dossier AFFIDAMENTO IN HOUSE |
anno 2022 |
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APPALTI SERVIZI: Affidamenti
in house, la valutazione di congruità non impone l'indagine di mercato.
In tema di affidamenti in house, la mancanza di una previa indagine di
mercato per la verifica di congruità del contratto non inficia l'onere di
motivazione rafforzato, con riferimento alle ragioni del mancato ricorso al
mercato e alla convenienza dei costi del servizio. Questo perché l'onere di
cui trattasi, imposto dall'articolo 192, comma 2, del dlgs 50/2016 per
evitare l'abuso dell'affidamento diretto, può ritenersi soddisfatto ove
l'ente affidante abbia cura di indicare le plausibili e specifiche ragioni
preferenziali a sostegno della convenienza globale dello strumento pubblico.
Lo ha affermato il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con la
sentenza
04.01.2022 n. 12.
Il contenzioso all'esame dei giudici lombardi ha preso avvio dal ricorso
proposto da una società operante nel settore di igiene urbana avverso la
delibera consiliare con cui un Comune aveva acquistato una piccola quota
(0,03 per cento del capitale) in una società pubblica a compagine plurima,
disponendo contestualmente, a favore della società stessa, l'affidamento in
house della gestione rifiuti per una durata quinquennale.
La parte attrice si è rivolta al collegio con le seguenti doglianze:
a) difetto di istruttoria da parte del Comune de quo, e conseguente
violazione dell'onere di motivazione rafforzato in ordine alla congruità
economica dell'offerta del soggetto in house, di cui all'articolo 192, comma
2, del codice dei contratti;
b) carenza del requisito del controllo analogo da parte dell'ente affidante,
titolare di una partecipazione irrilevante del capitale sociale.
Il Tar Lombardia ha aderito alla censura di cui al suddetto punto b) e per
conseguenza ha accolto il gravame, annullando la delibera consiliare
impugnata, nonché l'intera operazione posta in essere dal Comune per gestire
il servizio rifiuti secondo il modello organizzativo dell'in house.
Nello
specifico il collegio ha precisato che, in assenza di un accordo tra enti
soci o di patti sociali che assicurino l'esercizio del controllo analogo al
Comune titolare di una partecipazione "pulviscolare", la previsione di un
Comitato di indirizzo strategico e di controllo analogo risulta inidonea e
inefficace nell'ipotesi in cui –come è avvenuto nel caso di specie– tale
Comitato sia munito di competenze meramente propositive e non vincolanti per
l'operatività del Cda, al cui interno non è possibile (ovviamente)
assicurare la presenza di membri che siano espressione di voto del piccolo
Comune azionista. Rispetto al punto a) i giudici, nel respingere il motivo
di ricorso, hanno eseguito un'accurata ricostruzione delle procedure da
seguire per ottemperare all'onere di motivazione rafforzato.
Sul punto, il collegio ha riconosciuto un notevole margine di flessibilità
all'azione dell'ente volta a dimostrare la convenienza (in senso lato) di
gestire il servizio in house. Secondo il Tar «la motivazione delle ragioni
del mancato ricorso al mercato e della valutazione dei benefici per la
collettività può essere resa in forma unitaria, sintetica e osmotica», di
modo che «non è richiesto, quale adempimento necessario, lo svolgimento di
specifiche indagini di mercato o la comparazione tra la soluzione
organizzativa gestionale praticabile attraverso il soggetto in house e la
capacità del mercato di offrirne una equivalente».
In questa prospettiva, l'onere di motivazione a supporto dell'affidamento in
house può limitarsi ad accertare l'impossibilità di conseguire il medesimo
risultato con il ricorso al mercato, grazie alla puntuale indicazione di
«plausibili e atipiche ragioni preferenziali, addotte a sostegno della
globale convenienza dello strumento pubblico»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).
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SENTENZA
4. Il primo motivo di
ricorso, incentrato sul difetto di istruttoria e sulla violazione dell’onere
di motivazione rafforzato sulla congruità economica dell’offerta dei
soggetti in house, di cui all’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo
18.04.2016, n. 50, è infondato.
4.1. Con sentenza del 06.02.2020, pronunciata nelle cause riunite C-89/2019
e C-91/2019, la Corte di Giustizia UE, Sezione IX, ha ritenuto conforme
all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE la normativa
interna che subordina il ricorso al modulo organizzativo dell’in house
providing alla dimostrazione del duplice requisito del fallimento del
mercato e dei benefici ritraibili dalla collettività.
Con sentenza del 27.05.2020, n. 100, la Corte costituzionale, nel dichiarare
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 192,
comma 2, del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, ha affermato che l’onere
motivazionale, avente ad oggetto le ragioni del mancato ricorso al mercato,
è coerente con la ratio della norma, che è quella di evitare, in un’ottica
pro concorrenziale, l’abuso dell’affidamento diretto, mediante
un’interpretazione restrittiva dell’istituto.
Il Consiglio di Stato si è pronunciato, a proposito della effettiva
consistenza dell’onere di motivazione delle ragioni che hanno comportato la
scelta del modello organizzativo dell’in house providing, ed ha
affermato che:
a) la motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato e
della valutazione dei benefici per la collettività può essere resa in forma
unitaria, sintetica ed osmotica;
b) la motivazione del fallimento del mercato può ritenersi
sufficientemente integrata con il riferimento alla mera possibilità di
ricorrere al mercato <<tutte le volte che i benefici per la collettività
siano di per sé tali da giustificare il mancato ricorso al mercato>>
(Consiglio di Stato, Sezione III, 12.03.2021, n. 2102);
c) la preferenza del modello organizzativo dell’in house
providing, rispetto a quello della esternalizzazione del servizio, deve
tenere conto delle peculiarità del caso concreto ed essere esposta in modo
ragionevole e plausibile;
d) non è richiesto, quale adempimento necessario, lo svolgimento di
specifiche indagini di mercato o la comparazione tra <<la soluzione
organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house>>
e <<la capacità del mercato di offrirne una equivalente>> (Consiglio
di Stato, Sezione IV, 2021, n. 4723).
4.2. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la
motivazione delle ragioni preferenziali dell’affidamento in house dei
servizi di igiene ambientale, rispetto ad altre modalità di affidamento,
risulta logica e ragionevole, ove esaminata nel suo complesso.
Nella relazione illustrativa del 20.01.2021, redatta ai sensi degli articoli
34, comma 20, del decreto legge 18.10.2012, n. 179, convertito con
modificazioni nella legge 17.12.2012, n. 221, e 192, comma 2, del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50, si è dato conto della esistenza di un mercato
frazionato dei servizi di igiene ambientale e della necessità di procedere
ad un unico affidamento del servizio integrato, che includa anche il
segmento dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani non riciclabili, al
fine di perseguire:
a) una maggiore economicità nella gestione del servizio, mediante
l’abbattimento dei tempi e dei costi derivanti dalla segmentazione degli
affidamenti e delle relazioni intraprese con diversi operatori economici;
b) una maggiore efficienza, mediante la semplificazione dei sistemi
di controllo sull’intera filiera dei rifiuti;
c) una maggiore garanzia di flessibilità per fronteggiare le
mutevoli esigenze gestionali, determinate da eventuali situazioni
emergenziali.
La convenienza economica dell’affidamento unitario del servizio è stata
inoltre valutata dal Comune di Sedriano, sulla scorta della soluzione
organizzativa elaborata dalla società A. a r.l. nella proposta tecnica e
contrattuale, la quale non sembra contenere dati alterati o inattendibili.
Osserva il Collegio che l’aver omesso un confronto puntuale tra i dati
economici e gestionali desumibili da un’indagine di mercato e la proposta
contrattuale e gestionale presentata della A. s.r.l. non rappresenta un
elemento idoneo ad inficiare la complessiva congruità di quest’ultima e la
plausibilità delle motivazioni addotte dal Comune di Sedriano, con
particolare riferimento alla maggiore flessibilità della gestione unitaria
del servizio, garantita dall’adozione del modello organizzativo dell’in
house.
La realizzazione dell’interesse pubblico, sotteso alla scelta del gestore
del servizio, non esige infatti che l’onere motivazionale si estenda sino
all’accertamento della oggettiva impossibilità di conseguire il medesimo
risultato con il ricorso al mercato, atteso che esso può ritenersi
integrato, nel rispetto della discrezionalità riconosciuta alle
amministrazioni aggiudicatrici dall’articolo 2, comma 1, della direttiva
2014/23/UE, anche mediante l’indicazione di plausibili ed atipiche ragioni
preferenziali, addotte a sostegno della globale convenienza dello strumento
pubblico.
4.3. La motivazione della scelta, effettuata dal Comune di Sedriano, di
affidare la gestione del servizio integrato di igiene ambientale in ambito
pubblico si rivela dunque conforme ai canoni della logica economica e della
ragionevolezza tecnica, con conseguente reiezione del primo motivo di
ricorso.
5. Residua infine la trattazione del secondo motivo del ricorso, con il
quale sono state specificate plurime censure in relazione all’effettività
del requisito del controllo analogo, esperibile dal Comune di Sedriano nei
confronti dell’organo amministrativo della società A. s.r.l., ed alla
destinazione prevalente dell’attività sociale in favore degli Enti soci.
5.1. Il Collegio deve preliminarmente rigettare l’eccezione di
improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione,
formulata dal Comune di Sedriano, il quale sostiene che la società
ricorrente, anche in caso di accoglimento del secondo motivo del ricorso,
non potrebbe ritrarre l’utilità alla quale aspira, ovvero la partecipazione,
anche in forma associata, ad una procedura di evidenza pubblica per
l’affidamento del servizio di igiene ambientale.
La società ricorrente, nella qualità di operatore economico del settore del
ciclo dei rifiuti, agisce per la realizzazione di un interesse <<mediano>>,
che è quello di accrescere, mediante la riedizione del potere, le proprie
chanche di partecipazione ad una procedura competitiva, la quale è pur
sempre astrattamente praticabile come una delle possibili opzioni per la
gestione del servizio (Consiglio di Stato, Sezione III, 03.03.2020, n.
1564).
Essa ha pertanto un interesse specifico, concreto ed attuale a contrastare
la scelta del Comune di Sedriano di sottrarre l’affidamento del servizio di
igiene ambientale al mercato di riferimento.
5.2. La censura avente ad oggetto la violazione dell’articolo 5, comma 1,
lettera b), del decreto legislativo 18.04.2016, n. 50, relativa alla carenza
del requisito della destinazione prevalente dell’attività svolta dalla
società A. a r.l. in favore degli Enti soci, è infondata.
Dai chiarimenti resi al Comune dalla A. s.r.l. con la risposta al quesito n.
1, contenuta nella nota dell’11.02.2021, risulta infatti che la media dei
ricavi dell’attività in house, risultante dai bilanci approvati degli
ultimi tre esercizi, si attesta su un valore pari al 96,70% dei ricavi
totali.
5.3. Deve invece ritenersi fondata la censura avente ad oggetto la
violazione dell’articolo 5, comma 1, lettera a), e comma 5, del decreto
legislativo 18.04.2016, n. 50, relativa alla carenza del requisito del
controllo analogo congiunto esercitabile dal Comune di Sedriano,
congiuntamente agli altri Comuni che detengono una partecipazione
minoritaria, sulla società in house.
Con la citata sentenza del 06.02.2020, pronunciata nelle cause riunite
C-89/2019 e C-91/2019, la Corte di Giustizia UE, Sezione IX, ha ritenuto
conforme all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24/UE la
normativa interna che <<impedisce ad un’amministrazione aggiudicatrice di
acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre
amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a
garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione
aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo
congiunto e di conseguenza la possibilità di procedere ad affidamenti
diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più
amministrazioni aggiudicatrici>>.
L’effettiva possibilità, per i soci pubblici affidanti che partecipano ad
una società interamente pubblica, di incidere sulle decisioni strategiche
della stessa deve ritenersi, in astratto, direttamente proporzionale alla
loro quota di partecipazione.
Una partecipazione c.d. pulviscolare, quale quella detenuta dal Comune di
Sedriano (pari a circa lo 0,03% del capitale sociale), è infatti certamente
sintomatica della difficoltà dell’Ente di interferire in maniera decisiva
sul conseguimento del fine pubblico che intende perseguire con l’attività di
impresa.
Proprio per far fronte a tale deficit rappresentativo degli Enti
pubblici di minoranza, sono previsti degli strumenti per assicurare
l’effettività del controllo analogo congiunto degli stessi sulle scelte
gestorie, quali la designazione di un proprio rappresentante nell’organo
direttivo e l’attribuzione del potere di veto sulle decisioni che riguardino
direttamente il proprio territorio, i quali devono essere contenuti in primo
luogo nelle clausole statutarie della società in house (Consiglio di
Stato, Sezione V, 30.04.2018, n. 2599).
Ove tali clausole si dimostrino insufficienti ad assicurare l’effettiva
partecipazione alle decisioni strategiche per la realizzazione del fine
pubblico, i soci pubblici di minoranza possono perseguire il medesimo
risultato mediante la stipulazione di accordi o di patti parasociali che
consentano loro di coordinarsi per esercitare congiuntamente il controllo <<sulle
decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società
partecipata>> (Consiglio di Stato, Sezione V, 23.01.2019, n. 578;
Commissione speciale, parere 01.02.2017, n. 282). |
anno 2019 |
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APPALTI SERVIZI: In
house, alla Corte Ue stabilire i limiti tra partecipazione e posizione di
controllo congiunto.
Deve essere rimessa alla Corte di giustizia Ue la
questione se il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche
e il principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di
affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni
pubbliche osti a una normativa nazionale (come quella dell'articolo 192,
comma 2, del vigente codice dei contratti pubblici) il quale colloca gli
affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli
affidamenti tramite gara di appalto: consentendo questi affidamenti soltanto
in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché imponendo
comunque all'amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di
delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i
benefìci per la collettività connessi a questa forma di affidamento (si veda
anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 14 gennaio).
Inoltre, deve essere rimessa alla Corte di giustizia Ue la questione se il
diritto dell'Unione europea osti a una disciplina nazionale (come quella
dell'articolo 4, comma 1, del testo unico delle società partecipate,
approvato con Dlgs n. 175 del 2016) che impedisce a un'amministrazione
pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre
amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire
controllo o potere di veto) laddove l’amministrazione intende comunque
acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la
possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell'organismo
pluripartecipate.
Così si è espressa la V Sez. del Consiglio di Stato che con l’ordinanza
07.01.2019 n. 138 ha sollevato questione pregiudiziale alla Corte di
giustizia dell'Unione europea.
Il fatto
Un'impresa operante nel settore dell'igiene urbana, interessata ad acquisire
con gara, la gestione del servizio del Comune di Lanciano, ha chiesto
l'annullamento degli atti del 2017 con cui quel Comune, in quanto socio di
minoranza della partecipata, aveva approvato l'adeguamento dello statuto e i
relativi patti parasociali, in tal modo rendendo possibile l'affidamento
diretto del servizio in favore della stessa in quanto società in house pluripartecipata anche dallo stesso Comune e in regime di controllo analogo
congiunto.
Il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo che il Comune aveva
ampiamente ottemperato all'onere di motivazione imposto dall'articolo 192
del Dlgs n. 50 sui benefici della modalità di gestione in house prescelta,
in termini di efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di
ottimale impegno delle risorse pubbliche a beneficio della collettività.
La decisione
La sentenza di primo grado è stata impugnata e il Consiglio di Stato ha
ritenuto necessario coinvolgere la Corte di giustizia dell'Unione europea,
in quanto si è posto un duplice ordine di interrogativi. Il collegio dubita
che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in
house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre
modalità di affidamento, siano autenticamente compatibili con le
disposizioni del diritto primario e derivato dell'Unione europea.
In particolare, l'articolo 192, comma 2, del codice degli appalti pubblici
impone che l'affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia
assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre
forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla
messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale
fra amministrazioni).
La prima condizione consiste nell'obbligo di motivare le condizioni che
hanno comportato l'esclusione del ricorso al mercato. Condizione che muove
dal carattere secondario e residuale dell'affidamento in house, che appare
poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di dimostrato
fallimento del mercato rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a
gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e
di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche,
cui la società in house invece supplirebbe.
La seconda condizione consiste nell'obbligo di indicare, a quegli stessi
propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all'opzione
per l'affidamento in house. Anche in questo caso la previsione
dell'ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare
gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli
affidamenti diretti in regime di delegazione interorganica e li relega a un
ambito subordinato ed eccezionale rispetto all’ipotesi di competizione
mediante gara tra imprese.
La materia è di peculiare interesse e chi scrive rammenta che già nel
novembre 2018, il Tar Liguria ha interpellato la Corte costituzionale
sollevando questione di costituzionalità dell'articolo 192, comma 2 del
codice dei contratti, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti
diano conto nella motivazione del provvedimento di affidamento in house
delle ragioni del mancato ricorso al mercato
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 16.01.2019). |
anno 2016 |
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APPALTI SERVIZI:
È ammissibile l'affidamento diretto di un
servizio a una società mista.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, affronta
l’annoso tema della differenza tra la società in house e la
società mista.
Nello specifico i giudici di Palazzo Spada stabiliscono
l'ammissibilità dell'affidamento di un servizio pubblico
(nel caso di specie per l'affidamento del servizio di igiene
urbana) ad una società mista a condizione che si sia svolta
in un'unica gara per la scelta del socio e per
l'individuazione del determinato servizio da svolgere.
La differenza tra la società in house e la società mista
consiste, secondo i giudici amministrativi, nel fatto che la
prima agisce come un vero e proprio organo
dell'amministrazione dal punto di vista sostanziale, mentre
la diversa figura della società mista a partecipazione
pubblica, in cui il socio privato è scelto con una procedura
ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello
nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino
convergenza.
In quest'ultimo caso, l'affidamento di un servizio ad una
società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia
svolta una unica gara per la scelta del socio e
l'individuazione del determinato servizio da svolgere,
delimitato in sede di gara sia temporalmente che con
riferimento all'oggetto.
La Corte di Giustizia ha, infatti, ritenuto l'ammissibilità
dell'affidamento di servizi a società miste, a condizione
che si svolga in unico contesto una gara avente ad oggetto
la scelta del socio privato (socio non solo azionista, ma
soprattutto operativo) e l'affidamento del servizio già
predeterminato con obbligo della società mista di mantenere
lo stesso oggetto sociale durante l'intera durata della
concessione.
La chiave di volta del sistema è rappresentato dal fatto che
l'oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto,
poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l'aggiramento
delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza.
L'affidamento diretto di un servizio a una società mista non
è incompatibile con il diritto comunitario, a condizione che
la gara per la scelta del socio privato della società
affidataria sia stata espletata nel rispetto dei principi di
parità di trattamento, di non discriminazione e di
trasparenza.
Inoltre, i criteri di scelta del socio privato si devono
riferire non solo al capitale da quest’ultimo conferito, ma
anche alle capacità tecniche di tale socio e alle
caratteristiche della sua offerta in considerazione delle
prestazioni specifiche da fornire, così da potersi inferire
che la scelta del concessionario risulti indirettamente da
quella del socio medesimo (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.03.2016 n. 1028 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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APPALTI SERVIZI: E' illegittimo l'affidamento
in house di servizi
laddove è stato disposto in carenza del presupposto della
convenienza economica rispetto agli oneri che la Pa avrebbe
sostenuto con la relativa esternalizzazione.
Il modello
organizzativo dell’in house providing è stato recentemente
decifrato da questa Sezione come modalità eccezionale,
rispetto a quella ordinaria della scelta dell’affidatario in
esito a procedure concorrenziali, e, con particolare
riferimento ad una situazione identica a quella qui
controversa, precluso dal combinato disposto dell’art. 4,
commi 7 e 8, d.l. n. 95 del 2012 (che obbligano, per un
verso, le pubbliche amministrazioni ad acquisire beni e
servizi mediante procedure concorrenziali e che consentono,
per un altro verso, l’affidamento diretto a società a
totale partecipazione pubblica nelle sole ipotesi di
gestione di servizi di interesse generale, mentre quello in
questione esula dall’ambito di tale eccezione, attenendo a
un servizio strumentale all’amministrazione affidataria del
servizio).
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1.- E’ controversa
la legittimità dei provvedimenti con i quali l’ASL TA, dopo
aver bandito una gara per la scelta dell’impresa alla quale
affidare l’appalto avente ad oggetto la pulizia e la
sanificazione delle proprie strutture, ha deciso di revocare
la procedura selettiva e di assegnare il servizio alla
propria società in house (Sanitaservice).
Il Tribunale pugliese, adìto da due società che avevano
partecipato alla procedura inizialmente indetta dalla ASL TA,
ha giudicato illegittima sia la delibera n. 603 del 2014
(impugnata con i ricorsi introduttivi), in quanto
approvativa di un business plan fondato su un computo
del costo del lavoro inferiore a quello minimo previsto
nella procedura inizialmente indetta (e poi revocata), sia
la delibera n. 859 del 2014 (adottata al dichiarato fine di
correggere il predetto errore ed impugnata con i motivi
aggiunti), in quanto, in ogni caso, viziata dal difetto del
presupposto della convenienza economica della gestione del
servizio in house, così come deliberata, rispetto
agli oneri che sarebbero stati sostenuti per effetto
dell’affidamento dell’appalto in esito alla gara
originariamente bandita.
L’ASL TA contesta la correttezza del gravato giudizio di
illegittimità, insistendo nel sostenere l’erroneità del
rilievo della mancanza di economicità della gestione del
servizio in house, assunto dal TAR a fondamento della
pronuncia di annullamento appellata, e concludendo per la
riforma di quest’ultima e per la conseguente reiezione dei
ricorsi di primo grado.
2.- Occorre preliminarmente disattendere l’eccezione di rito
con cui la Cascina Global Service s.r.l. ha sostenuto
l’intervenuta estinzione del giudizio, in ragione della
tardività della sua riassunzione, in seguito alla
dichiarazione di interruzione del processo con l’ordinanza
assunta nella camera di consiglio del 09.07.2015, da parte
dell’ASL TA.
Premesso, infatti, che il termine dimidiato per la
riassunzione, stabilito in 45 giorni per effetto del
combinato disposto degli artt. 80, comma 3, 119 e 120 c.p.a.,
dev’essere computato a decorrere dal giorno in cui la parte
ha avuto conoscenza legale dell’evento interruttivo, deve
rilevarsi che non risulta provata la data in cui la ASL TA
ha avuto conoscenza del decesso del proprio difensore (da
valersi quale dies a quo del calcolo del termine
asseritamente inosservato).
Non consta, in particolare, che l’Azienda appellante abbia
dichiarato la morte del proprio avvocato (essendo stato
depositato il suo certificato di morte dalla Chemi Pul
Italiana s.r.l.), o che abbia avuto conoscenza dell’evento
alla camera di consiglio del 09.07.2015 (nella quale nessuno
è comparso per l’ASL TA) o, ancora, che sia stata informata
del fatto per mezzo della comunicazione dell’ordinanza
dichiarativa dell’interruzione del giudizio (che non risulta
mai eseguita dalla Segreteria), sicché la riassunzione deve
intendersi rituale e tempestiva, con conseguente reiezione
dell’eccezione in esame.
3.- Nel merito, l’appello è infondato, alla stregua delle
considerazioni di seguito esposte, e va respinto.
3.1- Con un unico, articolato motivo di ricorso l’Azienda
appellante critica la correttezza del giudizio relativo alla
mancanza di convenienza economica dell’affidamento del
servizio a Sanitaservice, deducendo, in particolare,
l’erroneità dell’assunzione, quale parametro di valutazione,
del costo dell’appalto originariamente messo a gara ed
assumendo, in ogni caso, l’idoneità del (secondo)
business plan, approvato con la deliberazione n. 859 del
2014 ad attestare la congruità degli oneri della contestata
assegnazione dell’appalto alla propria società in house.
3.2- Deve premettersi che il modello organizzativo dell’in
house providing è stato recentemente decifrato da questa
Sezione (Cons. St., sez. III, 07.05.2015, n. 2291) come
modalità eccezionale, rispetto a quella ordinaria della
scelta dell’affidatario in esito a procedure concorrenziali,
e, con particolare riferimento ad una situazione identica a
quella qui controversa (affidamento diretto alla
Sanitaservice ASL BR s.r.l. da parte della A.S.L. di
Brindisi del servizio di pulizia e di sanificazione),
precluso dal combinato disposto dell’art. 4, commi 7 e 8,
d.l. n. 95 del 2012 (che obbligano, per un verso, le
pubbliche amministrazioni ad acquisire beni e servizi
mediante procedure concorrenziali e che consentono, per un
altro verso, l’affidamento diretto a società a totale
partecipazione pubblica nelle sole ipotesi di gestione di
servizi di interesse generale, mentre quello in questione
esula dall’ambito di tale eccezione, attenendo a un servizio
strumentale all’amministrazione affidataria del servizio).
3.3- Così riscontrata la difformità dell’affidamento
controverso dal paradigma legale di riferimento (e, quindi,
la sua illegittimità), alla stregua delle argomentazioni
assunte a fondamento della decisione citata (e da intendersi
qui integralmente richiamate), occorre, in ogni caso,
confermare la fondatezza delle (diverse) ragioni assunte a
fondamento del gravato giudizio di illegittimità.
Occorre, al riguardo, rilevare che, contrariamente a quanto
sostenuto dall’appellante, il TAR non ha arbitrariamente
sindacato il merito della scelta dell’affidamento in
house ma ha correttamente scrutinato l’attendibilità
della motivazione dichiaratamente assunta dalla stessa
amministrazione a sostegno di quella decisione e, cioè, la
convenienza economica dell’affidamento diretto alla propria
società, rispetto alla selezione del contraente in esito ad
una pubblica gara.
Così chiarito che la verifica della fondatezza delle ragioni
addotte dalla stessa Azienda a sostegno della scelta dell’internalizzazione
del servizio di pulizia e di sanificazione attiene
direttamente alla disamina della coerenza e della
correttezza della stessa motivazione della contestata
opzione gestoria (e non si estende fino ad un inammissibile
sindacato del merito della relativa scelta), rileva il
Collegio, per un verso, che il TAR ha correttamente assunto
come parametro di valutazione della legittimità di
quest’ultima proprio la stima dei costi operata dalla ASL TA
negli atti della gara inizialmente indetta (da valersi quale
l’unico criterio razionale di esame della convenienza
economica della gestione in house del servizio,
rispetto alla sua esternalizzazione) e, per un altro, che la
determinazione controversa risulta fondata su una
ricostruzione inattendibile (ovviamente, se confrontata con
gli importi preventivati nell’ambito della procedura
selettiva poi revocata) dei dati di costo delle prestazioni
contrattuali dovute dal gestore del servizio.
E’ sufficiente, al riguardo, osservare che nel (secondo)
business plan (approvato con la delibera n. 859 del
2014), a fronte di un modesto incremento, rispetto
all’oggetto dell’appalto messo inizialmente a gara, delle
ore lavorative annue e delle superfici da pulire (che incide
in maniera trascurabile sul costo totale delle prestazioni),
il corrispettivo complessivo del servizio risulta
irragionevolmente superiore, sia a quello a base d’asta, sia
a quello offerto in sede di gara dalla Cascina Global
Service s.r.l. (che ha presentato la prima offerta non
anomala).
A ben vedere, infatti, a fronte del corrispettivo offerto
dalla Cascina Global Service s.r.l. (pari ad Euro
14.796.000), quello corrisposto alla Sanitaservice (pari a
circa Euro 18.000.000) risulta superiore di oltre Euro
3.200.000 al costo che l’Azienda avrebbe sostenuto affidando
il servizio in esito alla procedura concorrenziale
inizialmente bandita, con conseguente, palese smentita del
presupposto (logico e giuridico) dell’internalizzazione del
servizio: la convenienza economica della gestione in
house, rispetto all’assegnazione dell’appalto mediante
una gara pubblica.
Né vale ad inficiare la correttezza di tale (matematico)
rilievo la prospettazione con cui l’Azienda appellante tenta
di spiegare la composizione delle voci di costo assunte a
fondamento del computo del corrispettivo dovuto alla propria
società in house, in quanto la stima degli oneri
relativi alla principale componente, e, cioè, il costo del
lavoro, si rivela fallace, in quanto basata su elementi
errati.
E ciò sia perché nel monte ore sono state erroneamente
computate le ore necessarie per le sostituzioni del
personale assente (posto che il costo delle ore effettive di
servizio comprende già quello delle sostituzioni, come
chiarito, tra le tante, da Cons. St., sez. III, 02.03.2015,
n. 1020), sia perché l’incremento del monte ore da 315.484
(così stimato negli atti della procedura revocata) a 322.353
non risulta giustificato da allegazioni attendibili e
verificabili (soprattutto tenendo conto che il primo dato
era stato computato con riferimento all’orario effettivo e
non a quello teorico e che le superfici aggiuntive
presentano un’estensione molto ridotta).
Ma, in ogni caso, quand’anche si giudicasse plausibile il
computo del monte ore contenuto nel secondo business plan,
l’incremento di 6.900 ore effettive di servizio non appare
in alcun modo sufficiente a giustificare un aumento del
costo complessivo dell’appalto di Euro 3.200.000.
3.4- Ne consegue, in definitiva, che il contestato
affidamento diretto dell’appalto alla Sanitaservice dev’essere
giudicato illegittimo, siccome fondato sull’erroneo
presupposto della sua convenienza economica (rispetto agli
oneri che avrebbe sopportato l’Azienda con
l’esternalizzazione del servizio).
3.5- L’affidamento diretto del servizio alla Sanitaservice
risulta, peraltro, illegittimo (a conferma della fondatezza
dell’argomentazione sopra svolta) anche in quanto disposto
in violazione dei vincolanti prezzi di riferimento
stabiliti, ai sensi dell’art. 17 d.l. 06.07.2011, n. 98,
dall’Osservatorio dei contratti pubblici presso l’AVCP (ora
ANAC), applicando i quali il costo del servizio sarebbe
stato molto più basso (perlomeno di Euro 1.500.000 circa) di
quello corrisposto alla predetta società in house,
come fondatamente dedotto dalla Cascina Global Service
s.r.l. con la prima censura riproposta in appello ed
esaminabile congiuntamente all’appello principale (in quanto
afferente alla medesima questione dell’attendibilità della
motivazione relativa alla convenienza economica
dell’affidamento diretto in contestazione).
3.6- Resta così confermato che con il (peraltro doveroso)
ricorso al mercato l’ASL TA avrebbe conseguito un risparmio
significativo e che, al contrario, con la gestione in house
non ritrae alcuna convenienza economica e sopporta un costo
aggiuntivo, rispetto al corrispettivo che avrebbe dovuto
corrispondere a un gestore scelto in esito a una gara
pubblica.
4.- Alle considerazioni che precedono conseguono, quindi, la
reiezione dell’appello e la conferma della decisione
impugnata
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 17.12.2015 n. 5732 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla rimessione alla Corte di Giustizia Ue di
alcune questioni sul requisito dell'attività prevalente
richiesto per un legittimo affidamento in house.
Nell'attuale quadro normativo nazionale non si rinviene una
disposizione che indichi gli elementi costituivi di un ente
in house e lo stesso legislatore in molteplici
discipline settoriali (es. art. 1, comma 423, 533, 609 l.
190/2014) nel richiamare la nozione di ente in house rinvia
all'ordinamento europeo per una sua corretta delimitazione.
Quanto al diritto europeo, "l'affidamento in house" è
un istituto di origine giurisprudenziale per verificare
quando vada necessariamente indetta una gara. Le direttive
n. 2014/23/UE (art. 17), n. 2014/24/UE (art. 12), n.
2014/25/UE (art. 28) ne trattano gli elementi costitutivi,
al fine di delimitare l'ambito di applicazione delle
direttive sugli appalti e sulle concessioni. Tali direttive,
però, non sono applicabili ratione temporis nel caso
di specie, poiché -non essendo ancora scaduto il termine per
il loro recepimento- non può essere esaminato il loro
carattere self-executing. Le previsioni in questione
hanno comunque una rilevanza giuridica, pur minore rispetto
al c.d. effetto diretto ovvero alla regola della "interpretazione
giuridica conforme".
Infatti, in nome del principio di leale collaborazione, vi è
un dovere di stand still, nel senso che il
legislatore nazionale, nel periodo intercorrente tra la
pubblicazione della direttiva nella GUUE e il termine
assegnato per il suo recepimento, deve evitare qualsiasi
misura che possa compromettere il conseguimento del
risultato, così come il giudice deve evitare qualsiasi forma
di interpretazione o di applicazione del diritto nazionale
da cui possa derivare, dopo la scadenza del termine di
attuazione, la messa in pericolo del risultato voluto dalla
direttiva.
Nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie,
considerato che il requisito della cd. attività prevalente
deve comunque essere definito sulla base del diritto dell'Ue
vigente al tempo dell'adozione dell'atto impugnato, non
essendo rinvenibile una normativa nazionale che chiarisca i
termini entro i quali il suddetto requisito vada apprezzato,
ma semplicemente una disciplina nazionale, l'art. 2 del
d.lgs. n. 163/2006, che impone l'obbligo di affidare il
servizio oggetto del presente contenzioso attraverso una
gara pubblica, a meno che non ricorra tra amministrazione
aggiudicatrice ed ente aggiudicatario una relazione in
house, nell'accezione operante secondo il diritto
dell'Ue.
---------------
La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul cd. requisito
della "attività prevalente" ha indicato quale
elemento necessario per la sussistenza della relazione in
house che l'ente controllato "realizzi la parte più
importante della propria attività con l'ente o con gli enti
locali che la controllano" (sentenza Teckal).
Successivamente, il requisito in questione è stato oggetto
di un ulteriore chiarimento da parte della Corte di
Giustizia nella sentenza cd. Carbotermo, che ha precisato
che "si può ritenere che l'impresa in questione svolga la
parte più importante della sua attività con l'ente locale
che la detiene, ai sensi della menzionata sentenza Teckal,
solo se l'attività di detta impresa è principalmente
destinata all'ente in questione e ogni altra attività
risulta avere solo un carattere marginale".
Non si rinvengono, invece, pronunce che chiariscano se tra
gli affidamenti da valutare, al fine di ritenere integrato
il requisito dell'"attività prevalente", debbano
anche essere computati quelli che riguardino enti pubblici
non soci, nel caso in cui l'attribuzione sia imposta da un
provvedimento autoritativo proveniente da un'amministrazione
pubblica diversa, nella specie dalla R. Abruzzo, che impone
all'ente sospettato di relazione in house di svolgere
attività di trattamento e smaltimento rifiuti a favore di
comuni non soci.
Dal momento che le questioni pregiudiziali sollevate
dall'appellante in ordine alla ricorrenza del requisito
della prevalente attività svolta dalla società in house
a favore del Comune, riguardano questioni relative
all'interpretazione dei trattati, rilevanti al fine della
decisione del giudizio, non già decise dalla Corte di
giustizia e attratte nell'ambito di giurisdizione della
medesima Corte di giustizia sussiste l'obbligo di rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia delle seguenti
questioni pregiudiziali:
a) "se, nel computare l'attività prevalente svolta
dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento
all'attività imposta da un'amministrazione pubblica non
socia a favore di enti pubblici non soci".
b) "se, nel computare l'attività prevalente svolta
dall'ente controllato, debba farsi anche riferimento agli
affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che
divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo"
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 20.10.2015 n. 4793 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Solo la partecipazione totalitaria
delle amministrazioni pubbliche, e la totale assenza di
soggetti privati nella compagine sociale, consentono di
ravvisare nel soggetto affidatario la sottoposizione al
cosiddetto “controllo analogo”.
L'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato ha inoltre
affermato espressamente che esula dal sistema dell’“in
house providing” il diverso fenomeno del cosiddetto “partenariato
pubblico–privato” al quale sembra riconducibile
l’assetto della s.p.a. appellante.
Il principio affermato dall’Adunanza Plenaria è applicabile
al caso che ha originato la presente controversia, nel quale
è pacifico che le amministrazioni che l’hanno costituita non
esercitano, sulla s.p.a. appellante, un controllo
totalitario, in quanto fra di esse se ne trova una
partecipata, all’epoca, da soggetti privati.
---------------
Il legislatore comunitario
ha individuato un termine per il recepimento della direttiva
2014/24 nei diversi ordinamenti nazionali, e tale
termine è ancora pendente.
Il legislatore comunitario ha quindi attribuito ai
legislatori nazionali una sfera di discrezionalità
nell’individuazione dei tempi per la trasposizione dei nuovi
principi nei diversi ordinamenti, e per il necessario
coordinamento con la normativa interna vigente.
Tali elementi impongono di escludere che i nuovi principi
acquistino immediata efficacia nei singoli ordinamenti
nazionali, fermo restando che gli stessi diventeranno
immediatamente applicabili (ove suscettibili di
utilizzazione immediata in ragione della loro sufficiente
specificazione).
Tra l’altro, in forza dell’art. 12 della nuova direttiva
appalti, le “forme di partecipazione di capitali privati”
devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali, in conformità dei trattati”. Nella specie,
tale ulteriore condizione non sussiste.
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo del Friuli
Venezia Giulia, S.N.U.A. s.r.l. impugnava la deliberazione
n. 25 in data 26.05.2014 con la quale il Consiglio comunale
di Spilimbergo aveva deciso l’adesione del Comune ad
Ambiente Servizi s.p.a. per affidarle il servizio di
gestione dei rifiuti urbani ed assimilati a partire dal
01.07.2014; l’impugnazione era estesa alla delibera n. 96 in
data 19.06.2014 con la quale la Giunta comunale di
Spilimbergo aveva autorizzato il Segretario comunale a
sottoscrivere gli atti necessari a dare attuazione alla
predetta delibera ed alla delibera consiliare n. 33 in data
16.06.2014 concernente l’approvazione del piano finanziario
per l’esercizio 2014 (costi di gestione dei rifiuti).
La ricorrente deduceva i seguenti motivi:
1) difetto di motivazione e falsa rappresentazione della
realtà;
2) difetto di istruttoria in quanto la deliberazione
consiliare principalmente impugnata è stata assunta sulla
base di una relazione istruttoria inficiata da numerose
carenze;
3) la diversità dei servizi offerti dalla ricorrente e da
Ambiente Servizi non sono comparabili, anche in relazione
alla diversità dei tempi di somministrazione delle
prestazioni richieste; manca la convenienza economica ed al
Consiglio comunale non è stata adeguatamente prospettata la
scelta alternativa;
4) mancato rispetto dei principi comunitari in tema di “in
house providing” per la genericità delle finalità di
Ambiente Servizi e per la partecipazione di privati al suo
capitale sociale.
La ricorrente chiedeva quindi l’annullamento dei
provvedimenti impugnati.
Con la sentenza in epigrafe, n. 629 in data 04.12.2014, il
Tribunale amministrativo del Friuli Venezia Giulia
accoglieva il ricorso, per l’effetto annullando gli atti
impugnati.
2. Avverso la predetta sentenza propongono appello Ambiente
Servizi s.p.a. (ricorso n. 2037/2015) ed il Comune di
Spilimbergo (ricorso n. 2040/2015), contestando gli
argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la
sua riforma ed il rigetto del ricorso di primo grado.
In entrambi i giudizi si è costituita SNUA s.r.l., chiedendo
che gli appelli vengano dichiarati improcedibili per
sopravvenuta carenza di interesse ovvero respinti nel merito
ovvero ancora, in caso di accoglimento dell’appello, venga
dichiarata la nullità della delibera n. 25/2014 per difetto
assoluto di attribuzione; in estremo subordine, chiede
l’accoglimento delle censure assorbite dal primo giudice e
riproposte nel presente grado.
Gli appellanti hanno depositato memoria.
I ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in
decisione alla pubblica udienza del 09.07.2015.
3. Gli appelli in epigrafe devono essere riuniti onde
definirli con unica sentenza in quanto sono rivolti avverso
la stessa sentenza di primo grado.
3.a. Non può essere accolta l’eccezione di improcedibilità
sollevata dalla parte appellata.
Il primo giudice ha accolto l’impugnazione proposta
dall’odierna appellata affermando che Ambiente Servizi
s.p.a. non può essere affidataria diretta di appalti, in
questo caso di servizi in quanto manca il requisito del
cosiddetto “controllo analogo” da parte
dell’Amministrazione di riferimento che legittima il ricorso
a tale sistema di attribuzione degli appalti della Pubblica
Amministrazione secondo i principi dell’“in house
providing”.
Nella compagine della predetta Società è infatti ricompreso
il Consorzio per la Zona Industriale Ponte Rosso del quale
–il dato è pacifico– all’epoca facevano parte soggetti
privati.
L’appellata riferisce che dopo la pubblicazione della
sentenza di primo grado la s.p.a. appellante ha proceduto
all’acquisto delle azioni di proprietà del suddetto
Consorzio, con un notevole esborso, in tal modo dimostrando
la volontà di modificare la propria compagine per adeguarla
ai principi dettati dalla sentenza oggetto degli appelli ora
in trattazione.
Tale ragionamento, come anticipato, non può essere
condiviso.
In primo luogo, l’accoglimento dell’appello escluderebbe la
proponibilità di azioni risarcitorie da parte
dell’appellata, e tale profilo è di per sé sufficiente a
fondare l’interesse alla proposizione del gravame.
In secondo luogo, la riforma della sentenza di primo grado
consentirebbe agli appellanti di procedere ad una nuova
attribuzione di quote al suddetto Consorzio e ad un nuovo
affidamento diretto dell’appalto alla s.p.a. appellante
secondo lo schema dell’“in house providing”.
Inoltre, la delibera 29.12.2014, n. 78, con cui il Comune ha
proceduto alla riapprovazione dell’affidamento e dei
relativi atti, è stata impugnato dalla Snua s.r.l. con
ricorso al TAR, la cui udienza di discussione risulta
fissata il 07.10.2015.
Gli appelli devono pertanto essere esaminati nel merito.
3.b. Gli stessi sono peraltro infondati.
Gli appellanti sostengono in primo luogo che il ricorso di
primo grado doveva essere dichiarato inammissibile in quanto
l’atto effettivamente lesivo degli interessi dell’odierna
appellata è costituito da quello con il quale è stata
costituita la s.p.a. Ambiente Servizi, ovvero dalla
deliberazione con la quale l’assemblea di coordinamento
intercomunale ha stabilito la prosecuzione delle gestioni
affidate alla predetta Società fino al 31.12.2030.
La tesi non può essere condivisa.
La controversia ora sottoposta al Collegio riguarda
esclusivamente la gestione dei rifiuti urbani del Comune di
Spilimbergo, affidata alla s.p.a. appellante solo con la
deliberazione di quel Consiglio Comunale n. 25 in data 26.05.2014, tempestivamente impugnata.
Deve quindi essere condiviso l’orientamento del primo
giudice, il quale ha sottolineato come alla ricorrente non
potesse essere accollato l’onere di impugnare atti non
direttamente incidenti sull’affidamento del servizio alla
cui gestione aspira e di cui ora si tratta.
3.c. Vanno poi condivise le argomentazioni del primo
giudice, che rileva come la presenza di un socio privato
nell’ambito della compagine sociale della s.p.a. appellante
esclude che nei suoi confronti la stazione appaltante
eserciti un controllo analogo a quello che esercita nei
confronti dei propri uffici.
La tesi del primo giudice è, invero, conforme a
giurisprudenza sostanzialmente pacifica.
C. di S., A.P., 03.03.2008, n. 1, che il Collegio condivide,
ha infatti affermato che solo la partecipazione totalitaria
delle amministrazioni pubbliche, e la totale assenza di
soggetti privati nella compagine sociale, consentono di
ravvisare nel soggetto affidatario la sottoposizione al
cosiddetto “controllo analogo” (l’orientamento
consacrato dall’Adunanza Plenaria è pacificamente seguito
dalla giurisprudenza successiva: da ultimo, C. di S., III,
27.04.2015, n. 2154).
La stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria ha inoltre
affermato espressamente che esula dal sistema dell’“in
house providing” il diverso fenomeno del cosiddetto “partenariato
pubblico–privato” al quale sembra riconducibile
l’assetto della s.p.a. appellante.
Il principio affermato dall’Adunanza Plenaria è applicabile
al caso che ha originato la presente controversia, nel quale
è pacifico che le amministrazioni che l’hanno costituita non
esercitano, sulla s.p.a. appellante, un controllo
totalitario, in quanto fra di esse se ne trova una
partecipata, all’epoca, da soggetti privati.
Le parti appellanti obiettano, sulla base del parere della
Seconda Sezione di questo Consiglio di Stato 30.01.2015, n.
298, che il principio affermato dall’Adunanza Plenaria non è
ulteriormente applicabile in quanto l’art. 12, par. 1, della
direttiva 2014/24 ammette l’esistenza del controllo analogo
anche in casi in cui il soggetto che opera in regime
privatistico è partecipato da soggetti privati, purché tale
partecipazione sia ristretta nei limiti ivi stabiliti.
Ad avviso della Seconda Sezione, fatto proprio dagli
appellanti, il richiamato art. 12, par. 1, avendo contenuto
sufficientemente preciso, è immediatamente applicabile nel
nostro ordinamento.
L’orientamento espresso dalla Seconda Sezione non è
condiviso dal Collegio che condivide, invece, quanto
diversamente affermato dalla Sesta Sezione con la sentenza
26.05.2015, n. 2660.
Osserva, infatti, il Collegio che il legislatore comunitario
ha individuato un termine per il recepimento della suddetta
direttiva nei diversi ordinamenti nazionali, e che tale
termine è ancora pendente.
Il legislatore comunitario ha quindi attribuito ai
legislatori nazionali una sfera di discrezionalità
nell’individuazione dei tempi per la trasposizione dei nuovi
principi nei diversi ordinamenti, e per il necessario
coordinamento con la normativa interna vigente.
Tali elementi impongono di escludere che i nuovi principi
acquistino immediata efficacia nei singoli ordinamenti
nazionali, fermo restando che gli stessi diventeranno
immediatamente applicabili (ove suscettibili di
utilizzazione immediata in ragione della loro sufficiente
specificazione).
Tra l’altro, in forza dell’art. 12 della nuova direttiva
appalti, le “forme di partecipazione di capitali privati”
devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative
nazionali, in conformità dei trattati”. Nella specie,
tale ulteriore condizione non sussiste.
Il ragionamento degli appellanti non può, in conclusione,
essere condiviso.
4. Gli appelli devono, di conseguenza, essere respinti; deve
essere assorbito l’esame degli ulteriori profili proposti
nel presente grado dalla parte appellata.
Le spese di entrambi i gradi del giudizio devono essere
integralmente compensate fra le parti, in ragione della
complessità della controversia e degli elementi di dubbio
introdotti dal richiamato parere della Seconda Sezione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.09.2015 n. 4253 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Tar Abruzzo. L'affidamento in house non è ipotesi
residuale.
L'affidamento diretto in house non si configura
assolutamente come un'ipotesi eccezionale e residuale di
gestione dei servizi pubblici locale.
A sottolinearlo, in ossequio anche ad un precedente
giurisprudenziale, sono stati i giudici del TAR
Abruzzo-Pescara con la
sentenza 14.08.2015 n. 349.
Secondo i giudici amministrativi abruzzesi nel motivare la
scelta della gestione in proprio, l'amministrazione non è
tenuta a dimostrare che ciò corrisponda a un prezzo del
servizio in assoluto il più conveniente, potendo la stessa
ritenere che il controllo analogo che gli è assicurato
compensi adeguatamente -in termini di qualità del servizio,
poteri di controllo sulla gestione e condivisione delle
problematiche in tendenziale assenza di conflitti di
interesse- una eventuale maggior spesa.
Una simile valutazione ovviamente presuppone la
considerazione dei vari fattori che entrano in essa, senza
l'indicazione dei quali le ragioni complessive della scelta
non potranno in alcun modo emergere.
Già il Consiglio di stato (Sez. V, 10.09.2014 n. 4599) aveva
avuto modo di evidenziare come i servizi pubblici locali
aventi rilevanza economica possono essere gestiti ugualmente
mediante il mercato (ossia individuando all'esito di una
gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero
attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per
mezzo di una società mista e quindi con una «gara a
doppio oggetto» per la scelta del socio o poi per la
gestione del servizio), ovvero attraverso l'affidamento
diretto, in house, senza previa gara, ad un soggetto
che solo formalmente è diverso dall'ente, ma che ne
sostituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo.
È stato altresì sottolineato che in quest'ultimo caso
saranno in capo a tale soggetto diverso dall'ente «i
requisiti della totale partecipazione pubblica, del
controllo (sulla società affidataria) “analogo” (a quello
che l'ente affidante esercita sui propri servizi) e della
realizzazione, da parte della società affidataria, della
parte più importante della sua attività con l'ente o gli
enti che la controllano (sentenza della Corte cost. n. 199
del 20.07.2012)».
È noto, inoltre, che la decisione di un ente pubblico di
affidare la concreta gestione dei servizi pubblici locali,
ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto,
in house, rappresenta una scelta ampiamente
discrezionale, che, però, deve essere adeguatamente motivata
circa le ragioni di fatto e di convenienza che la
giustificano.
Tale scelta, inoltre, sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salvo che non appaia manifestamente
priva di istruttoria e motivazione, viziata da travisamento
dei fatti, palesemente illogica o irrazionale
(articolo ItaliaOggi Sette del
28.09.2015).
---------------
3 - Seguendo l’ordine dei motivi di ricorso, con il primo
[Violazione e falsa applicazione dell'art. 34, comma 20, del
d.l. n. 179/2012. Violazione dell'art. 3 della legge n.
241/1990. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza
istruttoria] la ricorrente sostiene che il Comune, violando
la norma richiamata, “non ha dimostrato in alcun modo la
rispondenza della società Ecolan al modello in house
providing” né ha dato adeguatamente conto della
economicità della scelta.
Il Collegio ritiene di richiamare taluni condivisi principi
elaborati dalla giurisprudenza in modo da individuare
l’estensione dell’obbligo di motivazione oggetto di tale
motivo.
“I servizi pubblici locali di rilevanza
economica possono essere gestiti indifferentemente mediante
il mercato (ossia individuando all'esito di una gara ad
evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero attraverso
il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per mezzo di
una società mista e quindi con una 'gara a doppio oggetto'
per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio),
ovvero attraverso l'affidamento diretto, in house, senza
previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso
dall'ente, ma che ne sostituisce sostanzialmente un diretto
strumento operativo, ricorrendo in capo a quest'ultimo i
requisiti della totale partecipazione pubblica, del
controllo (sulla società affidataria) 'analogo' (a quello
che l'ente affidante esercita sui propri servizi) e della
realizzazione, da parte della società affidataria, della
parte più importante della sua attività con l'ente o gli
enti che la controllano
(sentenza della Corte Cost. n. 199 del 20.07.2012).
L'affidamento diretto, in house -lungi dal
configurarsi pertanto come un'ipotesi eccezionale e
residuale di gestione dei servizi pubblici locale-
costituisce invece una delle (tre) normali forme
organizzative delle stesse, con la conseguenza che la
decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei
servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi
dell'affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano
tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi
per effetto della normativa comunitaria e della relativa
giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta ampiamente
discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa
le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e
che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del
giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente
inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed
arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto
macroscopico travisamento dei fatti”
(Cons. Stato, Sez. V, 10.09.2014 n. 4599);
“Venuto meno l'art. 23-bis d.l. n.
112/2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il
criterio prioritario dell'affidamento sul mercato dei
servizi pubblici locali di rilevanza economica e l'assoluta
eccezionalità del modello in house, la scelta dell'ente
locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici
locali, e in particolare la opzione tra modello in house e
ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di
esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
- valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e
privati coinvolti;
- individuazione del modello più efficiente ed economico;
- adeguata istruttoria e motivazione.
Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile
se appaia priva di istruttoria e motivazione, viziata da
travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale”
(Cons. Stato, Sez. VI, 11.02.2013 n. 762).
In questo contesto (il “Principio di libera
amministrazione delle autorità pubbliche” emerge ora
dall’art. 2 direttiva “concessioni” 2014/23/UE) va
letto il co. 20 dell’art. 34 cit., che richiede che la
decisione sia preceduta dalla verifica della “sussistenza
dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo” e ne
siano esposte “le ragioni”, così richiamando i
consueti parametri su cui deve basarsi l’esercizio delle
scelte discrezionali.
L’apposita relazione ha perciò lo scopo di rendere
trasparenti e conoscibili agli interessati tanto le
operazioni di riscontro delle caratteristiche che fanno
dell’affidataria una società in house, quanto i
processo di individuazione del modello più efficiente ed
economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti
gli interessi pubblici e privati coinvolti. |
APPALTI SERVIZI:
La legittimità dell'affidamento in house del
servizio va valutata con riferimento allo stato di fatto e
di diritto esistente al momento dell'adozione del
provvedimento.
---------------
Sulle condizioni che devono sussistere nell'in house
pluripartecipato.
La legittimità dell'affidamento in house del servizio va
valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto
esistente al momento dell'adozione del provvedimento. Nel
caso di specie, all'epoca dell'affidamento, in altri
termini, dovevano sussistere tutti i requisiti e presupposti
legittimanti l'affidamento diretto. La modifica dello
statuto intervenuta successivamente, quand'anche
effettivamente dovesse configurare un'integrazione della
forma di controllo consentita agli enti, non sarebbe in ogni
caso valutabile ai fini di ritenere integrato il requisito
mancante e superato il provvedimento originario, con
conseguente venir meno dell'interesse al ricorso da parte
della società ricorrente in primo grado.
A parte ogni considerazione sull'applicazione al giudizio di
legittimità degli atti amministrativi della regola "tempus
regit actum", attribuire rilevanza "sanante"
all'atto sopravvenuto e, dunque, valutare la legittimità
dell'affidamento in house del servizio sulla base della
sopravvenienza in fatto, violerebbe non solo la richiamata
regola, ma i principi che presiedono al corretto affidamento
degli appalti. Vero è che l'affidamento in house non
rappresenta l'eccezione rispetto alla regola della gara
pubblica nel settore dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, nel caso in cui sussistono i
presupposti legittimanti la scelta discrezionale
dell'amministrazione. Tuttavia, mancando quei presupposti,
la gara diviene il metodo ordinario di affidamento.
La concorrenza che ha, peraltro, fondamento costituzionale
nell'art. 41 Cost., infatti, presuppone la più ampia
apertura al mercato a tutti gli operatori economici del
settore, in ossequio ai principi comunitari della libera
circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e
della libera prestazione dei servizi. La
procedimentalizzazione dell'attività di scelta del
contraente non è dettata nell'esclusivo interesse
dell'amministrazione, ma anche nell'interesse primario
costituito dalla tutela degli operatori, del loro interesse
ad accedere al mercato e a concorrere per il mercato. Il
sistema di gestione dell'affidamento diretto, dunque, è di
stretta interpretazione rispetto al sistema della gara, la
cui praticabilità dipende dalla sussistenza dei presupposti
indicati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, che
devono sussistere al momento dell'affidamento.
Ne consegue che la tutela della concorrenza, eccezionalmente
compressa nel regime di affidamento diretto, prevale
rispetto ad ogni altra esigenza di tutela (per es., rispetto
al principio della conservazione degli atti) laddove si
accerti che non ricorrono le condizioni per la sua
pretermissione.
---------------
A proposito nell'in house pluripartecipato, le
amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di
minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo
congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte
tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano
composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici
partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono
rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare
congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi
strategici e sulle decisioni significative dell'organismo
controllato;
c) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a
quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
Principi, questi, oggi codificati all'art. 12 della
direttiva appalti 2014/24/UE che, sebbene non sia stata
ancora recepita (essendo ancora in corso il termine relativo
per l'incombente), appare di carattere sufficientemente
dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua
concreta attuazione.
---------------
Secondo la giurisprudenza comunitaria è necessario, nel caso
di pluripartecipazione, che il singolo socio possa vantare
una posizione più che simbolica, idonea, per quanto
minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di
partecipazione alla gestione dell'organismo del quale è
parte; sicché, una presenza puramente formale nella
compagine partecipata o in un organo comune incaricato della
direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente.
La prassi conosce svariati meccanismi, fondati ora sulla
nomina diretta e concorrente di singoli rappresentanti (uno
per ogni socio) in seno al consiglio di amministrazione
della società; ora sulla partecipazione mediata agli organi
direttivi attraverso la nomina da parte dell'assemblea di
consiglieri riservati ai soci di minoranza.
Valida alternativa è offerta dagli strumenti di carattere
parasociale, che operano attraverso la predisposizione di
organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di
ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica
preventiva sulla gestione dell'attività.
Infine, il controllo deve essere esercitato non solo in
forma propulsiva ma anche attraverso l'esercizio -in chiave
preventiva- di poteri inibitori (Consiglio di Stato, Sez.
III,
sentenza 27.04.2015 n. 2154 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
anno 2014 |
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APPALTI SERVIZI: La giurisprudenza comunitaria
è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione,
ancorché in percentuale minima, di soggetti privati alle
società in house e tale posizione è stata ripetutamente
confermata dal Consiglio di Stato, a partire dall’Adunanza
Plenaria n. 1 del 2008.
È pacifico, nell'attuale stato di evoluzione
giurisprudenziale, che il requisito della totalità della
proprietà pubblica del capitale della società "in house"
debba sussistere in termini assoluti.
Invero, l'affidamento diretto (in house) di un servizio
pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente
pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di
fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società
esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti
caratteristiche tali da poterla qualificare come una
"derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso.
Infatti,
in ragione del cd. controllo analogo, che richiede non solo
la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che
la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al
capitale di una società, alla quale partecipi anche
l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che
tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un
controllo analogo a quello che essa svolge sui propri
servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte
dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal
diritto civile.
Inoltre non deve essere statutariamente
consentito che una quota del capitale sociale, anche
minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il
consiglio di amministrazione della società deve essere privo
di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico
controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto societario
riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa
non deve acquisire una vocazione commerciale che renda
precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente
apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino
all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e
all'estero; le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante, e della
cd. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il
rapporto di stretta strumentalità fra le attività
dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante
è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi
terzo rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve
considerarsi come uno dei servizi propri
dell'Amministrazione stessa.
Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilità di
legittimo affidamento "in house" è, infatti, sufficiente che
vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione
privata al capitale sociale.
La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE,
che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione
indiretta dei privati alle società in house, non risulta
ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può
considerare self executing, sia per la sua natura, che
richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale,
sia perché non è ancora scaduto il termine per il
recepimento stesso.
Allo stato quindi la non contestata partecipazione dei
privati alla società Ambiente servizi comporta che essa non
può essere considerata una società di “in house providing”,
per cui risulta illegittima la delibera impugnata di
adesione a detta società e di affidamento alla stessa del
servizio di raccolta rifiuti.
... per l'annullamento:
- della delibera consiliare n. 25 dd. 26.05.2014, che
dispone l'adesione ad Ambiente Servizi spa per affidarle il
servizio di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati a
partire dal 01.07.2014;
- della delibera giuntale n. 96 dd. 19.06.2014, che
autorizza il Segretario Generale alla sottoscrizione degli
atti necessari a dare attuazione alla deliberazione
consiliare n. 25/2014;
- della delibera consiliare n. 33 dd. 16.06.2014,
relativa ad "approvazione Piano finanziario per l'esercizio
2014" (costi di gestione dei rifiuti);
...
Oggetto del presente ricorso è la delibera consiliare n. 25
del 26.05.2014 del comune di Spilimbergo che dispone
l'adesione alla Ambiente servizi per affidarle il servizio
di gestione dei rifiuti urbani e assimilati nonché la
conseguente delibera giuntale che autorizza alla
sottoscrizione degli atti necessari a dare attuazione alla
citata delibera consiliare.
Occorre innanzitutto farsi carico dell'eccezione di
tardività del ricorso, in quanto asseritamente proposto
tardivamente contro le deliberazioni di costituzione di
Ambiente servizi nonché contro la deliberazione 152 del 31.10.2013 di conferma delle gestioni in essere.
L'eccezione così come prospettata non risulta fondata, in
quanto la lesione per la ditta ricorrente si è concretata
unicamente con la delibera in questa sede impugnata, con cui
si provvede direttamente all’adesione e affidamento alla
Ambiente servizi della gestione dei rifiuti, senza
provvedere ad alcuna gara, e quindi non consentendo alla
ditta attuale ricorrente di parteciparvi e di poter gestire
il servizio. Prima della delibera in questa sede impugnata
non vi era alcun interesse della ditta ricorrente a
contestare la creazione di Ambiente servizi nonché la
proroga delle sue gestioni in essere.
Sempre in via preliminare va osservato come la legge
regionale 14 del 2012 all'articolo tre consente la
prosecuzione delle forme di cooperazione in essere tra enti
locali ma non le impone affatto, ammettendo anche la
possibilità dell'indizione di apposite gare ad evidenza
pubblica ovvero la gestione in house providing.
Ciò premesso ed entrando nel merito, va innanzitutto
osservato come le motivazioni addotte dal comune per aderire
all'Ambiente servizi nonché i contenuti della relazione
allegata alla delibera in questa sede impugnata vengono
contestate dalla ditta odierna ricorrente per motivi di
merito, non suscettibili di riesame in sede di giudizio di
legittimità. Si tratta di scelte strategiche effettuate da
parte del consiglio comunale che sono sindacabili solo in
caso di manifesta illogicità o palese incongruenza, non
rinvenibili nel caso in esame.
Va invece considerata fondata la censura relativa al fatto
che di Ambiente servizi facciano parte, sia pure in
posizione minoritaria, anche soggetti privati. Infatti, il
maggiore azionista dell'ambiente servizi è il consorzio
Z.I.P.R. di cui fanno parte 40 società tra cui alcune
indubbiamente private.
Orbene, la giurisprudenza comunitaria
è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione,
ancorché in percentuale minima, di soggetti privati alle
società in house e tale posizione è stata ripetutamente
confermata dal Consiglio di Stato, a partire dall’Adunanza
Plenaria n. 1 del 2008.
È pacifico, nell'attuale stato di evoluzione
giurisprudenziale, che il requisito della totalità della
proprietà pubblica del capitale della società "in house"
debba sussistere in termini assoluti.
Invero, l'affidamento diretto (in house) di un servizio
pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente
pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di
fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società
esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti
caratteristiche tali da poterla qualificare come una
"derivazione" o una "longa manus" dell'ente stesso.
Infatti,
in ragione del cd. controllo analogo, che richiede non solo
la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che
la partecipazione, pur minoritaria, di un'impresa privata al
capitale di una società, alla quale partecipi anche
l'Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che
tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un
controllo analogo a quello che essa svolge sui propri
servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte
dell'ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal
diritto civile.
Inoltre non deve essere statutariamente
consentito che una quota del capitale sociale, anche
minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il
consiglio di amministrazione della società deve essere privo
di rilevanti poteri gestionali; all'ente pubblico
controllante deve essere consentito l'esercizio di poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto societario
riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l'impresa
non deve acquisire una vocazione commerciale che renda
precario il controllo dell'ente pubblico, con la conseguente
apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino
all'espansione territoriale dell'attività a tutta l'Italia e
all'estero; le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante, e della
cd. "destinazione prevalente dell'attività" (cioè il
rapporto di stretta strumentalità fra le attività
dell'impresa e le esigenze pubbliche che l'ente controllante
è chiamato a soddisfare), l'ente in house non può ritenersi
terzo rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve
considerarsi come uno dei servizi propri
dell'Amministrazione stessa (TAR Puglia-Bari
02.04.2013
n 458).
Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilità di
legittimo affidamento "in house" è, infatti, sufficiente che
vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione
privata al capitale sociale (CSGAS
09.02.2009 n 48; TAR
Puglia Bari 14.05.2010 n 1891; confronta anche Corte
conti FVG 08.05.2009 n. 55).
La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE,
che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione
indiretta dei privati alle società in house, non risulta
ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può
considerare self executing, sia per la sua natura, che
richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale,
sia perché non è ancora scaduto il termine per il
recepimento stesso.
Allo stato quindi la non contestata partecipazione dei
privati alla società Ambiente servizi comporta che essa non
può essere considerata una società di “in house providing”,
per cui risulta illegittima la delibera impugnata di
adesione a detta società e di affidamento alla stessa del
servizio di raccolta rifiuti.
Ai fini della presente
controversia, a nulla rileva poi la definizione contenuta
nella normativa regionale della società come ente pubblico
economico.
Per quanto fin qui evidenziato e per la fondatezza del
motivo da ultimo esaminato il ricorso va accolto con
annullamento degli atti impugnati
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 04.12.2014 n. 629 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Appalti, più vincoli per l'in house.
Direttive europee. Sono sempre soggette alle gare le
controllate con capitali anche privati.
L'affidamento
in house trova il suo quadro normativo nella nuova direttiva
comunitaria sugli appalti pubblici, che definisce anche
alcune importanti novità nel modello di gestione dei
servizi.
L'articolo 12 della direttiva appalti approvata dal
Parlamento europeo il 15 gennaio (e di prossima
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale europea) per la prima
volta traduce in un dato normativo gli elementi di principio
dettati a suo tempo dalla sentenza Teckal e sviluppati dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia, fornendo elementi
specificativi dei requisiti di controllo analogo e
dell'attività prevalente a favore dell'ente affidante.
La disposizione stabilisce infatti che non rientra
nell'ambito di applicazione del nuovo corpus di regole per
gli appalti un affidamento di servizio tra
un'amministrazione aggiudicatrice e una persona giuridica di
diritto pubblico o di diritto privato quando la prima
eserciti sulla seconda proprio un controllo analogo a quello
da essa esercitato sui propri servizi.
Rispetto al secondo elemento costitutivo dell'in house, la
direttiva introduce la prima novità, stabilendo che
l'attività è prevalente quando oltre l'80% delle attività
della persona giuridica controllata sono effettuate nello
svolgimento dei compiti ad essa affidati
dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre
persone giuridiche controllate dall'amministrazione
aggiudicatrice di cui trattasi.
La seconda innovazione rispetto agli orientamenti
giurisprudenziali consolidati è data dalla previsione di un
terzo elemento necessario per la definizione del rapporto
interorganico, quale l'assenza nella persona giuridica
controllata di partecipazioni dirette di capitali privati,
ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati
che non comportino controllo o potere di veto, prescritte
dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei
Trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla
persona giuridica controllata.
La norma permette l'ingresso dei privati negli organismi
affidatari in house, a condizione che questi non possano
incidere sulle decisioni strategiche.
Proprio l'affermazione della sussistenza del controllo
analogo sulla persona giuridica affidataria da parte
dell'amministrazione quando essa esercita un'influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni significative della persona giuridica controllata,
costituisce il fondamento anche per l'ulteriore grande
novità: il controllo tramite holding. La norma stabilisce
infatti che l'amministrazione può esercitare il controllo
sull'organismo affidatario per mezzo di una persona
giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo
dall'amministrazione aggiudicatrice.
La disciplina codifica anche la situazione in cui
l'organismo affidatario sia partecipato da più enti, anche
con quote minoritarie, determinando la sussistenza del
controllo analogo quando questo sia esercitato in forma
congiunta.
La situazione si concretizza quando gli organi decisionali
della persona giuridica controllata sono composti da
rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici
partecipanti. La direttiva definisce per la prima volta
anche i parametri per escludere dal suo ambito applicativo
le forme di cooperazione tra amministrazioni pubbliche,
quando il contratto definisce un rapporto collaborativo
finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono
tenute a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire
gli obiettivi che esse hanno in comune (articolo Il Sole 24 Ore del 24.02.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
anno 2013 |
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APPALTI SERVIZI:
La società in house partecipa alla gara.
Servizi pubblici. Dal Tar Lombardia.
Le società affidatarie dirette possono partecipare a gare
indette dalle amministrazioni locali per l'affidamento di
servizi pubblici, ma se la loro attività prevalente risulta
dai nuovi affidamenti, perdono uno dei requisiti dell'in
house.
Il TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la
sentenza
23.09.2013 780 ribadisce il quadro di
riferimento comunitario, per il quale il modello in house
viene rispettato se sussiste il requisito del controllo
analogo, e se la parte più importante dell'attività viene
svolta con gli enti che detengono il controllo.
L'organo di giustizia amministrativa afferma inoltre che in
base alla giurisprudenza comunitaria i soggetti che
beneficiano di sovvenzioni pubbliche, e quindi anche i
soggetti in house, possono certamente partecipare alle gare
(come del resto possono partecipare in qualità di
imprenditori gli stessi enti pubblici), come pure possono
svolgere attività a favore di terzi, ma questa situazione
espone al rischio di fuoriuscire dallo schema comunitario,
qualora la parte più importante dell'attività non sia più
svolta con gli enti che detengono il controllo.
Queste possibilità di espansione industriale trovano
tuttavia un limite di tipo quantitativo nei principi
comunitari, poiché le società in house, per mantenere tale
caratteristica, dovranno sempre svolgere la loro attività
prevalente (misurabile in termini di fatturato) a favore
dell'ente locale socio.
Qualora la società perda tale requisito non potrà più
risultare affidataria diretta di servizi pubblici locali da
parte degli enti soci e gli stessi affidamenti in essere
risulterebbero privi di una delle due condizioni essenziali
per il loro mantenimento.
Il Tar Brescia ha anche analizzato la problematica del
passaggio diretto del personale del gestore uscente alla
società in house vincitrice della gara, riconoscendo che
norme come l'articolo 202, comma 6, del Dlgs 152/2006
(servizio rifiuti) facciano gravare sul nuovo gestore un
costo aggiuntivo che può poi tradursi in incrementi
tariffari per gli utenti o in minore qualità del servizio,
oppure può costituire ex ante un disincentivo alla
partecipazione a eventuali gare.
La sentenza richiama pertanto l'applicazione dell'articolo
3-bis, comma 2, della legge 148/2011, il quale prevede che
nelle procedure a evidenza pubblica l'adozione di strumenti
di tutela dell'occupazione costituisce elemento di
valutazione dell'offerta e non condizione per il subentro
nel servizio (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità degli affidamenti in house e
sul requisito del controllo analogo da parte di soci
ultraminoritari.
Dal confronto tra i principi comunitari e la (ancora
frammentaria) normativa interna, si possono desumere le
seguenti indicazioni:
(a) l'affidamento in house nel rispetto dello schema
comunitario è sempre legittimo;
(b) anche la partecipazione alle gare da parte di soggetti
in house è legittima, come pure lo svolgimento di attività a
favore di terzi, ma espone al rischio di fuoriuscire dallo
schema comunitario (se la parte più importante dell'attività
non è più svolta con gli enti che detengono il controllo).
Fra gli strumenti che concorrono a garantire il requisito
del "controllo analogo" da parte di soci
ultraminoritari, vi è l'adeguatezza di patti parasociali
attraverso i quali i soci pattisti "si impegnano a votare
in assemblea, su questioni che riguardano i servizi prestati
in uno specifico comune, in conformità alla volontà espressa
dal comune direttamente interessato" in modo che sia
assicurato "a ciascun comune il ruolo di dominus nelle
decisioni circa il frammento di gestione relativo al proprio
territorio" (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.09.2013 n. 780 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: L’art.
