dossier ATTI AMMINISTRATIVI:
ACCESSO ESPOSTO e/o PERMESSO DI COSTRUIRE e/o ATTI DI P.G. (Polizia
Giudiziaria) |
per approfondimenti vedi anche:
F.O.I.A. - Freedom Of Information Act (a cura del
Dipartimento Funzione Pubblica)
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi
(presso la Presidenza Consiglio dei Ministri)
* * *
Legge 07.08.1990 n. 241 <--->
D.P.R. 12.04.2006 n. 184 <--->
D.Lgs. 14.03.2013 n. 33 |
anno 2022 |
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ATTI AMMINISTRATIVI: L'art.
24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L. 11.02.2005, n.
15, ha sancito, elevando a rango superiore un principio già introdotto a
livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti utilizzati nel
corso dell'attività giudiziaria o di polizia.
Orbene, essendo stata sancita con legge ordinaria la sottrazione di tali
categorie di documenti alla conoscibilità degli stessi interessati, in tale
prospettiva non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti
afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad
eventuali indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale)
procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità
dell'organo requirente procedente.
La previsione in esame è infatti chiaramente finalizzata ad escludere la
piena ostensibilità delle relazioni di servizio che non costituiscono atti
presupposti volti all'adozione di un provvedimento amministrativo, ma
piuttosto atti volti a sollecitare l'iniziativa penale da parte
dell'autorità giudiziaria, e quindi atti inerenti non allo svolgimento
dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e
collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità.
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Gli
atti per cui è causa, consistenti nei verbali e informative di controllo
della Polizia, sono sottratti all'accesso proprio perché volti a tutelare
quell'interesse pubblico senz'altro meritevole di "maggiore apprezzamento".
In particolare, le annotazioni ovvero le informative di polizia giudiziaria
che consistono in accertamenti compiuti dalle forze dell'ordine in sede di
controllo del territorio non possono essere resi accessibili anche in
funzione di tutela dell'agente di polizia giudiziaria che li redige, delle
strutture operanti e delle fonti informative.
Gli atti in questione richiesti dalla ricorrente rispondono esattamente a
quelle esigenze di sicurezza e prevenzione della criminalità e dell'ordine
pubblico che la normativa di settore si preoccupa di tutelare in primis et
ante omnia.
Detti documenti sono esclusi dalla ostensibilità in quanto la loro
conoscenza appare suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto agli
interessi connessi alla sicurezza pubblica né a carico dell'amministrazione
intimata appare ravvisabile un onere di motivazione sulla prevalenza
dell'interesse pubblico, giacché la normativa di riferimento lo reputa
presente in re ipsa nella natura dell'atto richiesto.
D’altronde, la giurisprudenza ha precisato che "l'accesso va effettivamente
escluso per tutte le parti della documentazione in possesso
dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio, in quanto afferenti a
indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto
coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle
informative di polizia di sicurezza; ovvero, ancora, adducendo specifici
motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di
accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza
organizzata".
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1.- Con il ricorso all'esame, notificato il 2 agosto e depositato il
successivo 03.08.2022, la ricorrente società ha esposto in fatto:
- di essere stata destinataria, in data 04/07/2022, della notifica
da parte dei carabinieri della Stazione di Sorrento, ai sensi e per gli
effetti degli artt. 7, 8 e 10 l. n. 241/1990, della comunicazione di avvio
di procedimento (protoc. n. 125 del 26/05/2022/OM) amministrativo,
finalizzato all’applicazione nei suoi confronti del provvedimento ex art.
