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71-LOTTO INTERCLUSO
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78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE
anno 2022

APPALTI SERVIZIAffidamenti in house, la valutazione di congruità non impone l'indagine di mercato.
In tema di affidamenti in house, la mancanza di una previa indagine di mercato per la verifica di congruità del contratto non inficia l'onere di motivazione rafforzato, con riferimento alle ragioni del mancato ricorso al mercato e alla convenienza dei costi del servizio. Questo perché l'onere di cui trattasi, imposto dall'articolo 192, comma 2, del dlgs 50/2016 per evitare l'abuso dell'affidamento diretto, può ritenersi soddisfatto ove l'ente affidante abbia cura di indicare le plausibili e specifiche ragioni preferenziali a sostegno della convenienza globale dello strumento pubblico.

Lo ha affermato il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con la sentenza 04.01.2022 n. 12.
Il contenzioso all'esame dei giudici lombardi ha preso avvio dal ricorso proposto da una società operante nel settore di igiene urbana avverso la delibera consiliare con cui un Comune aveva acquistato una piccola quota (0,03 per cento del capitale) in una società pubblica a compagine plurima, disponendo contestualmente, a favore della società stessa, l'affidamento in house della gestione rifiuti per una durata quinquennale.
La parte attrice si è rivolta al collegio con le seguenti doglianze:
   a) difetto di istruttoria da parte del Comune de quo, e conseguente violazione dell'onere di motivazione rafforzato in ordine alla congruità economica dell'offerta del soggetto in house, di cui all'articolo 192, comma 2, del codice dei contratti;
   b) carenza del requisito del controllo analogo da parte dell'ente affidante, titolare di una partecipazione irrilevante del capitale sociale.
Il Tar Lombardia ha aderito alla censura di cui al suddetto punto b) e per conseguenza ha accolto il gravame, annullando la delibera consiliare impugnata, nonché l'intera operazione posta in essere dal Comune per gestire il servizio rifiuti secondo il modello organizzativo dell'in house.
Nello specifico il collegio ha precisato che, in assenza di un accordo tra enti soci o di patti sociali che assicurino l'esercizio del controllo analogo al Comune titolare di una partecipazione "pulviscolare", la previsione di un Comitato di indirizzo strategico e di controllo analogo risulta inidonea e inefficace nell'ipotesi in cui –come è avvenuto nel caso di specie– tale Comitato sia munito di competenze meramente propositive e non vincolanti per l'operatività del Cda, al cui interno non è possibile (ovviamente) assicurare la presenza di membri che siano espressione di voto del piccolo Comune azionista. Rispetto al punto a) i giudici, nel respingere il motivo di ricorso, hanno eseguito un'accurata ricostruzione delle procedure da seguire per ottemperare all'onere di motivazione rafforzato.
Sul punto, il collegio ha riconosciuto un notevole margine di flessibilità all'azione dell'ente volta a dimostrare la convenienza (in senso lato) di gestire il servizio in house. Secondo il Tar «la motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato e della valutazione dei benefici per la collettività può essere resa in forma unitaria, sintetica e osmotica», di modo che «non è richiesto, quale adempimento necessario, lo svolgimento di specifiche indagini di mercato o la comparazione tra la soluzione organizzativa gestionale praticabile attraverso il soggetto in house e la capacità del mercato di offrirne una equivalente».
In questa prospettiva, l'onere di motivazione a supporto dell'affidamento in house può limitarsi ad accertare l'impossibilità di conseguire il medesimo risultato con il ricorso al mercato, grazie alla puntuale indicazione di «plausibili e atipiche ragioni preferenziali, addotte a sostegno della globale convenienza dello strumento pubblico» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).
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SENTENZA
4. Il primo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di istruttoria e sulla violazione dell’onere di motivazione rafforzato sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, di cui all’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, è infondato.
4.1. Con sentenza del 06.02.2020, pronunciata nelle cause riunite C-89/2019 e C-91/2019, la Corte di Giustizia UE, Sezione IX, ha ritenuto conforme all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE la normativa interna che subordina il ricorso al modulo organizzativo dell’in house providing alla dimostrazione del duplice requisito del fallimento del mercato e dei benefici ritraibili dalla collettività.
Con sentenza del 27.05.2020, n. 100, la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, ha affermato che l’onere motivazionale, avente ad oggetto le ragioni del mancato ricorso al mercato, è coerente con la ratio della norma, che è quella di evitare, in un’ottica pro concorrenziale, l’abuso dell’affidamento diretto, mediante un’interpretazione restrittiva dell’istituto.
Il Consiglio di Stato si è pronunciato, a proposito della effettiva consistenza dell’onere di motivazione delle ragioni che hanno comportato la scelta del modello organizzativo dell’in house providing, ed ha affermato che:
   a) la motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato e della valutazione dei benefici per la collettività può essere resa in forma unitaria, sintetica ed osmotica;
   b) la motivazione del fallimento del mercato può ritenersi sufficientemente integrata con il riferimento alla mera possibilità di ricorrere al mercato <<tutte le volte che i benefici per la collettività siano di per sé tali da giustificare il mancato ricorso al mercato>> (Consiglio di Stato, Sezione III, 12.03.2021, n. 2102);
   c) la preferenza del modello organizzativo dell’in house providing, rispetto a quello della esternalizzazione del servizio, deve tenere conto delle peculiarità del caso concreto ed essere esposta in modo ragionevole e plausibile;
   d) non è richiesto, quale adempimento necessario, lo svolgimento di specifiche indagini di mercato o la comparazione tra <<la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house>> e <<la capacità del mercato di offrirne una equivalente>> (Consiglio di Stato, Sezione IV, 2021, n. 4723).
4.2. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la motivazione delle ragioni preferenziali dell’affidamento in house dei servizi di igiene ambientale, rispetto ad altre modalità di affidamento, risulta logica e ragionevole, ove esaminata nel suo complesso.
Nella relazione illustrativa del 20.01.2021, redatta ai sensi degli articoli 34, comma 20, del decreto legge 18.10.2012, n. 179, convertito con modificazioni nella legge 17.12.2012, n. 221, e 192, comma 2, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, si è dato conto della esistenza di un mercato frazionato dei servizi di igiene ambientale e della necessità di procedere ad un unico affidamento del servizio integrato, che includa anche il segmento dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani non riciclabili, al fine di perseguire:
   a) una maggiore economicità nella gestione del servizio, mediante l’abbattimento dei tempi e dei costi derivanti dalla segmentazione degli affidamenti e delle relazioni intraprese con diversi operatori economici;
   b) una maggiore efficienza, mediante la semplificazione dei sistemi di controllo sull’intera filiera dei rifiuti;
   c) una maggiore garanzia di flessibilità per fronteggiare le mutevoli esigenze gestionali, determinate da eventuali situazioni emergenziali.
La convenienza economica dell’affidamento unitario del servizio è stata inoltre valutata dal Comune di Sedriano, sulla scorta della soluzione organizzativa elaborata dalla società A. a r.l. nella proposta tecnica e contrattuale, la quale non sembra contenere dati alterati o inattendibili.
Osserva il Collegio che l’aver omesso un confronto puntuale tra i dati economici e gestionali desumibili da un’indagine di mercato e la proposta contrattuale e gestionale presentata della A. s.r.l. non rappresenta un elemento idoneo ad inficiare la complessiva congruità di quest’ultima e la plausibilità delle motivazioni addotte dal Comune di Sedriano, con particolare riferimento alla maggiore flessibilità della gestione unitaria del servizio, garantita dall’adozione del modello organizzativo dell’in house.
La realizzazione dell’interesse pubblico, sotteso alla scelta del gestore del servizio, non esige infatti che l’onere motivazionale si estenda sino all’accertamento della oggettiva impossibilità di conseguire il medesimo risultato con il ricorso al mercato, atteso che esso può ritenersi integrato, nel rispetto della discrezionalità riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici dall’articolo 2, comma 1, della direttiva 2014/23/UE, anche mediante l’indicazione di plausibili ed atipiche ragioni preferenziali, addotte a sostegno della globale convenienza dello strumento pubblico.
4.3. La motivazione della scelta, effettuata dal Comune di Sedriano, di affidare la gestione del servizio integrato di igiene ambientale in ambito pubblico si rivela dunque conforme ai canoni della logica economica e della ragionevolezza tecnica, con conseguente reiezione del primo motivo di ricorso.
5. Residua infine la trattazione del secondo motivo del ricorso, con il quale sono state specificate plurime censure in relazione all’effettività del requisito del controllo analogo, esperibile dal Comune di Sedriano nei confronti dell’organo amministrativo della società A. s.r.l., ed alla destinazione prevalente dell’attività sociale in favore degli Enti soci.
5.1. Il Collegio deve preliminarmente rigettare l’eccezione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione, formulata dal Comune di Sedriano, il quale sostiene che la società ricorrente, anche in caso di accoglimento del secondo motivo del ricorso, non potrebbe ritrarre l’utilità alla quale aspira, ovvero la partecipazione, anche in forma associata, ad una procedura di evidenza pubblica per l’affidamento del servizio di igiene ambientale.
La società ricorrente, nella qualità di operatore economico del settore del ciclo dei rifiuti, agisce per la realizzazione di un interesse <<mediano>>, che è quello di accrescere, mediante la riedizione del potere, le proprie chanche di partecipazione ad una procedura competitiva, la quale è pur sempre astrattamente praticabile come una delle possibili opzioni per la gestione del servizio (Consiglio di Stato, Sezione III, 03.03.2020, n. 1564).
Essa ha pertanto un interesse specifico, concreto ed attuale a contrastare la scelta del Comune di Sedriano di sottrarre l’affidamento del servizio di igiene ambientale al mercato di riferimento.
5.2. La censura avente ad oggetto la violazione dell’articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, relativa alla carenza del requisito della destinazione prevalente dell’attività svolta dalla società A. a r.l. in favore degli Enti soci, è infondata.
Dai chiarimenti resi al Comune dalla A. s.r.l. con la risposta al quesito n. 1, contenuta nella nota dell’11.02.2021, risulta infatti che la media dei ricavi dell’attività in house, risultante dai bilanci approvati degli ultimi tre esercizi, si attesta su un valore pari al 96,70% dei ricavi totali.
5.3. Deve invece ritenersi fondata la censura avente ad oggetto la violazione dell’articolo 5, comma 1, lettera a), e comma 5, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, relativa alla carenza del requisito del controllo analogo congiunto esercitabile dal Comune di Sedriano, congiuntamente agli altri Comuni che detengono una partecipazione minoritaria, sulla società in house.
Con la citata sentenza del 06.02.2020, pronunciata nelle cause riunite C-89/2019 e C-91/2019, la Corte di Giustizia UE, Sezione IX, ha ritenuto conforme all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE la normativa interna che <<impedisce ad un’amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e di conseguenza la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici>>.
L’effettiva possibilità, per i soci pubblici affidanti che partecipano ad una società interamente pubblica, di incidere sulle decisioni strategiche della stessa deve ritenersi, in astratto, direttamente proporzionale alla loro quota di partecipazione.
Una partecipazione c.d. pulviscolare, quale quella detenuta dal Comune di Sedriano (pari a circa lo 0,03% del capitale sociale), è infatti certamente sintomatica della difficoltà dell’Ente di interferire in maniera decisiva sul conseguimento del fine pubblico che intende perseguire con l’attività di impresa.
Proprio per far fronte a tale deficit rappresentativo degli Enti pubblici di minoranza, sono previsti degli strumenti per assicurare l’effettività del controllo analogo congiunto degli stessi sulle scelte gestorie, quali la designazione di un proprio rappresentante nell’organo direttivo e l’attribuzione del potere di veto sulle decisioni che riguardino direttamente il proprio territorio, i quali devono essere contenuti in primo luogo nelle clausole statutarie della società in house (Consiglio di Stato, Sezione V, 30.04.2018, n. 2599).
Ove tali clausole si dimostrino insufficienti ad assicurare l’effettiva partecipazione alle decisioni strategiche per la realizzazione del fine pubblico, i soci pubblici di minoranza possono perseguire il medesimo risultato mediante la stipulazione di accordi o di patti parasociali che consentano loro di coordinarsi per esercitare congiuntamente il controllo <<sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata>> (Consiglio di Stato, Sezione V, 23.01.2019, n. 578; Commissione speciale, parere 01.02.2017, n. 282).

anno 2019

APPALTI SERVIZIIn house, alla Corte Ue stabilire i limiti tra partecipazione e posizione di controllo congiunto.
Deve essere rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e il principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche osti a una normativa nazionale (come quella dell'articolo 192, comma 2, del vigente codice dei contratti pubblici) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: consentendo questi affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché imponendo comunque all'amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a questa forma di affidamento (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 14 gennaio).
Inoltre, deve essere rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il diritto dell'Unione europea osti a una disciplina nazionale (come quella dell'articolo 4, comma 1, del testo unico delle società partecipate, approvato con Dlgs n. 175 del 2016) che impedisce a un'amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove l’amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell'organismo pluripartecipate.

Così si è espressa la V Sez. del Consiglio di Stato che con l’ordinanza 07.01.2019 n. 138 ha sollevato questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
Il fatto
Un'impresa operante nel settore dell'igiene urbana, interessata ad acquisire con gara, la gestione del servizio del Comune di Lanciano, ha chiesto l'annullamento degli atti del 2017 con cui quel Comune, in quanto socio di minoranza della partecipata, aveva approvato l'adeguamento dello statuto e i relativi patti parasociali, in tal modo rendendo possibile l'affidamento diretto del servizio in favore della stessa in quanto società in house pluripartecipata anche dallo stesso Comune e in regime di controllo analogo congiunto.
Il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo che il Comune aveva ampiamente ottemperato all'onere di motivazione imposto dall'articolo 192 del Dlgs n. 50 sui benefici della modalità di gestione in house prescelta, in termini di efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di ottimale impegno delle risorse pubbliche a beneficio della collettività.
La decisione
La sentenza di primo grado è stata impugnata e il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario coinvolgere la Corte di giustizia dell'Unione europea, in quanto si è posto un duplice ordine di interrogativi. Il collegio dubita che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento, siano autenticamente compatibili con le disposizioni del diritto primario e derivato dell'Unione europea.
In particolare, l'articolo 192, comma 2, del codice degli appalti pubblici impone che l'affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni).
La prima condizione consiste nell'obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l'esclusione del ricorso al mercato. Condizione che muove dal carattere secondario e residuale dell'affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche, cui la società in house invece supplirebbe.
La seconda condizione consiste nell'obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all'opzione per l'affidamento in house. Anche in questo caso la previsione dell'ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regime di delegazione interorganica e li relega a un ambito subordinato ed eccezionale rispetto all’ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.
La materia è di peculiare interesse e chi scrive rammenta che già nel novembre 2018, il Tar Liguria ha interpellato la Corte costituzionale sollevando questione di costituzionalità dell'articolo 192, comma 2 del codice dei contratti, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto nella motivazione del provvedimento di affidamento in house delle ragioni del mancato ricorso al mercato (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 16.01.2019).

anno 2016

APPALTI SERVIZI: È ammissibile l'affidamento diretto di un servizio a una società mista.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, affronta l’annoso tema della differenza tra la società in house e la società mista.
Nello specifico i giudici di Palazzo Spada stabiliscono l'ammissibilità dell'affidamento di un servizio pubblico (nel caso di specie per l'affidamento del servizio di igiene urbana) ad una società mista a condizione che si sia svolta in un'unica gara per la scelta del socio e per l'individuazione del determinato servizio da svolgere.
La differenza tra la società in house e la società mista consiste, secondo i giudici amministrativi, nel fatto che la prima agisce come un vero e proprio organo dell'amministrazione dal punto di vista sostanziale, mentre la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza.
In quest'ultimo caso, l'affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l'individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all'oggetto.
La Corte di Giustizia ha, infatti, ritenuto l'ammissibilità dell'affidamento di servizi a società miste, a condizione che si svolga in unico contesto una gara avente ad oggetto la scelta del socio privato (socio non solo azionista, ma soprattutto operativo) e l'affidamento del servizio già predeterminato con obbligo della società mista di mantenere lo stesso oggetto sociale durante l'intera durata della concessione.
La chiave di volta del sistema è rappresentato dal fatto che l'oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto, poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l'aggiramento delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza. L'affidamento diretto di un servizio a una società mista non è incompatibile con il diritto comunitario, a condizione che la gara per la scelta del socio privato della società affidataria sia stata espletata nel rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza.
Inoltre, i criteri di scelta del socio privato si devono riferire non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma anche alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, così da potersi inferire che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2016 n. 1028 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

APPALTI SERVIZI: E' illegittimo l'affidamento in house di servizi laddove è stato disposto in carenza del presupposto della convenienza economica rispetto agli oneri che la Pa avrebbe sostenuto con la relativa esternalizzazione.
Il modello organizzativo dell’in house providing è stato recentemente decifrato da questa Sezione come modalità eccezionale, rispetto a quella ordinaria della scelta dell’affidatario in esito a procedure concorrenziali, e, con particolare riferimento ad una situazione identica a quella qui controversa, precluso dal combinato disposto dell’art. 4, commi 7 e 8, d.l. n. 95 del 2012 (che obbligano, per un verso, le pubbliche amministrazioni ad acquisire beni e servizi mediante procedure concorrenziali e che consentono, per un altro verso, l’affidamento diretto a società a totale partecipazione pubblica nelle sole ipotesi di gestione di servizi di interesse generale, mentre quello in questione esula dall’ambito di tale eccezione, attenendo a un servizio strumentale all’amministrazione affidataria del servizio).
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1.- E’ controversa la legittimità dei provvedimenti con i quali l’ASL TA, dopo aver bandito una gara per la scelta dell’impresa alla quale affidare l’appalto avente ad oggetto la pulizia e la sanificazione delle proprie strutture, ha deciso di revocare la procedura selettiva e di assegnare il servizio alla propria società in house (Sanitaservice).
Il Tribunale pugliese, adìto da due società che avevano partecipato alla procedura inizialmente indetta dalla ASL TA, ha giudicato illegittima sia la delibera n. 603 del 2014 (impugnata con i ricorsi introduttivi), in quanto approvativa di un business plan fondato su un computo del costo del lavoro inferiore a quello minimo previsto nella procedura inizialmente indetta (e poi revocata), sia la delibera n. 859 del 2014 (adottata al dichiarato fine di correggere il predetto errore ed impugnata con i motivi aggiunti), in quanto, in ogni caso, viziata dal difetto del presupposto della convenienza economica della gestione del servizio in house, così come deliberata, rispetto agli oneri che sarebbero stati sostenuti per effetto dell’affidamento dell’appalto in esito alla gara originariamente bandita.
L’ASL TA contesta la correttezza del gravato giudizio di illegittimità, insistendo nel sostenere l’erroneità del rilievo della mancanza di economicità della gestione del servizio in house, assunto dal TAR a fondamento della pronuncia di annullamento appellata, e concludendo per la riforma di quest’ultima e per la conseguente reiezione dei ricorsi di primo grado.
2.- Occorre preliminarmente disattendere l’eccezione di rito con cui la Cascina Global Service s.r.l. ha sostenuto l’intervenuta estinzione del giudizio, in ragione della tardività della sua riassunzione, in seguito alla dichiarazione di interruzione del processo con l’ordinanza assunta nella camera di consiglio del 09.07.2015, da parte dell’ASL TA.
Premesso, infatti, che il termine dimidiato per la riassunzione, stabilito in 45 giorni per effetto del combinato disposto degli artt. 80, comma 3, 119 e 120 c.p.a., dev’essere computato a decorrere dal giorno in cui la parte ha avuto conoscenza legale dell’evento interruttivo, deve rilevarsi che non risulta provata la data in cui la ASL TA ha avuto conoscenza del decesso del proprio difensore (da valersi quale dies a quo del calcolo del termine asseritamente inosservato).
Non consta, in particolare, che l’Azienda appellante abbia dichiarato la morte del proprio avvocato (essendo stato depositato il suo certificato di morte dalla Chemi Pul Italiana s.r.l.), o che abbia avuto conoscenza dell’evento alla camera di consiglio del 09.07.2015 (nella quale nessuno è comparso per l’ASL TA) o, ancora, che sia stata informata del fatto per mezzo della comunicazione dell’ordinanza dichiarativa dell’interruzione del giudizio (che non risulta mai eseguita dalla Segreteria), sicché la riassunzione deve intendersi rituale e tempestiva, con conseguente reiezione dell’eccezione in esame.
3.- Nel merito, l’appello è infondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va respinto.
3.1- Con un unico, articolato motivo di ricorso l’Azienda appellante critica la correttezza del giudizio relativo alla mancanza di convenienza economica dell’affidamento del servizio a Sanitaservice, deducendo, in particolare, l’erroneità dell’assunzione, quale parametro di valutazione, del costo dell’appalto originariamente messo a gara ed assumendo, in ogni caso, l’idoneità del (secondo) business plan, approvato con la deliberazione n. 859 del 2014 ad attestare la congruità degli oneri della contestata assegnazione dell’appalto alla propria società in house.
3.2- Deve premettersi che il modello organizzativo dell’in house providing è stato recentemente decifrato da questa Sezione (Cons. St., sez. III, 07.05.2015, n. 2291) come modalità eccezionale, rispetto a quella ordinaria della scelta dell’affidatario in esito a procedure concorrenziali, e, con particolare riferimento ad una situazione identica a quella qui controversa (affidamento diretto alla Sanitaservice ASL BR s.r.l. da parte della A.S.L. di Brindisi del servizio di pulizia e di sanificazione), precluso dal combinato disposto dell’art. 4, commi 7 e 8, d.l. n. 95 del 2012 (che obbligano, per un verso, le pubbliche amministrazioni ad acquisire beni e servizi mediante procedure concorrenziali e che consentono, per un altro verso, l’affidamento diretto a società a totale partecipazione pubblica nelle sole ipotesi di gestione di servizi di interesse generale, mentre quello in questione esula dall’ambito di tale eccezione, attenendo a un servizio strumentale all’amministrazione affidataria del servizio).
3.3- Così riscontrata la difformità dell’affidamento controverso dal paradigma legale di riferimento (e, quindi, la sua illegittimità), alla stregua delle argomentazioni assunte a fondamento della decisione citata (e da intendersi qui integralmente richiamate), occorre, in ogni caso, confermare la fondatezza delle (diverse) ragioni assunte a fondamento del gravato giudizio di illegittimità.
Occorre, al riguardo, rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il TAR non ha arbitrariamente sindacato il merito della scelta dell’affidamento in house ma ha correttamente scrutinato l’attendibilità della motivazione dichiaratamente assunta dalla stessa amministrazione a sostegno di quella decisione e, cioè, la convenienza economica dell’affidamento diretto alla propria società, rispetto alla selezione del contraente in esito ad una pubblica gara.
Così chiarito che la verifica della fondatezza delle ragioni addotte dalla stessa Azienda a sostegno della scelta dell’internalizzazione del servizio di pulizia e di sanificazione attiene direttamente alla disamina della coerenza e della correttezza della stessa motivazione della contestata opzione gestoria (e non si estende fino ad un inammissibile sindacato del merito della relativa scelta), rileva il Collegio, per un verso, che il TAR ha correttamente assunto come parametro di valutazione della legittimità di quest’ultima proprio la stima dei costi operata dalla ASL TA negli atti della gara inizialmente indetta (da valersi quale l’unico criterio razionale di esame della convenienza economica della gestione in house del servizio, rispetto alla sua esternalizzazione) e, per un altro, che la determinazione controversa risulta fondata su una ricostruzione inattendibile (ovviamente, se confrontata con gli importi preventivati nell’ambito della procedura selettiva poi revocata) dei dati di costo delle prestazioni contrattuali dovute dal gestore del servizio.
E’ sufficiente, al riguardo, osservare che nel (secondo) business plan (approvato con la delibera n. 859 del 2014), a fronte di un modesto incremento, rispetto all’oggetto dell’appalto messo inizialmente a gara, delle ore lavorative annue e delle superfici da pulire (che incide in maniera trascurabile sul costo totale delle prestazioni), il corrispettivo complessivo del servizio risulta irragionevolmente superiore, sia a quello a base d’asta, sia a quello offerto in sede di gara dalla Cascina Global Service s.r.l. (che ha presentato la prima offerta non anomala).
A ben vedere, infatti, a fronte del corrispettivo offerto dalla Cascina Global Service s.r.l. (pari ad Euro 14.796.000), quello corrisposto alla Sanitaservice (pari a circa Euro 18.000.000) risulta superiore di oltre Euro 3.200.000 al costo che l’Azienda avrebbe sostenuto affidando il servizio in esito alla procedura concorrenziale inizialmente bandita, con conseguente, palese smentita del presupposto (logico e giuridico) dell’internalizzazione del servizio: la convenienza economica della gestione in house, rispetto all’assegnazione dell’appalto mediante una gara pubblica.
Né vale ad inficiare la correttezza di tale (matematico) rilievo la prospettazione con cui l’Azienda appellante tenta di spiegare la composizione delle voci di costo assunte a fondamento del computo del corrispettivo dovuto alla propria società in house, in quanto la stima degli oneri relativi alla principale componente, e, cioè, il costo del lavoro, si rivela fallace, in quanto basata su elementi errati.
E ciò sia perché nel monte ore sono state erroneamente computate le ore necessarie per le sostituzioni del personale assente (posto che il costo delle ore effettive di servizio comprende già quello delle sostituzioni, come chiarito, tra le tante, da Cons. St., sez. III, 02.03.2015, n. 1020), sia perché l’incremento del monte ore da 315.484 (così stimato negli atti della procedura revocata) a 322.353 non risulta giustificato da allegazioni attendibili e verificabili (soprattutto tenendo conto che il primo dato era stato computato con riferimento all’orario effettivo e non a quello teorico e che le superfici aggiuntive presentano un’estensione molto ridotta).
Ma, in ogni caso, quand’anche si giudicasse plausibile il computo del monte ore contenuto nel secondo business plan, l’incremento di 6.900 ore effettive di servizio non appare in alcun modo sufficiente a giustificare un aumento del costo complessivo dell’appalto di Euro 3.200.000.
3.4- Ne consegue, in definitiva, che il contestato affidamento diretto dell’appalto alla Sanitaservice dev’essere giudicato illegittimo, siccome fondato sull’erroneo presupposto della sua convenienza economica (rispetto agli oneri che avrebbe sopportato l’Azienda con l’esternalizzazione del servizio).
3.5- L’affidamento diretto del servizio alla Sanitaservice risulta, peraltro, illegittimo (a conferma della fondatezza dell’argomentazione sopra svolta) anche in quanto disposto in violazione dei vincolanti prezzi di riferimento stabiliti, ai sensi dell’art. 17 d.l. 06.07.2011, n. 98, dall’Osservatorio dei contratti pubblici presso l’AVCP (ora ANAC), applicando i quali il costo del servizio sarebbe stato molto più basso (perlomeno di Euro 1.500.000 circa) di quello corrisposto alla predetta società in house, come fondatamente dedotto dalla Cascina Global Service s.r.l. con la prima censura riproposta in appello ed esaminabile congiuntamente all’appello principale (in quanto afferente alla medesima questione dell’attendibilità della motivazione relativa alla convenienza economica dell’affidamento diretto in contestazione).
3.6- Resta così confermato che con il (peraltro doveroso) ricorso al mercato l’ASL TA avrebbe conseguito un risparmio significativo e che, al contrario, con la gestione in house non ritrae alcuna convenienza economica e sopporta un costo aggiuntivo, rispetto al corrispettivo che avrebbe dovuto corrispondere a un gestore scelto in esito a una gara pubblica.
4.- Alle considerazioni che precedono conseguono, quindi, la reiezione dell’appello e la conferma della decisione impugnata
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 17.12.2015 n. 5732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla rimessione alla Corte di Giustizia Ue di alcune questioni sul requisito dell'attività prevalente richiesto per un legittimo affidamento in house.
Nell'attuale quadro normativo nazionale non si rinviene una disposizione che indichi gli elementi costituivi di un ente in house e lo stesso legislatore in molteplici discipline settoriali (es. art. 1, comma 423, 533, 609 l. 190/2014) nel richiamare la nozione di ente in house rinvia all'ordinamento europeo per una sua corretta delimitazione.
Quanto al diritto europeo, "l'affidamento in house" è un istituto di origine giurisprudenziale per verificare quando vada necessariamente indetta una gara. Le direttive n. 2014/23/UE (art. 17), n. 2014/24/UE (art. 12), n. 2014/25/UE (art. 28) ne trattano gli elementi costitutivi, al fine di delimitare l'ambito di applicazione delle direttive sugli appalti e sulle concessioni. Tali direttive, però, non sono applicabili ratione temporis nel caso di specie, poiché -non essendo ancora scaduto il termine per il loro recepimento- non può essere esaminato il loro carattere self-executing. Le previsioni in questione hanno comunque una rilevanza giuridica, pur minore rispetto al c.d. effetto diretto ovvero alla regola della "interpretazione giuridica conforme".
Infatti, in nome del principio di leale collaborazione, vi è un dovere di stand still, nel senso che il legislatore nazionale, nel periodo intercorrente tra la pubblicazione della direttiva nella GUUE e il termine assegnato per il suo recepimento, deve evitare qualsiasi misura che possa compromettere il conseguimento del risultato, così come il giudice deve evitare qualsiasi forma di interpretazione o di applicazione del diritto nazionale da cui possa derivare, dopo la scadenza del termine di attuazione, la messa in pericolo del risultato voluto dalla direttiva.
Nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie, considerato che il requisito della cd. attività prevalente deve comunque essere definito sulla base del diritto dell'Ue vigente al tempo dell'adozione dell'atto impugnato, non essendo rinvenibile una normativa nazionale che chiarisca i termini entro i quali il suddetto requisito vada apprezzato, ma semplicemente una disciplina nazionale, l'art. 2 del d.lgs. n. 163/2006, che impone l'obbligo di affidare il servizio oggetto del presente contenzioso attraverso una gara pubblica, a meno che non ricorra tra amministrazione aggiudicatrice ed ente aggiudicatario una relazione in house, nell'accezione operante secondo il diritto dell'Ue.
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La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul cd. requisito della "attività prevalente" ha indicato quale elemento necessario per la sussistenza della relazione in house che l'ente controllato "realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano" (sentenza Teckal).
Successivamente, il requisito in questione è stato oggetto di un ulteriore chiarimento da parte della Corte di Giustizia nella sentenza cd. Carbotermo, che ha precisato che "si può ritenere che l'impresa in questione svolga la parte più importante della sua attività con l'ente locale che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal, solo se l'attività di detta impresa è principalmente destinata all'ente in questione e ogni altra attività risulta avere solo un carattere marginale".
Non si rinvengono, invece, pronunce che chiariscano se tra gli affidamenti da valutare, al fine di ritenere integrato il requisito dell'"attività prevalente", debbano anche essere computati quelli che riguardino enti pubblici non soci, nel caso in cui l'attribuzione sia imposta da un provvedimento autoritativo proveniente da un'amministrazione pubblica diversa, nella specie dalla R. Abruzzo, che impone all'ente sospettato di relazione in house di svolgere attività di trattamento e smaltimento rifiuti a favore di comuni non soci.
Dal momento che le questioni pregiudiziali sollevate dall'appellante in ordine alla ricorrenza del requisito della prevalente attività svolta dalla società in house a favore del Comune, riguardano questioni relative all'interpretazione dei trattati, rilevanti al fine della decisione del giudizio, non già decise dalla Corte di giustizia e attratte nell'ambito di giurisdizione della medesima Corte di giustizia sussiste l'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle seguenti questioni pregiudiziali:
a) "se, nel computare l'attività prevalente svolta dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento all'attività imposta da un'amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci".
b) "se, nel computare l'attività prevalente svolta dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo" (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 20.10.2015 n. 4793 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISolo la partecipazione totalitaria delle amministrazioni pubbliche, e la totale assenza di soggetti privati nella compagine sociale, consentono di ravvisare nel soggetto affidatario la sottoposizione al cosiddetto “controllo analogo”.
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha inoltre affermato espressamente che esula dal sistema dell’“in house providing” il diverso fenomeno del cosiddetto “partenariato pubblico–privato” al quale sembra riconducibile l’assetto della s.p.a. appellante.
Il principio affermato dall’Adunanza Plenaria è applicabile al caso che ha originato la presente controversia, nel quale è pacifico che le amministrazioni che l’hanno costituita non esercitano, sulla s.p.a. appellante, un controllo totalitario, in quanto fra di esse se ne trova una partecipata, all’epoca, da soggetti privati.
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Il legislatore comunitario ha individuato un termine per il recepimento della direttiva 2014/24 nei diversi ordinamenti nazionali, e tale termine è ancora pendente.
Il legislatore comunitario ha quindi attribuito ai legislatori nazionali una sfera di discrezionalità nell’individuazione dei tempi per la trasposizione dei nuovi principi nei diversi ordinamenti, e per il necessario coordinamento con la normativa interna vigente.
Tali elementi impongono di escludere che i nuovi principi acquistino immediata efficacia nei singoli ordinamenti nazionali, fermo restando che gli stessi diventeranno immediatamente applicabili (ove suscettibili di utilizzazione immediata in ragione della loro sufficiente specificazione).
Tra l’altro, in forza dell’art. 12 della nuova direttiva appalti, le “forme di partecipazione di capitali privati” devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati”. Nella specie, tale ulteriore condizione non sussiste.
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia, S.N.U.A. s.r.l. impugnava la deliberazione n. 25 in data 26.05.2014 con la quale il Consiglio comunale di Spilimbergo aveva deciso l’adesione del Comune ad Ambiente Servizi s.p.a. per affidarle il servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati a partire dal 01.07.2014; l’impugnazione era estesa alla delibera n. 96 in data 19.06.2014 con la quale la Giunta comunale di Spilimbergo aveva autorizzato il Segretario comunale a sottoscrivere gli atti necessari a dare attuazione alla predetta delibera ed alla delibera consiliare n. 33 in data 16.06.2014 concernente l’approvazione del piano finanziario per l’esercizio 2014 (costi di gestione dei rifiuti).
La ricorrente deduceva i seguenti motivi:
1) difetto di motivazione e falsa rappresentazione della realtà;
2) difetto di istruttoria in quanto la deliberazione consiliare principalmente impugnata è stata assunta sulla base di una relazione istruttoria inficiata da numerose carenze;
3) la diversità dei servizi offerti dalla ricorrente e da Ambiente Servizi non sono comparabili, anche in relazione alla diversità dei tempi di somministrazione delle prestazioni richieste; manca la convenienza economica ed al Consiglio comunale non è stata adeguatamente prospettata la scelta alternativa;
4) mancato rispetto dei principi comunitari in tema di “in house providing” per la genericità delle finalità di Ambiente Servizi e per la partecipazione di privati al suo capitale sociale.
La ricorrente chiedeva quindi l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Con la sentenza in epigrafe, n. 629 in data 04.12.2014, il Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia accoglieva il ricorso, per l’effetto annullando gli atti impugnati.
2. Avverso la predetta sentenza propongono appello Ambiente Servizi s.p.a. (ricorso n. 2037/2015) ed il Comune di Spilimbergo (ricorso n. 2040/2015), contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma ed il rigetto del ricorso di primo grado.
In entrambi i giudizi si è costituita SNUA s.r.l., chiedendo che gli appelli vengano dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse ovvero respinti nel merito ovvero ancora, in caso di accoglimento dell’appello, venga dichiarata la nullità della delibera n. 25/2014 per difetto assoluto di attribuzione; in estremo subordine, chiede l’accoglimento delle censure assorbite dal primo giudice e riproposte nel presente grado.
Gli appellanti hanno depositato memoria.
I ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione alla pubblica udienza del 09.07.2015.
3. Gli appelli in epigrafe devono essere riuniti onde definirli con unica sentenza in quanto sono rivolti avverso la stessa sentenza di primo grado.
3.a. Non può essere accolta l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte appellata.
Il primo giudice ha accolto l’impugnazione proposta dall’odierna appellata affermando che Ambiente Servizi s.p.a. non può essere affidataria diretta di appalti, in questo caso di servizi in quanto manca il requisito del cosiddetto “controllo analogo” da parte dell’Amministrazione di riferimento che legittima il ricorso a tale sistema di attribuzione degli appalti della Pubblica Amministrazione secondo i principi dell’“in house providing”.
Nella compagine della predetta Società è infatti ricompreso il Consorzio per la Zona Industriale Ponte Rosso del quale –il dato è pacifico– all’epoca facevano parte soggetti privati.
L’appellata riferisce che dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado la s.p.a. appellante ha proceduto all’acquisto delle azioni di proprietà del suddetto Consorzio, con un notevole esborso, in tal modo dimostrando la volontà di modificare la propria compagine per adeguarla ai principi dettati dalla sentenza oggetto degli appelli ora in trattazione.
Tale ragionamento, come anticipato, non può essere condiviso.
In primo luogo, l’accoglimento dell’appello escluderebbe la proponibilità di azioni risarcitorie da parte dell’appellata, e tale profilo è di per sé sufficiente a fondare l’interesse alla proposizione del gravame.
In secondo luogo, la riforma della sentenza di primo grado consentirebbe agli appellanti di procedere ad una nuova attribuzione di quote al suddetto Consorzio e ad un nuovo affidamento diretto dell’appalto alla s.p.a. appellante secondo lo schema dell’“in house providing”.
Inoltre, la delibera 29.12.2014, n. 78, con cui il Comune ha proceduto alla riapprovazione dell’affidamento e dei relativi atti, è stata impugnato dalla Snua s.r.l. con ricorso al TAR, la cui udienza di discussione risulta fissata il 07.10.2015.
Gli appelli devono pertanto essere esaminati nel merito.
3.b. Gli stessi sono peraltro infondati.
Gli appellanti sostengono in primo luogo che il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile in quanto l’atto effettivamente lesivo degli interessi dell’odierna appellata è costituito da quello con il quale è stata costituita la s.p.a. Ambiente Servizi, ovvero dalla deliberazione con la quale l’assemblea di coordinamento intercomunale ha stabilito la prosecuzione delle gestioni affidate alla predetta Società fino al 31.12.2030.
La tesi non può essere condivisa.
La controversia ora sottoposta al Collegio riguarda esclusivamente la gestione dei rifiuti urbani del Comune di Spilimbergo, affidata alla s.p.a. appellante solo con la deliberazione di quel Consiglio Comunale n. 25 in data 26.05.2014, tempestivamente impugnata.
Deve quindi essere condiviso l’orientamento del primo giudice, il quale ha sottolineato come alla ricorrente non potesse essere accollato l’onere di impugnare atti non direttamente incidenti sull’affidamento del servizio alla cui gestione aspira e di cui ora si tratta.
3.c. Vanno poi condivise le argomentazioni del primo giudice, che rileva come la presenza di un socio privato nell’ambito della compagine sociale della s.p.a. appellante esclude che nei suoi confronti la stazione appaltante eserciti un controllo analogo a quello che esercita nei confronti dei propri uffici.
La tesi del primo giudice è, invero, conforme a giurisprudenza sostanzialmente pacifica.
C. di S., A.P., 03.03.2008, n. 1, che il Collegio condivide, ha infatti affermato che
solo la partecipazione totalitaria delle amministrazioni pubbliche, e la totale assenza di soggetti privati nella compagine sociale, consentono di ravvisare nel soggetto affidatario la sottoposizione al cosiddetto “controllo analogo (l’orientamento consacrato dall’Adunanza Plenaria è pacificamente seguito dalla giurisprudenza successiva: da ultimo, C. di S., III, 27.04.2015, n. 2154).
La stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria ha inoltre affermato espressamente che esula dal sistema dell’“in house providing” il diverso fenomeno del cosiddetto “partenariato pubblico–privato” al quale sembra riconducibile l’assetto della s.p.a. appellante.
Il principio affermato dall’Adunanza Plenaria è applicabile al caso che ha originato la presente controversia, nel quale è pacifico che le amministrazioni che l’hanno costituita non esercitano, sulla s.p.a. appellante, un controllo totalitario, in quanto fra di esse se ne trova una partecipata, all’epoca, da soggetti privati.
Le parti appellanti obiettano, sulla base del parere della Seconda Sezione di questo Consiglio di Stato 30.01.2015, n. 298, che il principio affermato dall’Adunanza Plenaria non è ulteriormente applicabile in quanto l’art. 12, par. 1, della direttiva 2014/24 ammette l’esistenza del controllo analogo anche in casi in cui il soggetto che opera in regime privatistico è partecipato da soggetti privati, purché tale partecipazione sia ristretta nei limiti ivi stabiliti.
Ad avviso della Seconda Sezione, fatto proprio dagli appellanti, il richiamato art. 12, par. 1, avendo contenuto sufficientemente preciso, è immediatamente applicabile nel nostro ordinamento.
L’orientamento espresso dalla Seconda Sezione non è condiviso dal Collegio che condivide, invece, quanto diversamente affermato dalla Sesta Sezione con la sentenza 26.05.2015, n. 2660.
Osserva, infatti, il Collegio che
il legislatore comunitario ha individuato un termine per il recepimento della suddetta direttiva nei diversi ordinamenti nazionali, e che tale termine è ancora pendente.
Il legislatore comunitario ha quindi attribuito ai legislatori nazionali una sfera di discrezionalità nell’individuazione dei tempi per la trasposizione dei nuovi principi nei diversi ordinamenti, e per il necessario coordinamento con la normativa interna vigente.
Tali elementi impongono di escludere che i nuovi principi acquistino immediata efficacia nei singoli ordinamenti nazionali, fermo restando che gli stessi diventeranno immediatamente applicabili (ove suscettibili di utilizzazione immediata in ragione della loro sufficiente specificazione).
Tra l’altro, in forza dell’art. 12 della nuova direttiva appalti, le “forme di partecipazione di capitali privati” devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati”. Nella specie, tale ulteriore condizione non sussiste.
Il ragionamento degli appellanti non può, in conclusione, essere condiviso.
4. Gli appelli devono, di conseguenza, essere respinti; deve essere assorbito l’esame degli ulteriori profili proposti nel presente grado dalla parte appellata.
Le spese di entrambi i gradi del giudizio devono essere integralmente compensate fra le parti, in ragione della complessità della controversia e degli elementi di dubbio introdotti dal richiamato parere della Seconda Sezione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.09.2015 n. 4253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Tar Abruzzo. L'affidamento in house non è ipotesi residuale.
L'affidamento diretto in house non si configura assolutamente come un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locale.

A sottolinearlo, in ossequio anche ad un precedente giurisprudenziale, sono stati i giudici del TAR Abruzzo-Pescara con la sentenza 14.08.2015 n. 349.
Secondo i giudici amministrativi abruzzesi nel motivare la scelta della gestione in proprio, l'amministrazione non è tenuta a dimostrare che ciò corrisponda a un prezzo del servizio in assoluto il più conveniente, potendo la stessa ritenere che il controllo analogo che gli è assicurato compensi adeguatamente -in termini di qualità del servizio, poteri di controllo sulla gestione e condivisione delle problematiche in tendenziale assenza di conflitti di interesse- una eventuale maggior spesa.
Una simile valutazione ovviamente presuppone la considerazione dei vari fattori che entrano in essa, senza l'indicazione dei quali le ragioni complessive della scelta non potranno in alcun modo emergere.
Già il Consiglio di stato (Sez. V, 10.09.2014 n. 4599) aveva avuto modo di evidenziare come i servizi pubblici locali aventi rilevanza economica possono essere gestiti ugualmente mediante il mercato (ossia individuando all'esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per mezzo di una società mista e quindi con una «gara a doppio oggetto» per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio), ovvero attraverso l'affidamento diretto, in house, senza previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso dall'ente, ma che ne sostituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo.
È stato altresì sottolineato che in quest'ultimo caso saranno in capo a tale soggetto diverso dall'ente «i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo (sulla società affidataria) “analogo” (a quello che l'ente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte della società affidataria, della parte più importante della sua attività con l'ente o gli enti che la controllano (sentenza della Corte cost. n. 199 del 20.07.2012)».
È noto, inoltre, che la decisione di un ente pubblico di affidare la concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto, in house, rappresenta una scelta ampiamente discrezionale, che, però, deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano.
Tale scelta, inoltre, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non appaia manifestamente priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale (articolo ItaliaOggi Sette del 28.09.2015).
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3 - Seguendo l’ordine dei motivi di ricorso, con il primo [Violazione e falsa applicazione dell'art. 34, comma 20, del d.l. n. 179/2012. Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza istruttoria] la ricorrente sostiene che il Comune, violando la norma richiamata, “non ha dimostrato in alcun modo la rispondenza della società Ecolan al modello in house providing” né ha dato adeguatamente conto della economicità della scelta.
Il Collegio ritiene di richiamare taluni condivisi principi elaborati dalla giurisprudenza in modo da individuare l’estensione dell’obbligo di motivazione oggetto di tale motivo.
I servizi pubblici locali di rilevanza economica possono essere gestiti indifferentemente mediante il mercato (ossia individuando all'esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per mezzo di una società mista e quindi con una 'gara a doppio oggetto' per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio), ovvero attraverso l'affidamento diretto, in house, senza previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso dall'ente, ma che ne sostituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, ricorrendo in capo a quest'ultimo i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo (sulla società affidataria) 'analogo' (a quello che l'ente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte della società affidataria, della parte più importante della sua attività con l'ente o gli enti che la controllano (sentenza della Corte Cost. n. 199 del 20.07.2012).
L'affidamento diretto, in house -lungi dal configurarsi pertanto come un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locale- costituisce invece una delle (tre) normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti
” (Cons. Stato, Sez. V, 10.09.2014 n. 4599);
Venuto meno l'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario dell'affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l'assoluta eccezionalità del modello in house, la scelta dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare la opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;
- individuazione del modello più efficiente ed economico;
- adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile se appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale
” (Cons. Stato, Sez. VI, 11.02.2013 n. 762).
In questo contesto (il “Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche” emerge ora dall’art. 2 direttiva “concessioni” 2014/23/UE) va letto il co. 20 dell’art. 34 cit., che richiede che la decisione sia preceduta dalla verifica della “sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo” e ne siano esposte “le ragioni”, così richiamando i consueti parametri su cui deve basarsi l’esercizio delle scelte discrezionali.
L’apposita relazione ha perciò lo scopo di rendere trasparenti e conoscibili agli interessati tanto le operazioni di riscontro delle caratteristiche che fanno dell’affidataria una società in house, quanto i processo di individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti.

APPALTI SERVIZI: La legittimità dell'affidamento in house del servizio va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell'adozione del provvedimento.
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Sulle condizioni che devono sussistere nell'in house pluripartecipato.

La legittimità dell'affidamento in house del servizio va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell'adozione del provvedimento. Nel caso di specie, all'epoca dell'affidamento, in altri termini, dovevano sussistere tutti i requisiti e presupposti legittimanti l'affidamento diretto. La modifica dello statuto intervenuta successivamente, quand'anche effettivamente dovesse configurare un'integrazione della forma di controllo consentita agli enti, non sarebbe in ogni caso valutabile ai fini di ritenere integrato il requisito mancante e superato il provvedimento originario, con conseguente venir meno dell'interesse al ricorso da parte della società ricorrente in primo grado.
A parte ogni considerazione sull'applicazione al giudizio di legittimità degli atti amministrativi della regola "tempus regit actum", attribuire rilevanza "sanante" all'atto sopravvenuto e, dunque, valutare la legittimità dell'affidamento in house del servizio sulla base della sopravvenienza in fatto, violerebbe non solo la richiamata regola, ma i principi che presiedono al corretto affidamento degli appalti. Vero è che l'affidamento in house non rappresenta l'eccezione rispetto alla regola della gara pubblica nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nel caso in cui sussistono i presupposti legittimanti la scelta discrezionale dell'amministrazione. Tuttavia, mancando quei presupposti, la gara diviene il metodo ordinario di affidamento.
La concorrenza che ha, peraltro, fondamento costituzionale nell'art. 41 Cost., infatti, presuppone la più ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore, in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi. La procedimentalizzazione dell'attività di scelta del contraente non è dettata nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, ma anche nell'interesse primario costituito dalla tutela degli operatori, del loro interesse ad accedere al mercato e a concorrere per il mercato. Il sistema di gestione dell'affidamento diretto, dunque, è di stretta interpretazione rispetto al sistema della gara, la cui praticabilità dipende dalla sussistenza dei presupposti indicati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, che devono sussistere al momento dell'affidamento.
Ne consegue che la tutela della concorrenza, eccezionalmente compressa nel regime di affidamento diretto, prevale rispetto ad ogni altra esigenza di tutela (per es., rispetto al principio della conservazione degli atti) laddove si accerti che non ricorrono le condizioni per la sua pretermissione.
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A proposito nell'in house pluripartecipato, le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell'organismo controllato;
c) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
Principi, questi, oggi codificati all'art. 12 della direttiva appalti 2014/24/UE che, sebbene non sia stata ancora recepita (essendo ancora in corso il termine relativo per l'incombente), appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione.
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Secondo la giurisprudenza comunitaria è necessario, nel caso di pluripartecipazione, che il singolo socio possa vantare una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell'organismo del quale è parte; sicché, una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente.
La prassi conosce svariati meccanismi, fondati ora sulla nomina diretta e concorrente di singoli rappresentanti (uno per ogni socio) in seno al consiglio di amministrazione della società; ora sulla partecipazione mediata agli organi direttivi attraverso la nomina da parte dell'assemblea di consiglieri riservati ai soci di minoranza.
Valida alternativa è offerta dagli strumenti di carattere parasociale, che operano attraverso la predisposizione di organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica preventiva sulla gestione dell'attività.
Infine, il controllo deve essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l'esercizio -in chiave preventiva- di poteri inibitori (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 27.04.2015 n. 2154 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

anno 2014

APPALTI SERVIZILa giurisprudenza comunitaria è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione, ancorché in percentuale minima, di soggetti privati alle società in house e tale posizione è stata ripetutamente confermata dal Consiglio di Stato, a partire dall’Adunanza Plenaria n. 1 del 2008.
È pacifico, nell'attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società "in house" debba sussistere in termini assoluti.
Invero,
l'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una "derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso.
Infatti,
in ragione del cd. controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile.
Inoltre
non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e all'estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante, e della cd. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa.
Al contrario,
per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento "in house" è, infatti, sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale.
La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE, che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione indiretta dei privati alle società in house, non risulta ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può considerare self executing, sia per la sua natura, che richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale, sia perché non è ancora scaduto il termine per il recepimento stesso.
Allo stato quindi la non contestata partecipazione dei privati alla società Ambiente servizi comporta che essa non può essere considerata una società di “in house providing”, per cui risulta illegittima la delibera impugnata di adesione a detta società e di affidamento alla stessa del servizio di raccolta rifiuti.
... per l'annullamento:
- della delibera consiliare n. 25 dd. 26.05.2014, che dispone l'adesione ad Ambiente Servizi spa per affidarle il servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati a partire dal 01.07.2014;
- della delibera giuntale n. 96 dd. 19.06.2014, che autorizza il Segretario Generale alla sottoscrizione degli atti necessari a dare attuazione alla deliberazione consiliare n. 25/2014;
- della delibera consiliare n. 33 dd. 16.06.2014, relativa ad "approvazione Piano finanziario per l'esercizio 2014" (costi di gestione dei rifiuti);
...  
Oggetto del presente ricorso è la delibera consiliare n. 25 del 26.05.2014 del comune di Spilimbergo che dispone l'adesione alla Ambiente servizi per affidarle il servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati nonché la conseguente delibera giuntale che autorizza alla sottoscrizione degli atti necessari a dare attuazione alla citata delibera consiliare.
Occorre innanzitutto farsi carico dell'eccezione di tardività del ricorso, in quanto asseritamente proposto tardivamente contro le deliberazioni di costituzione di Ambiente servizi nonché contro la deliberazione 152 del 31.10.2013 di conferma delle gestioni in essere.
L'eccezione così come prospettata non risulta fondata, in quanto la lesione per la ditta ricorrente si è concretata unicamente con la delibera in questa sede impugnata, con cui si provvede direttamente all’adesione e affidamento alla Ambiente servizi della gestione dei rifiuti, senza provvedere ad alcuna gara, e quindi non consentendo alla ditta attuale ricorrente di parteciparvi e di poter gestire il servizio. Prima della delibera in questa sede impugnata non vi era alcun interesse della ditta ricorrente a contestare la creazione di Ambiente servizi nonché la proroga delle sue gestioni in essere.
Sempre in via preliminare va osservato come la legge regionale 14 del 2012 all'articolo tre consente la prosecuzione delle forme di cooperazione in essere tra enti locali ma non le impone affatto, ammettendo anche la possibilità dell'indizione di apposite gare ad evidenza pubblica ovvero la gestione in house providing.
Ciò premesso ed entrando nel merito, va innanzitutto osservato come le motivazioni addotte dal comune per aderire all'Ambiente servizi nonché i contenuti della relazione allegata alla delibera in questa sede impugnata vengono contestate dalla ditta odierna ricorrente per motivi di merito, non suscettibili di riesame in sede di giudizio di legittimità. Si tratta di scelte strategiche effettuate da parte del consiglio comunale che sono sindacabili solo in caso di manifesta illogicità o palese incongruenza, non rinvenibili nel caso in esame.
Va invece considerata fondata la censura relativa al fatto che di Ambiente servizi facciano parte, sia pure in posizione minoritaria, anche soggetti privati. Infatti, il maggiore azionista dell'ambiente servizi è il consorzio Z.I.P.R. di cui fanno parte 40 società tra cui alcune indubbiamente private.
Orbene,
la giurisprudenza comunitaria è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione, ancorché in percentuale minima, di soggetti privati alle società in house e tale posizione è stata ripetutamente confermata dal Consiglio di Stato, a partire dall’Adunanza Plenaria n. 1 del 2008.
È pacifico, nell'attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società "in house" debba sussistere in termini assoluti.
Invero,
l'affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una "derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso.
Infatti,
in ragione del cd. controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile.
Inoltre
non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e all'estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante, e della cd. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa (TAR Puglia-Bari 02.04.2013 n 458).
Al contrario,
per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento "in house" è, infatti, sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale (CSGAS 09.02.2009 n 48; TAR Puglia Bari 14.05.2010 n 1891; confronta anche Corte conti FVG 08.05.2009 n. 55).
La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE, che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione indiretta dei privati alle società in house, non risulta ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può considerare self executing, sia per la sua natura, che richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale, sia perché non è ancora scaduto il termine per il recepimento stesso.
Allo stato quindi la non contestata partecipazione dei privati alla società Ambiente servizi comporta che essa non può essere considerata una società di “in house providing”, per cui risulta illegittima la delibera impugnata di adesione a detta società e di affidamento alla stessa del servizio di raccolta rifiuti.
Ai fini della presente controversia, a nulla rileva poi la definizione contenuta nella normativa regionale della società come ente pubblico economico.
Per quanto fin qui evidenziato e per la fondatezza del motivo da ultimo esaminato il ricorso va accolto con annullamento degli atti impugnati (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 04.12.2014 n. 629 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIAppalti, più vincoli per l'in house. Direttive europee. Sono sempre soggette alle gare le controllate con capitali anche privati.
L'affidamento in house trova il suo quadro normativo nella nuova direttiva comunitaria sugli appalti pubblici, che definisce anche alcune importanti novità nel modello di gestione dei servizi.

L'articolo 12 della direttiva appalti approvata dal Parlamento europeo il 15 gennaio (e di prossima pubblicazione nella Gazzetta ufficiale europea) per la prima volta traduce in un dato normativo gli elementi di principio dettati a suo tempo dalla sentenza Teckal e sviluppati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, fornendo elementi specificativi dei requisiti di controllo analogo e dell'attività prevalente a favore dell'ente affidante.
La disposizione stabilisce infatti che non rientra nell'ambito di applicazione del nuovo corpus di regole per gli appalti un affidamento di servizio tra un'amministrazione aggiudicatrice e una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato quando la prima eserciti sulla seconda proprio un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi.
Rispetto al secondo elemento costitutivo dell'in house, la direttiva introduce la prima novità, stabilendo che l'attività è prevalente quando oltre l'80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi.
La seconda innovazione rispetto agli orientamenti giurisprudenziali consolidati è data dalla previsione di un terzo elemento necessario per la definizione del rapporto interorganico, quale l'assenza nella persona giuridica controllata di partecipazioni dirette di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportino controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei Trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
La norma permette l'ingresso dei privati negli organismi affidatari in house, a condizione che questi non possano incidere sulle decisioni strategiche.
Proprio l'affermazione della sussistenza del controllo analogo sulla persona giuridica affidataria da parte dell'amministrazione quando essa esercita un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, costituisce il fondamento anche per l'ulteriore grande novità: il controllo tramite holding. La norma stabilisce infatti che l'amministrazione può esercitare il controllo sull'organismo affidatario per mezzo di una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice.
La disciplina codifica anche la situazione in cui l'organismo affidatario sia partecipato da più enti, anche con quote minoritarie, determinando la sussistenza del controllo analogo quando questo sia esercitato in forma congiunta.
La situazione si concretizza quando gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. La direttiva definisce per la prima volta anche i parametri per escludere dal suo ambito applicativo le forme di cooperazione tra amministrazioni pubbliche, quando il contratto definisce un rapporto collaborativo finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

anno 2013

APPALTI SERVIZI: La società in house partecipa alla gara. Servizi pubblici. Dal Tar Lombardia.
Le società affidatarie dirette possono partecipare a gare indette dalle amministrazioni locali per l'affidamento di servizi pubblici, ma se la loro attività prevalente risulta dai nuovi affidamenti, perdono uno dei requisiti dell'in house.