113 del d.lgs 267/2000 prevede che i servizi pubblici locali
di rilevanza economica possano essere gestiti solamente da:
a) soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di
capitali con la partecipazione totalitaria di capitale
pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività,
a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale
sociale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società
realizzi la parte più importante della propria attività con
l'ente o gli enti pubblici che la controllano;
b) imprese idonee, da individuare mediante procedure ad
evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.
In altre parole, il modello dell’azienda speciale non
risulta più utilmente esperibile al fine di gestire
direttamente i servizi connessi alla gestione dei rifiuti a
vantaggio della collettività, residuando la più limitata
possibilità che tali aziende speciali si limitino a svolgere
le funzioni di centrali di committenza dell’affidamento dei
servizi, funzione consentita e, anzi, incentivata dall’art.
33 del d.lgs. 133/2006; fermo restando, lo si ribadisce,
che, nelle more dell’istituzione
degli a.t.o, da parte della Regione o in via surrogatoria da
parte del Governo, l’effettiva gestione del ciclo dei
rifiuti dovrebbe essere perseguita affidando poi il
servizio:
i) o direttamente a soggetto in house (nella forma della
società di capitali);
ii) ovvero esternalizzando il servizio a un terzo
concessionario.
La modalità di gestione descritta sub i), tuttavia,
contrasta con un’ulteriore previsione del vigente assetto
normativo, e in particolare con l’art. 9, comma 6, del d.l.
06.07.2012, n. 95.
Tale disposizione prevede che “E'
fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie, e
organismi comunque denominati e di qualsiasi natura
giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e
funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art.
118, della Costituzione” (sulla
portata del divieto cfr. la Sezione con del. 21.01.2013, n.
25).
In conclusione, e sempre nelle more dell’individuazione
degli a.t.o. da parte della Regione o, in via surrogatoria
da parte del Consiglio dei Ministri, ritiene la Sezione che
l’unico assetto gestorio idoneo a conciliare il quadro
normativo vigente con l’attuale modalità organizzativa del
servizio sia quello di esternalizzare, tramite affidamento
concorrenziale l’effettivo espletamento del servizio,
mantenendo in capo all’azienda speciale operante le sole
funzioni, in veste di centrale di committenza, di
coordinamento degli affidamenti.
---------------
Il comune espone in punto di fatto di essere ente
consorziato dell’azienda speciale Consorzio dei Comuni dei
Navigli (di seguito CCN); che detto consorzio è stato
costituito ex artt. 114 e 31 DLgs 267/2000, in data
23.05.2000; e che ad esso partecipano, quali detentori di
quote del capitale di dotazione e soggetti affidanti il
ciclo dei rifiuti (raccolta, trasporto, spazzamento e
smaltimento), ventidue Comuni di cui alcuni con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti, e altri con popolazione
superiore a 5.000 abitanti (per un bacino complessivo
superiore ai 30.000 abitanti richiamati dall'art. 14, c. 32,
del d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito l. 30.07.2010, n.
122, in relazione al divieto di costituzione di società per
ogni comune).
Tra ogni Comune e il CCN risulta sottoscritto un contratto
di servizio con cui sono stati, tra l'altro, regolamentati i
rapporti relativi alla gestione del ciclo dei rifiuti svolto
dal CCN medesimo sul territorio comunale.
Il regime giuridico risulta quindi così ricostruibile:
a) gli enti locali sono, ad oggi, i soggetti che hanno
conferito, tramite affidamento diretto, il servizio;
b) il CCN è il soggetto erogatore del servizio, in forma di
azienda speciale consortile;
c) il CCN, per il materiale svolgimento del servizio, si
avvale di appaltatori per la gestione caratteristica, e di
propri dipendenti e collaboratori per la gestione
amministrativa;
d) il CCN realizza la parte più importante della propria
attività con gli enti pubblici che lo controllano e a
livello statutario presenta le caratteristiche strutturali
(tra cui il controllo analogo a quello esercitato sui propri
uffici) richiesto per l’affidamento in house (a partire
dalla pronunzia CGE 18.11.1999, C-107/98, Teckal).
Tanto premesso, e rappresentata l’incertezza sulla
possibilità che, ai sensi della normativa vigente, singoli
Comuni possano oggi procedere autonomamente con affidamenti
afferenti al ciclo dei rifiuti, il comune richiede se
possa proseguire la gestione del servizio con il delineato
assetto, anche in attesa delle determinazioni della Regione
in materia di ambiti territoriali ottimali, vale a dire con:
i) l'affidamento del servizio in house providing
all'azienda speciale consortile CCN da parte dei Comuni con
popolazione superiore a 5000 abitanti;
ii) l'approvazione di una convenzione in tema di funzioni
associate per i Comuni con popolazione inferiore a 5000
abitanti, e conseguente affidamento del servizio in house
al CCN;
iii) l'utilizzo della medesima convenzione di cui sopra,
ma con meccanismi decisionali dedicati, anche ai fini
dell'esercizio del c.d. controllo analogo.
...
Al fine di un corretto inquadramento giuridico della
questione occorre scindere le varie problematiche toccate
dai quesiti posti dal comune, e contenute in un autentico
ginepraio legislativo.
Deve essere premesso che la gestione del ciclo dei rifiuti
(raccolta, trasporto, spazzamento e smaltimento) deve
considerarsi un servizio pubblico locale, coerentemente con
i principi desumibili dalla normativa vigente (tra gli
altri, possono essere citati l’art. 23-bis del decreto legge
25.06.2008, n. 112, come convertito dalla legge 06.08.2008,
n. 133 e l’art. 25, comma 4, del decreto legge 24.01.2012,
n. 1, convertito dalla l. 24.03.2012, n. 27).
Peraltro, come ha già avuto modo di ricordare questa Sezione
(Lombardia/531/2012/PAR del 17.12.2012), la giurisprudenza
ritiene che “la natura del servizio di raccolta e
smaltimento dei rifiuti è quella di servizio pubblico locale
di rilevanza economica in quanto reso direttamente al
singolo cittadino, con pagamento da parte dell’utente di una
tariffa, obbligatoria per legge, di importo tale da coprire
interamente il costo del servizio (cfr. art. 238 d.lgs. n.
152/2006 e, prima, art. 49 d.lgs. n. 22/1997)”.
La natura di tale servizio è stata confermata in tali
termini anche dalla giurisprudenza amministrativa (tra altre
sentenze, si veda Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2011, n. 1447),
nonché da quella, consolidata, dell'Autorità Garante per la
concorrenza ed il mercato.
Questa conclusione non muta anche quando l'Amministrazione,
invece della concessione, stipuli un contratto di appalto
(rapporto bilaterale, con versamento diretto da parte del
committente), sempre che l'attività sia rivolta direttamente
all'utenza e quest’ultima sia chiamata a pagare un compenso,
o tariffa, per la fruizione del servizio (Consiglio di
Stato, Sez. V, 03/05/2012 n. 2537): infatti, secondo tale
orientamento “il servizio pubblico locale di rilevanza
economica è configurabile anche quando l'amministrazione,
invece della concessione, pone in essere un contratto di
appalto".
In sintesi, quindi, i modelli astrattamente
esperibili per l’affidamento del servizio di raccolta e
gestione del ciclo dei rifiuti risultano a tutt’oggi quelli
vigenti per i servizi di rilievo economico, e quindi:
- affidamento del servizio con gara ex art. 30 d.lgs.
12.04.2006, n. 163, nel rispetto dei principi del Trattato
di funzionamento dell'Unione Europea;
- affidamento del servizio a società mista con socio
operativo, secondo le indicazioni promananti a livello
comunitario in materia di partnership tra pubblico e privato
(si vedano, al riguardo, le pronunzie della Corte di
Giustizia UE 15.10.2009 C-196/08) e recepite dalla
giurisprudenza nazionale
(Cons. Stato, Ad. Plen., parere 18.04.2007, n. 456, e
decisione del 03.03.2008, n. 456);
- affidamento del servizio a soggetto
interamente pubblico in house, senza più alcun
termine finale o limite di valore contrattuale:
tanto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale
17.07.2012, n. 199, che ha dichiarato illegittimo l’art. 4
del d.l. 13.08.2011, n. 138, convertito nella l. 14.09.2011,
n. 148 e in particolare, per quello che in questa sede
risulta conferente, del comma 13, che limitava il valore
stesso entro i 200.000 euro annui; e del comma 32, lettera
a) che individuava il 31.12.2012 quale termine di cessazione
degli affidamenti assegnati in assenza di evidenza pubblica.
Il tutto, evidentemente, sempre nel rispetto dei
requisiti soggettivi (capitale totalmente pubblico,
esercizio del controllo analogo sulla società da parte degli
enti soci come avviene su un proprio ufficio, più parte
dell'attività svolta in relazione al territorio dei comuni
soci) individuati
dalla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e
già richiamati dall'abrogato art. 113, c. 5, lettera c),
DLgs 267/2000.
Per quanto concerne gli ambiti territoriali ottimali nella
gestione del ciclo dei rifiuti, occorre rilevare che
a partire dall’entrata in vigore dell’art. 200 del
d.lgs. 03.04.2006, n. 152, con specifico riferimento alla
materia in epigrafe, è stato peraltro previsto che la
gestione dei rifiuti urbani sia organizzata sulla base di
ambiti territoriali ottimali (a.t.o.).
Tuttavia, all’interno della Regione
Lombardia tali a.t.o. non risultano essere stati istituiti,
essendosi la Regione avvalsa ab origine della
facoltà, prevista dal comma 7 dello stesso art. 200 del
d.lgs. 152/2006 di non individuare gli ambiti, purché il
modello adottato rispettasse i principi ispiratori (di
concorrenza e liberalizzazione), permanendo quindi in capo
al singolo Comune il ruolo di ente concedente, salva la
facoltà di associarsi volontariamente ai fini di svolgimento
del servizio su base territoriale più ampia.
Il d.l. 1/2012, novellando con un art. 3-bis il d.l.
13.08.2011, n.138, convertito nella legge 14.09.2011, n.
148, ha peraltro disposto che “A tutela
della concorrenza e dell'ambiente, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano organizzano lo svolgimento dei
servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni
comunque non inferiori alla dimensione del territorio
provinciale e tali da consentire economie di scala e di
differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del
servizio, entro il termine del 30.06.2012. Decorso
inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei Ministri,
a tutela dell'unità giuridica ed economica, esercita i
poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 05.06.2003,
n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici
locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei,
in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla
dimensione del territorio provinciale e tali da consentire
economie di scala e di differenziazione idonee a
massimizzare l'efficienza del servizio”.
Tuttavia, a tutt’oggi la Regione non ha
ancora assunto determinazioni sul punto, né il Consiglio dei
Ministri, a tutela dell'unità giuridica ed economica, ha
provveduto in forza dei poteri sostitutivi di cui
all'articolo 8 della legge 05.06.2003, n. 131.
Ulteriore profilo che deve essere scrutinato dalla Sezione è
l’influenza sul quadro normativo sopra descritto del d.l.
06.07.2012, n. 95, convertito nella legge 07.08.2012, n.
135.
L'art. 19, comma 1, della legge in commento, infatti,
novellando l’articolo 14 del d.l. 31.05.2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30.07.2010, n.
122, e successive modificazioni, individua,
tra le funzioni fondamentali dei comuni, alla lettera f),
proprio l'organizzazione e la gestione dei servizi di
raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani.
Sotto altro aspetto, la successiva novellazione del comma 28
della norma cennata ormai prevede
l’obbligo, per i comuni con popolazione fino a 5.000
abitanti, di esercitare obbligatoriamente in forma
associata, mediante unione di comuni o convenzione, le
funzioni fondamentali come sopra elencate.
Ai sensi del delineato quadro normativo, il
livello intercomunale della gestione del servizio di
raccolta e gestione dei rifiuti come descritte in epigrafe
risultano affatto conformi con l’assetto legislativo
vigente, sia pure, ovviamente, in un periodo transitorio.
Resta ferma, infatti, la possibilità che in sede di
definizione degli a.t.o. sia configurata una struttura
territoriale parzialmente difforme, con il conseguente
obbligo di adeguamento anche da parte dei comuni associati.
Se, per quanto riguarda il livello di gestione dei servizi
si ha già avuto modo di apprezzare la sostanziale
legittimità dell’assetto descritto, per quanto concerne il
modulo organizzativo prescelto (azienda speciale) occorre
pur tuttavia prendere atto del dato che
l’art. 113 del d.lgs 267/2000,
più volte novellato, prevede che i servizi
pubblici locali di rilevanza economica, come sopra
descritti, possano essere gestiti solamente da:
a) soggetti allo scopo costituiti, nella
forma di società di capitali con la partecipazione
totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata
direttamente tale attività, a condizione che gli enti
pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte più importante
della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano;
b) imprese idonee, da individuare mediante procedure ad
evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.
In altre parole, il modello dell’azienda
speciale non risulta più utilmente esperibile al fine di
gestire direttamente i servizi connessi alla gestione dei
rifiuti a vantaggio della collettività, residuando la più
limitata possibilità che tali aziende speciali si limitino a
svolgere le funzioni di centrali di committenza
dell’affidamento dei servizi, funzione consentita e, anzi,
incentivata dall’art. 33 del d.lgs. 133/2006;
fermo restando, lo si ribadisce, che, nelle
more dell’istituzione degli a.t.o, da parte della Regione o
in via surrogatoria da parte del Governo, l’effettiva
gestione del ciclo dei rifiuti dovrebbe essere perseguita
affidando poi il servizio:
i) o direttamente a soggetto in house (nella forma
della società di capitali);
ii) ovvero esternalizzando il servizio a un terzo
concessionario.
La modalità di gestione descritta sub i), tuttavia,
contrasta con un’ulteriore previsione del vigente assetto
normativo, e in particolare con l’art. 9, comma 6, del d.l.
06.07.2012, n. 95.
Tale disposizione prevede che “E' fatto
divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie, e
organismi comunque denominati e di qualsiasi natura
giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e
funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'art.
118, della Costituzione”
(sulla portata del divieto cfr. la Sezione con del.
21.01.2013, n. 25).
In conclusione, e sempre nelle more
dell’individuazione degli a.t.o. da parte della Regione o,
in via surrogatoria da parte del Consiglio dei Ministri,
ritiene la Sezione che l’unico assetto gestorio idoneo a
conciliare il quadro normativo vigente con l’attuale
modalità organizzativa del servizio sia quello di
esternalizzare, tramite affidamento concorrenziale
l’effettivo espletamento del servizio, mantenendo in capo
all’azienda speciale operante le sole funzioni, in veste di
centrale di committenza, di coordinamento degli affidamenti
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 02.09.2013 n. 362). |
APPALTI SERVIZI:
M. Cozzio, IN HOUSE: TUTTI I SOCI DEVONO POTER ESERCITARE UN CONTROLLO
APPREZZABILE E PROPORZIONATO SULLA SOCIETÀ -
Osservazioni alle Conclusioni dell’Avv. generale Pedro Crùz
Villalòn del 19.07.2012, rinvio pregiudiziale alla CGCE,
cause C-182/11 e C-183/11 (link a
www.osservatorioappalti.unitn.it). |
anno 2012 |
|
APPALTI SERVIZI:
In house: è sufficiente controllo
analogo congiunto.
In questa
sentenza 20.12.2012 n. 2090 i giudici del TAR Toscana,
Sez. I, fanno luce sui requisiti del controllo analogo
congiunto nel caso di società partecipate da più enti
locali.
Secondo i giudici toscani, nel caso di affidamento in house
conseguente alla istituzione da parte di più enti locali di
una società di capitali da essi interamente partecipata per
la gestione di un servizio pubblico, il controllo, analogo a
quello che ciascuno di essi esercita sui propri servizi,
deve intendersi assicurato anche se svolto non
individualmente ma congiuntamente dagli enti associati,
deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione
che il controllo sia effettivo, dovendo il requisito del
controllo analogo essere verificato secondo un criterio
sintetico e non atomistico.
Sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica
sull'ente affidatario, purché effettivo e reale, sia
esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità,
senza che necessiti una verifica della posizione di ogni
singolo ente (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Per
gli affidamenti in house salta il limite di 200mila euro.
Anche la gestione dei rifiuti rientra tra i «servizi a
rete», per i quali tutte le attività di organizzazione e
gestione devono essere trasferiti agli ambiti territoriali
ottimali previsti dalla manovra-bis del Ferragosto 2011
(articolo 3-bis del Dl 138/2011). Scompare del tutto il
limite dei 200mila euro annui per gli affidamenti in house,
che sarebbe dovuto entrare in vigore a inizio 2014 e avrebbe
lasciato sopravvivere gli affidamenti di valore superiore
fino alla fine dello stesso anno secondo le previsioni del
decreto legge sulla revisione di spesa.
La versione definitiva del decreto «Sviluppo-bis», che ha
ottenuto ieri l'ultimo disco verde dalla Camera, porta molte
novità al mondo dei servizi pubblici locali e delle società
partecipate.
Oltre alla scomparsa del limite dei 200mila euro all'in-house (si veda anche Il Sole 24 Ore del 7 dicembre), che
riporta integralmente la disciplina degli affidamenti
nel'ambito delle regole Ue sull'in house, il ritocco di
maggior peso è quello sugli ambiti territoriali previsti
dalla manovra-bis dello scorso anno, ma accolti con più di
un'incertezza da parte delle Regioni che in qualche caso non
ne hanno completato il disegno o l'attuazione.
Ora i
ritardatari devono affrettarsi perché agli ambiti, secondo
la legge di conversione approvata ieri, vanno trasferiti
subito tutti i compiti relativi a «scelta della forma di
gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per
quanto di competenza, di affidamento della gestione e
relativo controllo». Insomma, esce dai singoli enti locali
l'intera organizzazione dei servizi pubblici a rete,
famiglia nella quale il decreto Sviluppo-bis fa rientrare
anche la raccolta e smaltimento di rifiuti urbani superando
così i dubbi interpretativi sollevati da molti operatori.
In nome della concorrenza, o di quel che ne rimane dopo la
sentenza 199/2012 della Corte costituzionale che ha
cancellato le "liberalizzazioni" dell'anno scorso, si
prevede poi che la disciplina del Codice appalti si applichi
anche ai servizi di illuminazione votiva.
In ogni caso, chi
sceglie la strada dell'in house dovrà motivare in una
relazione, da pubblicare sul sito Internet, le ragioni della
scelta. Una semplificazione interviene poi sul fronte dei micro-pagamenti
pubblici alle imprese, che devono essere effettuati in forma
elettronica se il creditore lo richiede
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.12.2012). |
APPALTI SERVIZI: Affidamenti
diretti «liberi». Per le partecipate salta il limite di
200mila euro annui.
IL QUADRO/ Il correttivo cancella il tetto introdotto a
luglio anche per le strumentali Confermato il blocco ad
assunzioni e stipendi.
Con la cancellazione del limite dei
200mila euro all'in house che sarebbe scattato a inizio
2014, inserita nel maxiemendamento governativo al decreto
sviluppo-bis, gli affidamenti diretti di servizi pubblici a
rilevanza economica perdono l'ultimo vincolo destinato ad
avere un impatto generalizzato.
La novità, insomma, sembra segnare la parola fine alla
storia dei tentativi di liberalizzazione avviati nel 2008,
con la prima manovra della legislatura, e colpiti dai
referendum del 2011 e dalla sentenza 199/2012 della Corte
costituzionale.
L'addio al tetto di valore per gli affidamenti diretti (si
veda anche Il Sole 24 Ore di ieri), che era stato
reintrodotto a luglio nel decreto legge sulla revisione di
spesa con un occhio particolare alle società strumentali, si
spiega anche con il rischio-contenzioso che avrebbe
accompagnato la sua applicazione. Un limite identico era
contenuto nell'articolo 4 della manovra-bis del 2011 (Dl
138), cancellato per illegittimità dalla Corte
costituzionale. E, in vista del 2014 sarebbe stata
praticamente certa una nuova ondata di ricorsi alla Consulta
da parte delle Regioni.
Con il via libera alla conversione in legge del decreto,
comunque, tirano un sospiro di sollievo molti dei titolari
attuali di affidamenti diretti (tra le strumentali, per
esempio, società come Lazio Service), che sarebbero dovuti
decadere a fine 2014, e cade l'ultimo limite «made in
Italy» all'in house: la disciplina di riferimento rimane
in pratica solo quella europea, che consente l'affidamento
diretto a società interamente pubbliche che siano
controllate dall'ente affidante e con lui svolgano la parte
rilevante della propria attività.
Un ricordo pallido dell'ondata liberalizzatrice rivive in
realtà in un altro correttivo contenuto nel maxiemendamento,
che impone di dare conto, in una relazione, delle ragioni
alla base della scelta dell'affidamento e dei contenuti del
contratto di servizio. La relazione, però, va semplicemente
pubblicata sul sito istituzionale dell'ente e non è
sottoposta a pareri dell'Antitrust che sarebbero stati
giudicati incostituzionali in seguito alla sentenza
post-referendum della Consulta. Non sono fissate sanzioni
per la mancata pubblicazione della relazione: la decadenza
automatica è prevista al 31.12.2013 solo in caso di mancato
adeguamento degli affidamenti non conformi alla disciplina
Ue (per esempio: affidamento diretto a una società mista) o
privi di data di scadenza.
Tutto questo pacchetto di regole esclude espressamente
energia elettrica, farmacie comunali e gas naturale. A
complicare la gestione c'è invece il trasferimento di tutti
i compiti di scelta della forma di gestione dei servizi,
tariffe e controlli agli ambiti territoriali ottimali
previsti dal 2011 ma non ancora costituiti ovunque. Una
regola, questa, che sottrae ai Comuni ogni compito diretto
nell'organizzazione dei servizi pubblici.
Per gli affidamenti diretti alle società quotate, viene
ribadita la decadenza a fine 2020 degli affidamenti diretti
che non prevedono scadenza (lo prevedeva già il decreto
originario) e si precisa che rientrano nella disciplina
delle quotate tutte «le società emittenti strumenti
finanziari quotati in mercati regolamentati». Queste
regole, quindi, oltre alle aziende presenti nel listino di
Borsa, dovrebbero estendersi anche alle società che emettono
obbligazioni.
La precisazione è importante anche per definire i confini
dell'estensione alle società partecipate delle regole di
contenimento di spesa pubblica imposte agli enti locali
controllanti. Il tema più spinoso, da questo punto di vista,
è rappresentato dai blocchi alle assunzioni e dai tetti agli
stipendi individuali, ribaditi nel caso delle società
strumentali anche dal decreto legge sulla revisione di
spesa. Il problema è legato al fatto che nelle aziende il
personale è assunto con contratti di diritto privato, il cui
congelamento per legge rischia di scatenare un contenzioso
ad ampio raggio.
Proprio per questa ragione, in commissione era stato
approvato un correttivo che chiedeva alle società di ridurre
le spese di personale, rispettando anche il limite del 40%
al turn over, senza bloccare gli stipendi individuali, ma il
«non possumus» della Ragioneria lo ha escluso dal
testo governativo
(articolo Il
Sole 24 Ore del 07.12.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: DECRETO
CRESCITA/ Un freno alle assunzioni e i project bond tra le novità. Dietrofront sui servizi locali.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per l'in house.
Eliminato il tetto dei 200 mila euro per gli affidamenti in
house di servizi pubblici previsto per il 2014 e quindi
basterà rispettare le norme e la giurisprudenza comunitaria
per gestire in house un servizio pubblico; previsto il
divieto di assunzione del personale per le società
controllate se la spesa per il personale della controllata
affidataria di un servizio pubblico locale incide per più
del 50% rispetto alla spesa corrente dell'amministrazione
controllante; previsti i project bond anche per realizzare,
potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura
destinata a pubblico servizio. Sono queste alcune delle
novità previste per la disciplina dei servizi pubblici
locali e non dagli emendamenti dei relatori al decreto legge
179/2012 sulla crescita.
La più rilevante modifica riguarda l'ennesimo revirement
normativo sulla disciplina degli affidamenti in house di
servizi pubblici locali: Si propone infatti l'eliminazione
del limite massimo dell'importo di affidamento, pari a 200
mila euro, entro il quale era prevista, dall'articolo 8,
comma 4 del decreto-legge 95/2012 (convertito nella legge
135, cosiddetta spending review), la possibilità di
procedere ad affidamenti in house a società interamente
pubbliche.
La norma di agosto stabilisce che da inizio 2014 in house si
possano affidare servizi pubblici soltanto nel rispetto
della giurisprudenza comunitaria e del citato limite: con
l'emendamento sarà invece sufficiente rispettare i limiti
dell'ordinamento comunitario.
Il che significa nella sostanza, non cambiare in alcun modo
il quadro di riferimento precedente all'introduzione del
limite. Si prevede inoltre che gli affidamenti in essere non
conformi ai requisiti comunitari devono essere adeguati
entro il termine del 31.12.2013 pubblicando, entro la
stessa data, una relazione che dia conto delle ragioni e
della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
europeo.
Per gli affidamenti senza data di scadenza occorrerà
inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che
regolano il rapporto un termine di scadenza
dell'affidamento; in caso di mancato inserimento del termine
si prevede la cessazione ex lege entro fine 2013.
Sul fronte delle spese per il personale delle società a
partecipazione pubblica locale totale o di controllo,
titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali
senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare
esigenze di interesse generale aventi carattere non
industriale, ne commerciale, ovvero che svolgono attività
nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di
funzioni amministrative di natura pubblicistica, si richiama
il vincolo generale a non assumere in caso di spesa per il
personale superiore al 50% delle spese correnti, ma lo si
rende più incisivo. Infatti si stabilisce che se l'incidenza
della spesa del personale sulla spesa corrente
dell'amministrazione controllante, supera il 50% delle spese
correnti, l'amministrazione controllante deve imporre un
divieto all'assunzione di personale, divieto che oggi non è
previsto. Introdotto anche il vincolo di contenimento sulle
consulenze per rispettare il vincolo del 50%
Se l'incidenza è invece inferiore al 50% si potrà procedere
a nuove assunzioni entro il limite del 40% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Una
certa perplessità su queste nuove modifiche arriva dall'Anci
che, con Filippo Bernacchi, delegato Anci alle politiche
energetiche e ai rifiuti, così commenta l'intervento
modificativo: «Spero in un ravvedimento di Governo e
Parlamento perché se si continua di questo passo non si avrà
mai un quadro stabile, certo e definito, con le
amministrazioni che continueranno a essere in bilico in
quanto fra un provvedimento e l'altro, posso trovarsi in
regola oppure essere in difetto».
Importante anche l'estensione dell'ambito di applicazione
della disciplina dei project bond anche per realizzare,
potenziare o gestire un impianto o una infrastruttura
destinata a pubblico servizio
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Corte
Ue. Le condizioni per la dispensa dei Comuni dalla procedura
di aggiudicazione
Appalti snelli con controllo. Verifiche effettive sulla
società che è costituita per la gestione.
I REQUISITI/ Necessaria la partecipazione non solo formale
degli enti promotori sia al capitale sia agli organi
direttivi.
La Corte di giustizia europea mette i paletti sulle modalità
di aggiudicazione degli appalti da parte delle società che
gestiscono servizi pubblici.
Così la
sentenza 29.11.2012 nelle cause C-182/11 e C-183/11
stabilisce che «quando più autorità pubbliche, nella loro
veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in
comune un'entità incaricata di adempiere compiti di servizio
pubblico ad esse spettanti, tali autorità, per essere
dispensate dal loro obbligo di avviare una procedura di
aggiudicazione di appalto pubblico in conformità alle norme
del diritto dell'Unione, devono esercitare congiuntamente
sull'entità in questione un controllo analogo a quello da
esse esercitato sui propri servizi, ciascuna delle autorità
stesse partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi
dell'entità suddetta».
I fatti: il Comune di Varese, per gestire il servizio di
igiene urbana, ha costituito la spa Aspem (con un capitale
sociale di 173.785 euro, corrispondente ad altrettante
azioni del valore nominale di 1 euro ciascuna), come
prestatore di servizi "in house", di cui deteneva la
quasi totalità del capitale (173.467 azioni). Nel 2005, i
Comuni di Cagno e di Solbiate hanno scelto la gestione
coordinata, con altri Comuni del servizio di eliminazione
dei rifiuti solidi urbani, e hanno concluso una convenzione
con quello di Varese. Alla Aspem hanno aderito in qualità di
azionisti pubblici (acquisendo un'azione ciascuno). Le
restanti 318 azioni sono suddivise tra 36 Comuni della
provincia di Varese, con partecipazioni individuali che
variano da 1 a 19 azioni.
Parallelamente all'acquisizione di tale partecipazione, i
Comuni di Cagno e di Solbiate hanno sottoscritto un patto
parasociale, che prevedeva il diritto di essere consultati,
di nominare un membro del collegio sindacale e di designare,
in accordo con gli altri Comuni partecipanti un consigliere
di amministrazione. La società Econord ha contestato
l'affidamento diretto dei servizi alla Aspem, facendo valere
che il controllo dei due Comuni sulla Aspem non era
garantito e, di conseguenza, l'attribuzione dell'appalto
avrebbe dovuto essere effettuata in conformità alle norme
del diritto dell'Unione.
Il Consiglio di Stato sottolinea che il Comune di Varese
esercita il pieno controllo sulla Aspem, mentre ciò non vale
per i Comuni di Cagno e di Solbiate, in quanto
l'acquisizione di una sola azione e un patto parasociale
singolarmente debole non darebbero luogo a alcun controllo
congiunto effettivo. Ha chiesto alla Corte di chiarire la
nozione di esercizio di un «controllo analogo» a
quello esercitato dall'ente pubblico sui propri servizi.
La Corte di giustizia europea chiarisce che, quando più
autorità pubbliche fanno ricorso a un'entità comune per
svolgere un compito di servizio pubblico, non è
indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un
potere di controllo individuale su tale entità. Tuttavia, il
controllo non può fondarsi soltanto sul controllo
dell'autorità pubblica che detiene una partecipazione di
maggioranza nel capitale dell'entità, in quanto la nozione
stessa di controllo congiunto verrebbe svuotata di
significato.
Infatti, l'eventualità che un'amministrazione abbia,
nell'ambito di un ente posseduto in comune con altre
amministrazioni, una posizione non idonea a garantirle la
benché minima possibilità di partecipare al controllo di
tale entità, aprirebbe la strada a un'elusione delle norme
del diritto Ue. Infatti, una presenza puramente formale
nella compagine di tale entità dispenserebbe
l'amministrazione dall'obbligo di avviare una procedura di
gara d'appalto. Toccherà allora al Consiglio di Stato
verificare l'effettività del controllo.
--------------
LA SENTENZA
Date tali premesse, non vi è dubbio che, ove più autorità
pubbliche facciano ricorso ad un'entità comune ai fini
dell'adempimento di un compito comune di servizio pubblico,
non è indispensabile che ciascuna di esse detenga da sola un
potere di controllo individuale su tale entità;
ciononostante, il controllo esercitato su quest'ultima non
può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell'autorità
pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel
capitale dell'entità in questione, e ciò perché, in caso
contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione
stessa di controllo congiunto.
Infatti, l'eventualità che un'amministrazione aggiudicatrice
abbia, nell'ambito di un'entità affidataria posseduta in
comune, una posizione inidonea a garantirle la benché minima
possibilità di partecipare al controllo di tale entità
aprirebbe la strada ad un'elusione (...) - Corte di
giustizia Ue, sentenza nelle cause C-182/11 e altre
(articolo Il
Sole 24 Ore del
30.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Stop
nelle Regioni prive dei bacini. Servizi pubblici,
affidamenti solo in ambiti ottimali.
ENTRO FINE ANNO/ Le gestioni in house devono essere motivate
da una relazione pubblicata su Internet con le ragioni della
scelta.
Rischio-blocco per gli affidamenti di servizi pubblici nelle
Regioni che non hanno ancora costruito gli ambiti
territoriali ottimali chiesti dalla manovra-bis del 2011.
Il decreto crescita approvato la scorsa settimana al
Consiglio dei ministri torna a intervenire sui servizi
pubblici locali, rilanciando le "liberalizzazioni"
sopravvissute alla sentenza 199/2012 con cui la Corte
costituzionale ha cancellato a luglio le norme-fotocopia
(articolo 4 del Dl 138/2011) di quelle bocciate dai
referendum nel giugno 2011.
Per raggiungere l'obiettivo, il decreto prevede che nel caso
di servizi a rete a rilevanza economica gli affidamenti
siano «effettuati unicamente» dagli enti di governo
istituiti per gestire i bacini territoriali ottimali.
Problema: enti locali e Regioni avrebbero dovuto disegnare i
confini degli ambiti fin dal 30 giugno scorso, come indicato
dall'articolo 3-bis dello stesso Dl 138, ma in molti
territori l'individuazione dei bacini è lontana dal
traguardo, e in qualche caso non è nemmeno partita. In
questi casi, di conseguenza, diventerebbe impossibile
effettuare gli affidamenti, sia con gara sia in house.
Il quadro è articolato: tra le Regioni più avanti va citata
l'Emilia Romagna, che ha riunito i nove vecchi Ato
provinciali in un'agenzia unica, o il Veneto che a fine
settembre ha ridisegnato l'igiene urbana. In altre realtà è
stata avviata la costruzione degli ambiti, ma gli enti di
governance non sono ancora pronti (è il caso del
Piemonte), mentre altre Regioni non hanno nemmeno avviato la
macchina. La prospettiva, quindi, rischia di essere quella
di un blocco generalizzato degli affidamenti, superabile
solo se si tagliano drasticamente i tempi per la creazione
degli ambiti e dei loro organi di governo.
Sul fronte vero e proprio delle liberalizzazioni, invece, il
nuovo decreto non esce dai binari tracciati dalla Consulta
nella sentenza che ha cancellato i limiti all'in house. La
bussola per gli affidamenti diretti resta quella delle
regole Ue, che aprono questa strada solo se la società
affidataria è interamente pubblica, lavora in prevalenza con
l'ente affidante ed è soggetta a un controllo analogo a
quello che l'ente garantisce sui propri uffici.
Il decreto si limita ad aggiungere il tassello della
trasparenza, prevedendo che tutti gli affidamenti di questo
tipo siano accompagnati da una relazione da pubblicare sul
sito Internet dell'ente affidante in cui si dia conto delle
ragioni della scelta per l'in house e di eventuali
compensazioni economiche. Per gli affidamenti già attivi la
relazione va pubblicata entro fine anno.
Un'ultima novità riguarda gli affidamenti diretti a società
già quotate in Borsa al 01.10.2003: se i contratti non hanno
scadenza, decadranno automaticamente dal 31.12.2020
(articolo Il
Sole 24 Ore
del 09.10.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: DECRETO
CRESCITA/ Utility con affidamenti a tempo.
Termine entro il 2020 a meno di scadenze precedenti.
Approvate nuove regole sulla gestione del servizio pubblico locale.
Gli affidamenti diretti di servizi pubblici locali disposti
prima dell'01.10.2003 termineranno entro il 2020, salvo
che non siano previste scadenze precedenti; se un ente
locale decide di procedere con affidamento diretto per la
gestione di un servizio pubblico ha l'obbligo di pubblicare
sul sito internet le ragioni della scelta e la sussistenza
dei presupposti.
Sono questi alcuni dei contenuti delle norme del
decreto-legge sulla crescita varato dal Consiglio dei
ministri di giovedì in materia di servizi pubblici locali Si
tratta dei commi da 13 a 16 dell'articolo 34 che si pongono
l'obiettivo, in questo nuovo intervento sulla materia, di
assicurare il rispetto del diritto comunitario, sotto il
profilo della concorrenza e della tutela del mercato e di
introdurre ulteriori elementi di trasparenza.
In particolare il comma 13 riguarda i servizi pubblici
locali di rilevanza economica e prevede in primo luogo che
gli enti competenti predispongano e rendano pubblica sul
sito istituzionale una relazione che spieghi le ragioni e la
sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento
comunitario in ordine alla scelta dell'affidamento
individuato per la gestione del servizio. L'obbligo di
rendere pubblica la relazione viene messo in rapporto alla
necessità di assicurare la trasparenza delle scelte di
affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, il rispetto delle regole europee per il mercato
interno e la concorrenza ovvero la sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per l'affidamento diretto,
implicitamente recependo anche le indicazioni della recente
sentenza della Corte costituzionale (la 119 di quest'anno).
Non si tratta di una particolare novità, dal momento che
tutti i provvedimenti amministrativi devono essere
ovviamente motivati in rapporto ai vincoli normativi
previsti dalla disciplina nella quale si collocano; semmai
la novità è rappresentata dal fatto che la relazione sia
resa pubblica sul sito internet dell'ente. Gli enti locali
sono destinatari di un divieto generale di istituire
organismi, aziende ed enti comunque denominati e di
qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più
funzioni fondamentali e funzioni amministrative attribuite
ai sensi dell'art. 118 della Costituzione.
Diversi i tempi per la pubblicazione della relazione: per
gli affidamenti in essere, entro il 31.12.2013; per
gli affidamenti per i quali non è prevista una data di
scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad
inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che
regolano il rapporto un termine di scadenza
dell'affidamento, pena la cessazione dell'affidamento
medesimo alla data del 31.12.2013.
Viene poi fissata alla fine del 2020 (salvo data anteriore a
fine 2020), la data limite per la cessazione degli
affidamenti diretti assentiti alla data del primo ottobre
2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in
borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile, laddove non sia
prevista una data di scadenza In altre parole è come se si
prevedesse l'obbligo di inserire la scadenza del 2020 nei
contratti affidati prima del 2003 che non prevedono alcuna
scadenza.
Infine il comma 16 dell'articolo 34 del decreto-legge
prevede un intervento sul comma 1 dell'articolo 3-bis del
decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148, e
successive modificazioni,
La norma sulla quale si interviene è quella che stabilisce
che i servizi pubblici locali di rilevanza economica abbiamo
come territorio di riferimento bacini ottimali e omogenei
tali da consentire economie di scala e di differenziazione
idonee a massimizzare l'efficienza del servizio.
La novella apportata dal decreto chiarisce che anche “le
procedure per il conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica sono
effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali
ottimali e omogenei e che tale onere spetta agli enti di
governo istituiti o designati dalla regioni o province le
quali, a loro volta, hanno definito «il perimetro» degli
ambiti e i bacini ottimali".
La norma, in sostanza, in coerenza con la necessità di
favorire le unioni fra enti locali per la gestione dei
servizi pubblici, rende applicabile il riferimento ai bacini
ottimali per tutte le fasi procedurali, dall'individuazione
dei bacini ad opera della regioni, alla programmazione, alle
procedure di affidamento e alla gestione del servizio
(articolo ItaliaOggi del 06.10.2012
- link a www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Mignanelli,
LA SORTE DELL’“IN HOUSE PROVIDING” NEI SERVIZI PUBBLICI
LOCALI A RILEVANZA ECONOMICA IN ATTESA DEL REFERENDUM
ABROGATIVO DELL’ART. 23-BIS L. 133/2008 E SS.MM.II.
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2012). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici punto e a capo. La Corte
costituzionale ha spazzato via la stretta
sull'in house. La decisione porta a
riflettere sull'opportunità di continuare a
osteggiare gli affidamenti.
Merita un approfondimento particolare lo
scenario dei servizi pubblici a esito
dell'ennesimo accadimento che ha riguardato
la materia, ovvero la sentenza della Corte
costituzionale n. 199/2012. Il termine non è
utilizzato per errore, poiché di reali
accadimenti occorre ormai parlare in
relazione a una materia, quella dei servizi
pubblici locali, oggetto da ormai più di un
decennio, a più livelli e a più riprese, di
tentativi di riforme organiche, di
correttivi in grado di modificare il
precedente assetto, di una cospicua
evoluzione delle discipline settoriali e
regionali e, come nell'ipotesi di specie, di
interventi della stessa Corte
costituzionale.
Ciò che deriva è un quadro desolante.
Certamente non sono in dubbio i moduli
gestionali dei servizi. Infatti, al di là
del tentativo del nostro legislatore di
limitare il ricorso alle forme dell'in
house providing, non si può disconoscere
che tale modello gestionale, unitamente a
quelli della concessione a terzi con gara e
al partenariato pubblico-privato,
rappresentino tutti dei modelli la cui
validità e vigenza è un dato ormai
acquisito. Ciò che, tuttavia, appare dubbio
è il problematico contorno ...
(articolo ItaliaOggi del
03.08.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Prime osservazioni sull’affidamento dei
Servizi Pubblici Locali di rilevanza
economica alla luce della Sentenza della
Corte Costituzionale del 20.07.2012 n. 199
(ANCI,
nota 24.07.2012). |
APPALTI SERVIZI:
Corte costituzionale. Accolto il
ricorso di sei regioni su affidamenti in
house, diritti di esclusiva e società
partecipate.
Servizi, liberalizzazioni bocciate.
Illegittime le nuove regole: sono la copia
di quelle abrogate dal referendum.
LA DECISIONE/ Con la manovra di Ferragosto
2011 è stato «tradito» il risultato delle
consultazioni di appena due mesi prima.
Le liberalizzazioni dei servizi pubblici
locali scritte nella manovra-bis del
Ferragosto 2011 sono la copia, ancor più
decisa rispetto all'originale, di quelle
abrogate per referendum solo due mesi prima,
quindi sono illegittime.
Sulla base di questo ragionamento, tanto
attendibile nei contenuti quanto deflagrante
negli effetti, la Corte costituzionale ha
assestato ieri (sentenza 199/2012:
presidente Quaranta, relatore Tesauro) la
bordata più dura all'ultima manovra
anti-spread dell'estate scorsa (l'altro
colpo arriva sui costi della politica: si
veda l'articolo sotto), dando ragione al
gruppo di sei Regioni (Emilia-Romagna,
Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna)
che erano partite all'attacco della nuova
normativa.
A salvare l'intervento non è bastata
l'esclusione espressa del «servizio
idrico integrato», perché i referendum
abrogativi di giugno si erano concentrati
sull'acqua solo per la propaganda, ma in
realtà avevano cancellato tutte le
liberalizzazioni contenute nel primo
tentativo del 2008. Ancor meno utile è stata
la rubrica della norma, che parlava di «adeguamento
al referendum popolare». Riproporre
norme appena cancellate dal voto, per di più
a soli 23 giorni dal decreto di abrogazione,
non si può.
Anche per questa ragione, la sentenza agisce
di machete più che di bisturi, e dichiara
l'illegittimità dell'articolo 4 del Dl
138/2011 «sia nel testo originario che in
quello risultante dalle successive
modificazioni», compresi i ritocchi
apportati da ultimo con il «Cresci-Italia»
del Governo Monti (articolo 53 del Dl
83/2012). Addio, quindi, ai limiti economici
per gli affidamenti in house, preclusi per
servizi di valore superiore ai 900mila euro
annui (diventati poi 200mila con il decreto
liberalizzazioni 1/2012 del Governo Monti),
all'obbligo per gli enti locali di
effettuare analisi di mercato entro il 13
agosto prossimo per giustificare
l'attribuzione di diritti di esclusiva (già
si parlava di una proroga da inserire nella
legge di conversione al decreto di revisione
della spesa) e, ovviamente, a tutte le norme
dei provvedimenti attuativi. Ancora una
volta, quindi, cadono le regole che
provavano a chiudere le porte girevoli fra
la politica e le società partecipate,
impedendo agli ex amministratori locali di
sedere nei consigli di amministrazione delle
società.
Immediata l'esultanza della sinistra
referendaria, a partire dal presidente della
Puglia, Nichi Vendola, che sull'onda della
sentenza chiede di cancellare subito anche
la tagliola prevista dal decreto legge sulla
revisione di spesa per le società
strumentali della Pubblica amministrazione.
Secondo gli operatori, come spiega il
direttore generale di Federutility, Adolfo
Spaziani, la sentenza è l'occasione per «cambiare
rotta e pensare a normative serie di
settore, come si è fatto con energia e gas,
per premiare chi è efficiente e colpire chi
non lo è: bisogna smetterla con questi
continui tira e molla normativi, con i quali
si vuole fare di più ma si finisce per fare
di meno». Anche l'associazione dei
Comuni, per bocca del suo vicepresidente
Alessandro Cattaneo, chiede «regole certe
subito», mentre a livello locale la
pronuncia rinfocola le polemiche contro i
processi di cessione di quote, a partire
dalla romana Acea che si era appena
incagliata al Consiglio di Stato.
Cancellata tutta l'architettura legislativa
che si era accumulata con gli ultimi
provvedimenti, la bussola torna per ora a
essere la normativa europea (richiamata
dagli stessi giudici costituzionali), che
permette l'affidamento in house a tre
condizioni: la società affidataria deve
avere capitale interamente pubblico e
svolgere la quota prevalente della propria
attività con l'ente affidante, che a sua
volta deve esercitare su questa un controllo
«analogo» a quello assicurato sui
propri uffici. Naturalmente nulla vieta
nuove leggi, anche perché la stessa Corte
costituzionale in passato ha chiarito che «il
legislatore conserva il potere di
intervenire nella materia oggetto del
referendum», a patto che l'intento non sia
di «far rivivere la normativa abrogata».
Prima di tutto, però, occorrerà chiarire
bene alcuni punti rimasti aperti, come la
sottoposizione delle società in house ai
vincoli del Patto di stabilità (si attende
il regolamento attuativo), prevista sia
all'articolo 4 (abrogato) sia al 3-bis
(sopravvissuto) della manovra estiva (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.07.2012 - tratto
da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
R. Camporesi,
Teoremi interpretativi dell’art. 14, comma
32, del D.l. 78/2010 sui limiti imposti agli
enti locali a detenere società (SECONDA
PARTE) (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici sotto esame. Ridefinizione per
attribuire in esclusiva o liberalizzare le
gestioni. Concorrenza. Le indicazioni
dell'Antitrust sull'attuazione del percorso
delineato dalla legge 148/2011.
La verifica per l'attribuzione dei diritti
di esclusiva serve per una complessiva
ridefinizione del servizio pubblico locale,
consentendo anche di rilevare le criticità
più significative. Lo ha chiarito l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato,
che, per voce di Arduino D'Anna, funzionario
della Direzione servizi pubblici locali e
promozione concorrenza, durante un convegno
organizzato il 20 giugno a Bologna, ha
fornito alcune indicazioni sul percorso
previsto dall'articolo 4 della legge
148/2011: in base al quale, entro il 13
agosto, gli enti territoriali con più di
10mila abitanti devono inviare all'Authority
per il parere obbligatorio le delibere con
cui devono decidere se liberalizzare o
attribuire diritti di esclusiva sulle
gestioni.
La legge 148 riguarda i servizi pubblici di
rilevanza economica. D'Anna ha evidenziato
come la rilevanza economica derivi dalla
possibilità del gestore di realizzare ricavi
in grado di coprire i costi, a prescindere
dalla circostanza che i primi siano frutto
di sussidi pubblici. È quindi irrilevante
che il servizio possa essere reso alla
collettività senza oneri diretti a carico
degli utenti, determinando quindi uno
spettro molto ampio di servizi qualificabili
come a rilevanza economica. Da questi,
tuttavia, l'Autorità sembra escludere quelli
sociali, per il loro carattere non profit.
Viene evidenziato come l'obbligo di servizio
pubblico sia direttamente legato
all'esigenza di assicurare l'universalità e
l'accessibilità dei servizi pubblici e
corrisponda a quella parte di servizi che
qualsiasi operatore, se dovesse avere a
riguardo solo il proprio interesse
commerciale, non assumerebbe o assumerebbe
solo se adeguatamente compensato.
L'Autorità rileva come nella verifica per
l'attribuzione dei diritti di esclusiva sia
necessario analizzare il profilo economico
connesso. Infatti le compensazioni per gli
obblighi del servizio, che gli enti possono
prevedere se necessario, possono celare
inefficienze del gestore uscente, ma possono
anche violare (in caso di eccesso) le norme
comunitarie sugli aiuti di stato. In base a
questa valutazione, la scelta tra
affidamento in esclusiva dell'intero
servizio o la sperimentazione di una
concorrenza nel mercato su porzioni di
questo (con la liberalizzazione) è legata ai
possibili benefici delle due alternative
sull'ammontare complessivo delle
compensazioni e sulle tariffe pagate
dall'utenza.
Rispetto al percorso previsto dall'articolo
4 della legge 148/2011, l'Agcm focalizza
vari aspetti critici, a partire dalla
definizione degli ambiti territoriali
ottimali: sul punto l'Antitrust fornisce un
input alle Regioni, evidenziando come
l'operazione dovrebbe avvenire non su
profili amministrativi, ma in modo da
ottenere economie di scala e di
differenziazione (con peculiarità per ogni
settore). Per l'Autorità l'elemento-chiave è
individuato nella definizione dei servizi
minimi e degli obblighi di servizio
pubblico: occorre aggiornare i dati relativi
alla domanda di servizio pubblico e arrivare
a una nuova decisione politica in merito
alla quantità e qualità di questa domanda
che si intende soddisfare con l'intervento
pubblico, anche per eliminare
sovrapposizioni tra servizi.
Una volta ridefinito il servizio pubblico,
l'amministrazione dovrebbe elaborare i dati
a disposizione per tracciare una stima della
redditività reale o potenziale del servizio
o di sue singole parti. Questi dati
dovrebbero essere quindi ricondotti a un
confronto con gli operatori economici
(pubblici e privati), anche per far emergere
le attività più redditive e quelle più
critiche. A fronte dei dati elaborati e dei
riscontri del mercato, secondo l'Agcm,
l'amministrazione dovrebbe verificare
l'esistenza degli eventuali benefici che
deriverebbe dal mantenimento della gestione
in esclusiva e quindi liberalizzare tutte le
attività per le quali questi benefici non ci
sono: come le attività risultanti da
sovrapposizioni di servizi, a loro volta
desumibili dalla pianificazione.
D'Anna ha proposto, interpretando la norma,
che l'obbligatorietà della verifica dovrebbe
essere esclusa in tutti quei casi in cui la
struttura dei mercati coinvolti sia tale da
anticipare ragionevolmente l'assoluta
impossibilità di sperimentare forme di
concorrenza «nel mercato», ossia nei
casi di monopolio naturale.
---------------
le indicazioni sulle gare
01 | I LEGAMI
L'Antitrust raccomanda agli enti locali
anzitutto di evitare che la procedura
concorsuale possa risentire dell'intreccio
tra amministrazione appaltante e impresa
controllata. Attenzione quindi alle
disposizioni contenute nel bando e nel
capitolato di gara: soprattutto alla
delimitazione del servizio oggetto
dell'appalto, alla ripartizione in lotti, ai
requisiti richiesti alle imprese e ai
criteri di aggiudicazione.
02 | LE ASSOCIAZIONI
TEMPORANEE
Nella gara devono essere inserite clausole
per evitare che le associazioni temporanee
di operatori economici si configurino non
come strumenti di partecipazione, ma come
soluzioni per formare intese
anticoncorrenziali.
03 | I DIPENDENTI
Sulla clausola di tutela del personale del
gestore uscente, l'Agcm precisa che, dato
l'obiettivo principale del legislatore di
favorire la protezione dei lavoratori,
tuttavia l'obbligo di rispettare la clausola
sociale non impone un determinato modello di
contrattazione collettiva. L'Autorità ha
anzi evidenziato più volte le distorsioni
legate al fatto che un soggetto pubblico
affidante imponga un contratto per i profili
economici: la previsione riduce la
concorrenza, costituendo una barriera
all'entrata o innalzando i costi degli
operatori già presenti che adottano un
contratto di lavoro diverso.
---------------
Obblighi verso i
cittadini, compensazioni eque.
LA PRECISAZIONE/ Nei mercati «aperti» la Pa
deve permettere a tutti gli imprenditori di
settore di operare contemporaneamente.
Sono in fase di completamento le regole per
la verifica finalizzata all'attribuzione dei
diritti di esclusiva nei servizi pubblici
locali. E alcune modifiche sono state
introdotte dal Consiglio di Stato. La
sezione consultiva per gli atti normativi ha
infatti dato parere favorevole, con il
documento 2805 dell'11 giugno, allo schema
di decreto ministeriale che definisce il
percorso dell'istruttoria e dei contenuti
della delibera quadro, previsto
dall'articolo 4, comma 33-ter, della legge
148/2011, e ha proposto la riformulazione di
numerose disposizioni: modifiche destinate a
essere recepite. Inoltre, il Consiglio di
Stato ha fornito chiarimenti e alcune
definizioni essenziali.
In particolare, il Consiglio di Stato ha
spiegato che nei mercati non ancora
completamente liberalizzati (nei quali,
cioè, non possono operare tutti i soggetti
interessati), la pubblica amministrazione si
limita a rispettare la concorrenza per il
mercato: vale a dire che deve scegliere
l'imprenditore cui affidare l'erogazione di
un determinato servizio mediante procedure a
evidenza pubblica, in modo da assicurare che
vengano individuati l'operatore più idoneo a
effettuare il servizio e gli investimenti
alle migliori condizioni possibili.
In un ambito di servizi liberalizzato,
invece, deve essere assicurata la
concorrenza nel mercato, che consente agli
imprenditori del settore di operare
contemporaneamente nel mercato rilevante ad
armi pari, riuscendo a soddisfare le
esigenze della comunità amministrata, con
accesso allo stesso mercato libero o, al
più, subordinato al rilascio di
autorizzazioni vincolate.
Nel parere si chiarisce anche che in
situazioni di monopolio naturale (come nel
caso di unicità dell'impianto da gestire),
la verifica deve essere anticipata rispetto
a quella relativa alla possibilità di
procedere a una liberalizzazione, per non
appesantire inutilmente l'attività degli
enti locali.
Gli enti affidanti, inoltre, dovranno porre
attenzione particolare nell'analisi delle
compensazioni corrisposte per gli obblighi
di servizio pubblico, verificando che non
siano eccessive e che non vadano a violare,
quindi, la normativa comunitaria in materia
(Comunicazioni e decisioni della commissione
del 20.12.2011), in quanto verrebbero a
configurarsi come aiuti di Stato.
Il Consiglio di Stato evidenzia anche
l'obbligatorietà della consultazione degli
operatori economici quando non sia possibile
stimare la redditività del servizio o non
emerga con chiarezza la possibilità di
liberalizzare il servizio, o singole fasi di
esso.
Per evitare elusioni delle finalità
principali della nuova disciplina, il
Consiglio di Stato chiede che nel decreto
ministeriale sia precisato che l'affidamento
in esclusiva dei servizi non deve essere
esteso o abbinato ad attività che possono
essere svolte in regime di concorrenza.
L'importanza della verifica ai fini del
riassetto strategico e dell'affidamento di
un servizio pubblico locale è dimostrata,
peraltro, da alcune esperienze, come quella
del Comune di Torino, che con la
deliberazione 78 dell'11 giugno ha approvato
il quadro per l'attribuzione dei diritti di
esclusiva in relazione ai servizi ambientali
(gestione del ciclo integrato dei rifiuti)
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
F. Laurendi,
Servizi locali, addio a gare e in house
- Cinque elementi, tra cui le necessità
delle comunità locali, alla base della
verifica necessaria per mettere in
concorrenza i servizi. Lo prevede il
regolamento attuativo del d.l. 138/2011, che
ha avuto l’ok dal Consiglio di Stato (parere
11.06.2012 n. 2805) (link a
www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Dopo la pioggia di deroghe arriva l'ingorgo.
QUADRO CONFUSO/ Entro fine anno vanno attuate
le dismissioni nei Comuni fino a 50mila
abitanti e l'apertura al mercato ma manca il
regolamento.
L'ultimo piccolo colpo al faticoso processo
di liberalizzazione dei servizi pubblici
locali è arrivato con il decreto sviluppo,
che trasforma in silenzio-assenso il parere
obbligatorio che l'Antitrust dovrebbe dare
sulle delibere-quadro con cui i Comuni
devono indicare i settori in cui non è
possibile il ricorso al mercato.
A bloccare l'intero meccanismo, comunque,
finora è stato l'incrocio fra un calendario
ambizioso e un ritardo cronico
nell'applicazione delle misure previste
dalle varie manovre. Gli enti locali, per
esempio, dovrebbero individuare entro metà
agosto gli ambiti territoriali ottimali in
cui suddividere i servizi a rete (dai
trasporti all'idrico), ma ad oggi manca
ancora il decreto attuativo principale, cioè
quello che dovrebbe dire alle
amministrazioni locali come si fa la
delibera quadro chiamata a individuare quali
servizi affidare al mercato e in quali
mantenere diritti di esclusiva.
Anche ipotizzando che gli enti locali e gli
enti affidanti per i servizi di rete
riescano a rispettare il termine del 13
agosto, e anche nel caso in cui la novità
del silenzio-assenso dovesse essere
approvata, l'adozione della delibera
difficilmente potrà avvenire prima della
fine di novembre.
Da quella data al 31 dicembre, gli enti
locali dovrebbero quindi avviare i percorsi
per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici
locali prima gestiti da società in house (se
incoerenti con i parametri comunitari e,
soprattutto, se di valore annuo superiore ai
200mila euro), scegliendo tra la gara a
spettro ampio e la costituzione di società
mista, con individuazione tramite gara del
socio privato a cui affidare anche compiti
operativi.
L'avvio delle procedure richiede un
passaggio in consiglio comunale (per la
definizione del modello organizzativo), ma
costituisce anche il presupposto essenziale
per permettere a una società interamente
partecipata dall'ente locale di prendere
parte alla gara per il servizio sino ad oggi
gestito.
In questa fase è inoltre necessario che sia
dettagliatamente analizzata la situazione
delle reti e delle dotazioni
infrastrutturali, passo essenziale per
avviare le gare.
Sempre entro fine anno, i Comuni fino a
30mila abitanti, poi, devono decidere se
dismettere le loro partecipazioni o
sfruttare una delle deroghe previste per le
aziende che vantano bilanci in utile o
riescono ad aggregarsi. La stessa Corte
segnala che più del 60% delle partecipazioni
sono in mano a Comuni medio-piccoli, a
conferma del l'enormità del processo che
dovrebbe partire.
La possibilità di evitare le dismissioni,
come accennato, è legata allo stato di
salute dei bilanci o alle possibilità di
aggregazione per superare la soglia dei
30mila abitanti serviti. Potrebbero quindi
realizzarsi situazioni nelle quali una
società di un Comune con popolazione
inferiore, ma con bilanci in pareggio
anziché in utile, debba essere assoggettata
alla liquidazione da parte dell'ente socio.
Per il servizio pubblico gestito non vi
sarebbe altra via che quella della gara tra
operatori, essendo inibita al Comune la
possibilità di costituire (almeno da solo)
società.
Ad accrescere ulteriormente il processo c'è
la situazione dei Comuni compresi tra i
30mila e i 50mila abitanti, che devono
ridurre le loro partecipazioni societarie ad
una sola. Il termine entro cui arrivare a
questa condizione, in realtà, secondo il
dato legislativo sarebbe già scaduto (il
31.12.2011), ma alcune interpretazioni di
sezioni regionali della Corte dei conti lo
hanno collegato al termine dell'adempimento
principale (la dismissione per i Comuni di
minori dimensioni), quindi alla fine del
2012 (articolo Il Sole 24 Ore
dell'11.06.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della
deliberazione di un consiglio comunale che
ha affidato in house alla propria società
strumentale il servizio di accertamento e
riscossione volontaria di alcuni tributi
locali
Sussiste il c.d. "controllo analogo" anche
nel caso di un comune socio di minoranza
della società.
E' legittima la deliberazione di un
consiglio comunale che ha affidato in house
alla propria società strumentale il servizio
di accertamento e riscossione volontaria di
alcuni tributi locali, in quanto coerente
con la specifica normativa settoriale a quel
momento vigente [art. 7, c. 2, lett. gg-ter)
e gg-quater) del d.l. n. 70 del 2011], che,
nel prevedere una chiara limitazione
all'affidamento del servizio di riscossione
alle società private concessionarie e ai
poteri da queste esercitati, appare diretta,
oltre che a semplificare e rendere meno
gravosa per il contribuente, sotto il
profilo finanziario, l'operazione di
riscossione dei tributi locali, anche a
finalità di contenimento della spesa
pubblica degli enti locali.
Vero è, che detta disposizione è stata
modificata, in sede di conversione del d.l.,
nel senso che l'affidamento esterno del
servizio è stato precluso solo riguardo alla
c.d. riscossione "coattiva", con la
conseguenza che la riscossione c.d. "spontanea"
rimane tuttora disciplinata dall'art. 52 del
D.Lgs. n. 446 del 1997, che prevede, oltre
all'affidamento in house allo stesso Comune
o a società strumentale a capitale
interamente pubblico, anche altre modalità
prevedenti l'indizione di gara pubblica
preordinata alla scelta o della società
privata concessionaria del servizio o del
socio privato di una costituenda società a
capitale misto, tuttavia, nel peculiare caso
di specie, l'originario testo della norma
contenuto nel d.l., è comunque idoneo ad
integrare valido supporto motivazionale alla
scelta (che in quel momento costituiva un
obbligo, essendo contenuta in un d.l.) del
Comune di procedere all'affidamento del
servizio a una società pubblica, senza
previa indizione di una gara per
l'individuazione o del concessionario o del
socio privato.
Ne consegue la legittimità della
deliberazione comunale impugnata sia in
riferimento agli oneri motivazionali
previsti dal citato art. 52 del D.Lgs. n.
446 del 1997 nelle ipotesi di affidamento
in house del servizio in parola, sia
riguardo al testo definitivo della norma,
come risultante dalla legge di conversione.
---------------
E' legittimo l'affidamento diretto del
servizio a società strumentale da parte di
un comune socio di minoranza della società,
qualora il necessario controllo analogo
sulla stessa sia esercitato congiuntamente
da parte delle amministrazioni locali socie
per la totalità del capitale sociale (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 31.05.2012 n. 380 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Rifiuti. L'azienda nata
dall'integrazione entro il 31 dicembre
diventerebbe a pieno titolo un'autorità
d'ambito.
La maxi-società dribbla la gara. Possibile
l'affidamento diretto a una realtà che
aggreghi 250mila abitanti.
LIBERTÀ TOTALE/ La nuova deroga permette di
aggirare anche i vincoli che impediscono
l'in house per servizi superiori a 200mila
euro.
La gestione dei rifiuti nell'Ato può essere
affidata in house ad un'unica società
che aggreghi i gestori esistenti, e gli
impianti di proprietà degli enti possono
essere affittati ai gestori.
La legge di modifica del Codice ambiente (Dlgs
152/2006) approvata al Senato introduce
importanti innovazioni nei modelli di
gestione del ciclo integrato dei rifiuti,
che definiscono un'ulteriore deroga alla
procedura ordinaria di affidamento con gara.
L'articolo 6 della legge (che ora deve
tornare alla Camera) stabilisce che può
costituire Ato (purché la popolazione
servita sia di almeno 250mila abitanti,
salvo che la Regione fissi un limite
inferiore) un'azienda costituita da soli
enti locali, derivante dalla trasformazione
di aziende speciali (o di consorzi) o
risultante dall'integrazione operativa,
perfezionata entro il 31.12.2012, di
preesistenti gestioni dirette o in house
tale da configurare un unico gestore a
livello di bacino.
La soluzione si inserisce nella "razionalizzazione"
dei gestori ammessi in deroga
all'affidamento in house dall'articolo 4,
comma 32, lettera a) della legge 148/2011,
secondo il modello della società unica
d'ambito, affidataria in house per un
periodo determinato (tre anni, sino alla
scadenza massima del 31.12.2015).
Tuttavia la nuova disciplina presenta
considerevoli differenze da quella generale,
perché la società risultante dalla
trasformazione o dall'aggregazione diventa
autorità d'ambito a tutti gli effetti e va a
incidere sul riassetto di questi organismi.
La nuova disposizione configura un soggetto
al quale afferiscono sia le funzioni del
regolatore sia i compiti di gestione del
servizio. Questo aspetto è confermato dalla
parte in cui si prevede che l'affidamento
dei servizi del ciclo integrato dei rifiuti
avviene direttamente all'azienda stessa
anche in deroga all'articolo 4 della legge
148/2011, quindi a anche a superamento del
limite economico di 200mila euro previsto
per l'in house.
Se l'organismo "aggregante" assorbe
contratti stipulati a seguito di regolare
gara, questi mantengono efficacia fino alla
scadenza naturale.
L'ulteriore aspetto peculiare è garantito
dalla possibilità, per Comuni non facenti
originariamente parte dell'azienda, di poter
entrare a farne parte, se ricorrano motivate
esigenze di efficacia, efficienza ed
economicità.
Per la gestione del ciclo integrato dei
rifiuti, quindi, è possibile che si pervenga
alla costituzione di una società unica
d'ambito, affidataria in house del servizio
per valore e durata non assoggettati ai
limiti dell'articolo 4 della legge 148/2001,
esercitante al contempo il ruolo di ente di
governo dell'Ato stesso.
Il quadro di innovazione, tuttavia, incide
anche sulle strategie di utilizzo degli
impianti di smaltimento, in quanto
l'articolo 7 della nuova legge (modificando
l'articolo 202 del testo unico, sugli
affidamenti) stabilisce che gli impianti e
le altre dotazioni patrimoniali di proprietà
degli enti locali o delle loro forme
associate già esistenti possono essere
conferiti anche a titolo oneroso ai soggetti
affidatari.
Questi ultimi (sia scelti con gara, sia
configurati come società mista con socio
operativo o come società unica d'ambito)
sono comunque chiamati a migliorare la
gestione secondo un modulo operativo più
evoluto dello stesso ciclo.
I gestori, sin dalla procedura selettiva,
devono esplicitare un piano industriale che
renda più efficiente il servizio grazie a
soluzioni innovative, mediante la riduzione
delle quantità di rifiuti da smaltire e il
miglioramento dei fattori ambientali,
proponendo un proprio piano di riduzione dei
corrispettivi per la gestione al
raggiungimento di obiettivi autonomamente
definiti, con particolare riferimento alla
separazione alla fonte e all' organizzazione
della raccolta differenziata domiciliare,
alla diffusione del compostaggio domestico,
alla promozione di riciclaggio, recupero e
selezione dei materiali ed alla
sperimentazione di forme di tariffazione
puntuale sulla base della produzione
effettiva di rifiuti non riciclabili.
---------------
Le caratteristiche
01|LA DIMENSIONE
L'ambito deve servire una popolazione di
almeno 250mila abitanti, salvo che la
Regione fissi un limite inferiore
02|LA FORMAZIONE
L'azienda deve essere costituita solo da
enti locali e può derivare dalla
trasformazione di aziende speciali (e
consorzi) o dall'integrazione operativa,
perfezionata entro il 31.12.2012, di
gestioni dirette o in house
03| IL RISULTATO
La società che risulta dalla trasformazione
o dall'aggregazione diventa autorità
d'ambito a tutti gli effetti
---------------
Così il nuovo gestore si
controlla da solo.
Il mondo dei servizi pubblici locali
continua ad arricchirsi di adempimenti e di
novità normative, ed è difficile arrivare a
un quadro razionale e pratico. Tutto ciò
crea confusione e rischi di inefficacia.
Proviamo a riassumere quali saranno i
prossimi appuntamenti: entro il 31 maggio i
Comuni potranno chiedere alle Regioni di
definire ambiti sub-provinciali; non oltre
il 30 giugno le Regioni dovranno deliberare,
per i servizi pubblici a rete (quali sono?)
gli ambiti. Entro il 13 agosto, gli enti
dovranno approvare la loro «delibera
quadro sui servizi» come previsto dal
regolamento di attuazione dell'articolo 4,
comma 33-ter, del Dl 138/2011, che ancora
non è stato pubblicato.
Tutto chiaro? Forse lo sarebbe.
Curiosamente, però, il decreto milleproroghe
(Dl 216/2011) all'articolo 13, comma 2,
rinvia la decadenza delle autorità d'ambito
al 31.12.2012 creando così una situazione
potenzialmente contraddittoria: il 13 agosto
potrebbero ancora esistere quelle Aato che
cesseranno dopo pochi mesi (cosa deliberano
a fare?) e che in alcuni casi non sono state
ancora istituite, come nel caso del Lazio
per i rifiuti (chi delibera in questo
caso?). Il tutto, ovviamente, seguendo un
regolamento che non c'è.
Bizzarrie di norme che si accavallano e non
sono coordinate tra loro. Potrebbe bastare,
ma non è finita qui. A breve rischiano
infatti di diventare legge le modifiche al
Codice dell'Ambiente, approvate dal Senato.
Scorrendo il testo si capisce subito che
siamo di fronte a un capolavoro. La norma,
infatti, interviene sull'articolo 200 del
Dlgs 152/2006, aggiungendo una lettera f-bis
in cui si prevede che la società di capitali
nata da un'integrazione operativa di
preesistenti gestioni in house è «tale da
configurare un unico gestore del servizio a
livello di bacino» e «può costituire
ambito territoriale ottimale, purché la
popolazione servita sia pari o superiore a
250mila abitanti».
Già questo crea un conflitto di competenze
con le Regioni e potrebbe generare un "buco"
all'interno di un bacino tale da vanificarne
la parte rimanente. In un crescendo, però,
la perla viene subito dopo: «In tale caso
detta azienda diventa autorità d'ambito a
tutti gli effetti e l'affidamento dei
servizi di raccolta e di smaltimento o
comunque afferenti al ciclo integrato dei
rifiuti avviene direttamente all'azienda
stessa anche in deroga all'articolo 4»
del dl 138/2011.
In sostanza, in un quadro che, con
sbavature, sembrava avere recepito la
necessità di una separazione tra regolazione
e gestione (applicata perfino nel settore
idrico), ecco puntuale la smentita: se due
aziende di rifiuti si fondono, in altre
parole, non avranno più nessun ente terzo
che ne verifica le condizioni di costo, di
qualità, di efficienza e di prezzo. Si
controlleranno da sole -non stentiamo ad
immaginare con quale rigore- e, a quanto
pare, dovranno nel proprio cda (o in
assemblea?) approvarsi la propria delibera
quadro. Una controriforma che susciterebbe
l'invidia del Concilio di Trento.
È interessante, però, sapere cosa penseranno
di questa norma le Regioni e quanto la possa
apprezzare l'Autorità garante della
concorrenza, che si troverà ad esprimere il
suo parere sulla delibera quadro che queste
società dovranno sottoporre a suo giudizio (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.05.2012 - link
a www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici: il timing dei vecchi
affidamenti. Le scadenze per gli enti locali
dopo la conversione del c.d. Dl
liberalizzazioni
(tratto da Diritto e Pratica
Amministrativa n. 4/2012). |
APPALTI SERVIZI: Se
nella nozione di “affidamento diretto” di
cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008
rientri, o meno, la proroga che segue un
primo affidamento con gara.
La previsione preclude l'acquisizione della
gestione di servizi ulteriori, con o senza
gara, ai soggetti che gestiscono servizi
pubblici locali ad essi affidati senza il
rispetto dei principi dell'evidenza pubblica
che si condensano nei principi comunitari di
tutela della concorrenza, e, segnatamente,
nei principi di "economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità", elencati nel co. 2,
richiamato espressamente dal co. 9 del
citato art. 23-bis.”.
