dossier ATTIVITA' COMMERCIALE IN
LOCALI ABUSIVI |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla conformità
urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a
svolgere.
L’accertamento della conformità alle prescrizioni in
materia edilizia-urbanistica è condizione sia per il rilascio delle
autorizzazioni commerciali per l’apertura di esercizi di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della
perdurante legittimità dell’attività assentita, pervenendosi altrimenti ad
un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non
potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano
edilizio.
La normativa statale di riferimento in materia di attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel
richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione
commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in
sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla
stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
Sul punto si evidenzia che il legittimo esercizio dell’attività commerciale
è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività
commerciale si va a svolgere, non soltanto in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale
e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in
cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali non
conformi alla disciplina urbanistica.
---------------
1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-,
dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, sede
-OMISSIS-, avverso: il provvedimento del Comune di Polignano a Mare prot. n.
-OMISSIS-, avente ad oggetto «diffida all’esercizio dell'attività di
somministrazione di alimenti e bevande in località -OMISSIS-. Diffida al
conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale»;
dell’ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n.
-OMISSIS-.; la nota del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-,
avente ad oggetto «divieto di prosecuzione dell’esercizio di attività
abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e del
richiamato verbale del 18.05.2009; all’occorrenza, l’ordinanza di
sospensione lavori del Comune di Polignano a Mare n. -OMISSIS-.
...
9. I motivi di gravame, stante la loro stretta embricazione, vanni vagliati
congiuntamente.
In particolare, l’appellante ha lamentato un erroneo apprezzamento, da parte
del Tar, dei presupposti de legge e un travisamento dei fatti in relazione
agli articoli 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, al decreto legislativo n.
42/2004, al decreto legge n. 223/2006 convertito in legge n. 248/2006,
all’art. 1 della legge regionale della -OMISSIS- n. 17/2006, agli articoli
19 e 21-octies della legge n. n. 241/1990, 64 del decreto legislativo n.
59/2010 e 3 del decreto legislativo n. 114/1998.
Siffatte doglianze sono infondate.
Del tutto correttamente il Tar, infatti, ha precisato che: «L’azione
demolitoria complessivamente proposta dall’odierno ricorrente poggia
sull’accertamento della fondatezza della pretesa a poter legittimamente
continuare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande erogata da
alcuni anni presso località (…), unitamente all’accertamento, di carattere
pregiudiziale, della conformità urbanistico-edilizia delle opere realizzate
strumentali a tale attività.
Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente l’impugnativa di cui ai
terzi motivi aggiunti del diniego di sanatoria edilizia ai sensi dell’art 36
d.p.r. 380/2001, essendo l’accertamento della conformità alle prescrizioni
in materia edilizia-urbanistica condizione sia per il rilascio delle
autorizzazioni commerciali per l’apertura di esercizi di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa valutazione della
perdurante legittimità dell’attività assentita, pervenendosi altrimenti ad
un ingiustificato contrasto con il principio di buona amministrazione, non
potendosi autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano
edilizio (così TAR Campania Napoli III 12.04.2010, n. 1923, in termini
Consiglio di Stato sez. V 28.05.2009 n. 3262, id. sez. V 05.04.2005 n. 1543,
TAR Liguria sez. II 11.04.2008 n. 543).
La normativa statale di riferimento in materia di attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel
richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione
commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in
sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla
stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”».
Sul punto si evidenzia che il legittimo esercizio dell’attività commerciale
è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività
commerciale si va a svolgere, non soltanto in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale
e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in
cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali non
conformi alla disciplina urbanistica (cfr., ex aliis, Consiglio
Stato, sezione VI, sentenza 23.10.2015, n. 4880; Consiglio Stato, sezione V,
sentenza 29.05.2018, n. 3212).
L’istituto della segnalazione certificata di inizio attività non è
applicabile al caso si specie, sia in quanto la conformità
urbanistico-edilizia dei locali è presupposto di operatività od esistenza
per la formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, sia poiché esso
non può operare in presenza di un vincolo di natura paesaggistica (art. 19,
comma 1, della legge n. 241/1990) e vi sia insistenza su area demaniale
occupata (seppur parzialmente) sine titulo
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 14.10.2021 n. 6912 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa ha statuito, in più occasioni, che il rispetto
della normativa edilizia ed urbanistica costituisce presupposto
indispensabile per il legittimo esercizio dell’attività di somministrazione
di alimenti e bevande.
E’ stato, infatti, precisato che il legittimo
esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio
dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento,
alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio
dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in
locali di cui sia stata accertata l’abusività delle opere realizzate.
Nel caso di specie, l’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire in sanatoria ha
determinato il venir meno di uno dei presupposti indispensabili per
l’esercizio dell’attività di somministrazione, atteso che la regolarità urbanistico-edilizia
condiziona la legittimità del provvedimento di autorizzazione commerciale
non solo al momento del rilascio, ma anche successivamente, per tutta la
durata dell’attività commerciale.
---------------
2. L’appello è fondato.
2.1 L’attuale appellante censura la sentenza di primo grado che ha respinto
il ricorso avverso il provvedimento di diniego di revoca dell’autorizzazione
all’esercizio dell’attività commerciale di somministrazione di alimenti e
bevande rilasciata dal Comune di Siciniano degli Alburni alla società De.Ve. S.r.l., nonostante l’attività, a seguito di annullamento del
permesso di costruire in sanatoria, venisse svolta in contrasto con l’art 3,
comma 7, l. 287/1991.
2.2 La disposizione citata sancisce: “Le attività di somministrazione di
alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti
norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d'uso dei locali e
degli edifici, fatta salva l'irrogazione delle sanzioni relative alle norme
e prescrizioni violate”.
2.3 La giurisprudenza amministrativa ha statuito, in più occasioni, che il
rispetto della normativa edilizia ed urbanistica costituisce presupposto
indispensabile per il legittimo esercizio dell’attività di somministrazione
di alimenti e bevande.
E’ stato, infatti, precisato che il legittimo
esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio
dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento,
alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio
dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in
locali di cui sia stata accertata l’abusività delle opere realizzate (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 27/07/2021 n. 5576; 22/06/2020 n. 4004; 23/10/2015 n.
4880; sez. V, 29/05/2018 n. 3212).
2.4 L’annullamento giurisdizionale del permesso di costruire in sanatoria ha
determinato il venir meno di uno dei presupposti indispensabili per
l’esercizio dell’attività di somministrazione, atteso che la regolarità
urbanistico-edilizia condiziona la legittimità del provvedimento di
autorizzazione commerciale non solo al momento del rilascio, ma anche
successivamente, per tutta la durata dell’attività commerciale
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 05.10.2021 n. 6645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
ricordarsi che le disposizioni in materia di commercio implicano uno stretto
collegamento tra la programmazione commerciale e la pianificazione
urbanistica, con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali
presuppone la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche.
Più precisamente, la normativa commerciale (D.lgs 114/1998, Legge
287/1991 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che
devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le
attività devono essere esercitate, tra l’altro, nel rispetto delle vigenti
norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia e urbanistica,
nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.
Gli assunti che precedono non possono in alcun modo giustificare la
conclusione che l’assentimento dell’attività commerciale implichi anche
l’assentimento alla modifica dei locali dal punto di vista edilizio.
Nonostante la stretta relazione tra i due ambiti, deve ritenersi che il
titolo commerciale non può assorbire le valutazioni strettamente connesse al
rispetto della disciplina urbanistica, che, viceversa, devono essere
vagliate secondo le specifiche procedure a tal fine previste dalla legge,
per sfociare, se del caso, in specifici titoli corrispondenti ai diversi
interventi, così come prestabiliti dall’ordinamento.
---------------
Il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato
ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal
punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico
urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza
la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile,
altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in
assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa
funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente
autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il
mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e
può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente.
Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante
ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti
un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano.
L'aggravio di servizi -quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed
al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree
antistanti o prossime l’immobile- è l’ubi consistam del mutamento di
destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio
in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente
divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione
locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente
rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente
autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla
destinazione industriale a quella commerciale.
---------------
7 – L’appello avverso tale pronuncia deve trovare
accoglimento nei limiti di seguito precisati.
Preliminarmente, è utile richiamare il contenuto dell’atto impugnato. Nella
nota del 24.10.2018 n. 15572, si legge: “Da sopralluogo effettuato in data
10.10.2018, da personale del settore tecnico e della Polizia Locale, si è
riscontrato che le opere edilizie sono conformi a quelle autorizzate. Nel
contempo si è accertato che l’attività svolta consistente in un caseificio
artigianale con vendita del prodotto che, pur se non conforme a quanto
autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni
urbanistiche della zona. Alla luce di quanto sopra evidenziato si ritiene
che tale difformità non si configura come abuso – non comporta una
variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 1444/1968 ossia
dei carichi urbanistici relativi alla zona omogenea in questione; - che non
essendo state eseguite opere in difformità ai titoli edilizi sopra citati il
mutamento della destinazione d’uso costituisce espressione della facoltà di
godimento quale concreta proiezione dello jus utenti spettante al
proprietario che, diversamente dallo jus aedificandi, non rientra nella
disciplina urbanistico-edilizia generale”.
E’ la stessa amministrazione a confermare inconfutabilmente la
prospettazione dell’appellante, e cioè che i titoli edilizi relativi
all’immobili non contemplano un utilizzo produttivo dei locali.
7.1 – La riscontrata difformità, contrariamente all’assunto del Giudice di
primo grado, che ha escluso la natura abusiva del cambio di destinazione
d’uso valorizzando la SCIA del 31/07/2017, non può essere superata da quest’ultimo
atto. Invero, la SCIA è stata presentata ad altri fini, ovvero per
intraprendere l’attività dal punto di vista commerciale.
E’ pacifico che tale atto non si riferisce all’aspetto urbanistico-edilizio,
presupponendo, come è tipico di ogni titolo legittimante l’attività
commerciale, la regolarità edilizia dei locali rispetto all’attività che il
richiedente si propone di svolgere (trasformazione del latte in prodotti
caseari e vendita di prodotti caseari).
