dossier PISCINE |
anno 2024 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La piscina è una struttura di tipo edilizio che
incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata,
perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1,
lett. e), del DPR n. 380/2001 e non una pertinenza
urbanistica del fabbricato residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano
funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle
abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo
svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo
installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere
considerata pertinenza la realizzazione della piscina,
considerato che la stessa comporta una "durevole
trasformazione del territorio" la quale, sotto il profilo
urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione
non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del
Consiglio di Stato sulla nozione di pertinenza urbanistica
secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di modesta
entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali
ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di
impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i
manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una
propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale
sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e
specifica utilizzazione".
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2. Con il secondo motivo di appello l’appellante
deduce erronea motivazione. Travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto, contraddittorietà.
Evidenzia che la seconda doglianza era stata respinta
dall’adito Tribunale in ragione del fatto che le piscine “sono
assoggettate a contribuzione dall’art. 7 del D.M. 801/1977 e
non sono sempre pertinenziali dal punto di vista
urbanistico, ma solo a certe condizioni, di cui occorre dare
la prova”, mentre la piscina privata, contrariamente a
quanto affermato nell’impugnata sentenza, è sempre una
pertinenza, ed in quanto tale non è soggetta a titolo
abilitativo oneroso.
Il motivo non è fondato.
La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con
opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò
configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett.
e), del DPR n. 380/2001 e non, come sostenuto
dall'appellante, una pertinenza urbanistica del fabbricato
residenziale.
Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell'edificio cui accede.
La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano
funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle
abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo
svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo
installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere
considerata pertinenza la realizzazione della piscina,
considerato che la stessa comporta una "durevole
trasformazione del territorio" la quale, sotto il
profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto
a quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione
non può coincidere con la relativa nozione civilistica.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del
Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2019, n.
8192; id., 04.01.2016, n. 19; 24.07.2014, n. 3952; sez. V,
12.02.2013, n. 817; sez. VI, n. 100/2020) sulla nozione di
pertinenza urbanistica, che questo Collegio condivide,
secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera
principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il
contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa,
tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione
possiedono una propria autonomia rispetto all'opera
cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine
ad una diversa e specifica utilizzazione".
L’art. 7 del D.M. 10.05.1977, n. 801, in materia di
determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici
prevede che, in seguito alla realizzazione di una piscina
coperta o scoperta quando sia a servizio di uno o più
edifici comprendenti meno di 15 unità immobiliari, è
previsto un incremento del costo di costruzione del 10%,
pertanto il provvedimento impugnato si sottrae alla censura.
L’appello deve essere, conseguentemente, respinto (Consiglio
di Stato, Sez. VII,
sentenza 02.01.2024 n. 44 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Le opere di costruzione di una «piscina prefabbricata a pianta ovoidale, interrata, costituita da una struttura metallica e
pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte
celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni
rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una
volumetria di mc. 49,00 circa"
sostanziano una nuova costruzione
poiché stabilmente ancorate al suolo, che comportato una
alterazione permanente dei luoghi con aumento di superficie
e di volumetria, e che, pertanto, necessita(va)no di essere
assentite con un permesso di costruire.
Peraltro, la piscina interrata ha dimensioni tutt’altro che esigue,
pari a circa 49,00 mc. Sicché deve essere
esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è
connotata da una propria autonomia strutturale, economica e
funzionale.
Invero, «la nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica
dal momento che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico,
sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello
principale, incidono con tutta evidenza sull’assetto
edilizio preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire; tale criterio è stato applicato anche con
specifico riguardo alla realizzazione di una piscina
nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione
della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto
a quella propria dell’edificio al quale accede, non è
pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico.
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato
necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire
ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente
nel caso concreto».
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2. Il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo richiama
l’accertamento delle seguenti difformità urbanistiche:
«piscina prefabbricata a pianta ovoidale, ultimata ed in
uso, interrata, costituita da una struttura metallica e
pannelli zincati con telo interno gommoso di colori in tinte
celeste/azzurro, delimitata lungo il perimetro da mattoni
rossi, avente superficie coperta mq. 39,00 circa ed una
volumetria di mc. 49,00 circa.
Tale piscina interrata
insiste su un’area terrazzata, delimitata per tre lati da un
passamano in pali in legno di castagno, di superficie di mq.
92,00 circa, pavimentata in quadroni in c.l.s., sorretta da
una muratura in pietre in tufo, il cui lato maggiore
presenta una nicchia per alloggio pompa di riciclo delle
acque.
Ad essa si accede dai terrazzamenti sottostanti, a
mezzo di due scale in muratura, delimitate da passamano in
legno, una di larghezza m. 0,75 circa, l’altra di larghezza
m. 1,00 circa, quest’ultima presenta antistante area di
superficie mq. 20,00 pavimentata in quadroni in c.l.s.,
apposti a secco sul terreno».
Ciò premesso, con una prima doglianza contenuta nel ricorso
introduttivo, il ricorrente ha lamentato che erroneamente
l’amministrazione ha ritenuto che le opere necessitassero di
permesso di costruire, non essendo applicabile l’art. 31
D.P.R. 380/2001 in quanto gli interventi non avrebbero
determinato una trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio; piuttosto, secondo il ricorrente, gli interventi
rientrerebbero nell’ambito dell’attività edilizia libera in
applicazione dell’art. 6-bis DPR 380/2001.
La censura è tuttavia infondata, in quanto gli interventi
per cui è causa, la cui descrizione è contenuta
nell’ordinanza impugnata, integrano opere di nuova
costruzione, stabilmente ancorate al suolo, che hanno
comportato una alterazione permanente dei luoghi con aumento
di superficie e di volumetria, e che, pertanto,
necessitavano di essere assentite con un permesso di
costruire.
Peraltro, la piscina interrata, contrariamente all’assunto
del ricorrente, ha dimensioni tutt’altro che esigue, in
quanto dall’accertamento tecnico compiuto in data 26.09.2018
è emerso che essa misura circa 49,00 mc.
Inoltre deve essere
esclusa la natura pertinenziale dell’opera, in quanto essa è
connotata da una propria autonomia strutturale, economica e
funzionale.
Sul punto, il Collegio infatti aderisce all’orientamento
secondo cui «la nozione di pertinenza urbanistica ha
peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non
solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e
dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio
principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr.,
ex multis, TAR Catania n. 4564/2010), sicché gli
interventi che, pur essendo accessori a quello principale,
incidono con tutta evidenza sull’assetto edilizio
preesistente, determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.05.2018, n. 3115); tale criterio è stato applicato anche con
specifico riguardo alla realizzazione di una piscina
nell’area adiacente all’abitazione, la quale, in ragione
della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto
a quella propria dell’edificio al quale accede, non è
pertanto qualificabile come pertinenza in senso urbanistico
(TAR Campania, Napoli sez. III, 30.03.2018 n. 2033;
TAR Campania, Napoli, sez. III, 11.01.2018, n. 194;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503).
Ne consegue che, trattandosi di nuova opera, sarebbe stato
necessario il rilascio di un autonomo permesso di costruire
ex art. 10, co. 1, lett. a), D.P.R. 380/2001, tuttavia assente
nel caso concreto» (TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30.05.2018, n. 3569) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 08.05.2023 n. 2780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In termini distintivi tra interventi di nuova costruzione o
di ristrutturazione edilizia devono trovare applicazione i principi
di diritto, ripetutamente affermati da questo Consiglio di
Stato, in forza dei quali:
- al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del
territorio di un intervento edilizio, consistente in una
pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale,
atteso che la considerazione atomistica dei singoli
interventi non consente di comprenderne in modo adeguato
l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi
eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera
"frazionata";
- l'intervento di nuova costruzione consiste in una
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio,
attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia
del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di
amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità
fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò
intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato
al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene,
dunque, assunto nell'irreversibilità spazio-temporale
dell'intervento) che possono sostanziarsi o nella
costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o
nell'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della
sagoma stabilita;
- l'intervento di ristrutturazione edilizia, invece,
sussiste quando viene modificato un immobile già esistente
nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello
stesso: tuttavia, laddove il manufatto sia stato totalmente
trasformato, con conseguente creazione non solo di un
apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume
complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno
sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della
struttura originaria, l'intervento rientra nella nozione di
nuova costruzione; nella nozione di nuova costruzione
possono, dunque, rientrare anche gli interventi di
ristrutturazione qualora, in considerazione
dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla
collocazione dell'immobile, possa parlarsi di una modifica
radicale dello stesso, con la conseguenza che l'opera
realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da
quella preesistente;
- in definitiva, pur consentendo l'art. 10, comma 1, lett.
c), del D.P.R. n. 380 del 2001 di qualificare come
interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività
volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, implicanti modifiche della
volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti,
occorre conservare sempre una identificabile linea
distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di
nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo
quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di
portata limitata e comunque riconducibili all'organismo
preesistente;
- la ristrutturazione edilizia, a sua volta, deve essere
distinta dagli interventi di restauro e risanamento
conservativo;
- mentre la ristrutturazione può condurre ad un "un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente", il restauro e il risanamento conservativo "non
possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte
diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di
"conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la
funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c), della L. n. 457
del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett.
c), del D.P.R. n. 380 del 2001)";
- ne deriva che si è in presenza di un restauro e
risanamento conservativo qualora l'intervento sia funzionale
alla conservazione dell'organismo edilizio e ad assicurarne
la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici
(in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di
consentire la qualificazione dell'organismo in base alle
tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il
manufatto, configurandone l'immagine caratteristica) e
strutturali (concernenti la composizione della struttura
dell'organismo edilizio);
- in particolare, "la caratteristica degli interventi di
mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere
che non comportano l'alterazione delle caratteristiche
edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando
gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso,
mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza
per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al
precedente assetto dell'edificio";
- questo Consiglio, in
definitiva, ha precisato che "la finalità di conservazione,
caratteristica degli interventi di recupero e risanamento
conservativo, postula il mantenimento tipologico e
strutturale del manufatto; conseguentemente dovendosi
ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto
il profilo della distribuzione interna, l'originaria
consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la
modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto
di "manutenzione straordinaria" (e, a fortiori, di
restauro
o risanamento conservativo), ma quale "ristrutturazione
edilizia" (pertanto ravvisabile nella modificazione della
distribuzione della superficie interna e dei volumi e
dell'ordine in cui sono disposte le diverse porzioni
dell'edificio anche per il solo fine di renderne più agevole
la destinazione d'uso esistente)".
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La pavimentazione di
un’area di 700 mq e la realizzazione di una piscina danno
luogo ad interventi di nuova costruzione che
conducono all’edificazione di nuovi organismi edilizi
suscettibili di autonoma utilizzazione, per i quali risulta
prescritto il previo rilascio del prescritto permesso di
costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), DPR n. 380/2001, in
assenza del quale è dovuta la sanzione ripristinatoria ex art. 31 DPR n.
380/2001.
Non potrebbe diversamente argomentarsi ritenendo che nella
specie non si facesse questione di piscina, ma di mera vasca
di approvvigionamento idrico, tenuto conto che
l’Amministrazione ha sanzionato la realizzazione di un’opera
lunga metri 7, larga metri 2,30 e profonda metri 1,50 circa,
comportante una rilevante trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio: a prescindere dall’utilizzo
(destinazione alla balneazione o alla raccolta di acqua)
l’opera, implicando una modificazione dello stato materiale
e della conformazione del suolo, per adattarlo ad un impiego
diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua
condizione naturale e alla sua qualificazione –considerate la
profondità degli scavi e la quantità delle terre movimentate
occorrenti per realizzare un’opera quale quella in
contestazione– integra gli estremi della nuova
costruzione, sottoposta al previo rilascio del permesso di
costruire.
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1. Con ordinanza n. 20 del 25.07.2011 il Comune di Massa
di Somma, dato atto dell’esistenza di una villa per la quale
era stata presentata istanza di condono ai sensi della L. n.
47/1985 dalla Sig.ra De Si., alla stregua di quanto
emergente dalla relazione del locale Ufficio tecnico n. 4547
del 2011, ha riscontrato l’avvenuta realizzazione, ad opera
del Sig. An.Ga., delle seguenti opere:
- la pavimentazione con mattonelle in cemento del lato posto a nord
della villa, per una superficie di mq 700, nonché la
realizzazione su tale superficie di una piscina (lunga metri
7, larga metri 2,30 e profonda metri 1,50 circa),
fuoriuscente dal piano di campagna per metri 0,40, di una
piattaforma in muratura occupante una superficie di mq 16 e
posta a quota +0,60 rispetto al piano campagna accessibile
tramite tre scalini sempre in muratura, nonché di un locale
bagno diviso in tre vani (antibagno e due wc) e occupante
una superficie di mq 7 circa per un’altezza di metri 2,15
(la cui struttura portante era costituita da muratura su cui
poggiava la copertura in pannelli coibentati);
- la realizzazione di un corpo di fabbrica posto sul lato ovest,
alto mediamente metri tre e costituito da tre mini
appartamenti, ognuno dei quali composto da due vani e un wc,
con un piccolo cortiletto esterno, delimitato da un lato dai
muri del fabbricato e dagli altri lati da piccoli muretti;
- la trasformazione di un box abusivo di mq 25, già segnalato dai
VV.UU. con nota prot. n. 1990 del 05.11.1988 in un mini
appartamento costituito da una stanza e da un piccolo bagno;
- la trasformazione del piano terra della villa in un appartamento
autonomo, costituito da tre vani più due bagni e un piccolo
corridoio.
Per l’effetto, l’Amministrazione, con la medesima nota n.
20/11, ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori,
riscontrando la presenza di opere abusive.
Con successiva ordinanza n. 22 del 09.09.2011 lo
stesso Comune, richiamate l’ordinanza di sospensione n. 20
del 2011 e le opere sopra elencate, ha rilevato che:
- le opere in considerazione dovevano ritenersi abusive, in quanto
realizzate in assenza di permesso a costruire e delle
necessarie autorizzazioni e nulla osta;
- il fondo agricolo interessato dagli abusi:
a) risultava
destinato, nel vigente Programma di Fabbricazione, a zona E
(agricola), nel Piano Territoriale Paesistico dell’area
Vesuviana a zona P.I. (protezione integrale);
b) era ubicato
all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio; nonché
c)
risultava sottoposto anche al vincolo idrogeologico di cui
al R.D. n. 3267 del 1923;
- l’intero territorio comunale risultava vincolato ai sensi della
L. n. 1497/1939 e della L. n. 431/1985 sulla tutela delle
bellezze naturali, ricadeva nella zona rossa ad alto rischio
vulcanico, risultava sottoposto ai vincoli di cui alla L.R.
n. 21/2013 e alle norme di attuazione del Piano Stralcio
Assetto Idrogeologico, nonché era stato dichiarato zona
sismica con grado di sismicità pari a S=9 D.M. del 07.03.1981.
Per l’effetto, l’Amministrazione ha disposto la demolizione
delle opere de quibus.
Con ordinanza n. 688978 del 13.09.2011 la Regione Campania,
Settore provinciale del Genio civile di Napoli, riscontrando
l’esecuzione di opere in violazione del D.P.R. 380/2001 e
delle leggi vigenti in materia stante il mancato deposito
del progetto ai sensi dell’art. 2 L.R. n. 9/1983, al fine di
salvaguardare la pubblica e privata incolumità, tra l’altro,
ha ordinato al Sig. Ga. la sospensione immediata dei
lavori.
2. Il Sig. Ga., ricorrendo dinnanzi al Tar Campania, sede
di Napoli, ha impugnato le ordinanze nn. 20/2011, 22/2011 e
688978/2011 citate, deducendone l’illegittimità con
l’articolazione di plurimi motivi di censura.
3. Il Tar ha rigettato il ricorso, ravvisando l’infondatezza
delle doglianze attoree.
4. Il ricorrente in primo grado ha appellato la sentenza di
prime cure, censurandone l’erroneità con l’articolazione di
otto motivi di impugnazione.
5. La Regione Campania si è costituita in giudizio,
resistendo al ricorso.
6. L’appellante, con istanza del 26.09.2022, ha
chiesto il passaggio in decisione della controversia,
depositando in pari data copia degli avvisi di ricevimento
attestanti il perfezionamento della notificazione del
ricorso in appello.
...
9. Con il secondo motivo di appello è censurato il
capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto che le opere in
contestazione fossero soggette al previo rilascio del
permesso di costruire.
9.1 Secondo quanto dedotto dall’appellante, ferme la
riconducibilità delle opere in parola alla domanda di
condono edilizio, le stesse, in parte, preesistevano
all’acquisto con conseguente illegittimità dell’ordine di
demolizione reso in relazione ad un’attività di nuova
edificazione invero inesistente; in altra parte e, comunque,
non sarebbero riconducibili al regime del permesso di
costruire e dell’autorizzazione paesistica.
Per l’effetto, l’Amministrazione avrebbe, al più, potuto
applicare la sola sanzione pecuniaria ex art. 37 DPR n.
380/2001.
9.2 Il motivo di appello è infondato.
9.3 Nel rinviare alle considerazioni sopra svolte –nella
disamina del precedente motivo di impugnazione– in ordine
alla portata oggettiva della domanda di condono, nella
presente sede occorre evidenziare come le opere in concreto
eseguite abbiano integrato interventi di nuova costruzione o
di ristrutturazione edilizia abusivi, per i quali è stata
correttamente applicata la sanzione ripristinatoria.
In subiecta materia devono trovare applicazione i principi
di diritto, ripetutamente affermati da questo Consiglio di
Stato, in forza dei quali:
- al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del
territorio di un intervento edilizio, consistente in una
pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale,
atteso che la considerazione atomistica dei singoli
interventi non consente di comprenderne in modo adeguato
l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi
eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera
"frazionata" (Consiglio di Stato, sez. II, 18.05.2020,
n. 3164);
- l'intervento di nuova costruzione consiste in una
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio,
attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia
del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che,
indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di
amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità
fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò
intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato
al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene,
dunque, assunto nell'irreversibilità spazio-temporale
dell'intervento) che possono sostanziarsi o nella
costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o
nell'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della
sagoma stabilita (Consiglio di Stato, sez. VI, 03.03.2020,
n. 1536);
- l'intervento di ristrutturazione edilizia, invece,
sussiste quando viene modificato un immobile già esistente
nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello
stesso: tuttavia, laddove il manufatto sia stato totalmente
trasformato, con conseguente creazione non solo di un
apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume
complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno
sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della
struttura originaria, l'intervento rientra nella nozione di
nuova costruzione; nella nozione di nuova costruzione
possono, dunque, rientrare anche gli interventi di
ristrutturazione qualora, in considerazione dell'entità
delle modifiche apportate al volume e alla collocazione
dell'immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello
stesso, con la conseguenza che l'opera realizzata nel suo
complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente
(Consiglio di Stato, sez. II, 06.04.2020, n. 2304);
- in definitiva, pur consentendo l'art. 10, comma 1, lett.
c), del D.P.R. n. 380 del 2001 di qualificare come
interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività
volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente, implicanti modifiche della
volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti,
occorre conservare sempre una identificabile linea
distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di
nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando
le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata
limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.01.2016, n. 328);
- la ristrutturazione edilizia, a sua volta, deve essere
distinta dagli interventi di restauro e risanamento
conservativo;
- mentre la ristrutturazione può condurre ad un "un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente", il restauro e il risanamento conservativo "non
possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte
diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di
"conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la
funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c), della L. n. 457
del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett.
c), del D.P.R. n. 380 del 2001)" (Consiglio di Stato, Sez. II,
26.12.2020, n. 8337);
- ne deriva che si è in presenza di un restauro e
risanamento conservativo qualora l'intervento sia funzionale
alla conservazione dell'organismo edilizio e ad assicurarne
la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici
(in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di
consentire la qualificazione dell'organismo in base alle
tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il
manufatto, configurandone l'immagine caratteristica) e
strutturali (concernenti la composizione della struttura
dell'organismo edilizio);
- in particolare, "la caratteristica degli interventi di
mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere
che non comportano l'alterazione delle caratteristiche
edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando
gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso,
mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per
essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al
precedente assetto dell'edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent.,
02.09.2020, n. 5350)" (Consiglio di Stato, sez. II, 18.06.2021, n. 4701);
- questo Consiglio (sez. II, 02.04.2021, n. 2735), in
definitiva, ha precisato che "la finalità di conservazione,
caratteristica degli interventi di recupero e risanamento
conservativo, postula il mantenimento tipologico e
strutturale del manufatto; conseguentemente dovendosi
ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto
il profilo della distribuzione interna, l'originaria
consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la
modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto
di "manutenzione straordinaria" (e, a fortiori, di
restauro
o risanamento conservativo), ma quale "ristrutturazione
edilizia" (pertanto ravvisabile nella modificazione della
distribuzione della superficie interna e dei volumi e
dell'ordine in cui sono disposte le diverse porzioni
dell'edificio anche per il solo fine di renderne più agevole
la destinazione d'uso esistente)" (Consiglio di Stato, sez. II,
02.04.2021, n. 2735).
9.4 L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso
di specie conduce al rigetto del motivo di impugnazione.
9.5 In particolare, la pavimentazione di un’area di 700 mq e
la realizzazione di una piscina, di una piattaforma in
muratura con annesso locale bagno e di un nuovo corpo di
fabbrica costituito da tre mini appartamenti danno luogo ad
interventi di nuova costruzione, avendo condotto
all’edificazione di nuovi organismi edilizi suscettibili di
autonoma utilizzazione, per i quali risultava prescritto il
previo rilascio del prescritto permesso di costruire ex art.
10, comma 1, lett. a), DPR n. 380/2001, in assenza del quale
era dovuta la sanzione ripristinatoria ex art. 31 DPR n.
380/2001.
Non potrebbe diversamente argomentarsi ritenendo che nella
specie non si facesse questione di piscina, ma di mera vasca
di approvvigionamento idrico, tenuto conto che
l’Amministrazione ha sanzionato la realizzazione di un’opera
lunga metri 7, larga metri 2,30 e profonda metri 1,50 circa,
comportante una rilevante trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio: a prescindere dall’utilizzo
(destinazione alla balneazione o alla raccolta di acqua)
l’opera, implicando una modificazione dello stato materiale
e della conformazione del suolo, per adattarlo ad un impiego
diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua
condizione naturale e alla sua qualificazione (Consiglio di
Stato, sez. VI, 30.06.2020, n. 4152) –considerate la
profondità degli scavi e la quantità delle terre movimentate
occorrenti per realizzare un’opera quale quella in
contestazione– integrava gli estremi della nuova
costruzione, sottoposta al previo rilascio del permesso di
costruire.
9.6 Parimenti, la trasformazione di un box preesistente
abusivo ripeteva le stesse caratteristiche di illiceità
dell’abuso originario, con la conseguenza che, facendosi
questione di un nuovo organismo edilizio realizzato sine
titulo, come tale soggetto a sanzione ripristinatoria,
analogo trattamento sanzionatorio doveva essere riservato
alle opere comportanti una sua trasformazione.
9.7 Infine, come osservato, anche in relazione alla
trasformazione del piano terra della villa oggetto della
domanda di condono non ancora evasa, si imponeva la sanzione
demolitoria.
La villa risultava, infatti, abusiva perché non ancora
condonata, ragion per cui sarebbe stato necessario attendere
l'esito del procedimento di condono, non potendo eseguirsi
ulteriori opere in relazione al relativo manufatto: tali
opere, nei fatti realizzate e oggetto del provvedimento
impugnato in primo grado, ripetendo le caratteristiche di
illiceità dell'abuso originario cui strutturalmente
inerivano, risultavano parimenti abusive e, come tali, ben
potevano essere soggette a sanzione ripristinatoria, come
legittimamente disposto dall'Amministrazione comunale con
l'ordine di demolizione per cui è causa (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.11.2022 n. 10360 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In ogni località sottoposta a vincolo
paesaggistico la realizzazione di una piscina deve essere qualificata come
nuova
costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi, sicché ‒ferma restando la valutazione discrezionale dell'autorità paesaggistica
sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto un vincolo relativo– la
relativa abusiva edificazione comporta la sanzione ordinaria, cioè ripristinatoria.
---------------
Ai fini di un corretto inquadramento della presente fattispecie si rileva
che con il provvedimento impugnato in primo grado, l’amministrazione
contestava alle appellanti la realizzazione delle seguenti opere:
- struttura serricola di m. 8.40 x 7.80 con copertura in telo
plastificato trasparente supportata da struttura in ferro ad arco, di
altezza al colmo di m. 3.70 e alla gronda di m. 2.30, ancorata ad un muro
perimetrale di altezza pari a m. 1.30;
- piscina in vetroresina di m. 6.30 x 3.30;
- manufatto in muratura di m. 9.10 x 13.30 composto da n. 2 vani e
servizio igienico, di altezza al colmo pari a m. 3.30 e m. 3.00 alla gronda,
con copertura in lamiere coibentate, completo di impianto elettrico, idrico
sanitario, pavimentazione e infissi;
- tettoia con struttura in legno e copertura con tegole in cotto di
m. 12.50 x 3.00 di altezza pari a m. 3.30 al colmo e circa m. 3.00 alla
gronda, costruito in aderenza al citato manufatto in muratura.
...
Quanto alla piscina non può che richiamarsi il pacifico orientamento
giurisprudenziale per il quale «in ogni località sottoposta a vincolo
paesaggistico la realizzazione di una piscina vada qualificata come nuova
costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi, sicché ‒ferma restando la valutazione discrezionale dell'autorità paesaggistica
sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto un vincolo relativo– la
relativa abusiva edificazione comporta la sanzione ordinaria, cioè ripristinatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 05/03/2013, n.
1316 e 07/01/2014, n. 18)» (Cons Stato, Sez. VI, 03.06.2022, n. 4570) (Cons Stato, VI, 15.11.2021, n. 7584) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.11.2022 n. 9646 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può
essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di
essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire.
---------------
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la
nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più
ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza
urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per
una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali
alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando
sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della
cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta
del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica
di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per
essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al
suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio
principale.
---------------
"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico
in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto
funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra
recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli
estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito
dal permesso di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua
consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non
può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione
straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R.
n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova
costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e
10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per
tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che
comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
---------------
Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti sono
infondati e devono essere respinti per le ragioni di seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può
essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di
essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta
dirimente per il Collegio, ai fini del decidere, identificare l’esatta
natura (pertinenziale o meno) della piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la
nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più
ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza
urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per
una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali
alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando
sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della
cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta
del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI, 19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id.,
Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica
di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per
essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al
suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio
principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico
in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto
funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra
recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli
estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito
dal permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 09/09/2020,
n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768; inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07/01/2020, n. 42;
TAR Campania, Salerno, Sez. II, 18/04/2019, n. 642; TAR Campania,
Napoli, Sez. II, 30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 30/03/2018, n. 2033;
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 19/02/2018, n. 1087; TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV,
30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018, n. 17;
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97; TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446;
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria,
Catanzaro, Sez. II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012, n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua
consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non
può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione
straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R.
n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova
costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e
10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per
tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che
comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel novero di quelle
considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R.
n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo deve essere
respinto (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un’opera
volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può
essere considerata alla stregua di un intervento minore,
suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del
permesso di costruire.
---------------
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano co-essenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto
per essere considerato pertinenza deve essere non solo
preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
---------------
"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in
quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è
altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo
cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di
volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra
di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in
quanto non qualificabile come pertinenza in senso
urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in
grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio
cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non
è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi
della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio
dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso
di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e
degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R.
n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
---------------
Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti
sono infondati e devono essere respinti per le ragioni di
seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non
pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un
intervento minore, suscettibile di essere assentito con
S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta
dirimente per il Collegio, ai fini del decidere,
identificare l’esatta natura (pertinenziale o meno) della
piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano coessenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI,
19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id.,
Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il
manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non
solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze
in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione
durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo
all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente
giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano
essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell’edificio cui accede. La piscina,
infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze,
in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma
integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà
luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo
rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal
permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III,
09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)”
(cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768;
inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
07/01/2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, Sez. II,
18/04/2019, n. 642; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
30/03/2018, n. 2033; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
19/02/2018, n. 1087; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV,
30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018,
n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97;
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia,
Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli,
Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria, Catanzaro, Sez.
II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012,
n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria”
e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del
D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel
novero di quelle considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e
n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo
deve essere respinto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
piscina interrata è da qualificarsi come "nuova costruzione" ai sensi
dell’art. 3, comma 1-e), del D.P.R. n. 380/2001 e, quindi, necessitante del
permesso di costruire per la sua realizzazione.
La giurisprudenza nettamente prevalente ritiene che la
piscina interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso
di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell’edificio
principale in ragione della significativa trasformazione del territorio
giacché “la piscina, in considerazione della sua consistenza modificativa
dell'assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione e non può
essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria o minori,
di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001”.
Inoltre è stato rilevato che “le piscine non sono pertinenze in senso
urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L'aspetto funzionale relativo all'uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli
estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito
dal permesso di costruire".
Anche la Cassazione penale ha in più occasioni affermato che “la costruzione
di una piscina interrata, ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380, costituisce intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione
edilizia, in quanto crea un aumento di volumetria e comporta la
trasformazione permanente del suolo, essendo necessario, pertanto, per la
sua realizzazione, il rilascio di permesso di costruire”.
---------------
Una piscina, ancorché interrata, ubicata a meno di 3 metri dalla proprietà
pubblica costituita dal marciapiede, siccome disposto dal Regolamento
Edilizio Comunale, deve ritenersi contra legem.
Invero, i
volumi interrati possono derogare alle norme generali in tema di distanze
legali, ma non alle norme speciali stabilite dal Pianificatore locale che,
in quanto integrative della normativa del codice civile, non sono eludibili.
In particolare è stato affermato che “in tema di distanza, in mancanza di
una norma specifica contenuta nel regolamento edilizio comunale (…) va
applicato l’art. 899 del codice civile, che, per le costruzioni interrate
quali pozzi, cisterne e fosse, prevede una distanza minima di "almeno due
metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere
predette", con la conseguenza
che quando esistono –come nel caso di specie– disposizioni edilizie locali,
esse esplicano un’efficacia integrativa della disciplina del codice civile
e, in tale prospettiva, non sono derogabili.
Ne consegue che in ragione della contenuta nell’art. 42 del REC che
prescrive la distanza minima di 3 metri, l’ordine di demolizione impugnato
appare legittimo.
---------------
1) La sig.ra -OMISSIS- è proprietaria del terreno sito in via -OMISSIS-,
catastalmente identificato al mappale -OMISSIS-, sub. -OMISSIS-, ove ha
realizzato la propria abitazione.
2) Nel medesimo lotto ha realizzato, in assenza di titolo edilizio, anche
una piscina interrata, come accertato dal Comune con sopralluogo in data
-OMISSIS- 2021.
3) Pertanto la civica amministrazione, con nota -OMISSIS- del -OMISSIS-
2021, ha avviato il procedimento di “verifica della regolarità delle
opere di realizzazione di una nuova piscina interrata” contestando che
il lotto non ha una dotazione sufficiente di “superficie drenante” e
che la distanza tra la piscina e strada pubblica è inferiore a quella
stabilita dall’art. 42 del Regolamento Edilizio Comunale (REC).
4) In riscontro a detta nota la ricorrente ha inviato le proprie
osservazioni assunte al prot. -OMISSIS- del -OMISSIS- 2021 con le quali,
dopo avere ammesso la sussistenza delle violazioni contestate, ha chiesto al
Comune se fosse possibile una “deroga dei parametri edilizi e urbanistici
non conformi alle normative nazionali e locali in vigore, al fine di poter
procedere con la sanatoria della piscina in oggetto”, accertamento di
conformità ex art. 36 D.P.R. 380/2001 che, tuttavia, non è mai stato
richiesto, difettando, appunto, la conformità urbanistica dell’intervento.
5) Sennonché il Comune:
- dapprima con nota n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS- 2021, ha negato
ogni possibilità di deroga richiesta dalla ricorrente;
- successivamente, con ordinanza n -OMISSIS- del -OMISSIS- 2021, ha
ordinato la demolizione dell’opera ai sensi dell’art. 31 D.P.R. n 380/2001
in quanto realizzata senza titolo abilitativo e non urbanisticamente
conforme perché:
- il lotto non dispone di una sufficiente dotazione di “superficie
drenante”;
- sono violate le distanze minime di cui all’art. 42 del REC.
6) Con il ricorso di cui in epigrafe la ricorrente ha impugnato la citata
ordinanza ingiuntiva della demolizione e gli atti presupposti, con richiesta
di sospensione cautelare.
...
10) Con il PRIMO MOTIVO la ricorrente ha dedotto l’illegittimità
dell’impugnata ordinanza per difetto di istruttoria e travisamento in quanto
la piscina realizzata, avendo dimensioni ridotte, non costituirebbe una
nuova costruzione ma solamente una pertinenza dell’edificio non soggetta a
permesso di costruire in quanto rientrante nel limite del 20% della
volumetria dell’immobile principale di cui all’art. 3, comma 1-e), del
D.P.R. n. 380/2001.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza nettamente prevalente, che il Collegio condivide, ritiene
che la piscina interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al
permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza
dell’edificio principale in ragione della significativa trasformazione del
territorio giacché “la piscina, in considerazione della sua consistenza
modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione
e non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria
o minori, di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001” (TAR Piemonte,
sez. II, 02/08/2022, n. 703; TAR Napoli, sez. VII, 16/03/2017, n. 1503).
Inoltre è stato rilevato che “le piscine non sono pertinenze in senso
urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L'aspetto funzionale relativo all'uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli
estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito
dal permesso di costruire" (TAR Campania, Napoli, sez. III, 09.09.2020,
n. 3730).
Anche la Cassazione penale ha in più occasioni affermato che “la
costruzione di una piscina interrata, ai sensi dell'art. 3 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, costituisce intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione edilizia, in quanto crea un aumento di volumetria e
comporta la trasformazione permanente del suolo, essendo necessario,
pertanto, per la sua realizzazione, il rilascio di permesso di costruire”
(Cass. Pen. sez. III, 16.01.2019, n. 1913).
Pertanto, siccome il manufatto contestato è dotato di autonoma rilevanza
urbanistica e soggiace al rilascio del Permesso di costruire, è legittimità
dell’impugnata ordinanza che ha qualificato il manufatto come nuova
costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1-e), del D.P.R. n. 380/2001 e,
quindi, ne ha debitamente ingiunto la demolizione ai sensi del successivo
art. 31 perché realizzata in assenza di detto titolo abilitativo edilizio.
11) Con il SECONDO MOTIVO la ricorrente ha dedotto la violazione:
i) dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 in materia di accertamento
di conformità;
ii) dell’art. art. 44 del Regolamento edilizio comunale (REC) in
materia di “superficie drenante” del lotto per realizzare nuove
edificazioni;
iii) dell’art. 42 del medesimo REC in punto di distanze dai
confini.
Il motivo è infondato.
11.1) La doglianza sub i) è palesemente infondata atteso che la ricorrente
non ha mai richiesto alcun accertamento di conformità ex art. 36, ma ha
semplicemente formulato un’istanza esplorativa al Comune sulla possibilità
di deroga rispetto ad alcuni parametri edilizi ostativi alla sanatoria
dell’intervento in questione (deroga, peraltro, esclusa dal Comune con nota
n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS- 2021).
Ne consegue che nessuna violazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 è
configurabile, non essendo mai stata attivata il relativo procedimento.
11.2) Infondato è anche il profilo sub ii) secondo cui la superficie
drenante richiesta dall’art. 44 del REC –pacificamente mancante nel lotto
della ricorrente– sarebbe reperibile nell’area che circonda il compendio
immobiliare ad ovest e a sud, operazione che sarebbe consentita dalla
Convenzione urbanistica relativa al Piano Attuativo n. 11 che, in origine,
aveva regolato l’edificazione della zona e la realizzazione dell’abitazione
della ricorrente.
a) In primo luogo si rileva che, se anche tale operazione fosse stata
effettuabile durante il periodo di efficacia della Convenzione (e ciò non è
in alcun modo dimostrato), siccome detta Convenzione urbanistica è
pacificamente scaduta, risultano inapplicabili le relative norme e preclusa
qualsiasi possibilità di scambio o cessione di indici edificatori (o di
altro tipo) tra fondi diversi che, oltretutto, sono ormai sottratti alla
disponibilità della ricorrente perché da tempo sono stati ceduti al Comune
in esecuzione della Convenzione suddetta.
b) È infondata anche la tesi secondo cui l’intervento edilizio contestato
sarebbe ammesso in quanto effettuato in un “lotto intercluso delle zone
residenziali” per il quale l’art. 44 del REC non imporrebbe un limite
vincolante per la superficie drenante prevedendo che “Nei casi di
interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, di interventi di
ristrutturazione urbanistica, di interventi da realizzarsi in aree ricadenti
in lotti interclusi delle zone residenziali, i parametri di superficie
scoperta e drenante di cui al primo comma costituiscono obbiettivo a cui
tendere”.
Sennonché tale disposizione risulta inapplicabile al fondo della ricorrente
perché:
- esso non è intercluso (in senso fisico), atteso che ad esso si
accede direttamente dalla strada pubblica;
- lo stesso non è intercluso neppure sotto il profilo urbanistico
giacché il “lotto intercluso” è costituito da enclavi ancora
edificate e situate all’interno di in un’area già integralmente urbanizzata
che, per tale ragione, sono edificabili anche in assenza di un Piano
urbanistico attuativo o di una Convenzione di lottizzazione (ex multis:
Cons. Stato, Sez. sez. IV, 02.04.2020, 2228), ma tale situazione non ricorre
nel caso di specie sia perché tale qualità del fondo non è stata dimostrata,
sia perché il lotto della ricorrente è già stato edificato e non vi è prova
che la zona circostante sia stata integralmente urbanizzata, anche perché il
Piano attuativo originario è stato attuato solo parzialmente.
11.3) L’art. 42 del REC stabilisce che “Le distanze minime da rispettare,
misurate dal bordo interno dell’invaso, sono le seguenti: - mt. 3,00 dal
filo esterno degli edifici della medesima proprietà e dai confini con la
proprietà pubblica (…)”.
La piscina è ubicata pacificamente a meno di 3 metri dalla proprietà
pubblica costituita dal marciapiede, ma la ricorrente ritiene inapplicabile
la norma al manufatto in quanto totalmente interrato.
La tesi è infondata.
Come correttamente argomentato dalla difesa della civica amministrazione i
volumi interrati possono derogare alle norme generali in tema di distanze
legali, ma non alle norme speciali stabilite dal Pianificatore locale che,
in quanto integrative della normativa del codice civile, non sono eludibili.
In particolare è stato affermato che “in tema di distanza, in mancanza di
una norma specifica contenuta nel regolamento edilizio comunale (…) va
applicato l’art. 899 del codice civile, che, per le costruzioni interrate
quali pozzi, cisterne e fosse, prevede una distanza minima di "almeno due
metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere
predette" (Cons. Stato, Sez. II, 07.01.2022 n. 109), con la conseguenza
che quando esistono –come nel caso di specie– disposizioni edilizie locali,
esse esplicano un’efficacia integrativa della disciplina del codice civile
e, in tale prospettiva, non sono derogabili.
Ne consegue che in ragione della contenuta nell’art. 42 del REC che
prescrive la distanza minima di 3 metri, l’ordine di demolizione impugnato
appare legittimo anche sotto tale profilo.
12) Conclusivamente il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 24.10.2022 n. 993 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Tutti
gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del
manufatto, siano essi interrati o meno, e fra essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in
senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di
svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.
Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n.
380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto
comporta una durevole trasformazione del territorio.
La realizzazione della stessa non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente
complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo
svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad
una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad
aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
Conseguentemente, l’ordinanza è legittima quanto all’ingiunzione di
demolizione della piscina realizzata in assenza del permesso di costruire.
---------------
5.5. Sulla piscina
Essa è menzionata nella d.i.a. del 2006 quale “fontana ornamentale”
e riportata negli elaborati grafici. Tuttavia, dalla visione della
documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica redatta dai
verificatori è agevolmente riscontrabile come non si tratti di una fontana
bensì di una piscina a tutti gli effetti, sicché risulta applicabile il
principio in forza del quale tutti gli elementi strutturali concorrono al
computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra
essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non
qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione
autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio
al quale accede.
Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n.
380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto
comporta una durevole trasformazione del territorio (TAR Napoli, sez. VI,
07/01/2022, n. 105).
La realizzazione della stessa non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente
complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo
svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad
una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (TAR Salerno, sez. II,
10/11/2020, n. 1631).
Conseguentemente, l’ordinanza è legittima quanto all’ingiunzione di
demolizione della piscina realizzata in assenza del permesso di costruire (TAR
Campania-Salerno, Sez. III,
sentenza 30.08.2022 n. 2262 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una piscina in un complesso immobiliare preesistente non
costituisce pertinenza urbanistica in senso proprio, ma una nuova
costruzione, comportando inevitabilmente la modifica durevole del
preesistente assetto dei luoghi e avendo essa funzione autonoma rispetto a
quella propria dell’edificio cui accede.
A differenza di altri manufatti, la piscina non è necessariamente
complementare all’uso delle abitazioni e non costituisce soltanto
un’attrezzatura per lo svago, ma integra una struttura edilizia suscettibile
di autonoma fruizione, che incide in maniera rilevante e con effetti
permanenti sull’area in cui insiste, richiedendo, quindi, il previo rilascio
dell’idoneo titolo ad aedificandum.
Poiché la piscina, in considerazione della sua consistenza modificativa
dell’assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione e non può
essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria o minori,
di cui all’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, per la sua realizzazione è
richiesto il permesso di costruire, così come per tutte le attività
qualificabili come interventi di nuova costruzione comportanti la
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
---------------
12. Con il primo mezzo, questi ultimi lamentano che l’intervento
edilizio oggetto della SCIA n. 6/21 costituirebbe una “nuova costruzione”,
in quanto tale soggetta al rilascio di permesso di costruire perché
comportante una rilevante modifica dell’assetto territoriale preesistente,
con alterazione del piano di campagna e realizzazione di strutture in
cemento armato.
L’intervento, dunque, non potrebbe rientrare nell’ambito della manutenzione
straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lett. b), del DPR n. 380/2001,
né essere conseguentemente assentibile tramite SCIA, come invece sostenuto
dal controinteressato.
12.1. Preliminarmente, risulta dalla relazione tecnica allegata alla SCIA n.
6/2 che il progetto in questione abbia ad oggetto la realizzazione di un
nuovo accesso pedonale e di una nuova piscina a uso privato, avente
struttura monolitica autoportante in cemento armato, rivestita da pannelli
appoggiati e assemblati su plinti livellati bloccati con bulloni e dadi in
acciaio; in prossimità dell’accesso è prevista, altresì, la partenza di una
scalinata che prosegue lungo i tratti di recinzione ovest e nord.
12.2. Così delineate le caratteristiche oggettive dell’intervento
costruttivo di cui si discute, ritiene il Collegio che, in continuità con
costante giurisprudenza amministrativa, la realizzazione di una piscina in
un complesso immobiliare preesistente non costituisca pertinenza urbanistica
in senso proprio, ma una nuova costruzione, comportando inevitabilmente la
modifica durevole del preesistente assetto dei luoghi e avendo essa funzione
autonoma rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. A differenza di
altri manufatti, la piscina non è necessariamente complementare all’uso
delle abitazioni e non costituisce soltanto un’attrezzatura per lo svago, ma
integra una struttura edilizia suscettibile di autonoma fruizione, che
incide in maniera rilevante e con effetti permanenti sull’area in cui
insiste, richiedendo, quindi, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad
aedificandum (cfr., ex multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. I,
18.01.2022, n. 76 con ampi rimandi giurisprudenziali).
12.3. Poiché la piscina, in considerazione della sua consistenza
modificativa dell’assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione
e non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria
o minori, di cui all’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, per la sua
realizzazione è richiesto il permesso di costruire, così come per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione comportanti la
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 02.08.2022 n. 703 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Necessita del titolo edilizio anche per la realizzazione di una
piscina.
Invero, “tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della
volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra essi deve
intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come
pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in
grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.
Pertanto, la realizzazione di una piscina è configurabile come intervento di
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n.
380 del 2001, nella misura in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto
comporta una durevole trasformazione del territorio”.
---------------
Anche per la costruzione di un box necessita del titolo edilizio che,
nonostante le ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a
funzioni durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali
comportanti ampliamento di superficie e volume.