All'affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario. Infatti le proroghe dei
contratti affidati con gara sono consentite
se già previste ab origine, e comunque entro
termini determinati. Una volta che il
contratto scada e si proceda ad una sua
proroga senza che essa sia prevista ab
origine, o oltre i limiti temporali
consentiti, la proroga è da equiparare ad un
affidamento senza gara.
Il divieto previsto dall’art. 23-bis, comma
9, del d.l. 25.06.2008, n. 112,
convertito con la legge n. 133 del 2008,
colpisce, per quanto qui interessa, le
società che gestiscano “di fatto o per
disposizione di legge, di atto
amministrativo o per contratto servizi
pubblici locali in virtù di affidamento
diretto”, o comunque “di una procedura non
ad evidenza pubblica”, e comporta che le
medesime società “non possono acquisire la
gestione di servizi ulteriori ovvero in
ambiti territoriali diversi, né svolgere
servizi o attività per altri enti pubblici o
privati, né direttamente, né tramite loro
controllanti o altre società che siano da
essi controllate o partecipate, né
partecipando a gare". Divieto che opera per
tutta la durata della loro gestione.
Ora, questo Consiglio ha già avuto modo
di prendere posizione sulla questione se
nella nozione di “affidamento diretto” di
cui all'art. 23-bis d.l. n. 112/2008
rientri, o meno, la proroga che segue un
primo affidamento con gara (VI, 16.02.2010, n. 850).
Nell’occasione, questo Consesso ha
rammentato introduttivamente che “la
previsione preclude l'acquisizione della
gestione di servizi ulteriori, con o senza
gara, ai soggetti che gestiscono servizi
pubblici locali ad essi affidati senza il
rispetto dei principi dell'evidenza pubblica
che si condensano nei principi comunitari di
tutela della concorrenza, e, segnatamente,
nei principi di "economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità", elencati nel co. 2,
richiamato espressamente dal co. 9 del
citato art. 23-bis.”
Posta questa premessa, sulla problematica il
Consiglio ha assunto la seguente, univoca
posizione.
“All'affidamento senza una procedura
competitiva deve essere equiparato il caso
in cui ad un affidamento con gara segua,
dopo la sua scadenza, un regime di proroga
diretta che non trovi fondamento nel diritto
comunitario. Infatti le proroghe dei
contratti affidati con gara sono consentite
se già previste ab origine, e comunque entro
termini determinati. Una volta che il
contratto scada e si proceda ad una sua
proroga senza che essa sia prevista ab
origine, o oltre i limiti temporali
consentiti, la proroga è da equiparare ad un
affidamento senza gara” (VI, n. 850/2010
cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
27.04.2012 n. 2459 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: C.
Rapicavoli,
Servizi pubblici locali e liberalizzazioni:
cosa cambia - La disciplina dei servizi
pubblici locali dopo la conversione in legge
del decreto liberalizzazioni (link a www.leggioggi.it). |
APPALTI SERVIZI:
In che limiti è ancora oggi
ammissibile la gestione diretta di servizi
pubblici locali?
Entro ristretti limiti, anche temporali,
appare per vero ancora consentita. Occorre
tuttavia distinguere, al riguardo, fra i
servizi pubblici locali diversi da quello
idrico, da un lato, e quest’ultimo,
dall’altro lato.
Con riferimento ai primi, l’articolo 25 del
decreto legge n. 1/2012 ha fra l’altro
modificato il comma 32 all’articolo 4 del
decreto legge n. 138/2011 (convertito con
modificazioni dalla legge n. 148/2011), il
quale ora oltre a prevedere che gli
affidamenti diretti relativi a servizi il
cui valore economico sia superiore alla
somma di cui al comma 13, ovvero non
conformi a quanto previsto al medesimo
comma, nonché gli affidamenti diretti che
non rientrano nei casi di cui alle
successive lettere da b) a d) cessano,
improrogabilmente e senza necessità di
apposita deliberazione dell'ente affidante,
alla data del 31.12.2012 contempla anche
un’eccezione.
In deroga alla regola della scadenza
automatica del 31.12.2012, l’affidamento per
la gestione in house può infatti
avvenire a favore di azienda risultante
dalla integrazione operativa, purché
perfezionata entro il termine del
31.12.2012, di preesistenti gestioni dirette
o in house tale da configurare un
unico gestore del servizio a livello di
ambito o di bacino territoriale ottimale ai
sensi dell’art. 3-bis.
In tal caso, la valutazione dell’efficacia e
dell’efficienza della gestione e il rispetto
delle condizioni previste nel contratto di
servizio sono peraltro sottoposti a verifica
annuale.
La durata dell’affidamento in house
all’azienda risultante dalla predetta
integrazione non può essere in ogni caso
superiore a tre anni.
Fermo restando che la norma in questione
potrebbe subire cambiamenti in sede di
conversione del decreto legge, essa allo
stato delle cose, parla di azienda
risultante dall’integrazione operativa,
purché perfezionata entro il termine del
31.12.2012, “di preesistenti gestioni
dirette o in house” (nel presupposto,
corretto, che la gestione diretta è altro
rispetto all’in house).
Ciò avrebbe evidentemente poco senso se alla
data di entrata in vigore del decreto legge
le gestioni dirette dovessero ritenersi
definitivamente venute meno, in particolare
ai sensi dell’art. 23-bis, comma 8, lett.
e), decreto legge n. 112/2008, convertito
dalla legge n. 133/2008.
Se, dunque, la nuova norma sembrerebbe
produrre una sorta di sanatoria implicita
per le gestioni dirette che, per effetto
dell’univoca previsione di cui alla
disposizione da ultimo citata, dovrebbero
oggi risultare cessate, per altro verso essa
individua una nuova data limite per le (in
questo modo rilegittimate) gestioni dirette,
ovvero il 31.12.2012, subordinatamente al
ricorrere delle condizioni anzidette.
Del resto, l’impressione che già l’art. 4,
comma 32, del decreto legge n. 138/2011
avesse realizzato una sorta di sanatoria
implicita per le gestioni dirette sembra
trarre conferma dal combinato disposto
dell’ultima parte della lett. a) di
quest’ultima norma e del nuovo comma 32-ter
del medesimo articolo4, nella parte in cui
specifica che per non pregiudicare la
necessaria continuità nell'erogazione dei
servizi pubblici locali di rilevanza
economica, i soggetti pubblici e privati
esercenti “a qualsiasi titolo”
attività di gestione dei servizi pubblici
locali assicurano l'integrale e regolare
prosecuzione delle attività medesime anche
oltre le scadenze previste nel comma 32,
fino al subentro del nuovo gestore e
comunque, in caso di liberalizzazione del
settore, fino all'apertura del mercato alla
concorrenza.
Diverso è invece il caso del servizio idrico
integrato, poiché la gestione diretta resta
possibile, ex articolo 148, comma 5, del
decreto legislativo n. 152/2006, per i
comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti
inclusi nel territorio delle comunità
montane, sempreché gestiscano l’intero
servizio idrico integrato, e previo consenso
della Autorità d'ambito competente (Sez.
reg. controllo della Corte dei conti per la
regione Abruzzo, parere 29/03/2011 n. 16, e
parere, ministero dell’Ambiente del
26.01.2012).
Al di sopra di questa soglia e al di fuori
di questo ambito, tale forma di gestione è
da ritenere non più consentita, in quanto
confluita nella categoria residuale di cui
all’articolo 23-bis, comma 8, lett. e), per
la quale, come noto, la cessazione
dell’affidamento si è irreversibilmente
verificata il 31.12.2010 (si veda anche il
parere Conviri del 06.12.2011).
Resta fermo che per le gestioni in regime
Cipe la definitiva cessazione dovrebbe
ritenersi verificata ancor prima.
Più precisamente ai sensi dell’articolo 10,
comma 28, del decreto legge n. 70 del 2011,
convertito con modificazioni dalla legge n.
106 del 2011 con l’entrata in vigore del
decreto legge n. 135 del 25.09.2009,
convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 166 del 20.11.2009, (in tema, si veda
peraltro il parere Conviri n. 8338
dell’11.11.2011) (tratto da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 3/2012). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazioni. Riscritto il calendario
per la riforma degli affidamenti
Servizi, pareri all'Antitrust con rischio
ingorgo date.
Tra luglio e agosto pioggia di decisioni con
le analisi dei mercati locali.
Con la nuova riscrittura della riforma nel
decreto liberalizzazioni appena convertito
dal Parlamento, la disciplina dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica
dovrebbe aver trovato un quadro definito.
Le amministrazioni affidanti sono chiamate
ad avviare sin da ora l'analisi per
qualificare i servizi interessati dal nuovo
quadro, che oltre alle attività prive di
rilevanza economica esclude una serie di
settori (servizio idrico, gas, energia,
farmacie e ferrovie regionali).
Il nuovo percorso è a tappe forzate, inizia
con il Dm sui criteri per la verifica
dell'attribuzione dei diritti di esclusiva:
il decreto va adottato entro il 31 marzo.
Gli elementi desumibili dalla bozza
consentono di avviare l'analisi istruttoria
per rilevare su quali servizi possa essere
configurata la gestione liberalizzata o
invece l'attribuzione di diritti di
esclusiva. La definizione delle condizioni
per la gestione unitaria va realizzata con
l'adozione della delibera-quadro per tutti i
servizi in gestione entro il 13.08.2012.
Considerando che i Comuni con più di 10mila
abitanti, prima di adottare l'atto, devono
ottenere il parere dell'Agcm
sull'istruttoria, e che l'authority deve
renderlo entro 60 giorni dalla richiesta, è
concreto il rischio di ingolfamento.
Lo schema di Dm contiene poi due norme
contraddittorie: l'articolo 2, comma 5,
evidenzia l'adozione della delibera-quadro
come condizione necessaria solo per
l'affidamento con gara o a società mista,
mentre l'articolo 5, comma 3 la esplicita
come necessaria anche per gli affidamenti
(derogatori) in house. In questa prima fase
potrebbero essere facilitati i Comuni con
meno di 10mila abitanti, che non devono
richiedere il parere all'Agcm.
Molti degli elementi essenziali per
l'analisi sull'attribuzione dei diritti di
esclusiva nei servizi a rete (ad esempio
rifiuti e Tpl) potranno tuttavia essere
definiti solo dopo gli ambiti e bacini
territoriali, che le Regioni devono
individuare entro il 30 giugno.
I Comuni che
intendano proporre alle Regioni sub-ambiti
più piccoli rispetto alla Provincia devono
formalizzare una richiesta, supportata da un
progetto associativo, entro il 31 maggio. In
base a questo quadro, gli elementi di
riferimento effettivo per molti servizi
potrebbero essere disponibili solo alla fine
di giugno, con un margine veramente esiguo
per il perfezionamento dell'istruttoria e
del parere presso l'Agcm, in rapporto alla
prima scadenza del 13.06.2012.
Superata questa fase, gli enti locali devono
confrontarsi con le nuove scadenze delle
gestioni esistenti, che vede il primo punto
critico nel 31 dicembre, data alla quale
cessano gli affidamenti in house non
coerenti con i parametri comunitari e
comunque superiori a 200mila euro di valore
annuo del servizio). Questo stesso termine
vale per le amministrazioni che, aggregando
gli attuali gestori di uno stesso servizio,
vogliano dar vita a una società affidataria
in house del servizio per tutto l'ambito
territoriale, per un valore anche superiore
al limite dato nel comma 13 e per un periodo
massimo di tre anni (quindi sino al 31.12.2015).
La soluzione è proposta in
un'ottica di rafforzamento degli operatori
pubblici in vista di future gare di ambito.
Per le società miste in cui il socio privato
sia stato scelto con gara ma non a doppio
oggetto la scadenza delle gestioni è
posticipata al 31.03.2013, mentre
rimangono invariati i termini entro cui le
quotate devono cedere le azioni in mano
pubblica tra la metà del 2013 e la fine del
2015.
---------------
Il calendario
Percorso per l'affidamento dei servizi
pubblici locali con rilevanza economica
31 marzo 2012|GOVERNO - MINISTRO AFFARI
REGIONALI
Adozione Dm definizione criteri
delibera-quadro (diritti di esclusiva)
31 maggio 2012|COMUNI ASSOCIATI
Proposta a Regioni per possibile definizione
sub-ambito
30 giugno 2012|REGIONI
Definizione ambiti / bacini territoriali
ottimali
13 agosto 2012|ENTI LOCALI - ENTI AFFIDANTI
I SPL
Approvazione delibera-quadro generale per
attribuzione diritti esclusiva su gestione
SPL
31 dicembre 2012|ENTI LOCALI SOCI
Costituzione di società unico gestore in
house per ambito di SPL ex aggregazione
precedenti gestori affidatari diretti
(deroga)
31 dicembre 2012|SOCIETÀ / PREFETTO (per
esercizio potere sostitutivo)
Rilevazione cessazione gestioni esistenti in
base a affidamenti in house non conformi
---------------
Il
regolamento. Punti controversi.
Delibere obbligate per tutti gli enti.
LA CONTRADDIZIONE/
Da un lato si punta ad aggregare gli
«ambiti» e dall'altro si prevedono atti
amministrativi diversi da una pluralità di
soggetti.
Il regolamento di attuazione dell'articolo
4, comma 33-ter, del Dl 138/2011 dovrà certo
superare lo scoglio della sua pratica
attuazione, ma sottovalutarne la portata
sarebbe un grave errore perché rappresenta
un repentino cambiamento di rotta rispetto a
quanto ad oggi immaginato dal percorso di
riforma.
I maggiori dubbi suscitati dal processo di
liberalizzazione dei servizi, ad oggi,
riguardano l'assenza di un numero adeguato
di imprenditori competenti e che siano in
condizione di investire quanto
indispensabile in settori impegnativi sul
piano degli investimenti.
In fondo fu il medesimo problema con cui si
misurò la Thatcher, che prese atto
dell'impossibilità di liberalizzare il
settore del trasporto pubblico locale ed
optò per la deregulation: in pratica, non
riuscendo a trovare privati in grado di
gestire il servizio, aprì le porte a chi
volesse svolgerne anche solo piccole
porzioni.
La scelta del regolamento va nella stessa
direzione, mettendo perciò in discussione
l'idea che i servizi vadano gestiti
unitariamente. Se il disegno sarà confermato
verrà meno, in sostanza, l'idea che per una
«gestione integrata» sia indispensabile un
gestore unico, la cui necessità non è più
assunta come dato ma deve essere dimostrata
attraverso una verifica di mercato.
Così facendo, però, si rimette in
discussione il processo oggi in corso, che
mira a una crescita dimensionale delle
aziende, attraverso una riduzione del numero
degli ambiti e incoraggiando le fusioni. Si
rischia di interrompere un lavoro già in
corso e che sta cominciando a produrre i
suoi frutti.
Si noti, ancora, che a differenza di quanto
previsto dai commi 1 e 2 dell'articolo 4, il
regolamento (articolo 1, comma 2) estende
l'obbligo di formulare la delibera quadro a
tutti gli enti territoriali, cioè anche alle
autorità amministrative che esercitano
funzioni nei servizi pubblici locali. Scelta
ribadita, del resto, con specifico
riferimento al trasporto pubblico (articolo
3 del regolamento) e dei rifiuti (articolo
4).
Tutto ciò, peraltro, non è privo di rischi e
di problemi. Non è chiaro, anzitutto, come
si possa conciliare una scelta di
«frazionamento del servizio» con il processo
di ampliamento degli ambiti auspicato dalla
legge: sarà la Regione, ai sensi
dell'articolo 3-bis, comma 1, del Dl
138/2011, infatti, a definire gli ambiti con
l'intento di conseguire «economie di scala e
di differenziazione idonee a massimizzare
l'efficienza del servizio»; se è così, ha
senso che a decidere sull'eventuale
suddivisione del servizio stesso in più fasi
e sulle diverse condizioni di
concorrenzialità di ciascuna di queste sia
un soggetto diverso?
Infine, una perplessità di fondo: fino a
oggi i nostri enti non hanno certo brillato
in tema di capacità di regolazione. Oggi si
prospetta di affidare loro un lavoro ancora
più complesso, e cioè di confrontarsi con
soggetti specializzati. Siamo sicuri che le
nostre autorità d'ambito saranno in grado di
governare con efficacia i rapporti con un
numero probabilmente elevato di operatori,
quando hanno dimostrato di non riuscire a
controllarne uno solo? Il rischio è di
rendere ancora più difficoltoso il compito
di chi deve "dettare le regole", con
risultati prevedibili
(articolo Il
Sole 24 Ore del 26.03.2012 - tratto
da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici. Le conseguenze della bozza di Dm
attuativo delle liberalizzazioni.
Delibera quadro «estesa» a tutti i settori
economici.
Anche gli ambiti devono effettuare la
verifica pre-affidamenti
L'INDAGINE/
La possibilità di concedere esclusive
dipende dall'analisi delle modalità
gestionali di ogni aspetto dell'attività.
Cominciano a delinearsi i criteri che gli
enti locali e i soggetti istituzionali
individuati come enti di governo degli
ambiti territoriali ottimali dovranno
seguire nell'istruttoria per l'attribuzione
dell'esclusiva nella gestione dei servizi
pubblici locali con rilevanza economica; il
passo fondamentale è dato dalla bozza del Dm
che illustra i parametri e i contenuti della
delibera-quadro (si veda Il Sole 24 Ore del
13 marzo).
Le amministrazioni locali devono svolgere
una verifica preliminare per acquisire tutti
gli elementi utili per individuare quanti
fra i "loro" servizi pubblici sono di
rilevanza economica. Molte attività,
infatti, sono facilmente riconducibili
all'ambito dell'articolo 4 della legge
148/2011, in quanto le caratteristiche di
rilevanza economica sono codificate dalla
normativa di settore (come nel caso della
gestione dei rifiuti o del trasporto
pubblico locale), ma molte altre vanno
analizzate caso per caso nel rispetto del
principio comunitario.
Si pensi, ad esempio, alla ristorazione
scolastica, in cui la tariffa è in media
inferiore del 30/40% del costo di produzione
e sulla gestione pesa molto l'intervento
pubblico. In questo quadro, il servizio può
risultare privo di rilevanza economica (come
evidenziato dal Consiglio di Stato nella
sentenza n. 6529/2010).
La verifica sulle condizioni per attribuire
i diritti di esclusiva deve analizzare il
quadro storico e l'attuale modello
gestionale del servizio, individuando le
attività principali e quelle complementari,
con l'indicazione delle eventuali
compensazioni economiche ai gestori. Il
primo focus deve puntare sull'articolazione
operativa del servizio, distinguendo le
possibili fasi di gestione separata e
rilevando l'eventuale offerta di servizi
sostituivi.
Il punto centrale è costituito dall'analisi
delle esigenze della comunità, con
riferimento alle caratteristiche sociali e
demografiche, economiche, ambientali e
geomorfologiche dell'ambito territoriale di
riferimento.
Questi elementi possono risultare
determinanti per la statuizione degli
obblighi di servizio pubblico, per la
definizione degli standard zonali minimi e
per il conseguente orientamento verso una
gestione unitaria.
L'istruttoria deve evidenziare anche il
valore del servizio (che può risultare
decisivo, ad esempio, per l'affidamento in
house) e gli investimenti da programmare.
Le risultanze della verifica devono essere
quindi sottoposte al confronto con il
mercato, con una consultazione per acquisire
manifestazioni di interesse degli operatori
sulla gestione in concorrenza del servizio.
Questa fase dovrebbe permettere anche di
rilevare la sussistenza di situazioni di
monopolio naturale o, all'opposto, la
possibilità di liberalizzare il servizio o
singole sue fasi.
La consultazione con gli operatori permette
comunque di riscontrare l'incidenza sulla
gestione imprenditoriale degli obblighi di
servizio pubblico e universale e degli
standard minimi delle prestazioni, oltre che
delle caratteristiche della domanda
dell'utenza e di tariffe sostenibili per
realizzare e mantenere la coesione sociale,
al fine della verifica della redditività.
Lo schema di decreto individua anche dei
parametri integrativi per il settore dei
trasporti pubblici locali e per quello dei
rifiuti, richiedendo per questi ultimi la
valutazione distinta delle operazioni di
spazzamento, raccolta, raccolta
differenziata, trasporto,
commercializzazione, gestione degli impianti
di trattamento, recupero, riciclo e
smaltimento di tutti i rifiuti urbani e
assimilati, nonché la proiezione gestionale
con riferimento alle singole fasi ed alla
possibile gestione congiunta.
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Le istruzioni per l'uso
01|ANALISI DELLA
QUALIFICAZIONE DEI SPL
L'ente locale deve rilevare la
qualificazione dei servizi pubblici locali
affidati in chiave di rilevanza economica o
meno.
Tale analisi preliminare deve essere
effettuata mediante applicazione del
principio relativistico.
02|ISTRUTTORIA PER
L'ATTRIBUZIONE DEI DIRITTI DI ESCLUSIVA
L'ente locale la deve sviluppare per i Spl
(Servizi pubblici locali) con rilevanza
economica in base all'articolo 4, commi 1 e
2 della legge 148/2011.
L'istruttoria deve essere sviluppata
seguendo lo schema di percorso e i contenuti
essenziali previsti nel decreto ministeriale
attuativo e può già essere avviata.
03|ANALISI STORICA DELLA
SITUAZIONE DEL SPL AFFIDATO
Analisi dello stato storico del servizio.
Possibile confronto con piano industriale
del soggetto gestore.
04|FOCUS ASSETTO SPL
Rilevazione dell'articolazione operativa del
Spl (Servizi pubblici locali) anche per
singole fasi.
Analisi delle esigenze della comunità locale.
Definizione degli obblighi di servizio
pubblico e degli standard prestazionali.
Individuazione delle compensazioni.
Analisi del valore del servizio.
05|CONSULTAZIONE CON IL
MERCATO
Confronto con gli operatori di mercato per
rilevare possibile quadro concorrenziale.
Analisi delle situazioni di monopolio o
degli spazi di effettiva liberalizzazione.
Riscontro dell'incidenza degli obblighi di
servizio pubblico sulla gestione
imprenditoriale e sulla redditività della
stessa.
06|FORMALIZZAZIONE
DELL'ISTRUTTORIA
Formalizzazione degli elementi elaborati e
richiesta di parere all'Agcm (Garante della
concorrenza) da produrre entro 60 giorni.
Adozione della delibera-quadro entro 30
giorni dal parere dell'Agcm (Garante della
concorrenza).
L'anticipazione.
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Appalti. Decreto in
vigore dal 21 marzo.
Beni e servizi da programmare anno per anno.
Anche gli acquisti di beni e servizi vanno
programmati dalle amministrazioni, anno per
anno, insieme al bilancio. L'elencazione
dell' attività contrattuale della Pa infatti
non è più limitata ai lavori pubblici, ma
dal prossimo 21 marzo si estende anche ai
servizi e alle forniture.
Dando attuazione a quanto previsto dal
Codice degli appalti entra in vigore,
proprio mercoledì, il Dm Infrastrutture
dell'11.11.2011 (pubblicato sulla
«Gazzetta» del 6 marzo scorso) con gli
schemi tipo per la programmazione triennale
e l'elenco annuale dei contratti pubblici.
Il provvedimento sostituisce i modelli
precedenti, datati 2005, pensati prima del
Codice dei contratti (Dlgs 163/2006) che ha
unificato le procedure per tutti gli
appalti, di lavori , servizi e forniture.
Ecco perché i nuovi modelli di
programmazione si estendono per la prima
volta anche ai beni e ai servizi.
A queste ultime due tipologie di contratti
pubblici è riservata la scheda 4
dell'Allegato, quella appunto con il
«Programma annuale forniture e servizi
dell'amministrazione» che va compilata
indicando la tipologia di contratto, il
responsabile del procedimento, l'importo e
le risorse finanziarie disponibili.
Ma in realtà gli enti locali hanno
possibilità di discostarsene: sia perché il
Ministero precisa che sono «fatte salve le
competenze legislative e regolamentari delle
Regioni e delle Province autonome» come
riconosce in modo esplicito il
provvedimento, sia perché la norma sulla
programmazione annuale per servizi e
forniture non è vincolante. Si chiarisce
infatti che le amministrazioni
aggiudicatrici «possono» adottare il
modello, rendendo quindi la scelta una
semplice facoltà.
Unica condizione è che per inserire un
acquisto da programmare nell'anno l'ente
deve aver completato la progettazione, cioè
, deve avere disponibile: una relazione
tecnico-illustrativa del contesto in cui va
inserito il contratto, le prescrizioni per i
documenti della sicurezza, il calcolo della
spesa e degli oneri complessivi, il
capitolato e lo schema di contratto.
Ma quella sui servizi e le forniture non è
l'unica novità che gli enti locali dovranno
affrontare nel mettere mano alla
programmazione degli appalti: il nuovo
decreto è molto più stringente sui vincoli
per inserire un lavoro nell'elenco annuale.
Rispetto al modello del 2005 non basta più
indicare il livello raggiunto dalla
progettazione, i vincoli ambientali e le
finalità. Occorre avere già in mano la
conformità urbanistica che -specifica
l'articolo 3- «deve essere perfezionata
entro la data di approvazione del programma
triennale e relativo elenco annuale».
In
altre parole, mentre in base al Dm del 2005
era sufficiente indicare una vaga
«conformità urbanistica» dell'opera per
inserirla nell'elenco annuale, dal 21 marzo
invece l'effettiva fattibilità dell'opera
(permessi, coerenza con il Prg e con la
destinazione d'uso dell'area) va verificata
e acquisita a monte, fin dall'inserimento di
quell'intervento nel programma triennale che
viene compilato molto tempo prima. Un
paletto pensato per rendere più realistico
l'elenco annuale che, appunto, potrà
contenere solo i progetti realmente
fattibili, sui quali sono già state
acquisite tutte le autorizzazioni, ma che
rischia di rallentare, e di molto, la
programmazione dei lavori, visto che proprio
la fase delle autorizzazioni e della
localizzazione dell'opera è tra le più
lunghe e complesse di quelle dell'iter
realizzativo.
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Le verifiche
Documenti necessari per
inserire un contratto di fornitura
nell'elenco annuale:
1) Relazione illustrativa
2) Documenti per la sicurezza
3) Calcolo della spesa
4) Capitolato
5) Schema di contratto
(articolo Il Sole 24
Ore del 19.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazioni cum
grano salis.
Vanno verificati gli standard di qualità e
l'offerta sostitutiva. Le novità del
regolamento degli Affari regionali
sull'apertura al mercato dei servizi
pubblici locali.
La possibilità di liberalizzare i servizi
pubblici locali di rilevanza economica sarà
verificata con riguardo alle esigenze delle
comunità locali, all'offerta di servizi
sostitutivi, agli standard minimi di qualità
e sarà conseguente a una consultazione
pubblica aperta agli operatori del settore
interessati alla gestione del servizio;
soltanto dopo aver effettuato la verifica
l'ente potrà decidere se sia opportuno
mantenere sistemi di esclusiva.
Sono questi alcuni dei profili di maggiore
rilievo dello schema di regolamento, di
iniziativa del ministro per gli affari
regionali, di concerto con quello
dell'economia e dell'interno, sulla verifica
della concorrenzialità nell'ambito delle
gestioni dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica. Il provvedimento,
ancora non definitivo e in attesa di
iniziare l'iter dei pareri, attua il
contenuto dell'articolo 4 del decreto legge
13.08.2011, n. 138, che impone ai comuni
di liberalizzare tutte le attività
economiche, compatibilmente con le
caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizio e limitando,
negli altri casi, l'attribuzione di diritti
di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad
una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità.
Il regolamento, che si
applicherà a tutti gli enti territoriali
anche associati o consorziati, disciplina
quindi i criteri per la verifica di mercato
e per l'adozione della relativa delibera
quadro, oltre alle modalità di pubblicità
dei dati relativi alla gestione dei servizi.
Si prevede in particolare che la verifica,
da concretizzare in una relazione
istruttoria, debba in primo luogo prendere
in considerazione le attuali modalità di
gestione del servizio pubblico, facendo
quindi una fotografia della situazione
presente sul mercato e mettendo in risalto
eventuali compensazioni economiche
riconosciute ai gestori del servizio.
La
verifica dovrà poi prendere in
considerazione una pluralità di elementi fra
i quali l'articolazione operativa del
servizio e le eventuali distinte fase di
gestione separata e, dall'altro lato,
l'eventuale offerta di servizi sostitutivi;
le esigenze della comunità locale facendo
riferimento alle caratteristiche sociali,
demografiche, economiche, ambientali del
territorio sul quale insiste la gestione.
Altri profili da prendere in esame sono
quelli concernenti gli obblighi di servizio
pubblico, gli standard minimi delle
prestazioni, il valore economico stimato del
servizio pubblico locale, gli eventuali
investimenti da programmare, anche per opere
infrastrutturali, con i relativi tempi di
attuazione.
La verifica dovrà essere
effettuata attraverso una procedura di
consultazione del mercato, adeguatamente
pubblicizzata per raccogliere le
manifestazioni di interesse degli operatori
del settore di riferimento alla gestione in
concorrenza del servizio, ovvero di sue
singole fasi suscettibili di gestione
separata. Nella verifica si dovrà
evidenziare la sussistenza di situazioni di
monopolio naturale, anche con riferimento
alla gestione delle opere infrastrutturali e
degli impianti fissi, nonché la possibilità
di liberalizzare il servizio o singole fasi
dello stesso, l'incidenza, sulla gestione
degli standard minimi delle prestazioni e
delle caratteristiche della domanda
dell'utenza e di tariffe sostenibili per
realizzare e mantenere la coesione sociale,
al fine della verifica della redditività.
Si
dovrà infine fare riferimento anche alle
esperienze di altre aree geografiche. A
queste caratteristiche generali il
regolamento aggiunge alcune specifiche per
il settore del trasporto pubblico e dei
rifiuti. Una volta effettuata la verifica
l'ente locale adotterà la delibera che, a
sua volta, sarò trasmessa all'Antitrust per
il parere da rendere entro 60 giorni in
merito alle ragioni per un'eventuale
attribuzione di diritti di esclusiva e alla
correttezza della scelta eventuale di
procedere all'affidamento simultaneo con
gara di una pluralità di servizi pubblici
locali. Ricevuto il parere la delibera
quadro verrà adottata entro i trenta giorni
successivi.
Il regolamento istituisce anche
l'Osservatorio dei servizi pubblici locali,
presso la Conferenza unificata, che dovrà
assicurare, mediante un sistema di benchmarking,
il progressivo miglioramento della qualità
ed efficienza di gestione dei servizi (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Utility.
Pronta la bozza dell'articolo 4 della legge
148/2011.
Affidamento dei servizi, in arrivo le regole
attuative.
La verifica per l'attribuzione dei diritti
di esclusiva in relazione alla gestione di
un servizio pubblico locale deve fondarsi su
un'analisi accurata di tutti i profili
operativi ed economici del servizio, al fine
di evidenziare gli aspetti peculiari che
possano determinare la scelta per la
gestione delle attività da parte di un unico
soggetto.
Lo schema del quadro attuativo dell'articolo
4 della legge n. 148/2011, da definire in
forma regolamentare entro il 31 marzo
prossimo e ora disciplinato con una bozza
che qui anticipiamo, presenta una struttura
che delinea il percorso per l'istruttoria
della delibera-quadro in termini molto
dettagliati, partendo dal l'analisi della
situazione attuale e dalla esplicitazione
dell'articolazione, operativa del servizio
pubblico locale, eventualmente distinta in
fasi di gestione separata, nonché
l'eventuale offerta di servizi sostituivi.
Partendo dalle esigenze della comunità
locale, le amministrazioni sono chiamate
alla rilevazione specifica degli obblighi di
servizio pubblico e delle correlate
compensazioni, nonché del valore complessivo
del servizio in gestione. Sulla base di tali
elementi conoscitivi, gli enti locali devono
effettuare la verifica confrontandosi con
gli operatori di mercato, per mezzo di
un'indagine volta ad acquisire
manifestazioni di interesse degli operatori
del settore di riferimento alla gestione in
concorrenza del servizio, nel rispetto degli
obblighi di servizio pubblico.
Dal confronto sarà possibile rilevare le
situazioni di monopolio naturale o
l'incidenza degli stessi obblighi di
servizio sulla gestione imprenditoriale, ma
anche l'eventuale liberalizzazione di parti
o fasi del servizio. Solo qualora dall'esame
articolato dei vari presupposti (che può
comprendere anche confronti di benchmarking
con altre situazioni) non emerga la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale del servizio o di singole
fasi dello stesso, l'ente competente può
procedere all'affidamento in esclusiva dei
servizi (con gara, società mista o in house,
alle condizioni restrittive previste dal
comma 13).
In base alla riformulazione dei commi 3 e 4
dello stesso articolo 4 ad opera del Dl n.
1/2012, per i Comuni con popolazione
superiore ai 10mila abitanti i risultati
della verifica dovranno essere sottoposti
all'Agcm per la resa di un parere
obbligatorio entro sessanta giorni e, una
volta acquisito il parere, le
amministrazioni avranno trenta giorni per
adottare il provvedimento con il quale
attribuire i diritti di esclusiva.
Lo schema di regolamento propone una serie
di elementi di analisi ulteriori, rispetto a
quelli generalmente applicabili, per le
principali tipologie di servizi pubblici con
riferimento d'ambito, individuando procedure
valutative specifiche per il trasporto
pubblico locale e per la gestione dei
rifiuti. Disposizioni particolari vanno a
disciplinare anche il percorso che gli enti
locali devono formalizzare con la
delibera-quadro qualora intendano affidare
simultaneamente più servizi pubblici locali.
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In sintesi
01|L'AFFIDAMENTO
L'articolo 4 della legge 148/2011
(disciplina generale dei servizi pubblici
locali) prevede che prima di procedere
all'affidamento, le amministrazioni locali
debbano verificare se il servizio pubblico
può essere attribuito in gestione a un unico
soggetto
02|LA VERIFICA
La verifica deve essere sviluppata con
un'istruttoria, che deve analizzare esigenze
della comunità locale, obblighi di servizio
pubblico e mercato. Se l'analisi rileva che
il servizio non può essere liberalizzato, si
procede all'attribuzione dei diritti di
esclusiva
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: A
rischio caos il calendario dei servizi
pubblici.
TEMPI SERRATI/
Il Governo deve fissare le regole per i
Comuni entro la fine di marzo e la Regione
individua gli «ambiti» a maggio.
Il susseguirsi di interventi normativi sui
servizi pubblici locali non contribuisce
certo a fare chiarezza e a dare stabilità
agli operatori, che si trovano sempre più
sospesi tra novità e rinvii.
Da questo punto di vista il Dl sulle
liberalizzazioni non rappresenta, purtroppo,
un'eccezione: crea non poche incertezze e
costringe i diversi attori istituzionali a
un tour de force che rischia di portare a
scelte poco ponderate e di rendere comunque
inevitabile un'ennesima proroga di scadenze
piuttosto che la definitiva messa a regime
del sistema.
In ogni caso l'articolo 3-bis introdotto nel
Dl 138/2011, che introduce una nuova forma
di «ambiti ottimali» la cui definizione è
affidata alle Regioni, richiede di essere
interpretato con attenzione. Si noti,
anzitutto, che qui non si applicano le
esclusioni previste al comma 34
dell'articolo successivo. Pertanto il 3-bis
e riguarda anche i settori non ricompresi
nell'articolo 4 (energia elettrica, gas,
farmacie e, parzialmente, l'idrico).
Per contro, la richiesta che le Regioni
«organizzino lo svolgimento dei servizi
pubblici locali in ambiti o bacini
territoriali ottimali» (di dimensione almeno
provinciale) non intende che tutti i servizi
debbano essere gestiti a livello di ambito,
ma solo quelli che la Regione giudicherà
tali e quindi, probabilmente, quelli già
così regolamentati: rifiuti, trasporto
locale, acqua, eccetera Altrimenti,
rischieremmo di assistere alla nascita di
società cimiteriali di ambito e ad altre
amenità del genere, vanificando l'autonomia,
costituzionalmente garantita, dei Comuni.
Un'interpretazione omnicomprensiva di
servizio pubblico andrebbe in contraddizione
con le norme, compreso lo stesso articolo
3-bis, comma 2, che prevedono invece la
possibilità dei Comuni di procedere ad
affidamenti di servizi pubblici locali.
Cerchiamo di capire, infine, quali sono i
«momenti chiave» del processo immaginato
dagli articoli 3-bis e 4 in materia di
servizi locali.
Il primo passo spetterà al Governo che,
entro il 31 marzo, deve scrivere un decreto
in cui illustrare con quali criteri i Comuni
devono «individuare i contenuti specifici
degli obblighi di servizio pubblico e
universale, verificano la realizzabilità di
una gestione concorrenziale» e, se del caso,
decidono di attribuire il diritto di
esclusiva su certi servizi (articolo 4,
comma 1) ed emanare in proposito una
delibera quadro (comma 2).
Il secondo spetta invece alla Regione che,
in base all'articolo 3-bis, comma 1, dovrà
individuare i servizi per i quali sia
opportuna una dimensione almeno provinciale
dell'ambito di affidamento e, quindi,
emanare delle norme in proposito. Le Regioni
dovranno fare tutto ciò entro il 30 giugno.
Se questo non accade, sarà il Governo a
intervenire con l'esercizio di un potere
sostitutivo (ma che, immaginiamo, richiederà
un po' di tempo per potersi dispiegare).
A seguito di ciò dovrà iniziare il lavoro di
istruzione e di deliberazione dei Comuni
che, preso atto del decreto governativo e di
quanto regolamentato dalle Regioni, potranno
formulare le loro scelte. I Comuni con oltre
10mila abitanti dovranno però richiedere, in
base all'articolo 4, comma 3, il parere
obbligatorio (ma non vincolante)
dell'Autorità Garante per la Concorrenza
che, a sua volta, si pronuncerà entro 60
giorni di tempo. Fatto questo, ci dovranno
essere le gare per l'affidamento del
servizio o con doppio oggetto, con i tempi
che ne derivano.
Tutto ciò è realisticamente realizzabile? In
effetti si ipotizza una tempistica non
proprio compatibile con la prevista
decadenza al 31.12.2012 degli affidamenti
in house. E bene ha fatto il legislatore
a introdurre un nuovo comma 32-ter
all'articolo 4, che prevede una sorta di
proroga di fatto degli affidamenti in
essere, fino alla conclusione di questo
laborioso iter burocratico
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto ex art. 4, c. 33, del
D.L. 13.08.2011 n. 138, conv. con L.
14.09.2011, n. 148, di partecipazione alle
gare per l'affidamento della gestione dei
servizi pubblici locali per le società
affidatarie dirette di tali servizi.
L'art. 4, c. 33, del D.L. 13.08.2011 n. 138,
conv. con L. 14.09.2011, n. 148, prevede il
divieto di partecipazione alle gare per
l'affidamento della gestione dei servizi
pubblici locali per le società affidatarie
dirette di tali servizi. Pertanto, nel caso
di specie, è legittimo il provvedimento con
cui il comune ha revocato il provvedimento
di aggiudicazione provvisoria del servizio
di raccolta, trasporto smaltimento e
recupero dei rifiuti urbani nei confronti di
una ATI, in quanto la società mandante della
costituenda A.T.I., svolgeva il servizio di
gestione del centro comunale di raccolta
rifiuti di un altro ente locale mediante
affidamento diretto.
Il servizio di raccolta, trasporto
smaltimento e recupero dei rifiuti urbani
(sostanzialmente di gestione della
piattaforma ecologica di un comune) rientra,
infatti, pienamente nel concetto di servizio
pubblico. A nulla rileva la circostanza che
l'onere di remunerare l'attività svolta dal
privato sia assunto direttamente
dall'amministrazione, dato che il costo del
servizio è comunque finanziato dagli utenti
tramite il versamento al comune delle tasse
rifiuti urbani, comunque denominate, in
quanto rientrante nel ciclo di raccolta dei
rifiuti urbani e assimilati.
Del pari irrilevante è la circostanza che il
suddetto affidamento sia avvenuto con
strumento contrattale privatistico
(contratto d'appalto di servizi) piuttosto
che con un unilaterale atto amministrativo
di concessione. Infatti, in base all'art. 4,
c. 33, del D.L. n. 138/2011, è ininfluente
il titolo dell'affidamento ("gestiscono
di fatto o per disposizione di legge, di
atto amministrativo o per contratto servizi
pubblici locali ... ""), mentre è
rilevante che esso sia avvenuto come
affidamento diretto senza alcuna gara (TAR
Friuli Venezia Giulia,
sentenza 09.02.2012 n. 60 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' consentita la partecipazione
dei soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali alla prima gara svolta per
l'affidamento del medesimo servizio anche in
presenza di altri affidamenti in corso (art.
23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008).
In caso di società affidatarie dirette di
più servizi pubblici locali, il legislatore
(art. 23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008)
non ha imposto la cessazione di tali
affidamenti come condizione per partecipare
alla "prima gara", ma si è limitato a
consentire tale partecipazione a condizione,
appunto, che fosse la "prima gara svolta
per l'affidamento, mediante procedura
competitiva ad evidenza pubblica, dello
specifico servizio già a loro affidato".
Deve ritenersi maggiormente coerente con la
ratio della disciplina all'epoca
vigente l'interpretazione, secondo cui la
partecipazione alla prima gara per
l'affidamento dello stesso servizio già
affidato è possibile anche in presenza di
altri affidamenti in corso, comunque
destinati a nuove anticipate scadenze.
Una diversa interpretazione condurrebbe a
ritenere che le società affidatarie dirette
di più servizi non possano partecipare alle
nuove gare, anche se gli affidamenti stanno
progressivamente scadendo, finché tale
condizione non si realizzi per tutti gli
affidamenti, rispetto ai quali è anche
dubitabile che le società possano
unilateralmente sciogliersi dai vincoli
contrattuali (solo il vigente art. 4 del
d.l. n. 138/2011 ha previsto, come
condizione per la partecipazione degli
affidatari diretti alle nuove gare, che "sia
stata indetta la procedura competitiva ad
evidenza pubblica per il nuovo affidamento
del servizio o, almeno, sia stata adottata
la decisione di procedere al nuovo
affidamento attraverso la predetta procedura")
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.02.2012 n. 640 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ENTI LOCALI: Società,
sul Patto catena di rinvii. La sezione
Lombardia esclude il vincolo per gli enti
proprietari fino a quando la normativa è
incompleta.
L'obbligo di vigilanza riguarda tutte le
affidatarie dirette ma manca il decreto.
L'ALTRO CHIARIMENTO/ Nella gara a doppio
oggetto i compiti operativi da assegnare al
socio privato vanno decisi in base al
contratto di servizio.
L'assoggettamento al Patto di stabilità vale
per tutte le società in house che
siano affidatarie dirette di servizi
pubblici o strumentali, ai sensi
dell'articolo 18, comma 2-bis, del Dl
112/2008. Il vincolo si applica anche alle
società che gestiscono servizi pubblici
esclusi dal l'applicazione dell'articolo 4
del Dl 138/2011, in quanto l'articolo 18 ha
portata generale.
Gli enti soci delle società a totale
partecipazione pubblica, titolari di
affidamenti diretti di servizi pubblici o
strumentali senza gara, devono quindi
vigilare sull'osservanza del Patto da parte
degli organismi partecipati.
Considerato però che la norma rinvia a un
decreto la definizione delle modalità e
della modulistica, «non può farsi
derivare dalle predette norme l'obbligo
attuale, in capo agli enti controllanti, di
valutare il rispetto del Patto di stabilità
attraverso un bilancio consolidato
funzionale ad un'analisi della situazione
finanziaria della società unitamente a
quella dell'Ente locale».
Questo uno dei chiarimenti forniti dalla
Corte dei conti della Lombardia nella
delibera 7/2012, con cui ha risposto agli
oltre dieci quesiti presentati dal
presidente della provincia di Varese. L'ente
si era rivolto ai magistrati contabili in
quanto, prima di procedere alla costituzione
di un organismo partecipato per la gestione
del servizio idrico, voleva verificare quale
fosse la soluzione più idonea in relazione
alla concreta situazione giuridica e
contabile della Provincia.
Secondo la Corte dei conti, le società in
house affidatarie dirette della gestione di
un servizio pubblico a rilevanza economica
sono assoggettate al Patto.
Il Dl 1/2012 ha introdotto l'articolo 3-bis
al Dl 138/2011, stabilendo che «le
società affidatarie in house sono
assoggettate al Patto di stabilità interno
secondo le modalità definite dal Dm previsto
dall'articolo 18, comma 2-bis, del Dl
112/2008». Al contrario, le società che
hanno ricevuto l'affidamento della gestione
di servizi pubblici locali con procedura
competitiva sono escluse dal vincolo. Lo
stesso vale per la società mista il cui
socio privato sia stato scelto con gara,
anche se la procedura a evidenza pubblica
sia stata seguita solo per la scelta del
socio e in mancanza di una seconda gara per
il conferimento del servizio.
Per quanto riguarda il vincolo posto
dall'articolo 14 del Dl 78/2010, la Corte ha
ribadito che la gestione di un servizio
pubblico locale a rilevanza economica non
costituisce ex se una causa di
esclusione dall'applicazione di questi
limiti quantitativi alle partecipazioni
societarie da parte degli enti locali.
Per quanto concerne le modalità di
svolgimento della gara «a doppio oggetto»,
l'Amministrazione ha chiesto alla Corte
chiarimenti in merito agli specifici compiti
operativi che devono essere attribuiti al
socio privato per la gestione del servizio.
In particolare, è stato chiesto se tra i
compiti operativi possa essere compresa la
realizzazione diretta da parte del socio
degli interventi infrastrutturali o legati
alla manutenzione straordinaria, senza
l'obbligo da parte della società di
procedere a tali affidamenti mediante
procedure a evidenza pubblica.
In linea di principio i compiti operativi,
che devono rientrare nella procedura di gara
per la scelta del socio operativo di una
società mista per la gestione di un servizio
pubblico locale a rilevanza economica,
devono essere gli stessi oggetto del
contratto di servizio che regolerà i
rapporti tra gli enti e la società.
La Corte ha chiarito che è rimessa alla
discrezionalità del l'amministrazione
l'individuazione delle specifiche attività
da conferire al socio privato operativo e
delle modalità di svolgimento della
procedura.
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Le tappe
01 | MANOVRA 2008
L'inserimento delle società affidatarie
dirette ai vincoli del Patto di stabilità è
stato previsto dall'articolo 23-bis del Dl
112/2008
02 | DECRETO RONCHI
Il Dl 135/2009 ha riscritto la riforma dei
servizi pubblici locali rilanciando
l'obbligo
03 | DECRETO ATTUATIVO
Il Dpr 168/2010, attuativo della riforma, ha
rimandato a un decreto ulteriore il Patto
per le società
04 | «SALVA-ITALIA»
Il vincolo, abolito dal referendum, è stato
reintrodotto, rimandandolo allo stesso
decreto attuativo
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Tre
vie per arrivare all'affidamento.
I servizi pubblici locali devono essere
affidati in base a un percorso rigoroso, che
parte dalla ridefinizione dei bacini
ottimali.
Le disposizioni introdotte dal Dl
1/2012 completano il quadro di riferimento
secondo una prospettiva di razionalizzazione
per area vasta, con le Regioni chiamate a
definire entro il 30.06.2012 gli ambiti
territoriali (con dimensione almeno
provinciale), per consentire scelte
gestionali produttive di economie di scala e
di vantaggi per l'utenza.
Sulla base di tale assetto territoriale, gli
enti affidanti (amministrazioni locali o
enti preposti alla governance degli ambiti
ottimali) devono elaborare un'analisi di
mercato, da tradurre nella
deliberazione-quadro per l'attribuzione dei
diritti di esclusiva, secondo lo schema che
verrà definito da un Dm entro il 31.03.2012. La formalizzazione dell'atto
esplicativo della possibilità di affidare un
servizio pubblico a un unico gestore ha
tuttavia un regime differenziato secondo la
dimensione dell'ente. I Comuni con meno di
10mila abitanti possono adottare la
deliberazione una volta completata
l'istruttoria, mentre gli altri devono
sottoporre preventivamente la decisione
all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato.
L'Authority deve esprimere il proprio parere
obbligatorio entro 60 giorni, e su questa
base l'ente affidante deve adottare entro 30
giorni la delibera-quadro –che costituisce
un passaggio obbligatorio (senza il quale
non si può procedere all'affidamento del
servizio)– nell'ambito della quale può
essere definita anche la scelta di procedere
a un affidamento multiservizi.
La definizione dell'attribuzione dei diritti
di esclusiva della gestione di un servizio
pubblico locale con rilevanza economica
prelude allo sviluppo del percorso con gara
(che costituisce la procedura ordinaria) o
alla costituzione della società mista con
socio privato operativo o alla deroga
mediante conferimento diretto a società in
house.
La procedura selettiva è stata ulteriormente
caratterizzata dal Dl 1/2012 in termini di
massima garanzia per i fruitori del
servizio, con la previsione, tra i criteri
essenziali, dell'impegno del soggetto
gestore a conseguire economie di gestione
con riferimento all'intera durata
programmata dell'affidamento e a destinarle
alla riduzione delle tariffe da praticarsi
agli utenti.
Nel caso in cui la scelta si orienti in
alternativa sull'affidamento a una società
mista conforme ai parametri del partenariato
pubblico-privato di tipo istituzionale, con
selezione del socio privato mediante gara e
attribuzione contestuale allo stesso di
specifici compiti operativi, le
amministrazioni possono trasformare le
società attualmente affidatarie dirette,
configurandole come organismo da aprire alla
partecipazione del privato in relazione a un
affidamento ex novo di uno o più servizi.
La possibilità di utilizzare l'affidamento
in house, invece, è drasticamente limitata
dalla riduzione a 200mila euro del limite di
valore annuo del servizio attribuibile al
soggetto societario, che deve peraltro
essere conforme ai canoni comunitari. Nel
quadro delle norme relative al periodo
transitorio è tuttavia determinata la
possibilità di aggregare (con formule
diverse) società in house affidatarie di
gestioni esistenti, per una gestione
unitaria del servizio con riferimento
all'ambito ottimale limitata nel tempo (tre
anni, a partire dall'01.01.2013) e
sottoposta a significative condizioni.
Qualora gli enti locali riescano a definire
tale soluzione, infatti, il contratto di
servizio dovrà prevedere indicazioni
puntuali riguardanti il livello di qualità
del servizio reso, il prezzo medio per
utente, il livello di investimenti
programmati ed effettuati e obiettivi di
performance (redditività, qualità,
efficienza). Inoltre, la valutazione
dell'efficacia e dell'efficienza della
gestione e il rispetto delle condizioni
previste nel contratto di servizio saranno
sottoposti a verifica annuale da parte
dell'Autorità di regolazione di settore.
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Le procedure
01|GARA
Procedura ordinaria di scelta del gestore
Sviluppo secondo criteri-base indicati dalla
normativa
Il gestore si deve impegnare a conseguire
economie di scala
Durata commisurata all'ammortamento degli
investimenti
Necessaria indicazione di indennizzo per
beni del gestore uscente non interamente
ammortizzati
02|SOCIETÀ MISTA CON SOCIO PRIVATO OPERATIVO
Procedura alternativa alla gara
È individuato con gara un socio privato, cui
sono attribuiti specifici compiti operativi
(cosiddetta doppia gara) e cui vanno
assegnate quote/azioni per almeno il 40% del
capitale sociale
Per la selezione si applicano i criteri
della gara
Nelle offerte va dato maggior peso alla
qualità del servizio
03|AFFIDAMENTO IN HOUSE
Procedura derogatoria rispetto a gara e
società mista
Possibile per servizi di valore inferiore a
200mila euro annui
Possibile solo a favore di società con
parametri «in house»
Divieto di frazionamento del servizio e
dell'affidamento
(articolo Il Sole 24
Ore del 06.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Piccinni,
LE SOCIETÀ STRUMENTALI POSSONO ANCHE GESTIRE
SERVIZI PUBBLICI LOCALI - SOCIETÀ MISTE,
INAPPLICABILITÀ DEL DIVIETO DI CUI ALL’ART.
13 D.L. 223/2006 (link a
www.gazzettaamministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi locali. Il ministero dell'Ambiente
ferma le gestioni fuori regola.
In house vietato a società mista senza gara.
QUESTIONE DI CALENDARIO/
La tagliola agli affidamenti prevista dalla
riforma è scattata perché il referendum
abrogativo è intervenuto solo più tardi.
Gli affidamenti in house di servizi pubblici
locali a società miste in cui il socio
privato sia stato scelto senza gara sono
illegittime, anche se l'articolo 23-bis del
Dl 112/2008 che ha introdotto la riforma dei
servizi pubblici locali è stato abolito con
i referendum di giugno.
Lo chiarisce il
ministero dell'Ambiente nella risposta a un
quesito avanzato da un ente locale su una
situazione che torna ancora in modalità
analoghe in parecchi casi sparsi qua e là
per l'Italia.
Il «niet» pronunciato dal ministero
dell'Ambiente, che di fatto condanna
all'illegittimità tutti gli affidamenti in
house a società miste formate senza gara,
nasce da ragioni di calendario. La riforma
dei servizi pubblici, rilanciata dal
«decreto-Ronchi» del 2009 prima di essere
cancellata dai referendum, prevedeva una
serie di date di chiusura per le diverse
tipologie di affidamento.
Nel caso delle società miste, i casi
previsti dalla regola erano tre.
L'affidamento a mista con socio scelto con
gara a doppio oggetto (la procedura con cui
si individua contestualmente il socio e i
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio da attribuirgli) poteva arrivare
tranquillamente alla scadenza del contratto.
Nei casi in cui il socio fosse stato scelto
con gara semplice (quella che individua
l'azienda privata partner ma non i compiti
operativi da affidarle), la data di chiusura
era fissata al 31.12.2011, mentre
nelle altre tipologie di partnership lo stop
sarebbe dovuto intervenire entro il 31.12.2010.
Proprio quest'ultima è la data chiave su cui
poggia il ragionamento ministeriale.
Il referendum che ha travolto con l'ondata
di «sì» la liberalizzazione dei servizi
pubblici (prima dell'articolo 4 della
manovra estiva che l'ha rimessa in campo) è
intervenuto nel giugno del 2011, per cui la
tagliola agli affidamenti a società miste
con partner individuato senza gara è rimasta
in vigore per sei mesi.
Ergo: nessun affidamento di questo tipo può
continuare oggi a dispiegare i propri
effetti, perché la sua "esistenza in vita"
avverrebbe grazie alla violazione di una
legge abrogata solo in un secondo momento.
Sulla base degli stessi presupposti,
naturalmente, l'abrogazione obbligatoria non
è intervenuta per gli affidamenti con data
di scadenza successiva al giugno del 2011, a
partire da quelli a società mista scelta con
gara semplice che sarebbero dovuti
tramontare a dicembre.
Per gli affidamenti in house ancora
legittimamente funzionanti, il calendario di
uscita è quello corretto da ultimo dal
decreto sulle liberalizzazioni. In
particolare, possono stare in piedi fino a
fine anno gli affidamenti diretti di servizi
che valgono più di 200mila euro all'anno, la
nuova soglia individuata dal provvedimento
come limite massimo per aggirare la gara.
Una regola, quest'ultima, che di fatto si
traduce in una proroga degli affidamenti
diretti superiore al vecchio limite di
900mila euro, che secondo la manovra bis di
Ferragosto avrebbero dovuto alzare bandiera
bianca entro il prossimo 31 marzo.
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L'intreccio di date
01 | IL PRIMO CALENDARIO
Le date di scadenza degli affidamenti in
house erano state fissate dall'articolo
23-bis del Dl 112/2008. In particolare, per
le società miste, si prevedeva la decadenza
dell'affidamento
- Alla scadenza del contratto, se il socio
era stato individuato con gara a doppio
oggetto (scelta del socio e compiti
operativi connessi alla gestione del
servizio)
- Al 31.12.2011, se il socio era stato
individuato con gara semplice (finalizzata
solo alla scelta del socio)
- Al 31.12.2010 negli altri casi
(società mista senza gara)
02 | IL REFERENDUM
Il referendum abrogativo è intervenuto a
giugno 2011; di conseguenza sono illegittimi
gli affidamenti che sarebbero dovuti
decadere prima di quella data
03 | IL NUOVO CALENDARIO
Il Dl 1/2012 fissa al 31.12.2012 la
decadenza degli affidamenti diretti di
servizi di valore superiore a 200mila euro
annui (articolo Il Sole 24 Ore del 02.02.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
pubblici. Il calendario delle gestioni.
In house, tempi lunghi e clausola di
salvaguardia.
Le gestioni esistenti dei servizi pubblici
locali con rilevanza economica hanno un
nuovo quadro di scadenze, che individua per
molte di esse il termine anticipato tra la
fine del 2012 e la primavera del 2013, ma
che garantisce la continuità delle
prestazioni qualora le procedure per i nuovi
affidamenti si prolunghino troppo.
Il Dl ha reimpostato le regole del periodo
transitorio, modificando varie parti
dell'articolo 4, comma 32, della legge
148/2011, in modo tale da consentire agli
enti affidanti di gestire meglio il
passaggio tra i gestori uscenti e quelli
subentranti.
L'elemento di maggior rilievo è individuato
nel nuovo termine per gli affidamenti in
house e per le altre tipologie di
affidamenti impropri: la deadline per tali
gestioni è stabilita al 31.12.2012. La
disposizione riguarda tutti gli affidamenti
diretti di valore superiore a 200mila euro
annui (secondo il nuovo parametro) o che non
abbiano i requisiti comunitari per l'in
house (controllo analogo e prevalenza
dell'attività a favore dell'ente affidante).
La scadenza di fine anno per queste gestioni
ha tuttavia un'alternativa importante,
poiché la riformulazione operata dal Dl
1/2012 consente alle società esistenti che
siano affidatarie dirette di aggregarsi per
una gestione unitaria dei servizi, avendo a
riferimento l'ambito o il bacino
territoriale ottimale.
Il percorso è esplicitamente indicato come
derogatorio della norma generale, quindi
lascia presumere la possibilità del
mantenimento dell'in house anche per valori
superiori ai 200mila euro, ma deve condurre
a un'azienda frutto dell'integrazione
operativa delle preesistenti gestioni
dirette, con varie soluzioni possibili dalla
fusione alla società consortile.
Tuttavia il nuovo gestore unico dopo il
riassetto è destinato a operare con un
vincolo temporale stretto, poiché il suo
spazio di attività e limitato a tre anni,
decorrenti dal 31.12.2012, nonché in
base a condizioni rigorose sotto il profilo
della qualità e delle garanzie per l'utenza.
La deroga è finalizzata a superare il
frazionamento delle gestioni in molti
contesti e a consentire la costituzione di
organismi societari più forti e più
efficienti, in grado di sostenere meglio il
confronto con altri operatori economici
nelle gare per l'affidamento dei servizi
dimensionati sugli ambiti o sui bacini
territoriali ottimali. Proprio questa
prospettiva si collega alla nuova norma,
definita nell'articolo 3-bis, comma 1, della
legge 148/2011, che obbliga le Regioni a
definire i bacini e gli ambiti ottimali per
i servizi entro il 30.06.2012.
Il termine del periodo transitorio è stato
ridefinito anche per le gestioni affidate a
società miste nelle quali il socio privato,
anche se scelto con gara, non sia risultato
originariamente affidatario anche di
specifici compiti operativi: in tal caso la
scadenza degli affidamenti in essere è
stabilita al 31.03.2012.
Restano invece invariate le disposizioni che
consentono la prosecuzione delle gestioni
alle società miste conformi alle norme Ue,
che stabiliscono due scadenze per la
progressiva dismissione delle quote o azioni
di proprietà pubblica per consentire il
mantenimento degli affidamenti in essere
alle società quotate.
La complessa gestione delle nuove procedure
di affidamento lascia presupporre che molte
di esse giungeranno all'individuazione del
nuovo gestore ben oltre le scadenze del
periodo transitorio, tanto che il Dl 1/2012
ha introdotto una norma di salvaguardia. Per
non pregiudicare la continuità
nell'erogazione dei servizi di rilevanza
economica, il nuovo comma 32-ter stabilisce
che i soggetti gestori dei servizi
assicurano l'integrale prosecuzione delle
attività anche oltre le scadenze previste,
fino al subentro del nuovo gestore e
comunque, in caso di liberalizzazione del
settore, fino all'apertura del mercato alla
concorrenza
(articolo Il Sole 24
Ore del 30.01.2012 - link a
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Primo
effetto del Dl «Cresci-Italia». In house:
gestioni sopra-soglia attive fino a dicembre.
Non è nel Milleproroghe, ma il primo effetto
delle regole sulle società partecipate dagli
enti locali previste dal decreto sulle
liberalizzazioni varato venerdì scorso è un
rinvio. Riguarda la decadenza automatica
degli affidamenti diretti effettuati nei
confronti di società in house oltre la
soglia di valore consentita: il tetto, per
effetto dello stesso decreto, scende da
900mila a 200mila euro annui, ma la tagliola
scatta viene rinviata al 31 dicembre.
In
pratica, gli affidamenti che superano il
vecchio tetto di 900mila euro, e che
avrebbero dovuto alzare bandiera bianca al
31 marzo, ottengono per questa via dieci
mesi di vita aggiuntiva: tre anni in più,
poi, sono possibili se le società si fondono
in un'unica realtà di bacino, all'interno
degli ambiti che dovranno essere individuati
dalle Regioni.
Gli affidamenti al minimo
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, quindi,
gli affidamenti diretti saranno ridotti al
minimo, perché il nuovo tetto di valore
esclude una grossa fetta di servizi, ma
anche in questo caso la nuova regola
aggiunge un tassello che si può rivelare
importante: il divieto di affidamento
diretto, infatti, non scatta se la società
nei confronti del quale viene effettuato è
l'unica a gestire il servizio all'interno
dell'ambito territoriale ottimale.
Le novità sono contenute nell'articolo 25
del decreto «Cresci-Italia» approvato
venerdì, che nell'ottica dichiarata della
«promozione della concorrenza nei servizi
pubblici locali» rivede profondamente
l'assetto delle regole introdotte dalle
ultime manovre per disciplinare i rapporti
fra Comuni e società in house.
Un altro
piccolo rinvio introdotto dalla nuova
normativa riguarda il decreto ministeriale
che dovrà fissare le regole per la delibera
di ricognizione dei servizi pubblici: la
disciplina ministeriale dovrà vedere la luce
entro il 31 marzo (il vecchio termine era
fissato al 31 gennaio), ma la procedura
diventa decisamente più stringente rispetto
a quella in vigore fino a oggi.
La delibera,
infatti, serve a "giustificare" sulla base
di un'indagine di mercato la necessità di
evitare la gara competitiva per seguire la
vecchia strada dell'in house, ma nel nuovo
quadro il parere dell'Antitrust diventa
obbligatorio e vincolante per le future
scelte dell'ente locale.
Nuovi vincoli all'in house
Per limitare il ricorso all'in house, il
decreto di venerdì conferma alcuni vincoli
già previsti dalla vecchia normativa ma
ancora da attuare, e ne aggiunge di nuovi.
Del primo gruppo fanno parte
l'assoggettamento ai vincoli del Patto di
stabilità, che ora si estende anche alle
aziende speciali ma attende un decreto
attuativo previsto fin dall'articolo 23-bis
del Dl 112/2008 ma mai arrivato al
traguardo.
Nell'attesa del decreto, però, la
riforma pone un limite all'indebitamento:
fino al varo delle nuove regole, infatti, i
nuovi mutui assunti dalle affidatarie in
house non possono far superare agli oneri
annuali di ammortamento il tetto del 25%
delle entrate effettive accertate nel
bilancio dell'esercizio precedente.
Confermato anche l'obbligo di selezione del
personale secondo i principi del concorso a
evidenza pubblica previsti per le pubbliche
amministrazioni dal Dlgs 165/2001, ma su
questo versante le novità sono rilevanti.
L'articolo 25, comma 4 del «Cresci-Italia»
prevede infatti che le società affidatarie
in house si adeguino anche alle
«disposizioni che stabiliscono a carico
degli enti locali divieti o limitazioni alle
assunzioni di personale, contenimento degli
oneri contrattuali e delle altre voci di
natura retributiva o indennitarie e per le
consulenze anche degli amministratori».
Si tratta di un gruppo di regole
particolarmente significativo dopo gli
interventi taglia-spesa delle ultime
manovre, per cui la previsione si traduce
nell'estensione alle affidatarie dirette,
tramite la via obbligata dei regolamenti
autonomi, del blocco contrattuale, del tetto
agli stipendi e delle regole che tagliano i
trattamenti accessori nei primi giorni di
malattia.
Una previsione draconiana, che potrebbe
porre più di un problema applicativo viste
le differenze contrattuali e di struttura
stipendiale che le aziende presentano
rispetto agli enti pubblici (articolo Il
Sole 24 Ore del 24.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali, tre anni di in house a chi si fonde.
NUOVA SOGLIA/ Scende a 200mila euro il valore
contrattuale minimo per l'affidamento senza
gara dei servizi ad aziende controllate
dall'ente locale.
Le aziende di servizi pubblici locali che si
accorperanno per servire un bacino di
traffico più ampio e di dimensione almeno
provinciale potranno godere di tre anni di
continuazione dell'affidamento in house. È
una delle misure che intendono incentivare
la crescita dimensionale delle imprese
(soprattutto pubbliche) operanti oggi nei
mercati piuttosto polverizzati dei servizi
pubblici locali.
Il ministro per lo Sviluppo, Corrado
Passera, ha esplicitato questo obiettivo che
si potrebbe definire di politica industriale
con riferimento esplicito al settore dei
trasporti, ma la lettura delle norme
approvate ieri svela che il trattamento di
favore riguarda anche gli altri settori che
ricadono sotto la disciplina generale dei
servizi pubblici locali, come per esempio la
raccolta e la gestione dei rifiuti. Per
altro, le aziende che si accorpassero per
raggiungere la dimensione auspicata
avrebbero anche una serie di vantaggi in
termini di minori vincoli del patto di
stabilità.
Non è questa l'unica riforma forte in
materia di servizi pubblici locali. Il
Governo ha deciso di rafforzare, su proposta
del ministro delle Regioni, Piero Gnudi, le
regole che favoriscono la concorrenza. Per
l'in house, per esempio, nell'affidamento
senza gara dei servizi ad aziende pubbliche
controllate al 100% dall'ente locale, la
soglia che oggi è fissata a 900mila euro di
valore contrattuale scende a 200mila euro.
In questa direzione anche l'obbligatorietà
del parere dell'Autorità Antitrust nel caso
in cui un comune rinunci allo svolgimento di
un servizio in regime di completa
liberalizzazione e decida di confermare lo
svolgimento del servizio «in esclusiva» o in
concessione. Non ci sarà il
silenzio-assenso: i comuni avranno bisogno
comunque del parere favorevole dell'Autorità
per poter varare la delibera quadro che
assegna i servizi in monopolio.
È entrata, alla fine di un lungo tira e
molla, anche la norma che reintroduce
l'obbligo di gara per il settore del
trasporto ferroviario regionale, che
nell'attuale disciplina è escluso dal regime
generale per una deroga esplicita (insieme a
energia elettrica, gas e farmacie). La norma
approvata ieri reintroduce l'obbligo per le
Regioni di affidare il servizio con una gara
ma fa salvi i contratti che le Regioni hanno
già firmato in questi anni con Trenitalia
per un periodo "protetto" di sei anni.
Non
vengono salvati invece gli eventuali rinnovi
per ulteriori sei anni che pure erano
previsti dalla legge ad hoc. Alla scadenza
dei contratti attuali, quindi, gara
obbligatoria. L'altro effetto di questo
compromesso è che non rischiano di essere
azzerati i contratti in essere, come invece
avverrà per tutti gli altri affidamenti a
servizi pubblici avvenuti in passato senza
gara
(articolo Il Sole 24
Ore del 21.01.2012). |
APPALTI SERVIZI: In house, la strada è la
fusione.
Chi si aggrega andrà avanti fino al 2017.
Mutui senza paletti.Il dl liberalizzazioni
riscrive la disciplina dei servizi locali.
Aziende speciali soggette al Patto.
Incentivi alle fusioni delle gestioni in
house. Le aziende che si metteranno insieme
potranno andare avanti tranquillamente fino
alla fine del 2017. L'obiettivo del governo
è promuovere l'accorpamento delle realtà
locali in modo da avere un unico gestore per
ciascun bacino territoriale ottimale
coincidente almeno con l'estensione della
provincia.
Le società risultanti dalla fusione,
inoltre, non avranno paletti nella
sottoscrizione di mutui per investimenti,
mentre le altre dovranno fare bene i conti
perché gli interessi delle rate annuali di
ammortamento, sommati a quelli dei mutui
precedentemente contratti, non potranno
superare il 25% delle entrate effettive
dell'azienda.
La soglia per gli affidamenti scende da 900
a 200 mila euro. Quelli di valore economico
superiore dovranno cessare a fine 2012.
Mentre le gestioni affidate direttamente a
società miste pubblico-private (se la
selezione del socio è avvenuta senza gara a
«doppio oggetto») termineranno il 31.03.2013. L'attribuzione di diritti di esclusiva
sarà possibile solo previo parere
obbligatorio dell'Antitrust che dovrà
pronunciarsi entro 60 giorni dalla ricezione
della delibera dell'ente.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che oggi
il governo Monti porterà sul tavolo del
consiglio dei ministri, riscrive in molti
punti la disciplina dei servizi pubblici
locali già rivista dal governo Berlusconi
con la manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
E per incentivare comuni, province e regioni
ad applicare le nuove regole stabilisce che
chi lo farà sarà considerato virtuoso ai
fini dell'applicazione degli sconti sul
patto di stabilità.
Anche le aziende speciali dovranno
rispettare i vincoli di bilancio secondo
modalità che saranno definite con un decreto
ministeriale che il governo approverà entro
la fine di giugno. In ogni caso alle
partecipate si applicheranno tutte le
disposizioni emanate negli ultimi anni per
comprimere la spesa degli enti locali:
divieti e limiti alle assunzioni, taglio
delle retribuzioni, riduzione delle
consulenze.
Tutela della concorrenza a livello locale.
Per promuovere la concorrenza a livello
comunale è prevista l'individuazione di un
apposito ufficio presso la presidenza del
consiglio che dovrà monitorare la normativa
locale alla ricerca di eventuali
disposizioni contrastanti con i principi di
libero mercato (di veda ItaliaOggi del
12/1/2012). Qualora vengano riscontrate
irregolarità il nuovo organismo assegnerà
all'ente un «congruo termine» per rimuovere
i limiti alla concorrenza, decorso il quale
scatteranno i poteri sostitutivi previsti
dalla legge La Loggia (n. 131/2003).
L'ufficio supporterà gli enti locali anche
nella dismissione delle loro quote di
partecipazione in società di utility.
Obblighi informativi dei concessionari. I
concessionari e affidatari di servizi
pubblici locali saranno obbligati a fornire
ai comuni, che vogliono bandire una gara per
assegnare il servizio da loro svolto, tutte
le informazioni utili (impianti,
infrastrutture, rivalutazioni,
ammortamenti). Dovranno farlo entro 60
giorni dalla richiesta. Diversamente
potranno andare incontro a una sanzione da 5
mila a 500 mila euro
(articolo ItaliaOggi del
20.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'affidamento diretto di un
servizio ad una società mista: il comune
appaltante deve specificare l'oggetto
sociale perseguito dalla costituenda società
in quella determinata composizione sociale
fin dall'indizione della gara.
