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71-LOTTO INTERCLUSO
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77-PATRIMONIO
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80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
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84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
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86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
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90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
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92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
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dossier ATTIVITA' COMMERCIALE IN LOCALI ABUSIVI
anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere.
L’accertamento della conformità alle prescrizioni in materia edilizia-urbanistica è condizione sia per il rilascio delle autorizzazioni commerciali per l’apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della perdurante legittimità dell’attività assentita, pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio.
La normativa statale di riferimento in materia di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
Sul punto si evidenzia che il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, non soltanto in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali non conformi alla disciplina urbanistica.

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1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, sede -OMISSIS-, avverso: il provvedimento del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-, avente ad oggetto «diffida all’esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in località -OMISSIS-. Diffida al conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale»; dell’ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n. -OMISSIS-.; la nota del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-, avente ad oggetto «divieto di prosecuzione dell’esercizio di attività abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e del richiamato verbale del 18.05.2009; all’occorrenza, l’ordinanza di sospensione lavori del Comune di Polignano a Mare n. -OMISSIS-.
...
9. I motivi di gravame, stante la loro stretta embricazione, vanni vagliati congiuntamente.
In particolare, l’appellante ha lamentato un erroneo apprezzamento, da parte del Tar, dei presupposti de legge e un travisamento dei fatti in relazione agli articoli 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, al decreto legislativo n. 42/2004, al decreto legge n. 223/2006 convertito in legge n. 248/2006, all’art. 1 della legge regionale della -OMISSIS- n. 17/2006, agli articoli 19 e 21-octies della legge n. n. 241/1990, 64 del decreto legislativo n. 59/2010 e 3 del decreto legislativo n. 114/1998.
Siffatte doglianze sono infondate.
Del tutto correttamente il Tar, infatti, ha precisato che: «L’azione demolitoria complessivamente proposta dall’odierno ricorrente poggia sull’accertamento della fondatezza della pretesa a poter legittimamente continuare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande erogata da alcuni anni presso località (…), unitamente all’accertamento, di carattere pregiudiziale, della conformità urbanistico-edilizia delle opere realizzate strumentali a tale attività.
Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente l’impugnativa di cui ai terzi motivi aggiunti del diniego di sanatoria edilizia ai sensi dell’art 36 d.p.r. 380/2001, essendo l’accertamento della conformità alle prescrizioni in materia edilizia-urbanistica condizione sia per il rilascio delle autorizzazioni commerciali per l’apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della perdurante legittimità dell’attività assentita, pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio (così TAR Campania Napoli III 12.04.2010, n. 1923, in termini Consiglio di Stato sez. V 28.05.2009 n. 3262, id. sez. V 05.04.2005 n. 1543, TAR Liguria sez. II 11.04.2008 n. 543).
La normativa statale di riferimento in materia di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”
».
Sul punto si evidenzia che il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, non soltanto in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali non conformi alla disciplina urbanistica (cfr., ex aliis, Consiglio Stato, sezione VI, sentenza 23.10.2015, n. 4880; Consiglio Stato, sezione V, sentenza 29.05.2018, n. 3212).
L’istituto della segnalazione certificata di inizio attività non è applicabile al caso si specie, sia in quanto la conformità urbanistico-edilizia dei locali è presupposto di operatività od esistenza per la formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, sia poiché esso non può operare in presenza di un vincolo di natura paesaggistica (art. 19, comma 1, della legge n. 241/1990) e vi sia insistenza su area demaniale occupata (seppur parzialmente) sine titulo (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 14.10.2021 n. 6912 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa ha statuito, in più occasioni, che il rispetto della normativa edilizia ed urbanistica costituisce presupposto indispensabile per il legittimo esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
E’ stato, infatti, precisato che il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali di cui sia stata accertata l’abusività delle opere realizzate.
Nel caso di specie, l’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire in sanatoria ha determinato il venir meno di uno dei presupposti indispensabili per l’esercizio dell’attività di somministrazione, atteso che la regolarità urbanistico-edilizia condiziona la legittimità del provvedimento di autorizzazione commerciale non solo al momento del rilascio, ma anche successivamente, per tutta la durata dell’attività commerciale.

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2. L’appello è fondato.
2.1 L’attuale appellante censura la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento di diniego di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale di somministrazione di alimenti e bevande rilasciata dal Comune di Siciniano degli Alburni alla società De.Ve. S.r.l., nonostante l’attività, a seguito di annullamento del permesso di costruire in sanatoria, venisse svolta in contrasto con l’art 3, comma 7, l. 287/1991.
2.2 La disposizione citata sancisce: “Le attività di somministrazione di alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d'uso dei locali e degli edifici, fatta salva l'irrogazione delle sanzioni relative alle norme e prescrizioni violate”.
2.3 La giurisprudenza amministrativa ha statuito, in più occasioni, che il rispetto della normativa edilizia ed urbanistica costituisce presupposto indispensabile per il legittimo esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
E’ stato, infatti, precisato che il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali di cui sia stata accertata l’abusività delle opere realizzate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27/07/2021 n. 5576; 22/06/2020 n. 4004; 23/10/2015 n. 4880; sez. V, 29/05/2018 n. 3212).
2.4 L’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire in sanatoria ha determinato il venir meno di uno dei presupposti indispensabili per l’esercizio dell’attività di somministrazione, atteso che la regolarità urbanistico-edilizia condiziona la legittimità del provvedimento di autorizzazione commerciale non solo al momento del rilascio, ma anche successivamente, per tutta la durata dell’attività commerciale (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 05.10.2021 n. 6645 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADeve ricordarsi che le disposizioni in materia di commercio implicano uno stretto collegamento tra la programmazione commerciale e la pianificazione urbanistica, con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali presuppone la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche.
Più precisamente, la normativa commerciale (D.lgs 114/1998, Legge 287/1991 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le attività devono essere esercitate, tra l’altro, nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia e urbanistica, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.
Gli assunti che precedono non possono in alcun modo giustificare la conclusione che l’assentimento dell’attività commerciale implichi anche l’assentimento alla modifica dei locali dal punto di vista edilizio.
Nonostante la stretta relazione tra i due ambiti, deve ritenersi che il titolo commerciale non può assorbire le valutazioni strettamente connesse al rispetto della disciplina urbanistica, che, viceversa, devono essere vagliate secondo le specifiche procedure a tal fine previste dalla legge, per sfociare, se del caso, in specifici titoli corrispondenti ai diversi interventi, così come prestabiliti dall’ordinamento.
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Il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente.
Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano.
L'aggravio di servizi -quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree antistanti o prossime l’immobile- è l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla destinazione industriale a quella commerciale.