100 T.U.L.P.S.;
- nel predetto avviso era precisato che l’avviato procedimento
aveva trovato origine dalla proposta del 02/05/2022 prot. n. 15/2 formulata
dalla medesima compagnia dei carabinieri nonché dalle successive note
(6/5/2022 prot. n. 62/40– I/2022) inoltrate dalla Legione Carabinieri
Campania–Stazione Pimonte e dalla relazione dell’08/05/2022 cat Q.2.2/2022
redatta dal Commissariato di P.S. di Sorrento, inviate alla Questura di
Napoli onde conseguire l’applicazione, nei confronti della ricorrente, del
provvedimento ex art. 100 T.U.L.P.S. in ragione del “grave episodio
occorso nella notte del 1 maggio c.a., verso le ore 3,20, quando per futili
motivi si consumava una violenta rissa tra avventori, alcuni di questi
affetti anche da pregiudizi e/o precedenti di polizia”;
- di aver quindi in data 05.07.2022 inoltrato al competente
dirigente un’istanza di accesso con cui aveva domandato il rilascio di copia
degli atti da cui traeva origine il procedimento de quo teso all’adozione
del provvedimento ex art. 100 T.U.L.P.S.;
- in particolare, come precisato con la successiva nota del
13/07/2022, la ricorrente, invocando la necessità di essere posta nelle
condizioni di esercitare il suo diritto alla difesa, domandava di ricevere
copia dei seguenti atti:
a) proposta -prot. n. 15/2 del 02/05/2022- di
provvedimento ex art. 100 TULPS Compagnia Carabinieri Sorrento;
b) nota -protoc. 62/40-1/2022 del 06/05/2022-
Legione Carabinieri Campania–Stazione di Pimonte;
c) nota -08/05/2022, cat Q.2.2/2022-
Commissariato di P.S. Sorrento per l’applicazione del provvedimento ex art.
100 TULPS;
d) nota –04/05/2022 cat. Q.2.2- del Commissariato
di Polizia di Sorrento;
d) le relazioni o i rapporti predisposti dal
personale dei Carabinieri della Compagnia di Sorrento conseguenti anche la
lettura delle immagini della videosorveglianza del locale;
e) verbale di arresto (per il reato di cui agli
artt. 61 n. 1 e 588 c.p.) dei quattro correi;
f) ordinanza del GIP di convalida dell’arresto.
- con la nota oggetto della presente impugnazione -18-19/07/2022
sez. VI cat Q/2.2OM- il dirigente della Polizia di Stato aveva consentito
l’accesso agli atti limitatamente alla proposta –prot. n. 15/2 del
02/05/2022- di adozione del provvedimento ex art. 100, redatta dalla
Compagnia Carabinieri di Sorrento.
Da tanto è scaturita la proposizione dell’odierno ricorso con cui la
ricorrente, ribadito di avere un interesse giuridicamente rilevante alla
conoscenza dei documenti richiesti in quanto necessari a ricostruire gli
accadimenti ed a verificare se sussistessero gli estremi per l’adozione nei
suoi confronti del preannunciato provvedimento, ha domandato che il
Tribunale, annullato il parziale diniego perché fondato su ragioni
contrastanti con principi e regole posti dagli artt. 22 l. n. 241/1990 e
ss.mm., D.M n. 415/1994, D.P.R. n. 352/1992 in relazione agli artt. 7, 10 e
24 l. n. 241/1990 e ss.mm.ii., ed acclarata l'illegittimità della nota
impugnata, ordinasse all’ente intimato di esibire i documenti richiesti.
Il Ministero dell’Interno ha resistito al ricorso, sostenendo l’inaccoglibilità
nei termini richiesti dell’istanza proposta, avendo quest’ultima ad oggetto
atti sottratti all'accesso dagli articoli 3 e 4 del D.M. 10.05.1994, n. 415
("Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al
diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24,
comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241, recante nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi") e coperti da segreto investigativo essendo pendente un
procedimento penale.
...
2.- Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
Ai sensi dell'art. 24, comma 6, lett. c), della legge 07.08.1990, n. 241 il
Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti
amministrativi "quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le
dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela
dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità
con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle
fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,
all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Il Ministero dell'interno, inoltre, con regolamento approvato con D.M.
10.05.1994, n. 415, all'art. 3, comma 1, elenca una serie di documenti
inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero ai fini di
prevenzione e repressione della criminalità, includendovi:
a) le "relazioni di servizio ed altri atti o documenti
presupposto per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità
nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli
ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all'attività di
tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione
della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per
disposizione di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o
atti soggetti a pubblicità";
b) "le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o
documenti inerenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni
od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza
di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso
amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse
per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e
repressione della criminalità, salvo che, per disposizioni di legge o di
regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano
essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".