Invero, “la precarietà o meno di un manufatto ed il suo regime giuridico dal
punto di vista urbanistico è correlata alla destinazione dell'opera, con la
conseguenza che l'installazione di un box prefabbricato, attraverso semplice
appoggio e senza ancoraggio al suolo, non sottrae, di per sé, l'intervento
al regime concessorio”.
---------------
Nei limiti di quanto dedotto nel presente giudizio, il titolo edilizio
sarebbe stato peraltro necessario anche per la realizzazione della piscina
(TAR Napoli, sez. VI, 07/01/2022, n. 105, secondo la quale “tutti gli
elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto,
siano essi interrati o meno, e fra essi deve intendersi ricompresa anche la
piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in
ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella
propria dell'edificio al quale accede. Pertanto, la realizzazione di una
piscina è configurabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, nella misura
in cui realizza l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi
subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10,
comma 1, lett. c), dello stesso d.P.R., in quanto comporta una durevole
trasformazione del territorio”) come pure per il box, che, nonostante le
ridotte dimensioni, è pur sempre un volume nuovo, destinato a funzioni
durevoli nel tempo (non precarie o temporanee) e come tali comportanti
ampliamento di superficie e volume (cfr. Consiglio di Stato, sez. II,
11/06/2020, n. 3730, secondo cui “la precarietà o meno di un manufatto ed
il suo regime giuridico dal punto di vista urbanistico è correlata alla
destinazione dell'opera, con la conseguenza che l'installazione di un box
prefabbricato, attraverso semplice appoggio e senza ancoraggio al suolo, non
sottrae, di per sé, l'intervento al regime concessorio”) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-stralcio,
sentenza 22.07.2022 n. 10502 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un oggettivo nesso
funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un
nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un
uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico, sicché
il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza
amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non
poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al
servizio di un bene qualificato come principale.
---------------
E' da escludere che una piscina, specie quando risulti di rilevanti dimensioni, possa essere
considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione
rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la
giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve
qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo
di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004,
essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con
diversa destinazione ed uso del suolo>>.
---------------
... per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di condono
edilizio prot. n. 13867 del 27.04.2004, presentata dal sig. Cr.Gi. ai sensi
dell’art. 32 del d.l. 269/2003, relativa all’immobile del sig. Cr.Ca.,
adottato dal Comune di Frascati l’08.11.2006;
...
1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data
09.03.2007 e depositato il successivo 05.04.2007, i ricorrenti impugnano il
provvedimento meglio indicato in epigrafe, chiedendone l’annullamento.
In particolare, i ricorrenti espongono quanto segue:
- con istanza inoltrata in data 27.04.2004 dal sig. Cr.Gi., veniva
chiesto il rilascio di concessione in sanatoria per una “piscina
prefabbricata in metallo, di circa metri sette per quattordici”;
- tale istanza era respinta con il provvedimento di cui sopra,
poiché l’opera ricade “in area vincolata, per tutela paesistico
ambientale” e “poiché la stessa opera, realizzata senza titolo
abilitativo, risulta non conforme alle norme urbanistiche vigenti,
contrastando con l’art. 3 delle NTA della variante stralcio al PRG per le
zone agricole”.
...
Per esigenze di completezza, determinate dal rilievo che i ricorrenti
–seppure non abbiano mai richiamato e/o invocato la sussistenza di un
rapporto pertinenziale tra le opere di cui sopra e altre costruzioni- hanno
affermato che si tratta di un intervento che non ha “determinato la
creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati” (cfr. pag. 1 dell’atto introduttivo del
giudizio) e hanno, ancora, evidenziato l’ampiezza del lotto (tre ettari)
nonché l’insistenza su di esso di una “vasta casa padronale e numerose e
ampie dipendenze”, preme aggiungere che:
- la pertinenza urbanistica è configurabile quando vi sia un
oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella
principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del
bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempre che l’opera
secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (cfr. Cons. St.
sez. VI, 29/01/2015, n. 406; Cons. St. sez. VI, 05/01/2015, n. 13), sicché
il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza
amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non
poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al
servizio di un bene qualificato come principale (cfr. Cons. St. sez. IV,
17/05/2010, n. 3127);
- invero, è da escludere che una piscina, specie quando –come
nell’ipotesi in trattazione– risulti di rilevanti dimensioni, possa essere
considerata “pertinenza urbanistica”, avendo un’autonoma funzione
rispetto all’edificio “principale” ed essendo sul punto la
giurisprudenza pacifica nell’affermare che <<siffatto intervento deve
qualificarsi di nuova costruzione non suscettibile di accertamento postumo
di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 42/2004,
essendo in grado di modificare irreversibilmente lo stato dei luoghi con
diversa destinazione ed uso del suolo ….. (TAR Napoli, sez. VII, 16.03.2017,
n. 1503; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 12.01.2011, n. 110)>> (TAR
Campania, n. 1293 del 2020) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-stralcio,
sentenza 21.06.2022 n. 8325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va ribadito come in ogni località
sottoposta a vincolo paesaggistico la realizzazione di una piscina vada
qualificata come nuova costruzione che modifica irreversibilmente lo stato
dei luoghi, sicché ‒ferma restando la valutazione discrezionale
dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto
un vincolo relativo– la relativa abusiva edificazione comporta la sanzione
ordinaria, cioè ripristinatoria.
Al riguardo, hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le
opere realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi
tecnici ed anche se si tratta di una piscina, poiché le esigenze di tutela
dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico –da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti- possono anche esigere l’immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica).
---------------
- infine, per ciò che concerne il quarto ed ultimo motivo, relativo
alla piscina, se per un verso assume rilievo dirimente la predetta
valutazione unitaria, per un altro verso va ribadito come in ogni località
sottoposta a vincolo paesaggistico la realizzazione di una piscina vada
qualificata come nuova costruzione che modifica irreversibilmente lo stato
dei luoghi, sicché ‒ferma restando la valutazione discrezionale
dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto
un vincolo relativo– la relativa abusiva edificazione comporta la sanzione
ordinaria, cioè ripristinatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI,
05/03/2013, n. 1316 e 07/01/2014, n. 18);
- al riguardo, hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le
opere realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi
tecnici ed anche se si tratta di una piscina, poiché le esigenze di tutela
dell'area sottoposta a vincolo paesaggistico –da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti- possono anche esigere l’immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica) (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.06.2022 n. 4570 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
piscina, ancorché interrata, concreta intervento edilizio ex novo e richiede
pertanto il rilascio di un autonomo permesso di costruire, non potendo
essere ricompresa nel regime urbanistico delle pertinenze in quanto essa
“non è solo una attrezzatura per lo svago, ma innanzi tutto una struttura di
tipo edilizio che incide invasivamente sul sito in cui viene realizzata”.
---------------
Per
la piscina valgono le medesime considerazioni, potendosi soltanto aggiungere
come per questo manufatto occorresse anche il titolo edilizio (cfr. di
questa Sezione la sent. 26.07.2021, n. 8921: la realizzazione di una
piscina, ancorché interrata, concreta intervento edilizio ex novo e richiede
pertanto il rilascio di un autonomo permesso di costruire, non potendo
essere ricompresa nel regime urbanistico delle pertinenze in quanto essa
“non è solo una attrezzatura per lo svago, ma innanzi tutto una struttura di
tipo edilizio che incide invasivamente sul sito in cui viene realizzata”) (TAR
Lazio-Roma. Sez. II-quater,
sentenza 12.05.2022 n. 5928 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il deposito edile e i ripostigli (realizzati mediante
l’installazione di prefabbricati in lamiera e coibentato, aventi superficie
totale di circa mq 90,00 ed altezza media m. 2,20, con in adiacenza il
posizionamento di materiale di risulta edile), presentano le caratteristiche
per essere qualificabili come interventi di “nuova costruzione”
necessitanti del del permesso di costruire ai sensi dell’art. 31 e
dell’art. 3 del DPR 380/2001.
...
Altresì, la struttura in muratura ad uso ripostiglio (di dimensioni m.
4,50 x 4,40, avente copertura ad una falda, con altezza al colmo di m. 3,10
ed all’imposta di m. 2,40) sostanzia una “nuova
costruzione”
che non può certo ricondursi tra le attività di edilizia libera, attese le
dimensioni e la non precarietà della struttura.
...
Del pari, la piscina con in adiacenza
struttura in legno ad uso locale macchina piscina (avente dimensioni di m.
3,30 x 2,80 con copertura a due falde di altezza al colmo m. 2,70 ed alle
imposte m. 2,00) non sostanzia attività edilizia
libera, né per le concrete caratteristiche e la finalità delle opere
contestate, descritte anche nell’ordinanza impugnata e sopra riportate, può
riavvisarsi la natura pertinenziale di tali manufatti.
Invero, la giurisprudenza ha costantemente affermato che per potersi
affermare la natura pertinenziale di un manufatto rispetto ad un altro è
necessario accertare che vi sia da parte del bene pertinenziale un’obiettiva
funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in
sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali
possibilità di sfruttamento o godimento di quest’ultima, e ciò in quanto, ai
sensi dell’art. 7, lett. a), L. 25.03.1992 n. 94, deve considerarsi
pertinenza urbanistica l’opera che, per l’oggettiva natura e conformazione,
non consente altra destinazione che quella adibita in modo durevole al
servizio di altro immobile preesistente per renderne possibile un migliore
utilizzo ovvero aumentarne il decoro, mentre non costituisce pertinenza
l’opera nuova priva del carattere della strumentalità funzionale rispetto
alla costruzione esistente, elementi sicuramente carenti nel caso di specie
in relazione a tutti i manufatti sopra descritti.
E con più specifico riguardo alla piscina, la giurisprudenza anche più
recente ha rilevato che, oltre a costituire una permanente modificazione del
suolo, tale manufatto ha un rilievo autonomo tale da escludere la relazione
di accessorietà rispetto al fabbricato inteso come principale.
---------------
I ricorrenti hanno agito in giudizio per l’annullamento dell’ordinanza di
ripristino dello stato dei luoghi Prot. n. 18398 del 04.06.2015, emessa dal
Comune di Cesenatico, Settore Sviluppo del Territorio Edilizia Privata,
avente ad oggetto alcune opere abusive, notificata a La.Vi. e Pu.An.Ma. in
qualità di presunti autori materiali, ed alla sig.ra La.Ar. in qualità di
proprietaria del terreno agricolo su cui insistono i manufatti contestati.
I ricorrenti hanno chiesto altresì la condanna del Comune al risarcimento
dei danni derivanti dall'eventuale esecuzione del provvedimento impugnato.
In fatto hanno allegato che La.Ar. è proprietaria del terreno
agricolo sito in Cesenatico (FC), Via Mesola, identificato al Catasto
Terreni del Comune di Cesenatico, Fg. 10, part. 426, in relazione al quale
il Comune ha emesso l’ordinanza di demolizione impugnata in questa sede, con
riguardo alle seguenti opere, asseritamente abusive perché prive del
necessario permesso di costruire:
“a) Realizzazione di deposito edile e ripostigli,
mediante l'installazione di prefabbricati in lamiera e coibentato, aventi
superficie totale di circa mq. 90,00 ed altezza media m. 2,20, con in
adiacenza posizionamento di materiale di risulta edile;
b) Posizionamento di roulotte, avente dimensioni di m. 8,00
x 3,00 e altezza di circa m. 2,00; realizzazione sulla parte dell'ingresso
della stessa di piccolo pergolato/gazebo (edilizia libera) in PVC. Si
precisa che la roulotte è appoggiata al suolo, risulta fornita di ruote; al
momento dei sopralluoghi non era utilizzata, nonostante fosse stata
installata in adiacenza una fossa imhoff la roulotte non risulta allacciata
alle utenze gas, acqua, scarichi bagno.
c) Realizzazione di piscina con in adiacenza struttura in
legno ad uso locale macchine piscina, avente dimensioni di m. 3,30 x 2,80
con copertura a due falde di altezza al colmo m. 2,70 ed alle imposte m.
2,00.
d) Realizzazione di struttura in muratura ad uso ripostiglio,
di dimensioni m. 4,50 x 4,40, avente copertura ad una falda, con altezza al
colmo di m. 3,10 ed all'imposta di m. 2,40;
e) Realizzazione di struttura precaria in materiale di
risulta, priva di fondazione, non stabilmente infissa al suolo, ad uso
ricovero/pollaio animali (galline e tre pecore) di dimensioni di m. 8,00 x
3,90, avente copertura ad una falda con altezza al colmo di m. 2,50 ed
all'imposta di m. 2,40;
- considerato che in riferimento alla lettera B) la roulotte non risulta
idonea alla circolazione in quanto priva di carta di circolazione e targa;
- considerato inoltre che in riferimento alla lettera E) l'Agenzia del
Territorio non ritiene di accatastare simili strutture, in quanto precarie
ed oggetto di continui spostamenti, dovuti anche alle necessità degli
animali”.
In particolare, il Comune ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi
mediante: la demolizione del deposito edile di materiale di risulta e dei
prefabbricati in lamiera e coibentato; la rimozione della roulotte; la
demolizione della piscina e della struttura in legno ad uso locale macchine
piscina; la demolizione della struttura in muratura ad uso ripostiglio.
...
Solo parzialmente fondata è, invece, la seconda doglianza articolata in
atti.
In particolare, secondo i ricorrenti alcune opere contestate dal Comune non
andrebbero ricondotte nell’ambito dell’attività edilizia (posizionamento
della roulotte, punto B dell’ordinanza), mentre le altre sarebbero
riconducibili all’attività edilizia libera, trattandosi di manufatti di
modeste dimensioni, di natura precaria e pertinenziale, senza alcuna opera
edilizia.
Quanto alla roulotte (punto B dell’ordinanza), il Collegio rileva che
nell’ordinanza si legge: “la roulotte è appoggiata al suolo, risulta
fornita di ruote; al momento dei sopralluoghi non era utilizzata, nonostante
fosse stata installata in adiacenza una fossa imhoff la roulotte non risulta
allacciata alle utenze gas, acqua, scarichi bagno” e rispetto a tale
manufatto nulla ha argomentato il Comune nella relazione prodotta in corso
di causa, sicché sul punto il ricorso va accolto, emergendo dagli atti che
il manufatto in discussione è costituito da una struttura leggera atta a
soddisfare bisogni meramente temporanei e non durature esigenze abitative
(TAR Lazio, Roma Sez. II-bis, 26.03.2014 n. 3328; TAR Lazio, Roma Sez.
I-quater, 09.01.2014 n. 217).
Con riferimento poi al punto E dell’ordinanza impugnata si osserva che, come
ammesso dagli stessi ricorrenti, il Comune non ha disposto la demolizione
del manufatto ivi descritto, verosimilmente proprio in quanto ha ritenuto
tale bene costituito da una “struttura precaria in materiale di risulta,
priva di fondazione, non stabilmente infissa al suolo, ad uso
ricovero/pollaio animali (galline e tre pecore)”, sicché sul punto non
va adottata alcuna pronuncia, esulando tale opera da quelle oggetto
dell’ordine di ripristino.
Infondata, invece, risulta la doglianza in esame con riferimento ai
manufatti di cui ai punti A (deposito edile e ripostigli),
C (piscina e
locale macchine) e D (struttura in muratura ad uno ripostiglio), non
potendosi tali opere, ad avviso del Collegio, inquadrare nell’ambito
dell’attività edilizia libera, come sostengono i ricorrenti in ricorso, né
può affermarsene la natura pertinenziale rispetto al fabbricato principale.
Invero, il deposito edile e i ripostigli (realizzati mediante
l’installazione di prefabbricati in lamiera e coibentato, aventi superficie
totale di circa mq 90,00 ed altezza media m. 2,20, con in adiacenza il
posizionamento di materiale di risulta edile), presentano le caratteristiche
per essere qualificabili come interventi di “nuova costruzione”
eseguiti in assenza del permesso di costruire ai sensi dell’art. 31 e
dell’art. 3 del DPR 380/2001, nonché ai sensi dell’art. 13 L.R. 23/2004,
collocati sui luoghi in contrasto con le norme urbanistiche dell’area sita
in zona agricola, in violazione con i parametri edilizio-urbanistici
previsti dalle NTA del PRG richiamate dal Comune.
Peraltro, la stessa destinazione dei locali a deposito edile è, all’evidenza,
incompatibile col territorio agricolo, né può condividersi la tesi difensiva
dei ricorrenti secondo cui si tratterebbe di prefabbricato in lamiera e coibentato, senza alcuna opera edilizia, ritenendo il Collegio, viste le
concrete dimensioni e caratteristiche del manufatto, che l’opera risulti
invece rilevante dal punto di vista urbanistico-edilizio e non riconducibile
nell'attività edilizia libera.
Né trova fondamento la tesi difensiva di parte ricorrente con riguardo
all’opera sub D (struttura in muratura ad uso ripostiglio, di dimensioni m.
4,50 x 4,40, avente copertura ad una falda, con altezza al colmo di m. 3,10
ed all’imposta di m. 2,40), trattandosi anche in questo caso di “nuova
costruzione” incompatibile con tipologie ammissibili in zona agricola e
che non può certo ricondursi tra le attività di edilizia libera, attese le
dimensioni e la non precarietà della struttura.
Del pari, quanto al punto C dell’ordinanza (piscina con in adiacenza
struttura in legno ad uso locale macchina piscina, avente dimensioni di m.
3,30 x 2,80 con copertura a due falde di altezza al colmo m. 2,70 ed alle
imposte m. 2,00), sicuramente priva di pregio è la doglianza contenuta in
ricorso secondo cui si tratterebbe anche in questo caso di attività edilizia
libera, né per le concrete caratteristiche e la finalità delle opere
contestate, descritte anche nell’ordinanza impugnata e sopra riportate, può
riavvisarsi la natura pertinenziale di tali manufatti.
Invero, la giurisprudenza ha costantemente affermato che per potersi
affermare la natura pertinenziale di un manufatto rispetto ad un altro è
necessario accertare che vi sia da parte del bene pertinenziale un’obiettiva
funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in
sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali
possibilità di sfruttamento o godimento di quest’ultima, e ciò in quanto, ai
sensi dell’art. 7, lett. a), L. 25.03.1992 n. 94, deve considerarsi
pertinenza urbanistica l’opera che, per l’oggettiva natura e conformazione,
non consente altra destinazione che quella adibita in modo durevole al
servizio di altro immobile preesistente per renderne possibile un migliore
utilizzo ovvero aumentarne il decoro, mentre non costituisce pertinenza
l’opera nuova priva del carattere della strumentalità funzionale rispetto
alla costruzione esistente, elementi sicuramente carenti nel caso di specie
in relazione a tutti i manufatti sopra descritti.
E con più specifico riguardo alla piscina, la giurisprudenza anche più
recente ha rilevato che, oltre a costituire una permanente modificazione del
suolo, tale manufatto ha un rilievo autonomo tale da escludere la relazione
di accessorietà rispetto al fabbricato inteso come principale (TAR Napoli,
sez. VII, 17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020,
n. 42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642; Cassazione penale
sez. III, 20/12/2018, n. 1913; Tar Lazio sentenza n. 11586 del 2019).
Pertanto, una volta accertato che tutte le opere contestate sono state
realizzate in zona agricola in contrasto con lo strumento urbanistico
comunale (Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale), il
Comune ha legittimamente ordinato il ripristino con l’ordinanza impugnata,
adeguatamente argomentando le ragioni di tale decisione e specificando i
manufatti da rimuovere, con conseguente infondatezza anche del motivo di
difetto di istruttoria e motivazione, nonché della domanda risarcitoria
contenuta in atti, non essendo comunque ravvisabile alcun danno
concretamente derivante dall’atto impugnato, neppure in relazione al
manufatto sub B.
Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto limitatamente al bene di cui
al punto B (roulotte), risultando invece infondato per il resto (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 30.09.2021 n. 800 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Per
mettere una piscina sul terrazzo del condominio, quale permesso ci vuole?
Viene considerata una nuova costruzione? Oppure può passare come pertinenza
e, quindi, avere un iter più semplice?
La piscina sul terrazzo del condominio non è da considerare una nuova
costruzione ma una semplice pertinenza degli appartamenti che compongono
l’edificio. Secondo i giudici amministrativi, infatti, la piscina ha
dimensioni ridotte e non viola gli indici di copertura o gli standard
urbanistici, dato che non aumenta il carico della zona in cui sorge il
fabbricato.
In altre parole, la realizzazione della piscina sul tetto equivale ad
un’opera che, dal punto di vista funzionale, è oggettivamente al servizio
dello stabile ed ha un volume minimo che non le permette di avere una
destinazione d’uso autonoma e diversa da quella svolta in favore del
fabbricato in cui viene installata. Cioè, come tutte le altre pertinenze del
condominio.
A livello di autorizzazioni, dunque, basterà presentare in Comune la Scia,
cioè la Segnalazione certificata di inizio lavori, allegando la
documentazione con le caratteristiche della piscina, e presentare i dovuti
calcoli al Genio civile in caso di modifiche strutturali per rinforzare il
terrazzo (massima tratta da www.laleggepertutti.it).
---------------
A suffragio di tale approdo, valga richiamare l’arresto pretorio secondo cui
«l'installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni rientra
nell'ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di
copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico
della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque
consentiti; in tale ottica, in linea generale una piscina realizzata in una
proprietà privata a corredo esclusivo della stessa non possiede un'autonomia
immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile principale
esistente, essendo destinata a servizio dello stesso».
Nello stesso senso, si è statuito che: «… una piscina posta al servizio
esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata non è di per sé
estranea al concetto di "pertinenza urbanistica". Tale nozione ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un'opera –che abbia comunque una propria individualità
fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato– preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non
superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da
non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio
dell'immobile cui accede … Tali principi trovano applicazione, secondo la
giurisprudenza amministrativa, anche per le piscine di modeste dimensioni
che siano asservite ad edifici a destinazione residenziale … purché abbiano
limitata rilevanza sul piano urbanistico e non influiscano negativamente
sull'assetto territoriale agricolo».
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7. Le superiori considerazioni contribuiscono a dequotare l’ordine di
doglianze rubricato retro, in narrativa, sub n. 3.a.
Sostiene, in particolare, la Ro. che l’intervento progettato, dacché
comportante la sopraelevazione dell’edificio esistente e la realizzazione di
piscine, ossia dacché alterante l’originaria conformazione (i.e. sagoma) e
consistenza dell’immobile anche mediante innesto di manufatti, non avrebbe
potuto ascriversi alla categoria del restauro e risanamento conservativo, ma
avrebbe dovuto ricondursi all’orbita della ristrutturazione edilizia o della
nuova costruzione, vietati dagli artt. 78 e 79 NTA del PUC di Salerno.
7.1. Al riguardo, giova rammentare che, a norma dell’art. 3, comma 1, del
d.p.r. n. 380/2001 (nella versione applicabile ratione temporis alla
fattispecie in esame), si intendono:
- per restauro e risanamento conservativo «gli interventi edilizi
rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano
destinazioni d'uso con essi compatibili», con la precisazione che «tali
interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli
elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio» (lett. c);
- per ristrutturazione edilizia, «gli interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente», con la precisazione che «tali interventi comprendono il
ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti»,
che «nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la
stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o
demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza» e che, «con riferimento agli immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e
gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente» (lett. d);
- per nuova costruzione «quelli di trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle
lettere precedenti» (lett. e), con la precisazione che sono, tra l’altro, da
considerarsi tali «gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale» (lett. e.6).
Nel tracciare la distinzione tra la categoria del restauro e risanamento
conservativo e quella della ristrutturazione edilizia, la giurisprudenza ha
annotato che essa si basa non tanto sulla specifica tipologia degli
interventi realizzabili (in gran parte comuni), quanto piuttosto
sull'elemento funzionale, risultando la prima destinata alla conservazione
dell'organismo preesistente e la seconda alla trasformazione dello stesso.
Nel senso che diviene rilevante, al fine di individuare un criterio
discretivo tra le due fattispecie, l'effetto prodotto dal complesso degli
interventi posti in essere, e, segnatamente, la conservazione formale e
funzionale del manufatto e/o la eventuale generazione di un maggiore carico
urbanistico. E con la conseguenza che tra gli interventi di restauro e
risanamento conservativo è da reputarsi riconducibile anche la sostituzione
di parti anche strutturali e, più in generale, di elementi costitutivi degli
edifici, e, quindi, anche un rinnovo sistematico e globale, purché nel
rispetto degli elementi essenziali tipologici, formali e strutturali (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, n. 3532/2016; n. 937/2017; n. 6562/2018; TAR Toscana,
Firenze, sez. III, n. 1553/2018; n. 619/2019).
7.2. In punto di fatto, occorre, poi, rimarcare che il progetto assentito
col PdC n. 4/2015 –a tenore della relazione tecnica illustrativa a corredo
dell’istanza del 27.11.2014, prot. n. 187678– prevedeva, in
dettaglio, al paragrafo 9, le seguenti opere in corrispondenza della
copertura del “Palazzo Poste e Telegrafi”:
«Il piano copertura sarà interessato da interventi per la riqualificazione
dello spazio. Nella parte centrale dell'edificio saranno identificate 3 zone
impianti, in cui saranno installate le macchine moto-condensanti dei tre
corpi di fabbrica. Tale aree saranno perimetrate da pannelli acustici per
abbattere i rumori che deriveranno dagli impianti. Sulla copertura,
tipologia tetto piano, previo rinforzamento strutturale come da progetto
strutturale, è previsto un pacchetto di finitura atto garantire l'isolamento
termoacustico della copertura rispetto ai locali ai piani sottostanti,
nonché lo smaltimento delle acque piovane secondo un sistema di pendenze
ottenuto con massetto disposto in modo da convogliare l'acqua su 6 punti di
raccolta corrispondenti ai pluviali esistenti di recupero sulle facciate
laterali e sui fronti del cortile.
Al di sopra del solaio esistente, per non
gravare con nuovi pesi aggiuntivi, saranno realizzati dei telai in
carpenteria metallica, poggiati su baggioli appositamente collocati per
scaricare il peso verticalmente sui pilastri sottostanti. Sui telai saranno
posate solette in lamiera grecata e getto di completamento su cui verranno
realizzate le terrazze-giardino di pertinenza delle unità sottostanti,
sollevate rispetto al solaio e bordate da fasce metalliche perimetrali.
Sulle terrazze saranno collocate vasche d'acqua della profondità di 1 m e
bordate da porzioni di pavimentazione sopraelevata in legno tipo deck e da
un area coperta da manto erboso. Le aree rimanenti, la zona a nord e quelle
antistanti i locali impianti, saranno utilizzate per l'installazione di
pannelli fotovoltaici. Sul perimetro esterno delle terrazze sono previste
fasce in ghiaia bianca a finitura del percorso di manutenzione. La
pavimentazione in ghiaia, comprensiva degli opportuni strati di protezione
del sottofondo, sarà situata al di sopra della superficie del pacchetto di
pendenza precedentemente descritto.
Le finiture previste in copertura sono:
- superfici di manto erboso, realizzato con sistema intensivo leggero,
spessore minimo 24 cm, composto da: manto impermeabile antiradice, pannello
drenante e di accumulo idrico, stuoia filtrante, strato in terra portante
della vegetazione stabilizzato e idoneo per inverdimenti intensivi … la
formazione del tappeto erboso avverrà con semina … tale area sarà provvista
di adeguato impianto di irrigazione a pioggia … saranno predisposti pozzetti
di controllo ed ispezione degli scarichi dei pluviali; - pavimenti in legno
per esterni, tipo deck su supporto flottante, costituito da listoni di legno
massello coni lati lunghi arrotondati e una delle due facce lavorate
antisdrucciolo … in corrispondenza della parte rialzata della terrazza si
prevede la possibilità di rimozione dei listoni di legno a favore
dell'ispezione degli eventuali impianti collocati nel volume sottostante di
servizio alle piscine; - pavimentazione in quadrotte di cemento sulle aree
destinate agli impianti; - perimetrature delle 3 zone impianti in pannelli
acustici con rivestimento in lamiera corrugata per nasconderle alla vista e
abbattere i rumori provenienti dagli stessi».
7.3. Ciò posto, ad avviso del Collegio, le opere dianzi descritte non
risultano suscettibili di comportare una radicale trasformazione funzionale
del “Palazzo Poste e Telegrafi” e, quindi, di integrare gli estremi della
ristrutturazione edilizia, limitandosi, nella sostanza, a innestare sul
preesistente solaio di copertura giardini pensili, piscine e impianti
tecnologici, senza innovare gli elementi costitutivi dell’edificio e senza
alterare l’originaria consistenza e conformazione dello stesso.
In particolare, come acclarato retro, sub n. 6, ed a dispetto delle
proposizioni attoree, esse non hanno comportato alcuna sopraelevazione né
alcun incremento plano-volumetrico né alcuna modifica della sagoma del
fabbricato preesistente.
Esse sono, infatti, consistite nel frazionamento del preesistente lastrico
solare in 4 terrazze private con allocazione di 3 piscine di profondità pari
a m 1 e sistemazione di spazi a verde, senza creazione di volumi aggiuntivi.
Gli unici corpi di fabbrica realizzati sulla copertura del “Palazzo Poste e
Telegrafi” sono i volumi tecnici, di modeste dimensioni, destinati ad
ospitare gli impianti tecnologici necessari al funzionamento delle piscine.
Tali volumi tecnici, in quanto privi di qualsiasi autonomia funzionale e
assolutamente inidonei a soddisfare finalità residenziale, sono privi di
rilevanza urbanistica e non avrebbero potuto incidere sull’originaria
consistenza dell’edificio.
Correttamente, dunque, il Dirigente del Servizio Trasformazioni Edilizie del
Comune di Salerno, nel parere n. 231 del 18.12.2014, ha rilevato che:
«Il piano di copertura nello stato di fatto è costituito da un lastrico
solare, nella proposta progettuale viene frazionato e destinato ai terrazzi
di pertinenza nelle sottostanti residenze a esse collegati da scale interne
alle dette unità abitative; in particolare le due ali laterali, ospitano due
aree attrezzate con piscina e solarium, posti su pavimentazione in legno
sopraelevata e posta a filo con i bordi della piscina, sono presenti inoltre
superfici destinate a verde; analogamente la fascia centrale è divisa in due
terrazzi sovrastanti le unità abitative servite dalla scala principale,
anche essi attrezzati con piscina e solarium; dal confronto delle sezioni si
evince che nella proposta progettuale non vengono alterate le quote dei
solai interpiano dell’edificio, mantenendo le medesime altezze interne dello
stato di fatto».
Altrettanto correttamente la Soprintendenza di Salerno e Avellino, nelle
proprie relazioni controdeduttive all’impianto difensivo attoreo, ha
annotato che:
«L’edificio, nel suo complesso, non ha subito modifiche nella sua
architettura originaria né alle volumetrie né alle altezze. L’unica modifica
apportata all’edificio consiste nell’aver realizzato delle strutture sulle
coperture, tra l’altro, poco percepibili a livello urbano … l’unico elemento
di dissidio sta nella sistemazione delle coperture, aspetto che
evidentemente può risultare negativo esclusivamente per qualche vicino»;
«… il progetto di riuso del Palazzo delle Poste, le cui opere sono state
autorizzate dalla Soprintendenza ABAP di SA e AV con la nota n. 31239 del 12.11.2013, non prevedeva la "sopraelevazione" dell'edificio delle Poste
situato su Corso Garibaldi, 203; è il caso di precisare che la
sopraelevazione dell'edificio segnalata dalla ricorrente, nel corso dei
controlli effettuati durante i lavori dai funzionari della Soprintendenza,
non è stata né proposta e né realizzata. Il progetto approvato dalla
Soprintendenza prevedeva un uso diverso dell'edificio che, da Ufficio delle
Poste, è stato in parte trasformato in abitazioni private. Sul lastrico
solare è stato realizzato un giardino e sono state posizionate alcune vasche
quali pertinenze degli appartamenti situati agli ultimi livelli
dell'edificio. Il tutto è stato realizzato prevedendo il restauro
complessivo dell'edificio (cfr. facciate esterne con superfici
architettoniche decorate, elementi interni quali vano scala centrale,
pavimentazioni in granigliato di marmo e cemento presenti in alcuni
ambienti, ecc.). A conclusione dei lavori l'edificio ha mantenuto il suo
aspetto originario (ovviamente migliorato dagli interventi di restauro),
così come descritto in precedenza. Tuttavia i soli tetti sono stati
modificati con l'aggiunta di verde e vasche a servizio di alcuni
appartamenti, ma senza modificare le quote originali e quindi senza
realizzare sopraelevazioni».
In piena coerenza con tale impostazione, l’autorità statale tutoria,
nell’esercizio delle proprie valutazioni tecnico-discrezionali ex art. 21,
commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004 (insindacabili dall’adito giudice
amministrativo, se non per macroscopici vizi di illogicità o travisamento
fattuale, non ravvisabili nella specie) ha approvato il progetto rassegnato
con l’istanza di PdC prot. n. 187678 del 27.11.2014, così certificando
la portata elettivamente restaurativo-conservativa degli interventi da esso
contemplati.
7.4. Quanto, infine, alle piscine installate sulla copertura del fabbricato
in proprietà della R.R.E., osserva il Collegio che esse non sono
configurabili a guisa di nuove costruzioni, considerate le relative ridotte
proporzioni e considerata la loro natura elettivamente pertinenziale alle
sottostanti unità abitative.
A suffragio di tale approdo, valga richiamare l’arresto pretorio secondo cui
«l'installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni rientra
nell'ambito delle pertinenze e non integra violazione né degli indici di
copertura né degli standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico
della zona e che i vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque
consentiti (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 16.04.2014, n.
1951); in tale ottica, in linea generale una piscina realizzata in una
proprietà privata a corredo esclusivo della stessa non possiede un'autonomia
immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza dell'immobile principale
esistente, essendo destinata a servizio dello stesso (cfr. ad es. Consiglio
di Stato, sez. I, 15.01.2014, n. 3601)» (Cons. Stato, sez. VI, n.
6644/2019).
Nello stesso senso, si è statuito che: «… una piscina posta al servizio
esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata non è di per sé
estranea al concetto di "pertinenza urbanistica". Tale nozione ha
peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve
trattarsi, invero, di un'opera –che abbia comunque una propria individualità
fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato– preordinata ad un'oggettiva esigenza
dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al
servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non
superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da
non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio
principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio
dell'immobile cui accede (ex multis, sez. VII, 27.03.2015, n. 29261; sez.
III, 21.05.2009 n. 39067; sez. 3, 11.06.2008, n. 37257) … Tali principi
trovano applicazione, secondo la giurisprudenza amministrativa, anche per le
piscine di modeste dimensioni che siano asservite ad edifici a destinazione
residenziale (Cons. Stato, sez. V, 16.04.2014, n. 1951; Cons. Stato, sez. IV,
08.08.2006, n. 4780) … purché abbiano limitata rilevanza sul piano
urbanistico e non influiscano negativamente sull'assetto territoriale
agricolo (TAR Piemonte, 16.11.2009, n. 2552; TAR Veneto, 16.11.1998, n.
2069)» (Cass. pen., sez. III, n. 52835/2016)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 08.07.2021 n. 1701 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una piscina è nuova costruzione e necessita del permesso di
costruire.
Non v’è dubbio che sia bisognevole del
permesso di costruire la realizzazione di una piscina in quanto, come chiarito
dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa
dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma
permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il
previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
E la stessa non è qualificabile come pertinenza.
Invero, secondo il costante
orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza
urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e, dunque, non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio
di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale
in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto alle opere
che, per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate
di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter
essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono.
In tal senso, si è chiarito
che finanche gli interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo,
che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici
come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali
strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono
inserite.
Ebbene, nel caso di specie, rispetto alla piscina, va
rilevato che essa, oltre a costituire una permanente
modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da
escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto
inteso come principale.
---------------
1.1. Con il ricorso principale, la ricorrente GU.Li., contesta l’ordinanza n. 92 dell’08.05.2018 con cui il
Comune di Napoli ha ingiunto, ai sensi dell’art. 31 D.P.R.
380/2001, la demolizione delle opere realizzate abusivamente
in via ... n. 2 consistenti in:
- "un
manufatto in muratura e vetri occupante una superficie di
mq 65,00;
- una piscina interrata di mq 12,50;
- un piano
seminterrato di mq 170 circa costituito in parte da locale
deposito e parte da locale composto da cucina, ambiente
letto e w.c.”.
...
2.1. Nel merito, occorre, innanzitutto, qualificare le opere
sopra indicate che costituiscono nuove costruzioni ai sensi
dell’art. 3, lett. e), del D.P.R. 380/2001.
In particolare, non v’è dubbio che siano bisognevoli del
permesso di costruire il “manufatto in muratura e vetri
occupante una superficie di mq 65,00” e la costruzione del
piano seminterrato (170 mq). Tali opere, infatti, implicano
la creazione di nuova volumetria con ampliamento del
manufatto esistente al di là della sagoma (lett. e.1 art. 3
lett. e del D.P.R. 380/2001, cit.).
Parimenti è a dirsi per la piscina in quanto, come chiarito
dal costante orientamento del giudice amministrativo, essa
dà luogo ad una struttura edilizia che trasforma
permanentemente il sito di relativa ubicazione mediante il
previo sbancamento, e, poi, la costruzione della vasca.
2.2. Diversamente da quanto sostenuto dalla parte
ricorrente, nessuna di tali opere è qualificabile come
pertinenza.
In proposito, giova rammentare che, secondo il costante
orientamento della giurisprudenza, la nozione di "pertinenza
urbanistica" è meno ampia di quella definita dall'art. 817
c.c. e dunque non può consentire la realizzazione di opere
di grande consistenza soltanto perché destinate al servizio
di un bene qualificato principale. Il carattere pertinenziale in senso urbanistico va, quindi, riconosciuto
alle opere che, per loro natura, risultino funzionalmente ed
esclusivamente inserite al servizio di un manufatto
principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non
siano valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate
di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter
essere utilizzate autonomamente e separatamente dal
manufatto cui accedono (Consiglio Stato, sez. IV, 17.05.2010, n. 3127).
In tal senso, si è chiarito, con condivisibile orientamento,
che finanche gli interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo,
che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici
come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime della concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono; tali
strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di
entità tale da arrecare una visibile alterazione
all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono
inserite.
Ebbene, nel caso di specie, le opere sono ben più
consistenti rispetto alle mere tettoie in quanto sono
valutabili in termini di cubatura e non possono, quindi,
essere ritenute, in senso urbanistico, ‘assorbite’ nel
manufatto principale o qualificate come meramente accessorie
(TAR Campania Napoli, sez. II, 29.01.2009, n. 492;
TAR Campania Napoli, sez. VII, 08.04.2011, n. 1999;
v. pure i precedenti di TAR Campania, IV sez., n.
831/2015 e 2717/2017).
Con maggiore impegno esplicativo, rispetto alla piscina, va
rilevato che essa, oltre a costituire una permanente
modificazione del suolo, ha un rilievo autonomo tale da
escludere la relazione di accessorietà rispetto al manufatto
inteso come principale (TAR Napoli, sez. VII, 17/09/2020,
n. 3874; TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n.
42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642;
Cassazione penale sez. III, 20/12/2018, n. 1913).
3. Tutte le opere sono, quindi, nuove costruzioni e, in
quanto tali, necessitano del permesso di costruire. Tanto
dimostra la infondatezza delle censure che si appuntano su
una diversa qualificazione dell’opera o sulla legittimità
del manufatto (censure VI e IX) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.01.2021 n. 527 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una piscina non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
---------------
8.3 - Quanto infine alla piscina, in disparte la questione della anteriorità
della sua realizzazione rispetto alla data di presentazione della s.c.i.a.
(secondo quanto riportato nella nota comunale n. 1493/2014, all. 10
produzione Comune), va precisato che il fatto che trattasi di piscina
interrata che non incide sui parametri urbanistici non implica, come
ritenuto dalla ricorrente, che la stessa sia legittimabile tramite s.c.i.a.
Giova richiamare sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza
amministrativa secondo cui “la realizzazione di una piscina non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire
(TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n. 42; TAR Campania,
Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642)” – da ultimo, ex multis, Tar
Campania, Napoli, sez. VII. Sent. 17/09/2020
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 21.12.2020 n. 6324 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura pertinenziale, o meno, di una piscina fuori terra.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la
nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a
quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche
ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si
connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non
siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile
una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza
urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso
che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto
alla cosa in cui esso inerisce.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica,
ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di
un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio
principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di
quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze
che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere
precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali
facilmente amovibili.
---------------
Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che esse
non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio a cui accede.
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire.
---------------
Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre
dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria
delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è
caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove
costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED,
che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio
principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di
dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non
può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude
la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la
dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata
in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi,
sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di
“pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e
“modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume
dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la
stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di
grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza
tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché
delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di
essa possa farsene.
---------------
1. Con ricorso notificato il 15.10.2019, il sig. Gi.Mi. ha impugnato il
provvedimento prot. 9558 del 19.07.2019 con il quale il Settore Gestione del
Territorio del Comune di San Sebastiano al Vesuvio ha concluso con esito
negativo la SCIA alternativa al P.d.C. (art. 23 TUED) prot. 1856 del
12.02.2019 presentata dal ricorrente e relativa a un intervento da eseguirsi
nell’immobile di proprietà sito in territorio comunale alla via ...,
consistente nella modifica dei prospetti dell’edificio correlata
all’installazione di una piscina fuori terra su di un lotto di terreno in
zona agricola, appoggiata al suolo e a carattere pertinenziale rispetto
all’immobile.
In base al combinato disposto degli artt. 23, 10, co. 1, lett. c), e 3, co. 1,
lett. e.6), del d.P.R. 380/2001 (in seguito anche: TUED), il ricorrente ha
sostenuto che l’intervento in questione rientrasse nella categoria della
ristrutturazione edilizia (art. 10, co. 1, lett. c), TUED) e non della nuova
costruzione (art. 10, co. 1, lett. e) TUED), quindi perfettamente
realizzabile mediante SCIA sostituiva del permesso di costruire, in quanto
la piscina non avrebbe superato il limite del venti per cento rispetto alla
volumetria dell’immobile di cui rappresentava pertinenza.
...
11. Si passa ora all’esame delle censure di tipo sostanziale.
Vanno, in primo luogo, riprodotte le norme di riferimento, anche se già se
ne è fatta menzione nella parte in fatto.
Il ricorrente ha richiesto una SCIA alternativa al permesso di costruire
disciplinata dal comma 1 dell’art. 23 TUED: “In alternativa al permesso
di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di
inizio di attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, comma 1, lett. c).”.
Questi ultimi sono “gli interventi di ristrutturazione edilizia che
portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente
e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei
prospetti ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso nonché gli
interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti
a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni”.
Alla disciplina dell’art. 10 va aggiunta quella dell’art. 3 TUED sugli “interventi
edilizi”.
Oltre a quelli del comma 1 lett. d), che riguarda specificamente gli
interventi di ristrutturazione edilizia, è necessario considerare la lett.
e), sugli “interventi di nuova costruzione", che sono “quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi
tali:
-e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati,
ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente,
fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla
lettera e.6)”.
La lett. e.6) annovera tra gli interventi di nuova costruzione:
- "gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale”.
Pertanto, ragionando a contrario, sono da annoverare tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia, e quindi nel perimetro applicativo dell’art. 10,
co. 1, lett. c), TUED, realizzabili con SCIA alternativa al permesso di
costruire, gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di
un volume NON superiore al 20% del volume dell'edificio principale.
12. Entrambi i primi due motivi di ricorso sono inquadrabili nell’ambito del
combinato disposto delle disposizioni sopra illustrate, e quindi esaminabili
in ragione di dette disposizioni, anche se ciascuno nella propria
individualità.
Si tratta di stabilire da un lato se la piscina che il ricorrente intende
costruire previa SCIA in luogo del permesso di costruire sia un intervento
di ristrutturazione edilizia per le ragioni sopra esposte, in quanto volumetricamente compatibile con il disposto normativo,
dall’altro se sia o
meno una pertinenza.
Il venir meno di uno solo di questi due requisiti comporta l’inapplicabilità
della disciplina sopra richiamata, in quanto la lett. e.6) dell’art. 3 TUED
riguarda comunque opere di tipo “pertinenziale”.
Un’opera volumetricamente corretta ma non pertinenziale non può essere
considerata alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia,
assentibile con SCIA in luogo del permesso di costruire.
13. In ragione di quanto detto, risulta dirimente, ai fini del decidere, il
rigetto del secondo motivo relativo alla natura non pertinenziale della
piscina in questione.
La giurisprudenza amministrativa è pacificamente orientata nel definire la
nozione di “pertinenza urbanistica” in senso più ristretto rispetto a
quella civilistica (art. 817 c.c.).
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile solo ad opere di
modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche
ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si
connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non
siano coessenziali alla stessa, tali , cioè, che non ne risulti possibile
una diversa destinazione economica. Invero, la pertinenza
urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso
che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto
alla cosa in cui esso inerisce (ex multis, Cons. St., sez. VI, 13.01.2020; id., sez. II, 22.07.2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica,
ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di
un autonomo valore di mercato e non comporta carico urbanistico, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio
principale.
