, la stazione appaltante
individua gli operatori economici da consultare sulla base
di informazioni riguardanti caratteristiche di
qualificazione economico-finanziaria e tecnico-organizzativa
desunte dal mercato, nel rispetto dei principi di
trasparenza, concorrenza, rotazione, e seleziona almeno tre
operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti
idonei".
Occorre peraltro evidenziare che, già prima dell’entrata in
vigore delle citate disposizioni normative di rango
primario, questa Autorità, con specifico riguardo
all’ipotesi in cui l’Amministrazione compia la scelta di
istituire un elenco di professionisti, ha fornito, con
propria determinazione n. 1 del 19.01.2006, una serie di
indicazioni operative che, in quanto volte ad assicurare la
corretta applicazione degli stessi principi comunitari
richiamati nelle disposizioni normative attualmente in
vigore, già recepiti dalla disciplina legislativa allora
vigente (art. 17, comma 12, legge n. 109/1994 come
modificata dalla legge n. 62/2005) sono da ritenersi tuttora
un valido riferimento operativo per le Stazioni Appaltanti.
In particolare, nella citata determinazione l’Autorità ha
esplicitato i suddetti principi, prevedendo criteri e
requisiti per la formazione dell’elenco dei professionisti,
quali, a titolo esemplificativo:
1) adozione di idonei meccanismi riguardanti l’aggiornamento
periodico dell’elenco, anche semestrale;
2) divieto di partecipazione del professionista
singolarmente e come componente di un raggruppamento di
professionisti, nonché divieto di contemporanea
partecipazione a più di un raggruppamento;
3) principio della rotazione nella scelta dei nominativi
inseriti nell’albo ai quali rivolgere la richiesta di
offerta;
4) divieto del cumulo di incarichi, che può concretizzarsi
nell’affidamento di non più di un incarico all’anno allo
stesso professionista;
5) correlazione effettiva dell’esperienza pregressa
richiesta al professionista alle tipologie progettuali delle
quali necessita l’Amministrazione, così che le
professionalità richieste rispondano concretamente alle
classi e categorie cui si riferiscono i servizi da affidare.
Passando all’esame dei singoli punti dell’avviso contestato,
alla luce delle indicazioni operative contenute nella
determinazione richiamata e nelle more dell’adozione del
nuovo regolamento di esecuzione e di attuazione ex art. 5
del D.Lgs. n. 163/2006 si osserva, in particolare in ordine
al principio di rotazione degli incarichi, che l’aleatorietà
tipica dell’operazione di sorteggio e l’imprevedibilità
degli esiti dello stesso potrebbero non garantire in maniera
adeguata la rotazione prescritta dall’art. 57, comma 6, del
Codice.
Quanto alla previsione relativa ai requisiti di capacità
tecnica e professionale (Capo II - Clausole e specificazioni
sui servizi e sulle modalità di partecipazione delle
selezioni- punto C3), -“aver espletato nei tre anni
antecedenti al momento in cui si chiede l’iscrizione in
elenco almeno n. 4 incarichi di ciascuna categoria di cui si
chiede l’iscrizione”- la stessa non risulta conforme:
1) ai criteri quantitativi che debbono informare
l’accertamento degli incarichi espletati, in quanto non
viene operato alcun riferimento all’importo dei lavori
appartenenti alle stesse classi e categorie dell’opera
oggetto dell’incarico, laddove il tuttora vigente art. 63,
comma 1, lett. o) del D.P.R. n. 554/1999 -per l’affidamento
di servizi di importo inferiore a 200.000 DSP- prescrive che
tali importi devono essere stabiliti tra tre e cinque volte
l’importo globale stimato dell’intervento;
2) ad un criterio di ragionevolezza in ordine
all’indicazione del periodo utile per l’avvenuto svolgimento
degli incarichi, stante la vigente previsione regolamentare
di dieci e cinque anni, nonché l’indicazione contenuta nella
circolare ministeriale di cinque anni.
Inoltre, si ritiene non conforme l’avviso di selezione in
esame con riferimento alla mancata previsione della
presentazione dei singoli curricula degli offerenti in
ordine alla valutazione dei requisiti minimi di
professionalità, così come previsto dalla citata
determinazione n. 1/2006.
In merito alla seconda questione sollevata dall’istante,
concernente la “precettività” delle disposizioni della
circolare del Ministero delle infrastrutture, n. 24734 del
16.11. 2007, anche nei confronti di stazioni appaltanti
diverse dai Provveditorati regionali ed interregionali alle
opere pubbliche, strutture periferiche del predetto
Dicastero, si osserva che, come rilevato dalla stessa
Associazione di categoria controinteressata, la stessa non
può che costituire un modello operativo di riferimento di
“best practises”.
Si ritiene, infine, opportuno distinguere le attività di
progettazione, di cui all’art. 91 del D.Lgs. n. 163/2006,
dalle attività di supporto tecnico-amministrativo alle
attività del responsabile del procedimento, previste nel
medesimo avviso; in merito, si rinvia ai principi fissati
dalla determinazione n. 3/2004, su “Appalti di progettazione
e di supporto alla progettazione”.
In base a quanto sopra considerato Il
Consiglio ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che
l’avviso relativo alla procedura di selezione per la
costituzione di un elenco di soggetti qualificati ad
assumere incarichi ex art. 91 D.Lgs. n. 163/2006, nonché di
supporto tecnico-amministrativo alle attività del
responsabile del procedimento e del dirigente competente
alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici
relativi a prestazioni di importo superiore a 20.000 € ed
inferiore a 100.000,00 € non è conforme alla normativa
vigente (parere
23.10.2008 n. 232 - link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Incarichi
di progettazione al professionista: norme applicabili e
regime tariffario.
L’Autorità per i Lavori
Pubblici, oggi Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici,
ha il compito di vigilare affinché fosse assicurata
l’economicità di esecuzione dei lavori pubblici e
sull’osservanza della disciplina legislativa e regolamentare
in materia verificando, anche con indagine campionarie, la
regolarità delle procedure di affidamento dei medesimi; tali
compiti costituiscono per l’Autorità un obbligo, non una
mera facoltà e l’adempimento al suddetto obbligo non è
condizionato dall’iniziativa di terzi, per cui palesemente
l’Autorità è legittimata ad agire d’ufficio.
I poteri dell’Autorità attengono all’affidamento ed
esecuzione dei lavori pubblici e comprendono le
problematiche relative all’affidamento ed esecuzione degli
incarichi di progettazione e direzione lavori, dal momento
che i meccanismi di assegnazione dei relativi incarichi
soggiacciono agli stessi principi che presiedono
all’assegnazione dei contratti di appalto.
Nel caso in cui il Comune abbia affidato un incarico ad un
professionista, incardinato nella propria struttura, un
incarico professionale che poi ha retribuito secondo il
regime proprio dei rapporti con i professionisti esterni
alla struttura, confonde i due regimi, giungendo ad affidare
contratti di rilevanza esterna con la libertà di scelta che
gli è propria nell’ambito delle decisioni interne alla
gestione della propria struttura; la suddetta confusione di
procedimenti ha quindi portato a conferire incarichi esterni
sulla base di un mero intuitus personae. Di modo che
l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione nei
confronti del suddetto professionista deve avvenire nel
rispetto della normativa dettata per l’affidamento dei
suddetti incarichi a dipendenti dell’ente e gli stessi
devono essere retribuiti secondo il sistema normativo
proprio dei dipendenti
(Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 22.10.2008 n. 5175 - link a
www.altalex.com). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Parere richiesto dalla Regione Piemonte in
materia di incarichi esterni
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Piemonte,
parere
14.10.2008 n. 27
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE: Raggruppamenti
temporanei di professionisti e requisiti di partecipazione
(nota a TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 28.07.2008 n.
3091) (link
a
www.lavatellilatorraca.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE:
V. Latorraca,
Nota alla sentenza TAR Milano, Sez. I, 28.07.2008 n. 3091 in
materia di requisiti di partecipazione dei componenti di un
R.T.P. relativamente ad un appalto di servizi attinenti
l’architettura e l’ingegneria (progettazione) (link
a www.diritto.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: INCARICHI
ESTERNI - MANCATA VALUTAZIONE COMPARATIVA TRA CURRICULA -
ASSENZA DI PUBBLICITA' PREVENTIVA - ASSENZA DI MOTIVAZIONE
IN ORDINE ALLA SCELTA OPERATA - ILLEGITTIMITA'.
E' illegittimo l’affidamento di un incarico non preceduto da
una valutazione comparativa tra i curricula dei candidati e
non sorretto da adeguata motivazione circa i criteri della
scelta operata (TAR Piemonte, Sez. I, 25.10.2007, n. 3230).
Si impone pertanto il rispetto di una procedura comparativa
di valutazione di diverse proposte, ovviamente preceduta
dalla pubblicazione di un avviso, valutazione da esternare
con una motivazione assistita dai consueti attributi dell’adeguateza
e della congruità.
Quanto agli incarichi di collaborazione e consulenza
conferiti ad avvocati, ancor più di recente si è pronunciato
il TAR Napoli, affermando la necessità della previa adozione
di procedure comparative rese adeguatamente note attraverso
idonea pubblicità, e statuendo l’illegittimità del
conferimento di incarichi di collaborazione e di consulenza
legale non preceduti dalle predette procedure ad evidenza
pubblica, in diretta applicazione dell’art. 7, comma 6-bis,
del d.lgs. n. 165/2001 (TAR Campania-Napoli, Sez. II -
21.05.2008 n. 4855) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 29.09.2008 n. 2106 -
link a
www.mediagraphic.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Illegittimo l'affidamento di incarichi
esterni senza una previa procedura comparativa.
Le Pubbliche Amministrazioni (ivi comprese le Università)
possono legittimamente conferire incarichi di collaborazione
a soggetti esterni solamente a seguito dello svolgimento di
una procedura comparativa, previamente disciplinata secondo
i rispettivi ordinamenti e adeguatamente pubblicizzata (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 29.09.2008 n. 2106 -
link a
www.eius.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
OGGETTO: Applicazione dell’art. 41-bis della legge
17.08.1942, n. 1150.
Il Comune “alla luce di quanto disciplinato dall’art.
41-bis legge n. 1150/1942”, chiede un “parere in
merito alla legittimità di un incarico di Variante Generale
al PRG conferito a tecnico professionista qualificato,
incaricato in precedenza da privati, della redazione di un
piano di lottizzazione nel territorio comunale presentato
all’Ente successivamente alla stipula della convenzione di
incarico della Variante Generale al PRG” (Regione
Marche,
parere 25.09.2008 n. 96/2008). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Commissione di gara, incarico di
consulenza tecnica e le regole da seguire.