Il TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la sentenza 23.09.2013 780 ribadisce il quadro di riferimento comunitario, per il quale il modello in house viene rispettato se sussiste il requisito del controllo analogo, e se la parte più importante dell'attività viene svolta con gli enti che detengono il controllo.
L'organo di giustizia amministrativa afferma inoltre che in base alla giurisprudenza comunitaria i soggetti che beneficiano di sovvenzioni pubbliche, e quindi anche i soggetti in house, possono certamente partecipare alle gare (come del resto possono partecipare in qualità di imprenditori gli stessi enti pubblici), come pure possono svolgere attività a favore di terzi, ma questa situazione espone al rischio di fuoriuscire dallo schema comunitario, qualora la parte più importante dell'attività non sia più svolta con gli enti che detengono il controllo.
Queste possibilità di espansione industriale trovano tuttavia un limite di tipo quantitativo nei principi comunitari, poiché le società in house, per mantenere tale caratteristica, dovranno sempre svolgere la loro attività prevalente (misurabile in termini di fatturato) a favore dell'ente locale socio.
Qualora la società perda tale requisito non potrà più risultare affidataria diretta di servizi pubblici locali da parte degli enti soci e gli stessi affidamenti in essere risulterebbero privi di una delle due condizioni essenziali per il loro mantenimento.
Il Tar Brescia ha anche analizzato la problematica del passaggio diretto del personale del gestore uscente alla società in house vincitrice della gara, riconoscendo che norme come l'articolo 202, comma 6, del Dlgs 152/2006 (servizio rifiuti) facciano gravare sul nuovo gestore un costo aggiuntivo che può poi tradursi in incrementi tariffari per gli utenti o in minore qualità del servizio, oppure può costituire ex ante un disincentivo alla partecipazione a eventuali gare.
La sentenza richiama pertanto l'applicazione dell'articolo 3-bis, comma 2, della legge 148/2011, il quale prevede che nelle procedure a evidenza pubblica l'adozione di strumenti di tutela dell'occupazione costituisce elemento di valutazione dell'offerta e non condizione per il subentro nel servizio (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità degli affidamenti in house e sul requisito del controllo analogo da parte di soci ultraminoritari.
Dal confronto tra i principi comunitari e la (ancora frammentaria) normativa interna, si possono desumere le seguenti indicazioni:
(a) l'affidamento in house nel rispetto dello schema comunitario è sempre legittimo;
(b) anche la partecipazione alle gare da parte di soggetti in house è legittima, come pure lo svolgimento di attività a favore di terzi, ma espone al rischio di fuoriuscire dallo schema comunitario (se la parte più importante dell'attività non è più svolta con gli enti che detengono il controllo).
Fra gli strumenti che concorrono a garantire il requisito del "controllo analogo" da parte di soci ultraminoritari, vi è l'adeguatezza di patti parasociali attraverso i quali i soci pattisti "si impegnano a votare in assemblea, su questioni che riguardano i servizi prestati in uno specifico comune, in conformità alla volontà espressa dal comune direttamente interessato" in modo che sia assicurato "a ciascun comune il ruolo di dominus nelle decisioni circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio" (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.09.2013 n. 780 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIL’art. 113 del d.lgs 267/2000 prevede che i servizi pubblici locali di rilevanza economica possano essere gestiti solamente da:
a) soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano;
b) imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.
In altre parole, il modello dell’azienda speciale non risulta più utilmente esperibile al fine di gestire direttamente i servizi connessi alla gestione dei rifiuti a vantaggio della collettività, residuando la più limitata possibilità che tali aziende speciali si limitino a svolgere le funzioni di centrali di committenza dell’affidamento dei servizi, funzione consentita e, anzi, incentivata dall’art. 33 del d.lgs. 133/2006; fermo restando, lo si ribadisce, che,
nelle more dell’istituzione degli a.t.o, da parte della Regione o in via surrogatoria da parte del Governo, l’effettiva gestione del ciclo dei rifiuti dovrebbe essere perseguita affidando poi il servizio:
i) o direttamente a soggetto in house (nella forma della società di capitali);
ii) ovvero esternalizzando il servizio a un terzo concessionario.

La modalità di gestione descritta sub i), tuttavia, contrasta con un’ulteriore previsione del vigente assetto normativo, e in particolare con l’art. 9, comma 6, del d.l. 06.07.2012, n. 95.
Tale disposizione prevede che “
E' fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie, e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118, della Costituzione” (sulla portata del divieto cfr. la Sezione con del. 21.01.2013, n. 25).
In conclusione, e sempre nelle more dell’individuazione degli a.t.o. da parte della Regione o, in via surrogatoria da parte del Consiglio dei Ministri, ritiene la Sezione che l’unico assetto gestorio idoneo a conciliare il quadro normativo vigente con l’attuale modalità organizzativa del servizio sia quello di esternalizzare, tramite affidamento concorrenziale l’effettivo espletamento del servizio, mantenendo in capo all’azienda speciale operante le sole funzioni, in veste di centrale di committenza, di coordinamento degli affidamenti.

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Il comune espone in punto di fatto di essere ente consorziato dell’azienda speciale Consorzio dei Comuni dei Navigli (di seguito CCN); che detto consorzio è stato costituito ex artt. 114 e 31 DLgs 267/2000, in data 23.05.2000; e che ad esso partecipano, quali detentori di quote del capitale di dotazione e soggetti affidanti il ciclo dei rifiuti (raccolta, trasporto, spazzamento e smaltimento), ventidue Comuni di cui alcuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, e altri con popolazione superiore a 5.000 abitanti (per un bacino complessivo superiore ai 30.000 abitanti richiamati dall'art. 14, c. 32, del d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito l. 30.07.2010, n. 122, in relazione al divieto di costituzione di società per ogni comune).
Tra ogni Comune e il CCN risulta sottoscritto un contratto di servizio con cui sono stati, tra l'altro, regolamentati i rapporti relativi alla gestione del ciclo dei rifiuti svolto dal CCN medesimo sul territorio comunale.
Il regime giuridico risulta quindi così ricostruibile:
a) gli enti locali sono, ad oggi, i soggetti che hanno conferito, tramite affidamento diretto, il servizio;
b) il CCN è il soggetto erogatore del servizio, in forma di azienda speciale consortile;
c) il CCN, per il materiale svolgimento del servizio, si avvale di appaltatori per la gestione caratteristica, e di propri dipendenti e collaboratori per la gestione amministrativa;
d) il CCN realizza la parte più importante della propria attività con gli enti pubblici che lo controllano e a livello statutario presenta le caratteristiche strutturali (tra cui il controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici) richiesto per l’affidamento in house (a partire dalla pronunzia CGE 18.11.1999, C-107/98, Teckal).
Tanto premesso, e rappresentata l’incertezza sulla possibilità che, ai sensi della normativa vigente, singoli Comuni possano oggi procedere autonomamente con affidamenti afferenti al ciclo dei rifiuti, il comune richiede se possa proseguire la gestione del servizio con il delineato assetto, anche in attesa delle determinazioni della Regione in materia di ambiti territoriali ottimali, vale a dire con:
i) l'affidamento del servizio in house providing all'azienda speciale consortile CCN da parte dei Comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti;
ii) l'approvazione di una convenzione in tema di funzioni associate per i Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, e conseguente affidamento del servizio in house al CCN;
iii) l'utilizzo della medesima convenzione di cui sopra, ma con meccanismi decisionali dedicati, anche ai fini dell'esercizio del c.d. controllo analogo.
...
Al fine di un corretto inquadramento giuridico della questione occorre scindere le varie problematiche toccate dai quesiti posti dal comune, e contenute in un autentico ginepraio legislativo.
Deve essere premesso che la gestione del ciclo dei rifiuti (raccolta, trasporto, spazzamento e smaltimento) deve considerarsi un servizio pubblico locale, coerentemente con i principi desumibili dalla normativa vigente (tra gli altri, possono essere citati l’art. 23-bis del decreto legge 25.06.2008, n. 112, come convertito dalla legge 06.08.2008, n. 133 e l’art. 25, comma 4, del decreto legge 24.01.2012, n. 1, convertito dalla l. 24.03.2012, n. 27).
Peraltro, come ha già avuto modo di ricordare questa Sezione (Lombardia/531/2012/PAR del 17.12.2012), la giurisprudenza ritiene che “la natura del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti è quella di servizio pubblico locale di rilevanza economica in quanto reso direttamente al singolo cittadino, con pagamento da parte dell’utente di una tariffa, obbligatoria per legge, di importo tale da coprire interamente il costo del servizio (cfr. art. 238 d.lgs. n. 152/2006 e, prima, art. 49 d.lgs. n. 22/1997)”.
La natura di tale servizio è stata confermata in tali termini anche dalla giurisprudenza amministrativa (tra altre sentenze, si veda Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2011, n. 1447), nonché da quella, consolidata, dell'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato.
Questa conclusione non muta anche quando l'Amministrazione, invece della concessione, stipuli un contratto di appalto (rapporto bilaterale, con versamento diretto da parte del committente), sempre che l'attività sia rivolta direttamente all'utenza e quest’ultima sia chiamata a pagare un compenso, o tariffa, per la fruizione del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, 03/05/2012 n. 2537): infatti, secondo tale orientamento “il servizio pubblico locale di rilevanza economica è configurabile anche quando l'amministrazione, invece della concessione, pone in essere un contratto di appalto".
In sintesi, quindi,
i modelli astrattamente esperibili per l’affidamento del servizio di raccolta e gestione del ciclo dei rifiuti risultano a tutt’oggi quelli vigenti per i servizi di rilievo economico, e quindi:
- affidamento del servizio con gara ex art. 30 d.lgs. 12.04.2006, n. 163, nel rispetto dei principi del Trattato di funzionamento dell'Unione Europea;
- affidamento del servizio a società mista con socio operativo, secondo le indicazioni promananti a livello comunitario in materia di partnership tra pubblico e privato (si vedano, al riguardo, le pronunzie della Corte di Giustizia UE 15.10.2009 C-196/08) e recepite dalla giurisprudenza nazionale
(Cons. Stato, Ad. Plen., parere 18.04.2007, n. 456, e decisione del 03.03.2008, n. 456);
- affidamento del servizio a soggetto interamente pubblico in house, senza più alcun termine finale o limite di valore contrattuale: tanto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale 17.07.2012, n. 199, che ha dichiarato illegittimo l’art. 4 del d.l. 13.08.2011, n. 138, convertito nella l. 14.09.2011, n. 148 e in particolare, per quello che in questa sede risulta conferente, del comma 13, che limitava il valore stesso entro i 200.000 euro annui; e del comma 32, lettera a) che individuava il 31.12.2012 quale termine di cessazione degli affidamenti assegnati in assenza di evidenza pubblica. Il tutto, evidentemente, sempre nel rispetto dei requisiti soggettivi (capitale totalmente pubblico, esercizio del controllo analogo sulla società da parte degli enti soci come avviene su un proprio ufficio, più parte dell'attività svolta in relazione al territorio dei comuni soci) individuati dalla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e già richiamati dall'abrogato art. 113, c. 5, lettera c), DLgs 267/2000.
Per quanto concerne gli ambiti territoriali ottimali nella gestione del ciclo dei rifiuti, occorre rilevare che
a partire dall’entrata in vigore dell’art. 200 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152, con specifico riferimento alla materia in epigrafe, è stato peraltro previsto che la gestione dei rifiuti urbani sia organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali (a.t.o.).
Tuttavia,
all’interno della Regione Lombardia tali a.t.o. non risultano essere stati istituiti, essendosi la Regione avvalsa ab origine della facoltà, prevista dal comma 7 dello stesso art. 200 del d.lgs. 152/2006 di non individuare gli ambiti, purché il modello adottato rispettasse i principi ispiratori (di concorrenza e liberalizzazione), permanendo quindi in capo al singolo Comune il ruolo di ente concedente, salva la facoltà di associarsi volontariamente ai fini di svolgimento del servizio su base territoriale più ampia.
Il d.l. 1/2012, novellando con un art. 3-bis il d.l. 13.08.2011, n.138, convertito nella legge 14.09.2011, n. 148, ha peraltro disposto che “
A tutela della concorrenza e dell'ambiente, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio, entro il termine del 30.06.2012. Decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei Ministri, a tutela dell'unità giuridica ed economica, esercita i poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 05.06.2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio”.
Tuttavia,
a tutt’oggi la Regione non ha ancora assunto determinazioni sul punto, né il Consiglio dei Ministri, a tutela dell'unità giuridica ed economica, ha provveduto in forza dei poteri sostitutivi di cui all'articolo 8 della legge 05.06.2003, n. 131.
Ulteriore profilo che deve essere scrutinato dalla Sezione è l’influenza sul quadro normativo sopra descritto del d.l. 06.07.2012, n. 95, convertito nella legge 07.08.2012, n. 135.
L'art. 19, comma 1, della legge in commento, infatti, novellando l’articolo 14 del d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n. 122, e successive modificazioni,
individua, tra le funzioni fondamentali dei comuni, alla lettera f), proprio l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani.
Sotto altro aspetto, la successiva novellazione del comma 28 della norma cennata
ormai prevede l’obbligo, per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, di esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali come sopra elencate.
Ai sensi del delineato quadro normativo,
il livello intercomunale della gestione del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti come descritte in epigrafe risultano affatto conformi con l’assetto legislativo vigente, sia pure, ovviamente, in un periodo transitorio.
Resta ferma, infatti, la possibilità che in sede di definizione degli a.t.o. sia configurata una struttura territoriale parzialmente difforme, con il conseguente obbligo di adeguamento anche da parte dei comuni associati.
Se, per quanto riguarda il livello di gestione dei servizi si ha già avuto modo di apprezzare la sostanziale legittimità dell’assetto descritto, per quanto concerne il modulo organizzativo prescelto (azienda speciale) occorre pur tuttavia prendere atto del dato che
l’art. 113 del d.lgs 267/2000, più volte novellato, prevede che i servizi pubblici locali di rilevanza economica, come sopra descritti, possano essere gestiti solamente da:
a) soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano;
b) imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.

In altre parole,
il modello dell’azienda speciale non risulta più utilmente esperibile al fine di gestire direttamente i servizi connessi alla gestione dei rifiuti a vantaggio della collettività, residuando la più limitata possibilità che tali aziende speciali si limitino a svolgere le funzioni di centrali di committenza dell’affidamento dei servizi, funzione consentita e, anzi, incentivata dall’art. 33 del d.lgs. 133/2006; fermo restando, lo si ribadisce, che, nelle more dell’istituzione degli a.t.o, da parte della Regione o in via surrogatoria da parte del Governo, l’effettiva gestione del ciclo dei rifiuti dovrebbe essere perseguita affidando poi il servizio:
i) o direttamente a soggetto in house (nella forma della società di capitali);
ii) ovvero esternalizzando il servizio a un terzo concessionario.

La modalità di gestione descritta sub i), tuttavia, contrasta con un’ulteriore previsione del vigente assetto normativo, e in particolare con l’art. 9, comma 6, del d.l. 06.07.2012, n. 95.
Tale disposizione prevede che “
E' fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie, e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118, della Costituzione” (sulla portata del divieto cfr. la Sezione con del. 21.01.2013, n. 25).
In conclusione, e
sempre nelle more dell’individuazione degli a.t.o. da parte della Regione o, in via surrogatoria da parte del Consiglio dei Ministri, ritiene la Sezione che l’unico assetto gestorio idoneo a conciliare il quadro normativo vigente con l’attuale modalità organizzativa del servizio sia quello di esternalizzare, tramite affidamento concorrenziale l’effettivo espletamento del servizio, mantenendo in capo all’azienda speciale operante le sole funzioni, in veste di centrale di committenza, di coordinamento degli affidamenti (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 02.09.2013 n. 362).

APPALTI SERVIZI: M. Cozzio, IN HOUSE: TUTTI I SOCI DEVONO POTER ESERCITARE UN CONTROLLO APPREZZABILE E PROPORZIONATO SULLA SOCIETÀ - Osservazioni alle Conclusioni dell’Avv. generale Pedro Crùz Villalòn del 19.07.2012, rinvio pregiudiziale alla CGCE, cause C-182/11 e C-183/11 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

anno 2012

APPALTI SERVIZI: In house: è sufficiente controllo analogo congiunto.
In questa sentenza 20.12.2012 n. 2090 i giudici del TAR Toscana, Sez. I, fanno luce sui requisiti del controllo analogo congiunto nel caso di società partecipate da più enti locali.
Secondo i giudici toscani, nel caso di affidamento in house conseguente alla istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata per la gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a quello che ciascuno di essi esercita sui propri servizi, deve intendersi assicurato anche se svolto non individualmente ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo, dovendo il requisito del controllo analogo essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico.
Sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIPer gli affidamenti in house salta il limite di 200mila euro.
Anche la gestione dei rifiuti rientra tra i «servizi a rete», per i quali tutte le attività di organizzazione e gestione devono essere trasferiti agli ambiti territoriali ottimali previsti dalla manovra-bis del Ferragosto 2011 (articolo 3-bis del Dl 138/2011). Scompare del tutto il limite dei 200mila euro annui per gli affidamenti in house, che sarebbe dovuto entrare in vigore a inizio 2014 e avrebbe lasciato sopravvivere gli affidamenti di valore superiore fino alla fine dello stesso anno secondo le previsioni del decreto legge sulla revisione di spesa.

La versione definitiva del decreto «Sviluppo-bis», che ha ottenuto ieri l'ultimo disco verde dalla Camera, porta molte novità al mondo dei servizi pubblici locali e delle società partecipate.
Oltre alla scomparsa del limite dei 200mila euro all'in-house (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 dicembre), che riporta integralmente la disciplina degli affidamenti nel'ambito delle regole Ue sull'in house, il ritocco di maggior peso è quello sugli ambiti territoriali previsti dalla manovra-bis dello scorso anno, ma accolti con più di un'incertezza da parte delle Regioni che in qualche caso non ne hanno completato il disegno o l'attuazione.
Ora i ritardatari devono affrettarsi perché agli ambiti, secondo la legge di conversione approvata ieri, vanno trasferiti subito tutti i compiti relativi a «scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo». Insomma, esce dai singoli enti locali l'intera organizzazione dei servizi pubblici a rete, famiglia nella quale il decreto Sviluppo-bis fa rientrare anche la raccolta e smaltimento di rifiuti urbani superando così i dubbi interpretativi sollevati da molti operatori.
In nome della concorrenza, o di quel che ne rimane dopo la sentenza 199/2012 della Corte costituzionale che ha cancellato le "liberalizzazioni" dell'anno scorso, si prevede poi che la disciplina del Codice appalti si applichi anche ai servizi di illuminazione votiva.
In ogni caso, chi sceglie la strada dell'in house dovrà motivare in una relazione, da pubblicare sul sito Internet, le ragioni della scelta. Una semplificazione interviene poi sul fronte dei micro-pagamenti pubblici alle imprese, che devono essere effettuati in forma elettronica se il creditore lo richiede (articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012).

APPALTI SERVIZIAffidamenti diretti «liberi». Per le partecipate salta il limite di 200mila euro annui.
IL QUADRO/ Il correttivo cancella il tetto introdotto a luglio anche per le strumentali Confermato il blocco ad assunzioni e stipendi.

Con la cancellazione del limite dei 200mila euro all'in house che sarebbe scattato a inizio 2014, inserita nel maxiemendamento governativo al decreto sviluppo-bis, gli affidamenti diretti di servizi pubblici a rilevanza economica perdono l'ultimo vincolo destinato ad avere un impatto generalizzato.
La novità, insomma, sembra segnare la parola fine alla storia dei tentativi di liberalizzazione avviati nel 2008, con la prima manovra della legislatura, e colpiti dai referendum del 2011 e dalla sentenza 199/2012 della Corte costituzionale.
L'addio al tetto di valore per gli affidamenti diretti (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri), che era stato reintrodotto a luglio nel decreto legge sulla revisione di spesa con un occhio particolare alle società strumentali, si spiega anche con il rischio-contenzioso che avrebbe accompagnato la sua applicazione. Un limite identico era contenuto nell'articolo 4 della manovra-bis del 2011 (Dl 138), cancellato per illegittimità dalla Corte costituzionale. E, in vista del 2014 sarebbe stata praticamente certa una nuova ondata di ricorsi alla Consulta da parte delle Regioni.
Con il via libera alla conversione in legge del decreto, comunque, tirano un sospiro di sollievo molti dei titolari attuali di affidamenti diretti (tra le strumentali, per esempio, società come Lazio Service), che sarebbero dovuti decadere a fine 2014, e cade l'ultimo limite «made in Italy» all'in house: la disciplina di riferimento rimane in pratica solo quella europea, che consente l'affidamento diretto a società interamente pubbliche che siano controllate dall'ente affidante e con lui svolgano la parte rilevante della propria attività.
Un ricordo pallido dell'ondata liberalizzatrice rivive in realtà in un altro correttivo contenuto nel maxiemendamento, che impone di dare conto, in una relazione, delle ragioni alla base della scelta dell'affidamento e dei contenuti del contratto di servizio. La relazione, però, va semplicemente pubblicata sul sito istituzionale dell'ente e non è sottoposta a pareri dell'Antitrust che sarebbero stati giudicati incostituzionali in seguito alla sentenza post-referendum della Consulta. Non sono fissate sanzioni per la mancata pubblicazione della relazione: la decadenza automatica è prevista al 31.12.2013 solo in caso di mancato adeguamento degli affidamenti non conformi alla disciplina Ue (per esempio: affidamento diretto a una società mista) o privi di data di scadenza.
Tutto questo pacchetto di regole esclude espressamente energia elettrica, farmacie comunali e gas naturale. A complicare la gestione c'è invece il trasferimento di tutti i compiti di scelta della forma di gestione dei servizi, tariffe e controlli agli ambiti territoriali ottimali previsti dal 2011 ma non ancora costituiti ovunque. Una regola, questa, che sottrae ai Comuni ogni compito diretto nell'organizzazione dei servizi pubblici.
Per gli affidamenti diretti alle società quotate, viene ribadita la decadenza a fine 2020 degli affidamenti diretti che non prevedono scadenza (lo prevedeva già il decreto originario) e si precisa che rientrano nella disciplina delle quotate tutte «le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati». Queste regole, quindi, oltre alle aziende presenti nel listino di Borsa, dovrebbero estendersi anche alle società che emettono obbligazioni.
La precisazione è importante anche per definire i confini dell'estensione alle società partecipate delle regole di contenimento di spesa pubblica imposte agli enti locali controllanti. Il tema più spinoso, da questo punto di vista, è rappresentato dai blocchi alle assunzioni e dai tetti agli stipendi individuali, ribaditi nel caso delle società strumentali anche dal decreto legge sulla revisione di spesa. Il problema è legato al fatto che nelle aziende il personale è assunto con contratti di diritto privato, il cui congelamento per legge rischia di scatenare un contenzioso ad ampio raggio.
Proprio per questa ragione, in commissione era stato approvato un correttivo che chiedeva alle società di ridurre le spese di personale, rispettando anche il limite del 40% al turn over, senza bloccare gli stipendi individuali, ma il «non possumus» della Ragioneria lo ha escluso dal testo governativo (articolo Il Sole 24 Ore del 07.12.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIDECRETO CRESCITA/ Un freno alle assunzioni e i project bond tra le novità. Dietrofront sui servizi locali. Eliminato il tetto dei 200 mila euro per l'in house.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per gli affidamenti in house di servizi pubblici previsto per il 2014 e quindi basterà rispettare le norme e la giurisprudenza comunitaria per gestire in house un servizio pubblico; previsto il divieto di assunzione del personale per le società controllate se la spesa per il personale della controllata affidataria di un servizio pubblico locale incide per più del 50% rispetto alla spesa corrente dell'amministrazione controllante; previsti i project bond anche per realizzare, potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura destinata a pubblico servizio. Sono queste alcune delle novità previste per la disciplina dei servizi pubblici locali e non dagli emendamenti dei relatori al decreto legge 179/2012 sulla crescita.

La più rilevante modifica riguarda l'ennesimo revirement normativo sulla disciplina degli affidamenti in house di servizi pubblici locali: Si propone infatti l'eliminazione del limite massimo dell'importo di affidamento, pari a 200 mila euro, entro il quale era prevista, dall'articolo 8, comma 4 del decreto-legge 95/2012 (convertito nella legge 135, cosiddetta spending review), la possibilità di procedere ad affidamenti in house a società interamente pubbliche.
La norma di agosto stabilisce che da inizio 2014 in house si possano affidare servizi pubblici soltanto nel rispetto della giurisprudenza comunitaria e del citato limite: con l'emendamento sarà invece sufficiente rispettare i limiti dell'ordinamento comunitario.
Il che significa nella sostanza, non cambiare in alcun modo il quadro di riferimento precedente all'introduzione del limite. Si prevede inoltre che gli affidamenti in essere non conformi ai requisiti comunitari devono essere adeguati entro il termine del 31.12.2013 pubblicando, entro la stessa data, una relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo.
Per gli affidamenti senza data di scadenza occorrerà inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento; in caso di mancato inserimento del termine si prevede la cessazione ex lege entro fine 2013.
Sul fronte delle spese per il personale delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, ne commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica, si richiama il vincolo generale a non assumere in caso di spesa per il personale superiore al 50% delle spese correnti, ma lo si rende più incisivo. Infatti si stabilisce che se l'incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'amministrazione controllante, supera il 50% delle spese correnti, l'amministrazione controllante deve imporre un divieto all'assunzione di personale, divieto che oggi non è previsto. Introdotto anche il vincolo di contenimento sulle consulenze per rispettare il vincolo del 50%
Se l'incidenza è invece inferiore al 50% si potrà procedere a nuove assunzioni entro il limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Una certa perplessità su queste nuove modifiche arriva dall'Anci che, con Filippo Bernacchi, delegato Anci alle politiche energetiche e ai rifiuti, così commenta l'intervento modificativo: «Spero in un ravvedimento di Governo e Parlamento perché se si continua di questo passo non si avrà mai un quadro stabile, certo e definito, con le amministrazioni che continueranno a essere in bilico in quanto fra un provvedimento e l'altro, posso trovarsi in regola oppure essere in difetto».
Importante anche l'estensione dell'ambito di applicazione della disciplina dei project bond anche per realizzare, potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura destinata a pubblico servizio (articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZICorte Ue. Le condizioni per la dispensa dei Comuni dalla procedura di aggiudicazione
Appalti snelli con controllo. Verifiche effettive sulla società che è costituita per la gestione.
I REQUISITI/ Necessaria la partecipazione non solo formale degli enti promotori sia al capitale sia agli organi direttivi.

La Corte di giustizia europea mette i paletti sulle modalità di aggiudicazione degli appalti da parte delle società che gestiscono servizi pubblici.
Così la sentenza 29.11.2012 nelle cause C-182/11 e C-183/11 stabilisce che «quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un'entità incaricata di adempiere compiti di servizio pubblico ad esse spettanti, tali autorità, per essere dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme del diritto dell'Unione, devono esercitare congiuntamente sull'entità in questione un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi, ciascuna delle autorità stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell'entità suddetta».
I fatti: il Comune di Varese, per gestire il servizio di igiene urbana, ha costituito la spa Aspem (con un capitale sociale di 173.785 euro, corrispondente ad altrettante azioni del valore nominale di 1 euro ciascuna), come prestatore di servizi "in house", di cui deteneva la quasi totalità del capitale (173.467 azioni). Nel 2005, i Comuni di Cagno e di Solbiate hanno scelto la gestione coordinata, con altri Comuni del servizio di eliminazione dei rifiuti solidi urbani, e hanno concluso una convenzione con quello di Varese. Alla Aspem hanno aderito in qualità di azionisti pubblici (acquisendo un'azione ciascuno). Le restanti 318 azioni sono suddivise tra 36 Comuni della provincia di Varese, con partecipazioni individuali che variano da 1 a 19 azioni.
Parallelamente all'acquisizione di tale partecipazione, i Comuni di Cagno e di Solbiate hanno sottoscritto un patto parasociale, che prevedeva il diritto di essere consultati, di nominare un membro del collegio sindacale e di designare, in accordo con gli altri Comuni partecipanti un consigliere di amministrazione. La società Econord ha contestato l'affidamento diretto dei servizi alla Aspem, facendo valere che il controllo dei due Comuni sulla Aspem non era garantito e, di conseguenza, l'attribuzione dell'appalto avrebbe dovuto essere effettuata in conformità alle norme del diritto dell'Unione.
Il Consiglio di Stato sottolinea che il Comune di Varese esercita il pieno controllo sulla Aspem, mentre ciò non vale per i Comuni di Cagno e di Solbiate, in quanto l'acquisizione di una sola azione e un patto parasociale singolarmente debole non darebbero luogo a alcun controllo congiunto effettivo. Ha chiesto alla Corte di chiarire la nozione di esercizio di un «controllo analogo» a quello esercitato dall'ente pubblico sui propri servizi.
La Corte di giustizia europea chiarisce che, quando più autorità pubbliche fanno ricorso a un'entità comune per svolgere un compito di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità. Tuttavia, il controllo non può fondarsi soltanto sul controllo dell'autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell'entità, in quanto la nozione stessa di controllo congiunto verrebbe svuotata di significato.
Infatti, l'eventualità che un'amministrazione abbia, nell'ambito di un ente posseduto in comune con altre amministrazioni, una posizione non idonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità, aprirebbe la strada a un'elusione delle norme del diritto Ue. Infatti, una presenza puramente formale nella compagine di tale entità dispenserebbe l'amministrazione dall'obbligo di avviare una procedura di gara d'appalto. Toccherà allora al Consiglio di Stato verificare l'effettività del controllo.
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LA SENTENZA
Date tali premesse, non vi è dubbio che, ove più autorità pubbliche facciano ricorso ad un'entità comune ai fini dell'adempimento di un compito comune di servizio pubblico, non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un potere di controllo individuale su tale entità; ciononostante, il controllo esercitato su quest'ultima non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell'autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell'entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto.
Infatti, l'eventualità che un'amministrazione aggiudicatrice abbia, nell'ambito di un'entità affidataria posseduta in comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima possibilità di partecipare al controllo di tale entità aprirebbe la strada ad un'elusione (...) - Corte di giustizia Ue, sentenza nelle cause C-182/11 e altre (articolo Il Sole 24 Ore del 30.11.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIStop nelle Regioni prive dei bacini. Servizi pubblici, affidamenti solo in ambiti ottimali.
ENTRO FINE ANNO/ Le gestioni in house devono essere motivate da una relazione pubblicata su Internet con le ragioni della scelta.

Rischio-blocco per gli affidamenti di servizi pubblici nelle Regioni che non hanno ancora costruito gli ambiti territoriali ottimali chiesti dalla manovra-bis del 2011.
Il decreto crescita approvato la scorsa settimana al Consiglio dei ministri torna a intervenire sui servizi pubblici locali, rilanciando le "liberalizzazioni" sopravvissute alla sentenza 199/2012 con cui la Corte costituzionale ha cancellato a luglio le norme-fotocopia (articolo 4 del Dl 138/2011) di quelle bocciate dai referendum nel giugno 2011.
Per raggiungere l'obiettivo, il decreto prevede che nel caso di servizi a rete a rilevanza economica gli affidamenti siano «effettuati unicamente» dagli enti di governo istituiti per gestire i bacini territoriali ottimali. Problema: enti locali e Regioni avrebbero dovuto disegnare i confini degli ambiti fin dal 30 giugno scorso, come indicato dall'articolo 3-bis dello stesso Dl 138, ma in molti territori l'individuazione dei bacini è lontana dal traguardo, e in qualche caso non è nemmeno partita. In questi casi, di conseguenza, diventerebbe impossibile effettuare gli affidamenti, sia con gara sia in house.
Il quadro è articolato: tra le Regioni più avanti va citata l'Emilia Romagna, che ha riunito i nove vecchi Ato provinciali in un'agenzia unica, o il Veneto che a fine settembre ha ridisegnato l'igiene urbana. In altre realtà è stata avviata la costruzione degli ambiti, ma gli enti di governance non sono ancora pronti (è il caso del Piemonte), mentre altre Regioni non hanno nemmeno avviato la macchina. La prospettiva, quindi, rischia di essere quella di un blocco generalizzato degli affidamenti, superabile solo se si tagliano drasticamente i tempi per la creazione degli ambiti e dei loro organi di governo.
Sul fronte vero e proprio delle liberalizzazioni, invece, il nuovo decreto non esce dai binari tracciati dalla Consulta nella sentenza che ha cancellato i limiti all'in house. La bussola per gli affidamenti diretti resta quella delle regole Ue, che aprono questa strada solo se la società affidataria è interamente pubblica, lavora in prevalenza con l'ente affidante ed è soggetta a un controllo analogo a quello che l'ente garantisce sui propri uffici.
Il decreto si limita ad aggiungere il tassello della trasparenza, prevedendo che tutti gli affidamenti di questo tipo siano accompagnati da una relazione da pubblicare sul sito Internet dell'ente affidante in cui si dia conto delle ragioni della scelta per l'in house e di eventuali compensazioni economiche. Per gli affidamenti già attivi la relazione va pubblicata entro fine anno.
Un'ultima novità riguarda gli affidamenti diretti a società già quotate in Borsa al 01.10.2003: se i contratti non hanno scadenza, decadranno automaticamente dal 31.12.2020 (articolo Il Sole 24 Ore del 09.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIDECRETO CRESCITA/ Utility con affidamenti a tempo. Termine entro il 2020 a meno di scadenze precedenti. Approvate nuove regole sulla gestione del servizio pubblico locale.
Gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali disposti prima dell'01.10.2003 termineranno entro il 2020, salvo che non siano previste scadenze precedenti; se un ente locale decide di procedere con affidamento diretto per la gestione di un servizio pubblico ha l'obbligo di pubblicare sul sito internet le ragioni della scelta e la sussistenza dei presupposti.
Sono questi alcuni dei contenuti delle norme del decreto-legge sulla crescita varato dal Consiglio dei ministri di giovedì in materia di servizi pubblici locali Si tratta dei commi da 13 a 16 dell'articolo 34 che si pongono l'obiettivo, in questo nuovo intervento sulla materia, di assicurare il rispetto del diritto comunitario, sotto il profilo della concorrenza e della tutela del mercato e di introdurre ulteriori elementi di trasparenza.
In particolare il comma 13 riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica e prevede in primo luogo che gli enti competenti predispongano e rendano pubblica sul sito istituzionale una relazione che spieghi le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento comunitario in ordine alla scelta dell'affidamento individuato per la gestione del servizio. L'obbligo di rendere pubblica la relazione viene messo in rapporto alla necessità di assicurare la trasparenza delle scelte di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il rispetto delle regole europee per il mercato interno e la concorrenza ovvero la sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per l'affidamento diretto, implicitamente recependo anche le indicazioni della recente sentenza della Corte costituzionale (la 119 di quest'anno).
Non si tratta di una particolare novità, dal momento che tutti i provvedimenti amministrativi devono essere ovviamente motivati in rapporto ai vincoli normativi previsti dalla disciplina nella quale si collocano; semmai la novità è rappresentata dal fatto che la relazione sia resa pubblica sul sito internet dell'ente. Gli enti locali sono destinatari di un divieto generale di istituire organismi, aziende ed enti comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative attribuite ai sensi dell'art. 118 della Costituzione.
Diversi i tempi per la pubblicazione della relazione: per gli affidamenti in essere, entro il 31.12.2013; per gli affidamenti per i quali non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, pena la cessazione dell'affidamento medesimo alla data del 31.12.2013.
Viene poi fissata alla fine del 2020 (salvo data anteriore a fine 2020), la data limite per la cessazione degli affidamenti diretti assentiti alla data del primo ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, laddove non sia prevista una data di scadenza In altre parole è come se si prevedesse l'obbligo di inserire la scadenza del 2020 nei contratti affidati prima del 2003 che non prevedono alcuna scadenza.
Infine il comma 16 dell'articolo 34 del decreto-legge prevede un intervento sul comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148, e successive modificazioni,
La norma sulla quale si interviene è quella che stabilisce che i servizi pubblici locali di rilevanza economica abbiamo come territorio di riferimento bacini ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.
La novella apportata dal decreto chiarisce che anche “le procedure per il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei e che tale onere spetta agli enti di governo istituiti o designati dalla regioni o province le quali, a loro volta, hanno definito «il perimetro» degli ambiti e i bacini ottimali".
La norma, in sostanza, in coerenza con la necessità di favorire le unioni fra enti locali per la gestione dei servizi pubblici, rende applicabile il riferimento ai bacini ottimali per tutte le fasi procedurali, dall'individuazione dei bacini ad opera della regioni, alla programmazione, alle procedure di affidamento e alla gestione del servizio (articolo ItaliaOggi del 06.10.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: M. Mignanelli, LA SORTE DELL’“IN HOUSE PROVIDING” NEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI A RILEVANZA ECONOMICA IN ATTESA DEL REFERENDUM ABROGATIVO DELL’ART. 23-BIS L. 133/2008 E SS.MM.II. (Gazzetta Amministrativa n. 3/2012).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici punto e a capo. La Corte costituzionale ha spazzato via la stretta sull'in house. La decisione porta a riflettere sull'opportunità di continuare a osteggiare gli affidamenti.
Merita un approfondimento particolare lo scenario dei servizi pubblici a esito dell'ennesimo accadimento che ha riguardato la materia, ovvero la sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012. Il termine non è utilizzato per errore, poiché di reali accadimenti occorre ormai parlare in relazione a una materia, quella dei servizi pubblici locali, oggetto da ormai più di un decennio, a più livelli e a più riprese, di tentativi di riforme organiche, di correttivi in grado di modificare il precedente assetto, di una cospicua evoluzione delle discipline settoriali e regionali e, come nell'ipotesi di specie, di interventi della stessa Corte costituzionale.
Ciò che deriva è un quadro desolante. Certamente non sono in dubbio i moduli gestionali dei servizi. Infatti, al di là del tentativo del nostro legislatore di limitare il ricorso alle forme dell'in house providing, non si può disconoscere che tale modello gestionale, unitamente a quelli della concessione a terzi con gara e al partenariato pubblico-privato, rappresentino tutti dei modelli la cui validità e vigenza è un dato ormai acquisito. Ciò che, tuttavia, appare dubbio è il problematico contorno ... (articolo ItaliaOggi del 03.08.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Prime osservazioni sull’affidamento dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale del 20.07.2012 n. 199 (ANCI, nota 24.07.2012).

APPALTI SERVIZI: Corte costituzionale. Accolto il ricorso di sei regioni su affidamenti in house, diritti di esclusiva e società partecipate.
Servizi, liberalizzazioni bocciate. Illegittime le nuove regole: sono la copia di quelle abrogate dal referendum.
LA DECISIONE/ Con la manovra di Ferragosto 2011 è stato «tradito» il risultato delle consultazioni di appena due mesi prima.

Le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali scritte nella manovra-bis del Ferragosto 2011 sono la copia, ancor più decisa rispetto all'originale, di quelle abrogate per referendum solo due mesi prima, quindi sono illegittime.
Sulla base di questo ragionamento, tanto attendibile nei contenuti quanto deflagrante negli effetti, la Corte costituzionale ha assestato ieri (sentenza 199/2012: presidente Quaranta, relatore Tesauro) la bordata più dura all'ultima manovra anti-spread dell'estate scorsa (l'altro colpo arriva sui costi della politica: si veda l'articolo sotto), dando ragione al gruppo di sei Regioni (Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna) che erano partite all'attacco della nuova normativa.
A salvare l'intervento non è bastata l'esclusione espressa del «servizio idrico integrato», perché i referendum abrogativi di giugno si erano concentrati sull'acqua solo per la propaganda, ma in realtà avevano cancellato tutte le liberalizzazioni contenute nel primo tentativo del 2008. Ancor meno utile è stata la rubrica della norma, che parlava di «adeguamento al referendum popolare». Riproporre norme appena cancellate dal voto, per di più a soli 23 giorni dal decreto di abrogazione, non si può.
Anche per questa ragione, la sentenza agisce di machete più che di bisturi, e dichiara l'illegittimità dell'articolo 4 del Dl 138/2011 «sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni», compresi i ritocchi apportati da ultimo con il «Cresci-Italia» del Governo Monti (articolo 53 del Dl 83/2012). Addio, quindi, ai limiti economici per gli affidamenti in house, preclusi per servizi di valore superiore ai 900mila euro annui (diventati poi 200mila con il decreto liberalizzazioni 1/2012 del Governo Monti), all'obbligo per gli enti locali di effettuare analisi di mercato entro il 13 agosto prossimo per giustificare l'attribuzione di diritti di esclusiva (già si parlava di una proroga da inserire nella legge di conversione al decreto di revisione della spesa) e, ovviamente, a tutte le norme dei provvedimenti attuativi. Ancora una volta, quindi, cadono le regole che provavano a chiudere le porte girevoli fra la politica e le società partecipate, impedendo agli ex amministratori locali di sedere nei consigli di amministrazione delle società.
Immediata l'esultanza della sinistra referendaria, a partire dal presidente della Puglia, Nichi Vendola, che sull'onda della sentenza chiede di cancellare subito anche la tagliola prevista dal decreto legge sulla revisione di spesa per le società strumentali della Pubblica amministrazione. Secondo gli operatori, come spiega il direttore generale di Federutility, Adolfo Spaziani, la sentenza è l'occasione per «cambiare rotta e pensare a normative serie di settore, come si è fatto con energia e gas, per premiare chi è efficiente e colpire chi non lo è: bisogna smetterla con questi continui tira e molla normativi, con i quali si vuole fare di più ma si finisce per fare di meno». Anche l'associazione dei Comuni, per bocca del suo vicepresidente Alessandro Cattaneo, chiede «regole certe subito», mentre a livello locale la pronuncia rinfocola le polemiche contro i processi di cessione di quote, a partire dalla romana Acea che si era appena incagliata al Consiglio di Stato.
Cancellata tutta l'architettura legislativa che si era accumulata con gli ultimi provvedimenti, la bussola torna per ora a essere la normativa europea (richiamata dagli stessi giudici costituzionali), che permette l'affidamento in house a tre condizioni: la società affidataria deve avere capitale interamente pubblico e svolgere la quota prevalente della propria attività con l'ente affidante, che a sua volta deve esercitare su questa un controllo «analogo» a quello assicurato sui propri uffici. Naturalmente nulla vieta nuove leggi, anche perché la stessa Corte costituzionale in passato ha chiarito che «il legislatore conserva il potere di intervenire nella materia oggetto del referendum», a patto che l'intento non sia di «far rivivere la normativa abrogata».
Prima di tutto, però, occorrerà chiarire bene alcuni punti rimasti aperti, come la sottoposizione delle società in house ai vincoli del Patto di stabilità (si attende il regolamento attuativo), prevista sia all'articolo 4 (abrogato) sia al 3-bis (sopravvissuto) della manovra estiva (articolo Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: R. Camporesi, Teoremi interpretativi dell’art. 14, comma 32, del D.l. 78/2010 sui limiti imposti agli enti locali a detenere società (SECONDA PARTE) (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici sotto esame. Ridefinizione per attribuire in esclusiva o liberalizzare le gestioni. Concorrenza. Le indicazioni dell'Antitrust sull'attuazione del percorso delineato dalla legge 148/2011.
La verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva serve per una complessiva ridefinizione del servizio pubblico locale, consentendo anche di rilevare le criticità più significative. Lo ha chiarito l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che, per voce di Arduino D'Anna, funzionario della Direzione servizi pubblici locali e promozione concorrenza, durante un convegno organizzato il 20 giugno a Bologna, ha fornito alcune indicazioni sul percorso previsto dall'articolo 4 della legge 148/2011: in base al quale, entro il 13 agosto, gli enti territoriali con più di 10mila abitanti devono inviare all'Authority per il parere obbligatorio le delibere con cui devono decidere se liberalizzare o attribuire diritti di esclusiva sulle gestioni.
La legge 148 riguarda i servizi pubblici di rilevanza economica. D'Anna ha evidenziato come la rilevanza economica derivi dalla possibilità del gestore di realizzare ricavi in grado di coprire i costi, a prescindere dalla circostanza che i primi siano frutto di sussidi pubblici. È quindi irrilevante che il servizio possa essere reso alla collettività senza oneri diretti a carico degli utenti, determinando quindi uno spettro molto ampio di servizi qualificabili come a rilevanza economica. Da questi, tuttavia, l'Autorità sembra escludere quelli sociali, per il loro carattere non profit. Viene evidenziato come l'obbligo di servizio pubblico sia direttamente legato all'esigenza di assicurare l'universalità e l'accessibilità dei servizi pubblici e corrisponda a quella parte di servizi che qualsiasi operatore, se dovesse avere a riguardo solo il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o assumerebbe solo se adeguatamente compensato.
L'Autorità rileva come nella verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva sia necessario analizzare il profilo economico connesso. Infatti le compensazioni per gli obblighi del servizio, che gli enti possono prevedere se necessario, possono celare inefficienze del gestore uscente, ma possono anche violare (in caso di eccesso) le norme comunitarie sugli aiuti di stato. In base a questa valutazione, la scelta tra affidamento in esclusiva dell'intero servizio o la sperimentazione di una concorrenza nel mercato su porzioni di questo (con la liberalizzazione) è legata ai possibili benefici delle due alternative sull'ammontare complessivo delle compensazioni e sulle tariffe pagate dall'utenza.
Rispetto al percorso previsto dall'articolo 4 della legge 148/2011, l'Agcm focalizza vari aspetti critici, a partire dalla definizione degli ambiti territoriali ottimali: sul punto l'Antitrust fornisce un input alle Regioni, evidenziando come l'operazione dovrebbe avvenire non su profili amministrativi, ma in modo da ottenere economie di scala e di differenziazione (con peculiarità per ogni settore). Per l'Autorità l'elemento-chiave è individuato nella definizione dei servizi minimi e degli obblighi di servizio pubblico: occorre aggiornare i dati relativi alla domanda di servizio pubblico e arrivare a una nuova decisione politica in merito alla quantità e qualità di questa domanda che si intende soddisfare con l'intervento pubblico, anche per eliminare sovrapposizioni tra servizi.
Una volta ridefinito il servizio pubblico, l'amministrazione dovrebbe elaborare i dati a disposizione per tracciare una stima della redditività reale o potenziale del servizio o di sue singole parti. Questi dati dovrebbero essere quindi ricondotti a un confronto con gli operatori economici (pubblici e privati), anche per far emergere le attività più redditive e quelle più critiche. A fronte dei dati elaborati e dei riscontri del mercato, secondo l'Agcm, l'amministrazione dovrebbe verificare l'esistenza degli eventuali benefici che deriverebbe dal mantenimento della gestione in esclusiva e quindi liberalizzare tutte le attività per le quali questi benefici non ci sono: come le attività risultanti da sovrapposizioni di servizi, a loro volta desumibili dalla pianificazione.
D'Anna ha proposto, interpretando la norma, che l'obbligatorietà della verifica dovrebbe essere esclusa in tutti quei casi in cui la struttura dei mercati coinvolti sia tale da anticipare ragionevolmente l'assoluta impossibilità di sperimentare forme di concorrenza «nel mercato», ossia nei casi di monopolio naturale.
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le indicazioni sulle gare
01 | I LEGAMI
L'Antitrust raccomanda agli enti locali anzitutto di evitare che la procedura concorsuale possa risentire dell'intreccio tra amministrazione appaltante e impresa controllata. Attenzione quindi alle disposizioni contenute nel bando e nel capitolato di gara: soprattutto alla delimitazione del servizio oggetto dell'appalto, alla ripartizione in lotti, ai requisiti richiesti alle imprese e ai criteri di aggiudicazione.
02 | LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE
Nella gara devono essere inserite clausole per evitare che le associazioni temporanee di operatori economici si configurino non come strumenti di partecipazione, ma come soluzioni per formare intese anticoncorrenziali.
03 | I DIPENDENTI
Sulla clausola di tutela del personale del gestore uscente, l'Agcm precisa che, dato l'obiettivo principale del legislatore di favorire la protezione dei lavoratori, tuttavia l'obbligo di rispettare la clausola sociale non impone un determinato modello di contrattazione collettiva. L'Autorità ha anzi evidenziato più volte le distorsioni legate al fatto che un soggetto pubblico affidante imponga un contratto per i profili economici: la previsione riduce la concorrenza, costituendo una barriera all'entrata o innalzando i costi degli operatori già presenti che adottano un contratto di lavoro diverso.
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Obblighi verso i cittadini, compensazioni eque.
LA PRECISAZIONE/ Nei mercati «aperti» la Pa deve permettere a tutti gli imprenditori di settore di operare contemporaneamente.

Sono in fase di completamento le regole per la verifica finalizzata all'attribuzione dei diritti di esclusiva nei servizi pubblici locali. E alcune modifiche sono state introdotte dal Consiglio di Stato. La sezione consultiva per gli atti normativi ha infatti dato parere favorevole, con il documento 2805 dell'11 giugno, allo schema di decreto ministeriale che definisce il percorso dell'istruttoria e dei contenuti della delibera quadro, previsto dall'articolo 4, comma 33-ter, della legge 148/2011, e ha proposto la riformulazione di numerose disposizioni: modifiche destinate a essere recepite. Inoltre, il Consiglio di Stato ha fornito chiarimenti e alcune definizioni essenziali.
In particolare, il Consiglio di Stato ha spiegato che nei mercati non ancora completamente liberalizzati (nei quali, cioè, non possono operare tutti i soggetti interessati), la pubblica amministrazione si limita a rispettare la concorrenza per il mercato: vale a dire che deve scegliere l'imprenditore cui affidare l'erogazione di un determinato servizio mediante procedure a evidenza pubblica, in modo da assicurare che vengano individuati l'operatore più idoneo a effettuare il servizio e gli investimenti alle migliori condizioni possibili.
In un ambito di servizi liberalizzato, invece, deve essere assicurata la concorrenza nel mercato, che consente agli imprenditori del settore di operare contemporaneamente nel mercato rilevante ad armi pari, riuscendo a soddisfare le esigenze della comunità amministrata, con accesso allo stesso mercato libero o, al più, subordinato al rilascio di autorizzazioni vincolate.
Nel parere si chiarisce anche che in situazioni di monopolio naturale (come nel caso di unicità dell'impianto da gestire), la verifica deve essere anticipata rispetto a quella relativa alla possibilità di procedere a una liberalizzazione, per non appesantire inutilmente l'attività degli enti locali.
Gli enti affidanti, inoltre, dovranno porre attenzione particolare nell'analisi delle compensazioni corrisposte per gli obblighi di servizio pubblico, verificando che non siano eccessive e che non vadano a violare, quindi, la normativa comunitaria in materia (Comunicazioni e decisioni della commissione del 20.12.2011), in quanto verrebbero a configurarsi come aiuti di Stato.
Il Consiglio di Stato evidenzia anche l'obbligatorietà della consultazione degli operatori economici quando non sia possibile stimare la redditività del servizio o non emerga con chiarezza la possibilità di liberalizzare il servizio, o singole fasi di esso.
Per evitare elusioni delle finalità principali della nuova disciplina, il Consiglio di Stato chiede che nel decreto ministeriale sia precisato che l'affidamento in esclusiva dei servizi non deve essere esteso o abbinato ad attività che possono essere svolte in regime di concorrenza.
L'importanza della verifica ai fini del riassetto strategico e dell'affidamento di un servizio pubblico locale è dimostrata, peraltro, da alcune esperienze, come quella del Comune di Torino, che con la deliberazione 78 dell'11 giugno ha approvato il quadro per l'attribuzione dei diritti di esclusiva in relazione ai servizi ambientali (gestione del ciclo integrato dei rifiuti) (articolo Il Sole 24 Ore del 25.06.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: F. Laurendi, Servizi locali, addio a gare e in house - Cinque elementi, tra cui le necessità delle comunità locali, alla base della verifica necessaria per mettere in concorrenza i servizi. Lo prevede il regolamento attuativo del d.l. 138/2011, che ha avuto l’ok dal Consiglio di Stato (parere 11.06.2012 n. 2805) (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: Dopo la pioggia di deroghe arriva l'ingorgo.
QUADRO CONFUSO/ Entro fine anno vanno attuate le dismissioni nei Comuni fino a 50mila abitanti e l'apertura al mercato ma manca il regolamento.

L'ultimo piccolo colpo al faticoso processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali è arrivato con il decreto sviluppo, che trasforma in silenzio-assenso il parere obbligatorio che l'Antitrust dovrebbe dare sulle delibere-quadro con cui i Comuni devono indicare i settori in cui non è possibile il ricorso al mercato.
A bloccare l'intero meccanismo, comunque, finora è stato l'incrocio fra un calendario ambizioso e un ritardo cronico nell'applicazione delle misure previste dalle varie manovre. Gli enti locali, per esempio, dovrebbero individuare entro metà agosto gli ambiti territoriali ottimali in cui suddividere i servizi a rete (dai trasporti all'idrico), ma ad oggi manca ancora il decreto attuativo principale, cioè quello che dovrebbe dire alle amministrazioni locali come si fa la delibera quadro chiamata a individuare quali servizi affidare al mercato e in quali mantenere diritti di esclusiva.
Anche ipotizzando che gli enti locali e gli enti affidanti per i servizi di rete riescano a rispettare il termine del 13 agosto, e anche nel caso in cui la novità del silenzio-assenso dovesse essere approvata, l'adozione della delibera difficilmente potrà avvenire prima della fine di novembre.
Da quella data al 31 dicembre, gli enti locali dovrebbero quindi avviare i percorsi per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici locali prima gestiti da società in house (se incoerenti con i parametri comunitari e, soprattutto, se di valore annuo superiore ai 200mila euro), scegliendo tra la gara a spettro ampio e la costituzione di società mista, con individuazione tramite gara del socio privato a cui affidare anche compiti operativi.
L'avvio delle procedure richiede un passaggio in consiglio comunale (per la definizione del modello organizzativo), ma costituisce anche il presupposto essenziale per permettere a una società interamente partecipata dall'ente locale di prendere parte alla gara per il servizio sino ad oggi gestito.
In questa fase è inoltre necessario che sia dettagliatamente analizzata la situazione delle reti e delle dotazioni infrastrutturali, passo essenziale per avviare le gare.
Sempre entro fine anno, i Comuni fino a 30mila abitanti, poi, devono decidere se dismettere le loro partecipazioni o sfruttare una delle deroghe previste per le aziende che vantano bilanci in utile o riescono ad aggregarsi. La stessa Corte segnala che più del 60% delle partecipazioni sono in mano a Comuni medio-piccoli, a conferma del l'enormità del processo che dovrebbe partire.
La possibilità di evitare le dismissioni, come accennato, è legata allo stato di salute dei bilanci o alle possibilità di aggregazione per superare la soglia dei 30mila abitanti serviti. Potrebbero quindi realizzarsi situazioni nelle quali una società di un Comune con popolazione inferiore, ma con bilanci in pareggio anziché in utile, debba essere assoggettata alla liquidazione da parte dell'ente socio. Per il servizio pubblico gestito non vi sarebbe altra via che quella della gara tra operatori, essendo inibita al Comune la possibilità di costituire (almeno da solo) società.
Ad accrescere ulteriormente il processo c'è la situazione dei Comuni compresi tra i 30mila e i 50mila abitanti, che devono ridurre le loro partecipazioni societarie ad una sola. Il termine entro cui arrivare a questa condizione, in realtà, secondo il dato legislativo sarebbe già scaduto (il 31.12.2011), ma alcune interpretazioni di sezioni regionali della Corte dei conti lo hanno collegato al termine dell'adempimento principale (la dismissione per i Comuni di minori dimensioni), quindi alla fine del 2012 (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.06.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della deliberazione di un consiglio comunale che ha affidato in house alla propria società strumentale il servizio di accertamento e riscossione volontaria di alcuni tributi locali
Sussiste il c.d. "controllo analogo" anche nel caso di un comune socio di minoranza della società.

E' legittima la deliberazione di un consiglio comunale che ha affidato in house alla propria società strumentale il servizio di accertamento e riscossione volontaria di alcuni tributi locali, in quanto coerente con la specifica normativa settoriale a quel momento vigente [art. 7, c. 2, lett. gg-ter) e gg-quater) del d.l. n. 70 del 2011], che, nel prevedere una chiara limitazione all'affidamento del servizio di riscossione alle società private concessionarie e ai poteri da queste esercitati, appare diretta, oltre che a semplificare e rendere meno gravosa per il contribuente, sotto il profilo finanziario, l'operazione di riscossione dei tributi locali, anche a finalità di contenimento della spesa pubblica degli enti locali.
Vero è, che detta disposizione è stata modificata, in sede di conversione del d.l., nel senso che l'affidamento esterno del servizio è stato precluso solo riguardo alla c.d. riscossione "coattiva", con la conseguenza che la riscossione c.d. "spontanea" rimane tuttora disciplinata dall'art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997, che prevede, oltre all'affidamento in house allo stesso Comune o a società strumentale a capitale interamente pubblico, anche altre modalità prevedenti l'indizione di gara pubblica preordinata alla scelta o della società privata concessionaria del servizio o del socio privato di una costituenda società a capitale misto, tuttavia, nel peculiare caso di specie, l'originario testo della norma contenuto nel d.l., è comunque idoneo ad integrare valido supporto motivazionale alla scelta (che in quel momento costituiva un obbligo, essendo contenuta in un d.l.) del Comune di procedere all'affidamento del servizio a una società pubblica, senza previa indizione di una gara per l'individuazione o del concessionario o del socio privato.
Ne consegue la legittimità della deliberazione comunale impugnata sia in riferimento agli oneri motivazionali previsti dal citato art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997 nelle ipotesi di affidamento in house del servizio in parola, sia riguardo al testo definitivo della norma, come risultante dalla legge di conversione.
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E' legittimo l'affidamento diretto del servizio a società strumentale da parte di un comune socio di minoranza della società, qualora il necessario controllo analogo sulla stessa sia esercitato congiuntamente da parte delle amministrazioni locali socie per la totalità del capitale sociale (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 31.05.2012 n. 380 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Rifiuti. L'azienda nata dall'integrazione entro il 31 dicembre diventerebbe a pieno titolo un'autorità d'ambito.
La maxi-società dribbla la gara. Possibile l'affidamento diretto a una realtà che aggreghi 250mila abitanti.
LIBERTÀ TOTALE/ La nuova deroga permette di aggirare anche i vincoli che impediscono l'in house per servizi superiori a 200mila euro.