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7 – L’appello avverso tale pronuncia deve trovare accoglimento nei limiti di seguito precisati.
Preliminarmente, è utile richiamare il contenuto dell’atto impugnato. Nella nota del 24.10.2018 n. 15572, si legge: “Da sopralluogo effettuato in data 10.10.2018, da personale del settore tecnico e della Polizia Locale, si è riscontrato che le opere edilizie sono conformi a quelle autorizzate. Nel contempo si è accertato che l’attività svolta consistente in un caseificio artigianale con vendita del prodotto che, pur se non conforme a quanto autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni urbanistiche della zona. Alla luce di quanto sopra evidenziato si ritiene che tale difformità non si configura come abuso – non comporta una variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 1444/1968 ossia dei carichi urbanistici relativi alla zona omogenea in questione; - che non essendo state eseguite opere in difformità ai titoli edilizi sopra citati il mutamento della destinazione d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento quale concreta proiezione dello jus utenti spettante al proprietario che, diversamente dallo jus aedificandi, non rientra nella disciplina urbanistico-edilizia generale”.
E’ la stessa amministrazione a confermare inconfutabilmente la prospettazione dell’appellante, e cioè che i titoli edilizi relativi all’immobili non contemplano un utilizzo produttivo dei locali.
7.1 – La riscontrata difformità, contrariamente all’assunto del Giudice di primo grado, che ha escluso la natura abusiva del cambio di destinazione d’uso valorizzando la SCIA del 31/07/2017, non può essere superata da quest’ultimo atto. Invero, la SCIA è stata presentata ad altri fini, ovvero per intraprendere l’attività dal punto di vista commerciale.
E’ pacifico che tale atto non si riferisce all’aspetto urbanistico-edilizio, presupponendo, come è tipico di ogni titolo legittimante l’attività commerciale, la regolarità edilizia dei locali rispetto all’attività che il richiedente si propone di svolgere (trasformazione del latte in prodotti caseari e vendita di prodotti caseari).
Deve ricordarsi che le disposizioni in materia di commercio implicano uno stretto collegamento tra la programmazione commerciale e la pianificazione urbanistica, con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali presuppone la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.01.2001; Cons. Stato, sez. IV, 27.04.2004).
Più precisamente, la normativa commerciale (D.lgs 114/1998, Legge 287/1991 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le attività devono essere esercitate, tra l’altro, nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia e urbanistica, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.
Gli assunti che precedono non possono in alcun modo giustificare la conclusione che l’assentimento dell’attività commerciale implichi anche l’assentimento alla modifica dei locali dal punto di vista edilizio. Nonostante la stretta relazione tra i due ambiti, deve ritenersi che il titolo commerciale non può assorbire le valutazioni strettamente connesse al rispetto della disciplina urbanistica, che, viceversa, devono essere vagliate secondo le specifiche procedure a tal fine previste dalla legge, per sfociare, se del caso, in specifici titoli corrispondenti ai diversi interventi, così come prestabiliti dall’ordinamento.
Per scrupolo, deve precisarsi che, nel caso di specie, non è neppure possibile configurare una sorta di titolo edilizio implicito, dovendosi al riguardo osservare che si è al cospetto di una SCIA, ovvero di un atto del privato, e non di un provvedimento amministrativo, da cui l’impossibilità di desumere una sopposta volontà dell’amministrazione circa l’assentimento al mutamento della destinazione d’uso dal punto di vista edilizio.
Così circoscritta la valenza e l’efficacia della SCIA del 31/07/2017 ed escluso che la stessa possa svolgere la funzione di titolo edilizio legittimante il cambio di destinazione d’uso dei locali da commerciali a produttivi, perdono di ogni consistenza gli argomenti del TAR con i quali si prospetta la necessità di intervenire in autotutela sulla predetta SCIA, nei modi e nei limiti a tal fini previsti dalla legge, sicché il cambio di destinazione non potrebbe considerarsi abusivo fino a che permangono gli effetti della SCIA.
7.2 – Per indagare la natura illegittima del cambio di destinazione d’uso denunciato deve invece aversi riguardo ai relativi titoli edilizi, dai quali, per quanto ammesso dalla stessa amministrazione, non emerge l’assentimento dello svolgimento dell’attività di produzione nei locali in questione.
In proposito, l’art. 23-ter del DPR n. 380/2001, aggiunto dall’art. 17, comma 1, lett. n), D.L. n. 133/2014 conv. nella L. n. 164/2014, al comma 1 qualifica come “mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, ancorché non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie”, quello dalla categoria “commerciale” a quella “produttiva”, ed al comma 2 puntualizza che “la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile”.
Anche la giurisprudenza ha chiarito che il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 30/06/2014, n. 3279).
Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano; - l’aggravio di servizi -quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree antistanti o prossime l’immobile- è l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla destinazione industriale a quella commerciale (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI, 25/09/2017, n. 4469).
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il cambio di destinazione d’uso in questione –da commerciale a produttivo- richiedeva uno specifico titolo edilizio, che nel caso di specie non sussiste, con la conseguenza che la modifica di destinazione d’uso è abusiva e, in quanto tale, deve essere sanzionata nelle forme di legge da parte del Comune.
7.3 – Non può portare ad un diverso esito l’inciso contenuto nel provvedimento impugnato, ove si legge che “pur se non conforme a quanto autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni urbanistiche della zona”, posto che all’assenza del titolo edilizio consegue l’illegittimità dell’intervento, indipendentemente dalla sua conformità alla disciplina sostanziale.
Tale aspetto, se del caso, ben può costituire il presupposto per la sanatoria dell’intervento, ma non legittima di per sé il cambio di destinazione privo della necessaria autorizzazione.
Deve infatti ricordarsi che l’eventuale (allo stato indimostrata) legittimità sostanziale della modifica posta in essere, in rapporto al regime dell’area, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria. Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 del DPR n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
Sarà in quella sede che, se del caso, il Comune valuterà l’esatta portata degli artt. 13, comma 2, e 16, comma 1, del vigente Regolamento Urbanistico -che in base alla prospettazione di parte appellante precluderebbero, anche dal punto di vista sostanziale, l’assentimento del cambio di destinazione d’uso- non potendosi pertanto esaminare in questa sede la questione prima che sulla stessa si sia espressa l’amministrazione, pena il rischio di violare il disposto di cui all’art. 34, comma 2, del c.p.a. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.06.2021 n. 4940 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Nel caso di specie le modifiche introdotte incidono sull’utilizzo degli spazi che, lungi dal determinare una migliore fruizione dello spazio esterno, comportano l’estensione dell’attività interna all’area esterna, equiparandola, nelle condizioni di utilizzo, all’area interna, alla luce del fatto che permangono i caratteri di completa chiusura dello spazio interessato.
Le opere realizzate non comportano solo una migliore fruibilità degli spazi esterni del ristorante, e quindi della somministrazione all’aperto, ma permettono l’utilizzo dell’area senza limite di tempo, svolgendo la stessa funzione di un’opera edilizia, alla quale quindi vanno equiparate.
Infatti l’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del Testo Unico dell’Edilizia qualifica come “interventi di nuova costruzione” (come tali assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni , ambienti di lavoro oppure depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee…”
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4. Anche il terzo motivo è infondato.
Per quanto riguarda il profilo edilizio la ricorrente richiama l’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. VI n. 1619 del 27/04/2016) secondo il quale le cc.dd. “pergotende” non possono essere considerate “opere precarie”.
In merito occorre rilevare che, secondo il suddetto orientamento, una struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare una tenda retrattile in tessuto non integra gli effetti di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” propri degli “interventi di nuova costruzione” ex artt. 3 e 10 DPR n. 380/2001.
Nel caso di specie, invece, abbiamo la trasformazione di un muro perimetrale in parete del vano creato con soprastante finestratura fissa con serramenti tipo vasistas, su un lato, e moduli a vetro con porta dotata di maniglioni antipanico che integrano, insieme al muro dell’edificio, la struttura portante della costruzione, rispetto alla quale il carattere ritraibile della tenda svolge solo la funzione di maggiore areazione e di tutela dalle intemperie, così creando un nuovo organismo edilizio.
Per quanto riguarda poi il mancato esercizio del potere conformativo di tipo paesistico previsto dall’art. 17 del d.P.R. 31/2017 il motivo è infondato in quanto la norma prevede che l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il Soprintendente, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice, dispongono la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere.
E’ chiaro quindi che il potere conformativo opera nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice cioè quando il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. Poiché nel caso di specie la ricorrente non ha presentato domanda di accertamento di conformità, la norma non è applicabile.
Il motivo è infondato anche nella parte in cui contesta la sospensione parziale dell’attività di somministrazione nell’area interessata dall’abuso in quanto il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (da ultimo TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 26.07.2018 n. 4979).
5. Venendo ora all’esame del ricorso per motivi aggiunti, il primo motivo di ricorso è infondato.
Come chiarito dalla giurisprudenza citata dalla ricorrente (Cons. Stato, sez. VI n. 1619 del 27/04/2016) le “pergotende” realizzate non si connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio, stabile e duraturo.