Posto che non è individuabile un nesso tra modalità di
scelta del consulente e imparzialità dell’istruttoria, le
censure circa l’omessa indizione di una gara per il
conferimento dell’incarico di consulenza tecnica non sono
infondate ma sono inammissibili per la carenza di interesse
a proporle da parte della ricorrente posto che, da una
illegittima procedura di affidamento dell’incarico di
consulenza, può conseguire lo svolgimento di una istruttoria
procedimentale perfettamente legittima.
I partecipanti alle gare devono essere preventivamente
informati, attraverso la comunicazione (secondo le modalità
normativamente imposte o quelle ritenute idonee allo scopo
nel caso concreto) delle notizie concernenti il luogo, i
giorni e l’ora in cui si svolgeranno le sedute. La
conoscenza di tali aspetti temporali e logistici
rappresenta, infatti, una condizione essenziale affinché la
facoltà di partecipare sia effettiva. E’, pertanto,
illegittima la mancata comunicazione delle informazioni
necessarie per assistere alle sedute di gara dedicate
all’apertura dei plichi contenenti la documentazione
richiesta per l’ammissibilità delle proposte, posto che il
principio di pubblicità delle sedute di verifica della
documentazione, richiesta dalle regole di gara ai fini della
ammissibilità delle offerte, si applica in qualunque tipo di
gara (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 18.09.2008 n. 1783 - link a
www.altalex.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Le competenze professionali degli ingegneri
juniores.
La pubblicazione analizza, ad oltre 6 anni
dall'emanazione del DPR 328/2001, le
competenze professionali degli ingegneri
juniores (luglio 2008 - tratto da www.centrostudicni.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
A. Barbiero,
Affidamento incarichi e consulenze D.l. 112/2008
(link a www.albertobarbiero.net). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Procedure affidamento incarichi professionali
(link a www.albertobarbiero.net). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Affidamento incarichi: presupposti e percorso
(link a www.albertobarbiero.net). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: A.
Barbiero,
Affidamento incarichi dopo la legge 311/2004 - con schema
(link a www.albertobarbiero.net). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
C. Castelli,
Gli affidamenti di incarichi esterni da parte degli enti
locali dopo la legge finanziaria 2008- regolamentazione,
programmazione, pubblicità (link a www.noccioli.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Presupposti indispensabili per
considerare lecito il ricorso agli incarichi
esterni sono: 1) che si tratti di esigenze
alle quali non si può far fronte con
personale in servizio; 2) che l’incarico
venga conferito ad un esperto di particolare
e comprovata competenza; 3) che vengano
preventivamente determinati la durata, il
luogo, l’oggetto ed il compenso della
collaborazione.
... Per quanto riguarda il conferimento
dell’incarico, l’articolo 7, comma 6, del
decreto legislativo 165/2001, nel testo
vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che “per
esigenze cui non possono far fronte con
personale in servizio, le amministrazioni
pubbliche possono conferire incarichi
individuali ad esperti di provata
competenza, determinando preventivamente
durata, luogo, oggetto e compenso della
collaborazione”.
Pertanto, presupposti indispensabili per
considerare lecito il ricorso agli incarichi
esterni sono:
1) che si tratti di esigenze alle quali non
si può far fronte con personale in servizio;
2) che l’incarico venga conferito ad un
esperto di particolare e comprovata
competenza;
3) che vengano preventivamente determinati
la durata, il luogo, l’oggetto ed il
compenso della collaborazione (Corte di
Conti, Sez. II giurisdiz. centrale
d'appello,
sentenza 29.07.2008 n. 256 - link
a www.corteconti.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
LAVORO PUBBLICO - DIVIETO DI
CUMULO TRA PENSIONE ANTICIPATA DI ANZIANITÀ
E INCARICHI DI CONSULENZA PER
L´AMMINISTRAZIONE DI PROVENIENZA.
Il divieto di cumulo tra pensione anticipata
di anzianità e lo svolgimento o la
prosecuzione, successivamente alla
cessazione del rapporto, di incarichi di
consulenza per l'amministrazione di
provenienza si estende anche allo
svolgimento dell’incarico di direttore
amministrativo presso un’istituzione
ospedaliera, in ragione della trasparenza
nel conferimento degli incarichi e
dell’ulteriore fine di garantire risparmi di
spesa impedendo il cumulo tra pensione e
retribuzione (massima tratta da
www.lavoroprevidenza.com - Corte di Cassazione,
sentenza 28.07.2008 n.
20523). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del comune di Genzano (PZ) in merito
al conferimento di incarichi a soggetti estranei alle
amministrazioni (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Basilicata,
parere
19.06.2008 n. 26
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del Comune di Picerno (Pz), circa l'affidamento
di incarichi di studio, ricerca e consulenza (Corte dei
Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata,
parere 19.06.2008 n. 25
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del Comune di Atella (Pz), in materia
di conferimento incarichi a soggetti estranei
all'amministrazione stessa e CO.CO.CO. (Corte dei Conti,
Sez. regionale di controllo Basilicata,
parere 12.06.2008 n. 23
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del Comune di Banzi (Pz), in materia
di conferimento incarichi a soggetti estranei
all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo Basilicata,
parere 11.06.2008 n. 22
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del Comune di Rapolla (Pz), in materia
di conferimento incarichi a soggetti estranei
all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo Basilicata,
parere
11.06.2008 n. 21
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindaco del Comune di Rapone (Pz), in materia
di conferimento incarichi a soggetti estranei
all'amministrazione stessa (Corte dei Conti, Sez.
regionale di controllo Basilicata,
parere
11.06.2008 n. 20
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
richiesto dal Sindato del Comune di Castelgrande (Pz), con
nota nr. 2762 del 20.05.2008, in materia di conferimento
incarichi a soggetti estranei all'amministrazione stessa
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata,
parere
11.06.2008 n. 19
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Richiesta
di parere sulla possibile applicazione anche alle società
interamente partecipate dall’Ente delle disposizioni della
L. 24/12/2007 n. 244, in materia di limiti all’affidamento
di incarichi di studio, ricerca e consulenza, di limiti
all’utilizzo del lavoro flessibile e di assunzioni a tempo
indeterminato (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Puglia,
parere 11.06.2008 n. 15
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
S. Lazzini, Affidamento di incarico professionale di
progettazione e di direzione di lavori pubblici: deve essere
escluso il concorrente che non dichiari nel curriculum gli
incarichi di progettazione svolti ma gli incarichi solo
conferiti?
In base alla lettura complessiva delle disposizioni dell’
avviso di gara, ed al principio ermeneutico del “favor”
partecipativo in materia di bandi di gara, l’obbligo di
fornire detta dichiarazione sugli incarichi “svolti”, e
previsto dal punto 3 del bando a pena di esclusione, può
comunque ritenersi assolto, precludendo quindi l’esclusione,
con la presentazione di un curriculum recante l’elenco degli
incarichi conferiti, poiché la prova del loro effettivo
svolgimento, per costituire requisito di partecipazione,
avrebbe dovuto essere oggetto di specifica ed espressa
prescrizione di gara postulante l’esibizione, da parte delle
rispettive amministrazioni, di specifica certificazione sul
punto. La sola indicazione degli incarichi conferiti si
presentava peraltro sufficiente per formulare una
valutazione della professionalità progettuali dei
concorrenti sulla base dei dati inseriti nel “curriculum”,
costituenti, senza ulteriori distinzioni, l’oggetto dei
punteggi attribuibili in ordine allo stesso (previa
fissazione dei necessari criteri) (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 29.05.2008 n. 2566
- link a www.diritto.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Linee
guida in materia di regolamenti degli enti locali per
l'affidamento degli incarichi di collaborazione, studio,
ricerca e consulenza (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lazio,
deliberazione
27.05.2008 n. 15
- link a www.corteconti.it). |
AFFIDAMENTO
INCARICHI: Prestazioni
di servizi col codice appalti - Si applica la disciplina del
codice dei contratti, e non l'articolo 7, comma 6, del dlgs
165/2001 alle «collaborazioni» il cui oggetto ricada
nell'elenco dei servizi contenuto negli allegati IIA e IIB
al codice medesimo.
Regolamento di organizzazione degli Uffici e dei servizi del
Comune di Cassano allo Jonio - Controllo ai sensi dell'art.
3, comma 57, della Legge finanziaria 2008 (Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Calabria,
delibera 23.05.2008 n. 144 -
link a
www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Parere,
su quesito del Sindaco del Comune di Montereale, in tema di
applicazione delle disposizioni introdotte dalla legge n.
244 del 24.12.2007 (legge finanziaria per il 2008) riguardo
agli incarichi professionali in materia di lavori pubblici
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Abruzzo,
parere 12.05.2008 n. 262
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Parere,
su richiesta del Sindaco del Comune di Piario (Bg), in
merito alla possibilità di attribuzione di incarichi di
contratti individuali secondo il nuovo disposto dell’art. 7
del D. Lgs. 165/2001 (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere
12.05.2008 n. 29). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Parere,
su richiesta del Sindaco del Comune di Samarate (Va), in
merito all’interpretazione dell’art. 3, comma 76, della
Legge 24.12.2007 n. 244 (finanziaria 2008) sulla necessità
del possesso della specializzazione universitaria in tema di
incarichi esterni (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere
12.05.2008 n. 28). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Ritenuto
in diritto:
L’intervento in esame afferisce alle classi I, b (Edifici
industriali di importanza costruttiva corrente. Edifici
rurali di importanza speciale. Scuole, piccoli ospedali,
case popolari, caserme, prigioni, macelli, cimiteri,
mercati, stazioni e simili qualora siano di media
importanza. Organismi costruttivi in metallo) e I, g
(Strutture o parti di strutture in cemento armato
richiedenti speciale studio tecnico, ivi comprese strutture
antisismiche), nonché alla legge n. 46/1990.
In particolare, l’intervento consiste nell’adeguamento
sismico e di ristrutturazione funzionale ed impiantistica
che riporti l’edificio a condizioni di efficienza, tali da
consentire funzioni sociali. Sono previsti, tra l’altro,
l’abbattimento delle barriere architettoniche previa
l’installazione di un ascensore e il conseguimento della
sicurezza statica ed impiantistica dell’edificio.
Si tratta, pertanto, di un intervento che investe una
pluralità di competenze, proprie di diversi ordinamenti
professionali.
Quindi i diversi aspetti tecnici che sono coinvolti nel
progetto afferiscono a competenze professionali specifiche,
che caratterizzano l’autonomia progettuale dei singoli
interventi che compongono l’insieme.