L’orientamento funzionale si è consolidato in giurisprudenza a scapito di
quello strutturale, per cui se un'opera è realizzata per soddisfare esigenze
che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere
precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali
facilmente amovibili (Cons. St., sez. VI, 10.01.2019, n. 260; id., 01.04.2016 n. 1291).
13.1. Con riguardo alle piscine, questa Sezione ha recentemente ribadito che
esse non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio (TAR Campania Napoli, sez. III, 03.02.2020, n. 483).
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da
altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o
meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto
non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria
dell'edificio a cui accede (TAR Lazio, sez. II-bis, 07.10.2019, n. 11586).
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una
attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione,
in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire
(così, TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642, che rimanda,
ex multis, a Cons. St., sez. IV, 08.01.2016, n. 35; TAR Puglia, Lecce,
sez. I, 20.09.2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 16.03.2017, n. 1503; sez. II, 30.05.2018, n. 3569; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 30.01.2018, n. 248).
13.2. Va precisato che le piccole o grandi dimensioni non sono sempre
dirimenti ai fini della ascrivibilità o meno di un manufatto alla categoria
delle pertinenze, in quanto, come già accennato, la pertinenzialità è
caratteristica fondamentale per ascrivere alla categoria delle nuove
costruzioni anche i manufatti indicati dalla lett. e.6) dell’art. 3 TUED,
che comprendono quelli con volume superiore al 20% del volume dell’edificio
principale.
Astrattamente, può essere quindi pertinenziale anche un manufatto di
dimensioni non modeste rispetto all’edificio cui accede.
Pertanto, va considerato sempre l’aspetto funzionale, sicché così come non
può dirsi che un manufatto di grande volume non è una pertinenza (lo esclude
la norma stessa), parimenti non si può automaticamente associare la
dimensione “modesta” alla natura pertinenziale.
Detto diversamente, la dimensione più o meno ampia del manufatto va valutata
in ragione di detta funzionalità a prescindere dal rapporto tra i volumi,
sia perché non avrebbe senso porre questa differenziazione se il concetto di
“pertinenza” corrispondesse automaticamente a “modesta dimensione” e
“modesta dimensione” corrispondesse a volume inferiore al 20% del volume
dell’edificio cui la pertinenza accede, sia perché così non avrebbe senso la
stessa lettera e.6), che ammette l’esistenza di opere pertinenziali di
grandi dimensioni.
Inoltre, nel caso delle piscine, è evidente che la valutazione dell’ampiezza
tiene conto soprattutto della superficie visibile, non del volume, nonché
delle attrezzature di contorno e quindi dell’uso più o meno autonomo che di
essa possa farsene.
13.3. Le suddette considerazioni valgono ad escludere che la piscina oggetto
della SCIA del 12.02.2019 possa essere considerata alla stregua di
opera pertinenziale.
Ciò in quanto di dimensioni per nulla modeste (118 mq con una altezza di
1,60 m), suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto alla struttura cui
accede poiché non vi è alcun collegamento funzionale tra una piscina e un
bar ristorante, quale quello presente nell’edificio di proprietà del
Migliaccio, nel senso che il bar può esistere senza la piscina, e la piscina
può esistere senza bar, e l’utilità che essi possono reciprocamente
scambiarsi non è di tipo oggettivo ma soggettivo, a discrezione del
proprietario, che potrebbe benissimo destinarla all’uso personale o della
sua famiglia.
Va altresì rilevato che accedono alla piscina anche una pedana in legno
posta sul perimetro della piscina larga 2 metri con superficie di 90 mq e
una vasca di compenso di dimensioni pari a metri 4 x 4, per una profondità
di 1,5 metri.
In tutto, l’apparato piscina occupa oltre 200 mq di terreno agricolo, e a
prescindere dalla circostanza che il d.l. 9/1982, all’art. 7, co. 2, consenta
le opere pertinenziali in aree agricole, resta il fatto che non si ravvisa,
nel caso di specie, alcun nesso di pertinenzialità in senso funzionale
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 09.09.2020 n. 3730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
rileva con la giurisprudenza dominante che la realizzazione di una piscina
non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in
quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è
solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova
costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum,
costituito dal permesso di costruire.
Inoltre, per la piscina installata
parzialmente fuori terra, fuoriuscendo dal piano di campagna per circa un
metro, la giurisprudenza ha statuito quanto segue: <<La
piscina fuori terra non può essere considerata come struttura di natura
accessoria e come tale riconducibile alle ipotesi di attività edilizia
libera ex art. 6, T.U. n. 380/2001 lett. a) o meglio tra gli interventi
aventi natura pertinenziale realizzabili mediante SCIA e non necessitanti
del permesso di costruire ex art. 10, T.U. n. 380/2001>>.
---------------
E ‘altresì da escludere che la suddetta piscina possa assolvere ad una
funzione di semplice decoro o arredo, sì da potersi qualificare “pertinenza
urbanistica”.
A tale conclusione si perviene non tanto per le dimensioni della piscina,
quanto per il contesto, particolarmente attrezzato (“area posta od ovest
del fabbricato e delimitata sui lati nord, sud ed ovest da muro avente
un’altezza di circa ml. 2.20 e posta a quota superiore di circa m. 1,
accessibile mediante una piccola rampa scale scoperta”) in cui essa
insiste e va ad inserirsi, area che appare appositamente allestita (“area
pavimentata di mq. 100”) in funzione della struttura .
A ciò va soggiunto che la nozione “urbanistica” di pertinenza è
nozione molto più ristretta di quella dettata da diritto civile, non
potendo, in particolare, considerarsi pertinenze quelle opere che non sono
coessenziali al bene principale, e che, per loro natura , hanno un’autonoma
rilevanza funzionale ed economica, con la conseguenza che: <<La qualifica
di pertinenza è applicabile solo ad opere di modesta entità, accessorie
rispetto ad un’opera principale, ma non anche ad opere che, dal punto di
vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria
autonomia rispetto all’opera c.d. principale e non siano coessenziali alla
stessa, tale cioè che non ne risulta possibile alcuna diversa utilizzazione
economica>>.
---------------
Quanto alla pavimentazione dell’area adiacente alla piscina, di essa non può
operarsene una considerazione atomistica, isolata ed a se stante,
partecipando del medesimo regime giuridico (nella specie di abusività),
mutuato dalla res principale, formando con essa un quadro unitario ed
inscindibile (per un’applicazione TAR Napoli, (Campania) sez. III,
20/02/2018, n. 1093, nel quale si evidenzia che gli interventi edilizi vanno
considerati nel loro complesso per stabilire se hanno determinato
trasformazione del territorio o aumento de carico urbanistico).
La valutazione urbanistica e la correlativa qualificazione giuridica di
interventi edilizi postula una considerazione unitaria degli stessi onde
apprezzarne la rilevanza sotto il profilo urbanistico e la conseguente loro
iscrizione alla relativa categoria edilizia (manutenzione, restauro e
risanamento conservativo, ristrutturazione ovvero nuova costruzione) ai fini
dell'individuazione del titolo autorizzatorio al cui regime sono
assoggettati. Ai fini della ricognizione del regime giuridico e della
categoria edilizia cui vanno ricondotti gli abusi edilizi non possono
formare oggetto di una considerazione atomistica, ma debbono essere
apprezzati nel loro complesso onde stabilire se hanno determinato
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, incremento di carico
urbanistico e se hanno o meno natura di pertinenza.
---------------
Relativamente alla contestazione di cui al punto 6 dell’ordinanza impugnata
(“Pavimentazione ulteriore area esterna (realizzazione di un area circa
mq. 110 completamente piastrellata e delimitata sui lati nord/est da muretto
in di altezza media di circa cm 80, la stessa area è accessibile da rampa
scala scoperta posta sul versante est e da altra rampa scala posta sul
versante nord, entrambe realizzate in muratura”), è sufficiente il
richiamo alla giurisprudenza che si condivide, per la quale: <<L'intervento
edilizio, consistente nella pavimentazione di tutta l'area di pertinenza
dell'intero stabile con cemento nonché la contestuale realizzazione di una
scala e di una parte di pavimentazione in cotto, integrano trasformazione
urbanistica ed edilizia, tendenzialmente permanente ed alterazione
dell'assetto del territorio da qualificare correttamente come intervento di
nuova costruzione in ossequio al disposto dell'art. 3, comma 1, lett. e),
d.P.R. n. 380 del 2001, e conseguentemente subordinato a permesso di
costruire in forza dell'art. 10, comma 1, lett. a) dello stesso decreto>>.
A ciò aggiungasi che l’ulteriore
area pertinenziale esterna è destinata (oltre che a giardino ed alla
fruizione del tempo libero, anche) alla adibizione a parcheggio e, secondo,
recentissima, condivisa giurisprudenza <<Il permesso di costruire è
necessario anche per la realizzazione di parcheggi, in quanto la
sistemazione di un'area a parcheggio aumenta il carico urbanistico>>.
---------------
Infine, in ordine alla necessità del permesso di costruire negli interventi
contemplati con la censura in esame, dirimente è la considerazione in via
prioritaria dei vincoli paesaggistici che interessano la zona di afferenza
dell’abuso (come desumibile dal richiamo nell’ordinanza al D.Lgs.
22/01/2004, n. 42, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) che impongono,
in assenza di adeguato titolo abilitativo, anche sotto il profilo
paesaggistico, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
In proposito, la giurisprudenza ha elaborato un principio di indifferenza
del titolo necessario all’esecuzione di interventi in zone vincolate,
affermando la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso:
<<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per
realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di
costruire), ciò che rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione
ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona
vincolata ed in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo
paesaggistico, che urbanistico>>.
---------------
Con la seconda censura, in relazione alle opere esterne realizzata
nell'area di pertinenza dell'immobile residenziale, relativamente alla
piscina, si deduce la violazione degli artt. 3 e 31 del d.P.R. 380/2001,
oltre all’eccesso di potere (per istruttoria erronea ed insufficiente,
difetto dei presupposti, errore di fatto, motivazione illogica ed
insufficiente, illogicità manifesta), al riguardo in particolare:
A - in relazione alla piscina, essa sarebbe di modestissima dimensioni, di
tipo prefabbricato ed è stata installata parzialmente fuori terra,
fuoriuscendo dal piano di campagna per circa un metro.
Sostengono, in argomento, i ricorrenti, richiamando la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, che, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, lett. a) «opere
costituenti pertinenze od impianti tecnici al servizio di edifici già
esistenti», è rilevante che sussista un rapporto pertinenziale tra un
edificio preesistente e l'opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo
nel senso che la consistenza dell'opera deve essere tale da non alterare in
modo significativo l'assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di
un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un
effettivo uso normale del soggetto che risiede nell'edificio principale.
Nel caso in esame, la piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa
ad un fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha certamente
natura obiettiva di pertinenza, e costituisce un manufatto adeguato all'uso
effettivo e quotidiano del proprietario dell'immobile principale.
Inoltre l’installazione di una piscina prefabbricata di modeste dimensioni
non integra violazione degli indici di copertura che riguardano interventi
edilizi, né degli standard, atteso che non aumentano il carico urbanistico
della zona, rilevando solo in termini ili sistemazione esterna del terreno,
e che i vani per impianti tecnologici sono comunque consentiti.
Infine, secondo la giurisprudenza, la installazione di una piscina, avente
le caratteristiche di quella descritta, non sarebbe soggetta al previo
rilascio del permesso di costruire, la cui mancanza non sarebbe, dunque,
sanzionabile con la demolizione, ai sensi dell’art. 31, D.P.R. 380/2001,
difettando i presupposti di fatto e di diritto per la sua applicazione.
B - In relazione alle altre opere realizzate nell'area esterna pertinenziale,
ovvero la pavimentazione di alcune parti del giardino (in particolare al
contorno della piscina e in un'altra area destinata al tempo libero,
l'allungamento del viale di accesso, lo spiazzo ad uso parcheggio), trattasi
di interventi insuscettibili di aumentare il carico urbanistico o di
determinare una rilevante trasformazione fisica e funzionale del territorio,
stante la intrinseca pertinenzialità funzionale di tali superfici esterne
rispetto all'edificio principale.
Infatti, rappresentano i ricorrenti che la pavimentazione esterna fu
effettuata al solo fine della messa in sicurezza delle aree scoperte, per
destinarla in parte alla permanenza delle persone per godere del tempo
libero, ed in altra parte, a parcheggio privato di autovetture, per modo che
l'area non ha perduto i suoi connotati di spazio pertinenziale al servizio
esclusivo del fabbricato principale ad uso residenziale.
Inoltre, anche per tale intervento, va dedotta la violazione della normativa
urbanistica di riferimento e segnatamente dell'articolo 6 D.P.R. 380/2001,
come modificato dal D.L. 25.03.2010 n. 40, conv. in Legge n. 73/2010, atteso
che, alla stregua di siffatta normativa, costituiscono attività edilizia
libera la pavimentazione delle aree esterne di pertinenza degli edifici
(peraltro già prevista in progetto), le aree ludiche senza fine di lucro e
gli elementi di arredo de le aree di sosta apposti nelle aree pertinenziali
degli edifici, per modo che, anche in tal caso non può che rilevarsi
l'illegittimità dell'ordinanza comunale per difetto dei presupposti previsti
dal più volte citato articolo 31 T.U. Edilizia.
La censura, sotto entrambi i profili sub A e B) considerati è infondata.
Relativamente alla contestazione di cui al punto 6 dell’ordinanza (“piscina
anch'essa abusiva, di forma ovale dalla lunghezza di circa ml. 8,40 ed una
larghezza media di circa m 1.4, contornata da un area pavimentata di circa
mq. 100”), si rileva con la giurisprudenza dominante che la
realizzazione di una piscina non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente
complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo
svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad
una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (TAR Salerno, (Campania)
sez. II, 18/04/2019, n. 642).
Inoltre, come asserito dai medesimi ricorrenti la piscina è stata installata
parzialmente fuori terra, fuoriuscendo dal piano di campagna per circa un
metro, circostanza per la quale, secondo condivisa giurisprudenza: <<La
piscina fuori terra non può essere considerata come struttura di natura
accessoria e come tale riconducibile alle ipotesi di attività edilizia
libera ex art. 6, T.U. n. 380/2001 lett. a) o meglio tra gli interventi
aventi natura pertinenziale realizzabili mediante SCIA e non necessitanti
del permesso di costruire ex art. 10, T.U. n. 380/2001>> (TAR Napoli,
(Campania) sez. VI, 07/06/2019, n. 3103).
E ‘altresì da escludere che la suddetta piscina possa assolvere ad una
funzione di semplice decoro o arredo, sì da potersi qualificare “pertinenza
urbanistica”.
A tale conclusione si perviene non tanto per le dimensioni della piscina,
quanto per il contesto, particolarmente attrezzato (“area posta od ovest
del fabbricato e delimitata sui lati nord, sud ed ovest da muro avente
un’altezza di circa ml. 2.20 e posta a quota superiore di circa m. 1,
accessibile mediante una piccola rampa scale scoperta”) in cui essa
insiste e va ad inserirsi, area che appare appositamente allestita (“area
pavimentata di mq. 100”) in funzione della struttura .
A ciò va soggiunto che la nozione “urbanistica” di pertinenza è
nozione molto più ristretta di quella dettata da diritto civile, non
potendo, in particolare, considerarsi pertinenze quelle opere che non sono
coessenziali al bene principale, e che, per loro natura , hanno un’autonoma
rilevanza funzionale ed economica, con la conseguenza che: <<La qualifica
di pertinenza è applicabile solo ad opere di modesta entità, accessorie
rispetto ad un’opera principale, ma non anche ad opere che, dal punto di
vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria
autonomia rispetto all’opera c.d. principale e non siano coessenziali alla
stessa, tale cioè che non ne risulta possibile alcuna diversa utilizzazione
economica>> (TAR Campania, sez. VII, 27.11.2017, n. 5564).
Quanto alla pavimentazione dell’area adiacente alla piscina, di essa non può
operarsene una considerazione atomistica, isolata ed a se stante,
partecipando del medesimo regime giuridico (nella specie di abusività),
mutuato dalla res principale, formando con essa un quadro unitario ed
inscindibile (per un’applicazione TAR Napoli (Campania) sez. III,
20/02/2018, n. 1093, nel quale si evidenzia che gli interventi edilizi vanno
considerati nel loro complesso per stabilire se hanno determinato
trasformazione del territorio o aumento de carico urbanistico).
La valutazione urbanistica e la correlativa qualificazione giuridica di
interventi edilizi postula una considerazione unitaria degli stessi onde
apprezzarne la rilevanza sotto il profilo urbanistico e la conseguente loro
iscrizione alla relativa categoria edilizia (manutenzione, restauro e
risanamento conservativo, ristrutturazione ovvero nuova costruzione) ai fini
dell'individuazione del titolo autorizzatorio al cui regime sono
assoggettati. Ai fini della ricognizione del regime giuridico e della
categoria edilizia cui vanno ricondotti gli abusi edilizi non possono
formare oggetto di una considerazione atomistica, ma debbono essere
apprezzati nel loro complesso onde stabilire se hanno determinato
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, incremento di carico
urbanistico e se hanno o meno natura di pertinenza.
Relativamente alla contestazione di cui al punto 6 dell’ordinanza impugnata
(“Pavimentazione ulteriore area esterna (realizzazione di un area circa
mq. 110 completamente piastrellata e delimitata sui lati nord/est da muretto
in di altezza media di circa cm 80, la stessa area è accessibile da rampa
scala scoperta posta sul versante est e da altra rampa scala posta sul
versante nord, entrambe realizzate in muratura”), è sufficiente il
richiamo alla giurisprudenza che si condivide, per la quale: <<L'intervento
edilizio, consistente nella pavimentazione di tutta l'area di pertinenza
dell'intero stabile con cemento nonché la contestuale realizzazione di una
scala e di una parte di pavimentazione in cotto, integrano trasformazione
urbanistica ed edilizia, tendenzialmente permanente ed alterazione
dell'assetto del territorio da qualificare correttamente come intervento di
nuova costruzione in ossequio al disposto dell'art. 3, comma 1, lett. e),
d.P.R. n. 380 del 2001, e conseguentemente subordinato a permesso di
costruire in forza dell'art. 10, comma 1, lett. a) dello stesso decreto>>
(TAR Napoli, (Campania) sez. III, 20/02/2018, n. 1093).
A ciò aggiungasi che -come asserito dai medesimi ricorrenti- l’ulteriore
area pertinenziale esterna è destinata (oltre che a giardino ed alla
fruizione del tempo libero, anche) alla adibizione a parcheggio e, secondo,
recentissima, condivisa giurisprudenza <<Il permesso di costruire è
necessario anche per la realizzazione di parcheggi, in quanto la
sistemazione di un'area a parcheggio aumenta il carico urbanistico>> (C.
di S., sez. II, 01.07.2019, n. 4475).
Infine, in ordine alla necessità del permesso di costruire negli interventi
contemplati con la censura in esame, dirimente è la considerazione in via
prioritaria dei vincoli paesaggistico che interessano la zona di afferenza
dell’abuso (come desumibile dal richiamo nell’ordinanza al D.Lgs.
22/01/2004, n. 42, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) che impongono,
in assenza di adeguato titolo abilitativo, anche sotto il profilo
paesaggistico, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
In proposito, la giurisprudenza ha elaborato un principio di indifferenza
del titolo necessario all’esecuzione di interventi in zone vincolate,
affermando la legittimità dell’esercizio del potere repressivo in ogni caso
(cfr. la sentenza della Sez. VI di questo Tribunale del 26/03/2015 n. 1815):
<<a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per
realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di
costruire), ciò che rileva, al fine dell’irrogazione della sanzione
ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona
vincolata ed in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo
paesaggistico, che urbanistico>>
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 07.01.2020 n. 42 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza ha reiteratamente sancito la natura pertinenziale della
piscina di ridotte dimensioni e cioè:
- “La realizzazione di una piscina prefabbricata di dimensioni
relativamente modeste in rapporto all’edificio a destinazione residenziale,
sito in zona agricola, rientra nell’ambito delle pertinenze […] Ciò che
rileva, infatti, è che sussista un rapporto pertinenziale tra un edificio
preesistente e l’opera da realizzare e tale rapporto sia oggettivo nel senso
che la consistenza dell’opera deve essere tale da non alterare in modo
significativo l’assetto del territorio e deve inquadrarsi nei limiti di un
rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un effettivo
uso normale del soggetto che risiede nell’edificio principale”;
- “Una piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un
fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha natura obiettiva di
pertinenza e costituisce un manufatto adeguato all’uso effettivo e
quotidiano del proprietario dell’immobile principale”.
---------------
6.2.2. Occorre pertanto stabilire se la piscina della società Il Gi. abbia o
meno carattere pertinenziale rispetto all’immobile abitativo ad essa
attiguo.
La giurisprudenza ha reiteratamente sancito la natura pertinenziale della
piscina di ridotte dimensioni: “La realizzazione di una piscina
prefabbricata di dimensioni relativamente modeste in rapporto all’edificio a
destinazione residenziale, sito in zona agricola, rientra nell’ambito delle
pertinenze […] Ciò che rileva, infatti, è che sussista un rapporto
pertinenziale tra un edificio preesistente e l’opera da realizzare e tale
rapporto sia oggettivo nel senso che la consistenza dell’opera deve essere
tale da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio e deve
inquadrarsi nei limiti di un rapporto adeguato e non esorbitante rispetto
alle esigenze di un effettivo uso normale del soggetto che risiede
nell’edificio principale” (TAR Sicilia, Palermo, III, 13.02.2015 n.
441); “Una piscina prefabbricata, di dimensioni normali, annessa ad un
fabbricato ad uso residenziale sito in zona agricola, ha natura obiettiva di
pertinenza e costituisce un manufatto adeguato all’uso effettivo e
quotidiano del proprietario dell’immobile principale” (TAR Liguria,
Genova, I, 21.07.2014 n. 1142; cfr: TAR Puglia, Lecce, I, 01.06.2018 n. 931;
II, 14.01.2019 n. 40; Consiglio di Stato, V, 16.04.2014 n. 1951).
Del resto, in termini sostanzialmente equivalenti si è recentemente espresso
anche questo Tribunale (TAR Umbria, Perugia, I, 09.04.2019 n. 193) alla luce
della disciplina regionale di cui all’art. 118, c. 1, lett. d), L.R. 1/2015
e 21, c. 3, lett. o), R.R. 2/2015.
Considerata la presenza, nel caso di specie, degli indici individuati dalla
giurisprudenza sopra riportata (in particolare: dimensioni relativamente
modeste, adeguatezza all’uso normale da parte del proprietario
dell’abitazione, difetto di autonoma utilizzabilità), la piscina realizzata
dalla società ricorrente deve considerarsi stabilmente destinata al servizio
e/o all’ornamento del fabbricato principale, in modo da integrare una
pertinenza di esso
(TAR Umbria,
sentenza 07.10.2019 n. 509 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Natura
di pertinenza di una piscina condominiale.
E’ qualificabile come pertinenza una piscina
condominiale allocata in un’area di sedime diversa da quella progettuale.
D’altra parte una piscina, collocata in una proprietà privata e posta al
servizio esclusivo della stessa, non ha una sua autonomia immobiliare ed è,
invece, destinata a determinare un qualcosa che si pone al servizio
dell'immobile principale è vicenda effettivamente abbastanza evidente.
La natura pertinenziale determina l’inapplicabilità della regola demolitoria
valevole per le variazioni essenziali, dovendo invece imporre una
considerazione in concreto della procedura da adottare, una volta assodata
la reale natura delle opere.
---------------
1. - L’appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di
seguito precisati.
2. - Con il primo motivo di impugnazione, contenuto nel ricorso introduttivo
in primo grado e reiterato in appello, Ba. S. Gi. contestava le
motivazioni del primo giudice in merito alle censure proposte avverso il
diniego opposto dal Comune di Genova alla istanza di accertamento di
conformità relativa alla variante introdotta nel corso dei lavori
autorizzata con permesso di costruire 17/08/2004, relativo alla complessiva
sistemazione del parco pertinenziale di Villa Candida, compresa la piscina
condominiale di proprietà.
Il TAR aveva infatti respinto le censure
dedotte sulla base di più argomenti, ossia: a) la piscina sarebbe stata
realizzata su un’area di sedime diversa da quella individuata nel permesso
di costruire 548/2004; b) la diversa localizzazione della piscina sull’area
di sedime prevista dal p.d.c. costituirebbe una totale difformità rispetto
al titolo; c) il diniego di accertamento di conformità era corretto perché i
lavori della piscina si ponevano in contrasto con il vincolo a destinazione
pubblica previsto nella convenzione di lottizzazione del 1991.
Avverso la ricostruzione del primo giudice, la ricorrente evidenzia, per un
verso, come la localizzazione della piscina, realizzata in prossimità della
localizzazione progettuale originaria doveva essere considerata in un
contesto complessivo, visto che l’oggetto del permesso di costruire del 2004
era tutto il parco di Villa Candida e la sistemazione delle aree interne,
rispetto alle quali la piscina e la sua positura all’interno del compendio,
costituivano elementi pertinenziali di minor rilevanza; per altro verso, la
relativamente diversa positura della piscina sull’area non poteva integrare
una totale difformità ai sensi degli artt. 33, comma 1, D.P.R. 380/2001 e
44, comma 1, L.R. 16/2008 non assimilabile ad alcuna delle fattispecie di
totale difformità ma soprattutto in quanto a sensi dell’art. 44 comma 3,
L.R. 16/2008 una totale difformità era esclusa –come dedotto da Ba. S.
Gi.- dalla natura pertinenziale della piscina.
2.1. - La doglianza deve essere condivisa.
Occorre evidenziare come la natura pertinenziale o meno di un manufatto sia
valutabile sulla scorta di una giurisprudenza del tutto consolidata, che
evidenzia come l'accezione civilistica di pertinenza sia più ampia di quella
applicata nella materia urbanistico-edilizia.
Va così ricordato che la
pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un
oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un
uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.
A differenza della
nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il
manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo
preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è
funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di
un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto "carico
urbanistico" proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto
funzionale con l'edificio principale (da ultimo Cons. Stato, II, 22.07.2019, n. 5130; id., IV,
02.02.2012, n. 615; id., V, 13.06.2006, n. 3490).
La detta giurisprudenza continua a mantenere valore anche a seguito
dell’adozione del Testo unico dell’edilizia che, all’art. 3, individua la
nozione di pertinenza, facendo riferimento al titolo necessario alla loro
realizzazione, qualora si tratti di interventi “che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore
al 20% del volume dell'edificio principale”, permettendo di chiarire la
portata del dettato normativo nei casi dubbi.
Nella situazione in esame, ritiene il Collegio che possa ritenersi assodata
la natura pertinenziale dell’opera oggetto di demolizione, ossia la piscina
allocata in un’area di sedime diversa da quella progettuale, sulla base di
due distinte considerazioni.
In primo luogo, va effettivamente rilevato come l’oggetto del permesso di
costruire del 2004 aveva una consistenza del tutto maggiore, riguardando
l’intero parco di Villa Candida e la sistemazione delle aree interne. In una
ottica di proporzionalità o normalità, che è sempre presente nella
valutazione giurisdizionale sulla natura pertinenziale delle opere (si veda,
in tema di piscine, Cons. Stato, II, 03.09.2019, n. 6068; id., V, 13.10.1993, n. 1041), appare quindi erroneo attribuire un valore esclusivo
ed autonomo alla realizzazione della piscina e al suo collocamento
all’interno del compendio, quando complessivamente l’impatto del manufatto
deve essere mediato con la considerazione complessiva delle opere
autorizzate dal permesso di costruire.
In secondo luogo, non va sottaciuta la rilevanza dell’assenso espresso,
mediante autorizzazione alla proposta variante, dalla Soprintendenza ai beni
architettonici (prot. 21.02.2006 n. 2056) che implicitamente
evidenziava la carenza di fatti lesivi per i beni superindividuali dalla
stessa tutelati.
Conclusivamente, se può apparire scontato “che una piscina, collocata in una
proprietà privata e posta al servizio esclusivo della stessa, non abbia una
sua autonomia immobiliare e sia invece destinata appunto a determinare un
qualcosa che si pone al servizio dell'immobile principale è vicenda
effettivamente abbastanza evidente” (Cons. Stato, IV, 08.08.2006, n. 4780),
è del pari vero che la natura pertinenziale determina l’inapplicabilità
della regola demolitoria valevole per le variazioni essenziali, dovendo
invece imporre una considerazione in concreto della procedura da adottare,
una volta assodata la reale natura delle opere.
3. - L’accoglimento, in parte qua, del primo motivo di diritto, incidendo
radicalmente sul presupposto degli atti oggetto di impugnativa, ne determina
l’annullamento, con assorbimento delle restanti censure, salvo restando
l’obbligo dell’amministrazione di rideterminarsi sulle istanza proposte
dalla parte appellante.
4. - L’appello va quindi accolto
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 01.10.2019 n. 6576 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio non sottace che sin dall’epoca della
vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la
giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica
di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito
nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla
stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale,
ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al servizio
dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non alterare in
modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare rispetto
alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede
nell'edificio stesso.
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni
costituisce pertinenza di un’abitazione agricola.
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale
dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è
necessario per realizzarla (permesso di costruire per le nuove costruzioni;
denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le
pertinenze: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei
rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche
a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001,
già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque
consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei
propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non
assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
---------------
1.1. L’attuale appellante, Sig. Ro. Di Mo., espone di essere imprenditore
agricolo e coltivatore diretto.
Egli è proprietario di un terreno ubicato nel territorio comunale di Napoli
(NA), situato in prossimità del Casale ..., segnatamente al ... nn. 18 19
destinato a zona F – agricola dalla vigente strumentazione urbanistica e
rientrante nel perimetro del Parco metropolitano delle Colline di Napoli,
costituito con decreto del Presidente della Regione Campania n. 492 dd.
14.07.2004 previa deliberazione della Giunta Regionale della Campania n. 855
dd. 10.06.2004.
Tale terreno, acquisito dall’appellante nel corso del 1999 a seguito di
un’aggiudicazione fallimentare, è coltivato a vitigno e su di esso insistono
un fabbricato rurale su due livelli, una casa colonica e un ulteriore
fabbricato.
L’appellante riferisce di aver investito consistenti risorse economiche al
fine della valorizzazione e dello sviluppo della proprietà, intraprendendo
ivi un’attività turistico-ricreativa.
A tale riguardo il Di Mo. espone quindi di aver provveduto, mediante
denuncia d’inizio di attività Prot. n. 124 dd. 10.03.2005 presentata al
Comune di Napoli e ad una susseguente variante presentata il 03.06.2005,
alla realizzazione di opere da lui definite “di manutenzione
straordinaria”, ovvero “pertinenziali funzionali al migliore
sfruttamento del terreno agricolo” (così a pag. 2 dell’atto d’appello).
Tali opere consisterebbero, a detta dell’appellante, in “un
gazebo in
legno di modestissime dimensioni, funzionalmente necessario allo svolgimento
delle attività turistico-ricreative connesse all’attività agricola, ed
ospitante un punto vendita dei prodotti ortofrutticoli”, nella “realizzazione
di tre muri per il contenimento del terreno”,
nonché, in corso d’opera, essendosi resi necessari “ulteriori interventi
di sistemazione del terreno … sul penultimo terrazzamento prospiciente
l’abitazione principale veniva posizionata una vasca – impropriamente
definita piscina
– per la raccolta delle acque meteoriche” (cfr. ibidem).
Con provvedimento n. 3671 dd. 21.06.2005 la Direzione Centrale IV Lavori
Pubblici del Comune di Napoli, S.T.C. Vomero-Arenella ha chiesto la
produzione di ulteriore documentazione e ha interinalmente disposto la
sospensione dei lavori, a’ sensi dell’art. 2, comma 60, della l. 23.12.1996
n. 662 e successive modifiche, nonché a’ sensi degli artt. 22 e 23 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 e successive modifiche, evidenziando comunque che
“la tipologia di intervento non è consentita”.
In data 03.08.2008 la Polizia Municipale ha provveduto al sequestro
preventivo dell’area.
Con susseguente provvedimento posizione dirigenziale n. 1047 dd. 31.08.2005
il Dirigente preposto alla Direzione Centrale VI del Comune di Napoli –
Riqualificazione urbana edilizia periferie – Servizio antiabusivismo
edilizio, in base a verbale redatto dalla polizia municipale in data
04.08.2005, ha rilevato che “senza il prescritto permesso di costruire”,
in area inserita nella zona C dello strumento di pianificazione del Parco
Regionale delle Colline di Napoli ed “assoggettata al vincolo
paesaggistico di cui all’art. 142, lett. f), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42”
erano state realizzate le seguenti opere:
- “livellamento del suolo mediante sbancamento di terrapieno per
ml. 150,00 x 1,50 h;
- collegamento tra aree terrazzate mediante sbancamento di m. 20,00
x una larghezza di m. 3,00;
- manufatto in legno di mq. 25,00, alto m. 3,00 su platea in
calcestruzzo, muri e panche in muratura;
- piscina prefabbricata fuori terra di mq. 80,00 in telo plasticato
sorretto da tubolari in ferro, completa di docce, lavapiedi e motori;
- ampliamento di un preesistente terrazzamento di circa ml. 100,00
x ml. 7,00 di larghezza”.
Contestualmente il medesimo Dirigente ha disposto la demolizione dei
sopradescritti manufatti, a’ sensi 27, comma 2, del d.P.R. 06.06.2001, n.
380.
...
4.2. 1. Con il primo motivo d’appello il Di Mo., al di là della
corposa sua rubrica, si limita di fatto a contestare l’asserita violazione
dell’art. 39, commi 4 e 6, delle norme tecniche di attuazione della variante
al Piano regolatore generale del Comune di Napoli, nonché dell’art. 35,
comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, pur con riflessi
anche sulla presupposta disciplina di fonte legislativa statuale citata
nella rubrica anzidetta.
Secondo l’appellante, le opere qui in contestazione –ossia la realizzazione
di tre muri di contenimento,
di un gazebo
e di una piscina prefabbricata
fuori terra- risulterebbero tutte legittimamente realizzate mediante la
denuncia d’inizio di attività da lui presentata,
In tal senso l’appellante rimarca che il comma 4 dell’art. 39 esplicitamente
prevede la realizzazione di “interventi di consolidamento di pendici
mediante la realizzazione di strutture di contenimento”, nel mentre il
susseguente comma 6 ammette per gli insediamenti rurali “interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento
conservativo”, nonché “la ristrutturazione edilizia …ai soli fini
della realizzazione di attività di cui al comma 1, lettera b), dell’articolo
21” delle medesime norme tecniche, ossia per le seguenti esigenze “abitazioni
agricole; attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti
agricoli all’origine e relative funzioni di servizio; attività ricettive di
tipo agrituristico e relative funzioni di servizio”.
A sua volta l’art. 35, comma 6, del Regolamento edilizio del Comune di
Napoli, secondo l’appellante, letteralmente consentirebbe la realizzazione,
in regime di denuncia d’inizio di attività, di “giardini, opere di
arredo, vasche, pergolati grillages e gazebo”, nonché la “realizzazione
e consolidamento di muri o di sistemi di contenimento dei terreni”
Il Collegio, per il vero, nell’esaminare il testo di tale Regolamento
edilizio così come vigente all’epoca dei fatti di causa, non riscontra la
sussistenza dei surriportati riferimenti testuali alla realizzazione di
vasche, gazebo e opere murarie destinate al contenimento dei terreni; né
riscontra nel testo medesimo corrispondente all’art. 35 la stessa esistenza
di un suo comma 6.
Comunque sia, risulta indubbio dagli stessi atti di causa che il Di Mo. non
aveva realizzato una “vasca”, ma una “piscina”, e cioè
un’opera che la stessa fonte regolamentare comunale, ove anche considerata
nel testo da lui citato, certamente di per sé non assoggettava al regime
della denuncia d’inizio di attività (e comunque, all’evidenza non
finalizzata ad alcun utilizzo agricolo).
Altra cosa è, dunque, quanto poi fatto dal medesimo appellante, che dapprima
ha per l’appunto– realizzato senza un titolo edilizio idoneo una
piscina –come eloquentemente comprovato dal verbale di accertamento
dell’abuso- per poi chiedere al riguardo, soltanto dopo aver ricevuto
l’ingiunzione a demolire, l’accertamento di conformità, a’ sensi dell’art.
36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380; ma tutto ciò -per l’appunto- con riguardo
ad un’opera strutturalmente e funzionalmente del tutto diversa, e cioè una
vasca di raccolta per le acque meteoriche, per la cui effettiva
realizzazione dovevano essere per certo apportate delle modificazioni
rispetto a quanto precedentemente costruito: operazione, questa, per certo
incompatibile con l’istituto dell’accertamento di conformità, che implica
soltanto il mero riconoscimento della rispondenza di quanto realizzato alla
disciplina urbanistica vigente sia all’epoca della perpetrazione dell’abuso,
sia all’epoca della sanatoria richiesta, senza necessità di apportare
modifiche al manufatto in questione.
4.2.2. Posto ciò, il Collegio non sottace che sin dall’epoca della
vigenza dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la
giurisprudenza aveva riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica
di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito
nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è individuabile non soltanto alla
stregua del criterio della sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base della consistenza dell’opera posta al
servizio dell'edificio preesistente, la quale deve essere tale da non
alterare in modo significativo l'assetto del territorio e da non esorbitare
rispetto alle esigenze di un concreto uso normale del soggetto che risiede
nell'edificio stesso (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 13.10.1993,
n. 1041).
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce
pertinenza di un’abitazione agricola (cfr. sul punto Cons. Stato Sez. V, 13.10.1993, n. 1041).
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato séguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale
dell’opera rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è
necessario per realizzarla (permesso di costruire per le
nuove costruzioni;
denuncia d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le
pertinenze: cfr. artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei
rispettivi testi pro tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche
a’ sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001,
già nel testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque
consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei
propri strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 28.09.2018, n. 5090) e, conseguentemente, la medesima circostanza non può non
assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
Posto ciò, per il caso di specie assume rilievo dirimente –e, quindi,
assorbente nei confronti di tutte le contestazioni formulate dalla parte
appellante- la circostanza che la piscina in questione non poteva comunque
essere realizzata, a ciò ostandovi il combinato disposto degli artt. 46,
comma 6, e 41, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del Piano
regolatore generale del Comune di Napoli, che nella sottozona Fa -nella
quale, per l’appunto, ricade la piscina– ammette la realizzazione di
“interventi di nuova edificazione” –e, quindi, assoggettati al rilascio del
permesso di costruire, e non già a mera denuncia d’inizio di attività- “a
fini agricoli di cui all’articolo 40” della medesima variante (e non è
dunque questo per certo il caso della piscina in questione; semmai della
vasca), ovvero anche “attrezzature sportive scoperte, ammissibili solo in
sede di pianificazione urbanistica esecutiva”, e comunque “ai fini del
conseguimento della fruizione pubblica dei fondi”.
In concreto –quindi– se il Di Mo. avesse voluto costruire –come
sostiene– una vasca di raccolta per l’acqua piovana, avrebbe potuto
realizzare tale manufatto, di per sé coerente con l’utilizzo a fini agricoli
dell’area, ma soltanto previo rilascio del permesso di costruire, in quanto
provvedimento il cui rilascio è inderogabilmente imposto in via generale
dalla strumentazione urbanistica ivi vigente.
Se –viceversa– avesse voluto realizzare una piscina, ciò sarebbe stato
parimenti possibile, ma soltanto previa predisposizione a propria cura di
una strumentazione urbanistica attuativa e –comunque, ed ancora una volta–
mediante il susseguente rilascio del permesso di costruire, in quanto la
“fruizione pubblica” imposta per tale manufatto dalla strumentazione
urbanistica ivi vigente risulta ex se incompatibile con l’asserita pertinenzialità dello stesso.
Tertium non datur.
Per inciso, la presenza nel fascicolo di causa relativo al primo grado di
giudizio di una relazione illustrativa depositata in data 19.11.2008 a
cura del patrocinio della stessa parte ivi ricorrente fa ragionevolmente
presumere che il Di Mo. abbia da ultimo optato proprio per tale
possibilità, progettando –tra l’altro– la realizzazione non più di una
piscina prefabbricata da contingentemente ”trasformare” –al bisogno, per
così dire, “burocratico”– in una vasca per la raccolta delle acque
meteoriche, ma di “una piscina ludico-relax costituita da due vasche poste a
quote differenti in modo da creare un salto d’acqua” (cfr. ivi a pag. 8: e
ciò senza sottacere che la complessiva lettura del piano medesimo offre la
netta impressione che l’attuale appellante si sia con esso discostato
dall’originaria connotazione agricola dell’azienda privilegiando un’attività
marcatamente ricettiva se non addirittura ludico-ricreativa, tanto da
suscitare anche un dubbio non evanescente circa l’effettiva permanenza,
nella specie, di un suo effettivo interesse alla coltivazione della presente
causa).
Ad ogni buon conto, quindi, anche per il caso di specie va ribadito che
dalla realizzazione di opere edilizia in assenza del permesso di costruire,
discende –sempre e comunque– la sanzione della demolizione delle opere
medesime, a’ sensi dell’art. 31 del t.u. 06.06.2001, n. 380.,
Ma –soprattutto– va considerato che la realizzazione della piscina ora in
questione era ed è materialmente inibita sia dall’art. 21, comma 3, del
Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che, con disposizione oltremodo
commendevole, fa divieto di completare le opere abusive realizzate nello
stesso suolo, sia dall’art. 24 della variante anzidetta, che al comma 2
dispone a sua volta nel senso che “nelle zone riportate nella tavola 12 con
instabilità media e alta” –tra le quali rientra anche il sedime su cui è
stata eretta la piscina in questione- “è vietata la realizzazione di
qualsiasi tipo di costruzione”: disposizioni, anche queste, che
naturalmente implicano la necessità della demolizione del manufatto in
questione
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio non sottace che sin dall’epoca della vigenza dell’agevolato regime
dell’autorizzazione edilizia, la giurisprudenza aveva riconosciuto che la
nozione di pertinenza urbanistica di cui all'art. 7, comma 2, lett. a), d.l.
23.01.1982 n. 9, convertito nella l. 25.03.1982 n. 94, era ed è
individuabile non soltanto alla stregua del criterio della sussistenza ed
oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base della
consistenza dell’opera posta al servizio dell'edificio preesistente, la
quale deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del
territorio e da non esorbitare rispetto alle esigenze di un concreto uso
normale del soggetto che risiede nell'edificio stesso.
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce
pertinenza di un’abitazione agricola.
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato seguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere. Invero, l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti.
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale dell’opera
rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è necessario
per realizzarla (permesso di costruire per le nuove costruzioni; denuncia
d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le pertinenze: cfr.
artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei rispettivi testi pro
tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche a’ sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001, già nel
testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque consentito
alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri
strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al
pregio ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione e, conseguentemente, la medesima circostanza non può
non assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
---------------
4.2.2. Posto ciò, il Collegio non sottace che sin dall’epoca della vigenza
dell’agevolato regime dell’autorizzazione edilizia, la giurisprudenza aveva
riconosciuto che la nozione di pertinenza urbanistica di cui all'art. 7,
comma 2, lett. a), d.l. 23.01.1982 n. 9, convertito nella l. 25.03.1982 n.
94, era ed è individuabile non soltanto alla stregua del criterio della
sussistenza ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche sulla base
della consistenza dell’opera posta al servizio dell'edificio preesistente,
la quale deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto
del territorio e da non esorbitare rispetto alle esigenze di un concreto uso
normale del soggetto che risiede nell'edificio stesso (cfr. al riguardo
Cons. Stato, Sez. V, 13.10.1993, n. 1041).
In dipendenza di ciò, quindi, era stato nella specie affermato che la posa
in opera di una piscina prefabbricata di normali dimensioni costituisce
pertinenza di un’abitazione agricola (cfr. sul punto Cons. Stato Sez. V,
13.10.1993, n. 1041).
In coerenza con tale indirizzo, anche con riguardo all’attuale assetto
normativo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato seguita a tutt’oggi
ad affermare, in linea di principio, la natura pertinenziale di tale
tipologia di opere (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V,
16.04.2014, n. 1951, secondo cui –per l’appunto- l’installazione di una
piscina prefabbricata di modeste dimensioni rientra nell'ambito delle
pertinenze e non integra violazione né degli indici di copertura né degli
standard, atteso che non aumenta il carico urbanistico della zona e che i
vani per impianti tecnologici sono sempre e comunque consentiti).