Nel caso di specie le modifiche introdotte incidono sull’utilizzo degli spazi che, lungi dal determinare una migliore fruizione dello spazio esterno, comportano l’estensione dell’attività interna all’area esterna, equiparandola, nelle condizioni di utilizzo, all’area interna, alla luce del fatto che permangono i caratteri di completa chiusura dello spazio interessato.
Le opere realizzate, come indicato nell’atto impugnato, non comportano solo una migliore fruibilità degli spazi esterni del ristorante, e quindi della somministrazione all’aperto, ma permettono l’utilizzo dell’area senza limite di tempo, svolgendo la stessa funzione di un’opera edilizia, alla quale quindi vanno equiparate.
Infatti l’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del Testo Unico dell’Edilizia qualifica come “interventi di nuova costruzione” (come tali assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni , ambienti di lavoro oppure depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee…” (in senso analogo TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11/11/2016 n. 2109)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.08.2019 n. 1921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Sicché, risulta legittimo il provvedimento comunale di chiusura dell’attività determinato dalla riscontrata abusività dell’edificio in cui essa si svolge.
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Va osservato –infatti– in punto di diritto che “Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880)” – da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, sent. 29/05/2018 n. 3212.
Alla stregua di tale consolidato orientamento, risulta legittimo il provvedimento comunale di chiusura dell’attività determinato dalla riscontrata abusività dell’edificio in cui essa si svolge (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 26.07.2018 n. 4979 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato […] su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs. 31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
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Al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunge quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il certificato di agibilità aveva la funzione di attestare (art. 24 s. dPR 380/2001).
Ed al riguardo la giurisprudenza testé citata ha ribadito come «i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza”.
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La ricorrente impugna l’ordinanza del 21.04.2017, n. 6743, con cui il Comune di Orta di Atella, facendo richiamo a quanto già contestatole con l’atto di diffida alla prosecuzione dell’attività del 18.12.2014, prot. 15335, le ha ingiunto l’immediata chiusura dell’esercizio commerciale esercitato in via ... n. 45 in relazione alla mancanza del certificato di agibilità dei locali presso i quali l’attività è svolta, da ultimo acclarata con verbale di accertamento del Comando di Polizia Municipale n. 121/17, prot. 852/P.M. del 14.04.2017.
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Nel merito, il ricorso è infondato.
In via generale, deve osservarsi che, come recentemente ribadito dal giudice di appello in altra controversia concernente il Comune di Orta di Atella, «secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato […] su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V, 08.05.2012, n. 5590). Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880) [….] Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs. 31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso. In ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ. mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale), che contiene una previsione analoga in riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di vicinato, soggetti alla SCIA» (cfr. C.d.S., sez. V, 29.05.2018, n. 3212).
Ancora sul piano generale, va ricordato che al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunge quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il certificato di agibilità aveva la funzione di attestare (art. 24 s. dPR 380/2001); ed al riguardo la giurisprudenza testé citata (C.d.S., sez. V, n. 3212/2018) ha ribadito come «i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza” (così Cons. Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220)».
Nel caso in esame, la mancanza del certificato di agibilità dei locali di svolgimento dell’attività risulta già alla base dell’atto di diffida del 18.12.2014, prot. 15335, con il quale l’Ente territoriale ha contestato alla ricorrente il comportamento inerte dalla stessa tenuto ben oltre i termini concessi ai proprietari, a far data dall’approvazione del Piano urbanistico comunale, per regolarizzare la propria posizione amministrativa ed eliminare i vizi ostativi per il proseguimento delle loro attività.
Non consta che, nonostante ciò, da allora la ricorrente abbia provveduto a tanto, dotandosi del certificato di agibilità o di titolo equipollente. Si aggiunga che la stessa non ha fornito alcun inizio di prova di aver in corso altro procedimento finalizzato a regolarizzare l’aspetto in questione, concentrandosi piuttosto sulla tesi, che si è dimostrata infondata, della sostanziale irrilevanza della semplice mancanza del certificato di agibilità.
Constatata la carenza del presupposto, il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività commerciale mediante l’adozione di un provvedimento di natura doverosa e vincolata (cfr., ancora, C.d.S., sez. V, n. 3212/2018 cit.), che, perciò, resiste anche alla censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento.
Per queste ragioni, in conclusione, il ricorso dev’essere respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 04.07.2018 n. 4448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico–edilizia.
E’ stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti: il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs. 31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
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Per un verso è da ritenere che sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio rilasciato e conseguentemente va anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di costruire possano condizionare quelle del certificato di agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal fatto che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che “i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza”.
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... per la riforma della sentenza breve 20.02.2017 n. 1036 del TAR CAMPANIA–NAPOLI, SEZ. III, resa tra le parti.
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1. Il Comune di Orta di Atella (CE) ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sez. III, ha accolto il ricorso proposto da Cr.Ci., quale titolare della ditta individuale “Minimarket ...” con sede in Orta di Atella (CE), avviata per lo svolgimento di attività di commercio al pubblico di generi alimentari e diversi, avverso il provvedimento prot. n. 21122 del 21.12.2016, con cui il Responsabile del Settore Attività Produttive – Sportello Unico Attività Produttive del Comune aveva disposto l’annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28.07.2016 dal Ci. per l’esercizio dell’attività di commercio al pubblico di generi alimentari vari, presso i locali di via ..., con conseguente inibizione dell’attività commerciale avviata.
A base dell’annullamento della s.c.i.a. era posto l’annullamento in autotutela del permesso a costruire n. 130 del 15.07.2005 (avvenuto con provvedimento n. 1854 del 21.09.2009), relativo ai locali ospitanti l’attività di commercio al pubblico di generi alimentari, e la mancanza di validità dell’attestazione di agibilità per i locali interessati dal permesso di costruire annullato.
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5. L’appello è fondato e va accolto.
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5.3. Passando all’esame del merito si rileva quanto segue.
5.3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V, 08.05.2012, n. 5590).
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880).
5.3.2. Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico–edilizia (Cons. Stato, V, 17.10.2002, n. 5656 e 28.06.2000, n. 3639).
E’ stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21.04.1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio.
5.3.4. Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs. 31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs. n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
In ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ. mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale), che contiene una previsione analoga in riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di vicinato, soggetti alla SCIA.
Per comprendere se le regole ed i principi di cui sopra trovino applicazione nel caso di specie, che pur presenta delle peculiarità, occorre evidenziare, in fatto, i seguenti elementi, così come risultano dagli atti, secondo il loro ordine cronologico:
   - il permesso a costruire n. 130 del 15.07.2005, rilasciato in favore della società Ed.F.G.C. s.r.l. (oggi Ed.F.G.C. S.p.A.), cui fa capo la titolarità dell’immobile nel quale si trovano i locali da adibire ad attività commerciale da parte del sig. Ci., è stato annullato in autotutela con provvedimento n. 1854 del 21.09.2009;
   - detto provvedimento è stato impugnato dalla società Ed.F.G.C. S.p.A. ed il ricorso è stato respinto con sentenza del TAR Campania, sez. VIII, depositata il 02.07.2015, n. 3483/15;
   - la sentenza è stata appellata dalla società ricorrente ed il ricorso in appello, depositato il 26.02.2016, iscritto col numero di registro 1542/2016, è tuttora pendente dinanzi alla IV sezione di questo Consiglio di Stato, senza che siano state adottati provvedimenti cautelari;
   - in data 28.07.2016, pendente perciò tale ultimo giudizio, il sig. Ci.Cr., nella qualità di titolare della ditta individuale “Minimarket ...”, ha presentato segnalazione certificata di inizio di attività in materia di “minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari” presso i locali siti in Orta di Atella, alla via ..., ..., s.n.c., già oggetto del permesso di costruire di cui sopra, nonché di certificato di agibilità con destinazione commerciale n. 36 del 20.01.2007 (non fatto oggetto di provvedimenti in autotutela);