La scelta del comune di eseguire
direttamente un servizio assicura un
corretto uso delle (sempre più scarse)
risorse pubbliche a disposizione degli enti
locali.
Il comune appaltante, per non eludere le
regole del confronto concorrenziale,
nell'affidare direttamente il servizio ad
una società mista, fin dall'indizione della
gara per l'individuazione del socio privato,
deve specificare l'oggetto sociale
perseguito dalla costituenda società in
quella determinata composizione sociale, in
guisa tale che la realizzazione, la modifica
o il venire meno dell'oggetto e/o della sua
composizione sociale condizionano non solo
l'operatività della società ma, a monte, la
partecipazione stessa del socio privato.
In definitiva seppure è vero che la società
mista, al pari di qualsiasi altra impresa,
segue la logica di mercato, nondimeno il
rispetto delle regole previste per
l'affidamento del servizio si riflettono
dialetticamente, non solo (ovviamente) sul
piano genetico, bensì (e soprattutto) su
quello operativo.
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Lo svolgimento dell'attività amministrativa
in forma societaria è tipica espressione di
scelta discrezionale che deve essere
sorretta da adeguata ponderazione degli
interessi, anche economici, che inducono
l'ente locale ad esternalizzare una funzione
propria.
Viceversa l'esecuzione dell'attività
istituzionale amministrativa da parte degli
organi dell'ente locale, condensato nel caso
di specie, con il neologismo "internalizzazione
del servizio", è per così dire
nell'ordine delle cose, ed, oltretutto,
nella situazione contingente, assicura un
corretto uso delle (sempre più scarse)
risorse pubbliche a disposizione degli enti
locali.
Del resto la scelta del comune di eseguire
direttamente il servizio di riscossione dei
tributi è eziologicamente riconducibile alla
situazione deficitaria in cui versava il
comune a causa dei gravi inadempimenti
imputabili al socio industriale della
società mista. Inadempimento e conseguente
estromissione dal servizio del socio
industriale che hanno di fatto comportato la
decadenza dall'affidamento diretto del
servizio alla società mista appositamente
costituita per quello scopo (TAR Liguria,
Sez. II,
sentenza 18.01.2012 n. 111 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: LIBERALIZZAZIONI/
Utility,
privatizzazioni a tappe.
Sulla cessione delle quote la road map
termina nel 2015. Ripescata la tempistica
del dl Fitto-Ronchi. Risarcimenti agli
utenti.
Sulla privatizzazione delle utility si torna
all'antico. Gli affidamenti in house di
valore superiore a 200 mila euro (la nuova
soglia individuata dal governo, rispetto
agli attuali 900 mila euro) non solo
dureranno fino 31.12.2012 (sarebbero
dovuti cessare al 31 marzo) ma potranno
sopravvivere anche oltre, fino alla naturale
scadenza del contratto di servizio, a
condizione che la partecipazione detenuta
dai soci pubblici si riduca ad almeno il 40%
entro il 30.06.2013 e al 30% entro il 31.12.2015.
Diversamente gli affidamenti termineranno in
tali date. La road map sarà la stessa anche
per le gestioni affidate direttamente a
società a partecipazione mista pubblica e
privata, qualora la selezione del partner
privato non sia avvenuta con «gara a doppio
oggetto», ossia riguardante al tempo stesso
la qualità socio e l'attribuzione dei
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio. Anche in questo caso le gestioni
potranno durare fino a naturale scadenza a
condizione che le quote in mano pubblica si
riducano fino a raggiungere le percentuali
di cui sopra entro le predette date.
Nella
tabella di marcia per favorire l'ingresso
dei privati nella gestione dei servizi
pubblici locali il governo Monti ripropone
tali e quali le norme della riforma Fitto
(dl 135/2009) cancellata a giugno 2011 dai
referendum sull'acqua pubblica. Il pacchetto
liberalizzazioni che andrà venerdì sul
tavolo del consiglio dei ministri contiene
invece norme tutte nuove sulle dismissioni
delle quote da parte dei comuni.
Le regole
introdotte dal dl 78/2010 (articolo 14,
comma 32) e modificate prima dal decreto milleproroghe di fine 2010 (dl n. 225
convertito nella legge n. 10/2011) e poi
dalla manovra di Ferragosto (dl 138/2011)
restano confermate. Il che significa che i
municipi con popolazione compresa tra 30
mila e 50 mila abitanti avranno tempo fino
al 31.12.2013 per ridurre a una sola
le partecipazioni societarie detenute.
Mentre i comuni sotto i 30 mila abitanti
dovranno portare a termine le dismissioni
entro il 31.12.2012 a meno che le
partecipate abbiano avuto il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano
subìto riduzioni di capitale sociale e
perdite da ripianare.
Ma, ferma restando
questa disciplina, i comuni, quando avranno
esigenza di ampliare i mercati e ripianare i
propri debiti, potranno (la norma parla
espressamente di «facoltà» e non di obbligo)
cedere le proprie quote tramite gara,
comunicandone l'esito inizialmente entro il
30.09.2012 e poi entro il 30
settembre di ogni anno. L'esito delle
procedure dovrà essere comunicato alla
neonata unità di missione per la tutela dei
consumatori e la promozione della
concorrenza nelle regioni e negli locali che
sarà istituita presso palazzo Chigi.
E a proposito di tutela degli utenti, il
pacchetto liberalizzazioni di Monti apre la
strada al risarcimento dei danni per
violazione degli standard minimi di qualità.
Si legge infatti nella bozza di
provvedimento che nelle carte di servizio
dovranno essere indicati i diritti «anche di
natura risarcitoria che i consumatori e le
imprese utenti possono esigere nei confronti
dei gestori del servizio e
dell'infrastruttura».
I comuni dovranno acquisire il parere
dell'Antitrust sulle delibere con cui
decidono di mantenere i regimi di esclusiva
sottraendo uno o più settori alla
liberalizzazione. La manovra di Ferragosto
(dl 138/2011), nell'art. 4 che ha riscritto
la disciplina dei servizi pubblici locali
dopo i referendum di giugno, non prevedeva
tale obbligo e stabiliva solo che la
delibera (di cui doveva essere data adeguata
pubblicità) dovesse essere inviata
all'Antitrust per l'opportuna relazione al
parlamento.
Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del
governo Monti condiziona l'adozione della
delibera al parere dell'Autorità garante
della concorrenza che dovrà pronunciarsi
entro 60 giorni sulla base dell'istruttoria
svolta dall'ente locale
(articolo ItaliaOggi del 18.01.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'affidamento in house del servizio
trasporto infermi ad una società consortile
interamente pubblica, in quanto da alcune
previsioni statutarie, emerge la vocazione
commerciale della società consortile.
E' illegittimo l'affidamento in house
del servizio trasporto infermi disposto da
un'Azienda Ospedaliera Universitaria ad una
società consortile interamente pubblica
statutariamente costituita tra la Regione e
le Aziende del S.S.R., in quanto da alcune
previsioni statutarie, emerge la vocazione
commerciale della società consortile,
vocazione commerciale che, rende precario il
controllo (analogo) dell'ente pubblico.
In particolare, le disposizioni statutarie e
della convenzione che mirano a consentire
l'utilizzo del personale per finalità ed "attività
ulteriori" rispetto a quelle del
servizio di emergenza-trasporto 118
rispondono all'esigenza di "portare
ricavi ulteriori", al fine ultimo di
mantenere i livelli occupazionali dei
dipendenti della società. L'affidamento
in house, è stato scelto non tanto e non
solo per le asserite ragioni di economicità
del servizio ma anche per trovare "una
soluzione interna per venire a capo della
grave situazione creata dalla travagliata
vicenda del rapporto convenzionale con la
Croce Rossa e con la SISE s.p.a., sfociata
in un contenzioso ormai inestricabile e
gravissimo ed in una sostanziale bancarotta
della società".
Questa ulteriore finalità ha comportato un
ampliamento dell'oggetto sociale e dei
soggetti destinatari dei servizi, con
conseguente acquisizione da parte della
società di una vocazione commerciale,
perdita del controllo analogo ed
allentamento del nesso di strumentalità
dell'attività sociale con le esigenze
pubbliche degli enti controllanti.
Pertanto, per affermare l'effettività del
cd. controllo analogo, condizione necessaria
ai fini della legittimità di un affidamento
in house, la società affidataria non
può acquisire una vocazione commerciale tale
da rendere precario il controllo dell'ente
pubblico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 13.01.2012 n. 44 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizi
locali più aperti al mercato.
Pronto il decreto Monti-Gnudi: in esclusiva
solo le reti non pienamente liberalizzabili.
LOGICA RIBALTATA
Comuni e Province dovranno motivare con una
delibera-quadro la scelta di riconfermare i
monopoli nella fornitura.
Gli enti locali potranno dare in esclusiva,
in monopolio, in concessione -sempre
passando per una gara- soltanto quei
servizi pubblici locali per cui non ci siano
le condizioni di mercato per una
liberalizzazione piena, con più operatori
pronti a fornire il servizio in regime di
concorrenza. Comuni e province dovranno
anche motivare, con un'apposita analisi di
mercato e una delibera-quadro, una scelta
esplicita di riconferma dei monopoli nella
fornitura dei servizi.
Questo ribaltamento
in chiave concorrenziale del regime attuale,
che prevede invece un netto prevalere delle
"esclusive", riguarderà intere reti di
servizi locali come i trasporti o la
raccolta dei rifiuti o anche parti di queste
reti di servizio (per esempio i collegamenti
per gli aeroporti o i servizi notturni).
Il Governo Monti è pronto ora a confermare e
ad attuare con la "fase due" le scelte fatte
con la manovra di Ferragosto dall'ex
ministro Raffaele Fitto che aveva fatto
inserire nell'articolo 4 del decreto legge
138/2011, oltre allo stop degli affidamenti
in house sopra 900mila euro l'anno e
all'obbligo di gara (la cosiddetta
"concorrenza per il mercato"), anche il
principio di affidare al mercato tutte le
attività liberalizzabili ("concorrenza nel
mercato"). Un ribaltamento che era stato
richiesto più volte in passato anche
dall'Antitrust guidato da Antonio Catricalà,
che ora da sottosegretario alla presidenza
del Consiglio sta lavorando al dossier
liberalizzazioni.
A lavorare a questo aspetto delle
liberalizzazioni nei servizi pubblici locali
è oggi il ministro delle Regioni, Piero
Gnudi, che ha confermato in Parlamento la
volontà di procedere nell'attuazione della
manovra di Ferragosto. Gnudi sta lavorando
in particolare al decreto interministeriale
Regioni-Economia-Interno che dà attuazione
al ribaltamento voluto da Fitto, dettando ai
Comuni e agli altri enti locali le direttive
sulla delibera quadro e sull'analisi di
mercato da svolgere prima di nuovi
affidamenti di servizi. Il decreto
interministeriale deve essere emanato entro
il 31 gennaio dopo essere passato alla
conferenza unificata Stato-Regioni-città e
finirà naturalmente nel "pacchetto
liberalizzazioni". I Comuni avranno tempo
per adeguarsi fino alla scadenza delle
attuali gestioni: la prima applicazione sarà
quindi già al 31 marzo, quando scadranno le
cosiddette gestioni "non conformi" perché
affidate senza gara e senza alcuna
legittimazione.
Nel decreto interministeriale
Gnudi-Monti-Cancellieri sarà contenuta anche
un'altra rivoluzione voluta dall'articolo 4:
l'obbligo di rendere pubblici, anche in
modalità on-line, «i dati concernenti il
livello di qualità del servizio reso, il
prezzo medio per utente e il livello degli
investimenti effettuati». Il decreto
interministeriale detterà i criteri con cui
i comuni dovranno procedere a rendere
pubblici i dati. La finalità del
provvedimento è quella di «assicurare il
progressivo miglioramento della qualità di
gestione dei servizi pubblici locali e di
effettuare valutazioni comparative delle
diverse gestioni». Cittadini, utenti,
imprese potranno confrontare le performance
dei singoli gestori, anche se qui non
mancano nodi da sciogliere, quali sono
l'asimmetria informativa e i dati riservati
che i gestori accampano per limitare non di
rado la trasparenza.
Gnudi ha anche riconfermato nel question
time di quindici giorni fa in Parlamento
le tre direttrici in cui si muove la
disciplina dei servizi pubblici locali a
proposito delle modalità di affidamento dei
servizi in esclusiva: affidamento a gara per
la selezione del soggetto gestore;
affidamento a gara "a doppio oggetto" per la
selezione del socio privato della società
mista, con partecipazione pubblica non
inferiore al 40%; affidamenti in house,
senza gara a società controllate al 100%
dagli enti locali, circoscritti ai soli
servizi pubblici locali di valore economico
inferiore a 900.000 euro/anno
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Rischio
nullità per gli atti che violano la
concorrenza.
LA NOVITÀ/ L'Antitrust può cancellare le
decisioni locali. Se l'ente non si adegua al
parere motivato scatta il ricorso
dell'Avvocatura.
Ai più sembra sfuggito l'articolo 35 del
decreto salva Italia (legge n. 214/2011),
eppure esso è la conferma che a Roma inizia
a destare preoccupazione il fatto che molte
norme sulla pubblica amministrazione
rimangano di fatto lettera morta.
Il riferimento è al comma 2 dell'articolo
citato, ove si prevede che «l'Autorità
garante della concorrenza e del mercato, se
ritiene che una pubblica amministrazione
abbia emanato un atto in violazione delle
norme a tutela della concorrenza e del
mercato, emette, entro sessanta giorni, un
parere motivato, nel quale indica gli
specifici profili delle violazioni
riscontrate. Se la pubblica amministrazione
non si conforma nei sessanta giorni
successivi alla comunicazione del parere,
l'Autorità può presentare, tramite
l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro
i successivi trenta giorni».
In pratica l'Autorità, se ritiene che un
atto violi i principi di libera concorrenza,
può muoversi prima con le buone e poi
arrivare a promuovere la rimozione dell'atto
(con quanto ne può conseguire sul piano
delle responsabilità contabili e degli
allarmi penali). Chi pensava di avere
rimosso l'ostacolo rappresentato
dall'Autorità con l'abrogazione del 23-bis
della manovra estiva 2008 è servito.
Il tutto dovrebbe suscitare non poca
preoccupazione nei nostri amministratori e
dirigenti: «non è che questa volta si fa sul
serio?». Nel Paese dei rinvii e dei "penultimatum"
siamo certo portati a dubitare che davvero
si decida di verificare con determinazione
la corretta applicazione di norme difficili
da digerire. È quindi difficile prevedere
che cosa potrà mai avvenire in concreto, ma
certo, a giudicare dagli ultimi interventi
normativi, è innegabile che si abbia la
sensazione che molte cose stiano cambiando.
Fino a poco tempo fa, infatti, niente era
più facile del l'elusione delle norme o, per
i meno raffinati, del semplice ignorarle.
Eppure l'articolo 35 del decreto salva
Italia è solo l'ultima norma di una lunga
serie di interventi tesi a far rispettare le
regole con maggiore rigore. Gli effetti del
decreto "premi e sanzioni", ad esempio, lo
ha provato per primo il Comune di Castiglion
Fiorentino, del quale la Corte dei conti ha
chiesto e ottenuto il dissesto (ma altri
atti del genere sembrano essere in dirittura
d'arrivo).
Ancora, si ricorda che il Dl 138/2011 prima
(articolo 16, comma 14) e la legge di
stabilità poi (introducendo all'articolo 4
del Dl 138/2011 il comma 32-bis) hanno
affidato alle prefetture il compito di
verificare gli adempimenti dei Comuni sia in
tema di messa in liquidazione delle società
non ammesse sia di correttezza delle
procedure in tema di servizi pubblici
locali, fino ad arrivare all'esercizio del
potere sostitutivo con tutto ciò che ne
consegue: «nel caso in cui, all'esito
dell'accertamento, il Prefetto rilevi la
mancata attuazione di quanto previsto dalle
disposizioni (...), assegna agli enti
inadempienti un termine perentorio entro il
quale provvedere. Decorso inutilmente detto
termine, il Prefetto nomina un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti
necessari».
E non è finita qui. L'antesignano di queste
norme sono certo i commi da 10 a 12 del
l'articolo 20 del Dl 98/2011 che esordiscono
stabiliscono «i contratti di servizio e gli
altri atti posti in essere dalle Regioni e
dagli enti locali che si configurano elusivi
delle regole del patto di stabilità interno
sono nulli» e che affidano alla Corte dei
conti il potere di perseguire e sanzionare
con una consistente sanzione pecuniaria il
responsabile dei servizi finanziari e gli
«amministratori che hanno posto in essere
atti elusivi delle regole del patto di
stabilità interno».
Vedremo come verranno applicate queste
norme. Ma è bene non sottovalutare il
rafforzamento dei controlli che il
legislatore sta, gradualmente, realizzando
(articolo Il Sole 24
Ore 02.01.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
anno 2011 |
|
APPALTI SERVIZI:
Sull'art. 13 dl 223/2006 (c.d.
decreto Bersani) e sulle differenze tra
attività strumentale e gestione dei servizi
pubblici.
L'art. 13 del d.l. 04.07.2006, n. 223 conv.
nella l. 04.08.2006, n. 248 (c.d. decreto
Bersani), prevede che le società a capitale
interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche
regionali e locali per la produzione di
servizi strumentali alle attività da esse
svolte, devono operare esclusivamente con
gli enti costituenti o affidanti e non
possono svolgere prestazioni (lavori,
servizi, forniture) a favore di altri
soggetti pubblici o privati, né partecipare
ad altre società o enti. Trattasi di
disposizione dal carattere eccezionale che
deve, quindi, essere interpretata in stretta
aderenza al suo dato letterale e senza
possibilità alcuna di applicazione oltre i
casi in essa previsti. Ne consegue che, tale
norma non può applicarsi nel caso di specie,
riguardante una gara per l'affidamento del
servizio di verifica degli impianti termici
dei comuni della provincia, in quanto la
società non presenta quei caratteri di
strumentalità e funzionalità individuati
dalla normativa citata ma opera nel mercato
in diretta concorrenza con le altre imprese.
L'enunciato dell'art. 13 del d.l. n. 223 del
2006, rende evidente che la qualificazione
differenziale tra attività strumentale e
gestione dei servizi pubblici deve essere
riferita non all'oggetto della gara, bensì
all'oggetto sociale delle imprese
partecipanti ad essa. Il divieto di fornire
prestazioni a enti terzi, infatti, colpisce
le società pubbliche strumentali alle
amministrazioni regionali o locali, che
esercitano attività amministrativa in forma
privatistica, non anche le società destinate
a gestire servizi pubblici locali che
esercitano attività d'impresa di enti
pubblici, essendo posto, come sancito dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 328 del
2008, al fine di separare le due sfere di
attività per evitare che un soggetto che
svolge attività amministrativa eserciti allo
stesso tempo attività d'impresa,
beneficiando dei privilegi dei quali essa
possa godere in quanto pubblica
amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.12.2011 n. 6974 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Divieto delle società partecipate di
intervenire nel libero mercato.
Il divieto di intervenire nel libero mercato
e conseguentemente di partecipare alle gare
pubbliche è previsto dall’articolo 13 del
decreto Bersani (d.l. 04.07.2006, n. 223,
convertito con Legge 04.08.2006, n. 248)
nei confronti delle società partecipate da
amministrazioni pubbliche che svolgono
attività strumentale e funzionale a quella
svolta dagli enti partecipanti.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 29.12.2011 n. 6974
nell’ambito di una gara per l’affidamento
del servizio di verifica degli impianti
termici dei comuni della provincia di Roma.
Nel caso in esame l’amministrazione
aggiudicatrice aveva proceduto ad affidare
il servizio ad una azienda che le ricorrenti
(seconda e terza classificata) desumevano
essere esposta al divieto di cui
all’articolo 13 del d.l. 04.07.2006, n.
223.
E’ necessario considerare che tale norma del
decreto Bersani prevede per le società a
capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche per la produzione
di servizi strumentali alle attività da esse
svolte, il divieto di operare nel libero
mercato con l’impossibilità di svolgere
prestazioni a favore di soggetti pubblici o
privati, o di partecipare ad altre società o
enti.
Su quale debba essere l’esatta
interpretazione della norma la sentenza in
commento ha affermato che “Trattasi, come la
giurisprudenza ha già affermato, di
disposizione dal carattere eccezionale che
deve, quindi, essere interpretata in stretta
aderenza al suo dato letterale e senza
possibilità alcuna di applicazione oltre i
casi in essa previsti (Cons. Stato, sez. V,
22.03.2010, n. 1651; 07.07.2009, n.
4346; sez. VI, 16.01.2009, n. 215).
Nel solco della chiara giurisprudenza
citata, è evidente che tale norma non può
applicarsi alla (omissis) in quanto essa
società non presenta quei caratteri di
strumentalità e funzionalità individuati
dalla normativa citata ma opera nel mercato
in diretta concorrenza con le altre
imprese.”
I giudici di Palazzo Spada hanno dunque
messo in evidenza due elementi fondamentali
per l’applicabilità del divieto in commento:
- L’esame dell’oggetto sociale. Deve
trattarsi di società a capitale interamente
pubblico o misto;
- L’attività svolta. Tali società devono
svolgere attività strumentale e funzionale a
quella dall’ente locale partecipante.
La materia trattata nel caso de quo presenta
ancora oggi dei passaggi interpretativi di
difficile soluzione dovuti alla produzione
legislativa spesso contraddittoria ed alle
interpretazioni fornite dalla
giurisprudenza.
Il faro che comunque ed in ogni momento
dovrebbe sempre guidare la pubblica
amministrazione, a dispetto di una normativa
spesso confusa, è il rispetto dei principi
previsti a livello comunitario e nazionale,
proporzionalità, par condicio, trasparenza
ed economicità.
Soltanto una loro ragionevole applicazione
può tenere indenne l’agire amministrativo da
eventuali vizi di illegittimità (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento "in house" è una
fattispecie non contrattuale che, come tale,
per sua stessa natura si sottrae al diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni.
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Sui requisiti condizionanti la legittimità
del ricorso all'istituto dell'in house.
L'affidamento "in house", che
rappresenta il tentativo di conciliare il
principio di auto-organizzazione
amministrativa con i principi di tutela
della concorrenza e del mercato, non è una
fattispecie contrattuale eccezionalmente
sottratta all'applicazione del diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni, ma è, al contrario, una
fattispecie non contrattuale che, come tale,
per sua stessa natura si sottrae al diritto
comunitario degli appalti e delle
concessioni.
Ciò precisato, dunque, la giurisprudenza
comunitaria e nazionale, partendo dal
concetto che l'affidamento diretto di un
servizio è giustificato quando il soggetto
affidatario si trova in una posizione
strumentale e di rapporto organico con
l'Amministrazione affidante, ha individuato
i requisiti in presenza dei quali può
ritenersi verificata la sussistenza di detta
posizione e, conseguentemente, giustificato
il conferimento "in house".
Tali requisiti sono la proprietà, da parte
dell'ente pubblico, del capitale sociale del
soggetto affidatario e l'esercizio sul
medesimo di una forma di controllo analoga a
quella svolta sui propri servizi, e
l'esercizio, da parte della società
affidataria, della quota prevalente della
sua attività a favore dei soci.
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In relazione ai requisiti condizionanti la
legittimità del ricorso all'istituto dell'in
house va evidenziato che, atteso che al
momento di scegliere la forma di gestione di
un servizio pubblico tra quelle previste
dalla legge l'ente locale è sempre tenuto a
giustificare la scelta che concretamente
effettua, in caso di affidamento "in
house" è necessario dimostrare non solo
la sussistenza dei presupposti richiesti per
l'autoproduzione, ma anche la convenienza
rispetto all'affidamento della gestione del
servizio a soggetti terzi, perché, in
difetto, la scelta sarebbe del tutto
immotivata e contraria al principio di buona
amministrazione cui deve conformarsi
l'operato della PA (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 14.12.2011 n. 1823 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
ENTI LOCALI: PARTECIPATE/ Dismissioni lente.
Due le finestre: a fine 2012 e 2013. Parere
della Corte conti Lombardia.
Più tempo per le dismissioni societarie dei
comuni medio-grandi. Gli enti con
popolazione compresa tra 30 mila e 50 mila
abitanti non dovranno affrettarsi entro fine
2011 a ridurre a una sola le partecipazioni
societarie detenute, ma potranno farlo con
calma entro il 31.12.2013. Per i
comuni sotto i 30 mila abitanti le
dismissioni dovranno essere portate a
termine entro il 31.12.2012 a meno che
le partecipate abbiano avuto il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano
subìto riduzioni di capitale sociale e
perdite da ripianare.
L'importante chiarimento arriva dalla Corte
conti Lombardia che nel
parere 15.11.2011 n. 602 ha preso in esame la scansione
temporale contenuta nell'art. 14, comma 32
del dl 78/2010 e rimaneggiata più volte dal
legislatore tanto da indurre gli enti in più
di un equivoco.
Lo stesso in cui stava per cadere il comune
di Seregno (Mb) che con 43 mila abitanti e
tre partecipazioni societarie, temeva di
doverne dismettere due entro il 31.12.2011.
Questa almeno sembrava essere la dead line
risultante dall'applicazione delle norme,
modificate prima dal decreto milleproroghe
di fine 2010 (dl n. 225 convertito nella
legge n. 10/2011) e poi da ultimo dalla
manovra di Ferragosto (dl 138/2011).
Si trattava però di una lettura
«eccessivamente restrittiva e non coerente»
(come ha commentato l'Anci in una nota in
cui ha espresso apprezzamento per il
chiarimento) perché avrebbe stabilito per i
comuni più grandi una scadenza anticipata
rispetto agli obblighi dei comuni sotto i 30
mila abitanti. I giudici contabili lombardi
hanno ricordato come il dl 225/2010 abbia
prima fatto slittare dal 31/12/2011 al
31/12/2013 il termine per tutti i comuni
(sia quelli inferiori a 30 mila abitanti sia
quelli compresi tra 30 mila e 50 mila
abitanti). Ma poi è intervenuto il dl
138/2011 che ha anticipato di un anno (31.12.2012) la
dead line solo per i
comuni inferiori a 30 mila abitanti.
La diversa scansione temporale, secondo la
Corte conti, ha una giustificazione: «Una
diversa esigenza di snellimento degli
apparati, coerente con l'impianto generale
dell'art. 14, comma 32, del dl 78».
Infatti entro la fine del 2012 i comuni
sotto i 30 mila abitanti dovranno mettere in
liquidazione le società già costituite
(oppure cederne le partecipazioni) a meno
che non ricorrano le tre condizioni sopra
menzionate (bilanci in utile negli ultimi
tre esercizi, nessuna riduzione di capitale
conseguente a perdite di bilancio, nessuna
perdita che abbia costretto il comune a
un'operazione di salvataggio).
Tale disciplina non si applica alle società
(con partecipazione paritaria ovvero
proporzionale al numero degli abitanti)
costituite da comuni di popolazione
complessiva superiore a 30 mila abitanti.
Entro il 31.12.2013, invece, i comuni tra 30
mila e 50 mila abitanti potranno mantenere
la partecipazione in una sola società e
dovranno mettere in liquidazione tutte le
altre
(articolo ItaliaOggi del 19.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI - ENTI LOCALI:
Il termine legale per le
dismissioni delle partecipazioni contra
legem ex art. 14, c. 32, del d.l. n.
78/2010, per i comuni con una popolazione
compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è il
31.12.2013.
Il vigente quadro normativo ex art. 14, c.
32, del d.l. n. 78/2010 può essere
ricostruito nei seguenti termini: fermo
quanto previsto dall'articolo 3, commi 27,
28 e 29 della l. 24.12.2007, n. 244, i
comuni con popolazione inferiore a 30.000
abitanti non possono costituire società.
Entro il 31.12.2012 i comuni mettono in
liquidazione le società già costituite alla
data di entrata in vigore del decreto,
ovvero ne cedono le partecipazioni, a meno
che le società già costituite:
a) abbiano, al 31.12.2012, il bilancio in
utile negli ultimi tre esercizi;
b) non abbiano subito, nei precedenti
esercizi, riduzioni di capitale conseguenti
a perdite di bilancio;
c) non abbiano subito, nei precedenti
esercizi, perdite di bilancio in conseguenza
delle quali il comune sia stato gravato
dell'obbligo di procedere al ripiano delle
perdite medesime.
Le disposizioni di cui al comma 32 non si
applicano alle società, con partecipazione
paritaria ovvero con partecipazione
proporzionale al numero degli abitanti,
costituite da più comuni la cui popolazione
complessiva superi i 30.000 abitanti; i
comuni con popolazione compresa tra 30.000 e
50.000 abitanti possono detenere la
partecipazione di una sola società; entro il
31.12.2013 i predetti comuni mettono in
liquidazione le altre società già costituite
(Corte dei Conti, sez. regionale di
controllo per la Regione Lombardia,
pareri 15.11.2011 n.
602 e
n. 603
- massima tratta da
www.dirittodeiservizipubblici.it).
---------------
Per un approfondimento si
legga anche:
Nota sul parere della Corte e dei Conti,
sezione Lombardia n. 602/2011/PAR del
15/11/2011 relativo al termine per le
dismissioni societarie dei Comuni con
popolazione compresa fra i 30.000 ed i
50.000 abitanti (ANCI,
nota 18.11.2011). |
APPALTI SERVIZI: Stop
alle elusioni «salva in-house». Vietato
frazionare il servizio per non superare la
soglia che vieta l'affidamento.
Gli enti locali non
possono frazionare un servizio pubblico per
farlo rientrare nel limite di valore che
consente di affidarlo in-house a una società
partecipata.
La legge di stabilità interviene con
un'importante integrazione della disciplina
degli affidamenti diretti di servizi
pubblici locali con rilevanza economica,
recependo le osservazioni dell'Autorità
garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm).
La nuova disposizione è inserita nel comma
13 dell'articolo 4 della legge 148/2011 e
stabilisce che, per garantire l'unitarietà
del servizio, è vietato procedere al
frazionamento del medesimo servizio e del
relativo affidamento. Il dato normativo fa
fronte a una delle principali criticità
delle nuove regole per l'in-house,
evidenziate dall'Agcm nell'atto di
segnalazione al parlamento AS 864 del
26.08.2011, con cui si rilevava che il
sistema di esenzioni dall'obbligo di gara
configurato dalla nuova disciplina si
prestava facilmente a comportamenti elusivi
da parte delle amministrazioni.
Per aggirare i limiti normativi sarebbe
stato infatti sufficiente frazionare gli
affidamenti in tante "tranche",
ciascuna non oltre i 900mila euro annui, per
poterle poi attribuire tutte direttamente a
controllate in-house.
Business plan.
Gli enti locali non potranno distinguere
artificiosamente le attività rientranti in
un unico processo produttivo, come, per
esempio, quelle del ciclo integrato dei
rifiuti. In secondo luogo, sono obbligati a
definire un business plan complessivo
e ad affidare in un unico momento tutte le
attività riferibili alla tipologia di
servizio, non potendo effettuare
integrazioni successive: per esempio, un
servizio di gestione parcheggi da 850mila
euro annui dovrà essere affidato tutto
insieme con riferimento al piano sosta, e
una eventuale successiva integrazione del
valore di 100mila euro andrà affidata con
gara.
L'affidamento in-house resta comunque
configurato come procedura derogatoria
rispetto a quella principale (la gara) e
all'opzione alternativa (la società mista
con socio privato operativo), che può essere
esperita solo se ricorrono i presupposti
richiesti dall'ordinamento comunitario
(controllo analogo e prevalenza
dell'attività a favore dei soci) e per
servizi di valore annuo non superiore ai
900mila euro.
La deliberazione.
Le modifiche apportate dalla legge di
stabilità rafforzano l'importanza della
deliberazione (prevista dal comma 1
dell'articolo 4 della legge 148/2011) con la
quale dev'essere verificata la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale dei servizi stessi (a fini di
liberalizzazione massima delle attività
economiche) oppure, in base ad un'analisi di
mercato, viene prevista l'attribuzione di
diritti di esclusiva al gestore quando
l'iniziativa economica privata non risulti
idonea a garantire un servizio rispondente
ai bisogni della comunità. La rilevanza di
questo passaggio è stata evidenziata
dall'integrazione al comma 4, in base alla
quale, quando la deliberazione non è
adottata, l'ente locale non può procedere
all'attribuzione di diritti di esclusiva e,
conseguentemente, la gestione dei servizi
dev'essere rimessa a una pluralità di
gestori.
La formalizzazione della verifica è quindi
necessaria per sviluppare l'affidamento con
gara, come previsto nel primo periodo del
comma 8 dell'articolo 4, ma anche per
l'eventuale opzione della società mista e,
soprattutto, per l'affidamento in-house.
In questa ipotesi, infatti, l'attribuzione
del diritto di esclusiva è una condizione
necessaria perché si concretizzi
l'affidamento diretto, il quale, per sua
natura, esclude comunque gestioni
contestuali o concorrenti.
Dalla combinazione delle disposizioni deriva
pertanto un effetto interdittivo: se l'ente
non adotta la deliberazione con cui
definisce i diritti di esclusiva, non può
esserci affidamento in house, in quanto
ammetterebbe implicitamente il possibile
intervento di operatori privati. Per poter
adottare la deliberazione, le
amministrazioni devono attendere un decreto
ministeriale (da emanare entro il
31.01.2012), con cui si definiranno i
contenuti essenziali dell'atto-quadro (in
base al nuovo comma 33-ter).
---------------
Nell'ultimo anno si
rientra in gara.
Le società attualmente
affidatarie dirette di servizi pubblici
locali possono concorrere a gare per i
servizi da esse gestiti, ma entro limiti più
precisi.
La legge di stabilità ridisegna la
disposizione derogatoria contenuta
nell'ultimo periodo del comma 33
dell'articolo 4 della legge 148/2011,
traducendo le indicazioni fornite dall'Agcm
per limitare i potenziali effetti distorsivi
della particolare disciplina.
Le condizioni.
Il nuovo dato normativo stabilisce che i
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali possono comunque concorrere
su tutto il territorio nazionale a gare
indette nell'ultimo anno di affidamento dei
servizi da essi gestiti, se sussistono
determinati presupposti.
Rispetto alla formulazione originaria (che
replicava quella del comma 9 dell'articolo
23-bis della legge 133/2008 e sulla quale si
era sviluppata una consistente
giurisprudenza) la nuova disposizione
modifica le condizioni che consentono agli
affidatari diretti di partecipare ad altre
gare. A essi è consentito concorrere alle
procedure per il conferimento di servizi nel
caso in cui siano nella fase finale
(inferiore a un anno) del proprio
affidamento e sia già stata bandita la gara
per il riaffidamento del servizio o, almeno,
sia stata adottata la decisione di procedere
al nuovo affidamento attraverso procedure a
evidenza pubblica oppure anche mediante
in-house, ma a soggetto diverso
dall'affidatario diretto uscente.
I paletti.
Il dato normativo consente quindi alle
società in house di partecipare a gare per
servizi pubblici indette da altre
amministrazioni solo se sono nella fase
conclusiva della propria gestione.
Una società che abbia mantenuto
l'affidamento diretto, perché compatibile
con i limiti previsti dal comma 13, o che lo
abbia ottenuto ex novo, non potrà
invece partecipare alle procedure che
vengano indette in altri contesti.
L'affidatario in-house potrà prendere
parte alla gara per il servizio da esso
gestito, a condizione che sia formalizzata
la fase finale della gestione esistente o la
stessa ricada nelle scadenze previste per il
periodo transitorio (31.03.2012).
---------------
Mancano le regole per la
delibera quadro.
Il quadro delle regole
per lanciare lo sviluppo del sistema dei
servizi pubblici locali è quasi completo.
Manca un ultimo tassello, che potrebbe dare
l'input determinante per segnare il momento
decisivo di una riforma attesa da anni e
destinata a trasformare molti settori.
La legge di stabilità (con il comma 33-ter
appena introdotto nell'articolo 4 della
legge 148/2011) prevede che con un decreto
interministeriale –adottato dal ministro
degli Affari regionali d'intesa con i
ministri dell'Economia e dell'Interno– sia
definito il format della
deliberazione-quadro che gli enti dovranno
adottare per la definizione dei diritti di
esclusiva e siano precisati alcuni profili
relativi agli standard qualitativi per gli
utenti.
Tuttavia il decreto è previsto anche come
strumento di attuazione dell'intera
disciplina dei servizi pubblici locali e
proprio questa sua finalizzazione dovrebbe
permettere all'esecutivo di definire tutte
le norme di chiarimento per gli affidamenti.
Molti elementi critici sono già stati
risolti proprio dalle disposizioni della
legge di stabilità, a partire dalle
importanti precisazioni introdotte nel comma
32, che fanno decadere al 31.03.2012 gli
affidamenti diretti non conformi ai
parametri comunitari per l'in-house.
Tutte le scadenze delle gestioni esistenti
permangono nei termini originariamente
previsti dall'articolo 4 della legge
148/2011 e questo dato, unito alla scadenza
per l'adozione del Dm attuativo (fissata al
31.01.2012) non sembra offrire margine
alcuno per dilazioni ulteriori: la
combinazione tra le norme e i vari passaggi
delineati obbligano gli enti locali a
compiere un percorso a tappe forzate, che
dovrà essere avviato necessariamente tra
marzo e giugno del prossimo anno.
Alla fine del primo trimestre e del primo
semestre del 2012, infatti, scadono
rispettivamente le gestioni esistenti
affidate direttamente a società in house e a
società miste che siano state costituite in
modo non conforme ai principi comunitari del
partenariato pubblico-privato.
Possono proseguire solo i rapporti derivanti
da affidamenti diretti per servizi di valore
fino al limite (900mila euro annui)
stabilito dalla disposizione derogatoria,
anch'esso, peraltro, oggetto di chiarimenti
decisivi nella legge di stabilità
(articolo Il
Sole 24 Ore del 14.11.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: I
PROVVEDIMENTI PER LO SVILUPPO/ Niente
affidamenti in house sopra i 500 mila.
Circoscritto l'ambito dell'in house nei
servizi pubblici locali.
Il
maxiemendamento
del governo alla legge di stabilità, allo
scopo di aprire maggiormente i mercati alla
concorrenza, restringe ulteriormente la
possibilità di affidare la gestione delle
utility senza passare dalla gara.
La soglia di valore del servizio, al di
sopra della quale non saranno più ammessi
affidamenti in house nei confronti di
società a capitale interamente pubblico,
scende infatti, per effetto delle modifiche
proposte dal governo, da 900 a 500 mila
euro. Inoltre, per garantire l'unitarietà
del servizio, sarà vietato frazionarlo in
vari tronconi da affidare ciascuno
autonomamente.
Nel maxiemendamento hanno
trovato posto, inoltre, le misure per
facilitare la cessione alle banche dei
crediti vantati dalle imprese verso la p.a.
(anticipate su ItaliaOggi del 4/10/2011).
Per gli enti locali e le regioni diventerà
un obbligo (e non più solo una facoltà come
accade oggi) certificare i crediti certi,
liquidi ed esigibili vantati dalle aziende
affinché queste possano cederli a banche o
altri intermediari finanziari.
Su istanza
delle imprese, gli enti dovranno rilasciare
la certificazione entro 60 giorni. In caso
contrario, toccherà alla Ragioneria dello
stato competente per territorio che potrà
arrivare a nominare un commissario ad acta
pagato dalle amministrazioni locali. Per
realizzare queste modifiche il
maxiemendamento corregge l'art. 9, comma
3-bis, del decreto anticrisi del 2008 (dl
185/2008) che per primo ha previsto la
chance della cessione alle banche dei
crediti delle imprese verso regioni, enti
locali ed enti del Ssn. Anche se si è
trattato di una disposizione pressoché
inattuata. Il punto debole della norma,
secondo i tecnici del ministero della
semplificazione, è stato rappresentato dal
fatto che la certificazione dei crediti era
prevista come eventuale e non obbligatoria.
E questo ne ha radicalmente depotenziato
l'effetto.
Ora invece gli istituti di credito non
potranno ostacolare la cessione dei crediti.
Perché in futuro nei bandi di gara per la
gestione dei servizi di tesoreria degli enti
sarà previsto come requisito essenziale
l'impegno da parte del tesoriere comunale a
non opporsi alla cessione pro soluto delle
somme dovute per somministrazioni, forniture
e appalti. A questo proposito il
maxiemendamento del governo inserisce una
modifica ad hoc all'interno dell'art.210 del
Testo unico sugli enti locali (dlgs
n.267/2000).
Affitti trasparenti.
Tra le altre novità del maxiemendamento di
interesse per gli enti locali se ne segnala
una (sempre partorita dai tecnici di Roberto
Calderoli) che impone di far luce sui costi
sostenuti per la locazione di beni immobili.
Le amministrazioni saranno obbligate a
pubblicare sul proprio sito internet tutte
le informazioni su spese di affitto,
finalità di utilizzo, dimensioni e
ubicazione
(articolo ItaliaOggi dell'08.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Partecipate
«blindate» sui servizi.
La società non può gestire insieme funzioni
pubbliche e strumentali.
Una società partecipata non può gestire
contestualmente servizi pubblici e servizi
strumentali, quindi gli enti locali soci
devono definire adeguate soluzioni.
La Corte dei conti, sezione regionale di
controllo per la Lombardia, con il
parere 17.10.2011 n.
517 ha spiegato
come l'articolo 13 della legge n. 248/2006
vieti a una società partecipata di gestire
allo stesso tempo servizi pubblici locali e
servizi strumentali.
La disposizione non ammette deroghe e rende
necessario il superamento di quelle
situazioni nelle quali le amministrazioni
abbiano utilizzato lo strumento societario
per svolgere funzioni e attività di loro
competenza in modo eterogeneo, senza
distinguere fra la gestione di servizi
pubblici locali –a rilevanza economica o
privi di rilevanza economica– e servizi
strumentali.
La Corte dei conti lombarda rileva come la
commistione tra attività, resa possibile in
passato da una normativa molto permissiva,
oggi non sia più possibile, a fronte di
regole precise e rigorose, differenziate per
la gestione delle varie funzioni e attività.
In particolare, dice la Corte, l'articolo 13
del decreto Bersani stabilisce specifiche
incompatibilità fra la gestione di attività
strumentali, che vedono come interlocutore
l'ente locale e le attività a rilevanza
economica, che hanno un'incidenza sul
mercato. L'analisi dà per acquisito il
principio per cui il requisito della
strumentalità sussiste quando l'attività che
le società svolgono sia rivolta agli stessi
enti promotori o comunque azionisti della
società per svolgere le funzioni di supporto
delle amministrazioni pubbliche.
Il parere dunque mette in evidenza come le
società che gestiscono servizi strumentali
non possano svolgere, in relazione alla loro
posizione privilegiata, altre attività a
favore di altri soggetti pubblici o privati,
poiché in caso contrario si verificherebbe
un'alterazione o comunque una distorsione
della concorrenza all'interno del mercato
locale di riferimento.
È in quest'ottica che si giustifica, del
resto, la previsione contenuta nel secondo
comma dello stesso articolo 13 della legge
n. 248/2006, in base al quale gli enti
locali devono prevedere per le società
strumentali un oggetto sociale esclusivo.
Non è possibile pertanto che la stessa
società che opera in house svolga per conto
di uno o più enti attività strumentali e
gestisca servizi pubblici locali.
Il divieto imponeva agli enti locali di
intervenire entro il 04.01.2010 per
adottare soluzioni organizzative che
comportassero la reinternalizzazione dei
servizi strumentali, ovvero l'affidamento a
terzi con gara dei servizi pubblici locali a
rilevanza economica o, ancora, la creazione
di distinti organismi societari per la
gestione in modo separato delle attività
strumentali e dei servizi pubblici locali. A
fronte anche del caso analizzato, la Corte
dei conti lombarda rileva come vi siano
ancora commistioni gestionali in molte
società, per le quali gli enti soci, se non
hanno ancora provveduto a eliminare
l'anomalia, devono provvedere, anche per
evitare di incorrere nelle specifiche
violazioni di legge e nella nullità dei
contratti in essere.
---------------
Incompatibilità
01 | LA LEGGE
In base alla legge 248 del
2006 gli enti locali prevedono per le
società strumentali un oggetto sociale
esclusivo: la stessa società che opera in
house non può svolgere per uno o più enti
attività strumentali e gestire servizi
pubblici.
02 | LA CORTE DEI CONTI
La sezione di controllo della Lombardia ha
ribadito che una partecipata non deve
gestire contestualmente servizi pubblici e
strumentali
(articolo
Il Sole 24 Ore del 07.11.2011 - link
a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sul divieto di cui all'art.
23-bis, c. 9, del d.l. n. 112/2008.
L'art. 23-bis, c. 9, del DL n. 112/2008,
vieta l'acquisizione della gestione di
servizi ulteriori, in concessione o in
appalto, alle società che già gestiscono
servizi pubblici locali ad esse affidati
senza il rispetto dei principi dell'evidenza
pubblica, anche per il tramite di società
controllanti o da essa controllate. La
ratio della predetta disposizione va
ravvisata nell'esigenza di impedire
alterazioni del mercato concorrenziale che
deriverebbero dalla partecipazione alle gare
per l'affidamento di ulteriori servizi
pubblici locali a quei soggetti che, in
quanto già affidatari diretti di tali
servizi, si trovano in una posizione di
privilegio acquisita al di fuori dei
meccanismi dell'evidenza pubblica; in tale
contesto, è affatto irrilevante la modalità
di affidamento prescelta dalla stazione
appaltante (appalto o concessione), atteso
che il divieto posto dal legislatore
riguarda genericamente "l'acquisizione
della gestione di servizi ulteriori".
Inoltre, non v'è motivo per ritenere che le
modalità di remunerazione delle attività, la
bilateralità del rapporto e la mancanza
dell'alea, pur idonee a far ascrivere la
gara nella categoria dell'appalto anziché in
quella della concessione, possano influire
sulla natura delle prestazioni da svolgere:
è evidente che anche in tal caso le attività
affidate continuano a configurarsi quale
servizio pubblico locale, essendo del tutto
irragionevole ritenere che esse possano, al
contrario, perdere detta qualità in
dipendenza della tipologia dell'affidamento
(concessione o appalto) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 10.10.2011 n. 1509 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Antitrust,
no al conto terzi nell'affidamento in house.
Illegittimo l'affidamento in house, a una
società strumentale interamente partecipata
da una regione, di attività di supporto al
responsabile del procedimento, di alta
sorveglianza e di Pcm (project construction
management) che non abbiano carattere
istituzionale e che soprattutto siano a
beneficio di un altro soggetto pubblico
(un'altra Regione).
È quanto ha affermato
l'Autorità garante della concorrenza e del
mercato nel parere
06.09.2011 n. 47798 di prot., emesso ai sensi
dell'articolo 22 della legge 287/1990 e
concernente la convenzione stipulata fra la
Regione Calabria, quattro Asl calabresi, la
Regione Lombardia e la Ilspa concernente la
realizzazione di quattro presidi
ospedalieri, Vibo Valentia, Piana di Gioia
Tauro, Sibaritide e Catanzaro).
In
particolare l'Antitrust ritiene in
violazione dell'articolo 13 della legge
248/2006 l'affidamento in via diretta alla Ilspa dell'attività di supporto al Rup e di
Pcm e alta sorveglianza per la fase
realizzativa degli interventi, considerato
che la Ilspa, fa parte del sistema regionale
della Lombardia ed è una società strumentale
della Regione lombarda (che ne detiene la
totalità del capitale).
In relazione alla
natura della società affidataria
l'Antitrust, nel parere trasmesso al
Presidente della Regione Calabria, evidenzia
come tale società avrebbe potuto svolgere in
house soltanto attività di valorizzazione e
sviluppo della dotazione infrastrutturale
della regione lombarda e soltanto a favore
della regione Lombardia.
Viceversa,
l'Autorità per la concorrenza e il mercato
pone in luce come la convenzione si
concretizzi «in un affidamento diretto alla Ilspa di attività che lungi dal consistere
nella produzione di beni e servizi
strumentali all'attività istituzionale della
regione Lombardia, vanno a beneficio di un
altro soggetto pubblico», cioè il
commissario delegato all'emergenza socio-economico-sanitaria
nella Regione Calabria, in violazione
dell'articolo 13 della legge 248/2006 che fa
divieto alla società strumentale di rendere
prestazioni a favore di altri soggetti
pubblici o privato
(articolo ItaliaOggi del 07.10.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/ Partecipate al
test sopravvivenza. Mantenimento della
gestione dei servizi legato a efficienza e
dimensioni.
La strategia dei piccoli Comuni che entro il
2012 devono chiudere le società o trovare
strade per tenerle in piedi.
Entro la fine del 2012 i piccoli comuni
devono chiudere le loro società partecipate
o definire scelte strategiche che consentano
di mantenerle operative. Il Dl 138/2011 e la
legge 148/2011 di conversione hanno
modificato le regole su liquidazione delle
società e cessione delle altre
partecipazioni da parte dei comuni con
popolazione sotto 30mila abitanti (articolo
14, comma 32, della legge 122/2010),
fissando come nuova scadenza il 31.12.2012.
Agli enti restano tuttavia due possibilità
per consentire alle controllate di
proseguire nella gestione dei servizi
affidati. La prima deroga si fonda sulla
sussistenza di parametri di efficienza
economico-finanziaria degli organismi
partecipati, che devono avere, anche qui con
scadenza anticipata al 31.12.2012, il
bilancio in utile negli ultimi tre esercizi
e che non devono aver subito nei precedenti
esercizi riduzioni di capitale conseguenti a
perdite di bilancio o perdite che abbiano
comportato ripiani da parte dei soci
pubblici.
La seconda possibilità per evitare la
liquidazione è legata a un parametro
dimensionale: la società deve essere
costituita da comuni la cui popolazione
complessiva superi i 30mila abitanti e la
partecipazione al capitale sociale deve
essere paritaria o proporzionale al numero
degli abitanti. Su questo punto le
amministrazioni hanno un adeguato margine
per verificare se i flussi demografici hanno
elevato o diminuito il numero dei residenti
(anche in forza del censimento di
quest'anno), potendo elaborare strategie che
consentano anche di aprire la compagine
societaria ad altri comuni. Un percorso del
genere, tuttavia, dovrebbe essere supportato
da un adeguato piano industriale, tale da
evidenziare il vantaggio per tutti i soci e
per il potenziamento della stessa società.
Se la società può essere mantenuta in
attività, i comuni devono in ogni caso
verificare se essa può proseguire nella
gestione dei servizi affidati, in base alle
nuove norme sulla cessazione delle gestioni
esistenti (articolo 4, comma 33, del Dl
138/2011), che risultano particolarmente
restrittive e limitanti per gli organismi in
house.
Il comma 32 dell'articolo 14 della legge
122/2010 ha subito numerosi interventi del
legislatore, tanto che con il milleproroghe
2011 (legge 10/2011) la scadenza per le
dismissioni era stata portata al 31.12.2013 e con il decreto sviluppo (legge
106/2011) è stata eliminata la parte della
disposizione che rimetteva la sua attuazione
a un decreto ministeriale.
Tuttavia nella parte della disposizione
relativa alla razionalizzazione delle
partecipazioni da parte dei comuni con
popolazione tra 30mila e 50mila abitanti è
rimasta la scadenza del 31 dicembre 2011.
Tali enti, pertanto, entro fine anno
potranno detenere la partecipazione a una
sola società. La prossimità del termine
obbliga le amministrazioni comunali
interessate a definire in tempi molto rapidi
una strategia, che può comportare soluzioni
diverse, come ad esempio l'incorporazione
per fusione o la costituzione di una
holding. La rilevanza dei processi di
dismissione e di razionalizzazione delle
partecipazioni è ora rafforzata dalla
previsione contenuta nel comma 28
dell'articolo 16 della manovra, nel quale è
previsto che il prefetto accerti che gli
enti territoriali interessati abbiano
attuato, entro i termini stabiliti, le
operazioni di liquidazione delle società con
bacino di riferimento sotto i 30mila
abitanti e la rimodulazione degli assetti di
controllo in un'unica referenza per i comuni
tra 30mila e 50mila abitanti.
Qualora le
scadenze non siano rispettate, il prefetto
potrà assegnare agli enti interessati un
termine perentorio entro il quale
provvedere, ma in caso di ulteriore
inadempienza, scatteranno le procedure per
la nomina di un commissario ad acta. Stessa
procedura anche per la soppressione dei
consorzi di funzioni tra gli enti locali,
prevista dall'articolo 2 della legge
191/2009 anch'essa ricondotta al termine del
31.12.2011
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamenti
a miste da chiudere a giugno.
Piccoli comuni chiamati a elaborare entro
pochi mesi una strategia complessiva per
disegnare il futuro delle proprie società
partecipate.
Il comma 32 dell'articolo 4 del
Dl 138/2011 prevede che entro il 31.03.2012 cessino gli affidamenti diretti a
società in house oltre i 900mila euro di
valore e che entro il 30.06.2012 cessino
gli affidamenti a società miste, nelle quali
non ci sia stata la contestuale attribuzione
al privato della qualità di socio e di
specifici compiti operativi.
I due termini individuati per il periodo
transitorio relativo alle gestioni in essere
dei servizi pubblici con rilevanza economica
sono antecedenti rispetto a quella
individuata dal comma 32, il quale prevede
la disciplina per la liquidazione delle
società partecipate dai comuni con
popolazione sotto i 30mila abitanti, con
attuazione obbligatoria entro il 31.12.2012.
Accertata la rilevanza economica del
servizio pubblico affidato e rilevato che
non rientra tra quelli esclusi (ad esempio
servizio idrico, farmacie, distribuzione del
gas) dall'articolo 4 della manovra, i comuni
dovranno definirne il dimensionamento
economico annuo. Qualora, infatti,
l'affidamento sia a una società con le
caratteristiche dell'in house e il valore
del singolo servizio su base annua non
superi i 900mila euro, la gestione in essere
potrà proseguire sino alla sua naturale
scadenza.
Nell'ipotesi in cui una società risulti
affidataria di più servizi, la valutazione
rispetto al parametro economico dovrà essere
fatta per ogni singola attività. Qualora
invece l'ente locale abbia affidato il
servizio a una società mista, nella quale al
socio privato non siano state
originariamente assegnate con la gara
specifiche attività, la mancanza della
combinazione è presupposto sufficiente per
far venire meno l'affidamento in essere a
metà 2012.
Il quadro normativo riconduce poi tutte le
altre tipologie di affidamenti impropri di
servizi pubblici con rilevanza economica
alla scadenza prevista per quelli in house
(31.03.2012).
Rientrano anzitutto in questa categoria gli
affidamenti a società a capitale interamente
pubblico da parte di enti non soci (quindi
non in possesso di uno degli elementi
necessari per l'esercizio del controllo
analogo), così come quelli a società che non
hanno le caratteristiche dell'in house
(assenza di strumenti che garantiscano il
controllo analogo, attività prevalentemente
svolta dalla società a favore di soggetti
non soci).
Tra le situazioni critiche si annoverano
anche gli affidamenti a società miste nelle
quali il socio privato non sia stato scelto
con gara. Una volta vagliata la
sostenibilità (o meno) di soluzioni che
consentano il mantenimento delle gestioni in
essere o che richiedano nuovi affidamenti, i
comuni di minori dimensioni dovranno
verificare se l'eventuale nuovo o
trasformato modello societario soddisfi i
parametri di efficienza economica o
dimensionale previsti comma 32, potendo
quindi proiettare il piano industriale del
soggetto gestore oltre la fine del 2012
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: L'«in
house» cambia lo statuto.
La nuova disciplina di riferimento per i
servizi pubblici locali con rilevanza
economica presenta alcuni profili critici in
relazione alla gestione degli affidamenti a
società in house, date le regole molto più
restrittive di quelle comunitarie. Rispetto
all'articolo 23-bis della legge 133/2008, la
disciplina contenuta nell'articolo 4 del Dl
138/2011 ha un'importante differenza: non
prevede per le società affidatarie in house
la possibilità di mantenere la gestione
esistente sino alla scadenza naturale,
cedendo almeno il 40% del capitale sociale a
un socio privato operativo, scelto con gara.
Il nuovo dato normativo impone agli enti
soci di sviluppare un percorso più
complesso. Anzitutto le amministrazioni
devono approvare la modificazione dello
statuto della società, per la sua apertura a
soggetti privati nei termini di
partecipazione minima previsti dalla nuova
disciplina. Il passaggio successivo è la
scelta del socio privato, mediante una
procedura di gara che avrà come oggetto
l'assegnazione delle quote o azioni (per
almeno il 40% del capitale sociale) e
l'attribuzione di specifici compiti
operativi.
In questo quadro, la società mista deve
essere configurata come gestore del servizio
pubblico locale sulla base di un nuovo
affidamento, fondato su un piano industriale
che valorizza la partnership con il socio
privato.
Un simile percorso è facilmente gestibile
per i servizi pubblici dei quali gli enti
locali sono sia titolari sia affidanti (ad
esempio illuminazione pubblica, servizi
cimiteriali), mentre risulta più complesso
quando il soggetto affidante sia l'autorità
d'ambito (o l'organismo che alla stessa deve
succedere in funzione della soppressione
delle stesse autorità, obbligatoria entro il
31 dicembre di quest'anno). In tale seconda
ipotesi, infatti, la scelta del modello
gestionale deve essere definita dagli enti
locali che appartengono all'ambito
territoriale ottimale in accordo con il
soggetto pubblico responsabile
dell'affidamento.
Le norme contenute nell'articolo 4 della
manovra limitano le prospettive per il
mantenimento in operatività delle società in
house ai casi in cui queste siano
affidatarie di servizi pubblici con
rilevanza economica di valore inferiore ai
900mila euro annui.
Tuttavia le affidatarie dirette hanno
un'ultima chance, rappresentata dalla
possibilità di concorrere, in deroga al
divieto generale di affidamento di servizi
ulteriori stabilito dal comma 33, concorrere
su tutto il territorio nazionale alla prima
gara successiva alla cessazione del
servizio, svolta mediante procedura
competitiva a evidenza pubblica, avente a
oggetto i servizi da essi forniti (come
stabilito dall'ultimo periodo dello stesso
comma).
Questa opzione, tuttavia, è esercitabile
solo qualora un ente locale affidante di un
servizio pubblico rientrante nel panel di
quello gestito dall'affidataria in house
decida di indire (comunque in tempi
compatibili con la scadenza delle gestioni
esistenti) una gara aperta agli operatori di
settore, con i quali l'affidataria diretta
dovrebbe confrontarsi
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Il nuovo governo delle
partecipate dopo l’adeguamento della
disciplina al referendum e alle norme U.E.
(D.L. 138/2011).
Nuovo ampliamento del ricorso alla libera
concorrenza e forti limitazioni
all’affidamento in house. Dopo l’abrogazione
referendaria dell’art. 23-bis, il D.L.
138/2011 riscrive le regole sull’affidamento
dei servizi pubblici locali.
La nuova disciplina prevede che gli enti
analizzino il mercato di riferimento,
definendo i servizi da privatizzare e i
diritti di esclusiva, e formalizzare i piani
strategici in una delibera quadro.
La maggiore parte degli enti non ha molto
tempo, perché la delibera va adottata prima
che scadano le gestioni esistenti.
L’affidamento dei servizi con rilevanza
economica (ad eccezione del servizio idrico)
deve avvenire con gara, nel rispetto dei
principi comunitari, o con la costituzione
di società miste, con il socio privato al
40% del capitale.
L’affidamento in house è limitato ai servizi
di valore inferiore ai 900.000 euro annui.
La tabella di marcia:
►
31.03.2012 cessano gli affidamenti
diretti relativi a servizi di valore
economico superiore ai 900.000 euro annui,
nonché tutti gli affidamenti diretti che non
rientrano nei casi successivi;
►
30.06.2012 cessano le gestioni
affidate direttamente a società a
partecipazione mista, qualora la selezione
del socio sia avvenuta mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, ma senza
avere avuto ad oggetto la qualità di socio e
l’attribuzione di compiti operativi connessi
alla gestione del servizio;
►
30.06.2013 o il 31.12.2015
cessano gli affidamenti diretti già affidati
alla data di inizio 2003, ove non siano
rispettate le previste condizioni di
riduzione della partecipazione pubblica alle
scadenze previste (tratto dalla newsletter
di www.autonomielocali.eu). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/ Utility, liberalizzazioni spuntate. La
soglia di 900 mila euro per l'in house è
troppo elevata. I rilievi della camera. A
rischio l'apertura alla concorrenza a causa
di comportamenti elusivi.
Altro che
liberalizzazioni delle utility.
L'ammissibilità degli affidamenti in house
per contratti di valore pari o inferiore a
900 mila euro annui rischia di non centrare
l'obiettivo di aprire alla concorrenza i
servizi pubblici locali. Tale soglia,
infatti, «è oggettivamente troppo elevata» e
si presta «facilmente a comportamenti
elusivi da parte delle amministrazioni che
non intendono procedere agli affidamenti
tramite gara».
Ad affermarlo è il servizio bilancio della
camera che ha passato al setaccio le norme
della manovra bis appena arrivate a
Montecitorio per il varo definitivo.
Ed è proprio la parte relativa alle
liberalizzazioni quella che maggiormente non
convince i Fini-boys. L'art. 4 del dl 138,
solo in minima parte modificato dal
maxiemendamento del governo, riscrive la
disciplina spazzata via dai referendum di
giugno.
L'affidamento tramite gara non è più un
obbligo ma viene chiesto agli enti locali di
limitare l'attribuzione di diritti di
esclusiva alle «ipotesi in cui, in base a
una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità». Ragion per cui i motivi
che inducono gli enti a decidere di
sottrarre un servizio alla liberalizzazione
dovranno essere esplicitati chiaramente in
una delibera quadro.
La manovra non cancella gli affidamenti in
house ma stabilisce un limite di valore al
di sotto del quale possono essere disposti a
favore di società a capitale interamente
pubblico che abbiano i requisiti richiesti
dall'ordinamento europeo. Ma è proprio
l'aver fissato l'asticella a 900 mila euro a
non convincere i tecnici della Camera. E non
solo. Perché sul punto si è già espressa a
fine agosto, con analoghe argomentazioni,
l'Autorità garante della concorrenza e del
mercato.
In entrambi i casi i dubbi vertono
sull'ammontare della soglia, considerato da
un lato troppo alto («tale da poter
determinare, per alcuni settori di attività
economica, una sottrazione quasi integrale
dai necessari meccanismi di concorrenza per
il mercato») e dall'altro non
sufficiente a evitare condotte elusive.
Basterebbe infatti frazionare gli
affidamenti in tante tranche, ciascuna di
valore inferiore a 900.000 euro annui, per
poterle poi attribuire tutte direttamente a
controllate in house. Una
considerazione che ha portato l'Antitrust a
ritenere il sistema introdotto meno efficace
di quello previgente, ma al tempo stesso non
migliorabile con modifiche al ribasso della
soglia «data l'arbitrarietà con cui
qualsiasi valore verrebbe eventualmente
determinato».
Non convince anche il regime transitorio per
gli affidamenti diretti. Il comma 32
dell'articolo 4 prevede che gli affidamenti
diretti, relativi a servizi il cui valore
economico superi i 900.000 euro annui,
cessano improrogabilmente al 31.03.2012; per
i servizi di valore inferiore a 900.000
annui vale la scadenza originaria
dell'affidamento. Perché allora fissare una
soglia di valore? Se lo chiede anche
l'Autorità garante presieduta da Antonio
Catricalà.
«Appare del tutto inconferente un valore
predeterminato del servizio quale criterio
per giustificare la prosecuzione degli
affidamenti, effettuati in house, sino alla
loro scadenza naturale». «Inoltre»,
prosegue, «la norma, per come formulata,
stabilisce l'esenzione dalla scadenza
anticipata per tutti gli affidamenti
diretti, non solamente per quelli in house,
ampliando ulteriormente, rispetto a quanto
previsto dal comma 13 per i nuovi
affidamenti, la platea dei soggetti che
possono continuare a gestire servizi
pubblici locali senza aver vinto alcuna gara»
(articolo ItaliaOggi del 10.09.2011). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/
Cessano gli affidamenti diretti superiori a
900 mila euro. Vincoli per le società in
house. Esclusi tpl, acqua, energia, gas e farmacie
comunali. Utility, liberalizzazioni dal 2012.
Entro metà 2012 e il 2015 dovranno essere
riviste le modalità di affidamento delle
gestioni dei servizi pubblici locali.
Previste le condizioni per la
liberalizzazione dei servizi. Ammesse le
gestioni in esclusiva ma con scelta del
gestore in gara. Vincoli per le società in
house; escluso il servizio idrico,
l'energia, il trasporto locale, le farmacie
e il gas naturale.
Sono questi alcuni dei punti principali
della disciplina in materia di servizi
pubblici locali dettata dall'articolo 4
della manovra approvata dal senato. Un primo
dato di rilievo riguarda le modalità con le
quali si deve perseguire il processo di
liberalizzazione dei servizi; la
disposizione, fatta salva la proprietà
pubblica delle reti, invita infatti ad
attuare una gestione concorrenziale che deve
però essere realizzata «compatibilmente con
le caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizi».
Nei casi in cui si dovesse mantenere un
regime di esclusiva, ciò dovrà avvenire in
base ad una analisi di mercato (da
effettuare entro un anno dall'entrata in
vigore della legge e ogni volta che si
intende conferire o rinnovare una gestione)
da cui si desuma che l'inidoneità della
«libera iniziativa economica privata» a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità.
In ogni caso l'attribuzione di diritti
speciali di esclusiva al gestore deve
avvenire a seguito di procedure competitive
ad evidenza pubblica cui possono partecipare
anche società interamente pubbliche o
straniere, a condizione di reciprocità. La
legge definisce anche specifici contenuti
(in gran parte cogenti) per i bandi di gara
ed alle lettere di invito relative le
procedure competitive ad evidenza pubblica,
con prescrizioni ulteriori quando i bandi di
gara e le lettere di invito hanno ad oggetto
la qualità di socio, cui conferire una
partecipazione non inferiore al 40%,
unitamente all'attribuzione di specifici
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio.
Queste ultime disposizioni potranno essere
derogate laddove il valore economico del
servizio oggetto dell'affidamento sia pari o
inferiore alla somma complessiva di 900 mila
euro annui, consentendo l'affidamento (non
si tratta di «gara») a favore di società a
capitale interamente pubblico che abbiano i
requisiti richiesti dall'ordinamento europeo
per la gestione cosiddetta «in house» (c.d.
controllo analogo). Dopo avere dettato
diversi divieti ed incompatibilità per
nomine e gli incarichi da conferire,
l'articolo 4 prevede un articolato regime
transitorio degli affidamenti non conformi a
quanto stabilito dalla norma stessa.
Il 31.03.2012 cessano gli affidamenti
diretti relativi a servizi di valore
economico superiore a 900 mila euro annui,
nonché tutti gli affidamenti diretti che non
rientrano nei casi successivi.
Il 30.06.2012 cessano le gestioni
affidate direttamente a società a
partecipazione mista, qualora la selezione
del socio sia avvenuta mediante procedure
competitive ad evidenza pubblica, ma senza
aver avuto ad oggetto la qualità di socio e
l'attribuzione dei compiti operativi
connessi alla gestione del servizio.
Alla scadenza prevista nel contratto di
servizio, cessano invece le ipotesi di cui
ai casi precedente, quando le relative
procedure competitive abbiano avuto ad
oggetto, al tempo stesso, la qualità di
socio e l'attribuzione dei compiti operativi
connessi alla gestione del servizio. Alla
scadenza prevista nel contratto di servizio
cessano anche gli affidamenti diretti
assentiti alla data dell'01.10.2003 a
società a partecipazione pubblica già
quotate in borsa a tale data e a quelle da
esse controllate, a condizione che la
partecipazione pubblica si riduca anche
progressivamente.
Il 30.06.2013 o il
31.12.2015 cessano gli affidamenti diretti
già affidati alla data di inizio 2003, ove
non siano rispettate le previste condizioni
di riduzione della partecipazione pubblica
alle scadenze previste (articolo ItaliaOggi del
09.09.2011). |
APPALTI SERVIZI: Servizi pubblici locali, torna l'affidamento
con gara. La manovra-bis ha riscritto la
disciplina dopo i referendum di giugno.
Passo in avanti nella riforma dei servizi
pubblici locali a rilevanza economica: dopo
il referendum abrogativo dell'art. 23-bis
del dl 112/2008 il governo riscrive con la
manovra-bis la disciplina dei servizi
pubblici locali.
L'art. 4 del dl 13/08/2011 n. 138, passato
all'esame della camera dei deputati dopo
l'approvazione del disegno di legge di
conversione da parte del senato, detta le
nuove regole in materia di liberalizzazione
dei servizi pubblici locali riproponendo il
principio generale previsto nel precedente
art. 23-bis dell'affidamento con gara.
Tra i numerosi punti affrontati dal
provvedimento si riportano di seguito gli
aspetti generali relativi alle modalità di
affidamento e al regime transitorio.
Il comma 1 dell'articolo in esame prescrive
che gli enti locali affidanti debbano
procedere «nel rispetto dei principi di
concorrenza, di libertà di stabilimento e di
libera prestazione dei servizi» a una
verifica circa la possibilità di realizzare
una «gestione concorrenziale» dei servizi
pubblici locali a rilevanza economica
«liberalizzando tutte le attività economiche
compatibilmente con le caratteristiche di
universalità e accessibilità del servizio» e
limitando l'attribuzione dei diritti di
esclusiva soltanto nei casi in cui,
attraverso un'analisi di mercato, si
riscontri che «la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità». Come disposto dai
successivi commi 2, 3 e 4 tale verifica, da
adottare con delibera degli enti e da
trasmettere all'Autorità garante della
concorrenza e del mercato, dovrà essere
espletata entro 12 mesi dall'entrata in
vigore del decreto in esame e, comunque, al
momento del conferimento o del rinnovo della
gestione del servizio.
Il comma 8 sancisce il principio generale
dell'affidamento con gara disponendo che il
conferimento della gestione dei servizi
pubblici a rilevanza economica «avviene in
favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive a evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di economicità, imparzialità,
trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento,
mutuo riconoscimento e proporzionalità».
Accanto al modello dell'affidamento con gara
l'art. 4, dopo avere fornito alcuni principi
generali da adottarsi nei bandi di gara o
nelle lettere di invito alla base delle
procedure ad evidenza pubblica, ripropone
per l'affidamento del servizio anche il
modello di gestione delle società a capitale
misto pubblico–privato.
Al comma 12, infatti, a integrazione delle
disposizioni contenute nei commi 8, 9, 10 e
11, menziona l'ipotesi del socio privato
selezionato con gara al quale deve essere
riconosciuta una partecipazione al capitale
non inferiore al 40% e devono essere
attribuiti specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio.