Al riguardo giova richiamare quanto espresso dalla pronuncia
del TAR Liguria, n. 166/2006, “l’articolo 4, della legge n.
46/1990, ha imposto la redazione di un’autonoma relazione
tecnica per l’installazione degli strumenti elettrici, degli
impianti di terra, di quelli che utilizzano il gas, degli
ascensori…, ed ha con ciò scorporato concettualmente queste
attività da quelle volte alla mera realizzazione della
costruzione.”
Inoltre, l’articolo 6 della medesima legge n. 46/1990,
prevede che per l’installazione, la trasformazione e
l’ampliamento degli impianti relativi agli edifici ad uso
civile (energia elettrica, riscaldamento, ascensori, gas,
antincendio ecc.), è obbligatoria la redazione del progetto
da parte di professionisti, iscritti negli albi
professionali, nell’ambito delle rispettive competenze.
Ciò significa che la legge n. 46/1990 non ha modificato la
ripartizione di attribuzione né ha ampliato le competenze
dei diversi ordini professionali e pertanto, la
determinazione delle competenze deve essere effettuata in
base alla normativa di appartenenza: al riguardo, il TAR
Liguria, con pronuncia n. 137/2004, ha chiarito che il
progetto relativo ad un impianto elettrico e a gas non può
essere sottoscritto dall’architetto ma dall’ingegnere o dal
perito industriale, in possesso delle necessarie cognizioni
tecnico scientifiche.
Occorre tenere presente che la competenza del
professionista, nella specie perito industriale, deve essere
verificata in rapporto alla natura dell’incarico: infatti,
ai sensi dell’articolo 16 del R.D. n. 275/1929, recante la
disciplina della professione dei periti industriali,
attribuisce agli stessi la competenza in materia
impiantistica, con il limite di cui al primo comma del
medesimo articolo, in base al quale “spettano ai periti
industriali, per ciascuno nei limiti delle rispettive
specialità …. le funzioni esecutive per i lavori alle
medesime inerenti” ed al comma 2, lettera d) “la
progettazione, la direzione e l’estimo delle costruzioni di
quelle semplici macchine ed installazioni meccaniche o
elettriche, le quali non richiedano la conoscenza del
calcolo infinitesimale”. Detta precisazione “costituisce il
criterio di delimitazione delle competenze dei periti
industriali rispetto a quelle proprie dei professionisti con
corrispondenti specializzazioni, collegate, però, ad un
titolo di studio superiore a quello di perito” (TAR Marche,
n. 1014/2003).
La “progettazione” e la “direzione” di cui alla norma non
sono prerogative generali, ma competenze che spettano al
perito in relazione alle “semplici macchine ed installazioni
meccaniche o elettriche”.
Tenuto conto di quanto sopra rilevato, per la soluzione del
caso in esame, attesa l’autonomia progettuale dei singoli
interventi che compongono l’insieme dell’opera, è
ammissibile la partecipazione all’affidamento di un
raggruppamento temporaneo di professionisti che veda
l’apporto del perito industriale, nei limiti della relativa
competenza.
Infatti, le attività da conferire al professionista possono
senz’altro essere espletate cumulativamente e singolarmente
da un ingegnere ma non altrettanto da un perito industriale,
in quanto si prevedono interventi di carattere strutturale
(I, g).
Per quanto attiene alla parte impiantistica del progetto, la
stessa potrà essere affidata al perito industriale nel
rispetto dei limiti della competenza riconosciutagli
dall’ordinamento professionale con riguardo alla natura
degli impianti da progettare.
Pertanto, la clausola che limita in generale ed in astratto
alla competenza esclusiva degli ingegneri le attività
impiantistiche di cui alla legge n. 46/90 non è conforme al
riparto delle competenze professionali, dovendosi
riconoscere anche al perito industriale l’attività di
progettazione, direzione lavori e coordinamento della
sicurezza in materia impiantistica, nel rispetto, si ripete,
dei limiti della competenza riconosciutagli dall’ordinamento
professionale con riguardo alla natura degli impianti da
progettare.
Ai fini della procedura in corso, rilevata la non conformità
della citata clausola, nei termini sopra riportati,
ricorrono i presupposti affinché la S.A. valuti, in
autotutela, di stralciare l’affidamento dell’intervento n. 6
e di procedere, limitatamente allo stesso, alla
pubblicazione di un nuovo avviso.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che la clausola del bando
di gara per la redazione dei progetti preliminari,
definitivi ed esecutivi, nonché il coordinamento per la
sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione e la
direzione lavori, comprese tutte le prestazioni
professionali accessorie, per n. 6 interventi, che limita le
competenze di cui alla legge 46/1990 esclusivamente agli
ingegneri, non è conforme al riparto delle competenze
professionali (parere
08.05.2008 n. 139
- link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Ulteriori
indicazioni in materia di conferimento di incarichi esterni
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Basilicata,
deliberazione 06.05.2008 n. 16
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Appalto concorso - Libertà di
progettazione - Limite - Progetto-guida della P.A..
Con riferimento all'appalto concorso, la libertà di
progettazione per le imprese concorrenti incontra un limite
soltanto nell'esigenza che le soluzioni proposte non si
discostino sensibilmente dall'idea centrale del
progetto-guida dell'Amministrazione, o non portino ad
un'opera diversa da quella che si intende realizzare (TAR
Sicilia, Palermo, 07.08.1987, n. 507)
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 05.05.2008 n. 1305
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
LINEE DI INDIRIZZO E CRITERI INTERPRETATIVI DELL’ART. 3, COMMI 54–57,
L. 244/2007, IN MATERIA DI REGOLAMENTI DEGLI ENTI LOCALI PER
L’AFFIDAMENTO DI INCARICHI DI COLLABORAZIONE, STUDIO, RICERCA E
CONSULENZA.
La Sezione delle Autonomie, esaminate le problematiche che emergono
dalle disposizioni dettate dall'art. 3, commi 54-57, della legge
finanziaria 2008 (si ricorda che, nel disporre regole alle quali gli
enti locali si devono attenere per il conferimento di incarichi di
collaborazione, studio, ricerca e consulenza a soggetti estranei
all'amministrazione, la legge n. 244/2007 ha previsto la necessaria
emanazione, da parte di ciascun ente locale, di regolamenti da
trasmettere alla competente Sezione regionale della Corte dei conti
entro trenta giorni dall'adozione) ha approvato "linee di indirizzo e
criteri interpretativi" quale "base omogenea di riferimento" in materia.
La ricostruzione logica delle disposizioni della legge finanziaria porta
la Sezione a ricondurre le differenti tipologie di incarichi di studio
alla "categoria del contratto di lavoro autonomo, più precisamente al
contratto di prestazione d'opera intellettuale ex artt. 2229-2239 c.c.".
Dall'atto di conferimento dell'incarico di studio devono risultare:
l'elevata qualificazione dell'incaricato nelle materia di interesse del
soggetto conferente, l'oggetto e la durata. Gli incarichi di studio, si
devono concludere con la consegna "di elaborati espositivi dei
risultati" e presuppongono la preventiva definizione del programma da
parte dell'amministrazione.
Netta è la distinzione operata dal Collegio rispetto alle
collaborazioni. "Gli incarichi di collaborazione attengono a due
finalità diverse, e cioè integrare gli organi di staff del sindaco o
degli assessori ovvero supportare l'attività degli ordinari uffici
dell'ente" e "le differenze non sono irrilevanti" -argomenta la Corte-
operando un'esatta delimitazione delle collaborazioni coordinate e
continuative, ben distinte rispetto agli incarichi di collaborazione.
Infine, restano escluse dagli obblighi regolamentari fattispecie quali
l'appalto di lavori, o di beni o di servizi, e il patrocinio giudiziale
conferito ad un libero professionista (Corte dei Conti, Sez. Autonomie,
deliberazione 24.04.2008 n. 6). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE: Ritenuto
in diritto:
Il punto 3) del bando di gara prevede che alla domanda di
partecipazione sia accluso l’elenco dei lavori per i quali
il concorrente abbia svolto servizi tecnici, indicando,
secondo quanto prescritto dall’articolo 63 del d.P.R.
554/1999, l’importo, il committente, le classi e le
categorie di appartenenza, il soggetto che ha svolto il
servizio, la natura delle prestazioni effettuate.
Preliminarmente, si precisa che ai sensi del citato articolo
63, comma 1, lettera o) del d.P.R. 554/1999, il bando deve
stabilire l'importo minimo (da fissare tra tre e cinque
volte l'importo complessivo o gli importi parziali
dell'intervento) della somma degli importi di tutti i
lavori, appartenenti alle classi e categorie dell'intervento
cui si riferisce il bando, per i quali, nel decennio
anteriore alla data di pubblicazione del suddetto bando, ha
svolto servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria
anche integrata: non si pone differenza fra gli affidamenti
eseguiti per enti pubblici ovvero per privati.
Ciò che rileva, infatti, è che i lavori cui si riferiscono
detti requisiti devono appartenere alla classe e categoria
(o alle classi e categorie) dell’intervento cui si riferisce
il bando, individuate sulla base dell’elencazione contenuta
nell’articolo 14 della legge 02.03.1949, n. 143.
Pertanto, il riscontro dei requisiti viene effettuato
tenendo conto dell'attività di progettazione, da
considerarsi come attività professionale nel suo complesso,
purché in riferimento alla classe e categoria di cui al
bando.
Ne discende che il bando di gara in esame, redatto nel
rispetto delle indicazioni sopra riportate, non necessitava,
contrariamente a quanto asserito dall’Amministrazione, di
alcun chiarimento da parte della commissione di gara.
Per quanto attiene all’operato di quest’ultima, si fa
presente che, con parere n. 90/2008, l’Autorità, richiamando
la posizione del giudice comunitario e nazionale, ha
espresso l’avviso secondo il quale la commissione
aggiudicatrice non può modificare i criteri di
aggiudicazione dell’appalto definiti nel bando di gara, o
introdurre elementi che, se fossero stati noti al momento
della preparazione delle offerte, avrebbero potuto
influenzare la detta preparazione, ovvero adottare criteri
che possono avere un effetto discriminatorio nei confronti
di uno dei concorrenti.
Infatti, tutti i criteri presi in considerazione ai fini
dell’aggiudicazione devono essere espressamente menzionati
nel bando di gara, affinché i concorrenti siano posti in
grado di conoscere la loro esistenza e la loro portata, a
garanzia del rispetto dei principi di parità di trattamento
e di trasparenza.
I suddetti principi trovano applicazione anche in relazione
al caso di specie, nel quale la commissione, in fase di
selezione, prima dell’apertura dei plichi, ha ritenuto di
introdurre un nuovo criterio di valutazione delle opere
similari.