Orbene, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L.
11.02.2005, n. 15, ha sancito, elevando a rango superiore un principio già
introdotto a livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti
utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di polizia. Orbene, essendo
stata sancita con legge ordinaria la sottrazione di tali categorie di
documenti alla conoscibilità degli stessi interessati, in tale prospettiva
non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad
informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali
indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale
e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente
procedente. La previsione in esame è infatti chiaramente finalizzata ad
escludere la piena ostensibilità delle relazioni di servizio che non
costituiscono atti presupposti volti all'adozione di un provvedimento
amministrativo, ma piuttosto atti volti a sollecitare l'iniziativa penale da
parte dell'autorità giudiziaria, e quindi atti inerenti non allo svolgimento
dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e
collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità
(in tal senso: TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater Sent., 14.05.2007, n. 4346).
In tale contesto normativo, il provvedimento impugnato non appare viziato
per carenza di motivazione, in quanto si fonda su un conferente richiamo
all'art. 3, comma 1, del D.M. n. 415/1994, atteso che la ricorrente, pur
avendo avuto accesso alla proposta formulata in ordine all’adozione nei suoi
confronti del provvedimento ex art. 100 TULPS, ha domandato l’accesso ad
ulteriori atti chiaramente relativi alle indagini in corso nell’ambito del
procedimento penale riguardanti la vicenda verificatasi in prossimità della
sua sede aziendale (informative di polizia, relazioni probatorie in ordine
all’immagini del sistema di videosorveglianza, verbale di arresto, ordinanza
cautelare del GIP).
Le ragioni ostative all'accoglimento del chiesto accesso vanno, dunque,
correlate ad una corretta interpretazione della normativa dettata in
subiecta materia e, precisamente, delle disposizioni di cui all'art. 24
della legge n. 241/1990 sui documenti sottratti all'accesso e di quelle
recate, in attuazione della suindicata norma dal Decreto Ministero Interno
n. 415 del 1994 ( modificato con D.M. 17.11.1997 n. 508).
Invero, essendo la ratio sottesa alle predette disposizioni volta a
realizzare il bilanciamento tra gli interessi privati nonché quelli sottesi
alla sicurezza e alla conservazione dell'ordine pubblico con l’interesse
alla riservatezza di soggetti terzi che potrebbero essere attinti dalle
indagini penali, appare ragionevole ritenere che gli atti per cui è causa,
consistenti nei verbali e informative di controllo della Polizia, sono
sottratti all'accesso proprio perché volti a tutelare quell'interesse
pubblico senz'altro meritevole di "maggiore apprezzamento".
In particolare, le annotazioni ovvero le informative di polizia giudiziaria
che consistono in accertamenti compiuti dalle forze dell'ordine in sede di
controllo del territorio non possono essere resi accessibili anche in
funzione di tutela dell'agente di polizia giudiziaria che li redige, delle
strutture operanti e delle fonti informative.
Gli atti in questione richiesti dalla ricorrente rispondono esattamente a
quelle esigenze di sicurezza e prevenzione della criminalità e dell'ordine
pubblico che la normativa di settore si preoccupa di tutelare in primis
et ante omnia.
Detti documenti sono esclusi dalla ostensibilità in quanto la loro
conoscenza appare suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto agli
interessi connessi alla sicurezza pubblica (Cons. Stato, Sez. IV, 28/10/2016
n. 4537, idem, di recente 31/03/2021 n. 2677) né a carico
dell'amministrazione intimata appare ravvisabile un onere di motivazione
sulla prevalenza dell'interesse pubblico, giacché la normativa di
riferimento lo reputa presente in re ipsa nella natura dell'atto
richiesto.
D’altronde, la giurisprudenza ha precisato che "l'accesso va
effettivamente escluso per tutte le parti della documentazione in possesso
dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio, in quanto afferenti a
indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto
coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle
informative di polizia di sicurezza; ovvero, ancora, adducendo specifici
motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di
accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza
organizzata" (Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2016, n. 4537).