Ovviamente il riconoscimento –o meno- della natura pertinenziale dell’opera
rileva agli effetti dell’individuazione del titolo edilizio che è necessario
per realizzarla (permesso di costruire per le nuove costruzioni; denuncia
d’inizio di attività -all’epoca dei fatti di causa– per le pertinenze: cfr.
artt. 10 e 22 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, nei rispettivi testi pro
tempore vigenti), tenendo comunque presente che, anche a’ sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. e.6), del medesimo d.P.R. 380 del 2001, già nel
testo in vigore all’epoca dei fatti di causa, era ed è comunque consentito
alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri
strumenti urbanistici, di configurare come interventi di “nuova
costruzione” anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di
pertinenze urbanistico-edilizie “in relazione alla zonizzazione e al
pregio ambientale e paesaggistico” delle aree in cui essi ricadono.
Va da sé, inoltre, che -in linea di principio- se l’opera pretesamente
pertinenziale assume una sua autonoma destinazione ed un altrettanto
autonomo valore, il carattere pertinenziale dell’opera medesima viene meno:
e ciò non può non rilevare agli effetti del titolo edilizio necessario per
la sua realizzazione (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V,
28.09.2018, n. 5090) e, conseguentemente, la medesima circostanza non può
non assumere valenza pure per le piscine, ancorché prefabbricate.
Posto ciò, per il caso di specie assume rilievo dirimente –e, quindi,
assorbente nei confronti di tutte le contestazioni formulate dalla parte
appellante- la circostanza che la piscina in questione non poteva comunque
essere realizzata, a ciò ostandovi il combinato disposto degli artt. 46,
comma 6, e 41, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del Piano
regolatore generale del Comune di Napoli, che nella sottozona Fa -nella
quale, per l’appunto, ricade la piscina– ammette la realizzazione di “interventi
di nuova edificazione” –e, quindi, assoggettati al rilascio del permesso
di costruire, e non già a mera denuncia d’inizio di attività- “a fini
agricoli di cui all’articolo 40” della medesima variante (e non è dunque
questo per certo il caso della piscina in questione; semmai della vasca),
ovvero anche “attrezzature sportive scoperte, ammissibili solo in sede di
pianificazione urbanistica esecutiva”, e comunque “ai fini del
conseguimento della fruizione pubblica dei fondi”.
In concreto –quindi– se il Di Mo. avesse voluto costruire –come sostiene–
una vasca di raccolta per l’acqua piovana, avrebbe potuto realizzare tale
manufatto, di per sé coerente con l’utilizzo a fini agricoli dell’area, ma
soltanto previo rilascio del permesso di costruire, in quanto provvedimento
il cui rilascio è inderogabilmente imposto in via generale dalla
strumentazione urbanistica ivi vigente.
Se –viceversa– avesse voluto realizzare una piscina, ciò sarebbe stato
parimenti possibile, ma soltanto previa predisposizione a propria cura di
una strumentazione urbanistica attuativa e –comunque, ed ancora una volta–
mediante il susseguente rilascio del permesso di costruire, in quanto la “fruizione
pubblica” imposta per tale manufatto dalla strumentazione urbanistica
ivi vigente risulta ex se incompatibile con l’asserita
pertinenzialità dello stesso
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura pertinenziale di una piscina - Presupposti e limiti.
Affinché ad una piscina si possa
riconoscere natura pertinenziale, occorre che la stessa
abbia un volume non superiore al 20% di quello dell'edificio
cui accede, che tale manufatto sia preordinato ad
un'oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale,
e, non abbia un autonomo valore di mercato in modo da non
consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue
caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa
(Cass. Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni),
infine, che non sia in contrasto con gli strumenti
urbanistici vigenti ed inerisca ad un edificio preesistente
legittimamente edificato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.07.2019 n. 29963 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento alla piscina, va segnalato che la giurisprudenza,
sebbene riconosca la possibile natura pertinenziale di tale opera quando la
stessa
abbia un volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede,
richiede
che tale manufatto sia preordinato ad un'oggettiva esigenza funzionale
dell'edificio principale, non abbia un autonomo valore di mercato, in modo
da
non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una
destinazione autonoma e diversa, non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, ed inerisca
ad un edificio preesistente legittimamente edificato.
---------------
2. Manifestamente infondate sono le censure proposte nel secondo, nel
terzo, nel quarto e in parte del nono motivo, tra loro strettamente connesse
e da
esaminare congiuntamente, le quali contestano la configurabilità del reato
di cui
all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, deducendo che le
opere in
questione potevano essere eseguite senza il preventivo rilascio di titolo
autorizzativo, e, in particolare, che la piscina doveva essere qualificata
come
vasca interrata o, comunque, come pertinenza, e che la stessa, così come il
muro perimetrale per parte superiore a metri 1,70, potevano essere
realizzati
sulla base di S.C.I.A.
...
Con riferimento alla piscina, poi, va segnalato che la giurisprudenza,
sebbene riconosca la possibile natura pertinenziale di tale opera quando la
stessa
abbia un volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede,
richiede
che tale manufatto sia preordinato ad un'oggettiva esigenza funzionale
dell'edificio principale, non abbia un autonomo valore di mercato, in modo
da
non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una
destinazione autonoma e diversa (così Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni,
Rv. 268552-01), non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (cfr.,
tra le tante, Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064-01), ed
inerisca
ad un edificio preesistente legittimamente edificato (cfr. Sez. 3, n. 37257
del
11/06/2008, Alexander, Rv. 241278-01)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
09.07.2019 n. 29963). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è assentibile una piscina nella fascia di rispetto
cimiteriale.
Per giurisprudenza ampiamente consolidata, il vincolo imposto dall'art. 338 R.D. n. 1265/1934 e
dall'art. 57 d.P.R. n. 285/1990 determina una situazione di
inedificabilità ex lege che non necessita di essere recepito
dagli strumenti urbanistici, ed, anzi, si impone ad essi
operando come limite legale nei confronti delle previsioni
urbanistiche locali eventualmente incompatibili.
Il vincolo
ha carattere assoluto e non consente l’allocazione di
edifici o costruzioni all’interno della fascia di rispetto,
a tutela dei molteplici interessi pubblici cui quest’ultima
presiede e che vanno dalle esigenze di natura igienico
sanitaria, alla salvaguardia della peculiare sacralità dei
luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, al
mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta
cimiteriale.
A escludere l’inedificabilità non rilevano la
tipologia del fabbricato o la natura pertinenziale della
costruzione, e gli unici interventi assentibili all’interno
della fascia di rispetto sono quelli indicati dal settimo
comma dell’art. 338 cit. sugli edifici esistenti, con il
limite della funzionalità all’utilizzo degli edifici stessi,
mentre è attivabile nel solo interesse pubblico la procedura
di riduzione della fascia inedificabile a non meno di
cinquanta metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale.
L’assolutezza del vincolo di inedificabilità all’interno
della fascia di rispetto cimiteriale è recepita dalle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del
Comune, che, dopo aver stabilito il divieto di
realizzare “nuovi edifici”, nell’autorizzare gli “interventi
previsti dalle presenti norme per le singole destinazioni”
vieta, comunque, gli interventi di “nuova edificazione, di
ampliamento e di ristrutturazione urbanistica”: il
contestuale divieto di “nuovi edifici” e di “nuove
edificazioni” nell’ambito degli interventi consentiti non
può che essere inteso, infatti, come preclusivo della
realizzazione di qualsiasi nuovo manufatto all’interno della
fascia di rispetto, in ossequio alla superiore disposizione
di legge.
La disciplina delle fasce di rispetto cimiteriali è
confermata quindi dall’art. 46 delle N.T.A. del regolamento
urbanistico adottato dal Comune all’epoca dei
fatti di causa, che ne sancisce l’inedificabilità rinviando,
per gli edifici già esistenti, alle rispettive discipline di
zona. Restano fermi, evidentemente, i limiti di legge, e
segnatamente quello posto dal ricordato comma 7 dell’art.
338 R.D. n. 1265/1934, che consente il recupero,
l’ampliamento e la ristrutturazione purché, lo si ripete,
funzionali all’utilizzo degli edifici esistenti e non
comportanti la realizzazione di nuovi manufatti all’interno
della fascia di rispetto.
È già discutibile che la costruzione di una piscina possa
dirsi funzionale all’utilizzo dell’edificio esistente nel
senso contemplato dal legislatore, che sembra alludere ai
soli interventi volti a impedire il degrado e, a lungo
andare, l’abbandono degli edifici ricadenti nelle fasce di
rispetto.
Certo è in ogni caso che, laddove implichi ex novo
una permanente trasformazione di suolo inedificato
all’interno della fascia involabile di cinquanta metri dal
perimetro del cimitero, essa non è consentita.
---------------
2.1.2. Venendo ai profili sostanziali della vicenda, il
ricorrente sostiene che la realizzazione della piscina
costituirebbe un intervento di sistemazione dell’area
scoperta di pertinenza dell’edificio principale, assentibile
a norma dell’art. 23 del regolamento edilizio comunale. Non
integrando una “nuova costruzione”, ma appunto una
pertinenza, l’opera sarebbe anche compatibile con il vincolo
cimiteriale interessante il compendio immobiliare di sua
proprietà.
L’invocato art. 23 R.E. subordina, peraltro, le opere di
sistemazione delle aree esterne al rispetto delle
limitazioni e prescrizioni stabilite dagli strumenti
urbanistici, nonché all’ottenimento delle autorizzazioni
occorrenti in relazione agli eventuali vincoli gravanti
sull’area di intervento. Ed è proprio sulla presenza del non
superabile vincolo cimiteriale che si fondano i
provvedimenti impugnati.
Per giurisprudenza ampiamente consolidata, anche di questo
TAR, il vincolo imposto dall'art. 338 R.D. n. 1265/1934 e
dall'art. 57 d.P.R. n. 285/1990 determina una situazione di
inedificabilità ex lege che non necessita di essere recepito
dagli strumenti urbanistici, ed, anzi, si impone ad essi
operando come limite legale nei confronti delle previsioni
urbanistiche locali eventualmente incompatibili.
Il vincolo
ha carattere assoluto e non consente l’allocazione di
edifici o costruzioni all’interno della fascia di rispetto,
a tutela dei molteplici interessi pubblici cui quest’ultima
presiede e che vanno dalle esigenze di natura igienico
sanitaria, alla salvaguardia della peculiare sacralità dei
luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, al
mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta
cimiteriale.
A escludere l’inedificabilità non rilevano la
tipologia del fabbricato o la natura pertinenziale della
costruzione, e gli unici interventi assentibili all’interno
della fascia di rispetto sono quelli indicati dal settimo
comma dell’art. 338 cit. sugli edifici esistenti, con il
limite della funzionalità all’utilizzo degli edifici stessi,
mentre è attivabile nel solo interesse pubblico la procedura
di riduzione della fascia inedificabile a non meno di
cinquanta metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale (fra
le moltissime, cfr. Cons. Stato sez. IV, 23.04.2018, n.
2407; id., sez. VI, 27.02.2018, n. 1164; id., sez. VI,
06.10.2017, n. 4656; id., sez. V, 18.01.2017, n.
205; TAR Toscana, sez. III, 22.10.2018, n. 1351; id.,
02.02.2015, n. 183; id., 12.11.2013, n. 1553; id.,
12.07.2010, n. 2446; id., 11.06.2010, n. 1815).
L’assolutezza del vincolo di inedificabilità all’interno
della fascia di rispetto cimiteriale è recepita dall’art.
56.6.6 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del
Comune di Firenze, che, dopo aver stabilito il divieto di
realizzare “nuovi edifici”, nell’autorizzare gli “interventi
previsti dalle presenti norme per le singole destinazioni”
vieta, comunque, gli interventi di “nuova edificazione, di
ampliamento e di ristrutturazione urbanistica”: il
contestuale divieto di “nuovi edifici” e di “nuove
edificazioni” nell’ambito degli interventi consentiti non
può che essere inteso, infatti, come preclusivo della
realizzazione di qualsiasi nuovo manufatto all’interno della
fascia di rispetto, in ossequio alla superiore disposizione
di legge.
La disciplina delle fasce di rispetto cimiteriali è
confermata quindi dall’art. 46 delle N.T.A. del regolamento
urbanistico adottato dal Comune di Firenze all’epoca dei
fatti di causa, che ne sancisce l’inedificabilità rinviando,
per gli edifici già esistenti, alle rispettive discipline di
zona. Restano fermi, evidentemente, i limiti di legge, e
segnatamente quello posto dal ricordato comma 7 dell’art.
338 R.D. n. 1265/1934, che consente il recupero,
l’ampliamento e la ristrutturazione purché, lo si ripete,
funzionali all’utilizzo degli edifici esistenti e non
comportanti la realizzazione di nuovi manufatti all’interno
della fascia di rispetto (alle pronunce già citate, può
aggiungersi TAR Toscana, sez. III, 18.05.2018, n.
684).
È già discutibile che la costruzione di una piscina possa
dirsi funzionale all’utilizzo dell’edificio esistente nel
senso contemplato dal legislatore, che sembra alludere ai
soli interventi volti a impedire il degrado e, a lungo
andare, l’abbandono degli edifici ricadenti nelle fasce di
rispetto. Certo è in ogni caso che, laddove implichi ex novo
una permanente trasformazione di suolo inedificato
all’interno della fascia involabile di cinquanta metri dal
perimetro del cimitero, essa non è consentita.
Ne discende che il provvedimento inibitorio adottato dal
Comune di Firenze, e poi l’atto dichiarativo della
definitiva inefficacia della S.C.I.A., possono considerarsi
adeguatamente motivati mediante la descrizione
dell’intervento e il richiamo alla presenza della fascia di
rispetto e alle corrispondenti previsioni urbanistiche
violate, indipendentemente dalle ulteriori considerazioni
contenute nel parere dell’Avvocatura comunale del 18.11.2014.
3. In forza di tutto quanto precede, le impugnazioni
proposte non possono trovare accoglimento (TAR Toscana, Sez.
III,
sentenza 22.02.2019 n. 284 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di una piscina interrata e di locali annessi
in zona vincolata - Permesso di costruire e autorizzazione
paesaggistica - Necessità - Art. 167 e 181 D.Lgs. n.
42/2004.
La realizzazione di una piscina
interrata e di locali annessi in zona vincolata necessitano
il previo rilascio del permesso di costruire nonché
dell'autorizzazione paesaggistica e non sono suscettibili di
accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi
dell'art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 in quanto hanno
determinato la creazione di nuova volumetria. In particolare
la realizzazione di una piscina interrata deve qualificarsi
come intervento di nuova costruzione non suscettibile di
accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del
D.Lgs. n. 42/2004).
...
Intervento edilizio - Piscina interrata e pertinenze -
Valutazione unitaria delle opere - Artt. 3, 10, 11, 44,
d.P.R. n. 380/2001.
In materia urbanistica, un intervento
edilizio deve essere considerato nel suo complesso e le
opere realizzate non possono essere valutate autonomamente e
separatamente come pertinenze
(Cass. pen., sez. III, 01/10/2013 n. 45598 e, in termini
generali, sez. III, 16/03/2010 n. 20363).
Nella fattispecie, anche per una piscina
interrata e i locali annessi dal momento che modifica in
modo permanente il suolo, è necessario il permesso di
costruire (Cass.
pen. sez. III 27.01.2004, n. 6930)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.01.2019 n. 1913 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le opere che comportano la
trasformazione permanente del suolo inedificato necessitano
del permesso di costruire ex art. 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, titolo abilitativo necessario per tutti gli
"interventi di nuova costruzione".
Tali interventi, come è noto, sono definiti dal precedente
art. 3, primo comma, lettera e), con riferimento a quegli
interventi che, non rientranti nelle categorie definite alle
lettere precedenti, comportano la "trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio".
Quest'ultima è quindi arrecata da ogni intervento che non è
annoverato alle lettere da a) a d), anche se non compreso
nell'elencazione di cui ai singoli punti della lettera e),
la quale non può ritenersi esaustiva (come denota l'utilizzo
dell'avverbio "comunque").
---------------
E' pacifico che la realizzazione di una piscina crea un
aumento di volumetria. Invero, la realizzazione di una
piscina interrata e di locali annessi in zona vincolata
necessitano il previo rilascio del permesso di costruire
nonché dell'autorizzazione paesaggistica e non sono
suscettibili di accertamento di compatibilità paesaggistica
ai sensi dell'art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 in quanto hanno
determinato la creazione di nuova volumetria.
In particolare la realizzazione di una piscina interrata
deve qualificarsi come intervento di nuova costruzione non
suscettibile di accertamento di compatibilità paesaggistica
ex art. 167 del D.lgs. n. 42/2004).
---------------
7. Il secondo motivo di ricorso si appalesa,
peraltro, manifestamente infondato.
Ed infatti, i giudici di appello indicano compiutamente le
ragioni per le quali hanno ritenuto di dover disattendere le
identiche tesi difensive, replicate in sede di ricorso per
cassazione. Ed invero, quanto alla mancata derubricazione
del delitto paesaggistico nella contravvenzione di cui al
comma primo dell'art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004, i giudici
di appello escludono l'applicabilità dell'art. 181, comma
primo, e, segnatamente, l'operatività della sentenza della
Corte costituzionale n. 56/2016, osservando come la sola
sussistenza della piscina abusivamente edificata trasmoda
dai limiti di applicabilità previsti dalla norma come
oggetto di declaratoria di incostituzionalità.
Tanto premesso, è ben vero che nella sentenza d'appello non
si rinvengono argomenti a confutazione della tesi, sostenuta
in sede di appello, volti a sostenere la qualificabilità
degli interventi come di ristrutturazione edilizia o come
inoffensivi, ma è altrettanto vero che il silenzio della
Corte territoriale sul punto, tenuto conto delle emergenze
processuali, risulta del tutto privo di effetti ai fini
della denuncia dell'omessa motivazione sul punto.
Ed invero -premesso che affinché sia necessaria
l'autorizzazione è sufficiente un vulnus anche minimo
del paesaggio, mentre al contrario essa non è necessaria per
le opere interne, che non sono neppure astrattamente idonee
a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, né per le
modifiche di destinazione del bene- si deve anzitutto in
questa sede ricordare come non è prospettabile una
valutazione atomistica degli interventi edilizi, allorché
gli stessi facciano parte di un disegno sostanzialmente
unitario di realizzazione di una determinata complessiva
opera, risultante priva di titolo (cfr., per tutte, di
recente Tar Campania, sentenza 29.05.2018 n. 3545: "Ne
consegue che non è ammissibile una loro considerazione
astratta ed atomistica, ma deve necessariamente predicarsene
una valutazione unitaria sintetica e complessiva, in quanto
divenute parti di un più ampio quadro di illecito
sostanzialmente unitario dal quale attingono il medesimo
regime giuridico di illegittimità"; detto principio è
enunciato, proprio in materia di pertinenze, anche da questa
Suprema Corte di Cassazione, secondo cui un intervento
edilizio deve essere considerato nel suo complesso e le
opere realizzate non possono essere valutate autonomamente e
separatamente come pertinenze: Cass. pen., sez. III,
01/10/2013 n. 45598 e, in termini generali, sez. III,
16/03/2010 n. 20363)".
8. Nella specie, è evidente che gli interventi edilizi quali
contestati, privi di qualsiasi titolo abilitativo,
consistevano nella costruzione di una struttura di 100 mq
costituita da pilastri in ferro sul lato nord ovest del
fondo, di una struttura a p.t. di 200 mq., di una struttura
di 60 mq. sul lato sud ovest del fondo, di una piscina
interrata oltre che nella realizzazione della recinzione del
fondo in conglomerato cementizio.
Orbene, ribadendo l'avviso sulla necessità di una
valutazione unitaria, è evidente che dette opere
comportassero la trasformazione permanente del suolo
inedificato, trasformazione che necessitava del permesso di
costruire ex art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, titolo
abilitativo necessario per tutti gli "interventi di nuova
costruzione". Tali interventi, come è noto, sono
definiti dal precedente art. 3, primo comma, lettera e), con
riferimento a quegli interventi che, non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti, comportano la "trasformazione
edilizia e urbanistica del territorio". Quest'ultima è
quindi arrecata da ogni intervento che non è annoverato alle
lettere da a) a d), anche se non compreso nell'elencazione
di cui ai singoli punti della lettera e), la quale non può
ritenersi esaustiva (come denota l'utilizzo dell'avverbio "comunque").
E' quindi evidente che, considerata la rilevanza unitaria di
tutti gli interventi, indubbiamente si assiste ad un
superamento della "soglia" indicata dall'art. 181,
comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del 2004 (750 mc.) ai fini della
qualificazione dell'intervento edilizio come rientrante
nella previsione sopravvissuta alla dichiarazione di
incostituzionalità e, nel contempo, ad una qualificazione
degli interventi edilizi come di nuova costruzione, non
certo di ristrutturazione edilizia.
Sul punto, l'affermazione dei giudici di appello riferita
alla piscina (che, considerate le sue dimensioni,
determinava lo "sforamento" della predetta soglia) è
assolutamente logica e giuridicamente corretta, atteso che
sia la pavimentazione laterale dell'area circostante la
piscina, sia la costruzione della piscina stessa (con
superficie tutt'altro che modesta), conducevano
necessariamente all'approdo cui sono pervenuti i giudici di
appello, essendo pacifico che anche la realizzazione di una
piscina crea un aumento di volumetria (v., in termini: Sez.
3, n. 12104 del 24/09/1999 - dep. 22/10/1999, Iorio, Rv.
215521; nella giurisprudenza amministrativa, TAR Campania
Napoli Sez. VII, 19.02.2018, n. 1087; TAR Campania Napoli
Sez. VII, 05.01.2018, n. 97, che espressamente afferma come
la realizzazione di una piscina interrata e di locali
annessi in zona vincolata necessitano il previo rilascio del
permesso di costruire nonché dell'autorizzazione
paesaggistica e non sono suscettibili di accertamento di
compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 167 del
D.lgs. n. 42/2004 in quanto hanno determinato la creazione
di nuova volumetria. In particolare la realizzazione di una
piscina interrata deve qualificarsi come intervento di nuova
costruzione non suscettibile di accertamento di
compatibilità paesaggistica ex art. 167 del D.lgs. n.
42/2004) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.01.2019 n. 1913). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Si richiama la sussistenza di una
giurisprudenza alquanto diversificata in materia di
collocazione di piscine in ambiti tutelati. Con necessità,
comunque, di motivazione specifica e contestualizzata, in
correlazione alla specifica collocazione dell’opera e alle
sue modalità realizzative:
- “Poiché
le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo
paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità dello
stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica),
è doverosa una specifica valutazione di tale aspetto legato
alla visibilità (o meno dell'opera), poiché per la tutela
dell'ambiente e del paesaggio è essenziale che le
valutazioni amministrative risultino consapevoli della
concreta incidenza delle opere sul contesto ambientale e
della irreversibile riduzione dei tratti naturali esistenti
e di quelli percepiti”;
- “Hanno
una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere
realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se non vi è
un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si
tratti di volumi tecnici) e anche se si tratta di una
piscina, poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a
vincolo paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore
modifica)”;
- “In ogni
località sottoposta a vincolo paesaggistico (nella specie,
nelle aree sottoposte a "protezione integrale" a Capri) la
realizzazione di una piscina va qualificata come nuova
costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei
luoghi, sicché -ferma restando la valutazione discrezionale
dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora
vi sia soltanto un vincolo "relativo"- essa è radicalmente
vietata quando una disposizione normativa o un provvedimento
volto alla tutela del paesaggio considera l'area in
questione come sottoposta a <protezione integrale>”;
- “È
illegittimo, per difetto di motivazione e di istruttoria, il
provvedimento di diniego di un permesso di costruire volto
alla realizzazione di una piscina "a raso" da collocarsi su
un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, laddove la parte
motiva si limiti a rinviare ad una generica esigenza di
tutela dell'equilibrio paesaggistico dello stato dei luoghi.
Nella specie, peraltro:
a) il manufatto non risulta visibile
dall'esterno;
b) l'area circostante è già ampiamente antropizzata ed urbanizzata;
c) il sedime destinato ad
ospitare la piscina è occupato da prato verde e vegetazione
di altro tipo”;
- “Gli artt. 22
e seguenti delle NTA del Piano paesaggistico regionale
sardo, nel proteggere le aree naturali, non comportano un
vincolo di inedificabilità assoluta, bensì soltanto
interventi suscettibili di pregiudicare la struttura, la
stabilità o la funzionalità ecosistemica o la fruibilità
paesaggistica delle aree interessate; pertanto, è
illegittimo il diniego del nullaosta paesaggistico che si
basi apoditticamente sull’esistenza di tale vincolo
derogabile, invece di verificare in concreto e con idonea
motivazione la compatibilità paesaggistica, o meno, dello
specifico intervento rispetto allo stato dei luoghi, non
potendo bastare, a tal fine, il generico riferimento
all’esistenza di sbancamenti e scavi che, teoricamente,
potrebbero incidere sulla protezione dell’area naturale
(nella fattispecie, l’intervento in discussione era
costituito da un ampliamento edilizio di 31 mq e da una
piscina)”;
- “Il diniego
di nullaosta paesaggistico non può essere motivato con il
semplice richiamo all'esistenza del vincolo panoramico
insistente sull'area, ancor più in quelle ipotesi in cui gli
interventi proposti non incidano sulle visuali pubbliche
(nella fattispecie, l'intervento proposto consisteva nella
realizzazione di una piscina "a livello terra" rivista come
pertinenza di un più rilevante -anche visivamente-
edificio residenziale già esistente e autorizzato, in una
zona caratterizzata dell'esistenza di altri insediamenti
edilizi)”;
- “E' legittimo
il provvedimento con cui il Direttore Generale del Ministero
per i Beni e Le Attività Culturali ha disposto la
demolizione di una piscina, e il ripristino dello stato dei
luoghi, realizzata in un immobile sottoposto a vincolo
indiretto e in violazione del decreto di vincolo, che non
consente alcuna edificazione. Tale manufatto, infatti, per
le sue caratteristiche tecniche, costituisce alterazione
permanente del territorio, non consentita per effetto del
decreto di vincolo”;
- “La
realizzazione di una piscina suddivisa in due parti
collegate da un ponte, con uno sviluppo in termini di
superficie di circa 30 mq, unitamente all'edificazione di
due manufatti pavimentati e dotati di impianto elettrico,
integra un intervento di nuova costruzione, implicante una
irreversibile trasformazione del territorio e incidente
anche sul piano paesaggistico ambientale, venendo in rilievo
un'area sottoposta al relativo vincolo”;
- “Non è
compatibile con il vincolo cimiteriale la realizzazione di
una piscina, trattandosi di organismo che integra una "nuova
costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.P.R. n.
380/2001”;
-
“Gli interventi di sbancamento, come pure quelli di
realizzazione di una piscina, sono tendenzialmente
incompatibili con i valori paesaggistici del contesto in
quanto alterano l'andamento naturale del terreno con
l'introduzione di una nuova opera e conseguente modifica del
rapporto tra costruito e ambiente naturale”.
---------------
B) Analoga conclusione per la collocazione di una vasca
idromassaggio (di mq. 21) in terrazza preesistente (di 45
mq.).
La relazione prevede che: “all'esterno sulla parte frontale
con il rifacimento del loggiato e nell'ampliamento della
terrazza al livello realizzata in legno che ingloba al suo
interno una vasca idromassaggio realizzata con un guscio di
acciaio appoggiato sul terreno livellato con sabbia in
corrispondenza dell'appoggio".
“La terrazza posta sul lato mare sarà pavimentata al di
sopra della pavimentazione esistente su cui verrà posato in
appoggio del teak marino a listoni, sarà incassata una vasca
amovibile in acciaio inox poggiata su un letto di sabbia e
per la quale non saranno necessari né scavi né sbancamenti
del terreno naturale (la quota naturale del terreno è
inferiore di 1,20 m al di sotto della quota 0,00 della
terrazza esistente)".
Sotto il profilo strettamente edilizio la prevista
realizzazione di un’opera pertinenziale, senza sbancamento
del terreno, risulta compatibile con il mantenimento di un
uso (sussistendo già la terrazza esterna, collocata al di
sopra dell’interrato già esistente) che sarà solo
parzialmente trasformato.
Trattasi di modifica che non crea nuove volumetrie, ma
prevede il solo inserimento, in direzione opposta a quella
della collina (ove si trova il nuraghe), di un vasca
idromassaggio in acciaio su terrazza (più ampia)
preesistente, in appoggio a un letto di sabbia (senza
modifica della linea naturale del terreno). Con
posizionamento esterno di un elemento effettuato sfruttando
la naturale pendenza del terreno, senza alterazione.
Trattasi di pertinenza (non “nuova costruzione” come
delineata dall’art. 3, comma 1, lett. e.1), in relazione alla
lett. e.6) .
Diversa sarà la sfera valutativa, da parte della competente
autorità paesaggistica (Unione dei Comuni), della
compatibilità dell’opera pertinenziale, in considerazione
della “propria” valutazione (non edilizia) inerente l’impatto sul paesaggio (trovandosi la villa a ridosso del
mare).
Ma tale giudizio non è stato espresso (dall’Unione dei
Comuni, competente) in quanto, difettando il presupposto
provvedimento favorevole di compatibilità edilizia
dell’opera, è stata esternata solo una decisione in rito (improcedibilità).
Ne consegue che sussiste la necessità di espressione
(futura) del parere dell’autorità paesaggistica, non
sostituibile da questo giudice, trattandosi di poteri non
ancora esercitati.
Si richiama, in materia, la sussistenza di una
giurisprudenza alquanto diversificata in materia di
collocazione di piscine in ambiti tutelati. Con necessità,
comunque, di motivazione specifica e contestualizzata, in
correlazione alla specifica collocazione dell’opera e alle
sue modalità realizzative:
- Consiglio di Stato sez. VI 06.03.2018 n. 1424: “Poiché
le esigenze di tutela dell'area sottoposta a vincolo
paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità dello
stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore modifica),
è doverosa una specifica valutazione di tale aspetto legato
alla visibilità (o meno dell'opera), poiché per la tutela
dell'ambiente e del paesaggio è essenziale che le
valutazioni amministrative risultino consapevoli della
concreta incidenza delle opere sul contesto ambientale e
della irreversibile riduzione dei tratti naturali esistenti
e di quelli percepiti”;
- Consiglio di Stato sez. VI 07.01.2014 n. 18: “Hanno
una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere
realizzate sull'area sottoposta a vincolo, anche se non vi è
un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si
tratti di volumi tecnici) e anche se si tratta di una
piscina, poiché le esigenze di tutela dell'area sottoposta a
vincolo paesaggistico possono anche esigere l'immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore
modifica)”;
- Consiglio di Stato sez. VI 05.03.2013 n. 1316: “In ogni
località sottoposta a vincolo paesaggistico (nella specie,
nelle aree sottoposte a "protezione integrale" a Capri) la
realizzazione di una piscina va qualificata come nuova
costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei
luoghi, sicché -ferma restando la valutazione discrezionale
dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora
vi sia soltanto un vincolo "relativo"- essa è radicalmente
vietata quando una disposizione normativa o un provvedimento
volto alla tutela del paesaggio considera l'area in
questione come sottoposta a <protezione integrale>”;
- TAR Sardegna sez. II 05.04.2016 n. 324: “È
illegittimo, per difetto di motivazione e di istruttoria, il
provvedimento di diniego di un permesso di costruire volto
alla realizzazione di una piscina "a raso" da collocarsi su
un'area sottoposta a vincolo paesaggistico, laddove la parte
motiva si limiti a rinviare ad una generica esigenza di
tutela dell'equilibrio paesaggistico dello stato dei luoghi.
Nella specie, peraltro: a) il manufatto non risulta visibile
dall'esterno; b) l'area circostante è già ampiamente antropizzata ed urbanizzata; c) il sedime destinato ad
ospitare la piscina è occupato da prato verde e vegetazione
di altro tipo”;
- TAR Sardegna sez. II 11.03.2016 n. 239: “Gli artt. 22
e seguenti delle NTA del Piano paesaggistico regionale
sardo, nel proteggere le aree naturali, non comportano un
vincolo di inedificabilità assoluta, bensì soltanto
interventi suscettibili di pregiudicare la struttura, la
stabilità o la funzionalità ecosistemica o la fruibilità
paesaggistica delle aree interessate; pertanto, è
illegittimo il diniego del nullaosta paesaggistico che si
basi apoditticamente sull’esistenza di tale vincolo
derogabile, invece di verificare in concreto e con idonea
motivazione la compatibilità paesaggistica, o meno, dello
specifico intervento rispetto allo stato dei luoghi, non
potendo bastare, a tal fine, il generico riferimento
all’esistenza di sbancamenti e scavi che, teoricamente,
potrebbero incidere sulla protezione dell’area naturale
(nella fattispecie, l’intervento in discussione era
costituito da un ampliamento edilizio di 31 mq e da una
piscina)”;
- TAR Sardegna sez. II 18.03.2014 n. 226: “Il diniego
di nullaosta paesaggistico non può essere motivato con il
semplice richiamo all'esistenza del vincolo panoramico
insistente sull'area, ancor più in quelle ipotesi in cui gli
interventi proposti non incidano sulle visuali pubbliche
(nella fattispecie, l'intervento proposto consisteva nella
realizzazione di una piscina "a livello terra" rivista come
pertinenza di un più rilevante -anche visivamente-
edificio residenziale già esistente e autorizzato, in una
zona caratterizzata dell'esistenza di altri insediamenti
edilizi)”;
- TAR Veneto sez. II 27.04.2018 n. 457: “E' legittimo
il provvedimento con cui il Direttore Generale del Ministero
per i Beni e Le Attività Culturali ha disposto la
demolizione di una piscina, e il ripristino dello stato dei
luoghi, realizzata in un immobile sottoposto a vincolo
indiretto e in violazione del decreto di vincolo, che non
consente alcuna edificazione. Tale manufatto, infatti, per
le sue caratteristiche tecniche, costituisce alterazione
permanente del territorio, non consentita per effetto del
decreto di vincolo”;
- TAR Campania sez. VII 31.01.2018 n. 707: “La
realizzazione di una piscina suddivisa in due parti
collegate da un ponte, con uno sviluppo in termini di
superficie di circa 30 mq, unitamente all'edificazione di
due manufatti pavimentati e dotati di impianto elettrico,
integra un intervento di nuova costruzione, implicante una
irreversibile trasformazione del territorio e incidente
anche sul piano paesaggistico ambientale, venendo in rilievo
un'area sottoposta al relativo vincolo”;
- TAR Lombardia sez. II 14.11.2011 n. 2734: “Non è
compatibile con il vincolo cimiteriale la realizzazione di
una piscina, trattandosi di organismo che integra una "nuova
costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.P.R. n.
380/2001”;
- TAR Campania sez. IV 07.11.2017 n. 5223:
“Gli interventi di sbancamento, come pure quelli di
realizzazione di una piscina, sono tendenzialmente
incompatibili con i valori paesaggistici del contesto in
quanto alterano l'andamento naturale del terreno con
l'introduzione di una nuova opera e conseguente modifica del
rapporto tra costruito e ambiente naturale” (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 21.11.2018 n. 983 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Piscine
gonfiabili senza licenza.
Non servono licenze edilizie per posizionare una tipica piscina circolare
gonfiabile da bambini in un'area privata. Anche se si tratta di un'area
destinata a parcheggio purché il manufatto sia sempre una struttura precaria
facilmente rimovibile a fine stagione.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la
sentenza 03.09.2018 n. 39406.
Il proprietario di un'area adibita a parcheggio è stato sanzionato dalla
polizia municipale per aver installato una piscina gonfiabile senza
autorizzazione. E pure condannato penalmente per abuso edilizio.
Contro questa misura punitiva l'interessato ha proposto con successo ricorso
alla Corte di cassazione.
L'installazione di una piscina gonfiabile da bambini in uno spazio privato
non arreca alcun mutamento di destinazione d'uso dell'area, specifica il
collegio. Perché si tratta di un'opera precaria, facilmente amovibile al
termine del suo impiego
(articolo ItaliaOggi del 22.09.2018).
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MASSIMA
4. I ricorsi sono fondati per le ragioni qui esposte.
La sentenza impugnata fonda la responsabilità penale degli imputati su un
travisamento della prova e su un'errata interpretazione delle norme
giuridiche di cui il giudice deve tenere conto nell'applicazione della legge
penale, e segnatamente dell'art. 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001.
Osserva il Collegio, in primo luogo, che la sentenza mostra di cadere in un
errore giuridico laddove ritiene sussistente la contravvenzione con riguardo
al deposito di "materiale edile vario" dal momento che la medesima
sentenza dà atto che era stato rivenuto "sull'area limitrofa"
all'area destinata a parcheggio che, secondo l'accusa, sarebbe stata oggetto
di mutamento di destinazione d'uso, mediante opere, sicché alcun rilievo
penale assume il deposito di "altro materiale di varia natura" non
ricadente nell'area dove sarebbe intervenuto il mutamento di destinazione
d'uso.
Non di meno, la sentenza fonda la responsabilità degli imputati in relazione
alle violazioni delle NTA, del permesso a costruire, per la modifica della
destinazione d'uso a parcheggio con opere, realizzate, mediante
posizionamento di una piscina gonfiabile, sulla scorta di un travisamento
della prova. Dagli atti, a cui questa Corte ha accesso essendo denunciato il
suddetto vizio, risulta che una piscina gonfiabile di piccole dimensioni del
tipo di quelle in commercio per bambini, priva di aggancio al suolo e opere
per il suo utilizzo (scaletta per accedervi) era posizionata sul giardino
(dalle fotografie si apprezza anche la facile amovibilità, una volta
sgonfiata).
Costituisce ius receputm di questa Corte il
principio secondo cui in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione
d'uso (ora disciplinato dall'art. 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001
(mutamento d'uso urbanisticamente rilevante), senza opere è assoggettato a
D.I.A. (ora SCIA), purché intervenga nell'ambito della stessa categoria
urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di
destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso
sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria
omogenea (Sez. 3, n. 26455 del
05/04/2016, P.M. in proc. Stellato, Rv. 267106; Sez. 3, n. 12904 del
03/12/2015, Postiglione, Rv 266483; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, Filippi,
Rv. 260422; Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013; Tortora, Rv. 258686).
La destinazione d'uso è un elemento che qualifica la
connotazione dell'immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico
perseguiti dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto
l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli
strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione
infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa
sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della
diversa destinazione di zona.
In tale ambito solo gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi,
possono decidere, fra tutte quelle possibili, la destinazione d'uso dei
suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse destinazioni, in tutte le
loro possibili relazioni, devono essere assegnate -proprio in sede
pianificatoria- determinate qualità e quantità di servizi. Da cui l'ovvia
conseguenza che le modifiche non consentite della singola destinazione,
incidendo sull'assetto del territorio comunale come pianificato, incidono
negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto la
possibilità di una gestione ottimale del territorio.
In tale contesto, il mutamento di destinazione d'uso con opere deve, pur
sempre, avere connotati modificativi tendenzialmente stabili e non può
ritenersi in presenza di opere precarie perché destinate ad un uso
temporaneo e facilmente amovibili al termine di utilizzo, situazione
riscontrabile, nel caso in esame, in considerazione delle dimensioni della
piscina gonfiabile appoggiata sul suolo e destinata per la sua stessa
tipologia costruttiva ad essere sgonfiata al termine della stagione estiva e
del suo temporaneo utilizzo.
La sentenza, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, va annullata
senza rinvio perché il fatto non sussiste, resta assorbito il quarto motivo
di ricorso. |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia, affinché un
manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una
propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le
esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia
sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che
sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto
con gli strumenti urbanistici vigenti.
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo
rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua
natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia
dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue
caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma.
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4.4. Parimenti non può accogliersi il
quinto motivo d'impugnazione.
Come è stato già ricordato, infatti, in materia edilizia, affinché un
manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una
propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le
esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia
sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che
sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto
con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno
e altro, Rv. 253064).
La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo
rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua
natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia
dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le
prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue
caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma (Sez. 3, n. 39067
del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903).
4.4.1. Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato che il
manufatto, per quanto abbondantemente rilevato, era in contrasto con lo
strumento urbanistico, tant'è che ne era stata ingiunta la trasformazione in
una mera vasca irrigua o antincendio, la cui differenza funzionale con una
piscina addetta ad un alloggio privato appare di oggettivo e non discutibile
rilievo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 02.05.2018 n. 18523). |
EDILIZIA PRIVATA: A prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo”
della piscina costruita (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome”
le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione) è pacifico che il vincolo delle fasce di rispetto
autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende
inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla
necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione
stradale”.
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Con il ricorso straordinario in esame si chiede l’annullamento della nota
della Società autostrade per l’Italia con la quale è stato espresso parere
negativo sulla istanza di deroga alla distanza minima dal sito autostradale
per la realizzazione di una piscina accanto alla villetta di proprietà dei
ricorrenti ricadente nella fascia di rispetto autostradale, nonché del
silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di accertamento di conformità
presentata al comune di Isola del Cantone ai sensi dell’articolo 43 della
legge regionale della Liguria n. 16 del 2008.
In data 29.06.2016, l’amministrazione comunale, avendo ricevuto una
segnalazione dalla Società autostrade per l’Italia e dopo aver effettuato un
sopralluogo, comunicava ai ricorrenti l’avvio del procedimento di adozione
dei provvedimenti sanzionatori ai sensi della legge regionale n. 16 del 2008
per la presenza di “opere eseguite in fascia di rispetto autostradale”.
In data 23.09.2016 i ricorrenti presentavano al comune di Isola del Cantone
un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 43 della
legge regionale n. 16 del 2008 e, alla Società autostrade per l’Italia, in
data 30.09.2016, una richiesta di deroga alla distanza minima della
costruzione dal “nastro autostradale”.
La nota della Società autostrade per l’Italia, impugnata con il ricorso in
esame, motiva il parere negativo affermando che “secondo le direttive del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è da ritenersi nuova
edificazione e, pertanto, non ammissibile all’interno della fascia di
rispetto autostradale”.
...
Premesso che non è contestata dai ricorrenti la collocazione dell’opera
all’interno della fascia di rispetto, con il primo motivo, articolato
in tre punti, viene rappresentata, in primo luogo, la “violazione e falsa
applicazione dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e
dell’articolo 28 del d.p.r. n. 495 del 1992; la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 e degli articoli 15
e 17 della legge regionale n. 16 del 2008 in relazione all’articolo 11 delle
NTA del PUC del comune di Isola del Cantone del 28.10.2016; l’eccesso di
potere per difetto di istruttoria, difetto e travisamento dei presupposti,
illogicità della motivazione”.
La doglianza riguarda l’attribuzione all’opera in questione della
qualificazione di “nuova edificazione”: ad avviso dei ricorrenti la
realizzazione di una piscina con superficie pari a circa 19 mq. è invece da
ritenersi opera pertinenziale ai sensi dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del
2001 e della legge regionale n. 16 del 2008, secondo cui le pertinenze
possono essere assimilabili a interventi di nuova costruzione soltanto se
ciò è previsto dagli strumenti urbanistici.
Nel caso di specie tale condizione non sarebbe realizzata in base a quanto
previsto dall’articolo 11 delle NTA del comune di Isola del Cantone.
Conseguentemente, non sarebbe applicabile il divieto di cui all’articolo 18
del decreto legislativo n. 285 del 1992 e all’articolo 28 del d.p.r. n. 495
del 1992.
In secondo luogo, viene evidenziata la modesta entità dell’intervento che,
anche nell’ipotesi denegata di “nuova costruzione” avrebbe dovuto
indurre alla formulazione di un parere positivo da parte della Società
autostrade per l’Italia, tenuto conto peraltro della sua collocazione al
limite della zona di rispetto.
In terzo luogo, viene lamentata la carenza della motivazione, che non indica
le “ragioni connesse alle finalità del vincolo autostradale”.
Con il secondo motivo si deduce la “invalidità derivata e propria
del silenzio-rifiuto ai sensi dell’articolo 49, comma 4, della legge
regionale n. 16 del 2008 formatosi sull’istanza di accertamento di
conformità dei ricorrenti”. In sostanza, si estendono al silenzio-rifiuto le medesime doglianze evidenziate con il primo motivo.
I motivi proposti non sono accoglibili.
A prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo”
dell’opera (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome”
le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione,
come appare nel caso di specie – Cons. Stato, sez. IV, sent. 31.08.2016, n.
3739) è pacifico, infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto
autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende
inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla
necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione
stradale” (Cons. Stato, sezione IV, sent. 08.06.2011, n. 3498; sezione
VI, sent. 24.11.2015, n. 5326).
Né vale ad affermare il contrario il riferimento, contenuto nel ricorso
straordinario, alla sentenza di questo Consiglio (sezione IV, sent.
27.01.2015, n. 347) nella quale dopo aver confermato “in linea di
principio” la inedificabilità assoluta nelle fasce di rispetto
autostradale si affronta una situazione definita “eccezionale” in ragione
della collocazione dell’opera su una collina a un dislivello di almeno 70 m
dal sito autostradale e consistente in un ampliamento sul “retro”
della costruzione preesistente e quindi non verso la sede autostradale.