La gestione dei rifiuti nell'Ato può essere affidata in house ad un'unica società che aggreghi i gestori esistenti, e gli impianti di proprietà degli enti possono essere affittati ai gestori.
La legge di modifica del Codice ambiente (Dlgs 152/2006) approvata al Senato introduce importanti innovazioni nei modelli di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, che definiscono un'ulteriore deroga alla procedura ordinaria di affidamento con gara.
L'articolo 6 della legge (che ora deve tornare alla Camera) stabilisce che può costituire Ato (purché la popolazione servita sia di almeno 250mila abitanti, salvo che la Regione fissi un limite inferiore) un'azienda costituita da soli enti locali, derivante dalla trasformazione di aziende speciali (o di consorzi) o risultante dall'integrazione operativa, perfezionata entro il 31.12.2012, di preesistenti gestioni dirette o in house tale da configurare un unico gestore a livello di bacino.
La soluzione si inserisce nella "razionalizzazione" dei gestori ammessi in deroga all'affidamento in house dall'articolo 4, comma 32, lettera a) della legge 148/2011, secondo il modello della società unica d'ambito, affidataria in house per un periodo determinato (tre anni, sino alla scadenza massima del 31.12.2015).
Tuttavia la nuova disciplina presenta considerevoli differenze da quella generale, perché la società risultante dalla trasformazione o dall'aggregazione diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti e va a incidere sul riassetto di questi organismi.
La nuova disposizione configura un soggetto al quale afferiscono sia le funzioni del regolatore sia i compiti di gestione del servizio. Questo aspetto è confermato dalla parte in cui si prevede che l'affidamento dei servizi del ciclo integrato dei rifiuti avviene direttamente all'azienda stessa anche in deroga all'articolo 4 della legge 148/2011, quindi a anche a superamento del limite economico di 200mila euro previsto per l'in house.
Se l'organismo "aggregante" assorbe contratti stipulati a seguito di regolare gara, questi mantengono efficacia fino alla scadenza naturale.
L'ulteriore aspetto peculiare è garantito dalla possibilità, per Comuni non facenti originariamente parte dell'azienda, di poter entrare a farne parte, se ricorrano motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità.
Per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, quindi, è possibile che si pervenga alla costituzione di una società unica d'ambito, affidataria in house del servizio per valore e durata non assoggettati ai limiti dell'articolo 4 della legge 148/2001, esercitante al contempo il ruolo di ente di governo dell'Ato stesso.
Il quadro di innovazione, tuttavia, incide anche sulle strategie di utilizzo degli impianti di smaltimento, in quanto l'articolo 7 della nuova legge (modificando l'articolo 202 del testo unico, sugli affidamenti) stabilisce che gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle loro forme associate già esistenti possono essere conferiti anche a titolo oneroso ai soggetti affidatari.
Questi ultimi (sia scelti con gara, sia configurati come società mista con socio operativo o come società unica d'ambito) sono comunque chiamati a migliorare la gestione secondo un modulo operativo più evoluto dello stesso ciclo.
I gestori, sin dalla procedura selettiva, devono esplicitare un piano industriale che renda più efficiente il servizio grazie a soluzioni innovative, mediante la riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e il miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti, con particolare riferimento alla separazione alla fonte e all' organizzazione della raccolta differenziata domiciliare, alla diffusione del compostaggio domestico, alla promozione di riciclaggio, recupero e selezione dei materiali ed alla sperimentazione di forme di tariffazione puntuale sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili.
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Le caratteristiche
01|LA DIMENSIONE
L'ambito deve servire una popolazione di almeno 250mila abitanti, salvo che la Regione fissi un limite inferiore
02|LA FORMAZIONE
L'azienda deve essere costituita solo da enti locali e può derivare dalla trasformazione di aziende speciali (e consorzi) o dall'integrazione operativa, perfezionata entro il 31.12.2012, di gestioni dirette o in house
03| IL RISULTATO
La società che risulta dalla trasformazione o dall'aggregazione diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti
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Così il nuovo gestore si controlla da solo.
Il mondo dei servizi pubblici locali continua ad arricchirsi di adempimenti e di novità normative, ed è difficile arrivare a un quadro razionale e pratico. Tutto ciò crea confusione e rischi di inefficacia.
Proviamo a riassumere quali saranno i prossimi appuntamenti: entro il 31 maggio i Comuni potranno chiedere alle Regioni di definire ambiti sub-provinciali; non oltre il 30 giugno le Regioni dovranno deliberare, per i servizi pubblici a rete (quali sono?) gli ambiti. Entro il 13 agosto, gli enti dovranno approvare la loro «delibera quadro sui servizi» come previsto dal regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 33-ter, del Dl 138/2011, che ancora non è stato pubblicato.
Tutto chiaro? Forse lo sarebbe. Curiosamente, però, il decreto milleproroghe (Dl 216/2011) all'articolo 13, comma 2, rinvia la decadenza delle autorità d'ambito al 31.12.2012 creando così una situazione potenzialmente contraddittoria: il 13 agosto potrebbero ancora esistere quelle Aato che cesseranno dopo pochi mesi (cosa deliberano a fare?) e che in alcuni casi non sono state ancora istituite, come nel caso del Lazio per i rifiuti (chi delibera in questo caso?). Il tutto, ovviamente, seguendo un regolamento che non c'è.
Bizzarrie di norme che si accavallano e non sono coordinate tra loro. Potrebbe bastare, ma non è finita qui. A breve rischiano infatti di diventare legge le modifiche al Codice dell'Ambiente, approvate dal Senato.
Scorrendo il testo si capisce subito che siamo di fronte a un capolavoro. La norma, infatti, interviene sull'articolo 200 del Dlgs 152/2006, aggiungendo una lettera f-bis in cui si prevede che la società di capitali nata da un'integrazione operativa di preesistenti gestioni in house è «tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di bacino» e «può costituire ambito territoriale ottimale, purché la popolazione servita sia pari o superiore a 250mila abitanti».
Già questo crea un conflitto di competenze con le Regioni e potrebbe generare un "buco" all'interno di un bacino tale da vanificarne la parte rimanente. In un crescendo, però, la perla viene subito dopo: «In tale caso detta azienda diventa autorità d'ambito a tutti gli effetti e l'affidamento dei servizi di raccolta e di smaltimento o comunque afferenti al ciclo integrato dei rifiuti avviene direttamente all'azienda stessa anche in deroga all'articolo 4» del dl 138/2011.
In sostanza, in un quadro che, con sbavature, sembrava avere recepito la necessità di una separazione tra regolazione e gestione (applicata perfino nel settore idrico), ecco puntuale la smentita: se due aziende di rifiuti si fondono, in altre parole, non avranno più nessun ente terzo che ne verifica le condizioni di costo, di qualità, di efficienza e di prezzo. Si controlleranno da sole -non stentiamo ad immaginare con quale rigore- e, a quanto pare, dovranno nel proprio cda (o in assemblea?) approvarsi la propria delibera quadro. Una controriforma che susciterebbe l'invidia del Concilio di Trento.
È interessante, però, sapere cosa penseranno di questa norma le Regioni e quanto la possa apprezzare l'Autorità garante della concorrenza, che si troverà ad esprimere il suo parere sulla delibera quadro che queste società dovranno sottoporre a suo giudizio (articolo Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link a www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici: il timing dei vecchi affidamenti. Le scadenze per gli enti locali dopo la conversione del c.d. Dl liberalizzazioni (tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 4/2012).

APPALTI SERVIZISe nella nozione di “affidamento diretto” di cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 rientri, o meno, la proroga che segue un primo affidamento con gara.
La previsione preclude l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori, con o senza gara, ai soggetti che gestiscono servizi pubblici locali ad essi affidati senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica che si condensano nei principi comunitari di tutela della concorrenza, e, segnatamente, nei principi di "economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità", elencati nel co. 2, richiamato espressamente dal co. 9 del citato art. 23-bis.”.
All'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui ad un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario. Infatti le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati. Una volta che il contratto scada e si proceda ad una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, o oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare ad un affidamento senza gara.

Il divieto previsto dall’art. 23-bis, comma 9, del d.l. 25.06.2008, n. 112, convertito con la legge n. 133 del 2008, colpisce, per quanto qui interessa, le società che gestiscano “di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto”, o comunque “di una procedura non ad evidenza pubblica”, e comporta che le medesime società “non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare". Divieto che opera per tutta la durata della loro gestione.
Ora, questo Consiglio ha già avuto modo di prendere posizione sulla questione se nella nozione di “affidamento diretto” di cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008 rientri, o meno, la proroga che segue un primo affidamento con gara (VI, 16.02.2010, n. 850).
Nell’occasione, questo Consesso ha rammentato introduttivamente che “la previsione preclude l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori, con o senza gara, ai soggetti che gestiscono servizi pubblici locali ad essi affidati senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica che si condensano nei principi comunitari di tutela della concorrenza, e, segnatamente, nei principi di "economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità", elencati nel co. 2, richiamato espressamente dal co. 9 del citato art. 23-bis.”
Posta questa premessa, sulla problematica il Consiglio ha assunto la seguente, univoca posizione.
All'affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui ad un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario. Infatti le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati. Una volta che il contratto scada e si proceda ad una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, o oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare ad un affidamento senza gara” (VI, n. 850/2010 cit.) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2012 n. 2459 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: C. Rapicavoli, Servizi pubblici locali e liberalizzazioni: cosa cambia - La disciplina dei servizi pubblici locali dopo la conversione in legge del decreto liberalizzazioni (link a www.leggioggi.it).

APPALTI SERVIZI: In che limiti è ancora oggi ammissibile la gestione diretta di servizi pubblici locali?
Entro ristretti limiti, anche temporali, appare per vero ancora consentita. Occorre tuttavia distinguere, al riguardo, fra i servizi pubblici locali diversi da quello idrico, da un lato, e quest’ultimo, dall’altro lato.
Con riferimento ai primi, l’articolo 25 del decreto legge n. 1/2012 ha fra l’altro modificato il comma 32 all’articolo 4 del decreto legge n. 138/2011 (convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011), il quale ora oltre a prevedere che gli affidamenti diretti relativi a servizi il cui valore economico sia superiore alla somma di cui al comma 13, ovvero non conformi a quanto previsto al medesimo comma, nonché gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi di cui alle successive lettere da b) a d) cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31.12.2012 contempla anche un’eccezione.
In deroga alla regola della scadenza automatica del 31.12.2012, l’affidamento per la gestione in house può infatti avvenire a favore di azienda risultante dalla integrazione operativa, purché perfezionata entro il termine del 31.12.2012, di preesistenti gestioni dirette o in house tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale ai sensi dell’art. 3-bis.
In tal caso, la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della gestione e il rispetto delle condizioni previste nel contratto di servizio sono peraltro sottoposti a verifica annuale.
La durata dell’affidamento in house all’azienda risultante dalla predetta integrazione non può essere in ogni caso superiore a tre anni.
Fermo restando che la norma in questione potrebbe subire cambiamenti in sede di conversione del decreto legge, essa allo stato delle cose, parla di azienda risultante dall’integrazione operativa, purché perfezionata entro il termine del 31.12.2012, “di preesistenti gestioni dirette o in house” (nel presupposto, corretto, che la gestione diretta è altro rispetto all’in house).
Ciò avrebbe evidentemente poco senso se alla data di entrata in vigore del decreto legge le gestioni dirette dovessero ritenersi definitivamente venute meno, in particolare ai sensi dell’art. 23-bis, comma 8, lett. e), decreto legge n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008.
Se, dunque, la nuova norma sembrerebbe produrre una sorta di sanatoria implicita per le gestioni dirette che, per effetto dell’univoca previsione di cui alla disposizione da ultimo citata, dovrebbero oggi risultare cessate, per altro verso essa individua una nuova data limite per le (in questo modo rilegittimate) gestioni dirette, ovvero il 31.12.2012, subordinatamente al ricorrere delle condizioni anzidette.
Del resto, l’impressione che già l’art. 4, comma 32, del decreto legge n. 138/2011 avesse realizzato una sorta di sanatoria implicita per le gestioni dirette sembra trarre conferma dal combinato disposto dell’ultima parte della lett. a) di quest’ultima norma e del nuovo comma 32-ter del medesimo articolo4, nella parte in cui specifica che per non pregiudicare la necessaria continuità nell'erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, i soggetti pubblici e privati esercenti “a qualsiasi titolo” attività di gestione dei servizi pubblici locali assicurano l'integrale e regolare prosecuzione delle attività medesime anche oltre le scadenze previste nel comma 32, fino al subentro del nuovo gestore e comunque, in caso di liberalizzazione del settore, fino all'apertura del mercato alla concorrenza.
Diverso è invece il caso del servizio idrico integrato, poiché la gestione diretta resta possibile, ex articolo 148, comma 5, del decreto legislativo n. 152/2006, per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, sempreché gestiscano l’intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente (Sez. reg. controllo della Corte dei conti per la regione Abruzzo, parere 29/03/2011 n. 16, e parere, ministero dell’Ambiente del 26.01.2012).
Al di sopra di questa soglia e al di fuori di questo ambito, tale forma di gestione è da ritenere non più consentita, in quanto confluita nella categoria residuale di cui all’articolo 23-bis, comma 8, lett. e), per la quale, come noto, la cessazione dell’affidamento si è irreversibilmente verificata il 31.12.2010 (si veda anche il parere Conviri del 06.12.2011).
Resta fermo che per le gestioni in regime Cipe la definitiva cessazione dovrebbe ritenersi verificata ancor prima.
Più precisamente ai sensi dell’articolo 10, comma 28, del decreto legge n. 70 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2011 con l’entrata in vigore del decreto legge n. 135 del 25.09.2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 20.11.2009, (in tema, si veda peraltro il parere Conviri n. 8338 dell’11.11.2011) (tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 3/2012).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazioni. Riscritto il calendario per la riforma degli affidamenti
Servizi, pareri all'Antitrust con rischio ingorgo date. Tra luglio e agosto pioggia di decisioni con le analisi dei mercati locali.

Con la nuova riscrittura della riforma nel decreto liberalizzazioni appena convertito dal Parlamento, la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dovrebbe aver trovato un quadro definito.
Le amministrazioni affidanti sono chiamate ad avviare sin da ora l'analisi per qualificare i servizi interessati dal nuovo quadro, che oltre alle attività prive di rilevanza economica esclude una serie di settori (servizio idrico, gas, energia, farmacie e ferrovie regionali).
Il nuovo percorso è a tappe forzate, inizia con il Dm sui criteri per la verifica dell'attribuzione dei diritti di esclusiva: il decreto va adottato entro il 31 marzo.
Gli elementi desumibili dalla bozza consentono di avviare l'analisi istruttoria per rilevare su quali servizi possa essere configurata la gestione liberalizzata o invece l'attribuzione di diritti di esclusiva. La definizione delle condizioni per la gestione unitaria va realizzata con l'adozione della delibera-quadro per tutti i servizi in gestione entro il 13.08.2012. Considerando che i Comuni con più di 10mila abitanti, prima di adottare l'atto, devono ottenere il parere dell'Agcm sull'istruttoria, e che l'authority deve renderlo entro 60 giorni dalla richiesta, è concreto il rischio di ingolfamento.
Lo schema di Dm contiene poi due norme contraddittorie: l'articolo 2, comma 5, evidenzia l'adozione della delibera-quadro come condizione necessaria solo per l'affidamento con gara o a società mista, mentre l'articolo 5, comma 3 la esplicita come necessaria anche per gli affidamenti (derogatori) in house. In questa prima fase potrebbero essere facilitati i Comuni con meno di 10mila abitanti, che non devono richiedere il parere all'Agcm.
Molti degli elementi essenziali per l'analisi sull'attribuzione dei diritti di esclusiva nei servizi a rete (ad esempio rifiuti e Tpl) potranno tuttavia essere definiti solo dopo gli ambiti e bacini territoriali, che le Regioni devono individuare entro il 30 giugno.
I Comuni che intendano proporre alle Regioni sub-ambiti più piccoli rispetto alla Provincia devono formalizzare una richiesta, supportata da un progetto associativo, entro il 31 maggio. In base a questo quadro, gli elementi di riferimento effettivo per molti servizi potrebbero essere disponibili solo alla fine di giugno, con un margine veramente esiguo per il perfezionamento dell'istruttoria e del parere presso l'Agcm, in rapporto alla prima scadenza del 13.06.2012.
Superata questa fase, gli enti locali devono confrontarsi con le nuove scadenze delle gestioni esistenti, che vede il primo punto critico nel 31 dicembre, data alla quale cessano gli affidamenti in house non coerenti con i parametri comunitari e comunque superiori a 200mila euro di valore annuo del servizio). Questo stesso termine vale per le amministrazioni che, aggregando gli attuali gestori di uno stesso servizio, vogliano dar vita a una società affidataria in house del servizio per tutto l'ambito territoriale, per un valore anche superiore al limite dato nel comma 13 e per un periodo massimo di tre anni (quindi sino al 31.12.2015).
La soluzione è proposta in un'ottica di rafforzamento degli operatori pubblici in vista di future gare di ambito. Per le società miste in cui il socio privato sia stato scelto con gara ma non a doppio oggetto la scadenza delle gestioni è posticipata al 31.03.2013, mentre rimangono invariati i termini entro cui le quotate devono cedere le azioni in mano pubblica tra la metà del 2013 e la fine del 2015.
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Il calendario
Percorso per l'affidamento dei servizi pubblici locali con rilevanza economica
31 marzo 2012|GOVERNO - MINISTRO AFFARI REGIONALI
Adozione Dm definizione criteri delibera-quadro (diritti di esclusiva)
31 maggio 2012|COMUNI ASSOCIATI
Proposta a Regioni per possibile definizione sub-ambito
30 giugno 2012|REGIONI
Definizione ambiti / bacini territoriali ottimali
13 agosto 2012|ENTI LOCALI - ENTI AFFIDANTI I SPL
Approvazione delibera-quadro generale per attribuzione diritti esclusiva su gestione SPL
31 dicembre 2012|ENTI LOCALI SOCI
Costituzione di società unico gestore in house per ambito di SPL ex aggregazione precedenti gestori affidatari diretti (deroga)
31 dicembre 2012|SOCIETÀ / PREFETTO (per esercizio potere sostitutivo)
Rilevazione cessazione gestioni esistenti in base a affidamenti in house non conformi
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Il regolamento. Punti controversi. Delibere obbligate per tutti gli enti.
LA CONTRADDIZIONE/ Da un lato si punta ad aggregare gli «ambiti» e dall'altro si prevedono atti amministrativi diversi da una pluralità di soggetti.

Il regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 33-ter, del Dl 138/2011 dovrà certo superare lo scoglio della sua pratica attuazione, ma sottovalutarne la portata sarebbe un grave errore perché rappresenta un repentino cambiamento di rotta rispetto a quanto ad oggi immaginato dal percorso di riforma.
I maggiori dubbi suscitati dal processo di liberalizzazione dei servizi, ad oggi, riguardano l'assenza di un numero adeguato di imprenditori competenti e che siano in condizione di investire quanto indispensabile in settori impegnativi sul piano degli investimenti.
In fondo fu il medesimo problema con cui si misurò la Thatcher, che prese atto dell'impossibilità di liberalizzare il settore del trasporto pubblico locale ed optò per la deregulation: in pratica, non riuscendo a trovare privati in grado di gestire il servizio, aprì le porte a chi volesse svolgerne anche solo piccole porzioni.
La scelta del regolamento va nella stessa direzione, mettendo perciò in discussione l'idea che i servizi vadano gestiti unitariamente. Se il disegno sarà confermato verrà meno, in sostanza, l'idea che per una «gestione integrata» sia indispensabile un gestore unico, la cui necessità non è più assunta come dato ma deve essere dimostrata attraverso una verifica di mercato.
Così facendo, però, si rimette in discussione il processo oggi in corso, che mira a una crescita dimensionale delle aziende, attraverso una riduzione del numero degli ambiti e incoraggiando le fusioni. Si rischia di interrompere un lavoro già in corso e che sta cominciando a produrre i suoi frutti.
Si noti, ancora, che a differenza di quanto previsto dai commi 1 e 2 dell'articolo 4, il regolamento (articolo 1, comma 2) estende l'obbligo di formulare la delibera quadro a tutti gli enti territoriali, cioè anche alle autorità amministrative che esercitano funzioni nei servizi pubblici locali. Scelta ribadita, del resto, con specifico riferimento al trasporto pubblico (articolo 3 del regolamento) e dei rifiuti (articolo 4).
Tutto ciò, peraltro, non è privo di rischi e di problemi. Non è chiaro, anzitutto, come si possa conciliare una scelta di «frazionamento del servizio» con il processo di ampliamento degli ambiti auspicato dalla legge: sarà la Regione, ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1, del Dl 138/2011, infatti, a definire gli ambiti con l'intento di conseguire «economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio»; se è così, ha senso che a decidere sull'eventuale suddivisione del servizio stesso in più fasi e sulle diverse condizioni di concorrenzialità di ciascuna di queste sia un soggetto diverso?
Infine, una perplessità di fondo: fino a oggi i nostri enti non hanno certo brillato in tema di capacità di regolazione. Oggi si prospetta di affidare loro un lavoro ancora più complesso, e cioè di confrontarsi con soggetti specializzati. Siamo sicuri che le nostre autorità d'ambito saranno in grado di governare con efficacia i rapporti con un numero probabilmente elevato di operatori, quando hanno dimostrato di non riuscire a controllarne uno solo? Il rischio è di rendere ancora più difficoltoso il compito di chi deve "dettare le regole", con risultati prevedibili (articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici. Le conseguenze della bozza di Dm attuativo delle liberalizzazioni.
Delibera quadro «estesa» a tutti i settori economici. Anche gli ambiti devono effettuare la verifica pre-affidamenti
L'INDAGINE/ La possibilità di concedere esclusive dipende dall'analisi delle modalità gestionali di ogni aspetto dell'attività.

Cominciano a delinearsi i criteri che gli enti locali e i soggetti istituzionali individuati come enti di governo degli ambiti territoriali ottimali dovranno seguire nell'istruttoria per l'attribuzione dell'esclusiva nella gestione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica; il passo fondamentale è dato dalla bozza del Dm che illustra i parametri e i contenuti della delibera-quadro (si veda Il Sole 24 Ore del 13 marzo).
Le amministrazioni locali devono svolgere una verifica preliminare per acquisire tutti gli elementi utili per individuare quanti fra i "loro" servizi pubblici sono di rilevanza economica. Molte attività, infatti, sono facilmente riconducibili all'ambito dell'articolo 4 della legge 148/2011, in quanto le caratteristiche di rilevanza economica sono codificate dalla normativa di settore (come nel caso della gestione dei rifiuti o del trasporto pubblico locale), ma molte altre vanno analizzate caso per caso nel rispetto del principio comunitario.
Si pensi, ad esempio, alla ristorazione scolastica, in cui la tariffa è in media inferiore del 30/40% del costo di produzione e sulla gestione pesa molto l'intervento pubblico. In questo quadro, il servizio può risultare privo di rilevanza economica (come evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 6529/2010).
La verifica sulle condizioni per attribuire i diritti di esclusiva deve analizzare il quadro storico e l'attuale modello gestionale del servizio, individuando le attività principali e quelle complementari, con l'indicazione delle eventuali compensazioni economiche ai gestori. Il primo focus deve puntare sull'articolazione operativa del servizio, distinguendo le possibili fasi di gestione separata e rilevando l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Il punto centrale è costituito dall'analisi delle esigenze della comunità, con riferimento alle caratteristiche sociali e demografiche, economiche, ambientali e geomorfologiche dell'ambito territoriale di riferimento.
Questi elementi possono risultare determinanti per la statuizione degli obblighi di servizio pubblico, per la definizione degli standard zonali minimi e per il conseguente orientamento verso una gestione unitaria.
L'istruttoria deve evidenziare anche il valore del servizio (che può risultare decisivo, ad esempio, per l'affidamento in house) e gli investimenti da programmare.
Le risultanze della verifica devono essere quindi sottoposte al confronto con il mercato, con una consultazione per acquisire manifestazioni di interesse degli operatori sulla gestione in concorrenza del servizio.
Questa fase dovrebbe permettere anche di rilevare la sussistenza di situazioni di monopolio naturale o, all'opposto, la possibilità di liberalizzare il servizio o singole sue fasi.
La consultazione con gli operatori permette comunque di riscontrare l'incidenza sulla gestione imprenditoriale degli obblighi di servizio pubblico e universale e degli standard minimi delle prestazioni, oltre che delle caratteristiche della domanda dell'utenza e di tariffe sostenibili per realizzare e mantenere la coesione sociale, al fine della verifica della redditività.
Lo schema di decreto individua anche dei parametri integrativi per il settore dei trasporti pubblici locali e per quello dei rifiuti, richiedendo per questi ultimi la valutazione distinta delle operazioni di spazzamento, raccolta, raccolta differenziata, trasporto, commercializzazione, gestione degli impianti di trattamento, recupero, riciclo e smaltimento di tutti i rifiuti urbani e assimilati, nonché la proiezione gestionale con riferimento alle singole fasi ed alla possibile gestione congiunta.
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Le istruzioni per l'uso
01|ANALISI DELLA QUALIFICAZIONE DEI SPL
L'ente locale deve rilevare la qualificazione dei servizi pubblici locali affidati in chiave di rilevanza economica o meno.
Tale analisi preliminare deve essere effettuata mediante applicazione del principio relativistico.
02|ISTRUTTORIA PER L'ATTRIBUZIONE DEI DIRITTI DI ESCLUSIVA
L'ente locale la deve sviluppare per i Spl (Servizi pubblici locali) con rilevanza economica in base all'articolo 4, commi 1 e 2 della legge 148/2011.
L'istruttoria deve essere sviluppata seguendo lo schema di percorso e i contenuti essenziali previsti nel decreto ministeriale attuativo e può già essere avviata.
03|ANALISI STORICA DELLA SITUAZIONE DEL SPL AFFIDATO
Analisi dello stato storico del servizio.
Possibile confronto con piano industriale del soggetto gestore.
04|FOCUS ASSETTO SPL
Rilevazione dell'articolazione operativa del Spl (Servizi pubblici locali) anche per singole fasi.
Analisi delle esigenze della comunità locale.
Definizione degli obblighi di servizio pubblico e degli standard prestazionali.
Individuazione delle compensazioni.
Analisi del valore del servizio.
05|CONSULTAZIONE CON IL MERCATO
Confronto con gli operatori di mercato per rilevare possibile quadro concorrenziale.
Analisi delle situazioni di monopolio o degli spazi di effettiva liberalizzazione.
Riscontro dell'incidenza degli obblighi di servizio pubblico sulla gestione imprenditoriale e sulla redditività della stessa.
06|FORMALIZZAZIONE DELL'ISTRUTTORIA
Formalizzazione degli elementi elaborati e richiesta di parere all'Agcm (Garante della concorrenza) da produrre entro 60 giorni.
Adozione della delibera-quadro entro 30 giorni dal parere dell'Agcm (Garante della concorrenza).
L'anticipazione.
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Appalti. Decreto in vigore dal 21 marzo. Beni e servizi da programmare anno per anno.
Anche gli acquisti di beni e servizi vanno programmati dalle amministrazioni, anno per anno, insieme al bilancio. L'elencazione dell' attività contrattuale della Pa infatti non è più limitata ai lavori pubblici, ma dal prossimo 21 marzo si estende anche ai servizi e alle forniture.
Dando attuazione a quanto previsto dal Codice degli appalti entra in vigore, proprio mercoledì, il Dm Infrastrutture dell'11.11.2011 (pubblicato sulla «Gazzetta» del 6 marzo scorso) con gli schemi tipo per la programmazione triennale e l'elenco annuale dei contratti pubblici.
Il provvedimento sostituisce i modelli precedenti, datati 2005, pensati prima del Codice dei contratti (Dlgs 163/2006) che ha unificato le procedure per tutti gli appalti, di lavori , servizi e forniture. Ecco perché i nuovi modelli di programmazione si estendono per la prima volta anche ai beni e ai servizi.
A queste ultime due tipologie di contratti pubblici è riservata la scheda 4 dell'Allegato, quella appunto con il «Programma annuale forniture e servizi dell'amministrazione» che va compilata indicando la tipologia di contratto, il responsabile del procedimento, l'importo e le risorse finanziarie disponibili.
Ma in realtà gli enti locali hanno possibilità di discostarsene: sia perché il Ministero precisa che sono «fatte salve le competenze legislative e regolamentari delle Regioni e delle Province autonome» come riconosce in modo esplicito il provvedimento, sia perché la norma sulla programmazione annuale per servizi e forniture non è vincolante. Si chiarisce infatti che le amministrazioni aggiudicatrici «possono» adottare il modello, rendendo quindi la scelta una semplice facoltà.
Unica condizione è che per inserire un acquisto da programmare nell'anno l'ente deve aver completato la progettazione, cioè , deve avere disponibile: una relazione tecnico-illustrativa del contesto in cui va inserito il contratto, le prescrizioni per i documenti della sicurezza, il calcolo della spesa e degli oneri complessivi, il capitolato e lo schema di contratto.
Ma quella sui servizi e le forniture non è l'unica novità che gli enti locali dovranno affrontare nel mettere mano alla programmazione degli appalti: il nuovo decreto è molto più stringente sui vincoli per inserire un lavoro nell'elenco annuale. Rispetto al modello del 2005 non basta più indicare il livello raggiunto dalla progettazione, i vincoli ambientali e le finalità. Occorre avere già in mano la conformità urbanistica che -specifica l'articolo 3- «deve essere perfezionata entro la data di approvazione del programma triennale e relativo elenco annuale».
In altre parole, mentre in base al Dm del 2005 era sufficiente indicare una vaga «conformità urbanistica» dell'opera per inserirla nell'elenco annuale, dal 21 marzo invece l'effettiva fattibilità dell'opera (permessi, coerenza con il Prg e con la destinazione d'uso dell'area) va verificata e acquisita a monte, fin dall'inserimento di quell'intervento nel programma triennale che viene compilato molto tempo prima. Un paletto pensato per rendere più realistico l'elenco annuale che, appunto, potrà contenere solo i progetti realmente fattibili, sui quali sono già state acquisite tutte le autorizzazioni, ma che rischia di rallentare, e di molto, la programmazione dei lavori, visto che proprio la fase delle autorizzazioni e della localizzazione dell'opera è tra le più lunghe e complesse di quelle dell'iter realizzativo.
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Le verifiche
Documenti necessari per inserire un contratto di fornitura nell'elenco annuale:
1) Relazione illustrativa
2) Documenti per la sicurezza
3) Calcolo della spesa
4) Capitolato
5) Schema di contratto (articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazioni cum grano salis. Vanno verificati gli standard di qualità e l'offerta sostitutiva. Le novità del regolamento degli Affari regionali sull'apertura al mercato dei servizi pubblici locali.
La possibilità di liberalizzare i servizi pubblici locali di rilevanza economica sarà verificata con riguardo alle esigenze delle comunità locali, all'offerta di servizi sostitutivi, agli standard minimi di qualità e sarà conseguente a una consultazione pubblica aperta agli operatori del settore interessati alla gestione del servizio; soltanto dopo aver effettuato la verifica l'ente potrà decidere se sia opportuno mantenere sistemi di esclusiva.
Sono questi alcuni dei profili di maggiore rilievo dello schema di regolamento, di iniziativa del ministro per gli affari regionali, di concerto con quello dell'economia e dell'interno, sulla verifica della concorrenzialità nell'ambito delle gestioni dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il provvedimento, ancora non definitivo e in attesa di iniziare l'iter dei pareri, attua il contenuto dell'articolo 4 del decreto legge 13.08.2011, n. 138, che impone ai comuni di liberalizzare tutte le attività economiche, compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
Il regolamento, che si applicherà a tutti gli enti territoriali anche associati o consorziati, disciplina quindi i criteri per la verifica di mercato e per l'adozione della relativa delibera quadro, oltre alle modalità di pubblicità dei dati relativi alla gestione dei servizi. Si prevede in particolare che la verifica, da concretizzare in una relazione istruttoria, debba in primo luogo prendere in considerazione le attuali modalità di gestione del servizio pubblico, facendo quindi una fotografia della situazione presente sul mercato e mettendo in risalto eventuali compensazioni economiche riconosciute ai gestori del servizio.
La verifica dovrà poi prendere in considerazione una pluralità di elementi fra i quali l'articolazione operativa del servizio e le eventuali distinte fase di gestione separata e, dall'altro lato, l'eventuale offerta di servizi sostitutivi; le esigenze della comunità locale facendo riferimento alle caratteristiche sociali, demografiche, economiche, ambientali del territorio sul quale insiste la gestione. Altri profili da prendere in esame sono quelli concernenti gli obblighi di servizio pubblico, gli standard minimi delle prestazioni, il valore economico stimato del servizio pubblico locale, gli eventuali investimenti da programmare, anche per opere infrastrutturali, con i relativi tempi di attuazione.
La verifica dovrà essere effettuata attraverso una procedura di consultazione del mercato, adeguatamente pubblicizzata per raccogliere le manifestazioni di interesse degli operatori del settore di riferimento alla gestione in concorrenza del servizio, ovvero di sue singole fasi suscettibili di gestione separata. Nella verifica si dovrà evidenziare la sussistenza di situazioni di monopolio naturale, anche con riferimento alla gestione delle opere infrastrutturali e degli impianti fissi, nonché la possibilità di liberalizzare il servizio o singole fasi dello stesso, l'incidenza, sulla gestione degli standard minimi delle prestazioni e delle caratteristiche della domanda dell'utenza e di tariffe sostenibili per realizzare e mantenere la coesione sociale, al fine della verifica della redditività.
Si dovrà infine fare riferimento anche alle esperienze di altre aree geografiche. A queste caratteristiche generali il regolamento aggiunge alcune specifiche per il settore del trasporto pubblico e dei rifiuti. Una volta effettuata la verifica l'ente locale adotterà la delibera che, a sua volta, sarò trasmessa all'Antitrust per il parere da rendere entro 60 giorni in merito alle ragioni per un'eventuale attribuzione di diritti di esclusiva e alla correttezza della scelta eventuale di procedere all'affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali. Ricevuto il parere la delibera quadro verrà adottata entro i trenta giorni successivi.
Il regolamento istituisce anche l'Osservatorio dei servizi pubblici locali, presso la Conferenza unificata, che dovrà assicurare, mediante un sistema di benchmarking, il progressivo miglioramento della qualità ed efficienza di gestione dei servizi (articolo ItaliaOggi del 16.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIUtility. Pronta la bozza dell'articolo 4 della legge 148/2011. Affidamento dei servizi, in arrivo le regole attuative.
La verifica per l'attribuzione dei diritti di esclusiva in relazione alla gestione di un servizio pubblico locale deve fondarsi su un'analisi accurata di tutti i profili operativi ed economici del servizio, al fine di evidenziare gli aspetti peculiari che possano determinare la scelta per la gestione delle attività da parte di un unico soggetto.
Lo schema del quadro attuativo dell'articolo 4 della legge n. 148/2011, da definire in forma regolamentare entro il 31 marzo prossimo e ora disciplinato con una bozza che qui anticipiamo, presenta una struttura che delinea il percorso per l'istruttoria della delibera-quadro in termini molto dettagliati, partendo dal l'analisi della situazione attuale e dalla esplicitazione dell'articolazione, operativa del servizio pubblico locale, eventualmente distinta in fasi di gestione separata, nonché l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Partendo dalle esigenze della comunità locale, le amministrazioni sono chiamate alla rilevazione specifica degli obblighi di servizio pubblico e delle correlate compensazioni, nonché del valore complessivo del servizio in gestione. Sulla base di tali elementi conoscitivi, gli enti locali devono effettuare la verifica confrontandosi con gli operatori di mercato, per mezzo di un'indagine volta ad acquisire manifestazioni di interesse degli operatori del settore di riferimento alla gestione in concorrenza del servizio, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico.
Dal confronto sarà possibile rilevare le situazioni di monopolio naturale o l'incidenza degli stessi obblighi di servizio sulla gestione imprenditoriale, ma anche l'eventuale liberalizzazione di parti o fasi del servizio. Solo qualora dall'esame articolato dei vari presupposti (che può comprendere anche confronti di benchmarking con altre situazioni) non emerga la realizzabilità di una gestione concorrenziale del servizio o di singole fasi dello stesso, l'ente competente può procedere all'affidamento in esclusiva dei servizi (con gara, società mista o in house, alle condizioni restrittive previste dal comma 13).
In base alla riformulazione dei commi 3 e 4 dello stesso articolo 4 ad opera del Dl n. 1/2012, per i Comuni con popolazione superiore ai 10mila abitanti i risultati della verifica dovranno essere sottoposti all'Agcm per la resa di un parere obbligatorio entro sessanta giorni e, una volta acquisito il parere, le amministrazioni avranno trenta giorni per adottare il provvedimento con il quale attribuire i diritti di esclusiva.
Lo schema di regolamento propone una serie di elementi di analisi ulteriori, rispetto a quelli generalmente applicabili, per le principali tipologie di servizi pubblici con riferimento d'ambito, individuando procedure valutative specifiche per il trasporto pubblico locale e per la gestione dei rifiuti. Disposizioni particolari vanno a disciplinare anche il percorso che gli enti locali devono formalizzare con la delibera-quadro qualora intendano affidare simultaneamente più servizi pubblici locali.
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In sintesi
01|L'AFFIDAMENTO
L'articolo 4 della legge 148/2011 (disciplina generale dei servizi pubblici locali) prevede che prima di procedere all'affidamento, le amministrazioni locali debbano verificare se il servizio pubblico può essere attribuito in gestione a un unico soggetto
02|LA VERIFICA
La verifica deve essere sviluppata con un'istruttoria, che deve analizzare esigenze della comunità locale, obblighi di servizio pubblico e mercato. Se l'analisi rileva che il servizio non può essere liberalizzato, si procede all'attribuzione dei diritti di esclusiva (articolo Il Sole 24 Ore del 13.03.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIA rischio caos il calendario dei servizi pubblici.
TEMPI SERRATI/ Il Governo deve fissare le regole per i Comuni entro la fine di marzo e la Regione individua gli «ambiti» a maggio.

Il susseguirsi di interventi normativi sui servizi pubblici locali non contribuisce certo a fare chiarezza e a dare stabilità agli operatori, che si trovano sempre più sospesi tra novità e rinvii.
Da questo punto di vista il Dl sulle liberalizzazioni non rappresenta, purtroppo, un'eccezione: crea non poche incertezze e costringe i diversi attori istituzionali a un tour de force che rischia di portare a scelte poco ponderate e di rendere comunque inevitabile un'ennesima proroga di scadenze piuttosto che la definitiva messa a regime del sistema.
In ogni caso l'articolo 3-bis introdotto nel Dl 138/2011, che introduce una nuova forma di «ambiti ottimali» la cui definizione è affidata alle Regioni, richiede di essere interpretato con attenzione. Si noti, anzitutto, che qui non si applicano le esclusioni previste al comma 34 dell'articolo successivo. Pertanto il 3-bis e riguarda anche i settori non ricompresi nell'articolo 4 (energia elettrica, gas, farmacie e, parzialmente, l'idrico).
Per contro, la richiesta che le Regioni «organizzino lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali» (di dimensione almeno provinciale) non intende che tutti i servizi debbano essere gestiti a livello di ambito, ma solo quelli che la Regione giudicherà tali e quindi, probabilmente, quelli già così regolamentati: rifiuti, trasporto locale, acqua, eccetera Altrimenti, rischieremmo di assistere alla nascita di società cimiteriali di ambito e ad altre amenità del genere, vanificando l'autonomia, costituzionalmente garantita, dei Comuni.
Un'interpretazione omnicomprensiva di servizio pubblico andrebbe in contraddizione con le norme, compreso lo stesso articolo 3-bis, comma 2, che prevedono invece la possibilità dei Comuni di procedere ad affidamenti di servizi pubblici locali.
Cerchiamo di capire, infine, quali sono i «momenti chiave» del processo immaginato dagli articoli 3-bis e 4 in materia di servizi locali.
Il primo passo spetterà al Governo che, entro il 31 marzo, deve scrivere un decreto in cui illustrare con quali criteri i Comuni devono «individuare i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale» e, se del caso, decidono di attribuire il diritto di esclusiva su certi servizi (articolo 4, comma 1) ed emanare in proposito una delibera quadro (comma 2).
Il secondo spetta invece alla Regione che, in base all'articolo 3-bis, comma 1, dovrà individuare i servizi per i quali sia opportuna una dimensione almeno provinciale dell'ambito di affidamento e, quindi, emanare delle norme in proposito. Le Regioni dovranno fare tutto ciò entro il 30 giugno. Se questo non accade, sarà il Governo a intervenire con l'esercizio di un potere sostitutivo (ma che, immaginiamo, richiederà un po' di tempo per potersi dispiegare).
A seguito di ciò dovrà iniziare il lavoro di istruzione e di deliberazione dei Comuni che, preso atto del decreto governativo e di quanto regolamentato dalle Regioni, potranno formulare le loro scelte. I Comuni con oltre 10mila abitanti dovranno però richiedere, in base all'articolo 4, comma 3, il parere obbligatorio (ma non vincolante) dell'Autorità Garante per la Concorrenza che, a sua volta, si pronuncerà entro 60 giorni di tempo. Fatto questo, ci dovranno essere le gare per l'affidamento del servizio o con doppio oggetto, con i tempi che ne derivano.
Tutto ciò è realisticamente realizzabile? In effetti si ipotizza una tempistica non proprio compatibile con la prevista decadenza al 31.12.2012 degli affidamenti in house. E bene ha fatto il legislatore a introdurre un nuovo comma 32-ter all'articolo 4, che prevede una sorta di proroga di fatto degli affidamenti in essere, fino alla conclusione di questo laborioso iter burocratico (articolo Il Sole 24 Ore del 13.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto ex art. 4, c. 33, del D.L. 13.08.2011 n. 138, conv. con L. 14.09.2011, n. 148, di partecipazione alle gare per l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali per le società affidatarie dirette di tali servizi.
L'art. 4, c. 33, del D.L. 13.08.2011 n. 138, conv. con L. 14.09.2011, n. 148, prevede il divieto di partecipazione alle gare per l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali per le società affidatarie dirette di tali servizi. Pertanto, nel caso di specie, è legittimo il provvedimento con cui il comune ha revocato il provvedimento di aggiudicazione provvisoria del servizio di raccolta, trasporto smaltimento e recupero dei rifiuti urbani nei confronti di una ATI, in quanto la società mandante della costituenda A.T.I., svolgeva il servizio di gestione del centro comunale di raccolta rifiuti di un altro ente locale mediante affidamento diretto.
Il servizio di raccolta, trasporto smaltimento e recupero dei rifiuti urbani (sostanzialmente di gestione della piattaforma ecologica di un comune) rientra, infatti, pienamente nel concetto di servizio pubblico. A nulla rileva la circostanza che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato sia assunto direttamente dall'amministrazione, dato che il costo del servizio è comunque finanziato dagli utenti tramite il versamento al comune delle tasse rifiuti urbani, comunque denominate, in quanto rientrante nel ciclo di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati.
Del pari irrilevante è la circostanza che il suddetto affidamento sia avvenuto con strumento contrattale privatistico (contratto d'appalto di servizi) piuttosto che con un unilaterale atto amministrativo di concessione. Infatti, in base all'art. 4, c. 33, del D.L. n. 138/2011, è ininfluente il titolo dell'affidamento ("gestiscono di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali ... ""), mentre è rilevante che esso sia avvenuto come affidamento diretto senza alcuna gara (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 09.02.2012 n. 60 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' consentita la partecipazione dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali alla prima gara svolta per l'affidamento del medesimo servizio anche in presenza di altri affidamenti in corso (art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008).
In caso di società affidatarie dirette di più servizi pubblici locali, il legislatore (art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008) non ha imposto la cessazione di tali affidamenti come condizione per partecipare alla "prima gara", ma si è limitato a consentire tale partecipazione a condizione, appunto, che fosse la "prima gara svolta per l'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato". Deve ritenersi maggiormente coerente con la ratio della disciplina all'epoca vigente l'interpretazione, secondo cui la partecipazione alla prima gara per l'affidamento dello stesso servizio già affidato è possibile anche in presenza di altri affidamenti in corso, comunque destinati a nuove anticipate scadenze.
Una diversa interpretazione condurrebbe a ritenere che le società affidatarie dirette di più servizi non possano partecipare alle nuove gare, anche se gli affidamenti stanno progressivamente scadendo, finché tale condizione non si realizzi per tutti gli affidamenti, rispetto ai quali è anche dubitabile che le società possano unilateralmente sciogliersi dai vincoli contrattuali (solo il vigente art. 4 del d.l. n. 138/2011 ha previsto, come condizione per la partecipazione degli affidatari diretti alle nuove gare, che "sia stata indetta la procedura competitiva ad evidenza pubblica per il nuovo affidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso la predetta procedura") (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.02.2012 n. 640 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ENTI LOCALISocietà, sul Patto catena di rinvii. La sezione Lombardia esclude il vincolo per gli enti proprietari fino a quando la normativa è incompleta.
L'obbligo di vigilanza riguarda tutte le affidatarie dirette ma manca il decreto.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ Nella gara a doppio oggetto i compiti operativi da assegnare al socio privato vanno decisi in base al contratto di servizio.

L'assoggettamento al Patto di stabilità vale per tutte le società in house che siano affidatarie dirette di servizi pubblici o strumentali, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis, del Dl 112/2008. Il vincolo si applica anche alle società che gestiscono servizi pubblici esclusi dal l'applicazione dell'articolo 4 del Dl 138/2011, in quanto l'articolo 18 ha portata generale.
Gli enti soci delle società a totale partecipazione pubblica, titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici o strumentali senza gara, devono quindi vigilare sull'osservanza del Patto da parte degli organismi partecipati.
Considerato però che la norma rinvia a un decreto la definizione delle modalità e della modulistica, «non può farsi derivare dalle predette norme l'obbligo attuale, in capo agli enti controllanti, di valutare il rispetto del Patto di stabilità attraverso un bilancio consolidato funzionale ad un'analisi della situazione finanziaria della società unitamente a quella dell'Ente locale».
Questo uno dei chiarimenti forniti dalla Corte dei conti della Lombardia nella delibera 7/2012, con cui ha risposto agli oltre dieci quesiti presentati dal presidente della provincia di Varese. L'ente si era rivolto ai magistrati contabili in quanto, prima di procedere alla costituzione di un organismo partecipato per la gestione del servizio idrico, voleva verificare quale fosse la soluzione più idonea in relazione alla concreta situazione giuridica e contabile della Provincia.
Secondo la Corte dei conti, le società in house affidatarie dirette della gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica sono assoggettate al Patto.
Il Dl 1/2012 ha introdotto l'articolo 3-bis al Dl 138/2011, stabilendo che «le società affidatarie in house sono assoggettate al Patto di stabilità interno secondo le modalità definite dal Dm previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del Dl 112/2008». Al contrario, le società che hanno ricevuto l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali con procedura competitiva sono escluse dal vincolo. Lo stesso vale per la società mista il cui socio privato sia stato scelto con gara, anche se la procedura a evidenza pubblica sia stata seguita solo per la scelta del socio e in mancanza di una seconda gara per il conferimento del servizio.
Per quanto riguarda il vincolo posto dall'articolo 14 del Dl 78/2010, la Corte ha ribadito che la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica non costituisce ex se una causa di esclusione dall'applicazione di questi limiti quantitativi alle partecipazioni societarie da parte degli enti locali.
Per quanto concerne le modalità di svolgimento della gara «a doppio oggetto», l'Amministrazione ha chiesto alla Corte chiarimenti in merito agli specifici compiti operativi che devono essere attribuiti al socio privato per la gestione del servizio.
In particolare, è stato chiesto se tra i compiti operativi possa essere compresa la realizzazione diretta da parte del socio degli interventi infrastrutturali o legati alla manutenzione straordinaria, senza l'obbligo da parte della società di procedere a tali affidamenti mediante procedure a evidenza pubblica.
In linea di principio i compiti operativi, che devono rientrare nella procedura di gara per la scelta del socio operativo di una società mista per la gestione di un servizio pubblico locale a rilevanza economica, devono essere gli stessi oggetto del contratto di servizio che regolerà i rapporti tra gli enti e la società.
La Corte ha chiarito che è rimessa alla discrezionalità del l'amministrazione l'individuazione delle specifiche attività da conferire al socio privato operativo e delle modalità di svolgimento della procedura.
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Le tappe
01 | MANOVRA 2008
L'inserimento delle società affidatarie dirette ai vincoli del Patto di stabilità è stato previsto dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008
02 | DECRETO RONCHI
Il Dl 135/2009 ha riscritto la riforma dei servizi pubblici locali rilanciando l'obbligo
03 | DECRETO ATTUATIVO
Il Dpr 168/2010, attuativo della riforma, ha rimandato a un decreto ulteriore il Patto per le società
04 | «SALVA-ITALIA»
Il vincolo, abolito dal referendum, è stato reintrodotto, rimandandolo allo stesso decreto attuativo (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZITre vie per arrivare all'affidamento.
I servizi pubblici locali devono essere affidati in base a un percorso rigoroso, che parte dalla ridefinizione dei bacini ottimali.
Le disposizioni introdotte dal Dl 1/2012 completano il quadro di riferimento secondo una prospettiva di razionalizzazione per area vasta, con le Regioni chiamate a definire entro il 30.06.2012 gli ambiti territoriali (con dimensione almeno provinciale), per consentire scelte gestionali produttive di economie di scala e di vantaggi per l'utenza.
Sulla base di tale assetto territoriale, gli enti affidanti (amministrazioni locali o enti preposti alla governance degli ambiti ottimali) devono elaborare un'analisi di mercato, da tradurre nella deliberazione-quadro per l'attribuzione dei diritti di esclusiva, secondo lo schema che verrà definito da un Dm entro il 31.03.2012. La formalizzazione dell'atto esplicativo della possibilità di affidare un servizio pubblico a un unico gestore ha tuttavia un regime differenziato secondo la dimensione dell'ente. I Comuni con meno di 10mila abitanti possono adottare la deliberazione una volta completata l'istruttoria, mentre gli altri devono sottoporre preventivamente la decisione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L'Authority deve esprimere il proprio parere obbligatorio entro 60 giorni, e su questa base l'ente affidante deve adottare entro 30 giorni la delibera-quadro –che costituisce un passaggio obbligatorio (senza il quale non si può procedere all'affidamento del servizio)– nell'ambito della quale può essere definita anche la scelta di procedere a un affidamento multiservizi.
La definizione dell'attribuzione dei diritti di esclusiva della gestione di un servizio pubblico locale con rilevanza economica prelude allo sviluppo del percorso con gara (che costituisce la procedura ordinaria) o alla costituzione della società mista con socio privato operativo o alla deroga mediante conferimento diretto a società in house.
La procedura selettiva è stata ulteriormente caratterizzata dal Dl 1/2012 in termini di massima garanzia per i fruitori del servizio, con la previsione, tra i criteri essenziali, dell'impegno del soggetto gestore a conseguire economie di gestione con riferimento all'intera durata programmata dell'affidamento e a destinarle alla riduzione delle tariffe da praticarsi agli utenti.
Nel caso in cui la scelta si orienti in alternativa sull'affidamento a una società mista conforme ai parametri del partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale, con selezione del socio privato mediante gara e attribuzione contestuale allo stesso di specifici compiti operativi, le amministrazioni possono trasformare le società attualmente affidatarie dirette, configurandole come organismo da aprire alla partecipazione del privato in relazione a un affidamento ex novo di uno o più servizi.
La possibilità di utilizzare l'affidamento in house, invece, è drasticamente limitata dalla riduzione a 200mila euro del limite di valore annuo del servizio attribuibile al soggetto societario, che deve peraltro essere conforme ai canoni comunitari. Nel quadro delle norme relative al periodo transitorio è tuttavia determinata la possibilità di aggregare (con formule diverse) società in house affidatarie di gestioni esistenti, per una gestione unitaria del servizio con riferimento all'ambito ottimale limitata nel tempo (tre anni, a partire dall'01.01.2013) e sottoposta a significative condizioni.
Qualora gli enti locali riescano a definire tale soluzione, infatti, il contratto di servizio dovrà prevedere indicazioni puntuali riguardanti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente, il livello di investimenti programmati ed effettuati e obiettivi di performance (redditività, qualità, efficienza). Inoltre, la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza della gestione e il rispetto delle condizioni previste nel contratto di servizio saranno sottoposti a verifica annuale da parte dell'Autorità di regolazione di settore.
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Le procedure
01|GARA
Procedura ordinaria di scelta del gestore
Sviluppo secondo criteri-base indicati dalla normativa
Il gestore si deve impegnare a conseguire economie di scala
Durata commisurata all'ammortamento degli investimenti
Necessaria indicazione di indennizzo per beni del gestore uscente non interamente ammortizzati
02|SOCIETÀ MISTA CON SOCIO PRIVATO OPERATIVO
Procedura alternativa alla gara
È individuato con gara un socio privato, cui sono attribuiti specifici compiti operativi (cosiddetta doppia gara) e cui vanno
assegnate quote/azioni per almeno il 40% del capitale sociale
Per la selezione si applicano i criteri della gara
Nelle offerte va dato maggior peso alla qualità del servizio
03|AFFIDAMENTO IN HOUSE
Procedura derogatoria rispetto a gara e società mista
Possibile per servizi di valore inferiore a 200mila euro annui
Possibile solo a favore di società con parametri «in house»
Divieto di frazionamento del servizio e dell'affidamento (articolo Il Sole 24 Ore del 06.02.2012 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: G. Piccinni, LE SOCIETÀ STRUMENTALI POSSONO ANCHE GESTIRE SERVIZI PUBBLICI LOCALI - SOCIETÀ MISTE, INAPPLICABILITÀ DEL DIVIETO DI CUI ALL’ART. 13 D.L. 223/2006 (link a www.gazzettaamministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi locali. Il ministero dell'Ambiente ferma le gestioni fuori regola. In house vietato a società mista senza gara.
QUESTIONE DI CALENDARIO/ La tagliola agli affidamenti prevista dalla riforma è scattata perché il referendum abrogativo è intervenuto solo più tardi.

Gli affidamenti in house di servizi pubblici locali a società miste in cui il socio privato sia stato scelto senza gara sono illegittime, anche se l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 che ha introdotto la riforma dei servizi pubblici locali è stato abolito con i referendum di giugno.
Lo chiarisce il ministero dell'Ambiente nella risposta a un quesito avanzato da un ente locale su una situazione che torna ancora in modalità analoghe in parecchi casi sparsi qua e là per l'Italia.
Il «niet» pronunciato dal ministero dell'Ambiente, che di fatto condanna all'illegittimità tutti gli affidamenti in house a società miste formate senza gara, nasce da ragioni di calendario. La riforma dei servizi pubblici, rilanciata dal «decreto-Ronchi» del 2009 prima di essere cancellata dai referendum, prevedeva una serie di date di chiusura per le diverse tipologie di affidamento.
Nel caso delle società miste, i casi previsti dalla regola erano tre. L'affidamento a mista con socio scelto con gara a doppio oggetto (la procedura con cui si individua contestualmente il socio e i compiti operativi connessi alla gestione del servizio da attribuirgli) poteva arrivare tranquillamente alla scadenza del contratto.
Nei casi in cui il socio fosse stato scelto con gara semplice (quella che individua l'azienda privata partner ma non i compiti operativi da affidarle), la data di chiusura era fissata al 31.12.2011, mentre nelle altre tipologie di partnership lo stop sarebbe dovuto intervenire entro il 31.12.2010.
Proprio quest'ultima è la data chiave su cui poggia il ragionamento ministeriale.
Il referendum che ha travolto con l'ondata di «sì» la liberalizzazione dei servizi pubblici (prima dell'articolo 4 della manovra estiva che l'ha rimessa in campo) è intervenuto nel giugno del 2011, per cui la tagliola agli affidamenti a società miste con partner individuato senza gara è rimasta in vigore per sei mesi.
Ergo: nessun affidamento di questo tipo può continuare oggi a dispiegare i propri effetti, perché la sua "esistenza in vita" avverrebbe grazie alla violazione di una legge abrogata solo in un secondo momento.
Sulla base degli stessi presupposti, naturalmente, l'abrogazione obbligatoria non è intervenuta per gli affidamenti con data di scadenza successiva al giugno del 2011, a partire da quelli a società mista scelta con gara semplice che sarebbero dovuti tramontare a dicembre.
Per gli affidamenti in house ancora legittimamente funzionanti, il calendario di uscita è quello corretto da ultimo dal decreto sulle liberalizzazioni. In particolare, possono stare in piedi fino a fine anno gli affidamenti diretti di servizi che valgono più di 200mila euro all'anno, la nuova soglia individuata dal provvedimento come limite massimo per aggirare la gara. Una regola, quest'ultima, che di fatto si traduce in una proroga degli affidamenti diretti superiore al vecchio limite di 900mila euro, che secondo la manovra bis di Ferragosto avrebbero dovuto alzare bandiera bianca entro il prossimo 31 marzo.
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L'intreccio di date
01 | IL PRIMO CALENDARIO
Le date di scadenza degli affidamenti in house erano state fissate dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008. In particolare, per le società miste, si prevedeva la decadenza dell'affidamento
- Alla scadenza del contratto, se il socio era stato individuato con gara a doppio oggetto (scelta del socio e compiti operativi connessi alla gestione del servizio)
- Al 31.12.2011, se il socio era stato individuato con gara semplice (finalizzata solo alla scelta del socio)
- Al 31.12.2010 negli altri casi (società mista senza gara)
02 | IL REFERENDUM
Il referendum abrogativo è intervenuto a giugno 2011; di conseguenza sono illegittimi gli affidamenti che sarebbero dovuti decadere prima di quella data
03 | IL NUOVO CALENDARIO
Il Dl 1/2012 fissa al 31.12.2012 la decadenza degli affidamenti diretti di servizi di valore superiore a 200mila euro annui (articolo Il Sole 24 Ore del 02.02.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici. Il calendario delle gestioni. In house, tempi lunghi e clausola di salvaguardia.
Le gestioni esistenti dei servizi pubblici locali con rilevanza economica hanno un nuovo quadro di scadenze, che individua per molte di esse il termine anticipato tra la fine del 2012 e la primavera del 2013, ma che garantisce la continuità delle prestazioni qualora le procedure per i nuovi affidamenti si prolunghino troppo.
Il Dl ha reimpostato le regole del periodo transitorio, modificando varie parti dell'articolo 4, comma 32, della legge 148/2011, in modo tale da consentire agli enti affidanti di gestire meglio il passaggio tra i gestori uscenti e quelli subentranti.
L'elemento di maggior rilievo è individuato nel nuovo termine per gli affidamenti in house e per le altre tipologie di affidamenti impropri: la deadline per tali gestioni è stabilita al 31.12.2012. La disposizione riguarda tutti gli affidamenti diretti di valore superiore a 200mila euro annui (secondo il nuovo parametro) o che non abbiano i requisiti comunitari per l'in house (controllo analogo e prevalenza dell'attività a favore dell'ente affidante).
La scadenza di fine anno per queste gestioni ha tuttavia un'alternativa importante, poiché la riformulazione operata dal Dl 1/2012 consente alle società esistenti che siano affidatarie dirette di aggregarsi per una gestione unitaria dei servizi, avendo a riferimento l'ambito o il bacino territoriale ottimale.
Il percorso è esplicitamente indicato come derogatorio della norma generale, quindi lascia presumere la possibilità del mantenimento dell'in house anche per valori superiori ai 200mila euro, ma deve condurre a un'azienda frutto dell'integrazione operativa delle preesistenti gestioni dirette, con varie soluzioni possibili dalla fusione alla società consortile.
Tuttavia il nuovo gestore unico dopo il riassetto è destinato a operare con un vincolo temporale stretto, poiché il suo spazio di attività e limitato a tre anni, decorrenti dal 31.12.2012, nonché in base a condizioni rigorose sotto il profilo della qualità e delle garanzie per l'utenza.
La deroga è finalizzata a superare il frazionamento delle gestioni in molti contesti e a consentire la costituzione di organismi societari più forti e più efficienti, in grado di sostenere meglio il confronto con altri operatori economici nelle gare per l'affidamento dei servizi dimensionati sugli ambiti o sui bacini territoriali ottimali. Proprio questa prospettiva si collega alla nuova norma, definita nell'articolo 3-bis, comma 1, della legge 148/2011, che obbliga le Regioni a definire i bacini e gli ambiti ottimali per i servizi entro il 30.06.2012.
Il termine del periodo transitorio è stato ridefinito anche per le gestioni affidate a società miste nelle quali il socio privato, anche se scelto con gara, non sia risultato originariamente affidatario anche di specifici compiti operativi: in tal caso la scadenza degli affidamenti in essere è stabilita al 31.03.2012.
Restano invece invariate le disposizioni che consentono la prosecuzione delle gestioni alle società miste conformi alle norme Ue, che stabiliscono due scadenze per la progressiva dismissione delle quote o azioni di proprietà pubblica per consentire il mantenimento degli affidamenti in essere alle società quotate.
La complessa gestione delle nuove procedure di affidamento lascia presupporre che molte di esse giungeranno all'individuazione del nuovo gestore ben oltre le scadenze del periodo transitorio, tanto che il Dl 1/2012 ha introdotto una norma di salvaguardia. Per non pregiudicare la continuità nell'erogazione dei servizi di rilevanza economica, il nuovo comma 32-ter stabilisce che i soggetti gestori dei servizi assicurano l'integrale prosecuzione delle attività anche oltre le scadenze previste, fino al subentro del nuovo gestore e comunque, in caso di liberalizzazione del settore, fino all'apertura del mercato alla concorrenza (articolo Il Sole 24 Ore del 30.01.2012 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIPrimo effetto del Dl «Cresci-Italia». In house: gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto delle regole sulle società partecipate dagli enti locali previste dal decreto sulle liberalizzazioni varato venerdì scorso è un rinvio. Riguarda la decadenza automatica degli affidamenti diretti effettuati nei confronti di società in house oltre la soglia di valore consentita: il tetto, per effetto dello stesso decreto, scende da 900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In pratica, gli affidamenti che superano il vecchio tetto di 900mila euro, e che avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al 31 marzo, ottengono per questa via dieci mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più, poi, sono possibili se le società si fondono in un'unica realtà di bacino, all'interno degli ambiti che dovranno essere individuati dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi, gli affidamenti diretti saranno ridotti al minimo, perché il nuovo tetto di valore esclude una grossa fetta di servizi, ma anche in questo caso la nuova regola aggiunge un tassello che si può rivelare importante: il divieto di affidamento diretto, infatti, non scatta se la società nei confronti del quale viene effettuato è l'unica a gestire il servizio all'interno dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25 del decreto «Cresci-Italia» approvato venerdì, che nell'ottica dichiarata della «promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali» rivede profondamente l'assetto delle regole introdotte dalle ultime manovre per disciplinare i rapporti fra Comuni e società in house.
Un altro piccolo rinvio introdotto dalla nuova normativa riguarda il decreto ministeriale che dovrà fissare le regole per la delibera di ricognizione dei servizi pubblici: la disciplina ministeriale dovrà vedere la luce entro il 31 marzo (il vecchio termine era fissato al 31 gennaio), ma la procedura diventa decisamente più stringente rispetto a quella in vigore fino a oggi.
La delibera, infatti, serve a "giustificare" sulla base di un'indagine di mercato la necessità di evitare la gara competitiva per seguire la vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo quadro il parere dell'Antitrust diventa obbligatorio e vincolante per le future scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il decreto di venerdì conferma alcuni vincoli già previsti dalla vecchia normativa ma ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi. Del primo gruppo fanno parte l'assoggettamento ai vincoli del Patto di stabilità, che ora si estende anche alle aziende speciali ma attende un decreto attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis del Dl 112/2008 ma mai arrivato al traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la riforma pone un limite all'indebitamento: fino al varo delle nuove regole, infatti, i nuovi mutui assunti dalle affidatarie in house non possono far superare agli oneri annuali di ammortamento il tetto del 25% delle entrate effettive accertate nel bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del personale secondo i principi del concorso a evidenza pubblica previsti per le pubbliche amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su questo versante le novità sono rilevanti. L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia» prevede infatti che le società affidatarie in house si adeguino anche alle «disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole particolarmente significativo dopo gli interventi taglia-spesa delle ultime manovre, per cui la previsione si traduce nell'estensione alle affidatarie dirette, tramite la via obbligata dei regolamenti autonomi, del blocco contrattuale, del tetto agli stipendi e delle regole che tagliano i trattamenti accessori nei primi giorni di malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe porre più di un problema applicativo viste le differenze contrattuali e di struttura stipendiale che le aziende presentano rispetto agli enti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore contrattuale minimo per l'affidamento senza gara dei servizi ad aziende controllate dall'ente locale.