   - il procedimento di verifica della s.c.i.a. è stato avviato in data 30.09.2016 nota prot. n. 15148 e si è concluso col provvedimento impugnato, prot. n. 21122 del 21.12.2016, che nella motivazione richiama sia la sentenza del TAR (erroneamente indicata col numero di iscrizione del ricorso) di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di annullamento del permesso di costruire, sia il parere legale del 23.11.2016 (con cui si assume che il certificato di agibilità sia stato “travolto” dall’annullamento in autotutela del permesso di costruire), sia un precedente giurisprudenziale che afferma il principio -di cui si è detto sopra- che la “legittimità urbanistica dei locali costituisce presupposto indefettibile del legittimo esercizio dell’attività commerciale”; disponendone perciò annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28.07.2016.
5.3.5. L’appello del Comune in sostanza si basa sull’applicazione del principio di cui si è appena detto (pur intrattenendosi più del necessario sulla non sanabilità dell’abuso e sull’impraticabilità dei rimedi, compresa la sanzione amministrativa, di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001), oltre che sulla circostanza dell’avvenuta caducazione dell’agibilità dei locali.
L’appellato oppone diversi argomenti, che ricalcano quelli posti a fondamento della sentenza impugnata, che tuttavia vanno disattesi per le ragioni qui di seguito indicate.
5.3.5.1. Il provvedimento di annullamento del permesso di costruire n. 1854 del 21.09.2009, sebbene asseritamente illegittimo e impugnato in separato giudizio (al quale è estraneo l’appellato), è nondimeno efficace e non disapplicabile, per la stessa amministrazione e per il giudice amministrativo, finché non risulti annullato o sospeso nelle forme previste dall’ordinamento; non può rilevare che in riferimento ad altri annullamenti in autotutela disposti dal Comune di Orta di Atella il giudizio di appello si sia concluso sfavorevolmente per l’ente locale, come sottolinea la difesa dell’appellato citando le relative decisioni di questo Consiglio di Stato (aventi i numeri 3996 e 3997 del 2016), poiché riferite a permessi di costruire ed a provvedimenti di annullamento riguardanti altri immobili ed altri soggetti;
5.3.5.2. Se è vero che, allo stato, non risultano adottate dagli organi competenti del Comune apposite sanzioni repressive dell’abuso che precludano in modo assoluto l’esercizio di un’attività commerciale (in particolare l’ordine di demolizione), riguardanti l’immobile abusivo nel quale si trovano i locali nella disponibilità dell’appellato, va considerato che nel caso di specie è fondamentale il dato -trascurato nella sentenza impugnata- che la presentazione della s.c.i.a. è di gran lunga successiva (2016) all’adozione del provvedimento di annullamento (2009), nonché al rigetto del ricorso avverso questo provvedimento da parte del Tar (2015): quando l’attività commerciale è stata avviata l’immobile era già privo di permesso di costruire.
E’ vero perciò che la verifica della regolarità urbanistico-edilizia dei locali adibito a negozio è stata compiuta dopo l’inizio dell’esercizio dell’attività, ma si tratta di verifica avviata ai sensi dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241: tale norma testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, in carenza dei quali vieta la prosecuzione dell’attività (comma 3, art. 19 cit.).
La norma, riferita al caso in esame, ha comportato che il Comune abbia dovuto controllare che i locali, dove avrebbe dovuto essere svolta l’attività commerciale oggetto della s.c.i.a., fossero, dal punto di vista urbanistico-edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico. Constatata la carenza del presupposto, venuto meno in epoca precedente la presentazione dell’istanza di s.c.i.a. da parte del sig. Ci., il Comune non avrebbe potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività commerciale denunciata da quest’ultimo.
5.3.5.3. Si tratta di provvedimento vincolato, rispetto al quale non è invocabile la valutazione alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, soprattutto se si considera che l’appellato, pur essendo terzo rispetto alla vicenda inerente il permesso di costruire, non ha da invocare la tutela del proprio legittimo affidamento.
Infatti, prima di avviare l’attività commerciale avrebbe dovuto assicurarsi dell’idoneità dei locali da adibire allo scopo (fatto salvo quanto previsto nel contratto di locazione commerciale stipulato con la società proprietaria e locatrice F.G.C. Ed. S.p.A., rilevante nei rapporti tra i soggetti contraenti, e in ambito di diritto privato), tenuto conto delle previsioni normative che ne richiedono la conformità alla normativa edilizia ed urbanistica – senza che rilevi che negli stessi locali fosse già esercitata altra attività commerciale, poiché autorizzata nei confronti di diversi soggetti.
5.3.5.4. Non rileva, ancora, il mancato ritiro, da parte del Comune di Orta di Atella, del certificato di agibilità dei locali con destinazione commerciale n. 36 del 20.01.2007.
Per un verso è da ritenere, anche alla stregua dell’art. 24 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (secondo cui la richiesta di certificato di agibilità presuppone necessariamente la “conformità delle opere realizzate al progetto approvato”, dato che la richiesta deve essere corredata da una dichiarazione resa in tal senso dell’interessato), che sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti, atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio rilasciato (cfr. Cons. Stato, V, 16.10.2013, n. 5025) e conseguentemente va anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di costruire possano condizionare quelle del certificato di agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal fatto che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che “i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza” (così Cons. Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220).
Il mancato ritiro del certificato di agibilità, così come non impedirebbe al Sindaco di reprimere gli abusi edilizi (cfr. Cons. Stato, V, 03.02.1992, n. 87), nemmeno avrebbe potuto consentire l’esercizio dell’attività commerciale in immobile privo di permesso di costruire.
D’altronde, entrambe le ragioni –carenza di permesso di costruire e caducazione sopravvenuta del certificato di agibilità- sono poste a fondamento del provvedimento qui impugnato, ma la prima è, da sola, idonea a sorreggere l’adozione del provvedimento di annullamento della S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
5.3.5.5. Infine tutti gli argomenti che fanno leva sull’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, sia a sostegno dell’accoglimento dell’appello (nel presupposto della sua inapplicabilità in ragione dei vizi di carattere sostanziale che avrebbero inficiato l’originario permesso di costruire) sia a sostegno del suo rigetto (nel presupposto che, comunque, si dovrebbero attendere le determinazioni da prendersi da parte della p.a. in merito alle conseguenze prodotte dall’annullamento del permesso di costruire, quindi si dovrebbe attendere anche l’adozione di provvedimenti espliciti in merito alla sanabilità dell’opera od all’applicabilità/inapplicabilità della sanzione ex art. 38 detto) risultano irrilevanti ed estranei al presente giudizio (ed, invece, più pertinenti rispetto a quello relativo all’impugnazione del provvedimento di annullamento, nel quale il Comune è ovviamente coinvolto).
Parimenti irrilevanti risultano i procedimenti amministrativi che si assumono avviati dalla FGG Ed. S.p.A. volti a rimediare alle carenze urbanistiche poste a base dell’annullamento del permesso di costruire e le criticità che discendono da tale annullamento quali rappresentate anche nella nota prot. n. 1334 del 25.11.2016 del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Orta di Atella, richiamata dall’appellato.
L’attuale carenza di permesso di costruire impedisce che, allo stato, i locali che si trovano all’interno dell’immobile interessato dal provvedimento di annullamento del titolo abilitativo edilizio siano adibiti ad attività commerciali.
6. In conclusione, l’appello va accolto ed, in riforma della sentenza impugnata, va respinto l’originario ricorso proposto da Ci.Cr., in proprio e quale titolare della ditta individuale “Minimarket ...” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.2018 n. 3212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: Parere in merito all’opportunità di eliminare gli estremi del certificato di agibilità dei locali dal procedimento per l’avvio di un’attività commerciale o produttiva (Legali Associati per Celva, nota 07.02.2018 - tratto da www.celva.it).
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Problema riscontrato: Lo Sportello unico degli enti locali ha messo in atto un processo di revisione dei procedimenti di propria competenza nell’ottica della semplificazione per il richiedente.
Il processo, inoltre, persegue l’obiettivo di adeguare i procedimenti telematici del SUEL alla modulistica approvata in sede di Conferenza Unificata, in accordo tra Governo, Regioni ed enti locali.
Tra le diverse novità introdotte dalla modulisitica unificata, vi è l’eliminazione di alcuni dati e adempimenti, tra i quali l’indicazione degli estremi relativi all’agibilità dei locali, per l’avvio di un’attività commerciale o produttiva.
Il sito www.italiasemplice.gov.it, curato dal Dipartimento della Funzione pubblica, illustra tali premesse: "(…) Con l'accordo tra Governo, Regioni ed enti locali siglato in Conferenza Unificata il 04.05.2017, è stata raggiunta l’intesa su moduli unificati e standardizzati per comunicazioni e istanze nei settori dell'edilizia e delle attività commerciali e assimilate.
L’accordo è stato pubblicato sul Supplemento ordinario n. 26 della Gazzetta Ufficiale n. 128 del 05.06.2017.
Con l’arrivo dei moduli unici nazionali i cittadini e le imprese che vogliono aprire, ad esempio, un negozio, un bar, o un esercizio commerciale (comprese le attività di e-commerce e di vendita a domicilio) o avviare interventi edilizi, come i lavori di ristrutturazione della propria casa, avranno tempi e regole certi e una riduzione dei costi e degli adempimenti, con una modulistica più semplice e valida su tutto il territorio nazionale.
Tra le novità più importanti:
Non possono più essere richiesti dati e adempimenti che derivano da prassi amministrative, ma non sono espressamente previsti dalla legge. Ad esempio, non è più richiesto il certificato di agibilità dei locali per l’avvio di un’attività commerciale o produttiva. (…)”.
Riferimenti normativi: legge regionale 06.041998, n. 11
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: -
Quesiti: Si richiede pertanto un parere con riferimento all’opportunità di eliminare gli estremi del certificato di agibilità dei locali per l’avvio di un’attività commerciale o produttiva, considerando anche quanto previsto dalla legge regionale 06.04.1998, n. 11 “Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale della Valle d'Aosta”.