Circostanze che non ricorrono nel caso in esame.
Il ricorso è, pertanto, infondato (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 26.03.2018 n. 792 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
PER LA REALIZZAZIONE DI UNA PISCINA ACCESSORIA AD UN
FABBRICATO È NECESSARIO IL P.D.C. NON ESSENDO QUALIFICABILE
COME PERTINENZA.
Affinché un manufatto presenti il
carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua
realizzazione il permesso di costruire, è necessario che
esso sia preordinato a un’oggettiva esigenza funzionale
dell’edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore
di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello
dell’edificio cui accede, di guisa da non consentire,
rispetto a quest’ultimo e alle sue caratteristiche, una
destinazione autonoma e diversa (fattispecie relativa alla
realizzazione di una piscina).
La questione oggetto di esame da parte della Cassazione
verte
sulla frequente nozione di pertinenza e sulla realizzabilità
con
titolo abilitativo semplificato di manufatti apparentemente
svolgenti una funzione accessoria.
La vicenda processuale
segue alla sentenza con cui la Corte d’Appello aveva
confermato
la sentenza del Tribunale con cui l’imputata era stata
condannata in relazione al reato di cui al d.P.R. n. 380 del
2001,
art. 44, lett. b) (per avere realizzato, in assenza del
permesso di
costruire, una piscina interrata di forma rettangolare,
delle
dimensioni di metri 7,70x13,35, profonda circa metri 2,30,
un vano interrato delle dimensioni di metri 2,00x2,00x2,70,
due docce in muratura e un bagno retrostante, delle
dimensioni
di metri 1,70x1,20; nonché, in totale difformità dal
permesso di costruire, una scala scoperta in posizione e di
dimensioni diverse rispetto a quelle autorizzate, una
maggiore
profondità del porticato, un ampliamento dell’immobile e la
modifica della sua partizione interna).
Per quanto qui di
interesse,
i giudici di merito avevano escluso la natura pertinenziale
della piscina e dei manufatti a servizio della stessa, in
considerazione delle dimensioni non trascurabili e delle
caratteristiche
della stessa, con la conseguente disapplicazione del
permesso di costruire in sanatoria rilasciato.
Avverso la
detta
sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputata, in
particolare
sostenendo l’errata esclusione della pertinenzialità
della piscina, essendo la stessa posta a servizio del
fabbricato
principale e in rapporto adeguato e non esorbitante rispetto
alle esigenze di un uso normale da parte del soggetto
residente
nell’edificio principale, con la conseguenza che non
richiedeva per la sua realizzazione il permesso di costruire
ma solamente una denunzia di inizio attività (D.I.A.) o una
segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.),
trattandosi
di opera priva di destinazione autonoma e non in contrasto
con
gli strumenti urbanistici.
La tesi difensiva è stata ritenuta infondata dagli Ermellini
che,
sul punto, nell’affermare il principio di cui in massima,
hanno
richiamato il tradizionale orientamento secondo cui,
affinché
un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da
non
richiedere per la sua realizzazione il permesso di
costruire, è
necessario che esso sia preordinato a un’oggettiva esigenza
funzionale dell’edificio principale, sia sfornito di un
autonomo
valore di mercato, sia di volume non superiore al20% di
quello
dell’edificio cui accede, di guisa da non consentire,
rispetto a
quest’ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione
autonoma
e diversa (così, da ultimo: Cass. pen., Sez. III, 14.07.2016, n. 52835, F., CED, 268552; Id., Sez. III, 30.05.2012,
n. 25669, Z., CED, 253064; Id., Sez. III, 24.11.2011,
n.
6593, C., CED, 252442; Id., Sez. III, 21.05.2009, n.
39067,
V., CED, 244903; Id., Sez. III, 11.06.2008, n. 37257,
A.,
CED, 241278).
Una tale analisi, rileva la S.C., era stata
del tutto
omessa dall’imputata, che pure ne sarebbe stata onerata alla
luce della sua allegazione difensiva,non avendo indicato
alcunché
circa il rapporto tra la piscina e il fabbricato cui essa
accede,
ed avendo, anzi, compiuto una valutazione parcellizzata
delle
opere prive di permesso di costruire o realizzate in totale
difformità da quello ottenuto, volta a sminuirne
l’incidenza,
dovendo, invece, essere compiuta una valutazione complessiva
dell’opera (cfr., Cass. pen., Sez. III, 26.11.2014, n.
15442, P., CED, 263339; Id., Sez. III, 08.04.2015, n.
16622,
C., CED, 263473), onde qualificarla, accertare il suo
completamento,
verificarne la rispondenza agli strumenti urbanistici e
stabilirne anche il regime di assentibilità.
Dalla sola
descrizione
delle opere contenuta nella imputazione emergeva, comunque,
per i Supremi Giudici, l’idoneità a un utilizzo autonomo
della piscina, in considerazione delle sue dimensioni, come
pure dei manufatti a essa accessori, trattandosi di una
piscina
interrata di forma rettangolare, delle dimensioni di metri
7,70x13,35, profonda circa metri 2,30, di un vano interrato delle
dimensioni di metri 2,00x2,00x2,70, di due docce in
muratura e di un bagno retrostante, delle dimensioni di metri
1,70x1,20,
di cui, oltre a non emergere la destinazione a una oggettiva
esigenza funzionale dell’edificio principale, riguardo alla
quale
l’imputata non aveva prospettato nulla di specifico (se non
la
generica qualificabilità di una piscina come pertinenza), si
ricavava senza necessità di indagini tecniche l’idoneità a
un
utilizzo autonomo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
22.02.2018 n. 8540 -
Urbanistica e appalti 3/2018). |
EDILIZIA PRIVATA: La previsione di cui all'art. 6,
comma 2, lett. e), T.U. 380/2001, che ha liberalizzato la
realizzazione delle aree ludiche di pertinenza degli
edifici, non può mai estendersi all'installazione di
piscine.
Per quanto concerne la piscina, la
previsione di cui all'art. 6, 2° comma, lett. e), T.U.
380/2001, che ha liberalizzato la realizzazione delle aree
ludiche di pertinenza degli edifici, non può mai estendersi
all'installazione di piscine, occorrendo per esse
lavori di scavo, rivestimento e dotazione di impianti
tecnologici.
A fortiori da escludersi allorquando si verta, come nel caso
di specie, dell'installazione di una piscina fuori terra,
peraltro di superficie considerevole (50 mq.), cui si
aggiunge quella della pedana di legno che la circonda
(estesa circa 60 mq.), che, in quanto destinata a creare
volume, così come la struttura in legno annessa alla stessa,
nonché idonea alla durevole trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio nel quale è inserita, va ricompresa
nell'ambito delle costruzioni, ovverosia dei manufatti che,
elevandosi al di sopra del suolo, necessitano del permesso
di costruire.
---------------
Il ricorso non si confronta con la puntuale motivazione resa
dal provvedimento impugnato che ha accertato il carattere
permanente dei manufatti, attesa la dotazione di impianto
elettrico ed idraulico che ne implica lo stabile ancoraggio
al suolo, nonché la loro attitudine alla modifica dello
stato dei luoghi in quanto ubicati in area sottoposta
vincolo paesaggistico del Parco Metropolitano delle colline
di Napoli.
Al riguardo non vale a scriminare il ricorrente la pregressa
comunicazione inoltrata al Comune per l'installazione di
un'area ludica, peraltro del tutto irrilevante ai fini del
contestato reato paesaggistico, non costituendo i manufatti
in questione, stanti le loro stesse caratteristiche
strutturali tali da escluderne la precarietà ed il
conseguente utilizzo temporaneo limitato alla stagione
estiva, elementi di arredo delle aree ludiche sussumibili
tra gli interventi cd. di edilizia libera, non richiedenti
cioè alcun titolo abilitativo.
Per quanto in particolare concerne la piscina, la previsione
di cui all'art. 6, 2° comma, lett. e), T.U. 380/2001, che ha
liberalizzato la realizzazione delle aree ludiche di
pertinenza degli edifici, non può mai estendersi
all'installazione di piscine, occorrendo per esse
lavori di scavo, rivestimento e dotazione di impianti
tecnologici (Sez. 3, 18.06.2003 n. 26197, Agresti), a
fortiori da escludersi allorquando si verta, come nel
caso di specie, dell'installazione di una piscina fuori
terra, peraltro di superficie considerevole (50 mq.), cui si
aggiunge quella della pedana di legno che la circonda
(estesa circa 60 mq.), che, in quanto destinata a creare
volume, così come la struttura in legno annessa alla stessa,
nonché idonea alla durevole trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio nel quale è inserita, va ricompresa
nell'ambito delle costruzioni, ovverosia dei manufatti che,
elevandosi al di sopra del suolo, necessitano del permesso
di costruire (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.01.2018 n. 264). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto che un intervento possa essere assentito
(in astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non
comporta l’automatica ed esclusiva applicazione della sola
sanzione pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità
dalla denuncia.
Infatti, il Comune deve accertare in concreto se
l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla
normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la
disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa
espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli
articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne
ricorrano i presupposti in relazione all’intervento
realizzato.
La condizione imprescindibile per rendere operative
le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto
dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso
di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art.
22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono
realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli
interventi non riconducibili all'elenco di cui all'art. 10 e
all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Sotto diverso profilo, è appena il caso di osservare che, in materia
urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di
quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo
ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera
principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato
comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
Appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati
tecnici depositati in atti, che la piscina abusivamente
realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x
4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20
metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di
volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi.
---------------
Il ricorrente censura il provvedimento del Responsabile dell’area
tecnica in data 22/01/2009, recante l’intimazione a demolire
l’opera edilizia abusiva (piscina) e a ripristinare lo stato
dei luoghi.
1. Il terzo motivo è privo di pregio giuridico.
1.1 Il fatto che un intervento possa essere assentito (in
astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non comporta
l’automatica ed esclusiva applicazione della sola sanzione
pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità dalla
denuncia. Infatti, il Comune deve accertare in concreto se
l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla
normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la
disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa
espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli
articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne
ricorrano i presupposti in relazione all’intervento
realizzato (TAR Puglia Bari, sez. II – 02/12/2016 n.
1350).
La condizione imprescindibile per rendere operative
le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto
dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso
di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art.
22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono realizzabili
mediante denuncia di inizio attività gli interventi non
riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e
all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
1.2 Sotto diverso profilo (a confutazione di quanto asserito
da parte ricorrente nella memoria difensiva prodotta il
10/10/2016), è appena il caso di osservare che, in materia
urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di
quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo
ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera
principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato
comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico (TAR Campania Napoli,
sez. III – 14/09/2017 n. 4374; C.G.A. Sicilia – 26/09/2017 n.
805; TAR Sicilia Palermo, sez. II – 20/03/2017 n. 750);
appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati
tecnici depositati in atti, che la struttura abusivamente
realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x
4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20
metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di
volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.12.2017 n. 1443 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In linea generale, “La piscina
è una struttura di tipo edilizio che incide con opere
invasive sul sito in cui viene realizzata, tant’è che per la
sua realizzazione occorre munirsi di relativo titolo ad aedificandum”.
Nel caso di specie, per di più, l’opera non è stata
semplicemente interrata ma è
stata realizzata nel terreno di riporto, ossia previo
innalzamento della quota naturale del suolo.
E’ quindi
indubitabile che l’intervento abbia comportato una
significativa trasformazione dello stato dei luoghi, tale da
richiedere sia l’autorizzazione paesaggistica, sia anche il
titolo edilizio.
---------------
17. E’, infine, da escludere che la realizzazione della
piscina dovesse considerarsi un’opera priva di impatto
paesaggistico e non costituente, di per sé, un abuso
edilizio.
Deve, infatti, rilevarsi che, in linea generale, “La piscina
è una struttura di tipo edilizio che incide con opere
invasive sul sito in cui viene realizzata, tant’è che per la
sua realizzazione occorre munirsi di relativo titolo ad aedificandum” (Cons. Stato, Sez. IV,
08.01.2016, n. 35).
Nel caso di specie, per di più, l’opera non è stata
semplicemente interrata –come affermano i ricorrenti– ma è
stata realizzata nel terreno di riporto, ossia previo
innalzamento della quota naturale del suolo.
E’ quindi
indubitabile che l’intervento abbia comportato una
significativa trasformazione dello stato dei luoghi, tale da
richiedere sia l’autorizzazione paesaggistica, sia anche il
titolo edilizio.
E invero, a prescindere dall’allegato rispetto del limite
del venti per cento del volume dell’immobile principale, è
escluso che un’opera con tali caratteristiche potesse
ritenersi assoggettata al regime delle pertinenze, tenuto
conto del rilevante impatto che essa presenta (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.02.2017 n. 458 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
realizzazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza permesso di
costruire e senza autorizzazione a fini paesaggistici, di una piscina di
forma rettangolare delle dimensioni di m 4,80 x 8,75.
Tale essendo la consistenza dell'opera, devono essere
qui richiamati i principi giurisprudenziali consolidati in materia di
definizione del concetto di pertinenza.
Va preliminarmente ricordato che la natura pertinenziale deve essere esclusa
per le opere prive del requisito dell'individualità fisica e strutturale,
che costituiscano parte integrante dell'edificio sul quale sono realizzate.
Va inoltre riaffermato che una piscina posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata non è di per sé estranea al
concetto di "pertinenza urbanistica".
Tale nozione ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella
civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera -che abbia comunque una
propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non
sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato- preordinata ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo
valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata
di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello
dell'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.
E la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso,
non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e
funzionale l'uso; sicché non potrebbe ricondursi alla nozione in esame la
realizzazione di una piscina privata che, per le sue caratteristiche
oggettive, fosse suscettibile di utilizzazione (anche economica) autonoma.
Il manufatto pertinenziale, inoltre: a) deve accedere ad un edificio
preesistente edificato legittimamente; b) deve necessariamente presentare la
caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal
rapporto con l'edificio principale; c) non deve essere in contrasto con gli
strumenti urbanistici.
Tali principi trovano applicazione, secondo la giurisprudenza
amministrativa, anche per le piscine di modeste dimensioni che siano
asservite ad edifici a destinazione residenziale, anche indipendentemente
dal fatto se l'area nella quale insistono sia un'area a destinazione
agricola o a destinazione residenziale, purché abbiano limitata rilevanza
sul piano urbanistico e non influiscano negativamente sull'assetto
territoriale agricolo.
Nella fattispecie in esame, deve essere dunque valutata l'applicabilità
della disciplina dell'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, nel
definire gli interventi edilizi, al comma 1, lett. e), equipara agli
interventi di nuova costruzione, per i quali è necessario munirsi di
permesso di costruire, i soli interventi pertinenziali che le norme degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
paesaggistico delle aree, qualificano come interventi di nuova costruzione
ovvero comportino la realizzazione di un volume superiore del 20% del volume
dell'edificio principale; con la conseguenza che gli altri interventi
pertinenziali devono essere ritenuti esclusi dal regime del permesso di
costruire di cui al successivo art. 10 e ricompresi, invece, nel regime
della d.i.a. di cui all'art. 22, per la cui violazione non sono previste
sanzioni penali.
---------------
RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 13.03.2015, la Corte d'appello di Lecce ha confermato
la sentenza del Tribunale di Lecce del 06.12.2012, con la quale -per quanto
qui rileva- l'imputato era stato condannato alla pena di 20 giorni di
arresto ed euro 23.000,00 di ammenda, con doppi benefici, e con obblighi di
demolizione e riduzione in pristino, al cui adempimento era subordinata la
sospensione condizionale della pena, per i reati di cui agli artt. 81,
secondo comma, 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, e 181,
comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere, in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
senza permesso di costruire e senza autorizzazione a fini paesaggistici, una
piscina di forma rettangolare, delle dimensioni di m 4,80 x 8,75 (il
03.11.2009).
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione, deducendo, in primo luogo, la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nonché
l'erronea applicazione dell'art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la
mancata considerazione della natura pertinenziale dell'opera, come tale non
soggetta al regime del permesso di costruire, ma a quello della d.i.a.
La difesa sostiene, sul punto, che la piscina non esprime alcuna volumetria
e, comunque, non esprime una volumetria superiore al 20% dell'edificio
principale. Si richiama, inoltre, l'orientamento della giurisprudenza
amministrativa secondo cui non risulta preclusa dalla destinazione agricola
dell'area la realizzazione di una piscina scoperta al servizio di abitazione
esistente sul fondo, per la sua limitata rilevanza sul piano urbanistico e
perché non influisce negativamente sull'assetto territoriale agricolo.
Tale conclusione troverebbe conferma nell'art. 64 delle norme tecniche di
attuazione al piano regolatore generale del Comune, il quale non
escluderebbe in termini assoluti la possibilità di interventi come quello
realizzato, affermando che la zona agricola produttiva normale è destinata
prevalentemente all'esercizio dell'attività agricola e di quelle connesse
con l'agricoltura, compresa l'attività agrituristica.
Con un secondo motivo di doglianza, si sostiene che il trattamento
sanzionatorio risulta ingiusto e non proporzionato all'entità e alla
tipologia degli abusi, anche in riferimento alla subordinazione della
sospensione condizionale alla demolizione e alla rimessione in pristino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il primo motivo di ricorso è fondato.
Esso è relativo alla consistenza dell'opera edilizia, con riferimento alla
sola violazione dell'art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001,
avendo per oggetto la mancata considerazione, a fini urbanistici, della
natura pertinenziale dell'opera realizzata.
Il ricorrente non nega che l'opera oggetto dell'indicazione sia stata
realizzata in zona E.1 «Agricola produttiva normale», ovvero in una
zona destinata dal piano regolatore generale (art. 64 delle norme tecniche
di attuazione) prevalentemente all'esercizio dell'attività agricola o di
quelle connesse con l'agricoltura, compreso l'agriturismo; ricorda, però,
che -come riconosciuto anche dai giudici merito- la stessa si pone in
rapporto di strumentalità non con il fondo agricolo in quanto tale, ma con
un fabbricato residenziale regolarmente assentito a titolo oneroso.
3.1. - Tale essendo la consistenza dell'opera, devono essere qui richiamati
i principi giurisprudenziali consolidati in materia di definizione del
concetto di pertinenza.
Va preliminarmente ricordato che la natura pertinenziale deve essere esclusa
per le opere prive del requisito dell'individualità fisica e strutturale,
che costituiscano parte integrante dell'edificio sul quale sono realizzate (ex
plurimis, sez. 3, 26.06.2013, n. 42330, rv. 257290; sez. 3, 06.05.2010,
n. 21351, rv. 247628; sez. 3, 18.05.2006 n. 17083; sez. 3, 09.01.2003, n.
239).
Va inoltre riaffermato che una piscina posta al servizio esclusivo di una
residenza privata legittimamente edificata non è di per sé estranea al
concetto di "pertinenza urbanistica". Tale nozione ha peculiarità sue
proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero,
di un'opera -che abbia comunque una propria individualità fisica ed una
propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva
di altro fabbricato- preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello
stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini
di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni
caso, al 20% di quello dell'edificio principale) tale da non consentire, in
relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui
accede (ex multis, sez. 7, 27.03.2015, n. 29261; sez. 3, 21.05.2009
n. 39067; sez. 3, 11.06.2008, n. 37257, rv. 241278).
E la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso,
non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l'uso; sicché non potrebbe ricondursi alla nozione in
esame la realizzazione di una piscina privata che, per le sue
caratteristiche oggettive, fosse suscettibile di utilizzazione (anche
economica) autonoma.
Il manufatto pertinenziale, inoltre: a) deve accedere ad un edificio
preesistente edificato legittimamente; b) deve necessariamente presentare la
caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal
rapporto con l'edificio principale; c) non deve essere in contrasto con gli
strumenti urbanistici.
Tali principi trovano applicazione, secondo la giurisprudenza
amministrativa, anche per le piscine di modeste dimensioni che siano
asservite ad edifici a destinazione residenziale (Cons. Stato, sez. 5,
16.04.2014, n. 1951; Cons. Stato, sez. 4, 08.08.2006, n. 4780), anche
indipendentemente dal fatto se l'area nella quale insistono sia un'area a
destinazione agricola o a destinazione residenziale, purché abbiano limitata
rilevanza sul piano urbanistico e non influiscano negativamente sull'assetto
territoriale agricolo (Tar Piemonte, 16.11.2009, n. 2552; Tar Veneto,
16.11.1998, n. 2069).
Nella fattispecie in esame, deve essere dunque valutata l'applicabilità
della disciplina dell'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, nel
definire gli interventi edilizi, al comma 1, lett. e), equipara agli
interventi di nuova costruzione, per i quali è necessario munirsi di
permesso di costruire, i soli interventi pertinenziali che le norme degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale
paesaggistico delle aree, qualificano come interventi di nuova costruzione
ovvero comportino la realizzazione di un volume superiore del 20% del volume
dell'edificio principale; con la conseguenza che gli altri interventi
pertinenziali devono essere ritenuti esclusi dal regime del permesso di
costruire di cui al successivo art. 10 e ricompresi, invece, nel regime
della d.i.a. di cui all'art. 22, per la cui violazione non sono previste
sanzioni penali.
3.2. - La sentenza impugnata non tiene adeguatamente conto dei richiamati
principi, perché si limita ad affermare -senza peraltro fornire alcuna
specifica motivazione in punto di fatto- che la piscina in questione è priva
dei requisiti della pertinenza, essenzialmente perché fornita di autonomo
valore di mercato ed è dotata di un volume minimo tale da consentire la sua
destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile a cui
accede.
Né la realizzazione dell'opera in violazione della normativa paesaggistica
può di per sé escluderne la natura pertinenziale, perché il contrasto che
rileva in tal senso è solo quello con la pianificazione urbanistica in senso
stretto (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.12.2016 n. 52835). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia e urbanistica - Realizzazione di una piscina - Zona
con vincolo culturale.
La realizzazione di una piscina in
un complesso immobiliare esistente, in quanto concreta un
intervento edilizio "ex novo", non può essere ricompresa nel
regime urbanistico delle pertinenze, atteso che non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni.
Ed invero, la piscina non è solo una attrezzatura per lo
svago, ma innanzi tutto una struttura di tipo edilizio che
incide invasivamente sul sito in cui viene realizzata, con
la conseguenza che per la sua realizzazione occorre munirsi
del relativo titolo ad aedificandum.
Secondo l’art. 3, lett. e), del D.P.R 380/2011), sono
interventi di nuova costruzione <<la costruzione di
manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero
l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma
esistente …>>), e ,come ripetutamente affermato in
giurisprudenza, <<tutti gli elementi strutturali concorrono
al computo della volumetria del manufatto, siano essi
interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa
anche la piscina, in quanto non qualificabile come
pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione
autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella
propria dell'edificio al quale accede>>.
<<Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del
d.p.r. 380/2001, è richiesto il permesso di costruire per
tutte le attività qualificabili come interventi di nuova
costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio. Ciò posto, è agevole rilevare che
la costruzione della piscina, in relazione alla sua
consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del
territorio, non si configura come riconducibile fra gli
“interventi di manutenzione straordinaria” e fra gli
“interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R.
380/2001>>.
Di qui, dunque, la esatta riconducibilità di dette opere nel
novero di quelle considerate dall'art. 3, lett. e) e lett.
e), n. 1) e art. 10 del D.P.R. n. 380/2001.
---------------
... per l'annullamento della determinazione prot. n.
12308/15, conosciuta in data 25/09/2015, con cui il
Soprintendente B.A.A.A.S. della Puglia - Lecce ha rigettato
l'istanza per la realizzazione di una "piscina a livello
terra"; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale.
...
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
...
Ritiene il Collegio che la realizzazione di una piscina in
un complesso immobiliare esistente, in quanto concreta un
intervento edilizio "ex novo", non può essere ricompresa nel
regime urbanistico delle pertinenze, atteso che non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni.
Ed invero, la piscina non è solo una attrezzatura per lo
svago, ma innanzi tutto una struttura di tipo edilizio che
incide invasivamente sul sito in cui viene realizzata, con
la conseguenza che per la sua realizzazione occorre munirsi
del relativo titolo ad aedificandum (cfr. Cons. di Stato,
sez. IV, 08.01.2016, n. 35).
Secondo l’art. 3, lett. e), del D.P.R 380/2011), sono
interventi di nuova costruzione <<la costruzione di
manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero
l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma
esistente …>>), e ,come ripetutamente affermato in
giurisprudenza, <<tutti gli elementi strutturali concorrono
al computo della volumetria del manufatto, siano essi
interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa
anche la piscina, in quanto non qualificabile come
pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione
autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella
propria dell'edificio al quale accede>> (cfr. C.d.S Sez. VI
del 06.06.2013 n. 2980).
<<Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del
d.p.r. 380/2001, è richiesto il permesso di costruire per
tutte le attività qualificabili come interventi di nuova
costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio. Ciò posto, è agevole rilevare che
la costruzione della piscina, in relazione alla sua
consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del
territorio, non si configura come riconducibile fra gli
“interventi di manutenzione straordinaria” e fra gli
“interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R.
380/2001>> ( cfr. Cass. pen. - Sez. III, 12.05.2014 n.
19444; C.d.S. n. 26197 del 29/04/2003).
Di qui, dunque, la esatta riconducibilità di dette opere nel
novero di quelle considerate dall'art. 3, lett. e) e lett.
e), n. 1) e art. 10 del D.P.R. n. 380/2001.
Peraltro, è legittima anche la considerazione espressa
dall’Unione dei Comuni circa l’estraneità delle opere dalla
c.d. “conduzione del fondo ai fini agricoli”.
La L.R. Puglia n. 6 del 1979 ha subordinato l'edificazione
nelle aree agricole alla prova del possesso, da parte del
richiedente la concessione, dei requisiti di imprenditore
agricolo, coltivatore diretto o bracciante con disposizioni
confermate poi dalla successiva L. n. 56 del 1980.
Quanto alla valenza dei vincoli all'edificazione in zona
agricola, la giurisprudenza ha affermato il principio
secondo cui l'attribuzione di una destinazione agricola a un
determinato terreno è volta non tanto e non solo a garantire
il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto
a preservarne le caratteristiche attuali di zona di
salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, anche in
funzione della valenza conservativa di valori naturalistici
che ha tale tipo di destinazione di zona. Difatti, in zona
agricola debbono ritenersi ammissibili tutte quelle attività
integrative, aggiuntive e/o migliorative che non si pongano
insanabilmente in contrasto con la zona e con la sua
destinazione, essendo quindi necessario operare una
valutazione caso per caso relativa a tale compatibilità in
concreto.
Nella specie, basti rilevare che il ricorrente non ha
efficacemente dedotto alcuna connessione soggettiva o
oggettiva con l'attività agricola.
Orbene, avuto riguardo alle caratteristiche delle opere in
esame, nonché all'area al cui interno esse dovrebbero essere
realizzate, deve ritenersi che la valutazione tecnica
compiuta dall'amministrazione possa senz'altro ritenersi in
linea con le risultanze istruttorie, avendo l'Unione dei
Comuni Terre di Leuca negato la chiesta autorizzazione
paesaggistica sulla base di una corretta rappresentazione di
tutti gli elementi di fatto, con valutazione scevra da
errori, profili di incoerenza, illogicità, ecc, i soli che
giustificherebbero il sindacato giurisdizionale sulle scelte
discrezionali amministrative.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 20.09.2016 n. 1446 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Appare
veramente arduo, se non impossibile, configurare la
realizzazione di una piscina come un’attrezzatura per lo
svago e il tempo libero, alla stessa stregua di un dondolo o
di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di
svago.
La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con
opere invasive sul sito in cui viene realizzata, tant’è che
per la sua realizzazione occorre munirsi di relativo titolo
ad aedificandum, di talché è di palmare evidenza la
diversità di tale struttura con le attrezzature per lo
svago.
---------------
Con riferimento al
primo dei suddetti ricorsi la Sezione è chiamata a
verificare, in relazione ai motivi di gravame all’uopo
denunciati, la legittimità o meno della delibera n. 6/14 con
cui il Consiglio del Parco di Portofino, avuto riguardo
all’attivata procedura di approvazione di un SUA di
iniziativa privata presentato dalla Società Montanino per la
riqualificazione del complesso monumentale della Cervara, ha
fornito una specifica interpretazione in ordine alla
disposizione di cui all’art. 26, comma 3, lettera d), punto
3), riguardante le piscine.
In primo grado la Montanino srl ha contestato
l’interpretazione autentica di detta norma, oltreché la
stessa adozione dell’atto consiliare in parola, se ed in
quanto tale determinazione si riveli ostativa alla
realizzazione di una piscina inserita nel progetto di
riqualificazione del complesso immobiliare costituito
dall’ex Convento di San Girolamo della Cervara (di cui al
proposto SUA); e il Tar, con sentenza n. 1887/14, ha accolto
il relativo gravame.
I controinteressati sigg.ri Bi. contestano l’esattezza delle
osservazioni e prese conclusioni del primo giudice; e le
doglianze formulate col secondo e terzo motivo di gravame
(da esaminarsi congiuntamente per ragioni di logica
connessione) in ordine alla erroneità del decisum si
rivelano fondate, nei sensi di cui appresso.
L’Ente Parco di Portofino, con deliberazioni del Consiglio
n. 17/2010 e 22/2011, ha approvato le norme di attuazione
della variante del regolamento per la riqualificazione del
patrimonio edilizio.
L’art. 26 di detto atto, che ha cura di dettare la normativa
per le mete e strutture del turismo storico, tra cui è
inserito il complesso della Cervara, così prevede: “sono
ammessi gli interventi di cui alle lettere agli articoli 6,
7, 8, 9 della legge regionale 06/06/2008 n. 16. Eventuali
altri interventi finalizzati alla razionalizzazione o al
potenziamento delle attrezzature di servizio e funzionali al
miglioramento dell’offerta turistico-ricettiva potranno
essere proposti mediante specifici strumenti urbanistici
attuativi previsti dall’art. 19 della l.r. n. 12/1995
corredati da un piano aziendale di sviluppo che ne dimostri
l’esigenza, nel rispetto della destinazione alberghiera
tradizionale quali l’Albergo Portofino Vetta, il Cenobio de
Dogi, l’Albergo Splendido, dell’attuale destinazione per il
Covo di Nord–Est nell’ambito della proprietà a valle della
strada provinciale di Portofino, e di una destinazione
polifunzionale turistico-culturale e congressuale per il
complesso della Cervara.
Gli interventi previsti per il complesso monumentale della
Cervara saranno subordinati a S.U.A la cui convenzione
disciplinerà anche l’uso pubblico della struttura…”.
L’articolo in questione, specificamente occupandosi, poi,
alla lettera d), del “Complesso Monumentale della Cervara”,
stabilisce al punto 3, a proposito degli interventi di
recupero e valorizzazione ammessi, quanto segue: “E’
ammessa la realizzazione di una o due serre in ferro e vetro
per una superficie massima complessiva di 60 mq, funzionali
alla manutenzione del giardino", nonché ”la
realizzazione di attrezzature per lo svago e il tempo libero
nell’area retrostante il complesso monumentale”.
Il Consiglio del Parco di Portofino, con l’atto in
contestazione, è intervenuto per meglio spiegare la
disposizione regolamentare appena citata, interpretandola
nel senso che la frase per “attrezzature per lo svago e
il tempo libero” va intesa in senso restrittivo,
escludendo dalle stesse attrezzature le piscine.
Ebbene, tale assunto esegetico, ad avviso del Collegio,
appare congruo e ragionevole, dovendosi ritenere corretta la
non inclusione di manufatti costituenti piscine tra le opere
di svago e tempo libero.
Il primo giudice giunge ad affermare la erroneità
dell’assunto esegetico reso dall’Organo consiliare dell’Ente
Parco, sulla scorta di una serie di osservazioni non del
tutto logiche, contraddittorie e, per certi versi,
singolari, ad avviso dello scrivente Collegio.
Rileva in primo luogo il Tar che le prescrizioni dettate dal
suindicato Regolamento sono generiche ed astratte, ma
l’osservazione è smentita per tabulas ove si
consideri che il corpus di norme dettate a tutela dei valori
paesaggistico-ambientali e culturali del territorio inserito
nel Parco prende in considerazione i singoli siti, tra cui
quello specificatamente contemplato e appositamente
disciplinato del complesso monumentale della Cervara, sicché
non si vede in che modo possa dedursi la genericità delle
prescrizioni dettate.
Al contrario, si è in presenza di una disciplina che detta
regole di comportamento e di attività, avendo di mira i
diversi siti monumentali e paesaggistici, presi
singolarmente in considerazione con riferimento alle
caratteristiche di ciascuno di essi e ai correlati valori da
preservare.
Non si può quindi condividere il rilievo, pure formulato dal
Tar, secondo cui le prescrizioni del Regolamento, come
interpretate dal Consiglio con l’atto de quo, si
risolvono in un divieto generalizzato, rinvenendosi invece
nel testo normativo in questione puntuali e armoniche
prescrizioni finalizzate alla salvaguardia di un territorio
avente una straordinaria valenza culturale, oltreché
paesaggistico-ambientale.
Nondimeno, al di là delle non persuasive asserzioni circa il
carattere generale delle prescrizioni contenute nel
decisum, scendendo sul piano sostanziale, andando, cioè,
a verificare in concreto la problematica sollevata dalla
norma interpretativa resa dal Consiglio del Parco di
Portofino e della quale il primo giudice non si è dato
carico di occuparsi, appare veramente arduo se non
impossibile configurare la realizzazione di una piscina come
un’attrezzatura per lo svago e il tempo libero, alla stessa
stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei
giardini o nei luoghi di svago.
La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con
opere invasive sul sito in cui viene realizzata, tant’è che
per la sua realizzazione occorre munirsi di relativo titolo
ad aedificandum, di talché è di palmare evidenza la
diversità di tale struttura con le attrezzature per lo
svago.
La riprova di quanto appena rilevato viene fornita proprio
con riferimento alla piscina che si intende “costruire”
con il SUA proposto dalla Montanino srl, laddove è prevista
la “realizzazione di una piscina e sottostanti volumi
tecnici e spogliatoi” e cioè una serie di manufatti
aventi per forma e consistenza la natura di struttura
edilizia e che per ciò stesso non sono nemmeno lontanamente
paragonabili alle attrezzature di tipo precario utilizzate
per ragioni di svago e tempo libero.
Quanto sopra vale altresì a smentire la tesi di parte
resistente secondo il quale il combinato disposto degli
artt. 12 e 13 delle norme di Piano, recanti la disciplina
degli interventi ammessi in zona D2 (quella in cui è incluso
anche il complesso monumentale della Cervara), consentirebbe
la realizzazione delle piscine.
Invero, il successivo art. 14 di dette Norme precisa che è
possibile la realizzazione di ”piscine stagionali di
modeste dimensioni”, ma in tale nozione non può certo
farsi rientrare la prevista realizzazione di un manufatto
del genere di quello che si intende dar vita con il S.U.A.
in rilievo, con la realizzazione di una piscina avente
caratteristiche tipologiche di ben altra consistenza.
In forza delle su estese considerazioni le censure dedotte
con il secondo e terzo motivo d’impugnazione si rivelano
fondate, con conseguente accoglimento del proposto appello (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza
08.01.2016 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una piscina necessita del previo rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001, in relazione alla previsione del precedente art. 3, lett. e.1) (che definisce "interventi di nuova costruzione" <<la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente …>>), come ripetutamente affermato in giurisprudenza:
- <<tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede>>;
- <<ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del d.p.r. 380/2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Ciò posto, è agevole rilevare che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non si configura come riconducibile fra gli “interventi di manutenzione straordinaria” e fra gli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. 380/2001>>;
- <<Costituiscono infatti lavori edilizi necessitanti di permesso a costruire non soltanto quelli per la realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del suolo, ma anche quelli in tutto o in parte interrati e che trasformano in modo durevole l'area impegnata dai lavori stessi. Di qui, dunque, la esatta riconducibilità di dette opere, ben diverse da quelle di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, nel novero di quelle considerate dall'art. 3, lett. e) e lett. e), n. 1) e art. 10 del medesimo D.P.R.. --------------- .. per l'annullamento dell'ordinanza del Capo Settore Urbanistica prot. n. 10136 dell'11.05.2009, con la quale si ingiunge la demolizione delle opere edili realizzate alla via
... n. 162; di ogni altro atto, anche endoprocedimentale, consequenziale, connesso, preordinato e presupposto. ... La ricorrente realizzava sul fondo di sua proprietà una piscina con pensilina sul lato est, nonché due spogliatoi ed altra pensilina sul lato nord, presentando in data 26/11/2008 istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001. Con l’impugnato provvedimento è stata ingiunta la demolizione delle opere così descritte:
"Realizzazione di
- una piscina interrata di circa mq. 50,00 con pensilina sul lato est, consistente in struttura metallica e copertura in similtegole in plastica di circa mq. 10,00 nonché
- n. 2 spogliatoi in muratura e copertura in lamiere di circa mq. 3,00.
Risulta, altresì, pensilina sul lato nord di circa mq. 10 con struttura in ferro e copertura in plastica”. Avverso il provvedimento è stato proposto il presente ricorso, affidato a
quattro motivi con cui è dedotta la violazione delle leggi n. 765/1967 e n. 1150/1942, dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, nonché l’eccesso di potere per violazione del principio della certezza del diritto, motivazione erronea ed illogica, illogicità manifesta e difetto di istruttoria. Nelle censure articolate si sostiene che: 1) la piscina venne realizzata tra gli anni ’60 e ’70 , in epoca nella quale non era richiesta la licenza edilizia; 2) la stessa, interrata nell’area strettamente adiacente all’immobile, non determina la realizzazione di un volume, mentre la volumetria degli spogliatoi accessori è inferiore al 20% dell’edificio, dovendosi qualificare le opere come pertinenziali e assoggettate a DIA; 3) per le stesse era stata presentata in data 26/11/2008 una richiesta di accertamento di conformità urbanistica, conseguendone l’inefficacia della demolizione ingiunta; 4) difetta un’adeguata istruttoria di verifica della legittimità delle opere. ... Il ricorso è infondato. L’affermazione della ricorrente secondo cui la piscina è stata realizzata anni addietro non è sorretta da alcun elemento di prova, il cui onere incombe sul ricorrente ex art. 64 c.p.a. (la circostanza è asserita nella richiesta di accertamento di conformità urbanistica, ma non è neppure esplicitata nell’allegata relazione tecnica). Peraltro è comunque da escludere, in linea di principio, che l’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, consistente in un illecito di tipo permanente, abbia rilevanza ai fini dell’applicazione della prescritta sanzione (cfr. Cons. St., sez. V, 27/08/2014, n. 4381). Ciò posto, avuto riguardo alla natura e alla consistenza delle opere (che costituiscono nuovi volumi ed arrecano una rilevante trasformazione del territorio), è destituita di fondamento la tesi secondo cui le stesse fossero assoggettabili a DIA. Esse necessitavano del previo rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001, in relazione alla previsione del precedente art. 3, lett. e.1) (che definisce "interventi di nuova costruzione" <<la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente …>>), come ripetutamente affermato in giurisprudenza (cfr. la sentenza della Sezione VII di questo Tribunale del 07.01.2014 n. 1: <<tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria del manufatto, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede>>; cfr., altresì, la sentenza della Sez. VI del 06.06.2013 n. 2980: <<ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del d.p.r. 380/2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Ciò posto, è agevole rilevare che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non si configura come riconducibile fra gli “interventi di manutenzione straordinaria” e fra gli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. 380/2001>>; cfr. anche Cass. pen. - Sez. III, 12.05.2014 n. 19444: <<Costituiscono infatti lavori edilizi necessitanti di permesso a costruire non soltanto quelli per la realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del suolo, ma anche quelli in tutto o in parte interrati e che trasformano in modo durevole l'area impegnata dai lavori stessi (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 26197 del 29/04/2003, Agresti, Rv. 225388, proprio con riferimento a piscina interrata). Di qui, dunque, la esatta riconducibilità di dette opere, ben diverse da quelle di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, nel novero di quelle considerate dall'art. 3, lett. e) e lett. e), n. 1) e art. 10 del medesimo D.P.R.>>). Da ciò discende che il Comune ha correttamente valutato la tipologia dell’opera, dalla cui abusività (difettando il prescritto titolo edilizio) scaturisce con carattere vincolato l’ordine di demolizione. Infine, la presentazione della richiesta di accertamento di conformità urbanistica, ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001, non influisce sul provvedimento emanato rendendolo inefficace; ciò in quanto, decorso il termine di sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la formazione del provvedimento tacito di rigetto, che è onere della parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza discenda la paralisi del potere sanzionatorio della P.A. (cfr. Cons. St., sez. VI, 02/02/2015, n. 466) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 18.11.2015 n. 5308 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione abusiva di una piscina in area
paesaggisticamente vincolata non rientra fra le ristrette
ipotesi sanabili ex art. 167 dlgs 42/2004.
In caso di vincolo paesaggistico, com’è
noto, è precluso il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001, stante il divieto di
autorizzazione paesaggistica postuma espressamente previsto
dall’art. 146 del D.Lgs. 42/2004. A tale principio fanno
eccezione solo i limitatissimi casi previsti dal comma 4,
dell’art. 167 del D.lgs. 42/2004, e la realizzazione di una
piscina non rientra tra tali ipotesi.
La previsione dell’art. 167 del DLgs 42/2004, in un’ottica
di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude
dalla compatibilità paesaggistica interventi già realizzati,
che abbiano comportato “creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Come da giurisprudenza di questo stesso TAR, la posa in
opera di una piscina non rientra tra gli interventi per i
quali vige l’eccezione al divieto di autorizzazione postuma
di cui al citato art. 167, in quanto comportante la
realizzazione di volumi interrati o seminterrati rientranti
soggetti anch’essi al regime di insanabilità dettato
dall’indicato art. 146.
Il Collegio osserva in proposito che pur se, in ipotesi, non
si volesse concordare con l’assunto che la costruzione di
una piscina realizza nuovi volumi interrati o seminterrati,
tale intervento comporta in ogni caso la realizzazione di
superfici utili rientrando quindi, in ogni caso, nel divieto
di autorizzazione paesaggistica postuma.
---------------
Qualora la Soprintendenza esprima il proprio parere
"negativo" (ex art. 167 dlgs 42/2004) oltre il temine di 90
gg. dalla richiesta da parte del Comune ciò non rende
illegittimi né il parere, né il provvedimento di diniego
della compatibilità paesaggistica.
L’inosservanza dei termini prescritti dalla legge per
l’emissione del parere di compatibilità paesaggistica non
priva la Soprintendenza del potere di provvedere, e il
relativo parere continua a sussistere e mantiene la sua
efficacia vincolante.
Ma anche a voler ipotizzare che la mancata osservanza, da
parte della Soprintendenza, del termine perentorio previsto
ex lege per il rilascio del parere di compatibilità
paesaggistica comporti che il parere tardivo perda il
carattere vincolante impressogli dalla legge, questo non lo
qualifica in termini di illegittimità. Il parere costituirà
sempre un elemento del procedimento che l'amministrazione
ben può valutare e recepire, potendosene, se del caso,
motivatamente discostare.
... per l'annullamento:
- della nota dell’Ufficio Tecnico del Comune di Tora e
Piccilli, prot. 308/2013, avente a oggetto il diniego
dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria;
- della nota del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici,
Paesaggistici, Storici. Artistici e Etnoantropologici per le
Province di Caserta e Benevento prot. 22635 del 23.10.2012,
mediante la quale la prefata autorità notificava al solo
Comune di aver dato parere non favorevole alla sopra citata
istanza;
- per quanto di interesse, della nota prot. n. 3432 del
10.11.2012 con cui il Comune di Tora e Piccilli comunicava i
motivi del rilascio del permesso di costruire in sanatoria
relativamente alla piscina;
- della nota del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici.
Paesaggistici, Storici, Artistici e Etnoantropologici per le
Province di Caserta e Benevento prot. n. 1603 del
21.01.2013, pure notificata in data 24.07.2013, mediante la
quale la Soprintendenza ribadiva il parere non favorevole
già espresso con la nota della soprintendenza prot. 22635
del 23.10.2012;
- dell'ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei
luoghi prot. n. 320 del 30.01.2013, notificata in data
24.07.2013, con il quale il Comune di Tora e Piccilli
ordinava la riduzione in pristino della piscina.
...
FATTO
Il Comune di Tora e Piccilli, con ordinanza n. 12 del
16.08.2011, ordinava la rimozione e il ripristino dello
stato dei luoghi per l’abusiva realizzazione di una piscina
in zona paesaggisticamente vincolata.
Gli odierni ricorrenti facevano, quindi, richiesta di
compatibilità paesaggistica e presentavano istanza di
permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del
d.p.r. 380/2001.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con nota
della Soprintendenza prot. 22635 del 23.10.2012, esprimeva
però parere sfavorevole alla sopra citata istanza, in
quanto, con la realizzazione di una piscina, si sarebbe
andata a realizzare una "modifica dell'orografia
dell'area pertinenziale".