Deve ricordarsi che le disposizioni in materia di commercio implicano uno
stretto collegamento tra la programmazione commerciale e la pianificazione
urbanistica, con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali
presuppone la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 23.01.2001; Cons. Stato, sez. IV, 27.04.2004).
Più precisamente, la normativa commerciale (D.lgs 114/1998, Legge
287/1991 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che
devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le
attività devono essere esercitate, tra l’altro, nel rispetto delle vigenti
norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia e urbanistica,
nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.
Gli assunti che precedono non possono in alcun modo giustificare la
conclusione che l’assentimento dell’attività commerciale implichi anche
l’assentimento alla modifica dei locali dal punto di vista edilizio.
Nonostante la stretta relazione tra i due ambiti, deve ritenersi che il
titolo commerciale non può assorbire le valutazioni strettamente connesse al
rispetto della disciplina urbanistica, che, viceversa, devono essere
vagliate secondo le specifiche procedure a tal fine previste dalla legge,
per sfociare, se del caso, in specifici titoli corrispondenti ai diversi
interventi, così come prestabiliti dall’ordinamento.
Per scrupolo, deve precisarsi che, nel caso di specie, non è neppure
possibile configurare una sorta di titolo edilizio implicito, dovendosi al
riguardo osservare che si è al cospetto di una SCIA, ovvero di un atto del
privato, e non di un provvedimento amministrativo, da cui l’impossibilità di
desumere una sopposta volontà dell’amministrazione circa l’assentimento al
mutamento della destinazione d’uso dal punto di vista edilizio.
Così circoscritta la valenza e l’efficacia della SCIA del 31/07/2017 ed
escluso che la stessa possa svolgere la funzione di titolo edilizio
legittimante il cambio di destinazione d’uso dei locali da commerciali a
produttivi, perdono di ogni consistenza gli argomenti del TAR con i quali
si prospetta la necessità di intervenire in autotutela sulla predetta SCIA,
nei modi e nei limiti a tal fini previsti dalla legge, sicché il cambio di
destinazione non potrebbe considerarsi abusivo fino a che permangono gli
effetti della SCIA.
7.2 – Per indagare la natura illegittima del cambio di destinazione d’uso
denunciato deve invece aversi riguardo ai relativi titoli edilizi, dai
quali, per quanto ammesso dalla stessa amministrazione, non emerge
l’assentimento dello svolgimento dell’attività di produzione nei locali in
questione.
In proposito, l’art. 23-ter del DPR n. 380/2001, aggiunto dall’art. 17,
comma 1, lett. n), D.L. n. 133/2014 conv. nella L. n. 164/2014, al comma 1
qualifica come “mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, ancorché non
accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie”, quello dalla categoria
“commerciale” a quella “produttiva”, ed al comma 2 puntualizza che “la
destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella
prevalente in termini di superficie utile”.
Anche la giurisprudenza ha chiarito che il mutamento di destinazione d’uso
di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente
autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un
differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte
avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso
dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle
opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa
funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente
autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il
mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e
può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente (ex
multis Consiglio di Stato, sez. V, 30/06/2014, n. 3279).
Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante
ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti
un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano; -
l’aggravio di servizi -quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed
al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree
antistanti o prossime l’immobile- è l’ubi consistam del mutamento di
destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio
in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente
divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione
locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente
rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente
autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla
destinazione industriale a quella commerciale (cfr. ad es. Consiglio di
Stato sez. VI, 25/09/2017, n. 4469).
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il cambio
di destinazione d’uso in questione –da commerciale a produttivo-
richiedeva uno specifico titolo edilizio, che nel caso di specie non
sussiste, con la conseguenza che la modifica di destinazione d’uso è abusiva
e, in quanto tale, deve essere sanzionata nelle forme di legge da parte del
Comune.
7.3 – Non può portare ad un diverso esito l’inciso contenuto nel
provvedimento impugnato, ove si legge che “pur se non conforme a quanto
autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni
urbanistiche della zona”, posto che all’assenza del titolo edilizio consegue
l’illegittimità dell’intervento, indipendentemente dalla sua conformità alla
disciplina sostanziale.
Tale aspetto, se del caso, ben può costituire il presupposto per la
sanatoria dell’intervento, ma non legittima di per sé il cambio di
destinazione privo della necessaria autorizzazione.
Deve infatti ricordarsi che l’eventuale (allo stato indimostrata)
legittimità sostanziale della modifica posta in essere, in rapporto al
regime dell’area, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un
procedimento di sanatoria. Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 del
DPR n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere
l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che
rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento
di accertamento di conformità urbanistica.
Sarà in quella sede che, se del caso, il Comune valuterà l’esatta portata
degli artt. 13, comma 2, e 16, comma 1, del vigente Regolamento Urbanistico
-che in base alla prospettazione di parte appellante precluderebbero, anche
dal punto di vista sostanziale, l’assentimento del cambio di destinazione
d’uso- non potendosi pertanto esaminare in questa sede la questione prima
che sulla stessa si sia espressa l’amministrazione, pena il rischio di
violare il disposto di cui all’art. 34, comma 2, del c.p.a.
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.06.2021 n. 4940 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il legittimo esercizio
dell’attività commerciale è ancorato non
solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua
durata di svolgimento, alla iniziale e
perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali
in cui essa viene posta in essere, con
conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai
quali siano stati adottati provvedimenti
repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione
di un’attività commerciale.
Nel caso di specie le modifiche introdotte
incidono sull’utilizzo degli spazi che,
lungi dal determinare una migliore fruizione
dello spazio esterno, comportano
l’estensione dell’attività interna all’area
esterna, equiparandola, nelle condizioni di
utilizzo, all’area interna, alla luce del
fatto che permangono i caratteri di completa
chiusura dello spazio interessato.
Le opere realizzate non comportano solo una migliore
fruibilità degli spazi esterni del
ristorante, e quindi della somministrazione
all’aperto, ma permettono l’utilizzo
dell’area senza limite di tempo, svolgendo
la stessa funzione di un’opera edilizia,
alla quale quindi vanno equiparate.
Infatti
l’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del Testo
Unico dell’Edilizia qualifica come
“interventi di nuova costruzione” (come tali
assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulottes,
campers, case mobili, imbarcazioni che siano
utilizzati come abitazioni , ambienti di
lavoro oppure depositi, magazzini e simili,
e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee…”
---------------
4. Anche il terzo motivo è infondato.
Per quanto riguarda il profilo edilizio la
ricorrente richiama l’orientamento
giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. VI n.
1619 del 27/04/2016) secondo il quale le cc.dd. “pergotende” non possono essere
considerate “opere precarie”.
In merito occorre rilevare che, secondo il
suddetto orientamento, una struttura in
alluminio anodizzato destinata ad ospitare
una tenda retrattile in tessuto non integra
gli effetti di “trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio” propri degli
“interventi di nuova costruzione” ex artt. 3
e 10 DPR n. 380/2001.
Nel caso di specie, invece, abbiamo la
trasformazione di un muro perimetrale in
parete del vano creato con soprastante
finestratura fissa con serramenti tipo
vasistas, su un lato, e moduli a vetro con
porta dotata di maniglioni antipanico che
integrano, insieme al muro dell’edificio, la
struttura portante della costruzione,
rispetto alla quale il carattere ritraibile
della tenda svolge solo la funzione di
maggiore areazione e di tutela dalle
intemperie, così creando un nuovo organismo
edilizio.
Per quanto riguarda poi il mancato esercizio
del potere conformativo di tipo paesistico
previsto dall’art. 17 del d.P.R. 31/2017 il
motivo è infondato in quanto la norma
prevede che l’autorità preposta alla
gestione del vincolo e il Soprintendente,
nell’esercizio delle funzioni di cui
all’articolo 167, comma 4, del Codice,
dispongono la rimessione in pristino solo
quando non sia in alcun modo possibile
dettare prescrizioni che consentano la
compatibilità paesaggistica dell’intervento
e delle opere.
E’ chiaro quindi che il potere conformativo
opera nell’esercizio delle funzioni di cui
all’articolo 167, comma 4, del Codice cioè
quando il proprietario, possessore o
detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o
dell'area interessati dagli interventi di
cui al comma 4 presenta apposita domanda
all'autorità preposta alla gestione del
vincolo ai fini dell'accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi. Poiché nel caso di specie la
ricorrente non ha presentato domanda di
accertamento di conformità, la norma non è
applicabile.
Il motivo è infondato anche nella parte in
cui contesta la sospensione parziale
dell’attività di somministrazione nell’area
interessata dall’abuso in quanto il
legittimo esercizio dell’attività
commerciale è ancorato non solo in sede di
rilascio dei titoli abilitativi, ma anche
per la intera sua durata di svolgimento,
alla iniziale e perdurante regolarità sotto
il profilo urbanistico-edilizio dei locali
in cui essa viene posta in essere, con
conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai
quali siano stati adottati provvedimenti
repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione
di un’attività commerciale (da ultimo TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza
26.07.2018 n. 4979).
5. Venendo ora all’esame del ricorso per
motivi aggiunti, il primo motivo di ricorso
è infondato.
Come chiarito dalla giurisprudenza citata
dalla ricorrente (Cons. Stato, sez. VI n.
1619 del 27/04/2016) le “pergotende”
realizzate non si connotano per una
temporaneità della loro utilizzazione, ma
piuttosto per costituire un elemento di
migliore fruizione dello spazio, stabile e
duraturo.
Nel caso di specie le modifiche introdotte
incidono sull’utilizzo degli spazi che,
lungi dal determinare una migliore fruizione
dello spazio esterno, comportano
l’estensione dell’attività interna all’area
esterna, equiparandola, nelle condizioni di
utilizzo, all’area interna, alla luce del
fatto che permangono i caratteri di completa
chiusura dello spazio interessato.