Le aziende di servizi pubblici locali che si accorperanno per servire un bacino di traffico più ampio e di dimensione almeno provinciale potranno godere di tre anni di continuazione dell'affidamento in house. È una delle misure che intendono incentivare la crescita dimensionale delle imprese (soprattutto pubbliche) operanti oggi nei mercati piuttosto polverizzati dei servizi pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado Passera, ha esplicitato questo obiettivo che si potrebbe definire di politica industriale con riferimento esplicito al settore dei trasporti, ma la lettura delle norme approvate ieri svela che il trattamento di favore riguarda anche gli altri settori che ricadono sotto la disciplina generale dei servizi pubblici locali, come per esempio la raccolta e la gestione dei rifiuti. Per altro, le aziende che si accorpassero per raggiungere la dimensione auspicata avrebbero anche una serie di vantaggi in termini di minori vincoli del patto di stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in materia di servizi pubblici locali. Il Governo ha deciso di rafforzare, su proposta del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le regole che favoriscono la concorrenza. Per l'in house, per esempio, nell'affidamento senza gara dei servizi ad aziende pubbliche controllate al 100% dall'ente locale, la soglia che oggi è fissata a 900mila euro di valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà del parere dell'Autorità Antitrust nel caso in cui un comune rinunci allo svolgimento di un servizio in regime di completa liberalizzazione e decida di confermare lo svolgimento del servizio «in esclusiva» o in concessione. Non ci sarà il silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno comunque del parere favorevole dell'Autorità per poter varare la delibera quadro che assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e molla, anche la norma che reintroduce l'obbligo di gara per il settore del trasporto ferroviario regionale, che nell'attuale disciplina è escluso dal regime generale per una deroga esplicita (insieme a energia elettrica, gas e farmacie). La norma approvata ieri reintroduce l'obbligo per le Regioni di affidare il servizio con una gara ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno già firmato in questi anni con Trenitalia per un periodo "protetto" di sei anni.
Non vengono salvati invece gli eventuali rinnovi per ulteriori sei anni che pure erano previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza dei contratti attuali, quindi, gara obbligatoria. L'altro effetto di questo compromesso è che non rischiano di essere azzerati i contratti in essere, come invece avverrà per tutti gli altri affidamenti a servizi pubblici avvenuti in passato senza gara (articolo Il Sole 24 Ore del 21.01.2012).

APPALTI SERVIZIIn house, la strada è la fusione. Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017. Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni riscrive la disciplina dei servizi locali. Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in house. Le aziende che si metteranno insieme potranno andare avanti tranquillamente fino alla fine del 2017. L'obiettivo del governo è promuovere l'accorpamento delle realtà locali in modo da avere un unico gestore per ciascun bacino territoriale ottimale coincidente almeno con l'estensione della provincia.
Le società risultanti dalla fusione, inoltre, non avranno paletti nella sottoscrizione di mutui per investimenti, mentre le altre dovranno fare bene i conti perché gli interessi delle rate annuali di ammortamento, sommati a quelli dei mutui precedentemente contratti, non potranno superare il 25% delle entrate effettive dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900 a 200 mila euro. Quelli di valore economico superiore dovranno cessare a fine 2012. Mentre le gestioni affidate direttamente a società miste pubblico-private (se la selezione del socio è avvenuta senza gara a «doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva sarà possibile solo previo parere obbligatorio dell'Antitrust che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi il governo Monti porterà sul tavolo del consiglio dei ministri, riscrive in molti punti la disciplina dei servizi pubblici locali già rivista dal governo Berlusconi con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011). E per incentivare comuni, province e regioni ad applicare le nuove regole stabilisce che chi lo farà sarà considerato virtuoso ai fini dell'applicazione degli sconti sul patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno rispettare i vincoli di bilancio secondo modalità che saranno definite con un decreto ministeriale che il governo approverà entro la fine di giugno. In ogni caso alle partecipate si applicheranno tutte le disposizioni emanate negli ultimi anni per comprimere la spesa degli enti locali: divieti e limiti alle assunzioni, taglio delle retribuzioni, riduzione delle consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale. Per promuovere la concorrenza a livello comunale è prevista l'individuazione di un apposito ufficio presso la presidenza del consiglio che dovrà monitorare la normativa locale alla ricerca di eventuali disposizioni contrastanti con i principi di libero mercato (di veda ItaliaOggi del 12/1/2012). Qualora vengano riscontrate irregolarità il nuovo organismo assegnerà all'ente un «congruo termine» per rimuovere i limiti alla concorrenza, decorso il quale scatteranno i poteri sostitutivi previsti dalla legge La Loggia (n. 131/2003). L'ufficio supporterà gli enti locali anche nella dismissione delle loro quote di partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I concessionari e affidatari di servizi pubblici locali saranno obbligati a fornire ai comuni, che vogliono bandire una gara per assegnare il servizio da loro svolto, tutte le informazioni utili (impianti, infrastrutture, rivalutazioni, ammortamenti). Dovranno farlo entro 60 giorni dalla richiesta. Diversamente potranno andare incontro a una sanzione da 5 mila a 500 mila euro (articolo ItaliaOggi del 20.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'affidamento diretto di un servizio ad una società mista: il comune appaltante deve specificare l'oggetto sociale perseguito dalla costituenda società in quella determinata composizione sociale fin dall'indizione della gara.
La scelta del comune di eseguire direttamente un servizio assicura un corretto uso delle (sempre più scarse) risorse pubbliche a disposizione degli enti locali.

Il comune appaltante, per non eludere le regole del confronto concorrenziale, nell'affidare direttamente il servizio ad una società mista, fin dall'indizione della gara per l'individuazione del socio privato, deve specificare l'oggetto sociale perseguito dalla costituenda società in quella determinata composizione sociale, in guisa tale che la realizzazione, la modifica o il venire meno dell'oggetto e/o della sua composizione sociale condizionano non solo l'operatività della società ma, a monte, la partecipazione stessa del socio privato.
In definitiva seppure è vero che la società mista, al pari di qualsiasi altra impresa, segue la logica di mercato, nondimeno il rispetto delle regole previste per l'affidamento del servizio si riflettono dialetticamente, non solo (ovviamente) sul piano genetico, bensì (e soprattutto) su quello operativo.
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Lo svolgimento dell'attività amministrativa in forma societaria è tipica espressione di scelta discrezionale che deve essere sorretta da adeguata ponderazione degli interessi, anche economici, che inducono l'ente locale ad esternalizzare una funzione propria.
Viceversa l'esecuzione dell'attività istituzionale amministrativa da parte degli organi dell'ente locale, condensato nel caso di specie, con il neologismo "internalizzazione del servizio", è per così dire nell'ordine delle cose, ed, oltretutto, nella situazione contingente, assicura un corretto uso delle (sempre più scarse) risorse pubbliche a disposizione degli enti locali.
Del resto la scelta del comune di eseguire direttamente il servizio di riscossione dei tributi è eziologicamente riconducibile alla situazione deficitaria in cui versava il comune a causa dei gravi inadempimenti imputabili al socio industriale della società mista. Inadempimento e conseguente estromissione dal servizio del socio industriale che hanno di fatto comportato la decadenza dall'affidamento diretto del servizio alla società mista appositamente costituita per quello scopo (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 18.01.2012 n. 111 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZILIBERALIZZAZIONI/ Utility, privatizzazioni a tappe. Sulla cessione delle quote la road map termina nel 2015. Ripescata la tempistica del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna all'antico. Gli affidamenti in house di valore superiore a 200 mila euro (la nuova soglia individuata dal governo, rispetto agli attuali 900 mila euro) non solo dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno sopravvivere anche oltre, fino alla naturale scadenza del contratto di servizio, a condizione che la partecipazione detenuta dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40% entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in tali date. La road map sarà la stessa anche per le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del partner privato non sia avvenuta con «gara a doppio oggetto», ossia riguardante al tempo stesso la qualità socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Anche in questo caso le gestioni potranno durare fino a naturale scadenza a condizione che le quote in mano pubblica si riducano fino a raggiungere le percentuali di cui sopra entro le predette date.

Nella tabella di marcia per favorire l'ingresso dei privati nella gestione dei servizi pubblici locali il governo Monti ripropone tali e quali le norme della riforma Fitto (dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto liberalizzazioni che andrà venerdì sul tavolo del consiglio dei ministri contiene invece norme tutte nuove sulle dismissioni delle quote da parte dei comuni.
Le regole introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14, comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011) restano confermate. Il che significa che i municipi con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino al 31.12.2013 per ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute. Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno portare a termine le dismissioni entro il 31.12.2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare.
Ma, ferma restando questa disciplina, i comuni, quando avranno esigenza di ampliare i mercati e ripianare i propri debiti, potranno (la norma parla espressamente di «facoltà» e non di obbligo) cedere le proprie quote tramite gara, comunicandone l'esito inizialmente entro il 30.09.2012 e poi entro il 30 settembre di ogni anno. L'esito delle procedure dovrà essere comunicato alla neonata unità di missione per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza nelle regioni e negli locali che sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la strada al risarcimento dei danni per violazione degli standard minimi di qualità. Si legge infatti nella bozza di provvedimento che nelle carte di servizio dovranno essere indicati i diritti «anche di natura risarcitoria che i consumatori e le imprese utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere dell'Antitrust sulle delibere con cui decidono di mantenere i regimi di esclusiva sottraendo uno o più settori alla liberalizzazione. La manovra di Ferragosto (dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali dopo i referendum di giugno, non prevedeva tale obbligo e stabiliva solo che la delibera (di cui doveva essere data adeguata pubblicità) dovesse essere inviata all'Antitrust per l'opportuna relazione al parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del governo Monti condiziona l'adozione della delibera al parere dell'Autorità garante della concorrenza che dovrà pronunciarsi entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria svolta dall'ente locale (articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'affidamento in house del servizio trasporto infermi ad una società consortile interamente pubblica, in quanto da alcune previsioni statutarie, emerge la vocazione commerciale della società consortile.
E' illegittimo l'affidamento in house del servizio trasporto infermi disposto da un'Azienda Ospedaliera Universitaria ad una società consortile interamente pubblica statutariamente costituita tra la Regione e le Aziende del S.S.R., in quanto da alcune previsioni statutarie, emerge la vocazione commerciale della società consortile, vocazione commerciale che, rende precario il controllo (analogo) dell'ente pubblico.
In particolare, le disposizioni statutarie e della convenzione che mirano a consentire l'utilizzo del personale per finalità ed "attività ulteriori" rispetto a quelle del servizio di emergenza-trasporto 118 rispondono all'esigenza di "portare ricavi ulteriori", al fine ultimo di mantenere i livelli occupazionali dei dipendenti della società. L'affidamento in house, è stato scelto non tanto e non solo per le asserite ragioni di economicità del servizio ma anche per trovare "una soluzione interna per venire a capo della grave situazione creata dalla travagliata vicenda del rapporto convenzionale con la Croce Rossa e con la SISE s.p.a., sfociata in un contenzioso ormai inestricabile e gravissimo ed in una sostanziale bancarotta della società".
Questa ulteriore finalità ha comportato un ampliamento dell'oggetto sociale e dei soggetti destinatari dei servizi, con conseguente acquisizione da parte della società di una vocazione commerciale, perdita del controllo analogo ed allentamento del nesso di strumentalità dell'attività sociale con le esigenze pubbliche degli enti controllanti.
Pertanto, per affermare l'effettività del cd. controllo analogo, condizione necessaria ai fini della legittimità di un affidamento in house, la società affidataria non può acquisire una vocazione commerciale tale da rendere precario il controllo dell'ente pubblico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 13.01.2012 n. 44 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIServizi locali più aperti al mercato. Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una delibera-quadro la scelta di riconfermare i monopoli nella fornitura.

Gli enti locali potranno dare in esclusiva, in monopolio, in concessione -sempre passando per una gara- soltanto quei servizi pubblici locali per cui non ci siano le condizioni di mercato per una liberalizzazione piena, con più operatori pronti a fornire il servizio in regime di concorrenza. Comuni e province dovranno anche motivare, con un'apposita analisi di mercato e una delibera-quadro, una scelta esplicita di riconferma dei monopoli nella fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento in chiave concorrenziale del regime attuale, che prevede invece un netto prevalere delle "esclusive", riguarderà intere reti di servizi locali come i trasporti o la raccolta dei rifiuti o anche parti di queste reti di servizio (per esempio i collegamenti per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e ad attuare con la "fase due" le scelte fatte con la manovra di Ferragosto dall'ex ministro Raffaele Fitto che aveva fatto inserire nell'articolo 4 del decreto legge 138/2011, oltre allo stop degli affidamenti in house sopra 900mila euro l'anno e all'obbligo di gara (la cosiddetta "concorrenza per il mercato"), anche il principio di affidare al mercato tutte le attività liberalizzabili ("concorrenza nel mercato"). Un ribaltamento che era stato richiesto più volte in passato anche dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà, che ora da sottosegretario alla presidenza del Consiglio sta lavorando al dossier liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle liberalizzazioni nei servizi pubblici locali è oggi il ministro delle Regioni, Piero Gnudi, che ha confermato in Parlamento la volontà di procedere nell'attuazione della manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando in particolare al decreto interministeriale Regioni-Economia-Interno che dà attuazione al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai Comuni e agli altri enti locali le direttive sulla delibera quadro e sull'analisi di mercato da svolgere prima di nuovi affidamenti di servizi. Il decreto interministeriale deve essere emanato entro il 31 gennaio dopo essere passato alla conferenza unificata Stato-Regioni-città e finirà naturalmente nel "pacchetto liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo per adeguarsi fino alla scadenza delle attuali gestioni: la prima applicazione sarà quindi già al 31 marzo, quando scadranno le cosiddette gestioni "non conformi" perché affidate senza gara e senza alcuna legittimazione.
Nel decreto interministeriale Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4: l'obbligo di rendere pubblici, anche in modalità on-line, «i dati concernenti il livello di qualità del servizio reso, il prezzo medio per utente e il livello degli investimenti effettuati». Il decreto interministeriale detterà i criteri con cui i comuni dovranno procedere a rendere pubblici i dati. La finalità del provvedimento è quella di «assicurare il progressivo miglioramento della qualità di gestione dei servizi pubblici locali e di effettuare valutazioni comparative delle diverse gestioni». Cittadini, utenti, imprese potranno confrontare le performance dei singoli gestori, anche se qui non mancano nodi da sciogliere, quali sono l'asimmetria informativa e i dati riservati che i gestori accampano per limitare non di rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question time di quindici giorni fa in Parlamento le tre direttrici in cui si muove la disciplina dei servizi pubblici locali a proposito delle modalità di affidamento dei servizi in esclusiva: affidamento a gara per la selezione del soggetto gestore; affidamento a gara "a doppio oggetto" per la selezione del socio privato della società mista, con partecipazione pubblica non inferiore al 40%; affidamenti in house, senza gara a società controllate al 100% dagli enti locali, circoscritti ai soli servizi pubblici locali di valore economico inferiore a 900.000 euro/anno (articolo Il Sole 24 Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIRischio nullità per gli atti che violano la concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le decisioni locali. Se l'ente non si adegua al parere motivato scatta il ricorso dell'Avvocatura.

Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del decreto salva Italia (legge n. 214/2011), eppure esso è la conferma che a Roma inizia a destare preoccupazione il fatto che molte norme sulla pubblica amministrazione rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo citato, ove si prevede che «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un atto violi i principi di libera concorrenza, può muoversi prima con le buone e poi arrivare a promuovere la rimozione dell'atto (con quanto ne può conseguire sul piano delle responsabilità contabili e degli allarmi penali). Chi pensava di avere rimosso l'ostacolo rappresentato dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca preoccupazione nei nostri amministratori e dirigenti: «non è che questa volta si fa sul serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum" siamo certo portati a dubitare che davvero si decida di verificare con determinazione la corretta applicazione di norme difficili da digerire. È quindi difficile prevedere che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma certo, a giudicare dagli ultimi interventi normativi, è innegabile che si abbia la sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era più facile del l'elusione delle norme o, per i meno raffinati, del semplice ignorarle. Eppure l'articolo 35 del decreto salva Italia è solo l'ultima norma di una lunga serie di interventi tesi a far rispettare le regole con maggiore rigore. Gli effetti del decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo ha provato per primo il Comune di Castiglion Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri atti del genere sembrano essere in dirittura d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima (articolo 16, comma 14) e la legge di stabilità poi (introducendo all'articolo 4 del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno affidato alle prefetture il compito di verificare gli adempimenti dei Comuni sia in tema di messa in liquidazione delle società non ammesse sia di correttezza delle procedure in tema di servizi pubblici locali, fino ad arrivare all'esercizio del potere sostitutivo con tutto ciò che ne consegue: «nel caso in cui, all'esito dell'accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto previsto dalle disposizioni (...), assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste norme sono certo i commi da 10 a 12 del l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono stabiliscono «i contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dalle Regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno sono nulli» e che affidano alla Corte dei conti il potere di perseguire e sanzionare con una consistente sanzione pecuniaria il responsabile dei servizi finanziari e gli «amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste norme. Ma è bene non sottovalutare il rafforzamento dei controlli che il legislatore sta, gradualmente, realizzando (articolo Il Sole 24 Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it).

anno 2011

APPALTI SERVIZI: Sull'art. 13 dl 223/2006 (c.d. decreto Bersani) e sulle differenze tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici.
L'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223 conv. nella l. 04.08.2006, n. 248 (c.d. decreto Bersani), prevede che le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di servizi strumentali alle attività da esse svolte, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o affidanti e non possono svolgere prestazioni (lavori, servizi, forniture) a favore di altri soggetti pubblici o privati, né partecipare ad altre società o enti. Trattasi di disposizione dal carattere eccezionale che deve, quindi, essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti. Ne consegue che, tale norma non può applicarsi nel caso di specie, riguardante una gara per l'affidamento del servizio di verifica degli impianti termici dei comuni della provincia, in quanto la società non presenta quei caratteri di strumentalità e funzionalità individuati dalla normativa citata ma opera nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese.
L'enunciato dell'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, rende evidente che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle imprese partecipanti ad essa. Il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici, essendo posto, come sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 328 del 2008, al fine di separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto che svolge attività amministrativa eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali essa possa godere in quanto pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.12.2011 n. 6974 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Divieto delle società partecipate di intervenire nel libero mercato.
Il divieto di intervenire nel libero mercato e conseguentemente di partecipare alle gare pubbliche è previsto dall’articolo 13 del decreto Bersani (d.l. 04.07.2006, n. 223, convertito con Legge 04.08.2006, n. 248) nei confronti delle società partecipate da amministrazioni pubbliche che svolgono attività strumentale e funzionale a quella svolta dagli enti partecipanti.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 29.12.2011 n. 6974 nell’ambito di una gara per l’affidamento del servizio di verifica degli impianti termici dei comuni della provincia di Roma.
Nel caso in esame l’amministrazione aggiudicatrice aveva proceduto ad affidare il servizio ad una azienda che le ricorrenti (seconda e terza classificata) desumevano essere esposta al divieto di cui all’articolo 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223.
E’ necessario considerare che tale norma del decreto Bersani prevede per le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche per la produzione di servizi strumentali alle attività da esse svolte, il divieto di operare nel libero mercato con l’impossibilità di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici o privati, o di partecipare ad altre società o enti.
Su quale debba essere l’esatta interpretazione della norma la sentenza in commento ha affermato che “Trattasi, come la giurisprudenza ha già affermato, di disposizione dal carattere eccezionale che deve, quindi, essere interpretata in stretta aderenza al suo dato letterale e senza possibilità alcuna di applicazione oltre i casi in essa previsti (Cons. Stato, sez. V, 22.03.2010, n. 1651; 07.07.2009, n. 4346; sez. VI, 16.01.2009, n. 215).
Nel solco della chiara giurisprudenza citata, è evidente che tale norma non può applicarsi alla (omissis) in quanto essa società non presenta quei caratteri di strumentalità e funzionalità individuati dalla normativa citata ma opera nel mercato in diretta concorrenza con le altre imprese
.”
I giudici di Palazzo Spada hanno dunque messo in evidenza due elementi fondamentali per l’applicabilità del divieto in commento:
- L’esame dell’oggetto sociale. Deve trattarsi di società a capitale interamente pubblico o misto;
- L’attività svolta. Tali società devono svolgere attività strumentale e funzionale a quella dall’ente locale partecipante.
La materia trattata nel caso de quo presenta ancora oggi dei passaggi interpretativi di difficile soluzione dovuti alla produzione legislativa spesso contraddittoria ed alle interpretazioni fornite dalla giurisprudenza.
Il faro che comunque ed in ogni momento dovrebbe sempre guidare la pubblica amministrazione, a dispetto di una normativa spesso confusa, è il rispetto dei principi previsti a livello comunitario e nazionale, proporzionalità, par condicio, trasparenza ed economicità.
Soltanto una loro ragionevole applicazione può tenere indenne l’agire amministrativo da eventuali vizi di illegittimità (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento "in house" è una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni.
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Sui requisiti condizionanti la legittimità del ricorso all'istituto dell'in house.

L'affidamento "in house", che rappresenta il tentativo di conciliare il principio di auto-organizzazione amministrativa con i principi di tutela della concorrenza e del mercato, non è una fattispecie contrattuale eccezionalmente sottratta all'applicazione del diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, ma è, al contrario, una fattispecie non contrattuale che, come tale, per sua stessa natura si sottrae al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni.
Ciò precisato, dunque, la giurisprudenza comunitaria e nazionale, partendo dal concetto che l'affidamento diretto di un servizio è giustificato quando il soggetto affidatario si trova in una posizione strumentale e di rapporto organico con l'Amministrazione affidante, ha individuato i requisiti in presenza dei quali può ritenersi verificata la sussistenza di detta posizione e, conseguentemente, giustificato il conferimento "in house".
Tali requisiti sono la proprietà, da parte dell'ente pubblico, del capitale sociale del soggetto affidatario e l'esercizio sul medesimo di una forma di controllo analoga a quella svolta sui propri servizi, e l'esercizio, da parte della società affidataria, della quota prevalente della sua attività a favore dei soci.
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In relazione ai requisiti condizionanti la legittimità del ricorso all'istituto dell'in house va evidenziato che, atteso che al momento di scegliere la forma di gestione di un servizio pubblico tra quelle previste dalla legge l'ente locale è sempre tenuto a giustificare la scelta che concretamente effettua, in caso di affidamento "in house" è necessario dimostrare non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all'affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l'operato della PA (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 14.12.2011 n. 1823 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

ENTI LOCALIPARTECIPATE/  Dismissioni lente. Due le finestre: a fine 2012 e 2013. Parere della Corte conti Lombardia.
Più tempo per le dismissioni societarie dei comuni medio-grandi. Gli enti con popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila abitanti non dovranno affrettarsi entro fine 2011 a ridurre a una sola le partecipazioni societarie detenute, ma potranno farlo con calma entro il 31.12.2013. Per i comuni sotto i 30 mila abitanti le dismissioni dovranno essere portate a termine entro il 31.12.2012 a meno che le partecipate abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subìto riduzioni di capitale sociale e perdite da ripianare.
L'importante chiarimento arriva dalla Corte conti Lombardia che nel parere 15.11.2011 n. 602 ha preso in esame la scansione temporale contenuta nell'art. 14, comma 32 del dl 78/2010 e rimaneggiata più volte dal legislatore tanto da indurre gli enti in più di un equivoco.
Lo stesso in cui stava per cadere il comune di Seregno (Mb) che con 43 mila abitanti e tre partecipazioni societarie, temeva di doverne dismettere due entro il 31.12.2011.
Questa almeno sembrava essere la dead line risultante dall'applicazione delle norme, modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella legge n. 10/2011) e poi da ultimo dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
Si trattava però di una lettura «eccessivamente restrittiva e non coerente» (come ha commentato l'Anci in una nota in cui ha espresso apprezzamento per il chiarimento) perché avrebbe stabilito per i comuni più grandi una scadenza anticipata rispetto agli obblighi dei comuni sotto i 30 mila abitanti. I giudici contabili lombardi hanno ricordato come il dl 225/2010 abbia prima fatto slittare dal 31/12/2011 al 31/12/2013 il termine per tutti i comuni (sia quelli inferiori a 30 mila abitanti sia quelli compresi tra 30 mila e 50 mila abitanti). Ma poi è intervenuto il dl 138/2011 che ha anticipato di un anno (31.12.2012) la dead line solo per i comuni inferiori a 30 mila abitanti.
La diversa scansione temporale, secondo la Corte conti, ha una giustificazione: «Una diversa esigenza di snellimento degli apparati, coerente con l'impianto generale dell'art. 14, comma 32, del dl 78».
Infatti entro la fine del 2012 i comuni sotto i 30 mila abitanti dovranno mettere in liquidazione le società già costituite (oppure cederne le partecipazioni) a meno che non ricorrano le tre condizioni sopra menzionate (bilanci in utile negli ultimi tre esercizi, nessuna riduzione di capitale conseguente a perdite di bilancio, nessuna perdita che abbia costretto il comune a un'operazione di salvataggio).
Tale disciplina non si applica alle società (con partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti) costituite da comuni di popolazione complessiva superiore a 30 mila abitanti.
Entro il 31.12.2013, invece, i comuni tra 30 mila e 50 mila abitanti potranno mantenere la partecipazione in una sola società e dovranno mettere in liquidazione tutte le altre (articolo ItaliaOggi del 19.11.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI: Il termine legale per le dismissioni delle partecipazioni contra legem ex art. 14, c. 32, del d.l. n. 78/2010, per i comuni con una popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è il 31.12.2013.
Il vigente quadro normativo ex art. 14, c. 32, del d.l. n. 78/2010 può essere ricostruito nei seguenti termini: fermo quanto previsto dall'articolo 3, commi 27, 28 e 29 della l. 24.12.2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società.
Entro il 31.12.2012 i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni, a meno che le società già costituite:
a) abbiano, al 31.12.2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell'obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.
Le disposizioni di cui al comma 32 non si applicano alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31.12.2013 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite (Corte dei Conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, pareri 15.11.2011 n. 602 e n. 603 - massima tratta da www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Per un approfondimento si legga anche: Nota sul parere della Corte e dei Conti, sezione Lombardia n. 602/2011/PAR del 15/11/2011 relativo al termine per le dismissioni societarie dei Comuni con popolazione compresa fra i 30.000 ed i 50.000 abitanti (ANCI, nota 18.11.2011).

APPALTI SERVIZIStop alle elusioni «salva in-house». Vietato frazionare il servizio per non superare la soglia che vieta l'affidamento.
Gli enti locali non possono frazionare un servizio pubblico per farlo rientrare nel limite di valore che consente di affidarlo in-house a una società partecipata.
La legge di stabilità interviene con un'importante integrazione della disciplina degli affidamenti diretti di servizi pubblici locali con rilevanza economica, recependo le osservazioni dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm).
La nuova disposizione è inserita nel comma 13 dell'articolo 4 della legge 148/2011 e stabilisce che, per garantire l'unitarietà del servizio, è vietato procedere al frazionamento del medesimo servizio e del relativo affidamento. Il dato normativo fa fronte a una delle principali criticità delle nuove regole per l'in-house, evidenziate dall'Agcm nell'atto di segnalazione al parlamento AS 864 del 26.08.2011, con cui si rilevava che il sistema di esenzioni dall'obbligo di gara configurato dalla nuova disciplina si prestava facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni.
Per aggirare i limiti normativi sarebbe stato infatti sufficiente frazionare gli affidamenti in tante "tranche", ciascuna non oltre i 900mila euro annui, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in-house.
Business plan.
Gli enti locali non potranno distinguere artificiosamente le attività rientranti in un unico processo produttivo, come, per esempio, quelle del ciclo integrato dei rifiuti. In secondo luogo, sono obbligati a definire un business plan complessivo e ad affidare in un unico momento tutte le attività riferibili alla tipologia di servizio, non potendo effettuare integrazioni successive: per esempio, un servizio di gestione parcheggi da 850mila euro annui dovrà essere affidato tutto insieme con riferimento al piano sosta, e una eventuale successiva integrazione del valore di 100mila euro andrà affidata con gara.
L'affidamento in-house resta comunque configurato come procedura derogatoria rispetto a quella principale (la gara) e all'opzione alternativa (la società mista con socio privato operativo), che può essere esperita solo se ricorrono i presupposti richiesti dall'ordinamento comunitario (controllo analogo e prevalenza dell'attività a favore dei soci) e per servizi di valore annuo non superiore ai 900mila euro.
La deliberazione.
Le modifiche apportate dalla legge di stabilità rafforzano l'importanza della deliberazione (prevista dal comma 1 dell'articolo 4 della legge 148/2011) con la quale dev'essere verificata la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi stessi (a fini di liberalizzazione massima delle attività economiche) oppure, in base ad un'analisi di mercato, viene prevista l'attribuzione di diritti di esclusiva al gestore quando l'iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. La rilevanza di questo passaggio è stata evidenziata dall'integrazione al comma 4, in base alla quale, quando la deliberazione non è adottata, l'ente locale non può procedere all'attribuzione di diritti di esclusiva e, conseguentemente, la gestione dei servizi dev'essere rimessa a una pluralità di gestori.
La formalizzazione della verifica è quindi necessaria per sviluppare l'affidamento con gara, come previsto nel primo periodo del comma 8 dell'articolo 4, ma anche per l'eventuale opzione della società mista e, soprattutto, per l'affidamento in-house. In questa ipotesi, infatti, l'attribuzione del diritto di esclusiva è una condizione necessaria perché si concretizzi l'affidamento diretto, il quale, per sua natura, esclude comunque gestioni contestuali o concorrenti.
Dalla combinazione delle disposizioni deriva pertanto un effetto interdittivo: se l'ente non adotta la deliberazione con cui definisce i diritti di esclusiva, non può esserci affidamento in house, in quanto ammetterebbe implicitamente il possibile intervento di operatori privati. Per poter adottare la deliberazione, le amministrazioni devono attendere un decreto ministeriale (da emanare entro il 31.01.2012), con cui si definiranno i contenuti essenziali dell'atto-quadro (in base al nuovo comma 33-ter).
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Nell'ultimo anno si rientra in gara.
Le società attualmente affidatarie dirette di servizi pubblici locali possono concorrere a gare per i servizi da esse gestiti, ma entro limiti più precisi.
La legge di stabilità ridisegna la disposizione derogatoria contenuta nell'ultimo periodo del comma 33 dell'articolo 4 della legge 148/2011, traducendo le indicazioni fornite dall'Agcm per limitare i potenziali effetti distorsivi della particolare disciplina.
Le condizioni.
Il nuovo dato normativo stabilisce che i soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale a gare indette nell'ultimo anno di affidamento dei servizi da essi gestiti, se sussistono determinati presupposti.
Rispetto alla formulazione originaria (che replicava quella del comma 9 dell'articolo 23-bis della legge 133/2008 e sulla quale si era sviluppata una consistente giurisprudenza) la nuova disposizione modifica le condizioni che consentono agli affidatari diretti di partecipare ad altre gare. A essi è consentito concorrere alle procedure per il conferimento di servizi nel caso in cui siano nella fase finale (inferiore a un anno) del proprio affidamento e sia già stata bandita la gara per il riaffidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso procedure a evidenza pubblica oppure anche mediante in-house, ma a soggetto diverso dall'affidatario diretto uscente.
I paletti.
Il dato normativo consente quindi alle società in house di partecipare a gare per servizi pubblici indette da altre amministrazioni solo se sono nella fase conclusiva della propria gestione.
Una società che abbia mantenuto l'affidamento diretto, perché compatibile con i limiti previsti dal comma 13, o che lo abbia ottenuto ex novo, non potrà invece partecipare alle procedure che vengano indette in altri contesti.
L'affidatario in-house potrà prendere parte alla gara per il servizio da esso gestito, a condizione che sia formalizzata la fase finale della gestione esistente o la stessa ricada nelle scadenze previste per il periodo transitorio (31.03.2012).
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Mancano le regole per la delibera quadro.
Il quadro delle regole per lanciare lo sviluppo del sistema dei servizi pubblici locali è quasi completo. Manca un ultimo tassello, che potrebbe dare l'input determinante per segnare il momento decisivo di una riforma attesa da anni e destinata a trasformare molti settori.
La legge di stabilità (con il comma 33-ter appena introdotto nell'articolo 4 della legge 148/2011) prevede che con un decreto interministeriale –adottato dal ministro degli Affari regionali d'intesa con i ministri dell'Economia e dell'Interno– sia definito il format della deliberazione-quadro che gli enti dovranno adottare per la definizione dei diritti di esclusiva e siano precisati alcuni profili relativi agli standard qualitativi per gli utenti.
Tuttavia il decreto è previsto anche come strumento di attuazione dell'intera disciplina dei servizi pubblici locali e proprio questa sua finalizzazione dovrebbe permettere all'esecutivo di definire tutte le norme di chiarimento per gli affidamenti.
Molti elementi critici sono già stati risolti proprio dalle disposizioni della legge di stabilità, a partire dalle importanti precisazioni introdotte nel comma 32, che fanno decadere al 31.03.2012 gli affidamenti diretti non conformi ai parametri comunitari per l'in-house.
Tutte le scadenze delle gestioni esistenti permangono nei termini originariamente previsti dall'articolo 4 della legge 148/2011 e questo dato, unito alla scadenza per l'adozione del Dm attuativo (fissata al 31.01.2012) non sembra offrire margine alcuno per dilazioni ulteriori: la combinazione tra le norme e i vari passaggi delineati obbligano gli enti locali a compiere un percorso a tappe forzate, che dovrà essere avviato necessariamente tra marzo e giugno del prossimo anno.
Alla fine del primo trimestre e del primo semestre del 2012, infatti, scadono rispettivamente le gestioni esistenti affidate direttamente a società in house e a società miste che siano state costituite in modo non conforme ai principi comunitari del partenariato pubblico-privato.
Possono proseguire solo i rapporti derivanti da affidamenti diretti per servizi di valore fino al limite (900mila euro annui) stabilito dalla disposizione derogatoria, anch'esso, peraltro, oggetto di chiarimenti decisivi nella legge di stabilità (articolo Il Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZII PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Niente affidamenti in house sopra i 500 mila. Circoscritto l'ambito dell'in house nei servizi pubblici locali.
Il maxiemendamento del governo alla legge di stabilità, allo scopo di aprire maggiormente i mercati alla concorrenza, restringe ulteriormente la possibilità di affidare la gestione delle utility senza passare dalla gara.
La soglia di valore del servizio, al di sopra della quale non saranno più ammessi affidamenti in house nei confronti di società a capitale interamente pubblico, scende infatti, per effetto delle modifiche proposte dal governo, da 900 a 500 mila euro. Inoltre, per garantire l'unitarietà del servizio, sarà vietato frazionarlo in vari tronconi da affidare ciascuno autonomamente.
Nel maxiemendamento hanno trovato posto, inoltre, le misure per facilitare la cessione alle banche dei crediti vantati dalle imprese verso la p.a. (anticipate su ItaliaOggi del 4/10/2011). Per gli enti locali e le regioni diventerà un obbligo (e non più solo una facoltà come accade oggi) certificare i crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dalle aziende affinché queste possano cederli a banche o altri intermediari finanziari.
Su istanza delle imprese, gli enti dovranno rilasciare la certificazione entro 60 giorni. In caso contrario, toccherà alla Ragioneria dello stato competente per territorio che potrà arrivare a nominare un commissario ad acta pagato dalle amministrazioni locali. Per realizzare queste modifiche il maxiemendamento corregge l'art. 9, comma 3-bis, del decreto anticrisi del 2008 (dl 185/2008) che per primo ha previsto la chance della cessione alle banche dei crediti delle imprese verso regioni, enti locali ed enti del Ssn. Anche se si è trattato di una disposizione pressoché inattuata. Il punto debole della norma, secondo i tecnici del ministero della semplificazione, è stato rappresentato dal fatto che la certificazione dei crediti era prevista come eventuale e non obbligatoria. E questo ne ha radicalmente depotenziato l'effetto.
Ora invece gli istituti di credito non potranno ostacolare la cessione dei crediti. Perché in futuro nei bandi di gara per la gestione dei servizi di tesoreria degli enti sarà previsto come requisito essenziale l'impegno da parte del tesoriere comunale a non opporsi alla cessione pro soluto delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti. A questo proposito il maxiemendamento del governo inserisce una modifica ad hoc all'interno dell'art.210 del Testo unico sugli enti locali (dlgs n.267/2000).
Affitti trasparenti. Tra le altre novità del maxiemendamento di interesse per gli enti locali se ne segnala una (sempre partorita dai tecnici di Roberto Calderoli) che impone di far luce sui costi sostenuti per la locazione di beni immobili. Le amministrazioni saranno obbligate a pubblicare sul proprio sito internet tutte le informazioni su spese di affitto, finalità di utilizzo, dimensioni e ubicazione (articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIPartecipate «blindate» sui servizi. La società non può gestire insieme funzioni pubbliche e strumentali.
Una società partecipata non può gestire contestualmente servizi pubblici e servizi strumentali, quindi gli enti locali soci devono definire adeguate soluzioni.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, con il parere 17.10.2011 n. 517 ha spiegato come l'articolo 13 della legge n. 248/2006 vieti a una società partecipata di gestire allo stesso tempo servizi pubblici locali e servizi strumentali.
La disposizione non ammette deroghe e rende necessario il superamento di quelle situazioni nelle quali le amministrazioni abbiano utilizzato lo strumento societario per svolgere funzioni e attività di loro competenza in modo eterogeneo, senza distinguere fra la gestione di servizi pubblici locali –a rilevanza economica o privi di rilevanza economica– e servizi strumentali.
La Corte dei conti lombarda rileva come la commistione tra attività, resa possibile in passato da una normativa molto permissiva, oggi non sia più possibile, a fronte di regole precise e rigorose, differenziate per la gestione delle varie funzioni e attività. In particolare, dice la Corte, l'articolo 13 del decreto Bersani stabilisce specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali, che vedono come interlocutore l'ente locale e le attività a rilevanza economica, che hanno un'incidenza sul mercato. L'analisi dà per acquisito il principio per cui il requisito della strumentalità sussiste quando l'attività che le società svolgono sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto delle amministrazioni pubbliche.
Il parere dunque mette in evidenza come le società che gestiscono servizi strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati, poiché in caso contrario si verificherebbe un'alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all'interno del mercato locale di riferimento.
È in quest'ottica che si giustifica, del resto, la previsione contenuta nel secondo comma dello stesso articolo 13 della legge n. 248/2006, in base al quale gli enti locali devono prevedere per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo. Non è possibile pertanto che la stessa società che opera in house svolga per conto di uno o più enti attività strumentali e gestisca servizi pubblici locali.
Il divieto imponeva agli enti locali di intervenire entro il 04.01.2010 per adottare soluzioni organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali, ovvero l'affidamento a terzi con gara dei servizi pubblici locali a rilevanza economica o, ancora, la creazione di distinti organismi societari per la gestione in modo separato delle attività strumentali e dei servizi pubblici locali. A fronte anche del caso analizzato, la Corte dei conti lombarda rileva come vi siano ancora commistioni gestionali in molte società, per le quali gli enti soci, se non hanno ancora provveduto a eliminare l'anomalia, devono provvedere, anche per evitare di incorrere nelle specifiche violazioni di legge e nella nullità dei contratti in essere.
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Incompatibilità
01 | LA LEGGE
In base alla legge 248 del 2006 gli enti locali prevedono per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo: la stessa società che opera in house non può svolgere per uno o più enti attività strumentali e gestire servizi pubblici.
02 | LA CORTE DEI CONTI
La sezione di controllo della Lombardia ha ribadito che una partecipata non deve gestire contestualmente servizi pubblici e strumentali (articolo Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sul divieto di cui all'art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008.
L'art. 23-bis, c. 9, del DL n. 112/2008, vieta l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori, in concessione o in appalto, alle società che già gestiscono servizi pubblici locali ad esse affidati senza il rispetto dei principi dell'evidenza pubblica, anche per il tramite di società controllanti o da essa controllate. La ratio della predetta disposizione va ravvisata nell'esigenza di impedire alterazioni del mercato concorrenziale che deriverebbero dalla partecipazione alle gare per l'affidamento di ulteriori servizi pubblici locali a quei soggetti che, in quanto già affidatari diretti di tali servizi, si trovano in una posizione di privilegio acquisita al di fuori dei meccanismi dell'evidenza pubblica; in tale contesto, è affatto irrilevante la modalità di affidamento prescelta dalla stazione appaltante (appalto o concessione), atteso che il divieto posto dal legislatore riguarda genericamente "l'acquisizione della gestione di servizi ulteriori".
Inoltre, non v'è motivo per ritenere che le modalità di remunerazione delle attività, la bilateralità del rapporto e la mancanza dell'alea, pur idonee a far ascrivere la gara nella categoria dell'appalto anziché in quella della concessione, possano influire sulla natura delle prestazioni da svolgere: è evidente che anche in tal caso le attività affidate continuano a configurarsi quale servizio pubblico locale, essendo del tutto irragionevole ritenere che esse possano, al contrario, perdere detta qualità in dipendenza della tipologia dell'affidamento (concessione o appalto) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 10.10.2011 n. 1509 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIAntitrust, no al conto terzi nell'affidamento in house.
Illegittimo l'affidamento in house, a una società strumentale interamente partecipata da una regione, di attività di supporto al responsabile del procedimento, di alta sorveglianza e di Pcm (project construction management) che non abbiano carattere istituzionale e che soprattutto siano a beneficio di un altro soggetto pubblico (un'altra Regione).
È quanto ha affermato l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel parere 06.09.2011 n. 47798 di prot., emesso ai sensi dell'articolo 22 della legge 287/1990 e concernente la convenzione stipulata fra la Regione Calabria, quattro Asl calabresi, la Regione Lombardia e la Ilspa concernente la realizzazione di quattro presidi ospedalieri, Vibo Valentia, Piana di Gioia Tauro, Sibaritide e Catanzaro).
In particolare l'Antitrust ritiene in violazione dell'articolo 13 della legge 248/2006 l'affidamento in via diretta alla Ilspa dell'attività di supporto al Rup e di Pcm e alta sorveglianza per la fase realizzativa degli interventi, considerato che la Ilspa, fa parte del sistema regionale della Lombardia ed è una società strumentale della Regione lombarda (che ne detiene la totalità del capitale).
In relazione alla natura della società affidataria l'Antitrust, nel parere trasmesso al Presidente della Regione Calabria, evidenzia come tale società avrebbe potuto svolgere in house soltanto attività di valorizzazione e sviluppo della dotazione infrastrutturale della regione lombarda e soltanto a favore della regione Lombardia.
Viceversa, l'Autorità per la concorrenza e il mercato pone in luce come la convenzione si concretizzi «in un affidamento diretto alla Ilspa di attività che lungi dal consistere nella produzione di beni e servizi strumentali all'attività istituzionale della regione Lombardia, vanno a beneficio di un altro soggetto pubblico», cioè il commissario delegato all'emergenza socio-economico-sanitaria nella Regione Calabria, in violazione dell'articolo 13 della legge 248/2006 che fa divieto alla società strumentale di rendere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privato (articolo ItaliaOggi del 07.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Partecipate al test sopravvivenza. Mantenimento della gestione dei servizi legato a efficienza e dimensioni. La strategia dei piccoli Comuni che entro il 2012 devono chiudere le società o trovare strade per tenerle in piedi.
Entro la fine del 2012 i piccoli comuni devono chiudere le loro società partecipate o definire scelte strategiche che consentano di mantenerle operative. Il Dl 138/2011 e la legge 148/2011 di conversione hanno modificato le regole su liquidazione delle società e cessione delle altre partecipazioni da parte dei comuni con popolazione sotto 30mila abitanti (articolo 14, comma 32, della legge 122/2010), fissando come nuova scadenza il 31.12.2012.
Agli enti restano tuttavia due possibilità per consentire alle controllate di proseguire nella gestione dei servizi affidati. La prima deroga si fonda sulla sussistenza di parametri di efficienza economico-finanziaria degli organismi partecipati, che devono avere, anche qui con scadenza anticipata al 31.12.2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi e che non devono aver subito nei precedenti esercizi riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio o perdite che abbiano comportato ripiani da parte dei soci pubblici.
La seconda possibilità per evitare la liquidazione è legata a un parametro dimensionale: la società deve essere costituita da comuni la cui popolazione complessiva superi i 30mila abitanti e la partecipazione al capitale sociale deve essere paritaria o proporzionale al numero degli abitanti. Su questo punto le amministrazioni hanno un adeguato margine per verificare se i flussi demografici hanno elevato o diminuito il numero dei residenti (anche in forza del censimento di quest'anno), potendo elaborare strategie che consentano anche di aprire la compagine societaria ad altri comuni. Un percorso del genere, tuttavia, dovrebbe essere supportato da un adeguato piano industriale, tale da evidenziare il vantaggio per tutti i soci e per il potenziamento della stessa società.
Se la società può essere mantenuta in attività, i comuni devono in ogni caso verificare se essa può proseguire nella gestione dei servizi affidati, in base alle nuove norme sulla cessazione delle gestioni esistenti (articolo 4, comma 33, del Dl 138/2011), che risultano particolarmente restrittive e limitanti per gli organismi in house.
Il comma 32 dell'articolo 14 della legge 122/2010 ha subito numerosi interventi del legislatore, tanto che con il milleproroghe 2011 (legge 10/2011) la scadenza per le dismissioni era stata portata al 31.12.2013 e con il decreto sviluppo (legge 106/2011) è stata eliminata la parte della disposizione che rimetteva la sua attuazione a un decreto ministeriale.
Tuttavia nella parte della disposizione relativa alla razionalizzazione delle partecipazioni da parte dei comuni con popolazione tra 30mila e 50mila abitanti è rimasta la scadenza del 31 dicembre 2011. Tali enti, pertanto, entro fine anno potranno detenere la partecipazione a una sola società. La prossimità del termine obbliga le amministrazioni comunali interessate a definire in tempi molto rapidi una strategia, che può comportare soluzioni diverse, come ad esempio l'incorporazione per fusione o la costituzione di una holding. La rilevanza dei processi di dismissione e di razionalizzazione delle partecipazioni è ora rafforzata dalla previsione contenuta nel comma 28 dell'articolo 16 della manovra, nel quale è previsto che il prefetto accerti che gli enti territoriali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti, le operazioni di liquidazione delle società con bacino di riferimento sotto i 30mila abitanti e la rimodulazione degli assetti di controllo in un'unica referenza per i comuni tra 30mila e 50mila abitanti.
Qualora le scadenze non siano rispettate, il prefetto potrà assegnare agli enti interessati un termine perentorio entro il quale provvedere, ma in caso di ulteriore inadempienza, scatteranno le procedure per la nomina di un commissario ad acta. Stessa procedura anche per la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, prevista dall'articolo 2 della legge 191/2009 anch'essa ricondotta al termine del 31.12.2011 (articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIAffidamenti a miste da chiudere a giugno.
Piccoli comuni chiamati a elaborare entro pochi mesi una strategia complessiva per disegnare il futuro delle proprie società partecipate.
Il comma 32 dell'articolo 4 del Dl 138/2011 prevede che entro il 31.03.2012 cessino gli affidamenti diretti a società in house oltre i 900mila euro di valore e che entro il 30.06.2012 cessino gli affidamenti a società miste, nelle quali non ci sia stata la contestuale attribuzione al privato della qualità di socio e di specifici compiti operativi.
I due termini individuati per il periodo transitorio relativo alle gestioni in essere dei servizi pubblici con rilevanza economica sono antecedenti rispetto a quella individuata dal comma 32, il quale prevede la disciplina per la liquidazione delle società partecipate dai comuni con popolazione sotto i 30mila abitanti, con attuazione obbligatoria entro il 31.12.2012.
Accertata la rilevanza economica del servizio pubblico affidato e rilevato che non rientra tra quelli esclusi (ad esempio servizio idrico, farmacie, distribuzione del gas) dall'articolo 4 della manovra, i comuni dovranno definirne il dimensionamento economico annuo. Qualora, infatti, l'affidamento sia a una società con le caratteristiche dell'in house e il valore del singolo servizio su base annua non superi i 900mila euro, la gestione in essere potrà proseguire sino alla sua naturale scadenza.
Nell'ipotesi in cui una società risulti affidataria di più servizi, la valutazione rispetto al parametro economico dovrà essere fatta per ogni singola attività. Qualora invece l'ente locale abbia affidato il servizio a una società mista, nella quale al socio privato non siano state originariamente assegnate con la gara specifiche attività, la mancanza della combinazione è presupposto sufficiente per far venire meno l'affidamento in essere a metà 2012.
Il quadro normativo riconduce poi tutte le altre tipologie di affidamenti impropri di servizi pubblici con rilevanza economica alla scadenza prevista per quelli in house (31.03.2012).
Rientrano anzitutto in questa categoria gli affidamenti a società a capitale interamente pubblico da parte di enti non soci (quindi non in possesso di uno degli elementi necessari per l'esercizio del controllo analogo), così come quelli a società che non hanno le caratteristiche dell'in house (assenza di strumenti che garantiscano il controllo analogo, attività prevalentemente svolta dalla società a favore di soggetti non soci).
Tra le situazioni critiche si annoverano anche gli affidamenti a società miste nelle quali il socio privato non sia stato scelto con gara. Una volta vagliata la sostenibilità (o meno) di soluzioni che consentano il mantenimento delle gestioni in essere o che richiedano nuovi affidamenti, i comuni di minori dimensioni dovranno verificare se l'eventuale nuovo o trasformato modello societario soddisfi i parametri di efficienza economica o dimensionale previsti comma 32, potendo quindi proiettare il piano industriale del soggetto gestore oltre la fine del 2012 (articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIL'«in house» cambia lo statuto.
La nuova disciplina di riferimento per i servizi pubblici locali con rilevanza economica presenta alcuni profili critici in relazione alla gestione degli affidamenti a società in house, date le regole molto più restrittive di quelle comunitarie. Rispetto all'articolo 23-bis della legge 133/2008, la disciplina contenuta nell'articolo 4 del Dl 138/2011 ha un'importante differenza: non prevede per le società affidatarie in house la possibilità di mantenere la gestione esistente sino alla scadenza naturale, cedendo almeno il 40% del capitale sociale a un socio privato operativo, scelto con gara.
Il nuovo dato normativo impone agli enti soci di sviluppare un percorso più complesso. Anzitutto le amministrazioni devono approvare la modificazione dello statuto della società, per la sua apertura a soggetti privati nei termini di partecipazione minima previsti dalla nuova disciplina. Il passaggio successivo è la scelta del socio privato, mediante una procedura di gara che avrà come oggetto l'assegnazione delle quote o azioni (per almeno il 40% del capitale sociale) e l'attribuzione di specifici compiti operativi.
In questo quadro, la società mista deve essere configurata come gestore del servizio pubblico locale sulla base di un nuovo affidamento, fondato su un piano industriale che valorizza la partnership con il socio privato.
Un simile percorso è facilmente gestibile per i servizi pubblici dei quali gli enti locali sono sia titolari sia affidanti (ad esempio illuminazione pubblica, servizi cimiteriali), mentre risulta più complesso quando il soggetto affidante sia l'autorità d'ambito (o l'organismo che alla stessa deve succedere in funzione della soppressione delle stesse autorità, obbligatoria entro il 31 dicembre di quest'anno). In tale seconda ipotesi, infatti, la scelta del modello gestionale deve essere definita dagli enti locali che appartengono all'ambito territoriale ottimale in accordo con il soggetto pubblico responsabile dell'affidamento.
Le norme contenute nell'articolo 4 della manovra limitano le prospettive per il mantenimento in operatività delle società in house ai casi in cui queste siano affidatarie di servizi pubblici con rilevanza economica di valore inferiore ai 900mila euro annui.
Tuttavia le affidatarie dirette hanno un'ultima chance, rappresentata dalla possibilità di concorrere, in deroga al divieto generale di affidamento di servizi ulteriori stabilito dal comma 33, concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva a evidenza pubblica, avente a oggetto i servizi da essi forniti (come stabilito dall'ultimo periodo dello stesso comma).
Questa opzione, tuttavia, è esercitabile solo qualora un ente locale affidante di un servizio pubblico rientrante nel panel di quello gestito dall'affidataria in house decida di indire (comunque in tempi compatibili con la scadenza delle gestioni esistenti) una gara aperta agli operatori di settore, con i quali l'affidataria diretta dovrebbe confrontarsi (articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZI: Il nuovo governo delle partecipate dopo l’adeguamento della disciplina al referendum e alle norme U.E. (D.L. 138/2011).
Nuovo ampliamento del ricorso alla libera concorrenza e forti limitazioni all’affidamento in house. Dopo l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis, il D.L. 138/2011 riscrive le regole sull’affidamento dei servizi pubblici locali.
La nuova disciplina prevede che gli enti analizzino il mercato di riferimento, definendo i servizi da privatizzare e i diritti di esclusiva, e formalizzare i piani strategici in una delibera quadro.
La maggiore parte degli enti non ha molto tempo, perché la delibera va adottata prima che scadano le gestioni esistenti.
L’affidamento dei servizi con rilevanza economica (ad eccezione del servizio idrico) deve avvenire con gara, nel rispetto dei principi comunitari, o con la costituzione di società miste, con il socio privato al 40% del capitale.
L’affidamento in house è limitato ai servizi di valore inferiore ai 900.000 euro annui.
La tabella di marcia:
31.03.2012 cessano gli affidamenti diretti relativi a servizi di valore economico superiore ai 900.000 euro annui, nonché tutti gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi successivi;
30.06.2012 cessano le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, ma senza avere avuto ad oggetto la qualità di socio e l’attribuzione di compiti operativi connessi alla gestione del servizio;
30.06.2013 o il 31.12.2015 cessano gli affidamenti diretti già affidati alla data di inizio 2003, ove non siano rispettate le previste condizioni di riduzione della partecipazione pubblica alle scadenze previste (tratto dalla newsletter di www.autonomielocali.eu).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Utility, liberalizzazioni spuntate. La soglia di 900 mila euro per l'in house è troppo elevata. I rilievi della camera. A rischio l'apertura alla concorrenza a causa di comportamenti elusivi.
Altro che liberalizzazioni delle utility. L'ammissibilità degli affidamenti in house per contratti di valore pari o inferiore a 900 mila euro annui rischia di non centrare l'obiettivo di aprire alla concorrenza i servizi pubblici locali. Tale soglia, infatti, «è oggettivamente troppo elevata» e si presta «facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara».
Ad affermarlo è il servizio bilancio della camera che ha passato al setaccio le norme della manovra bis appena arrivate a Montecitorio per il varo definitivo.
Ed è proprio la parte relativa alle liberalizzazioni quella che maggiormente non convince i Fini-boys. L'art. 4 del dl 138, solo in minima parte modificato dal maxiemendamento del governo, riscrive la disciplina spazzata via dai referendum di giugno.
L'affidamento tramite gara non è più un obbligo ma viene chiesto agli enti locali di limitare l'attribuzione di diritti di esclusiva alle «ipotesi in cui, in base a una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità». Ragion per cui i motivi che inducono gli enti a decidere di sottrarre un servizio alla liberalizzazione dovranno essere esplicitati chiaramente in una delibera quadro.
La manovra non cancella gli affidamenti in house ma stabilisce un limite di valore al di sotto del quale possono essere disposti a favore di società a capitale interamente pubblico che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo. Ma è proprio l'aver fissato l'asticella a 900 mila euro a non convincere i tecnici della Camera. E non solo. Perché sul punto si è già espressa a fine agosto, con analoghe argomentazioni, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
In entrambi i casi i dubbi vertono sull'ammontare della soglia, considerato da un lato troppo alto («tale da poter determinare, per alcuni settori di attività economica, una sottrazione quasi integrale dai necessari meccanismi di concorrenza per il mercato») e dall'altro non sufficiente a evitare condotte elusive.
Basterebbe infatti frazionare gli affidamenti in tante tranche, ciascuna di valore inferiore a 900.000 euro annui, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in house. Una considerazione che ha portato l'Antitrust a ritenere il sistema introdotto meno efficace di quello previgente, ma al tempo stesso non migliorabile con modifiche al ribasso della soglia «data l'arbitrarietà con cui qualsiasi valore verrebbe eventualmente determinato».
Non convince anche il regime transitorio per gli affidamenti diretti. Il comma 32 dell'articolo 4 prevede che gli affidamenti diretti, relativi a servizi il cui valore economico superi i 900.000 euro annui, cessano improrogabilmente al 31.03.2012; per i servizi di valore inferiore a 900.000 annui vale la scadenza originaria dell'affidamento. Perché allora fissare una soglia di valore? Se lo chiede anche l'Autorità garante presieduta da Antonio Catricalà.
«Appare del tutto inconferente un valore predeterminato del servizio quale criterio per giustificare la prosecuzione degli affidamenti, effettuati in house, sino alla loro scadenza naturale». «Inoltre», prosegue, «la norma, per come formulata, stabilisce l'esenzione dalla scadenza anticipata per tutti gli affidamenti diretti, non solamente per quelli in house, ampliando ulteriormente, rispetto a quanto previsto dal comma 13 per i nuovi affidamenti, la platea dei soggetti che possono continuare a gestire servizi pubblici locali senza aver vinto alcuna gara» (articolo ItaliaOggi del 10.09.2011).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Cessano gli affidamenti diretti superiori a 900 mila euro. Vincoli per le società in house. Esclusi tpl, acqua, energia, gas e farmacie comunali. Utility, liberalizzazioni dal 2012.
Entro metà 2012 e il 2015 dovranno essere riviste le modalità di affidamento delle gestioni dei servizi pubblici locali. Previste le condizioni per la liberalizzazione dei servizi. Ammesse le gestioni in esclusiva ma con scelta del gestore in gara. Vincoli per le società in house; escluso il servizio idrico, l'energia, il trasporto locale, le farmacie e il gas naturale.
Sono questi alcuni dei punti principali della disciplina in materia di servizi pubblici locali dettata dall'articolo 4 della manovra approvata dal senato. Un primo dato di rilievo riguarda le modalità con le quali si deve perseguire il processo di liberalizzazione dei servizi; la disposizione, fatta salva la proprietà pubblica delle reti, invita infatti ad attuare una gestione concorrenziale che deve però essere realizzata «compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizi».
Nei casi in cui si dovesse mantenere un regime di esclusiva, ciò dovrà avvenire in base ad una analisi di mercato (da effettuare entro un anno dall'entrata in vigore della legge e ogni volta che si intende conferire o rinnovare una gestione) da cui si desuma che l'inidoneità della «libera iniziativa economica privata» a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
In ogni caso l'attribuzione di diritti speciali di esclusiva al gestore deve avvenire a seguito di procedure competitive ad evidenza pubblica cui possono partecipare anche società interamente pubbliche o straniere, a condizione di reciprocità. La legge definisce anche specifici contenuti (in gran parte cogenti) per i bandi di gara ed alle lettere di invito relative le procedure competitive ad evidenza pubblica, con prescrizioni ulteriori quando i bandi di gara e le lettere di invito hanno ad oggetto la qualità di socio, cui conferire una partecipazione non inferiore al 40%, unitamente all'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio.
Queste ultime disposizioni potranno essere derogate laddove il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento sia pari o inferiore alla somma complessiva di 900 mila euro annui, consentendo l'affidamento (non si tratta di «gara») a favore di società a capitale interamente pubblico che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento europeo per la gestione cosiddetta «in house» (c.d. controllo analogo). Dopo avere dettato diversi divieti ed incompatibilità per nomine e gli incarichi da conferire, l'articolo 4 prevede un articolato regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dalla norma stessa.
Il 31.03.2012 cessano gli affidamenti diretti relativi a servizi di valore economico superiore a 900 mila euro annui, nonché tutti gli affidamenti diretti che non rientrano nei casi successivi.
Il 30.06.2012 cessano le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, ma senza aver avuto ad oggetto la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio.
Alla scadenza prevista nel contratto di servizio, cessano invece le ipotesi di cui ai casi precedente, quando le relative procedure competitive abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio. Alla scadenza prevista nel contratto di servizio cessano anche gli affidamenti diretti assentiti alla data dell'01.10.2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente.
Il 30.06.2013 o il 31.12.2015 cessano gli affidamenti diretti già affidati alla data di inizio 2003, ove non siano rispettate le previste condizioni di riduzione della partecipazione pubblica alle scadenze previste (articolo ItaliaOggi del 09.09.2011).