Con nota prot. n. 3432 dei 10.11.2012, il Comune di Tora e
Piccini comunicava i motivi ostativi al rilascio
dell’autorizzazione in sanatoria facendo riferimento al
parere negativo della Soprintendenza.
I ricorrenti depositavano osservazioni in proposito, ma la
Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici,
Storici, Artistici e Etnoantropologici per le Province di
Caserta e Benevento ribadiva, con nota prot. n. 1603 del
21.01.2013, il parere non favorevole già espresso con la
precedente nota prot. 22635 del 23.10.2012.
Facevano seguito il provvedimento di diniego dell’istanza di
permesso di costruire in sanatoria, n. 308 del 30.1.2013, e
l’ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi
prot. n. 320 del 30.01.2013, che ordinava nuovamente la
riduzione in pristino del manufatto.
Le parti ricorrenti, con il presente ricorso, notificato il
07.11.2013, impugnavano il parere negativo della
soprintendenza e i provvedimenti di diniego del permesso di
costruire in sanatoria e dell’ordine di demolizione,
chiedendone l’annullamento.
Si costituivano in giudizio il Comune e il Ministero per i
Beni e le Attività Culturali.
DIRITTO
1) Il ricorso si rivela infondato.
L’area su cui è stata realizzata la piscina risulta essere
paesaggisticamente vincolata.
In caso di vincolo paesaggistico, com’è noto, è precluso il
rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36
D.P.R. 380/2001, stante il divieto di autorizzazione
paesaggistica postuma espressamente previsto dall’art. 146
del D.Lgs. 42/2004. A tale principio fanno eccezione solo i
limitatissimi casi previsti dal comma 4, dell’art. 167 del
D.lgs. 42/2004, e la realizzazione di una piscina non
rientra tra tali ipotesi.
La previsione dell’art. 167 del DLgs 42/2004, in un’ottica
di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude
dalla compatibilità paesaggistica interventi già realizzati,
che abbiano comportato “creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Come da giurisprudenza di questo stesso TAR, la posa in
opera di una piscina non rientra tra gli interventi per i
quali vige l’eccezione al divieto di autorizzazione postuma
di cui al citato art. 167, in quanto comportante la
realizzazione di volumi interrati o seminterrati rientranti
soggetti anch’essi al regime di insanabilità dettato
dall’indicato art. 146 (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII,
07/01/2014, n. 1, che richiama sul principio
dell’insanabilità anche nel caso di volumi interrati o
seminterrati, Cons. Stato, Sez. VI, 11.09.2013, n. 4503).
Il Collegio osserva in proposito che pur se, in ipotesi, non
si volesse concordare con l’assunto che la costruzione di
una piscina realizza nuovi volumi interrati o seminterrati,
tale intervento comporta in ogni caso la realizzazione di
superfici utili rientrando quindi, in ogni caso, nel divieto
di autorizzazione paesaggistica postuma.
2) Alla luce di quanto indicato, le argomentazioni svolte in
ricorso si rivelano prive di pregio.
In particolare, è privo di pregio il primo motivo di ricorso
basato sulla circostanza che la Soprintendenza avrebbe reso
il suo parere negativo oltre il temine di 90 dalla richiesta
da parte del Comune. Ciò non rende, difatti, illegittimi né
il parere, né il provvedimento di diniego
dell’autorizzazione paesaggistica.
L’inosservanza dei termini prescritti dalla legge per
l’emissione del parere di compatibilità paesaggistica non
priva la Soprintendenza del potere di provvedere, e il
relativo parere continua a sussistere e mantiene la sua
efficacia vincolante (TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez.
I, 09.02.2015, n. 53).
Ma anche a voler ipotizzare che la mancata osservanza, da
parte della Soprintendenza, del termine perentorio previsto
ex lege per il rilascio del parere di compatibilità
paesaggistica comporti che il parere tardivo perda il
carattere vincolante impressogli dalla legge, questo non lo
qualifica in termini di illegittimità. Il parere costituirà
sempre un elemento del procedimento che l'amministrazione
ben può valutare e recepire, potendosene, se del caso,
motivatamente discostare (TAR Lazio Roma Sez. II-bis,
12.02.2014, n. 1733).
Infondato, per quanto anzidetto, è anche il secondo motivo
di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art. 167 del
DLgs 42/2004 che, a detta di parte ricorrente, avrebbe
consentito il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
postuma e, conseguentemente, il rilascio del permesso di
costruire per l’opera in questione.
L’opera, infatti, non poteva essere oggetto di
autorizzazione paesaggistica postuma, né di conseguenza di
accertamento di conformità, per le ragioni in precedenza
indicate nel punto 1.
3) Il ricorso deve quindi essere rigettato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.10.2015 n. 4720 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Entrambe
le opere (piscina e annessi vani tecnici) non risultano
rilevanti ai fini della violazione delle distanze legali
trattandosi di opere interrate o che comunque non si
innalzano oltre il livello del terreno, con conseguente
inconfigurabilità di un corpo edilizio idoneo a creare
dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità
dell’ambiente collocato tra gli edifici.
Infatti, essendo la normativa dettata in materia di distanze
legali diretta ad evitare la formazione di strette e dannose
intercapedini per evidenti ragioni di igiene, areazione e
luminosità, ne deriva che la suddetta normativa è
inapplicabile relativamente ad un manufatto completamente
interrato quale una piscina, in quanto i piani interrati
devono ritenersi esonerati dal rispetto delle distanze
legali.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione
affermando che “Ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali, stabilite dall'art. 873 c.c. e
dalle norme dei regolamenti locali integrativi della
disciplina codicistica, deve ritenersi costruzione qualsiasi
opera non completamente interrata avente i caratteri della
solidità, stabilità e immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente; e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo
aereo, dall'uniformità e continuità della massa, dal
materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua
destinazione”.
... per l'annullamento del permesso di costruire n. 7/2009
per la realizzazione di una piscina e relative pertinenze.
...
Con ricorso notificato il 05.06.2009 e depositato il
03.07.2009 Ma.Pi., Pa. e Gi.Pi. del Ve. hanno impugnato il
permesso di costruire in sanatoria n. 7/2009 rilasciato dal
Comune di Pignataro Maggiore a Lu.Ar..
I ricorrenti hanno esposto di essere comproprietari del
terreno composto dalle particelle 84 e 122 del Foglio 5 del
Comune di Pignataro Maggiore, confinante con il suolo di
proprietà di Lu.Ar.; quest’ultimo aveva avviato in assenza
di permesso di costruire i lavori per la realizzazione di
una piscina, un pergolato ed altri locali e, a seguito
dell’esposto presentato dai ricorrenti e del sopralluogo dei
tecnici comunali, aveva richiesto ed ottenuto il permesso di
costruire in sanatoria impugnato.
...
Quanto alle distanze minime dal confine e dalla strada
comunale, oggetto del terzo e quarto motivo di
ricorso, l’istruttoria svolta nel corso del giudizio ha
evidenziato l’insussistenza delle violazioni lamentate.
Il Servizio Tecnico comunale ha precisato, in particolare,
che le zone E2, quale quella in cui insistono le opere in
contestazione, sono disciplinate dall’art. 22 delle norme
tecniche di attuazione del P.R.G., e destinate “prevalentemente
ad attività agricola”; in tale quadro risulta consentita
la realizzazione di opere costituenti pertinenze o impianti
tecnologici al servizio di edifici già esistenti, quale può
essere considerata la piscina di modeste dimensioni al
servizio del fabbricato del controinteressato.
Con riferimento ai locali al servizio della piscina,
inoltre, nella relazione dei tecnici comunali si rileva che
gli stessi sono completamente interrati e che i locali
interrati, ai sensi dell’art. 25 del Regolamento Edilizio
comunale, non sono considerati a fini volumetrici se hanno
un’altezza inferiore a m. 2,50.
È stato chiarito altresì che l’art. 22 citato non prevede
per le zone E2 distanze minime né dai confini, né dalle
strade vicinali, né può essere applicata la distanza minima
di m. 10 dalle strade vicinali di tipo “F” prevista
dall’art. 26 del D.P.R. 495/1992 trattandosi di area
ricompresa nel perimetro del centro abitato; l’intervento
risulta invece rispettoso delle distanze previste dal codice
civile (la cui violazione non è stata peraltro nemmeno
contestata).
In ogni caso, poi, entrambe le opere (piscina e annessi vani
tecnici) non risultano rilevanti ai fini della violazione
delle distanze legali trattandosi di opere interrate o che
comunque non si innalzano oltre il livello del terreno, con
conseguente inconfigurabilità di un corpo edilizio idoneo a
creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità
dell’ambiente collocato tra gli edifici.
Infatti, essendo la normativa dettata in materia di distanze
legali diretta ad evitare la formazione di strette e dannose
intercapedini per evidenti ragioni di igiene, areazione e
luminosità, ne deriva che la suddetta normativa è
inapplicabile relativamente ad un manufatto completamente
interrato quale una piscina (TAR Lombardia, Milano,
20.12.1988 n. 428), in quanto i piani interrati devono
ritenersi esonerati dal rispetto delle distanze legali (TAR
Puglia, Lecce, sez. III 30.12.2014 n. 3200).
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione
affermando che “Ai fini dell'osservanza delle norme in
materia di distanze legali, stabilite dall'art. 873 c.c. e
dalle norme dei regolamenti locali integrativi della
disciplina codicistica, deve ritenersi costruzione qualsiasi
opera non completamente interrata avente i caratteri della
solidità, stabilità e immobilizzazione rispetto al suolo,
anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento
fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o
preesistente; e ciò indipendentemente dal livello di posa ed
elevazione dell'opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo
aereo, dall'uniformità e continuità della massa, dal
materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua
destinazione” (Cassazione civile sez. II 06.05.2014 n.
9679).
Infine deve rilevarsi che il pergolato non è ricompreso tra
le opere sanate in quanto il permesso impugnato contiene
l’espressa prescrizione dell’esclusione di tale opera ed il
controinteressato ha rinunciato alla sua realizzazione.
In conclusione il ricorso va respinto
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 02.07.2015 n. 3520 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di una
piscina non può essere intesa, sotto il profilo urbanistico
ed edilizio, quale pertinenza.
La nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue
proprie, che la differenziano da quella civilistica, di cui
all'art. 817 c.c., dal momento che il manufatto deve essere
non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato
comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il cd. carico urbanistico,
sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello
principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto
edilizio preesistente determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire.
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c., dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire (TAR Puglia–Bari, Sez. III,
26.01.2012, n. 245, che ha appunto escluso che l'intervento
di realizzazione di una piscina potesse essere coessenziale
ad un bene principale e quindi potesse essere considerata
pertinenza ai fini urbanistici).
In ogni caso, per quanto concerne la realizzazione di una
piscina, è decisiva l'osservazione in forza della quale la
piscina comporta, in ogni caso, una durevole trasformazione
del territorio.
L’intervento edilizio in questione -tenendo peraltro conto
che la piscina oggetto della segnalazione di inizio
attività, pur composta da pennelli prefabbricati, ha la
rilevante dimensione di quasi mq. 150– necessitava, quindi,
del permesso di costruire.
7.2. - L’Accordo sancito in data 16.01.2003 dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano, recepito dalla
Regione Calabria con Deliberazione della Giunta regionale
del 12.12.2007, n. 770, non pone norme urbanistiche ed
edilizie relative all’edificazione delle piscine, bensì
disciplina gli aspetti igienico-sanitari per la costruzione,
la manutenzione e la vigilanza delle piscine ad uso
natatorio.
Tale atto, dunque, non riveste alcun rilievo nel caso in
esame, sicché l’eventuale errore dell’amministrazione
comunale nella catalogazione della piscina progettata dalla
ricorrente in una delle categorie da esso previste appare
privo di rilievo.
7.3. - Correttamente il Comune di Rossano ha ritenuto che
l’intervento edilizio di cui si controverte non potesse
essere realizzato in forza della sola segnalazione
certificata di inizio attività, giacché la realizzanda
piscina non può essere intesa, sotto il profilo urbanistico
ed edilizio, quale pertinenza.
Occorre ricordare, innanzitutto, che la nozione di
pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la
differenziano da quella civilistica, di cui all'art. 817
c.c., dal momento che il manufatto deve essere non solo
preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato
comunque di un volume modesto rispetto all'edificio
principale, in modo da evitare il cd. carico urbanistico,
sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello
principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto
edilizio preesistente determinando un aumento del carico
urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di
costruire.
Occorre quindi distinguere il concetto di pertinenza
previsto dal diritto civile di cui all'art. 817 c.c., dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso
urbanistico, che non trova applicazione in relazione a
quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come
beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime
del permesso di costruire (TAR Puglia–Bari, Sez. III,
26.01.2012, n. 245, che ha appunto escluso che l'intervento
di realizzazione di una piscina potesse essere coessenziale
ad un bene principale e quindi potesse essere considerata
pertinenza ai fini urbanistici).
In ogni caso, per quanto concerne la realizzazione di una
piscina, è decisiva l'osservazione in forza della quale la
piscina comporta, in ogni caso, una durevole trasformazione
del territorio (TAR Campania–Napoli, Sez. VII, 21.04.2009,
n. 2088; cfr. anche TAR Campana, Sez. VI, 07.01.2014, n. 1).
L’intervento edilizio in questione -tenendo peraltro conto
che la piscina oggetto della segnalazione di inizio
attività, pur composta da pennelli prefabbricati, ha la
rilevante dimensione di quasi mq. 150– necessitava, quindi,
del permesso di costruire (cfr. anche Cass. Pen., sez. III
19.03.2014 n. 19444) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.06.2015 n. 1066 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
censura con la quale il ricorrente ritiene applicabili alla
vasca di compensazione (della realizzanda piscina) le
distanze previste dall’art. 889 c.c. per pozzi, cisterne
fossi e tubi deve essere respinta, perché nel caso all’esame
il manufatto realizzato si sostanzia nella realizzazione di
un opera corrispondente ad un muro di contenimento che ha
sopravanzato l’originario profilo della balza del terreno, e
in quanto tale deve essere qualificato come una costruzione,
dato che, ai fini dell'osservanza delle norme sulle
distanze, “la nozione di costruzione non si identifica con
quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della
solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche
mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un
corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato,
indipendentemente dal livello di posa e di elevazione
dell'opera”.
--------------
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità
della considerazione del vano di alloggiamento dei motori
(della realizzanda piscina) come idoneo a configurare volume
computabile dal punto di vista urbanistico e paesaggistico.
La censura non può essere accolta perché, come osservato dal
Comune nelle proprie difese, costituiscono vani tecnici non
computabili volumetricamente dal punto di vista urbanistico,
le fattispecie indicate dagli strumenti urbanistici, quali
il sottotetto, il vano scala, il vano ascensore e il volume
delle opere di natura tecnica collocate al di sopra del
solaio di copertura, mentre “tutte le strutture tecnologiche
di dimensioni rilevanti, che non rientrano nella definizione
di volume tecnico, partecipano alla determinazione del
volume edificabile o rapporto di copertura per gli edifici
produttivi e sono soggette alla normativa sulla
edificabilità del P.I.”, e pertanto il vano di alloggiamento
dei motori che internamente misura 5,00 m per 1,60, con
un’altezza utile pari a 3,90 m, ed è sovrastato da una
terrazza, non rientra nel novero delle fattispecie
definibili come volumi tecnici non rilevanti ai fini
urbanistici.
...
per l'annullamento:
-
della determina prot. n. 413 del 20/1/2015 notificata il
21/01/2015, emessa dall'Area Tecnica Edilizia Privata e
Sportello Unico del Comune di Costermano di rigetto
dell'istanza di rilascio di permesso di costruire in
variante in sanatoria relativa alla realizzazione di una
piscina a servizio di civile abitazione presentata il
28/08/2013 prot. n. 6974, presentata dal sig. H.W.;
-
dell'ordinanza n. 4 prot. n. 1701 del 03/03/20105 di
demolizione e ripristino dello stato dei luoghi emessa
dall'Area Tecnica Edilizia Privata e Sportello Unico del
Comune di Costermano il 04/03/2015.
...
Il ricorrente è il progettista e direttore dei lavori di
realizzazione di una piscina privata nello scoperto a
servizio di un’abitazione unifamiliare di proprietà del Sig.
H.W. nel territorio del Comune di Costermano in
area soggetta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico
forestale, per la quale è stato rilasciato il permesso di
costruire n. 10646 del 28.05.2013.
Il progetto originario prevedeva la realizzazione della
piscina alla distanza di m 3,56 dal confine di proprietà
all’interno di una balza del terreno e sul lato sud ovest,
che fronteggia la proprietà confinante, la realizzazione di
un muro di sostegno del preesistente terrapieno di
contenimento della balza.
Nel corso degli scavi sono stati riscontrati dei problemi
alla staticità dell’immobile a causa dell’eccessiva
vicinanza dello scavo all’abitazione.
La piscina è stata quindi traslata in direzione sud ovest,
in avvicinamento rispetto alla proprietà confinante.
Rispetto al progetto autorizzato è stata eliminata la vasca
di compensazione prevista sul lato nord est della piscina, e
la stessa è stata realizzata sul lato sud ovest alla
distanza di m 1,16 dal confine, con la funzione di raccolta
delle acque che scendono dal bordo della piscina, infine è
stato realizzato un vano di alloggiamento dei motori e
filtri della piscina non previsto dal progetto, della misura
di m 5 per 1,6 e altezza di m. 3,9, sovrastato da una
terrazza.
Il 28.08.2013 è stata presentata un’istanza di
accertamento di conformità e un’istanza per l’accertamento
di compatibilità paesaggistica dei lavori abusivamente
realizzati.
Il Comune, con provvedimento prot. n. 413 del 20.01.2015, ha respinto l’istanza di sanatoria e accertamento di
compatibilità paesaggistica e, con ordinanza n. 4, prot. n.
1701 del 03.03.2015, ha ordinato la demolizione delle
opere e il ripristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
La censura con la quale, nell’ambito del primo motivo, il
ricorrente deduce che le opere realizzate non soggiacciono
alla disciplina delle distanze dai confini perché sono
interrate in quanto ricomprese all’interno dell’originaria
balza del terreno, è infondata.
Infatti nel caso all’esame la necessità del rispetto delle
distanze dai confini emerge già dall’esame dei prospetti
redatti dalla stessa parte ricorrente come allegati alla
domanda di sanatoria e dalla comparazione il progetto
originariamente assentito (cfr. doc. 3b allegato al ricorso)
e quello realizzato oggetto dell’istanza di sanatoria e tra
lo “stato dei luoghi originale” e “lo stato di sanatoria”
(cfr. doc. 4d allegato al ricorso).
Nel realizzare la traslazione della piscina e della vasca di
compensazione, è stato operato un avanzamento nel lato sud
ovest, verso la proprietà confinante, superando in parte
l’originario profilo della balza.
Il progetto originario prevedeva infatti la realizzazione
della piscina alla distanza di m 3,56 dal confine di
proprietà all’interno di una balza del terreno, e sul lato
sud ovest, che fronteggia la proprietà confinante, la
realizzazione di un muro di sostegno del preesistente
terrapieno di contenimento della balza.
Le opere realizzate, il dato si ricava dalla sovrapposizione
delle sezioni relative allo stato di fatto preesistente e
alle opere oggetto di sanatoria (cfr. doc. 4d allegato al
ricorso), distano invece dal confine circa 2,68 m per quanto
riguarda la piscina che, come emerge dal raffronto tra le
sezioni A-A dello “stato dei luoghi originale” e dello
“stato di sanatoria” in taluni punti è stata realizzata ad
un’altezza maggiore a quella originaria della balza, e 1,16
m per quanto riguarda la vasca di compensazione, il che
rende evidente che sono state superate le precedenti
distanze dal confine con dei manufatti, la vasca di
compensazione e la piscina, creati artificialmente oltre
l’originario profilo della balza, e che complessivamente
emergono dal sottostante vialetto per circa 3,90 m.
Pertanto l’assunto secondo il quale tali opere non
dovrebbero soggiacere alla disciplina sulle distanze dai
confini perché completamente interrate è infondato.
La censura con la quale il ricorrente ritiene applicabili
alla vasca di compensazione le distanze previste dall’art.
889 c.c. per pozzi, cisterne fossi e tubi deve essere
respinta, perché nel caso all’esame, come appena
evidenziato, il manufatto realizzato si sostanzia nella
realizzazione di un opera corrispondente ad un muro di
contenimento che ha sopravanzato l’originario profilo della
balza del terreno, e in quanto tale deve essere qualificato
come una costruzione, dato che, ai fini dell'osservanza
delle norme sulle distanze, “la nozione di costruzione non
si identifica con quella di edificio ma si estende a
qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i
caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al
suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o
contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di
posa e di elevazione dell'opera” (per una fattispecie
analoga cfr. Cassazione civile Sez. II 17.06.2011 n.
13389).
Le censure di cui al primo motivo devono pertanto essere
respinte.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità
della considerazione del vano di alloggiamento dei motori
come idoneo a configurare volume computabile dal punto di
vista urbanistico e paesaggistico.
La censura non può essere accolta perché, come osservato dal
Comune nelle proprie difese, costituiscono vani tecnici non
computabili volumetricamente dal punto di vista urbanistico,
le fattispecie indicate dagli strumenti urbanistici, quali
il sottotetto, il vano scala, il vano ascensore e il volume
delle opere di natura tecnica collocate al di sopra del
solaio di copertura, mentre “tutte le strutture tecnologiche
di dimensioni rilevanti, che non rientrano nella definizione
di volume tecnico, partecipano alla determinazione del
volume edificabile o rapporto di copertura per gli edifici
produttivi e sono soggette alla normativa sulla
edificabilità del P.I.”, e pertanto il vano di alloggiamento
dei motori che internamente misura 5,00 m per 1,60, con
un’altezza utile pari a 3,90 m, ed è sovrastato da una
terrazza, non rientra nel novero delle fattispecie
definibili come volumi tecnici non rilevanti ai fini
urbanistici.
Sono parimenti infondate le censure proposte avverso
l’ordinanza di demolizione, di cui al terzo e quinto motivo,
con le quali il ricorrente contesta la sanzionabilità
dell’abuso con l’ordinanza di demolizione anziché con una
sanzione pecuniaria.
Infatti, come sopra evidenziato, nel caso all’esame le opere
poste in essere costituiscono una nuova costruzione che
comporta una modificazione e trasformazione permanente del
territorio, e sono pertanto soggette al rilascio del
permesso di costruire (cfr. Tar Campania, Napoli, 06.06.2013, n. 2980; Tar Puglia, Bari, Sez. III, 26.01.2012,
n. 245; Consiglio di Stato, Sez. VI 05.03.2013 n. 1316;
Consiglio di Stato, Sez. III, 29.04.2003, n. 26197;
Cass. pen., Sez. III, 19.03.2014, n. 19444), ricadono in
area soggetta a vincolo paesaggistico, e hanno comportato un
aumento volumetrico dal punto di vista urbanistico, in
violazione delle distanze dai confini.
Pertanto costituiscono opere in totale difformità o con
variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire
rilasciato, per le quali è prevista la demolizione.
In definitiva il ricorso deve essere respinto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 19.05.2015 n. 535 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
può considerarsi una mera “vasca d’acqua”
un manufatto di circa 30 mq, interrata per circa 70 cm. ed avente una
profondità massima di un metro e mezzo, dotata, fra l’altro, come risulta
dai rilievi fotografici, di scaletta per consentire l’immissione e l’uscita
dall’acqua.
Pertanto, correttamente gli atti dell’Amministrazione
comunale qualificano il manufatto in questione come “piscina” e non come “elemento di
arredo”.
Nessun rilievo, poi, assume, ai fini paesaggistici, il fatto che l’opera
realizzata sia per lo più interrata; essa, infatti, ha comunque implicato
uno scavo del terreno consistente, che ha alterato lo stato dei luoghi.
---------------
PREMESSO
In data 15.10.2011, la soc. Qu. rivolgeva al Comune di
Buggiano (PT) l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori
effettuati per la realizzazione di una piscina prefabbricata. Con nota n.
13561 del 02.11.2011, veniva comunicato l’avvio del relativo
procedimento. Il 30.01.2012, il Comune chiedeva alla Commissione per il
paesaggio il relativo accertamento di compatibilità, che, in data 02.02.2012, veniva espresso in senso contrario. Tale parere veniva comunicato il
07.02.2012 alla competente Soprintendenza, con nota n. 1600, ed
all’interessato, con nota n. 1586. Il 28 successivo, con nota n. 4407,
veniva trasmesso al Pl. il preavviso di provvedimento negativo.
Il 22.03.2012, la Soprintendenza per i beni architettonici,
paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per le province di
Firenze, Pistoia e Prato comunicava, con nota n. 6430, al Comune il proprio
“parere negativo vincolante”.
Il 06.04.2012, veniva effettuato un sopralluogo alla presenza di tecnici
del Comune, della Soprintendenza e della proprietà, indi veniva adottato il
provvedimento, n. 5003 del 12.04.2014, di reiezione dell’istanza, del
quale veniva data notizia all’interessato ed alla Soprintendenza il 16.04.2012, con nota n. 5148. Va tenuto presente che, in data 28.03.2012, erano pervenute al Comune ed alla Soprintendenza le osservazioni della
soc. Qu..
Con ricorso straordinario al Capo dello Stato, quest’ultima insorgeva contro
il provvedimento suddetto, chiedendone in via cautelare la sospensione degli
effetti e deducendo:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 146 d.lgs.
22.01.2004, n. 42 e degli artt. 78 e 79 l. reg. Toscana 03.01.2005,
n. 1, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei
fatti e mancanza dei presupposti;
b) violazione e falsa applicazione del
succitato art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 e degli artt. 7 e segg. L. n. 241
del 1990, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento
dei fatti, mancanza dei presupposti, illogicità e perplessità.
Con la relazione citata in epigrafe, l’Amministrazione, anche sulla scorta
delle controdeduzioni del Comune e della Soprintendenza, si esprime per
l’infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO
Il primo motivo di ricorso si basa sul presupposto che il manufatto in
questione sia una “vasca d’acqua" inidonea a realizzare una trasformazione
del sito e per dimensioni e per i materiali leggeri e “stagionali”, con cui
è realizzata, e per le sue funzioni, con la conseguenza della sua estraneità
alla disciplina dell’autorizzazione edilizia e paesaggistica. Ciò induce a
non ritenere il manufatto “dissonante con l’insediamento storicizzato”.
Al riguardo, va rilevato che non può considerarsi una mera “vasca d’acqua”
un manufatto di circa 30 mq, interrata per circa 70 cm. ed avente una
profondità massima di un metro e mezzo, dotata, fra l’altro, come risulta
dai rilievi fotografici, di scaletta per consentire l’immissione e l’uscita
dall’acqua. Pertanto, correttamente gli atti dell’Amministrazione
qualificano il manufatto in questione come “piscina” e non come “elemento di
arredo”.
Nessun rilievo, poi, assume, ai fini paesaggistici, il fatto che l’opera
realizzata sia per lo più interrata (Cass. pen., Sez. III, 19.03.2014, n.
19444); essa, infatti, ha comunque implicato uno scavo del terreno
consistente, che ha alterato lo stato dei luoghi (Cons. Stato, VI, 07.01.2014, n. 18). Incongruo appare pertanto il richiamo all’art. 16 NTA del
Regolamento urbano del Comune di Buggiano.
Quanto poi alla valutazione, relativa alla dissonanza con l’insediamento
storicizzato, si deve far presente come essa costituisca frutto di
discrezionalità tecnica, non censurabile in sede di scrutinio di
legittimità, se non per violazione delle norme che ne regolano l’espressione
o per aver trascurato determinanti elementi di fatto o per lacunosità,
contraddittorietà o irragionevolezza della motivazione, rilevabili ictu
oculi. Ma, nel caso in esame, nessuno dei suddetti vizi appare sussistere,
visto che la motivazione del provvedimento, non soltanto fa rinvio al parere
vincolante della Soprintendenza, ma chiarisce le ragioni per le quali è
stato chiesto il parere della Commissione per il paesaggio e della
Soprintendenza essendo stato non solo il territorio del Comune di Buggiano
dichiarato di notevole interesse pubblico, con D.M. 07.03.1963, ma la
Villa “Pichi Sermolli” dichiarata edificio di rilevante valore storico,
architettonico, ambientale, con il Regolamento urbanistico del Comune.
Di ciò del resto appare consapevole la stessa Società ricorrente, che ha
richiesto in sanatoria l’accertamento di compatibilità paesaggistica del
manufatto in questione (Consiglio di Stato, Sez. II,
parere 17.03.2015 n. 801 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulla costa piscina compatibile.
Il mancato impatto ambientale dimostrato da un dossier di
foto.
Consiglio di Stato. Si può sanare il manufatto in una zona
senza vincolo di inedificabilità assoluta.
Una piscina realizzata vicino al mare, nella fascia di
tutela, può essere ritenuta compatibile con il vincolo
paesaggistico: lo
sottolinea il
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.08.2014 n. 4226,
relativa ad un intervento nel Comune di Orbetello sulla
riviera toscana.
Il contrasto era sorto in quanto un Comune aveva respinto
un'istanza di sanatoria in base alla legge 47 del 1985,
facendo generico riferimento all'impatto visivo dell'opera;
in particolare, si discuteva della visibilità della piscina
da parte di chi guardasse verso il complesso edilizio
percorrendo la costa.
Per negare tale visibilità e quindi il presupposto stesso
del diniego di compatibilità paesaggistica, il costruttore
aver fornito una relazione tecnica con allegati grafici e
fotografici dai quali risultava che la piscina era
notevolmente arretrata rispetto alla linea di costa, e
quindi non risultava visibile dal mare. Al più, dalla costa
era possibile scorgere il belvedere con giardino
prospicienti la piscina, ma solo ponendosi al livello di
tali strutture, e non da quote inferiori (e, in particolare,
dal livello della costa), l'intervento era effettivamente
percepibile.
Infine, si discuteva anche di una discesa a mare, che era
stata realizzata con accorgimenti costruttivi idonei a
mitigarne in modo rilevante l'impatto sul paesaggio
circostante, ad esempio attraverso il ricorso alla pietra
locale e alla copertura dei manufatti con essenze arboree e
senza alterare l'andamento del naturale del terreno.
Una parte rilevante della decisione del giudice
amministrativo riguarda l'esame congiunto della
documentazione fornita dal privato rispetto a quella
dell'amministrazione: il privato si era immedesimato in un
generico fruitore del paesaggio, illustrando la
percepibilità dell'abuso nelle varie prospettive
utilizzabili; l'amministrazione comunale, invece, aveva
esibito unicamente fotografie aeree, nelle quali la piscina
risultava particolarmente evidente, anche se in un'ottica
non usuale proprio perché aerea.
La vicenda esaminata appare rilevante anche per altri casi
di realizzazione di piscine, poiché tali strutture, pur non
avendo un impatto di tipo volumetrico, sono spesso di forte
peso ambientale per la loro collocazione, i riverberi ed i
colori fortemente invasivi sull'ambiente. Nel caso
specifico, inoltre, si discuteva di un intervento oggetto di
sanatoria dell'inizio degli anni 90 e di un provvedimento
sfavorevole che derivava da norme sul condono edilizio, di
dubbia applicabilità nei casi in cui sussista un vincolo di
carattere paesaggistico, diverso dal vincolo di
inedificabilità assoluta.
Nell'ottica ambientale, il problema della percepibilità
dell'abuso emerge anche in altri casi, ad esempio quando il
manufatto è arretrato rispetto al fronte visibile, oppure
quando è interrato o inglobato in una struttura preesistente
che ne esclude l'invasività. In materia di pregiudizio
causato da una piscina alla visuale e al paesaggio, si
ricorda la sentenza del Consiglio di Stato 3853/2010,
secondo la quale un'opera che non abbia uno sviluppo
verticale difficilmente può avere rilevanza sotto il profilo
paesaggistico, con la conseguenza che i vicini non possono
lamentarsi dell'esecuzione piscina.
Infine, qualora manchino vincoli ambientali, la
realizzazione di questi impianti e agevolata secondo
l'orientamento del Consiglio di Stato 1951/2014 che
esaminando il caso di una piscina prefabbricata di
dimensioni relativamente modeste in rapporto a un edificio a
destinazione residenziale, sito in zona agricola, ha
qualificato l'opera come una pertinenza, realizzabile
(articolo 7, secondo comma, lettera a) del decreto legge
23.01.1982, n. 9) con semplice autorizzazione gratuita,
assieme ai vani per impianti tecnologici a servizio della
piscina stessa (articolo Il Sole 24 Ore del
28.08.2014). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Circa la necessità che la non
ammissibilità di manufatti pertinenziali quali le piscine
debba essere prevista espressamente (oltre che
ragionevolmente) dal piano, la giurisprudenza ha statuito
alcuni principi quali:
-
in primo luogo
è stato evidenziato come in linea generale l'installazione
di una piscina di non rilevanti dimensioni oggettive (fatta
salva la rilevanza paesaggistica per l’evidente
trasformazione visiva) non integri di per sé, dal punto di
vista edilizio, la violazione degli indici di copertura che
riguardano interventi edilizi né degli standard, atteso che
non si determina un aumento del carico urbanistico della
zona, rilevando solo in termini di sistemazione esterna del
terreno, e che i vani per impianti tecnologici sono per tale
natura consentiti;
- in secondo luogo, la sezione ha già ribadito che
la realizzazione di una piscina in generale costituisce
opera pertinenziale che non implica consumo dei suoli per le
sue caratteristiche;
- in terzo luogo, è già stato evidenziato (e con riferimento a contesti
di particolare pregio, paesaggisticamente vincolati) che
l'introduzione dell'elemento piscina di per sé non comporta
l'eliminazione di essenze arboree e migliora
significativamente l'impatto ambientale.
---------------
In definitiva, rispetto alla genericità del diniego ed
all’assenza di specifici divieti, vale il principio generale
a mente del quale una piscina prefabbricata, di dimensioni
normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito
in zona agricola, ha natura obiettiva di pertinenza e
costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e
quotidiano del proprietario dell'immobile principale.
---------------
Analogamente va concluso, con la prevalente giurisprudenza,
che nella pianificazione urbanistica il vincolo a verde
agricolo assolve essenzialmente la funzione di preservare
una determinata area da un'eccessiva espansione edilizia che
ne comprometta i valori ambientali, ma non preclude la
realizzazione di specifici manufatti aventi una destinazione
non agricola, ove gli stessi non rechino turbativa
all'assetto territoriale, risultando ininfluente che l'opera
realizzata (nella specie, una piscina scoperta) non sia
destinata al servizio di una residenza rurale in senso
stretto.
In linea generale, circa
la necessità che la non ammissibilità di manufatti pertinenziali quali le piscine debba essere prevista
espressamente (oltre che ragionevolmente) dal piano, vanno
richiamati alcuni principi già espressi dalla giurisprudenza
prevalente e dalla sezione.
In primo luogo è stato evidenziato come in linea generale
l'installazione di una piscina di non rilevanti dimensioni
oggettive (fatta salva la rilevanza paesaggistica per
l’evidente trasformazione visiva) non integri di per sé, dal
punto di vista edilizio, la violazione degli indici di
copertura che riguardano interventi edilizi né degli
standard, atteso che non si determina un aumento del carico
urbanistico della zona, rilevando solo in termini di
sistemazione esterna del terreno, e che i vani per impianti
tecnologici sono per tale natura consentiti (cfr. ad es. CdS
1951/2014). In secondo luogo, la sezione ha già ribadito che
la realizzazione di una piscina in generale costituisce
opera pertinenziale che non implica consumo dei suoli per le
sue caratteristiche (cfr. ad es. sent n. 299/2008). In terzo
luogo, è già stato evidenziato (e con riferimento a contesti
di particolare pregio, paesaggisticamente vincolati) che
l'introduzione dell'elemento piscina di per sé non comporta
l'eliminazione di essenze arboree e migliora
significativamente l'impatto ambientale (cfr. ad es. Tar
Campania 11565/2007).
Quanto da ultimo indicato conferma anche sotto un diverso
angolo prospettico l’insufficienza, genericità ed
inadeguatezza delle argomentazione svolte a fondamento del
diniego circa la presunta necessità di mantenimento della
ruralità e delle caratteristiche del contesto.
In proposito
va evidenziato come nel caso di specie non sussista alcun
vincolo paesaggistico, in relazione al quale la
giurisprudenza, condivisa dal Collegio ha evidenziato che
l’Amministrazione, nell'adottare un provvedimento di diniego
del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta
a vincolo paesaggistico, non può limitare la sua valutazione
al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale,
utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma
tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione
delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che
un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente,
attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto;
pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del
disvalore delle valenze paesaggistiche (cfr. ad es. Tar
Lazio 8829/2008 proprio in tema di piscine in zona
vincolata). A maggior ragione tale principio vale nei casi
quale quello in esame di (invero rara, nelle zone di pregio
della nostra Regione) area non vincolata.
Peraltro, tornando alla verifica della concreta fattispecie
in esame, un attento studio della disciplina di piano sembra
all’opposto, nei termini dedotti da parte ricorrente,
ammettere espressamente la realizzabilità di piccole
piscine, quale quella progettata dall’odierna parte
ricorrente.
Infatti, la stessa norma invocata, cioè l’art.
18 nta, rinvia al successivo art. 23c –in tema di aree
agricole– con esclusione di nuovi volumi di cui al comma 6;
orbene, fra le disposizioni richiamate, contenute nella
parte di art. 23c ammessa, si rinvia all’art. 23 che, a
propria volta, fra le infrastrutture agrarie e i manufatti
integrativi prevede in maniera indiretta ma evidente la
possibilità di realizzazione di piscine, laddove si limita a
non ammettere l’allaccio alla rete idrica comunale per la
fornitura d’acqua a piscine di ogni genere.
In definitiva,
l’unico richiamo espresso ai manufatti in questione nelle
zone agricole, lungi dal manifestare quanto genericamente ed apoditticamente posto a fondamento del diniego, ne ammette
pacificamente l’esistenza escludendone solo il possibile
allaccio alla rete idrica comunale, con la conseguenza che
le stesse dovranno essere riempite altrimenti.
In definitiva, rispetto alla genericità del diniego ed
all’assenza di specifici divieti, vale il principio generale
a mente del quale una piscina prefabbricata, di dimensioni
normali, annessa ad un fabbricato ad uso residenziale sito
in zona agricola, ha natura obiettiva di pertinenza e
costituisce un manufatto adeguato all'uso effettivo e
quotidiano del proprietario dell'immobile principale (cfr.
ad es. Cons. Stato, Sez. V, 13.10.1993, n. 1041/1993 e
1951/2014 cit).
Analogamente va concluso, con la prevalente giurisprudenza,
che nella pianificazione urbanistica il vincolo a verde
agricolo assolve essenzialmente la funzione di preservare
una determinata area da un'eccessiva espansione edilizia che
ne comprometta i valori ambientali, ma non preclude la
realizzazione di specifici manufatti aventi una destinazione
non agricola, ove gli stessi non rechino turbativa
all'assetto territoriale, risultando ininfluente che l'opera
realizzata (nella specie, una piscina scoperta) non sia
destinata al servizio di una residenza rurale in senso
stretto (cfr. ad es. Tar Piemonte 2552/2009)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 21.07.2014 n. 1142 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del combinato
disposto degli artt. 3 e 10, d.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. La costruzione di una piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell'assetto del territorio, non si configura come riconducibile fra gli "interventi di manutenzione straordinaria" e fra gli "interventi minori" ai sensi dell'art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che per i lavori di "manutenzione ordinaria e straordinaria"
resta comunque fermo l'obbligo di non alterazione delle superfici delle
unità immobiliari e delle destinazioni in uso in atto.
---------------
Con il gravame in epigrafe, il ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione
n. 135 del 02.06.2009 spedita dal Comune di Ischia a fronte della
realizzazione, in località via ..., di un complesso di opere consistenti
nella realizzazione:
- di un primo corpo di fabbrica, articolato su due livelli, tra
loro collegati a mezzo di scala interna ed adibiti ad abitazione, di
superficie pari a 125 mq circa al piano terra e di 75 mq circa al piano
primo, oltre a mq. 12,50 circa di area porticata e tettoia in legno e tegole
di mq 14,50 circa. Risultano, inoltre, realizzate una copertura con pali di
legno ed incannucciate per una superficie di mq. 55 ed una tettoia di mq
7,50 a copertura degli impianti tecnici e posta a monte del fabbricato;
- di un secondo corpo di fabbrica, di mq 13,50, adibito a locale
tecnico (sala caldaia);
- di muri di contenimento per uno sviluppo di 80 ml circa;
- di una piscina balneare di forma irregolare della superficie di
mq. 30, profonda 1,30 mt circa.
...
Del pari, non possono essere condivise le conclusioni rassegnate dal ricorrente in ordine all’affermata irrilevanza edilizia della piscina abusivamente realizzata, siccome opera di edilizia minore. Ed, infatti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10, d.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. La costruzione di una piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell'assetto del territorio, non si configura come riconducibile fra gli "interventi di manutenzione straordinaria" e fra gli "interventi minori" ai sensi dell'art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che per i lavori di "manutenzione ordinaria e straordinaria" resta comunque fermo l'obbligo di non alterazione delle superfici delle unità immobiliari e delle destinazioni in uso in atto (cfr.
ex multis TAR Napoli Campania sez. VI, n. 29 del 06.06.2013;
Consiglio di Stato sez. VI, n. 1316 del 05.03.2013)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.01.2014 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
CdS annulla la sentenza del TAR Napoli n. 1099/2013 secondo
cui le piscine interrate non possono alterare i valori
paesaggistici, perché non suscettibili di verticalizzazione
con pregiudizio di visuali e visioni prospettiche.
Il TAR è incorso nella violazione dei
principi della separazione dei poteri e della tassatività
delle ipotesi di giurisdizione di merito delineate dall’art.
134 cod. proc. amm., da cui esula la fattispecie sub iudice,
non solo perché ha sostituito la propria valutazione a
quella tecnico-discrezionale rientrante nell’ambito dei
poteri dell’amministrazione, ma anche perché ha affermato in
modo apodittico che «le piscine interrate non possono
alterare i valori paesaggistici, perché non suscettibili di
verticalizzazione con pregiudizi di visuali e visioni
prospettiche», senza correlativa valutazione della
fattispecie concreta, con conseguente manifesta
insufficienza motivazionale.
Del resto, per la giurisprudenza di questo Consiglio, hanno
una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere
realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se non vi è
un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si
tratti di volumi tecnici), anche se si tratta di una
piscina, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a
vincolo paesaggistico possono anche esigere l’immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore
modifica).
Nel caso di specie, la Soprintendenza ha motivatamente
rilevato l’esigenza di conservazione delle dune ancora
esistenti e oggetto del progetto, con osservazioni puntuali
e ragionevoli, mentre la sentenza impugnata ha dato una
erronea lettura della normativa di tutela dei beni
paesaggistici, che consente (e impone) all’autorità preposta
alla tutela del vincolo di valutare non solo l’incidenza
delle ‘verticalizzazioni’ su ‘visuali e visioni
prospettiche’, ma anche di ogni opera che modifichi i tratti
naturalistici dell’area, oltre che di quanto può emergere
dall’alto (dal momento che per loro natura le aree
sottoposte a vincolo sono oggetto di visione, esame e studio
anche dall’alto, quale elemento decisivo per la loro
descrizione e per la valutazione della loro maggiore o
minore integrità).
---------------
Le caratteristiche della zona, che hanno giustificato
l’imposizione del vincolo paesaggistico sul litorale domitio,
tra cui la peculiare vegetazione mediterranea connotata da
fitte macchie verdeggianti, costituiscono elementi di fatto
qualificati normativamente dai provvedimenti impositivi del
vincolo, assurgendo a parametri di valutazione della
compatibilità paesaggistica dei singoli interventi edilizi
e, dunque, ponendosi su un piano diverso dai fatti,
principali e/o secondari, costituenti l’oggetto del thema
probandum ed, in ipotesi, suscettibili di non contestazione
ai sensi della citata disposizione processuale, di cui
l’appellata sentenza ha, pertanto, fatto erronea
applicazione, confondendo il piano normativo/valutativo con
il piano processuale dell’individuazione dei fatti
controversi e della distribuzione dell’onere della prova.
Peraltro, la circostanza ripetutamente emergente dalle
stesse deduzioni di parte –secondo cui nel corso del tempo
atti o comportamenti omissivi hanno portato al degrado, o
addirittura alla cancellazione, di ampie aree un tempo
caratterizzate dalle dune sabbiose del litorale domitio–
rende del tutto ragionevole e legittima la valutazione sulla
non assentibilità di opere che ulteriormente riducano la
presenza delle dune, e sull’esercizio in un senso rigoroso
dei poteri tecnico-discrezionali, volti alla salvaguardia
delle relative aree.