Le opere realizzate, come indicato nell’atto
impugnato, non comportano solo una migliore
fruibilità degli spazi esterni del
ristorante, e quindi della somministrazione
all’aperto, ma permettono l’utilizzo
dell’area senza limite di tempo, svolgendo
la stessa funzione di un’opera edilizia,
alla quale quindi vanno equiparate.
Infatti
l’articolo 3, comma 1, lett. e.5), del Testo
Unico dell’Edilizia qualifica come
“interventi di nuova costruzione” (come tali
assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture
di qualsiasi genere, quali roulottes,
campers, case mobili, imbarcazioni che siano
utilizzati come abitazioni , ambienti di
lavoro oppure depositi, magazzini e simili,
e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee…” (in senso
analogo TAR Lombardia, Milano, sez. II,
11/11/2016 n. 2109)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.08.2019 n. 1921 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale
è ancorato non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Sicché, risulta legittimo il provvedimento comunale di
chiusura dell’attività determinato dalla riscontrata
abusività dell’edificio in cui essa si svolge.
---------------
Va osservato –infatti– in punto di diritto che “Il
legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto
ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (cfr.
Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880)” – da ultimo
Consiglio di Stato, sez. V, sent. 29/05/2018 n. 3212.
Alla stregua di tale consolidato orientamento, risulta
legittimo il provvedimento comunale di chiusura
dell’attività determinato dalla riscontrata abusività
dell’edificio in cui essa si svolge (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 26.07.2018 n. 4979 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale
occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia
dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere,
con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di
attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo
ove fondato […] su rappresentate e accertate ragioni di
abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene
svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività
commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di
rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua
durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità
sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa
viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano
stati adottati provvedimenti repressivi che accertano
l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività
commerciale.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
---------------
Al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio) si aggiunge quello del rispetto delle norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il
certificato di agibilità aveva la funzione di attestare
(art. 24 s. dPR 380/2001).
Ed al riguardo la giurisprudenza testé citata ha ribadito
come «i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza”.
---------------
La ricorrente impugna l’ordinanza del 21.04.2017, n. 6743,
con cui il Comune di Orta di Atella, facendo richiamo a
quanto già contestatole con l’atto di diffida alla
prosecuzione dell’attività del 18.12.2014, prot. 15335, le
ha ingiunto l’immediata chiusura dell’esercizio commerciale
esercitato in via ... n. 45 in relazione alla mancanza del
certificato di agibilità dei locali presso i quali
l’attività è svolta, da ultimo acclarata con verbale di
accertamento del Comando di Polizia Municipale n. 121/17,
prot. 852/P.M. del 14.04.2017.
...
Nel merito, il ricorso è infondato.
In via generale, deve osservarsi che, come recentemente
ribadito dal giudice di appello in altra controversia
concernente il Comune di Orta di Atella, «secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale nel rilascio
dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i
presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei
locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con
l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività
di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato
[…] su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei
locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr.,
tra le altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V,
08.05.2012, n. 5590). Il legittimo esercizio dell’attività
commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di
rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua
durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità
sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa
viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano
stati adottati provvedimenti repressivi che accertano
l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività
commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880) [….]
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso. In
ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della
legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ.
mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione
commerciale), che contiene una previsione analoga in
riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di
vicinato, soggetti alla SCIA» (cfr. C.d.S., sez. V,
29.05.2018, n. 3212).
Ancora sul piano generale, va ricordato che al presupposto
del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunge
quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia
di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti che il certificato di agibilità
aveva la funzione di attestare (art. 24 s. dPR 380/2001);
ed al riguardo la giurisprudenza testé citata (C.d.S., sez.
V, n. 3212/2018) ha ribadito come «i diversi piani
possano convivere sia nella forma fisiologica della
conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative
sia in quella patologica di una loro divergenza” (così Cons.
Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220)».
Nel caso in esame, la mancanza del certificato di agibilità
dei locali di svolgimento dell’attività risulta già alla
base dell’atto di diffida del 18.12.2014, prot. 15335, con
il quale l’Ente territoriale ha contestato alla ricorrente
il comportamento inerte dalla stessa tenuto ben oltre i
termini concessi ai proprietari, a far data
dall’approvazione del Piano urbanistico comunale, per
regolarizzare la propria posizione amministrativa ed
eliminare i vizi ostativi per il proseguimento delle loro
attività.
Non consta che, nonostante ciò, da allora la ricorrente
abbia provveduto a tanto, dotandosi del certificato di
agibilità o di titolo equipollente. Si aggiunga che la
stessa non ha fornito alcun inizio di prova di aver in corso
altro procedimento finalizzato a regolarizzare l’aspetto in
questione, concentrandosi piuttosto sulla tesi, che si è
dimostrata infondata, della sostanziale irrilevanza della
semplice mancanza del certificato di agibilità.
Constatata la carenza del presupposto, il Comune non avrebbe
potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività
commerciale mediante l’adozione di un provvedimento di
natura doverosa e vincolata (cfr., ancora, C.d.S., sez. V,
n. 3212/2018 cit.), che, perciò, resiste anche alla censura
di omessa comunicazione di avvio del procedimento.
Per queste ragioni, in conclusione, il ricorso dev’essere
respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 04.07.2018 n. 4448 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale
occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia
dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere,
con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di
attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo
ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di
abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene
svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto
ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia
dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale
al suo interno anche perché ritenere il contrario
comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli
illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta
connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha
indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale
presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della
materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con
la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di
assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa
alla disciplina urbanistico–edilizia.
E’ stato così
superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che
affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione
commerciale (o di ampliamento o di trasferimento
dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul
presupposto che l’interesse pubblico nella materia del
commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò
criteri valutativi differenti: il revirement giurisprudenziale
si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio
costituzionale di buona amministrazione per cui non è
tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura
contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per
la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra
questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è
per le materie dell’urbanistica e del commercio.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
---------------
Per un verso è da ritenere che
sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti,
atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la
formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono
la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo
strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio
del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme
dal titolo abilitativo edilizio rilasciato e conseguentemente va
anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di
costruire possano condizionare quelle del certificato di
agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal
fatto che il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita
a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art.
24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che
“i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza”.
---------------
... per la riforma della
sentenza breve 20.02.2017
n. 1036
del TAR CAMPANIA–NAPOLI, SEZ. III, resa tra le parti.
...
1. Il Comune di Orta di Atella (CE) ha impugnato la sentenza
indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania, Sez. III, ha
accolto il ricorso proposto da Cr.Ci., quale titolare della
ditta individuale “Minimarket ...” con sede in Orta
di Atella (CE), avviata per lo svolgimento di attività di
commercio al pubblico di generi alimentari e diversi,
avverso il provvedimento prot. n. 21122 del 21.12.2016, con
cui il Responsabile del Settore Attività Produttive –
Sportello Unico Attività Produttive del Comune aveva
disposto l’annullamento della s.c.i.a. presentata in data
28.07.2016 dal Ci. per l’esercizio dell’attività di
commercio al pubblico di generi alimentari vari, presso i
locali di via ..., con
conseguente inibizione dell’attività commerciale avviata.
A base dell’annullamento della s.c.i.a. era posto
l’annullamento in autotutela del permesso a costruire n. 130
del 15.07.2005 (avvenuto con provvedimento n. 1854 del
21.09.2009), relativo ai locali ospitanti l’attività di
commercio al pubblico di generi alimentari, e la mancanza di
validità dell’attestazione di agibilità per i locali
interessati dal permesso di costruire annullato.
...
5. L’appello è fondato e va accolto.
...
5.3. Passando all’esame del merito si rileva quanto segue.
5.3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale
nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere
presente i presupposti aspetti di conformità
urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività
commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il
diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi
senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su
rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali
nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le
altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V, 08.05.2012, n. 5590).
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto
ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale
(cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880).
5.3.2. Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività
commerciale al suo interno anche perché ritenere il
contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per
gli illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta
connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha
indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale
presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della
materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con
la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di
assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa
alla disciplina urbanistico–edilizia (Cons. Stato, V,
17.10.2002, n. 5656 e 28.06.2000, n. 3639).
E’ stato così
superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che
affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione
commerciale (o di ampliamento o di trasferimento
dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul
presupposto che l’interesse pubblico nella materia del
commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò
criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V,
21.04.1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale
si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio
costituzionale di buona amministrazione per cui non è
tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura
contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per
la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra
questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è
per le materie dell’urbanistica e del commercio.
5.3.4. Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
In ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della
legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ.
mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione
commerciale), che contiene una previsione analoga in
riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di
vicinato, soggetti alla SCIA.
Per comprendere se le regole ed i principi di cui sopra
trovino applicazione nel caso di specie, che pur presenta
delle peculiarità, occorre evidenziare, in fatto, i seguenti
elementi, così come risultano dagli atti, secondo il loro
ordine cronologico:
- il permesso a costruire n. 130 del 15.07.2005, rilasciato in
favore della società Ed.F.G.C. s.r.l. (oggi Ed.F.G.C. S.p.A.), cui fa capo la titolarità dell’immobile nel
quale si trovano i locali da adibire ad attività commerciale
da parte del sig. Ci., è stato annullato in autotutela
con provvedimento n. 1854 del 21.09.2009;
- detto provvedimento è stato impugnato dalla società Ed.F.G.C. S.p.A. ed il ricorso è stato respinto con sentenza
del TAR Campania, sez. VIII, depositata il 02.07.2015, n.