anno 2015

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art. 19 della L. 241/1990, il quale testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano, dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico.

Il Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art. 19 della L. 241/1990, il quale testualmente dispone che l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano, dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone come un presupposto indispensabile per consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura, coinvolge il pubblico.
E giacché la conformità a legge dei locali costituisce un necessario presupposto, la cui assenza impedisce lo svolgimento dell’attività commerciale considerata, tale profilo della vicenda risulta assorbente e va considerato per primo.
Dagli atti di causa risulta che la società ricorrente ha realizzato una struttura in legno, con la quale ha coperto il terrazzo, modificando la sagoma dell’edificio. Le opere realizzate sono visibili dalla strada. In tale modo, come esattamente osserva il Comune nella sua memoria, si è realizzato un primo piano, con superficie di non meno di 58 mq circa, a destinazione commerciale, qual è quella della ristorazione.
Un siffatto intervento esula dalla previsione dell’art. 20 della L.R. 4/2003, che ribadisce al comma 6 che la realizzazione di verande non può comportare una variazione della destinazione d’uso della superficie modificata, la quale, comunque non può eccedere i 50 mq.. La tesi della società ricorrente secondo cui il comma 7 della norma citata prevede un diverso limite di 60 mq per gli edifici adibiti esclusivamente ad attività commerciali, non ha pregio, giacché ciò è consentito nel caso che vengano realizzate opere per l’adeguamento degli edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico sanitarie, con l’avvertenza che le opere realizzate con tale finalità possono essere regolarizzate previa richiesta di autorizzazione.
Il Collegio rileva, quindi, che le diverse tesi della società ricorrente non possono essere condivise e il motivo di ricorso va rigettato.
Nel provvedimento comunale impugnato si legge che l’accessibilità al solaio di copertura, servito da una scala a chiocciola interna al locale del piano terra, non risulta conforme al D.M. 236 del 14.06.1989 artt. 4 e 8. Il primo giudice ha ritenuto tale motivazione del provvedimento impugnato immune da vizi, ritenendo del tutto irrilevante che la medesima scala fosse stata ritenuta idonea ad un uso privato, “quando il terrazzo non risultava occupato da iniziative commerciali”.
La ricorrente non rivolge a questo punto della sentenza nessuna censura sostanziale, ma piuttosto lamenta che “il Comune ha affermato l’esistenza di due ragioni di diniego della SCIA, che non aveva incluso fra i motivi ostativi nell’avviso di avvio del procedimento, senza quindi consentire alla ricorrente di presentare le proprie osservazioni, frustrando la finalità partecipativa della norma”.
Il Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal primo giudice. L’art. 4 del citato decreto 236/1989 prevede espressamente una serie di requisiti che debbono avere le scale degli edifici aperti al pubblico, requisiti che la scala chiocciola non sembra avere né la ricorrente dice che li abbia. Non si vede, quindi, quali osservazioni essa avrebbe potuto presentare al Comune, che si è limitato a richiamare una precisa norma, che non lascia spazio a valutazioni discrezionali.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato infondato e come tale va respinto con assorbimento di ogni altro motivo (C.G.A.R.S., sentenza 18.06.2015 n. 446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAIl legittimo esercizio di un’attività commerciale deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere.
Tuttavia, non può sanzionarsi con l’ordine di cessazione dell’attività il fatto che l’attività commerciale si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l’area interessata sia assoggetta a vincolo).
Un tale ordine, infatti, verrebbe a collidere con i criteri di ragionevolezza e sproporzione che devono improntare l’azione amministrativa, costituendo, in definitiva, sintomo di sviamento di quell’azione, ben potendo l’Amministrazione, nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso all’esplicazione di un’attività imprenditoriale, ove materialmente possibile e accertata la sussistenza dei requisiti igienico-sanitari per la restante parte, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio.

Va osservato preliminarmente, secondo il costante orientamento della Sezione, che il legittimo esercizio di un’attività commerciale deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007; cfr. anche, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 05.11.2012 n. 5590).
Al tempo stesso va rimarcato –sempre in linea con la richiamata giurisprudenza- che non può sanzionarsi con l’ordine di cessazione dell’attività il fatto che l’attività commerciale si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l’area interessata sia assoggetta a vincolo). Un tale ordine, infatti, verrebbe a collidere con i criteri di ragionevolezza e sproporzione che devono improntare l’azione amministrativa, costituendo, in definitiva, sintomo di sviamento di quell’azione, ben potendo l’Amministrazione, nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso all’esplicazione di un’attività imprenditoriale, ove materialmente possibile e accertata la sussistenza dei requisiti igienico-sanitari per la restante parte, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 21.12.2012 n. 5326 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere, ma che, al tempo stesso, non può sanzionarsi con l'ordine di chiusura dell'intero esercizio il fatto che quest'ultimo si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l'area interessata sia assoggetta a vincolo), rivelandosi tale ordine eccessivo e perciò viziato sotto il denunciato profilo dell'eccesso di potere.
Appare, infatti, contrario a criteri di ragionevolezza -e perciò sintomo di sviamento dell'azione amministrativa- inibire per intero l'esercizio di un'attività commerciale quando soltanto una parte dei locali in cui essa è svolta non è in regola con la normativa edilizia, ben potendo l'Amministrazione, nell'esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l'interesse pubblico alla repressione degli abusi e l'interesse privato sotteso all'esplicazione di un'attività imprenditoriale, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio.

Il Tribunale ha in passato osservato, in linea con il proprio costante orientamento, che “non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007), ma che, al tempo stesso, non può sanzionarsi con l'ordine di chiusura dell'intero esercizio il fatto che quest'ultimo si svolga solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l'area interessata sia assoggetta a vincolo), rivelandosi tale ordine eccessivo e perciò viziato sotto il denunciato profilo dell'eccesso di potere. Appare, infatti, contrario a criteri di ragionevolezza -e perciò sintomo di sviamento dell'azione amministrativa- inibire per intero l'esercizio di un'attività commerciale quando soltanto una parte dei locali in cui essa è svolta non è in regola con la normativa edilizia, ben potendo l'Amministrazione, nell'esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del contemperamento tra l'interesse pubblico alla repressione degli abusi e l'interesse privato sotteso all'esplicazione di un'attività imprenditoriale, limitare la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio” (TAR, Campania, Napoli, sez. III, 08.06.2010, n. 13015).
La giurisprudenza da ultimo citata è, peraltro, applicabile solo laddove sia possibile distinguere la parte abusiva da quella legittima ma non nei casi in cui i lavori abusivi abbiano interessato l’intera struttura trasformandola in modo da non potersi più riconoscere e agevolmente separare la parte originariamente autorizzata da quella oggetto di modifica.
E’ evidente, comunque, che le determinazioni assunte in ordine alla cessazione dell’attività commerciale autorizzata debbano trovare nel provvedimento un’idonea motivazione, che nella fattispecie difetta
(TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 11.12.2012 n. 5072 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale e, quindi, tra le condizioni richieste ai fini della formazione del titolo abilitante anche mediante la sola dichiarazione del privato (DIA, poi SCIA), va senz’altro annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività viene ad essere svolta secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, cui questa Sezione si è già in altre circostanze richiamata:
● la conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n. 47/1985, del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia;
● non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere.