Non si può concordare, come in precedenza rilevato, con la
posizione assunta dall’Amministrazione, secondo la quale
valutare esclusivamente i lavori eseguiti per conto di
committenti pubblici, rappresenti un chiarimento di una
clausola del bando di gara.
Risulta di tutta evidenza che la conoscenza del criterio di
valutazione introdotto dalla commissione aggiudicatrice,
avrebbe senz’altro consentito all’istante di procedere ad
una differente scelta ed articolazione dei servizi/progetti
da presentare come particolarmente significativi delle
proprie capacità.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che:
- ai fini del requisito dell’esperienza pregressa, non si
pone differenza fra gli affidamenti di attività di
progettazione eseguiti per enti pubblici ovvero per privati;
- la commissione giudicatrice non può introdurre ulteriori e
diversi elementi valutativi delle candidature presentate,
laddove gli stessi non siano già espressamente previsti nel
bando di gara (parere
23.04.2008 n. 125
- link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Integrazione della deliberazione n. 1 del 5 febbraio
2008, con cui sono stati fissati principi cui debbono
attenersi le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1,
comma 2 del D.lgs. 165/2001 in occasione di incarichi e
consulenze ad estranei alle amministrazioni medesime
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Molise,
deliberazione
21.04.2008 n. 25
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI:
Ambito e modalità di controllo, da parte della Sezione
regionale del Veneto, in materia di regolamenti degli enti
locali per l’affidamento degli incarichi di collaborazione,
studio, ricerca e consulenza (art. 3, co. 54 -57 legge
244/2007) (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo
Veneto,
deliberazione
18.04.2008 n. 14
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI: Ritenuto
in diritto:
Per quanto riguarda la prima eccezione sollevata
dall’istante, relativa all’individuazione della procedura di
affidamento, non si rilevano profili di intervento, tenuto
conto che il punto 5) dell’Avviso prevede che il servizio
sarà affidato al concorrente che avrà presentato l’offerta
economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’articolo 57,
comma 6, del d. Lgs. n. 163/2006, nel rispetto dei principi
sanciti dall’articolo 91 del medesimo disposto normativo,
tenendo conto del valore tecnico e del valore economico.
In relazione al secondo rilievo sollevato nell’istanza di
parere, si precisa che l’Autorità, con determinazione n. 4
del 29.03.2007, ha inteso fornire indicazioni
sull’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura a
seguito dell’entrata in vigore del d. Lgs n. 163/2006 e
della legge n. 248/2006.
In particolare, l’Autorità ha espresso l’avviso che non ha
rilievo la norma richiamata dal comma 12-bis, dell’articolo
4, del decreto legge 02.03.1989, n. 65, convertito con
modificazioni dalla legge 26.04.1989, n. 155, in quanto la
riduzione del 20% disposta dalla norma in questione non ha
più rilevanza alcuna in relazione al fatto che l’importo
effettivo verrà stabilito dal mercato (in sede di gara).
Nella fattispecie di cui trattasi, il calcolo del
corrispettivo da porre a base dell’affidamento stesso andava
quindi effettuato al lordo della riduzione del 15% applicata
dalla Stazione appaltante sul corrispettivo determinato
utilizzando il D.M. 04.04.2001.
Si deve rilevare che l’applicazione, nella determinazione
del corrispettivo da porre a base dell’affidamento, della
riduzione di cui alla citata legge n. 155/1989, ha
comportato una alterazione in diminuzione dell’importo a
base di gara, con conseguenti ricadute sulla disciplina da
applicare alla procedura di affidamento in esame. Infatti,
l’importo del corrispettivo al lordo della citata riduzione
sarebbe verosimilmente risultato superiore a 100.000 euro e
si sarebbe dovuto applicare l’articolo 91, comma 1, del d.
Lgs. 163/2006, che disciplina la procedura prevista per
affidamento di incarichi di progettazione di importo pari o
superiore a € 100.000.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che la procedura di
affidamento dell’incarico in esame non è conforme alla
normativa di settore (parere
17.04.2008 n. 113
- link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Conferimento
incarico - Professionista esterno all’Ente - Forma scritta -
Necessità - Pena di nullità - Sussistenza.
Il contratto con il quale l'amministrazione pubblica -anche
quando agisce iure privato rum- conferisce un incarico
professionale, deve essere redatto a pena di nullità in
forma scritta. Sicché, è irrilevante l'esistenza di una
deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che
abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al
professionista, ove tale deliberazione non si sia tradotta
in un unico atto contrattuale coevamente sottoscritto dal
rappresentante esterno dell'ente e dal professionista, da
cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto
con le indispensabili determinazioni in ordine alla
prestazione da svolgersi e al compenso da corrispondersi.
(Cass. Sez. I civile n. 1752/2007).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Conferimento incarico -
Professionista non inserito nella struttura organica
dell'Ente - Natura - C.d. amministrazione iure privatorum -
C.d. parasubordinazione - Giurisdizione - G.O..
Il conferimento, da parte di un Ente pubblico, di un
incarico ad un professionista non inserito nella struttura
organica dell'Ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la
propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo
albo) costituisce espressione non di una potestà
amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è
funzionale all'instaurazione di un rapporto di cosiddetta
parasubordinazione -da ricondurre pur sempre al lavoro
autonomo- pur nell'ipotesi in cui il professionista riceva
direttive ed istruzioni dall'Ente, per cui anche la
successiva delibera di revoca dell'incarico riveste natura
non autoritativa di recesso contrattuale, con conseguente
attribuzione della controversia alla cognizione del giudice
ordinario (Cass. Sez. Un. n. 10370 del 19.10.1998) (TAR
Abruzzo-L'Aquila, Sez. I,
sentenza
14.04.2008, sentenza n. 554
- link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Atto
di indirizzo rivolto ai Comuni della Regione Lombardia in ordine alle
modalità che devono seguire per la redazione del regolamento sulle
consulenze previsto dalla legge finanziaria 2008 (Corte dei Conti,
Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere 11.03.2008 n. 37). |
APPALTI SERVIZI: L.
Bellagamba,
Incarichi e consulenze dopo la finanziaria 2008
(link a www.linobellagamba.it). |
INCARICHI
PROGETTAZIONE: Sul
divieto per una Fondazione di accordarsi con una società di
progettazione per acquisire un progetto di un’opera
pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto, di donarlo
all’amministrazione.
Per l'affidamento di incarichi di progettazione, ai sensi
degli artt. 90 e 91 del d.lgs. n. 163/2006, soltanto
l’amministrazione competente (nel caso di specie la regione)
può elaborare direttamente la progettazione dell’opera
pubblica da realizzare oppure affidarla a terzi mediante
specifiche procedure di evidenza pubblica. Pertanto, nel
caso di specie, è vietato ad una Fondazione di accordarsi
con una società di progettazione per acquisire un progetto
di un’opera pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto,
di donarlo all’amministrazione. La Fondazione, in quanto
organismo di diritto pubblico è soggetta alla disciplina del
codice dei contratti pubblici e, quindi, al rispetto
dell’evidenza pubblica. L’applicazione di siffatte norme è
stata "elusa" con l’avere previsto che la progettazione
sarebbe stata messa a disposizione della regione e che
quest’ultima avrebbe provveduto a farla propria e a
presentarla al Ministero delle infrastrutture per
l’approvazione e la concessione del finanziamento. In tal
modo si è consentito che un incarico di progettazione di
interesse (e competenza) della regione non è stato svolto,
né da personale della stessa o di altre pubbliche
amministrazioni, né da soggetto scelto con le procedure di
cui al codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 07.03.2008 n. 1008
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Progetto
di un’opera pubblica - Società di progettazione -
Donazione-regalo di un progetto - Divieto - Affidamento di
incarichi di progettazione - Rispetto dell’evidenza pubblica
- Necessità - Organismo di diritto pubblico - Fondazione -
Assoggettamento alla disciplina del codice dei contratti
pubblici - art. 91, c. 1, d.lgs. n. 163/2006.
Sussiste il divieto, anche per le Fondazioni, di accordarsi
con una società di progettazione per acquisire un progetto
di un’opera pubblica, con l’intenzione, una volta ottenuto,
di donarlo all’amministrazione. La Fondazione, in quanto
organismo di diritto pubblico è soggetta alla disciplina del
codice dei contratti pubblici è quindi tenuta al rispetto
dell’art. 91, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 (il quale
prevede, per l’affidamento di incarichi di progettazione,
l’espletamento di specifiche procedure) e all’applicazione
dei dettami in esso contenuti (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.03.2008 n. 1008
- link a www.ambientediritto.it). |
INCARICHI
PROGETTUALI:
Ritenuto in diritto:
L’articolo 90, comma 1, lettera g) del d. Lgs. n. 163/2006
individua i liberi professionisti singoli o associati nelle
forme di cui alla legge n. 1815/1939, le società di
professionisti e le società di ingegneria quali soggetti
autorizzati a costituire raggruppamenti temporanei al fine
dell’espletamento delle prestazioni attinenti
all’architettura ed all’ingegneria.
I consorzi stabili di società di professionisti e di società
di ingegneria, di cui alla successiva lettera h), non sono
espressamente indicati nel novero dei soggetti che possono
costituire detti raggruppamenti temporanei.
Si pone quindi un problema interpretativo sulla legittimità
della costituzione di un raggruppamento temporaneo tra un
consorzio stabile di cui all’articolo 90, comma 1, lettera
h), del d. Lgs. n. 163/2006 e uno o più soggetti di cui al
medesimo articolo 90, comma 1, lettere d), e) ed f).
Per la definizione della questione giova richiamare il
dettato della citata lettera h) dell’articolo 90 che recita
“da consorzi stabili di società di professionisti e di
società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non
meno di tre consorziati che abbiano operato nel settore dei
servizi di ingegneria e architettura, per un periodo di
tempo non inferiore a cinque anni, e che abbiano deciso di
operare in modo congiunto secondo le previsioni del comma 1
dell'articolo 36. E' vietata la partecipazione a più di un
consorzio stabile. Ai fini della partecipazione alle gare
per l'affidamento di incarichi di progettazione e attività
tecnico-amministrative ad essa connesse, il fatturato
globale in servizi di ingegneria e architettura realizzato
da ciascuna società consorziata nel quinquennio o nel
decennio precedente è incrementato secondo quanto stabilito
dall'articolo 36, comma 6, della presente legge; ai consorzi
stabili di società di professionisti e di società di
ingegneria si applicano altresì le disposizioni di cui
all'articolo 36, commi 4 e 5 e di cui all'articolo 253,
comma 8.”