3483/15;
- la sentenza è stata appellata dalla società ricorrente ed il
ricorso in appello, depositato il 26.02.2016, iscritto
col numero di registro 1542/2016, è tuttora pendente dinanzi
alla IV sezione di questo Consiglio di Stato, senza che
siano state adottati provvedimenti cautelari;
- in data 28.07.2016, pendente perciò tale ultimo giudizio, il
sig. Ci.Cr., nella qualità di titolare della
ditta individuale “Minimarket ...”, ha presentato
segnalazione certificata di inizio di attività in materia di
“minimercati ed altri esercizi non specializzati di
alimentari vari” presso i locali siti in Orta di Atella,
alla via ..., ..., s.n.c., già oggetto
del permesso di costruire di cui sopra, nonché di
certificato di agibilità con destinazione commerciale n. 36
del 20.01.2007 (non fatto oggetto di provvedimenti in
autotutela);
- il procedimento di verifica della s.c.i.a. è stato avviato in
data 30.09.2016 nota prot. n. 15148 e si è concluso
col provvedimento impugnato, prot. n. 21122 del 21.12.2016, che nella motivazione richiama sia la sentenza del
TAR (erroneamente indicata col numero di iscrizione del
ricorso) di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di
annullamento del permesso di costruire, sia il parere legale
del 23.11.2016 (con cui si assume che il certificato
di agibilità sia stato “travolto” dall’annullamento in
autotutela del permesso di costruire), sia un precedente
giurisprudenziale che afferma il principio -di cui si è
detto sopra- che la “legittimità urbanistica dei locali
costituisce presupposto indefettibile del legittimo
esercizio dell’attività commerciale”; disponendone perciò
annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28.07.2016.
5.3.5. L’appello del Comune in sostanza si basa
sull’applicazione del principio di cui si è appena detto
(pur intrattenendosi più del necessario sulla non sanabilità
dell’abuso e sull’impraticabilità dei rimedi, compresa la
sanzione amministrativa, di cui all’art. 38 del d.P.R. n.
380 del 2001), oltre che sulla circostanza dell’avvenuta
caducazione dell’agibilità dei locali.
L’appellato oppone diversi argomenti, che ricalcano quelli
posti a fondamento della sentenza impugnata, che tuttavia
vanno disattesi per le ragioni qui di seguito indicate.
5.3.5.1. Il provvedimento di annullamento del permesso di
costruire n. 1854 del 21.09.2009, sebbene asseritamente illegittimo e impugnato in separato giudizio
(al quale è estraneo l’appellato), è nondimeno efficace e
non disapplicabile, per la stessa amministrazione e per il
giudice amministrativo, finché non risulti annullato o
sospeso nelle forme previste dall’ordinamento; non può
rilevare che in riferimento ad altri annullamenti in
autotutela disposti dal Comune di Orta di Atella il giudizio
di appello si sia concluso sfavorevolmente per l’ente
locale, come sottolinea la difesa dell’appellato citando le
relative decisioni di questo Consiglio di Stato (aventi i
numeri 3996 e 3997 del 2016), poiché riferite a permessi di
costruire ed a provvedimenti di annullamento riguardanti
altri immobili ed altri soggetti;
5.3.5.2. Se è vero che, allo stato, non risultano adottate
dagli organi competenti del Comune apposite sanzioni
repressive dell’abuso che precludano in modo assoluto
l’esercizio di un’attività commerciale (in particolare
l’ordine di demolizione), riguardanti l’immobile abusivo nel
quale si trovano i locali nella disponibilità
dell’appellato, va considerato che nel caso di specie è
fondamentale il dato -trascurato nella sentenza impugnata-
che la presentazione della s.c.i.a. è di gran lunga
successiva (2016) all’adozione del provvedimento di
annullamento (2009), nonché al rigetto del ricorso avverso
questo provvedimento da parte del Tar (2015): quando
l’attività commerciale è stata avviata l’immobile era già
privo di permesso di costruire.
E’ vero perciò che la verifica della regolarità
urbanistico-edilizia dei locali adibito a negozio è stata
compiuta dopo l’inizio dell’esercizio dell’attività, ma si
tratta di verifica avviata ai sensi dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241: tale norma testualmente dispone che
l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti
e dei presupposti previsti dalla legge, in carenza dei quali
vieta la prosecuzione dell’attività (comma 3, art. 19 cit.).
La norma, riferita al caso in esame, ha comportato che il
Comune abbia dovuto controllare che i locali, dove avrebbe
dovuto essere svolta l’attività commerciale oggetto della
s.c.i.a., fossero, dal punto di vista urbanistico-edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone
come un presupposto indispensabile per consentire lo
svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura,
coinvolge il pubblico. Constatata la carenza del
presupposto, venuto meno in epoca precedente la
presentazione dell’istanza di s.c.i.a. da parte del sig.
Ci., il Comune non avrebbe potuto fare altro che
impedire lo svolgimento dell’attività commerciale denunciata
da quest’ultimo.
5.3.5.3. Si tratta di provvedimento vincolato, rispetto al
quale non è invocabile la valutazione alla stregua dei
principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione
amministrativa, soprattutto se si considera che l’appellato,
pur essendo terzo rispetto alla vicenda inerente il permesso
di costruire, non ha da invocare la tutela del proprio
legittimo affidamento.
Infatti, prima di avviare l’attività commerciale avrebbe
dovuto assicurarsi dell’idoneità dei locali da adibire allo
scopo (fatto salvo quanto previsto nel contratto di
locazione commerciale stipulato con la società proprietaria
e locatrice F.G.C. Ed. S.p.A., rilevante nei rapporti
tra i soggetti contraenti, e in ambito di diritto privato),
tenuto conto delle previsioni normative che ne richiedono la
conformità alla normativa edilizia ed urbanistica – senza
che rilevi che negli stessi locali fosse già esercitata
altra attività commerciale, poiché autorizzata nei confronti
di diversi soggetti.
5.3.5.4. Non rileva, ancora, il mancato ritiro, da parte del
Comune di Orta di Atella, del certificato di agibilità dei
locali con destinazione commerciale n. 36 del 20.01.2007.
Per un verso è da ritenere, anche alla stregua dell’art. 24
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (secondo cui la richiesta
di certificato di agibilità presuppone necessariamente la
“conformità delle opere realizzate al progetto approvato”,
dato che la richiesta deve essere corredata da una
dichiarazione resa in tal senso dell’interessato), che
sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti,
atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la
formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono
la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo
strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio
del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme
dal titolo abilitativo edilizio rilasciato (cfr. Cons.
Stato, V, 16.10.2013, n. 5025) e conseguentemente va
anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di
costruire possano condizionare quelle del certificato di
agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal
fatto che il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita
a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art.
24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che
“i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza” (così Cons. Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220).
Il mancato ritiro del certificato di agibilità, così come
non impedirebbe al Sindaco di reprimere gli abusi edilizi
(cfr. Cons. Stato, V, 03.02.1992, n. 87), nemmeno
avrebbe potuto consentire l’esercizio dell’attività
commerciale in immobile privo di permesso di costruire.
D’altronde, entrambe le ragioni –carenza di permesso di
costruire e caducazione sopravvenuta del certificato di
agibilità- sono poste a fondamento del provvedimento qui
impugnato, ma la prima è, da sola, idonea a sorreggere
l’adozione del provvedimento di annullamento della S.C.I.A.
ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
5.3.5.5. Infine tutti gli argomenti che fanno leva sull’art.
38 del d.P.R. n. 380 del 2001, sia a sostegno
dell’accoglimento dell’appello (nel presupposto della sua
inapplicabilità in ragione dei vizi di carattere sostanziale
che avrebbero inficiato l’originario permesso di costruire)
sia a sostegno del suo rigetto (nel presupposto che,
comunque, si dovrebbero attendere le determinazioni da
prendersi da parte della p.a. in merito alle conseguenze
prodotte dall’annullamento del permesso di costruire, quindi
si dovrebbe attendere anche l’adozione di provvedimenti
espliciti in merito alla sanabilità dell’opera od
all’applicabilità/inapplicabilità della sanzione ex art. 38
detto) risultano irrilevanti ed estranei al presente
giudizio (ed, invece, più pertinenti rispetto a quello
relativo all’impugnazione del provvedimento di annullamento,
nel quale il Comune è ovviamente coinvolto).
Parimenti irrilevanti risultano i procedimenti
amministrativi che si assumono avviati dalla FGG Ed.
S.p.A. volti a rimediare alle carenze urbanistiche poste a
base dell’annullamento del permesso di costruire e le
criticità che discendono da tale annullamento quali
rappresentate anche nella nota prot. n. 1334 del 25.11.2016 del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di
Orta di Atella, richiamata dall’appellato.
L’attuale carenza di permesso di costruire impedisce che,
allo stato, i locali che si trovano all’interno
dell’immobile interessato dal provvedimento di annullamento
del titolo abilitativo edilizio siano adibiti ad attività
commerciali.
6. In conclusione, l’appello va accolto ed, in riforma della
sentenza impugnata, va respinto l’originario ricorso
proposto da Ci.Cr., in proprio e quale titolare
della ditta individuale “Minimarket ...” (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2018 n. 3212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
Parere in merito all’opportunità di eliminare gli estremi
del certificato di agibilità dei locali dal procedimento per
l’avvio di un’attività commerciale o produttiva
(Legali Associati per Celva,
nota
07.02.2018 - tratto da www.celva.it).
---------------
Problema riscontrato: Lo Sportello unico degli
enti locali ha messo in atto un processo di revisione dei
procedimenti di propria competenza nell’ottica della
semplificazione per il richiedente.
Il processo, inoltre, persegue l’obiettivo di adeguare i
procedimenti telematici del SUEL alla modulistica approvata
in sede di Conferenza Unificata, in accordo tra Governo,
Regioni ed enti locali.
Tra le diverse novità introdotte dalla modulisitica
unificata, vi è l’eliminazione di alcuni dati e adempimenti,
tra i quali l’indicazione degli estremi relativi
all’agibilità dei locali, per l’avvio di un’attività
commerciale o produttiva.
Il sito www.italiasemplice.gov.it, curato dal Dipartimento
della Funzione pubblica, illustra tali premesse: "(…) Con
l'accordo tra Governo, Regioni ed enti locali siglato in
Conferenza Unificata il 04.05.2017, è stata raggiunta
l’intesa su moduli unificati e standardizzati per
comunicazioni e istanze nei settori dell'edilizia e delle
attività commerciali e assimilate.