Invero, l’esercizio di un’attività commerciale può avvenire solo in presenza di un titolo abilitante, in passato denominato “licenza di commercio” e che attualmente, in attuazione dei principi di semplificazione dell’azione amministrativa, può formarsi in virtù della sola iniziativa del privato (denuncia di inizio attività DIA, segnalazione certificata di inizio attività SCIA), sempre che ricorrano condizioni e presupposti richiesti dalla legge (cfr. art. 19 l. n. 241/1990 recante la disciplina generale), risolvendosi essa, in mancanza di detti presupposti e condizioni, in attività commerciale abusiva.
Tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale e, quindi, tra le condizioni richieste ai fini della formazione del titolo abilitante anche mediante la sola dichiarazione del privato (DIA, poi SCIA), va senz’altro annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività viene ad essere svolta secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, cui questa Sezione si è già in altre circostanze richiamata: «la conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, d.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n. 47/1985, del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia (Consiglio Stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760, conforme, Id., sez. V, 16.08.2010 , n. 5701)»; «non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007)».
Nel caso di specie, l’irregolarità del cespite in cui l’attività avrebbe dovuta essere svolta è acclarata dall’avvenuta presentazione di una domanda di sanatoria edilizia straordinaria (cd. condono edilizio), rigettata dal Comune di Pozzuoli (cfr. motivazione del provvedimento impugnato) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 22.11.2012 n. 4724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie in questione con le prescrizioni urbanistiche.
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Tutti i provvedimenti legittimamente fondati su tali presupposti (abusi edilizi) non necessitino di alcuna particolare valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti, non essendo configurabile alcun tipo di affidamento meritevole di tutela alla conservazione di situazione fondate su “illeciti permanenti”, che il tempo non può sanare in via di fatto.

Sul primo aspetto il Collegio ritiene di richiamare, facendolo proprio, il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato secondo il quale “nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie in questione con le prescrizioni urbanistiche” (Consiglio di Stato, sez. IV, 14/10/2011, n. 5537).
Sicché del tutto corretta appare la motivazione del TAR di Napoli, che muovendosi sul solco tracciato dalla citata giurisprudenza ha confermato che il legittimo esercizio di un'attività commerciale, soprattutto se essa comporti –come nel caso di specie- la somministrazione di alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere.
Nel caso di specie, per quanto allegato dallo stesso ricorrente, è incontroversa la mancanza di conformità urbanistica-edilizia del compendio aziendale, di talché ineccepibile appare il consequenziale provvedimento inibitorio adottato dal Comune di Pompei, rispetto alla richiesta di rilascio della relativa autorizzazione commerciale. E ciò, anche alla luce della disciplina regionale e statale in materia di aziende agrituristiche, puntualmente richiamata dal TAR nella decisione gravata, che il Collegio ritiene di condividere pienamente anche sotto tale specifico aspetto.
Ne consegue che la sentenza merita conferma anche nella parte in cui ha ritenuto corretto il comportamento del Comune di Pompei che ha ordinato la cessazione dell’attività abusiva di agriturismo condotta dall’appellante, sul rilievo della non assentibilità dei manufatti realizzati nel compendio aziendale e della improcedibilità dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione sanitaria in relazione a locali ed ambienti oggetto di una pluralità di modifiche, oltre che in ragione dell’insussistenza di altri fondamentali presupposti (quali l’iscrizione all’elenco regionale degli operatori agrituristici).
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L’appellante lamenta, poi, il fatto che il TAR non avrebbe considerato la circostanza, quanto alla interruzione della propria attività, che vi fosse un affidamento formatosi “medio tempore”.
Sul punto, mutuando i principi in tema di provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, la Sezione ritiene che tutti i provvedimenti legittimamente fondati su tali presupposti (abusi edilizi) non necessitino di alcuna particolare valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti, non essendo configurabile alcun tipo di affidamento meritevole di tutela alla conservazione di situazione fondate su “illeciti permanenti”, che il tempo non può sanare in via di fatto (Cons. St., sez. IV, 16/04/2012, n. 2185).
Ciò vale tanto più nel caso di specie, atteso che -come opportunamente evidenziato dal TAR di Napoli– nella materia delle aziende agrituristiche vi è una disciplina legislativa statale e regionale particolarmente rigorosa, perché finalizzata a preservare la specificità del settore agrituristico e la genuinità dei prodotti fruibili all’interno dell’azienda agrituristica
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.11.2012 n. 5590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sentenza Cds sulla regolarità urbanistica. Locali irregolari? Attività abusiva.
È abusivo l'esercizio dell'attività agrituristica in locali che presentano irregolarità sotto il profilo edilizio-urbanistico ed è legittimo l'ordine di cessazione dell'attività pronunciato dal comune. Il legittimo esercizio di un'attività commerciale, soprattutto se essa comporti, come nel caso di specie, la somministrazione di alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere. Nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie in questione con le prescrizioni urbanistiche. Nel caso di specie, è incontroversa la mancanza di conformità urbanistica-edilizia del compendio aziendale, pertanto appare ineccepibile il consequenziale provvedimento inibitorio adottato dal comune, rispetto alla richiesta di rilascio della relativa autorizzazione commerciale. In materia di agriturismo vi è una disciplina legislativa statale e regionale particolarmente rigorosa, perché finalizzata a preservare la specificità del settore a e la genuinità dei prodotti fruibili all'interno dell'azienda.

Questo è il contenuto della
sentenza 05.11.2012 n. 5590 del Consiglio di Stato (Sez. V).
I giudici di Palazzo Spada ritengono corretto il comportamento del comune che ha ordinato la cessazione dell'attività abusiva di agriturismo, sul rilievo della non assentibilità dei manufatti realizzati nel compendio aziendale e della improcedibilità dell'istanza di rilascio dell'autorizzazione sanitaria in relazione a locali (articolo ItaliaOggi del 13.11.2012).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATAL’accertamento della conformità alle prescrizioni in materia edilizia-urbanistica è condizione sia per il rilascio delle autorizzazioni commerciali per l'apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della perdurante legittimità dell'attività assentita, pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio.
La normativa statale di riferimento in materia di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
L’art. 64, c. 6, del d.lgs. 59 del 2010 di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno -replicando invero quanto già precedentemente sancito dall’art. 3, c. 7, l. 287/1991- infatti stabilisce che “l'avvio e l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande è soggetto al rispetto delle norme urbanistiche, edilizie, igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro”, mantenendo al comma primo, per l’apertura degli esercizi, il titolo autorizzatorio preventivo rilasciato dal comune competente per territorio.
La situazione non cambia per effetto dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 19 l. 241/1990, come introdotto dalla l. 122/2010, perché anche a voler ritenere tendenzialmente applicabile il nuovo istituto della SCIA all’apertura dell’attività di somministrazione alimenti e bevande, trattandosi comunque di attività non sottoposta ad alcun contingentamento o programmazione settoriale (fatta eccezione per le ipotesi contemplate dallo stesso comma terzo dell’art. 64 d.lgs. 59/2010) la conformità urbanistico-edilizia dei locali è comunque da ritenersi, secondo la citata disciplina di settore, presupposto di operatività od esistenza per la formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, senza contare comunque che la SCIA stessa non può operare allorché sussista, come nella fattispecie, vincolo di natura paesaggistica (art 19, c. 1, l. 241/1990 e s.m.) e allorché vi sia insistenza su area demaniale occupata (seppur parzialmente) sine titulo.
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... per l'annullamento, previa sospensiva,
   - della diffida prot. n. 2931/P.M. del 18.05.2009 del Dirigente del II° Settore e attività produttive del Comune di Polignano a Mare avente ad oggetto "diffida all'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande in località .... Diffida al conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale";
   - dell'ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n. PM 3736;
   - della nota prot. n. 3552/P.M. del 15.06.2009 del Dirigente del II° settore e attività produttive del Comune di Polignano a Mare avente ad oggetto "divieto di prosecuzione dell'esercizio di attività abuisiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande" e del richiamato verbale del 18.05.2009;
   - nonché ove ritenuto necessario della ordinanza di sospensione lavori n. 13/U.T.-91RG del 24.06.2009 del Dirigente della Struttura Urbanistica ed edilizia del Comune di Polignano a Mare con la quale erano contestate presunte difformità al permesso di costruire n. 2005-082 del 13.04.2005;
   - di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ancorché non conosciuti, nonché per il risarcimento dei relativi danni.