... per la riforma della sentenza breve del TAR CAMPANIA -
NAPOLI, SEZIONE VII, n. 1099/2013, resa tra le parti e
concernente: diniego di permesso di costruire a seguito di
parere soprintendentizio negativo.
...
Si osserva che l’appello è fondato.
Dai sopra (sub 1.1.) riportati passaggi motivazionali
centrali dell’appellata sentenza emerge in modo palese che
il Tar ha travalicato i limiti del sindacato proprio
della giurisdizione di legittimità ed è entrato nel merito
dell’atto amministrativo, sostituendosi all’Amministrazione
preposta alla gestione del vincolo nella valutazione, di
natura tecnico-discrezionale, della compatibilità
paesaggistica dell’intervento in questione.
L’area de qua ricade in area sottoposta a tutela con d.m. 28.03.1985 (pubblicato nel S.O. alla G.U. n. 98 del 26.04.1985), ai sensi della l. 29.06.1939, n. 1497, in
un tratto di arenile di pineta e duna sottoposta a regime di
conservazione integrale ai sensi del Piano territoriale
paesistico del Litorale Domitio (la cui fascia sabbiosa é
caratterizzata dai rilievi della duna con la flora e la
fauna mediterranee, tipiche di questo habitat).
Il TAR è incorso nella violazione dei principi della
separazione dei poteri e della tassatività delle ipotesi di
giurisdizione di merito delineate dall’art. 134 cod. proc. amm., da cui esula la fattispecie
sub iudice, non solo
perché ha sostituito la propria valutazione a quella
tecnico-discrezionale rientrante nell’ambito dei poteri
dell’amministrazione, ma anche perché ha affermato in modo
apodittico che «le piscine interrate non possono alterare i
valori paesaggistici, perché non suscettibili di
verticalizzazione con pregiudizi di visuali e visioni
prospettiche», senza correlativa valutazione della
fattispecie concreta, con conseguente manifesta
insufficienza motivazionale.
Del resto, per la giurisprudenza di questo Consiglio, hanno
una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere
realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se non vi è
un volume da computare sotto il profilo edilizio (pur se si
tratti di volumi tecnici: Sez. VI, 20.06.2012, n. 3578),
anche se si tratta di una piscina (Sez. VI, 02.03.2011, n.
1300), poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a
vincolo paesaggistico possono anche esigere l’immodificabilità
dello stato dei luoghi (ovvero precludere una ulteriore
modifica).
Nel caso di specie, la Soprintendenza ha motivatamente
rilevato l’esigenza di conservazione delle dune ancora
esistenti e oggetto del progetto, con osservazioni puntuali
e ragionevoli, mentre la sentenza impugnata ha dato una
erronea lettura della normativa di tutela dei beni
paesaggistici, che consente (e impone) all’autorità preposta
alla tutela del vincolo di valutare non solo l’incidenza
delle ‘verticalizzazioni’ su ‘visuali e visioni
prospettiche’, ma anche di ogni opera che modifichi i tratti
naturalistici dell’area, oltre che di quanto può emergere
dall’alto (dal momento che per loro natura le aree
sottoposte a vincolo sono oggetto di visione, esame e studio
anche dall’alto, quale elemento decisivo per la loro
descrizione e per la valutazione della loro maggiore o
minore integrità).
Ne deriva la fondatezza dei motivi d’appello sub 2.a) e 2.b)
e, in parte qua, anche del motivo sub 2.c).
---------------
Quanto al
secondo profilo di censura dedotto col motivo sub 2.c), è,
altresì, fondata la censura della Amministrazione statale,
che ha lamentato come il TAR –non correttamente
interpretando l’art. 64, comma 2, cod. proc. amm.– ha
rilevato che essa, nel corso del procedimento, non avrebbe
assolto all’onere di contestare in modo specifico i fatti
allegati dalla ricorrente e suffragati dalla relazione
tecnica con allegata documentazione fotografica prodotta in
giudizio (asseritamente escludenti la stessa presenza e,
dunque, la compromissione, nell’area interessata
dall’intervento, delle essenze arboree tipiche della macchia
mediterranea).
Invero, le caratteristiche della zona, che hanno
giustificato l’imposizione del vincolo paesaggistico sul
litorale domitio, tra cui la peculiare vegetazione
mediterranea connotata da fitte macchie verdeggianti,
costituiscono elementi di fatto qualificati normativamente
dai provvedimenti impositivi del vincolo, peraltro non
impugnati, assurgendo a parametri di valutazione della
compatibilità paesaggistica dei singoli interventi edilizi
e, dunque, ponendosi su un piano diverso dai fatti,
principali e/o secondari, costituenti l’oggetto del thema
probandum ed, in ipotesi, suscettibili di non contestazione
ai sensi della citata disposizione processuale, di cui
l’appellata sentenza ha, pertanto, fatto erronea
applicazione, confondendo il piano normativo/valutativo con
il piano processuale dell’individuazione dei fatti
controversi e della distribuzione dell’onere della prova.
Peraltro, la circostanza ripetutamente emergente dalle
stesse deduzioni di parte –secondo cui nel corso del tempo
atti o comportamenti omissivi hanno portato al degrado, o
addirittura alla cancellazione, di ampie aree un tempo
caratterizzate dalle dune sabbiose del litorale domitio–
rende del tutto ragionevole e legittima la valutazione sulla
non assentibilità di opere che ulteriormente riducano la
presenza delle dune, e sull’esercizio in un senso rigoroso
dei poteri tecnico-discrezionali, volti alla salvaguardia
delle relative aree
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.01.2014 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è passibile di accertamento compatibilità paesaggistica
l'abusiva piscina interrata di forma irregolare, la
pavimentazione di camminamento di area esterna in pietra
arenaria ed il locale bagno in muratura ricavato al di sotto
di una rampa di scala esterna con copertura a falda
inclinata.
La previsione dell’art. 167 del DLgs 42/2004, in un’ottica
di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude
dalla compatibilità paesaggistica interventi realizzati che
abbiano comportato “creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Nel caso di specie non è dubitabile che la piscina
costituisca, al pari del ricavato servizio igienico, un
aumento volumetrico e pertanto si ponga fuori dalla
previsione invocata.
... per l'annullamento:
–dell'ordinanza di sospensione lavori n. 35977 del
29.09.2005 emessa dal Comune di Sorrento;
–del provvedimento prot. nr. 20152/2009 del 12.08.2009 con
il quale la Soprintendenza dei BB.AA. di Napoli ha espresso
parere negativo sulla istanza di compatibilità paesaggistica
ex art. 167 DLgs. 42/2004;
...
FATTO
1.- La parte ricorrente impugna il provvedimento di
sospensione lavori ed il successivo parere negativo della
Soprintendenza ai Beni culturali di Napoli in ordine alla
compatibilità paesaggistica di una piscina e di un servizio
igienico realizzato sine titulo in Sorrento via ...
nr. 21/A.
Dopo il deposito di motivi aggiunti e di memoria ha concluso
per l’accoglimento.
2.- Resiste l’amministrazione statale concludendo per la
reiezione.
3.- All’udienza indicata la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
4.- Il ricorso è in parte improcedibile ed in parte da
respingere.
4.1.- L’impugnazione avverso il provvedimento di sospensione
lavori è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse
sia perché trattasi di atto per sua natura dagli effetti
interinali sia perché superato dalla successiva
determinazione impeditiva della Soprintendenza ai Beni
culturali ed ambientali.
4.2.- Le doglianze avverso il parere negativo di
quest’ultima (immediatamente impugnabile stante la sua
evidente potenzialità lesiva) sono infondate e, nelle forme
sintetiche imposte dal CPA, da rigettare.
Con i motivi articolati che possono congiuntamente
esaminarsi stante il loro carattere unitario, si contesta la
predetta determinazione della Soprintendenza che così si è
espressa:
a seguito di accertamento ..della Polizia Municipale del
Comune di Sorrento è stata contestata la realizzazione di
opere abusive consistenti in una piscina interrata di forma
irregolare; pavimentazione di camminamento e di area esterna
in pietra arenaria; locale bagno in muratura ricavato al di
sotto di una rampa di scala esterna con copertura a falda
inclinata;
.. tali opere ricadono in zona territoriale 1B (tutela
dell’ambiente naturale di 2° grado) del PUT e in zona E 1- 1
(tutela agricola) del PRG adeguato al PUT;
..tali opere si configurano quale nuova edificazione anche
con incremento DIO volumi e di superfici utili.
Secondo la ricorrente, che si sofferma su tali concetti
anche nella memoria finale, per la piccola piscina ed il
bagno attiguo ricavato, non si configurerebbe un nuovo
volume sia per le ridotte dimensioni che per il loro
carattere pertinenziale.
Entrambi gli asserti sono però da respingere.
La previsione dell’art. 167 del DLgs 42/2004, in un’ottica
di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude
dalla compatibilità paesaggistica interventi realizzati che
abbiano comportato “creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Nel caso di specie, ad avviso del Tribunale, non è
dubitabile che la piscina costituisca, al pari del ricavato
servizio igienico, un aumento volumetrico e pertanto si
ponga fuori dalla previsione invocata.
Basta qui richiamare il seguente principio di portata
generalizzante in materia (CdS sez. VI – sent. nr. 4503
dell’11.09.2013): “…la Sezione richiama e ribadisce in
questa sede la propria consolidata giurisprudenza, per la
quale -come si desume dall’articolo 167, comma 4, del
medesimo Codice- hanno rilievo paesaggistico i volumi
interrati e seminterrati: così come per essi è applicabile
il divieto di sanatoria quando sono realizzati senza titolo
(perché il comma 4 vieta il rilascio della sanatoria
paesaggistica quando l’abuso abbia riguardato volumi di
qualsiasi natura), così essi hanno una propria rilevanza
paesaggistica per le opere da realizzare.”
Parimenti inconferente risulta il richiamo al concetto di
pertinenza.
Come già enunciato da questo Tribunale (Tar Campania/Napoli
- sez. VII - nr. 2088 del 21.04.2009) tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo della volumetria del
manufatto, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve
intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non
qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in
ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere
rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.
Stante la infondatezza nel merito delle censure proposte, si
dequotano i rilievi procedimentali con riferimento alla
violazione dell'art. 10-bis L. 241/1990: il provvedimento
impugnato, infatti, non avrebbe potuto avere in nessun caso,
diverso contenuto.
Per giurisprudenza costante, anche di questo Tribunale, la
violazione dell'art. 10-bis L. 07.08.1990 n. 241 non produce
ex se l'illegittimità del provvedimento finale,
dovendosi interpretare la disposizione sul cosiddetto
preavviso di diniego alla luce del successivo art. 21-octies
della medesima legge, in base al quale, laddove sia dedotto
un vizio di natura formale, è imposto al giudice di valutare
il contenuto sostanziale del provvedimento e,
conseguentemente, di non annullare l'atto nell'ipotesi in
cui la dedotta violazione formale non abbia inciso sulla
legittimità sostanziale dei provvedimenti impugnati (Tar
Lazio/Roma – Sez. II-ter nr. 5503 - 15.06.2007)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 07.01.2014 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Per
giurisprudenza pressoché costante anche di questa sezione,
le piscine interrate non possono alterare i valori
paesaggistici, perché non suscettibili di verticalizzazione
con pregiudizio di visuali e visioni prospettiche.
... per l'annullamento del provvedimento del Comune di
Cellole n. 9771/2012 con cui si ordina la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi, nonché del verbale della
conferenza di servizi in data 05.06.2012 e del parere ivi
espresso dalla soprintendenza statale ai beni paesaggistici
di Caserta.
...
Premesso che:
a) la ricorrente è comproprietaria di un albergo denominato
“Hotel La Baia”, sito nella località balneare di Baia Domitia, nel Comune di Cellole. È altresì titolare di due
concessioni demaniali relative all’arenile antistante alla
suddetta struttura alberghiera. Su una di queste due aree
chiedeva l’autorizzazione per la realizzazione di una
piscina prefabbricata di facile rimozione. Si riuniva la
conferenza di servizi all’interno della quale la
Soprintendenza statale preposta alla tutela del paesaggio
esprimeva parere negativo “considerato che l’intervento
proposto è ubicato in zona di rilevante interesse
paesaggistico per l’assenza di modifiche antropiche
sostanziali dei caratteri naturali caratterizzati
dall’ecosistema, composta dalla macchia mediterranea che
preserva l’equilibrio vegetazionale tra le varie essenze … e
considerato che, pertanto, l’attuazione della trasformazione
proposta comporterebbe la cancellazione dei tratti
distintivi del paesaggio protetto”. A seguito di detto
parere la conferenza di servizi si esprimeva negativamente.
Di conseguenza il Comune di Cellole comunicava il rigetto
dell’istanza;
b) i provvedimenti sopra indicati venivano impugnati, prima
con ricorso originario e poi con motivi aggiunti, per le
ragioni di seguito sintetizzate: 1) omesso preavviso di
rigetto; 2) difetto di motivazione, anche in considerazione
del favor normativo per la realizzazione di piscine
all’interno di strutture alberghiere previsto dalla legge
regionale n. 10 del 2012; 3) eccesso di potere sotto il
profilo della erroneità dei presupposti, dato che non vi
sarebbe alterazione alcuna della macchia mediterranea; 4)
violazione dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42 del
2004, atteso che le strutture di cui si discute (piscine)
non comporterebbero alterazione alcuna dei valori
paesaggistici.
c) si costituivano in giudizio le amministrazioni statali
intimate per chiedere il rigetto del gravame;
d) alla camera di consiglio del 24.01.2013, avvisate le
parti circa la possibilità di adottare sentenza in forma
semplificata, la causa veniva infine trattenuta in
decisione.
Considerato che, in disparte ogni considerazioni circa la
fondatezza delle censure indicati ai numeri 1) e 2), si
appalesa senz’altro fondato il motivo sub 4) atteso che, per
giurisprudenza pressoché costante anche di questa sezione,
le piscine interrate non possono alterare i valori
paesaggistici, perché non suscettibili di verticalizzazione
con pregiudizio di visuali e visioni prospettiche (cfr.
TAR Campania Napoli, Sez. VII, 20.03.2009, n. 1552;
Sez. VII, 29.06.2010, n. 16423; sez. VI, 06.11.2008;
n. 19288).
Considerato altresì, in ordine alla compromissione delle
essenze arboree tipiche della macchia mediterranea (motivo
sub 3), che secondo quanto sufficientemente dimostrato in
giudizio dalla parte ricorrente (anche mediante produzione
di materiale fotografico nonché di apposita relazione
tecnica) l’eventuale realizzazione della struttura in
questione non comporterebbe la compromissione dei suddetti
valori ambientali, senza che sul punto la difesa
dell’amministrazione statale abbia opposto specifiche
contestazioni, con ogni conseguenza in merito
all’applicazione dell’art. 64, comma 2, c.p.a.
Ritenuto in conclusione che il ricorso, assorbita ogni altra
censura, è fondato e deve essere accolto, con ogni
conseguenza in ordine all’annullamento degli atti in
epigrafe indicati e in relazione al regime delle spese, le
quali vanno poste a carico della sola amministrazione dei
beni culturali, data l’efficienza causale della propria
posizione in relazione al resto dei provvedimenti gravati
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.02.2013 n. 1099 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Circa la sanatoria, o meno, di una piscina privata scoperta
in zona ambientalmente vincolata.
La tesi non persuade nella premessa in
cui assume che l’edificazione dell’impianto natatorio
rientra tra le opere “relative ad ampliamenti o tipologie
d'abuso che non comportano aumento di superficie o di
volume”.
La prospettazione difensiva non considera, infatti, che il
vincolo richiamato dall’art. 32, 2° comma, L. 47/1985,
facendo riferimento a immobili soggetti alla L. 29.06.1939,
n. 1497 e al D.L. 27.06.1985, n. 312, è finalizzato a
preservare nel tempo la configurazione di bellezze naturali
o di zone di particolare interesse ambientale.
La previsione di interventi di minor impatto (non implicanti
aumenti di superficie o di volume), rispetto ai quali si
giustifica una modalità tacita di acquisizione del parere,
va quindi interpretata in relazione all’esigenza di tutela
dei beni ambientali, e quindi in termini compatibili con la
loro necessaria salvaguardia.
Alla luce di questa esigenza primaria, la tipologia di
intervento che viene in rilievo nel presente giudizio non
appare armonizzabile nel dettato dell’art. 32, 2° comma,
trattandosi di opera astrattamente idonea a creare un
impatto ambientale significativo e permanente, anche se
priva di volumi emergenti dal terreno o di superfici
calpestabili; ciò in quanto essa presenta dimensioni non
trascurabili, richiede scavi consistenti e prevede l'impiego
di materiali difficilmente compatibili con il contesto in
cui si pretende esso trovi inserimento.
Stando, quindi, ad un’interpretazione della norma che tenga
conto dell’intendimento alla stessa sotteso, si deve
concludere che l’intervento in oggetto esula dal novero
delle opere assentibili in via tacita.
D’altra parte, vi è unanimità di vedute in giurisprudenza
circa il principio, certamente pertinente al caso in esame,
secondo il quale la nozione di volume rilevante a fini
paesaggistici non può distinguere tra volumi esterni e
volumi interrati, essendo anche questi ultimi idonei a
determinare una modificazione del territorio e dell'assetto
edilizio esistente: ciò in quanto lo stesso volume che a
fini edilizi, per le sue caratteristiche, può non essere
considerato rilevante e non essere oggetto di computo fra le
volumetrie assentibili, ad esempio perché ritenuto volume
tecnico, ai fini paesaggistici può assumere una diversa
rilevanza, laddove si ritenga che determini una possibile
alterazione dello stato dei luoghi salvaguardato dalle
apposite norme di tutela, le quali, al preordinato fine di
conservare la sostanziale integrità di determinati ambiti
territoriali, ben possono vietare anche la realizzazione di
un volume edilizio tecnico od interrato, quand'anche
irrilevante secondo le norme che regolano l'attività
edilizia.
---------------
Non sussiste l'eccesso di potere per disparità di
trattamento per non avere l’autorità preposta alla tutela
del vincolo formulato rilievi in sede di controllo di altri
provvedimenti autorizzatori di analogo contenuto (relativi,
cioè, a piscine costruite nella stessa zona).
Invero, ogni singolo intervento è soggetto a specifica
valutazione, con particolare riguardo al suo inserimento nel
contesto paesistico e ambientale già esistente. Ciò posto,
la circostanza che in relazione ad altre istanze di
sanatoria aventi ad oggetto immobili ricadenti nel medesimo
contesto vincolato la Regione abbia ritenuto di avallare
interventi conservativi, non determina disparità di
trattamento in mancanza della prova -che incombeva al
ricorrente fornire- della identità della situazione
sostanziale qui in esame con quella oggetto di quelle
diverse domande di concessione in sanatoria.
Pertanto, non può tradursi in vizio di legittimità del
provvedimento la presenza, nell'area interessata
dall'intervento edilizio, di altre costruzioni asseritamene
omogenee a quella da assentire: e ciò sia perché ogni
manufatto è diverso per consistenza, ubicazione, periodo di
realizzazione; sia perché un eventuale pregresso
comportamento illegittimo dell'amministrazione non può
valere a sanare un'ulteriore illegittimità. Al contrario,
una situazione di compromissione del panorama naturale da
parte di preesistenti realizzazioni, anziché impedire,
maggiormente richiede che ulteriori costruzioni non
deturpino irreversibilmente l'ambiente protetto.
----------------
In relazione a manufatti abusivi realizzati in ambiti
soggetti a tutela paesaggistica, non è il diniego di
sanatoria a dover essere rigorosamente motivato, ma semmai,
l'eventuale provvedimento favorevole.
Ad integrare il profilo di incompatibilità ambientale,
sinteticamente espresso nella relazione richiamata,
concorrono le significative dimensioni della piscina,
l’irreversibile alterazione dello spazio che essa occupa
(non più recuperabile a verde) e la discontinuità panoramica
che un manufatto cementizio determina nel contesto
paesaggistico nel quale si situa.
... per l'annullamento:
- della deliberazione della Giunta Regionale n. 27-7518 del
03.04.1996 nella parte in cui esprime parere negativo ai
sensi dell'art. 32 della L. n. 47/1985, in relazione ad una
domanda presentata ai sensi dell'art. 39 L. 724/1994 per una
piscina di uso privato realizzata abusivamente su aree
protette dalla L. 1497/1939, in Comune di Ghiffa;
- della Relazione del servizio Beni Ambientali e Paesistici
dell'Assessorato Regionale per i Beni Ambientali prot. n.
13606 del 26.03.1996 che costituisce motivazione del parere
negativo anzidetto;
...
La tesi non persuade nella premessa in cui assume che
l’edificazione dell’impianto natatorio rientra tra le opere
“relative ad ampliamenti o tipologie d'abuso che non
comportano aumento di superficie o di volume”.
La prospettazione difensiva non considera, infatti, che il
vincolo richiamato dall’art. 32, 2° comma, L. 47/1985,
facendo riferimento a immobili soggetti alla L. 29.06.1939,
n. 1497 e al D.L. 27.06.1985, n. 312, è finalizzato a
preservare nel tempo la configurazione di bellezze naturali
o di zone di particolare interesse ambientale.
La previsione di interventi di minor impatto (non implicanti
aumenti di superficie o di volume), rispetto ai quali si
giustifica una modalità tacita di acquisizione del parere,
va quindi interpretata in relazione all’esigenza di tutela
dei beni ambientali, e quindi in termini compatibili con la
loro necessaria salvaguardia.
Alla luce di questa esigenza primaria, la tipologia di
intervento che viene in rilievo nel presente giudizio non
appare armonizzabile nel dettato dell’art. 32, 2° comma,
trattandosi di opera astrattamente idonea a creare un
impatto ambientale significativo e permanente, anche se
priva di volumi emergenti dal terreno o di superfici
calpestabili; ciò in quanto essa presenta dimensioni non
trascurabili, richiede scavi consistenti e prevede l'impiego
di materiali difficilmente compatibili con il contesto in
cui si pretende esso trovi inserimento (cfr. TAR Torino
Piemonte sez. I, 13.06.2007, n. 2599).
Stando, quindi, ad un’interpretazione della norma che tenga
conto dell’intendimento alla stessa sotteso, si deve
concludere che l’intervento in oggetto esula dal novero
delle opere assentibili in via tacita.
D’altra parte, vi è unanimità di vedute in giurisprudenza
circa il principio, certamente pertinente al caso in esame,
secondo il quale la nozione di volume rilevante a fini
paesaggistici non può distinguere tra volumi esterni e
volumi interrati, essendo anche questi ultimi idonei a
determinare una modificazione del territorio e dell'assetto
edilizio esistente: ciò in quanto lo stesso volume che a
fini edilizi, per le sue caratteristiche, può non essere
considerato rilevante e non essere oggetto di computo fra le
volumetrie assentibili, ad esempio perché ritenuto volume
tecnico, ai fini paesaggistici può assumere una diversa
rilevanza, laddove si ritenga che determini una possibile
alterazione dello stato dei luoghi salvaguardato dalle
apposite norme di tutela, le quali, al preordinato fine di
conservare la sostanziale integrità di determinati ambiti
territoriali, ben possono vietare anche la realizzazione di
un volume edilizio tecnico od interrato, quand'anche
irrilevante secondo le norme che regolano l'attività
edilizia (cfr. TAR Napoli Campania, sez. IV, 29.05.2012, n.
2529; TAR Salerno Campania, sez. I, 11.10.2011, n. 1642;
Consiglio Stato, sez. IV, 28.03.2011, n. 1879).
----------------
Le considerazioni che precedono
rendono conto dell’infondatezza anche della doglianza di
eccesso di potere per disparità di trattamento, per non
avere l’autorità preposta alla tutela del vincolo formulato
rilievi in sede di controllo di altri provvedimenti
autorizzatori di analogo contenuto (relativi, cioè, a
piscine costruite nella stessa zona).
Secondo quanto evidenziato nella stessa nota prot. 4329 del
06.08.93, ogni singolo intervento è soggetto a specifica
valutazione, con particolare riguardo al suo inserimento nel
contesto paesistico e ambientale già esistente. Ciò posto,
la circostanza che in relazione ad altre istanze di
sanatoria aventi ad oggetto immobili ricadenti nel medesimo
contesto vincolato la Regione abbia ritenuto di avallare
interventi conservativi, non determina disparità di
trattamento in mancanza della prova -che incombeva al
ricorrente fornire- della identità della situazione
sostanziale qui in esame con quella oggetto di quelle
diverse domande di concessione in sanatoria (TAR Torino
Piemonte sez. I, 15.06.2012, n. 721).
Pertanto, non può tradursi in vizio di legittimità del
provvedimento la presenza, nell'area interessata
dall'intervento edilizio, di altre costruzioni asseritamene
omogenee a quella da assentire: e ciò sia perché ogni
manufatto è diverso per consistenza, ubicazione, periodo di
realizzazione; sia perché un eventuale pregresso
comportamento illegittimo dell'amministrazione non può
valere a sanare un'ulteriore illegittimità (Cons. St., sez.
VI, 09.06.2009, n. 3557 e 22.11.2010, n. 8117). Al
contrario, una situazione di compromissione del panorama
naturale da parte di preesistenti realizzazioni, anziché
impedire, maggiormente richiede che ulteriori costruzioni
non deturpino irreversibilmente l'ambiente protetto (Cons.
St., sez. VI, 27.03.2012, n. 1813).
---------------
Con un terzo motivo si censurano i provvedimenti impugnati
per carenza di motivazione e di adeguata istruttoria.
In particolare, non sarebbe stato preso in adeguata
considerazione il minimo impatto ambientale del manufatto.
In particolare, la Regione non avrebbe considerato che la
piscina è preclusa alla vista sia dal lago che dagli altri
spazi pubblici; che la stessa è posizionata a raso prato, è
completamente circondata da arbusti e alberi ed è stata
costruita su un’area precedentemente lastricata e destinata
ad ospitare sedie e ombrelloni, quindi già priva di alberi e
verde.
Alla luce dei dati evidenziati, sarebbe vacua la manifestata
esigenza di non aumentare l’antropizzazione dell’area
situata tra la statale e la sponda del lago, trattandosi di
valutazione del tutto avulsa da un’effettiva disamina degli
elementi concreti caratterizzanti l’area in questione.
La motivazione addotta a fondamento del diniego è ricavabile
per relationem dal parere regionale, ovvero dalla
relazione istruttoria del competente Settore della Regione
Piemonte (relazione del Servizio Beni Ambientali e
Paesistici dell’Assessorato Regionale per i beni Ambientali,
prot. n. 13606 del 26.03.1996), che si esprime nei seguenti
termini: “... considerato che le opere realizzate
appaiono tali da alterare le caratteristiche ambientali
della località, si esprime parere negativo in merito alla
conservazione ai sensi dell’art. 32 L. 47/1985, poiché si
ritiene assolutamente inaccettabile l’inserimento di un
ulteriore elemento di antropizzazione all’interno di un
lotto posto tra la statale e la sponda del lago, dove gli
spazi a verde necessitano di una attenta salvaguardia”.
A parere del Collegio, il documento in esame giustifica in
modo certamente adeguato, benché succinto, le ragioni
sottostanti al diniego - da individuarsi nell’evidente
incompatibilità del manufatto con il pregevole contesto
naturalistico e paesaggistico sottoposto a specifica tutela.
La consistenza delle giustificazioni motivazionali deve
essere valutata tenendo altresì conto che, secondo
condivisibili principi giurisprudenziali, in relazione a
manufatti abusivi realizzati in ambiti soggetti a tutela
paesaggistica, non è il diniego di sanatoria a dover essere
rigorosamente motivato, ma semmai, l'eventuale provvedimento
favorevole (TAR Torino Piemonte sez. I, 15.06.2012, n. 721;
TAR Toscana, sez. III, 13.05.2011, n. 843; Cons. Stato, sez.
VI, 11.10.2007, n. 5330). Ad integrare il profilo di
incompatibilità ambientale, sinteticamente espresso nella
relazione richiamata, concorrono le significative dimensioni
della piscina, l’irreversibile alterazione dello spazio che
essa occupa (non più recuperabile a verde) e la
discontinuità panoramica che un manufatto cementizio
determina nel contesto paesaggistico nel quale si situa.
Tutti questi profili, benché non esplicitati, appartengono
al concetto di “alterazione delle caratteristiche
ambientali” e di “antropizzazione” degli spazi
vincolati. Si tratta di locuzioni certamente indicative di
una trasformazione dell’area protetta, incompatibile con la
conservazione dei suoi peculiari caratteri morfologici e
paesaggistici (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 11.12.2012 n. 1321 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Deve
essere qualificata come "intervento di nuova costruzione"
l'installazione di un manufatto, seppure leggero ed
eventualmente anche prefabbricato, e di strutture di
qualsiasi genere (quali roulottes, campers, case mobili o
imbarcazioni - che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili), le quali
non siano dirette a soddisfare esigenze meramente
temporanee.
In particolare, deve escludersi che sia destinata a esigenze
temporanee l'installazione di una voluminosa copertura in
PVC, per quanto stagionale (nella specie questa veniva
rimossa per un periodo di 4 mesi ogni anno), specie ove si
tratti di struttura destinata all'esercizio di un'attività
commerciale e di somministrazione, come tale ontologicamente
"non temporanea".
---------------
Sebbene la piscina possa essere, di norma, prevalentemente
(anche se non necessariamente solo) utilizzata in periodo
estivo, appare piuttosto inverosimile che la medesima del
prefabbricato, durante la stagione invernale, possa essere
agevolmente rimossa, presentando pertanto caratteri di
stabilità e di permanenza che giustificano la necessità di
idoneo titolo concessorio.
Per quanto riguarda l'installazione di una
piscina prefabbricata, deduce la ricorrente violazione ed
erronea applicazione degli artt. 4 e 7 L. 47/1985, ritenendo
non necessaria la concessione edilizia trattandosi appunto
di una struttura prefabbricata che non comporta
un'alterazione profonda e permanente del territorio.
La
censura non può essere accolta in sintonia con un
orientamento espresso, tra le altre, da Consiglio di Stato
sez. VI, 16.02.2011, n. 986 secondo cui “Deve essere
qualificata come "intervento di nuova costruzione"
l'installazione di un manufatto, seppure leggero ed
eventualmente anche prefabbricato, e di strutture di
qualsiasi genere (quali roulottes, campers, case mobili o
imbarcazioni - che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili), le quali
non siano dirette a soddisfare esigenze meramente
temporanee. In particolare, deve escludersi che sia
destinata a esigenze temporanee l'installazione di una
voluminosa copertura in PVC, per quanto stagionale (nella
specie questa veniva rimossa per un periodo di 4 mesi ogni
anno), specie ove si tratti di struttura destinata
all'esercizio di un'attività commerciale e di
somministrazione, come tale ontologicamente "non
temporanea"”.
Infatti, sebbene la piscina possa essere, di
norma, prevalentemente (anche se non necessariamente solo)
utilizzata in periodo estivo, appare piuttosto inverosimile
che la medesima, durante la stagione invernale, possa essere
agevolmente rimossa, presentando pertanto caratteri di
stabilità e di permanenza che giustificano la necessità di
idoneo titolo concessorio.
In ogni caso, successivamente
alla proposizione del ricorso, la ricorrente ha depositato
le istanze di sanatoria n. 7346 e 7342 del 31.03.2004
nonché n. 7590 del 02.04.2004 ai sensi della Legge
326/2003 aventi ad oggetto anche la piscina prefabbricata.
Conseguentemente il ricorso deve essere dichiarato sul punto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse dovendo
l'amministrazione pronunciarsi sulle domande di condono ed
eventualmente, in caso di rigetto, riadottare il
provvedimento sanzionatorio, posto che quello impugnato ha
perso efficacia
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 02.11.2012 n. 827 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
cambio di destinazione d'uso di una vasca per fiori in
piscina scoperta.
Pur se le dimensioni dell’opera sono
rimaste invariate rispetto allo stato autorizzato, è
evidente che un grande vaso per fiori sia un manufatto
strutturalmente e funzionalmente diverso da una piscina, e
che il passaggio dall’una all’altra categoria non possa
avvenire senza l’opera dell’uomo: senza ad esempio -a parte
il riempimento con l’acqua- la realizzazione di un’adeguata
impermeabilizzazione della vasca e di un impianto per il
filtraggio, l’igienizzazione ed il ricambio dell’acqua.
Si tratta, dunque, di una trasformazione fisica non
puramente funzionale bensì realizzata attraverso opere
strutturali volte a costituire un organismo edilizio del
tutto diverso da quello autorizzato.
Ne consegue che l’intervento, essendo qualificabile di
ristrutturazione edilizia, richiedeva il permesso di
costruire, con conseguente applicabilità, in mancanza,
dell’obbligo di demolizione previsto dall’art. 33, D.P.R. n.
380/2001, da intendersi, tuttavia, nel caso di specie, come
obbligo di ripristino della vasca per fiori (riempita
completamente di terra, come prescritto dalla Commissione
Edilizia) e non come obbligo di demolizione della struttura
in cemento che è stata autorizzata con DIA e successivamente
sanata con il permesso del 01.02.2011.
Quanto ai restanti motivi di ricorso, si osserva,
innanzitutto, che il Comune, con il provvedimento impugnato,
ha inteso sanzionare l’abusiva realizzazione di una piscina,
laddove, con il permesso di costruire in sanatoria del
01.02.2011, era stata autorizzata la sanatoria di una vasca
per fiori.
Invero, la Commissione Edilizia, nella seduta del
30.12.2010, aveva espresso parere negativo alla
realizzazione della piscina e prescritto che la fioriera
venisse riempita completamente con la terra.
Nella fattispecie in esame, dunque, è pacifico che sia stata
effettuata una modifica della destinazione d’uso da vasca
per fiori a piscina.
Inoltre, va tenuto conto che la natura della diversa
destinazione implica anche che la stessa avvenga,
normalmente, mediante opere.
Ed infatti, è evidente che, pur se le dimensioni dell’opera
sono rimaste invariate rispetto allo stato autorizzato, un
grande vaso per fiori sia un manufatto strutturalmente e
funzionalmente diverso da una piscina, e che il passaggio
dall’una all’altra categoria non possa avvenire senza
l’opera dell’uomo: senza ad esempio -a parte il riempimento
con l’acqua- la realizzazione di un’adeguata
impermeabilizzazione della vasca e di un impianto per il
filtraggio, l’igienizzazione ed il ricambio dell’acqua.
Si tratta, dunque, di una trasformazione fisica non
puramente funzionale bensì realizzata attraverso opere
strutturali volte a costituire un organismo edilizio del
tutto diverso da quello autorizzato.
Ne consegue che l’intervento, essendo qualificabile di
ristrutturazione edilizia, richiedeva il permesso di
costruire, con conseguente applicabilità, in mancanza,
dell’obbligo di demolizione previsto dall’art. 33, D.P.R. n.
380/2001, da intendersi, tuttavia, nel caso di specie, come
obbligo di ripristino della vasca per fiori (riempita
completamente di terra, come prescritto dalla Commissione
Edilizia) e non come obbligo di demolizione della struttura
in cemento che è stata autorizzata con DIA e successivamente
sanata con il permesso del 01.02.2011.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 08.07.2013 n. 930 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Una piscina di mq. 45 ha dimensioni comunque tali
da assumere un proprio, autonomo valore di mercato,
incidente sul pregio dell’immobile, sicché ne è esclusa la
qualificazione in termini di pertinenza.
---------------
Un gazebo di dimensioni non trascurabili (m. 2,45 per 2,45
con altezza di m. 2,55), per quanto non stabilmente infisso
al suolo, tuttavia viene a soddisfare un’esigenza di
carattere non precario.
Il ricorrente, proprietario di area sita in via Boccapiana n.
14 del Comune di Palestrina, impugna l’ordine di demolizione
n. 84 del 2006, avente ad oggetto le seguenti opere eseguite
senza permesso di costruire: a) ampliamento di fabbricato A
già oggetto di concessione in sanatoria per mq 68 al piano
terra e mq 105 al primo piano; b) tamponatura di fabbricato
F destinato a tettoia e trasformato in deposito; c)
realizzazione di un gazebo in legno e di una piscina di mq
45.
Il Tribunale premette che tutti questi interventi sono stati
esattamente ritenuti soggetti a permesso di costruire da
parte dell’amministrazione, con riferimento anche alla
piscina prefabbricata ed al gazebo il legno, per i quali il
ricorrente ritiene, invece, fosse necessaria la sola DIA.
Quanto alla piscina, infatti, essa ha dimensioni (mq 45)
comunque tali da assumere un proprio, autonomo valore di
mercato, incidente sul pregio dell’immobile, sicché, sulla
base della costante giurisprudenza di questo Tribunale, ne è
esclusa la qualificazione in termini di pertinenza.
Quanto al gazebo, si è in presenza anche in tal caso di una
nuova costruzione, di dimensioni non trascurabili (m. 2,45
per 2,45 con altezza di m. 2,55), che, per quanto non
stabilmente infissa al suolo, tuttavia viene a soddisfare
un’esigenza di carattere non precario del ricorrente.
È perciò infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si
è sostenuto che gazebo e piscina fossero soggetti a DIA.
Ciò premesso, va rilevato che erroneamente il ricorrente
ritiene che l’atto impugnato si basi sull’art. 34 del d.P.R.
n. 380 del 2001, atteso che non si vede, né viene indicato
dal ricorrente stesso, quale permesso di costruire sarebbe
stato eseguito in parziale difformità: si è invece in
presenza di una nuova attività abusiva, eseguita in parte su
immobili già oggetto di sanatoria (fabbricato A e B), in
parte no (gazebo e piscina).
Con riferimento a queste ultime opere, una volta acquisita
la necessità del permesso di costruire, segue la legittimità
dell’ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R.
n. 380 del 2001, espressamente indicato dall’atto impugnato
quale base normativa del provvedimento.
Con riguardo agli interventi eseguiti sui fabbricati
preesistenti, quand’anche essi dovessero valutarsi alla luce
dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, anziché dell’art.
31 (ma su questo profilo il ricorrente non ha svolto alcuna
censura), in ogni caso, per costante giurisprudenza di
questo Tribunale, l’eventuale impossibilità di ripristino
dello stato originario non ha alcuna incidenza sulla
legittimità dell’ordine di demolizione, poiché si tratta di
circostanza rilevabile dall’amministrazione nella fase
esecutiva: è quindi infondato il primo motivo di ricorso,
con cui si lamenta che l’amministrazione non avrebbe potuto
ordinare la demolizione delle opere, senza motivare
previamente su di un simile profilo.
È infine infondato il terzo motivo: a fronte di un abuso
edilizio, l’attività repressiva della pubblica
amministrazione è vincolata dalla legge nell’an e nel
quomodo, sicché è incongruo evocare in tali casi il
principio di proporzionalità; né la circostanza che l’area
del ricorrente sia già gravemente compromessa
dall’abusivismo e rientri nella perimetrazione dei nuclei
abusivi esime dal munirsi nei necessari titoli abilitativi.
Quanto, infine, alla risalenza nel tempo delle opere,
neppure comprovata in fatto, è costante giurisprudenza di
questo Tribunale che si tratti di profilo irrilevante,
poiché il solo affidamento che l’ordinamento protegge è
quello legittimo, e non certo quello derivante da condotte
lesive della legge (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 13.06.2012 n. 5386 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza sulle piscine è molto
variegata e questo stesso tribunale ha affermato che le
piscine in generale hanno la natura di opere pertinenziali
che non implicano consumo dei suoli per le loro
caratteristiche; vi è comunque una giurisprudenza
maggioritaria che afferma l’illegittimità degli atti di
diniego assunti dall’amministrazione motivati con
espressioni stereotipate, generiche che non facciano
riferimento ad elementi concreti della fattispecie
considerata quali la visibilità o l’impatto del manufatto le
dimensioni della piscina in relazione alla estensione del
terreno circostante in cui la stessa è collocata.
Invero, l'Amministrazione, nell'adottare un provvedimento di
diniego del richiesto nulla-osta per la costruzione in area
soggetta a vincolo paesaggistico, non può limitare la sua
valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio
ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule
stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una
sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le
quali si ritiene che un'opera non sia idonea ad inserirsi
nell'ambiente, attraverso l'individuazione degli elementi di
contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico
accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche (nel
caso di specie, la motivazione del diniego era del tutto
generica e stereotipata, non essendovi nel provvedimento
alcun riferimento puntuale al progetto presentato o alla
situazione dei luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare la
piscina).
Premesso che la giurisprudenza sulle piscine è molto
variegata e questo stesso tribunale ha affermato che le
piscine in generale hanno la natura di opere pertinenziali
che non implicano consumo dei suoli per le loro
caratteristiche (TAR Liguria Genova, sez. I, 16.02.2008, n.
299); vi è comunque una giurisprudenza maggioritaria che
afferma l’illegittimità degli atti di diniego assunti
dall’amministrazione motivati con espressioni stereotipate,
generiche che non facciano riferimento ad elementi concreti
della fattispecie considerata quali la visibilità o
l’impatto del manufatto le dimensioni della piscina in
relazione alla estensione del terreno circostante in cui la
stessa è collocata.
Si è infatti affermato che “L'Amministrazione,
nell'adottare un provvedimento di diniego del richiesto
nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo
paesaggistico, non può limitare la sua valutazione al mero
riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando
espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale
motivazione deve contenere una sufficiente esternazione
delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che
un'opera non sia idonea ad inserirsi nell'ambiente,
attraverso l'individuazione degli elementi di contrasto;
pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del
disvalore delle valenze paesaggistiche (nel caso di specie,
la motivazione del diniego era del tutto generica e
stereotipata, non essendovi nel provvedimento alcun
riferimento puntuale al progetto presentato o alla
situazione dei luoghi in cui si sarebbe dovuta realizzare la
piscina)" (TAR Lazio Roma, sez. II, 08.10.2008, n.
8829).
Ora senza giungere a quelle affermazioni perentorie che pure
si trovano in giurisprudenza secondo le quali “L'introduzione
dell'elemento «piscina» in uno scenario naturalistico bello
come quello dell'Isola di Capri non comporta, di regola,
l'eliminazione di essenze arboree (o comunque ne comporta
un'eliminazione assai limitata) e migliora
significativamente l'impatto ambientale” (TAR Campania
Napoli, sez. VI, 06.11.2008, n. 19288), tuttavia va
riconosciuto come afferma il ricorso che nel caso di specie,
non vi è alcun elemento di specificità nel provvedimento
impugnato che consenta al lettore neppure di immaginare le
dimensioni del manufatto ed il suo rapporto con l’ambiente
circostante.
Ciò denuncia l’esistenza dei numerosi profili di eccesso di
potere lamentati con il primo motivo di ricorso in relazione
alle notevoli dimensioni del terreno (17.000 mq.) mantenuto
a giardino e parco alberato, all’interno del quale la
piscina di modeste dimensioni (m. 10,25 per m. 5,30) è
collocata.
La documentazione fotografica mostra poi come il muro di
sostegno regolarmente autorizzato mascheri l’impatto della
piscina risultando pertanto apodittiche e smentite dai
documenti sia “le notevoli dimensioni del manufatto”
apprezzabili solo in relazione all’estensione ed alla
destinazione dell’ambiente circostante, sia con riferimento
all’affermazione senza ulteriori specificazioni secondo la
quale la piscina “non si inserirebbe in maniera
appropriata” nel contesto naturalistico sottoposto a
tutela (TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 27.04.2012 n. 582 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Piscine e disciplina antisismica.
Gli artt. 83 e seguenti del d.P.R. n. 380 del 2001 devono
essere interpretati nel senso che non escludono le piscine.
Tali disposizioni si applicano, infatti, a tutte le
costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati
e delle strutture realizzate, stante l'esigenza di massimo
rigore nelle zone dichiarate sismiche, che rende necessari i
controlli e le cautele prescritte anche quando si impiegano
elementi strutturali meno solidi e duraturi rispetto alla
muratura ed al cemento armato.
Né alcun rilievo può assumere il carattere eventualmente
precario della costruzione, proprio in considerazione delle
prevalenti esigenze di sicurezza alla tutela delle quali la
normativa antisismica si correla (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 17.02.2012 n. 6591 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
È riconosciuto carattere pertinenziale
alle piscine private poste al servizio esclusivo di
abitazioni signorili o ville.