Per espresso richiamo normativo, quindi, ai consorzi stabili
di società di professionisti e di società di ingegneria si
applicano i commi 1, 4, 5 e 6, dell’articolo 36 del d. Lgs.
n. 163/2006, contenente la disciplina generale dei consorzi
stabili dettata per i contratti pubblici di lavori, servizi
e forniture.
Del resto, già nel previgente assetto normativo di cui alla
legge 109/1994, in virtù delle modificazioni introdotte
dalla legge 166/2002, i consorzi stabili di società di
professionisti e di società di ingegneria erano stati
inseriti nel novero dei soggetti che possono rimanere
affidatari di incarichi di progettazione prevedendo un
rinvio alle disposizioni dell’allora vigente articolo 12
della legge 109/1994.
Si deve inoltre rilevare che, relativamente ai contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture, l’articolo 34,
comma 1, lettera d), del d. Lgs. n. 163/2006 riconosce la
possibilità di costituire raggruppamenti temporanei di
concorrenti anche ai consorzi stabili.
Si pone dunque un problema di difetto di coordinamento della
norma, da affrontarsi secondo un approccio sistematico,
secondo il quale, l’applicazione del principio comunitario
della libera prestazione di servizi e della tutela della
concorrenza nonché del rispetto del paritetico esercizio
della professione da parte di tutti i titolari della
funzione, singoli o comunque associati, comporta a ritenere
che non si rilevano elementi atti a suffragare il diniego
del riconoscimento della forma aggregativa di cui
all’istituto del raggruppamento temporaneo anche in
riferimento ai consorzi stabili di società di professionisti
e di società di ingegneria, così come avviene per i consorzi
stabili operanti nel settore dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che l’esclusione del RTP
Building Design Partnership Ltd/Altri non è conforme alla
normativa di settore (parere
28.02.2008 n. 64
- link a massimario.avlp.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Parere
in merito alla corretta interpretazione del rapporto fra
la disciplina normativa degli incarichi di consulenza e
collaborazione e la disciplina normativa degli incarichi di
lavori pubblici (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Piemonte,
parere 21.02.2008 n. 3
- link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI: Parere
su richiesta del Sindaco del Comune di Spirano (Bg) in
merito all’ambito di applicazione dell’art. 3, commi 53,
54, 55, 56 della Legge 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria
per il 2008), in particolare laddove prevede che
l’affidamento di incarichi di studio, ricerche o di
consulenza a soggetti terzi può avvenire solo se
riconducibile a programmi approvati dal Consiglio dell’Ente
(Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia,
parere
20.02.2008 n. 10
- link a www.corteconti.it). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
L. Bellagamba,
GLI AFFIDAMENTI SEMPLIFICATI: cottimi, incarichi
professionali, servizi dell’allegato II B e cooperative
sociali, concessioni di servizio, altre tematiche similari
(link a
www.linobellagamba.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
G. Crucitta e R. Francaviglia,
Corte dei Conti n. 6/2008 – Sez. regionale Basilicata –
conferimento di incarichi a soggetti esterni alla P.A.
(link a www.diritto.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Principi cui devono attenersi le amministrazioni
pubbliche -individuate dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs.
n. 165/2001- nell’affidamento di incarichi di studi,
ricerche e consulenze (Corte dei Conti, Sez. regionale
di controllo Molise,
deliberazione
05.02.2008 n. 1
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI:
Incarichi esterni, ostacolo doppio. Affidamenti
illegittimi senza programma annuale e regolamento. Gli enti
non potranno concludere contratti con soggetti privi di
laurea.
L’affidamento di incarichi di studio, di ricerca o di
consulenze a soggetti estranei all’amministrazione richiede
la previa definizione del programma approvato dall’organo
consiliare e una specifica previsione regolamentare per
stabilire criteri, limiti, modalità di affidamento e tetto
annuo della spesa. In assenza di questi due atti (programma
annuale e regolamento), il conferimento dei suddetti
incarichi è illegittimo.
È quanto si evince dalla lettura dei commi 54 e 55 dell’art.
3 della legge finanziaria 2008 ... (articolo
ItaliaOggi dell'01.02.2008, pag. 18). |
INCARICHI PROFESSIONALI:
Il conferimento di un incarico professionale di
consulenza per gli aspetti geologici nell’ambito della
redazione di un piano strutturale (urbanistico) e di un
regolamento edilizio non rientra né nell’ambito della
disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi
invero di un’attività professionale –qualificata locatio
operis– riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria
del professionista), né in quella degli appalti di servizi
(non rinvenendosi i caratteri propri dell’appalto di
servizio ex art. 1655 C.C. e art. 3 del decreto legislativo
17.03.1995, n. 157, giacché l’appalto si distingue dal
contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una
media o grande impresa).
D’altra parte, anche se non è espressamente disciplinato il
conferimento di tali incarichi fiduciari, in base ai
principi di trasparenza e di buon andamento
l’amministrazione può stabilire le regole per
l’individuazione in concreto del soggetto più idoneo ed
adeguato (per professionalità, esperienze, conoscenze
tecniche) cui conferire il predetto incarico fiduciario,
regole alle quali essa stessa è poi ineluttabilmente
vincolata, proprio in ossequio ai principi fondamentali di
legalità, imparzialità e buon andamento fissati
dall’articolo 97 della Costituzione.
In tal caso, le prescrizioni contenute nel bando di gara e
nella lettera d'invito costituiscono la lex specialis della
gara e vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa
amministrazione che non conserva, perciò, alcun margine di
discrezionalità nella loro concreta attuazione, né può
disapplicarle (neppure nel caso in cui talune delle regole
stesse risultino inopportune, salva la possibilità di far
luogo, nell'esercizio del potere di autotutela,
all'annullamento del bando).
Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo
svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei
partecipanti, nonché la salvaguardia del valore della loro
par condicio, impongono, poi, di ritenere di stretta
interpretazione le clausole del bando di gara, per cui deve
essere preclusa qualsiasi esegesi delle stesse non
giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato
ovvero palesante significati non desumibili dalla loro
originaria formulazione; a tale principio si oppone quello
della sanabilità delle (sole) irregolarità formali, di
derivazione comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento
interno, che consente di attenuare il rilievo delle
prescrizioni formali della procedura concorsuale, sempreché
esse non incidano sull'assetto sostanziale degli interessi
coinvolti nella procedura e non alterino le regole
riguardanti la par condicio dei concorrenti e purché
sussistano dubbi sulla esatta portata delle prescrizioni di
gara ovvero le stesse possano dar luogo a più
interpretazioni sugli adempimenti richiesti alle imprese.
Diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza gravata, il
conferimento di un incarico professionale di consulenza per
gli aspetti geologici nell’ambito della redazione di un
piano strutturale (urbanistico) e di un regolamento edilizio
non rientra né nell’ambito della disciplina degli appalti di
lavori pubblici (trattandosi invero di un’attività
professionale –qualificata locatio operis– riferibile
ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista,
Cass. SS.UU. 19.10.1998, n. 10370; C.d.S., sez. IV,
27.11.2000, n. 6315; 28.08.2001, n. 4573; sez. VI,
04.09.2002, n. 4433), né in quella degli appalti di servizi
(non rinvenendosi i caratteri propri dell’appalto di
servizio ex art. 1655 C.C. e art. 3 del decreto legislativo
17.03.1995, n. 157, giacché l’appalto si distingue dal
contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una
media o grande impresa, C.d.S., sez. IV, 28.08.2001, n.
4573).
D’altra parte, anche se non è espressamente disciplinato il
conferimento di tali incarichi fiduciari, in base ai
principi di trasparenza e di buon andamento
l’amministrazione può stabilire le regole per
l’individuazione in concreto del soggetto più idoneo ed
adeguato (per professionalità, esperienze, conoscenze
tecniche) cui conferire il predetto incarico fiduciario,
regole alle quali essa stessa è poi ineluttabilmente
vincolata, proprio in ossequio ai principi fondamentali di
legalità, imparzialità e buon andamento fissati
dall’articolo 97 della Costituzione.
In tal caso, le prescrizioni contenute nel bando di gara e
nella lettera d'invito costituiscono la lex specialis
della gara e vincolano non solo i concorrenti, ma la stessa
amministrazione che non conserva, perciò, alcun margine di
discrezionalità nella loro concreta attuazione (ex
pluribus, C.d.S., sez. IV, 21.05.2004, n. 3297; sez. V,
10.01.2005, n. 32; 13.11.2002, n. 6300), né può
disapplicarle (neppure nel caso in cui talune delle regole
stesse risultino inopportune, salva la possibilità di far
luogo, nell'esercizio del potere di autotutela,
all'annullamento del bando, C.d.S., sez. V, 30.12.2004, n.
8292; sez. VI, 01.10.2003, n. 5712; 14.01.2002, n. 166).
Le preminenti esigenze di certezza, connesse allo
svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei
partecipanti, nonché la salvaguardia del valore della loro
par condicio, impongono, poi, di ritenere di stretta
interpretazione le clausole del bando di gara, per cui deve
essere preclusa qualsiasi esegesi delle stesse non
giustificata da un'obiettiva incertezza del loro significato
ovvero palesante significati non desumibili dalla loro
originaria formulazione (C.d.S., sez. V, 15.04.2004, n.
2162); a tale principio si oppone quello della sanabilità
delle (sole) irregolarità formali, di derivazione
comunitaria e rilevante anche nell'ordinamento interno, che
consente di attenuare il rilievo delle prescrizioni formali
della procedura concorsuale, sempreché esse non incidano
sull'assetto sostanziale degli interessi coinvolti nella
procedura e non alterino le regole riguardanti la par
condicio dei concorrenti (C.d.S., sez. V, 04.02.2004, n.
364) e purché sussistano dubbi sulla esatta portata delle
prescrizioni di gara (C.d.S., sez. V, 25.01.2003, n. 357)
ovvero le stesse possano dar luogo a più interpretazioni
sugli adempimenti richiesti alle imprese (C.d.S., sez, V,
02.03.1999, n. 223)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.01.2008 n. 263 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Ritenuto
in diritto:
L’articolo 2 della legge 248/2006 ha disposto l’abrogazione
delle disposizioni legislative e regolamentari che
prevedono, con riferimento alle attività libero
professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe
fisse o minime. Il comma 2 del medesimo articolo, dispone
che “nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni
appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente
ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per
la determinazione dei compensi per attività professionali.”
Con determinazione n. 4 del 29.03.2007, l’Autorità ha
evidenziato che, per quanto riguarda le modalità di
definizione dell’importo stimato dell’appalto, le stazioni
appaltanti possono legittimamente determinare il
corrispettivo a base d’asta applicando il D.M. 04.04.2001,
richiamato dall’articolo 253, comma 17, del d. Lgs. n.