APPALTI SERVIZIServizi pubblici locali, torna l'affidamento con gara. La manovra-bis ha riscritto la disciplina dopo i referendum di giugno.
Passo in avanti nella riforma dei servizi pubblici locali a rilevanza economica: dopo il referendum abrogativo dell'art. 23-bis del dl 112/2008 il governo riscrive con la manovra-bis la disciplina dei servizi pubblici locali.
L'art. 4 del dl 13/08/2011 n. 138, passato all'esame della camera dei deputati dopo l'approvazione del disegno di legge di conversione da parte del senato, detta le nuove regole in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali riproponendo il principio generale previsto nel precedente art. 23-bis dell'affidamento con gara.
Tra i numerosi punti affrontati dal provvedimento si riportano di seguito gli aspetti generali relativi alle modalità di affidamento e al regime transitorio.
Il comma 1 dell'articolo in esame prescrive che gli enti locali affidanti debbano procedere «nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi» a una verifica circa la possibilità di realizzare una «gestione concorrenziale» dei servizi pubblici locali a rilevanza economica «liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio» e limitando l'attribuzione dei diritti di esclusiva soltanto nei casi in cui, attraverso un'analisi di mercato, si riscontri che «la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità». Come disposto dai successivi commi 2, 3 e 4 tale verifica, da adottare con delibera degli enti e da trasmettere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dovrà essere espletata entro 12 mesi dall'entrata in vigore del decreto in esame e, comunque, al momento del conferimento o del rinnovo della gestione del servizio.
Il comma 8 sancisce il principio generale dell'affidamento con gara disponendo che il conferimento della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica «avviene in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive a evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità».
Accanto al modello dell'affidamento con gara l'art. 4, dopo avere fornito alcuni principi generali da adottarsi nei bandi di gara o nelle lettere di invito alla base delle procedure ad evidenza pubblica, ripropone per l'affidamento del servizio anche il modello di gestione delle società a capitale misto pubblico–privato.
Al comma 12, infatti, a integrazione delle disposizioni contenute nei commi 8, 9, 10 e 11, menziona l'ipotesi del socio privato selezionato con gara al quale deve essere riconosciuta una partecipazione al capitale non inferiore al 40% e devono essere attribuiti specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio.
Il successivo comma 13, in aggiunta, in deroga alla modalità ordinaria di affidamento con gara riconosce agli enti locali la possibilità di procedere ad affidamenti diretti. Dispone, infatti, che laddove il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento sia pari o inferiore alla somma complessiva di euro 900 mila annui gli enti locali possono affidare direttamente il servizio a società a totale partecipazione pubblica in possesso dei requisiti, ormai consolidati nella normativa comunitaria e nazionale, richiesti per la qualificazione delle cosiddette gestioni «in house» («controllo analogo da parte degli enti titolari a quello esercitato sui propri servizi» e «esercizio della parte più importante della attività con gli enti titolari» oltre al capitale detenuto dagli enti affidanti).
Si riportano infine le nuove indicazioni contenute nel comma 32 relative al regime transitorio per gli affidamenti in essere non conformi alla nuova disciplina.
Per gli affidamenti diretti relativi a servizi di valore superiore alla predetta soglia di 900 mila euro annui se ne prevede improrogabilmente la scadenza entro la data del 31/03/2012; analoga scadenza è prevista per tutti gli altri affidamenti diretti non rientranti nei casi successivamente illustrati.
È previsto, invece, il maggior termine del 30/06/2012 per la cessazione degli affidamenti a favore delle società miste pubblico–privato in cui il privato sia stato selezionato con procedure ad evidenza pubblica espletate nel rispetto dei principi generali della gara di cui al comma 8 ma che non abbiano avuto ad oggetto anche la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio; diversamente per i casi in cui la selezione del partner privato risulti conforme ai principi generali di cui al comma 8 e questa abbia avuto ad oggetto anche la qualità del socio e l'attribuzione dei compiti operativi è previsto il mantenimento della scadenza originaria dell'affidamento.
Per gli affidamenti diretti assentiti alla data dell'01/10/2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'art. 2359 del codice civile, è prevista la possibilità di mantenimento della scadenza del contratto di servizio a condizione che la partecipazione pubblica si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, a una quota non superiore al 40% entro il 30/6/2013 e non superiore al 30% entro il 31/12/2015. Tali affidamenti cessano improrogabilmente alle date del 30/6/2013 o del 31/12/2015 nel caso di mancato rispetto delle predette condizioni.
Si ricorda, infine, come riportato nel comma 34, che sono esclusi dall'applicazione della nuova disciplina il servizio idrico integrato (salvo le disposizioni contenute nei commi da 19 a 27), il servizio di distribuzione del gas naturale, il servizio di distribuzione dell'energia elettrica, il servizio di trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali.
Restano salve, inoltre, le procedure di affidamento avviate alla data di entrata in vigore del decreto in esame (articolo ItaliaOggi del 09.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ In house, un percorso a ostacoli. Ai raggi X efficienza, economicità, Patto e controllo analogo. Il dl 138 riammette gli affidamenti. Ma i paletti normativi restano.
Se il referendum dello scorso giugno, che ha abrogato l'art. 23-bis, ha restituito agli enti locali quella libertà di autorganizzazione sancita dal Trattato Ue e dalla Corte di giustizia europea, con la manovra di Ferragosto il legislatore ha riaperto alla costituzione di società in house laddove il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento non superi 900.000,00 annui, intendendosi per tale valore la somma del valore del contratto di servizio e la contribuzione tariffaria pubblica.
L'apparente libertà dell'affidamento o del mantenimento di servizi (al di sotto di tale nuova soglia) a favore di società comunali incontra tuttavia vincoli legislativi nazionali e comunitari e/o di opportunità che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza dell'in house.
La cornice entro cui si inquadra la nuova disciplina è la preventiva, delicata e imprescindibile valutazione da parte degli enti locali, entro il 12.08.2012 e in ogni caso prima del conferimento o del rinnovo della gestione dei servizi, della realizzabilità di una gestione concorrenziale degli stessi, escludendoli da un processo di liberalizzazione solo se si dimostra che in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non sia in grado di assicurare un servizio rispondente ai bisogni della collettività.
La relativa delibera ricognitiva dovrà essere trasmessa all'Antitrust.
Inoltre, l'assoggettamento delle società in house al Patto di stabilità interno, ai sensi del c. 14 dell'art. 4 della manovra estiva, di cui si attendono i relativi provvedimenti attuativi, potrebbe peggiorare i saldi del gruppo comunale a seguito della rilevanza di uscite/spese delle in house a fronte di entrate/ricavi non rilevati.
Ecco che il processo di esternalizzazione dei servizi pubblici locali, attivato da molti comuni mediante la costituzione di mirate società in house proprio per rispettare le regole del patto di stabilità interno, potrebbe trovare nelle regole del patto consolidato il proprio capolinea, a prescindere da qualsiasi altra valutazione o considerazione sostanziale o di merito.
Alla luce di quanto sopra, con riferimento alle società in house ammesse dalla recente manovra sarà necessario valutare attentamente i diversi aspetti, tra cui la giustificazione del mantenimento rapportata alle finalità istituzionali, alla comprovata efficienza ed economicità della gestione rispetto al mercato, alla incidenza del futuro patto di stabilità consolidato nonché al rispetto dei vincoli imposti dalla giurisprudenza comunitaria relativa al cosiddetto «controllo analogo». Con l'avvertenza che l'assenza di un vero controllo analogo esporrebbe l'ente a possibili ricorsi alla magistratura amministrativa da parte di potenziali concorrenti del mercato (articolo ItaliaOggi del 02.09.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sugli affidamenti in house tetto a 900mila euro annui. Servizio idrico integrato spostato tra gli «esclusi». Manovra di Ferragosto. Dopo il referendum abrogativo di giugno.
L'attesa per la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, all'indomani del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno, è rimasta delusa dalla manovra correttiva di Ferragosto.
Il capitolo dei servizi pubblici locali interviene sul tema delle liberalizzazioni riproponendo gran parte delle disposizioni dell'articolo 23-bis del Dl 112/2008 (e del relativo regolamento attuativo) abrogate, dal 20 luglio, con il Dpr 113/2011 di recepimento dei risultati referendari.
Balza all'occhio lo spostamento del servizio idrico integrato nella lista dei settori esclusi, in cui erano già presenti la distribuzione di gas naturale, di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e le farmacie. Dopo l'ampia portata del referendum, che ha riguardato le forme di gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica in generale e non solo l'acqua (messa al centro della campagna referendaria), ci si attendeva un intervento modificativo incisivo rispetto alla precedente regolamentazione.
Limiti e verifiche.
L'articolo 4 del Dl 138/2011 ora richiede agli enti locali di verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici economici e privatizzare le attività, compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio, limitando i servizi da concedere in esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. Le verifiche devono approdare in una delibera quadro, che deve dimostrare l'istruttoria compiuta ed evidenziare i settori sottratti alla liberalizzazione, il fallimento del sistema concorrenziale e, dall'altro lato, i benefici per lo sviluppo e l'equità della comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio.
La delibera, da approvare entro il 12.08.2012 (e poi periodicamente secondo gli ordinamenti locali e, in ogni caso, prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi), va pubblicizzata e inviata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento.
Rispetto al quadro precedente, gli affidamenti in house sono ulteriormente ridotti. Questi ultimi, infatti, sono ammessi, in deroga ai principi di gara, solo se il valore economico dell'affidamento non supera i 900mila euro annui e sono consentiti a favore di società a capitale interamente pubblico che rispettino i requisiti comunitari.
Procedure competitive.
Il conferimento dei servizi nei casi di diritti di esclusiva deve avvenire mediante procedure competitive ad evidenza pubblica ( prescritti anche i contenuti del bando o della lettera invito). Sono ammesse società miste con socio privato selezionato tramite gara con doppio requisito (qualità di socio, con una quota non inferiore al 40% e con compiti operativi). Le gare devono rispettare, altresì, il trattato europeo, i principi generali dei contratti pubblici e gli standard definiti dalla legge, dalla autorità di settore o dagli enti affidanti.
Le imprese straniere possono partecipare alle gare nel rispetto del principio di reciprocità. È prevista, inoltre, la partecipazione a queste gare delle società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei divieti eventualmente previsti dalla legge (comma 9).
Tale facoltà, però, è subito contrastata dal comma 33 (si veda anche l'analisi nella parte bassa di questa pagina), in cui sono disciplinati i divieti per le società affidatarie di servizi per via diretta o senza gara (in Italia o altrove): di acquisire la gestione di servizi ulteriori o in ambiti territoriali diversi; di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite controllanti o società partecipate, né partecipando a gare.
Il divieto si applica anche alle controllate e alle controllanti e si estende alle patrimoniali e alle miste; mentre sono escluse le quotate e il socio privato di società mista. Unica deroga per le società affidatarie dirette di servizi pubblici è la possibilità di concorrere, su tutto il territorio nazionale, alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, avente a oggetto i servizi da esse forniti (articolo Il Sole 24 Ore del 29.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Blocco verso i soggetti diventati gestori senza gara.
Il divieto imposto alle società affidatarie di servizi in via diretta o senza gara, di acquisire nuovi servizi o espandere territorialmente quelli già gestiti (comma 33, articolo 4 del decreto legge 138/2011) fa infrangere anche un'altra disposizione contenuta nella nuova regolamentazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.
Si tratta della norma che detta le condizioni a cui devono sottostare i soggetti gestori dei servizi pubblici locali titolari di diritti di esclusiva, nei casi in cui intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva (comma 7). Tramite il richiamo alla legge 287/1990, sulle norme per la tutela della concorrenza e del mercato, sono fissati i due paletti per lo svolgimento dell'attività per il mercato: da un lato, l'obbligo di operare mediante società separate (articolo 8, comma 2-bis della legge 287/1990) e, dall'altro, l'obbligo di rendere accessibili i beni o servizi anche informativi, di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti (articolo 8, comma 2-bis della legge 287/1990).
La lettura del comma sembrerebbe consentire alle società che esercitano servizi pubblici locali anche in affidamento diretto (non escluse dal comma) lo svolgimento di attività per il mercato, a condizione che non lo facciano direttamente, ma tramite apposite società separate. Quindi si aprirebbe per le società in house la prospettiva di superare il limite della territorialità.
Ma tutto ciò è ostacolato ed impedito dal divieto (contenuto nel comma 33) per le società che beneficiano di affidamenti diretti, di partecipare alle gare (eccetto alla prima nel settore in cui esercitavano il servizio). Il divieto, che opera per tutta la durata della gestione, si estende, infatti, alle controllanti e alle altre società che siano da esse controllate o partecipate. L'auspicio è che la conversione del decreto legge chiarisca la contraddizione (articolo Il Sole 24 Ore del 29.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Liberalizzazioni, il potere è locale. Tocca ai comuni decidere quali servizi pubblici dare ai privati. Il decreto legge 138/2011 affida a una delibera quadro dell'ente la scelta delle attività interessate.
Liberalizzazione dei servizi pubblici locali nelle mani degli enti locali. Dovranno individuare quali servizi affidare al libero mercato e quali, invece, mantenere in regime di esclusiva. Le imprese dovranno attendere che l'amministrazione approvi la delibera quadro sui servizi liberalizzati.
Ma vediamo di illustrare il quadro prefigurato dall'articolo 4 del decreto legge 138/2011, per vedere quali spazi concreti si aprano al libero mercato. In prima battuta, dunque, l'ente locale deve decidere che cosa lasciare alla libera iniziativa economica e che cosa attribuire in esclusiva a un gestore. In quest'ultimo caso il gestore deve essere scelto con una gara pubblica o con una procedura pubblica ristretta.
L'affidamento del servizio può avvenire anche con una gara a doppio oggetto: cessione di quote societarie (almeno il 40%) e affidamento di compiti operativi.
Se il valore economico del servizio è pari o inferiore a 900 mila euro l'ente locale può costituire una propria società cui affidare direttamente (senza gara) il servizio. In quest'ultimo caso si parla di società in house, sotto il controllo dell'ente locale, controllo analogo a quello esercitato dall'ente sui propri uffici.
Nel caso di servizi liberalizzati si aprono le porte interamente alla gestione di imprenditori in concorrenza tra loro e, vista dal punto di vista delle imprese, si aprono spazi di mercato.
L'ampiezza della liberalizzazione del mercato dei servizi pubblici locali dipende dalla valutazione circa l'inadeguatezza del libero mercato di garantire i bisogni della comunità locale.
La valutazione verrà fatta con una apposita deliberazione quadro, che deve motivare le ragioni delle esclusive.
Una impostazione di questo tipo risente del fatto che la nozione di servizio pubblico locale è lasciata alla discrezionalità dell'ente locale stesso. Certo vi sono linee di fondo tracciate dalla legge e in particolare dall'articolo 112 del Testo unico degli enti locali (dlgs 267/2000), che prevede che sono gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, a provvedere alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
La genericità della norma è stata spiegata con la circostanza che gli enti locali, e il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni e attività, se rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale di riferimento, assumere come doverose.
Si tratta di elementi discrezionali (finalità sociali e promozione della comunità locale): gli stessi elementi che potranno essere tenuti in considerazione nella approvazione della deliberazione quadro.
L'ente deciderà cosa può essere lasciato al privato. Per fare una panoramica su cosa potrà essere affidato al libero mercato si può fare riferimento alle attività inserite nella prassi nella nozione di servizio pubblico locale.
Vi rientra e quindi potrà essere oggetto di liberalizzazione il servizio di raccolta rifiuti e di igiene ambientale e di illuminazione pubblica, la gestione dei servizi cimiteriali e delle lampade votive, la gestione delle affissioni pubblicitarie e dei segnali indicatori, gestione del trasporto pubblico locale, la gestione di servizi come la mensa scolastica, biblioteche. In giurisprudenza sono stati qualificati tra i servizi pubblici locali anche tutti i servizi riguardanti la nautica da diporto.
I tribunali hanno invece escluso che possa configurarsi un servizio pubblico locale per la costruzione e l'esercizio di impianti per l'energia eolica.
Sempre dal punto di vista delle imprese, va sottolineato che allo stato non possono fare altro che attendere la delibera quadro, la quale è prevista entro un anno e cioè entro il 13.08.2012 e comunque prima del conferimento e del rinnovo della gestione dei servizi. A questo proposito si dovrà tenere conto del regime transitorio previsto per gli affidamenti attualmente in essere e in contrasto con la nuova disciplina: si va dal marzo 2012 fino alla scadenze dei contratti di servizio attualmente stipulati (comma 32 dell'articolo 4 del decreto 138/2011) (articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA BIS/ Servizi, l'ente locale rischia grosso. La liberalizzazione obbligata espone i comuni a perdite ingenti. Le esclusive limitate a pochi servizi pubblici essenziali, per cui il privato è considerato inidoneo.
Rischio di perdite per gli enti locali dalla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L'obbligo di mettere sul mercato i servizi pubblici potrebbe, infatti, comportare la dismissione di attività redditizie, con conseguenti perdite per l'ente locale. Questo il possibile effetto della manovra economica-bis (decreto 138/2011), che all'articolo 4 si occupa dell'adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali alla normativa comunitaria (con una disciplina speciale per i settori acqua, gas, energia elettrica, ferrovie regionali e farmacie comunali).
Vediamo, comunque, come diventerà operativa la liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Tra l'altro le disposizioni riguardano solo il futuro, in quanto le procedure di affidamento già avviate all'entrata in vigore del presente decreto legge sono salve. In questi casi la liberalizzazione può attendere.
In base alla norma gli enti locali dovranno verificare periodicamente la fattibilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, con l'obiettivo di liberalizzare tutte le attività economiche. Liberalizzare significa mettere sul mercato e togliere da un regime di esclusiva. Non a caso la norma dispone esplicitamente di voler limitare i diritti di esclusiva a casi eccezionali e cioè quando i privati sarebbero inidonei a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
La disposizione è vaga e indefinita, ma sarà lo stesso ente locale a dover fare le scelte concrete. L'articolo quattro, infatti, demanda allo stesso ente locale di adottare una delibera quadro, in cui elencare i settori sottratti alla liberalizzazione, con ampia motivazione della scelta della sottrazione al mercato.
Insomma con una deliberazione ben motivata la liberalizzazione viene stoppata. Tra l'altro non c'è alcun controllo specifico sulla deliberazione. In effetti l'articolo 4 prevede un invio della deliberazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma non prevede poteri inibitori dell'Antitrust. Certo, i privati possono ricorrere contro le deliberazioni, e allora la palla passerà in mano ai tribunali amministrativi. E comunque si potranno fare segnalazioni alla Corte dei conti per provocare un intervento del giudice contabile in relazione a danni erariali derivanti dalla mancata liberalizzazione.
La deliberazione in questione deve essere adottata una prima volta entro un anno e poi periodicamente a seconda di quanto prevederà il regolamento dell'ente locale. In ogni caso la deliberazione dovrà precedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi.
La scelta del mercato (e quindi della attribuzione del servizio pubblico al privato) dovrà comunque essere prioritaria, in quanto il decreto 138 esplicita la regola delle compensazioni economiche a favore dei gestori privati, tenuti eventualmente a rispettare tariffe basse o particolari condizioni di erogazioni. La norma a questo proposito dice che gli enti locali, se necessario, definiscono gli obblighi di servizio pubblico, e l'ente locale deve premunirsi di definire tali obblighi per non lasciare all'azienda ogni scelta sulla erogazione del servizio (sarebbe una delega in bianco al privato su come gestire il servizio pubblico). Di questo aspetto l'ente locale deve ricordarsi già al momento della stesura degli atti di gara per il conferimento del servizio (bandi e capitolati, schemi di contratti di servizio).
Quanto ai possibili effetti dell'intervento la norma sostiene che la stessa sia a costo zero. Tuttavia, nei lavori preparatori, la stessa nota di lettura del servizio del bilancio del senato mette in evidenza possibili conseguenze negative indirette sui bilanci degli enti locali.
La realizzazione di una gestione concorrenziale dei servizi non pare, si legge nella nota, debba tenere conto delle incidenze finanziarie che esso potrà procurare ai bilanci degli enti locali e quindi potrebbe accadere che, per effetto della presenza di una gestione concorrenziale, l'ente locale si trovi a esternalizzare un servizio economicamente redditizio per il bilancio dell'ente.
Si noti, infatti, che tra le motivazioni della deliberazione per sottrarre un singolo servizio al mercato non è prevista la convenienza per l'ente di tenere il servizio stesso in quanto porta soldi alle casse pubbliche. Nella deliberazione si dovrà fare riferimento ai fallimenti del sistema concorrenziale e/o ai benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità all'interno della comunità locale del mantenimento del regime di esclusiva. Ma non si fa riferimento, invece, al fatto che la gestione del servizio sia redditizia e porti utili.
Una motivazione di questo tipo sarebbe facilmente impugnabile dai privati interessati ad accaparrarsi quote di mercato, in quanto non è prevista dalla legge.
Altra questione evidenziata dal servizio bilancio del senato è se dalla liberalizzazione deriveranno entrate di tipo mobiliare per l'ente e se, paradossalmente, il loro utilizzo non determini effetti negativi in termini di indebitamento netto. Infatti, tali entrate sono inclusa fra le partite finanziarie e non possono essere utilizzata a miglioramento dell'indebitamento netto. Mentre un suo eventuale utilizzo in termini di spesa dovrebbe tradursi in senso negativo sul medesimo saldo dell'indebitamento netto (articolo ItaliaOggi del 25.08.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZIMANOVRA-BIS/ Largo ai privati nei servizi pubblici locali.
Il Governo ci riprova dopo il referendum ma esclude l'acqua - Possibile gestione delle reti a imprese.
ATTENZIONE ALLA QUALITÀ - Un socio privato potrà essere messo alla porta se non rispetterà gli impegni assunti Attuazione delle nuove regole a partire dal marzo 2012.

Nuove prove di liberalizzazione e privatizzazione per i servizi pubblici locali. La disciplina è, per certi versi, più aperta al mercato di quanto lo fosse lo stesso articolo 23-bis, abrogato dal referendum del 12-13 giugno. Si creano spazi nuovi di liberalizzazione piena per servizi o segmenti di servizi. È ammessa la gestione privata delle reti anche se resta ferma la proprietà pubblica.
L'affidamento in house è ammesso liberamente solo fino a 900mila euro. Le società pubbliche, che potranno partecipare alle gare anche se controllate al 100% dagli enti locali, dovranno però rispettare le regole del patto di stabilità e quelle del settore pubblico per l'assunzione di personale con concorsi qualora svolgano servizio in house.
Sono esclusi, però, dalla nuova disciplina l'acqua e i servizi idrici, cosa che fa ritenere al Governo e al ministro delle Regioni, Raffaele Fitto, padre anche della nuova riforma, come della vecchia, che le norme siano legittime e possano superare senza problemi il vaglio del Quirinale. Esclusi anche i settori dell'energia, del gas, delle ferrovie e delle farmacie. Restano, in sostanza, trasporti su gomma, rifiuti, illuminazione.

Il nuovo decalogo dettato agli enti locali definisce spazi di liberalizzazione piena, anche se le norme dovranno ovviamente affrontare la prova della realtà. Primo: è previsto che l'ente locale debba anzitutto verificare se un servizio pubblico sia pienamente liberalizzabile, se ci siano, cioè, imprese private disposte a realizzarlo senza contributi pubblici, garantendo le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio. Se più imprese vogliono svolgere liberamente il collegamento in autobus città-aeroporto, perché non consentirlo?
Secondo: se proprio si deve affidare un servizio in esclusiva, la delibera che lo decide deve essere trasmessa all'Autorità antitrust. Terzo, l'affidamento del servizio in esclusiva va fatto sempre con una gara. Quarto, se l'ente pubblico decide di costituire una società mista, dovrà fare una gara per la scelta del socio privato dove «i criteri di valutazione delle offerte basati sulla qualità e corrispettivo del servizio prevalgano di norma su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie». Il socio privato non potrà avere meno del 40% del capitale.
Una novità è la possibilità di mettere alla porta il socio privato che non svolga «i compiti operativi connessi alla gestione del servizio per l'intera durata del servizio stesso». In quel caso, si rimette in gara la quota per il socio privato. Saranno definiti dal bando di gara anche «criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione».
Ritorna la norma che era contenuta nell'articolo 23-bis abrogato dal referendum sulle incompatibilità degli amministratori delle società pubbliche che non potranno provenire da incarichi politici, come per esempio quelli di consiglieri o assessori (si veda anche il servizio sul taglio ai costi della politica in pagina 3).
Come già era previsto nell'articolo 23-bis, la nuova disciplina detta una norma per il regime transitorio. Gli affidamenti diretti in house di importo superiore a 900mila euro cessano il 31.03.2012. Le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante gare ma non con la gara a doppio oggetto (affidamento del servizio e scelta del socio) cesseranno il 30.06.2012. Le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante gara a doppio oggetto cesseranno alla scadenza naturale del contratto di servizio.
Gli affidamenti diretti avvenuti alla data dell'01.10.2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica si riduca progressivamente attraverso gare «o forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali». La quota pubblica non dovrà essere superiore al 40 per cento entro il 30.06.2013 e al 30 per cento entro il 31.12.2015. È la norma che salverà molte aziende quotate affidatarie di servizi aggiudicati senza gara.
Positiva la valutazione di Fitto. «Come concordato nel corso del confronto con le parti sociali all'inizio di settimana -dice il ministro- il Governo ha varato su mia proposta, all'interno del decreto approvato questa sera, un insieme di norme che riannodano il filo spezzato della liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L'Italia ha bisogno in questo settore di una spinta poderosa alla competitività e all'efficienza per stimolare la crescita economica e per ricondurre finalmente a condizioni di trasparenza e correttezza i rapporti tra sfera politica e sfera economica» (articolo Il Sole 24 Ore del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

APPALTI SERVIZIOk ai servizi in house o misti. Confermati gli affidamenti coerenti con l'ordinamento Ue.
LE CONDIZIONI - Controllo «analogo» da parte degli enti locali soci e svolgimento della maggior parte dell'attività della società a favore degli stessi.

Il risultato del referendum non tocca le gestioni di servizi pubblici locali esistenti che possono proseguire sino alla scadenza naturale, a condizione che siano coerenti con l'ordinamento comunitario. L'abrogazione dell'articolo 23-bis della legge n. 133/2008 a seguito degli esiti della consultazione del 12-13.06.2011 (quesito numero 1) produce una serie di effetti sul sistema di riferimento per i servizi pubblici locali con rilevanza economica, dei quali i comuni devono tener conto per l'elaborazione di adeguate strategie.
Una delle conseguenze del venir meno della norma è rilevabile nelle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 26.01.2011 (con la quale è stato ritenuto ammissibile il quesito referendario).
La Consulta, facendo riferimento in molti punti alla sua analisi del sistema dei servizi pubblici prodotta con la sentenza n. 325/2010, ha evidenziato che l'articolo 23-bis costituiva normativa più restrittiva rispetto al quadro regolativo comunitario, il quale si pone come normativa diretta a favorire l'assetto concorrenziale minimo e inderogabile del mercato.
L'articolo 86, comma 2, del Trattato Ue, infatti, determina anche per le società partecipate l'essere soggette alle regole della concorrenza.
L'esito di maggior impatto del referendum è senza dubbio la possibilità di proseguire le gestioni esistenti, affidate a società in house o miste, sino alla loro scadenza naturale, poiché la dead line del 31.12.2011 non è più prevista. La rilevanza dell'ordinamento comunitario sancita dalla Corte costituzionale impone tuttavia alle amministrazioni locali di sottoporre a un'accurata revisione tutti gli affidamenti di servizi pubblici in essere, per verificarne la coerenza e tenuta rispetto ai parametri delineati dall'Unione europea per la gestione dei servizi di interesse generale, nonché per stabilire un'adeguata strategia nel medio periodo.
Per gli affidamenti in house sfumano i presupposti di eccezionalità e non è più necessario il parere dell'Agcm, ma devono necessariamente sussistere sia il controllo analogo da parte degli enti locali soci, sia lo svolgimento della maggior parte dell'attività della società a favore degli stessi.
Qualora un'amministrazione intenda costituire una società mista, dovrà comunque attenersi ai principi del partenariato pubblico privato di tipo istituzionale, individuati dalla Commissione Ue nella comunicazione interpretativa C(2007)6661 del 05.02.2008, nella quale stabilisce che il socio privato deve essere scelto con procedura ad evidenza pubblica (gara) ed allo stesso devono essere affidati contestualmente specifici compiti operativi. Anche questo principio è stato assunto nella giurisprudenza nazionale. Le linee-guida della Commissione Ue non individuano peraltro alcuna percentuale di capitale sociale da attribuire al partner privato.
Per questo tipo di organismi risulta possibile l'acquisizione di servizi ulteriori, tuttavia solo partecipando a gara, come la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale hanno evidenziato, anche di recente (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 2222 dell'11.04.2011).
L'eliminazione dei vincoli dettati dall'articolo 23-bis in ordine ai modelli gestionali per i servizi pubblici locali permette di ipotizzare soluzioni diverse, tra le quali anche la gestione in economia, quando il servizio sia di modesta entità (come affermato dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 552 del 26.01.2011).
Gli effetti dell'abrogazione del l'articolo 23-bis non incidono invece sulle discipline settoriali della distribuzione di gas naturale, della distribuzione di energia elettrica, della gestione delle farmacie comunali e del trasporto ferroviario regionale, espressamente sottratte dalla stessa norma alla sua sfera applicativa ed evidenziate come oggetti esclusi dalla portata del referendum dalla sentenza n. 25/2010 della Corte costituzionale. Pertanto può proseguire il processo di sviluppo delle gare per il gas sulla base della recente determinazione degli ambiti territoriali minimi (articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2011 - link a www.corteconti.it).
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Personale, vincoli a reclutamento e costi.
L'affidamento di servizi pubblici locali a società partecipate mediante il modulo dell'«in house providing» deve essere comunque fondato sui presupposti richiesti dall'ordinamento comunitario. L'abrogazione dell'articolo 23-bis della legge n. 133/2008 a seguito del referendum elimina i presupposti particolari che dovevano guidare le amministrazioni nell'analisi di sostenibilità del particolare modulo, nonché l'intera procedura relativa al parere obbligatorio dell'Agcm.
Tuttavia il nuovo quadro di riferimento deve essere fondato sui parametri affinati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue a partire dalla sentenza Teckal del 1998, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325/2010.
Secondo la normativa comunitaria, le condizioni che consentono questa soluzione gestionale sono tre e devono sussistere contestualmente: capitale totalmente pubblico, controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario di «contenuto analogo» a quello esercitato dall'aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.
La Consulta richiama l'orientamento storico della Corte di giustizia Ue, per la quale le condizioni per l'affidamento diretto devono essere interpretate restrittivamente, poiché l'in house providing costituisce un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. L'eccezione è giustificata dal diritto comunitario sulla base di una valutazione per cui le tre condizioni escludono che l'in house configuri un rapporto contrattuale intersoggettivo (tra amministrazione e società affidataria) distorsivo del confronto concorrenziale, determinando invece una vera e propria relazione organizzativa (sancita come rapporto interorganico).
L'elemento-chiave è individuabile nel controllo analogo, che deve tuttavia essere sostanziato con varie misure (norme statutarie, previsioni nei patti parasociali, disposizioni nel contratto di servizio), combinate in modo tale da permettere all'ente locale di esercitare un'influenza effettiva sui principali processi decisionali della società partecipata alla quale è stato assegnato il servizio pubblico in via diretta.
Rispetto alle gestioni esistenti derivanti da affidamenti teoricamente impostati secondo il modulo in house, le amministrazioni locali sono chiamate a riesaminare gli strumenti di interazione con le affidatarie, al fine di eliminare possibili criticità che potrebbero evidenziarne comunque l'incoerenza con i necessari presupposti fissati in ambito comunitario. La configurazione di una società come gestore di un servizio in base all'in house providing e quindi quale organismo del sistema pubblico allargato ne determina la sottoposizione alle stesse regole organizzative e contabili.
L'abrogazione dell'articolo 23-bis e l'inapplicabilità del Dpr n. 168/2010 non incidono sull'assoggettamento delle società affidatarie dirette di servizi pubblici all'articolo 18 della legge n. 133/2008, con conseguente obbligo di adozione di regole parapubblicistiche per il reclutamento di risorse umane e con il necessario contenimento della spesa per il personale, come più volte evidenziato dalla Corte dei conti.
I presupposti tipici dell'in house corrispondono peraltro ai caratteri identificativi degli organismi di diritto pubblico (personalità giuridica, istituzione finalizzata al soddisfacimento di esigenze di interesse generale, gestione soggetta al controllo totalitario di amministrazioni pubbliche): pertanto le società affidatarie dirette di servizi pubblici locali secondo tale modulo sono senza dubbio qualificabili come Odp e devono applicare alle loro procedure di acquisto e di appalto le regole del codice dei contratti pubblici (articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2011 - link a www.corteconti.it).
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Tariffe modulate su investimenti e gestione delle reti.
PROFILI OPERATIVI - I contratti di servizio devono tenere conto delle norme «sopravvissute» dell'articolo 113 del Tuel.
Le relazioni tra amministrazioni locali e società affidatarie dei servizi pubblici locali sono regolate da un complesso sistema di norme e devono essere comunque reimpostate per ottimizzare gli investimenti.
L'abrogazione dell'articolo 23-bis della legge n. 133/2008 non ha scalfito l'articolato sistema normativo regolante i rapporti tra amministrazioni pubbliche e società partecipate, formato negli anni da varie leggi di natura finanziaria.
Continuano pertanto a esplicare i loro effetti nei rapporti tra enti locali e società in house o miste l'articolo 13 della legge n. 248/2006 (limiti relativi all'affidamento di servizi strumentali), l'articolo 3, comma 27, della legge n. 244/2007 (verifica della coerenza delle partecipate con le attività istituzionali dell'ente socio), l'articolo 18 della legge n. 133/2008 (regole pubblicistiche per le assunzioni nelle partecipate e limiti alla spesa per il personale). In questo quadro incidono anche le previsioni dell'articolo 6, comma 19 (divieto di ripiano delle perdite delle partecipate) e dell'articolo 14, comma 32 (divieto di costituzione e liquidazione delle società partecipate da Comuni con meno di 30mila abitanti) della legge n. 122/2010.
L'esito positivo del secondo quesito referendario sull'acqua (quesito numero 2) ha determinato l'eliminazione dell'adeguata remunerazione del capitale investito portando all'attenzione il tema della corretta gestione delle reti e dei relativi piani di investimento.
Questi aspetti devono essere oggetto di una dettagliata regolamentazione nei contratti di servizio, non solo per quello idrico, ma per tutte le tipologie di servizi pubblici locali.
I Comuni, in particolare, entrano in gioco su questo versante, poiché sono chiamati a ripensare alle politiche strutturali delle reti e al finanziamento delle stesse, anche in rapporto alle tariffe.
Lo stesso articolo 154 del Dlgs n. 152/2006 al comma 7 prevede che l'eventuale modulazione della tariffa tra i Comuni (appartenenti al medesimo Ato) tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai Comuni medesimi che risultino utili ai fini dell'organizzazione del servizio idrico integrato.
La norma evidenzia quindi la possibilità di intervento attivo degli enti locali sulle reti, con incidenza direttamente valutabile anche sulle tariffe e con conseguente necessità di clausole che regolino la messa a disposizione dei nuovi impianti ai soggetti gestori.
Se le linee di rapporto istituzionale sono ampiamente dettagliate dalla normativa, i profili operativi e di regolazione devono essere ridisciplinati nei contratti di servizio, per i quali valgono le norme "sopravvissute" dell'articolo 113 del Tuel (comma 11) e quelle delle normative speciali (ad esempio l'articolo 151, comma 2 dello stesso Dlgs n. 152/2006, che prevede i dettagliati contenuti della convenzione per il servizio idrico) (articolo Il Sole 24 Ore del 20.06.2011).

APPALTI SERVIZI: Il solo controllo societario totalitario non è garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house.
La questione centrale del ricorso in esame è posta nei primi tre motivi, con i quali la società ricorrente deduce, essenzialmente, la violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE sulla ammissibilità degli affidamenti diretti senza una previa gara pubblica, a società pubbliche o miste, di appalti di servizi pubblici.
Tale doglianza, ad avviso dei giudici del Tribunale amministrativo di Cagliari, è infondata, l’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (intitolato «Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica»), nel testo vigente ratione temporis, disponeva, infatti, al comma 5, lett. c), quanto segue: «c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano».
La questione della compatibilità con l'ordinamento dell’Unione Europea dell'affidamento diretto a società con capitale interamente pubblico, di un servizio pubblico locale a rilevanza economica (come nella specie), deve essere vagliata essenzialmente, spiegano i giudici sardi, come noto, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (a partire dalla sentenza 17.11.1999, in causa C-107/98, nota come sentenza Teckal), che ha posto i principi giuridici che governano la materia, affermando un affidamento senza previa gara pubblica è consentito solo se:
a) la società pubblica affidataria sia totalmente partecipata dall’amministrazione aggiudicatrice (ma si veda sul punto specifico, di recente, la sentenza Corte giustizia CE, sez. III, 15.10.2009, in causa C-196/08, che ammette l'affidamento diretto di un servizio pubblico a una società a capitale misto, pubblico e privato, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica);
b) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sull'affidatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
c) l'affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte Giust. C.E. 13.10.2005, in causa C-458/03, Parking Brixen).
In presenza di tali condizioni –partecipazione totalmente pubblica, controllo analogo e destinazione prevalente dell'attività all'ente di appartenenza- il legame che unisce quest'ultimo all'affidatario del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è richiesto l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica. I giudici isolani ricordano, inoltre, che secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, premesso che la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario ma non sufficiente ad integrare il c.d. "controllo analogo", quest'ultimo si sostanzia in «un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario» (così Cons. Stato, VI, 25.01.2005 n. 168, si veda anche Cons. Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; Corte Giust. C.E. 18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in causa C-340/04).
Con la sentenza da ultimo menzionata, la Corte di Giustizia ha, in particolare, precisato che il "controllo analogo" è configurabile allorché l'ente pubblico detentore del capitale, abbia la possibilità di esercitare una «influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società» (in termini anche la citata sentenza Parking Brixen).
Sulla questione è successivamente intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha così sintetizzato le condizioni per la legittima sussistenza del controllo analogo: «a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 03.04.007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen); d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).
» (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 07.04.2011 n. 304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZISocietà dei comuni: è un rebus la scelta del partner privato.
Referendum permettendo (la cui pendenza giustifica, da sola, un rinvio dei termini, data l'incertezza che si è venuta a creare), entro il 31 dicembre la maggioranza delle aziende di servizi pubblici locali si troveranno a vedere deciso il proprio destino, e cioè a sapere se e con quali modalità continueranno a gestire il servizio oggi loro affidato.
A giudicare dalle pronunce dell'Autorità garante per la concorrenza e per il mercato (che esprime un parere obbligatorio per gli affidamenti con un valore superiore ai 200mila euro annui, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento), sono davvero pochi i casi in cui gli enti locali potranno affidare direttamente un servizio pubblico.
Occorre documentare, infatti, che non è possibile seguire la "via maestra", ovvero la procedura di evidenza pubblica, per chiara mancanza di soggetti interessati a parteciparvi (o per averla esperita senza successo). Le strade da privilegiare, secondo il 23-bis, sono dunque le gare, o per il servizio tout court o per l'individuazione del partner privato. Soffermiamoci sulla seconda modalità, verso la quale sembrano propendere molti enti locali.
Il primo punto da chiarire è effettivamente che la società mista assomiglia più ad una azienda in house che a una società di mercato: è cioè una modalità di gestione di un servizio e non una iniziativa imprenditoriale. Non potrà, pertanto, partecipare ad altre gare, e dovrà seguire le regole pubblicistiche sia per le assunzioni del personale sia per l'acquisto di beni e servizi (articoli 7 e 6 del regolamento). Ancora, l'affidamento ha un termine, e quindi a fine periodo si dovrà restituire il prezzo delle azioni al socio. Cosa accadrà se il valore è alto e non si trova un successore?
È chiaro che il comune dovrà trovare le risorse nel suo bilancio, con tutti i problemi del caso. ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.03.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Nel caso di affidamento in house il controllo analogo si intende assicurato anche se esercitato congiuntamente dagli enti associati.
Secondo l’orientamento consolidato di questo Consiglio, da cui non v’è motivo di discostarsi, nel caso di affidamento in house, conseguente all’ istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata per la gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a quello che ciascuno di essi esercita sui propri servizi, deve intendersi assicurato anche se esercitato non individualmente ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo. Il requisito del controllo analogo deve essere quindi verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente (v. C.d.S., Sez. V, 24.09.2010, n. 7092; 26.08.2009, n. 5082; 09.03.2009, n. 1365).
Va osservato, al riguardo, che l'istituto dell'in house providing trova una precisa matrice comunitaria nei pronunciati della Corte di Lussemburgo. L'interpretazione della normativa interna (art. 113, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 267/2000 e s.m.i.) va dunque condotta sul filo di quei vincolanti precedenti, come accade ogniqualvolta il giudice nazionale si trovi a dover fare applicazione di nozioni forgiate in ambito sovranazionale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.03.2011 n. 1447 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità dell'affidamento del servizio di smaltimento dei rifiuti disposto in favore di una società secondo il modulo del c.d. in house providing, interamente partecipata da enti locali.
Nel caso di affidamento in house, conseguente all'istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata per la gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a quello che ciascuno di essi esercita sui propri servizi, deve intendersi assicurato anche se esercitato non individualmente ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.03.2011 n. 1447 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISERVIZI PUBBLICI LOCALI/ Tar Toscana: necessario prevedere forti poteri di indirizzo da parte del comune. Servizi in house con regole di controllo certe.
Le concessionarie di servizi in house devono avere regole di controllo certe. Il servizio, svolto in house, dal concessionario costituito con una società a controllo pubblico deve prevedere forti poteri di indirizzo della gestione da parte del comune, pena la sua illegittimità.
Questa in buona sintesi è la massima della recente decisione del TAR Toscana, Sez.  I (sentenza 01.03.2011 n. 377) che ha così deciso su un ricorso di una privato che chiedeva l'annullamento della deliberazione di un comune che aveva provveduto ad affidare direttamente il servizio di accertamento, liquidazione e riscossione del canone di pubblicità e del servizio delle pubbliche affissioni.
La parte lamentava, nel caso specifico, l'illegittimità della procedura di affidamento, sotto alcuni profili, tra i quali la violazione del giusto procedimento, l'irragionevolezza e la disparità di trattamento, non ultimo anche l'eccesso di potere dell'amministrazione locale.
L'affidamento in house, ad avviso del Tar della Toscana è legittimo, ed è prassi consolidata negli enti locali; e lo può essere anche in riferimento alla revoca di una gara già indetta per una procedura di affidamento di gestione di pubblici servizi, allorquando l'ente locale ravvisi che la gestione e la riscossione di entrate comunali possa essere maggiormente convenientemente gestita in house da una società a capitale pubblico.
Ciò è confermato anche dalla sentenza n. 6137 del 30/11/2007 del Consiglio di stato.
Neppure è inibito al comune di procedere in tal senso, avendo riguardo alla particolare attività di gestione di tali servizi che avendo caratteristiche di strumentalità non rientra nei servizi di pubblica rilevanza, sanciti dall'art. 23-bis del dl 112/2008 che pone particolari norme all'affidamento a soggetti sia pubblici che privati o anche a composizione mista, di alcuni servizi aventi rilevanza economica.
Infatti, osservano i giudici amministrativi toscani, «trattandosi di attività strumentale che esula dall'ambito di applicazione dell'art. 23-bis, e che è invece disciplinata dall'art. 52 legge n. 446/97 e dall'art. 13 dlgs 223/06, deve quindi concludersi per la teorica ammissibilità dell'istituto dell'in house».
I giudici ritengono però che devono osservarsi le modalità di gestione del servizio per giudicare sulla concreta possibilità dell'affidamento in proprio.
La giurisprudenza, sul punto, verificando anche le precedenti decisioni del Consiglio di stato, ha chiarito che «il ricorso all'affidamento in house è legittimo solo allorché l'amministrazione pubblica eserciti sull'ente distinto un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e qualora l'ente svolga la parte più importante della sua attività con l'amministrazione o con gli enti pubblici che lo detengono».
L'analisi è stata poi rivolta sui poteri gestionali in seno alla società affidataria del pubblico servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, la quale deve poter consentire all'ente pubblico, un controllo analogo a quello effettuato per altri tipologie di pubblici servizi.
In altre parole, occorre verificare che il consiglio di amministrazione della società di capitali affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali, e che l'ente pubblico affidante (rispettivamente la totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulti indispensabile, che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.
Nel caso in esame, invece il Tar ha riscontrato dallo statuto sociale che il consiglio di amministrazione della società in house godeva di poteri decisori pressoché assoluti, rispetto al vaglio dell'organo amministrativo, lasciando aspetti puramente formali all'ente locale, che non consentivano ad esso il controllo richiesto in merito alle decisioni prese dai vertici, ciò in stridente contrasto con i principi adesso elencati.
Del resto, la decisione del Consiglio di stato dell'11/08/2010 n. 5620, a cui il Tar implicitamente si richiama aveva stabilito, che «gli enti partecipi alla società in house possono esercitare il controllo collettivamente, deliberando a maggioranza all'interno degli organi sociali in cui siedono i loro rappresentanti» e che i requisiti dell'in house providing, costituendo una eccezione alle regole generali del diritto comunitario, vanno interpretati in modo restrittivo.
Tale fatto, che riveste una importanza generale, è stato ritenuto rilevante ai fini della decisione nel caso in esame, conseguendone, in concreto, che la procedura di affidamento mediante il ricorso all'istituto dell'in house è illegittima, difettando il requisito del controllo analogo in concreto richiesto per la sua applicazione (articolo ItaliaOggi del 06.05.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Tributi in house solo se il comune «gestisce» la società. Affidamento bocciato dal Tar.
È illegittimo l'affidamento diretto dei tributi locali a una società pubblica se il comune non ha alcun potere di intervento sulla gestione operativa.
Lo afferma il TAR Toscana, Sez. I, con la sentenza 01.03.2011 n. 377, che ha annullato l'affidamento del servizio perché mancava il requisito del «controllo analogo».
L'articolo 52 Dlgs 446/1997 consente alle società in house di gestire i tributi locali con affidamento diretto, ma solo in presenza di tre condizioni: 1) controllo analogo; 2) realizzazione della parte più importante della propria attività; 3) svolgimento dell'attività solo nell'ambito territoriale di pertinenza dell'ente che la controlla.
In particolare, il requisito del controllo analogo sussiste quando l'ente pubblico affidante esercita sulla società poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario. In sostanza, la società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante.
Nel caso sottoposto al Tar Toscana, il cda della società aveva una libertà decisoria pressoché assoluta, a fronte di un controllo dell'organo politico-amministrativo limitato ad aspetti formali. In questa situazione manca il requisito del «controllo analogo», e l'affidamento si rivela illegittimo.
Conclusione -quella del Tar Toscana- che rischia di mettere in crisi questo modulo organizzativo.
Tra l'altro si registra una propensione a costituire società multiutility, senza considerare che l'ampliamento dell'oggetto sociale fa acquisire alla società pubblica una vocazione commerciale incompatibile con la logica dell'in house. Ci sono quindi diversi elementi critici, anche perché si sostiene da più parti l'applicabilità della disciplina restrittiva prevista dall'articolo 23-bis Dl 112/2008.
Questione che è stata affrontata dal Tar Toscana, ma liquidata con l'affermazione che la riscossione dei tributi è un'attività strumentale -come più volte affermato dall'Antitrust- al di fuori della portata del 23-bis. Senza però considerare che la natura concessoria del rapporto (Consiglio di Stato 5566/2010) non riguarda soltanto attività strumentali al successivo esercizio della potestà impositiva dei comuni, ma un diretto svolgimento delle attività di accertamento e riscossione dei tributi. Un servizio talmente ampio da apparire inconciliabile con la natura «meramente strumentale» dell'attività.
Il problema tuttavia non si dovrebbe porre in quanto l'articolo 52 Dlgs 446/1997 è chiaro nel rinviare -per quanto concerne l'affidamento- proprio alla disciplina sui servizi pubblici locali. Si tratta di un rinvio dinamico, che impone cioè di applicare la disciplina attualmente vigente e quindi il 23-bis, che ha praticamente sostituito l'articolo 113 del Dlgs 267/2000, disposizione quest'ultima espressamente richiamata dall'articolo 52 del Dlgs 446/1997 proprio in ordine alle società.
Ci sono quindi valide motivazioni per sostenere che la legittimità degli affidamenti alle società in house andrebbe valutata anche alla luce del 23-bis. Si tratterebbe quantomeno di una soluzione interpretativa «prudenziale», se non si vuole correre il rischio di compromettere la validità degli atti impositivi emessi dalla società.
Risulta dallo statuto (della società) il cda della società affidataria in house ha una libertà decisoria pressoché assoluta rispetto al vaglio dell'organo politico-amministrativo, limitato ad aspetti meramente formali, che non consente di ritenere sussistente il predetto requisito di controllo richiesto.
In particolare l'articolo io dello statuto si limita a prevedere la competenza esclusiva dell'organo consiliare ... in materia di approvazione degli atti di indirizzo annuali per la gestione della società, di assunzione di partecipazioni e di autorizzazione all'alienazione di beni immobili non contemplati negli atti di indirizzo, lasciando ogni altra attività gestionale nella libertà operativa della società affidataria in house.
Ne consegue che la procedura di affidamento mediante il ricorso all'istituto dell'in house è illegittima, difettando il requisito del controllo analogo in concreto richiesto perla sua applicazione (articolo ItaliaOggi del 21.03.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittimo l'affidamento in house del servizio di accertamento liquidazione e riscossione del canone sulla pubblicità e il servizio delle pubbliche affissioni, purché sussistano i requisiti richiesti per la ricorribilità al suddetto affidamento.
Il servizio di accertamento liquidazione e riscossione del canone sulla pubblicità e il servizio delle pubbliche affissioni, è un'attività strumentale e come tale non rientra nei servizi di pubblica rilevanza, come affermato anche dalla Autorità Garante della concorrenza e del mercato.
Trattandosi di attività strumentale che esula dall'ambito di applicazione dell'art. 23-bis del d.l. 112/2008, e che è invece disciplinata dall'art. 52 l. 446/1997 e dall'art. 13 d.lgs. 223/2006, è ammissibile l'istituto dell'in house, a condizione però che sussistano i requisiti richiesti per la ricorribilità all'istituto.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima la procedura di affidamento in house del servizio di accertamento liquidazione e riscossione del canone sulla pubblicità e il servizio delle pubbliche affissioni, difettando il requisito del controllo analogo in concreto richiesto per la sua applicazione.
Risulta, infatti, dallo statuto che il consiglio di amministrazione della società affidataria in house ha una libertà decisoria pressoché assoluta rispetto al vaglio dell'organo politico-amministrativo, limitato ad aspetti meramente formali, che non consente di ritenere sussistente il requisito di controllo richiesto (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 01.03.2011 n. 377 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La decisione di un Comune di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo deve essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.
La scelta di un Comune di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa atta a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la P.A. una facoltà legittima (come previsto dal Trattato CE), ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società "in house" invece che ad un soggetto terzo debba essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti.
Posto che l'art. 113, V c., del D.Lgs. n. 267 del 2000, prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga secondo una delle alternative modalità ivi contemplate, tra cui quella che si sostanzia nel conferire il servizio a società a capitale interamente pubblico, e che il ricorso all'affidamento diretto è sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) di detto quinto comma, può convenirsi che non sia necessaria un'apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, ma solo dopo che sia stata dimostrata non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l'autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all'affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l'operato della P.A..
Il principio che la scelta della forma di gestione per ciascun servizio deve essere effettuata previa valutazione comparativa tra le diverse forme di gestione previste dalle disposizioni in materia è applicabile non solo, nel caso di specie, nel Comune di Ceriale perché previsto dallo statuto, ma in generale ed ovunque ogni qualvolta debba essere effettuata la scelta tra il ricorso alle due forme di gestione di cui trattasi, anche se non espressamente previsto dall'art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in ossequio al principio di buon andamento costituzionalmente previsto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.02.2011 n. 854 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISERVIZI PUBBLICI LOCALI/ Servizi locali, il comune fa da sé. Sì alla gestione diretta per attività di poco impegno economico. Il Consiglio di stato riapre la partita che sembrava chiusa dopo la sentenza n. 325 della Consulta.
La recente sentenza del Consiglio di stato, n. 552 del 26/01/2011 riapre la discussione sulla possibilità per gli enti locali di gestire direttamente i servizi pubblici locali a rilevanza economica. La sentenza giunge all'indomani della pronuncia della Corte costituzionale n. 325 del 03/11/2010 che, seppur in via incidentale, aveva affermato il contrario.
La pronuncia del Consiglio di stato prende le mosse dal ricorso in appello presentato dal comune di San Clemente (Rn) per la riforma della sentenza del Tar dell'Emilia Romagna n. 460/2010. Ma che cosa era accaduto?
In pratica, nel settembre 2009 la giunta comunale di San Clemente decise di esercitare nella forma dell'amministrazione diretta la gestione e la manutenzione delle lampade votive all'interno dei cimiteri comunali e una società privata, interessata a svolgere tale attività, presentò ricorso al Tar contro la decisione del comune per violazione dei principi sanciti dall'art. 113 del Tuel e dall'art. 23-bis del dl 112/2008, nonché per difetto di motivazione e per violazione dei principi del giusto procedimento e del buon andamento della pubblica amministrazione.
In pratica, la società ricorrente sostenne che, essendo la gestione delle lampade votive dei cimiteri comunali un servizio pubblico locale a rilevanza economica, la modalità ordinaria di gestione doveva essere quella prevista dall'art. 23-bis sopraccitato, cioè quella dell'affidamento mediante procedura competitiva a evidenza pubblica o, in via eccezionale, quella dell'affidamento a società in house, ma in nessun caso il comune avrebbe potuto gestire direttamente il servizio.
A gennaio del 2010 il Tar dell'Emilia Romagna accolse il ricorso e annullò la deliberazione del comune di San Clemente sostenendo, di fatto, che alla luce delle modalità di affidamento previste dall'art. 23-bis, il comune non può più gestire direttamente i servizi pubblici locali a rilevanza economica.
La posizione assunta dal Tar lasciò perplessi molti addetti ai lavori, che considerarono la sentenza come non annoverabile fra quella che viene comunemente considerata la giurisprudenza prevalente. La questione però ha ripreso vigore all'indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010, in quanto la Corte, pur in via incidentale, al punto 6.1 di tale sentenza sostiene che ... (articolo ItaliaOggi del 04.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'affidamento ad un comune tramite una società in house delle attività di gestione degli ormeggi e delle attrezzature portuali.
Appare corretta, alla luce dell'ampia definizione espressa dall'art. 112 del d.lgs. n. 167/2000, la qualificazione delle attività di gestione degli ormeggi e delle attrezzature portuali oggetto della concessione come servizi pubblici locali, rispetto al cui esercizio l'utilizzo del demanio marittimo si pone come presupposto necessario.
Pertanto, in ordine alla scelta del concessionario di cui all'art. 37 del codice della navigazione, occorre adottare un'interpretazione comunitariamente orientata, in linea con l'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008, il quale da un lato sancisce il necessario rispetto, ai fini del conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, dei principi posti a salvaguardia della libera concorrenza, tra i quali, in particolare, il principio generale di trasparenza e adeguata pubblicità nella procedura di scelta del contraente, dall'altro lato ammette l'affidamento diretto a società in house in situazione eccezionali, debitamente motivate e previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 23-bis, commi 2, 3 e 4).
Nel caso di specie, al contrario, la pubblicità dell'avvio del procedimento selettivo, riguardante servizi di rilevanza economica ex art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, si è limitata all'albo pretorio, e quindi non è risultata coerente con i principi di evidenza pubblica valorizzati da detta norma; né il comune ha dato contezza di particolari ragioni giustificatrici della gestione tramite società in house, ancorché l'individuazione del concessionario e il conseguente affidamento a quest'ultima siano avvenuti ad esito di procedura contrastante con i suddetti principi, o comunque non costituente procedura di evidenza pubblica nei sensi di cui all'art. 23-bis, c. 1, del d.l. n.112/2008, incorrendo pertanto, sotto questo profilo, nella violazione del c. 3 dell'art. 23-bis (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 27.01.2011 n. 162 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIILLUMINAZIONE VOTIVA.
E’ legittima la scelta del Comune di gestire direttamente il servizio di illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l'impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l'esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica.