In forza delle suestese considerazioni il ricorso avverso il diniego di
accesso si rivela infondato e va, perciò, respinto (TAR Camoania-Napoli,
Sez. V,
sentenza 05.12.2022 n. 7578 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abuso
edilizio e diritto, o meno, del proprietario di accedere ai verbali di
accertamento redatti da parte dei Carabinieri.
Il privato che subisce un procedimento di controllo
vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per
l’esercizio del potere, inclusi, di regola, gli esposti, le diffide e le
denunce che abbiano determinato l’attivazione di un potere di controllo,
ispettivo o di vigilanza dell’autorità, salve ragioni di particolare
riservatezza o di segreto istruttorio, nel caso di specie non comprovate
dall’Amministrazione neppure in corso di causa.
In relazione a quanto controdedotto dal Ministero della difesa, va
evidenziata infatti la evanescenza della ragione ostativa opposta, afferente
alla mera pendenza di un, non meglio precisato, procedimento penale e
mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di segretezza in
relazione agli specifici documenti, o parti di documenti, richiesti dalla
ricorrente.
Sul punto, costante giurisprudenza ha invero chiarito che l'esistenza di
un’indagine penale “non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso”.
Invero, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria.
La sussistenza in concreto delle stringenti condizioni in presenza delle
quali è possibile negare o differire l’accesso c.d. “difensivo”, non sono
state comprovate in giudizio dal Ministero della difesa; né il Comune, che
non si è neppure costituito in giudizio, ha opposto alcuna esigenza, anche
parziale, di segretezza e/o di riservatezza in riferimento alla
documentazione richiesta.
---------------
... per l'annullamento
- del silenzio–rigetto formatosi sull'istanza di accesso trasmessa
dalla Sig.ra -OMISSIS- a mezzo pec in data 16.06.2022;
- e per la declaratoria del diritto della ricorrente di esercitare
il diritto di ostensione (visione ed estrazione copia) della documentazione
richiesta.
...
La ricorrente espone che:
- con istanza del 21.02.del 2022, in qualità di erede aveva chiesto
e ottenuto la voltura del permesso di costruire n. -OMISSIS- del 29.08.2019
e del permesso a costruire in variante n. -OMISSIS-/2021 rilasciati al
deceduto dott. -OMISSIS- per la realizzazione di un compendio rurale
composto da due corpi di fabbrica con opere accessorie e sistemazione degli
spazi esterni;
- nel corso dell'esecuzione dei lavori, il cantiere veniva attinto
da numerosi accertamenti/sopralluoghi effettuati dal Comune di Procida e dal
Comando dei Carabinieri, da ultimo in data 24.05.2022;
- in data 16.06.2022 formulava istanza di accesso, ai sensi degli
artt. 22 e ss. della legge 241/1990, evidenziando il suo interesse “difensivo”
e chiedendo di “prendere visione ed estrarre copia: 1. di tutti i
verbali, accertamenti, relazioni redatti a seguito dei sopralluoghi
effettuati con riferimento all'esecuzione delle opere di cui al Permesso di
Costruire n. -OMISSIS- del 29.08.2019 e del Permesso di Costruire in
variante volturati alla scrivente; 2. di tutti gli eventuali esposti,
denunce e/o diffide presentati da terzi (anche oralmente e verbalizzati) nei
confronti della mia assistita”, chiedendo anche, ai sensi dell'art. 5,
comma 2, D.lgs. n. 33/2013, di conoscere “3. Se i sopralluoghi effettuati
siano stati promossi di ufficio e/o ad istanza di parte c/o a seguito di
delega di indagini da parte della Procura competente; 4. Laddove siano stati
promossi di ufficio e/o ad istanza di parte, se per gli stessi sia stata
operata una valutazione tecnico-discrezionale a monte circa la necessità del
sopralluogo”;
- l’Amministrazione non aveva dato risposta e si era formato il
silenzio-rigetto sull’istanza di accesso documentale stante il decorso del
termine di trenta giorni previsto dall’art. 25, comma 4, della legge n. 241
del 1990.