163/2006, la cui validità è stata confermata dalla Corte
Costituzionale con ordinanza n. 352/2006.
La citata determinazione ha richiamato il principio di
adeguatezza previsto dall’articolo 2233 del codice civile,
che stabilisce che “in ogni caso la misura del compenso deve
essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della
professione”, con ciò ponendo all’attenzione delle stazioni
appaltanti la necessità di porre a base di gara un
corrispettivo congruo.
L’esigenza dell’individuazione di un corrispettivo stimato
congruo negli affidamenti di incarichi di progettazione, e
più in generale in tutti gli appalti pubblici, assume una
particolare rilevanza sotto il profilo del principio della
tutela della concorrenza, alla luce della recente pronuncia
della Corte Costituzionale n. 401/2007.
Come evidenziato dalla Suprema Corte, le specifiche finalità
perseguite dal citato principio, tese ad assicurare che le
procedure di gara si svolgano nel rispetto delle regole
concorrenziali poste a presidio della libera partecipazione
degli operatori economici, in assenza di ostacoli e
barriere, devono costituire il fulcro dell’attività
contrattuale delle stazioni appaltanti, siano esse di ambito
nazionale ovvero di ambito regionale.
Nel caso in esame, la Provincia di Gorizia ha ritenuto di
calcolare il prezzo stimato della prestazione da porre a
base d’asta, alla luce della percentuale di spese tecniche
riconosciute dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il
decreto del Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia
n. 453 del 20.12.2005 “Legge regionale 31.05.2002, n. 14,
articolo 56, comma 2. Determinazione aliquote spese di
progettazione, generali e di collaudo”.
Detto decreto, emanato ai sensi dell’articolo 56, comma 2,
della legge regionale n. 14/2002, rubricato “concessione del
finanziamento a enti pubblici”, è volto ad individuare gli
oneri per spese tecniche generali e di collaudo da
riconoscersi in caso di concessione di finanziamenti da
parte dell’amministrazione regionale e prevede che le
aliquote da applicarsi per gli oneri di progettazione,
sempre e solo ai fini del finanziamento, sono calcolate
secondo le aliquote desunte dalla tabella A) al medesimo
decreto, in relazione alla categoria di appartenenza
dell’opera e sono calcolate sull’ammontare dei lavori,
esclusi eventuali incrementi o diminuzioni conseguenti ad
aumenti o ribassi d’asta e sull’ammontare delle acquisizioni
delle aree e degli immobili. Dette aliquote, dispone il
citato decreto, devono intendersi massime, forfetarie ed
omnicomprensive.
Quanto sopra non attiene, né può attenere, alla
quantificazione del corrispettivo a base d’asta per le
prestazioni professionali dell’ingegnere o dell’architetto,
la cui tipologia ed i relativi onorari non possono
discostarsi da quelli previsti dalla legge n. 143/1949 e dal
D.M. 04.04.2001.
Ciò in quanto la quantificazione degli onorari dei
progettisti di opere pubbliche, individuata dalle norme
sopra richiamate, è volta alla determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni di che trattasi, nel rispetto
dei diritti di detti professionisti, a garanzia della
correttezza dell’esercizio professionale, prodromico alla
realizzazione a regola d’arte dell’appalto di lavori oggetto
dell’attività di progettazione.
E tale sembra essere la volontà del legislatore che,
all’articolo 92, comma 3 del d. Lgs. n. 163/2006, ha
disposto che i corrispettivi delle attività di progettazione
sono calcolati, ai fini della determinazione dell’importo da
porre a base dell’affidamento, applicando le aliquote di cui
al D.M. 04.04.2001.
Detta statuizione è stata riconfermata dal correttivo al
codice dei contratti di cui al d. Lgs. n. 113 del
31.07.2007, che, nel recepire l’abrogazione dei minimi
tariffari inderogabili attuata dalla legge 248/2006, ha
mantenuto in vita la citata previsione di cui al comma 3
dell’articolo 92.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che il prezzo stimato
della prestazione da porre a base d’asta per le attività di
progettazione deve essere riferito alle tariffe
professionali di cui al D.M. 04.04.2001 (parere
23.01.2008 n. 14
- link a massimario.avlp.it). |
ENTI LOCALI: Affidamento
di incarichi a soggetti esterni alla pubblica
amministrazione (n. 4 allegati)
(link a www.anci.lombardia.it). |
APPALTI: Ritenuto
in diritto:
Per la soluzione della questione sottoposta all’attenzione
dell’Autorità, si fa presente che rientra nella potestà
discrezionale della stazione appaltante disporre
l’annullamento di una procedura di affidamento di un
contratto pubblico, secondo gli ordinari canoni della
autotutela, laddove sussistano ragioni di opportunità e di
interesse pubblico attuale e concreto.
La potestà di agire in autotutela per revocare o annullare
l'esito della procedura di gara risiede nel principio
costituzionale di buon andamento che impegna
l'amministrazione ad adottare atti per la migliore
realizzazione del fine pubblico perseguito, nell'esigenza
che l'azione amministrativa si adegui all'interesse pubblico
allorquando questo muti o vi sia una sua diversa
valutazione.
Nel caso in esame, nell’operato dell’Amministrazione di
Verolengo non si rilevano elementi di non conformità ai
principi sopra indicati, attesa la valutazione di eccessiva
onerosità della spesa e di eccessiva discrezionalità dei
criteri di valutazione individuati per l’affidamento.
Inoltre, in relazione ai criteri di valutazione delle
candidature, si deve riscontrare un ulteriore elemento di
non conformità alla normativa di settore, in base al quale
sussistono le condizioni per procedere in autotutela
all’annullamento della procedura in esame: l’avviso pubblico
in esame non riportava i criteri ed i punteggi per la
valutazione delle candidature, individuati, invece, nella
determinazione n. 182/2006.
Con parere n. 106/2007 l’Autorità ha espresso l’avviso,
richiamando la giurisprudenza comunitaria, secondo il quale
tutti i criteri presi in considerazione ai fini
dell’aggiudicazione devono essere espressamente menzionati
nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, affinché i
concorrenti siano posti in grado di conoscere la loro
esistenza e la loro portata, e che, al fine di garantire il
rispetto dei principi di parità di trattamento e di
trasparenza, tutti gli elementi presi in considerazione
dall’amministrazione aggiudicatrice per identificare
l’offerta devono essere resi noti ai potenziali concorrenti
al momento della preparazione delle loro offerte.
Pertanto, la commissione giudicatrice si deve limitare a
fissare in via generale i criteri motivazionali in base ai
quali attribuire a ciascun criterio e subcriterio di
valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo
prestabiliti dal bando.
Si richiama, pertanto, la Stazione appaltante ad una
maggiore trasparenza nella redazione degli avvisi di
conferimento incarichi di progettazione di importo inferiore
a 100.000 euro.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio ritiene,
nei limiti di cui in motivazione, che la procedura di
annullamento in autotutela dell’affidamento dell’incarico
professionale di che trattasi è conforme alla normativa di
settore (parere
16.01.2008 n. 3
- link a massimario.avlp.it). |
anno 2007 |
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COMPETENZE PROGETTUALI - INCARICHI PROGETTUALI:
La progettazione di opere
di sistemazione idraulica di corsi d'acqua rientra nelle
competenze esclusive dell'ingegnere.
Lo svolgimento della progettazione richiamata in oggetto da
parte di professionisti geometri è illegittima e, pertanto,
non abilita la stazione appaltante al pagamento dei compensi
professionali.
Il sub-affidamento delle attività di verifica idrogeologica
ad un ingegnere è in contrasto con l'art. 91, comma 3, del
D.Lgs. n. 163/2006 e s.m., inerente il divieto di subappalto
dei servizi di ingegneria.
--------------
L'assegnazione degli incarichi in parola tramite affidamento
diretto non è conforme alle indicazioni dell'art. 57, comma
5, lett. b) e dell'art. 125, comma 11, del D.Lgs. n.
163/2006 (in via transitoria DPR n. 384/2001), non
ricorrendo i presupposti per l'applicazione delle norme
citate.
... il Consiglio:
2) rileva che la progettazione di opere di sistemazione
idraulica di corsi d'acqua rientra nelle competenze
esclusive dell'ingegnere;
3) rileva che lo svolgimento della progettazione richiamata
in oggetto da parte di professionisti geometri è illegittima
e che pertanto non abilita la stazione appaltante al
pagamento dei compensi professionali;
4) rileva che il sub-affidamento delle attività di verifica
idrogeologica ad un ingegnere è in contrasto con l'art. 91,
comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m., inerente il divieto
di subappalto dei servizi di ingegneria;
5) rileva che l'assegnazione degli incarichi in parola
tramite affidamento diretto non è conforme alle indicazioni
dell'art. 57, comma 5, lett. b) e dell'art. 125, comma 11,
del D.Lgs. n. 163/2006 (in via transitoria DPR n. 384/2001),
non ricorrendo i presupposti per l'applicazione delle norme
citate (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di
Lavori, Servizi e Forniture,
deliberazione 20.12.2007 n. 316). |
ENTI LOCALI:
Parere sulla corretta imputazione dei costi inerenti il
conferimento degli incarichi di cui all’art. 110, comma 6,
del T.U.E.L. nonché sulle tipologie di spesa da escludere
dal novero delle spese di personale (Corte dei Conti,
Sez. regionale di controllo Toscana,
parere 19.11.2007 n. 17
- link a www.corteconti.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Contenimento
spesa pubblica appalto servizi consulenza.
Il sindaco del Comune XXX chiede se l’affidamento di
incarico a professionisti esterni per progettazione e
direzione lavori rientri tra quelli inseriti nell’anagrafe
delle prestazioni, istituita a fini di contenimento della
spesa pubblica, presso il Dipartimento della funzione
pubblica, per incarichi di studio, ricerca e consulenza, con
l’art. 24 della Legge 30.12.1991, n. 412 (Regione Piemonte,
parere n. 35/2007 - link a
www.regione.piemonte.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Oggetto: conferimento incarichi
di collaborazione esterna
(CGIL-FP di Bergamo,
nota 22.05.2007). |
INCARICHI PROGETTUALI:
Guida alla professione di ingegnere - Le
tariffe professionali e la loro applicazione
- Volume IV (febbraio 2007
- tratto da www.centrostudicni.it). |
anno 2006 |
|
INCARICHI PROFESSIONALI:
L. Oliveri,
La configurazione delle consulenze e delle
prestazioni d'opera ai fini
dell'applicazione del codice dei contratti -
le procedure comparative per gli incarichi
di collaborazione (dicembre
2006 - link a www.lexitalia.it). |
INCARICHI
PROFESSIONALI: R.