quanto ai primi motivi aggiunti notificati in data 03.05.2010:
   - della nota prot. n. 4297/2010 del 01.03.2010 del Dirigente del Servizio Staff e Attività produttive, comunicata con raccomandata a.r. successivamente ricevuta, con la quale era denegato il rinnovo dell'autorizzazione amministrativa per l'anno 2010 per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande in località C... e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ancorché non conosciuti, nonché per il risarcimento dei relativi danni.

quanto ai secondi motivi aggiunti depositati il 09.07.2010:
    - della nota prot. 12476 del 28.05.2010 del Dirigente dei servizi di staff ufficio attività produttive del Comune di Polignano a Mare avente ad oggetto il rigetto della richiesta di autorizzazione amministrativa stagionale avanzata dal ricorrente per la somministrazione di alimenti e bevande in località ..., della nota prot. 10.930 del 12.05.2010 di preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 241/1990 e di diffida allo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nonché ove ritenuto necessario di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ancorché non conosciuti, nonché per il risarcimento dei relativi danni..

quanto ai terzi motivi aggiunti notificati il 31.03.2011:
   - della nota 2638 del 02.02.2011 pervenuta il 3 febbraio della struttura urbanistica ed edilizia del Comune di Polignano a Mare di rigetto della richiesta di accertamento in conformità ex art 36 d.p.r. 380/2001 da parte del ricorrente nonché della presupposta nota della Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio di Bari prot. 9520 del 13.10.2010;
   - di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale a quello impugnato ancorché non conosciuto.
...
L’azione demolitoria complessivamente proposta dall’odierno ricorrente poggia sull’accertamento della fondatezza della pretesa a poter legittimamente continuare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande erogata da alcuni anni presso località Cala Paura, unitamente all’accertamento, di carattere pregiudiziale, della conformità urbanistico-edilizia delle opere realizzate strumentali a tale attività.
Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente l’impugnativa di cui ai terzi motivi aggiunti del diniego di sanatoria edilizia ai sensi dell’art 36 d.p.r. 380/2001, essendo l’accertamento della conformità alle prescrizioni in materia edilizia-urbanistica condizione sia per il rilascio delle autorizzazioni commerciali per l'apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della perdurante legittimità dell'attività assentita, pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio (così TAR Campania Napoli III 12.04.2010, n. 1923, in termini Consiglio di Stato sez. V 28.05.2009 n. 3262, id. sez. V 05.04.2005 n. 1543, TAR Liguria sez. II 11.04.2008 n. 543).
La normativa statale di riferimento in materia di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
L’art. 64, c. 6, del d.lgs. 59 del 2010 di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno -replicando invero quanto già precedentemente sancito dall’art. 3, c. 7, l. 287/1991- infatti stabilisce che “l'avvio e l'esercizio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande è soggetto al rispetto delle norme urbanistiche, edilizie, igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro”, mantenendo al comma primo, per l’apertura degli esercizi, il titolo autorizzatorio preventivo rilasciato dal comune competente per territorio.
La situazione non cambia per effetto dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 19 l. 241/1990, come introdotto dalla l. 122/2010, perché anche a voler ritenere tendenzialmente applicabile il nuovo istituto della SCIA all’apertura dell’attività di somministrazione alimenti e bevande, trattandosi comunque di attività non sottoposta ad alcun contingentamento o programmazione settoriale (fatta eccezione per le ipotesi contemplate dallo stesso comma terzo dell’art. 64 d.lgs. 59/2010) la conformità urbanistico-edilizia dei locali è comunque da ritenersi, secondo la citata disciplina di settore, presupposto di operatività od esistenza per la formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, senza contare comunque che la SCIA stessa non può operare allorché sussista, come nella fattispecie, vincolo di natura paesaggistica (art 19, c. 1, l. 241/1990 e s.m.) e allorché vi sia insistenza su area demaniale occupata (seppur parzialmente) sine titulo (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 09.07.2011 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione dell’ordinanza sindacale con la quale è stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante in quanto esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Tanto il certificato di agibilità dei locali quanto l'autorizzazione sanitaria sono requisiti necessari allo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande; la circostanza che, pertanto, fosse intervenuto, nel caso di specie, il rilascio dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione commerciale –ma non del certificato di abitabilità- non consente di ritenere che la relativa attività potesse essere esercitata nei locali di cui trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della U.S.L., essa costituisce soltanto un certificato descrittivo dell’immobile di cui trattasi con valenza eventualmente di mero parere preventivo, essendo di competenza esclusiva del Sindaco il rilascio del certificato di agibilità.
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Ciò che rileva è la circostanza che l’impugnata ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai sensi del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza) di agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e quindi l'edificio in sé stesso considerato, ossia il solo manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà svolgere preveda comunque un uso che comporti la frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici o parti di essi non possono essere abitati senza autorizzazione” va infatti interpretata in senso estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad adeguato controllo da parte dell'autorità sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc..
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è, pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità della costruzione al progetto approvato e della mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal titolare della relativa concessione edilizia e la data della conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S..
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità; e legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce appunto presupposto indispensabile perché un locale possa essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità, igienicità ed incolumità del locale stesso.