Il successivo comma 13, in aggiunta, in
deroga alla modalità ordinaria di
affidamento con gara riconosce agli enti
locali la possibilità di procedere ad
affidamenti diretti. Dispone, infatti, che
laddove il valore economico del servizio
oggetto dell'affidamento sia pari o
inferiore alla somma complessiva di euro 900
mila annui gli enti locali possono affidare
direttamente il servizio a società a totale
partecipazione pubblica in possesso dei
requisiti, ormai consolidati nella normativa
comunitaria e nazionale, richiesti per la
qualificazione delle cosiddette gestioni «in
house» («controllo analogo da parte degli
enti titolari a quello esercitato sui propri
servizi» e «esercizio della parte più
importante della attività con gli enti
titolari» oltre al capitale detenuto dagli
enti affidanti).
Si riportano infine le nuove indicazioni
contenute nel comma 32 relative al regime
transitorio per gli affidamenti in essere
non conformi alla nuova disciplina.
Per gli affidamenti diretti relativi a
servizi di valore superiore alla predetta
soglia di 900 mila euro annui se ne prevede
improrogabilmente la scadenza entro la data
del 31/03/2012; analoga scadenza è prevista
per tutti gli altri affidamenti diretti non
rientranti nei casi successivamente
illustrati.
È previsto, invece, il maggior termine del
30/06/2012 per la cessazione degli
affidamenti a favore delle società miste
pubblico–privato in cui il privato sia stato
selezionato con procedure ad evidenza
pubblica espletate nel rispetto dei principi
generali della gara di cui al comma 8 ma che
non abbiano avuto ad oggetto anche la
qualità di socio e l'attribuzione dei
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio; diversamente per i casi in cui la
selezione del partner privato risulti
conforme ai principi generali di cui al
comma 8 e questa abbia avuto ad oggetto
anche la qualità del socio e l'attribuzione
dei compiti operativi è previsto il
mantenimento della scadenza originaria
dell'affidamento.
Per gli affidamenti diretti assentiti alla
data dell'01/10/2003 a società a
partecipazione pubblica già quotate in borsa
a tale data e a quelle da esse controllate
ai sensi dell'art. 2359 del codice civile, è
prevista la possibilità di mantenimento
della scadenza del contratto di servizio a
condizione che la partecipazione pubblica si
riduca anche progressivamente, attraverso
procedure ad evidenza pubblica ovvero forme
di collocamento privato presso investitori
qualificati e operatori industriali, a una
quota non superiore al 40% entro il
30/6/2013 e non superiore al 30% entro il
31/12/2015. Tali affidamenti cessano
improrogabilmente alle date del 30/6/2013 o
del 31/12/2015 nel caso di mancato rispetto
delle predette condizioni.
Si ricorda, infine, come riportato nel comma
34, che sono esclusi dall'applicazione della
nuova disciplina il servizio idrico
integrato (salvo le disposizioni contenute
nei commi da 19 a 27), il servizio di
distribuzione del gas naturale, il servizio
di distribuzione dell'energia elettrica, il
servizio di trasporto ferroviario regionale
e la gestione delle farmacie comunali.
Restano salve, inoltre, le procedure di
affidamento avviate alla data di entrata in
vigore del decreto in esame
(articolo ItaliaOggi del
09.09.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/ In house, un
percorso a ostacoli.
Ai raggi X efficienza, economicità, Patto e
controllo analogo. Il dl 138 riammette gli
affidamenti. Ma i paletti normativi restano.
Se il referendum dello scorso giugno, che ha
abrogato l'art. 23-bis, ha restituito agli
enti locali quella libertà di
autorganizzazione sancita dal Trattato Ue e
dalla Corte di giustizia europea, con la
manovra di Ferragosto il legislatore ha
riaperto alla costituzione di società in
house laddove il valore economico del
servizio oggetto dell'affidamento non superi
900.000,00 annui, intendendosi per tale
valore la somma del valore del contratto di
servizio e la contribuzione tariffaria
pubblica.
L'apparente libertà dell'affidamento o del
mantenimento di servizi (al di sotto di tale
nuova soglia) a favore di società comunali
incontra tuttavia vincoli legislativi
nazionali e comunitari e/o di opportunità
che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza
dell'in house.
La cornice entro cui si inquadra la nuova
disciplina è la preventiva, delicata e
imprescindibile valutazione da parte degli
enti locali, entro il 12.08.2012 e in ogni
caso prima del conferimento o del rinnovo
della gestione dei servizi, della
realizzabilità di una gestione
concorrenziale degli stessi, escludendoli da
un processo di liberalizzazione solo se si
dimostra che in base ad una analisi di
mercato, la libera iniziativa economica
privata non sia in grado di assicurare un
servizio rispondente ai bisogni della
collettività.
La relativa delibera ricognitiva dovrà
essere trasmessa all'Antitrust.
Inoltre, l'assoggettamento delle società in
house al Patto di stabilità interno, ai
sensi del c. 14 dell'art. 4 della manovra
estiva, di cui si attendono i relativi
provvedimenti attuativi, potrebbe peggiorare
i saldi del gruppo comunale a seguito della
rilevanza di uscite/spese delle in house a
fronte di entrate/ricavi non rilevati.
Ecco che il processo di esternalizzazione
dei servizi pubblici locali, attivato da
molti comuni mediante la costituzione di
mirate società in house proprio per
rispettare le regole del patto di stabilità
interno, potrebbe trovare nelle regole del
patto consolidato il proprio capolinea, a
prescindere da qualsiasi altra valutazione o
considerazione sostanziale o di merito.
Alla luce di quanto sopra, con riferimento
alle società in house ammesse dalla recente
manovra sarà necessario valutare
attentamente i diversi aspetti, tra cui la
giustificazione del mantenimento rapportata
alle finalità istituzionali, alla comprovata
efficienza ed economicità della gestione
rispetto al mercato, alla incidenza del
futuro patto di stabilità consolidato nonché
al rispetto dei vincoli imposti dalla
giurisprudenza comunitaria relativa al
cosiddetto «controllo analogo». Con
l'avvertenza che l'assenza di un vero
controllo analogo esporrebbe l'ente a
possibili ricorsi alla magistratura
amministrativa da parte di potenziali
concorrenti del mercato
(articolo ItaliaOggi del 02.09.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sugli affidamenti in
house tetto a 900mila euro annui. Servizio
idrico integrato spostato tra gli «esclusi».
Manovra di Ferragosto. Dopo il referendum
abrogativo di giugno.
L'attesa per la riforma dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica, all'indomani
del referendum abrogativo del 12 e 13
giugno, è rimasta delusa dalla manovra
correttiva di Ferragosto.
Il capitolo dei
servizi pubblici locali interviene sul tema
delle liberalizzazioni riproponendo gran
parte delle disposizioni dell'articolo 23-bis del Dl 112/2008 (e del relativo
regolamento attuativo) abrogate, dal 20
luglio, con il Dpr 113/2011 di recepimento
dei risultati referendari.
Balza all'occhio lo spostamento del servizio
idrico integrato nella lista dei settori
esclusi, in cui erano già presenti la
distribuzione di gas naturale, di energia
elettrica, il trasporto ferroviario
regionale e le farmacie. Dopo l'ampia
portata del referendum, che ha riguardato le
forme di gestione dei servizi pubblici di
rilevanza economica in generale e non solo
l'acqua (messa al centro della campagna
referendaria), ci si attendeva un intervento
modificativo incisivo rispetto alla
precedente regolamentazione.
Limiti e verifiche.
L'articolo 4 del Dl 138/2011 ora richiede
agli enti locali di verificare la
realizzabilità di una gestione
concorrenziale dei servizi pubblici
economici e privatizzare le attività,
compatibilmente con le caratteristiche di
universalità e accessibilità del servizio,
limitando i servizi da concedere in
esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad
una analisi di mercato, la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a
garantire un servizio rispondente ai bisogni
della comunità. Le verifiche devono
approdare in una delibera quadro, che deve
dimostrare l'istruttoria compiuta ed
evidenziare i settori sottratti alla
liberalizzazione, il fallimento del sistema
concorrenziale e, dall'altro lato, i
benefici per lo sviluppo e l'equità della
comunità locale derivanti dal mantenimento
di un regime di esclusiva del servizio.
La delibera, da approvare entro il 12.08.2012 (e poi periodicamente secondo gli
ordinamenti locali e, in ogni caso, prima di
procedere al conferimento e al rinnovo della
gestione dei servizi), va pubblicizzata e
inviata all'Autorità garante della
concorrenza e del mercato ai fini della
relazione al Parlamento.
Rispetto al quadro precedente, gli
affidamenti in house sono ulteriormente
ridotti. Questi ultimi, infatti, sono
ammessi, in deroga ai principi di gara, solo
se il valore economico dell'affidamento non
supera i 900mila euro annui e sono
consentiti a favore di società a capitale
interamente pubblico che rispettino i
requisiti comunitari.
Procedure competitive.
Il conferimento dei servizi nei casi di
diritti di esclusiva deve avvenire mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica (
prescritti anche i contenuti del bando o
della lettera invito). Sono ammesse società
miste con socio privato selezionato tramite
gara con doppio requisito (qualità di socio,
con una quota non inferiore al 40% e con
compiti operativi). Le gare devono
rispettare, altresì, il trattato europeo, i
principi generali dei contratti pubblici e
gli standard definiti dalla legge, dalla
autorità di settore o dagli enti affidanti.
Le imprese straniere possono partecipare
alle gare nel rispetto del principio di
reciprocità. È prevista, inoltre, la
partecipazione a queste gare delle società a
capitale interamente pubblico, nel rispetto
dei divieti eventualmente previsti dalla
legge (comma 9).
Tale facoltà, però, è subito contrastata dal
comma 33 (si veda anche l'analisi nella
parte bassa di questa pagina), in cui sono
disciplinati i divieti per le società
affidatarie di servizi per via diretta o
senza gara (in Italia o altrove): di
acquisire la gestione di servizi ulteriori o
in ambiti territoriali diversi; di svolgere
servizi o attività per altri enti pubblici o
privati, né direttamente, né tramite
controllanti o società partecipate, né
partecipando a gare.
Il divieto si applica anche alle controllate
e alle controllanti e si estende alle
patrimoniali e alle miste; mentre sono
escluse le quotate e il socio privato di
società mista. Unica deroga per le società
affidatarie dirette di servizi pubblici è la
possibilità di concorrere, su tutto il
territorio nazionale, alla prima gara
successiva alla cessazione del servizio,
avente a oggetto i servizi da esse forniti (articolo Il Sole 24 Ore del 29.08.2011
- tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Blocco verso i soggetti diventati gestori
senza gara.
Il divieto imposto alle società affidatarie
di servizi in via diretta o senza gara, di
acquisire nuovi servizi o espandere
territorialmente quelli già gestiti (comma
33, articolo 4 del decreto legge 138/2011)
fa infrangere anche un'altra disposizione
contenuta nella nuova regolamentazione dei
servizi pubblici locali a rilevanza
economica.
Si tratta della norma che detta le
condizioni a cui devono sottostare i
soggetti gestori dei servizi pubblici locali
titolari di diritti di esclusiva, nei casi
in cui intendano svolgere attività in
mercati diversi da quelli in cui sono
titolari di diritti di esclusiva (comma 7).
Tramite il richiamo alla legge 287/1990,
sulle norme per la tutela della concorrenza
e del mercato, sono fissati i due paletti
per lo svolgimento dell'attività per il
mercato: da un lato, l'obbligo di operare
mediante società separate (articolo 8, comma
2-bis della legge 287/1990) e, dall'altro,
l'obbligo di rendere accessibili i beni o
servizi anche informativi, di cui abbiano la
disponibilità esclusiva in dipendenza delle
attività svolte, a condizioni equivalenti,
alle altre imprese direttamente concorrenti
(articolo 8, comma 2-bis della legge
287/1990).
La lettura del comma sembrerebbe consentire
alle società che esercitano servizi pubblici
locali anche in affidamento diretto (non
escluse dal comma) lo svolgimento di
attività per il mercato, a condizione che
non lo facciano direttamente, ma tramite
apposite società separate. Quindi si
aprirebbe per le società in house la
prospettiva di superare il limite della
territorialità.
Ma tutto ciò è ostacolato ed impedito dal
divieto (contenuto nel comma 33) per le
società che beneficiano di affidamenti
diretti, di partecipare alle gare (eccetto
alla prima nel settore in cui esercitavano
il servizio). Il divieto, che opera per
tutta la durata della gestione, si estende,
infatti, alle controllanti e alle altre
società che siano da esse controllate o
partecipate. L'auspicio è che la conversione
del decreto legge chiarisca la
contraddizione (articolo Il Sole 24 Ore del 29.08.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA
BIS/ Liberalizzazioni, il potere è locale.
Tocca ai comuni decidere quali servizi
pubblici dare ai privati. Il decreto legge
138/2011 affida a una delibera quadro
dell'ente la scelta delle attività
interessate.
Liberalizzazione dei
servizi pubblici locali nelle mani degli
enti locali. Dovranno individuare quali
servizi affidare al libero mercato e quali,
invece, mantenere in regime di esclusiva. Le
imprese dovranno attendere che
l'amministrazione approvi la delibera quadro
sui servizi liberalizzati.
Ma vediamo di illustrare il quadro
prefigurato dall'articolo 4 del decreto
legge 138/2011, per vedere quali spazi
concreti si aprano al libero mercato. In
prima battuta, dunque, l'ente locale deve
decidere che cosa lasciare alla libera
iniziativa economica e che cosa attribuire
in esclusiva a un gestore. In quest'ultimo
caso il gestore deve essere scelto con una
gara pubblica o con una procedura pubblica
ristretta.
L'affidamento del servizio può avvenire
anche con una gara a doppio oggetto:
cessione di quote societarie (almeno il 40%)
e affidamento di compiti operativi.
Se il valore economico del servizio è pari o
inferiore a 900 mila euro l'ente locale può
costituire una propria società cui affidare
direttamente (senza gara) il servizio. In
quest'ultimo caso si parla di società in
house, sotto il controllo dell'ente locale,
controllo analogo a quello esercitato
dall'ente sui propri uffici.
Nel caso di servizi liberalizzati si aprono
le porte interamente alla gestione di
imprenditori in concorrenza tra loro e,
vista dal punto di vista delle imprese, si
aprono spazi di mercato.
L'ampiezza della liberalizzazione del
mercato dei servizi pubblici locali dipende
dalla valutazione circa l'inadeguatezza del
libero mercato di garantire i bisogni della
comunità locale.
La valutazione verrà fatta con una apposita
deliberazione quadro, che deve motivare le
ragioni delle esclusive.
Una impostazione di questo tipo risente del
fatto che la nozione di servizio pubblico
locale è lasciata alla discrezionalità
dell'ente locale stesso. Certo vi sono linee
di fondo tracciate dalla legge e in
particolare dall'articolo 112 del Testo
unico degli enti locali (dlgs 267/2000), che
prevede che sono gli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, a
provvedere alla gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto produzione
di beni ed attività rivolte a realizzare
fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali.
La genericità della norma è stata spiegata
con la circostanza che gli enti locali, e il
comune in particolare, sono enti a fini
generali dotati di autonomia organizzativa,
amministrativa e finanziaria, nel senso che
essi hanno la facoltà di determinare da sé i
propri scopi e, in particolare, di decidere
quali attività di produzione di beni e
attività, se rivolte a realizzare fini
sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile della comunità locale di
riferimento, assumere come doverose.
Si tratta di elementi discrezionali
(finalità sociali e promozione della
comunità locale): gli stessi elementi che
potranno essere tenuti in considerazione
nella approvazione della deliberazione
quadro.
L'ente deciderà cosa può essere lasciato al
privato. Per fare una panoramica su cosa
potrà essere affidato al libero mercato si
può fare riferimento alle attività inserite
nella prassi nella nozione di servizio
pubblico locale.
Vi rientra e quindi potrà essere oggetto di
liberalizzazione il servizio di raccolta
rifiuti e di igiene ambientale e di
illuminazione pubblica, la gestione dei
servizi cimiteriali e delle lampade votive,
la gestione delle affissioni pubblicitarie e
dei segnali indicatori, gestione del
trasporto pubblico locale, la gestione di
servizi come la mensa scolastica,
biblioteche. In giurisprudenza sono stati
qualificati tra i servizi pubblici locali
anche tutti i servizi riguardanti la nautica
da diporto.
I tribunali hanno invece escluso che possa
configurarsi un servizio pubblico locale per
la costruzione e l'esercizio di impianti per
l'energia eolica.
Sempre dal punto di vista delle imprese, va
sottolineato che allo stato non possono fare
altro che attendere la delibera quadro, la
quale è prevista entro un anno e cioè entro
il 13.08.2012 e comunque prima del
conferimento e del rinnovo della gestione
dei servizi. A questo proposito si dovrà
tenere conto del regime transitorio previsto
per gli affidamenti attualmente in essere e
in contrasto con la nuova disciplina: si va
dal marzo 2012 fino alla scadenze dei
contratti di servizio attualmente stipulati
(comma 32 dell'articolo 4 del decreto
138/2011)
(articolo ItaliaOggi del 26.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA BIS/ Servizi,
l'ente locale rischia grosso.
La liberalizzazione obbligata espone i
comuni a perdite ingenti. Le esclusive limitate a pochi
servizi pubblici essenziali, per cui il
privato è considerato inidoneo.
Rischio di perdite per gli enti locali dalla
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. L'obbligo di mettere sul mercato i
servizi pubblici potrebbe, infatti,
comportare la dismissione di attività
redditizie, con conseguenti perdite per
l'ente locale. Questo il possibile effetto
della manovra economica-bis (decreto
138/2011), che all'articolo 4 si occupa
dell'adeguamento della disciplina dei
servizi pubblici locali alla normativa
comunitaria (con una disciplina speciale per
i settori acqua, gas, energia elettrica,
ferrovie regionali e farmacie comunali).
Vediamo, comunque, come diventerà operativa
la liberalizzazione dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica. Tra l'altro
le disposizioni riguardano solo il futuro,
in quanto le procedure di affidamento già
avviate all'entrata in vigore del presente
decreto legge sono salve. In questi casi la
liberalizzazione può attendere.
In base alla norma gli enti locali dovranno
verificare periodicamente la fattibilità di
una gestione concorrenziale dei servizi
pubblici locali, con l'obiettivo di
liberalizzare tutte le attività economiche.
Liberalizzare significa mettere sul mercato
e togliere da un regime di esclusiva. Non a
caso la norma dispone esplicitamente di
voler limitare i diritti di esclusiva a casi
eccezionali e cioè quando i privati
sarebbero inidonei a garantire un servizio
rispondente ai bisogni della comunità.
La disposizione è vaga e indefinita, ma sarà
lo stesso ente locale a dover fare le scelte
concrete. L'articolo quattro, infatti,
demanda allo stesso ente locale di adottare
una delibera quadro, in cui elencare i
settori sottratti alla liberalizzazione, con
ampia motivazione della scelta della
sottrazione al mercato.
Insomma con una deliberazione ben motivata
la liberalizzazione viene stoppata. Tra
l'altro non c'è alcun controllo specifico
sulla deliberazione. In effetti l'articolo 4
prevede un invio della deliberazione
all'Autorità garante della concorrenza e del
mercato, ma non prevede poteri inibitori
dell'Antitrust. Certo, i privati possono
ricorrere contro le deliberazioni, e allora
la palla passerà in mano ai tribunali
amministrativi. E comunque si potranno fare
segnalazioni alla Corte dei conti per
provocare un intervento del giudice
contabile in relazione a danni erariali
derivanti dalla mancata liberalizzazione.
La deliberazione in questione deve essere
adottata una prima volta entro un anno e poi
periodicamente a seconda di quanto prevederà
il regolamento dell'ente locale. In ogni
caso la deliberazione dovrà precedere al
conferimento e al rinnovo della gestione dei
servizi.
La scelta del mercato (e quindi della
attribuzione del servizio pubblico al
privato) dovrà comunque essere prioritaria,
in quanto il decreto 138 esplicita la regola
delle compensazioni economiche a favore dei
gestori privati, tenuti eventualmente a
rispettare tariffe basse o particolari
condizioni di erogazioni. La norma a questo
proposito dice che gli enti locali, se
necessario, definiscono gli obblighi di
servizio pubblico, e l'ente locale deve
premunirsi di definire tali obblighi per non
lasciare all'azienda ogni scelta sulla
erogazione del servizio (sarebbe una delega
in bianco al privato su come gestire il
servizio pubblico). Di questo aspetto l'ente
locale deve ricordarsi già al momento della
stesura degli atti di gara per il
conferimento del servizio (bandi e
capitolati, schemi di contratti di
servizio).
Quanto ai possibili effetti dell'intervento
la norma sostiene che la stessa sia a costo
zero. Tuttavia, nei lavori preparatori, la
stessa nota di lettura del servizio del
bilancio del senato mette in evidenza
possibili conseguenze negative indirette sui
bilanci degli enti locali.
La realizzazione di una gestione
concorrenziale dei servizi non pare, si
legge nella nota, debba tenere conto delle
incidenze finanziarie che esso potrà
procurare ai bilanci degli enti locali e
quindi potrebbe accadere che, per effetto
della presenza di una gestione
concorrenziale, l'ente locale si trovi a
esternalizzare un servizio economicamente
redditizio per il bilancio dell'ente.
Si noti, infatti, che tra le motivazioni
della deliberazione per sottrarre un singolo
servizio al mercato non è prevista la
convenienza per l'ente di tenere il servizio
stesso in quanto porta soldi alle casse
pubbliche. Nella deliberazione si dovrà fare
riferimento ai fallimenti del sistema
concorrenziale e/o ai benefici per la
stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità
all'interno della comunità locale del
mantenimento del regime di esclusiva. Ma non
si fa riferimento, invece, al fatto che la
gestione del servizio sia redditizia e porti
utili.
Una motivazione di questo tipo sarebbe
facilmente impugnabile dai privati
interessati ad accaparrarsi quote di
mercato, in quanto non è prevista dalla
legge.
Altra questione evidenziata dal servizio
bilancio del senato è se dalla
liberalizzazione deriveranno entrate di tipo
mobiliare per l'ente e se, paradossalmente,
il loro utilizzo non determini effetti
negativi in termini di indebitamento netto.
Infatti, tali entrate sono inclusa fra le
partite finanziarie e non possono essere
utilizzata a miglioramento
dell'indebitamento netto. Mentre un suo
eventuale utilizzo in termini di spesa
dovrebbe tradursi in senso negativo sul
medesimo saldo dell'indebitamento netto
(articolo ItaliaOggi del 25.08.2011 -
tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: MANOVRA-BIS/ Largo
ai privati nei servizi pubblici locali.
Il Governo ci riprova dopo il referendum ma
esclude l'acqua - Possibile gestione delle
reti a imprese.
ATTENZIONE ALLA QUALITÀ -
Un socio privato potrà essere messo alla
porta se non rispetterà gli impegni assunti
Attuazione delle nuove regole a partire dal
marzo 2012.
Nuove prove di
liberalizzazione e privatizzazione per i
servizi pubblici locali. La disciplina è,
per certi versi, più aperta al mercato di
quanto lo fosse lo stesso articolo 23-bis,
abrogato dal referendum del 12-13 giugno. Si
creano spazi nuovi di liberalizzazione piena
per servizi o segmenti di servizi. È ammessa
la gestione privata delle reti anche se
resta ferma la proprietà pubblica.
L'affidamento in house è ammesso liberamente
solo fino a 900mila euro. Le società
pubbliche, che potranno partecipare alle
gare anche se controllate al 100% dagli enti
locali, dovranno però rispettare le regole
del patto di stabilità e quelle del settore
pubblico per l'assunzione di personale con
concorsi qualora svolgano servizio in house.
Sono esclusi, però, dalla nuova disciplina
l'acqua e i servizi idrici, cosa che fa
ritenere al Governo e al ministro delle
Regioni, Raffaele Fitto, padre anche della
nuova riforma, come della vecchia, che le
norme siano legittime e possano superare
senza problemi il vaglio del Quirinale.
Esclusi anche i settori dell'energia, del
gas, delle ferrovie e delle farmacie.
Restano, in sostanza, trasporti su gomma,
rifiuti, illuminazione.
Il nuovo decalogo dettato agli enti locali
definisce spazi di liberalizzazione piena,
anche se le norme dovranno ovviamente
affrontare la prova della realtà. Primo: è
previsto che l'ente locale debba anzitutto
verificare se un servizio pubblico sia
pienamente liberalizzabile, se ci siano,
cioè, imprese private disposte a realizzarlo
senza contributi pubblici, garantendo le
caratteristiche di universalità e
accessibilità del servizio. Se più imprese
vogliono svolgere liberamente il
collegamento in autobus città-aeroporto,
perché non consentirlo?
Secondo: se proprio si deve affidare un
servizio in esclusiva, la delibera che lo
decide deve essere trasmessa all'Autorità
antitrust. Terzo, l'affidamento del servizio
in esclusiva va fatto sempre con una gara.
Quarto, se l'ente pubblico decide di
costituire una società mista, dovrà fare una
gara per la scelta del socio privato dove «i
criteri di valutazione delle offerte basati
sulla qualità e corrispettivo del servizio
prevalgano di norma su quelli riferiti al
prezzo delle quote societarie». Il socio
privato non potrà avere meno del 40% del
capitale.
Una novità è la possibilità di mettere alla
porta il socio privato che non svolga «i
compiti operativi connessi alla gestione del
servizio per l'intera durata del servizio
stesso». In quel caso, si rimette in
gara la quota per il socio privato. Saranno
definiti dal bando di gara anche «criteri
e modalità di liquidazione del socio privato
alla cessazione della gestione».
Ritorna la norma che era contenuta
nell'articolo 23-bis abrogato dal referendum
sulle incompatibilità degli amministratori
delle società pubbliche che non potranno
provenire da incarichi politici, come per
esempio quelli di consiglieri o assessori
(si veda anche il servizio sul taglio ai
costi della politica in pagina 3).
Come già era previsto nell'articolo 23-bis,
la nuova disciplina detta una norma per il
regime transitorio. Gli affidamenti diretti
in house di importo superiore a
900mila euro cessano il 31.03.2012. Le
gestioni affidate direttamente a società a
partecipazione mista pubblica e privata,
qualora la selezione del socio sia avvenuta
mediante gare ma non con la gara a doppio
oggetto (affidamento del servizio e scelta
del socio) cesseranno il 30.06.2012. Le
gestioni affidate direttamente a società a
partecipazione mista pubblica e privata,
qualora la selezione del socio sia avvenuta
mediante gara a doppio oggetto cesseranno
alla scadenza naturale del contratto di
servizio.
Gli affidamenti diretti avvenuti alla data
dell'01.10.2003 a società a partecipazione
pubblica già quotate in borsa a tale data e
a quelle da esse controllate cessano alla
scadenza prevista nel contratto di servizio,
a condizione che la partecipazione pubblica
si riduca progressivamente attraverso gare «o
forme di collocamento privato presso
investitori qualificati e operatori
industriali». La quota pubblica non
dovrà essere superiore al 40 per cento entro
il 30.06.2013 e al 30 per cento entro il
31.12.2015. È la norma che salverà molte
aziende quotate affidatarie di servizi
aggiudicati senza gara.
Positiva la valutazione di Fitto. «Come
concordato nel corso del confronto con le
parti sociali all'inizio di settimana -dice
il ministro- il Governo ha varato su mia
proposta, all'interno del decreto approvato
questa sera, un insieme di norme che
riannodano il filo spezzato della
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali. L'Italia ha bisogno in questo
settore di una spinta poderosa alla
competitività e all'efficienza per stimolare
la crescita economica e per ricondurre
finalmente a condizioni di trasparenza e
correttezza i rapporti tra sfera politica e
sfera economica»
(articolo Il Sole 24
Ore
del 13.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
APPALTI SERVIZI: Ok
ai servizi in house o misti.
Confermati gli affidamenti coerenti con
l'ordinamento Ue.
LE CONDIZIONI - Controllo
«analogo» da parte degli enti locali soci e
svolgimento della maggior parte
dell'attività della società a favore degli
stessi.
Il risultato del referendum non tocca le
gestioni di servizi pubblici locali
esistenti che possono proseguire sino alla
scadenza naturale, a condizione che siano
coerenti con l'ordinamento comunitario.
L'abrogazione dell'articolo 23-bis della
legge n. 133/2008 a seguito degli esiti
della consultazione del 12-13.06.2011
(quesito numero 1) produce una serie di
effetti sul sistema di riferimento per i
servizi pubblici locali con rilevanza
economica, dei quali i comuni devono tener
conto per l'elaborazione di adeguate
strategie.
Una delle conseguenze del venir meno della
norma è rilevabile nelle motivazioni della
sentenza della Corte costituzionale n. 24
del 26.01.2011 (con la quale è stato
ritenuto ammissibile il quesito
referendario).
La Consulta, facendo riferimento in molti
punti alla sua analisi del sistema dei
servizi pubblici prodotta con la sentenza n.
325/2010, ha evidenziato che l'articolo
23-bis costituiva normativa più restrittiva
rispetto al quadro regolativo comunitario,
il quale si pone come normativa diretta a
favorire l'assetto concorrenziale minimo e
inderogabile del mercato.
L'articolo 86, comma 2, del Trattato Ue,
infatti, determina anche per le società
partecipate l'essere soggette alle regole
della concorrenza.
L'esito di maggior impatto del referendum è
senza dubbio la possibilità di proseguire le
gestioni esistenti, affidate a società in
house o miste, sino alla loro scadenza
naturale, poiché la dead line del 31.12.2011 non è più prevista. La
rilevanza dell'ordinamento comunitario
sancita dalla Corte costituzionale impone
tuttavia alle amministrazioni locali di
sottoporre a un'accurata revisione tutti gli
affidamenti di servizi pubblici in essere,
per verificarne la coerenza e tenuta
rispetto ai parametri delineati dall'Unione
europea per la gestione dei servizi di
interesse generale, nonché per stabilire
un'adeguata strategia nel medio periodo.
Per gli affidamenti in house sfumano i
presupposti di eccezionalità e non è più
necessario il parere dell'Agcm, ma devono
necessariamente sussistere sia il controllo
analogo da parte degli enti locali soci, sia
lo svolgimento della maggior parte
dell'attività della società a favore degli
stessi.
Qualora un'amministrazione intenda
costituire una società mista, dovrà comunque
attenersi ai principi del partenariato
pubblico privato di tipo istituzionale,
individuati dalla Commissione Ue nella
comunicazione interpretativa C(2007)6661 del
05.02.2008, nella quale stabilisce che
il socio privato deve essere scelto con
procedura ad evidenza pubblica (gara) ed
allo stesso devono essere affidati
contestualmente specifici compiti operativi.
Anche questo principio è stato assunto nella
giurisprudenza nazionale. Le linee-guida
della Commissione Ue non individuano
peraltro alcuna percentuale di capitale
sociale da attribuire al partner privato.
Per questo tipo di organismi risulta
possibile l'acquisizione di servizi
ulteriori, tuttavia solo partecipando a
gara, come la giurisprudenza comunitaria e
quella nazionale hanno evidenziato, anche di
recente (Consiglio di Stato, sezione V,
sentenza n. 2222 dell'11.04.2011).
L'eliminazione dei vincoli dettati
dall'articolo 23-bis in ordine ai modelli
gestionali per i servizi pubblici locali
permette di ipotizzare soluzioni diverse,
tra le quali anche la gestione in economia,
quando il servizio sia di modesta entità
(come affermato dal Consiglio di Stato,
sezione V, con la sentenza n. 552 del 26.01.2011).
Gli effetti dell'abrogazione del l'articolo
23-bis non incidono invece sulle discipline
settoriali della distribuzione di gas
naturale, della distribuzione di energia
elettrica, della gestione delle farmacie
comunali e del trasporto ferroviario
regionale, espressamente sottratte dalla
stessa norma alla sua sfera applicativa ed
evidenziate come oggetti esclusi dalla
portata del referendum dalla sentenza n.
25/2010 della Corte costituzionale. Pertanto
può proseguire il processo di sviluppo delle
gare per il gas sulla base della recente
determinazione degli ambiti territoriali
minimi (articolo Il Sole 24
Ore del 20.06.2011 - link a www.corteconti.it).
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Personale, vincoli a reclutamento e costi.
L'affidamento di servizi pubblici locali a
società partecipate mediante il modulo
dell'«in house providing» deve essere
comunque fondato sui presupposti richiesti
dall'ordinamento comunitario. L'abrogazione
dell'articolo 23-bis della legge n. 133/2008
a seguito del referendum elimina i
presupposti particolari che dovevano guidare
le amministrazioni nell'analisi di
sostenibilità del particolare modulo, nonché
l'intera procedura relativa al parere
obbligatorio dell'Agcm.
Tuttavia il nuovo quadro di riferimento deve
essere fondato sui parametri affinati dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia Ue a
partire dalla sentenza Teckal del 1998, come
evidenziato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 325/2010.
Secondo la normativa comunitaria, le
condizioni che consentono questa soluzione
gestionale sono tre e devono sussistere
contestualmente: capitale totalmente
pubblico, controllo esercitato
dall'aggiudicante sull'affidatario di
«contenuto analogo» a quello esercitato
dall'aggiudicante stesso sui propri uffici;
svolgimento della parte più importante
dell'attività dell'affidatario in favore
dell'aggiudicante.
La Consulta richiama l'orientamento storico
della Corte di giustizia Ue, per la quale le
condizioni per l'affidamento diretto devono
essere interpretate restrittivamente, poiché
l'in house providing costituisce
un'eccezione rispetto alla regola generale
dell'affidamento a terzi mediante gara ad
evidenza pubblica. L'eccezione è
giustificata dal diritto comunitario sulla
base di una valutazione per cui le tre
condizioni escludono che l'in house
configuri un rapporto contrattuale
intersoggettivo (tra amministrazione e
società affidataria) distorsivo del
confronto concorrenziale, determinando
invece una vera e propria relazione
organizzativa (sancita come rapporto
interorganico).
L'elemento-chiave è individuabile nel
controllo analogo, che deve tuttavia essere
sostanziato con varie misure (norme
statutarie, previsioni nei patti
parasociali, disposizioni nel contratto di
servizio), combinate in modo tale da
permettere all'ente locale di esercitare
un'influenza effettiva sui principali
processi decisionali della società
partecipata alla quale è stato assegnato il
servizio pubblico in via diretta.
Rispetto alle gestioni esistenti derivanti
da affidamenti teoricamente impostati
secondo il modulo in house, le
amministrazioni locali sono chiamate a
riesaminare gli strumenti di interazione con
le affidatarie, al fine di eliminare
possibili criticità che potrebbero
evidenziarne comunque l'incoerenza con i
necessari presupposti fissati in ambito
comunitario. La configurazione di una
società come gestore di un servizio in base
all'in house providing e quindi quale
organismo del sistema pubblico allargato ne
determina la sottoposizione alle stesse
regole organizzative e contabili.
L'abrogazione dell'articolo 23-bis e
l'inapplicabilità del Dpr n. 168/2010 non
incidono sull'assoggettamento delle società
affidatarie dirette di servizi pubblici
all'articolo 18 della legge n. 133/2008, con
conseguente obbligo di adozione di regole
parapubblicistiche per il reclutamento di
risorse umane e con il necessario
contenimento della spesa per il personale,
come più volte evidenziato dalla Corte dei
conti.
I presupposti tipici dell'in house
corrispondono peraltro ai caratteri
identificativi degli organismi di diritto
pubblico (personalità giuridica, istituzione
finalizzata al soddisfacimento di esigenze
di interesse generale, gestione soggetta al
controllo totalitario di amministrazioni
pubbliche): pertanto le società affidatarie
dirette di servizi pubblici locali secondo
tale modulo sono senza dubbio qualificabili
come Odp e devono applicare alle loro
procedure di acquisto e di appalto le regole
del codice dei contratti pubblici (articolo Il Sole 24
Ore del 20.06.2011 - link a www.corteconti.it).
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Tariffe modulate su investimenti e gestione
delle reti.
PROFILI OPERATIVI - I contratti di servizio
devono tenere conto delle norme
«sopravvissute» dell'articolo 113 del Tuel.
Le relazioni tra amministrazioni locali e
società affidatarie dei servizi pubblici
locali sono regolate da un complesso sistema
di norme e devono essere comunque
reimpostate per ottimizzare gli
investimenti.
L'abrogazione dell'articolo 23-bis della
legge n. 133/2008 non ha scalfito
l'articolato sistema normativo regolante i
rapporti tra amministrazioni pubbliche e
società partecipate, formato negli anni da
varie leggi di natura finanziaria.
Continuano pertanto a esplicare i loro
effetti nei rapporti tra enti locali e
società in house o miste l'articolo 13 della
legge n. 248/2006 (limiti relativi
all'affidamento di servizi strumentali),
l'articolo 3, comma 27, della legge n.
244/2007 (verifica della coerenza delle
partecipate con le attività istituzionali
dell'ente socio), l'articolo 18 della legge
n. 133/2008 (regole pubblicistiche per le
assunzioni nelle partecipate e limiti alla
spesa per il personale). In questo quadro
incidono anche le previsioni dell'articolo
6, comma 19 (divieto di ripiano delle
perdite delle partecipate) e dell'articolo
14, comma 32 (divieto di costituzione e
liquidazione delle società partecipate da
Comuni con meno di 30mila abitanti) della
legge n. 122/2010.
L'esito positivo del secondo quesito
referendario sull'acqua (quesito numero 2)
ha determinato l'eliminazione dell'adeguata
remunerazione del capitale investito
portando all'attenzione il tema della
corretta gestione delle reti e dei relativi
piani di investimento.
Questi aspetti devono essere oggetto di una
dettagliata regolamentazione nei contratti
di servizio, non solo per quello idrico, ma
per tutte le tipologie di servizi pubblici
locali.
I Comuni, in particolare, entrano in gioco
su questo versante, poiché sono chiamati a
ripensare alle politiche strutturali delle
reti e al finanziamento delle stesse, anche
in rapporto alle tariffe.
Lo stesso articolo 154 del Dlgs n. 152/2006
al comma 7 prevede che l'eventuale
modulazione della tariffa tra i Comuni
(appartenenti al medesimo Ato) tiene conto
degli investimenti pro capite per residente
effettuati dai Comuni medesimi che risultino
utili ai fini dell'organizzazione del
servizio idrico integrato.
La norma evidenzia quindi la possibilità di
intervento attivo degli enti locali sulle
reti, con incidenza direttamente valutabile
anche sulle tariffe e con conseguente
necessità di clausole che regolino la messa
a disposizione dei nuovi impianti ai
soggetti gestori.
Se le linee di rapporto istituzionale sono
ampiamente dettagliate dalla normativa, i
profili operativi e di regolazione devono
essere ridisciplinati nei contratti di
servizio, per i quali valgono le norme
"sopravvissute" dell'articolo 113 del Tuel
(comma 11) e quelle delle normative speciali
(ad esempio l'articolo 151, comma 2 dello
stesso Dlgs n. 152/2006, che prevede i
dettagliati contenuti della convenzione per
il servizio idrico)
(articolo Il Sole 24
Ore del 20.06.2011). |
APPALTI SERVIZI:
Il solo controllo societario
totalitario non è garanzia della ricorrenza
dei presupposti dell’in house.
La questione centrale del ricorso in esame è
posta nei primi tre motivi, con i quali la
società ricorrente deduce, essenzialmente,
la violazione dei principi affermati dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia CE
sulla ammissibilità degli affidamenti
diretti senza una previa gara pubblica, a
società pubbliche o miste, di appalti di
servizi pubblici.
Tale doglianza, ad avviso dei giudici del
Tribunale amministrativo di Cagliari, è
infondata, l’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000
(intitolato «Gestione delle reti ed
erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica»), nel testo vigente
ratione temporis, disponeva, infatti, al
comma 5, lett. c), quanto segue: «c) a
società a capitale interamente pubblico a
condizione che l'ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino
sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la
società realizzi la parte più importante
della propria attività con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano».
La questione della compatibilità con
l'ordinamento dell’Unione Europea
dell'affidamento diretto a società con
capitale interamente pubblico, di un
servizio pubblico locale a rilevanza
economica (come nella specie), deve essere
vagliata essenzialmente, spiegano i giudici
sardi, come noto, alla luce della
giurisprudenza della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee (a partire dalla
sentenza 17.11.1999, in causa C-107/98, nota
come sentenza Teckal), che ha posto i
principi giuridici che governano la materia,
affermando un affidamento senza previa gara
pubblica è consentito solo se:
a) la società pubblica affidataria sia
totalmente partecipata dall’amministrazione
aggiudicatrice (ma si veda sul punto
specifico, di recente, la sentenza Corte
giustizia CE, sez. III, 15.10.2009, in causa
C-196/08, che ammette l'affidamento diretto
di un servizio pubblico a una società a
capitale misto, pubblico e privato, nella
quale il socio privato sia selezionato
mediante una procedura ad evidenza
pubblica);
b) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti
sull'affidatario un “controllo analogo”
a quello esercitato sui propri servizi;
c) l'affidatario svolga la maggior parte
della propria attività in favore dell'ente
pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte
Giust. C.E. 13.10.2005, in causa C-458/03,
Parking Brixen).
In presenza di tali condizioni
–partecipazione totalmente pubblica,
controllo analogo e destinazione prevalente
dell'attività all'ente di appartenenza- il
legame che unisce quest'ultimo
all'affidatario del servizio ha carattere
organizzativo, cosicché non è richiesto
l'esperimento di procedure ad evidenza
pubblica. I giudici isolani ricordano,
inoltre, che secondo la giurisprudenza
amministrativa e comunitaria, premesso che
la partecipazione pubblica totalitaria è
elemento necessario ma non sufficiente ad
integrare il c.d. "controllo analogo",
quest'ultimo si sostanzia in «un rapporto
equivalente, ai fini degli effetti pratici,
ad una relazione di subordinazione
gerarchica; tale situazione si verifica
quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico
sull'ente societario» (così Cons. Stato,
VI, 25.01.2005 n. 168, si veda anche Cons.
Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; Corte
Giust. C.E. 18/11/1999, in causa C-107/98;
06/04/2006 in causa C-410/04; 11/05/2006, in
causa C-340/04).
Con la sentenza da ultimo menzionata, la
Corte di Giustizia ha, in particolare,
precisato che il "controllo analogo"
è configurabile allorché l'ente pubblico
detentore del capitale, abbia la possibilità
di esercitare una «influenza determinante
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti della società» (in
termini anche la citata sentenza Parking
Brixen).
Sulla questione è successivamente
intervenuta l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha
così sintetizzato le condizioni per la
legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati (Cons. Stato,
sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della
società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI,
03.04.007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo dell’ente pubblico e che
risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento
dell’oggetto sociale; dall’apertura
obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione
territoriale dell’attività della società a
tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE:
10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione
c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking
Brixen); d) le decisioni più importanti
devono essere sottoposte al vaglio
preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato,
sez. V, 08.01.2007, n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo
societario totalitario non sia garanzia
della ricorrenza dei presupposti dell’in
house, occorrendo anche un’influenza
determinante da parte del socio pubblico,
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti (C. giust. CE,
11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e
Consorzio Alisei c. Comune di Busto
Arsizio).» (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza
07.04.2011 n.
304 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Società
dei comuni: è un rebus la scelta del partner
privato.
Referendum permettendo (la cui pendenza
giustifica, da sola, un rinvio dei termini,
data l'incertezza che si è venuta a creare),
entro il 31 dicembre la maggioranza delle
aziende di servizi pubblici locali si
troveranno a vedere deciso il proprio
destino, e cioè a sapere se e con quali
modalità continueranno a gestire il servizio
oggi loro affidato.
A giudicare dalle pronunce dell'Autorità
garante per la concorrenza e per il mercato
(che esprime un parere obbligatorio per gli
affidamenti con un valore superiore ai
200mila euro annui, ai sensi dell'articolo 4
del regolamento), sono davvero pochi i casi
in cui gli enti locali potranno affidare
direttamente un servizio pubblico.
Occorre documentare, infatti, che non è
possibile seguire la "via maestra",
ovvero la procedura di evidenza pubblica,
per chiara mancanza di soggetti interessati
a parteciparvi (o per averla esperita senza
successo). Le strade da privilegiare,
secondo il 23-bis, sono dunque le gare, o
per il servizio tout court o per
l'individuazione del partner privato.
Soffermiamoci sulla seconda modalità, verso
la quale sembrano propendere molti enti
locali.
Il primo punto da chiarire è effettivamente
che la società mista assomiglia più ad una
azienda in house che a una società di
mercato: è cioè una modalità di gestione di
un servizio e non una iniziativa
imprenditoriale. Non potrà, pertanto,
partecipare ad altre gare, e dovrà seguire
le regole pubblicistiche sia per le
assunzioni del personale sia per l'acquisto
di beni e servizi (articoli 7 e 6 del
regolamento). Ancora, l'affidamento ha un
termine, e quindi a fine periodo si dovrà
restituire il prezzo delle azioni al socio.
Cosa accadrà se il valore è alto e non si
trova un successore?
È chiaro che il comune dovrà trovare le
risorse nel suo bilancio, con tutti i
problemi del caso. ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.03.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Nel caso di affidamento in house
il controllo analogo si intende assicurato
anche se esercitato congiuntamente dagli
enti associati.
Secondo l’orientamento consolidato di questo
Consiglio, da cui non v’è motivo di
discostarsi, nel caso di affidamento in
house, conseguente all’ istituzione da
parte di più enti locali di una società di
capitali da essi interamente partecipata per
la gestione di un servizio pubblico, il
controllo, analogo a quello che ciascuno di
essi esercita sui propri servizi, deve
intendersi assicurato anche se esercitato
non individualmente ma congiuntamente dagli
enti associati, deliberando se del caso
anche a maggioranza, ma a condizione che il
controllo sia effettivo. Il requisito del
controllo analogo deve essere quindi
verificato secondo un criterio sintetico e
non atomistico, sicché è sufficiente che il
controllo della mano pubblica sull’ente
affidatario, purché effettivo e reale, sia
esercitato dagli enti partecipanti nella
loro totalità, senza che necessiti una
verifica della posizione di ogni singolo
ente (v. C.d.S., Sez. V, 24.09.2010, n.
7092; 26.08.2009, n. 5082; 09.03.2009, n.
1365).
Va osservato, al riguardo, che l'istituto
dell'in house providing trova una
precisa matrice comunitaria nei pronunciati
della Corte di Lussemburgo.
L'interpretazione della normativa interna
(art. 113, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n.
267/2000 e s.m.i.) va dunque condotta sul
filo di quei vincolanti precedenti, come
accade ogniqualvolta il giudice nazionale si
trovi a dover fare applicazione di nozioni
forgiate in ambito sovranazionale (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.03.2011 n. 1447 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità
dell'affidamento del servizio di smaltimento
dei rifiuti disposto in favore di una
società secondo il modulo del c.d. in house
providing, interamente partecipata da enti
locali.
Nel caso di affidamento in house,
conseguente all'istituzione da parte di più
enti locali di una società di capitali da
essi interamente partecipata per la gestione
di un servizio pubblico, il controllo,
analogo a quello che ciascuno di essi
esercita sui propri servizi, deve intendersi
assicurato anche se esercitato non
individualmente ma congiuntamente dagli enti
associati, deliberando se del caso anche a
maggioranza, ma a condizione che il
controllo sia effettivo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 08.03.2011 n. 1447 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: SERVIZI
PUBBLICI LOCALI/ Tar Toscana: necessario
prevedere forti poteri di indirizzo da parte
del comune. Servizi in house con regole di
controllo certe.
Le concessionarie di servizi in house devono
avere regole di controllo certe. Il
servizio, svolto in house, dal
concessionario costituito con una società a
controllo pubblico deve prevedere forti
poteri di indirizzo della gestione da parte
del comune, pena la sua illegittimità.
Questa in buona sintesi è la massima della
recente decisione del TAR Toscana, Sez.
I (sentenza
01.03.2011 n. 377) che ha così
deciso su un ricorso di una privato che
chiedeva l'annullamento della deliberazione
di un comune che aveva provveduto ad
affidare direttamente il servizio di
accertamento, liquidazione e riscossione del
canone di pubblicità e del servizio delle
pubbliche affissioni.
La parte lamentava, nel caso specifico,
l'illegittimità della procedura di
affidamento, sotto alcuni profili, tra i
quali la violazione del giusto procedimento,
l'irragionevolezza e la disparità di
trattamento, non ultimo anche l'eccesso di
potere dell'amministrazione locale.
L'affidamento in house, ad avviso del
Tar della Toscana è legittimo, ed è prassi
consolidata negli enti locali; e lo può
essere anche in riferimento alla revoca di
una gara già indetta per una procedura di
affidamento di gestione di pubblici servizi,
allorquando l'ente locale ravvisi che la
gestione e la riscossione di entrate
comunali possa essere maggiormente
convenientemente gestita in house da una
società a capitale pubblico.
Ciò è confermato anche dalla sentenza n.
6137 del 30/11/2007 del Consiglio di stato.
Neppure è inibito al comune di procedere in
tal senso, avendo riguardo alla particolare
attività di gestione di tali servizi che
avendo caratteristiche di strumentalità non
rientra nei servizi di pubblica rilevanza,
sanciti dall'art. 23-bis del dl 112/2008 che
pone particolari norme all'affidamento a
soggetti sia pubblici che privati o anche a
composizione mista, di alcuni servizi aventi
rilevanza economica.
Infatti, osservano i giudici amministrativi
toscani, «trattandosi di attività
strumentale che esula dall'ambito di
applicazione dell'art. 23-bis, e che è
invece disciplinata dall'art. 52 legge n.
446/97 e dall'art. 13 dlgs 223/06, deve
quindi concludersi per la teorica
ammissibilità dell'istituto dell'in house».
I giudici ritengono però che devono
osservarsi le modalità di gestione del
servizio per giudicare sulla concreta
possibilità dell'affidamento in proprio.
La giurisprudenza, sul punto, verificando
anche le precedenti decisioni del Consiglio
di stato, ha chiarito che «il ricorso
all'affidamento in house è legittimo solo
allorché l'amministrazione pubblica eserciti
sull'ente distinto un controllo analogo a
quello che esercita sui propri servizi e
qualora l'ente svolga la parte più
importante della sua attività con
l'amministrazione o con gli enti pubblici
che lo detengono».
L'analisi è stata poi rivolta sui poteri
gestionali in seno alla società affidataria
del pubblico servizio di accertamento e
riscossione dei tributi locali, la quale
deve poter consentire all'ente pubblico, un
controllo analogo a quello effettuato per
altri tipologie di pubblici servizi.
In altre parole, occorre verificare che il
consiglio di amministrazione della società
di capitali affidataria in house non abbia
rilevanti poteri gestionali, e che l'ente
pubblico affidante (rispettivamente la
totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se
con moduli societari su base statutaria,
poteri di ingerenza e di condizionamento
superiori a quelli tipici del diritto
societario, caratterizzati da un margine di
rilevante autonomia della governance
rispetto alla maggioranza azionaria, sicché
risulti indispensabile, che le decisioni più
importanti siano sottoposte al vaglio
preventivo dell'ente affidante o, in caso di
in house frazionato, della totalità degli
enti pubblici soci.
Nel caso in esame, invece il Tar ha
riscontrato dallo statuto sociale che il
consiglio di amministrazione della società
in house godeva di poteri decisori pressoché
assoluti, rispetto al vaglio dell'organo
amministrativo, lasciando aspetti puramente
formali all'ente locale, che non
consentivano ad esso il controllo richiesto
in merito alle decisioni prese dai vertici,
ciò in stridente contrasto con i principi
adesso elencati.
Del resto, la decisione del Consiglio di
stato dell'11/08/2010 n. 5620, a cui il Tar
implicitamente si richiama aveva stabilito,
che «gli enti partecipi alla società in
house possono esercitare il controllo
collettivamente, deliberando a maggioranza
all'interno degli organi sociali in cui
siedono i loro rappresentanti» e che i
requisiti dell'in house providing,
costituendo una eccezione alle regole
generali del diritto comunitario, vanno
interpretati in modo restrittivo.
Tale fatto, che riveste una importanza
generale, è stato ritenuto rilevante ai fini
della decisione nel caso in esame,
conseguendone, in concreto, che la procedura
di affidamento mediante il ricorso
all'istituto dell'in house è illegittima,
difettando il requisito del controllo
analogo in concreto richiesto per la sua
applicazione
(articolo ItaliaOggi
del 06.05.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Tributi in house solo se il
comune «gestisce» la società. Affidamento
bocciato dal Tar.
È illegittimo
l'affidamento diretto dei tributi locali a
una società pubblica se il comune non ha
alcun potere di intervento sulla gestione
operativa.
Lo afferma il TAR Toscana, Sez. I, con la
sentenza 01.03.2011 n. 377, che
ha annullato l'affidamento del servizio
perché mancava il requisito del «controllo
analogo».
L'articolo 52 Dlgs 446/1997 consente alle
società in house di gestire i tributi
locali con affidamento diretto, ma solo in
presenza di tre condizioni: 1) controllo
analogo; 2) realizzazione della parte più
importante della propria attività; 3)
svolgimento dell'attività solo nell'ambito
territoriale di pertinenza dell'ente che la
controlla.
In particolare, il requisito del controllo
analogo sussiste quando l'ente pubblico
affidante esercita sulla società poteri di
ingerenza e di condizionamento superiori a
quelli tipici del diritto societario. In
sostanza, la società in house non
deve avere rilevanti poteri gestionali e le
decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell'ente
affidante.
Nel caso sottoposto al Tar Toscana, il cda
della società aveva una libertà decisoria
pressoché assoluta, a fronte di un controllo
dell'organo politico-amministrativo limitato
ad aspetti formali. In questa situazione
manca il requisito del «controllo analogo»,
e l'affidamento si rivela illegittimo.
Conclusione -quella del Tar Toscana- che
rischia di mettere in crisi questo modulo
organizzativo.
Tra l'altro si registra una propensione a
costituire società multiutility,
senza considerare che l'ampliamento
dell'oggetto sociale fa acquisire alla
società pubblica una vocazione commerciale
incompatibile con la logica dell'in house.
Ci sono quindi diversi elementi critici,
anche perché si sostiene da più parti
l'applicabilità della disciplina restrittiva
prevista dall'articolo 23-bis Dl 112/2008.
Questione che è stata affrontata dal Tar
Toscana, ma liquidata con l'affermazione che
la riscossione dei tributi è un'attività
strumentale -come più volte affermato
dall'Antitrust- al di fuori della portata
del 23-bis. Senza però considerare che la
natura concessoria del rapporto (Consiglio
di Stato 5566/2010) non riguarda soltanto
attività strumentali al successivo esercizio
della potestà impositiva dei comuni, ma un
diretto svolgimento delle attività di
accertamento e riscossione dei tributi. Un
servizio talmente ampio da apparire
inconciliabile con la natura «meramente
strumentale» dell'attività.
Il problema tuttavia non si dovrebbe porre
in quanto l'articolo 52 Dlgs 446/1997 è
chiaro nel rinviare -per quanto concerne
l'affidamento- proprio alla disciplina sui
servizi pubblici locali. Si tratta di un
rinvio dinamico, che impone cioè di
applicare la disciplina attualmente vigente
e quindi il 23-bis, che ha praticamente
sostituito l'articolo 113 del Dlgs 267/2000,
disposizione quest'ultima espressamente
richiamata dall'articolo 52 del Dlgs
446/1997 proprio in ordine alle società.
Ci sono quindi valide motivazioni per
sostenere che la legittimità degli
affidamenti alle società in house andrebbe
valutata anche alla luce del 23-bis. Si
tratterebbe quantomeno di una soluzione
interpretativa «prudenziale», se non
si vuole correre il rischio di compromettere
la validità degli atti impositivi emessi
dalla società.
Risulta dallo statuto (della società) il cda
della società affidataria in house ha una
libertà decisoria pressoché assoluta
rispetto al vaglio dell'organo
politico-amministrativo, limitato ad aspetti
meramente formali, che non consente di
ritenere sussistente il predetto requisito
di controllo richiesto.
In particolare l'articolo io dello statuto
si limita a prevedere la competenza
esclusiva dell'organo consiliare ... in
materia di approvazione degli atti di
indirizzo annuali per la gestione della
società, di assunzione di partecipazioni e
di autorizzazione all'alienazione di beni
immobili non contemplati negli atti di
indirizzo, lasciando ogni altra attività
gestionale nella libertà operativa della
società affidataria in house.
Ne consegue che la procedura di affidamento
mediante il ricorso all'istituto dell'in
house è illegittima, difettando il requisito
del controllo analogo in concreto richiesto
perla sua applicazione
(articolo ItaliaOggi
del 21.03.2011 - tratto da www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittimo l'affidamento in
house del servizio di accertamento
liquidazione e riscossione del canone sulla
pubblicità e il servizio delle pubbliche
affissioni, purché sussistano i requisiti
richiesti per la ricorribilità al suddetto
affidamento.
Il servizio di accertamento liquidazione e
riscossione del canone sulla pubblicità e il
servizio delle pubbliche affissioni, è
un'attività strumentale e come tale non
rientra nei servizi di pubblica rilevanza,
come affermato anche dalla Autorità Garante
della concorrenza e del mercato.
Trattandosi di attività strumentale che
esula dall'ambito di applicazione dell'art.
23-bis del d.l. 112/2008, e che è invece
disciplinata dall'art. 52 l. 446/1997 e
dall'art. 13 d.lgs. 223/2006, è ammissibile
l'istituto dell'in house, a condizione però
che sussistano i requisiti richiesti per la ricorribilità all'istituto.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima
la procedura di affidamento in house del
servizio di accertamento liquidazione e
riscossione del canone sulla pubblicità e il
servizio delle pubbliche affissioni,
difettando il requisito del controllo
analogo in concreto richiesto per la sua
applicazione.
Risulta, infatti, dallo statuto che il
consiglio di amministrazione della società
affidataria in house ha una libertà
decisoria pressoché assoluta rispetto al
vaglio dell'organo politico-amministrativo,
limitato ad aspetti meramente formali, che
non consente di ritenere sussistente il
requisito di controllo richiesto (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 01.03.2011 n. 377 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
La decisione di un Comune di
ricorrere ad una società "in house" invece
che ad un soggetto terzo deve essere
effettuata, previa valutazione comparativa
dei rispettivi servizi offerti.
La scelta di un Comune di non trasferire ad
un soggetto terzo la funzione amministrativa
atta a soddisfare la domanda relativa ad un
pubblico servizio costituisce per la P.A.
una facoltà legittima (come previsto dal
Trattato CE), ciò non esclude che comunque
la decisione di ricorrere ad una società "in
house" invece che ad un soggetto terzo
debba essere effettuata, previa valutazione
comparativa dei rispettivi servizi offerti.
Posto che l'art. 113, V c., del D.Lgs. n.
267 del 2000, prevede che la gestione dei
servizi pubblici locali avvenga secondo una
delle alternative modalità ivi contemplate,
tra cui quella che si sostanzia nel
conferire il servizio a società a capitale
interamente pubblico, e che il ricorso
all'affidamento diretto è sempre consentito,
alla sola condizione che sussistano i
requisiti indicati nella lett. c) di detto
quinto comma, può convenirsi che non sia
necessaria un'apposita ed approfondita
motivazione di tale scelta, ma solo dopo che
sia stata dimostrata non solo la sussistenza
dei presupposti richiesti per
l'autoproduzione, ma anche la convenienza
rispetto all'affidamento della gestione del
servizio a soggetti terzi, perché, in
difetto, la scelta sarebbe del tutto
immotivata e contraria al principio di buona
amministrazione cui deve conformarsi
l'operato della P.A..
Il principio che la scelta della forma di
gestione per ciascun servizio deve essere
effettuata previa valutazione comparativa
tra le diverse forme di gestione previste
dalle disposizioni in materia è applicabile
non solo, nel caso di specie, nel Comune di
Ceriale perché previsto dallo statuto, ma in
generale ed ovunque ogni qualvolta debba
essere effettuata la scelta tra il ricorso
alle due forme di gestione di cui trattasi,
anche se non espressamente previsto
dall'art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in
ossequio al principio di buon andamento
costituzionalmente previsto (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 08.02.2011 n. 854 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: SERVIZI
PUBBLICI LOCALI/ Servizi locali, il comune
fa da sé. Sì alla gestione diretta per
attività di poco impegno economico. Il
Consiglio di stato riapre la partita che
sembrava chiusa dopo la sentenza n. 325
della Consulta.
La recente sentenza del Consiglio di stato,
n. 552 del 26/01/2011 riapre la discussione
sulla possibilità per gli enti locali di
gestire direttamente i servizi pubblici
locali a rilevanza economica. La sentenza
giunge all'indomani della pronuncia della
Corte costituzionale n. 325 del 03/11/2010
che, seppur in via incidentale, aveva
affermato il contrario.
La pronuncia del Consiglio di stato prende
le mosse dal ricorso in appello presentato
dal comune di San Clemente (Rn) per la
riforma della sentenza del Tar dell'Emilia
Romagna n. 460/2010. Ma che cosa era
accaduto?
In pratica, nel settembre 2009 la giunta
comunale di San Clemente decise di
esercitare nella forma dell'amministrazione
diretta la gestione e la manutenzione delle
lampade votive all'interno dei cimiteri
comunali e una società privata, interessata
a svolgere tale attività, presentò ricorso
al Tar contro la decisione del comune per
violazione dei principi sanciti dall'art.
113 del Tuel e dall'art. 23-bis del dl
112/2008, nonché per difetto di motivazione
e per violazione dei principi del giusto
procedimento e del buon andamento della
pubblica amministrazione.
In pratica, la società ricorrente sostenne
che, essendo la gestione delle lampade
votive dei cimiteri comunali un servizio
pubblico locale a rilevanza economica, la
modalità ordinaria di gestione doveva essere
quella prevista dall'art. 23-bis
sopraccitato, cioè quella dell'affidamento
mediante procedura competitiva a evidenza
pubblica o, in via eccezionale, quella
dell'affidamento a società in house,
ma in nessun caso il comune avrebbe potuto
gestire direttamente il servizio.
A gennaio del 2010 il Tar dell'Emilia
Romagna accolse il ricorso e annullò la
deliberazione del comune di San Clemente
sostenendo, di fatto, che alla luce delle
modalità di affidamento previste dall'art.
23-bis, il comune non può più gestire
direttamente i servizi pubblici locali a
rilevanza economica.
La posizione assunta dal Tar lasciò
perplessi molti addetti ai lavori, che
considerarono la sentenza come non
annoverabile fra quella che viene
comunemente considerata la giurisprudenza
prevalente. La questione però ha ripreso
vigore all'indomani della sentenza della
Corte costituzionale n. 325/2010, in quanto
la Corte, pur in via incidentale, al punto
6.1 di tale sentenza sostiene che ... (articolo ItaliaOggi
del 04.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'affidamento ad un comune
tramite una società in house delle attività
di gestione degli ormeggi e delle
attrezzature portuali.
Appare corretta, alla luce dell'ampia
definizione espressa dall'art. 112 del
d.lgs. n. 167/2000, la qualificazione delle
attività di gestione degli ormeggi e delle
attrezzature portuali oggetto della
concessione come servizi pubblici locali,
rispetto al cui esercizio l'utilizzo del
demanio marittimo si pone come presupposto
necessario.
Pertanto, in ordine alla scelta del
concessionario di cui all'art. 37 del codice
della navigazione, occorre adottare
un'interpretazione comunitariamente
orientata, in linea con l'art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n.
133/2008, il quale da un lato sancisce il
necessario rispetto, ai fini del
conferimento della gestione dei servizi
pubblici locali, dei principi posti a
salvaguardia della libera concorrenza, tra i
quali, in particolare, il principio generale
di trasparenza e adeguata pubblicità nella
procedura di scelta del contraente,
dall'altro lato ammette l'affidamento
diretto a società in house in situazione
eccezionali, debitamente motivate e previo
parere dell'Autorità garante della
concorrenza e del mercato (art. 23-bis,
commi 2, 3 e 4).
Nel caso di specie, al contrario, la
pubblicità dell'avvio del procedimento
selettivo, riguardante servizi di rilevanza
economica ex art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, si è limitata all'albo pretorio, e
quindi non è risultata coerente con i
principi di evidenza pubblica valorizzati da
detta norma; né il comune ha dato contezza
di particolari ragioni giustificatrici della
gestione tramite società in house, ancorché
l'individuazione del concessionario e il
conseguente affidamento a quest'ultima siano
avvenuti ad esito di procedura contrastante
con i suddetti principi, o comunque non
costituente procedura di evidenza pubblica
nei sensi di cui all'art. 23-bis, c. 1, del
d.l. n.112/2008, incorrendo pertanto, sotto
questo profilo, nella violazione del c. 3
dell'art. 23-bis (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 27.01.2011 n. 162 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: ILLUMINAZIONE
VOTIVA.
E’ legittima la scelta del Comune di gestire
direttamente il servizio di illuminazione
votiva cimiteriale, esigente solo l'impegno
periodico di una persona e la spesa annua di
qualche migliaio di euro, laddove l'esborso
sarebbe notoriamente ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica.
E’ quanto sorprendentemente affermato dalla
V Sez. del Consiglio di Stato, con la
sentenza 26.01.2011 n. 552, ove
si è dato luogo ad un inatteso ripensamento
in merito alla natura giuridica
dell’attività di illuminazione votiva.
Indubbiamente, il mutamento degli
orientamenti giurisprudenziali non
costituisce un “evento straordinario”,
ma dovrebbe porsi come un naturale elemento
di sviluppo dell’elaborazione giuridica,
esito di nuove riflessioni, traenti origine
anche da elementi meta-giuridici. Tuttavia,
nella presente problematica, cioè
l’individuazione della precisa natura
giuridica dell’attività di illuminazione
votiva, la giurisprudenza e, soprattutto, il
Consiglio di Stato avevano dato
l’impressione di possedere certezze
granitiche, resistenti ad ogni diverso
contributo di riflessione.
Il mainstream, l’orientamento di
tendenza, era nel solco di un unico filone
interpretativo: l’illuminazione votiva ha un
contenuto economico, afferente il servizio
in senso stretto, che prescinde
dall’impianto, il quale esplica una valenza
solo accessoria: mero strumento del servizio
puro, ricomprendente diverse attività
(fornir luce alle tombe, sorveglianza degli
impianti, operazioni di bollettazione e
riscossione). Orbene, tale solido
orientamento sembra ora essere stato
edificato sulla sabbia! Non è più indiscussa
la rilevanza economica; anzi, si è in
presenza di “un’attività di modesto
impegno”!
Analizziamo i passaggi concettuali della
sorprendente sentenza in esame, che ha
ribaltato completamente l’impostazione dei
giudici di primo grado.
In primo luogo, ad avviso dei giudici
amministrativi di appello, occorre tener
conto di un’importante distinzione,
trascurata, secondo la loro prospettazione,
dal Tar Emilia-Romagna. Una cosa è
l’affidamento diretto di un servizio
pubblico locale, modello non consentito in
omaggio alle comunitarie regole della
concorrenza; una cosa ben diversa è la
“gestione diretta” del servizio, “sempre
praticabile dall’ente locale, soprattutto
quando si tratti di attività di modesto
impegno finanziario, come nella specie:
poche migliaia di euro all’anno”. Onde
poter sostenere la tesi della possibile
gestione diretta in economia del servizio,
il CdS pone in forte evidenza la limitatezza
economica del medesimo: attività di scarso
impegno finanziario.
Ancora, proprio per confermare la
legittimità della gestione diretta, il
Consiglio di Stato rincara la dose in merito
alla modestia economica dell’attività: “Appartiene,
in realtà, alla dimensione dell’inverosimile
immaginare che un Comune di non eccessiva
grandezza non possa gestire direttamente un
servizio, come quello dell’illuminazione
votiva cimiteriale, esigente solo l’impegno
periodico di una persona e la spesa annua di
qualche migliaio di euro, laddove l’esborso
sarebbe notoriamente ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica”.
La categoria concettuale dell’”inverosimile”
viene, dunque, richiamata per giustificare
la possibilità della gestione diretta.
Infatti, il CdS pone enfasi sul rilievo che
“nessuna norma obbliga i Comuni ad
affidare all’esterno determinati servizi”,
quale quello dell’illuminazione votiva.
Invero, l’approdo ermeneutico delle
statuizioni del Consiglio di Stato, seppur
non espressamente dichiarato, è l’articolo
113-bis del D.Lgs n. 267/2000, disciplinante
la gestione dei servizi pubblici locali
privi di rilevanza economica. Al riguardo, è
necessario ricordare che il comma 2°
dell’indicato articolo prescrive,
espressamente, che “è consentita la
gestione in economia quando, per le modeste
dimensioni o per le caratteristiche del
servizio, non sia opportuno precedere ad
affidamento ai soggetti di cui al comma 1°”
.
Pertanto, l’illuminazione votiva, nella
nuova ricostruzione operata dai giudici
amministrativi di appello, cambia
completamente natura. Perde i suoi
dichiarati profili di rilevanza
economico-finanziaria è diventa un servizio
pubblico locale privo di valenza economica,
in ragione proprio della nuova “scoperta”
effettuata dai giudici amministrativi di
appello: la modestia delle dimensioni
organizzative e strutturali!
E’ evidente che si è in presenza di un
radicale cambiamento, che implica una nuova
configurazione dell’istituto
dell’illuminazione votiva. Tuttavia, tale
mutamento, al di là della sua eventuale
correttezza teorica, sicuramente da
approfondire, avrebbe meritato una maggiore
attenzione analitica ed un maggior sforzo
motivazionale, che non sembra essere stato
palesato nella sentenza. Infatti, i passaggi
concettuali illustrati appaiono alquanto
macchinosi ed apodittici.
Invero, pur parzialmente apprezzando l’idea
di cambiamento, che sembra diffondersi da
tale pronuncia, ancora sembra mancare un
forte, ma necessario, sforzo interpretativo,
volto ad intendere la reale portata
dell’illuminazione votiva, la quale è
costituita, giova ricordarlo, da diverse
attività: - progettazione di impianti; -
realizzazione di impianti; - effettuazione
di lavori di manutenzione ordinaria e
straordinaria; - sorveglianza degli
impianti; - bollettazione e riscossione, etc..
Solo un’accurata indagine sulle variegate
attività, che globalmente intese connotano
l’illuminazione votiva, potrà condurre a
percepire la concreta realtà dell’istituto,
che, come correttamente osservato
dall’Autorità di Vigilanza, oscilla fra la
concessione di servizi e la concessione di
lavori pubblici, ma non necessariamente dà
luogo ad un servizio pubblico locale. Forse,
sono maturi i tempi, affinché siffatta
indagine venga finalmente compiuta!
(commento tratto dalla newsletter di
www.centrostudimarangoni.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Servizi pubblici. Il Consiglio di
stato contro la Consulta. Gestione diretta
senza limiti.
Nessuna norma impone ai
comuni di affidare all'esterno la gestione
dei servizi pubblici, anche a rilevanza
economica, se l'ente preferisce la gestione
diretta in economia. Nel caso di una scelta
differente, il conferimento a terzi deve
avvenire tramite gara. «Affidamento diretto»
e «gestione diretta» in economia, infatti,
non sono sinonimi.