E’ quanto sorprendentemente affermato dalla V Sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 26.01.2011 n. 552, ove si è dato luogo ad un inatteso ripensamento in merito alla natura giuridica dell’attività di illuminazione votiva.
Indubbiamente, il mutamento degli orientamenti giurisprudenziali non costituisce un “evento straordinario”, ma dovrebbe porsi come un naturale elemento di sviluppo dell’elaborazione giuridica, esito di nuove riflessioni, traenti origine anche da elementi meta-giuridici. Tuttavia, nella presente problematica, cioè l’individuazione della precisa natura giuridica dell’attività di illuminazione votiva, la giurisprudenza e, soprattutto, il Consiglio di Stato avevano dato l’impressione di possedere certezze granitiche, resistenti ad ogni diverso contributo di riflessione.
Il mainstream, l’orientamento di tendenza, era nel solco di un unico filone interpretativo: l’illuminazione votiva ha un contenuto economico, afferente il servizio in senso stretto, che prescinde dall’impianto, il quale esplica una valenza solo accessoria: mero strumento del servizio puro, ricomprendente diverse attività (fornir luce alle tombe, sorveglianza degli impianti, operazioni di bollettazione e riscossione). Orbene, tale solido orientamento sembra ora essere stato edificato sulla sabbia! Non è più indiscussa la rilevanza economica; anzi, si è in presenza di “un’attività di modesto impegno”!
Analizziamo i passaggi concettuali della sorprendente sentenza in esame, che ha ribaltato completamente l’impostazione dei giudici di primo grado.
In primo luogo, ad avviso dei giudici amministrativi di appello, occorre tener conto di un’importante distinzione, trascurata, secondo la loro prospettazione, dal Tar Emilia-Romagna. Una cosa è l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale, modello non consentito in omaggio alle comunitarie regole della concorrenza; una cosa ben diversa è la “gestione diretta” del servizio, “sempre praticabile dall’ente locale, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, come nella specie: poche migliaia di euro all’anno”. Onde poter sostenere la tesi della possibile gestione diretta in economia del servizio, il CdS pone in forte evidenza la limitatezza economica del medesimo: attività di scarso impegno finanziario.
Ancora, proprio per confermare la legittimità della gestione diretta, il Consiglio di Stato rincara la dose in merito alla modestia economica dell’attività: “Appartiene, in realtà, alla dimensione dell’inverosimile immaginare che un Comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio, come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica”.
La categoria concettuale dell’”inverosimile” viene, dunque, richiamata per giustificare la possibilità della gestione diretta. Infatti, il CdS pone enfasi sul rilievo che “nessuna norma obbliga i Comuni ad affidare all’esterno determinati servizi”, quale quello dell’illuminazione votiva. Invero, l’approdo ermeneutico delle statuizioni del Consiglio di Stato, seppur non espressamente dichiarato, è l’articolo 113-bis del D.Lgs n. 267/2000, disciplinante la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica. Al riguardo, è necessario ricordare che il comma 2° dell’indicato articolo prescrive, espressamente, che “è consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno precedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1°” .
Pertanto, l’illuminazione votiva, nella nuova ricostruzione operata dai giudici amministrativi di appello, cambia completamente natura. Perde i suoi dichiarati profili di rilevanza economico-finanziaria è diventa un servizio pubblico locale privo di valenza economica, in ragione proprio della nuova “scoperta” effettuata dai giudici amministrativi di appello: la modestia delle dimensioni organizzative e strutturali!
E’ evidente che si è in presenza di un radicale cambiamento, che implica una nuova configurazione dell’istituto dell’illuminazione votiva. Tuttavia, tale mutamento, al di là della sua eventuale correttezza teorica, sicuramente da approfondire, avrebbe meritato una maggiore attenzione analitica ed un maggior sforzo motivazionale, che non sembra essere stato palesato nella sentenza. Infatti, i passaggi concettuali illustrati appaiono alquanto macchinosi ed apodittici.
Invero, pur parzialmente apprezzando l’idea di cambiamento, che sembra diffondersi da tale pronuncia, ancora sembra mancare un forte, ma necessario, sforzo interpretativo, volto ad intendere la reale portata dell’illuminazione votiva, la quale è costituita, giova ricordarlo, da diverse attività: - progettazione di impianti; - realizzazione di impianti; - effettuazione di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria; - sorveglianza degli impianti; - bollettazione e riscossione, etc..
Solo un’accurata indagine sulle variegate attività, che globalmente intese connotano l’illuminazione votiva, potrà condurre a percepire la concreta realtà dell’istituto, che, come correttamente osservato dall’Autorità di Vigilanza, oscilla fra la concessione di servizi e la concessione di lavori pubblici, ma non necessariamente dà luogo ad un servizio pubblico locale. Forse, sono maturi i tempi, affinché siffatta indagine venga finalmente compiuta! (commento tratto dalla newsletter di www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici. Il Consiglio di stato contro la Consulta. Gestione diretta senza limiti.
Nessuna norma impone ai comuni di affidare all'esterno la gestione dei servizi pubblici, anche a rilevanza economica, se l'ente preferisce la gestione diretta in economia. Nel caso di una scelta differente, il conferimento a terzi deve avvenire tramite gara. «Affidamento diretto» e «gestione diretta» in economia, infatti, non sono sinonimi.
Questo l'importante principio sancito dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza 26.01.2011 n. 552, con cui ha accolto il ricorso presentato da un comune contro la sentenza del Tar che aveva dichiarato illegittima la scelta di gestire in economia il servizio di illuminazione votiva.
I giudici hanno chiarito che c'è una netta distinzione tra «gestione diretta» e «affidamento diretto», in quanto l'«affidamento» postula la scelta dell'ente di attribuire la gestione di un servizio all'esterno, mentre per «gestione diretta o in economia» deve intendersi l'ordinaria erogazione del servizio da parte dell'ente con proprio personale.
Secondo il Consiglio di stato «non si vede per quali motivi un ente locale debba rintracciare un'esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio», tipicamente appartenente al novero di quelli per cui esso viene istituito. In questa chiave, l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 non conterrebbe alcun divieto in tal senso.
Questa lettura non è condivisa dalla Corte costituzionale che ha ritenuto equipollenti i termini «gestione diretta» e «affidamento diretto», nella pronuncia n. 325/2010.
La Consulta ha sostenuto che la normativa comunitaria consente (ma non impone) agli stati membri di prevedere la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, mentre lo Stato italiano, «facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall'ordinamento comunitario ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regolala gestione diretta dei spl».
Secondo il Consiglio di stato, considerando l'esigenza di riduzione della spesa pubblica, non sarebbe ammissibile sostenere che un comune (magari piccolo) non possa gestire direttamente un servizio come quello dell'illuminazione votiva, «laddove l'esborso sarebbe ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica».
Tale considerazione è da sola sufficiente, secondo i giudici, per ritenere sempre legittima la gestione diretta in economia dei pubblici servizi locali in base alle autonome scelte organizzative dei comuni (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 - link a www.corteconti.it).

APPALTI SERVIZINon esiste alcun divieto di gestione diretta del servizio di illuminazione votiva cimiteriale.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in rassegna la società originaria ricorrente impugnava una delibera avente ad oggetto "Indirizzo agli uffici per la gestione diretta del servizio di illuminazione votiva nei cimiteri comunali”, con cui era stato deciso di esercitare nella forma dell’amministrazione diretta la gestione e la manutenzione delle lampade votive all’interno dei cimiteri comunali, censurando il tutto per violazione dell’art. 113, t.u.e.l., e dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008.
I giudici del Consiglio di Stato hanno accolto l’appello, spiegando che i primi giudici hanno ignorato la distinzione tra gestione diretta (sempre praticabile dall’ente locale, soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario, come nella specie: poche migliaia di euro all’anno) ed affidamento diretto, postulante la scelta di attribuire la gestione di un servizio all’esterno del comune interessato, il che non può accadere se non mediante gara ad evidenza pubblica.
Infatti, nessuna norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno determinati servizi (illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, case famiglia, assistenza domiciliare per anziani ed handicappati, asili nido, mense scolastiche, scuola-bus, biblioteche, impianti sportivi: tutti servizi che, notoriamente, gran parte dei comuni italiani gestiscono direttamente, senza appaltarli a privati), ove preferiscano amministrarli in via diretta e magari in economia, mentre, nel caso di una differente scelta, il discusso conferimento a terzi deve avvenire tramite gara rispettosa del regime comunitario di libera concorrenza.
Né si vede per quali motivi un ente locale debba rintracciare un’esplicita norma positiva per poter fornire direttamente ai propri cittadini un servizio tipicamente appartenente al novero di quelli per cui esso viene istituito; nella specie, la disciplina legislativa sopra richiamata non contiene alcun divieto esplicito né implicito in tal senso.
Il cit. art. 23-bis recita, ai commi 2 e 3: “Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta in house e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano
”.
Appartiene, in realtà, alla dimensione dell’inverosimile, secondo i giudici d’appello, immaginare che un comune di non eccessiva grandezza non possa gestire direttamente un servizio come quello dell’illuminazione votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno periodico di una persona e la spesa annua di qualche migliaio di euro, laddove l’esborso sarebbe notoriamente ben maggiore solo per potersi procedere a tutte le formalità necessarie per la regolare indizione di una gara pubblica (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.01.2011 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

APPALTI SERVIZI: G. Chiàntera, Affidamento in house: regolazione del rapporto tra amministrazione e società, lo strumento contrattuale (link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: Art. 23-bis del d.l. 25.06.2008, n. 112, conv. con mod. in l. n. 133/2008 nel testo originario ed in quello mod. dall'art. 15, c. 1, del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l. n. 166/2009; art. 15, c. 1-ter, del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l. n. 166/2009.
Illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - inammissibilità.

Sebbene in àmbito comunitario non venga mai utilizzata l'espressione "servizio pubblico locale di rilevanza economica", ma solo quella di "servizio di interesse economico generale" (SIEG), la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno "contenuto omologo".
Lo stesso c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 conferma tale interpretazione, attribuendo espressamente ai SPL di rilevanza economica un significato corrispondente a quello di "servizi di interesse generale in àmbito locale" di rilevanza economica, di evidente derivazione comunitaria.
Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento, infatti, ad un servizio che:
a) è reso mediante un'attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come "qualsiasi attività che consista nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato";
b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche "fini sociali") nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono l'identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica.
La disciplina comunitaria del SIEG e quella censurata del SPL divergono, invece, in ordine all'individuazione delle eccezioni alla regola dell'evidenza pubblica:
a) la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale;
b) lo Stato italiano, facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta dei SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che pone tale divieto.
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Il testo vigente dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, è conforme alla normativa comunitaria, nella parte in cui consente l'affidamento diretto della gestione del servizio, "in via ordinaria", ad una società mista, alla doppia condizione che la scelta del socio privato "avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica" e che a tale socio siano attribuiti "specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio" (cosiddetta gara ad evidenza pubblica a doppio oggetto: scelta del socio e attribuzione degli specifici compiti operativi).
La stessa nuova formulazione dell'art. 23-bis si discosta, però, dal diritto comunitario nella parte in cui pone l'ulteriore condizione, al fine del suddetto affidamento diretto, che al socio privato sia attribuita "una partecipazione non inferiore al 40 per cento".
Tale misura minima della partecipazione (non richiesta dal diritto comunitario, ma neppure vietata) si risolve in una restrizione dei casi eccezionali di affidamento diretto del servizio e, quindi, la sua previsione perviene al risultato di far espandere i casi in cui deve essere applicata la regola generale comunitaria di affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Ne consegue la piena compatibilità della normativa interna con quella comunitaria.
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Secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti la gestione in house ed alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l'in house providing un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tuttavia, la giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle condizioni.
Al contrario, il legislatore nazionale, nella versione vigente dell'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, non soltanto richiede espressamente, per l'affidamento diretto in house, la sussistenza delle condizioni poste dal diritto comunitario, ma esige il concorso delle seguenti ulteriori condizioni:
a) una previa "pubblicità adeguata" e una motivazione della scelta di tale tipo di affidamento da parte dell'ente in base ad un'"analisi di mercato", con successiva trasmissione di una "relazione" dall'ente affidante alle autorità di settore, ove costituite (testo originario dell'art. 23-bis), ovvero all'AGCM (testo vigente dell'art. 23-bis), per un parere preventivo e obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla ricezione;
b) la sussistenza di "situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" (commi 3 e 4 del testo originario dell'art. 23-bis), ovvero di "situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento" (commi 3 e 4 del testo vigente del medesimo art. 23-bis), "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato".
Siffatte ulteriori condizioni si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell'affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica.
È infatti innegabile l'esistenza di un "margine di apprezzamento" del legislatore nazionale rispetto a princípi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato e "per" il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali -come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici- di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario.
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La disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica -ivi compreso il servizio idrico- rientra nella materia "tutela della concorrenza" di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, c. 2, lett. e), Cost.
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Non appare irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una disciplina intesa a restringere ulteriormente -rispetto al diritto comunitario- i casi di affidamento diretto in house (cioè i casi in cui l'affidatario costituisce la longa manus di un ente pubblico che lo controlla pienamente e totalmente).
Tale normativa si innesta coerentemente in un sistema normativo interno in cui già vige il divieto della gestione diretta mediante azienda speciale o in economia (introdotto dai non censurati artt. 35 della l. n. 448/2001 e 14 del d.l. n. 269 del 2003) e nel quale, pertanto, i casi di affidamento in house, quale modello organizzativo succedaneo della (vietata) gestione diretta da parte dell'ente pubblico, debbono essere eccezionali e tassativamente previsti.
L'ordinamento comunitario, in tema di tutela della concorrenza e, in particolare, in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per il legislatore degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna disciplini più rigorosamente, nel senso di favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale ha piena libertà di scelta tra una pluralità di discipline ugualmente legittime.
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Il regime transitorio degli affidamenti non conformi (art. 23-bis, c. 8 del d.l. n. 112/2008), è congruo e proporzionato all'entità ed agli effetti delle modifiche normative introdotte e, dunque, ragionevole. Tali ampi margini temporali assicurano una concreta possibilità di attenuare le conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e, pertanto, escludono la possibilità di invocare quell'incolpevole affidamento del gestore nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare una possibile irragionevolezza della norma.
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La nozione di "rilevanza economica", al pari di quella omologa di "interesse economico" propria del diritto comunitario, va utilizzata, nell'àmbito della disciplina del mercato dei servizi pubblici, quale criterio discretivo per l'applicazione delle norme concorrenziali e concorsuali comunitarie in materia di affidamento della gestione di tali servizi.
Ne deriva che, proprio per tale suo àmbito di utilizzazione, la determinazione delle condizioni di rilevanza economica è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di "tutela della concorrenza", ai sensi del secondo comma, lettera e), dell'art. 117 Cost..
Poiché l'ordinamento comunitario esclude che gli Stati membri, ivi compresi gli enti infrastatuali, possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza dell'interesse economico del servizio, conseguentemente il legislatore statale si è adeguato a tale principio dell'ordinamento comunitario nel promuovere l'applicazione delle regole concorrenziali e ha escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio.
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"L'interesse economico generale", in quanto funzionale ad una disciplina comunitaria diretta a favorire l'assetto concorrenziale dei mercati, è riferito alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente (reale o potenziale) ed ha, pertanto, natura essenzialmente oggettiva. Ne deriva che, l'ordinamento comunitario, in considerazione della rilevata portata oggettiva della nozione di "interesse economico", vieta che gli Stati membri e gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere circa la sussistenza di tale interesse.
In particolare, la previsione di condizioni per l'affidamento diretto del servizio pubblico locale più restrittive di quelle previste dall'ordinamento comunitario non integra alcuna violazione dei princípi comunitari della concorrenza, perché tali princípi costituiscono solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, i quali hanno la facoltà di dettare una disciplina più rigorosamente concorrenziale, che, restringendo le eccezioni all'applicazione della regola della gara ad evidenza pubblica -posta a tutela della concorrenza-, rende più estesa l'applicazione di tale regola.
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Il legislatore statale, in coerenza con la normativa comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato, ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione.
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La competenza legislativa esclusiva statale nella materia "tutela della concorrenza" comprende anche la disciplina amministrativa relativa all'organizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, a prescindere dall'avocazione allo Stato di competenze amministrative degli altri livelli territoriali di governo.
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E' costituzionalmente illegittima la prima parte della lett. a) del c. 10 dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, in cui si prevede che la potestà regolamentare dello Stato prescriva l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno.
L'ambito di applicazione del patto di stabilità interno attiene infatti alla materia del coordinamento della finanza pubblica, di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l'art. 117, c. 6, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare.
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La disciplina del servizio idrico integrato va ascritta alla competenza esclusiva dello Stato nelle materie "tutela della concorrenza" e "tutela dell'ambiente" e, pertanto, è inibito alle Regioni derogare a detta disciplina. Ne consegue che, è costituzionalmente illegittimo il c. 1 dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto attribuisce alla Giunta regionale una serie di competenze amministrative spettanti al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4, l. c), del d.lgs. n. 152 del 2006. Risulta così violato l' art. 117, c. 2, lett. s), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente".
Inoltre, è costituzionalmente illegittimo il c. 4 dell'art. 4 della l.R. Liguria n. 39/2008, il quale prevede la competenza dell'Autorità d'àmbito a provvedere all'affidamento del servizio idrico integrato, "nel rispetto dei criteri di cui all'articolo 113, c. 7, del d.lgs. 267/2000 e delle modalità di cui agli articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006".
La norma censurata impone, infatti, l'applicazione del c. 5 dell'art. 113 TUEL, cioè di un comma abrogato per incompatibilità dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. In particolare, il citato c. 5 dell'art. 113 è palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, perché disciplina le modalità di affidamento del SPL in modo difforme da quanto previsto da detti commi.
Sono, altresì, costituzionalmente illegittimi i commi 5 e 6 dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto tali norme impongono l'applicazione del c. 15-bis dell'art. 113 TUEL, abrogato per incompatibilità dall'art. 23-bis, con il quale, pertanto, si pone in contrasto. Il citato c. 15-bis dell'art. 113 TUEL, infatti, è incompatibile con il suddetto art. 23-bis, perché disciplina il regime transitorio degli affidamenti diretti del servizio pubblico locale in modo difforme da quanto previsto dal parametro interposto. Ne deriva, pertanto, la violazione dell'art. 117, c. 2, lett. e), Cost.
Infine, è costituzionalmente illegittimo il c. 14 dell'art. 4 della l.R. Liguria n. 39/2008, il quale affida all'Autorità d'àmbito territoriale ottimale (AATO) la competenza a definire "i contratti di servizio, gli obiettivi qualitativi dei servizi erogati, il monitoraggio delle prestazioni, gli aspetti tariffari, la partecipazione dei cittadini e delle associazioni dei consumatori di cui alla l.r. 02.07.2002, n. 26", in quanto si pone "in contrasto con la normativa statale", cioè con il c. 4, lett. c), del nuovo testo dell'art. 161 del d.lgs. n. 152/2006, il quale ha attribuito al COVIRI la relativa competenza.
Anche in tal caso, infatti, la Regione è intervenuta, nella materia "tutela dell'ambiente", attribuendo all'Autorità d'àmbito una serie di competenze amministrative spettanti, invece, al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, ed ha pertanto violato l'art. 117, c. 2, lett. s), Cost.
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E' costituzionalmente illegittimo il c. 1 dell'art. 1 della l. R. Campania n. 2/2010, il quale prevede la competenza della medesima Regione a disciplinare il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica ed a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere, in quanto essa si pone in contrasto con gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, l'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, il d.l. n. 135 del 2009 e l'art. 113 TUEL, che ricomprendono il servizio idrico integrato tra i servizi dotati di rilevanza economica.
La disciplina statale pone una nozione generale e oggettiva di rilevanza economica, alla quale le Regioni non possono sostituire una nozione meramente soggettiva, incentrata cioè su una valutazione discrezionale da parte dei singoli enti territoriali e ponendosi, altresì, in contrasto con il regime transitorio disciplinato dall'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, il quale non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni (Corte Costituzionale, sentenza 17.11.2010 n. 325 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Le controversie riguardanti e vicende di un rapporto di concessione di pubblico servizio, compresa la decadenza, non estesi a indennità, canoni ed altri corrispettivi, rientrano nella giurisdizione amministrativa.
Sulla differenza tra la società in house e la società mista.

I giudizi aventi ad oggetto le vicende di un rapporto di concessione di pubblico servizio, compresa la decadenza, non estesi a indennità, canoni ed altri corrispettivi, rientrano nella giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art. 33 d.lgs. 31.03.1998 n. 80, nel testo, modificato dall'art. 7 l. 21.07.2000 n. 205 e risultante dalla dichiarazione d'illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 204 del 2004.
La differenza tra la società in house e la società mista consiste nel fatto che la prima agisce come un vero e proprio organo dell'Amministrazione dal punto di vista sostanziale (e, per questo, è richiesto il requisito del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi dall'amministrazione aggiudicatrice e della destinazione prevalente dell'attività dell'ente in house in favore dell'Amministrazione stessa), mentre la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza; in quest'ultimo caso, l'affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l'individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all'oggetto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.09.2010 n. 7214 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: La titolarità di un servizio affidato in via diretta da una amministrazione estranea a quella che indice la gara è fattispecie non ricadente nella previsione di cui al c. 15-quater dell'art. 113 del D. L.vo n. 267/2000.
La titolarità di un servizio affidato in via diretta da una amministrazione estranea a quella che indice la gara è fattispecie non ricadente nella previsione di cui al c. 15-quater dell'art. 113 del D.L.vo n. 267/2000 e determina la piena applicabilità del c. 6 dell'art. 113, il quale dispone che "non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al c. 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime", con i conseguenti effetti preclusivi.
Pertanto, nel caso di specie, l'appellante, in forza del suo "status" di società "in house" di altri enti locali, non avrebbe potuto partecipare alla "eventuale gara" indetta dal comune a meno di perdere la qualifica di affidatario diretto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.09.2010 n. 7080 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Trasporti, rifiuti, acqua: cosa cambia con la riforma dei servizi pubblici locali.
Con il regolamento approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 22.07.2010 viene completata la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tra i quali rientra la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e la gestione delle risorse idriche.
Il regolamento fissa regole chiare per lo svolgimento delle gare, affinché queste consentano in modo trasparente di selezionare il gestore più efficiente in grado di offrire tariffe più basse. Perché le gare e i rapporti tra ente affidante e soggetto gestore siano chiari e trasparenti, il regolamento introduce motivi di incompatibilità per chi ricopre o ha ricoperto funzioni di amministratore nell'ente affidante vietando a costoro di occuparsi della gestione del servizio.
Il regolamento mira ad impedire l’acquisizione di posizioni di vantaggio nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con la finalità di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà e di libera prestazione dei servizi per tutti gli operatori economici interessati, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti all’universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed ai livelli essenziali delle prestazioni.
Prevista inoltre entro l'anno l'istituzione di una autorità "terza" per la regolazione delle tariffe. Una riforma importante che riguarda l’attuazione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, uno dei punti di criticità nell’ambito della gestione delle autonomie locali. Non sarà più possibile gestire in house questi servizi ma la gestione sarà soggetta a gara.
Sul provvedimento sono stati acquisiti i pareri della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari. Restano esclusi i servizi sull'energia elettrica e il gas in quanto già regolamentati da specifiche norme (link a www.governo.it).

APPALTI SERVIZI: Liberalizzazione nei servizi locali. Il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento. Fitto: finita un'attesa di venti anni. Netta separazione fra la gestione delle reti e la loro proprietà.
Al via la liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, con norme a tutela della gestione pubblica delle risorse idriche, che a certe condizioni potrà rimanere pubblica, e con la netta separazione fra gestione delle reti e proprietà delle stesse; previste norme trasparenti e a garanzia della concorrenza per lo svolgimento delle gare, da aggiudicare con riguardo soprattutto agli elementi qualitativi e al corrispettivo del servizio; entro un anno gli enti locali dovranno scegliere, motivando con apposite analisi di mercato, se affidare ai privati le gestioni o se mantenerle pubbliche.
È quanto prevede il regolamento sull'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, approvato ieri dal Consiglio dei ministri.
«Si compie così l'atto finale della riforma dei servizi pubblici locali realizzata in tempi brevi dal governo», ha commentato il ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto, «intendo esprimere il mio apprezzamento e il riconoscimento per i contributi che il Consiglio di stato e le Commissioni di camera e senato hanno inteso fornire nell'espressione dei rispettivi pareri previsti dalla legge. Siamo orgogliosi di essere riusciti nella difficile opera di realizzare una riforma auspicata da quasi 20 anni da larghissimi settori della politica, dell'economia e della società, ma sempre immancabilmente rinviata».
Per il servizio idrico integrato il regolamento afferma i principi generali della «autonomia gestionale del soggetto gestore», della «piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche» e quello della «spettanza esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo delle risorse stesse»; inoltre, per giustificare il mantenimento di una gestione pubblica in house in questo settore, si potrà fare riferimento alle «specifiche condizioni di efficienza che rendono la gestione non distorsiva della concorrenza o comunque comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto a una modalità alternativa di gestione dei servizi pubblici locali».
Il regolamento prevede che ciò potrà avvenire se i bilanci risultano in utile, se sono reinvestiti più dell'80% degli utili, se viene applicata una tariffa media inferiore alla media di settore e se i costi medi operativi annui prevedono una incidenza sulla tariffa al di sotto della media di settore. Il provvedimento non si applicherà al servizio di distribuzione di gas naturale e di energia elettrica, al servizio di trasporto ferroviario regionale, alla gestione delle farmacie comunali e ai servizi strumentali all'attività o al funzionamento degli enti locali che abbiano affidato servizi a società pubbliche o miste.
Il principio generale è quello per cui gli enti locali devono preventivamente verificare se si possa realizzare una gestione concorrenziale dei servizi e per fare ciò devono procedere ad una analisi del mercato: se il mercato privato non risulta idoneo a «garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» si potrà mantenere una gestione pubblica attribuendo diritti di esclusiva; viceversa si dovrà liberalizzare le attività economiche, «compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio».
Se non sarà possibile liberalizzare i servizi, ciò dovrà risultare da una delibera quadro che dia conto dell'istruttoria compiuta, dei «fallimenti del sistema concorrenziale», nonché degli elementi positivi che concorrono al mantenimento di un regime di esclusiva (pubblica) del servizio. Queste verifiche dovranno essere compiute entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento approvato ieri.
Il regolamento prescrive le modalità per l'affidamento in gara delle gestioni, chiarendo una serie di importanti aspetti quali l'irrilevanza della disponibilità delle reti (dal momento che possono partecipare alle gare anche le società interamente partecipate da soggetti pubblici), la necessità di definire requisiti per la partecipazione alle gare proporzionati alla natura dell'affidamento e di stabilire una durata della gestione congrua con la consistenza degli investimenti a carico del soggetto gestore.
Sempre il bando di gara o la lettera di invito dovranno anche prevedere l'adozione di carte dei servizi al fine di garantire trasparenza informativa e qualità del servizio. Previsto anche il divieto di partecipazioni in raggruppamento di soggetti che potrebbero ben partecipare singolarmente. Nell'aggiudicazione dovrà prevalere la valutazione dei profili qualitativi e del corrispettivo del servizio, rispetto al valore delle quote societarie.
Gli affidatari «in house» di servizi pubblici locali saranno tenuti all'osservanza del Patto di stabilità e, unitamente alle società miste affidatarie dei servizi saranno tenute all'applicazione del Codice dei contratti pubblici per gli affidamenti a terzi di appalti (ma al socio privato saranno affidabili direttamente le attività di competenza laddove sia stato scelto in gara, così da vietare la cosiddetta «doppia gara») (articolo ItaliaOggi del 23.07.2010 - link a www.corteconti.it).
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Completata la riforma dei servizi pubblici con l'approvazione del regolamento.
Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al regolamento attuativo della riforma dei servizi pubblici locali, che darà piena attuazione al decreto legge che porta la firma del ministro Andrea Ronchi, e che riguarda i servizi idrici, i rifiuti e il trasporto pubblico locale.
La riforma delle gestioni dei servizi pubblici avverrà a tappe a seconda di come era avvenuto l'affidamento.
Decadranno alla fine di quest'anno le gestioni affidate direttamente senza gara ed entro il 2011, invece, le gestioni in house e quelle delle spa miste qualora non abbiano ceduto almeno il 40% delle loro quote ad un socio privato che dovrà assolvere anche a compiti gestionali.
Potranno andare, invece a scadenza naturale del contratto, tutti gli affidamenti che già hanno proceduto a cedere una loro quota di almeno il 40% a soci privati ... (link a www.greenreport.it).

APPALTI SERVIZI:  1. Servizi pubblici locali a rilevanza economica - Art. 23-bis, D.L. 112/2008 - Art. 113 D.lgs. 267/2000 - Affidamento in house - Ammissibile solamente per le procedure già iniziate alla data di entrata in vigore della legge di conversione - Prevalenza sulle norme di settore con esso incompatibili - Affidamento nel rispetto dei principi comunitari - Necessità.
2. Servizi pubblici locali a rilevanza economica - Affidamento in house - Art. 23-bis, DL 112/2008 - Ammissibile solamente per le procedure già iniziate alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

1. L'art. 23-bis del D.L. 112/2008 prevale sugli ordinamenti di settore con esso incompatibili, compreso l'art. 113 del T.U.E.L. Tale norma, infatti, prevale sugli ordinamenti di settore con esso incompatibili, compreso il d.lgs n. 152 del 2006 nonché sull'art. 113 del T.U.E.L. [?].
Invero l'art. 113 T.U.E.L. nella sua attuale formulazione, vigente nella parte non in contrasto con l'art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, non prevede l'affidamento diretto come modalità di gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica, stante la necessità di applicare la disciplina comunitaria ai servizi pubblici locali a rilevanza economica (in tal senso: TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 29.01.2010, n. 460).
2. L'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, costituisce una disposizione completamente innovativa nel quadro della tematica dei così detti affidamenti in house, e la disposizione di cui all'ultimo comma, che prevede la persistenza del regime precedentemente in vigore relativamente alle sole procedure già avviate all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto deve essere restrittivamente intesa (cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 08.02.2010, n. 336) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: La decisione di affidare la gestione di servizi pubblici locali a società in house, in quanto atto di natura programmatoria incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 42 TUEL rientra nella competenza del Consiglio comunale.
Sul divieto previsto dal c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008.

La decisione di affidare la gestione di servizi pubblici locali a società in house, in quanto atto di natura programmatoria incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 42 TUEL -che postula la verifica, in concreto ed attualizzata al momento dell'effettivo trasferimento, della sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive di legge per avvalersi di siffatto modulo gestionale- rientra nella competenza del Consiglio comunale residuando, in capo alla Giunta, la susseguente competenza generale esecutiva da attuarsi sulla base delle scelte e degli indirizzi forniti dall'organo consiliare. Ne consegue che, nel caso di specie, l'affidamento dei servizi cimiteriali ad una società a totale partecipazione pubblica è stato attuato da organo incompetente e con atto inidoneo atteso che, la delibera giuntale di approvazione del contratto di servizio può essere intesa soltanto come atto di esecuzione di apposita delibera consiliare di trasferimento dei servizi in discorso, che nel caso di specie è mancata.
Il c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008, vieta l'acquisibilità, da parte di società che, in Italia o all'estero, gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, così come lo svolgimento di servizi o attività per altri enti pubblici o privati, anche partecipando a gare. Tale disciplina è applicabile al caso di specie dal momento che la società a totale partecipazione pubblica è già affidataria diretta di servizi pubblici locali per averli conseguiti in forza della delibera consilare per cui, per tutta la durata degli affidamenti in corso, non potrebbe conseguire la gestione di servizi ulteriori né con affidamento diretto, anche laddove in ipotesi astrattamente rispondente ai requisiti per l'in house providing, né partecipando a gare (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1882 - link a ww
w.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIAi sensi dell'art. 23-bis, comma 9, del D.L. 112/2008, una società a capitale prevalente pubblico, affidataria in house di servizi pubblici, non può partecipare a gare d' appalto per la gestione di servizi pubblici locali. Non rileva neppure il fatto di essere controllata da altra società pubblica quotata in borsa. La deroga , eccezionale, per le società quotate si applica solo ad esse (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: In house providing, pulizie escluse. Il Tar della Puglia ha bocciato l'iniziativa di una Asl che aveva costituito un'apposita società. Affidamento ammesso solo per servizi di interesse generale.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può essere considerato un servizio strettamente necessario al perseguimento delle finalità istituzionali di un'azienda sanitaria locale.
Con la sentenza 17.05.2010 n. 1898 il TAR Puglia-Bari, Sez. I, ha bocciato, ai sensi dell'art. 3, comma 27, della Finanziaria 2008 (legge 24/12/2007 n. 244), il modello dell'«in house providing» per l'affidamento di tale tipologia di servizio.
Oggetto della pronuncia del Tar per la Puglia è l'affidamento in house posto in essere dall'Azienda sanitaria locale di (_) dei servizi di pulizia, ausiliariato e portierato alla società unipersonale (_), costituita e interamente controllata dall'ente affidante, a seguito del ricorso presentato da un operatore privato, appaltatore proprio del servizio di pulizia presso la stessa azienda sanitaria precedentemente all'affidamento in questione.
L'Azienda sanitaria, infatti, con più provvedimenti, tutti oggetto di impugnazione da parte della società ricorrente, aveva proceduto nel 2008 alla costituzione della società in regime di in house providing e sempre nel corso dello stesso anno ne aveva anche modificato lo statuto proprio per adeguarlo ai diversi principi sul tema degli affidamenti in house affermarti dalla giurisprudenza comunitaria e amministrativa e a quelli contenuti nell'articolo 23-bis del dl 25/06/2008 n. 112.
Inizialmente l'affidamento aveva avuto a oggetto soltanto le prestazioni strumentali al servizio di emergenza quali le attività di trasporto e soccorso; successivamente l'azienda aveva deciso di avvalersi della società neocostituita per l'espletamento delle «prestazioni di ausiliariato» comprendenti anche il servizio di pulizia degli uffici dell'azienda e dei presidi sanitari di sua pertinenza.
Tale forma di affidamento avrebbe riguardato, in via sperimentale e limitatamente all'anno 2009, il servizio di «messa a disposizione del personale» consistente nella fornitura da parte della società, dietro rimborso delle retribuzioni e di tutti gli altri oneri contributivi e assicurativi, di propri dipendenti da impiegare nel servizio di pulizia che, tuttavia, sarebbe stato espletato sotto la direzione e il controllo dell'Azienda sanitaria e con materiali e attrezzature della stessa.
La modalità organizzativa prescelta, dopo il verificarsi di alcuni disguidi proprio nella gestione del servizio, era stata oggetto, sempre nel corso del 2009, di un nuovo intervento da parte dell'amministrazione che, con un ulteriore provvedimento, ne aveva modificato il contenuto prevedendo che la società in house non avrebbe più svolto il solo servizio di «messa a disposizione del personale» ma assunto, invece, in via diretta un'«obbligazione di risultato assicurando personale, organizzazione, attrezzature e materiali» necessari per la gestione del servizio e stabilendone in misura fissa la relativa remunerazione; in altre parole, come evidenziato nel testo della sentenza, l'azienda sanitaria aveva, a tutti gli effetti, proceduto ad affidare senza gara il servizio di pulizia alla società interamente controllata.
Alla base della pronuncia del Tribunale amministrativo vi è, quindi, la valutazione di legittimità di tale affidamento in house messo in atto dall'azienda sanitaria alla luce dei limiti alla costituzione di società e al possesso di partecipazioni societarie introdotti per le amministrazioni pubbliche dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244/2007.
La norma in questione prevede, infatti, che, al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni pubbliche «non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società»; è, invece, ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza e l'assunzione di partecipazioni in tali società.
In considerazione della predetta norma il Tribunale sottolinea come le «uniche tipologie di società partecipate di cui il legislatore espressamente consente la costituzione e il mantenimento sono, dunque, le società che svolgono attività strettamente necessarie (o addirittura «imprescindibili», secondo l'espressione della Corte costituzionale) alle finalità istituzionali degli enti e le società che producono servizi di interesse generale»; considerando, dunque, il ricorso allo strumento societario da parte delle amministrazioni pubbliche connaturato allo svolgimento di attività necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali o di servizi di interesse generale, per il Tribunale amministrativo «la possibilità di costituire o mantenere una partecipazione societaria deve dunque essere verificata in relazione alle finalità che l'ente pubblico intenda con essa realizzare, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali».
Nel caso di specie, a giudizio del Tar, il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può di certo annoverarsi tra i servizi strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali dell'azienda sanitaria locale; «la pulizia quotidiana dei locali è infatti strumentale al buon andamento di qualsivoglia ente o ufficio pubblico, nell'interesse di coloro che ivi lavorano e degli utenti che vi si recano, ai quali viene garantito il mantenimento di un ambiente salubre».
I servizi di pulizia sono, dunque, come rilevato nel testo della sentenza, da considerarsi «intrinsecamente comuni e generici, sono strumentali all'esercizio di qualunque attività pubblica o privata, sono erogabili da qualsiasi soggetto e a favore di chiunque. Il loro affidamento costituisce un appalto di servizi ed è soggetto alle regole dettate dal Codice dei contratti pubblici e dalle direttive comunitarie in materia di appalti, improntate alla tutela della concorrenza e alla massima apertura dei mercati».
Dall'art. 3, comma 27, della legge n. 144/2007 discende, quindi, il divieto per le amministrazioni pubbliche di costituire società per l'espletamento del servizio di pulizie nei propri immobili e uffici e la conseguente illegittimità della costituzione della società in house per i servizi di pulizia da parte dell'azienda sanitaria locale (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010, pag. 37).

APPALTI SERVIZI: E' illegittima la costituzione da parte di una azienda sanitaria di una società interamente pubblica a cui è stata affidato in house lo svolgimento del servizio di pulizia ed ausiliariato presso le strutture ed i presidi di zona.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei presidi ospedalieri non può essere considerato "strettamente necessario" al perseguimento delle finalità istituzionali dell'azienda sanitaria locale. La pulizia quotidiana dei locali è infatti strumentale al buon andamento di qualsivoglia ente o ufficio pubblico, nell'interesse di coloro che ivi lavorano e degli utenti che vi si recano, ai quali viene garantito il mantenimento di un ambiente salubre. I servizi di pulizie sono intrinsecamente comuni e generici, strumentali all'esercizio di qualunque attività pubblica o privata, erogabili da qualsiasi soggetto ed a favore di chiunque.
Il loro affidamento costituisce un appalto di servizi ed è soggetto alle regole dettate dal Codice dei contratti pubblici e dalle direttive comunitarie in materia di appalti, improntate alla tutela della concorrenza ed alla massima apertura dei mercati. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 3, c. 27, della l. n. 244 del 2007, è illegittima la costituzione da parte della Azienda sanitaria locale di una società interamente pubblica a cui è stata affidato, senza esperimento di gara, lo svolgimento del servizio di pulizia ed ausiliariato presso le strutture ed i presidi di zona, che resta in tal modo sottratto al mercato per gli anni a venire (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 17.05.2010 n. 1898 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: R. Russo, Cosa fare delle società in house? (link a www.robertorusso.it).

APPALTI SERVIZI: L’affidamento in house providing costituisce una ipotesi eccezionale di affidamento di servizio pubblico da sottoporre obbligatoriamente al vaglio dell’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato - Tar per il Veneto 336/2010
La sentenza concerne una complessa vicenda di affidamento in house del servizio raccolta rifiuti da parte di un consorzio di enti locali che, unitamente ad altro consorzio, partecipa del capitale interamente pubblico della società prescelta.
L’analisi sul caso svolta dai giudici amministrativi ha fatto emergere l’insussistenza del requisito del controllo analogo,condizione che permette di evitare il ricorso alle procedure di evidenza pubblica. A seguito di tale pronuncia, il consorzio in questione ha deciso di persistere nell’affidamento alla medesima società e ciò anche senza rispettare la nuova procedura per gli affidamenti diretti introdotta dall’art. 23-bis della legge 133/2008.
La sentenza di cui ci occupiamo concerne il momento successivo alla decisione assunta dai primi giudici sulla mancanza dell'elemento del controllo analogo. Per ragioni di spazio non rappresenteremo l’articolata dialettica tra le parti, per la cui lettura rinviamo al testo della sentenza. In questa sede ci limiteremo a riepilogare i principi espressi dal collegio sull’ambito applicativo dell’art. 23-bis introdotto nel d.l. 112/2008 dalla legge di conversione 133/2008.
Innanzitutto i giudici riassumono i principi consolidati in giurisprudenza per quanto concerne il controllo analogo:
a) la necessità della totale partecipazione pubblica (Corte di Giustizia europea; sez. V 18.11.1999 n. C. 107/98 Teckal, punto 50);
b) il divieto, sancito statutariamente, di apertura al capitale privato (Corte di Giustizia europea, sez. I, 11.01.2005 n. C-26/03 Stadt Halle, punto 49);
c) la riserva in capo ai soci pubblici del potere di designare i componenti degli organi della società (Corte di Giustizia europea, sez. 1, 13.10.2005 n. C-458/03 Parking Brixen, punto 69; TAR Lombardia, Brescia, 21.04.2006, n. 433);
d) la possibilità di esercitare un’influenza determinante sia sugli obbiettivi strategici,sia sulle decisioni importanti della società (Corte di Giustizia europea, sez. 1, 13 ottobre C-458/03 Parking Brixen. punto 65 e Corte di Giustizia europea, sez. 1, 11 maggio C-340/04 Carbotermo, punto 36);
e) la necessità che il controllo sia preventivo e non solo a posteriori (Corte di Giustizia europea, sez. V, 27.02.2003, n. C. 373/00 Truley, punto 70; Consiglio di Stato sez. VI, 05.01.2007, n. 5) e che siano previsti concreti poteri ispettivi (Corte di Giustizia. europea, sez. V, 27.02.2003 n. C 373/00 Truley, punto 73) e d’intervento (Consiglio di Stato, Sez. V, 11.04.2006 n. 5072, p. 22);
f) la circostanza che l'impresa non deve acquisire una vocazione commerciale (Corte di Giustizia europea, Sez. 1, 13.10.2005 n. 458/03 Parking Brixen, punto 67);
g) la non sufficienza, per la configurazione del c.d. controllo analogo, degli ordinari strumenti di diritto civile (Consiglio di Stato, Sez. V; 05.01.2007, n. 5);
h) il carattere (speciale, rispetto a quelle disciplinate dal Codice Civile, delle società di capitali in house (TAR Campania, Napoli, Sez. 1, sentenza n. 8055/2006) e nella necessità di predisporre un meccanismo di controllo coerente con la peculiarità della forma (societaria (TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 16.10.2007 n. 9988);
i) la possibilità che il capitale sociale della società in house sia partecipato da una pluralità di enti locali, purché il controllo analogo a quello esercitato suoi propri servizi sia realizzato, indipendentemente dalla quota di partecipazione propria di ciascun ente, attraverso la costituzione di un ufficio comune, cui sia attribuito il compito di realizzare il coordinamento e la consultazione tra gli enti locali (TAR Abruzzo, Pescara, 07.11.2006 n. 687; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 12.04.2006 n. 1318);
j)
l’utilizzabilità dello strumento della convenzione ex art. 30 del D.L.vo 18.08.2000 n. 267 e s.m.i. per l’esercizio del controllo analogo da parte di una pluralità di enti soci (TAR Friuli Venezia Giulia 15.07.2007 n. 634.
Un altro principio rilevante ai fini della prova della sussistenza del controllo analogo è dato dalla previsione di un diritto di veto da parte di ciascun Ente partecipante alla società nei confronti delle deliberazioni assunte dagli organi sociali in modo difforme dalle proposte, nonché della competenza dell’assemblea ordinaria della trattazione di argomenti inerenti a pretese della società sugli Enti locali che ad essa partecipano scaturenti dal contratto di servizio e corrispondente al diritto di veto di ciascun Ente locale interessato sulle relative determinazioni; e, soprattutto, del diritto di recesso dalla società nei casi in cui l’Ente socio abbia diritto a far valere la risoluzione o, comunque, lo scioglimento del contratto di servizio con la Società.
Entrando nel merito dell’applicazione dell’art. 23-bis, per i casi di affidamento diretto i giudici evidenziano che dalla lettura della norma emerge: la necessità dell'esistenza di situazioni del tutto particolari che non permettono un'efficace utile ricorso al mercato, derivanti da peculiari caratteristiche economiche sociali ambientali e geomorfologica del contesto territoriale di riferimento, ai fini di consentire la deroga alle modalità di affidamento ordinaria, pur sempre nel rispetto della disciplina comunitaria;la necessità, in tali casi, da parte dell'ente affidante di dare pubblicità alla scelta motivandola in base a un'analisi del mercato; la necessità, in tali casi, di contestuale trasmissione di una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da render entro 60 giorni dalla ricezione della relazione.
Circa la necessità di acquisire il parere dell’Autorità preventivamente non ci sono dubbi ora e non ce n’erano neanche prima del decreto legge 135/2009 che ha esplicitamente previsto come preventivo il solo parere Garante della concorrenza. In effetti, la medesima Autorità in una comunicazione del 16.10.2008 aveva già interpretato la norma in modo da collocare il proprio parere in una fase iniziale preventiva. Ne risulta che il parere è obbligatorio e preventivo ma non vincolante pur se, come aveva specificato il Garante, l’amministrazione è obbligata a spiegare le ragioni che eventualmente la inducano a disattendere le indicazioni contenute nel parere. E' importante poi sottolineare il rapporto tra l'articolo 23-bis e la precedente normativa sulla quale, ad avviso dei giudici, l'articolo della manovra estiva prevale in caso di incompatibilità.
Analizzando il rapporto con l'art. 113 TUEL, i giudici veneti ritengono che non vi siano profili di incompatibilità. Anche secondo la disciplina del testo unico enti locali, l’affidamento in house doveva avvenire nel rispetto della normativa comunitaria rappresentando una procedura alla quale gli enti locali possono ricorrere previa specifica motivazione e laddove le condizioni di mercato non consentono di assicurare lo svolgimento efficiente di un determinato servizio - commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Veneto, Sez. I, sentenza 08.02.2010 n. 336 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, LA CORTE DI GIUSTIZIA CONTINUA LA RIFINITURA DELL’IN HOUSE PROVIDING. MA IL DIRITTO INTERNO VA IN CONTROTENDENZA - (commento a CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. III, sentenza 10.09.2009 n. C-573/07) (link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

APPALTI SERVIZI: Controllo analogo nell’in house providing: precisazioni.
Il "controllo analogo", inteso nei sensi della "dottrina Teckal", non postula necessariamente anche il "controllo", da parte del socio pubblico, sulla società e, in via consequenziale, su tutta l’attività, sia straordinaria sia ordinaria, da essa posta in essere, assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c., essendo, invece, sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati.
Il requisito del controllo analogo non sottende una logica "dominicale", rivelando piuttosto una dimensione "funzionale": affinché il controllo sussista anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici partecipanti al capitale della società affidataria non è dunque indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un "controllo" della governance societaria.
Il requisito del "controllo analogo" postula un rapporto che lega gli organi societari della società affidataria con l’ente pubblico affidante, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare "tutta" l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento; risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.
È corretta e legittima la modalità organizzativa dell’in house providing c.d. frazionato, nel quale cioè la società in house costituisce longa manus ed organo di gestione del servizio per tante e diverse amministrazioni ed è strumentale ad una gestione associata ed economica della attività dalle medesime prestate; in sostanza, ciò che rileva ai fini della legittimità dell’affidamento non è la circostanza della configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull’intera società in house, bensì l’esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l’attività della società controllata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8970 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: Sui presupposti necessari affinché sussista il requisito del c.d. controllo analogo richiesto per ritenere legittimo l'affidamento "in house" di servizi pubblici nel caso di società partecipata da più enti.
Nel caso di affidamento "in house" di un servizio pubblico ad una società partecipata da più enti, ai fini della legittimità dell'affidamento, non è la circostanza della configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull'intera società in house, bensì l'esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l'attività della società controllata.
Pertanto, nel caso di specie, è corretto l'operato di un comune e di altre amministrazioni locali che, al fine del perseguimento della migliore gestione economica ed operativa del servizio di smaltimento dei rifiuti nei relativi territori, hanno aderito ad una struttura comune costituita ad hoc e partecipata esclusivamente dai piccoli comuni della comunità.
Siffatta modalità operativa di affidamento in house consente, infatti, ai piccoli enti locali, da un lato di gestire il servizio con rilevanti margini di economia, dall'altro di controllare i livelli della prestazione dello stesso servizio pubblico essenziale, collaborando a tal fine con altri comuni limitrofi e creando le premesse per un servizio d'ambito per rendere più efficiente la gestione ed abbattere i costi del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.12.2009 n. 8970 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Controllo analogo anche frazionato. AFFIDAMENTI IN HOUSE/ Il Consiglio di stato sul caso di una società partecipata da più enti. Il requisito sussiste pure se esercitato in forma congiunta.
Nell'affidamento in house ad una società partecipata da più enti pubblici sussiste il requisito del controllo analogo anche quando esercitato in forma congiunta.

È l'orientamento del Consiglio di stato, sezione V, che con la sentenza n. 8970 del 29/12/2009 ritorna sul tema della configurabilità del «controllo analogo» nel caso di «in house frazionato».
La fattispecie posta all'attenzione del Consiglio di stato concerne l'adesione di un comune alla gestione in forma associata del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani demandata a una Comunità montana con l'incarico di scegliere il modello più appropriato per la migliore gestione economica e organizzativa del servizio; a tale scopo la Comunità montana aveva proceduto all'affidamento in house del servizio alla società interamente pubblica partecipata anche dal comune in misura minoritaria (0,484%). Contro le determinazioni dell'amministrazione comunale aveva proposto ricorso davanti al Tribunale amministrativo per la Lombardia, sezione di Brescia, la società, lamentando, tra i diversi motivi, anche la violazione dell'articolo 113 del Tuel (dlgs 267/2000), comma 5, lettera c), relativamente alla mancanza in concreto del requisito del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi da parte del comune in questione data l'irrilevanza della relativa partecipazione al capitale e l'assenza di poteri tali da incidere sull'attività della società.
Con la sentenza n. 1440 del 27/10/2008, accogliendo parzialmente il ricorso, il Tar di Brescia riscontrava l'insussistenza del requisito del controllo analogo ritenendo come questo «debba sussistere, autonomamente, in capo a ciascun ente socio, quantomeno nella forma di diritto individuale di veto all'adozione di qualsivoglia rilevante decisione di amministrazione ordinaria o straordinaria». Contro la decisione del tribunale amministrativo la comunità montana e la società in house affidataria del servizio di gestione dei rifiuti si appellavano al Consiglio di stato per richiederne l'annullamento.
Per prima cosa, nell'esaminare il merito della questione relativa alla sussistenza o meno del requisito del controllo analogo, il Consiglio di stato rileva come l'impostazione adottata nel giudizio di primo grado risulti non in linea con la sentenza Coditel della Corte di giustizia europea (sentenza 13/11/2008 - causa C-324/07) con la quale i giudici comunitari avevano sviluppato il tema dell'ipotesi del controllo analogo congiunto «chiarendo che gli Enti partecipi di una società in house possono esercitare il controllo collettivamente, deliberando a maggioranza all'interno degli organi sociali nei quali siedono i loro rappresentanti».
Sempre con riferimento alla giurisprudenza comunitaria, dopo aver ricordato la decisione del 09/06/2009, causa C-480/06, riporta, in particolare, la sentenza 10/09/2009, causa C-573/07 in cui la corte europea era stata chiamata a pronunciarsi proprio su un rinvio pregiudiziale del Tar di Brescia che aveva espresso perplessità in caso di affidamenti in house circa la conciliabilità del modello legale della società per azioni con l'esercizio del controllo analogo da parte di ogni comune socio in considerazione dell'art. 2380-bis cod. civ. che riserva la gestione dell'impresa esclusivamente agli amministratori. Nell'affrontare tale questione la corte europea reputava possibile l'esercizio da parte dei comuni soci del controllo analogo in considerazione di previsioni statutarie quali il potere interdittivo dell'assemblea dei soci e l'obbligo di richiesta di un parere preventivo ad un comitato formato dagli stessi comuni per le decisioni più importanti.
Anche, nel caso in questione, il Consiglio di stato rileva la presenza di analoghe modalità di controllo laddove, come da norme statutarie e convenzionali, è riservata all'assemblea dei soci la formulazione di indirizzi vincolanti sulla gestione ordinaria e straordinaria o è prevista l'istituzione di una commissione formata dai sindaci dei comuni convenzionati e dal presidente della Comunità montana chiamata a esprimere un parere obbligatorio sul bilancio preventivo e consuntivo della società e su eventuali spese non preventive per la gestione del servizio. Ricollegandosi al concetto di controllo analogo congiunto della sentenza Coditel così come ripreso in proprie recenti decisioni (sentenze n. 1365/2009, n. 2765/2009, n. 5082/2009, n. 5808/2009), il giudice amministrativo ribadisce come «il controllo analogo non postula necessariamente anche il controllo, da parte del socio pubblico, sulla società e, in via consequenziale, su tutta l'attività, sia straordinaria sia ordinaria, essendo, invece, sufficiente che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati».
Perché possa essere riscontrata la sussistenza del controllo analogo e, di conseguenza, la legittimità dell'affidamento in house non è richiesta, come, invece, sostenuto dal Tar in primo grado, «la configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull'intera società in house, bensì l'esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l'attività della società controllata».
Nel caso in esame, accogliendo, quindi, gli appelli della comunità montana e della società affidataria, l'affidamento in house può dirsi legittimo in quanto, considerata anche la sussistenza delle ulteriori condizioni della totale partecipazione pubblica al capitale e dello svolgimento della parte più importante dell'attività con gli enti pubblici che la controllano, la società «è sorretta da un regime tale da escluderne autonomia decisionale e terzietà rispetto ai comuni che ne partecipano» (articolo ItaliaOggi del 05.02.2010, pag. 38).