L’accordo è stato pubblicato sul Supplemento ordinario n. 26
della Gazzetta Ufficiale n. 128 del 05.06.2017.
Con l’arrivo dei moduli unici nazionali i cittadini e le
imprese che vogliono aprire, ad esempio, un negozio, un bar,
o un esercizio commerciale (comprese le attività di
e-commerce e di vendita a domicilio) o avviare interventi
edilizi, come i lavori di ristrutturazione della propria
casa, avranno tempi e regole certi e una riduzione dei costi
e degli adempimenti, con una modulistica più semplice e
valida su tutto il territorio nazionale.
Tra le novità più importanti:
Non possono più essere richiesti dati e adempimenti che
derivano da prassi amministrative, ma non sono espressamente
previsti dalla legge. Ad esempio, non è più richiesto il
certificato di agibilità dei locali per l’avvio di
un’attività commerciale o produttiva. (…)”.
Riferimenti normativi: legge regionale 06.041998, n.
11
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: -
Quesiti: Si richiede pertanto un parere con
riferimento all’opportunità di eliminare gli estremi del
certificato di agibilità dei locali per l’avvio di
un’attività commerciale o produttiva, considerando anche
quanto previsto dalla legge regionale 06.04.1998, n. 11
“Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale
della Valle d'Aosta”. |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art. 19
della L. 241/1990, il quale testualmente dispone che
l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti
e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che
il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende
esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano,
dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale
conformità si pone come un presupposto indispensabile per
consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per
sua natura, coinvolge il pubblico.
Il Collegio intende prendere le mosse dal testo dell’art. 19
della L. 241/1990, il quale testualmente dispone che
l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti
e dei presupposti previsti dalla legge.
La norma, riferita al caso in esame, sta a significare che
il Comune doveva controllare che i locali, dove s’intende
esercitare l’attività commerciale di ristorazione, siano,
dal punto di vista edilizio, conformi a legge, giacché tale
conformità si pone come un presupposto indispensabile per
consentire lo svolgimento legittimo di un’attività che, per
sua natura, coinvolge il pubblico.
E giacché la conformità a
legge dei locali costituisce un necessario presupposto, la
cui assenza impedisce lo svolgimento dell’attività
commerciale considerata, tale profilo della vicenda risulta
assorbente e va considerato per primo.
Dagli atti di causa risulta che la società ricorrente ha
realizzato una struttura in legno, con la quale ha coperto
il terrazzo, modificando la sagoma dell’edificio. Le opere
realizzate sono visibili dalla strada. In tale modo, come
esattamente osserva il Comune nella sua memoria, si è
realizzato un primo piano, con superficie di non meno di 58
mq circa, a destinazione commerciale, qual è quella della
ristorazione.
Un siffatto intervento esula dalla previsione
dell’art. 20 della L.R. 4/2003, che ribadisce al comma 6 che
la realizzazione di verande non può comportare una
variazione della destinazione d’uso della superficie
modificata, la quale, comunque non può eccedere i 50 mq.. La
tesi della società ricorrente secondo cui il comma 7 della
norma citata prevede un diverso limite di 60 mq per gli
edifici adibiti esclusivamente ad attività commerciali, non
ha pregio, giacché ciò è consentito nel caso che vengano
realizzate opere per l’adeguamento degli edifici a
sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico sanitarie, con
l’avvertenza che le opere realizzate con tale finalità
possono essere regolarizzate previa richiesta di
autorizzazione.
Il Collegio rileva, quindi, che le diverse tesi della
società ricorrente non possono essere condivise e il motivo
di ricorso va rigettato.
Nel provvedimento comunale impugnato si legge che
l’accessibilità al solaio di copertura, servito da una scala
a chiocciola interna al locale del piano terra, non risulta
conforme al D.M. 236 del 14.06.1989 artt. 4 e 8. Il primo
giudice ha ritenuto tale motivazione del provvedimento
impugnato immune da vizi, ritenendo del tutto irrilevante
che la medesima scala fosse stata ritenuta idonea ad un uso
privato, “quando il terrazzo non risultava occupato da
iniziative commerciali”.
La ricorrente non rivolge a
questo punto della sentenza nessuna censura sostanziale, ma
piuttosto lamenta che “il Comune ha affermato l’esistenza
di due ragioni di diniego della SCIA, che non aveva incluso
fra i motivi ostativi nell’avviso di avvio del procedimento,
senza quindi consentire alla ricorrente di presentare le
proprie osservazioni, frustrando la finalità partecipativa
della norma”.
Il Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal
primo giudice. L’art. 4 del citato decreto 236/1989 prevede
espressamente una serie di requisiti che debbono avere le
scale degli edifici aperti al pubblico, requisiti che la
scala chiocciola non sembra avere né la ricorrente dice che
li abbia. Non si vede, quindi, quali osservazioni essa
avrebbe potuto presentare al Comune, che si è limitato a
richiamare una precisa norma, che non lascia spazio a
valutazioni discrezionali.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato infondato e come
tale va respinto con assorbimento di ogni altro motivo
(C.G.A.R.S.,
sentenza 18.06.2015 n. 446 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Il
legittimo esercizio di un’attività commerciale deve essere
ancorato, sia in sede di rilascio del relativo titolo
autorizzatorio, sia per l’intera durata del suo svolgimento,
alla disponibilità giuridica e alla regolarità
urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in
essere.
Tuttavia, non può sanzionarsi con l’ordine di cessazione
dell’attività il fatto che l’attività commerciale si svolga
solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo
edilizio (e paesistico, ove l’area interessata sia
assoggetta a vincolo).
Un tale ordine, infatti, verrebbe a collidere con i criteri
di ragionevolezza e sproporzione che devono improntare
l’azione amministrativa, costituendo, in definitiva, sintomo
di sviamento di quell’azione, ben potendo l’Amministrazione,
nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente
conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla
repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso
all’esplicazione di un’attività imprenditoriale, ove
materialmente possibile e accertata la sussistenza dei
requisiti igienico-sanitari per la restante parte, limitare
la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto
il profilo edilizio.
Va osservato preliminarmente, secondo il
costante orientamento della Sezione, che il legittimo
esercizio di un’attività commerciale deve essere ancorato,
sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio,
sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla
disponibilità giuridica e alla regolarità
urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in
essere (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007; cfr. anche, da
ultimo, Cons. Stato, sez. V, 05.11.2012 n. 5590).
Al tempo stesso va rimarcato –sempre in linea con la
richiamata giurisprudenza- che non può sanzionarsi con
l’ordine di cessazione dell’attività il fatto che l’attività
commerciale si svolga solo in parte in locali realizzati in
assenza di titolo edilizio (e paesistico, ove l’area
interessata sia assoggetta a vincolo). Un tale ordine,
infatti, verrebbe a collidere con i criteri di
ragionevolezza e sproporzione che devono improntare l’azione
amministrativa, costituendo, in definitiva, sintomo di
sviamento di quell’azione, ben potendo l’Amministrazione,
nell’esercizio del potere sanzionatorio e tenuto debitamente
conto del contemperamento tra l’interesse pubblico alla
repressione degli abusi e l’interesse privato sotteso
all’esplicazione di un’attività imprenditoriale, ove
materialmente possibile e accertata la sussistenza dei
requisiti igienico-sanitari per la restante parte, limitare
la sanzione alla sola parte del locale non autorizzata sotto
il profilo edilizio
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 21.12.2012 n. 5326 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non può revocarsi in dubbio che il legittimo
esercizio di un'attività commerciale sia ancorato, sia in
sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per
l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità
giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali
in cui essa viene posta in essere, ma che, al tempo stesso,
non può sanzionarsi con l'ordine di chiusura dell'intero
esercizio il fatto che quest'ultimo si svolga solo in parte
in locali realizzati in assenza di titolo edilizio (e
paesistico, ove l'area interessata sia assoggetta a
vincolo), rivelandosi tale ordine eccessivo e perciò viziato
sotto il denunciato profilo dell'eccesso di potere.
Appare, infatti, contrario a criteri di ragionevolezza -e
perciò sintomo di sviamento dell'azione amministrativa-
inibire per intero l'esercizio di un'attività commerciale
quando soltanto una parte dei locali in cui essa è svolta
non è in regola con la normativa edilizia, ben potendo
l'Amministrazione, nell'esercizio del potere sanzionatorio e
tenuto debitamente conto del contemperamento tra l'interesse
pubblico alla repressione degli abusi e l'interesse privato
sotteso all'esplicazione di un'attività imprenditoriale,
limitare la sanzione alla sola parte del locale non
autorizzata sotto il profilo edilizio.
Il Tribunale
ha in passato osservato, in linea con il proprio costante
orientamento, che “non può revocarsi in dubbio che il
legittimo esercizio di un'attività commerciale sia ancorato,
sia in sede di rilascio del relativo titolo autorizzatorio,
sia per l'intera durata del suo svolgimento, alla
disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. III, 09.09.2008, n.
10058; Id., 09.08.2007, n. 7435; Id., 27.01.2003,
n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007), ma che, al tempo
stesso, non può sanzionarsi con l'ordine di chiusura
dell'intero esercizio il fatto che quest'ultimo si svolga
solo in parte in locali realizzati in assenza di titolo
edilizio (e paesistico, ove l'area interessata sia
assoggetta a vincolo), rivelandosi tale ordine eccessivo e
perciò viziato sotto il denunciato profilo dell'eccesso di
potere. Appare, infatti, contrario a criteri di
ragionevolezza -e perciò sintomo di sviamento dell'azione
amministrativa- inibire per intero l'esercizio di
un'attività commerciale quando soltanto una parte dei locali
in cui essa è svolta non è in regola con la normativa
edilizia, ben potendo l'Amministrazione, nell'esercizio del
potere sanzionatorio e tenuto debitamente conto del
contemperamento tra l'interesse pubblico alla repressione
degli abusi e l'interesse privato sotteso all'esplicazione
di un'attività imprenditoriale, limitare la sanzione alla
sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo
edilizio” (TAR, Campania, Napoli, sez. III, 08.06.2010,
n. 13015).