Questo l'importante principio sancito dal
Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 26.01.2011 n. 552, con
cui ha accolto il ricorso presentato da un
comune contro la sentenza del Tar che aveva
dichiarato illegittima la scelta di gestire
in economia il servizio di illuminazione
votiva.
I giudici hanno chiarito che c'è una netta
distinzione tra «gestione diretta» e
«affidamento diretto», in quanto l'«affidamento»
postula la scelta dell'ente di attribuire la
gestione di un servizio all'esterno, mentre
per «gestione diretta o in economia»
deve intendersi l'ordinaria erogazione del
servizio da parte dell'ente con proprio
personale.
Secondo il Consiglio di stato «non si
vede per quali motivi un ente locale debba
rintracciare un'esplicita norma positiva per
poter fornire direttamente ai propri
cittadini un servizio», tipicamente
appartenente al novero di quelli per cui
esso viene istituito. In questa chiave,
l'articolo 23-bis del Dl 112/2008 non
conterrebbe alcun divieto in tal senso.
Questa lettura non è condivisa dalla Corte
costituzionale che ha ritenuto equipollenti
i termini «gestione diretta» e «affidamento
diretto», nella pronuncia n. 325/2010.
La Consulta ha sostenuto che la normativa
comunitaria consente (ma non impone) agli
stati membri di prevedere la gestione
diretta del servizio pubblico da parte
dell'ente locale, mentre lo Stato italiano,
«facendo uso della sfera di
discrezionalità attribuitagli
dall'ordinamento comunitario ha effettuato
la sua scelta nel senso di vietare di
regolala gestione diretta dei spl».
Secondo il Consiglio di stato, considerando
l'esigenza di riduzione della spesa
pubblica, non sarebbe ammissibile sostenere
che un comune (magari piccolo) non possa
gestire direttamente un servizio come quello
dell'illuminazione votiva, «laddove
l'esborso sarebbe ben maggiore solo per
potersi procedere a tutte le formalità
necessarie per la regolare indizione di una
gara pubblica».
Tale considerazione è da sola sufficiente,
secondo i giudici, per ritenere sempre
legittima la gestione diretta in economia
dei pubblici servizi locali in base alle
autonome scelte organizzative dei comuni (articolo
Il Sole 24 Ore del 21.02.2011 -
link a www.corteconti.it). |
APPALTI SERVIZI: Non
esiste alcun divieto di gestione diretta del
servizio di illuminazione votiva
cimiteriale.
Col ricorso contenuto nella pronuncia in
rassegna la società originaria ricorrente
impugnava una delibera avente ad oggetto "Indirizzo
agli uffici per la gestione diretta del
servizio di illuminazione votiva nei
cimiteri comunali”, con cui era stato
deciso di esercitare nella forma
dell’amministrazione diretta la gestione e
la manutenzione delle lampade votive
all’interno dei cimiteri comunali,
censurando il tutto per violazione dell’art.
113, t.u.e.l., e dell’art. 23-bis, d.l. n.
112/2008.
I giudici del Consiglio di Stato hanno
accolto l’appello, spiegando che i primi
giudici hanno ignorato la distinzione tra
gestione diretta (sempre praticabile
dall’ente locale, soprattutto quando si
tratti di attività di modesto impegno
finanziario, come nella specie: poche
migliaia di euro all’anno) ed affidamento
diretto, postulante la scelta di attribuire
la gestione di un servizio all’esterno del
comune interessato, il che non può accadere
se non mediante gara ad evidenza pubblica.
Infatti, nessuna norma obbliga i comuni ad
affidare all’esterno determinati servizi
(illuminazione pubblica, centri
assistenziali, case di accoglienza, case di
riposo, case famiglia, assistenza
domiciliare per anziani ed handicappati,
asili nido, mense scolastiche, scuola-bus,
biblioteche, impianti sportivi: tutti
servizi che, notoriamente, gran parte dei
comuni italiani gestiscono direttamente,
senza appaltarli a privati), ove
preferiscano amministrarli in via diretta e
magari in economia, mentre, nel caso di una
differente scelta, il discusso conferimento
a terzi deve avvenire tramite gara
rispettosa del regime comunitario di libera
concorrenza.
Né si vede per quali motivi un ente locale
debba rintracciare un’esplicita norma
positiva per poter fornire direttamente ai
propri cittadini un servizio tipicamente
appartenente al novero di quelli per cui
esso viene istituito; nella specie, la
disciplina legislativa sopra richiamata non
contiene alcun divieto esplicito né
implicito in tal senso.
Il cit. art. 23-bis recita, ai commi 2 e 3:
“Il conferimento della gestione dei
servizi pubblici locali avviene, in via
ordinaria:
a) a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica, nel rispetto dei principi del
Trattato che istituisce la Comunità europea
e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei
principi di economicità, efficacia,
imparzialità, trasparenza, adeguata
pubblicità, non discriminazione, parità di
trattamento, mutuo riconoscimento e
proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica
e privata, a condizione che la selezione del
socio avvenga mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a), le quali
abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la
qualità di socio e l’attribuzione di
specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio e che al socio sia
attribuita una partecipazione non inferiore
al 40 per cento.
In deroga alle modalità di affidamento
ordinario di cui al comma 2, per situazioni
eccezionali che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto
territoriale di riferimento, non permettono
un efficace e utile ricorso al mercato,
l'affidamento può avvenire a favore di
società a capitale interamente pubblico,
partecipata dall'ente locale, che abbia i
requisiti richiesti dall'ordinamento
comunitario per la gestione cosiddetta in
house e, comunque, nel rispetto dei principi
della disciplina comunitaria in materia di
controllo analogo sulla società e di
prevalenza dell'attività svolta dalla stessa
con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano”.
Appartiene, in realtà, alla dimensione
dell’inverosimile, secondo i giudici
d’appello, immaginare che un comune di non
eccessiva grandezza non possa gestire
direttamente un servizio come quello
dell’illuminazione votiva cimiteriale,
esigente solo l’impegno periodico di una
persona e la spesa annua di qualche migliaio
di euro, laddove l’esborso sarebbe
notoriamente ben maggiore solo per potersi
procedere a tutte le formalità necessarie
per la regolare indizione di una gara
pubblica
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.01.2011 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
APPALTI SERVIZI:
G. Chiàntera,
Affidamento in house: regolazione del
rapporto tra amministrazione e società, lo
strumento contrattuale (link a
www.filodiritto.com). |
APPALTI SERVIZI:
Art. 23-bis del d.l. 25.06.2008,
n. 112, conv. con mod. in l. n. 133/2008 nel
testo originario ed in quello mod. dall'art.
15, c. 1, del d.l. n. 135/2009, conv. con
mod. in l. n. 166/2009; art. 15, c. 1-ter,
del d.l. n. 135/2009, conv. con mod. in l.
n. 166/2009.
Illegittimità costituzionale - illegittimità
costituzionale parziale - non fondatezza -
inammissibilità.
Sebbene in àmbito comunitario non venga mai
utilizzata l'espressione "servizio
pubblico locale di rilevanza economica",
ma solo quella di "servizio di interesse
economico generale" (SIEG), la nozione
comunitaria di SIEG, ove limitata all'àmbito
locale, e quella interna di SPL di rilevanza
economica hanno "contenuto omologo".
Lo stesso c. 1 dell'art. 23-bis del d.l. n.
112 del 2008 conferma tale interpretazione,
attribuendo espressamente ai SPL di
rilevanza economica un significato
corrispondente a quello di "servizi di
interesse generale in àmbito locale" di
rilevanza economica, di evidente derivazione
comunitaria.
Entrambe le suddette nozioni, interna e
comunitaria, fanno riferimento, infatti, ad
un servizio che:
a) è reso mediante un'attività economica (in
forma di impresa pubblica o privata), intesa
in senso ampio, come "qualsiasi attività
che consista nell'offrire beni o servizi su
un determinato mercato";
b) fornisce prestazioni considerate
necessarie (dirette, cioè, a realizzare
anche "fini sociali") nei confronti
di una indifferenziata generalità di
cittadini, a prescindere dalle loro
particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono
l'identica funzione di identificare i
servizi la cui gestione deve avvenire di
regola, al fine di tutelare la concorrenza,
mediante affidamento a terzi secondo
procedure competitive ad evidenza pubblica.
La disciplina comunitaria del SIEG e quella
censurata del SPL divergono, invece, in
ordine all'individuazione delle eccezioni
alla regola dell'evidenza pubblica:
a) la normativa comunitaria consente, ma non
impone, agli Stati membri di prevedere, in
via di eccezione e per alcuni casi
determinati, la gestione diretta del
servizio pubblico da parte dell'ente locale;
b) lo Stato italiano, facendo uso della
sfera di discrezionalità attribuitagli
dall'ordinamento comunitario al riguardo, ha
effettuato la sua scelta nel senso di
vietare di regola la gestione diretta dei
SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che
pone tale divieto.
---------------
Il testo vigente dell'art. 23-bis del d.l.
n. 112/2008, è conforme alla normativa
comunitaria, nella parte in cui consente
l'affidamento diretto della gestione del
servizio, "in via ordinaria", ad una
società mista, alla doppia condizione che la
scelta del socio privato "avvenga
mediante procedure competitive ad evidenza
pubblica" e che a tale socio siano
attribuiti "specifici compiti operativi
connessi alla gestione del servizio"
(cosiddetta gara ad evidenza pubblica a
doppio oggetto: scelta del socio e
attribuzione degli specifici compiti
operativi).
La stessa nuova formulazione dell'art.
23-bis si discosta, però, dal diritto
comunitario nella parte in cui pone
l'ulteriore condizione, al fine del suddetto
affidamento diretto, che al socio privato
sia attribuita "una partecipazione non
inferiore al 40 per cento".
Tale misura minima della partecipazione (non
richiesta dal diritto comunitario, ma
neppure vietata) si risolve in una
restrizione dei casi eccezionali di
affidamento diretto del servizio e, quindi,
la sua previsione perviene al risultato di
far espandere i casi in cui deve essere
applicata la regola generale comunitaria di
affidamento a terzi mediante gara ad
evidenza pubblica. Ne consegue la piena
compatibilità della normativa interna con
quella comunitaria.
---------------
Secondo la normativa comunitaria, le
condizioni integranti la gestione in house
ed alle quali è subordinata la possibilità
del suo affidamento diretto debbono essere
interpretate restrittivamente, costituendo
l'in house providing un'eccezione
rispetto alla regola generale
dell'affidamento a terzi mediante gara ad
evidenza pubblica. Tuttavia, la
giurisprudenza comunitaria non pone
ulteriori requisiti per procedere a tale
tipo di affidamento diretto, ma si limita a
chiarire via via la concreta portata delle
condizioni.
Al contrario, il legislatore nazionale,
nella versione vigente dell'art. 23-bis del
d.l. n. 112/2008, non soltanto richiede
espressamente, per l'affidamento diretto in
house, la sussistenza delle condizioni poste
dal diritto comunitario, ma esige il
concorso delle seguenti ulteriori
condizioni:
a) una previa "pubblicità adeguata" e
una motivazione della scelta di tale tipo di
affidamento da parte dell'ente in base ad
un'"analisi di mercato", con
successiva trasmissione di una "relazione"
dall'ente affidante alle autorità di
settore, ove costituite (testo originario
dell'art. 23-bis), ovvero all'AGCM (testo
vigente dell'art. 23-bis), per un parere
preventivo e obbligatorio, ma non
vincolante, che deve essere reso entro 60
giorni dalla ricezione;
b) la sussistenza di "situazioni che, a
causa di peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento" (commi 3 e 4 del testo
originario dell'art. 23-bis), ovvero di
"situazioni eccezionali che, a causa di
peculiari caratteristiche economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento" (commi
3 e 4 del testo vigente del medesimo art.
23-bis), "non permettono un efficace ed
utile ricorso al mercato".
Siffatte ulteriori condizioni si risolvono
in una restrizione delle ipotesi in cui è
consentito il ricorso alla gestione in house
del servizio e, quindi, della possibilità di
derogare alla regola comunitaria
concorrenziale dell'affidamento del servizio
stesso mediante gara pubblica.
È infatti innegabile l'esistenza di un "margine
di apprezzamento" del legislatore
nazionale rispetto a princípi di tutela,
minimi ed indefettibili, stabiliti
dall'ordinamento comunitario con riguardo ad
un valore ritenuto meritevole di specifica
protezione, quale la tutela della
concorrenza "nel" mercato e "per"
il mercato. Ne deriva, in particolare, che
al legislatore italiano non è vietato
adottare una disciplina che preveda regole
concorrenziali -come sono quelle in tema di
gara ad evidenza pubblica per l'affidamento
di servizi pubblici- di applicazione più
ampia rispetto a quella richiesta dal
diritto comunitario.
---------------
La disciplina delle modalità di affidamento
della gestione dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica -ivi compreso il
servizio idrico- rientra nella materia "tutela
della concorrenza" di competenza
esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117,
c. 2, lett. e), Cost.
---------------
Non appare irragionevole, anche se non
costituzionalmente obbligata, una disciplina
intesa a restringere ulteriormente -rispetto
al diritto comunitario- i casi di
affidamento diretto in house (cioè i casi in
cui l'affidatario costituisce la longa
manus di un ente pubblico che lo
controlla pienamente e totalmente).
Tale normativa si innesta coerentemente in
un sistema normativo interno in cui già vige
il divieto della gestione diretta mediante
azienda speciale o in economia (introdotto
dai non censurati artt. 35 della l. n.
448/2001 e 14 del d.l. n. 269 del 2003) e
nel quale, pertanto, i casi di affidamento
in house, quale modello organizzativo
succedaneo della (vietata) gestione diretta
da parte dell'ente pubblico, debbono essere
eccezionali e tassativamente previsti.
L'ordinamento comunitario, in tema di tutela
della concorrenza e, in particolare, in tema
di affidamento della gestione dei servizi
pubblici, costituisce solo un minimo
inderogabile per il legislatore degli Stati
membri e, pertanto, non osta a che la
legislazione interna disciplini più
rigorosamente, nel senso di favorire
l'assetto concorrenziale di un mercato, le
modalità di tale affidamento. Pertanto, il
legislatore nazionale ha piena libertà di
scelta tra una pluralità di discipline
ugualmente legittime.
---------------
Il regime transitorio degli affidamenti non
conformi (art. 23-bis, c. 8 del d.l. n.
112/2008), è congruo e proporzionato
all'entità ed agli effetti delle modifiche
normative introdotte e, dunque, ragionevole.
Tali ampi margini temporali assicurano una
concreta possibilità di attenuare le
conseguenze economiche negative della
cessazione anticipata della gestione e,
pertanto, escludono la possibilità di
invocare quell'incolpevole affidamento del
gestore nella durata naturale del contratto
di servizio che, solo, potrebbe determinare
una possibile irragionevolezza della norma.
---------------
La nozione di "rilevanza economica",
al pari di quella omologa di "interesse
economico" propria del diritto
comunitario, va utilizzata, nell'àmbito
della disciplina del mercato dei servizi
pubblici, quale criterio discretivo per
l'applicazione delle norme concorrenziali e
concorsuali comunitarie in materia di
affidamento della gestione di tali servizi.
Ne deriva che, proprio per tale suo àmbito
di utilizzazione, la determinazione delle
condizioni di rilevanza economica è
riservata alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato in tema di "tutela
della concorrenza", ai sensi del secondo
comma, lettera e), dell'art. 117 Cost..
Poiché l'ordinamento comunitario esclude che
gli Stati membri, ivi compresi gli enti
infrastatuali, possano soggettivamente e a
loro discrezione decidere sulla sussistenza
dell'interesse economico del servizio,
conseguentemente il legislatore statale si è
adeguato a tale principio dell'ordinamento
comunitario nel promuovere l'applicazione
delle regole concorrenziali e ha escluso che
gli enti infrastatuali possano
soggettivamente e a loro discrezione
decidere sulla sussistenza della rilevanza
economica del servizio.
---------------
"L'interesse economico generale", in
quanto funzionale ad una disciplina
comunitaria diretta a favorire l'assetto
concorrenziale dei mercati, è riferito alla
possibilità di immettere una specifica
attività nel mercato corrispondente (reale o
potenziale) ed ha, pertanto, natura
essenzialmente oggettiva. Ne deriva che,
l'ordinamento comunitario, in considerazione
della rilevata portata oggettiva della
nozione di "interesse economico",
vieta che gli Stati membri e gli enti
infrastatuali possano soggettivamente e a
loro discrezione decidere circa la
sussistenza di tale interesse.
In particolare, la previsione di condizioni
per l'affidamento diretto del servizio
pubblico locale più restrittive di quelle
previste dall'ordinamento comunitario non
integra alcuna violazione dei princípi
comunitari della concorrenza, perché tali
princípi costituiscono solo un minimo
inderogabile per gli Stati membri, i quali
hanno la facoltà di dettare una disciplina
più rigorosamente concorrenziale, che,
restringendo le eccezioni all'applicazione
della regola della gara ad evidenza pubblica
-posta a tutela della concorrenza-, rende
più estesa l'applicazione di tale regola.
---------------
Il legislatore statale, in coerenza con la
normativa comunitaria e sull'incontestabile
presupposto che il servizio idrico integrato
si inserisce in uno specifico e peculiare
mercato, ha correttamente qualificato tale
servizio come di rilevanza economica,
conseguentemente escludendo ogni potere
degli enti infrastatuali di pervenire ad una
diversa qualificazione.
---------------
La competenza legislativa esclusiva statale
nella materia "tutela della concorrenza"
comprende anche la disciplina amministrativa
relativa all'organizzazione delle modalità
di gestione dei servizi pubblici locali, a
prescindere dall'avocazione allo Stato di
competenze amministrative degli altri
livelli territoriali di governo.
---------------
E' costituzionalmente illegittima la prima
parte della lett. a) del c. 10 dell'art.
23-bis del d.l. n. 112 del 2008, in cui si
prevede che la potestà regolamentare dello
Stato prescriva l'assoggettamento dei
soggetti affidatari diretti di servizi
pubblici locali al patto di stabilità
interno.
L'ambito di applicazione del patto di
stabilità interno attiene infatti alla
materia del coordinamento della finanza
pubblica, di competenza legislativa
concorrente, e non a materie di competenza
legislativa esclusiva statale, per le quali
soltanto l'art. 117, c. 6, Cost. attribuisce
allo Stato la potestà regolamentare.
---------------
La disciplina del servizio idrico integrato
va ascritta alla competenza esclusiva dello
Stato nelle materie "tutela della
concorrenza" e "tutela dell'ambiente"
e, pertanto, è inibito alle Regioni derogare
a detta disciplina. Ne consegue che, è
costituzionalmente illegittimo il c. 1
dell'art. 4 della l. R. Liguria n. 39/2008,
in quanto attribuisce alla Giunta regionale
una serie di competenze amministrative
spettanti al COVIRI (ora CONVIRI), ai sensi
dell'art. 161, c. 4, l. c), del d.lgs. n.
152 del 2006. Risulta così violato l' art.
117, c. 2, lett. s), Cost., che riserva allo
Stato la competenza legislativa nella
materia "tutela dell'ambiente".
Inoltre, è costituzionalmente illegittimo il
c. 4 dell'art. 4 della l.R. Liguria n.
39/2008, il quale prevede la competenza
dell'Autorità d'àmbito a provvedere
all'affidamento del servizio idrico
integrato, "nel rispetto dei criteri di
cui all'articolo 113, c. 7, del d.lgs.
267/2000 e delle modalità di cui agli
articoli 150 e 172 del d.lgs.152/2006".
La norma censurata impone, infatti,
l'applicazione del c. 5 dell'art. 113 TUEL,
cioè di un comma abrogato per
incompatibilità dall'art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, con il quale, pertanto, si pone in
contrasto. In particolare, il citato c. 5
dell'art. 113 è palesemente incompatibile
con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis,
perché disciplina le modalità di affidamento
del SPL in modo difforme da quanto previsto
da detti commi.
Sono, altresì, costituzionalmente
illegittimi i commi 5 e 6 dell'art. 4 della
l. R. Liguria n. 39/2008, in quanto tali
norme impongono l'applicazione del c. 15-bis
dell'art. 113 TUEL, abrogato per
incompatibilità dall'art. 23-bis, con il
quale, pertanto, si pone in contrasto. Il
citato c. 15-bis dell'art. 113 TUEL,
infatti, è incompatibile con il suddetto
art. 23-bis, perché disciplina il regime
transitorio degli affidamenti diretti del
servizio pubblico locale in modo difforme da
quanto previsto dal parametro interposto. Ne
deriva, pertanto, la violazione dell'art.
117, c. 2, lett. e), Cost.
Infine, è costituzionalmente illegittimo il
c. 14 dell'art. 4 della l.R. Liguria n.
39/2008, il quale affida all'Autorità d'àmbito
territoriale ottimale (AATO) la competenza a
definire "i contratti di servizio, gli
obiettivi qualitativi dei servizi erogati,
il monitoraggio delle prestazioni, gli
aspetti tariffari, la partecipazione dei
cittadini e delle associazioni dei
consumatori di cui alla l.r. 02.07.2002, n.
26", in quanto si pone "in contrasto
con la normativa statale", cioè con il
c. 4, lett. c), del nuovo testo dell'art.
161 del d.lgs. n. 152/2006, il quale ha
attribuito al COVIRI la relativa competenza.
Anche in tal caso, infatti, la Regione è
intervenuta, nella materia "tutela
dell'ambiente", attribuendo all'Autorità
d'àmbito una serie di competenze
amministrative spettanti, invece, al COVIRI
(ora CONVIRI), ai sensi dell'art. 161, c. 4,
lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, ed
ha pertanto violato l'art. 117, c. 2, lett.
s), Cost.
-----------------
E' costituzionalmente illegittimo il c. 1
dell'art. 1 della l. R. Campania n. 2/2010,
il quale prevede la competenza della
medesima Regione a disciplinare il servizio
idrico integrato regionale come servizio
privo di rilevanza economica ed a stabilire
autonomamente sia le forme giuridiche dei
soggetti cui affidare il servizio sia il
termine di decadenza degli affidamenti in
essere, in quanto essa si pone in contrasto
con gli artt. 141 e 154 del d.lgs. n. 152
del 2006, l'art. 23-bis del d.l. n.
112/2008, il d.l. n. 135 del 2009 e l'art.
113 TUEL, che ricomprendono il servizio
idrico integrato tra i servizi dotati di
rilevanza economica.
La disciplina statale pone una nozione
generale e oggettiva di rilevanza economica,
alla quale le Regioni non possono sostituire
una nozione meramente soggettiva, incentrata
cioè su una valutazione discrezionale da
parte dei singoli enti territoriali e
ponendosi, altresì, in contrasto con il
regime transitorio disciplinato dall'art.
23-bis del d.l. n. 112/2008, il quale non
può essere oggetto di deroga da parte delle
Regioni (Corte Costituzionale,
sentenza 17.11.2010 n. 325 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le controversie riguardanti e
vicende di un rapporto di concessione di
pubblico servizio, compresa la decadenza,
non estesi a indennità, canoni ed altri
corrispettivi, rientrano nella giurisdizione
amministrativa.
Sulla differenza tra la società in house e
la società mista.
I giudizi aventi ad oggetto le vicende di un
rapporto di concessione di pubblico
servizio, compresa la decadenza, non estesi
a indennità, canoni ed altri corrispettivi,
rientrano nella giurisdizione amministrativa
ai sensi dell'art. 33 d.lgs. 31.03.1998 n.
80, nel testo, modificato dall'art. 7 l.
21.07.2000 n. 205 e risultante dalla
dichiarazione d'illegittimità costituzionale
pronunciata dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 204 del 2004.
La differenza tra la società in house e la
società mista consiste nel fatto che la
prima agisce come un vero e proprio organo
dell'Amministrazione dal punto di vista
sostanziale (e, per questo, è richiesto il
requisito del controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi
dall'amministrazione aggiudicatrice e della
destinazione prevalente dell'attività
dell'ente in house in favore
dell'Amministrazione stessa), mentre la
diversa figura della società mista a
partecipazione pubblica, in cui il socio
privato è scelto con una procedura ad
evidenza pubblica, presuppone la creazione
di un modello nuovo, nel quale interessi
pubblici e privati trovino convergenza; in
quest'ultimo caso, l'affidamento di un
servizio ad una società mista è ritenuto
ammissibile a condizione che si sia svolta
una unica gara per la scelta del socio e
l'individuazione del determinato servizio da
svolgere, delimitato in sede di gara sia
temporalmente che con riferimento
all'oggetto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.09.2010 n. 7214 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
La titolarità di un servizio
affidato in via diretta da una
amministrazione estranea a quella che indice
la gara è fattispecie non ricadente nella
previsione di cui al c. 15-quater dell'art.
113 del D. L.vo n. 267/2000.
La titolarità di un servizio affidato in via
diretta da una amministrazione estranea a
quella che indice la gara è fattispecie non
ricadente nella previsione di cui al c.
15-quater dell'art. 113 del D.L.vo n.
267/2000 e determina la piena applicabilità
del c. 6 dell'art. 113, il quale dispone che
"non sono ammesse a partecipare alle gare
di cui al c. 5 le società che, in Italia o
all'estero, gestiscono a qualunque titolo
servizi pubblici locali in virtù di un
affidamento diretto, di una procedura non ad
evidenza pubblica, o a seguito dei relativi
rinnovi; tale divieto si estende alle
società controllate o collegate, alle loro
controllanti, nonché alle società
controllate o collegate con queste ultime",
con i conseguenti effetti preclusivi.
Pertanto, nel caso di specie, l'appellante,
in forza del suo "status" di società
"in house" di altri enti locali, non
avrebbe potuto partecipare alla "eventuale
gara" indetta dal comune a meno di
perdere la qualifica di affidatario diretto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.09.2010 n. 7080 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Trasporti, rifiuti, acqua: cosa cambia con
la riforma dei servizi pubblici locali.
Con il regolamento approvato in via
definitiva dal Consiglio dei ministri del
22.07.2010 viene completata la riforma dei
servizi pubblici locali di rilevanza
economica tra i quali rientra la raccolta
dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e
la gestione delle risorse idriche.
Il regolamento fissa regole chiare per lo
svolgimento delle gare, affinché queste
consentano in modo trasparente di
selezionare il gestore più efficiente in
grado di offrire tariffe più basse. Perché
le gare e i rapporti tra ente affidante e
soggetto gestore siano chiari e trasparenti,
il regolamento introduce motivi di
incompatibilità per chi ricopre o ha
ricoperto funzioni di amministratore
nell'ente affidante vietando a costoro di
occuparsi della gestione del servizio.
Il regolamento mira ad impedire
l’acquisizione di posizioni di vantaggio nel
settore dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, con la finalità di
favorire la più ampia diffusione dei
principi di concorrenza, di libertà e di
libera prestazione dei servizi per tutti gli
operatori economici interessati, nonché di
garantire il diritto di tutti gli utenti
all’universalità ed accessibilità dei
servizi pubblici locali ed ai livelli
essenziali delle prestazioni.
Prevista inoltre entro l'anno l'istituzione
di una autorità "terza" per la
regolazione delle tariffe. Una riforma
importante che riguarda l’attuazione della
liberalizzazione dei servizi pubblici
locali, uno dei punti di criticità
nell’ambito della gestione delle autonomie
locali. Non sarà più possibile gestire in
house questi servizi ma la gestione sarà
soggetta a gara.
Sul provvedimento sono stati acquisiti i
pareri della Conferenza unificata, del
Consiglio di Stato e delle Commissioni
parlamentari. Restano esclusi i servizi
sull'energia elettrica e il gas in quanto
già regolamentati da specifiche norme (link
a www.governo.it). |
APPALTI SERVIZI:
Liberalizzazione nei servizi
locali. Il Consiglio dei ministri ha
approvato il regolamento. Fitto: finita
un'attesa di venti anni. Netta separazione
fra la gestione delle reti e la loro
proprietà.
Al via la
liberalizzazione della gestione dei servizi
pubblici locali a rilevanza economica, con
norme a tutela della gestione pubblica delle
risorse idriche, che a certe condizioni
potrà rimanere pubblica, e con la netta
separazione fra gestione delle reti e
proprietà delle stesse; previste norme
trasparenti e a garanzia della concorrenza
per lo svolgimento delle gare, da
aggiudicare con riguardo soprattutto agli
elementi qualitativi e al corrispettivo del
servizio; entro un anno gli enti locali
dovranno scegliere, motivando con apposite
analisi di mercato, se affidare ai privati
le gestioni o se mantenerle pubbliche.
È quanto prevede il
regolamento sull'affidamento della gestione
dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, approvato ieri dal
Consiglio dei ministri.
«Si compie così l'atto finale della
riforma dei servizi pubblici locali
realizzata in tempi brevi dal governo»,
ha commentato il ministro per gli affari
regionali Raffaele Fitto, «intendo
esprimere il mio apprezzamento e il
riconoscimento per i contributi che il
Consiglio di stato e le Commissioni di
camera e senato hanno inteso fornire
nell'espressione dei rispettivi pareri
previsti dalla legge. Siamo orgogliosi di
essere riusciti nella difficile opera di
realizzare una riforma auspicata da quasi 20
anni da larghissimi settori della politica,
dell'economia e della società, ma sempre
immancabilmente rinviata».
Per il servizio idrico integrato il
regolamento afferma i principi generali
della «autonomia gestionale del soggetto
gestore», della «piena ed esclusiva
proprietà pubblica delle risorse idriche»
e quello della «spettanza esclusiva alle
istituzioni pubbliche del governo delle
risorse stesse»; inoltre, per
giustificare il mantenimento di una gestione
pubblica in house in questo settore, si
potrà fare riferimento alle «specifiche
condizioni di efficienza che rendono la
gestione non distorsiva della concorrenza o
comunque comparativamente non svantaggiosa
per i cittadini rispetto a una modalità
alternativa di gestione dei servizi pubblici
locali».
Il regolamento prevede che ciò potrà
avvenire se i bilanci risultano in utile, se
sono reinvestiti più dell'80% degli utili,
se viene applicata una tariffa media
inferiore alla media di settore e se i costi
medi operativi annui prevedono una incidenza
sulla tariffa al di sotto della media di
settore. Il provvedimento non si applicherà
al servizio di distribuzione di gas naturale
e di energia elettrica, al servizio di
trasporto ferroviario regionale, alla
gestione delle farmacie comunali e ai
servizi strumentali all'attività o al
funzionamento degli enti locali che abbiano
affidato servizi a società pubbliche o
miste.
Il principio generale è quello per cui gli
enti locali devono preventivamente
verificare se si possa realizzare una
gestione concorrenziale dei servizi e per
fare ciò devono procedere ad una analisi del
mercato: se il mercato privato non risulta
idoneo a «garantire un servizio
rispondente ai bisogni della comunità»
si potrà mantenere una gestione pubblica
attribuendo diritti di esclusiva; viceversa
si dovrà liberalizzare le attività
economiche, «compatibilmente con le
caratteristiche di universalità ed
accessibilità del servizio».
Se non sarà possibile liberalizzare i
servizi, ciò dovrà risultare da una delibera
quadro che dia conto dell'istruttoria
compiuta, dei «fallimenti del sistema
concorrenziale», nonché degli elementi
positivi che concorrono al mantenimento di
un regime di esclusiva (pubblica) del
servizio. Queste verifiche dovranno essere
compiute entro un anno dall'entrata in
vigore del regolamento approvato ieri.
Il regolamento prescrive le modalità per
l'affidamento in gara delle gestioni,
chiarendo una serie di importanti aspetti
quali l'irrilevanza della disponibilità
delle reti (dal momento che possono
partecipare alle gare anche le società
interamente partecipate da soggetti
pubblici), la necessità di definire
requisiti per la partecipazione alle gare
proporzionati alla natura dell'affidamento e
di stabilire una durata della gestione
congrua con la consistenza degli
investimenti a carico del soggetto gestore.
Sempre il bando di gara o la lettera di
invito dovranno anche prevedere l'adozione
di carte dei servizi al fine di garantire
trasparenza informativa e qualità del
servizio. Previsto anche il divieto di
partecipazioni in raggruppamento di soggetti
che potrebbero ben partecipare
singolarmente. Nell'aggiudicazione dovrà
prevalere la valutazione dei profili
qualitativi e del corrispettivo del
servizio, rispetto al valore delle quote
societarie.
Gli affidatari «in house» di servizi
pubblici locali saranno tenuti
all'osservanza del Patto di stabilità e,
unitamente alle società miste affidatarie
dei servizi saranno tenute all'applicazione
del Codice dei contratti pubblici per gli
affidamenti a terzi di appalti (ma al socio
privato saranno affidabili direttamente le
attività di competenza laddove sia stato
scelto in gara, così da vietare la
cosiddetta «doppia gara») (articolo
ItaliaOggi del 23.07.2010 - link
a www.corteconti.it).
---------------
Completata la riforma dei servizi pubblici
con l'approvazione del regolamento.
Ieri il Consiglio dei ministri ha dato il
via libera al regolamento attuativo della
riforma dei servizi pubblici locali, che
darà piena attuazione al decreto legge che
porta la firma del ministro Andrea Ronchi, e
che riguarda i servizi idrici, i rifiuti e
il trasporto pubblico locale.
La riforma delle gestioni dei servizi
pubblici avverrà a tappe a seconda di come
era avvenuto l'affidamento.
Decadranno alla fine di quest'anno le
gestioni affidate direttamente senza gara ed
entro il 2011, invece, le gestioni in house
e quelle delle spa miste qualora non abbiano
ceduto almeno il 40% delle loro quote ad un
socio privato che dovrà assolvere anche a
compiti gestionali.
Potranno andare, invece a scadenza naturale
del contratto, tutti gli affidamenti che già
hanno proceduto a cedere una loro quota di
almeno il 40% a soci privati ... (link a
www.greenreport.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Servizi pubblici locali a rilevanza
economica - Art. 23-bis, D.L. 112/2008 -
Art. 113 D.lgs. 267/2000 - Affidamento in
house - Ammissibile solamente per le
procedure già iniziate alla data di entrata
in vigore della legge di conversione -
Prevalenza sulle norme di settore con esso
incompatibili - Affidamento nel rispetto dei
principi comunitari - Necessità.
2. Servizi pubblici locali a rilevanza
economica - Affidamento in house - Art. 23-bis, DL 112/2008 - Ammissibile solamente per
le procedure già iniziate alla data di
entrata in vigore della legge di
conversione.
1. L'art. 23-bis del D.L. 112/2008 prevale
sugli ordinamenti di settore con esso
incompatibili, compreso l'art. 113 del T.U.E.L. Tale norma, infatti, prevale sugli
ordinamenti di settore con esso
incompatibili, compreso il d.lgs n. 152 del
2006 nonché sull'art. 113 del T.U.E.L. [?].
Invero l'art. 113 T.U.E.L. nella sua attuale
formulazione, vigente nella parte non in
contrasto con l'art. 23-bis del D.L. n. 112
del 2008, non prevede l'affidamento diretto
come modalità di gestione di un servizio
pubblico a rilevanza economica, stante la
necessità di applicare la disciplina
comunitaria ai servizi pubblici locali a
rilevanza economica (in tal senso: TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. I, 29.01.2010, n. 460).
2. L'art. 23-bis, d.l. n. 112 del 2008,
costituisce una disposizione completamente
innovativa nel quadro della tematica dei
così detti affidamenti in house, e la
disposizione di cui all'ultimo comma, che
prevede la persistenza del regime
precedentemente in vigore relativamente alle
sole procedure già avviate all'entrata in
vigore della legge di conversione del
decreto deve essere restrittivamente intesa
(cfr. TAR Veneto Venezia, sez. I, 08.02.2010, n. 336)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza
16.06.2010 n.
1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
La decisione di affidare la
gestione di servizi pubblici locali a
società in house, in quanto atto di natura
programmatoria incluso nell'elenco tassativo
di cui all'art. 42 TUEL rientra nella
competenza del Consiglio comunale.
Sul divieto previsto dal c. 9 dell'art.
23-bis, d.l. n. 112 del 2008.
La decisione di affidare la gestione di
servizi pubblici locali a società in
house, in quanto atto di natura
programmatoria incluso nell'elenco tassativo
di cui all'art. 42 TUEL -che postula la
verifica, in concreto ed attualizzata al
momento dell'effettivo trasferimento, della
sussistenza delle condizioni soggettive ed
oggettive di legge per avvalersi di siffatto
modulo gestionale- rientra nella competenza
del Consiglio comunale residuando, in capo
alla Giunta, la susseguente competenza
generale esecutiva da attuarsi sulla base
delle scelte e degli indirizzi forniti
dall'organo consiliare. Ne consegue che, nel
caso di specie, l'affidamento dei servizi
cimiteriali ad una società a totale
partecipazione pubblica è stato attuato da
organo incompetente e con atto inidoneo
atteso che, la delibera giuntale di
approvazione del contratto di servizio può
essere intesa soltanto come atto di
esecuzione di apposita delibera consiliare
di trasferimento dei servizi in discorso,
che nel caso di specie è mancata.
Il c. 9 dell'art. 23-bis, d.l. n. 112 del
2008, vieta l'acquisibilità, da parte di
società che, in Italia o all'estero,
gestiscono servizi pubblici locali in virtù
di affidamento diretto, di servizi ulteriori
ovvero in ambiti territoriali diversi, così
come lo svolgimento di servizi o attività
per altri enti pubblici o privati, anche
partecipando a gare. Tale disciplina è
applicabile al caso di specie dal momento
che la società a totale partecipazione
pubblica è già affidataria diretta di
servizi pubblici locali per averli
conseguiti in forza della delibera consilare
per cui, per tutta la durata degli
affidamenti in corso, non potrebbe
conseguire la gestione di servizi ulteriori
né con affidamento diretto, anche laddove in
ipotesi astrattamente rispondente ai
requisiti per l'in house providing,
né partecipando a gare (TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1882 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Ai
sensi dell'art. 23-bis, comma 9, del D.L.
112/2008, una società a capitale prevalente
pubblico, affidataria in house di servizi
pubblici, non può partecipare a gare d'
appalto per la gestione di servizi pubblici
locali. Non rileva neppure il fatto di
essere controllata da altra società pubblica
quotata in borsa. La deroga , eccezionale,
per le società quotate si applica solo ad
esse
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 16.06.2010 n. 1845 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
In house providing, pulizie
escluse. Il Tar della Puglia ha bocciato
l'iniziativa di una Asl che aveva costituito
un'apposita società. Affidamento ammesso
solo per servizi di interesse generale.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può essere
considerato un servizio strettamente
necessario al perseguimento delle finalità
istituzionali di un'azienda sanitaria
locale.
Con la
sentenza 17.05.2010 n. 1898 il
TAR Puglia-Bari, Sez. I, ha bocciato, ai
sensi dell'art. 3, comma 27, della
Finanziaria 2008 (legge 24/12/2007 n. 244),
il modello dell'«in house providing»
per l'affidamento di tale tipologia di
servizio.
Oggetto della pronuncia del Tar per la
Puglia è l'affidamento in house posto in
essere dall'Azienda sanitaria locale di (_)
dei servizi di pulizia, ausiliariato e
portierato alla società unipersonale (_),
costituita e interamente controllata
dall'ente affidante, a seguito del ricorso
presentato da un operatore privato,
appaltatore proprio del servizio di pulizia
presso la stessa azienda sanitaria
precedentemente all'affidamento in
questione.
L'Azienda sanitaria, infatti, con più
provvedimenti, tutti oggetto di impugnazione
da parte della società ricorrente, aveva
proceduto nel 2008 alla costituzione della
società in regime di in house providing
e sempre nel corso dello stesso anno ne
aveva anche modificato lo statuto proprio
per adeguarlo ai diversi principi sul tema
degli affidamenti in house affermarti dalla
giurisprudenza comunitaria e amministrativa
e a quelli contenuti nell'articolo 23-bis
del dl 25/06/2008 n. 112.
Inizialmente l'affidamento aveva avuto a
oggetto soltanto le prestazioni strumentali
al servizio di emergenza quali le attività
di trasporto e soccorso; successivamente
l'azienda aveva deciso di avvalersi della
società neocostituita per l'espletamento
delle «prestazioni di ausiliariato»
comprendenti anche il servizio di pulizia
degli uffici dell'azienda e dei presidi
sanitari di sua pertinenza.
Tale forma di affidamento avrebbe
riguardato, in via sperimentale e
limitatamente all'anno 2009, il servizio di
«messa a disposizione del personale»
consistente nella fornitura da parte della
società, dietro rimborso delle retribuzioni
e di tutti gli altri oneri contributivi e
assicurativi, di propri dipendenti da
impiegare nel servizio di pulizia che,
tuttavia, sarebbe stato espletato sotto la
direzione e il controllo dell'Azienda
sanitaria e con materiali e attrezzature
della stessa.
La modalità organizzativa prescelta, dopo il
verificarsi di alcuni disguidi proprio nella
gestione del servizio, era stata oggetto,
sempre nel corso del 2009, di un nuovo
intervento da parte dell'amministrazione
che, con un ulteriore provvedimento, ne
aveva modificato il contenuto prevedendo che
la società in house non avrebbe più svolto
il solo servizio di «messa a disposizione
del personale» ma assunto, invece, in
via diretta un'«obbligazione di risultato
assicurando personale, organizzazione,
attrezzature e materiali» necessari per
la gestione del servizio e stabilendone in
misura fissa la relativa remunerazione; in
altre parole, come evidenziato nel testo
della sentenza, l'azienda sanitaria aveva, a
tutti gli effetti, proceduto ad affidare
senza gara il servizio di pulizia alla
società interamente controllata.
Alla base della pronuncia del Tribunale
amministrativo vi è, quindi, la valutazione
di legittimità di tale affidamento in house
messo in atto dall'azienda sanitaria alla
luce dei limiti alla costituzione di società
e al possesso di partecipazioni societarie
introdotti per le amministrazioni pubbliche
dall'art. 3, comma 27, della legge n.
244/2007.
La norma in questione prevede, infatti, che,
al fine di tutelare la concorrenza e il
mercato, le amministrazioni pubbliche «non
possono costituire società aventi per
oggetto attività di produzione di beni e di
servizi non strettamente necessarie per il
perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, né assumere o mantenere
direttamente partecipazioni, anche di
minoranza, in tali società»; è, invece,
ammessa la costituzione di società che
producono servizi di interesse generale e
che forniscono servizi di committenza e
l'assunzione di partecipazioni in tali
società.
In considerazione della predetta norma il
Tribunale sottolinea come le «uniche
tipologie di società partecipate di cui il
legislatore espressamente consente la
costituzione e il mantenimento sono, dunque,
le società che svolgono attività
strettamente necessarie (o addirittura
«imprescindibili», secondo l'espressione
della Corte costituzionale) alle finalità
istituzionali degli enti e le società che
producono servizi di interesse generale»;
considerando, dunque, il ricorso allo
strumento societario da parte delle
amministrazioni pubbliche connaturato allo
svolgimento di attività necessarie al
perseguimento delle finalità istituzionali o
di servizi di interesse generale, per il
Tribunale amministrativo «la possibilità
di costituire o mantenere una partecipazione
societaria deve dunque essere verificata in
relazione alle finalità che l'ente pubblico
intenda con essa realizzare, nell'ambito
delle proprie competenze istituzionali».
Nel caso di specie, a giudizio del Tar, il
servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può di certo
annoverarsi tra i servizi strettamente
necessari al perseguimento delle finalità
istituzionali dell'azienda sanitaria locale;
«la pulizia quotidiana dei locali è
infatti strumentale al buon andamento di
qualsivoglia ente o ufficio pubblico,
nell'interesse di coloro che ivi lavorano e
degli utenti che vi si recano, ai quali
viene garantito il mantenimento di un
ambiente salubre».
I servizi di pulizia sono, dunque, come
rilevato nel testo della sentenza, da
considerarsi «intrinsecamente comuni e
generici, sono strumentali all'esercizio di
qualunque attività pubblica o privata, sono
erogabili da qualsiasi soggetto e a favore
di chiunque. Il loro affidamento costituisce
un appalto di servizi ed è soggetto alle
regole dettate dal Codice dei contratti
pubblici e dalle direttive comunitarie in
materia di appalti, improntate alla tutela
della concorrenza e alla massima apertura
dei mercati».
Dall'art. 3, comma 27, della legge n.
144/2007 discende, quindi, il divieto per le
amministrazioni pubbliche di costituire
società per l'espletamento del servizio di
pulizie nei propri immobili e uffici e la
conseguente illegittimità della costituzione
della società in house per i servizi
di pulizia da parte dell'azienda sanitaria
locale (articolo ItaliaOggi del 04.06.2010,
pag. 37). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittima la costituzione da
parte di una azienda sanitaria di una
società interamente pubblica a cui è stata
affidato in house lo svolgimento del
servizio di pulizia ed ausiliariato presso
le strutture ed i presidi di zona.
Il servizio di pulizia degli uffici e dei
presidi ospedalieri non può essere
considerato "strettamente necessario"
al perseguimento delle finalità
istituzionali dell'azienda sanitaria locale.
La pulizia quotidiana dei locali è infatti
strumentale al buon andamento di
qualsivoglia ente o ufficio pubblico,
nell'interesse di coloro che ivi lavorano e
degli utenti che vi si recano, ai quali
viene garantito il mantenimento di un
ambiente salubre. I servizi di pulizie sono
intrinsecamente comuni e generici,
strumentali all'esercizio di qualunque
attività pubblica o privata, erogabili da
qualsiasi soggetto ed a favore di chiunque.
Il loro affidamento costituisce un appalto
di servizi ed è soggetto alle regole dettate
dal Codice dei contratti pubblici e dalle
direttive comunitarie in materia di appalti,
improntate alla tutela della concorrenza ed
alla massima apertura dei mercati. Ne
consegue che, ai sensi dell'art. 3, c. 27,
della l. n. 244 del 2007, è illegittima la
costituzione da parte della Azienda
sanitaria locale di una società interamente
pubblica a cui è stata affidato, senza
esperimento di gara, lo svolgimento del
servizio di pulizia ed ausiliariato presso
le strutture ed i presidi di zona, che resta
in tal modo sottratto al mercato per gli
anni a venire (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 1898 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
R. Russo,
Cosa fare delle società in house? (link
a www.robertorusso.it). |
APPALTI SERVIZI:
L’affidamento in house providing
costituisce una ipotesi eccezionale di
affidamento di servizio pubblico da
sottoporre obbligatoriamente al vaglio
dell’Autorità Garante per la concorrenza e
il mercato - Tar per il Veneto 336/2010
La sentenza concerne una complessa vicenda
di affidamento in house del servizio
raccolta rifiuti da parte di un consorzio di
enti locali che, unitamente ad altro
consorzio, partecipa del capitale
interamente pubblico della società
prescelta.
L’analisi sul caso svolta dai giudici
amministrativi ha fatto emergere
l’insussistenza del requisito del controllo
analogo,condizione che permette di evitare
il ricorso alle procedure di evidenza
pubblica. A seguito di tale pronuncia, il
consorzio in questione ha deciso di
persistere nell’affidamento alla medesima
società e ciò anche senza rispettare la
nuova procedura per gli affidamenti diretti
introdotta dall’art. 23-bis della legge
133/2008.
La sentenza di cui ci occupiamo concerne il
momento successivo alla decisione assunta
dai primi giudici sulla mancanza
dell'elemento del controllo analogo. Per
ragioni di spazio non rappresenteremo
l’articolata dialettica tra le parti, per la
cui lettura rinviamo al testo della
sentenza. In questa sede ci limiteremo a
riepilogare i principi espressi dal collegio
sull’ambito applicativo dell’art. 23-bis
introdotto nel d.l. 112/2008 dalla legge di
conversione 133/2008.
Innanzitutto i giudici riassumono i principi
consolidati in giurisprudenza per quanto
concerne il controllo analogo:
a)
la necessità della totale partecipazione
pubblica (Corte di Giustizia europea; sez. V
18.11.1999 n. C. 107/98 Teckal, punto 50);
b)
il divieto, sancito statutariamente, di
apertura al capitale privato (Corte di
Giustizia europea, sez. I, 11.01.2005 n.
C-26/03 Stadt Halle, punto 49);
c)
la riserva in capo ai soci pubblici del
potere di designare i componenti degli
organi della società (Corte di Giustizia
europea, sez. 1, 13.10.2005 n. C-458/03
Parking Brixen, punto 69; TAR Lombardia,
Brescia, 21.04.2006, n. 433);
d)
la possibilità di esercitare un’influenza
determinante sia sugli obbiettivi
strategici,sia sulle decisioni importanti
della società (Corte di Giustizia europea,
sez. 1, 13 ottobre C-458/03 Parking Brixen.
punto 65 e Corte di Giustizia europea, sez.
1, 11 maggio C-340/04 Carbotermo, punto 36);
e)
la necessità che il controllo sia preventivo
e non solo a posteriori (Corte di Giustizia
europea, sez. V, 27.02.2003, n. C. 373/00
Truley, punto 70; Consiglio di Stato sez. VI,
05.01.2007, n. 5) e che siano previsti
concreti poteri ispettivi (Corte di
Giustizia. europea, sez. V, 27.02.2003 n. C
373/00 Truley, punto 73) e d’intervento
(Consiglio di Stato, Sez. V, 11.04.2006 n.
5072, p. 22);
f)
la circostanza che l'impresa non deve
acquisire una vocazione commerciale (Corte
di Giustizia europea, Sez. 1, 13.10.2005 n.
458/03 Parking Brixen, punto 67);
g)
la non sufficienza, per la configurazione
del c.d. controllo analogo, degli ordinari
strumenti di diritto civile (Consiglio di
Stato, Sez. V; 05.01.2007, n. 5);
h)
il carattere (speciale, rispetto a quelle
disciplinate dal Codice Civile, delle
società di capitali in house (TAR Campania,
Napoli, Sez. 1, sentenza n. 8055/2006) e
nella necessità di predisporre un meccanismo
di controllo coerente con la peculiarità
della forma (societaria (TAR Lazio, Roma,
Sez. II-ter, 16.10.2007 n. 9988);
i)
la possibilità che il capitale sociale della
società in house sia partecipato da una
pluralità di enti locali, purché il
controllo analogo a quello esercitato suoi
propri servizi sia realizzato,
indipendentemente dalla quota di
partecipazione propria di ciascun ente,
attraverso la costituzione di un ufficio
comune, cui sia attribuito il compito di
realizzare il coordinamento e la
consultazione tra gli enti locali (TAR
Abruzzo, Pescara, 07.11.2006 n. 687; TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 12.04.2006 n. 1318);
j)
l’utilizzabilità dello strumento della
convenzione ex art. 30 del D.L.vo 18.08.2000
n. 267 e s.m.i. per l’esercizio del
controllo analogo da parte di una pluralità
di enti soci (TAR Friuli Venezia Giulia
15.07.2007 n. 634.
Un altro principio rilevante ai fini
della prova della sussistenza del controllo
analogo è dato dalla previsione di un
diritto di veto da parte di ciascun Ente
partecipante alla società nei confronti
delle deliberazioni assunte dagli organi
sociali in modo difforme dalle proposte,
nonché della competenza dell’assemblea
ordinaria della trattazione di argomenti
inerenti a pretese della società sugli Enti
locali che ad essa partecipano scaturenti
dal contratto di servizio e corrispondente
al diritto di veto di ciascun Ente locale
interessato sulle relative determinazioni;
e, soprattutto, del diritto di recesso dalla
società nei casi in cui l’Ente socio abbia
diritto a far valere la risoluzione o,
comunque, lo scioglimento del contratto di
servizio con la Società.
Entrando nel merito dell’applicazione
dell’art. 23-bis, per i casi di affidamento
diretto i giudici evidenziano che dalla
lettura della norma emerge: la necessità
dell'esistenza di situazioni del tutto
particolari che non permettono un'efficace
utile ricorso al mercato, derivanti da
peculiari caratteristiche economiche sociali
ambientali e geomorfologica del contesto
territoriale di riferimento, ai fini di
consentire la deroga alle modalità di
affidamento ordinaria, pur sempre nel
rispetto della disciplina comunitaria;la
necessità, in tali casi, da parte dell'ente
affidante di dare pubblicità alla scelta
motivandola in base a un'analisi del
mercato; la necessità, in tali casi, di
contestuale trasmissione di una relazione
contenente gli esiti della predetta verifica
all’Autorità garante della concorrenza del
mercato e alle autorità di regolazione del
settore, ove costituite, per l'espressione
di un parere sui profili di competenza da
render entro 60 giorni dalla ricezione della
relazione.
Circa la necessità di acquisire il parere
dell’Autorità preventivamente non ci sono
dubbi ora e non ce n’erano neanche prima del
decreto legge 135/2009 che ha esplicitamente
previsto come preventivo il solo parere
Garante della concorrenza. In effetti, la
medesima Autorità in una comunicazione del
16.10.2008 aveva già interpretato la norma
in modo da collocare il proprio parere in
una fase iniziale preventiva. Ne risulta che
il parere è obbligatorio e preventivo ma non
vincolante pur se, come aveva specificato il
Garante, l’amministrazione è obbligata a
spiegare le ragioni che eventualmente la
inducano a disattendere le indicazioni
contenute nel parere. E' importante poi
sottolineare il rapporto tra l'articolo
23-bis e la precedente normativa sulla
quale, ad avviso dei giudici, l'articolo
della manovra estiva prevale in caso di
incompatibilità.
Analizzando il rapporto con l'art. 113 TUEL,
i giudici veneti ritengono che non vi siano
profili di incompatibilità. Anche secondo la
disciplina del testo unico enti locali,
l’affidamento in house doveva avvenire nel
rispetto della normativa comunitaria rappresentando una procedura alla quale gli
enti locali possono ricorrere previa
specifica motivazione e laddove le
condizioni di mercato non consentono di
assicurare lo svolgimento efficiente di un
determinato servizio - commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Veneto,
Sez. I,
sentenza
08.02.2010 n. 336 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
C. Volpe,
LA CORTE DI GIUSTIZIA CONTINUA LA RIFINITURA
DELL’IN HOUSE PROVIDING. MA IL
DIRITTO INTERNO VA IN CONTROTENDENZA -
(commento a CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. III,
sentenza 10.09.2009 n. C-573/07)
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
APPALTI SERVIZI:
Controllo analogo nell’in house
providing: precisazioni.
Il "controllo analogo", inteso nei
sensi della "dottrina Teckal", non
postula necessariamente anche il
"controllo", da parte del socio pubblico,
sulla società e, in via consequenziale, su
tutta l’attività, sia straordinaria sia
ordinaria, da essa posta in essere,
assimilabile a quello, individuale,
delineato dai primi due commi dell’art. 2359
c.c., essendo, invece, sufficiente che il
controllo della mano pubblica sull’ente
affidatario sia effettivo, ancorché
esercitato congiuntamente e, deliberando a
maggioranza, dai singoli enti pubblici
associati.
Il requisito del controllo analogo non
sottende una logica "dominicale",
rivelando piuttosto una dimensione "funzionale":
affinché il controllo sussista anche nel
caso di una pluralità di soggetti pubblici
partecipanti al capitale della società
affidataria non è dunque indispensabile che
ad esso corrisponda simmetricamente un "controllo"
della governance societaria.
Il requisito del "controllo analogo"
postula un rapporto che lega gli organi
societari della società affidataria con
l’ente pubblico affidante, in modo che
quest’ultimo sia in grado, con strumenti
pubblicistici o con mezzi societari di
derivazione privatistica, di indirizzare "tutta"
l’attività sociale attraverso gli strumenti
previsti dall’ordinamento; risulta quindi
indispensabile che le decisioni più
importanti siano sempre sottoposte al vaglio
preventivo dell’ente affidante o, in caso di
in house frazionato, della totalità degli
enti pubblici soci.
È corretta e legittima la modalità
organizzativa dell’in house providing
c.d. frazionato, nel quale cioè la società
in house costituisce longa manus ed
organo di gestione del servizio per tante e
diverse amministrazioni ed è strumentale ad
una gestione associata ed economica della
attività dalle medesime prestate; in
sostanza, ciò che rileva ai fini della
legittimità dell’affidamento non è la
circostanza della configurabilità di un
controllo totale ed assoluto di ciascun ente
pubblico sull’intera società in house,
bensì l’esistenza di strumenti giuridici (di
diritto pubblico o di diritto privato)
idonei a garantire che ciascun ente, insieme
a tutti gli altri azionisti della società in
house, sia effettivamente in grado di
controllare ed orientare l’attività della
società controllata (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8970 -
link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
Sui presupposti necessari
affinché sussista il requisito del c.d.
controllo analogo richiesto per ritenere
legittimo l'affidamento "in house" di
servizi pubblici nel caso di società
partecipata da più enti.
Nel caso di affidamento "in house" di
un servizio pubblico ad una società
partecipata da più enti, ai fini della
legittimità dell'affidamento, non è la
circostanza della configurabilità di un
controllo totale ed assoluto di ciascun ente
pubblico sull'intera società in house, bensì
l'esistenza di strumenti giuridici (di
diritto pubblico o di diritto privato)
idonei a garantire che ciascun ente, insieme
a tutti gli altri azionisti della società
in house, sia effettivamente in grado di
controllare ed orientare l'attività della
società controllata.
Pertanto, nel caso di specie, è corretto
l'operato di un comune e di altre
amministrazioni locali che, al fine del
perseguimento della migliore gestione
economica ed operativa del servizio di
smaltimento dei rifiuti nei relativi
territori, hanno aderito ad una struttura
comune costituita ad hoc e partecipata
esclusivamente dai piccoli comuni della
comunità.
Siffatta modalità operativa di affidamento
in house consente, infatti, ai piccoli enti
locali, da un lato di gestire il servizio
con rilevanti margini di economia,
dall'altro di controllare i livelli della
prestazione dello stesso servizio pubblico
essenziale, collaborando a tal fine con
altri comuni limitrofi e creando le premesse
per un servizio d'ambito per rendere più
efficiente la gestione ed abbattere i costi
del servizio (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.12.2009 n. 8970 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it).
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Controllo analogo anche
frazionato. AFFIDAMENTI IN HOUSE/ Il
Consiglio di stato sul caso di una società
partecipata da più enti. Il requisito
sussiste pure se esercitato in forma
congiunta.
Nell'affidamento in house ad una società
partecipata da più enti pubblici sussiste il
requisito del controllo analogo anche quando
esercitato in forma congiunta.
È l'orientamento del Consiglio di stato,
sezione V, che con la sentenza n. 8970 del
29/12/2009 ritorna sul tema della
configurabilità del «controllo analogo» nel
caso di «in house frazionato».
La fattispecie posta all'attenzione del
Consiglio di stato concerne l'adesione di un
comune alla gestione in forma associata del
servizio di raccolta, trasporto e
smaltimento dei rifiuti solidi urbani
demandata a una Comunità montana con
l'incarico di scegliere il modello più
appropriato per la migliore gestione
economica e organizzativa del servizio; a
tale scopo la Comunità montana aveva
proceduto all'affidamento in house del
servizio alla società interamente pubblica
partecipata anche dal comune in misura
minoritaria (0,484%). Contro le
determinazioni dell'amministrazione comunale
aveva proposto ricorso davanti al Tribunale
amministrativo per la Lombardia, sezione di
Brescia, la società, lamentando, tra i
diversi motivi, anche la violazione
dell'articolo 113 del Tuel (dlgs 267/2000),
comma 5, lettera c), relativamente alla
mancanza in concreto del requisito del
controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi da parte del comune in
questione data l'irrilevanza della relativa
partecipazione al capitale e l'assenza di
poteri tali da incidere sull'attività della
società.
Con la sentenza n. 1440 del 27/10/2008,
accogliendo parzialmente il ricorso, il Tar
di Brescia riscontrava l'insussistenza del
requisito del controllo analogo ritenendo
come questo «debba sussistere,
autonomamente, in capo a ciascun ente socio,
quantomeno nella forma di diritto
individuale di veto all'adozione di
qualsivoglia rilevante decisione di
amministrazione ordinaria o straordinaria».
Contro la decisione del tribunale
amministrativo la comunità montana e la
società in house affidataria del servizio di
gestione dei rifiuti si appellavano al
Consiglio di stato per richiederne
l'annullamento.
Per prima cosa, nell'esaminare il merito
della questione relativa alla sussistenza o
meno del requisito del controllo analogo, il
Consiglio di stato rileva come
l'impostazione adottata nel giudizio di
primo grado risulti non in linea con la
sentenza Coditel della Corte di giustizia
europea (sentenza 13/11/2008 - causa
C-324/07) con la quale i giudici comunitari
avevano sviluppato il tema dell'ipotesi del
controllo analogo congiunto «chiarendo
che gli Enti partecipi di una società in
house possono esercitare il controllo
collettivamente, deliberando a maggioranza
all'interno degli organi sociali nei quali
siedono i loro rappresentanti».
Sempre con riferimento alla giurisprudenza
comunitaria, dopo aver ricordato la
decisione del 09/06/2009, causa C-480/06,
riporta, in particolare, la sentenza
10/09/2009, causa C-573/07 in cui la corte
europea era stata chiamata a pronunciarsi
proprio su un rinvio pregiudiziale del Tar
di Brescia che aveva espresso perplessità in
caso di affidamenti in house circa la
conciliabilità del modello legale della
società per azioni con l'esercizio del
controllo analogo da parte di ogni comune
socio in considerazione dell'art. 2380-bis
cod. civ. che riserva la gestione
dell'impresa esclusivamente agli
amministratori. Nell'affrontare tale
questione la corte europea reputava
possibile l'esercizio da parte dei comuni
soci del controllo analogo in considerazione
di previsioni statutarie quali il potere
interdittivo dell'assemblea dei soci e
l'obbligo di richiesta di un parere
preventivo ad un comitato formato dagli
stessi comuni per le decisioni più
importanti.
Anche, nel caso in questione, il Consiglio
di stato rileva la presenza di analoghe
modalità di controllo laddove, come da norme
statutarie e convenzionali, è riservata
all'assemblea dei soci la formulazione di
indirizzi vincolanti sulla gestione
ordinaria e straordinaria o è prevista
l'istituzione di una commissione formata dai
sindaci dei comuni convenzionati e dal
presidente della Comunità montana chiamata a
esprimere un parere obbligatorio sul
bilancio preventivo e consuntivo della
società e su eventuali spese non preventive
per la gestione del servizio. Ricollegandosi
al concetto di controllo analogo congiunto
della sentenza Coditel così come ripreso in
proprie recenti decisioni (sentenze n.
1365/2009, n. 2765/2009, n. 5082/2009, n.
5808/2009), il giudice amministrativo
ribadisce come «il controllo analogo non
postula necessariamente anche il controllo,
da parte del socio pubblico, sulla società
e, in via consequenziale, su tutta
l'attività, sia straordinaria sia ordinaria,
essendo, invece, sufficiente che il
controllo della mano pubblica sull'ente
affidatario sia effettivo, ancorché
esercitato congiuntamente e, deliberando a
maggioranza, dai singoli enti pubblici
associati».
Perché possa essere riscontrata la
sussistenza del controllo analogo e, di
conseguenza, la legittimità dell'affidamento
in house non è richiesta, come, invece,
sostenuto dal Tar in primo grado, «la
configurabilità di un controllo totale ed
assoluto di ciascun ente pubblico
sull'intera società in house, bensì
l'esistenza di strumenti giuridici (di
diritto pubblico o di diritto privato)
idonei a garantire che ciascun ente, insieme
a tutti gli altri azionisti della società in
house, sia effettivamente in grado di
controllare ed orientare l'attività della
società controllata».
Nel caso in esame, accogliendo, quindi, gli
appelli della comunità montana e della
società affidataria, l'affidamento in house
può dirsi legittimo in quanto, considerata
anche la sussistenza delle ulteriori
condizioni della totale partecipazione
pubblica al capitale e dello svolgimento
della parte più importante dell'attività con
gli enti pubblici che la controllano, la
società «è sorretta da un regime tale da
escluderne autonomia decisionale e terzietà
rispetto ai comuni che ne partecipano»
(articolo ItaliaOggi del 05.02.2010, pag.
38). |
APPALTI SERVIZI: M.
F. Monterossi,
Società partecipate da una pluralità di enti
pubblici e affidamento in house: brevi note
in tema di effettività del controllo alla
luce di una recente sentenza del Consiglio
di Stato
(link a
www.amministrazioneincammino.luiss.it). |
APPALTI SERVIZI:
A. Pierobon,
FRAMMENTAZIONE GESTIONALE, ISTITUZIONE DEGLI
A.T.O., NUOVE COMPETENZE, AFFIDAMENTO DI
SERVIZI E L’IN HOUSE IN UNA RECENTE
DELIBERAZIONE DELL’AUTORITA’ PER LA
VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI,
SERVIZI E FORNITURE (link a www.lexambiente.it). |
APPALTI SERVIZI:
F. Logiudice,
In house providing in pillole
(link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI: V.
M. Leone,
IN HOUSE: OSSIA DELL’AUTONOMIA DECISIONALE
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
estratto da Franchini C., Tedeschini F. (a
cura di), Una nuova pubblica
amministrazione: aspetti problematici e
prospettive di riforma dell'attività
contrattuale, 2009
(link a www.osservatorioappalti.unitn.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' illegittimo l'affidamento
diretto del servizio di gestione degli
impianti termici ad una società mista il cui
socio originario, benché sia stato scelto a
seguito di una gara pubblica, abbia
unilateralmente alienato le proprie azioni.
L'affidamento diretto di un servizio
pubblico, al di fuori del sistema della
gara, ad una società esterna (ossia
soggettivamente autonoma) è consentito solo
quando il rapporto esistente con tale
società presenti caratteristiche tali che
questa possa essere ritenuta come una "derivazione"
o una "longa manus" dell'ente stesso.
La società esterna, inoltre, può essere
considerata tale solo se l'ente esercita su
di essa un "controllo analogo" a
quello esercitato sui propri servizi e
richiede la necessaria partecipazione
pubblica totalitaria, "giacché una
partecipazione minoritaria già preclude la
possibilità di effettuare il predetto
controllo".
Pertanto, nel caso di specie, è illegittimo
l'affidamento diretto ad una società mista
pubblico-privata del servizio manutenzione
degli impianti termici di competenza della
provincia sebbene sia stata effettuata la
selezione del partner privato della società
mista a seguito di una procedura di evidenza
pubblica, in quanto la provincia, pur avendo
una partecipazione maggioritaria nella
predetta società mista, non esercita tale
forma di controllo essendo lo stesso socio
originario stato sostituito da due diverse
società private nel corso del rapporto per
unilaterale determinazione del socio privato
originario, che ha liberamente alienato le
proprie azioni, non essendovi preclusioni al
riguardo nello statuto societario. Non si
può, quindi, affermare che il partner
privato, nella specie, sia stato scelto
dalla provincia a seguito di una gara
pubblica (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2009 n. 5814 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittima la scelta di un
comune di gestire il servizio pubblico
locale di igiene urbana attraverso
l'adesione ad una società a capitale
interamente pubblico, piuttosto che
esternalizzare il servizio affidandolo a
trattativa privata.
E' legittima la scelta di un comune di
gestire il servizio pubblico locale di
igiene urbana attraverso l'adesione ad una
società a capitale interamente pubblico,
piuttosto che esternalizzare il servizio
affidandolo a trattativa privata, essendo
andata deserta la gara ad evidenza pubblica.
Il ricorso alla trattativa privata è,
infatti, frutto di una scelta discrezionale,
pertanto, non può ragionevolmente negarsi
alla stessa amministrazione il potere di
valutare la sussistenza di altri strumenti,
anche diversi dall'affidamento in appalto,
per la gestione del servizio di raccolta
rifiuti e di igiene urbana e dunque, anche
il potere di modificare l'originaria scelta
di fondo, passando cioè
dall'esternalizzazione del servizio
all'affidamento in house, atteso che,
al contrario, la nuova determinazione
amministrativa, è motivata, inspirandosi,
nel rispetto dei principi fondamentali
sanciti dall'art. 97 della Costituzione, ad
un conseguimento dell'interesse pubblico
inteso non già in una visione meramente
statica (limitata cioè esclusivamente al
buon funzionamento del servizio di igiene
urbana cittadina), ma dinamica in cui il
nuovo approccio alla realizzazione
dell'interesse pubblico attraverso l'internalizzazione
e l'affidamento del servizio ad una società
di capitali interamente pubblico possa
costituire il momento iniziale e dialogo di
confronto con gli altri enti, partecipanti
alla società pubblica, per l'individuazione
di nuove prospettive di tutela e di
conseguimento dell'interesse pubblico.
E' legittima la scelta di un comune di
gestire il servizio pubblico locale di
igiene urbana attraverso l'adesione ad una
società a capitale interamente pubblico,
nonostante la minima partecipazione (quasi
simbolica, pari allo 0,26% del capitale
societario), in quanto nello statuto sono
stati previsti accorgimenti tesi a chiarire
e precisare le modalità per la sussistenza
del requisito del controllo analogo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2009 n. 5808 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Guzzo,
LA RIFORMA DEI SERVIZI
PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA
-
La nuova disciplina degli affidamenti in
house e delle società miste alla luce
dell’evoluzione giurisprudenziale nazionale
e comunitaria più recente e dell’articolo
23-bis del d.l. n. 112/2008, convertito, con
modifiche, nella legge n. 133 del 06.08.2008
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla compatibilità con il
diritto comunitario dell'affidamento diretto
di un servizio ad una spa a capitale
interamente pubblico nel caso in cui esista
la possibilità che investitori privati
entrino nel capitale della società.
Nel caso in cui il capitale della società
aggiudicataria è interamente pubblico e in
cui non vi è alcun indizio concreto di una
futura apertura del capitale di tale società
ad investitori privati, la mera possibilità
per i privati di partecipare al capitale di
detta società non è sufficiente per
concludere che la condizione relativa al
controllo dell'autorità pubblica non è
soddisfatta. L'apertura del capitale rileva
solo vi è un'effettiva prospettiva di
ingresso di soggetti privati nella compagine
sociale, altrimenti, il principio di
certezza del diritto esige di valutare la
legittimità dell'affidamento in house sulla
base della situazione vigente al momento
della deliberazione dell'Ente locale
affidante.
L'attività della società in house deve
essere limitata allo svolgimento dei servizi
pubblici nel territorio degli enti soci, ed
è esercitata fondamentalmente a beneficio di
questi ultimi.
Nel caso di specie, anche se il potere
riconosciuto alla società aggiudicataria, di
fornire servizi ad operatori economici
privati è meramente accessorio alla sua
attività principale, l'esistenza di tale
potere non impedisce che l'obiettivo
principale di detta società rimanga la
gestione di servizi pubblici. Pertanto,
l'esistenza di un potere siffatto non è
sufficiente per ritenere che detta società
abbia una vocazione commerciale che rende
precario il controllo di enti che la
detengono (Corte di giustizia europea, Sez.
III,
sentenza 10.09.2009 n. C-573/07 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sui requisiti che devono
sussistere per ritenere legittimo
l'affidamento in house in favore di una
società partecipata da più enti pubblici.
In caso di affidamento in house in favore di
società partecipata da più enti pubblici,
per verificare se sussiste il presupposto
del controllo analogo si applica il criterio
sintetico imperniato sui rapporti tra la
collettività degli enti pubblici soci
rispetto alla società affidataria rispetto
all'approccio atomistico che considera
singulatim la posizione di ogni ente
locale.