APPALTI SERVIZI: M. F. Monterossi, Società partecipate da una pluralità di enti pubblici e affidamento in house: brevi note in tema di effettività del controllo alla luce di una recente sentenza del Consiglio di Stato (link a www.amministrazioneincammino.luiss.it).

APPALTI SERVIZI: A. Pierobon, FRAMMENTAZIONE GESTIONALE, ISTITUZIONE DEGLI A.T.O., NUOVE COMPETENZE, AFFIDAMENTO DI SERVIZI E L’IN HOUSE IN UNA RECENTE DELIBERAZIONE DELL’AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE (link a www.lexambiente.it).

APPALTI SERVIZI: F. Logiudice, In house providing in pillole (link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: V. M. Leone, IN HOUSE: OSSIA DELL’AUTONOMIA DECISIONALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - estratto da Franchini C., Tedeschini F. (a cura di), Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma dell'attività contrattuale, 2009 (link a www.osservatorioappalti.unitn.it).

APPALTI SERVIZI: E' illegittimo l'affidamento diretto del servizio di gestione degli impianti termici ad una società mista il cui socio originario, benché sia stato scelto a seguito di una gara pubblica, abbia unilateralmente alienato le proprie azioni.
L'affidamento diretto di un servizio pubblico, al di fuori del sistema della gara, ad una società esterna (ossia soggettivamente autonoma) è consentito solo quando il rapporto esistente con tale società presenti caratteristiche tali che questa possa essere ritenuta come una "derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso. La società esterna, inoltre, può essere considerata tale solo se l'ente esercita su di essa un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi e richiede la necessaria partecipazione pubblica totalitaria, "giacché una partecipazione minoritaria già preclude la possibilità di effettuare il predetto controllo".
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo l'affidamento diretto ad una società mista pubblico-privata del servizio manutenzione degli impianti termici di competenza della provincia sebbene sia stata effettuata la selezione del partner privato della società mista a seguito di una procedura di evidenza pubblica, in quanto la provincia, pur avendo una partecipazione maggioritaria nella predetta società mista, non esercita tale forma di controllo essendo lo stesso socio originario stato sostituito da due diverse società private nel corso del rapporto per unilaterale determinazione del socio privato originario, che ha liberamente alienato le proprie azioni, non essendovi preclusioni al riguardo nello statuto societario. Non si può, quindi, affermare che il partner privato, nella specie, sia stato scelto dalla provincia a seguito di una gara pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2009 n. 5814 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, piuttosto che esternalizzare il servizio affidandolo a trattativa privata.
E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, piuttosto che esternalizzare il servizio affidandolo a trattativa privata, essendo andata deserta la gara ad evidenza pubblica. Il ricorso alla trattativa privata è, infatti, frutto di una scelta discrezionale, pertanto, non può ragionevolmente negarsi alla stessa amministrazione il potere di valutare la sussistenza di altri strumenti, anche diversi dall'affidamento in appalto, per la gestione del servizio di raccolta rifiuti e di igiene urbana e dunque, anche il potere di modificare l'originaria scelta di fondo, passando cioè dall'esternalizzazione del servizio all'affidamento in house, atteso che, al contrario, la nuova determinazione amministrativa, è motivata, inspirandosi, nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall'art. 97 della Costituzione, ad un conseguimento dell'interesse pubblico inteso non già in una visione meramente statica (limitata cioè esclusivamente al buon funzionamento del servizio di igiene urbana cittadina), ma dinamica in cui il nuovo approccio alla realizzazione dell'interesse pubblico attraverso l'internalizzazione e l'affidamento del servizio ad una società di capitali interamente pubblico possa costituire il momento iniziale e dialogo di confronto con gli altri enti, partecipanti alla società pubblica, per l'individuazione di nuove prospettive di tutela e di conseguimento dell'interesse pubblico.
E' legittima la scelta di un comune di gestire il servizio pubblico locale di igiene urbana attraverso l'adesione ad una società a capitale interamente pubblico, nonostante la minima partecipazione (quasi simbolica, pari allo 0,26% del capitale societario), in quanto nello statuto sono stati previsti accorgimenti tesi a chiarire e precisare le modalità per la sussistenza del requisito del controllo analogo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2009 n. 5808 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: G. Guzzo, LA RIFORMA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA - La nuova disciplina degli affidamenti in house e delle società miste alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale nazionale e comunitaria più recente e dell’articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito, con modifiche, nella legge n. 133 del 06.08.2008 (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla compatibilità con il diritto comunitario dell'affidamento diretto di un servizio ad una spa a capitale interamente pubblico nel caso in cui esista la possibilità che investitori privati entrino nel capitale della società.
Nel caso in cui il capitale della società aggiudicataria è interamente pubblico e in cui non vi è alcun indizio concreto di una futura apertura del capitale di tale società ad investitori privati, la mera possibilità per i privati di partecipare al capitale di detta società non è sufficiente per concludere che la condizione relativa al controllo dell'autorità pubblica non è soddisfatta. L'apertura del capitale rileva solo vi è un'effettiva prospettiva di ingresso di soggetti privati nella compagine sociale, altrimenti, il principio di certezza del diritto esige di valutare la legittimità dell'affidamento in house sulla base della situazione vigente al momento della deliberazione dell'Ente locale affidante.
L'attività della società in house deve essere limitata allo svolgimento dei servizi pubblici nel territorio degli enti soci, ed è esercitata fondamentalmente a beneficio di questi ultimi.
Nel caso di specie, anche se il potere riconosciuto alla società aggiudicataria, di fornire servizi ad operatori economici privati è meramente accessorio alla sua attività principale, l'esistenza di tale potere non impedisce che l'obiettivo principale di detta società rimanga la gestione di servizi pubblici. Pertanto, l'esistenza di un potere siffatto non è sufficiente per ritenere che detta società abbia una vocazione commerciale che rende precario il controllo di enti che la detengono (Corte di giustizia europea, Sez. III, sentenza 10.09.2009 n. C-573/07 - link a www.
dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sui requisiti che devono sussistere per ritenere legittimo l'affidamento in house in favore di una società partecipata da più enti pubblici.
In caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici, per verificare se sussiste il presupposto del controllo analogo si applica il criterio sintetico imperniato sui rapporti tra la collettività degli enti pubblici soci rispetto alla società affidataria rispetto all'approccio atomistico che considera singulatim la posizione di ogni ente locale.
Ai fini della configurabilità di un "controllo analogo", non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell'art. 2359 c.c.. è imprescindibile però che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati.
La giurisprudenza amministrativa, recependo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, ha rimarcato che il controllo analogo, idoneo ad escludere la sostanziale terzietà dell'affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, é da escludere in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato da parte dell'ente controllante-affidante che consenta a quest'ultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell'affidatario. Risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci. Inoltre, osta alla configurabilità dell'affidamento in house l'acquisizione, da parte dell'impresa affidataria, di una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell'ente pubblico.
Detta vocazione, può, in particolare, risultare dall'ampliamento, anche progressivo, dell'oggetto sociale e dall'apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall'espansione territoriale dell'attività della società: l'affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce infatti per condizionare le scelte strategiche dell'ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell'interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se entificata, dell'ente o degli enti istituenti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.08.2009 n. 5082 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI1. Affidamento "in house". Presupposti;
2. Affidamento in house. Requisito del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi da parte dell'amministrazione nei confronti della società "in house". Connotati.

1. La legittimità degli affidamenti in house presuppone l'inesistenza di un rapporto di terzietà tra amministrazione e società affidataria.
Ciò implica a sua volta che la società affidataria svolga la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano e che tali enti esercitino nei confronti della società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
2. Ai fini del positivo accertamento del requisito del controllo analogo è richiesta, oltre alla partecipazione pubblica totalitaria, la possibilità da parte degli enti controllanti di esercitare un'influenza dominante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società che va ben al di là dei normali poteri spettanti al socio in assemblea (nella fattispecie il giudice amministrativo ha ritenuto non integrato tale requisito in ragione della varietà e molteplicità delle attività statutarie della società in house, delle caratteristiche spiccatamente commerciali di alcune di esse e dei considerevoli poteri attribuiti al consiglio d'amministrazione) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.07.2009 n. 4502 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: - L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267 del 2000, non riguarda la cessazione delle concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante gara.
- Sulla natura tassativa dell'art. 113 c. 15-bis, d.lg. n.267 del 2000, e sul fatto che non interagiscono con esso le disposizioni sulla gestione integrata dei rifiuti di cui al d.lg. n. 152 del 2006.

- L'art. 113, c. 15 bis del d. lgv. n. 267 del 2000, esclude dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza.
È possibile affidare direttamente il servizio a società partecipate dall'ente pubblico, allorquando le esigenze dell'evidenza pubblica siano state rispettate a monte. Il parere n. 456 del 2007 reso dal Consiglio di Stato, sez. II, ha ritenuto che la scelta del partner privato a mezzo procedura ad evidenza pubblica equivale ad affidamento con gara del servizio. Ha precisato tuttavia che il ricorso alla figura della società mista affidataria diretta del servizio deve avvenire a condizioni tali da fugare dubbi e ragioni di perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. Tali condizioni ricorrono allorché la gara per la scelta del socio sia preordinata alla individuazione del socio industriale od operativo che concorra materialmente allo svolgimento del servizio pubblico e, che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza del periodo di affidamento", evitando che il socio divenga "socio stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo e chiarendo sin dagli atti di gara modalità per l'uscita del socio stesso per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario. Nel caso di specie, attinente la decadenza dell'affidamento diretto del servizio di igiene urbana ad una società a partecipazione pubblica maggioritaria in cui è incontestato che la scelta del socio privato è avvenuta con procedura di evidenza pubblica, manca la principale condizione per poter considerare legittimo l'affidamento del servizio, in quanto la scelta a monte del socio privato con procedura di evidenza pubblica ha esaurito il suo effetto con la scadenza della convenzione il cui rinnovo imponeva la procedura dell'evidenza pubblica, integrando una modalità di affidamento diretto del servizio in contrasto con i principi di matrice comunitaria di tutela della concorrenza e configura l'ipotesi del "socio stabile" che nel parere n. 456 del 2007 su citato è situazione in contrasto con i principi della concorrenza e dell'evidenza pubblica.
- L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267 del 2000 è disposizione tassativa che non consente slittamenti o proroghe dei rapporti ivi considerati oltre il termine massimo del 31.12.2006 e le disposizioni sulla gestione integrata dei rifiuti di cui al d.lgv. n. 152 del 2006 non interagiscono con tale disposizione, non assumendo rilievo in contrario nemmeno la previsione del c. 2 dell'art. 204 del codice dell'ambiente che testualmente dispone "In relazione alla scadenza del termine di cui al c. 15-bis dell'art. 113..., l'Autorità d'ambito dispone i nuovi affidamenti ...entro nove mesi dall'entrata in vigore della... parte quarta" che ha riguardo all'attività successiva alla suddetta risoluzione automatica (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 17.06.2009 n. 1525 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In applicazione dell'art. 113, c. 6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non deve essere ammessa ad una gara per l'affidamento di un servizio pubblico locale una società già affidataria diretta di un spl in un altro comune.
In base a quanto previsto dall'art. 113, c. 6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non sono ammesse a partecipare alle gare per l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica "le società che in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultimi; sono parimenti esclusi i soggetti di cui al c. 4" (gestori delle reti).
Pertanto, nel caso di specie, la società aggiudicataria essendo affidataria diretta da parte di un altro comune della gestione dell'impianto di discarica sita nel territorio comunale non doveva essere ammessa alla gara indetta dall'Azienda Servizi Ambientali per l'affidamento del servizio di stesura, compattazione, copertura dei rifiuti, esecuzione di sbancamenti e di trasporto del percolato relativo alla discarica di un comune (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3920 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI1. Controllo analogo - Sussistenza - Presupposti.
2. Principi di cui all'articolo 87 del Trattato e correlazione di tali principi con i limiti che caratterizzano gli affidamenti in house.

1. Costituisce oramai dato pacifico che per potersi configurare un "controllo analogo" non è sufficiente il possesso della totalità del capitale sociale da parte dell'ente affidatario, occorrendo, invece, che questo disponga di penetranti poteri di ingerenza gestionale e di controllo che superino quelli che nell'ordinario regime societario sono riservati all'assemblea dei soci (Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2007, n. 1514). Occorre poi che dallo statuto della società affidataria, e, in particolare dal suo
Tenendo conto di ciò la giurisprudenza ha ritenuto necessario che lo statuto dell'organismo in house limiti i poteri gestionali dell'organo amministrativo, rimettendo alla approvazione dell'ente controllante gli indirizzi strategici e le decisioni più importanti (C. Giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, 13.10.2005, C-458/03, 11.05.2006, C 340/04).
Inoltre, si è affermato che il controllo analogo non possa essere riconosciuto qualora lo statuto preveda una pluralità di oggetti ed ambiti di intervento dai quali si possa evincere che la società ha assunto una chiara vocazione commerciale.
Invero, il controllo analogo presuppone la sussistenza di una specifica relazione "organizzativa" che limiti dall'interno l'autonomia dell'organismo in house. Questo, in altre parole, si trova a non poter esercitare i pieni poteri decisionali che normalmente competono ad ogni entità dotata di personalità giuridica in forza di restrizioni che investono a livello genetico la sua stessa soggettività, e non, invece, in ragioni di limitazioni contrattuali volontariamente accettate.
Le limitazioni contrattuali riguardano, infatti, lo svolgimento del servizio, mentre il controllo analogo investe le decisioni dell'organismo controllato nella loro totalità.
A ciò si aggiunga che l'esistenza di penetranti poteri di controllo di natura negoziale sullo svolgimento del servizio affidato connota le più disparate figure contrattuali (come, ad esempio, i disciplinari accessivi a rapporti concessori) e non è affatto indicativa della esistenza di un rapporto "interorganico" quale è quello che contraddistingue la fattispecie dell'"in house".
Come questa Sezione ha già avuto occasione di precisare, la verifica del controllo analogo deve effettuarsi sul piano dell'esistenza di previsioni che conferiscano all'ente locale affidante poteri di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale della società affidataria tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all'ordine del giorno di detti organi, ma anche -e principalmente- poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell'Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall'Ente stesso con le suindicate proposte.
Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall'Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l'Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività.
2. I finanziamenti in qualsiasi forma erogati ad enti che gestiscono servizi pubblici in regime di concorrenza, incorrono nel divieto di aiuti di stato sancito dall'art. 87 del trattato, salvo che rappresentino la contropartita delle prestazioni fornite dalle imprese beneficiarie per adempiere obblighi di servizio pubblico ed a condizione che i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione siano stati previamente definiti in modo obiettivo e trasparente e che essa non ecceda quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall'adempimento (Corte Giustizia 24/07/2003 C 280/00).
Ed ancora si è deciso che l'attribuzione alle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale di diritti esclusivi che possono comportare restrizioni della concorrenza, o l'esclusione di qualsiasi concorrenza da parte di altri operatori economici, può essere consentita dal diritto comunitario nei limiti in cui ciò rappresenti una misura necessaria per garantire l'adempimento della loro specifica funzione (Corte Giustizia CE 19/05/1993 n. 320).
Più di recente la giurisprudenza amministrativa ha messo in correlazione tali principi con i limiti che caratterizzano gli affidamenti in house.
Si è affermato in proposito che l'affidamento diretto del servizio garantisce all'impresa affidataria l'acquisizione di contratti al di fuori del circuito del mercato con conseguente attribuzione alla stessa di una posizione di ingiusto privilegio rispetto alle imprese concorrenti (CdS Ad Plen 1/2008).
Si è quindi osservato che in tale situazione è ravvisabile una forma di "aiuto di stato" vietata dall'art. 87 del trattato CE, atteso che il vantaggio economico in cui la misura di favore può concretarsi non necessariamente deve consistere in un contributo, sussidio o agevolazione fiscale, ma può consistere anche nella garanzia di "una partecipazione sicura al mercato a cui -essa- appartiene" (CGARS, 04/09/2007 n. 719, Corte Giustizia CE 18/12/2007 C 220/06 punto n. 62). L'affidamento diretto, infatti, in virtù del meccanismo delle economie di scala, assicura all'impresa beneficiaria la possibilità di una copertura totale o parziale dei costi di impresa mediante i proventi del servizio affidatole senza gara, consentendole così di realizzare maggiori margini di profitto o di offrire prezzi di maggior favore quando essa opera nei confronti dell'utenza ordinaria (CGARS 719/2007 cit.).
In conseguenza di ciò si è ritenuto che anche il requisito dello svolgimento della attività prevalente nei confronti dell'ente affidatario debba essere interpretato in modo rigoroso, come tendenziale esclusività dell'attività economica della società affidataria nei confronti dell'ente azionista, potendo avere ogni altra attività solo carattere "marginale" (Corte Giustizia CE 17/07/2008 C. 371/05) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 25.05.2009 n. 3838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALISul controllo analogo di una società partecipata da un comune.
Il Comune di (omissis), con nota telematica del 13.03.2009, ha proposto un articolato quesito in merito ai propri rapporti con il Consorzio (omissis) – in particolare per quanto attiene ... al modo con il quale risulterebbe possibile effettuare il “controllo analogo” su (omissis) srl., affidataria in house dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti (Regione Piemonte, parere n. 35/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

APPALTI SERVIZI: G. Nicoletti, Gestioni “in house”: difficili o impossibili? il caso di Zola Predosa (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L'affidamento in house a società totalmente partecipate da soggetti pubblici costituisce la negazione del mercato.
E' possibile l'affidamento diretto ad una società mista che sia costituita appositamente per l'erogazione di uno o più servizi determinati da rendere almeno in via prevalente a favore dell'autorità pubblica che procede alla costituzione, attraverso una gara che miri non soltanto alla scelta del socio privato ma anche allo stesso affidamento dell'attività da svolgere e che limiti, nel tempo, il rapporto di partenariato, prevedendo allo scadere una nuova gara.
Le condizioni che consentirebbero il ricorso a tale forma organizzativa, lo si ricorda, sono così enucleabili:
1) che esista una norma di legge che autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di tale “strumento”;
2) che il partner privato sia scelto con gara;
3) che l’attività della costituenda società mista sia resa, almeno in via prevalente, in favore dell’autorità pubblica che ha proceduto alla costituzione della medesima;
4) che la gara (unica) per la scelta del partner e l’affidamento dei servizi definisca esattamente l’oggetto dei servizi medesimi (deve trattarsi di servizi “determinati”);
5) che la selezione della offerta migliore sia rapportata non alla solidità finanziaria dell’offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni specifiche oggetto del contratto;
6) che il rapporto instaurando abbia durata predeterminata
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 16.03.2009 n. 1555 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'art. 13 del D.L. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani): ratio legis.
Sull'applicabilità dell'art. 13 del D.L. n. 223/2006 anche alle Camere di Commercio.

La ratio legis indicata dall'art. 13 del D.L. n. 223/2006 nel suo incipit -evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e assicurare la parità tra gli operatori- trova la sua principale esplicazione nella precisa delimitazione del ruolo delle società costituite o comunque partecipate dagli enti locali per la produzione in house di beni e servizi strumentali alla loro attività, delimitazione realizzata attraverso la imposizione di una corrispondenza soggettiva tra enti pubblici titolari del capitale sociale, ed esercitanti il c.d. "controllo analogo", ed enti beneficiari delle prestazioni delle società. In breve il significato precipuo della normativa è questo: è ben possibile che gli enti pubblici possono costituire società in house per lo svolgimento di attività strumentale, e nel far questo possono sottrarsi alle procedure di gara, però poi le società che ne derivano dovranno operare solo per gli enti che le hanno generate, non potendo utilizzare il vantaggio che deriva loro da quella particolare origine, e dallo svolgimento privilegiato delle attività per conto degli enti costituenti, per partecipare a procedure di affidamento da parte di altri soggetti pubblici in condizione di solo apparente concorrenza con gli altri operatori economici.
L'art. 13 del c.d. decreto Bersani rappresenta una specificazione e applicazione dei principi comunitari in quanto l'apertura delle direttive comunitarie verso la partecipazione alle gare dei soggetti anche di matrice pubblica presuppone una loro posizione paritaria, e non può riferirsi alle società appositamente costituite dalle pubbliche amministrazioni per l'autoproduzione di beni e servizi, cui è indirizzato l'art. 13 del D.L. 223/2006. D'altra parte in tale direzione si muove anche il quarto considerando della direttiva 2004/18/CE che ammonisce gli Stati ad adottare normative di regolamentazione dell'accesso al mercato degli appalti di organismi partecipati da enti pubblici che possano quindi distorcere la concorrenza. Dunque l'art. 13 cit. non risulta essere norma in contrasto con il diritto comunitario, bensì di attuazione comunitaria.
L'art. 13 del D.L. n. 223/2006 è applicabile anche alle Camere di Commercio. Il generico riferimento alle "Amministrazioni pubbliche locali", non può essere letto restrittivamente come riferito ai soli enti territoriale, ma deve viceversa essere interpretato come avente riguardo a tutte le pubbliche Amministrazioni che perseguano il soddisfacimento di interessi pubblici locali entro un determinato ambito territoriale (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 13.03.2009 n. 417 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: M. Greco, L’affidamento in house del servizio di raccolta dei rifiuti (link a www.diritto.it).

APPALTI: Sul requisito del controllo analogo nel caso di società partecipate da più enti pubblici.
Nel caso di società partecipate da più enti pubblici il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario deve essere effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati. Il requisito del controllo analogo necessario per ritenere legittimo l'affidamento in house di servizi pubblici ad una società di società partecipate da più enti pubblici non sottende una logica "dominicale", rivelando piuttosto una dimensione "funzionale": affinché il controllo sussista anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici partecipanti al capitale della società affidataria non è infatti indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un "controllo" della governance societaria. In particolare, nel caso di specie, attraverso l'istituzione di un organo, denominato Assemblea dei Sindaci, i Comuni soci si sono riservati, oltre a rafforzati poteri di controllo sulla gestione, il potere, ad esercizio necessariamente congiunto (stante il metodo di voto all'unanimità), di approvare in via preventiva tutti gli atti più rilevanti della società, ovverosia, tra le altre, tutte le deliberazioni da sottoporre all'assemblea straordinaria, quelle in materia di acquisti e cessioni di beni e partecipazioni, quelle relative alle modifiche dei contratti di servizio, quelle in tema di nomina degli organi e quelle in ordine al piano industriale.
E' evidente che, in questo quadro, la mancata considerazione della sola gestione ordinaria non esclude la sussistenza di un controllo analogo concreto e reale, posto che gli atti di ordinaria amministrazione non potranno discostarsi dalle determinazioni preventivamente assunte dall'Assemblea dei Sindaci in ordine a tutte le questioni più rilevanti (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.03.2009 n. 1365 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla questione se gli appalti pubblici possano essere affidati a società miste in via diretta, o se occorra seguire procedure di evidenza pubblica.
Sull'inammissibilità di una società mista aperta o generalista cui affidare in via diretta, dopo la sua costituzione, un numero indeterminato di appalti o di servizi pubblici.
In merito alla questione se gli appalti pubblici possano essere affidati a società miste in via diretta, o se occorra seguire procedure di evidenza pubblica, la risposta deve essere differenziata, occorrendo distinguere l'ipotesi di costituzione di una società mista per una specifica missione, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio che l'affidamento della specifica missione, e l'ipotesi in cui si intendano affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita. Con riferimento al primo caso, a seguito di una complessa evoluzione, la giurisprudenza nazionale (cfr. da ultimo Cons. St., ad.plen., 03.03.2008, n. 1; sez. V, 23.10.2007, n. 5587; sez. II, 18.04.2007, n. 456/2007) e comunitaria (cfr. Corte giust. CE, sez. I, 11.01.2005, n. C-26/03) è pervenuta alla conclusione che, nel rispetto di precisi paletti, è sufficiente una unica gara. Nel secondo caso (che caratterizza il caso di specie), invece, occorre una gara per l'affidamento degli appalti ulteriori e successivi rispetto all'originaria missione.
Prima del d.lgs. n. 163 del 2006, si preferiva la soluzione secondo cui, limitatamente ai lavori e servizi specifici e originari, per i quali fosse stata costituita una società mista, fosse sufficiente una sola procedura di evidenza pubblica, e dunque bastasse quella utilizzata per la scelta dei soci privati, da intendersi come finalizzata alla selezione dei soci più idonei anche in relazione ai lavori e servizi da affidare alla società. Tale soluzione è stata sostanzialmente recepita dal d.lgs. n. 163 del 2006 c.d. codice dei contratti pubblici. Dispone infatti l'art. 32, co. 3, del d.lgs. n. 163 cit., che le società miste non sono tenute ad applicare le disposizioni del medesimo d.lgs. (e dunque non sono tenute a seguire procedure di evidenza pubblica), limitatamente alla realizzazione dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite, se ricorrono le condizioni specificamente indicate dalla norma. Ne discende che la società mista opera nei limiti dell'affidamento iniziale e non può ottenere senza gara ulteriori missioni che non siano già previste nel bando originario. Con riferimento alla materia degli appalti e delle concessioni in caso di partenariato pubblico-privato, anche la Commissione europea, con la comunicazione 05.02.2008, si è mossa lungo la medesima traiettoria argomentativa, affermando che sia sufficiente una sola procedura di gara se la scelta del partner oggetto di preventiva gara è limitata all'affidamento della missione originaria, il ché si verifica quando la scelta di quest'ultimo è accompagnata sia dalla costituzione del partenariato pubblico privato istituzionale (id est attraverso la costituzione di società mista), sia dall'affidamento della missione al socio operativo.
Non è dunque ammissibile una società mista aperta o generalista cui affidare in via diretta, dopo la sua costituzione, un numero indeterminato di appalti o di servizi pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.02.2009 n. 824 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: M. Greco, L’affidamento in house del servizio di raccolta dei rifiuti (link a www.diritto.it).

ENTI LOCALI Enti locali: legittimo il provvedimento comunale che affida ad un'apposita società la distribuzione delle merci all'interno del centro abitato.
E' legittimo il provvedimento col quale il Comune affida ad una sola società, appositamente costituita, il compito di gestire la raccolta e la successiva distribuzione delle merci all'interno del centro abitato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.02.2009 n. 596 - link a www.eius.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità di un affidamento diretto di un servizio pubblico a favore di una società il cui capitale è interamente pubblico, in quanto lo statuto di quest'ultima non garantisce in via certa e permanente l'incedibilità a privati delle azioni.
E' illegittimo l'affidamento diretto del servizio di trasporto pubblico locale a favore di una società il cui capitale sociale è interamente posseduto dallo stesso Comune, in quanto lo statuto di quest'ultima non garantisce, infatti, in via certa e permanente l'incedibilità a privati delle azioni.
Nel caso in cui, infatti, nel corso della durata di un rapporto di concessione sorto per affidamento diretto muta la compagine sociale dell'affidatario (con l'ingresso anche minoritario di privati) ciò comporta la vulnerazione dei principi sanciti dal Trattato in materia di concorrenza.
Pertanto, la proprietà pubblica della totalità del capitale sociale, oltre a dover sussistere nel momento genetico del rapporto, non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve anche essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni posto ad opera dello statuto.
Il possesso dell'intero capitale sociale da parte dell'ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.02.2009 n. 591 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: In house providing: la partecipazione totalitaria è elemento costitutivo.
Se nel corso della durata di un rapporto di concessione sorto per affidamento diretto muta la compagine sociale dell’affidatario che era totalmente in mano pubblica (con l’ingresso anche minoritario di privati) ciò comporta vulnerazione dei principi sanciti dal Trattato in materia di concorrenza. Se ne ricava che, oltre a dover sussistere nel momento genetico del rapporto, la proprietà pubblica della totalità del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve anche essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni posto ad opera dello statuto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.02.2009 n. 591 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: L'eventuale annullamento di un affidamento di un servizio pubblico locale non obbliga la p.a. a bandire una gara in quanto sussiste la possibilità di sottoporre al parere delle Autorità indipendenti a ciò preposte l'ipotesi dello svolgimento in house del servizio stesso.
Sulla possibilità di disporre l'affidamento in house solo nel caso in cui il soggetto affidatario ha l'effettiva possibilità, all'interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse il servizio oggetto dell'affidamento medesimo.

L'art. 23-bis del D.L. 25.06.2008, convertito con modificazioni in L. 06.08.2008 n. 133, dispone, con disciplina che espressamente si applica a tutti i servizi pubblici locali e prevale sulle norme degli ordinamenti di settore con esse incompatibili (quindi, anche sull'ordinamento relativo ai rifiuti di cui allo stesso D.L.vo 152 del 2006), che "in deroga alle modalità di affidamento ordinario … a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica", i servizi pubblici locali possono anche essere diversamente affidati, "per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato", previa "adeguata pubblicità" a tale scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato con contestuale trasmissione "di una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione del settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione".
Pertanto, nel caso di specie, dall'eventuale annullamento dell'affidamento del servizio pubblico di gestione dei rifiuti ad una società strumentale discenderebbe, per il comune titolare, non già l'obbligo di bandire in ogni caso una gara al fine di reperire il nuovo soggetto gestore del servizio, ma la possibilità per l'Amministrazione a ciò competente di sottoporre al parere delle Autorità indipendenti a ciò preposte l'ipotesi dello svolgimento in house del servizio stesso.
L'affidamento in house deve essere disposto allorquando il soggetto affidatario ha l'effettiva possibilità, all'interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse il servizio oggetto dell'affidamento medesimo o, comunque, una sua parte significativamente consistente. Se, per contro, l'affidatario in house deve a sua volta rivolgersi a soggetti esterni -sia pure nelle necessarie forme dell'evidenza pubblica quale "organismo di diritto pubblico" a' sensi dell'art. 2, comma 26, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163- per reperire risorse non marginali al fine dell'espletamento del servizio reso oggetto di affidamento, risulta ben evidente che l'Amministrazione affidante realizza nei propri confronti non già un vantaggio economico, ma una vera e propria diseconomia, non solo finanziaria in quanto il costo dello svolgimento del servizio stesso sarà intuitivamente aggravato dall'intermediazione dell'affidatario c.d. "in house", ma anche -per così dire- "funzionale" sotto il profilo dell'efficacia e dell'economicità dell'azione amministrativa, all'evidenza appesantita dall'ingresso di un soggetto che funge da mero tramite tra l'Amministrazione affidante e l'imprenditore che materialmente svolge il servizio (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 02.02.2009 n. 236 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

anno 2008

APPALTI SERVIZI: Sull'"interpretazione comunitaria” dei requisiti dell’in house.
Il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house deve essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato CE a tutela della concorrenza.
Nella prospettiva comunitaria, pertanto, da un lato, è necessario che gli Stati membri attivino ampi processi di liberalizzazione finalizzati ad abbattere progressivamente le barriere all'entrata, mediante, tra l'altro, l'eliminazione di diritti speciali ed esclusivi a favore delle imprese, ed attuare la concorrenza "nel mercato"; dall'altro, si impone alle pubbliche amministrazioni di osservare, nella scelta del gestore del servizio, adeguate procedure di evidenza pubblica finalizzate a garantire il rispetto della concorrenza "per il mercato" (cfr. Corte cost. sent. 401/2007)
Secondo la Corte di giustizia europea affinché possa parlarsi di gestione in house (con deroga alle regole della concorrenza) sono necessari ed indefettibili due requisiti:
- l'ente pubblico deve svolgere sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
- il soggetto affidatario deve realizzare la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti che la controllano
(Corte Costituzionale, sentenza 23.12.2008 n. 43 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, IN HOUSE PROVIDING, CORTE DI GIUSTIZIA, CONSIGLIO DI STATO E LEGISLATORE NAZIONALE. UN CASO DI CONVERGENZE PARALLELE? (link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittimo un affidamento in house anche nel caso di una partecipazione esigua di un comune al capitale sociale di una società affidataria di un servizio pubblico.
Sulla verifica della sussistenza del controllo analogo.

L'esiguità della partecipazione al capitale di una società affidataria di un servizio pubblico da parte di un comune non è di per sé indice dell'impossibilità, per il comune, di esercitare sulla predetta società il cd. controllo analogo. Ed invero, nel caso di specie, essendo statutariamente imposto che società affidataria indirizzi la parte più rilevante della propria attività alla collettività degli Enti locali soci, è in tal maniera soddisfatto uno dei due requisiti che la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE richiede perché si possa ammettere la configurazione di un affidamento in house.
La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell'esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, dei poteri di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all'ordine del giorno di detti organi, ma anche e principalmente di poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell'Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall'Ente stesso con le suindicate proposte. Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall'Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l'Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività.
La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l'esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all'Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l'Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta:
- potere dell'Ente di effettuare nei confronti dell'organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio;
- diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte;
- diritto di recesso dalla società, con revoca dell'affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l'organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell'assemblea senza l'autorizzazione di questa.
A ciò si sono poi aggiunte la riserva all'assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni. Nel caso di specie, sussistono un complesso di elementi sufficiente, per quantità ed importanza, a configurare il cd. controllo analogo e, per l'effetto, a far rientrare la fattispecie stessa nell'in house providing, essendo fuori discussione l'altro requisito prescritto (cioè lo svolgimento, da parte della società, della parte più importante della propria attività con l'Ente o gli Enti pubblici che ne detengono il capitale: Corte di Giustizia CE, 17.07.2008, in C-371/05) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.12.2008 n. 5759 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI1. Art. 113, d.lgs. n. 267/2000 - Deliberazioni di costituzione della società affidataria o di acquisto di partecipazione di essa - Opzione del modulo gestorio - Successivo atto di conferimento - Esecuzione alla presupposta scelta organizzativa - Lesione interessi imprese aspiranti alla gestione del servizio - Risale all'adozione delle predette deliberazioni di costituzione.
2. Art. 113, d.lgs. n. 267/2000 - Controllo analogo - Verifica della sussistenza - Criteri.

1. La giurisprudenza -con ragionamento svolto in relazione ad una società mista, ma che sembra estensibile anche alla società a capitale interamente pubblico- ha considerato direttamente lesivi gli atti che definiscono conclusivamente l'opzione del Comune per il peculiare modello dell'affidamento diretto ex art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, sottraendo al confronto concorrenziale l'attribuzione del servizio e precludendo, in tal modo, alle imprese interessate di accedere alla relativa contrattazione (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 12.05.2004, n. 1685; C.d.S. Sez. V, 30.08.2005, n. 4428, confermativa della precedente). In quest'ottica, si è ritenuto che l'atto di costituzione della società affidataria o di successiva acquisizione in essa di una partecipazione, ad opera di altro Ente locale, siano i provvedimenti idonei concretamente a sottrarre dal mercato di riferimento la possibilità di accesso alla contrattazione con l'Amministrazione che ha optato per quella peculiare forma di gestione diretta del servizio, essendo il conferimento di quest'ultimo mero atto consequenziale e, per certi versi, automatico e vincolato in relazione alla presupposta scelta del modulo in questione (cfr. C.d.S., Sez. V, 30.06.2003, n. 3864). Infatti, è proprio con le deliberazioni di costituzione della società affidataria, o di acquisto della partecipazione in essa, che l'Ente manifesta e cristallizza l'opzione del modulo gestorio considerato, mentre con il successivo atto di conferimento si limita a dare esecuzione necessitata alla presupposta scelta organizzativa, con il corollario che la lesione effettiva ed immediata degli interessi delle imprese che aspirano alla gestione del servizio risale all'adozione delle predette deliberazioni, tenuto conto del carattere conclusivo della determinazione organizzatoria che esse implicano (TAR Lombardia, Milano, n. 1685/2004, cit.).
2. La recente giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.) ha affermato che la verifica della sussistenza del controllo analogo va condotta secondo un criterio comunque coerente con le peculiarità della forma societaria, con esclusione di criteri, quale quello della sovraordinazione gerarchica tra controllante e controllato, inconfigurabili nei confronti degli organismi di tipo societario. Inoltre, il controllo da parte dell'Ente pubblico non si può configurare quale diretto controllo sulle operazioni di gestione del servizio, di cui l'Ente locale controllante possa direttamente disporre ogni minima regolamentazione.
La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell'esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, dei poteri di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all'ordine del giorno di detti organi, ma anche -e principalmente- di poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell'Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall'Ente stesso con le suindicate proposte.
Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall'Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l'Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività.
La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l'esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all'Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l'Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta (TARLazio, Roma, n. 9988/2007, cit.):
- potere dell'Ente di effettuare nei confronti dell'organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio;
- diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte;
- diritto di recesso dalla società, con revoca dell'affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l'organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell'assemblea senza l'autorizzazione di questa.
A ciò si sono poi aggiunte la riserva all'assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni.
Affinché si possa parlare di un "controllo analogo", infatti, ad avviso del Collegio tale prescrizione deve intendersi nel senso che il veto comunale abbia un valore analogo a quello di un parere vincolante: il consiglio di amministrazione dovrà, in ogni caso, uniformare le sue determinazioni all'avviso espresso dal Comune e non potrà discostarsene limitandosi ad indicare, a propria volta, i motivi per cui ritiene di non condividere le affermazioni del Comune (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 10.12.2008 nn. 5758 - 5759 - 5760 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: 1. Servizi pubblici locali - Gara pubblica per l'affidamento del servizio - Ricorso al modello dell'in house - Eccezione.
2. Nomina del commissario ad acta - Caratteri dell'indipendenza e della terzietà - Natura di organo paragiurisdizionale.
3. Commissario ad acta - Fraintendimento del suo incarico - Diretta e immediata esecuzione del giudicato - Obbligo.

1. In tema di affidamento di servizi pubblici locali, il ricorso alla gara pubblica -ovvero l'integrale ricorso al mercato da parte dell'amministrazione nell'affidamento del servizio- deve essere la regola e di contro l'utilizzo di altri modelli di gestione (per quanto riguarda nel caso in esame, quello dell'in house) deve essere l'eccezione.
2. L'imparzialità dell'amministrazione, affermata sul piano generale dall'art. 97 della Cost., assume peraltro, nell'ipotesi di specie del commissario ad acta nominato dal giudice dell'ottemperanza, i crismi di una vera e propria terzietà ed indipendenza. Entrambi questi caratteri sono infatti mutuati dall'autorità che procede alla nomina e sono un portato della natura di organo paragiurisdizionale, ausiliario del giudice e non dell'amministrazione inadempiente, generalmente riconosciuta al commissario).
3. Il Commissario che, anziché provvedere personalmente e tempestivamente a compiere tutti gli atti necessari all'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, abbia invece delegato tale compito all'amministrazione soccombente e già sul punto inadempiente, ha frainteso il suo incarico, tanto nel metodo, quanto nel merito. Nel metodo, poiché , anziché dare immediata e diretta esecuzione al giudicato (o in via meramente subordinata, fornire prescrizioni puntuali e circostanziate), ha lasciato che tale compito fosse assolto dall'amministrazione comunale con assoluta libertà di manovra e secondo i suoi originali intendimenti; nel merito, perché l'incarico aveva ad oggetto l'esecuzione della sentenza secondo le indicazioni provenienti dalla stessa senza che fosse richiesta o consentita una propria interpretazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 03.12.2008 n. 5676).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità dell'affidamento in house ad una fondazione lirico-sinfonica del servizio di gestione di un teatro per mancanza dei requisiti legittimanti l'affidamento diretto di un servizio pubblico locale.
E' illegittima la deliberazione del comune di Bari che ha affidato in house, previa trattativa privata, alla fondazione Petruzzelli l'utilizzo gratuito del teatro e la gestione dei servizi teatrali per la durata di tre anni per mancanza dei requisiti legittimanti l'affidamento diretto di un servizio pubblico.
L'utilizzo gratuito del teatro e la gestione dei servizi teatrali non è definibile come un servizio privo di rilevanza economica; al contrario, attraverso la gestione del servizio, nel caso di specie, è statutariamente previsto che la fondazione persegua l'obiettivo imprenditoriale, non può, dunque, trovare applicazione l'art. 113-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, che consente l'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero a fondazioni costituite o partecipate dall'ente locale.
Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica si applica invece l'art. 113 del medesimo d.lvo che consente, "nel rispetto della normativa dell'Unione Europea", il conferimento della titolarità del servizio a società a capitale interamente pubblico. L'affidamento diretto del servizio da parte dell'ente pubblico, peraltro, è legittimo solo a determinate condizioni, in parte specificate dallo stesso art. 113, in parte di derivazione comunitari.
Nel caso di specie, non sussiste la condizione dell'immediato controllo da parte dell'ente pubblico sull'attività e le decisioni della fondazione, tale da poter configurare quest'ultima quale organo dell'amministrazione e, quindi, da legittimare l'affidamento in house, infatti, l'art. 13 dello statuto della fondazione Petruzzelli stabilisce espressamente che il presidente, e il consiglio d'amministrazione (organi decisionali dell'ente e di designazione pubblica: il presidente è il sindaco di Bari) non rispondono a coloro che li hanno designati, e non li rappresentano, inoltre, sono la stessa legge istitutiva delle fondazioni lirico-sinfoniche (d.lgs. n. 367 del 1996) e quella specifica per la fondazione Petruzzelli che prevedono ed anzi impongono "in ogni caso" la partecipazione di soggetti privati, con conseguente inconfigurabilità, anche per tale via, dei presupposti per tale particolare modulo operativo (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.11.2008 n. 5781 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: E' legittima la scelta di un comune di associarsi ad una società cooperativa intercomunale al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico senza previa gara d'appalto, purché rispetti i requisiti dell'in house.
Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità nonché l'obbligo di trasparenza che ne discende non ostano a che un'autorità pubblica assegni, senza bandire una gara d'appalto, una concessione di servizi pubblici a una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, dal momento che dette autorità pubbliche esercitano su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società in parola svolge la parte essenziale della sua attività con dette autorità pubbliche.
Nel caso in cui le decisioni relative alle attività di una società cooperativa intercomunale detenuta esclusivamente da autorità pubbliche sono adottate da organi statutari di detta società composti di rappresentanti delle autorità pubbliche associate, il controllo esercitato su tali decisioni dalle autorità pubbliche in parola può essere considerato tale da consentire loro di esercitare sulla società di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercitano sui propri servizi.
Qualora un'autorità pubblica si associ ad una società cooperativa intercomunale i cui soci sono tutti autorità pubbliche, al fine di trasferirle la gestione di un servizio pubblico, il controllo che le autorità associate a detta società esercitano su quest'ultima, per poter essere qualificato come analogo al controllo che esse esercitano sui propri servizi, può essere esercitato congiuntamente dalle stesse, deliberando, eventualmente, a maggioranza (Corte di giustizia europea, Sez. III, sentenza 13.11.2008 n. C-324/07 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamenti in house: presupposti e meccanismi dell’affidamento (Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, comunicazione 20.10.2008 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: F. M. Nurra, I connotati del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti ad una società a totale capitale pubblico (nota a TAR Sardegna - Sez. I - sentenza 12.08.2008 n. 1721) (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: Una Comunità Montana che agisce quale Ente locale capofila, per la disciplina della gestione associata del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento RSU e assimilabili è incompetente ad individuare il modello dell'affidamento in house.
Le Comunità Montane sono Enti locali sovracomunali, costituiti "per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali" (art. 27, c. 1, del T.U.E.L).
Gli Enti locali possono affidare ad una Comunità Montana, che agisce quale Ente locale capofila, per la disciplina della gestione associata (nel caso di specie, del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento RSU e assimilabili) il compito di individuare la forma di gestione di un più vantaggiosa anche sotto il profilo economico, conservando tuttavia la titolarità dei rispettivi servizi.
Se tuttavia la scelta cade sul modello di delegazione interorganica, la verifica dei requisiti che devono indefettibilmente e cumulativamente concorrere per legittimare l'affidamento diretto ad una società pubblica: l'esercizio su di essa, da parte degli Enti locali soci, di un controllo analogo a quello esercitato sui loro servizi e la realizzazione, da parte della Società, della quota più importante della propria attività con l'Ente o gli Enti pubblici che la controllano, va condotta con riferimento a ciascuna amministrazione titolare del servizio, ossia ad ogni singolo Comune delegante: quest'ultimo non viene espropriato della competenza attribuitagli dal legislatore, e quindi la mediazione realizzata per mezzo della delega rilasciata alla Comunità Montana non esclude che lo stesso debba mantenere in proprio il controllo diretto sulla Società affidataria.
Ne consegue che la Comunità Montana è incompetente ad individuare il modello dell'affidamento in house, in quanto il rapporto di immedesimazione organica deve coinvolgere direttamente il Comune affidante e il suo apparato amministrativo, senza possibilità di delega a soggetti terzi (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 27.10.2008 n. 1440 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISul legittimo affidamento di un servizio ad una società pubblica.
Come chiarito fin dalla sentenza della Corte di Giustizia 18/11/1999, resa nel procedimento C-107/98 (Teckal), e da ultimo confermato nelle pronunce della sez. II 19/04/2007 (C-295/05) e 17/07/2008 (C-371/05), due elementi devono indefettibilmente e cumulativamente concorrere per legittimare l’affidamento diretto ad una Società pubblica: l’esercizio su di essa, da parte degli Enti locali soci, di un controllo analogo a quello esercitato sui loro servizi e la realizzazione, da parte della Società, della quota più importante della propria attività con l’Ente o gli Enti pubblici che la controllano.
E’ noto che la libera concorrenza è uno dei principi guida del Trattato dell’Unione Europea, ed è finalizzata a garantire parità di accesso alle commesse pubbliche a tutte le imprese che operano entro i suoi confini. L’obiettivo può essere tuttavia vanificato da particolari situazioni economiche capaci di porre alcune imprese in una condizione di privilegio o comunque di favore: ciò si verifica senz’altro quando un operatore usufruisce di un aiuto di Stato, sia nella forma tradizionale della provvidenza economica che riduce o copre totalmente i costi della sua attività, sia mediante la garanzia di una posizione di mercato avvantaggiata rispetto alle altre imprese. Per questo le azioni comunitarie tendono da un lato ad assimilare il più possibile la Società partecipata all’amministrazione controllante e dall’altro a preservare il mercato privato dall’elemento di disturbo rappresentato dall’ingresso di tale tipologia di impresa: lo scopo è perseguito applicando il principio del “controllo analogo” e il requisito della “attività prevalente”, vale a dire della tendenziale esclusività dell’attività economica a favore dell’azionista (C.G.A. Sicilia, sez. giurisdizionale – 04/09/2007 n. 719).
La giurisprudenza comunitaria, ad ogni modo, ammette che un’autorità pubblica che sia amministrazione aggiudicatrice possa assolvere i compiti istituzionali e realizzare gli interessi pubblici ad essa affidati mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a ricorrere ad entità esterne estranee alle proprie strutture e ai propri servizi (cfr. Corte di Giustizia CE – 11/01/2005 causa C-26/03 Stadt Halle).
Non è, dunque, vietato all’amministrazione sottrarre al mercato attività in relazione alle quali ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazione.
E’ stato sul punto efficacemente rilevato che la creazione di un mercato comune e l’applicazione delle regole di tutela della concorrenza non ostacolano lo svolgimento della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, riconosciuta dalle istituzioni comunitarie agli Stati membri. Non siamo in questo caso di fronte ad una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche, ma ad una fattispecie che si colloca al di fuori del mercato: in buona sostanza, le norme che regolano la concorrenza nel settore degli appalti e delle concessioni presuppongono un rapporto con il mercato, per cui l’amministrazione può decidere, in alternativa, di non rivolgersi ad esso per una o più attività di competenza, optando per il ricorso all’autoproduzione (cfr. TAR Sardegna, sez. I – 21/12/2007 n. 2407).

Del resto, nel panorama delineato si inquadra organicamente l’art. 13 del D.L. 223/2006 convertito con modificazioni nella Legge n. 248/2006, il quale testualmente dispone che “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti …”.
La Sezione ha recentemente statuito che la ratio della disposizione citata si rinviene nella circostanza che l’Unione Europea ha reiteratamente imposto agli Stati membri di regolamentare l’accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi costituiti o partecipati da Enti pubblici, evitando distorsioni alle dinamiche concorrenziali e pregiudizi nei confronti dei soggetti privati: la finalità della norma, di chiusura del sistema, è pertanto quella di delimitare la posizione di vantaggio competitivo di dette Società, che hanno beneficiato di un accesso privilegiato alle commesse della pubblica amministrazione a danno di altri operatori privati (cfr. sentenza Sezione 27/12/2007 n. 1373).
Nel nostro ordinamento, la materia controversa è regolata dall’art. 113, comma 5, lettera c), del D. Lgs. 267/2000 che permette l’affidamento diretto –senza gara pubblica– della gestione di servizi pubblici locali a “società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”. La disposizione si allinea ai principi comunitari diffusamente illustrati, e la sua introduzione è conseguita ad una procedura d’infrazione nei confronti della Repubblica italiana, avviata dalla Commissione europea nel novembre 2000.
Come si evince dalla formulazione letterale della norma –che individua alternativamente l’Ente o gli Enti pubblici “… titolari del capitale sociale”– in linea generale non vi sono ostacoli a ritenere ammissibile che una pluralità di Enti locali proceda all’affidamento diretto di un dato servizio ad una Società di capitali partecipata soltanto da essi, per quote commisurate all’interesse di cui ciascuno è titolare. E’ tuttavia indispensabile la sussistenza della condizione del controllo analogo, riferito alla capacità di influenzare la gestione della Società nel suo complesso e che deve essere accertato caso per caso con riguardo agli elementi che caratterizzano i soggetti interessati.
La Sezione, chiamata ad esprimersi sulla questione in esame in diverse pronunce (cfr. sentenze 05/12/2005 n. 1250; 07/11/2005 n. 1123; 28/02/2006 n. 238; 16/03/2006 n. 301; 02/05/2006 n. 450), ha ritenuto in tutti quei casi insussistente il rispetto delle condizioni necessarie a configurare –da parte dei Comuni che detenevano un’esigua quota percentuale di capitale sociale– una situazione di controllo analogo a quello svolto sui propri servizi: in quelle ipotesi non era riscontrabile un’influenza determinante sugli obiettivi e sulle scelte gestionali delle Società affidatarie, da svolgersi anche collettivamente con gli altri soci al di fuori degli ordinari poteri dell’Assemblea della Società.
Infatti, come affermato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia in data 13/10/2005 nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH), il controllo analogo su una Società pubblica non sussiste ove lo Statuto conferisca al Consiglio di Amministrazione poteri teoricamente illimitati, senza che l’Ente affidante possa influirvi, e configuri un ampio oggetto sociale: in particolare l’impresa non deve aver acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo, la quale può risultare, tra l’altro, dall’ampliamento dell’oggetto sociale, dall’apertura obbligatoria ad altri capitali e dall’espansione territoriale dell’attività a tutto il territorio nazionale e all’estero (cfr. Corte di giustizia – 10/11/2005, C-29/04; Consiglio di Stato, sez. V – 30/08/2006 n. 5072).
In termini positivi, per configurare il controllo analogo è necessario uno strumento di carattere sociale ovvero anche parasociale –ma diverso dai normali poteri che un socio, anche totalitario, esercita in assemblea– che in ogni momento possa vincolare l’affidataria agli indirizzi dell’affidante ossia garantire un’influenza determinante del secondo sulla prima, con riguardo sia agli obiettivi strategici che alle decisioni più importanti (cfr. sentenza Parking Brixen GmbH, cit., par. 65).
In linea generale è pertanto necessaria la previsione, a favore dell’Ente pubblico, di strumenti di controllo più intensi di quelli riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza assembleare (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 28/12/2007 n. 6736; sez. VI – 03/04/2007 n. 1514).
La giurisprudenza ha ritenuto sussistere un’incisiva ingerenza ove lo Statuto della Società preveda poteri speciali in capo all’Ente pubblico – quali la nomina del Presidente e di un numero predeterminato di membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio sindacale (cfr. Tar Campania Napoli, sez. I – 30/03/2005 n. 2784) ovvero quando venga costituito un apposito organo con penetranti poteri di controllo sulla gestione straordinaria ed ordinaria della Società, quale ad esempio l’Assemblea di coordinamento intercomunale, costituita dai legali rappresentanti di ciascun Ente locale (o loro delegati), ognuno con responsabilità e diritto di voto pari alla quota di partecipazione (cfr. Tar Friuli Venezia Giulia – 15/07/2005 n. 634).
Tali elementi devono ricorrere a maggior ragione nei casi in cui l’Ente affidante non dispone della totalità delle quote della Società, ma ha acquisito una partecipazione di minoranza insufficiente, da sola, ad integrare la forma di controllo in questione (Corte di Giustizia CE, Grande sezione – 21/07/2005 causa C-231/03 (Coname - Comune di Cingia De’ Botti).
La Corte di Giustizia ha altresì ripetutamente sostenuto che, trattandosi di un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, la sussistenza del “controllo analogo” deve formare oggetto di un’interpretazione restrittiva, e l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene (cfr. ex plurimis Corte di Giustizia CE, sez. I – 06/04/2006 causa C–410/04 ANAV).
Deve peraltro essere rilevato che l’accertamento di un rapporto assimilabile ad una subordinazione gerarchica del soggetto controllato deve tener conto delle caratteristiche proprie di una Società a responsabilità limitata, chiamata ad agire mediante gli organi di cui è dotata e che assumono rituali deliberazioni.
Se non è certamente sufficiente, alla luce di quanto ampiamente esposto, un mero controllo “a posteriori” per soddisfare il requisito del controllo analogo –dato che non consente all’autorità pubblica di influenzare preventivamente le decisioni degli organismi societari– l’indagine deve necessariamente investire le clausole e le prerogative che attribuiscono agli Enti locali partecipanti effettive possibilità di ingerenza nella sfera decisionale del soggetto affidatario: in particolare esse debbono tradursi in una penetrante azione propulsiva o propositiva sulle linee strategiche ed operative della Società (con la determinazione degli ordini del giorno degli organi sociali, l’indicazione dei dirigenti da nominare e l’elaborazione di direttive sulla politica aziendale) e in incisivi poteri suscettibili di inibire iniziative o decisioni che si pongano in contrasto con i propri interessi.
In buona sostanza ciascun Ente locale –a prescindere dalla quota (più o meno consistente) detenuta– deve poter esercitare un effettivo potere di veto sulle deliberazioni societarie, in modo da paralizzare quelle decisioni o quelle attività ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi della collettività e del territorio di riferimento, a favore dei quali è prestato il servizio dato in affidamento (TAR Lazio Roma, sez. II-ter – 16/10/2007 n. 9988).
Il Consiglio di Stato ha di recente riassunto i menzionati elementi evidenziando in particolare la necessità che:
a) lo statuto della Società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati;
b) il Consiglio di Amministrazione della Società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’Ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale;
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’Ente pubblico e che risulta tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della Società a tutta l’Italia e all’estero;
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’Ente affidante.
Ne consegue che l’in house esclude la terzietà in quanto l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale –pur dotato di autonoma personalità giuridica– si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’Ente affidante, che è in grado di determinarne le scelte esercitando un’influenza dominante (Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 03/03/2008 n. 1)
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 27.10.2008 n. 1440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZIIl divieto di cui all'art. 13 del DL n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani) opera anche nel caso che la partecipazione dell'ente locale ad una società sia meramente indiretta.
Il divieto di cui all'art. 13 del DL n. 223/2006, conv. in legge n. 248/2007, è stato interpretato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa in modo conforme alla ratio del medesimo, che è quella, illustrata nell'incipit della citata disposizione, di "evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori ".
Non può, pertanto, considerarsi rilevante, ai fini della non ricorrenza del divieto previsto dalla citata disposizione "la circostanza che la partecipazione dell'ente locale alla società sia meramente indiretta, come nel caso di specie. Infatti, ammettere che i vincoli posti dalla norma speciale riguardino esclusivamente le partecipazioni dirette degli enti pubblici alle società di cui trattasi, varrebbe a sostenere che i vincoli stessi possano agevolmente essere aggirati mediante meccanismi di partecipazioni societarie mediate. Al contrario, anche nelle società c.d. di terzo grado, come nel caso in esame, individuandosi, con detta definizione, quelle società che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono state costituite per soddisfare esigenze strumentali alle amministrazioni pubbliche medesime, rimane pur sempre il rilievo che l'assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, con ciò ponendo in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti. L'interpretazione anzidetta trova ulteriore e indiretta conferma nel c.3 del medesimo art. 13 suindicato, laddove il legislatore ha previsto un regime transitorio, durante il quale le società pubbliche o miste dovranno dismettere in particolare le loro partecipazioni in altre società".
Tale interpretazione è l'unica che consente che la norma possa dispiegarsi coerentemente con la ratio della sua introduzione, impedendo che attraverso il collaudato meccanismo delle partecipazioni societarie essa non trovi applicazione in ipotesi del tutto analoghe a quelle oggetto di espressa previsione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.10.2008 n. 4829 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: M. Nico, Parte la riforma dei servizi pubblici locali, ecco le novità su gare ed affidamenti in house (link a www.filodiritto.com).