Quanto al titolo abilitativo necessario per la piscina, va
considerato che la legge reg. n. 31 del 2002 assoggetta a
denuncia di inizio attività le “opere pertinenziali
purché non qualificate come interventi di nuova costruzione
…” (art. 8, comma 1, lett. l) onde ne risultano esclusi
solo gli “interventi pertinenziali che le norme tecniche
degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione
e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree,
qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero
che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20
per cento del volume dell’edificio principale” (lett.
g.6 dell’allegato alla legge), dal che si evince la
sussistenza, nella fattispecie, dei requisiti fissati dalla
disciplina regionale perché l’opera in questione (piscina
interrata con lati di 8 e 4 metri, poi variati in 10 e 3,50
metri) sia sottratta al regime del permesso di costruire; è
noto, d’altra parte, il carattere pertinenziale riconosciuto
alle piscine private poste al servizio esclusivo di
abitazioni signorili o ville e aventi dimensioni così
limitate da non determinare un significativo impatto
sull’assetto del territorio (v. Cons. Stato, Sez. IV,
08.08.2006 n. 4780; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I,
06.05.2008 n. 482; TAR Liguria, Sez. I, 16.02.2008 n. 299;
TAR Toscana, Sez. II, 31.01.2000 n. 22; v., anche, Cass. pen.,
Sez. III, 21.05.2009 n. 39067), tutte condizioni che si
rinvengono nel presente caso, così legittimando la scelta
operata dal privato.
Quanto, poi, alla questione delle distanze, appare evidente
che l’invocato art. 52 del regolamento edilizio comunale
circoscrive le varie tipologie di distanze minime dai
confini di proprietà alla realizzazione/variazione di
manufatti fuori terra (“…nei casi di nuova costruzione e
di sopraelevazione e ampliamento dei fabbricati esistenti.
Il calcolo delle distanze si effettua sulla sagoma
rappresentata dalla proiezione orizzontale dei fili esterni
delle strutture e dei tamponamenti perimetrali … Metri
lineari 3, in caso di ampliamenti o sopraelevazioni che non
comportino pareti finestrate sul lato prospettante il
confine di proprietà. Metri lineari 5, in caso di nuova
costruzione, anche in presenza di pareti non finestrate, e
ampliamenti o sopraelevazioni che comportino pareti
finestrate sul lato prospettante il confine di proprietà …”);
la circostanza, allora, che la piscina contestata
costituisca opera interrata rende inapplicabile al caso di
specie la disciplina di che trattasi (TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 24.01.2012 n. 29 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Piscina - Contrasto con le prescrizioni
di zona - Vincolo pertinenziale - Non sussiste.
Non si
configura vincolo pertinenziale tra l'abitazione (cosa
principale) e la piscina (pertinenza) in caso di contrasto
di quest'ultima con le prescrizioni urbanistiche di zona
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.11.2011 n. 2734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire - Variante -
Mutamento delle caratteristiche di utilizzazione dell'opera
- Variante essenziale - Sussiste.
Una variante
al permesso di costruire che dà luogo a un mutamento delle
caratteristiche di utilizzazione dell'opera, quali quelle
intercorrenti tra una piscina e un laghetto ornamentale, è
riconducibile alla nozione di "variante essenziale",
in toto equiparabile a un intervento di nuova costruzione,
di cui all'art. 32, comma 1), lett. d), D.P.R. n. 380/2001
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 14.11.2011 n. 2734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il vincolo cimiteriale è di ostacolo
alla costruzione di una piscina.
La giurisprudenza ha escluso la
configurabilità del vincolo pertinenziale tra l’abitazione
(cosa principale) e la piscina (pertinenza) in caso di
contrasto di quest’ultima con le prescrizioni urbanistiche
di zona.
Nel merito, il Collegio non può che esprimere il proprio
dissenso rispetto alla tesi ricorrente, secondo cui il
vincolo cimiteriale non sarebbe di ostacolo alla piscina,
dovendosi ricondurre tale intervento fra quelli ammessi ai
sensi dell’art. 338, u. co. R.D. 27.07.1934 n. 1265.
La norma da ultimo citata (recante “Approvazione del
testo unico delle leggi sanitarie”), infatti, prevede
che:
<<All'interno della zona di rispetto per gli edifici
esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero
interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra
cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento
e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti
dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'articolo
31 della legge 05.08.1978, n. 457>> (quindi: a)
interventi di manutenzione ordinaria; b) interventi di
manutenzione straordinaria; c) interventi di restauro e di
risanamento conservativo; d) interventi di ristrutturazione
edilizia).
Per ricondurre l’intervento in questione fra quelli anzi
citati nel predetto art. 31, quindi, si dovrebbe escludere
che si tratti di un intervento di <<nuova costruzione>>,
non menzionato nell’anzidetta norma.
Detto intervento, per quel che qui interessa, è definito
dall’art. 3, co. 1, del d.P.R. n. 380/2001, nei seguenti
termini:
<<Ai fini del presente testo unico si intendono per: …
e) «interventi di nuova costruzione», quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Sono comunque da considerarsi tali:
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche
degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione
e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree,
qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero
che comportino la realizzazione di un volume superiore al
20% del volume dell'edificio principale; …>>.
Ne consegue che, laddove la disciplina urbanistica di zona
vieti, come nel qui presente caso, qualunque edificazione
all’interno della fascia di rispetto cimiteriale, non è
possibile applicare la previsione dell’u.co. dell’art. 338
cit., essendosi comunque in presenza di un organismo che
integra una <<nuova costruzione>>, ai sensi dell’art.
3, co. 1, lett. e) cit..
Giova anche chiarire, al riguardo, come la giurisprudenza
che si è occupata più da vicino dell’argomento, abbia
escluso la configurabilità del vincolo pertinenziale tra
l’abitazione (cosa principale) e la piscina (pertinenza) in
caso di contrasto di quest’ultima con le prescrizioni
urbanistiche di zona (cfr., ex pluribus, Cassazione
penale, sez. III, 21.05.2009, n. 39067; Cassazione penale,
sez. III, 11.06.2008, n. 37257).
Nel caso di specie, le prescrizioni di zona univocamente
escludono la realizzazione di ogni intervento edilizio,
anche di tipo pertinenziale, posto che la norma tecnica di
attuazione (art. 17 cit. e in atti), espressamente vieta
nella zona <<F2>> (di rispetto cimiteriale) qualunque
nuova edificazione, mentre le allegate tabelle sui parametri
edilizi, cui ha fatto riferimento l’esponente, a loro volta
indicano come pari a <<zero>> tutti i parametri
edilizi.
Né può assumere rilievo, al fine di annullare l’esplicita
previsione del divieto di edificazione nella ridetta zona e,
quindi, di escludere un contrasto della piscina con la cit.
NTA, la previsione contenuta nelle Tabelle sui parametri, a
proposito delle destinazioni ammesse nella zona <<F2>>,
ove si indicano le destinazioni: <<sport, verde e
parcheggi>>.
Si tratta, infatti, di un’indicazione che non può essere
interpretata avulsa dal contesto di riferimento il quale,
dal canto suo, è chiarissimo nell’azzerare tutti i parametri
edilizi (come ad es. l’altezza massima, la superficie
coperta, la densità fondiaria, la distanza minima dai
confini, ecc.).
A ben vedere, poi, lo stesso confronto tra le prescrizioni
valevoli per la zona <<F2>> cit. e quelle stabilite,
ad esempio, per la zona <<G>> - parco naturale, rende
evidente come, pur essendo in entrambi i casi esclusa ogni
nuova edificazione, nondimeno soltanto la seconda
zonizzazione tollera, fra le destinazione ammesse, accanto
allo sport, anche quella turistica e di svago, precluse
nella prima. Ciò rende evidente, quindi, la peculiarità del
vincolo di inedificabilità derivante dalla fascia di
rispetto cimiteriale rispetto ad analoghi vincoli, insita
nella necessità di salvaguardare, tra l’altro, la
tranquillità e il decoro dei luoghi di sepoltura (cd.
pietas dei defunti. Cfr. ex multis, Consiglio di
Stato, Sez. V, 14.09.2010, n. 6671; TAR Toscana, Firenze,
Sez. III, 12.07.2010, n. 2446; TAR Napoli, Sez. VII,
21.04.2009, n. 2088; TAR Sicilia Catania, sez. I,
15.07.2003, n. 1141) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2011 n. 2734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il piano paesistico può impedire la costruzione
della piscina.
L’art. 1-quinquies della L. 08.08.1985, n. 431 (Conversione
in legge, con modificazioni, del d.l. 27.06.1985, n. 312,
recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale) instaura un rigoroso
regime di regolamentazione degli interventi modificativi del
territorio e delle opere edilizie da compiersi in aree, che,
per importanza paesistica ed ambientale, sono da ritenersi
di notevole interesse pubblico (ai sensi del D.M. del
21.09.1984 sono da ricomprendersi in questa categoria i
territori costieri, i territori contermini ai laghi, i
fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua, le montagne, i
ghiacciai, i circhi glaciali, i parchi, le riserve, i
boschi, le foreste, le aree assegnate alle Università
agrarie e le zone gravate da usi civici).
La predetta legge, vieta, sino all’adozione, da parte delle
regioni, di piani attuativi conservativi dei valori
paesistici ed ambientali, ogni modificazione dell’assetto
del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione
degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria,
di consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli
edifici.
Il piano territoriale paesistico ed i
vincoli da esso derivanti.
Questo particolare piano attuativo pone dei vincoli, in
funzione della tutela del valore paesistico ed ambientale di
alcune zone, che si traducono in incisive limitazioni delle
facoltà del titolare del diritto dominicale riguardo,
segnatamente, all’esercizio dello ius aedificandi.
Nel caso di specie, i Giudici di Palazzo Spada evidenziano
che la costruzione di una piscina, in relazione alla sua
consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del
territorio, non si configura come riconducibile fra gli
interventi consentiti dal piano territoriale paesistico.
Difatti, qualora il piano volto a disciplinare la tutela
della zona spieghi effetti inibitori che prescindano
dall’elevazione o meno sul piano delle opere e dalla loro
consistenza volumetrica, anche la costruzione di una piscina
può incorrere nel divieto.
Nella pronuncia viene rilevato che nel caso posto al vaglio
del Consiglio di Stato la costruzione di una piscina nella
zona di protezione integrale altera, per effetto dello
scavo, l’andamento naturale del terreno e non può assumere
valenza di riqualificazione estetica delle aree
pertinenziali ai sensi del piano territoriale paesistico.
D’altronde, come evidenziato nella decisione, il piano
paesistico, “a differenza di uno strumento urbanistico,
non è volto al dimensionamento dei nuovi interventi, quanto
alla valutazione ex ante della loro tipologia ed incidenza
qualitativa” sul territorio (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.03.2011 n. 1300 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla sussistenza della giurisdizione
del g.o. per la controversia inerente il mancato
assolvimento di obbligazioni negoziali tra le parti di un
rapporto concessorio avente ad oggetto la gestione di una
piscina comunale.
Gli impianti sportivi comunali per il nuoto rientrano tra i
beni del patrimonio indisponibile degli enti locali e, in
particolare, giacché finalizzati a soddisfare l'interesse
della collettività alle discipline sportive, sono
ascrivibili ai beni destinati ad un pubblico servizio, onde
gli stessi possono essere trasferiti nella disponibilità dei
privati solo mediante concessione amministrativa, quale è
quella in cui il privato gestisce l'impianto natatorio
percependo il corrispettivo direttamente dagli utenti e
corrispondendo un canone di concessione all'Amministrazione
comunale, secondo lo schema tipico della concessione di
servizio pubblico.
A seguito dell'intervento della Corte costituzionale (sent.
n. 204/2004), l'ambito dei pubblici servizi è oggetto di
giurisdizione del giudice amministrativo solo se in esso
l'Amministrazione agisce esercitando il suo potere di
supremazia in connessione funzionale con la tutela
dell'interesse pubblico affidato alle sue cure, non quando
la lite, vertendo sulla mera inadempienza di singole
prestazioni negoziali, riguarda unicamente il rapporto
convenzionale delle parti e le reciproche posizioni di
diritto e di obbligo -anche in vista dell'accertamento della
responsabilità per danni del debitore inadempiente (sia
questo il soggetto pubblico o il soggetto privato)-, con la
conseguenza che restano assoggettate alla giurisdizione del
giudice ordinario le controversie, relative a situazioni di
diritto soggettivo, in cui l'Amministrazione non sia
coinvolta come autorità, ancorché le stesse scaturiscano da
rapporti di tipo.
Poiché, nel caso di specie, le domande giudiziali delle
parti sono nella circostanza fondate sul mancato
assolvimento di precise obbligazioni negoziali -l'una
adducendo il mancato pagamento del canone di concessione e
delle spese relative a varie utenze da parte della ditta che
aveva assunto le gestione del bene e relative strutture e
l'altra pretendendo dall'ente concedente il risarcimento del
danno conseguente all'inadempienza dell'obbligo di cura
della manutenzione straordinaria dell'impianto natatorio, e
poiché le pronunce di incostituzionalità producono i loro
effetti anche sui giudizi pendenti, entrambe le domande
giudiziali si rivelano inammissibili per difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto relative
a posizioni di diritto soggettivo devolute alla cognizione
del giudice ordinario (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 30 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’affidamento in concessione del
servizio di gestione della piscina comunale costituisce
servizio pubblico locale.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’affidamento
in concessione del servizio di gestione della piscina
comunale costituisce servizio pubblico locale (Cons. Stato,
Sez. V, 06.12.2007, n. 6276), nel senso di servizio
riservato in via esclusiva all’Amministrazione per la
produzione di beni e servizi con rilievo anche sotto il
profilo della promozione sociale, e della salute pubblica,
trattandosi di attività oggettivamente funzionale a
consentire a qualunque interessato lo svolgimento di
attività sportiva (TAR Lombardia, Milano, Sez. III,
12.11.2009, n. 5021).
E’ noto come, ai sensi dell’art. 30 dello stesso corpus
normativo, in conformità della disciplina comunitaria, «salvo
quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del
codice non si applicano alle concessioni di servizi».
Né si può invocare un’applicazione analogica dell’art. 37,
comma 9, del codice dei contratti pubblici, in quanto, così
opinando, l’intera disciplina verrebbe ad essere estesa alle
concessioni di servizi (Cons. Stato, Sez. V, 13.07.2010, n.
4510).
Del resto, l’avviso pubblico si limita a recepire l’art. 38
del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente i requisiti di
ordine generale, che nulla ha a che vedere, dal punto di
vista funzionale (e salve, ovviamente, le esigenze di
raccordo per quanto concerne la disciplina delle cause di
esclusione), con le modalità di “partecipazione associata”
cui fa riferimento l’art. 37 (TAR Umbria,
sentenza 19.01.2011 n. 12 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Nella nozione di
costruzione, ai fini del rispetto della normativa
urbanistica, vanno ricompresi tutti i manufatti che alterino
lo stato dei luoghi e siano destinati a soddisfare esigenze
costanti nel tempo, a prescindere dai materiali e dalle
tecniche costruttive utilizzate ed anche se privi di volumi
interni, per cui è soggetta al rilascio della concessione
edilizia ogni attività che comporti la trasformazione del
territorio attraverso l'esecuzione di opere comunque
attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il
mutamento e l'alterazione abbiano un qualche rilievo
ambientale ed estetico o anche solo funzionale.
Pertanto, la concessione edilizia è richiesta sia quando vi
sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda
realizzare un intervento sul territorio che, pur non
richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante
modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul
suolo.
-----------------
La vasca (o piscina) in questione ha una superficie di circa
mq. 20, perciò certamente non una piscina olimpionica lunga
m. 50, ma nemmeno una di quelle piscine degne di tale nome
che si vendono nei circoli o nelle grandi ville private,
generalmente di un'ordinaria lunghezza tra i m. 12 e i m.
25, di una larghezza tra i m. 4 e i m. 8 e con una
profondità che almeno per parte dell'impianto eccede
ampiamente l'altezza di un corpo umano adulto.
Quindi, già a prescindere dalla giurisprudenza che ritiene
che una piscina in generale sia opera pertinenziale che non
implica consumo dei suoli per le sue caratteristiche, si può
pacificamente rilevare che la realizzazione di
un'attrezzatura delle dimensioni sopradescritte non può
essere considerata come la costruzione di un impianto
sportivo ed appare priva di impatto edilizio e urbanistico.
Altra
contestazione è relativa alla realizzazione di una vasca,
che il Comune, invece, qualifica, come una vera e propria
piscina.
Parte ricorrente, al fine di sostenere la realizzabilità
della vasca in questione, si riferisce alle sue ridotte
dimensioni (5,80 x 3,90) ed alla presenza della stessa negli
elaborati delle concessioni edilizie n. 13/2003 e n.
34/2003, in quanto oggetto di manutenzione ordinaria.
Coerentemente con le premesse sopra riportate, al di là
della destinazione specifica della “vasca” (della quale
rimane ignota la finalità, in quanto non trasfusa in
ricorso), ritiene il Collegio che detta tipologia di opera,
diversamente che nel caso precedente, sembra potersi
ricomprendere nell’elenco delle eccezioni alla concessione
edilizia di cui all’art. 5 della l.r. 37/1985, in quanto,
avuto riguardo anche alla limitata estensione, avente valore pertinenziale.
In altri termini, il valore pertinenziale espressamente
previsto dalla predetta disposizione al fine di consentire
la realizzazione senza la previa concessione edilizia,
consentirebbe di derogare dai condivisibili principi
espressi dalla giurisprudenza (cfr. TAR Trentino Alto
Adige Bolzano, 06.06.2002, n. 278), secondo i quali
nella nozione di costruzione, ai fini del rispetto della
normativa urbanistica, vanno ricompresi tutti i manufatti
che alterino lo stato dei luoghi e siano destinati a
soddisfare esigenze costanti nel tempo, a prescindere dai
materiali e dalle tecniche costruttive utilizzate ed anche
se privi di volumi interni (in tal senso TAR Milano, sez. II, 25.02.1993 n. 62), per cui è soggetta al rilascio
della concessione edilizia ogni attività che comporti la
trasformazione del territorio attraverso l'esecuzione di
opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed
edilizi, ove il mutamento e l'alterazione abbiano un qualche
rilievo ambientale ed estetico o anche solo funzionale;
pertanto, la concessione edilizia è richiesta sia quando vi
sia la realizzazione di opere murarie, sia quando si intenda
realizzare un intervento sul territorio che, pur non
richiedendo opere in muratura, comporti la perdurante
modifica dello stato dei luoghi con materiale posto sul
suolo (cfr. C.d.S. V Sez., 415 - 06.04.1998; ivi 1317 -
12.11.1996; TAR Lazio sez. Latina, 799 - 26.11.1998; TAR
Lombardia Sez. II, 312 - 27.09.1988; TAR Toscana III Sez.,
87 - 24.03.1993; TRGA Sez. di Bolzano, 246 - 16.06.1997; ivi
461 - 22.10.1997).
Ed invero, la vasca (o piscina) in questione ha una
superficie di circa mq. 20, perciò certamente non una
piscina olimpionica lunga m. 50, ma nemmeno una di quelle
piscine degne di tale nome che si vendono nei circoli o
nelle grandi ville private, generalmente di un'ordinaria
lunghezza tra i m. 12 e i m. 25, di una larghezza tra i m. 4
e i m. 8 e con una profondità che almeno per parte
dell'impianto eccede ampiamente l'altezza di un corpo umano
adulto.
Quindi, già a prescindere dalla giurisprudenza che ritiene
che una piscina in generale sia opera pertinenziale che non
implica consumo dei suoli per le sue caratteristiche (Cons.
Stato, IV, 08.08.2006 n. 4780), si può pacificamente
rilevare che la realizzazione di un'attrezzatura delle
dimensioni sopradescritte non può essere considerata come la
costruzione di un impianto sportivo ed appare priva di
impatto edilizio e urbanistico (cfr. TAR Liguria Genova,
sez. I, 16.02.2008, n. 299).
Conseguirebbe, pertanto, l’astratta condivisibilità della
censura.
Sennonché, il provvedimento impugnato qualifica la non
assentibilità della vasca, allocata esclusivamente e senza
contestazione nella proprietà di parte ricorrente, così come
il muro sopra analizzato, riferendoli anche al fatto che gli
stessi sono stati realizzati in area destinata secondo il
PRG vigente e quello adottato a “fini istituzionali”.
E sul punto, che costituisce motivazione idonea a supportare
autonomamente il provvedimento impugnato, per altro
confermato dal certificato di destinazione urbanistica del
28.01.2010 versato in atti dal Comune resistente (cfr all. 11
produzione del 25.03.2010), nulla pone in contestazione parte
ricorrente.
Analogamente, per quanto riguarda la sistemazione degli
spazi alla stessa circostanti.
Consegue, pertanto, la mancanza di interesse di parte
ricorrente a vedersi annullato il provvedimento in parte qua
(relativamente alla messa in pristino del muro, della vasca
ed alla sistemazione di detti spazi) in quanto, appunto,
autonomamente sostenuto da diversa motivazione non
contestata (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 27.09.2010 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Bandi di gare d'appalto pubblico -
Requisiti minimi o più rigorosi di partecipazione -
Presupposti e limiti - Sindacato del giudice amministrativo
- Limiti - Fattispecie: Aggiudicazione gara per gestione
piscina comunale - Risarcimento danni.
I bandi di gare d'appalto pubblico possono prevedere
requisiti di partecipazione più rigorosi di quelli indicati
dalla legge purché non discriminanti ed abnormi rispetto
alle regole proprie del settore e che possano pertanto
pretendere l'attestazione di requisiti di capacità diversi
ed ulteriori dalla semplice iscrizione in albi o elenchi.
Le previsioni recate nelle relative disposizioni normative
di settore sono volte a stabilire una semplice presunzione
di possesso dei requisiti minimi per la partecipazione alla
gara, che pertanto ben possono essere derogati (o meglio
incrementati, sotto l'aspetto qualitativo e quantitativo)
dall'amministrazione in relazione alle peculiari
caratteristiche del servizio da appaltare (Cons. St., sez.
V, 06/04/2009, n. 2138; C.d.S. 19/11/2009 n. 7247; C.d.S.
sez. IV, 12/06/2007, n. 3103; C.d.S. sez. VI, 10/01/2007, n.
37).
Le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono
nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono,
pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che
non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli,
irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto
riguardo alla specificità dell'oggetto ed all'esigenza di
non restringere, oltre lo stretto indispensabile, la platea
dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni
di privilegio.
Fattispecie: impugnazione dell’aggiudicazione della gara per
la gestione di una piscina comunale e richiesta di
risarcimento danni.
Disciplina di gara - Diritto alla
partecipazione - Disposizione e lesività dell’atto -
Impugnazione immediata senza attenderne l’esito - Necessità.
In materia di appalti pubblici, quando si ritiene che le
disposizione della disciplina di gara limitano
illegittimamente il proprio diritto alla partecipazione,
l’interessato deve impugnare immediatamente la disciplina di
gara e non attenderne l’esito, essendo la lesività di un
atto aspetto oggettivo e indipendente dai requisiti
posseduti dagli altri partecipanti alla gara (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.08.2010 n. 5201 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Realizzazione di una piscina - Permesso
di costruire - Necessità - Fondamento.
Anche per la realizzazione di una piscina occorre il
permesso di costruire, e ciò perché costituiscono lavori
edilizi che richiedono il preventivo rilascio del permesso
di costruire non solo quelle opere che si elevano al di
sopra del suolo, ma anche quelle in tutto o in parte
interrate, che trasformano in modo durevole l'area impegnata
dai lavori stessi, senza discrimine sulla entità del
manufatto realizzato (come nel caso della realizzazione di
una piscina) (Cass. 29/04/2003, Agresti; Cass. 27/09/2000,
Cimaglia) (conferma sentenza Corte di Appello di Lecce del
24/09/2009) (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.07.2010 n. 25631 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Le piscine interrate non possono
alterare i valori paesaggistici, perché non suscettibili di
verticalizzazione con pregiudizio di visuali e visioni
prospettiche.
Per una piscina eseguita
perfettamente a raso con il piano di campagna attuale può
trovare applicazione il principio giurisprudenziale,
affermato anche da questa Sezione (TAR Campania, Napoli,
Sez. VII, 20.03.2009, n. 1552), secondo il quale le piscine
interrate non possono alterare i valori paesaggistici,
perché non suscettibili di verticalizzazione con pregiudizio
di visuali e visioni prospettiche
(TAR Campania-Napoli, Sez.
VII,
sentenza 29.06.2010 n. 16423 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Bassano in Teverina - Parere in merito alla
possibilità di realizzare una piscina in zona agricola
soggetta a vincolo paesaggistico (Regione Lazio,
parere
24.05.2010 n.
128441 di prot.). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Pertinenze (piscina).
Una piscina
posta al servizio esclusivo di una residenza privata
legittimamente edificata non è di per sé estranea al
concetto di "pertinenza urbanistica" ma può
diventarlo quando abbia dimensioni non trascurabili o si
ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della
pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe
comunque avere una destinazione autonoma (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39067 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla quantificazione del danno
ambientale per abuso edilizio commesso in zona
paesaggisticamente vincolata.
Con riferimento alla richiesta di concessione edilizia in
sanatoria di una piscina costruita -senza titolo- in zona
agricola soggetta a vincolo paesaggistico, è necessario
osservare:
- che andava applicata, con riferimento alla sanzione
ambientale in esame, la disciplina statale di cui all’art.
15 della Legge n. 1497 del 1939, poi art. 164 del D.Lgs. n.
490 del 1999 e quindi art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004
nonché il D.M. 26.09.1997 per la sua quantificazione (cfr.
Cons. Stato, IV, n. 7405 del 2004);
- che occorreva, dunque, effettuare apposita perizia del
danno ambientale nonché stima del profitto discendente
dall’esecuzione dell’opera, determinata dalla differenza tra
il valore dell’opera stessa ed i costi di sua realizzazione
(cfr. art. 2 del D.M. ed art. 3 per i susseguenti criteri);
- che, trattandosi di sanzione diretta a reprimere
violazioni formali oltre che sostanziali, la stessa, in
mancanza di un concreto danno ambientale, doveva essere
commisurata al profitto conseguito (cfr. TAR Campania, IV,
n. 16752 del 2004);
- che invece l’Amministrazione, in applicazione dell’art. 10
del Reg. Com., ha identificato il profitto con il costo di
produzione dell’opera, disattendendo quindi la suddetta
disciplina statale (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 07.08.2009 n. 1373 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Una piscina è, di fatto, una cisterna di
acqua: una cisterna-vasca a cielo aperto, che si differenzia
dalle cisterne-deposito soltanto per la destinazione al
nuoto, per gli abbellimenti, la impermeabilizzazione e le
attrezzature idriche connesse, ma che concettualmente
null'altro è se non un contenitore di acqua.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza da osservare
nella costruzione di determinate opere (pozzi, cisterne,
fosse, tubi) presso il confine, tiene conto della loro
potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà
contigua stabilendo per esse una presunzione assoluta di
pericolosità. Tra dette opere non rientrano i contenitori
interrati, prefabbricati o realizzati in loco (nella specie:
serbatoio di eternit) a tenuta impermeabile con la funzione
di contenere le infiltrazioni e i travasamenti nel fondo
finitimo, in quanto per tali contenitori non soccorre la
presunzione assoluta di pericolosità, ed è, pertanto,
necessario accertare in concreto, sulla base delle loro
specifiche caratteristiche (struttura e composizione del
materiale, distanza dal confine), se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno.
L'elencazione di cui all'art. 889 c.civile è tassativa.
Sennonché, senza utilizzare in alcun modo l'analogia, una
piscina è, di fatto, una cisterna di acqua: una
cisterna-vasca a cielo aperto, che si differenzia dalle
cisterne-deposito soltanto per la destinazione al nuoto, per
gli abbellimenti, la impermeabilizzazione e le attrezzature
idriche connesse, ma che concettualmente null'altro è se non
un contenitore di acqua.
Le disposizioni di cui agli art. 889 e 891 c.c. si
riferiscono a fattispecie del tutto diverse tra loro, in
considerazione della specificità sia della natura delle
opere in esse rispettivamente previste, sia della "ratio"
cui ciascuna è informata. Infatti, la prescrizione di cui
all'art. 889 c.c. (distanze per pozzi, cisterne, fossi e
tubi) mira ad evitare il pericolo di infiltrazioni a danno
del fondo del vicino (nei cui confronti prevede una
presunzione assoluta di danno), allorché le opere in essa
indicate siano eseguite a distanza inferiore di due metri
dal confine, mentre la norma di cui all'art. 891 c.c.
(distanze tra i canali, i fossi ed il confine) è ispirata
all'esigenza di scongiurare il pericolo di franamento che
tali opere possono cagionare nei confronti del fondo del
vicino (Cassazione civile, sez. II, 19.06.1995, n. 6928).
Dunque l'art. 889 mira a prevenire le infiltrazioni; ma va
ricordato che la giurisprudenza ha escluso la presunzione di
pericolo per i contenitori in metallo o cemento
prefabbricato, ed anche per quelli costruiti in loco purché
in maniera impermeabile.
L'art. 889 c.c. nel disciplinare la distanza da osservare
nella costruzione di determinate opere (pozzi, cisterne,
fosse, tubi) presso il confine, tiene conto della loro
potenziale attitudine ad arrecare danno alla proprietà
contigua stabilendo per esse una presunzione assoluta di
pericolosità. Tra dette opere non rientrano i contenitori
interrati, prefabbricati o realizzati in loco (nella specie:
serbatoio di eternit) a tenuta impermeabile con la funzione
di contenere le infiltrazioni e i travasamenti nel fondo
finitimo, in quanto per tali contenitori non soccorre la
presunzione assoluta di pericolosità, ed è, pertanto,
necessario accertare in concreto, sulla base delle loro
specifiche caratteristiche (struttura e composizione del
materiale, distanza dal confine), se abbiano o meno
attitudine a cagionare danno (Cassazione civile, sez. II,
08.04.1986, n. 2436).
Nel caso di specie la CTU ha accertato che trattasi di
piscina prefabbricata con pareti in pannelli di acciaio,
rivestiti con uno strato di poliestere al silicone.
L'insieme dei pannelli e contrafforti reggispinta è ancorato
ad una soletta perimetrale. L'impermeabilizzazione è
assicurata da un rivestimento in telo PVC saldato a caldo.
Le esondazioni sono prevenute mediante scarichi di troppo
pieno.
Il CTU ha poi chiarito che pericoli di infiltrazioni
potrebbero derivare soltanto dall'abbandono prolungato del
manufatto, mentre un suo normale utilizzo non dà motivo di
temere infiltrazioni.
Quindi, seguendo la convincente giurisprudenza sopra citata,
l'ambito di applicazione dell'art. 889 c.civ. va ridotto
alle cisterne e vasche non impermeabili, e va escluso in
ipotesi come quella di cui si discute, nella quale si è in
presenza di una vasca con struttura in metallo
impermeabilizzata, e dotata di opportuni scarichi (Corte
d'Appello di Firenze, Sez. I civile, sentenza 19.06.2009
n. 814). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Manufatti interrati (piscina).
Costituiscono
lavori edilizi necessitanti il preventivo rilascio del
permesso di costruire non solo quelli per la realizzazione
di manufatti che si elevano al di sopra del suolo, ma anche
quelli in tutto o in parte interrati e che trasformano in
modo durevole l'area impegnata dai lavori stessi, come nel
caso di edificazione di una piscina (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 20.03.2009 n. 12478 - link a
www.lexambiente.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Pertinenza urbanistica (presupposti).
In materia
edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere di
pertinenza si richiede che esso acceda ad un edificio
preesistente legittimamente edificato, che abbia ridotte
dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma
e che non si ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici vigenti (nella specie, la Corte ha escluso la
natura pertinenziale di una piscina posta al servizio
esclusivo di una residenza privata) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 01.10.2008 n. 37257 - link a
www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla qualificazione di servizio
pubblico dell'attività inerente un centro sportivo
strutturato in una piscina di proprietà comunale.
Sono servizi pubblici non solo i servizi specificamente
denominati tali dalla legge e riservati ai comuni e alle
province, ma tutte le attività di produzione di servizi
rispondenti a fini di utilità e di promozione sociale.
Un centro sportivo strutturato in una piscina, di proprietà
comunale, è un bene che per sua natura è destinata ad essere
adibita ad un uso pubblico. L'attività ad essa inerente,
pertanto, ha tutte le caratteristiche per essere qualificata
come un servizio pubblico.
L'Azienda Servizi Multisettoriali in quanto ha la
titolarità, insieme ad altri servizi, della gestione del
servizio di cui trattasi, ha la forma di società per azioni,
ma è pur sempre, in quanto partecipata dal comune, ai sensi
dell'art. 113 del T.U. n. 267 del 2000, un soggetto
riconducibile al predetto comune. La predetta Azienda,
sebbene sia dotato di personalità giuridica, di autonomia
imprenditoriale e di un proprio statuto, agisce infatti come
un ente strumentale del Comune.
Al di là, quindi, del nomen iuris conferito al rapporto da
costituire, si è in presenza di una gara avente ad oggetto
l'affidamento della gestione di un servizio pubblico da
parte dell'ente che ne ha la titolarità e che, in quanto
ente strumentale del Comune può essere qualificato come
amministrazione aggiudicatrice ai sensi del comma 26
dell'art. 1 del D.Lgs. 12.04.2006, n. 163. Conseguentemente,
la controversia relativa alla gara indetta dall'Azienda
Servizi Multisettoriali "per l'affitto del ramo d'azienda
costituito dal Centro sportivo rientra nella giurisdizione
del giudice amministrativo in forza dell'art. 6 della l.
21.07.2000 n. 205, per il quale sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le
controversie relative a procedure di affidamento di lavori,
servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di
evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o
regionale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.09.2008 n. 4265 -
link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Una piscina realizzata in una proprietà
privata a corredo esclusivo della stessa, non possiede una
sua autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale
pertinenza dell'immobile esistente, in quanto destinata ad
essere usata a servizio dello stesso, nella sua
configurazione di bene principale.
Secondo una nota giurisprudenza, anche del TAR per il
Veneto, una piscina realizzata in una proprietà privata a
corredo esclusivo della stessa, non possiede una sua
autonomia immobiliare, ma deve considerarsi quale pertinenza
dell'immobile esistente, in quanto destinata ad essere usata
a servizio dello stesso, nella sua configurazione di bene
principale (Consiglio Stato , sez. IV, 14.08.2006, n. 4780).
Inoltre, l’opera non altera in modo significativo l'assetto
del territorio; pertanto, nella fattispecie in esame, la
piscina, di contenuto rilievo dimensionale e di ridotto
impatto dal punto di vista urbanistico, va considerata un
manufatto avente rilievo pertinenziale (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 31.10.2007 n. 3489 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Concreta vulnerazione ai
valori paesaggistici - Principio di proporzionalità -
Disparità di trattamento - Art. 97 Cost. - L. n. 241/1990 -
Dlgs. N. 42/2004.
Anche in materia di protezione edilizia e paesaggistica,
l’azione amministrativa deve improntarsi all’apicale
principio di proporzionalità (cfr., CdS V 14.04.2006 nr.
2087), non escludendo, in tesi, che la disciplina di
protezione sia ritenuta suscettibile -rispetto ad interventi
che per loro stessa natura non siano in grado di arrecare
alcuna concreta vulnerazione ai valori paesaggistici ovvero
fungere da detrattori ambientali- di una interpretazione che
consenta di proteggere integralmente il paesaggio ed i
valori ambientali, senza determinare, in alcune ipotesi,
compressioni eccessive alla proprietà privata (la piscina,
come già rilevato dalla Cassazione penale è, per sua natura,
insuscettibile di verticalizzarsi con occlusione ed offesa
di visioni prospettiche e d'insieme).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Piscina in zona a
“protezione integrale” - Autorizzazione paesaggistica -
Diniego - Illegittimità - Concreta vulnerazione ai valori
paesaggistici - Necessità - Difetto di motivazione -
Principio di proporzionalità - Disparità di trattamento -
Fattispecie.
Il diniego da parte della Soprintendenza dell'autorizzazione
paesaggistica afferente alla realizzazione di una “vasca”
(definita piscina nel gravame) con il solo testuale richiamo
alla disciplina paesaggistica ed edilizio-urbanistica
essendo inserito l’intervento in zona a “protezione
integrale” e non per le sue dimensioni od altri pregnanti
profili di specifica realizzazione, è illegittimo, (nella
specie, la piscina è stata, per sua natura, ritenuta
insuscettibile di verticalizzarsi con occlusione ed offesa
di visioni prospettiche e d'insieme e non in grado di
arrecare alcuna concreta vulnerazione ai valori
paesaggistici) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 18.07.2007 n. 6770
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
locale accessorio (abusivamente costruito) è destinato, per
esplicita ammissione della ricorrente, ad ospitare “impianti
e dispositivi tecnici indispensabili per l’uso della piscina”
e detto locale appare chiaramente
insuscettibile di autorizzazione paesistica in sanatoria, ai
sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, trattandosi di
manufatto con propria superficie utile e volume.
Né si può condividere la tesi della ricorrente che lo
qualifica “vano tecnico”, come tale inidoneo a costituire
aumenti volumetrici.
Un “vano” o “volume tecnico”, infatti, per risultare
ininfluente ai fini della creazione di nuove superfici o
volumi, presuppone logicamente l’introduzione di un impatto
sul territorio, valutato attraverso gli indici edilizi,
inferiore a quello della costruzione principale.
Nel caso in esame, invece, tale impatto sarebbe addirittura
eccedente quello della costruzione principale, poiché la
realizzazione della piscina, secondo la stessa ricorrente,
non darebbe luogo ad alcuna superficie utile o volume.
Il manufatto, inoltre, pare avere una propria autonomia
funzionale, atteso che, come si evince dalla relazione
tecnica datata 22.11.2006, esso sarà destinato, oltre che ad
ospitare la stazione di filtraggio, anche a deposito di
prodotti per la piscina.
L’esistenza di uno spazio residuo non destinato
all’alloggiamento degli impianti tecnologici necessari per
la conduzione della piscina, ma utilizzabile quale deposito,
pare quindi testimoniare la potenziale autonomia del
manufatto, perciò non configurabile alla stregua di mero
“volume tecnico”.
... l’esponente sostiene che la piscina e il locale
accessorio ben avrebbero potuto essere edificati, nonostante
il vincolo esistente nella zona, previo rilascio di
autorizzazione paesistica in sanatoria, ai sensi dell’art.
167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004.
La piscina, infatti, è priva di copertura e non crea volumi
né superfici utili, mentre il locale accessorio, destinato
ad ospitare impianti tecnologici indispensabili per l’uso
della piscina, si qualificherebbe come “volume tecnico”,
pertanto non idoneo a generare incrementi di volume o di
superficie.
In linea di principio, la tesi dell’inedificabilità relativa
(e non assoluta) della zona in questione è esatta, come già
rilevato dalla Sezione con la sentenza n. 763 del
21.02.2007, resa in ordine alla medesima vicenda.
Con tale pronuncia, peraltro, si era anche esclusa l’assentibilità,
nella fattispecie, dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria, cosicché non rimane, in questa sede, che
argomentare più diffusamente tale affermazione.
Deve rilevarsi, innanzitutto, che la costruzione dei due
manufatti configura un intervento edilizio funzionalmente
unitario, poiché il locale accessorio è destinato, per
esplicita ammissione della ricorrente, ad ospitare “impianti
e dispositivi tecnici indispensabili per l’uso della piscina”.
Ne consegue che la non assentibilità in sanatoria del locale
accessorio preclude anche la realizzazione della piscina.
Ciò premesso, detto locale accessorio (di cui, peraltro, non
vengono precisate le dimensioni) appare chiaramente
insuscettibile di autorizzazione paesistica in sanatoria, ai
sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, trattandosi di
manufatto con propria superficie utile e volume.
Né si può condividere la tesi della ricorrente che lo
qualifica “vano tecnico”, come tale inidoneo a
costituire aumenti volumetrici.
Un “vano” o “volume tecnico”, infatti, per
risultare ininfluente ai fini della creazione di nuove
superfici o volumi, presuppone logicamente l’introduzione di
un impatto sul territorio, valutato attraverso gli indici
edilizi, inferiore a quello della costruzione principale.
Nel caso in esame, invece, tale impatto sarebbe addirittura
eccedente quello della costruzione principale, poiché la
realizzazione della piscina, secondo la stessa ricorrente,
non darebbe luogo ad alcuna superficie utile o volume.
Il manufatto, inoltre, pare avere una propria autonomia
funzionale, atteso che, come si evince dalla relazione
tecnica datata 22.11.2006, esso sarà destinato, oltre che ad
ospitare la stazione di filtraggio, anche a deposito di
prodotti per la piscina.
L’esistenza di uno spazio residuo non destinato
all’alloggiamento degli impianti tecnologici necessari per
la conduzione della piscina, ma utilizzabile quale deposito,
pare quindi testimoniare la potenziale autonomia del
manufatto, perciò non configurabile alla stregua di mero “volume
tecnico”.
Quanto all’impianto natatorio, la ricorrente, muovendo dalla
lettera delle norme tecniche di attuazione, tenta di
dimostrare come la sua edificazione, non essendo idonea a
generare alcuna superficie utile o volume, sarebbe
suscettibile di autorizzazione paesistica in sanatoria.
La prospettazione difensiva non considera, però, che il
vincolo esistente è finalizzato a preservare nel tempo la
configurazione ambientale della zona.
La realizzazione della piscina, per contro, appare idonea a
creare un impatto ambientale permanente che vanifica tale
prescrizione, trattandosi di manufatto che, pur non
caratterizzato da volumi emergenti dal terreno o da
superfici calpestabili, presenta dimensioni non trascurabili
(m. 14,75 x 6,36), richiede scavi consistenti e prevede
l’impiego di materiali difficilmente compatibili con il
contesto boschivo in cui si pretende esso trovi inserimento.
Il palese contrasto dell’intervento con la disciplina
urbanistica di riferimento esonerava il Comune dall’indire,
come suggerito con il terzo motivo di gravame, apposita
conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e segg.ti
della legge n. 241/1990
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.06.2007 n. 2599 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla precarietà o meno della copertura
di una piscina scoperta.
Il progettato intervento
-consistente nella realizzazione di una struttura
telescopica (a copertura di una piscina) in metallo e vetro,
con due lati estremi fissi e con altezza utile media
superiore a tre metri– non appare caratterizzato dalla
pertinenzialità e temporaneità, requisiti, questi, che
varrebbero ad escludere la sua consistenza di “volume”: il
carattere precario di una costruzione, invero, non va
desunto dalla sua più o meno facile rimovibilità o dalla
fissità del suo ancoraggio al suolo, bensì dal fatto che
essa sia idonea a soddisfare esigenze transitorie (e non
continuative nel tempo, ancorché limitate ad un periodo
dell’anno) e sia destinata alla demolizione spontanea quando
sia cessato l’uso (giurisprudenza pacifica: cfr. Cass. pen.,
III, 14.02-12.03.2004 n. 11880; CdS, V, 11.02.2003 n. 696 e,
da ultimo, TAR Piemonte, 16.05.2006 n. 2073)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2006 n. 4095 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione - Diniego - Sanatoria
art. 13 L. 47/1985 - Motivazione - Indicazione generica di
contrasto con le norme tecniche di attuazione -
Insufficienza - Illegittimità.
2. Concessione - Pertinenza - Nozione - Piscina in zona
agricola di dimensioni contenute e ridotto impatto
urbanistico - Costituisce pertinenza - Autorizzazione.
1. E' illegittimo per carenza di motivazione il diniego di
concessione edilizia in sanatoria, richiesta ai sensi
dell'art. 13 L. 47/1985, recante la generica affermazione
che "la costruzione di piscina in zona agricola non è
conforme alle Norme Tecniche di Attuazione dello strumento
urbanistico vigente - P.R.G. comunale".
I provvedimenti di diniego di concessione di costruzione in
sanatoria devono essere congruamente motivati con
l'indicazione delle ragioni che ostano al suo rilascio e con
particolare riferimento alle norme urbanistiche violate, in
modo da consentire all'interessato da un lato, di rendersi
conto degli impedimenti che si frappongono alla
realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle
esigenze pubbliche che l'Amministrazione ha inteso tutelare;
dall'altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità
del provvedimento davanti al giudice competente.
E' quindi carente di motivazione, il diniego di concessione
in sanatoria fondato su un generico contrasto del progetto
edilizio con norme legislative e regolamentari in materia
edilizia, dovendo, invece, diffondersi il provvedimento di
diniego in ordine alle disposizioni che si assumono ostative
al rilascio del provvedimento concessorio.
2. La nozione di pertinenza di cui all'art. 7 L. 94/1982
(che non coincide con quella più ampia descritta dall'art.
817 c.c.) è ancorata non solo alla necessarietà ed
oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche alla
consistenza dell'opera, la quale deve contenersi entro
misure minime, sì da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio; né la localizzazione in zona
agricola impedisce l'applicazione della citata norma che non
distingue tra edifici residenziali o meno, agricoli ovvero
urbani.
Pertanto, nella fattispecie di piscina di contenuto rilievo
dimensionale e di ridotto impatto dal punto di vista
urbanistico, si verte in ambito di manufatto avente rilievo
pertinenziale ed in quanto tale assoggettato a regime
autorizzatorio (massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 31.01.2000 n. 22 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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