Ai fini della configurabilità di un "controllo
analogo", non è necessaria la
ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di
un potere di controllo individuale del
singolo socio affidante sulla società-organo
assimilabile a quello, individuale,
delineato dai primi due commi dell'art. 2359
c.c.. è imprescindibile però che il
controllo della mano pubblica sull'ente
affidatario sia effettivo, ancorché
esercitato congiuntamente e, deliberando a
maggioranza, dai singoli enti pubblici
associati.
La giurisprudenza amministrativa, recependo
le indicazioni della giurisprudenza
comunitaria, ha rimarcato che il controllo
analogo, idoneo ad escludere la sostanziale
terzietà dell'affidatario domestico rispetto
al soggetto affidante, é da escludere in
presenza di un potere assoluto di direzione,
coordinamento e supervisione dell'attività
del soggetto partecipato da parte dell'ente
controllante-affidante che consenta a
quest'ultimo di dettare le linee strategiche
e di influire in modo effettivo ed immediato
sulle decisioni dell'affidatario. Risulta
quindi indispensabile che le decisioni più
importanti siano sempre sottoposte al vaglio
preventivo dell'ente affidante o, in caso di
in house frazionato, della totalità degli
enti pubblici soci. Inoltre, osta alla
configurabilità dell'affidamento in house
l'acquisizione, da parte dell'impresa
affidataria, di una vocazione schiettamente
commerciale tale da rendere precario il
controllo dell'ente pubblico.
Detta vocazione, può, in particolare,
risultare dall'ampliamento, anche
progressivo, dell'oggetto sociale e
dall'apertura obbligatoria della società ad
altri capitali o dall'espansione
territoriale dell'attività della società:
l'affermarsi di una vocazione strategica
basata sul rischio di impresa finisce
infatti per condizionare le scelte
strategiche dell'ente asseritamene in house,
distogliendolo dalla cura primaria
dell'interesse pubblico di riferimento e,
quindi, facendo impallidire la natura di
costola organica, pur se entificata,
dell'ente o degli enti istituenti (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 26.08.2009 n. 5082 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Affidamento "in
house". Presupposti;
2. Affidamento in house.
Requisito del controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi da parte
dell'amministrazione nei confronti della
società "in house". Connotati.
1. La legittimità degli affidamenti
in house
presuppone l'inesistenza di un rapporto di terzietà tra amministrazione e società
affidataria.
Ciò implica a sua volta che la
società affidataria svolga la parte più
importante della propria attività con l'ente
o con gli enti locali che la controllano e
che tali enti esercitino nei confronti della
società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi;
2.
Ai fini del positivo accertamento del
requisito del controllo analogo è richiesta,
oltre alla partecipazione pubblica
totalitaria, la possibilità da parte degli
enti controllanti di esercitare un'influenza
dominante sia sugli obiettivi strategici che
sulle decisioni importanti della società che
va ben al di là dei normali poteri spettanti
al socio in assemblea (nella fattispecie
il giudice amministrativo ha ritenuto non
integrato tale requisito in ragione della
varietà e molteplicità delle attività
statutarie della società in house, delle
caratteristiche spiccatamente commerciali di
alcune di esse e dei considerevoli poteri
attribuiti al consiglio d'amministrazione)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.07.2009 n.
4502 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
- L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv.
n. 267 del 2000, non riguarda la cessazione
delle concessioni affidate a società a
capitale misto pubblico privato nelle quali
il socio privato sia stato scelto mediante
gara.
-
Sulla natura tassativa dell'art. 113 c.
15-bis, d.lg. n.267 del 2000, e sul fatto
che non interagiscono con esso le
disposizioni sulla gestione integrata dei
rifiuti di cui al d.lg. n. 152 del 2006.
- L'art. 113, c. 15 bis del d. lgv. n. 267
del 2000, esclude dalla cessazione le
concessioni affidate a società a capitale
misto pubblico privato nelle quali il socio
privato sia stato scelto mediante procedure
ad evidenza pubblica che abbiano dato
garanzia di rispetto delle norme interne e
comunitarie in materia di concorrenza.
È possibile affidare direttamente il
servizio a società partecipate dall'ente
pubblico, allorquando le esigenze
dell'evidenza pubblica siano state
rispettate a monte. Il parere n. 456 del
2007 reso dal Consiglio di Stato, sez. II,
ha ritenuto che la scelta del partner
privato a mezzo procedura ad evidenza
pubblica equivale ad affidamento con gara
del servizio. Ha precisato tuttavia che il
ricorso alla figura della società mista
affidataria diretta del servizio deve
avvenire a condizioni tali da fugare dubbi e
ragioni di perplessità in ordine alla
restrizione della concorrenza. Tali
condizioni ricorrono allorché la gara per la
scelta del socio sia preordinata alla
individuazione del socio industriale od
operativo che concorra materialmente allo
svolgimento del servizio pubblico e, che si
preveda un rinnovo della procedura di
selezione "alla scadenza del periodo di
affidamento", evitando che il socio
divenga "socio stabile" della società
mista, possibilmente prescrivendo e
chiarendo sin dagli atti di gara modalità
per l'uscita del socio stesso per il caso in
cui all'esito della successiva gara egli
risulti non più aggiudicatario. Nel caso di
specie, attinente la decadenza
dell'affidamento diretto del servizio di
igiene urbana ad una società a
partecipazione pubblica maggioritaria in cui
è incontestato che la scelta del socio
privato è avvenuta con procedura di evidenza
pubblica, manca la principale condizione per
poter considerare legittimo l'affidamento
del servizio, in quanto la scelta a monte
del socio privato con procedura di evidenza
pubblica ha esaurito il suo effetto con la
scadenza della convenzione il cui rinnovo
imponeva la procedura dell'evidenza
pubblica, integrando una modalità di
affidamento diretto del servizio in
contrasto con i principi di matrice
comunitaria di tutela della concorrenza e
configura l'ipotesi del "socio stabile" che
nel parere n. 456 del 2007 su citato è
situazione in contrasto con i principi della
concorrenza e dell'evidenza pubblica.
- L'art. 113, c. 15-bis del d. lgv. n. 267
del 2000 è disposizione tassativa che non
consente slittamenti o proroghe dei rapporti
ivi considerati oltre il termine massimo del
31.12.2006 e le disposizioni sulla gestione
integrata dei rifiuti di cui al d.lgv. n.
152 del 2006 non interagiscono con tale
disposizione, non assumendo rilievo in
contrario nemmeno la previsione del c. 2
dell'art. 204 del codice dell'ambiente che
testualmente dispone "In relazione alla
scadenza del termine di cui al c. 15-bis
dell'art. 113..., l'Autorità d'ambito
dispone i nuovi affidamenti ...entro nove
mesi dall'entrata in vigore della... parte
quarta" che ha riguardo all'attività
successiva alla suddetta risoluzione
automatica (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 17.06.2009 n. 1525 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
In applicazione dell'art. 113, c.
6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non deve
essere ammessa ad una gara per l'affidamento
di un servizio pubblico locale una società
già affidataria diretta di un spl in un
altro comune.
In base a quanto previsto dall'art. 113, c.
6, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, non sono
ammesse a partecipare alle gare per
l'affidamento dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica "le società che in
Italia o all'estero, gestiscono a qualunque
titolo servizi pubblici locali in virtù di
un affidamento diretto, di una procedura non
ad evidenza pubblica o a seguito dei
relativi rinnovi; tale divieto si estende
alle società controllate o collegate, alle
loro controllanti, nonché alle società
controllate o collegate con queste ultimi;
sono parimenti esclusi i soggetti di cui al
c. 4" (gestori delle reti).
Pertanto, nel caso di specie, la società
aggiudicataria essendo affidataria diretta
da parte di un altro comune della gestione
dell'impianto di discarica sita nel
territorio comunale non doveva essere
ammessa alla gara indetta dall'Azienda
Servizi Ambientali per l'affidamento del
servizio di stesura, compattazione,
copertura dei rifiuti, esecuzione di
sbancamenti e di trasporto del percolato
relativo alla discarica di un comune
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3920 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Controllo analogo - Sussistenza -
Presupposti.
2. Principi di cui all'articolo 87 del
Trattato e correlazione di tali principi con
i limiti che caratterizzano gli affidamenti
in house.
1. Costituisce oramai dato pacifico che per
potersi configurare un "controllo analogo"
non è sufficiente il possesso della totalità
del capitale sociale da parte dell'ente
affidatario, occorrendo, invece, che questo
disponga di penetranti poteri di ingerenza
gestionale e di controllo che superino
quelli che nell'ordinario regime societario
sono riservati all'assemblea dei soci (Cons.
Stato, sez. VI, 03.04.2007, n. 1514).
Occorre poi che dallo statuto della società
affidataria, e, in particolare dal suo
Tenendo conto di ciò la giurisprudenza ha
ritenuto necessario che lo statuto
dell'organismo in house limiti i poteri
gestionali dell'organo amministrativo,
rimettendo alla approvazione dell'ente
controllante gli indirizzi strategici e le
decisioni più importanti (C. Giust. CE: 10.11.2005, C-29/04, 13.10.2005,
C-458/03, 11.05.2006, C 340/04).
Inoltre, si è affermato che il controllo
analogo non possa essere riconosciuto
qualora lo statuto preveda una pluralità di
oggetti ed ambiti di intervento dai quali si
possa evincere che la società ha assunto una
chiara vocazione commerciale.
Invero, il controllo analogo presuppone la
sussistenza di una specifica relazione
"organizzativa" che limiti dall'interno
l'autonomia dell'organismo in house. Questo,
in altre parole, si trova a non poter
esercitare i pieni poteri decisionali che
normalmente competono ad ogni entità dotata
di personalità giuridica in forza di
restrizioni che investono a livello genetico
la sua stessa soggettività, e non, invece,
in ragioni di limitazioni contrattuali
volontariamente accettate.
Le limitazioni contrattuali riguardano,
infatti, lo svolgimento del servizio, mentre
il controllo analogo investe le decisioni
dell'organismo controllato nella loro
totalità.
A ciò si aggiunga che l'esistenza di
penetranti poteri di controllo di natura
negoziale sullo svolgimento del servizio
affidato connota le più disparate figure
contrattuali (come, ad esempio, i
disciplinari accessivi a rapporti
concessori) e non è affatto indicativa della
esistenza di un rapporto "interorganico"
quale è quello che contraddistingue la
fattispecie dell'"in house".
Come questa Sezione ha già avuto occasione
di precisare, la verifica del controllo
analogo deve effettuarsi sul piano
dell'esistenza di previsioni che
conferiscano all'ente locale affidante
poteri di controllo nell'ambito in cui si
esplica l'attività decisionale della società
affidataria tramite gli organi di questa:
poteri che si esplichino non solo in forma
propulsiva, sub specie di proposte da
portare all'ordine del giorno di detti
organi, ma anche -e principalmente- poteri
di inibizione di iniziative o decisioni che
contrastino con gli interessi dell'Ente
locale nel cui territorio si esplica il
servizio, quali rappresentati dall'Ente
stesso con le suindicate proposte.
Occorre, inoltre, che i predetti poteri
inibitivi siano esercitabili dall'Ente
pubblico come tale, a prescindere dalla
misura della partecipazione di esso al
capitale della società affidataria, ma per
il semplice fatto che l'Ente, nel cui
territorio si svolge il servizio, consideri
le deliberazioni o le attività societarie
contrastanti con i propri interessi ed abbia
per tal ragione il potere di paralizzare le
suddette deliberazioni e attività.
2. I finanziamenti in qualsiasi forma
erogati ad enti che gestiscono servizi
pubblici in regime di concorrenza, incorrono
nel divieto di aiuti di stato sancito
dall'art. 87 del trattato, salvo che
rappresentino la contropartita delle
prestazioni fornite dalle imprese
beneficiarie per adempiere obblighi di
servizio pubblico ed a condizione che i
parametri sulla base dei quali viene
calcolata la compensazione siano stati
previamente definiti in modo obiettivo e
trasparente e che essa non ecceda quanto
necessario per coprire interamente o in
parte i costi originati dall'adempimento
(Corte Giustizia 24/07/2003 C 280/00).
Ed ancora si è deciso che l'attribuzione
alle imprese incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale di
diritti esclusivi che possono comportare
restrizioni della concorrenza, o l'esclusione di qualsiasi concorrenza da parte
di altri operatori economici, può essere
consentita dal diritto comunitario nei
limiti in cui ciò rappresenti una misura
necessaria per garantire l'adempimento
della loro specifica funzione (Corte
Giustizia CE 19/05/1993 n. 320).
Più di recente la giurisprudenza
amministrativa ha messo in correlazione tali
principi con i limiti che caratterizzano gli
affidamenti in house.
Si è affermato in proposito che
l'affidamento diretto del servizio
garantisce all'impresa affidataria
l'acquisizione di contratti al di fuori del
circuito del mercato con conseguente
attribuzione alla stessa di una posizione di
ingiusto privilegio rispetto alle imprese
concorrenti (CdS Ad Plen 1/2008).
Si è quindi osservato che in tale situazione
è ravvisabile una forma di "aiuto di stato"
vietata dall'art. 87 del trattato CE, atteso
che il vantaggio economico in cui la misura
di favore può concretarsi non
necessariamente deve consistere in un
contributo, sussidio o agevolazione fiscale,
ma può consistere anche nella garanzia di
"una partecipazione sicura al mercato a cui
-essa- appartiene" (CGARS, 04/09/2007 n.
719, Corte Giustizia CE 18/12/2007 C 220/06
punto n. 62). L'affidamento diretto,
infatti, in virtù del meccanismo delle
economie di scala, assicura all'impresa
beneficiaria la possibilità di una copertura
totale o parziale dei costi di impresa
mediante i proventi del servizio affidatole
senza gara, consentendole così di realizzare
maggiori margini di profitto o di offrire
prezzi di maggior favore quando essa opera
nei confronti dell'utenza ordinaria (CGARS
719/2007 cit.).
In conseguenza di ciò si è ritenuto che
anche il requisito dello svolgimento della
attività prevalente nei confronti dell'ente
affidatario debba essere interpretato in
modo rigoroso, come tendenziale esclusività
dell'attività economica della società
affidataria nei confronti dell'ente
azionista, potendo avere ogni altra attività
solo carattere "marginale" (Corte Giustizia
CE 17/07/2008 C. 371/05) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
25.05.2009 n.
3838 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI: Sul
controllo analogo di una società partecipata
da un comune.
Il Comune di (omissis), con nota telematica
del 13.03.2009, ha proposto un articolato
quesito in merito ai propri rapporti con il
Consorzio (omissis) – in particolare per
quanto attiene ... al modo con il quale
risulterebbe possibile effettuare il
“controllo analogo” su (omissis) srl.,
affidataria in house dei servizi di
raccolta, trasporto e smaltimento dei
rifiuti
(Regione Piemonte,
parere n. 35/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Nicoletti,
Gestioni “in house”: difficili o
impossibili? il caso di Zola Predosa
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L'affidamento in house a società
totalmente partecipate da soggetti pubblici
costituisce la negazione del mercato.
E' possibile
l'affidamento diretto ad una società mista
che sia costituita appositamente per
l'erogazione di uno o più servizi
determinati da rendere almeno in via
prevalente a favore dell'autorità pubblica
che procede alla costituzione, attraverso
una gara che miri non soltanto alla scelta
del socio privato ma anche allo stesso
affidamento dell'attività da svolgere e che
limiti, nel tempo, il rapporto di
partenariato, prevedendo allo scadere una
nuova gara.
Le condizioni che consentirebbero il ricorso
a tale forma organizzativa, lo si ricorda,
sono così enucleabili:
1) che esista una norma di legge che
autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di
tale “strumento”;
2) che il partner privato sia scelto con
gara;
3) che l’attività della costituenda società
mista sia resa, almeno in via prevalente, in
favore dell’autorità pubblica che ha
proceduto alla costituzione della medesima;
4) che la gara (unica) per la scelta del
partner e l’affidamento dei servizi
definisca esattamente l’oggetto dei servizi
medesimi (deve trattarsi di servizi
“determinati”);
5) che la selezione della offerta migliore
sia rapportata non alla solidità finanziaria
dell’offerente, ma alla capacità di svolgere
le prestazioni specifiche oggetto del
contratto;
6) che il rapporto instaurando abbia durata
predeterminata
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 16.03.2009 n. 1555 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'art. 13 del D.L. n. 223/2006
(c.d. decreto Bersani): ratio legis.
Sull'applicabilità dell'art. 13 del D.L. n.
223/2006 anche alle Camere di Commercio.
La ratio legis indicata dall'art. 13
del D.L. n. 223/2006 nel suo incipit
-evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza e assicurare la parità tra gli
operatori- trova la sua principale
esplicazione nella precisa delimitazione del
ruolo delle società costituite o comunque
partecipate dagli enti locali per la
produzione in house di beni e servizi
strumentali alla loro attività,
delimitazione realizzata attraverso la
imposizione di una corrispondenza soggettiva
tra enti pubblici titolari del capitale
sociale, ed esercitanti il c.d. "controllo
analogo", ed enti beneficiari delle
prestazioni delle società. In breve il
significato precipuo della normativa è
questo: è ben possibile che gli enti
pubblici possono costituire società in house
per lo svolgimento di attività strumentale,
e nel far questo possono sottrarsi alle
procedure di gara, però poi le società che
ne derivano dovranno operare solo per gli
enti che le hanno generate, non potendo
utilizzare il vantaggio che deriva loro da
quella particolare origine, e dallo
svolgimento privilegiato delle attività per
conto degli enti costituenti, per
partecipare a procedure di affidamento da
parte di altri soggetti pubblici in
condizione di solo apparente concorrenza con
gli altri operatori economici.
L'art. 13 del c.d. decreto Bersani
rappresenta una specificazione e
applicazione dei principi comunitari in
quanto l'apertura delle direttive
comunitarie verso la partecipazione alle
gare dei soggetti anche di matrice pubblica
presuppone una loro posizione paritaria, e
non può riferirsi alle società appositamente
costituite dalle pubbliche amministrazioni
per l'autoproduzione di beni e servizi, cui
è indirizzato l'art. 13 del D.L. 223/2006.
D'altra parte in tale direzione si muove
anche il quarto considerando della direttiva
2004/18/CE che ammonisce gli Stati ad
adottare normative di regolamentazione
dell'accesso al mercato degli appalti di
organismi partecipati da enti pubblici che
possano quindi distorcere la concorrenza.
Dunque l'art. 13 cit. non risulta essere
norma in contrasto con il diritto
comunitario, bensì di attuazione
comunitaria.
L'art. 13 del D.L. n. 223/2006 è applicabile
anche alle Camere di Commercio. Il generico
riferimento alle "Amministrazioni pubbliche
locali", non può essere letto
restrittivamente come riferito ai soli enti
territoriale, ma deve viceversa essere
interpretato come avente riguardo a tutte le
pubbliche Amministrazioni che perseguano il
soddisfacimento di interessi pubblici locali
entro un determinato ambito territoriale
(TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 13.03.2009 n. 417 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Greco,
L’affidamento in house del servizio di
raccolta dei rifiuti (link a www.diritto.it). |
APPALTI:
Sul requisito del controllo
analogo nel caso di società partecipate da
più enti pubblici.
Nel caso di società partecipate da più enti
pubblici il controllo della mano pubblica
sull'ente affidatario deve essere effettivo,
ancorché esercitato congiuntamente e,
deliberando a maggioranza, dai singoli enti
pubblici associati. Il requisito del
controllo analogo necessario per ritenere
legittimo l'affidamento in house di
servizi pubblici ad una società di società
partecipate da più enti pubblici non
sottende una logica "dominicale", rivelando
piuttosto una dimensione "funzionale":
affinché il controllo sussista anche nel
caso di una pluralità di soggetti pubblici
partecipanti al capitale della società
affidataria non è infatti indispensabile che
ad esso corrisponda simmetricamente un
"controllo" della governance societaria. In
particolare, nel caso di specie, attraverso
l'istituzione di un organo, denominato
Assemblea dei Sindaci, i Comuni soci si sono
riservati, oltre a rafforzati poteri di
controllo sulla gestione, il potere, ad
esercizio necessariamente congiunto (stante
il metodo di voto all'unanimità), di
approvare in via preventiva tutti gli atti
più rilevanti della società, ovverosia, tra
le altre, tutte le deliberazioni da
sottoporre all'assemblea straordinaria,
quelle in materia di acquisti e cessioni di
beni e partecipazioni, quelle relative alle
modifiche dei contratti di servizio, quelle
in tema di nomina degli organi e quelle in
ordine al piano industriale.
E' evidente che, in questo quadro, la
mancata considerazione della sola gestione
ordinaria non esclude la sussistenza di un
controllo analogo concreto e reale, posto
che gli atti di ordinaria amministrazione
non potranno discostarsi dalle
determinazioni preventivamente assunte
dall'Assemblea dei Sindaci in ordine a tutte
le questioni più rilevanti (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.03.2009 n. 1365 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla questione se gli appalti
pubblici possano essere affidati a società
miste in via diretta, o se occorra seguire
procedure di evidenza pubblica.
Sull'inammissibilità di una società mista
aperta o generalista cui affidare in via
diretta, dopo la sua costituzione, un numero
indeterminato di appalti o di servizi
pubblici.
In merito alla questione se gli appalti
pubblici possano essere affidati a società
miste in via diretta, o se occorra seguire
procedure di evidenza pubblica, la risposta
deve essere differenziata, occorrendo
distinguere l'ipotesi di costituzione di una
società mista per una specifica missione,
sulla base di una gara che abbia per oggetto
sia la scelta del socio che l'affidamento
della specifica missione, e l'ipotesi in cui
si intendano affidare ulteriori appalti ad
una società mista già costituita. Con
riferimento al primo caso, a seguito di una
complessa evoluzione, la giurisprudenza
nazionale (cfr. da ultimo Cons. St.,
ad.plen., 03.03.2008, n. 1; sez. V,
23.10.2007, n. 5587; sez. II, 18.04.2007, n.
456/2007) e comunitaria (cfr. Corte giust.
CE, sez. I, 11.01.2005, n. C-26/03) è
pervenuta alla conclusione che, nel rispetto
di precisi paletti, è sufficiente una unica
gara. Nel secondo caso (che caratterizza il
caso di specie), invece, occorre una gara
per l'affidamento degli appalti ulteriori e
successivi rispetto all'originaria missione.
Prima del d.lgs. n. 163 del 2006, si
preferiva la soluzione secondo cui,
limitatamente ai lavori e servizi specifici
e originari, per i quali fosse stata
costituita una società mista, fosse
sufficiente una sola procedura di evidenza
pubblica, e dunque bastasse quella
utilizzata per la scelta dei soci privati,
da intendersi come finalizzata alla
selezione dei soci più idonei anche in
relazione ai lavori e servizi da affidare
alla società. Tale soluzione è stata
sostanzialmente recepita dal d.lgs. n. 163
del 2006 c.d. codice dei contratti pubblici.
Dispone infatti l'art. 32, co. 3, del d.lgs.
n. 163 cit., che le società miste non sono
tenute ad applicare le disposizioni del
medesimo d.lgs. (e dunque non sono tenute a
seguire procedure di evidenza pubblica),
limitatamente alla realizzazione dell'opera
pubblica o alla gestione del servizio per i
quali sono state specificamente costituite,
se ricorrono le condizioni specificamente
indicate dalla norma. Ne discende che la
società mista opera nei limiti
dell'affidamento iniziale e non può ottenere
senza gara ulteriori missioni che non siano
già previste nel bando originario. Con
riferimento alla materia degli appalti e
delle concessioni in caso di partenariato
pubblico-privato, anche la Commissione
europea, con la comunicazione 05.02.2008, si
è mossa lungo la medesima traiettoria
argomentativa, affermando che sia
sufficiente una sola procedura di gara se la
scelta del partner oggetto di preventiva
gara è limitata all'affidamento della
missione originaria, il ché si verifica
quando la scelta di quest'ultimo è
accompagnata sia dalla costituzione del
partenariato pubblico privato istituzionale
(id est attraverso la costituzione di
società mista), sia dall'affidamento della
missione al socio operativo.
Non è dunque ammissibile una società mista
aperta o generalista cui affidare in via
diretta, dopo la sua costituzione, un numero
indeterminato di appalti o di servizi
pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.02.2009 n. 824 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Greco,
L’affidamento in house del servizio
di raccolta dei rifiuti (link a
www.diritto.it). |
ENTI LOCALI:
Enti locali: legittimo il
provvedimento comunale che affida ad
un'apposita società la distribuzione delle
merci all'interno del centro abitato.
E' legittimo il provvedimento col quale il
Comune affida ad una sola società,
appositamente costituita, il compito di
gestire la raccolta e la successiva
distribuzione delle merci all'interno del
centro abitato (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.02.2009 n. 596 - link
a www.eius.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità di un
affidamento diretto di un servizio pubblico
a favore di una società il cui capitale è
interamente pubblico, in quanto lo statuto
di quest'ultima non garantisce in via certa
e permanente l'incedibilità a privati delle
azioni.
E' illegittimo l'affidamento diretto del
servizio di trasporto pubblico locale a
favore di una società il cui capitale
sociale è interamente posseduto dallo stesso
Comune, in quanto lo statuto di quest'ultima
non garantisce, infatti, in via certa e
permanente l'incedibilità a privati delle
azioni.
Nel caso in cui, infatti, nel corso della
durata di un rapporto di concessione sorto
per affidamento diretto muta la compagine
sociale dell'affidatario (con l'ingresso
anche minoritario di privati) ciò comporta
la vulnerazione dei principi sanciti dal
Trattato in materia di concorrenza.
Pertanto, la proprietà pubblica della
totalità del capitale sociale, oltre a dover
sussistere nel momento genetico del
rapporto, non solo deve permanere per tutta
la durata del rapporto ma deve anche essere
garantita da appositi e stabili strumenti
giuridici, quali il divieto di cedibilità
delle azioni posto ad opera dello statuto.
Il possesso dell'intero capitale sociale da
parte dell'ente pubblico, pur astrattamente
idoneo a garantire il controllo analogo a
quello esercitato sui servizi interni, perde
tale qualità se lo statuto della società
consente che una quota di esso, anche
minoritaria, possa essere alienata a terzi
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.02.2009 n. 591 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
In house providing: la
partecipazione totalitaria è elemento
costitutivo.
Se nel corso
della durata di un rapporto di concessione
sorto per affidamento diretto muta la
compagine sociale dell’affidatario che era
totalmente in mano pubblica (con l’ingresso
anche minoritario di privati) ciò comporta
vulnerazione dei principi sanciti dal
Trattato in materia di concorrenza. Se ne
ricava che, oltre a dover sussistere nel
momento genetico del rapporto, la proprietà
pubblica della totalità del capitale sociale
non solo deve permanere per tutta la durata
del rapporto ma deve anche essere garantita
da appositi e stabili strumenti giuridici,
quali il divieto di cedibilità delle azioni
posto ad opera dello statuto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.02.2009 n. 591 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
L'eventuale annullamento di un
affidamento di un servizio pubblico locale
non obbliga la p.a. a bandire una gara in
quanto sussiste la possibilità di sottoporre
al parere delle Autorità indipendenti a ciò
preposte l'ipotesi dello svolgimento in
house del servizio stesso.
Sulla possibilità di disporre l'affidamento
in house solo nel caso in cui il soggetto
affidatario ha l'effettiva possibilità,
all'interno del proprio contesto
organizzativo, di svolgere con le proprie
risorse il servizio oggetto dell'affidamento
medesimo.
L'art. 23-bis del D.L. 25.06.2008,
convertito con modificazioni in L.
06.08.2008 n. 133, dispone, con disciplina
che espressamente si applica a tutti i
servizi pubblici locali e prevale sulle
norme degli ordinamenti di settore con esse
incompatibili (quindi, anche
sull'ordinamento relativo ai rifiuti di cui
allo stesso D.L.vo 152 del 2006), che "in
deroga alle modalità di affidamento
ordinario … a favore di imprenditori o di
società in qualunque forma costituite
individuati mediante procedure competitive
ad evidenza pubblica", i servizi
pubblici locali possono anche essere
diversamente affidati, "per situazioni
che, a causa di peculiari caratteristiche
economiche, sociali, ambientali e
geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento, non permettono un efficace e
utile ricorso al mercato", previa "adeguata
pubblicità" a tale scelta, motivandola
in base ad un'analisi del mercato con
contestuale trasmissione "di una
relazione contenente gli esiti della
predetta verifica all'Autorità garante della
concorrenza e del mercato e alle autorità di
regolazione del settore, ove costituite, per
l'espressione di un parere sui profili di
competenza da rendere entro sessanta giorni
dalla ricezione della predetta relazione".
Pertanto, nel caso di specie, dall'eventuale
annullamento dell'affidamento del servizio
pubblico di gestione dei rifiuti ad una
società strumentale discenderebbe, per il
comune titolare, non già l'obbligo di
bandire in ogni caso una gara al fine di
reperire il nuovo soggetto gestore del
servizio, ma la possibilità per
l'Amministrazione a ciò competente di
sottoporre al parere delle Autorità
indipendenti a ciò preposte l'ipotesi dello
svolgimento in house del servizio stesso.
L'affidamento in house deve essere disposto
allorquando il soggetto affidatario ha
l'effettiva possibilità, all'interno del
proprio contesto organizzativo, di svolgere
con le proprie risorse il servizio oggetto
dell'affidamento medesimo o, comunque, una
sua parte significativamente consistente.
Se, per contro, l'affidatario in house deve
a sua volta rivolgersi a soggetti esterni
-sia pure nelle necessarie forme
dell'evidenza pubblica quale "organismo
di diritto pubblico" a' sensi dell'art.
2, comma 26, del D.L.vo 12.04.2006 n. 163-
per reperire risorse non marginali al fine
dell'espletamento del servizio reso oggetto
di affidamento, risulta ben evidente che
l'Amministrazione affidante realizza nei
propri confronti non già un vantaggio
economico, ma una vera e propria
diseconomia, non solo finanziaria in quanto
il costo dello svolgimento del servizio
stesso sarà intuitivamente aggravato
dall'intermediazione dell'affidatario c.d. "in
house", ma anche -per così dire- "funzionale"
sotto il profilo dell'efficacia e
dell'economicità dell'azione amministrativa,
all'evidenza appesantita dall'ingresso di un
soggetto che funge da mero tramite tra
l'Amministrazione affidante e l'imprenditore
che materialmente svolge il servizio (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 02.02.2009 n. 236 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
anno 2008 |
|
APPALTI SERVIZI:
Sull'"interpretazione
comunitaria” dei requisiti dell’in house.
Il meccanismo
dell'affidamento diretto a soggetti in
house deve essere strutturato in modo da
evitare che esso possa risolversi in una
ingiustificata compromissione dei principi
che presiedono al funzionamento del mercato
e, dunque, in una violazione delle
prescrizioni contenute nel Trattato CE a
tutela della concorrenza.
Nella prospettiva comunitaria, pertanto, da
un lato, è necessario che gli Stati membri
attivino ampi processi di liberalizzazione
finalizzati ad abbattere progressivamente le
barriere all'entrata, mediante, tra l'altro,
l'eliminazione di diritti speciali ed
esclusivi a favore delle imprese, ed attuare
la concorrenza "nel mercato"; dall'altro, si
impone alle pubbliche amministrazioni di
osservare, nella scelta del gestore del
servizio, adeguate procedure di evidenza
pubblica finalizzate a garantire il rispetto
della concorrenza "per il mercato" (cfr.
Corte cost. sent. 401/2007)
Secondo la Corte di giustizia europea
affinché possa parlarsi di gestione in
house (con deroga alle regole della
concorrenza) sono necessari ed indefettibili
due requisiti:
- l'ente pubblico deve svolgere sul soggetto
affidatario un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi;
- il soggetto affidatario deve realizzare la
parte più importante della propria attività
con l'ente o con gli enti che la controllano
(Corte Costituzionale,
sentenza 23.12.2008 n. 43 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
C. Volpe,
IN HOUSE PROVIDING, CORTE DI GIUSTIZIA,
CONSIGLIO DI STATO E LEGISLATORE NAZIONALE.
UN CASO DI CONVERGENZE PARALLELE?
(link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittimo un affidamento in
house anche nel caso di una partecipazione
esigua di un comune al capitale sociale di
una società affidataria di un servizio
pubblico.
Sulla verifica della sussistenza del
controllo analogo.
L'esiguità della partecipazione al capitale
di una società affidataria di un servizio
pubblico da parte di un comune non è di per
sé indice dell'impossibilità, per il comune,
di esercitare sulla predetta società il cd.
controllo analogo. Ed invero, nel caso di
specie, essendo statutariamente imposto che
società affidataria indirizzi la parte più
rilevante della propria attività alla
collettività degli Enti locali soci, è in
tal maniera soddisfatto uno dei due
requisiti che la costante giurisprudenza
della Corte di Giustizia CE richiede perché
si possa ammettere la configurazione di un
affidamento in house.
La verifica del controllo analogo non può
che effettuarsi sul piano dell'esistenza di
previsioni che conferiscano, agli Enti
aventi una partecipazione esigua alla
società affidataria, dei poteri di controllo
nell'ambito in cui si esplica l'attività
decisionale della società tramite gli organi
di questa: poteri che si esplichino non solo
in forma propulsiva, sub specie di proposte
da portare all'ordine del giorno di detti
organi, ma anche e principalmente di poteri
di inibizione di iniziative o decisioni che
contrastino con gli interessi dell'Ente
locale nel cui territorio si esplica il
servizio, quali rappresentati dall'Ente
stesso con le suindicate proposte. Occorre,
inoltre, che i predetti poteri inibitivi
siano esercitabili dall'Ente pubblico come
tale, a prescindere dalla misura della
partecipazione di esso al capitale della
società affidataria, ma per il semplice
fatto che l'Ente, nel cui territorio si
svolge il servizio, consideri le
deliberazioni o le attività societarie
contrastanti con i propri interessi ed abbia
per tal ragione il potere di paralizzare le
suddette deliberazioni e attività.
La giurisprudenza ha in particolare
rinvenuto l'esistenza del controllo analogo
in presenza di clausole, contenute nello
statuto societario e nel contratto di
servizio, attributive all'Ente locale
affidante delle seguenti prerogative, che
l'Ente stesso può esercitare, ai fini del
controllo sul servizio, indipendentemente
dalla quota di capitale posseduta:
- potere dell'Ente di effettuare nei
confronti dell'organo amministrativo
proposte di iniziative attuative del
contratto di servizio;
- diritto di veto sulle deliberazioni
assunte in modo difforme dal contenuto delle
proposte;
- diritto di recesso dalla società, con
revoca dell'affidamento del servizio,
qualora il Comune abbia diritto di far
valere la risoluzione o comunque lo
scioglimento del contratto di servizio,
nonché nel caso di violazione delle
competenze assembleari, quando cioè l'organo
amministrativo assuma iniziative rientranti
nelle competenze dell'assemblea senza
l'autorizzazione di questa.
A ciò si sono poi aggiunte la riserva
all'assemblea ordinaria del potere di
trattare argomenti inerenti a pretese o
diritti delle società sugli Enti locali
nascenti dal contratto di servizio e il
diritto di veto di ogni Ente locale
interessato sulle relative determinazioni.
Nel caso di specie, sussistono un complesso
di elementi sufficiente, per quantità ed
importanza, a configurare il cd. controllo
analogo e, per l'effetto, a far rientrare la
fattispecie stessa nell'in house providing,
essendo fuori discussione l'altro requisito
prescritto (cioè lo svolgimento, da parte
della società, della parte più importante
della propria attività con l'Ente o gli Enti
pubblici che ne detengono il capitale: Corte
di Giustizia CE, 17.07.2008, in C-371/05)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 10.12.2008 n. 5759 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: 1. Art. 113, d.lgs. n. 267/2000 -
Deliberazioni di costituzione della società
affidataria o di acquisto di partecipazione
di essa - Opzione del modulo gestorio -
Successivo atto di conferimento - Esecuzione
alla presupposta scelta organizzativa -
Lesione interessi imprese aspiranti alla
gestione del servizio - Risale all'adozione
delle predette deliberazioni di
costituzione.
2. Art. 113, d.lgs. n. 267/2000 - Controllo
analogo - Verifica della sussistenza -
Criteri.
1. La giurisprudenza -con ragionamento
svolto in relazione ad una società mista, ma
che sembra estensibile anche alla società a
capitale interamente pubblico- ha
considerato direttamente lesivi gli atti che
definiscono conclusivamente l'opzione del
Comune per il peculiare modello
dell'affidamento diretto ex art. 113 del
d.lgs. n. 267/2000, sottraendo al confronto
concorrenziale l'attribuzione del servizio e
precludendo, in tal modo, alle imprese
interessate di accedere alla relativa
contrattazione (TAR Lombardia, Milano,
Sez. III, 12.05.2004, n. 1685; C.d.S.
Sez. V, 30.08.2005, n. 4428,
confermativa della precedente). In
quest'ottica, si è ritenuto che l'atto di
costituzione della società affidataria o di
successiva acquisizione in essa di una
partecipazione, ad opera di altro Ente
locale, siano i provvedimenti idonei
concretamente a sottrarre dal mercato di
riferimento la possibilità di accesso alla
contrattazione con l'Amministrazione che ha
optato per quella peculiare forma di
gestione diretta del servizio, essendo il
conferimento di quest'ultimo mero atto
consequenziale e, per certi versi,
automatico e vincolato in relazione alla
presupposta scelta del modulo in questione
(cfr. C.d.S., Sez. V, 30.06.2003, n.
3864). Infatti, è proprio con le
deliberazioni di costituzione della società
affidataria, o di acquisto della
partecipazione in essa, che l'Ente manifesta
e cristallizza l'opzione del modulo gestorio
considerato, mentre con il successivo atto
di conferimento si limita a dare esecuzione
necessitata alla presupposta scelta
organizzativa, con il corollario che la
lesione effettiva ed immediata degli
interessi delle imprese che aspirano alla
gestione del servizio risale all'adozione
delle predette deliberazioni, tenuto conto
del carattere conclusivo della
determinazione organizzatoria che esse
implicano (TAR Lombardia, Milano, n.
1685/2004, cit.).
2. La recente giurisprudenza (TAR Lazio,
Roma, n. 9988/2007, cit.) ha affermato che
la verifica della sussistenza del controllo
analogo va condotta secondo un criterio
comunque coerente con le peculiarità della
forma societaria, con esclusione di criteri,
quale quello della sovraordinazione
gerarchica tra controllante e controllato,
inconfigurabili nei confronti degli
organismi di tipo societario. Inoltre, il
controllo da parte dell'Ente pubblico non si
può configurare quale diretto controllo
sulle operazioni di gestione del servizio,
di cui l'Ente locale controllante possa
direttamente disporre ogni minima
regolamentazione.
La verifica del controllo analogo non può
che effettuarsi sul piano dell'esistenza di
previsioni che conferiscano, agli Enti
aventi una partecipazione esigua alla
società affidataria, dei poteri di controllo
nell'ambito in cui si esplica l'attività
decisionale della società tramite gli organi
di questa: poteri che si esplichino non solo
in forma propulsiva, sub specie di proposte
da portare all'ordine del giorno di detti
organi, ma anche -e principalmente- di
poteri di inibizione di iniziative o
decisioni che contrastino con gli interessi
dell'Ente locale nel cui territorio si
esplica il servizio, quali rappresentati
dall'Ente stesso con le suindicate proposte.
Occorre, inoltre, che i predetti poteri
inibitivi siano esercitabili dall'Ente
pubblico come tale, a prescindere dalla
misura della partecipazione di esso al
capitale della società affidataria, ma per
il semplice fatto che l'Ente, nel cui
territorio si svolge il servizio, consideri
le deliberazioni o le attività societarie
contrastanti con i propri interessi ed abbia
per tal ragione il potere di paralizzare le
suddette deliberazioni e attività.
La giurisprudenza ha in particolare
rinvenuto l'esistenza del controllo analogo
in presenza di clausole, contenute nello
statuto societario e nel contratto di
servizio, attributive all'Ente locale
affidante delle seguenti prerogative, che
l'Ente stesso può esercitare, ai fini del
controllo sul servizio, indipendentemente
dalla quota di capitale posseduta (TARLazio, Roma, n. 9988/2007, cit.):
- potere dell'Ente di effettuare nei
confronti dell'organo amministrativo
proposte di iniziative attuative del
contratto di servizio;
- diritto di veto sulle deliberazioni
assunte in modo difforme dal contenuto delle
proposte;
- diritto di recesso dalla società, con
revoca dell'affidamento del servizio,
qualora il Comune abbia diritto di far
valere la risoluzione o comunque lo
scioglimento del contratto di servizio,
nonché nel caso di violazione delle
competenze assembleari, quando cioè l'organo
amministrativo assuma iniziative rientranti
nelle competenze dell'assemblea senza
l'autorizzazione di questa.
A ciò si sono poi aggiunte la riserva
all'assemblea ordinaria del potere di
trattare argomenti inerenti a pretese o
diritti delle società sugli Enti locali
nascenti dal contratto di servizio e il
diritto di veto di ogni Ente locale
interessato sulle relative determinazioni.
Affinché si possa parlare di un "controllo
analogo", infatti, ad avviso del Collegio
tale prescrizione deve intendersi nel senso
che il veto comunale abbia un valore analogo
a quello di un parere vincolante: il
consiglio di amministrazione dovrà, in ogni
caso, uniformare le sue determinazioni
all'avviso espresso dal Comune e non potrà
discostarsene limitandosi ad indicare, a
propria volta, i motivi per cui ritiene di
non condividere le affermazioni del Comune (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
10.12.2008 nn.
5758 - 5759 - 5760 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
1. Servizi pubblici locali - Gara
pubblica per l'affidamento del servizio -
Ricorso al modello dell'in house -
Eccezione.
2. Nomina del commissario ad acta -
Caratteri dell'indipendenza e della terzietà
- Natura di organo paragiurisdizionale.
3. Commissario ad acta - Fraintendimento del
suo incarico - Diretta e immediata
esecuzione del giudicato - Obbligo.
1.
In tema di affidamento di servizi pubblici
locali, il ricorso alla gara pubblica
-ovvero l'integrale ricorso al mercato da
parte dell'amministrazione nell'affidamento
del servizio- deve essere la regola e di
contro l'utilizzo di altri modelli di
gestione (per quanto riguarda nel caso in
esame, quello dell'in house) deve essere
l'eccezione.
2.
L'imparzialità dell'amministrazione,
affermata sul piano generale dall'art. 97
della Cost., assume peraltro, nell'ipotesi
di specie del commissario ad acta nominato
dal giudice dell'ottemperanza, i crismi di
una vera e propria terzietà ed indipendenza.
Entrambi questi caratteri sono infatti
mutuati dall'autorità che procede alla
nomina e sono un portato della natura di
organo paragiurisdizionale, ausiliario del
giudice e non dell'amministrazione
inadempiente, generalmente riconosciuta al
commissario).
3.
Il Commissario che, anziché provvedere
personalmente e tempestivamente a compiere
tutti gli atti necessari all'espletamento di
una procedura ad evidenza pubblica, abbia
invece delegato tale compito
all'amministrazione soccombente e già sul
punto inadempiente, ha frainteso il suo
incarico, tanto nel metodo, quanto nel
merito. Nel metodo, poiché , anziché dare
immediata e diretta esecuzione al giudicato
(o in via meramente subordinata, fornire
prescrizioni puntuali e circostanziate), ha
lasciato che tale compito fosse assolto
dall'amministrazione comunale con assoluta
libertà di manovra e secondo i suoi
originali intendimenti; nel merito, perché
l'incarico aveva ad oggetto l'esecuzione
della sentenza secondo le indicazioni
provenienti dalla stessa senza che fosse
richiesta o consentita una propria
interpretazione (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 03.12.2008 n. 5676). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità
dell'affidamento in house ad una fondazione
lirico-sinfonica del servizio di gestione di
un teatro per mancanza dei requisiti
legittimanti l'affidamento diretto di un
servizio pubblico locale.
E' illegittima la deliberazione del comune
di Bari che ha affidato in house, previa
trattativa privata, alla fondazione
Petruzzelli l'utilizzo gratuito del teatro e
la gestione dei servizi teatrali per la
durata di tre anni per mancanza dei
requisiti legittimanti l'affidamento diretto
di un servizio pubblico.
L'utilizzo gratuito del teatro e la gestione
dei servizi teatrali non è definibile come
un servizio privo di rilevanza economica; al
contrario, attraverso la gestione del
servizio, nel caso di specie, è
statutariamente previsto che la fondazione
persegua l'obiettivo imprenditoriale, non
può, dunque, trovare applicazione l'art.
113-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, che
consente l'affidamento diretto dei servizi
culturali e del tempo libero a fondazioni
costituite o partecipate dall'ente locale.
Per i servizi pubblici locali di rilevanza
economica si applica invece l'art. 113 del
medesimo d.lvo che consente, "nel rispetto
della normativa dell'Unione Europea", il
conferimento della titolarità del servizio a
società a capitale interamente pubblico.
L'affidamento diretto del servizio da parte
dell'ente pubblico, peraltro, è legittimo
solo a determinate condizioni, in parte
specificate dallo stesso art. 113, in parte
di derivazione comunitari.
Nel caso di specie, non sussiste la
condizione dell'immediato controllo da parte
dell'ente pubblico sull'attività e le
decisioni della fondazione, tale da poter
configurare quest'ultima quale organo
dell'amministrazione e, quindi, da
legittimare l'affidamento in house, infatti,
l'art. 13 dello statuto della fondazione
Petruzzelli stabilisce espressamente che il
presidente, e il consiglio d'amministrazione
(organi decisionali dell'ente e di
designazione pubblica: il presidente è il
sindaco di Bari) non rispondono a coloro che
li hanno designati, e non li rappresentano,
inoltre, sono la stessa legge istitutiva
delle fondazioni lirico-sinfoniche (d.lgs.
n. 367 del 1996) e quella specifica per la
fondazione Petruzzelli che prevedono ed anzi
impongono "in ogni caso" la partecipazione
di soggetti privati, con conseguente
inconfigurabilità, anche per tale via, dei
presupposti per tale particolare modulo
operativo (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.11.2008 n. 5781 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
E' legittima la scelta di un
comune di associarsi ad una società
cooperativa intercomunale al fine di
trasferirle la gestione di un servizio
pubblico senza previa gara d'appalto, purché
rispetti i requisiti dell'in house.
Gli artt. 43 CE e 49 CE, i principi di
parità di trattamento e di non
discriminazione in base alla nazionalità
nonché l'obbligo di trasparenza che ne
discende non ostano a che un'autorità
pubblica assegni, senza bandire una gara
d'appalto, una concessione di servizi
pubblici a una società cooperativa
intercomunale i cui soci sono tutti autorità
pubbliche, dal momento che dette autorità
pubbliche esercitano su tale società un
controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e che la società in parola
svolge la parte essenziale della sua
attività con dette autorità pubbliche.
Nel caso in cui le decisioni relative alle
attività di una società cooperativa
intercomunale detenuta esclusivamente da
autorità pubbliche sono adottate da organi
statutari di detta società composti di
rappresentanti delle autorità pubbliche
associate, il controllo esercitato su tali
decisioni dalle autorità pubbliche in parola
può essere considerato tale da consentire
loro di esercitare sulla società di cui
trattasi un controllo analogo a quello che
esercitano sui propri servizi.
Qualora un'autorità pubblica si associ ad
una società cooperativa intercomunale i cui
soci sono tutti autorità pubbliche, al fine
di trasferirle la gestione di un servizio
pubblico, il controllo che le autorità
associate a detta società esercitano su
quest'ultima, per poter essere qualificato
come analogo al controllo che esse
esercitano sui propri servizi, può essere
esercitato congiuntamente dalle stesse,
deliberando, eventualmente, a maggioranza
(Corte di giustizia europea, Sez. III,
sentenza 13.11.2008 n. C-324/07 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Affidamenti
in house: presupposti e meccanismi
dell’affidamento (Autorità Garante per la
Concorrenza e il Mercato,
comunicazione 20.10.2008 - link
a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
F. M. Nurra,
I connotati del controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi
nell’affidamento diretto del servizio di
raccolta dei rifiuti ad una società a totale
capitale pubblico (nota a TAR Sardegna -
Sez. I - sentenza 12.08.2008 n. 1721)
(link
a www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
Una Comunità Montana che agisce quale Ente
locale capofila, per la disciplina della
gestione associata del servizio di raccolta,
trasporto e smaltimento RSU e assimilabili è
incompetente ad individuare il modello
dell'affidamento in house.
Le Comunità Montane sono Enti locali
sovracomunali, costituiti "per l'esercizio
di funzioni proprie, di funzioni conferite e
per l'esercizio associato delle funzioni
comunali" (art. 27, c. 1, del T.U.E.L).
Gli Enti locali possono affidare ad una
Comunità Montana, che agisce quale Ente
locale capofila, per la disciplina della
gestione associata (nel caso di specie, del
servizio di raccolta, trasporto e
smaltimento RSU e assimilabili) il compito
di individuare la forma di gestione di un
più vantaggiosa anche sotto il profilo
economico, conservando tuttavia la
titolarità dei rispettivi servizi.
Se tuttavia la scelta cade sul modello di
delegazione interorganica, la verifica dei
requisiti che devono indefettibilmente e
cumulativamente concorrere per legittimare
l'affidamento diretto ad una società
pubblica: l'esercizio su di essa, da parte
degli Enti locali soci, di un controllo
analogo a quello esercitato sui loro servizi
e la realizzazione, da parte della Società,
della quota più importante della propria
attività con l'Ente o gli Enti pubblici che
la controllano, va condotta con riferimento
a ciascuna amministrazione titolare del
servizio, ossia ad ogni singolo Comune
delegante: quest'ultimo non viene
espropriato della competenza attribuitagli
dal legislatore, e quindi la mediazione
realizzata per mezzo della delega rilasciata
alla Comunità Montana non esclude che lo
stesso debba mantenere in proprio il
controllo diretto sulla Società affidataria.
Ne consegue che la Comunità Montana è
incompetente ad individuare il modello
dell'affidamento in house, in quanto il
rapporto di immedesimazione organica deve
coinvolgere direttamente il Comune affidante
e il suo apparato amministrativo, senza
possibilità di delega a soggetti terzi (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 27.10.2008 n. 1440 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Sul
legittimo affidamento di un servizio ad una
società pubblica.
Come chiarito fin dalla sentenza della Corte
di Giustizia 18/11/1999, resa nel
procedimento C-107/98 (Teckal), e da ultimo
confermato nelle pronunce della sez. II
19/04/2007 (C-295/05) e 17/07/2008
(C-371/05), due elementi devono
indefettibilmente e cumulativamente
concorrere per legittimare l’affidamento
diretto ad una Società pubblica: l’esercizio
su di essa, da parte degli Enti locali soci,
di un controllo analogo a quello esercitato
sui loro servizi e la realizzazione, da
parte della Società, della quota più
importante della propria attività con l’Ente
o gli Enti pubblici che la controllano.
E’ noto che la libera concorrenza è uno dei
principi guida del Trattato dell’Unione
Europea, ed è finalizzata a garantire parità
di accesso alle commesse pubbliche a tutte
le imprese che operano entro i suoi confini.
L’obiettivo può essere tuttavia vanificato
da particolari situazioni economiche capaci
di porre alcune imprese in una condizione di
privilegio o comunque di favore: ciò si
verifica senz’altro quando un operatore
usufruisce di un aiuto di Stato, sia nella
forma tradizionale della provvidenza
economica che riduce o copre totalmente i
costi della sua attività, sia mediante la
garanzia di una posizione di mercato
avvantaggiata rispetto alle altre imprese.
Per questo le azioni comunitarie tendono da
un lato ad assimilare il più possibile la
Società partecipata all’amministrazione
controllante e dall’altro a preservare il
mercato privato dall’elemento di disturbo
rappresentato dall’ingresso di tale
tipologia di impresa: lo scopo è perseguito
applicando il principio del “controllo
analogo” e il requisito della “attività
prevalente”, vale a dire della tendenziale
esclusività dell’attività economica a favore
dell’azionista (C.G.A. Sicilia, sez.
giurisdizionale – 04/09/2007 n. 719).
La giurisprudenza comunitaria, ad ogni modo,
ammette che un’autorità pubblica che sia
amministrazione aggiudicatrice possa
assolvere i compiti istituzionali e
realizzare gli interessi pubblici ad essa
affidati mediante propri strumenti,
amministrativi, tecnici e di altro tipo,
senza essere obbligata a ricorrere ad entità
esterne estranee alle proprie strutture e ai
propri servizi (cfr. Corte di Giustizia CE –
11/01/2005 causa C-26/03 Stadt Halle).
Non è, dunque, vietato all’amministrazione
sottrarre al mercato attività in relazione
alle quali ritenga di dover provvedere
direttamente con la propria organizzazione.
E’ stato sul punto efficacemente rilevato
che la creazione di un mercato comune e
l’applicazione delle regole di tutela della
concorrenza non ostacolano lo svolgimento
della potestà organizzatoria della pubblica
amministrazione, riconosciuta dalle
istituzioni comunitarie agli Stati membri.
Non siamo in questo caso di fronte ad una
deroga alla disciplina europea delle libertà
economiche, ma ad una fattispecie che si
colloca al di fuori del mercato: in buona
sostanza, le norme che regolano la
concorrenza nel settore degli appalti e
delle concessioni presuppongono un rapporto
con il mercato, per cui l’amministrazione
può decidere, in alternativa, di non
rivolgersi ad esso per una o più attività di
competenza, optando per il ricorso
all’autoproduzione (cfr. TAR Sardegna, sez.
I – 21/12/2007 n. 2407).
Del resto, nel panorama delineato si
inquadra organicamente l’art. 13 del D.L.
223/2006 convertito con modificazioni nella
Legge n. 248/2006, il quale testualmente
dispone che “Al fine di evitare alterazioni
o distorsioni della concorrenza e del
mercato e di assicurare la parità degli
operatori, le società, a capitale
interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche
regionali e locali per la produzione di beni
e servizi strumentali all'attività di tali
enti in funzione della loro attività, con
esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per
lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di loro competenza, devono
operare esclusivamente con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti, non
possono svolgere prestazioni a favore di
altri soggetti pubblici o privati, né in
affidamento diretto né con gara, e non
possono partecipare ad altre società o enti
…”.
La Sezione ha recentemente statuito che la
ratio della disposizione citata si rinviene
nella circostanza che l’Unione Europea ha
reiteratamente imposto agli Stati membri di
regolamentare l’accesso al mercato degli
appalti pubblici da parte di organismi
costituiti o partecipati da Enti pubblici,
evitando distorsioni alle dinamiche
concorrenziali e pregiudizi nei confronti
dei soggetti privati: la finalità della
norma, di chiusura del sistema, è pertanto
quella di delimitare la posizione di
vantaggio competitivo di dette Società, che
hanno beneficiato di un accesso privilegiato
alle commesse della pubblica amministrazione
a danno di altri operatori privati (cfr.
sentenza Sezione 27/12/2007 n. 1373).
Nel nostro ordinamento, la materia
controversa è regolata dall’art. 113, comma
5, lettera c), del D. Lgs. 267/2000 che
permette l’affidamento diretto –senza gara
pubblica– della gestione di servizi pubblici
locali a “società a capitale interamente
pubblico a condizione che l’ente o gli enti
pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo
analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte
più importante della propria attività con
l’ente o gli enti pubblici che la
controllano”. La disposizione si allinea
ai principi comunitari diffusamente
illustrati, e la sua introduzione è
conseguita ad una procedura d’infrazione nei
confronti della Repubblica italiana, avviata
dalla Commissione europea nel novembre 2000.
Come si evince dalla formulazione letterale
della norma –che individua alternativamente
l’Ente o gli Enti pubblici “… titolari del
capitale sociale”– in linea generale non vi
sono ostacoli a ritenere ammissibile che una
pluralità di Enti locali proceda
all’affidamento diretto di un dato servizio
ad una Società di capitali partecipata
soltanto da essi, per quote commisurate
all’interesse di cui ciascuno è titolare. E’
tuttavia indispensabile la sussistenza della
condizione del controllo analogo, riferito
alla capacità di influenzare la gestione
della Società nel suo complesso e che deve
essere accertato caso per caso con riguardo
agli elementi che caratterizzano i soggetti
interessati.
La Sezione, chiamata ad esprimersi sulla
questione in esame in diverse pronunce (cfr.
sentenze 05/12/2005 n. 1250; 07/11/2005 n.
1123; 28/02/2006 n. 238; 16/03/2006 n. 301;
02/05/2006 n. 450), ha ritenuto in tutti
quei casi insussistente il rispetto delle
condizioni necessarie a configurare –da
parte dei Comuni che detenevano un’esigua
quota percentuale di capitale sociale– una
situazione di controllo analogo a quello
svolto sui propri servizi: in quelle ipotesi
non era riscontrabile un’influenza
determinante sugli obiettivi e sulle scelte
gestionali delle Società affidatarie, da
svolgersi anche collettivamente con gli
altri soci al di fuori degli ordinari poteri
dell’Assemblea della Società.
Infatti, come affermato anche dalla sentenza
della Corte di Giustizia in data 13/10/2005
nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH),
il controllo analogo su una Società pubblica
non sussiste ove lo Statuto conferisca al
Consiglio di Amministrazione poteri
teoricamente illimitati, senza che l’Ente
affidante possa influirvi, e configuri un
ampio oggetto sociale: in particolare
l’impresa non deve aver acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo, la quale può risultare, tra
l’altro, dall’ampliamento dell’oggetto
sociale, dall’apertura obbligatoria ad altri
capitali e dall’espansione territoriale
dell’attività a tutto il territorio
nazionale e all’estero (cfr. Corte di
giustizia – 10/11/2005, C-29/04; Consiglio
di Stato, sez. V – 30/08/2006 n. 5072).
In termini positivi, per configurare il
controllo analogo è necessario uno strumento
di carattere sociale ovvero anche
parasociale –ma diverso dai normali poteri
che un socio, anche totalitario, esercita in
assemblea– che in ogni momento possa
vincolare l’affidataria agli indirizzi
dell’affidante ossia garantire un’influenza
determinante del secondo sulla prima, con
riguardo sia agli obiettivi strategici che
alle decisioni più importanti (cfr. sentenza
Parking Brixen GmbH, cit., par. 65).
In linea generale è pertanto necessaria la
previsione, a favore dell’Ente pubblico, di
strumenti di controllo più intensi di quelli
riconosciuti dal diritto societario alla
maggioranza assembleare (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V – 28/12/2007 n. 6736; sez. VI
– 03/04/2007 n. 1514).
La giurisprudenza ha ritenuto sussistere
un’incisiva ingerenza ove lo Statuto della
Società preveda poteri speciali in capo
all’Ente pubblico – quali la nomina del
Presidente e di un numero predeterminato di
membri del Consiglio di Amministrazione e
del Collegio sindacale (cfr. Tar Campania
Napoli, sez. I – 30/03/2005 n. 2784) ovvero
quando venga costituito un apposito organo
con penetranti poteri di controllo sulla
gestione straordinaria ed ordinaria della
Società, quale ad esempio l’Assemblea di
coordinamento intercomunale, costituita dai
legali rappresentanti di ciascun Ente locale
(o loro delegati), ognuno con responsabilità
e diritto di voto pari alla quota di
partecipazione (cfr. Tar Friuli Venezia
Giulia – 15/07/2005 n. 634).
Tali elementi devono ricorrere a maggior
ragione nei casi in cui l’Ente affidante non
dispone della totalità delle quote della
Società, ma ha acquisito una partecipazione
di minoranza insufficiente, da sola, ad
integrare la forma di controllo in questione
(Corte di Giustizia CE, Grande sezione –
21/07/2005 causa C-231/03 (Coname - Comune
di Cingia De’ Botti).
La Corte di Giustizia ha altresì
ripetutamente sostenuto che, trattandosi di
un’eccezione alle regole generali del
diritto comunitario, la sussistenza del
“controllo analogo” deve formare oggetto di
un’interpretazione restrittiva, e l’onere di
dimostrare l’effettiva esistenza delle
circostanze eccezionali che giustificano la
deroga a quelle regole grava su colui che
intenda avvalersene (cfr. ex plurimis Corte
di Giustizia CE, sez. I – 06/04/2006 causa C–410/04 ANAV).
Deve peraltro essere rilevato che
l’accertamento di un rapporto assimilabile
ad una subordinazione gerarchica del
soggetto controllato deve tener conto delle
caratteristiche proprie di una Società a
responsabilità limitata, chiamata ad agire
mediante gli organi di cui è dotata e che
assumono rituali deliberazioni.
Se non è certamente sufficiente, alla luce
di quanto ampiamente esposto, un mero
controllo “a posteriori” per soddisfare il
requisito del controllo analogo –dato che
non consente all’autorità pubblica di
influenzare preventivamente le decisioni
degli organismi societari– l’indagine deve
necessariamente investire le clausole e le
prerogative che attribuiscono agli Enti
locali partecipanti effettive possibilità di
ingerenza nella sfera decisionale del
soggetto affidatario: in particolare esse
debbono tradursi in una penetrante azione
propulsiva o propositiva sulle linee
strategiche ed operative della Società (con
la determinazione degli ordini del giorno
degli organi sociali, l’indicazione dei
dirigenti da nominare e l’elaborazione di
direttive sulla politica aziendale) e in
incisivi poteri suscettibili di inibire
iniziative o decisioni che si pongano in
contrasto con i propri interessi.
In buona sostanza ciascun Ente locale –a
prescindere dalla quota (più o meno
consistente) detenuta– deve poter
esercitare un effettivo potere di veto sulle
deliberazioni societarie, in modo da
paralizzare quelle decisioni o quelle
attività ritenute non congrue o non
compatibili con gli interessi della
collettività e del territorio di
riferimento, a favore dei quali è prestato
il servizio dato in affidamento (TAR Lazio
Roma, sez. II-ter – 16/10/2007 n. 9988).
Il Consiglio di Stato ha di recente
riassunto i menzionati elementi evidenziando
in particolare la necessità che:
a) lo statuto della Società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati;
b) il Consiglio di Amministrazione della
Società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’Ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale;
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo dell’Ente pubblico e che risulta
tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto
sociale; dall’apertura obbligatoria della
società, a breve termine, ad altri capitali;
dall’espansione territoriale dell’attività
della Società a tutta l’Italia e all’estero;
d) le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’Ente
affidante.
Ne consegue che l’in house esclude la
terzietà in quanto l’affidamento avviene a
favore di un soggetto il quale –pur dotato
di autonoma personalità giuridica– si trova
in condizioni di soggezione nei confronti
dell’Ente affidante, che è in grado di
determinarne le scelte esercitando
un’influenza dominante (Consiglio di Stato,
adunanza plenaria – 03/03/2008 n. 1)
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 27.10.2008 n. 1440 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Il
divieto di cui all'art. 13 del DL n.
223/2006 (c.d. decreto Bersani) opera anche
nel caso che la partecipazione dell'ente
locale ad una società sia meramente
indiretta.
Il divieto di cui all'art. 13 del DL n.
223/2006, conv. in legge n. 248/2007, è
stato interpretato dalla prevalente
giurisprudenza amministrativa in modo
conforme alla ratio del medesimo, che è
quella, illustrata nell'incipit della citata
disposizione, di "evitare alterazioni o
distorsioni della concorrenza e del mercato
e di assicurare la parità degli operatori ".
Non può, pertanto, considerarsi rilevante,
ai fini della non ricorrenza del divieto
previsto dalla citata disposizione "la
circostanza che la partecipazione dell'ente
locale alla società sia meramente indiretta,
come nel caso di specie. Infatti, ammettere
che i vincoli posti dalla norma speciale
riguardino esclusivamente le partecipazioni
dirette degli enti pubblici alle società di
cui trattasi, varrebbe a sostenere che i
vincoli stessi possano agevolmente essere
aggirati mediante meccanismi di
partecipazioni societarie mediate. Al
contrario, anche nelle società c.d. di terzo
grado, come nel caso in esame,
individuandosi, con detta definizione,
quelle società che non sono state costituite
da amministrazioni pubbliche e non sono
state costituite per soddisfare esigenze
strumentali alle amministrazioni pubbliche
medesime, rimane pur sempre il rilievo che
l'assunzione del rischio avviene con una
quota di capitale pubblico, con ciò ponendo
in essere meccanismi potenzialmente in
contrasto con il principio della par
condicio dei concorrenti. L'interpretazione
anzidetta trova ulteriore e indiretta
conferma nel c.3 del medesimo art. 13
suindicato, laddove il legislatore ha
previsto un regime transitorio, durante il
quale le società pubbliche o miste dovranno
dismettere in particolare le loro
partecipazioni in altre società".
Tale interpretazione è l'unica che consente
che la norma possa dispiegarsi coerentemente
con la ratio della sua introduzione,
impedendo che attraverso il collaudato
meccanismo delle partecipazioni societarie
essa non trovi applicazione in ipotesi del
tutto analoghe a quelle oggetto di espressa
previsione (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.10.2008 n. 4829 - link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Nico,
Parte la riforma dei servizi pubblici
locali, ecco le novità su gare ed
affidamenti in house (link
a www.filodiritto.com). |
APPALTI SERVIZI: M.
Nico,
Parte la riforma dei servizi pubblici
locali, ecco le novità su gare ed
affidamenti in house (link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sulla legittimità della
costituzione di società miste anche al di
fuori del settore dei servizi e sulla
necessità di indicare nella gara per la
selezione del socio privato i concreti
compiti operativi che la nuova società sarà
chiamata ad assolvere.
Il modello delle società miste è previsto in
via generale dall’art. 113, c. 5, lett. b),
d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato
dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla
relativa legge di conversione, n. 326 del
2003, norme che, pur avendo attinenza ai
contratti degli enti locali, delineano un
completo paradigma, valido anche al di fuori
del settore dei servizi pubblici locali.
Tale modello vale anche al di fuori del
settore dei servizi come si evince dall’art.
1 c. 2 e dall’art. 32 del codice dei
contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006),
che contemplano il caso di società miste per
la realizzazione di lavori pubblici e per la
realizzazione e/o gestione di un’opera
pubblica. La condizione perché possa essere
ritenuto legittimo il ricorso alla scelta
del socio, al fine della costituzione di una
società che divenga affidataria
dell’esecuzione dell’opera senza necessità
di gara, è che, attraverso la procedura, non
si realizzi un affidamento diretto alla
società mista, ma piuttosto un affidamento
con procedura di evidenza pubblica
dell’attività operativa della società mista
al partner privato, tramite la stessa gara
volta all’individuazione di quest’ultimo. Il
modello, in altre parole, trae la propria
legittimità dalla circostanza che la gara ad
evidenza pubblica per la scelta del socio
privato abbia ad oggetto, al tempo stesso,
l’attribuzione dei compiti operativi e
quella della qualità di socio.
Nel caso di specie, la illegittimità della
procedura esperita da una società ad
integrale capitale pubblico locale,
proprietaria delle reti, impianti e
dotazioni per lo svolgimento del servizio
idrico integrato non risiede, pertanto, come
ritenuto dal primo giudice, nel "contrasto
della forma di società delineata con il
principio di nominatività e tassatività
degli istituti e degli strumenti
dell’ordinamento pubblico, anche di
derivazione comunitaria", che, invece,
conosce da tempo tale modulo operativo, ma
nella indeterminatezza dei compiti che la
nuova società sarà chiamata ad assolvere, in
definitiva nella mancata identificazione dei
concreti compiti operativi collegati
all’acquisto della qualità di socio. Gli
atti di gara, infatti, non identificano con
sufficiente precisione le opere oggetto
dell’appalto, limitandosi la stazione
appaltante a indicare gli importi e i costi
in termini di massima. La scelta del socio,
ancorché selezionato con gara, non avviene
dunque per finalità definite, ma solo al
fine della costituzione di una società
"generalista", alla quale affidare
l’esecuzione di lavori non ancora
identificati al momento della scelta stessa.
--------------------
(1) v., in senso conforme, parere del
C.d.S., sez. II, n. 456 del 18.04.2007
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 23.09.2008 n. 4603
- link a www.dirittodeiservizipubblici). |
APPALTI SERVIZI:
P. Petroni,
Il difficile cammino della riforma dei
servizi pubblici locali tra liberalizzazione
ed affidamento in house (link a
www.diritto.it). |
APPALTI SERVIZI:
S. Colombari,
Le società a partecipazione pubblica e la
loro appartenenza a modelli e regimi
giuridici diversificati. Nota critica a
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza
25.08.2008 n. 4080 (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sui limiti per lo svolgimento di
attività extraterritoriale delle società
miste: necessità di dimostrare di non
sottrarre risorse alle collettività di
riferimento.
Le società miste, pur legittimate in via di
principio a svolgere la propria attività
anche al fuori del territorio del comune dal
quale sono state costituite, in quanto
munite dal legislatore di capacità
imprenditoriale sono pur sempre tenute, per
il vincolo genetico-funzionale che le lega
all’ente di origine, a perseguire finalità
di promozione dello sviluppo della comunità
locale di emanazione.
Tale vincolo funzionale implicitamente
imposto alle imprese miste va confrontato
con l’impegno extraterritoriale richiesto in
concreto e inibisce tale attività quando
diventino rilevanti le risorse e i mezzi
eventualmente distolti dalla attività
riferibile alla collettività di riferimento
senza apprezzabili utilità per queste
ultime. Si tratta, in definitiva, di
verificare che l’impegno da assumere non
comporti una distrazione di mezzi e risorse
tali da arrecare pregiudizio alla predetta
collettività, in sostanza la necessità di
una concreta verifica intesa ad accertare se
l’impegno extraterritoriale eventualmente
non distolga, e in caso positivo in che
rilevanza, risorse e mezzi, senza
apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi
da valutarsi in relazione all’impegno
profuso e agli eventuali rischi finanziari)
per la collettività di riferimento. Tale
verifica non può che ritenersi rimessa alle
commissioni giudicatrici delle gare quando a
queste chiedano di partecipare società
miste. La capacità, in termini di mezzi
tecnici e finanziari, della società mista ad
assumere, in aggiunta a quelle derivanti dal
servizio svolto per l’ente di riferimento,
anche il servizio oggetto della specifica
gara alla quale chiede di partecipare,
attiene alla legittimazione della società a
partecipare alla gara ed assume quindi la
valenza di un requisito soggettivo che, in
quanto tale, deve essere assoggettato a
verifica come avviene per altri requisiti
soggettivi. La prova di tale requisito
soggettivo, secondo i principi stessi della
partecipazione alle gare, incombe
sull’aspirante.
Pertanto, nel caso di specie, è legittimo
l’annullamento dell'aggiudicazione da una
gara di una società mista in quanto la
società non ha fornito tale prova (al
momento della presentazione della domanda) e
la commissione non ha svolto la necessaria
attività istruttoria verificando che
l’aggiudicataria, in quanto società mista
operante extra moenia, non avesse distratto
mezzi e risorse in modo tale da non arrecare
pregiudizio alle collettività di riferimento
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4080 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Le società a capitale pubblico
non possono concorrere alle procedure di
gare per l’aggiudicazione di appalti indetti
da amministrazioni esterne al comune di
riferimento.