Pizzulo,
I nuovi obblighi per i professionisti
(AL n. 11/2006) |
INCARICHI
PROFESSIONALI: Comune:
presupposti per ricorrere a incarichi esterni da parte della
p.a..
La pubblica
amministrazione non può ricorrere a incarichi esterni ma
deve di norma perseguire i fini istituzionali utilizzando il
proprio personale, salvo che ciò non sia ragionevolmente
possibile, o perché l'attività che deve essere svolta
richiede un apporto professionale particolarmente elevato
sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché, per
ragioni contingenti e transitorie (quali l'insufficienza del
personale in organico a far fronte al carico di lavoro),
anche compiti, che sarebbero normalmente assolti con
l'utilizzo della struttura interna, rendono viceversa
necessario avvalersi di personale esterno.
Questa la decisione della
Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Sardegna,
sentenza 12.10.2006 n. 615.
La vicenda ha riguardato un
Comune che aveva affidato l’incarico ad un professionista
eterno all’ente per provvedere al riordino ed alla
riorganizzazione del Settore Lavori Pubblici con la finalità
da renderlo più razionale ed efficiente.
La pianta organica, approvata con deliberazione della Giunta
comunale, relativa alla struttura interessata era composta
da dieci unità di cui solo tre dell’area B, tra cui, un
dipendente dell’area D1, nominato responsabile del servizio
con funzioni dirigenziali, il cui incarico rientrante
nell'area delle posizioni organizzative, secondo il CCNL
siglato il 31.03.1999, prevedeva assunzione diretta di
elevata responsabilità di prodotto e di risultato e, tra
l'altro, svolgimento di funzioni di direzione di unità
organizzative di particolare complessità, caratterizzate da
elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa.
Questo ha comportato, ad avviso della Corte, una
duplicazione, perché ha avuto ad oggetto lo svolgimento di
compiti che rientravano nell'attività ordinaria del
funzionario responsabile del Settore interessato,
concretizzandosi dunque un danno per l'amministrazione che
ha corrisposto il relativo compenso.
Pertanto, conclude la Sezione giudicante, deve ritenersi
palesemente contrario ad elementari principi di economicità
ed utilità della spesa il pagamento di un consulente per lo
svolgimento di un'attività già istituzionalmente affidata
alla cura di un funzionario comunale.
Riassumendo le indicazione della Corte dei Conti nella
presente sentenza, la pubblica amministrazione deve
ricorrere di norma al proprio personale; può affidare
incarichi esterni quando rispetta le seguenti prescrizioni:
● quando l’attività da svolgere richiede un apporto
professionale elevato sotto il profilo tecnico-scientifico;
● per ragioni contingenti e transitorie, come
l’insufficienza del personale in organico a far fronte al
lavoro;
● quando non comporti una duplicazione di attività che
dovevano essere svolte dagli uffici;
● se ha un oggetto determinato al fine di poter
concretamente apprezzare l'effettivo adempimento della
prestazione da parte del consulente e l'utilità della stessa
per l'amministrazione committente (link
a www.altalex.com). |
INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO:
L'art. 25 della Legge 724/1994
vieta alle amministrazioni di affidare
incarichi a proprio personale cessato per
pensionamento di anzianità.
Il divieto copre ogni forma di incarico
compreso il rapporto di lavoro subordinato e
non solo il rapporto di consulenza, studio,
ricerca od altro.
... emerge anzitutto la necessità di
stabilire quale sia la reale portata del
divieto di conferire incarichi al personale
cessato dal servizio per pensionamento di
anzianità, di cui all'art. 25 della l. n.
724/1994, perché qualora fosse vero che esso
ha valore assoluto, sia con riferimento
all'oggetto, che ai “soggetti attivi”
e “passivi”, nel senso che
l'Amministrazione non può mai, in nessun
caso ed in nessun tempo, conferire incarichi
ai propri ex dipendenti cessati dal servizio
a domanda, come lascerebbe intendere parte
attrice (v. pag. 11 della citazione e
successivi, conformi interventi), allora
apparirebbero del tutto superflue, per la
risoluzione dell'odierna controversia, le
ulteriori norme invocate da parte attrice
medesima sulla disciplina generale degli
incarichi, stante le peculiarità del caso.
I resistenti, come detto poc'anzi, hanno
sostenuto che difettano, nella fattispecie
all'esame, i presupposti applicativi del
precitato art. 25, sia perché si verte in
ipotesi di lavoro subordinato, e non già di
vera e propria consulenza, sia perché l'art.
72, comma 1, della l. n. 388/2000 avrebbe
modificato, a loro avviso, il ripetuto
articolo art. 25, dando luogo “ad una
sostanziale equiparazione delle pensioni
liquidate con anzianità contributiva pari o
superiore ai 40 anni, alle pensioni di
vecchiaia” (v. precedente paragrafo XI).
Il Collegio ritiene che per poter ben
comprendere la reale porta dell'art. 25
della l. n. 724/1994, che indubbiamente
contiene una “norma di divieto”,
occorra anzitutto individuare quale siano i
beni-valori a tutela dei quali è stato posto
il divieto stesso.
Soccorre al riguardo la lettera della norma
che, nel suo incipit, espressamente
correla il divieto in discorso al dichiarato
fine di “garantire piena ed effettiva
trasparenza e imparzialità (alla) azione
amministrativa”; in tal senso, del resto, la
stessa Corte costituzionale ha chiarito che
“la disposizione tende ad arginare il
fenomeno di dimissioni accompagnate da
incarichi ad ex dipendenti, sì da garantire
la piena ed effettiva trasparenza e la
imparzialità dell'azione amministrativa”
(cfr. sent. n. 406/1995, pure richiamata da
parte attrice).
Nel contesto dell'art. 25 della l. n.
724/1994, dunque, la “trasparenza” e
l'“imparzialità” passano da attributi
generali dell'azione amministrativa a
specifici beni-valori da tutelare, in
relazione agli abusi intrinsecamente
presenti nel conferimento di incarichi a
chi, già dipendente dall'Amministrazione che
gli incarichi stessi attribuisce, ha
volontariamente posto fine al suo rapporto
di servizio con l'Amministrazione medesima,
così manifestando un chiaro disinteresse
all' espletamento di ulteriori attività
lavorativa con essa.
In altri termini, a fronte di un siffatto
disinteresse, il citato art. 25 recepisce e
positivizza l'idea, diffusa tra i
consociati, secondo la quale è oltremodo
contraddittorio, e perciò contrario ai
canoni di giustificatezza e ragionevolezza
che presiedono alla trasparenza ed
all'imparzialità amministrativa, ex artt. 3
e 97 cost., affidare incarichi ai dipendenti
pubblici che volontariamente cessino dal
servizio, in quanto costoro se avessero
voluto ancora lavorare per la loro ex
Amministrazione di appartenenza non
avrebbero certo chiesto di andare in
pensione.
E' evidente infatti l'irrazionalità, anche
economica, del conferimento di un incarico
in simili condizioni, ove si consideri che
l'attività commissionata con l'incarico
stesso sarebbe stata remunerata con il solo
stipendio, se il dipendete fosse rimasto
ancora in servizio, laddove -dopo le
dimissioni- il compenso per il ripetuto
incarico si aggiunge alla pensione, ossia
alla “retribuzione differita” dall'ex
dipendente medesimo, con un sensibile
aumento dei costi complessivi e,
soprattutto, senza assicurare una nuova
professionalità di ricambio, alla
conclusione dell'incarico. E ciò poi, è
appena il caso di rilevarlo, è ancora più
ingiusto ed incomprensibile ove si consideri
che di regola è lo stesso ex dipendente ad
aver creato l'esigenza lavorativa che
l'incarico tende a superare, come nel caso
di specie, cessando volontariamente dal
servizio.
Così individuata la ratio, le
finalità e l'oggetto specifico della tutela
del “divieto” posto dall'art. 25
della l. n. 724/1994, è evidente che esso
copre ogni forma di incarico, e non solo
quelle di “consulenza” in senso
stretto, contrariamente a quanto sostenuto
in proposito dai difensori dei convenuti.
D'altronde se, ai fini di una diversa
conclusione, può indurre a dubbi
l'intestazione dell'art. 25, che menziona
solo gli “incarichi di consulenza”,
la lettera della norma elimina ogni
incertezza, riferendosi chiaramente oltre
che agli “incarichi di consulenza, studi e
ricerca”, anche agli incarichi di “collaborazione”
tout-court, nei quali sicuramente si
collocano anche quelli che danno luogo ad un
rapporto di lavoro subordinato.
Per questi ultimi, anzi, l'irrazionalità è
ancora maggiore -dal lato
dell'Amministrazione che conferisce
l'incarico-, visto che l'incarico stesso
riveste la medesima natura del rapporto di
lavoro appena dismesso, mentre -dal lato
dell'ex dipendente- può trovare
giustificazione solo nel compenso che egli
percepisce in aggiunta alla pensione (Corte
dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria,
sentenza 27.07.2006 n. 235 - link
a www.corteconti.it). |
anno 2005 |
|
INCARICHI PROGETTUALI - URBANISTICA:
Chi nomina l'esperto che deve
redigere il P.R.G.?
Il Consiglio di Stato ha stabilito che
spetti ai dirigenti.
La Giunta Comunale delibera di affidare
l'incarico per la redazione del P.R.G. a due
architetti, scelti intuitus personae.
Il TAR annulla detta delibera in quanto resa
da organo incompetente a decidere sulla
materia in oggetto.
Il Consiglio di Stato rigetta l'appello
proposto dal Comune, confermando la sentenza
di primo grado,e precisa che correttamente
il TAR ha stabilito che spettano alla
Giunta, in base agli artt. 48 e 107 del T.U.
18.08.2000 n. 267, funzioni di indirizzo e
di controllo politico-amministrativo e non
già quelle di attribuzione di un incarico
professionale.
Infatti, la scelta del contraente per
l'affidamento di un incarico per lo
svolgimento di una prestazione d'opera
intellettuale, ai sensi dell'art. 2230 del
codice civile, sia a seguito di una gara
informale o privata o anche per trattativa
privata, è atto di gestione e non ha alcuna
finalità di indirizzo.
Non è altro che l'individuazione del
soggetto o dei soggetti che appaiono più
quotati, secondo regole obiettive
prefissate, per il conseguimento delle
finalità che la p.a. intende perseguire.