La giurisprudenza da ultimo citata è, peraltro, applicabile
solo laddove sia possibile distinguere la parte abusiva da
quella legittima ma non nei casi in cui i lavori abusivi
abbiano interessato l’intera struttura trasformandola in
modo da non potersi più riconoscere e agevolmente separare
la parte originariamente autorizzata da quella oggetto di
modifica.
E’ evidente, comunque, che le determinazioni assunte in
ordine alla cessazione dell’attività commerciale autorizzata
debbano trovare nel provvedimento un’idonea motivazione, che
nella fattispecie difetta (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza
11.12.2012 n. 5072 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Tra i presupposti del legittimo
svolgimento dell’attività commerciale e, quindi, tra le
condizioni richieste ai fini della formazione del titolo
abilitante anche mediante la sola dichiarazione del privato
(DIA, poi SCIA), va senz’altro annoverata la regolarità
edilizia dell’immobile in cui l’attività viene ad essere
svolta secondo il costante insegnamento della
giurisprudenza, cui questa Sezione si è già in altre
circostanze richiamata:
● la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, d.P.R. n.
380/2001, e art. 35, comma 2, l. n. 47/1985, del resto,
risponde ad un evidente principio di ragionevolezza
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la
tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia;
● non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di
un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di
rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per
l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità
giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali
in cui essa viene posta in essere.
Invero, l’esercizio di un’attività commerciale può avvenire
solo in presenza di un titolo abilitante, in passato
denominato “licenza di commercio” e che attualmente,
in attuazione dei principi di semplificazione dell’azione
amministrativa, può formarsi in virtù della sola iniziativa
del privato (denuncia di inizio attività DIA, segnalazione
certificata di inizio attività SCIA), sempre che ricorrano
condizioni e presupposti richiesti dalla legge (cfr. art. 19
l. n. 241/1990 recante la disciplina generale), risolvendosi
essa, in mancanza di detti presupposti e condizioni, in
attività commerciale abusiva.
Tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività
commerciale e, quindi, tra le condizioni richieste ai fini
della formazione del titolo abilitante anche mediante la
sola dichiarazione del privato (DIA, poi SCIA), va
senz’altro annoverata la regolarità edilizia dell’immobile
in cui l’attività viene ad essere svolta secondo il costante
insegnamento della giurisprudenza, cui questa Sezione si è
già in altre circostanze richiamata: «la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24,
comma 3, d.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n.
47/1985, del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia (Consiglio Stato, sez. V, 30.04.2009,
n. 2760, conforme, Id., sez. V, 16.08.2010 , n. 5701)»;
«non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio
di un'attività commerciale sia ancorato, sia in sede di
rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per
l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità
giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali
in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli,
sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435;
Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007)».
Nel caso di specie, l’irregolarità del cespite in cui
l’attività avrebbe dovuta essere svolta è acclarata
dall’avvenuta presentazione di una domanda di sanatoria
edilizia straordinaria (cd. condono edilizio), rigettata dal
Comune di Pozzuoli (cfr. motivazione del provvedimento
impugnato) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 22.11.2012 n. 4724 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel rilascio dell'autorizzazione
commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di
conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività
commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza
che il diniego di esercizio di attività di commercio deve
ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate
ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie
in questione con le prescrizioni urbanistiche.
---------------
Tutti i provvedimenti legittimamente fondati su tali
presupposti (abusi edilizi) non necessitino di alcuna
particolare valutazione delle ragioni di interesse pubblico
né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi
privati coinvolti, non essendo configurabile alcun tipo di
affidamento meritevole di tutela alla conservazione di
situazione fondate su “illeciti permanenti”, che il tempo
non può sanare in via di fatto.
Sul primo aspetto il Collegio ritiene di richiamare,
facendolo proprio, il consolidato orientamento di questo
Consiglio di Stato secondo il quale “nel rilascio
dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i
presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei
locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con
la naturale conseguenza che il diniego di esercizio di
attività di commercio deve ritenersi legittimo ove fondato
su rappresentate e accertate ragioni di abusività e/o non
regolarità delle opere edilizie in questione con le
prescrizioni urbanistiche” (Consiglio di Stato, sez. IV,
14/10/2011, n. 5537).
Sicché del tutto corretta appare la motivazione del TAR di
Napoli, che muovendosi sul solco tracciato dalla citata
giurisprudenza ha confermato che il legittimo esercizio di
un'attività commerciale, soprattutto se essa comporti –come
nel caso di specie- la somministrazione di alimenti e
bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del
relativo titolo autorizzatorio, sia per l’intera durata del
suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla
regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene
posta in essere.
Nel caso di specie, per quanto allegato dallo stesso
ricorrente, è incontroversa la mancanza di conformità
urbanistica-edilizia del compendio aziendale, di talché
ineccepibile appare il consequenziale provvedimento
inibitorio adottato dal Comune di Pompei, rispetto alla
richiesta di rilascio della relativa autorizzazione
commerciale. E ciò, anche alla luce della disciplina
regionale e statale in materia di aziende agrituristiche,
puntualmente richiamata dal TAR nella decisione gravata, che
il Collegio ritiene di condividere pienamente anche sotto
tale specifico aspetto.
Ne consegue che la sentenza merita conferma anche nella
parte in cui ha ritenuto corretto il comportamento del
Comune di Pompei che ha ordinato la cessazione dell’attività
abusiva di agriturismo condotta dall’appellante, sul rilievo
della non assentibilità dei manufatti realizzati nel
compendio aziendale e della improcedibilità dell’istanza di
rilascio dell’autorizzazione sanitaria in relazione a locali
ed ambienti oggetto di una pluralità di modifiche, oltre che
in ragione dell’insussistenza di altri fondamentali
presupposti (quali l’iscrizione all’elenco regionale degli
operatori agrituristici).
---------------
L’appellante lamenta, poi, il fatto che
il TAR non avrebbe considerato la circostanza, quanto alla
interruzione della propria attività, che vi fosse un
affidamento formatosi “medio tempore”.
Sul punto, mutuando i principi in tema di provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, la Sezione ritiene che
tutti i provvedimenti legittimamente fondati su tali
presupposti (abusi edilizi) non necessitino di alcuna
particolare valutazione delle ragioni di interesse pubblico
né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi
privati coinvolti, non essendo configurabile alcun tipo di
affidamento meritevole di tutela alla conservazione di
situazione fondate su “illeciti permanenti”, che il
tempo non può sanare in via di fatto (Cons. St., sez. IV,
16/04/2012, n. 2185).
Ciò vale tanto più nel caso di specie, atteso che -come
opportunamente evidenziato dal TAR di Napoli– nella materia
delle aziende agrituristiche vi è una disciplina legislativa
statale e regionale particolarmente rigorosa, perché
finalizzata a preservare la specificità del settore
agrituristico e la genuinità dei prodotti fruibili
all’interno dell’azienda agrituristica
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.11.2012 n. 5590 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sentenza Cds sulla regolarità
urbanistica. Locali irregolari? Attività abusiva.
È abusivo l'esercizio dell'attività agrituristica in locali
che presentano irregolarità sotto il profilo
edilizio-urbanistico ed è legittimo l'ordine di cessazione
dell'attività pronunciato dal comune. Il legittimo esercizio
di un'attività commerciale, soprattutto se essa comporti,
come nel caso di specie, la somministrazione di alimenti e
bevande, deve essere ancorato, sia in sede di rilascio del
relativo titolo autorizzatorio sia per l'intera durata del
suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla
regolarità urbanistico-edilizia dei locali in cui essa viene
posta in essere. Nel rilascio dell'autorizzazione
commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di
conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività
commerciale si va a svolgere, con la naturale conseguenza
che il diniego di esercizio di attività di commercio deve
ritenersi legittimo ove fondato su rappresentate e accertate
ragioni di abusività e/o non regolarità delle opere edilizie
in questione con le prescrizioni urbanistiche. Nel caso di
specie, è incontroversa la mancanza di conformità
urbanistica-edilizia del compendio aziendale, pertanto
appare ineccepibile il consequenziale provvedimento
inibitorio adottato dal comune, rispetto alla richiesta di
rilascio della relativa autorizzazione commerciale. In
materia di agriturismo vi è una disciplina legislativa
statale e regionale particolarmente rigorosa, perché
finalizzata a preservare la specificità del settore a e la
genuinità dei prodotti fruibili all'interno dell'azienda.
Questo è il contenuto della
sentenza 05.11.2012 n. 5590
del Consiglio di Stato (Sez. V).
I giudici di Palazzo Spada ritengono corretto il
comportamento del comune che ha ordinato la cessazione
dell'attività abusiva di agriturismo, sul rilievo della non
assentibilità dei manufatti realizzati nel compendio
aziendale e della improcedibilità dell'istanza di rilascio
dell'autorizzazione sanitaria in relazione a locali (articolo
ItaliaOggi del 13.11.2012). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
della conformità alle prescrizioni in materia edilizia-urbanistica è
condizione sia per il rilascio delle autorizzazioni commerciali per
l'apertura di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande, sia per la stessa valutazione della perdurante legittimità
dell'attività assentita, pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato
contrasto con il principio di buona amministrazione, non potendosi
autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio.
La normativa statale di riferimento in materia di attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel
richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione
commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in
sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla
stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
L’art. 64, c. 6, del d.lgs. 59 del 2010 di attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno -replicando invero
quanto già precedentemente sancito dall’art. 3, c. 7, l. 287/1991- infatti
stabilisce che “l'avvio e l'esercizio dell'attività di somministrazione di
alimenti e bevande è soggetto al rispetto delle norme urbanistiche,
edilizie, igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro”,
mantenendo al comma primo, per l’apertura degli esercizi, il titolo
autorizzatorio preventivo rilasciato dal comune competente per territorio.