Per quanto concerne il tema generale della
ammissibilità delle società miste, sono
stati valorizzati al massimo (cfr. da ultimo
Cons. Stato, ad. plen., 03.03.2008, n. 1;
sez. II, 18.04.2007, n. 456/2007) i recenti
orientamenti dei giudici comunitari in
ordine alla definizione del requisito del
«controllo analogo» al fine di stagliare la
differenza tra il modello della gestione in
house rispetto a quello della società mista:
il primo essendo oramai ammissibile
solamente a condizione di una partecipazione
pubblica totalitaria; il secondo
presupponendo invece da sempre, per
definizione, l’investimento di capitale
privato. L’affermazione di compatibilità del
modello della società mista, ai sensi della
disciplina vigente, avviene però sulla base
di due premesse di fondo e a condizione che
siano presenti altrettante garanzie.
Le due premesse sono date:
a) dalla ricordata differenza tra i modelli
dell’in house e della società mista, tale da
consentire di valutare la compatibilità del
secondo modello secondo criteri autonomi;
b) dall’esito paradossale —proprio «nella
logica comunitaria della tutela della
concorrenza»— cui si perverrebbe ove si
dovessero ammettere solamente la soluzione
(necessariamente) «tutta pubblica» dell’in
house oppure quella «tutta privata» del
ricorso integrale al mercato a norma
dell’art. 113, 5° comma, lett. a), finendo
per escludere un modello —quello delle
società miste— (comunque) più orientato
verso il mercato di quanto non sia quello
dell’in house.
In ordine alle «garanzie», ai fini
dell’ammissibilità del modello, si richiede:
a) che la società sia costituita per
l’erogazione di servizi da rendere
prevalentemente a favore del soggetto
pubblico che l’ha costituita; in questo
contesto la gara per la scelta del socio
vale anche a definire il servizio operativo
demandato allo stesso (la gara in pratica
conferisce al privato, configurabile come
socio industriale ed operativo,
l’affidamento sostanziale del servizio
svolto dalla società mista), escludendo di
contro l’ammissibilità di società miste
«aperte»;
b) che si preveda un termine di scadenza e
la necessità di un rinnovo, evitando che il
privato diventi socio stabile della società
mista.
Al cospetto di queste garanzie si esclude la
necessità di indire una seconda gara (oltre
che per la scelta del socio privato) anche
per l’affidamento del servizio,
sottolineandosi come, altrimenti,
l’amministrazione si troverebbe ad assumere
la duplice veste di stazione appaltante e di
socio di una delle società concorrenti, in
palese conflitto di interessi.
Tanto più che con simili garanzie il modello
finirebbe per corrispondere in massima parte
a quello emergente dall’evoluzione
legislativa più recente, testimoniata in
particolare dall’art. 13, d.l. n. 223 del
2006 (sul quale ci si soffermerà meglio in
prosieguo) volto a contenere l’attività
delle società a capitale interamente
pubblico o misto entro i limiti del
soddisfacimento dello specifico bisogno
territoriale. Quello stesso modello
troverebbe, inoltre, la sua fonte di
legittimazione comunitaria nel libro verde
sul «partenariato pubblico-privato»
pubblicato dalla commissione europea il
30.04.2004.
In definitiva il modello della società mista
non avrebbe carattere ordinario nel nostro
sistema, costituendo piuttosto un’eccezione
alla regola dell’integrale ricorso al
mercato da parte dell’amministrazione,
dovendosi fare decisa applicazione, anche in
questa materia, del principio di
sussidiarietà orizzontale (già invocato in
precedenza, con riferimento all’in house,
dall’Autorità garante della concorrenza e
del mercato nella segnalazione del 28
dicembre 2006, n. AS 375).
Tutto ciò rappresenta una novità rispetto
alla posizione delle istituzioni
comunitarie, orientate —almeno finora— per
la piena alternatività tra autoproduzione ed
esternalizzazione (nella gestione) del
servizio.
Questo approdo tiene conto in modo palese
delle recenti tendenze legislative nazionali
ed in particolare del ricordato art. 13 d.l.
n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono,
anzi, a carico delle società pubbliche che
producono beni o servizi strumentali al
funzionamento delle amministrazioni
regionali e locali (non, quindi, le società
di gestione dei servizi pubblici locali), un
vero e proprio vincolo di esclusività e non
di «semplice» prevalenza, attraverso il
rigido divieto di svolgere prestazioni a
favore di soggetti pubblici e privati
diversi dagli enti costituenti ed affidanti
e l’obbligo di cessare entro ventiquattro
mesi le attività non più consentite.
Sotto il profilo soggettivo, infine, il
riferimento alle amministrazioni locali è
stato interpretato in chiave estensiva
includendovi anche gli enti locali non
territoriali, in particolare le camere di
commercio nel presupposto esplicito che il
modello della società mista sia eccezionale
e dunque generale il divieto stabilito
dall’art. 13 cit. (cfr. Cons. Stato, sez.
III, 25.09.2007, n. 322/2007)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.08.2008 n. 4080 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamenti in house sono tali e,
quindi, legittimi solo se sull’impresa
diretta affidataria l’amministrazione
pubblica eserciti uno stringente controllo
gestionale e finanziario.
Questo Tribunale ha avuto occasione
recentemente di pronunciarsi sulla questione
della compatibilità con l'ordinamento
comunitario dell'affidamento diretto, a
società con capitale interamente pubblico,
di un servizio pubblico locale a rilevanza
economica (come nella specie), delineando,
sulla base della giurisprudenza della Corte
di Giustizia delle Comunità Europee, i
principi giuridici che governano la materia
(v. TAR Sardegna, sez. I, 21.12.2007, n.
2407). Ricostruzione pienamente
condivisibile, dalla quale nel caso di
specie non vi sono ragioni per discostarsi.
Nella pronuncia richiamata si è osservato
che «a partire dalla sentenza 17/11/1999,
in causa C-107/98 (nota come sentenza Teckal)
la Corte di Giustizia ha affermato che il
detto affidamento è consentito a patto che:
a) l'amministrazione aggiudicatrice eserciti
sull'affidatario un "controllo analogo" a
quello esercitato sui propri servizi;
b) l'affidatario svolga la maggior parte
della propria attività in favore dell'ente
pubblico di appartenenza (cfr. anche Corte
Giust. C.E. 13/10/2005 in causa C-458/03,
Parking Brixen).
Non è, infatti, vietato all'amministrazione
sottrarre al mercato attività in relazione
alle quali la medesima ritenga di dover
provvedere direttamente con la propria
organizzazione. Come è stato, efficacemente,
rilevato, la creazione di un mercato comune
e l'applicazione delle regole di tutela
della concorrenza per garantirne il
mantenimento incontrano il limite del potere
di organizzazione della pubblica
amministrazione riconosciuta agli stati
membri dalle istituzioni comunitarie. Tale
limite non rappresenta una deroga alla
disciplina europea delle libertà economiche
tutelate dal mercato comune, ma è
definizione di ciò che non è mercato. La
disciplina della concorrenza per
l'aggiudicazione degli appalti e delle
concessioni presuppone un rapporto con il
mercato, ma la libera decisione
dell'amministrazione di rivolgersi ad esso
non può essere coartata per realizzare
l'apertura al mercato di taluni settori di
attività in cui l'amministrazione pubblica
voglia, invece, ricorrere
all'autoproduzione.
Il rilievo ha trovato eco nella
giurisprudenza comunitaria, secondo la quale
"Un'autorità pubblica che sia
un'amministrazione aggiudicatrice, ha la
possibilità di adempiere ai compiti di
interesse pubblico ad essa incombenti
mediante propri strumenti, amministrativi,
tecnici e di altro tipo, senza essere
obbligata a far ricorso ad entità esterne
non appartenenti ai propri servizi. In tal
caso non si può parlare di contratto a
titolo oneroso concluso con entità
giuridicamente distinta dall'amministrazione
aggiudicatrice. Non sussistono dunque i
presupposti per applicare le norme
comunitarie in materia di appalti pubblici"
(così Corte Giust. C.E. 11/01/2005 in causa
C-26/03, Stadt Halle). Ed altresì, in quella
nazionale, ove si afferma che la norme
comunitarie "non interferiscono sui poteri
delle pubbliche amministrazioni di adottare
soluzioni organizzative che siano le più
rispondenti alle esigenze che esse stesse
ritengano di dover soddisfare conformemente
alle leggi che le disciplinano" (così Cons.
Stato, V Sez., 18/09/2003 n. 5316).
Deve, quindi, ritenersi che la scelta di
optare tra outsourcing e in house providing
non sia sindacabile alla stregua del diritto
comunitario.
In presenza delle cennate condizioni
-"controllo analogo" e destinazione
prevalente dell'attività all'ente di
appartenenza- il legame che unisce
quest'ultimo all'affidatario del servizio ha
carattere organizzativo, cosicché non è
richiesto l'esperimento di procedure ad
evidenza pubblica (…).
Secondo la giurisprudenza amministrativa e
comunitaria, premesso che la partecipazione
pubblica totalitaria è elemento necessario
ma non sufficiente ad integrare il c.d.
"controllo analogo", quest'ultimo si
sostanzia in "un rapporto equivalente, ai
fini degli effetti pratici, ad una relazione
di subordinazione gerarchica; tale
situazione si verifica quando sussiste un
controllo gestionale e finanziario
stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario" (così Cons. Stato, VI Sez.,
25/01/2005 n. 168, si veda anche Cons.
Stato, V Sez., 03/04/2007 n. 1514; C.Si.
04/09/2007 n. 719; Corte Giust. C. E.
18/11/1999, in causa C-107/98; 06/04/2006 in
causa C-410/04; 11/05/2006, in causa
C-340/04). Con la sentenza da ultimo
menzionata, la Corte di Giustizia ha, in
particolare, precisato che il "controllo
analogo" è configurabile allorché l'ente
pubblico detentore del capitale, abbia la
possibilità di esercitare un'"influenza
determinante sia sugli obiettivi strategici
che sulle decisioni importanti della
società" (in termini anche citata sentenza
Parking Brixen)».
Sulla questione è successivamente
intervenuta l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (03.03.2008, n. 1) che ha
così sintetizzato le condizioni per la
legittima sussistenza del controllo analogo:
«a) lo statuto della società non deve
consentire che una quota del capitale
sociale, anche minoritaria, possa essere
alienata a soggetti privati (Cons. Stato,
sez. V, 30.08.2006, n. 5072);
b) il consiglio di amministrazione della
società non deve avere rilevanti poteri
gestionali e all’ente pubblico controllante
deve essere consentito esercitare poteri
maggiori rispetto a quelli che il diritto
societario riconosce normalmente alla
maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI,
03.04.2007, n. 1514);
c) l’impresa non deve avere acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo dell’ente pubblico e che
risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento
dell’oggetto sociale; dall’apertura
obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione
territoriale dell’attività della società a
tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE:
10.11.2005, C-29/04, Mödling o Commissione
c. Austria; 13.10.2005, C-458/03, Parking
Brixen);
d) le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante (Cons. Stato, sez. V, 08.01.2007,
n. 5).
In sostanza si ritiene che il solo controllo
societario totalitario non sia garanzia
della ricorrenza dei presupposti dell’in
house, occorrendo anche un’influenza
determinante da parte del socio pubblico,
sia sugli obiettivi strategici che sulle
decisioni importanti (C. giust. CE,
11.05.2006, C-340/04, società Carbotermo e
Consorzio Alisei c. Comune di Busto
Arsizio). Ne consegue che l’in house esclude
la terzietà, poiché l’affidamento avviene a
favore di un soggetto il quale, pur dotato
di autonoma personalità giuridica, si trova
in condizioni di soggezione nei confronti
dell’ente affidante che è in grado di
determinarne le scelte, e l’impresa è anche
sotto l’influenza dominante dell’ente.» (TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 12.08.2008 n. 1721 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Sui
requisiti che devono sussistere affinché l'affidamento in house di un
servizio pubblico possa considerarsi legittimo: controllo analogo e
prevalenza dell’attività.
L’indizione di una gara pubblica, conformemente alle direttive relative
all’aggiudicazione degli appalti pubblici, non è obbligatoria, anche
quando l’affidatario è un ente giuridicamente distinto
dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora siano soddisfatte le due
condizioni seguenti. Da un lato, l’amministrazione pubblica, che è
un’amministrazione aggiudicatrice, deve esercitare sull’ente
giuridicamente distinto di cui trattasi un controllo analogo a quello
che esercita sui propri servizi e, dall’altro, tale ente deve svolgere
la parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti
pubblici che lo detengono
(Corte di giustizia europea, Sez. II,
sentenza 17.07.2008 n. C-371/05
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull’applicabilità del
divieto previsto dall’art. 13 del d. Bersani
per le società miste che hanno come oggetto
sociale esclusivo i servizi strumentali e
per quelle che hanno come oggetto sociale
sia servizi strumentali che servizi pubblici
locali.
Non possono partecipare alle gare per
l’individuazione del soggetto gestore del
servizio di distribuzione del gas le società
che gestiscono servizi pubblici locali in
virtù di affidamento diretto o di una
procedura non ad evidenza pubblica.
Le società miste che hanno per oggetto la
gestione dei servizi pubblici locali, pur
non rientrando in via diretta nell’ambito di
applicazione del secondo comma dell’art. 13,
d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n.
248/2006 devono avere oggetto sociale
esclusivo. Se, infatti, sono assoggettate a
tale prescrizione le società di cui al c. 1,
dell'art. 13 cit., ossia le società che
svolgono (attività di produzione di beni e)
servizi strumentali, le quali pertanto non
possono comprendere nel loro oggetto sociale
lo svolgimento di servizi pubblici locali,
ne deriva come conseguenza che anche le
società miste, le quali intendano dedicarsi
alla gestione di questi ultimi, devono
prevedere quale loro oggetto sociale
esclusivo la gestione dei servizi pubblici
locali. Pertanto, alle procedure di gara
pubbliche (indette da soggetti diversi da
«gli enti costituenti o partecipanti o
affidanti») non possono partecipare né le
società miste che hanno come oggetto sociale
(esclusivo) i servizi strumentali né le
società miste che hanno come oggetto sociale
sia servizi strumentali che servizi pubblici
locali, in quanto le società in questione
per il fatto della presenza di soggetti
pubblici nella struttura della
partecipazione societaria, sono in grado di
provocare quelle «alterazioni o distorsioni
della concorrenza e del mercato e di
(alterare) la parità degli operatori», che
le norme di cui all’art. 13, commi 1 e 2,
intendono evitare.
Ai sensi dell’art. 14, c. 5, del d.lgs. n.
164/2000, non possono partecipare alle gare
per l’individuazione del soggetto gestore
del servizio di distribuzione del gas le
società che gestiscono servizi pubblici
locali in virtù di affidamento diretto o di
una procedura non ad evidenza pubblica.
L’art. 14, c. 5, cit. –al pari dell’art. 13
del d.l. n. 223/2006- ha come finalità la
tutela della concorrenza, segnatamente nel
settore di mercato della distribuzione del
gas. Tale disposizione non detta
semplicemente una regola di disciplina del
procedimento di aggiudicazione del servizio,
ma -attraverso il divieto di partecipazione,
il quale è solo lo specifico mezzo formale
tipicamente idoneo ad assicurare il
risultato finale perseguito- vuole
conseguire l’effetto di evitare la
costituzione di posizioni dominanti da parte
di società che, beneficiando di affidamenti
senza gara, partono da una indubbia
posizione di vantaggio rispetto agli altri
soggetti economici.
La circostanza che, nel caso di specie, si
tratti di una procedura che si conclude con
la stipula di una concessione che ha per
oggetto sia la costruzione che la gestione,
non è decisiva poiché il risultato finale
cui si perviene è rappresentato
dall’affidamento del servizio a società che
gestisce servizi pubblici locali in virtù di
affidamenti diretti. Il che è in contrasto
con l’art. 14, c.5, del d.lgs. n. 164/2000
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 11.07.2008 n. 1371
- link a www.dirittodeiservizipubblici). |
APPALTI SERVIZI: E’
illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una Casa
Protetta senza gara ad una società pubblico-privata in quanto l’ente
locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario.
Presupposti per l'affidamento di un servizio ad una società mista.
E’ illegittima la scelta di un comune di affidare la gestione di una
Casa Protetta senza gara ad una società mista pubblico-privato in quanto
l’ente locale ha una partecipazione limitatissima al capitale azionario
e, conseguentemente, non può esercitare alcuna forma di controllo
analogo a quello che esercita sui propri servizi. Invero anche nell’atto
deliberativo il controllo, più che a strumenti societari, viene affidato
ad una convenzione da sottoscrivere con la società affidataria,
ammettendosi in tal modo che non è la struttura societaria che può
consentire il controllo, bensì un atto negoziale che presuppone
l’esistenza di distinte entità con autonoma capacità negoziale, sicché
viene meno l’immedesimazione dell’ente nella società stessa e questa
assume una sua distinta soggettività, anche sotto il profilo
organizzativo ed operativo. Quindi, di fatto, il rapporto Comune-società mista, al di là delle intenzioni, è sostanzialmente assimilabile
a quello corrente fra stazione appaltante e affidatario di un pubblico
servizio in regime di appalto, in quanto la convenzione assume la
funzione in quel caso esercitata dal capitolato speciale. Anche a voler
considerare l’affidamento appartenente non al genere poi denominato in
house, ma a società mista pubblico-privato, costituita ai sensi della
legislazione nazionale e regionale in materia di servizi socio-sanitari
(in particolare la L. n. 724/1994, art. 3, c. 4; l’art. 9-bis del D.L.vo
n. 502/1992: la L.R n. 50/1994, art. 51; L.R n. 2/2003, art. 17), alla
stregua dell’evoluzione della giurisprudenza interna e comunitaria (si
veda da ultimo C. St. AP n. 1/2008), non sussistono i presupposti per
poter giustificare l’affidamento diretto e la deroga all’evidenza
pubblica. Invero le norme citate (in particolare l'art. 9-bis, c. 1, del
d.lgs. n. 502/1992) si limitano a consentire solo la costituzione di
società miste.
Per giustificare l’affidamento diretto a società miste la
giurisprudenza, pur non avendo ancora trovato un approdo definitivo, ha
posto alcune condizioni fondamentali idonee a fugare ogni ragione di
perplessità in ordine alla restrizione della concorrenza. In particolare
nel modello organizzativo devono quantomeno ricorrere due garanzie:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento
del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui
quest'ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", il
quale concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di
fasi dello stesso; il che vuol dire effettuazione di una gara che con la
scelta del socio definisca anche l'affidamento del servizio operativo,
con conseguente prevalenza dello specifico servizio affidato nella
complessiva attività della società;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza
del periodo di affidamento", evitando così che il socio divenga "socio
stabile" della società mista, possibilmente prescrivendo che sin dagli
atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le
modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua
posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli
risulti non più aggiudicatario (si veda AP n. 1/2008 che richiama il
parere C. St. II, n. 456/2007).
Il modello di cui sopra non è rinvenibile nel caso specie in quanto non
si è verificata la prima delle condizioni richieste (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 08.07.2008 n. 3273 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
L. Manassero, In house providing e concorrenza: il ddl governativo, le
procedure di infrazione promosse dalla Commissione UE, le posizioni
dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, l’istruttoria
dell’Autorità per i Contratti pubblici, ed i recenti orientamenti
comunitari; il problematico contemperamento con il principio di
autonomia degli enti locali.
Un focus sul Servizio Idrico Integrato
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
M. Nico,
Affidamenti in house: il "controllo analogo" è un requisito da
accertarsi in concreto
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: G.
Guzzo,
I nuovi limiti del "controllo analogo" secondo la più recente teorica
del Consiglio di Stato e della Commissione europea
(link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Sulla
natura di servizio pubblico locale dell'attività di manutenzione del
patrimonio immobiliare di un Comune.
Sull'illegittimità di un affidamento in house ad una società
multiservizi la cui proprietà è interamente dell'ente locale affidante.
L’attività di manutenzione del patrimonio immobiliare di un Comune è un
servizio pubblico locale, infatti, secondo un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, "la qualificazione di servizio pubblico locale spetta
a quelle attività caratterizzate sul piano oggettivo dal perseguimento
di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionate in base
a scelte di carattere eminentemente politico quanto alla destinazione
delle risorse economicamente disponibili ed all’ambito di intervento e
su quello soggettivo dalla riconduzione diretta o indiretta ad una
figura soggettiva di rilievo pubblico". Secondo siffatta impostazione la
nozione di servizio pubblico locale deve essere evinta dalla definizione
di cui all’art. 112 del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, secondo cui "gli enti
locali nell’ambito delle rispettive competenze provvedono alla gestione
dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed
attività rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali". Pertanto, nel caso di specie,
è conforme a tali principi generali la sussunzione operata da parte del
Comune dell’attività di gestione e manutenzione del patrimonio
immobiliare comunale nell’ambito dei servizi pubblici locali, in quanto
attività diretta al soddisfacimento di esigenze della sola collettività
territoriale di riferimento e ciò a fortiori con riferimento ad attività
di conservazione strutturale e funzionale di quelle parti del patrimonio
che sono di diretta fruizione pubblica, quali la rete stradale e quella
acquedottistica.
In disparte ogni possibile considerazione circa la necessaria
separazione tra erogazione del servizio e gestione degli impianti e
delle reti, secondo la formulazione letterale dell’art 113, c. 4 del
D.Lgs. 18.08.2000 n. 267, ciò che rileva nel caso di specie è che non vi
è alcuna ontologica distinzione tra attività di gestione del patrimonio
-e quindi anche delle reti e degli impianti- intesa come erogazione del
servizio e la sua manutenzione e ciò perché quest’ultima costituisce una
delle possibili modalità di svolgimento della prima; in altri termini,
l’attività di manutenzione costituisce erogazione del servizio di
gestione del patrimonio immobiliare, senza che sia possibile configurare
una distinzione strutturale e funzionale tra svolgimento del servizio e
(separata) gestione degli impianti a questo stesso funzionalmente
serventi.
E’ illegittimo da parte di un Comune l’affidamento diretto in favore di
una società Multiservizi s.r.l., la cui proprietà è interamente del
predetto ente locale, della gestione di alcuni servizi comunali in
quanto il Comune non eserciterebbe nei confronti della s.r.l. quel
necessario controllo analogo la giurisprudenza comunitaria e nazionale e
prima ancora l’art. 113 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 prevedono per il
modello dell’affidamento in house providing; nel caso di specie, lo
statuto consentirebbe il trasferimento a terzi di quote sociali e il
Consiglio di Amministrazione godrebbe di poteri eccessivamente ampi,
tali da sottrarsi al necessario controllo da parte del Comune affidante.
Il solo controllo societario totalitario non è, infatti, garanzia della
ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza
determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici
che sulle decisioni importanti, ne consegue che l’in house esclude la
terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale,
pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di
soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di
determinarne le scelte, e l’impresa è anche sotto l’influenza dominante
dell’ente".
Pertanto, la configurazione del rapporto tra ente affidante proprietario
e società di erogazione deve essere intesa in termini di alterità solo
formale, dovendo per tutti gli aspetti gestionali -sia quelli inerenti
l’attività di amministrazione di tipo strategico, organizzativo e di
generale conduzione aziendale, sia quelli relativi all’attività di
esecuzione vera e propria- essere operata una totale assimilazione agli
schemi propri di una gestione internalizzata, la sola, del resto, che
potrebbe, anche in armonia con le istanze di livello comunitario,
giustificare un’imputazione diretta del servizio ad un soggetto esterno
all’ente titolare
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 24.04.2008 n. 2533
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. Chiantera e D. Pettinato,
Nuovi modelli organizzativi, con particolare riguardo all'in
house providing ed alla possibilità di configurare
l'organismo in house a tutto l'apparato centrale
(link
a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: In
house providing, legittimità, controllo analogo, necessità,
precisazioni.
In materia di in house providing,
non è possibile un mero controllo “a posteriori” per soddisfare il
requisito del controllo analogo – dato che questo non consente
all’autorità pubblica di influenzare preventivamente le decisioni degli
organismi societari – l’indagine deve necessariamente investire le
clausole e le prerogative che attribuiscono agli Enti locali
partecipanti effettive possibilità di ingerenza nella sfera decisionale
del soggetto affidatario: in particolare esse debbono tradursi in una
penetrante azione propulsiva o propositiva sulle linee strategiche ed
operative della Società (con la determinazione degli ordini del giorno
degli organi sociali, l’indicazione dei dirigenti da nominare e
l’elaborazione di direttive sulla politica aziendale) e in incisivi
poteri suscettibili di inibire iniziative o decisioni che si pongano in
contrasto con i propri interessi (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
06.03.2008 n. 213
- link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI: La
Plenaria: il modello dell’in house va
interpretato restrittivamente.
I
Giudici della Plenaria lapidariamente, con
la pronuncia in esame, affermano che allo
stato, in mancanza di indicazioni precise da
parte della normativa, nonché della
giurisprudenza comunitaria, non sia
possibile elaborare una soluzione univoca o
un modello definitivo in materia di
assegnazione diretta a compagini societarie
miste
(Consiglio di Stato, Adunanza plenaria,
sentenza 03.03.2008 n. 1
- link a www.altalex.com). |
APPALTI SERVIZI:
E’ legittimo l’affidamento in house ad una società a
totale partecipazione pubblica sebbene vi sia il rischio
della futura cedibilità di parte del capitale della società
a privati.
Secondo un consolidato principio giurisprudenziale nazionale
e comunitario sussiste un interesse (sia pur strumentale)
differenziato e qualificato di ciascuno degli operatori
economici di un determinato settore a contestare la
legittimità della decisione di una pubblica amministrazione
di non indire una pubblica gara, in quanto tale decisione
viene a ledere l'interesse sostanziale di ciascun
imprenditore operante sul libero mercato a competere,
secondo pari opportunità, ai fini dell'ottenimento di
commesse da aggiudicarsi secondo procedure ad evidenza
pubblica.
In applicazione dei suddetti principi deve riconoscersi la
sussistenza dell’interesse a censurare la scelta
organizzativa dell’Amministrazione pubblica di affidare un
servizio in "house providing" anche all’operatore di settore
che assuma la forma di struttura societaria a capitale
interamente o parzialmente pubblico, atteso che, anche tale
operatore si muove , al pari dell’operatore privato, con le
medesime logiche imprenditoriali e concorrenziali
nell’aspirazione dell’interesse giuridicamente rilevante
all’esecuzione del servizio pubblico controverso.
E’ legittimo l’affidamento "in house providing" da parte di
un ente locale ad una società interamente partecipata dal
comune, della gestione dei parcheggi pubblici in quanto nel
caso di specie sussistono tutti i presupposti sanciti dalla
giurisprudenza amministrativa per un legittimo affidamento
in house ("controllo analogo" e "destinazione prevalente
dell’attività"). Infatti, sebbene vi sia il rischio della
futura cedibilità di parte del capitale della società a
privati, espressamente prevista nello statuto, è prevista
una clausola risolutiva espressa che prevede che ove, i
presupposti vengano meno, il contratto perderà
automaticamente di efficacia.
La sussistenza dei rigorosi presupposti di legge
legittimanti la scelta da parte di un comune di affidare un
servizio in house providing, consente di escludere la
necessità da parte dell’amministrazione di una stringente
esternazione motivazionale circa il ricorso a detto sistema
di affidamento, con la conseguenza che tale scelta, ove
ricorrano tutti i presupposti previsti, oltre le ragioni di
carattere economico e finanziario, non risulta violativa dei
principi di concorsualità ed evidenza pubblica (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 11.02.2008 n. 432
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Il
Consiglio di Stato torna di nuovo sulla gestione “in house”.
Per aver presente il quadro generale
della disciplina della materia, è opportuno chiarire che gli enti
titolari del servizio possono, senza necessità di gare o altre procedure
di evidenza pubblica, affidare il servizio a propri enti strumentali
sforniti di personalità giuridica, perché in tal caso si tratta di
semplice organizzazione interna e il servizio viene fornito pur sempre
dall’ente; come pure a enti con personalità giuridica, quando si tratti
di concessione del servizio, ossia quando l’affidatario venga compensato
con i corrispettivi del servizio e assuma su di sé i costi e il rischio
della gestione, perché si è ritenuto che tale forma di gestione dei
servizi non risponde alle aspettative delle imprese sul mercato.
Nel caso di appalto, quale è certamente quello in esame, l’articolo 113,
comma 5, consente l’affidamento senza gara nella situazione descritta
nell’alinea “c”, sostanzialmente equivalente a una gestione per mezzo di
ente strumentale; e tale situazione si verifica quando sussistono le due
distinte condizioni, quella del “controllo analogo” a quello che l’ente
esercita (o gli enti esercitano) sui propri servizi e che la società
affidataria realizzi la parte più importante della propria attività con
l’ente o gli enti pubblici che la controllano” (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza
23.01.2008 n. 136
- link a www.altalex.com). |
anno 2007 |
|
APPALTI:
Affidamento - Scelta tra affidamento diretto (cd. in
house) ed affidamento mediante gara - Spetta alla P.A. e non
contrasta con la normativa comunitaria - Affidamento diretto
e senza gara (cd. in house) - Requisito del "controllo
analogo" - Partecipazione pubblica totalitaria -
Insufficienza ex se - Necessità che le decisioni più
importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante - Sussiste - Questione di legittimità
costituzionale di quest’ultima norma - Eccepita in relazione
all’art. 118, comma 4, Cost. (che prevede il c.d. principio
di sussidiarietà orizzontale) - Manifesta infondatezza - Va
dichiarata.
La creazione di un mercato comune e l’applicazione delle
regole di tutela della concorrenza per garantirne il
mantenimento incontrano il limite del potere di
organizzazione della pubblica amministrazione riconosciuta
agli stati membri dalle istituzioni comunitarie. Tale limite
non rappresenta una deroga alla disciplina europea delle
libertà economiche tutelate dal mercato comune, ma è
definizione di ciò che non è mercato. La disciplina della
concorrenza per l’aggiudicazione degli appalti e delle
concessioni presuppone un rapporto con il mercato, ma la
libera decisione dell’amministrazione di rivolgersi ad esso
non può essere coartata per realizzare l’apertura al mercato
di taluni settori di attività in cui l’amministrazione
pubblica voglia, invece, ricorrere all’autoproduzione.
La scelta di optare tra outsourcing e in house providing non
sia sindacabile alla stregua del diritto comunitario.
In presenza delle cennate condizioni -"controllo analogo" e
destinazione prevalente dell’attività all’ente di
appartenenza- il legame che unisce quest’ultimo all’affidatario
del servizio ha carattere organizzativo, cosicché non è
richiesto l’esperimento di procedure ad evidenza pubblica.
La nozione di sussidiarietà orizzontale è suscettibile di
assumere due distinte significazioni: una negativa, che si
sostanzia nel dovere di astensione dei pubblici poteri
laddove le forze individuali e della società siano in grado
di soddisfare i propri bisogni autonomamente; una positiva
che implica l’affermazione di un dovere di intervento dei
pubblici poteri ove gli individui e le forze sociali non
abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie
necessità.
Il ricorso all’affidamento diretto è, quindi, sempre
consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti
indicati nella lett. c) del menzionato comma 5.
Non sembra, pertanto, necessaria un’apposita ed approfondita
motivazione di tale scelta, una volta dimostrata la
sussistenza dei presupposti richiesti per l’autoproduzione.
Al contrario, una motivazione di maggiore latitudine diventa
necessaria quando il comune stabilisce di affidare la
gestione del servizio a soggetti terzi. In tali casi, vanno
evidenziate le specifiche ragioni tecniche, economiche e di
opportunità sociale (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 21.12.2007 n. 2407
- link a www.ambietelegale.it). |
APPALTI SERVIZI:
Appalti - Affidamento-
Affidamento diretto di un servizio ad una società mista
pubblico-privato – Presupposti – Deve costituire “la
modalità organizzativa con la quale l’amministrazione
controlla l’affidamento disposto, con gara, al ‘socio
operativo’ della società” – Condizioni - “Definitezza
dell’oggetto” e “durata dell’affidamento”.
L’affidamento diretto di un servizio ad una società mista è
possibile nel caso in cui essa costituisca -non la
beneficiaria di un affidamento diretto ma- “la modalità
organizzativa con la quale l’amministrazione controlla
l’affidamento disposto, con gara, al ‘socio operativo’ della
società”: in tale ipotesi infatti si realizzerebbe un
controllo interno ed organico del partner societario
sull’operato del socio privato selezionato per la gestione
del servizio.
In questa ottica, il ricorso alla figura organizzatoria
della società mista viene ritenuto ammissibile se delimitato
da quelle garanzie –di “definitezza dell’oggetto” e di
“durata dell’affidamento”- che consentono, da una parte, di
escludere la riconducibilità di tale figura nel modello
dell’affidamento “in house”, dall’altra, di fugare ogni
perplessità in ordine al rischio di restrizione della
concorrenza.
Queste garanzie vengono ritenute sussistenti alle seguenti
condizioni:
1) che al socio privato –scelto necessariamente con
procedura concorsuale- sia affidato non già il ruolo di mero
finanziatore, bensì quello di socio industriale ed operativo
che concorre anche materialmente allo svolgimento del
servizio per il quale la società è stata costituita;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione
alla scadenza del periodo di affidamento, così evitando che
il socio diventi stabile, possibilmente prevedendo che sin
dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano
chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso.
“Il contratto sociale, proprio perché intrinsecamente
diverso dall’appalto, resta estraneo alla disciplina delle
direttive comunitarie” La figura della società mista può
ritenersi compatibile con il diritto comunitario quando, tra
l’altro, gli incarichi affidati a tale società – e gestiti
dal socio industriale – siano chiaramente definiti dalla
procedura di gara, anche in termini di durata (TAR
Valle D'Aosta,
sentenza 13.12.2007 n. 153 - link a
www.ambientelegale.it). |
APPALTI SERVIZI: Il
Tar Lombardia-Brescia, ha rimesso alla Corte di giustizia la questione
se sia compatibile con il diritto comunitario l’affidamento diretto di
un servizio ad una Spa a capitale interamente pubblico e statuto
conformato.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata
di Brescia, ha rimesso alla Corte di giustizia della Comunità Europea,
ai sensi dell’art. 234 del Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia
pregiudiziale sul seguente quesito: se sia compatibile con il diritto
comunitario ed in particolare con la libertà di stabilimento ovvero di
prestazione di servizi, con il divieto di discriminazione e con gli
obblighi di parità di trattamento, di trasparenza e di libera
concorrenza di cui agli artt. 12, 43, 45, 46, 49 e 86 del Trattato,
l’affidamento diretto di un servizio di raccolta, trasporto e
smaltimento di rifiuti solidi urbani ed assimilati ad una società per
azioni a capitale interamente pubblico e statuto conformato, ai fini
dell’art. 113 d. lgs. 18.08.2000 n. 267
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 11.12.2007 n. 148
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Servizio
pubblico - Art. 113 D.Lgs. n. 267/2000 - Gestione degli
impianti - Erogazione del servizio - Modalità di
conferimento - Esternalizzazione, “autoproduzione”, società
mista.
L’art. 113 D.Lgs 267/2000 differenzia nettamente la
disciplina della gestione (separata dall’erogazione del
servizio) delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali dell’ente locale (co. 4 art. 113 cit.), da
quella afferente l’erogazione del servizio che, in
conformità alla previsioni comunitarie in materia di
concorrenza, deve essere conferito: a) a società di capitali
individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure
ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico
privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica
che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e
comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di
indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso
provvedimenti o circolari specifiche; c) a società a
capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli
enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi e che la società realizzi la parte più importante
della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la
controllano. In ragione della normativa in parola, possono
quindi essere individuati tre differenti modelli
organizzativi. Ai due estremi si posizionano le contrapposte
soluzioni riconducibili 1) alla c.d. esternalizzazione
(variamente definita con il termine outsourging o
contracting out) del servizio, in cui l’amministrazione si
rivolge al privato, scelto attraverso gara (art. 113 co. 5
lett. a); ovvero 2) alla c.d. autoproduzione del bene o del
servizio da erogare, mercè il ricorso alla propria compagine
organizzativa e senza apertura a terzi e al mercato. Tra i
differenti opposti, si posizione il modello riconducibile
alla c.d. “società mista” (art. 113 co. 5 lett. b cit.), a
prevalente partecipazione pubblica, in cui il socio privato
è scelto con procedura di evidenza pubblica.
RIFIUTI - Pubblica amministrazione - In house
providing - Partecipazione pubblica totalitaria - Necessità
- Esclusione - Giurisprudenza comunitaria.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità
europee (causa C-107/98 - Teckal, C-26/03 - Stadt Halle e
RPL Lochau; C 231/03; C 458/03; C-29/04; C-410/04; C-340/04;
C-220/05) ha delineato i contorni dell’istituto dell’in
house providing, precisando che la partecipazione pubblica
totalitaria è condizione necessaria ma non sufficiente per
la compatibilità del modello con le regole comunitarie.
Queste ultime possono essere legittimamente derogate ove si
dia prova che l’ente locale possa in concreto esercitare
idonei mezzi di controllo sulla società in house, in misura
più penetrante di quanto previsto dal diritto civile. Gli
indici rivelatori del c.d. controllo analogo sono
individuabili come segue:
- il consiglio di amministrazione della società in house non
deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico
deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che
il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una vocazione
commerciale che rende precario il controllo” da parte
dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra
l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale;
dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine,
ad altri capitali; dall’espansione territoriale
dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero:
cfr., in tal senso, le già citate sentenze 13.10.2005, causa
C 458/03 - Parking Brixen GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 -
Mödling o Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere sottoposte al
vaglio preventivo dell’ente affidante (cfr. Consiglio di
Stato, Sez.V, decisione 08.01.2007, n. 5, in cui si afferma
che se il consiglio di amministrazione ha poteri ordinari
non si può ritenere sussistere un “controllo analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice
previsione nello statuto della cedibilità delle quote a
privati (tra le tante cfr. Tar Puglia, 08.11.2006, n. 5197;
Consiglio di Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La stessa giurisprudenza comunitaria ha inoltre precisato
che, in astratto, non è escluso un “controllo analogo” anche
nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto
direttamente dall’ente pubblico, ma indirettamente mediante
una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta
al 100% dall’ente medesimo.
RIFIUTI - Pubblica amministrazione - Società mista -
Riconducibilità al modello dell’in house providing -
Esclusione - Parere Cons. Stato n. 456/2007.
Il modello organizzativo della società mista non è
riconducibile all’in house providing (cfr. Consiglio di
Stato, parere n. 456/2007 del 18/04/2007, nonché Corte di
Giustizia C.E. del 06.04.2006, causa C-410/04 - ANAV c/o
Comune di Bari: “se la società concessionaria è una società
aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale
circostanza impedisce di considerarla una struttura di
gestione «interna» di un servizio pubblico nell’ambito
dell’ente pubblico che la detiene”).
RIFIUTI - Affidamento di servizi pubblici - Società
mista - Compatibilità con il sistema comunitario -
Condizioni.
Nell’ambito dell’affidamento di servizi pubblici, il modello
“società mista” è percorribile (in un’ottica di
compatibilità con il sistema comunitario e sempre che siano
ravvisabili congrue ragioni per non procedere ad un
affidamento integrale esterno) in presenza di adeguate
garanzie, ossia:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per
l’affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del
socio, in cui quest’ultimo si configuri come un “socio
industriale od operativo”, che concorre materialmente allo
svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione
“alla scadenza del periodo di affidamento” (in tal senso,
soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art.
113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma
12), evitando così che il socio divenga “socio stabile”
della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli
atti di gara per la selezione del socio privato siano
chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con
liquidazione della sua posizione), per il caso in cui
all’esito della successiva tara egli risulti non più
aggiudicatario (così letteralmente C.d.S., sez.II, parere
cit.) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 05.11.2007 n. 2511
- link a www.ambientediritto.it). |
APPALTI SERVIZI: 1.
Ricorso giurisdizionale - Ricorso incidentale - Esame delle
questioni - Priorità a quelle logicamente pregiudiziali -
Sentenze della Corte di Giustizia della CE - Vincolatività -
Sussiste.
2. Interesse all'impugnazione - Contratti della P.A. -
Sospensione e revoca della gara - Mancata domanda di
partecipazione alla gara - Posizione giuridica differenziata
- Individuazione tramite metodo indiziario - Ammissibilità -
Fattispecie.
3. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in
house providing - Natura.
4. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in
house providing - Requisiti - Immedesimazione tra ente
pubblico e società fornitrice - Quando sussiste.
5. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in
house providing - Requisiti - Controllo analogo - In
presenza di società a capitale anche privato - Non sussiste.
6. Contratti della P.A. - Servizi pubblici - Affidamento in
house providing - Requisiti - Controllo analogo - In
presenza di consiglio di Amministrazione con poteri
illimitati - Non sussiste.
7. Risarcimento del danno - Presupposti - Colpa inescusabile
della P.A. - Diritto al risarcimento - Sussiste.
8. Risarcimento del danno - Presupposti - Palese
illegittimità dell'azione della P.A. - Onere di provare
l'elemento psicologico - Non sussiste.
9. Risarcimento del danno - Presupposti - Chiarezza ed
univocità interpretativa della norma violata - Necessità -
Quadro normativo confuso - Responsabilità della P.A. - Non
sussiste.
1. Per il Giudice Nazionale (ivi compreso il Giudice
Amministrativo) hanno effetto vincolante le sentenze con le
quali la Corte di Giustizia si pronunci in via pregiudiziale
sull'interpretazione degli atti compiuti dalla CE, ai sensi
dell'art. 234 del Trattato, (cfr. Corte di Giustizia,
6/7/1995, C-62/93).
2. Nel caso in cui la stazione appaltante, prima
della scadenza del termine per la presentazione delle
offerte, abbia disposto la sospensione della procedura di
gara, con conseguente definitiva revoca della medesima, ed
abbia proceduto all'affidamento diretto della fornitura
oggetto di gara, non trova applicazione la regola generale
della inammissibilità del grame a causa della mancata
presentazione, in via preventiva, della domanda di
partecipazione o dell'offerta ogniqualvolta il ricorrente
abbia posto in essere adempimenti nei confronti della P.A.
che dimostrino la sussistenza di un suo interesse ad
ottenere l'aggiudicazione di quel determinato appalto
pubblico di forniture.
3. L'espressione in house providing identifica il
fenomeno di "autoproduzione" da parte della P.A. che
acquisisce un bene o un servizio attingendoli all'interno
della propria compagine organizzativa senza ricorrere al
mercato tramite gara.
4. La P.A. può ricorrere all'affidamento in house
qualora sussista un rapporto di immedesimazione tra sé
medesima e la società chiamata ad eseguire la fornitura,
ossia quando la P.A. eserciti un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi ed il soggetto affidatario
svolga la maggior parte della propria attività in favore
dell'ente pubblico di appartenenza (criterio della
destinazione prevalente dell'attività).
5. E' escluso che possa sussistere il controllo
analogo in presenza di una compagine composta anche da
capitale privato (cfr. Corte di Giustizia, 11/12/2005, C-
26/03), essendo la partecipazione totalitaria pubblica
elemento necessario per integrare la fattispecie dell'in
house providing.
6. Il controllo analogo su di un ente societario non
sussiste ove lo statuto conferisca al Consiglio di
Amministrazione poteri teoricamente illimitati, senza che
l'ente affidante possa influirvi, e configuri un ampio
oggetto sociale.
7. In caso di richiesta di risarcimento danno per
accertata illegittimità di atti della P.A., per ritenere
integrata la responsabilità della Amministrazione devono
sussistere elementi che qualifichino come colpevole la sua
condotta: tale condotta sussiste qualora l'errore commesso
dall'apparato amministrativo non sia scusabile, tenuto anche
conto del contesto in cui si è sviluppata l'azione
amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6393/2002).
8. Di fronte a palesi illegittimità dell'attività
della P.A. il danneggiato può limitarsi ad allegare la
stessa illegittimità, sintomatica della violazione di
parametri che, nella generalità delle ipotesi, specificano
la colpa della P.A.: in caso di violazione del diritto
comunitario sugli appalti pubblici, per conseguire il
risarcimento dei danni subìti, i soggetti lesi non devono
offrire la prova della colpa o del dolo della stazione
appaltante (cfr. Corte di Giustizia, 14/10/2004, C-275/03).
9. Costituisce onere della P.A. l'allegazione degli
elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema
dell'errore scusabile, volti a dimostrare l'assenza di colpa
nel proprio operato e compete, in via definitiva al giudice,
apprezzarne e valutarne liberamente l'idoneità ad attestare
o ad escludere la colpevolezza dell'amministrazione. Al fine
di ritenere la P.A. soggetta al giudizio di colpevolezza e
alle connesse responsabilità è rilevante il criterio della
comprensibilità della portata precettiva della disposizione
inosservata e della univocità e chiarezza della sua
interpretazione, potendosi ammettere l'esenzione da colpa in
presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5500/2004) (TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
04.11.2007 nn. 6359 e 6360 -
massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Non è
necessario rispettare le regole della gara
in materia di appalti nell’ipotesi in cui
concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita
sul soggetto aggiudicatario un “controllo
analogo” a quello esercitato sui propri
servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la
maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.
La figura dell’in house providing si configura
come un modello eccezionale, i cui requisiti
vanno interpretati restrittivamente poiché
costituiscono una deroga alle regole
generali del diritto comunitario.
Per giustificare la deroga alle regole
europee di evidenza pubblica occorrono
maggiori strumenti di controllo da parte
dell’ente rispetto a quelli previsti dal
diritto civile. La giurisprudenza
comunitaria e nazionale li ha nel tempo
individuati affermando, in particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della
società in house non deve avere rilevanti
poteri gestionali e l’ente pubblico deve
poter esercitare maggiori poteri rispetto a
quelli che il diritto societario riconosce
alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo” da parte dell’ente pubblico;
- le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante;
- il controllo analogo si ritiene escluso
dalla semplice previsione nello statuto
della cedibilità delle quote a privati.
Come è noto,
l’espressione in house providing (usata per
la prima volta in sede comunitaria nel Libro
Bianco sugli appalti del 1998) identifica il
fenomeno di “autoproduzione” di beni,
servizi o lavori da parte della pubblica
amministrazione: ciò accade quando
quest’ultima acquisisce un bene o un
servizio attingendoli all’interno della
propria compagine organizzativa senza
ricorrere a terzi tramite gara e dunque al
mercato (cfr., in termini, la recente
decisione della VI Sezione di questo
Consiglio del 03.04.2007, n. 1514, su cui si
tornerà più avanti). Il modello si
contrappone a quello dell‘outsourcing,
o contracting out (la c.d.
esternalizzazione), in cui la sfera pubblica
si rivolge al privato, demandandogli il
compito di produrre e /o fornire i beni e
servizi necessari allo svolgimento della
funzione amministrativa.
La prima definizione giurisprudenziale della
figura è fornita dalla sentenza della Corte
di giustizia delle Comunità europee del
18.11.1999, causa C-107/98 – Teckal. In
quella sede –a estrema sintesi delle
considerazioni della Corte– si è affermato
che non è necessario rispettare le regole
della gara in materia di appalti
nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti
elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita
sul soggetto aggiudicatario un “controllo
analogo” a quello esercitato sui propri
servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la
maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.
In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione
prevalente dell’attività”, l’ente in
house non può ritenersi “terzo”
rispetto all’amministrazione controllante ma
deve considerarsi come uno dei servizi
propri dell’amministrazione stessa: non è,
pertanto, necessario che l’amministrazione
ponga in essere procedure di evidenza
pubblica per l’affidamento di appalti di
lavori, servizi e forniture.
Questa Sezione condivide pienamente –come
già affermato nel precedente parere n.
3162/2006 (cfr. pure, in termini, la citata
decisione della VI Sezione n. 1514/2007)– le
affermazioni secondo le quali la figura
dell’in house providing si configura
come un modello eccezionale, i cui requisiti
vanno interpretati restrittivamente poiché
costituiscono una deroga alle regole
generali del diritto comunitario.
Ciò è stato chiarito con fermezza dalla
Corte di giustizia nelle sue successive
pronunce (cfr. le note sentenze 11.01.2005,
causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau, su
cui si tornerà più avanti per altri profili;
21.07.2005, causa C 231/03 - Corame;
13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen
GmbH; 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o
Commissione c/ Austria; 06.04.2006, causa
C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari;
11.05.2006, causa C-340/04 - Carbotermo;
18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux).
Il ridimensionamento dell’istituto è da
ricondursi anche a fenomeni di distorsione
nel ricorso a tale modello, del quale si
tende ad abusare attraverso il fenomeno
delle c.d. catene societarie e dei controlli
indiretti, nonché attraverso le attività
svolte nei confronti di terzi.
In particolare, la ricordata sentenza
Carbotermo dell’11.05.2006, causa C-340/04,
ha affermato che la partecipazione pubblica
totalitaria è necessaria, ma non
sufficiente. Difatti, per giustificare la
deroga alle regole europee di evidenza
pubblica occorrono maggiori strumenti di
controllo da parte dell’ente rispetto a
quelli previsti dal diritto civile. La
giurisprudenza comunitaria e nazionale li ha
nel tempo individuati affermando, in
particolare, che:
- il consiglio di amministrazione della
società in house non deve avere rilevanti
poteri gestionali e l’ente pubblico deve
poter esercitare maggiori poteri rispetto a
quelli che il diritto societario riconosce
alla maggioranza sociale;
- l’impresa non deve aver “acquisito una
vocazione commerciale che rende precario il
controllo” da parte dell’ente pubblico
(tale vocazione risulterebbe, tra l’altro:
dall’ampliamento dell’oggetto sociale;
dall’apertura obbligatoria della società, a
breve termine, ad altri capitali;
dall’espansione territoriale dell’attività
della società a tutta l’Italia e all’estero:
cfr., in particolare, le già citate sentenze
13.10.2005, causa C 458/03 - Parking Brixen
GmbH e 10.11.2005, causa C-29/04 - Mödling o
Commissione c/ Austria);
- le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente
affidante (cfr. pure la decisione della V
sez. di questo Consiglio di Stato
08.01.2007, n. 5, che ha affermato che se il
consiglio di amministrazione ha poteri
ordinari non si può ritenere sussistere un “controllo
analogo”);
- il controllo analogo si ritiene escluso
dalla semplice previsione nello statuto
della cedibilità delle quote a privati (Tar
Puglia, 08.11.2006, n. 5197; Consiglio di
Stato, V sez., 30.08.2006, n. 5072).
La giurisprudenza ha anche chiarito che, in
astratto, è configurabile un “controllo
analogo” anche nel caso in cui il
pacchetto azionario non sia detenuto
direttamente dall’ente pubblico, ma
indirettamente mediante una società per
azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta
al 100% dall’ente medesimo. Tuttavia, una
tale forma di partecipazione “può, a
seconda delle circostanze del caso
specifico, indebolire il controllo
eventualmente esercitato
dall’amministrazione aggiudicatrice su una
società per azioni in forza della mera
partecipazione al suo capitale” (cfr. la
citata sentenza Carbotermo, 11.05.2006,
causa C-340/04). In tale ottica, la
partecipazione pubblica indiretta, anche se
totalitaria, è in astratto compatibile, ma
affievolisce comunque il controllo.
I principi giurisprudenziali sopra accennati
appaiono, ormai, largamente condivisi dalle
Corti Supreme nazionali, ivi compreso, come
si è detto, questo Consiglio di Stato, il
quale (sia nel parere n. 3162/2006 che nella
decisione della VI Sezione da ultimo citati)
ha anche rilevato che, nel nostro
ordinamento, una norma di carattere generale
era stata proposta nel primo schema del
codice dei contratti pubblici, ma non è
stata poi inserita nel testo finale del
d.lgs. n. 163 del 2006, a conferma della
volontà del legislatore di non generalizzare
il modello dell’in house a qualsiasi forma
di affidamento di servizi, di lavori, o di
forniture (la norma dell’originario schema
era l’art. 15, rubricata “Affidamenti in
house”, dal seguente testo: “Il
presente decreto non si applica
all’affidamento di servizi, lavori,
forniture a società per azioni il cui
capitale sia interamente posseduto da
un’amministrazione aggiudicatrice, a
condizione che quest’ultima eserciti sulla
società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la
società realizzi la parte più importante
della propria attività con l’amministrazione
aggiudicatrice.”; il codice, tuttavia,
ha conservato un riferimento generale alle
società miste all’art. 1, comma 2, e
all’art. 32: cfr. infra, il punto 7).
Questo Consiglio di Stato ritiene che
l’evoluzione giurisprudenziale consenta,
altresì, di escludere, in via generale, la
riconducibilità del modello organizzativo
della “società mista” a quello
dell’in house providing.
Tale riconducibilità, che in principio era
quantomeno dubbia (e molto si è discusso sul
punto: svariati autori, in dottrina,
propendevano per la soluzione affermativa e
ancora oggi vi sono discipline che
ricomprendono entrambe le situazioni: cfr.
l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, di cui
si dirà infra, al punto 7.3), oggi può dirsi
ormai definita in senso negativo dalla
giurisprudenza –non risalente ma ormai
consolidata– della Corte di giustizia
europea, nelle decisioni in cui ha
progressivamente definito il concetto di
“controllo analogo”.
In particolare, ciò emerge dalla già
menzionata sentenza della Corte 11.01.2005,
causa C-26/03 - Stadt Halle e RPL Lochau:
nel dare atto che, in quella controversia,
la Stadt Halle si era difesa proprio
sostenendo che si sarebbe trattato “di
un’«operazione di ‘in house providing’»,
alla quale non si applicherebbero le norme
comunitarie in materia di appalti pubblici”,
la Corte ha invece affermato che “la
partecipazione, anche minoritaria, di
un’impresa privata al capitale di una
società alla quale partecipi anche
l’amministrazione aggiudicatrice in
questione, esclude in ogni caso che tale
amministrazione possa esercitare sulla detta
società un controllo analogo a quello che
essa esercita sui propri servizi”.
L’opzione interpretativa è confermata, tra
le altre, dalla citata sentenza 06.04.2006,
causa C-410/04 - ANAV c/ Comune di Bari
–laddove afferma che “se la società
concessionaria è una società aperta, anche
solo in parte, al capitale privato, tale
circostanza impedisce di considerarla una
struttura di gestione «interna» di un
servizio pubblico nell’ambito dell’ente
pubblico che la detiene (v. già, in senso
analogo, anche la sentenza 21.07.2005, causa
C 231/03 - Corame)” –e in quella
18.01.2007, causa C-220/05 - Jean Auroux,
ove si afferma che “quanto dichiarato
dalla Corte nella sentenza Stadt Halle e RPL
Lochau, cit., con riferimento agli appalti
pubblici di servizi si applica anche con
riferimento agli appalti pubblici di lavori”.
In altri termini, la Corte di giustizia ha
ritenuto che qualsiasi investimento di
capitale privato in un’impresa obbedisca a
considerazioni proprie degli interessi
privati e persegua obiettivi di natura
differente rispetto a quelli
dell’amministrazione pubblica. Pertanto, in
sostanza, oggi si può parlare di società in
house soltanto se essa agisce come un vero e
proprio organo dell’amministrazione “dal
punto di vista sostantivo”, non
contaminato da alcun interesse privato.
Di tali conclusioni questo Consiglio di
Stato ha già preso atto quando, con la
decisione n. 1514/07 della VI Sezione, ha
affermato –con argomenti che questa Sezione
condivide pienamente– che, in un caso
diverso da quello ivi deciso (e definito con
la decisione n. 1513/2007), “la Sezione
ha ritenuto neanche configurabile
l’affidamento in house in considerazione
dell’assenza di una partecipazione pubblica
totalitaria all’epoca … degli affidamenti in
contestazione in quel procedimento.
L’assenza della partecipazione pubblica
totalitaria esclude, infatti, in radice la
possibilità di configurare il requisito del
controllo analogo, richiesto dalla
giurisprudenza comunitaria per gli
affidamenti in house.”.
Da ciò consegue –ad avviso del Collegio–
l’inutilità di ricercare, allo scopo di
giustificarne la compatibilità con la
disciplina europea, i (sempre più selettivi)
requisiti richiesti per l’in house
anche nel modello di parternariato
pubblico-privato “società mista” cui
si riconduce l’oggetto del quesito in esame.
La non riconducibilità alla figura dell’in
house non implica, di per sé, la
esclusione automatica della compatibilità
comunitaria della diversa figura della
società mista a partecipazione pubblica
maggioritaria in cui il socio privato sia
scelto con una procedura di evidenza
pubblica.
Su tale specifica modalità organizzativa,
infatti, non risulta che la Corte di
giustizia abbia ancora avuto modo di
pronunciarsi espressamente: anche nelle più
importanti sentenze in cui si tratta di
società miste (e in particolare la sentenza
11.01.2005, causa C-26/03 - Stadt Halle e
RPL Lochau, e la sentenza 13.10.2005, causa
C 458/03 - Parking Brixen GmbH), il privato
era stato individuato senza gara (cfr.
amplius infra, il punto 8.2.2).
Come è noto, il
modello delle “società miste” è presente da
tempo nel nostro ordinamento, ed è oggi
previsto in via generale dall’art. 113,
comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 267 del
2000 (testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali –
t.u.e.l.), introdotto dall’art. 14 del d.l.
30.09.2003, n. 269, come modificato dalla
relativa legge di conversione. Tale
previsione può essere assunta a paradigma
del modello anche ai fini della soluzione
del quesito in oggetto, che pure si
caratterizza per una disciplina ad hoc.
Sempre in via generale, il codice dei
contratti pubblici, se non prevede più una
generalizzazione del modello dell’in house a
qualsiasi forma di affidamento (come si è
detto retro, al punto 5.2), contiene invece,
all’art. 1, comma 2, una previsione di
carattere generale sulle società miste,
secondo la quale, “nei casi in cui le
norme vigenti consentono la costituzione di
società miste per la realizzazione e/o
gestione di un’opera pubblica o di un
servizio, la scelta del socio privato
avviene con procedure di evidenza pubblica”.
Anche in questo caso, la norma non intende
affermare la generale ammissibilità delle
società miste, che devono intendersi
consentite nei soli casi già previsti da una
disciplina speciale, nel rispetto del
principio di legalità: si codifica soltanto
il principio secondo il quale, in questi
casi, la scelta del socio deve comunque
avvenire “con procedure di evidenza
pubblica” (non necessariamente, quindi,
ai sensi della disciplina dello stesso
codice).
La figura delle società miste compare anche
nell’art. 32, al comma 1, lett. c), e al
comma 3 (tale ultima disposizione è stata
confermata nel testo definitivo nonostante i
rilievi di questo Consiglio di Stato
espressi nel parere della Sezione per gli
atti normativi n. 355/2006 del 06.02.2006,
relativo allo schema di codice dei contratti
pubblici: cfr. infra, il punto 8.4).
L’art. 113, comma 5, lett. b), del t.u.e.l.
dispone che l’erogazione dei servizi per la
gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali “avviene
secondo le discipline di settore e nel
rispetto della normativa dell’Unione
europea, con conferimento della titolarità
del servizio …”, tra l’altro, “… b) a
società a capitale misto pubblico privato
nelle quali il socio privato venga scelto
attraverso l’espletamento di gare con
procedure ad evidenza pubblica che abbiano
dato garanzia di rispetto delle norme
interne e comunitarie in materia di
concorrenza secondo le linee di indirizzo
emanate dalle autorità competenti attraverso
provvedimenti o circolari specifiche”.
Tale norma costituisce, in qualche modo, il
paradigma del modello cui si ispira anche la
normativa speciale per il SIAN che è oggetto
del quesito in esame.
Lo stesso art. 113 prevede, nella distinta
lettera c), in alternativa al ricorso alla
società mista, il modello della società in
house a capitale interamente pubblico,
richiedendo solo per tale caso i requisiti
del “controllo analogo” e della “destinazione
prevalente dell’attività” in favore
dell’ente pubblico di appartenenza
identificati dalla sentenza Teckal. Ciò
sembra confermare quanto affermato retro (al
punto 5 e ai relativi sottopunti) a
proposito della differente disciplina dei
due modelli della società mista e della
società in house, anche con riguardo ai
requisiti richiesti dal diritto europeo.
La figura delle società a capitale misto è
stata configurata da autorevole dottrina
come una forma di “collaborazione tra
pubblica amministrazione e privati
imprenditori nella gestione di un pubblico
servizio”; tale figura, costituendo una
modalità organizzativa ulteriore per la
soddisfazione delle esigenze generali, rende
più flessibile la risposta istituzionale a
determinate esigenze e può risultare –se
ricondotta nei canoni del pieno rispetto dei
principi comunitari– di particolare
efficacia, almeno in certi casi (cfr., nello
stesso senso, il Libro Verde della
Commissione europea del 30.04.2004 e la
Risoluzione del Parlamento europeo del
26.10.2006, richiamati amplius infra,
al punto 8.5).
Inoltre, la necessità di una gara per la
scelta del socio –oltre a confermare
l’esclusione della riconducibilità alla
figura dell’in house– ha condotto a
ritenere non corretto annoverare tale figura
tipo di affidamento tra quelli “diretti”.
Tuttavia, la stessa dottrina –alla luce
dell’evoluzione in senso restrittivo della
giurisprudenza comunitaria– ha messo in
evidenza la debolezza della tesi della
equiparazione automatica fra la procedura di
scelta del socio e la gara per l’affidamento
del servizio. Pur riconoscendo la
funzionalità del modello, si afferma come ci
si trovi di fronte ad una “figura
peculiare che potrà presentare non pochi
problemi attuativi e che, per non essere
censurata, dovrà ricevere una applicazione
attenta”.
Sempre in relazione al modello generale, si
ricorda l’intervento dell’art 13 del d.l. n.
223 del 2006, convertito dalla legge n. 248
del 2006, il quale ha introdotto una
articolata disciplina che, in linea con i
più recenti orientamenti comunitari volti a
limitare l’in house providing, ma
anche in relativa autonomia da essi, mira a
evitare il fenomeno della c.d. cross
subsidization delle società pubbliche,
per cui esse operano al di fuori degli
ambiti territoriali di appartenenza,
acquisendo commesse da enti pubblici diversi
da quelli controllanti od affidanti i
contratti in house. In tale nuovo
regime il d.l. n. 223 del 2006 ha equiparato
i due diversi modelli delle società in house
e del partenariato pubblico-privato.
In particolare, si è disposto che le società
a capitale interamente pubblico o misto,
costituite o partecipate dalle
amministrazioni pubbliche regionali e locali
(non da quelle statali, come invece avviene
nel caso di specie) per la produzione di
beni e servizi strumentali all’attività di
tali enti in funzione della loro attività,
con esclusione dei servizi pubblici locali:
- devono operare esclusivamente con gli enti
costituenti o partecipanti o affidanti
(viene fissata, quindi, la regola
dell’esclusività, in luogo di quella della
prevalenza);
- non possono svolgere prestazioni a favore
di altri soggetti pubblici o privati, né in
affidamento diretto né con gara, e non
possono partecipare ad altre società o enti;
- sono ad oggetto sociale esclusivo
(l’oggetto sociale esclusivo –è stato
affermato– non sembra debba essere inteso
come divieto delle c.d. multiutilities, ma
appare preferibile ritenere che rafforzi
regola dell’esclusività evitando che dopo
affidamento la società possa andare a fare
altro).
In conclusione,
può affermarsi che il modello della “società
a capitale misto pubblico privato”
esiste –come distinto dall’in house–
nell’ordinamento nazionale, sia nella
disposizione generale dell’art. 113 t.u.e.l.
che in varie disposizioni speciali (come
quella per il SIAN nel caso di specie).
D’altro canto, però, tale disciplina è in
evoluzione, sia de iure condito (art.
1, comma 2, e art. 32 del d.lgs. n. 163 del
2006; art. 13 del d.l. n. 223 del 2006) che
de iure condendo (AS n. 772), poiché
continua a suscitare perplessità la piena
compatibilità di tale modello con il sistema
comunitario, alla stregua della recente e
rapida evoluzione giurisprudenziale (che
sembra ancora in corso) e stante l’assenza
di decisioni specifiche sul punto.
La Sezione –nei limiti del quesito in esame–
ritiene possibile affermare che tale
compatibilità possa essere rinvenuta, alla
stregua dei principi espressi, direttamente
o indirettamente, dalla Corte di giustizia,
quantomeno in un caso: quello in cui –avendo
riguardo alla sostanza dei rapporti
giuridico-economici tra soggetto pubblico e
privato e nel rispetto di specifiche
condizioni, di cui si dirà infra, al punto
8.3– non si possa configurare un “affidamento
diretto” alla società mista ma piuttosto
un “affidamento con procedura di evidenza
pubblica” dell’attività “operativa”
della società mista al partner privato,
tramite la stessa gara volta alla
individuazione di quest’ultimo.
In altri termini, in questo caso, indicato
di regola come quello del “socio di
lavoro”, “socio industriale” o “socio
operativo” (come contrapposti al “socio
finanziario”), questo Consiglio di Stato
ritiene che l’attività che si ritiene “affidata”
(senza gara) alla società mista sia, nella
sostanza, da ritenere affidata (con gara) al
partner privato scelto con una procedura di
evidenza pubblica che abbia ad oggetto, al
tempo stesso, anche l’attribuzione dei suoi
compiti operativi e quella della qualità di
socio.
La peculiarità rispetto alle ordinarie
procedure di affidamento sembra allora
rinvenirsi, in questo caso, non tanto
nell’assenza di una procedura di evidenza
pubblica (che, come si è detto, esiste e
opera uno specifico riferimento all’attività
da svolgere) quanto nel tipo di controllo
dell’amministrazione appaltante sul privato
esecutore: non più l’ordinario “controllo
esterno” dell’amministrazione, secondo i
canoni usuali della vigilanza del
committente, ma un più pregnante “controllo
interno” del socio pubblico, laddove
esso si giustifichi in ragione di
particolari esigenze di interesse pubblico
(che nell’ordinamento italiano sono comunque
individuate dalla legge)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
parere 18.04.2007 n.
456). |
APPALTI SERVIZI:
Sui requisiti che devono sussistere affinché
l'affidamento in house di un servizio pubblico possa
considerarsi legittimo.
E' legittimo l'affidamento di un servizio in house
providing purché l'ente territoriale affidante eserciti
sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che
esercita sui propri servizi e che, allo stesso tempo,
quest'ultimo svolga la parte essenziale della propria
attività insieme con l'ente o gli enti territoriali che lo
controllano.
Circa il concetto di "controllo analogo", la Corte di
Giustizia delle Comunità europee aveva avvertito che deve
trattarsi di "un rapporto che determina da parte
dell'amministrazione controllante un assoluto potere di
direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del
soggetto partecipato e che riguarda l'insieme dei più
importanti atti di gestione".
Questa conclusione è stata ribadita, tra gli altri,
dall'arresto della Corte di giustizia europea, I,
13.10.2005, n. c-458/03, secondo il quale, in particolare:
"[…..] deve risultare che l'ente concessionario in questione
è soggetto ad un controllo che consente all'autorità
pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve
trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia
sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti.
[…..].
Nel solco di questo indirizzo giurisprudenziale la
Commissione europea, sin dalla nota del 16.06.2002,
sottolineava che non era sufficiente, al fine di individuare
il presupposto del "controllo analogo", il semplice
esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di
maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto
che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti
atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come
entità distinta dall'amministrazione, dovendo, invece,
essere concretamente parte della stessa. In ambito
nazionale, sia pure con sfumature diverse, ovviamente
dettate dalla particolarità delle fattispecie (anche in
relazione alla specifica legislazione domestica) la
giurisprudenza ha seguito e confermato l'indirizzo europeo.
In questo contesto è stato puntualizzato che il soggetto
gestore si atteggia ad una sorta di longa manus
dell'affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma
rispetto all'apparato organizzativo di questo; deve, in
altri termini, trattarsi di una sorta di amministrazione "indiretta",
nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle
mani dell'ente concedente attraverso un controllo gestionale
e finanziario stringente sull'attività della società
affidataria: la quale, a sua volta, è istituzionalmente
destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 10.01.2007 n. 13
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI
SERVIZI:
Sull'affidamento diretto di un servizio pubblico
locale. Interesse a ricorrere e requisiti del controllo
analogo.
Deve essere riconosciuto l'interesse strumentale a ricorrere
in capo a qualsiasi imprenditore del settore e potenziale
concorrente, che contesti il modulo organizzativo di
affidamento diretto di un servizio pubblico o di
individuazione di un partner in società miste, in assenza di
gara.
In base all'art. 113, V c., lett. c), del D. Lgs. n. 267 del
2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica
può essere affidata senza gara "a società a capitale
interamente pubblico", pur se a "a condizione che
l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con l'ente o gli
enti pubblici che la controllano" (c.d. affidamento "in
house providing").
In caso di servizio gestito col metodo del c.d. "in house
providing", è quindi preliminarmente necessario
stabilire con precisione cosa si intenda per controllo
analogo. Per "controllo analogo" deve intendersi, un
rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una
relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si
verifica quando sussiste un controllo gestionale e
finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente
societario, che non può sussistere, in particolare, quando
la partecipazione dell'Ente pubblico alla società sia
meramente simbolica.
Nel caso di specie, al momento dell'affidamento diretto del
servizio di nettezza urbana il comune deteneva solo l'1 %
del capitale sociale, e la partecipazione non può che
ritenersi simbolica, con impossibilità di esercizio di un
controllo equivalente a quello di subordinazione gerarchica
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 09.01.2007 n. 72
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
Sull'illegittimità di un affidamento in house del
servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti
solidi urbani ad una spa intercomunale per la mancanza del
requisito del controllo analogo.
E' illegittimo l'affidamento in house del servizio di
raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani
ad una spa intercomunale per violazione dell'articolo 113,
c. 5, alinea "c" del tuel emanato con d.lvo 18.08.2000 n.
267, perché la suddetta spa non era una società sulla quale
il comune esercita il "controllo analogo", previsto
dalla disposizione di legge come una delle condizione per
poterle affidare, senza gara, il servizio pubblico.
Lo statuto è quello di una normale società per azioni, nella
quale i poteri appartengono agli organi sociali, e non è
previsto nessun raccordo tra gli enti pubblici territoriali
e la costituzione degli anzidetti organi: il presidente del
Consiglio d'amministrazione e il direttore sono eletti dal
Consiglio d'amministrazione, il quale a sua volta è nominato
dall'assemblea senza vincoli di provenienza o di proposta, e
la stessa assemblea è composta "dai soci" senza
ulteriori specificazioni; del collegio sindacale è previsto
solo che si compone di tre sindaci elettivi e due supplenti,
che durano in carica tre anni e sono rieleggibili.
Gli enti pubblici soci, non sono neppur menzionati, e anzi
una disposizione stabilisce che "Il Consiglio di
Amministrazione è investito dei più ampi poteri per la
gestione ordinaria e straordinaria della società ed ha
facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per
l'attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, fatta
eccezione soltanto per gli atti che a norma di legge e del
presente statuto sono di competenza dell'Assemblea"
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.01.2007 n. 5
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
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