Con il ricorso in trattazione la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Sindaco del Comune di Gaeta n. 243/1994, con la quale è stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante, ubicato al primo piano del complesso alberghiero denominato “Hotel A.”, sito nel Comune di Gaeta, in quanto esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Il ricorso è infondato nel merito per le considerazioni che seguono.
Dall’esame della documentazione versata in atti dalle parti del giudizio emerge come il locale che interessa, ossia il piano primo dell’immobile, fosse da ritenersi, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, abusivo, in quanto realizzato in difformità alla relativa licenza edilizia e non ammesso a concessione edilizia in sanatoria; tanto è vero che il certificato di agibilità è stato rilasciato da parte del Comune, in data 19.06.1989, limitatamente agli altri due piani dell’immobile, ossia il piano seminterrato ed il piano terra, con riguardo ai quali era stato rilasciato il condono.
E’ circostanza incontestata che il piano primo dell’immobile sia privo del relativo certificato di agibilità: risulta infatti che la società ricorrente ha provveduto a richiederne il rilascio soltanto in data 26.07.1994.
Né si può ritenere rilevante, sul punto, il richiamo alla nota del dirigente sanitario della U.S.L. LT/6 di cui al prot. n. 230 dell’11.05.1988, avente ad oggetto il certificato di cui al D.P.R. n. 1437 del 30.12.1970, con il quale, osserva la società ricorrente, è stata attestata l’agibilità dell’immobile nella sua interezza, con riguardo allo svolgimento dell’attività alberghiera. Altrettanto irrilevante deve ritenersi il riferimento sia alla successiva nota, prot. n. 1030 del 03.07.1989, con cui il medesimo dirigente ha espresso parere favorevole -in ordine all’idoneità igienico-sanitaria dei locali e delle attrezzature per la ristorazione- ai fini del rilascio dell’autorizzazione sanitaria (a condizione dell’allaccio del fabbricato alla fognatura dinamica comunale entro sei mesi); sia al conseguente rilascio, da parte del Sindaco del Comune di Gaeta, dell’autorizzazione sanitaria ai fini della ristorazione (n. 223 del 06.07.1989).
Gli atti richiamati non hanno infatti efficacia dirimente nei sensi prospettati da parte della difesa della società ricorrente.
Al riguardo si premette che tanto il certificato di agibilità dei locali, quanto l'autorizzazione sanitaria sono requisiti necessari allo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande; la circostanza che, pertanto, fosse intervenuto, nel caso di specie, il rilascio dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione commerciale –ma non del certificato di abitabilità- non consente di ritenere che la relativa attività potesse essere esercitata nei locali di cui trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della U.S.L. in data 11.05.1988, essa costituisce soltanto un certificato descrittivo dell’immobile di cui trattasi con valenza eventualmente di mero parere preventivo, essendo di competenza esclusiva del Sindaco il rilascio del certificato di agibilità.
Ciò che invece rileva è la circostanza che l’impugnata ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai sensi del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza) di agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e quindi l'edificio in sé stesso considerato, ossia il solo manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà svolgere preveda comunque un uso che comporti la frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici o parti di essi non possono essere abitati senza autorizzazione” va infatti interpretata in senso estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad adeguato controllo da parte dell'autorità sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc. (Cassazione penale, sez. I, 05.04.1996, n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è, pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità della costruzione al progetto approvato e della mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal titolare della relativa concessione edilizia e la data della conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S. (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n. 538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità (cfr. TAR Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce appunto presupposto indispensabile perché un locale possa essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità, igienicità ed incolumità del locale stesso (TAR Lombardia, Milano, sez. I, 16.11.2001, n. 7283).
Per quanto attiene, poi, alla lamentata commistione di profili diversi, quello commerciale e quello urbanistico-edilizio, è senza dubbio vero che solo l’art. 4 del decreto legge 05.10.1993, n. 398, ha testualmente esteso i controlli da effettuare ai fini del rilascio della licenza di abitabilità all'accertamento della conformità urbanistico-edilizia, mentre l’articolo 221, ai medesimi fini, postulava la verifica dell'inesistenza di cause di insalubrità dell'edificio, senza alcun collegamento con finalità di carattere edilizio-urbanistico, riservando comunque all'Amministrazione comunale il potere di reprimere gli abusi edilizi, ancorché fosse stato rilasciato il certificato di abitabilità.
E’ però da rilevare come, nel caso di specie, il provvedimento impugnato sia stato adottato dopo l’entrata in vigore della richiamata innovativa disciplina. In ogni caso, oggetto d’impugnazione non è il diniego del rilascio del certificato di agibilità ai sensi dell’art. 221 per motivi inerenti interessi edilizi ed urbanistici, bensì l’ordine di sgombero fondato sulla mancanza da parte della società ricorrente del certificato di agibilità.
E la circostanza che la società ricorrente fosse priva del detto certificato è dimostrato ancora di più dall’intervenuta richiesta formulata da parte della stessa al Comune ai predetti fini (e concernente, pertanto, specificatamente il piano primo dell’immobile di cui trattasi) soltanto alla data del 26.07.1994.
Né si ritiene che la semplice presentazione della detta istanza fosse sufficiente non essendosi ancora concluso il relativo procedimento alla data di adozione del provvedimento impugnato.
In tal senso, infatti, non vale il richiamo all’art. 43, co. 2, del D.P.R. 30.05.1989, n. 223, rubricato “Obblighi dei proprietari di fabbricati.”, il quale dispone testualmente che: ”1. Gli obblighi di cui all'art. 42 devono essere adempiuti non appena ultimata la costruzione del fabbricato.
2. A costruzione ultimata e comunque prima che il fabbricato possa essere occupato, il proprietario deve presentare al comune apposita domanda per ottenere sia l'indicazione del numero civico, sia il permesso di abitabilità se trattasi di fabbricato ad uso di abitazione, ovvero di agibilità se trattasi di fabbricato destinato ad altro uso. …
”,
E’ infatti da rilevare che, in forza di quanto previsto dal richiamato articolo, l’assegnazione della numerazione civica presuppone, al pari della abitabilità, l’esistenza di un titolo edilizio in base al quale la costruzione è stata realizzata (TAR Lombardia Milano, sez. II, 20.03.2009, n. 1954).
Per le considerazioni che precedono, peraltro, si ritiene, altresì, infondato il primo motivo di censura con il quale è stata dedotta la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 per la mancata previa comunicazione dell’avvio procedimentale, atteso che ai sensi dell'articolo 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
Nel caso di specie –proprio in considerazione della mancanza del certificato di agibilità, circostanza dimostrata in giudizio- il Comune non poteva se non procedere all’adozione del provvedimento di sgombero del locale ai sensi del richiamato art. 222 del T.U.L.S..
Il ricorso va dunque respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aziende agrituristiche - Esercizio di attività commerciale - Regolarità urbanistico-edilizia - Presupposto imprescindibile - Disciplina normativa del settore agrituristico - Conservazione e recupero del patrimonio edilizio rurale esistente - Sanabilità di nuovi manufatti - Limiti.
Il legittimo esercizio di un'attività commerciale, precipuamente quando essa comporti la somministrazione di alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007); tale principio acquista maggiore rigore in materia di aziende agrituristiche, perché la relativa disciplina è finalizzata a preservare la specificità del settore agrituristico e la genuinità dei prodotti fruibili all’interno dell’azienda agrituristica.
Dal quadro normativo vigente, emerge infatti che l’azienda agrituristica viene concepita dal legislatore, quanto al profilo dei cespiti edilizi in cui essa si svolge, come finalizzata alla conservazione ed eventualmente al recupero patrimonio edilizio rurale esistente, il che costituisce un elemento di valutazione ineludibile e stringente per lo scrutinio sia della assentibilità sia della sanabilità a posteriori di nuovi manufatti realizzati nel compendio agrituristico (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 01.02.2011 n. 636 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATA: 1. – Sanzioni – Ingiunzione a demolire – Motivazione - Abuso risalente nel tempo – Necessità.
2. – Concessione – Sanatoria ex artt. 31 L. 47/1985 e art. 39 L. 724/1994 – Vincolo cimiteriale – Vincolo assoluto di inedificabilità – Legittimità del diniego – Esercizio di attività commerciale consentito dall’Amministrazione - Irrilevanza.

1. – Sebbene normalmente le sanzioni demolitorie in materia edilizia siano atti dovuti e sufficientemente motivati con la constatazione dell’abuso edilizio e l’avvenuto accertamento dell’esecuzione dell’opera in assenza di titolo concessorio o in totale difformità da esso, tuttavia è richiesta una motivazione particolare ed ulteriore sull’interesse pubblico specifico alla rimozione quando il provvedimento intervenga a distanza di molto tempo dall’esecuzione dell’opera stessa. Nel caso in cui il manufatto (costituito da un chiosco-bar) esista dagli anni 1966/1970 (seppur con dimensioni ridotte), vi sia stata esercitata l’attività commerciale autorizzata con allaccio all’acquedotto comunale, il formale accertamento di lavori abusivi sia avvenuto nel 1983 ed il primo atto finalizzato alla rimozione sia intervenuto nel 1991 (a distanza di oltre sette anni), non può negarsi che il ricorrente abbia potuto maturare in presenza dell’inerzia della P.A. protratta per lungo tempo un qualche affidamento sulla stabilità o stabilizzazione della sua posizione, affidamento ulteriormente consolidato per l’ulteriore tempo decorso nelle more della decisione dell’istanza di condono presentata nel 1995.
2. – Le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono un vincolo di inedificabilità assoluta, preclusivo della sanatoria edilizia, che non può essere escluso neppure nel caso in cui l’Amministrazione abbia consentito per anni l’esercizio dell’attività commerciale nel manufatto abusivo (chiosco-bar) sito nella zona (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 14.10.2003 n. 5314 - link a www.giurisprudenzaamministrativa.it).