La situazione non cambia per effetto dell’entrata in vigore del nuovo testo
dell’art. 19 l. 241/1990, come introdotto dalla l. 122/2010, perché anche a
voler ritenere tendenzialmente applicabile il nuovo istituto della SCIA
all’apertura dell’attività di somministrazione alimenti e bevande,
trattandosi comunque di attività non sottoposta ad alcun contingentamento o
programmazione settoriale (fatta eccezione per le ipotesi contemplate dallo
stesso comma terzo dell’art. 64 d.lgs. 59/2010) la conformità
urbanistico-edilizia dei locali è comunque da ritenersi, secondo la citata
disciplina di settore, presupposto di operatività od esistenza per la
formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, senza contare comunque
che la SCIA stessa non può operare allorché sussista, come nella
fattispecie, vincolo di natura paesaggistica (art 19, c. 1, l. 241/1990 e
s.m.) e allorché vi sia insistenza su area demaniale occupata (seppur
parzialmente) sine titulo.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensiva,
- della diffida prot. n. 2931/P.M. del 18.05.2009 del Dirigente del
II° Settore e attività produttive del Comune di Polignano a Mare avente ad
oggetto "diffida all'esercizio dell'attività di somministrazione di
alimenti e bevande in località .... Diffida al conferimento di rifiuti ai
contenitori ubicati sul territorio comunale";
- dell'ivi richiamato verbale di atti di accertamento del
18.05.2009, prot. n. PM 3736;
- della nota prot. n. 3552/P.M. del 15.06.2009 del Dirigente del II°
settore e attività produttive del Comune di Polignano a Mare avente ad
oggetto "divieto di prosecuzione dell'esercizio di attività abuisiva di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande" e del richiamato
verbale del 18.05.2009;
- nonché ove ritenuto necessario della ordinanza di sospensione
lavori n. 13/U.T.-91RG del 24.06.2009 del Dirigente della Struttura
Urbanistica ed edilizia del Comune di Polignano a Mare con la quale erano
contestate presunte difformità al permesso di costruire n. 2005-082 del
13.04.2005;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali,
ancorché non conosciuti, nonché per il risarcimento dei relativi danni.
quanto ai primi motivi aggiunti notificati in data 03.05.2010:
- della nota prot. n. 4297/2010 del 01.03.2010 del Dirigente del
Servizio Staff e Attività produttive, comunicata con raccomandata a.r.
successivamente ricevuta, con la quale era denegato il rinnovo
dell'autorizzazione amministrativa per l'anno 2010 per la somministrazione
al pubblico di alimenti e bevande in località C... e di tutti gli atti
presupposti, connessi e conseguenziali, ancorché non conosciuti, nonché per
il risarcimento dei relativi danni.
quanto ai secondi motivi aggiunti depositati il 09.07.2010:
- della nota prot. 12476 del 28.05.2010 del Dirigente dei
servizi di staff ufficio attività produttive del Comune di Polignano a Mare
avente ad oggetto il rigetto della richiesta di autorizzazione
amministrativa stagionale avanzata dal ricorrente per la somministrazione di
alimenti e bevande in località ..., della nota prot. 10.930 del 12.05.2010
di preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 241/1990 e di diffida allo
svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nonché
ove ritenuto necessario di tutti gli atti presupposti, connessi e
conseguenziali, ancorché non conosciuti, nonché per il risarcimento dei
relativi danni..
quanto ai terzi motivi aggiunti notificati il 31.03.2011:
- della nota 2638 del 02.02.2011 pervenuta il 3 febbraio della
struttura urbanistica ed edilizia del Comune di Polignano a Mare di rigetto
della richiesta di accertamento in conformità ex art 36 d.p.r. 380/2001 da
parte del ricorrente nonché della presupposta nota della Soprintendenza per
i Beni Culturali e per il Paesaggio di Bari prot. 9520 del 13.10.2010;
- di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale a
quello impugnato ancorché non conosciuto.
...
L’azione demolitoria complessivamente proposta dall’odierno ricorrente
poggia sull’accertamento della fondatezza della pretesa a poter
legittimamente continuare l’attività di somministrazione di alimenti e
bevande erogata da alcuni anni presso località Cala Paura, unitamente
all’accertamento, di carattere pregiudiziale, della conformità
urbanistico-edilizia delle opere realizzate strumentali a tale attività.
Ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente l’impugnativa di cui ai
terzi motivi aggiunti del diniego di sanatoria edilizia ai sensi
dell’art 36 d.p.r. 380/2001, essendo l’accertamento della conformità alle
prescrizioni in materia edilizia-urbanistica condizione sia per il rilascio
delle autorizzazioni commerciali per l'apertura di esercizi di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sia per la stessa
valutazione della perdurante legittimità dell'attività assentita,
pervenendosi altrimenti ad un ingiustificato contrasto con il principio di
buona amministrazione, non potendosi autorizzare un’attività che poi si
dovrebbe reprimere sul piano edilizio (così TAR Campania Napoli III
12.04.2010, n. 1923, in termini Consiglio di Stato sez. V 28.05.2009 n.
3262, id. sez. V 05.04.2005 n. 1543, TAR Liguria sez. II 11.04.2008 n. 543).
La normativa statale di riferimento in materia di attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è d’altronde chiara nel
richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione
commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in
sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla
stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.
L’art. 64, c. 6, del d.lgs. 59 del 2010 di attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno -replicando invero
quanto già precedentemente sancito dall’art. 3, c. 7, l. 287/1991- infatti
stabilisce che “l'avvio e l'esercizio dell'attività di somministrazione
di alimenti e bevande è soggetto al rispetto delle norme urbanistiche,
edilizie, igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro”,
mantenendo al comma primo, per l’apertura degli esercizi, il titolo
autorizzatorio preventivo rilasciato dal comune competente per territorio.
La situazione non cambia per effetto dell’entrata in vigore del nuovo testo
dell’art. 19 l. 241/1990, come introdotto dalla l. 122/2010, perché anche a
voler ritenere tendenzialmente applicabile il nuovo istituto della SCIA
all’apertura dell’attività di somministrazione alimenti e bevande,
trattandosi comunque di attività non sottoposta ad alcun contingentamento o
programmazione settoriale (fatta eccezione per le ipotesi contemplate dallo
stesso comma terzo dell’art. 64 d.lgs. 59/2010) la conformità
urbanistico-edilizia dei locali è comunque da ritenersi, secondo la citata
disciplina di settore, presupposto di operatività od esistenza per la
formazione dello stesso titolo abilitativo tacito, senza contare comunque
che la SCIA stessa non può operare allorché sussista, come nella
fattispecie, vincolo di natura paesaggistica (art 19, c. 1, l. 241/1990 e
s.m.) e allorché vi sia insistenza su area demaniale occupata (seppur
parzialmente) sine titulo
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 09.07.2011 n. 1056 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione
dell’ordinanza sindacale con la quale è stata disposta la
chiusura dell’esercizio commerciale di ristorante in quanto
esercitato in locale da ritenersi abusivo e, pertanto,
sprovvisto del certificato di abitabilità di cui all’art.
221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Tanto il certificato di agibilità dei
locali quanto l'autorizzazione sanitaria sono requisiti
necessari allo svolgimento dell'attività di somministrazione
di alimenti e bevande; la circostanza che, pertanto, fosse
intervenuto, nel caso di specie, il rilascio
dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione
commerciale –ma non del certificato di abitabilità- non
consente di ritenere che la relativa attività potesse essere
esercitata nei locali di cui trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della
U.S.L., essa costituisce soltanto un certificato descrittivo
dell’immobile di cui trattasi con valenza eventualmente di
mero parere preventivo, essendo di competenza esclusiva del
Sindaco il rilascio del certificato di agibilità.
---------------
Ciò che rileva è la circostanza che l’impugnata ordinanza
sia stata adottata da parte del Comune ai sensi del
combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o parti
di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere
abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la
concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o
di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il
podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del
medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o
parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo
sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza) di
agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in
un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché
inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e
quindi l'edificio in sé stesso considerato, ossia il solo
manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto
certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale
disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso
strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da
adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà
svolgere preveda comunque un uso che comporti la
frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici
o parti di essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata in senso estensivo,
attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che
sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad
intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad
adeguato controllo da parte dell'autorità sanitaria,
potrebbero non avere determinate caratteristiche di
igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc..
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il
rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è,
pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e della mancanza di
cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in
sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della
giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della
licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal
titolare della relativa concessione edilizia e la data della
conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del
relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S..
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di
prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità; e
legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo
medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in
caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce
appunto presupposto indispensabile perché un locale possa
essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità,
igienicità ed incolumità del locale stesso.
Con il ricorso in trattazione la società ricorrente ha
impugnato l’ordinanza del Sindaco del Comune di Gaeta n.
243/1994, con la quale è stata disposta la chiusura
dell’esercizio commerciale di ristorante, ubicato al primo
piano del complesso alberghiero denominato “Hotel A.”,
sito nel Comune di Gaeta, in quanto esercitato in locale da
ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di
abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Il ricorso è infondato nel merito per le considerazioni che
seguono.
Dall’esame della documentazione versata in atti dalle parti
del giudizio emerge come il locale che interessa, ossia il
piano primo dell’immobile, fosse da ritenersi, al momento
dell’adozione del provvedimento impugnato, abusivo, in
quanto realizzato in difformità alla relativa licenza
edilizia e non ammesso a concessione edilizia in sanatoria;
tanto è vero che il certificato di agibilità è stato
rilasciato da parte del Comune, in data 19.06.1989,
limitatamente agli altri due piani dell’immobile, ossia il
piano seminterrato ed il piano terra, con riguardo ai quali
era stato rilasciato il condono.
E’ circostanza incontestata che il piano primo dell’immobile
sia privo del relativo certificato di agibilità: risulta
infatti che la società ricorrente ha provveduto a
richiederne il rilascio soltanto in data 26.07.1994.