L'attività di indirizzo, invece, riservata
agli organi elettivi o politici del comune,
si risolve e si esplica nella sola
fissazione delle linee generali da seguire e
degli scopi da raggiungere con l'attività di
gestione.
Nell'attività di indirizzo,riservata alla
Giunta, quindi, non rientra la scelta di un
contraente qualsiasi dell'ente e, ancor
meno, quella di professionisti forniti di
titoli adeguati per la redazione di
strumenti di pianificazione del territorio.
Questa scelta, invece, è attribuita per
legge ai dirigenti, secondo il disposto
dell'art. 107 del t.u. già citato o ad una
commissione composta da soggetti aventi
adeguata esperienza professionale che siano
in grado di condurre un'attenta selezione
ispirata al soddisfacimento di così
peculiari esigenze tecniche (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.09.2005 n. 4654 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
INCARICHI PROGETTAZIONE:
La possibilità di costituire gruppi di progettazione misti,
formati da dipendenti di più amministrazioni, non è
consentita dall’articolo 17, comma 1, della legge
11.02.1994, n. 109 e s.m., essendo prevista, peraltro,
(dallo stesso comma 1, lett. b), la possibilità che
l’attività di progettazione sia espletata da “uffici
consortili di progettazione e di direzione dei lavori”
costituiti con le modalità stabilite dagli artt. 24 e s.s.
della legge n. 142/1990, ora disciplinate dagli artt. 30 e
s.s. del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali (D.Lgs. 18.08.2000, n. 267).
---------------
La procedura, adottata dalla stazione appaltante per
l’affidamento degli incarichi di consulenza e supporto alla
progettazione, mancante di qualsiasi confronto
concorrenziale appare non conforme alle norme della legge
quadro sui lavori pubblici e del relativo regolamento di
attuazione.
Con particolare riferimento all’affidamento di incarichi di
importo compreso tra 100.000 e 200.000 euro, la stazione
appaltante avrebbe dovuto ricorrere alla licitazione
privata, sulla base dei criteri e delle modalità fissati
dagli artt. 62 ss. del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e s.m., nel
rispetto dei principi generali della trasparenza e del buon
andamento richiamati dall’art. 17, comma 11, della legge
11.02.1994, n. 109 e s.m.
Con riguardo, invece, ad incarichi di consulenza e supporto
alla progettazione conferiti per un corrispettivo presunto
superiore alla soglia di applicazione della disciplina
comunitaria in materia di appalti pubblici di servizi, si
sarebbe dovuta adottare -ai sensi dell’articolo 17, comma
10, della citata legge n. 109/1994 e s.m. una
procedura di affidamento conforme alle disposizioni di cui
al Decreto Legislativo 17.03.1995, n. 157.
Quest’ultima procedura, in mancanza di motivi di impellente
urgenza che consentono l’affidamento del servizio a
trattativa privata, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lett.
d, del citato D.Lgs. n. 157/1995, avrebbe dovuto comunque
osservarsi, anche ove si volesse ammettere che l’attività in
questione si qualifichi quale mera consulenza, in quanto i
servizi di consulenza in materia d’ingegneria sono compresi
nella categoria 12 dell’allegato 1 al D.Lgs. n. 157/1995
(riferimento CPC n. 867) (deliberazione
22.06.2005 n. 69 -
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anno 2004 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
La decisione di affidare, mediante separati avvisi, gli
incarichi di redazione del progetto esecutivo, di direzione
lavori, di coordinatore per la sicurezza nella fase di
progettazione e di esecuzione, di redazione della relazione
geologica -benché tale suddivisione non comporti un aumento
di spesa e l’ammontare complessivo dei corrispettivi per le
citate attività sia inferiore al limite della c.d. “prima
fascia” di cui all’articolo 17, comma 12, della legge
11.02.1994, n. 109 e s.m.- non appare conforme all’art. 17,
comma 14, della medesima legge, ove prescrive che “nel
caso di affidamento di incarichi di progettazione ai sensi
del comma 4, l’attività di direzione dei lavori è affidata,
con priorità rispetto ad altri professionisti esterni, al
progettista incaricato...”.
Finalità della norma è quella di rendere unitario
l’affidamento delle prestazioni, evitando, per quanto
possibile, confusioni di responsabilità.
Relativamente alla circostanza che il responsabile del
procedimento abbia svolto la funzione di progettista per un
intervento risultato d’importo superiore a 500.000 Euro
soltanto dopo che è emersa, in sede di redazione del
progettazione preliminare, l’opportunità di ricorrere a
differenti modalità di realizzazione (concessione) nonché di
prevedere maggiori lavori, si rammenta che l’art. 15, comma
5, del D.P.R. 21.12.1999, n. 554 e s.m. prevede che già nel
documento preliminare alla progettazione siano indicati, tra
l’altro, il sistema di realizzazione da impiegare, i limiti
finanziari da rispettare, la stima dei costi e le fonti di
finanziamento (deliberazione
19.05.2004 n. 97-bis - link
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anno 2002 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
Con riferimento al
conferimento di incarichi di progettazione a professionisti
esterni all’Amministrazione, la espressa previsione di voler
operare il detto conferimento sulla base dei curricula
presentati dai progettisti indica un criterio di
aggiudicazione avente un indubbio valore oggettivo.
L’utilizzo del criterio dei curricula non preclude certo la
possibilità per l’Amministrazione di fissare particolari
modalità di selezione dei progettisti, restando comunque
esclusa la possibilità di una chiamata diretta a piena
discrezione dell’ente. Il procedimento costituisce una
modalità, per quanto la si possa ritenere semplificata, di
evidenza pubblica, e non un’ipotesi speciale di ricorso alla
procedura negoziata.
Peraltro, nel caso di specie, l’avviso pubblico di cui è
questione opera espresso riferimento alle procedure di cui
al d.lgs. 157/1995. Ma è già sufficiente osservare che nella
presente ipotesi, come in tutti i casi in cui si proceda ad
una scelta comparativa di tipo concorsuale tra una pluralità
di offerte, l’Amministrazione appaltatrice deve rispettare i
canoni di imparzialità e buona amministrazione, per cui la
Pubblica amministrazione deve dar conto delle ragioni della
preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza
e specifica capacità professionale, desunti dal curriculum
del professionista prescelto.
Osserva in primo luogo il Collegio che l’originario
conferimento dell’incarico professionale di che trattasi al
controinteressato arch. Scardino è chiaramente illegittimo.
Avendo l’Amministrazione attivato una procedura selettiva,
con invito ai professionisti a produrre i proprio curricula,
è evidentemente priva di adeguata motivazione la scelta
all’epoca operata in assenza di ogni valutazione dei detti
curricula ovvero della esternalizzazione della necessaria
valutazione comparativa degli stessi. Peraltro, la detta
scelta risulta disposta sulla scorta di un criterio di
fatto, non indicato nell’avviso pubblico quale criterio
preferenziale per il conferimento dell’incarico di che
trattasi, rappresentato dall’essere il prescelto un
professionista del luogo.
Questo Tribunale ha ripetutamente affermato, peraltro in
sede di esame di ricorsi proposti dal medesimo odierno
ricorrente, un orientamento in materia che risulta ben più
autorevolmente ribadito dal giudice di appello. Da ultimo,
il Consiglio di Stato ha osservato che, con riferimento al
conferimento di incarichi di progettazione a professionisti
esterni all’Amministrazione, la espressa previsione di voler
operare il detto conferimento sulla base dei curricula
presentati dai progettisti indica un criterio di
aggiudicazione avente un indubbio valore oggettivo.
L’utilizzo del criterio dei curricula non preclude certo la
possibilità per l’Amministrazione di fissare particolari
modalità di selezione dei progettisti, restando comunque
esclusa la possibilità di una chiamata diretta a piena
discrezione dell’ente. Il procedimento costituisce una
modalità, per quanto la si possa ritenere semplificata, di
evidenza pubblica, e non un’ipotesi speciale di ricorso alla
procedura negoziata.
Peraltro, nel caso di specie, l’avviso pubblico di cui è
questione opera espresso riferimento alle procedure di cui
al d.lgs. 157/1995. Ma è già sufficiente osservare che nella
presente ipotesi, come in tutti i casi in cui si proceda ad
una scelta comparativa di tipo concorsuale tra una pluralità
di offerte, l’Amministrazione appaltatrice deve rispettare i
canoni di imparzialità e buona amministrazione, per cui la
Pubblica amministrazione deve dar conto delle ragioni della
preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza
e specifica capacità professionale, desunti dal curriculum
del professionista prescelto (cfr. Cons. Stato, V Sez.,
07.03.2001 n. 1339).
In definitiva, il conferimento di cui trattasi è, a giudizio
del Collegio, illegittimo e va, pertanto, annullato.
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Ed, in
effetti, come si è ricordato, il ricorrente ha rilevato in
ricorso il proprio interesse, in caso di accoglimento del
ricorso, al risarcimento del danno subito, da quantificare
sulla base del mancato guadagno e delle tariffe
professionali vigenti, oltre ai danni dovuti alla perdita di
chance, al mancato arricchimento del curriculum ed alle
spese vive affrontate per la partecipazione al bando per le
quali è chiesta in via principale determinazione equitativa
dell’adito giudice.
Orbene, essendo acclarato che è intervenuta la redazione del
progetto per il cui affidamento era causa, la pretesa
relativa al risarcimento del danno è fondata, attesa la
illegittimità degli avversati provvedimenti, l’ingiustizia
del danno così prodotto ed il nesso causale sussistente tra
i detti atti ed il danno subito dal ricorrente nonché
ricorrendo nel caso di specie un sicuro profilo di colpa
grave della resistente Amministrazione.
In particolare, il danno subito dal ricorrente, il cui
risarcimento grava sulla resistente Amministrazione
comunale, è dal Collegio quantificato nel 50% dell’onorario
minimo previsto dalle leggi di tariffa previste
dall’ordinamento professionale di categoria in relazione
alla prestazione richiesta con l’avviso pubblico e vede
essere liquidato nel termine di sessanta giorni dalla
notificazione ovvero dalla comunicazione della presente
sentenza (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 05.03.2002 n. 527 - link a www.giustizia-amministrativa). |
anno 2001 |
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INCARICHI PROGETTUALI:
L'articolo 17, co. 4, della legge 11.02.1994 n. 109 e s.m.,
nel disporre che gli incarichi di progettazione possono
essere affidati all'esterno in caso di carenza di organico
del personale tecnico della stazione appaltante accertata
dal responsabile del procedimento, non consente il ricorso a
tale procedura senza adeguata motivazione (deliberazione
02.05.2001 n. 150 - link
a
www.autoritalavoripubblici.it). |
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