APPALTI SERVIZI: M. Nico, Parte la riforma dei servizi pubblici locali, ecco le novità su gare ed affidamenti in house (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sulla legittimità della costituzione di società miste anche al di fuori del settore dei servizi e sulla necessità di indicare nella gara per la selezione del socio privato i concreti compiti operativi che la nuova società sarà chiamata ad assolvere.
Il modello delle società miste è previsto in via generale dall’art. 113, c. 5, lett. b), d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla relativa legge di conversione, n. 326 del 2003, norme che, pur avendo attinenza ai contratti degli enti locali, delineano un completo paradigma, valido anche al di fuori del settore dei servizi pubblici locali.
Tale modello vale anche al di fuori del settore dei servizi come si evince dall’art. 1 c. 2 e dall’art. 32 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006), che contemplano il caso di società miste per la realizzazione di lavori pubblici e per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica. La condizione perché possa essere ritenuto legittimo il ricorso alla scelta del socio, al fine della costituzione di una società che divenga affidataria dell’esecuzione dell’opera senza necessità di gara, è che, attraverso la procedura, non si realizzi un affidamento diretto alla società mista, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell’attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all’individuazione di quest’ultimo. Il modello, in altre parole, trae la propria legittimità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l’attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio.
Nel caso di specie, la illegittimità della procedura esperita da una società ad integrale capitale pubblico locale, proprietaria delle reti, impianti e dotazioni per lo svolgimento del servizio idrico integrato non risiede, pertanto, come ritenuto dal primo giudice, nel "contrasto della forma di società delineata con il principio di nominatività e tassatività degli istituti e degli strumenti dell’ordinamento pubblico, anche di derivazione comunitaria", che, invece, conosce da tempo tale modulo operativo, ma nella indeterminatezza dei compiti che la nuova società sarà chiamata ad assolvere, in definitiva nella mancata identificazione dei concreti compiti operativi collegati all’acquisto della qualità di socio. Gli atti di gara, infatti, non identificano con sufficiente precisione le opere oggetto dell’appalto, limitandosi la stazione appaltante a indicare gli importi e i costi in termini di massima. La scelta del socio, ancorché selezionato con gara, non avviene dunque per finalità definite, ma solo al fine della costituzione di una società "generalista", alla quale affidare l’esecuzione di lavori non ancora identificati al momento della scelta stessa.
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(1) v., in senso conforme, parere del C.d.S., sez. II, n. 456 del 18.04.2007
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23.09.2008 n. 4603 - link a www.dirittodeiservizipubblici).

APPALTI SERVIZI: P. Petroni, Il difficile cammino della riforma dei servizi pubblici locali tra liberalizzazione ed affidamento in house (link a www.diritto.it).

APPALTI SERVIZI: S. Colombari, Le società a partecipazione pubblica e la loro appartenenza a modelli e regimi giuridici diversificati. Nota critica a Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sui limiti per lo svolgimento di attività extraterritoriale delle società miste: necessità di dimostrare di non sottrarre risorse alle collettività di riferimento.
Le società miste, pur legittimate in via di principio a svolgere la propria attività anche al fuori del territorio del comune dal quale sono state costituite, in quanto munite dal legislatore di capacità imprenditoriale sono pur sempre tenute, per il vincolo genetico-funzionale che le lega all’ente di origine, a perseguire finalità di promozione dello sviluppo della comunità locale di emanazione.
Tale vincolo funzionale implicitamente imposto alle imprese miste va confrontato con l’impegno extraterritoriale richiesto in concreto e inibisce tale attività quando diventino rilevanti le risorse e i mezzi eventualmente distolti dalla attività riferibile alla collettività di riferimento senza apprezzabili utilità per queste ultime. Si tratta, in definitiva, di verificare che l’impegno da assumere non comporti una distrazione di mezzi e risorse tali da arrecare pregiudizio alla predetta collettività, in sostanza la necessità di una concreta verifica intesa ad accertare se l’impegno extraterritoriale eventualmente non distolga, e in caso positivo in che rilevanza, risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari) per la collettività di riferimento. Tale verifica non può che ritenersi rimessa alle commissioni giudicatrici delle gare quando a queste chiedano di partecipare società miste. La capacità, in termini di mezzi tecnici e finanziari, della società mista ad assumere, in aggiunta a quelle derivanti dal servizio svolto per l’ente di riferimento, anche il servizio oggetto della specifica gara alla quale chiede di partecipare, attiene alla legittimazione della società a partecipare alla gara ed assume quindi la valenza di un requisito soggettivo che, in quanto tale, deve essere assoggettato a verifica come avviene per altri requisiti soggettivi. La prova di tale requisito soggettivo, secondo i principi stessi della partecipazione alle gare, incombe sull’aspirante.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo l’annullamento dell'aggiudicazione da una gara di una società mista in quanto la società non ha fornito tale prova (al momento della presentazione della domanda) e la commissione non ha svolto la necessaria attività istruttoria verificando che l’aggiudicataria, in quanto società mista operante extra moenia, non avesse distratto mezzi e risorse in modo tale da non arrecare pregiudizio alle collettività di riferimento (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Le società a capitale pubblico non possono concorrere alle procedure di gare per l’aggiudicazione di appalti indetti da amministrazioni esterne al comune di riferimento.
Per quanto concerne il tema generale della ammissibilità delle società miste, sono stati valorizzati al massimo (cfr. da ultimo Cons. Stato, ad. plen., 03.03.2008, n. 1; sez. II, 18.04.2007, n. 456/2007) i recenti orientamenti dei giudici comunitari in ordine alla definizione del requisito del «controllo analogo» al fine di stagliare la differenza tra il modello della gestione in house rispetto a quello della società mista: il primo essendo oramai ammissibile solamente a condizione di una partecipazione pubblica totalitaria; il secondo presupponendo invece da sempre, per definizione, l’investimento di capitale privato. L’affermazione di compatibilità del modello della società mista, ai sensi della disciplina vigente, avviene però sulla base di due premesse di fondo e a condizione che siano presenti altrettante garanzie.
Le due premesse sono date:
a) dalla ricordata differenza tra i modelli dell’in house e della società mista, tale da consentire di valutare la compatibilità del secondo modello secondo criteri autonomi;
b) dall’esito paradossale —proprio «nella logica comunitaria della tutela della concorrenza»— cui si perverrebbe ove si dovessero ammettere solamente la soluzione (necessariamente) «tutta pubblica» dell’in house oppure quella «tutta privata» del ricorso integrale al mercato a norma dell’art. 113, 5° comma, lett. a), finendo per escludere un modello —quello delle società miste— (comunque) più orientato verso il mercato di quanto non sia quello dell’in house.
In ordine alle «garanzie», ai fini dell’ammissibilità del modello, si richiede:
a) che la società sia costituita per l’erogazione di servizi da rendere prevalentemente a favore del soggetto pubblico che l’ha costituita; in questo contesto la gara per la scelta del socio vale anche a definire il servizio operativo demandato allo stesso (la gara in pratica conferisce al privato, configurabile come socio industriale ed operativo, l’affidamento sostanziale del servizio svolto dalla società mista), escludendo di contro l’ammissibilità di società miste «aperte»;
b) che si preveda un termine di scadenza e la necessità di un rinnovo, evitando che il privato diventi socio stabile della società mista.
Al cospetto di queste garanzie si esclude la necessità di indire una seconda gara (oltre che per la scelta del socio privato) anche per l’affidamento del servizio, sottolineandosi come, altrimenti, l’amministrazione si troverebbe ad assumere la duplice veste di stazione appaltante e di socio di una delle società concorrenti, in palese conflitto di interessi.
Tanto più che con simili garanzie il modello finirebbe per corrispondere in massima parte a quello emergente dall’evoluzione legislativa più recente, testimoniata in particolare dall’art. 13, d.l. n. 223 del 2006 (sul quale ci si soffermerà meglio in prosieguo) volto a contenere l’attività delle società a capitale interamente pubblico o misto entro i limiti del soddisfacimento dello specifico bisogno territoriale. Quello stesso modello troverebbe, inoltre, la sua fonte di legittimazione comunitaria nel libro verde sul «partenariato pubblico-privato» pubblicato dalla commissione europea il 30.04.2004.
In definitiva il modello della società mista non avrebbe carattere ordinario nel nostro sistema, costituendo piuttosto un’eccezione alla regola dell’integrale ricorso al mercato da parte dell’amministrazione, dovendosi fare decisa applicazione, anche in questa materia, del principio di sussidiarietà orizzontale (già invocato in precedenza, con riferimento all’in house, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 28 dicembre 2006, n. AS 375).
Tutto ciò rappresenta una novità rispetto alla posizione delle istituzioni comunitarie, orientate —almeno finora— per la piena alternatività tra autoproduzione ed esternalizzazione (nella gestione) del servizio.
Questo approdo tiene conto in modo palese delle recenti tendenze legislative nazionali ed in particolare del ricordato art. 13 d.l. n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono, anzi, a carico delle società pubbliche che producono beni o servizi strumentali al funzionamento delle amministrazioni regionali e locali (non, quindi, le società di gestione dei servizi pubblici locali), un vero e proprio vincolo di esclusività e non di «semplice» prevalenza, attraverso il rigido divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici e privati diversi dagli enti costituenti ed affidanti e l’obbligo di cessare entro ventiquattro mesi le attività non più consentite.
Sotto il profilo soggettivo, infine, il riferimento alle amministrazioni locali è stato interpretato in chiave estensiva includendovi anche gli enti locali non territoriali, in particolare le camere di commercio nel presupposto esplicito che il modello della società mista sia eccezionale e dunque generale il divieto stabilito dall’art. 13 cit. (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25.09.2007, n. 322/2007) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Affidamenti in house sono tali e, quindi, legittimi solo se sull’impresa diretta affidataria l’amministrazione pubblica eserciti uno stringente controllo gestionale e finanziario.
Questo Tribunale ha avuto occasione recentemente di pronunciarsi sulla questione della compatibilità con l'ordinamento comunitario dell'affidamento diretto, a società con capitale interamente pubblico, di un servizio pubblico locale a rilevanza economica (come nella specie), delineando, sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, i principi giuridici che governano la materia (v. TAR Sardegna, sez. I, 21.12.2007, n. 2407). Ricostruzione pienamente condivisibile, dalla quale nel caso di specie non vi sono ragioni per discostarsi. Nella pronuncia richiamata si è osservato che «a partire dalla sentenza 17/11/1999, in causa C-107/98 (nota come sentenza Teckal) la Corte di Giustizia ha affermato che il detto affidamento è consentito a patto che:
a) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sull'affidatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi;
b) l'affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte Giust. C.E. 13/10/2005 in causa C-458/03, Parking Brixen).
Non è, infatti, vietato all'amministrazione sottrarre al mercato attività in relazione alle quali la medesima ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazione. Come è stato, efficacemente, rilevato, la creazione di un mercato comune e l'applicazione delle regole di tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano il limite del potere di organizzazione della pubblica amministrazione riconosciuta agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche tutelate dal mercato comune, ma è definizione di ciò che non è mercato. La disciplina della concorrenza per l'aggiudicazione degli appalti e delle concessioni presuppone un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dell'amministrazione di rivolgersi ad esso non può essere coartata per realizzare l'apertura al mercato di taluni settori di attività in cui l'amministrazione pubblica voglia, invece, ricorrere all'autoproduzione.
Il rilievo ha trovato eco nella giurisprudenza comunitaria, secondo la quale "Un'autorità pubblica che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi. In tal caso non si può parlare di contratto a titolo oneroso concluso con entità giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice. Non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici" (così Corte Giust. C.E. 11/01/2005 in causa C-26/03, Stadt Halle). Ed altresì, in quella nazionale, ove si afferma che la norme comunitarie "non interferiscono sui poteri delle pubbliche amministrazioni di adottare soluzioni organizzative che siano le più rispondenti alle esigenze che esse stesse ritengano di dover soddisfare conformemente alle leggi che le disciplinano" (così Cons. Stato, V Sez., 18/09/2003 n. 5316).
Deve, quindi, ritenersi che la scelta di optare tra outsourcing e in house providing non sia sindacabile alla stregua del diritto comunitario.
In presenza delle cennate condizioni -"controllo analogo" e destinazione prevalente dell'attività all'ente di appartenenza- il legame che unisce quest'ultimo all'affidatario del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è richiesto l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica (…).
Secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, premesso che la partecipazione pubblica totalitaria è elemento necessario ma non sufficiente ad integrare il c.d. "controllo analogo", quest'ultimo si sostanzia in "un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario" (così Cons. Stato, VI Sez., 25/01/2005 n. 168, si veda anche Cons. Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; C.Si. 04/09/2007 n. 719; Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in causa C-340/04). Con la sentenza da ultimo menzionata, la Corte di Giustizia ha, in particolare, precisato che il "controllo analogo" è configurabile allorché l'ente pubblico detentore del capitale, abbia la possibilità di esercitare un'"influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società" (in termini anche citata sentenza Parking Brixen)».

Sulla questione è successivamente intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha così sintetizzato le condizioni per la legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 03.04.2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio). Ne consegue che l’in house esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e l’impresa è anche sotto l’influenza dominante dell’ente.»
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZISui requisiti che devono sussistere affinché l'affidamento in house di un servizio pubblico possa considerarsi legittimo: controllo analogo e prevalenza dell’attività.
L’indizione di una gara pubblica, conformemente alle direttive relative all’aggiudicazione degli appalti pubblici, non è obbligatoria, anche quando l’affidatario è un ente giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora siano soddisfatte le due condizioni seguenti. Da un lato, l’amministrazione pubblica, che è un’amministrazione aggiudicatrice, deve esercitare sull’ente giuridicamente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, dall’altro, tale ente deve svolgere la parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti pubblici che lo detengono (Corte di giustizia europea, Sez. II,
sentenza 17.07.2008 n. C-371/05 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull’applicabilità del divieto previsto dall’art. 13 del d. Bersani per le società miste che hanno come oggetto sociale esclusivo i servizi strumentali e per quelle che hanno come oggetto sociale sia servizi strumentali che servizi pubblici locali.
Non possono partecipare alle gare per l’individuazione del soggetto gestore del servizio di distribuzione del gas le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica.

Le società miste che hanno per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali, pur non rientrando in via diretta nell’ambito di applicazione del secondo comma dell’art. 13, d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006 devono avere oggetto sociale esclusivo. Se, infatti, sono assoggettate a tale prescrizione le società di cui al c. 1, dell'art. 13 cit., ossia le società che svolgono (attività di produzione di beni e) servizi strumentali, le quali pertanto non possono comprendere nel loro oggetto sociale lo svolgimento di servizi pubblici locali, ne deriva come conseguenza che anche le società miste, le quali intendano dedicarsi alla gestione di questi ultimi, devono prevedere quale loro oggetto sociale esclusivo la gestione dei servizi pubblici locali. Pertanto, alle procedure di gara pubbliche (indette da soggetti diversi da «gli enti costituenti o partecipanti o affidanti») non possono partecipare né le società miste che hanno come oggetto sociale (esclusivo) i servizi strumentali né le società miste che hanno come oggetto sociale sia servizi strumentali che servizi pubblici locali, in quanto le società in questione per il fatto della presenza di soggetti pubblici nella struttura della partecipazione societaria, sono in grado di provocare quelle «alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di (alterare) la parità degli operatori», che le norme di cui all’art. 13, commi 1 e 2, intendono evitare.
Ai sensi dell’art. 14, c. 5, del d.lgs. n. 164/2000, non possono partecipare alle gare per l’individuazione del soggetto gestore del servizio di distribuzione del gas le società che gestiscono servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica.
L’art. 14, c. 5, cit. –al pari dell’art. 13 del d.l. n. 223/2006- ha come finalità la tutela della concorrenza, segnatamente nel settore di mercato della distribuzione del gas. Tale disposizione non detta semplicemente una regola di disciplina del procedimento di aggiudicazione del servizio, ma -attraverso il divieto di partecipazione, il quale è solo lo specifico mezzo formale tipicamente idoneo ad assicurare il risultato finale perseguito- vuole conseguire l’effetto di evitare la costituzione di posizioni dominanti da parte di società che, beneficiando di affidamenti senza gara, partono da una indubbia posizione di vantaggio rispetto agli altri soggetti economici.
La circostanza che, nel caso di specie, si tratti di una procedura che si conclude con la stipula di una concessione che ha per oggetto sia la costruzione che la gestione, non è decisiva poiché il risultato finale cui si perviene è rappresentato dall’affidamento del servizio a società che gestisce servizi pubblici locali in virtù di affidamenti diretti. Il che è in contrasto con l’art. 14, c.5, del d.lgs. n. 164/2000
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 11.07.2008 n. 1371 - link a www.dirittodeiservizipubblici).

APPALTI SERVIZIE’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa Protetta senza gara ad una società pubblico-privata in quanto l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario.
Presupposti per l'affidamento di un servizio ad una società mista.

E’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa Protetta senza gara ad una società mista pubblico-privato in quanto l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario e, conseguentemente, non può esercitare alcuna forma di controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi. Invero anche nell’atto deliberativo il controllo, più che a strumenti societari, viene affidato ad una convenzione da sottoscrivere con la società affidataria, ammettendosi in tal modo che non è la struttura societaria che può consentire il controllo, bensì un atto negoziale che presuppone l’esistenza di distinte entità con autonoma capacità negoziale, sicché viene meno l’immedesimazione dell’ente nella società stessa e questa assume una sua distinta soggettività, anche sotto il profilo organizzativo ed operativo. Quindi, di fatto, il rapporto Comune-società mista, al di là delle intenzioni, è sostanzialmente assimilabile a quello corrente fra stazione appaltante e affidatario di un pubblico servizio in regime di appalto, in quanto la convenzione assume la funzione in quel caso esercitata dal capitolato speciale. Anche a voler considerare l’affidamento appartenente non al genere poi denominato in house, ma a società mista pubblico-privato, costituita ai sensi della legislazione nazionale e regionale in materia di servizi socio-sanitari (in particolare la L. n. 724/1994, art. 3, c. 4; l’art. 9-bis del D.L.vo n. 502/1992: la L.R n. 50/1994, art. 51; L.R n. 2/2003, art. 17), alla stregua dell’evoluzione della giurisprudenza interna e comunitaria (si veda da ultimo C. St. AP n. 1/2008), non sussistono i presupposti per poter giustificare l’affidamento diretto e la deroga all’evidenza pubblica. Invero le norme citate (in particolare l'art. 9-bis, c. 1, del d.lgs. n. 502/1992) si limitano a consentire solo la costituzione di società miste.
Per giustificare l’affidamento diretto a società miste la giurisprudenza, pur non avendo ancora trovato un approdo definitivo, ha posto alcune condizioni fondamentali idonee a fugare ogni ragione di perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. In particolare nel modello organizzativo devono quantomeno ricorrere due garanzie:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest'ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", il quale concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso; il che vuol dire effettuazione di una gara che con la scelta del socio definisca anche l'affidamento del servizio operativo, con conseguente prevalenza dello specifico servizio affidato nella complessiva attività della società;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza del periodo di affidamento", evitando così che il socio divenga "socio stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario (si veda AP n. 1/2008 che richiama il parere C. St. II, n. 456/2007).
Il modello di cui sopra non è rinvenibile nel caso specie in quanto non si è verificata la prima delle condizioni richieste (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 08.07.2008 n. 3273 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: L. Manassero, In house providing e concorrenza: il ddl governativo, le procedure di infrazione promosse dalla Commissione UE, le posizioni dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, l’istruttoria dell’Autorità per i Contratti pubblici, ed i recenti orientamenti comunitari; il problematico contemperamento con il principio di autonomia degli enti locali. Un focus sul Servizio Idrico Integrato (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: M. Nico, Affidamenti in house: il "controllo analogo" è un requisito da accertarsi in concreto (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: G. Guzzo, I nuovi limiti del "controllo analogo" secondo la più recente teorica del Consiglio di Stato e della Commissione europea (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZISulla natura di servizio pubblico locale dell'attività di manutenzione del patrimonio immobiliare di un Comune.
Sull'illegittimità di un affidamento in house ad una società multiservizi la cui proprietà è interamente dell'ente locale affidante.

L’attività di manutenzione del patrimonio immobiliare di un Comune è un servizio pubblico locale, infatti, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, "la qualificazione di servizio pubblico locale spetta a quelle attività caratterizzate sul piano oggettivo dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionate in base a scelte di carattere eminentemente politico quanto alla destinazione delle risorse economicamente disponibili ed all’ambito di intervento e su quello soggettivo dalla riconduzione diretta o indiretta ad una figura soggettiva di rilievo pubblico". Secondo siffatta impostazione la nozione di servizio pubblico locale deve essere evinta dalla definizione di cui all’art. 112 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, secondo cui "gli enti locali nell’ambito delle rispettive competenze provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali". Pertanto, nel caso di specie, è conforme a tali principi generali la sussunzione operata da parte del Comune dell’attività di gestione e manutenzione del patrimonio immobiliare comunale nell’ambito dei servizi pubblici locali, in quanto attività diretta al soddisfacimento di esigenze della sola collettività territoriale di riferimento e ciò a fortiori con riferimento ad attività di conservazione strutturale e funzionale di quelle parti del patrimonio che sono di diretta fruizione pubblica, quali la rete stradale e quella acquedottistica.
In disparte ogni possibile considerazione circa la necessaria separazione tra erogazione del servizio e gestione degli impianti e delle reti, secondo la formulazione letterale dell’art 113, c. 4 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, ciò che rileva nel caso di specie è che non vi è alcuna ontologica distinzione tra attività di gestione del patrimonio -e quindi anche delle reti e degli impianti- intesa come erogazione del servizio e la sua manutenzione e ciò perché quest’ultima costituisce una delle possibili modalità di svolgimento della prima; in altri termini, l’attività di manutenzione costituisce erogazione del servizio di gestione del patrimonio immobiliare, senza che sia possibile configurare una distinzione strutturale e funzionale tra svolgimento del servizio e (separata) gestione degli impianti a questo stesso funzionalmente serventi.
E’ illegittimo da parte di un Comune l’affidamento diretto in favore di una società Multiservizi s.r.l., la cui proprietà è interamente del predetto ente locale, della gestione di alcuni servizi comunali in quanto il Comune non eserciterebbe nei confronti della s.r.l. quel necessario controllo analogo la giurisprudenza comunitaria e nazionale e prima ancora l’art. 113 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 prevedono per il modello dell’affidamento in house providing; nel caso di specie, lo statuto consentirebbe il trasferimento a terzi di quote sociali e il Consiglio di Amministrazione godrebbe di poteri eccessivamente ampi, tali da sottrarsi al necessario controllo da parte del Comune affidante.
Il solo controllo societario totalitario non è, infatti, garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti, ne consegue che l’in house esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e l’impresa è anche sotto l’influenza dominante dell’ente".
Pertanto, la configurazione del rapporto tra ente affidante proprietario e società di erogazione deve essere intesa in termini di alterità solo formale, dovendo per tutti gli aspetti gestionali -sia quelli inerenti l’attività di amministrazione di tipo strategico, organizzativo e di generale conduzione aziendale, sia quelli relativi all’attività di esecuzione vera e propria- essere operata una totale assimilazione agli schemi propri di una gestione internalizzata, la sola, del resto, che potrebbe, anche in armonia con le istanze di livello comunitario, giustificare un’imputazione diretta del servizio ad un soggetto esterno all’ente titolare (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 24.04.2008 n. 2533 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: G. Chiantera e D. Pettinato, Nuovi modelli organizzativi, con particolare riguardo all'in house providing ed alla possibilità di configurare l'organismo in house a tutto l'apparato centrale (link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIIn house providing, legittimità, controllo analogo, necessità, precisazioni.
In materia di in house providing, non è possibile un mero controllo “a posteriori” per soddisfare il requisito del controllo analogo – dato che questo non consente all’autorità pubblica di influenzare preventivamente le decisioni degli organismi societari – l’indagine deve necessariamente investire le clausole e le prerogative che attribuiscono agli Enti locali partecipanti effettive possibilità di ingerenza nella sfera decisionale del soggetto affidatario: in particolare esse debbono tradursi in una penetrante azione propulsiva o propositiva sulle linee strategiche ed operative della Società (con la determinazione degli ordini del giorno degli organi sociali, l’indicazione dei dirigenti da nominare e l’elaborazione di direttive sulla politica aziendale) e in incisivi poteri suscettibili di inibire iniziative o decisioni che si pongano in contrasto con i propri interessi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.03.2008 n. 213 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZILa Plenaria: il modello dell’in house va interpretato restrittivamente.
I Giudici della Plenaria lapidariamente, con la pronuncia in esame, affermano che allo stato, in mancanza di indicazioni precise da parte della normativa, nonché della giurisprudenza comunitaria, non sia possibile elaborare una soluzione univoca o un modello definitivo in materia di assegnazione diretta a compagini societarie miste (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 03.03.2008 n. 1 - link a www.altalex.com).

APPALTI SERVIZI: E’ legittimo l’affidamento in house ad una società a totale partecipazione pubblica sebbene vi sia il rischio della futura cedibilità di parte del capitale della società a privati.
Secondo un consolidato principio giurisprudenziale nazionale e comunitario sussiste un interesse (sia pur strumentale) differenziato e qualificato di ciascuno degli operatori economici di un determinato settore a contestare la legittimità della decisione di una pubblica amministrazione di non indire una pubblica gara, in quanto tale decisione viene a ledere l'interesse sostanziale di ciascun imprenditore operante sul libero mercato a competere, secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di commesse da aggiudicarsi secondo procedure ad evidenza pubblica.
In applicazione dei suddetti principi deve riconoscersi la sussistenza dell’interesse a censurare la scelta organizzativa dell’Amministrazione pubblica di affidare un servizio in "house providing" anche all’operatore di settore che assuma la forma di struttura societaria a capitale interamente o parzialmente pubblico, atteso che, anche tale operatore si muove , al pari dell’operatore privato, con le medesime logiche imprenditoriali e concorrenziali nell’aspirazione dell’interesse giuridicamente rilevante all’esecuzione del servizio pubblico controverso.
E’ legittimo l’affidamento "in house providing" da parte di un ente locale ad una società interamente partecipata dal comune, della gestione dei parcheggi pubblici in quanto nel caso di specie sussistono tutti i presupposti sanciti dalla giurisprudenza amministrativa per un legittimo affidamento in house ("controllo analogo" e "destinazione prevalente dell’attività"). Infatti, sebbene vi sia il rischio della futura cedibilità di parte del capitale della società a privati, espressamente prevista nello statuto, è prevista una clausola risolutiva espressa che prevede che ove, i presupposti vengano meno, il contratto perderà automaticamente di efficacia.
La sussistenza dei rigorosi presupposti di legge legittimanti la scelta da parte di un comune di affidare un servizio in house providing, consente di escludere la necessità da parte dell’amministrazione di una stringente esternazione motivazionale circa il ricorso a detto sistema di affidamento, con la conseguenza che tale scelta, ove ricorrano tutti i presupposti previsti, oltre le ragioni di carattere economico e finanziario, non risulta violativa dei principi di concorsualità ed evidenza pubblica (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.02.2008 n. 432 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIIl Consiglio di Stato torna di nuovo sulla gestione “in house”.
Per aver presente il quadro generale della disciplina della materia, è opportuno chiarire che gli enti titolari del servizio possono, senza necessità di gare o altre procedure di evidenza pubblica, affidare il servizio a propri enti strumentali sforniti di personalità giuridica, perché in tal caso si tratta di semplice organizzazione interna e il servizio viene fornito pur sempre dall’ente; come pure a enti con personalità giuridica, quando si tratti di concessione del servizio, ossia quando l’affidatario venga compensato con i corrispettivi del servizio e assuma su di sé i costi e il rischio della gestione, perché si è ritenuto che tale forma di gestione dei servizi non risponde alle aspettative delle imprese sul mercato.
Nel caso di appalto, quale è certamente quello in esame, l’articolo 113, comma 5, consente l’affidamento senza gara nella situazione descritta nell’alinea “c”, sostanzialmente equivalente a una gestione per mezzo di ente strumentale; e tale situazione si verifica quando sussistono le due distinte condizioni, quella del “controllo analogo” a quello che l’ente esercita (o gli enti esercitano) sui propri servizi e che la società affidataria realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.01.2008 n. 136 - link a www.altalex.com).

anno 2007

APPALTI: Affidamento - Scelta tra affidamento diretto (cd. in house) ed affidamento mediante gara - Spetta alla P.A. e non contrasta con la normativa comunitaria - Affidamento diretto e senza gara (cd. in house) - Requisito del "controllo analogo" - Partecipazione pubblica totalitaria - Insufficienza ex se - Necessità che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante - Sussiste - Questione di legittimità costituzionale di quest’ultima norma - Eccepita in relazione all’art. 118, comma 4, Cost. (che prevede il c.d. principio di sussidiarietà orizzontale) - Manifesta infondatezza - Va dichiarata.
La creazione di un mercato comune e l’applicazione delle regole di tutela della concorrenza per garantirne il mantenimento incontrano il limite del potere di organizzazione della pubblica amministrazione riconosciuta agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche tutelate dal mercato comune, ma è definizione di ciò che non è mercato. La disciplina della concorrenza per l’aggiudicazione degli appalti e delle concessioni presuppone un rapporto con il mercato, ma la libera decisione dell’amministrazione di rivolgersi ad esso non può essere coartata per realizzare l’apertura al mercato di taluni settori di attività in cui l’amministrazione pubblica voglia, invece, ricorrere all’autoproduzione.
La scelta di optare tra outsourcing e in house providing non sia sindacabile alla stregua del diritto comunitario.
In presenza delle cennate condizioni -"controllo analogo" e destinazione prevalente dell’attività all’ente di appartenenza- il legame che unisce quest’ultimo all’affidatario del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è richiesto l’esperimento di procedure ad evidenza pubblica.
La nozione di sussidiarietà orizzontale è suscettibile di assumere due distinte significazioni: una negativa, che si sostanzia nel dovere di astensione dei pubblici poteri laddove le forze individuali e della società siano in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente; una positiva che implica l’affermazione di un dovere di intervento dei pubblici poteri ove gli individui e le forze sociali non abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie necessità.
Il ricorso all’affidamento diretto è, quindi, sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) del menzionato comma 5.
Non sembra, pertanto, necessaria un’apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, una volta dimostrata la sussistenza dei presupposti richiesti per l’autoproduzione.
Al contrario, una motivazione di maggiore latitudine diventa necessaria quando il comune stabilisce di affidare la gestione del servizio a soggetti terzi. In tali casi, vanno evidenziate le specifiche ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 21.12.2007 n. 2407 - link a www.ambietelegale.it).

APPALTI SERVIZI: Appalti - Affidamento- Affidamento diretto di un servizio ad una società mista pubblico-privato – Presupposti – Deve costituire “la modalità organizzativa con la quale l’amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al ‘socio operativo’ della società” – Condizioni - “Definitezza dell’oggetto” e “durata dell’affidamento”.
L’affidamento diretto di un servizio ad una società mista è possibile nel caso in cui essa costituisca -non la beneficiaria di un affidamento diretto ma- “la modalità organizzativa con la quale l’amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al ‘socio operativo’ della società”: in tale ipotesi infatti si realizzerebbe un controllo interno ed organico del partner societario sull’operato del socio privato selezionato per la gestione del servizio.
In questa ottica, il ricorso alla figura organizzatoria della società mista viene ritenuto ammissibile se delimitato da quelle garanzie –di “definitezza dell’oggetto” e di “durata dell’affidamento”- che consentono, da una parte, di escludere la riconducibilità di tale figura nel modello dell’affidamento “in house”, dall’altra, di fugare ogni perplessità in ordine al rischio di restrizione della concorrenza.
Queste garanzie vengono ritenute sussistenti alle seguenti condizioni:
1) che al socio privato –scelto necessariamente con procedura concorsuale- sia affidato non già il ruolo di mero finanziatore, bensì quello di socio industriale ed operativo che concorre anche materialmente allo svolgimento del servizio per il quale la società è stata costituita;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione alla scadenza del periodo di affidamento, così evitando che il socio diventi stabile, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso.
“Il contratto sociale, proprio perché intrinsecamente diverso dall’appalto, resta estraneo alla disciplina delle direttive comunitarie” La figura della società mista può ritenersi compatibile con il diritto comunitario quando, tra l’altro, gli incarichi affidati a tale società – e gestiti dal socio industriale – siano chiaramente definiti dalla procedura di gara, anche in termini di durata (TAR Valle D'Aosta, sentenza 13.12.2007 n. 153 - link a www.ambientelegale.it).

APPALTI SERVIZIIl Tar Lombardia-Brescia, ha rimesso alla Corte di giustizia la questione se sia compatibile con il diritto comunitario l’affidamento diretto di un servizio ad una Spa a capitale interamente pubblico e statuto conformato.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha rimesso alla Corte di giustizia della Comunità Europea, ai sensi dell’art. 234 del Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito: se sia compatibile con il diritto comunitario ed in particolare con la libertà di stabilimento ovvero di prestazione di servizi, con il divieto di discriminazione e con gli obblighi di parità di trattamento, di trasparenza e di libera concorrenza di cui agli artt. 12, 43, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l’affidamento diretto di un servizio di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani ed assimilati ad una società per azioni a capitale interamente pubblico e statuto conformato, ai fini dell’art. 113 d. lgs. 18.08.2000 n. 267 (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 11.12.2007 n. 148 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIServizio pubblico - Art. 113 D.Lgs. n. 267/2000 - Gestione degli impianti - Erogazione del servizio - Modalità di conferimento - Esternalizzazione, “autoproduzione”, società mista.
L’art. 113 D.Lgs 267/2000 differenzia nettamente la disciplina della gestione (separata dall’erogazione del servizio) delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali dell’ente locale (co. 4 art. 113 cit.), da quella afferente l’erogazione del servizio che, in conformità alla previsioni comunitarie in materia di concorrenza, deve essere conferito: a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. In ragione della normativa in parola, possono quindi essere individuati tre differenti modelli organizzativi. Ai due estremi si posizionano le contrapposte soluzioni riconducibili 1) alla c.d. esternalizzazione (variamente definita con il termine outsourging o contracting out) del servizio, in cui l’amministrazione si rivolge al privato, scelto attraverso gara (art. 113 co. 5 lett. a); ovvero 2) alla c.d. autoproduzione del bene o del servizio da erogare, mercè il ricorso alla propria compagine organizzativa e senza apertura a terzi e al mercato. Tra i differenti opposti, si posizione il modello riconducibile alla c.d. “società mista” (art. 113 co. 5 lett. b cit.), a prevalente partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con procedura di evidenza pubblica.
RIFIUTI - Pubblica amministrazione - In house providing - Partecipazione pubblica totalitaria - Necessità - Esclusione - Giurisprudenza comunitaria.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (causa C-107/98 - Teckal, C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau; C 231/03; C 458/03; C-29/04; C-410/04; C-340/04; C-220/05) ha delineato i contorni dell’istituto dell’in house providing, precisando che la partecipazione pubblica totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente per la compatibilità del modello con le regole comunitarie. Queste ultime possono essere legittimamente derogate ove si dia prova che l’ente locale possa in concreto esercitare idonei mezzi di controllo sulla società in house, in misura più penetrante di quanto previsto dal diritto civile. Gli indici rivelatori del c.d. controllo analogo sono individuabili come segue:
- il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero: cfr., in tal senso, le già citate sentenze 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, decisione 08.01.2007, n. 5, in cui si afferma che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati (tra le tante cfr. Tar Puglia, 08.11.2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La stessa giurisprudenza comunitaria ha inoltre precisato che, in astratto, non è escluso un “controllo analogo” anche nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo.
RIFIUTI - Pubblica amministrazione - Società mista - Riconducibilità al modello dell’in house providing - Esclusione - Parere Cons. Stato n. 456/2007.
Il modello organizzativo della società mista non è riconducibile all’in house providing (cfr. Consiglio di Stato, parere n. 456/2007 del 18/04/2007, nonché Corte di Giustizia C.E. del 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/o Comune di Bari: “se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene”).
RIFIUTI - Affidamento di servizi pubblici - Società mista - Compatibilità con il sistema comunitario - Condizioni.
Nell’ambito dell’affidamento di servizi pubblici, il modello “società mista” è percorribile (in un’ottica di compatibilità con il sistema comunitario e sempre che siano ravvisabili congrue ragioni per non procedere ad un affidamento integrale esterno) in presenza di adeguate garanzie, ossia:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l’affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo si configuri come un “socio industriale od operativo”, che concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione “alla scadenza del periodo di affidamento” (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva tara egli risulti non più aggiudicatario (così letteralmente C.d.S., sez.II, parere cit.) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 05.11.2007 n. 2511 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI SERVIZI1. Ricorso giurisdizionale - Ricorso incidentale - Esame delle questioni - Priorità a quelle logicamente pregiudiziali - Sentenze della Corte di Giustizia della CE - Vincolatività - Sussiste.
2. Interesse all'impugnazione - Contratti della P.A. - Sospensione e revoca della gara - Mancata domanda di partecipazione alla gara - Posizione giuridica differenziata - Individuazione tramite metodo indiziario - Ammissibilità - Fattispecie.
3. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in house providing - Natura.
4. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in house providing - Requisiti - Immedesimazione tra ente pubblico e società fornitrice - Quando sussiste.
5. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in house providing - Requisiti - Controllo analogo - In presenza di società a capitale anche privato - Non sussiste.
6. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in house providing - Requisiti - Controllo analogo - In presenza di consiglio di Amministrazione con poteri illimitati - Non sussiste.
7. Risarcimento del danno - Presupposti - Colpa inescusabile della P.A. - Diritto al risarcimento - Sussiste.
8. Risarcimento del danno - Presupposti - Palese illegittimità dell'azione della P.A. - Onere di provare l'elemento psicologico - Non sussiste.
9. Risarcimento del danno - Presupposti - Chiarezza ed univocità interpretativa della norma violata - Necessità - Quadro normativo confuso - Responsabilità della P.A. - Non sussiste.

1. Per il Giudice Nazionale (ivi compreso il Giudice Amministrativo) hanno effetto vincolante le sentenze con le quali la Corte di Giustizia si pronunci in via pregiudiziale sull'interpretazione degli atti compiuti dalla CE, ai sensi dell'art. 234 del Trattato, (cfr. Corte di Giustizia, 6/7/1995, C-62/93).
2. Nel caso in cui la stazione appaltante, prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, abbia disposto la sospensione della procedura di gara, con conseguente definitiva revoca della medesima, ed abbia proceduto all'affidamento diretto della fornitura oggetto di gara, non trova applicazione la regola generale della inammissibilità del grame a causa della mancata presentazione, in via preventiva, della domanda di partecipazione o dell'offerta ogniqualvolta il ricorrente abbia posto in essere adempimenti nei confronti della P.A. che dimostrino la sussistenza di un suo interesse ad ottenere l'aggiudicazione di quel determinato appalto pubblico di forniture.
3. L'espressione in house providing identifica il fenomeno di "autoproduzione" da parte della P.A. che acquisisce un bene o un servizio attingendoli all'interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere al mercato tramite gara.
4. La P.A. può ricorrere all'affidamento in house qualora sussista un rapporto di immedesimazione tra sé medesima e la società chiamata ad eseguire la fornitura, ossia quando la P.A. eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ed il soggetto affidatario svolga la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza (criterio della destinazione prevalente dell'attività).
5. E' escluso che possa sussistere il controllo analogo in presenza di una compagine composta anche da capitale privato (cfr. Corte di Giustizia, 11/12/2005, C- 26/03), essendo la partecipazione totalitaria pubblica elemento necessario per integrare la fattispecie dell'in house providing.
6. Il controllo analogo su di un ente societario non sussiste ove lo statuto conferisca al Consiglio di Amministrazione poteri teoricamente illimitati, senza che l'ente affidante possa influirvi, e configuri un ampio oggetto sociale.
7. In caso di richiesta di risarcimento danno per accertata illegittimità di atti della P.A., per ritenere integrata la responsabilità della Amministrazione devono sussistere elementi che qualifichino come colpevole la sua condotta: tale condotta sussiste qualora l'errore commesso dall'apparato amministrativo non sia scusabile, tenuto anche conto del contesto in cui si è sviluppata l'azione amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6393/2002).
8. Di fronte a palesi illegittimità dell'attività della P.A. il danneggiato può limitarsi ad allegare la stessa illegittimità, sintomatica della violazione di parametri che, nella generalità delle ipotesi, specificano la colpa della P.A.: in caso di violazione del diritto comunitario sugli appalti pubblici, per conseguire il risarcimento dei danni subìti, i soggetti lesi non devono offrire la prova della colpa o del dolo della stazione appaltante (cfr. Corte di Giustizia, 14/10/2004, C-275/03).
9. Costituisce onere della P.A. l'allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell'errore scusabile, volti a dimostrare l'assenza di colpa nel proprio operato e compete, in via definitiva al giudice, apprezzarne e valutarne liberamente l'idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell'amministrazione. Al fine di ritenere la P.A. soggetta al giudizio di colpevolezza e alle connesse responsabilità è rilevante il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l'esenzione da colpa in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5500/2004) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 04.11.2007 nn. 6359 e 6360 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Non è necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
La figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario.
Per giustificare la deroga alle regole europee di evidenza pubblica occorrono maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. La giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha nel tempo individuati affermando, in particolare, che: - il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale; - l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico;
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante; - il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati.
Come è noto, l’espressione in house providing (usata per la prima volta in sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998) identifica il fenomeno di “autoproduzione” di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione: ciò accade quando quest’ultima acquisisce un bene o un servizio attingendoli all’interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere a terzi tramite gara e dunque al mercato (cfr., in termini, la recente decisione della VI Sezione di questo Consiglio del 03.04.2007, n. 1514, su cui si tornerà più avanti). Il modello si contrappone a quello dell‘outsourcing, o contracting out (la c.d. esternalizzazione), in cui la sfera pubblica si rivolge al privato, demandandogli il compito di produrre e /o fornire i beni e servizi necessari allo svolgimento della funzione amministrativa.
La prima definizione giurisprudenziale della figura è fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 18.11.1999, causa C-107/98 – Teckal. In quella sede –a estrema sintesi delle considerazioni della Corte– si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell’attività”, l’ente in house non può ritenersi “terzo” rispetto all’amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa: non è, pertanto, necessario che l’amministrazione ponga in essere procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture.
Questa Sezione condivide pienamente –come già affermato nel precedente parere n. 3162/2006 (cfr. pure, in termini, la citata decisione della VI Sezione n. 1514/2007)– le affermazioni secondo le quali la figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati restrittivamente poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario.
Ciò è stato chiarito con fermezza dalla Corte di giustizia nelle sue successive pronunce (cfr. le note sentenze 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, su cui si tornerà più avanti per altri profili; 21.07.2005, causa C 231/03 - Corame; 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH; 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o Commissione c/ Austria; 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari; 11.05.2006, causa C-340/04 - Carbotermo; 18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux).
Il ridimensionamento dell’istituto è da ricondursi anche a fenomeni di distorsione nel ricorso a tale modello, del quale si tende ad abusare attraverso il fenomeno delle c.d. catene societarie e dei controlli indiretti, nonché attraverso le attività svolte nei confronti di terzi.
In particolare, la ricordata sentenza Carbotermo dell’11.05.2006, causa C-340/04, ha affermato che la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria, ma non sufficiente. Difatti, per giustificare la deroga alle regole europee di evidenza pubblica occorrono maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. La giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha nel tempo individuati affermando, in particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero: cfr., in particolare, le già citate sentenze 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (cfr. pure la decisione della V sez. di questo Consiglio di Stato 08.01.2007, n. 5, che ha affermato che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati (Tar Puglia, 08.11.2006, n. 5197; Consiglio di Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La giurisprudenza ha anche chiarito che, in astratto, è configurabile un “controllo analogo” anche nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall’ente pubblico, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo. Tuttavia, una tale forma di partecipazione “può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale” (cfr. la citata sentenza Carbotermo, 11.05.2006, causa C-340/04). In tale ottica, la partecipazione pubblica indiretta, anche se totalitaria, è in astratto compatibile, ma affievolisce comunque il controllo.
I principi giurisprudenziali sopra accennati appaiono, ormai, largamente condivisi dalle Corti Supreme nazionali, ivi compreso, come si è detto, questo Consiglio di Stato, il quale (sia nel parere n. 3162/2006 che nella decisione della VI Sezione da ultimo citati) ha anche rilevato che, nel nostro ordinamento, una norma di carattere generale era stata proposta nel primo schema del codice dei contratti pubblici, ma non è stata poi inserita nel testo finale del d.lgs. n. 163 del 2006, a conferma della volontà del legislatore di non generalizzare il modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento di servizi, di lavori, o di forniture (la norma dell’originario schema era l’art. 15, rubricata “Affidamenti in house”, dal seguente testo: “Il presente decreto non si applica all’affidamento di servizi, lavori, forniture a società per azioni il cui capitale sia interamente posseduto da un’amministrazione aggiudicatrice, a condizione che quest’ultima eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione aggiudicatrice.”; il codice, tuttavia, ha conservato un riferimento generale alle società miste all’art. 1, comma 2, e all’art. 32: cfr. infra, il punto 7).
Questo Consiglio di Stato ritiene che l’evoluzione giurisprudenziale consenta, altresì, di escludere, in via generale, la riconducibilità del modello organizzativo della “società mista” a quello dell’in house providing.
Tale riconducibilità, che in principio era quantomeno dubbia (e molto si è discusso sul punto: svariati autori, in dottrina, propendevano per la soluzione affermativa e ancora oggi vi sono discipline che ricomprendono entrambe le situazioni: cfr. l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, di cui si dirà infra, al punto 7.3), oggi può dirsi ormai definita in senso negativo dalla giurisprudenza –non risalente ma ormai consolidata– della Corte di giustizia europea, nelle decisioni in cui ha progressivamente definito il concetto di “controllo analogo”.
In particolare, ciò emerge dalla già menzionata sentenza della Corte 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau: nel dare atto che, in quella controversia, la Stadt Halle si era difesa proprio sostenendo che si sarebbe trattato “di un’«operazione di ‘in house providing’», alla quale non si applicherebbero le norme comunitarie in materia di appalti pubblici”, la Corte ha invece affermato che “la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi”.
L’opzione interpretativa è confermata, tra le altre, dalla citata sentenza 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari –laddove afferma che “se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene (v. già, in senso analogo, anche la sentenza 21.07.2005, causa C 231/03 - Corame)” –e in quella 18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux, ove si afferma che “quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, cit., con riferimento agli appalti pubblici di servizi si applica anche con riferimento agli appalti pubblici di lavori”.
In altri termini, la Corte di giustizia ha ritenuto che qualsiasi investimento di capitale privato in un’impresa obbedisca a considerazioni proprie degli interessi privati e persegua obiettivi di natura differente rispetto a quelli dell’amministrazione pubblica. Pertanto, in sostanza, oggi si può parlare di società in house soltanto se essa agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione “dal punto di vista sostantivo”, non contaminato da alcun interesse privato.
Di tali conclusioni questo Consiglio di Stato ha già preso atto quando, con la decisione n. 1514/07 della VI Sezione, ha affermato –con argomenti che questa Sezione condivide pienamente– che, in un caso diverso da quello ivi deciso (e definito con la decisione n. 1513/2007), “la Sezione ha ritenuto neanche configurabile l’affidamento in house in considerazione dell’assenza di una partecipazione pubblica totalitaria all’epoca … degli affidamenti in contestazione in quel procedimento. L’assenza della partecipazione pubblica totalitaria esclude, infatti, in radice la possibilità di configurare il requisito del controllo analogo, richiesto dalla giurisprudenza comunitaria per gli affidamenti in house.”.
Da ciò consegue –ad avviso del Collegio– l’inutilità di ricercare, allo scopo di giustificarne la compatibilità con la disciplina europea, i (sempre più selettivi) requisiti richiesti per l’in house anche nel modello di parternariato pubblico-privato “società mista” cui si riconduce l’oggetto del quesito in esame.
La non riconducibilità alla figura dell’in house non implica, di per sé, la esclusione automatica della compatibilità comunitaria della diversa figura della società mista a partecipazione pubblica maggioritaria in cui il socio privato sia scelto con una procedura di evidenza pubblica.
Su tale specifica modalità organizzativa, infatti, non risulta che la Corte di giustizia abbia ancora avuto modo di pronunciarsi espressamente: anche nelle più importanti sentenze in cui si tratta di società miste (e in particolare la sentenza 11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, e la sentenza 13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen GmbH), il privato era stato individuato senza gara (cfr. amplius infra, il punto 8.2.2).
Come è noto, il modello delle “società miste” è presente da tempo nel nostro ordinamento, ed è oggi previsto in via generale dall’art. 113, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 267 del 2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – t.u.e.l.), introdotto dall’art. 14 del d.l. 30.09.2003, n. 269, come modificato dalla relativa legge di conversione. Tale previsione può essere assunta a paradigma del modello anche ai fini della soluzione del quesito in oggetto, che pure si caratterizza per una disciplina ad hoc.
Sempre in via generale, il codice dei contratti pubblici, se non prevede più una generalizzazione del modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento (come si è detto retro, al punto 5.2), contiene invece, all’art. 1, comma 2, una previsione di carattere generale sulle società miste, secondo la quale, “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”. Anche in questo caso, la norma non intende affermare la generale ammissibilità delle società miste, che devono intendersi consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale, nel rispetto del principio di legalità: si codifica soltanto il principio secondo il quale, in questi casi, la scelta del socio deve comunque avvenire “con procedure di evidenza pubblica” (non necessariamente, quindi, ai sensi della disciplina dello stesso codice).
La figura delle società miste compare anche nell’art. 32, al comma 1, lett. c), e al comma 3 (tale ultima disposizione è stata confermata nel testo definitivo nonostante i rilievi di questo Consiglio di Stato espressi nel parere della Sezione per gli atti normativi n. 355/2006 del 06.02.2006, relativo allo schema di codice dei contratti pubblici: cfr. infra, il punto 8.4).
L’art. 113, comma 5, lett. b), del t.u.e.l. dispone che l’erogazione dei servizi per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali “avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio …”, tra l’altro, “… b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”. Tale norma costituisce, in qualche modo, il paradigma del modello cui si ispira anche la normativa speciale per il SIAN che è oggetto del quesito in esame.
Lo stesso art. 113 prevede, nella distinta lettera c), in alternativa al ricorso alla società mista, il modello della società in house a capitale interamente pubblico, richiedendo solo per tale caso i requisiti del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell’attività” in favore dell’ente pubblico di appartenenza identificati dalla sentenza Teckal. Ciò sembra confermare quanto affermato retro (al punto 5 e ai relativi sottopunti) a proposito della differente disciplina dei due modelli della società mista e della società in house, anche con riguardo ai requisiti richiesti dal diritto europeo.
La figura delle società a capitale misto è stata configurata da autorevole dottrina come una forma di “collaborazione tra pubblica amministrazione e privati imprenditori nella gestione di un pubblico servizio”; tale figura, costituendo una modalità organizzativa ulteriore per la soddisfazione delle esigenze generali, rende più flessibile la risposta istituzionale a determinate esigenze e può risultare –se ricondotta nei canoni del pieno rispetto dei principi comunitari– di particolare efficacia, almeno in certi casi (cfr., nello stesso senso, il Libro Verde della Commissione europea del 30.04.2004 e la Risoluzione del Parlamento europeo del 26.10.2006, richiamati amplius infra, al punto 8.5).
Inoltre, la necessità di una gara per la scelta del socio –oltre a confermare l’esclusione della riconducibilità alla figura dell’in house– ha condotto a ritenere non corretto annoverare tale figura tipo di affidamento tra quelli “diretti”.
Tuttavia, la stessa dottrina –alla luce dell’evoluzione in senso restrittivo della giurisprudenza comunitaria– ha messo in evidenza la debolezza della tesi della equiparazione automatica fra la procedura di scelta del socio e la gara per l’affidamento del servizio. Pur riconoscendo la funzionalità del modello, si afferma come ci si trovi di fronte ad una “figura peculiare che potrà presentare non pochi problemi attuativi e che, per non essere censurata, dovrà ricevere una applicazione attenta”.
Sempre in relazione al modello generale, si ricorda l’intervento dell’art 13 del d.l. n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, il quale ha introdotto una articolata disciplina che, in linea con i più recenti orientamenti comunitari volti a limitare l’in house providing, ma anche in relativa autonomia da essi, mira a evitare il fenomeno della c.d. cross subsidization delle società pubbliche, per cui esse operano al di fuori degli ambiti territoriali di appartenenza, acquisendo commesse da enti pubblici diversi da quelli controllanti od affidanti i contratti in house. In tale nuovo regime il d.l. n. 223 del 2006 ha equiparato i due diversi modelli delle società in house e del partenariato pubblico-privato.
In particolare, si è disposto che le società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali (non da quelle statali, come invece avviene nel caso di specie) per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali:
- devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti (viene fissata, quindi, la regola dell’esclusività, in luogo di quella della prevalenza);
- non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti;
- sono ad oggetto sociale esclusivo (l’oggetto sociale esclusivo –è stato affermato– non sembra debba essere inteso come divieto delle c.d. multiutilities, ma appare preferibile ritenere che rafforzi regola dell’esclusività evitando che dopo affidamento la società possa andare a fare altro).
In conclusione, può affermarsi che il modello della “società a capitale misto pubblico privato” esiste –come distinto dall’in house– nell’ordinamento nazionale, sia nella disposizione generale dell’art. 113 t.u.e.l. che in varie disposizioni speciali (come quella per il SIAN nel caso di specie). D’altro canto, però, tale disciplina è in evoluzione, sia de iure condito (art. 1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che de iure condendo (AS n. 772), poiché continua a suscitare perplessità la piena compatibilità di tale modello con il sistema comunitario, alla stregua della recente e rapida evoluzione giurisprudenziale (che sembra ancora in corso) e stante l’assenza di decisioni specifiche sul punto.
La Sezione –nei limiti del quesito in esame– ritiene possibile affermare che tale compatibilità possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui –avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, di cui si dirà infra, al punto 8.3– non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo.
In altri termini, in questo caso, indicato di regola come quello del “socio di lavoro”, “socio industriale” o “socio operativo” (come contrapposti al “socio finanziario”), questo Consiglio di Stato ritiene che l’attività che si ritiene “affidata” (senza gara) alla società mista sia, nella sostanza, da ritenere affidata (con gara) al partner privato scelto con una procedura di evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi compiti operativi e quella della qualità di socio.
La peculiarità rispetto alle ordinarie procedure di affidamento sembra allora rinvenirsi, in questo caso, non tanto nell’assenza di una procedura di evidenza pubblica (che, come si è detto, esiste e opera uno specifico riferimento all’attività da svolgere) quanto nel tipo di controllo dell’amministrazione appaltante sul privato esecutore: non più l’ordinario “controllo esterno” dell’amministrazione, secondo i canoni usuali della vigilanza del committente, ma un più pregnante “controllo interno” del socio pubblico, laddove esso si giustifichi in ragione di particolari esigenze di interesse pubblico (che nell’ordinamento italiano sono comunque individuate dalla legge)
(Consiglio di Stato, Sez. III, parere 18.04.2007 n. 456).

APPALTI SERVIZI: Sui requisiti che devono sussistere affinché l'affidamento in house di un servizio pubblico possa considerarsi legittimo.
E' legittimo l'affidamento di un servizio in house providing purché l'ente territoriale affidante eserciti sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e che, allo stesso tempo, quest'ultimo svolga la parte essenziale della propria attività insieme con l'ente o gli enti territoriali che lo controllano.
Circa il concetto di "controllo analogo", la Corte di Giustizia delle Comunità europee aveva avvertito che deve trattarsi di "un rapporto che determina da parte dell'amministrazione controllante un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione".
Questa conclusione è stata ribadita, tra gli altri, dall'arresto della Corte di giustizia europea, I, 13.10.2005, n. c-458/03, secondo il quale, in particolare: "[…..] deve risultare che l'ente concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente all'autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti. […..].
Nel solco di questo indirizzo giurisprudenziale la Commissione europea, sin dalla nota del 16.06.2002, sottolineava che non era sufficiente, al fine di individuare il presupposto del "controllo analogo", il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come entità distinta dall'amministrazione, dovendo, invece, essere concretamente parte della stessa. In ambito nazionale, sia pure con sfumature diverse, ovviamente dettate dalla particolarità delle fattispecie (anche in relazione alla specifica legislazione domestica) la giurisprudenza ha seguito e confermato l'indirizzo europeo.
In questo contesto è stato puntualizzato che il soggetto gestore si atteggia ad una sorta di longa manus dell'affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma rispetto all'apparato organizzativo di questo; deve, in altri termini, trattarsi di una sorta di amministrazione "indiretta", nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle mani dell'ente concedente attraverso un controllo gestionale e finanziario stringente sull'attività della società affidataria: la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.01.2007 n. 13 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'affidamento diretto di un servizio pubblico locale. Interesse a ricorrere e requisiti del controllo analogo.
Deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo di affidamento diretto di un servizio pubblico o di individuazione di un partner in società miste, in assenza di gara.
In base all'art. 113, V c., lett. c), del D. Lgs. n. 267 del 2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara "a società a capitale interamente pubblico", pur se a "a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento "in house providing").
In caso di servizio gestito col metodo del c.d. "in house providing", è quindi preliminarmente necessario stabilire con precisione cosa si intenda per controllo analogo. Per "controllo analogo" deve intendersi, un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario, che non può sussistere, in particolare, quando la partecipazione dell'Ente pubblico alla società sia meramente simbolica.
Nel caso di specie, al momento dell'affidamento diretto del servizio di nettezza urbana il comune deteneva solo l'1 % del capitale sociale, e la partecipazione non può che ritenersi simbolica, con impossibilità di esercizio di un controllo equivalente a quello di subordinazione gerarchica (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 09.01.2007 n. 72 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: Sull'illegittimità di un affidamento in house del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ad una spa intercomunale per la mancanza del requisito del controllo analogo.
E' illegittimo l'affidamento in house del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ad una spa intercomunale per violazione dell'articolo 113, c. 5, alinea "c" del tuel emanato con d.lvo 18.08.2000 n. 267, perché la suddetta spa non era una società sulla quale il comune esercita il "controllo analogo", previsto dalla disposizione di legge come una delle condizione per poterle affidare, senza gara, il servizio pubblico.
Lo statuto è quello di una normale società per azioni, nella quale i poteri appartengono agli organi sociali, e non è previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali e la costituzione degli anzidetti organi: il presidente del Consiglio d'amministrazione e il direttore sono eletti dal Consiglio d'amministrazione, il quale a sua volta è nominato dall'assemblea senza vincoli di provenienza o di proposta, e la stessa assemblea è composta "dai soci" senza ulteriori specificazioni; del collegio sindacale è previsto solo che si compone di tre sindaci elettivi e due supplenti, che durano in carica tre anni e sono rieleggibili.
Gli enti pubblici soci, non sono neppur menzionati, e anzi una disposizione stabilisce che "Il Consiglio di Amministrazione è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società ed ha facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l'attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, fatta eccezione soltanto per gli atti che a norma di legge e del presente statuto sono di competenza dell'Assemblea" (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 5 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).