Né si può ritenere rilevante, sul punto, il richiamo alla
nota del dirigente sanitario della U.S.L. LT/6 di cui al
prot. n. 230 dell’11.05.1988, avente ad oggetto il
certificato di cui al D.P.R. n. 1437 del 30.12.1970, con il
quale, osserva la società ricorrente, è stata attestata
l’agibilità dell’immobile nella sua interezza, con riguardo
allo svolgimento dell’attività alberghiera. Altrettanto
irrilevante deve ritenersi il riferimento sia alla
successiva nota, prot. n. 1030 del 03.07.1989, con cui il
medesimo dirigente ha espresso parere favorevole -in ordine
all’idoneità igienico-sanitaria dei locali e delle
attrezzature per la ristorazione- ai fini del rilascio
dell’autorizzazione sanitaria (a condizione dell’allaccio
del fabbricato alla fognatura dinamica comunale entro sei
mesi); sia al conseguente rilascio, da parte del Sindaco del
Comune di Gaeta, dell’autorizzazione sanitaria ai fini della
ristorazione (n. 223 del 06.07.1989).
Gli atti richiamati non hanno infatti efficacia dirimente
nei sensi prospettati da parte della difesa della società
ricorrente.
Al riguardo si premette che tanto il certificato di
agibilità dei locali, quanto l'autorizzazione sanitaria sono
requisiti necessari allo svolgimento dell'attività di
somministrazione di alimenti e bevande; la circostanza che,
pertanto, fosse intervenuto, nel caso di specie, il rilascio
dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione
commerciale –ma non del certificato di abitabilità- non
consente di ritenere che la relativa attività potesse essere
esercitata nei locali di cui trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della
U.S.L. in data 11.05.1988, essa costituisce soltanto un
certificato descrittivo dell’immobile di cui trattasi con
valenza eventualmente di mero parere preventivo, essendo di
competenza esclusiva del Sindaco il rilascio del certificato
di agibilità.
Ciò che invece rileva è la circostanza che l’impugnata
ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai sensi
del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o
parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono
essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la
concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o
di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il
podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del
medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o
parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza) di
agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in
un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché
inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti",
e quindi l'edificio in sé stesso considerato, ossia il solo
manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto
certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale
disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso
strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da
adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà
svolgere preveda comunque un uso che comporti la
frequentazione da parte delle persone: la frase "gli
edifici o parti di essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata in senso
estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si
prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che
si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non
sottoposti ad adeguato controllo da parte dell'autorità
sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche
di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc.
(Cassazione penale, sez. I, 05.04.1996, n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il
rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è,
pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e della mancanza di
cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in
sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della
giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della
licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal
titolare della relativa concessione edilizia e la data della
conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del
relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S.
(Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n. 538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di
prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità
(cfr. TAR Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e
legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo
medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in
caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce
appunto presupposto indispensabile perché un locale possa
essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità,
igienicità ed incolumità del locale stesso (TAR Lombardia,
Milano, sez. I, 16.11.2001, n. 7283).
Per quanto attiene, poi, alla lamentata commistione di
profili diversi, quello commerciale e quello
urbanistico-edilizio, è senza dubbio vero che solo l’art. 4
del decreto legge 05.10.1993, n. 398, ha testualmente esteso
i controlli da effettuare ai fini del rilascio della licenza
di abitabilità all'accertamento della conformità
urbanistico-edilizia, mentre l’articolo 221, ai medesimi
fini, postulava la verifica dell'inesistenza di cause di
insalubrità dell'edificio, senza alcun collegamento con
finalità di carattere edilizio-urbanistico, riservando
comunque all'Amministrazione comunale il potere di reprimere
gli abusi edilizi, ancorché fosse stato rilasciato il
certificato di abitabilità.
E’ però da rilevare come, nel caso di specie, il
provvedimento impugnato sia stato adottato dopo l’entrata in
vigore della richiamata innovativa disciplina. In ogni caso,
oggetto d’impugnazione non è il diniego del rilascio del
certificato di agibilità ai sensi dell’art. 221 per motivi
inerenti interessi edilizi ed urbanistici, bensì l’ordine di
sgombero fondato sulla mancanza da parte della società
ricorrente del certificato di agibilità.
E la circostanza che la società ricorrente fosse priva del
detto certificato è dimostrato ancora di più
dall’intervenuta richiesta formulata da parte della stessa
al Comune ai predetti fini (e concernente, pertanto,
specificatamente il piano primo dell’immobile di cui
trattasi) soltanto alla data del 26.07.1994.
Né si ritiene che la semplice presentazione della detta
istanza fosse sufficiente non essendosi ancora concluso il
relativo procedimento alla data di adozione del
provvedimento impugnato.
In tal senso, infatti, non vale il richiamo all’art. 43, co.
2, del D.P.R. 30.05.1989, n. 223, rubricato “Obblighi dei
proprietari di fabbricati.”, il quale dispone
testualmente che: ”1. Gli obblighi di cui all'art. 42
devono essere adempiuti non appena ultimata la costruzione
del fabbricato.
2. A costruzione ultimata e comunque prima che il fabbricato
possa essere occupato, il proprietario deve presentare al
comune apposita domanda per ottenere sia l'indicazione del
numero civico, sia il permesso di abitabilità se trattasi di
fabbricato ad uso di abitazione, ovvero di agibilità se
trattasi di fabbricato destinato ad altro uso. …”,
E’ infatti da rilevare che, in forza di quanto previsto dal
richiamato articolo, l’assegnazione della numerazione civica
presuppone, al pari della abitabilità, l’esistenza di un
titolo edilizio in base al quale la costruzione è stata
realizzata (TAR Lombardia Milano, sez. II, 20.03.2009, n.
1954).
Per le considerazioni che precedono, peraltro, si ritiene,
altresì, infondato il primo motivo di censura con il quale è
stata dedotta la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del
1990 per la mancata previa comunicazione dell’avvio
procedimentale, atteso che ai sensi dell'articolo 21-octies,
comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, “Il
provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per
mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora
l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato".
Nel caso di specie –proprio in considerazione della mancanza
del certificato di agibilità, circostanza dimostrata in
giudizio- il Comune non poteva se non procedere all’adozione
del provvedimento di sgombero del locale ai sensi del
richiamato art. 222 del T.U.L.S..
Il ricorso va dunque respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Aziende agrituristiche - Esercizio di
attività commerciale - Regolarità urbanistico-edilizia -
Presupposto imprescindibile - Disciplina normativa del
settore agrituristico - Conservazione e recupero del
patrimonio edilizio rurale esistente - Sanabilità di nuovi
manufatti - Limiti.
Il legittimo esercizio di un'attività commerciale,
precipuamente quando essa comporti la somministrazione di
alimenti e bevande, deve essere ancorato, sia in sede di
rilascio del relativo titolo autorizzatorio, sia per
l'intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità
giuridica e alla regolarità urbanistico-edilizia dei locali
in cui essa viene posta in essere (cfr. TAR Campania Napoli,
sez. III, 09.09.2008, n. 10058; Id., 09.08.2007, n. 7435;
Id., 27.01.2003, n. 423; Id., 22.11.2001, n. 5007); tale
principio acquista maggiore rigore in materia di aziende
agrituristiche, perché la relativa disciplina è finalizzata
a preservare la specificità del settore agrituristico e la
genuinità dei prodotti fruibili all’interno dell’azienda
agrituristica.
Dal quadro normativo vigente, emerge infatti che l’azienda
agrituristica viene concepita dal legislatore, quanto al
profilo dei cespiti edilizi in cui essa si svolge, come
finalizzata alla conservazione ed eventualmente al recupero
patrimonio edilizio rurale esistente, il che costituisce un
elemento di valutazione ineludibile e stringente per lo
scrutinio sia della assentibilità sia della sanabilità a
posteriori di nuovi manufatti realizzati nel compendio
agrituristico (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 01.02.2011 n. 636 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
1. – Sanzioni – Ingiunzione a demolire –
Motivazione - Abuso risalente nel tempo – Necessità.
2. – Concessione – Sanatoria ex artt. 31 L. 47/1985 e art.
39 L. 724/1994 – Vincolo cimiteriale – Vincolo assoluto di
inedificabilità – Legittimità del diniego – Esercizio di
attività commerciale consentito dall’Amministrazione -
Irrilevanza.
1.
– Sebbene normalmente le sanzioni demolitorie in materia
edilizia siano atti dovuti e sufficientemente motivati con
la constatazione dell’abuso edilizio e l’avvenuto
accertamento dell’esecuzione dell’opera in assenza di titolo
concessorio o in totale difformità da esso, tuttavia è
richiesta una motivazione particolare ed ulteriore
sull’interesse pubblico specifico alla rimozione quando il
provvedimento intervenga a distanza di molto tempo
dall’esecuzione dell’opera stessa. Nel caso in cui il
manufatto (costituito da un chiosco-bar) esista dagli anni
1966/1970 (seppur con dimensioni ridotte), vi sia stata
esercitata l’attività commerciale autorizzata con allaccio
all’acquedotto comunale, il formale accertamento di lavori
abusivi sia avvenuto nel 1983 ed il primo atto finalizzato
alla rimozione sia intervenuto nel 1991 (a distanza di oltre
sette anni), non può negarsi che il ricorrente abbia potuto
maturare in presenza dell’inerzia della P.A. protratta per
lungo tempo un qualche affidamento sulla stabilità o
stabilizzazione della sua posizione, affidamento
ulteriormente consolidato per l’ulteriore tempo decorso
nelle more della decisione dell’istanza di condono
presentata nel 1995.
2.
– Le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono un vincolo
di inedificabilità assoluta, preclusivo della sanatoria
edilizia, che non può essere escluso neppure nel caso in cui
l’Amministrazione abbia consentito per anni l’esercizio
dell’attività commerciale nel manufatto abusivo
(chiosco-bar) sito nella zona (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 14.10.2003 n. 5314 - link a
www.giurisprudenzaamministrativa.it). |
|