Di qui la proposizione del presente ricorso, con cui la ricorrente precisa
che intende censurare il solo silenzio-rigetto formatosi sull’istanza di
accesso ex lege n. 241 del 1990 e ne lamenta l’illegittimità,
rimarcando il suo interesse all’accesso alla documentazione richiesta al
fine di tutelare la sua posizione giuridico-economica, anche in sede
giurisdizionale, e l’assenza delle condizioni che, ex art. 24 della legge n.
241 del 1990, consentono il diniego o il differimento.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.
Si è costituito il giudizio il Ministero della difesa chiedendo la reiezione
del ricorso perché gli atti richiesti non sarebbero stati ostesi dalla
Stazione dei Carabinieri perché “coperti da segreto in quanto inerenti un
procedimento penale pendente”.
Con memoria depositata il 21.10.2022, la ricorrente ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso va accolto, considerato che la ricorrente vanta un interesse
concreto, personale ed attuale ad accedere alla documentazione richiesta ai
fini di tutela della sua posizione giuridica, trattandosi di documentazione
riguardante i diversi accertamenti compiuti dall’Amministrazione
sull’immobile in relazione al quale la ricorrente aveva ottenuto la voltura
delle concessioni edilizie del de cuius e stava realizzando i lavori;
e considerato che non risultano concretamente opposte dalle Amministrazioni
intimate ragioni idonee a negare o differire l’accesso richiesto.
Secondo condivisibile giurisprudenza, infatti, il privato che subisce un
procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i
documenti utilizzati per l’esercizio del potere, inclusi, di regola, gli
esposti, le diffide e le denunce che abbiano determinato l’attivazione di un
potere di controllo, ispettivo o di vigilanza dell’autorità, salve ragioni
di particolare riservatezza o di segreto istruttorio, nel caso di specie non
comprovate dall’Amministrazione neppure in corso di causa (cfr. Consiglio di
Stato, sent. n. 3128 del 2018; Tar Latina, sent. n. 551 del 2022).
In relazione a quanto controdedotto dal Ministero della difesa, va
evidenziata infatti la evanescenza della ragione ostativa opposta, afferente
alla mera pendenza di un, non meglio precisato, procedimento penale e
mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di segretezza in
relazione agli specifici documenti, o parti di documenti, richiesti dalla
ricorrente.
Sul punto, costante giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha invero
chiarito che l'esistenza di un’indagine penale “non implica, di per sé,
la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso” (cfr., tra le altre,
Tar Campania, Napoli, sent. n. 1482 del 2022; n. 7712 del 2021).
Invero, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria (cfr., tra le altre, Tar
Napoli, sent. n. 1253 del 2017).
La sussistenza in concreto delle stringenti condizioni in presenza delle
quali è possibile negare o differire l’accesso c.d. “difensivo”, non
sono state comprovate in giudizio dal Ministero della difesa; né il Comune,
che non si è neppure costituito in giudizio, ha opposto alcuna esigenza,
anche parziale, di segretezza e/o di riservatezza in riferimento alla
documentazione richiesta.
Per quanto sopra, pertanto, il ricorso va accolto e va ordinato alle
Amministrazioni intimate di ostendere alla ricorrente la documentazione
richiesta con l’istanza di accesso documentale presentata ex art. 22 e ss.
della legge n. 241 del 1990, entro trenta giorni dalla comunicazione, o
dalla notifica di parte se anteriore, della presente sentenza (TAR
Campania-Napoli, Sez,. VI,
sentenza 30.11.2022 n. 7467 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Deve
essere preliminarmente escluso che il silenzio serbato dall’Amministrazione
sia illegittimo per violazione del generale obbligo di concludere il
procedimento, in quanto l’art. 116 c.p.a., nel dettare la disciplina del
rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, qualifica il
silenzio serbato sull’istanza di accesso come un silenzio-significativo di
segno negativo (silenzio-rifiuto).
Né può ritenersi che esso sia privo di adeguata motivazione, in quanto il
silenzio-rifiuto formatosi in relazione all’istanza di accesso risulta
giustificato dalla segretazione del verbale che ne è oggetto, in quanto atto
presupposto, posto alla base dell’indagine penale che riguarda l’odierno
ricorrente.
Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, sebbene “L'esistenza di
un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli
atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i
fatti oggetto di indagine”, debbono ritenersi sottratti al diritto di
accesso quelli coperti da segreto: categoria alla quale debbono essere
ricondotte anche le informative penali trasmesse dalla polizia locale, volte
a sollecitare l'iniziativa penale da parte dell'autorità giudiziaria, le
quali si caratterizzano per essere “atti inerenti non allo svolgimento
dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e
collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della
criminalità”.
Dunque, non si ravvisa ragione di discostarsi dal principio affermato nella
sentenza da ultimo citata, nella quale si legge: “Non sono, dunque,
ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative
penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in
corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti
perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente”.
Circostanza che ricorre anche nella fattispecie.
---------------
... per l'annullamento
- del silenzio-rigetto con cui è stata di fatto negata l’ostensione
della segnalazione del Servizio Operativo di Polizia Locale del Comune di
-OMISSIS- del 15.06.2022;
...
Il ricorrente gestisce da sette anni un pubblico esercizio, nel quale
asserisce di essere stato aggredito da un gruppo di giovani avventori in
data 14.06.2022.
Dopo la querela presentata dal gestore nei confronti degli aggressori, lo
stesso è stato destinatario di una sospensione, ex art. 100 del TULPS, della
licenza di somministrazione, come da provvedimento notificato il 22.06.2022
e fondato esclusivamente sulla segnalazione del Servizio Operativo della
Polizia Locale di -OMISSIS- del 15.06.2022, recante la ricostruzione,
secondo gli agenti intervenuti, della dinamica del fatto.
Tale ordinanza è stata impugnata con ricorso sub RG 1013/2022, ma per
articolare una compiuta difesa, il sig. -OMISSIS- ha inoltrato al Comune una
richiesta di rilascio di copia della citata segnalazione della Polizia
Locale che non è stata mai evasa.
L’implicito diniego all’esercizio del diritto di accesso opposto attraverso
la mancata risposta all’istanza sarebbe viziato dalla violazione degli
articoli 1, 2, 3, 23, 24 e 25 della legge n. 241/1990 e dell’art.24 della
Costituzione. Soltanto la piena conoscenza dei contenuti della richiamata
relazione potrebbe, infatti, secondo quanto sostenuto in ricorso, consentire
al Sig. -OMISSIS- di censurare compiutamente gli atti lesivi assunti nei
confronti dello stesso dalla PA, nonché di esercitare le proprie prerogative
nel procedimento penale. In ogni caso, in assenza di un esplicito diniego,
il rigetto dell’istanza sarebbe totalmente privo di motivazione e il
silenzio serbato integrerebbe una violazione dell’obbligo di conclusione del
procedimento con un provvedimento espresso.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato, rappresentando come il
Responsabile del Servizio Operativo di Polizia Locale -previo confronto con
il sostituto procuratore responsabile del procedimento penale della cui
esistenza era ben a conoscenza anche il ricorrente, che ne dà atto nel
ricorso, e che risulta essere ancora pendente- abbia qualificato la
documentazione richiesta come “segretata e non disponibile”.
Tutto ciò premesso, deve essere preliminarmente escluso che il silenzio
serbato dall’Amministrazione sia illegittimo per violazione del generale
obbligo di concludere il procedimento, in quanto l’art. 116 c.p.a., nel
dettare la disciplina del rito in materia di accesso ai documenti
amministrativi, qualifica il silenzio serbato sull’istanza di accesso come
un silenzio-significativo di segno negativo (silenzio-rifiuto).
Né può ritenersi che esso sia privo di adeguata motivazione, in quanto il
silenzio-rifiuto formatosi in relazione all’istanza di accesso risulta
giustificato dalla segretazione del verbale che ne è oggetto, in quanto atto
presupposto, posto alla base dell’indagine penale che riguarda l’odierno
ricorrente.
Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, sebbene “L'esistenza di
un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli
atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i
fatti oggetto di indagine” (TAR Palermo, I, 12.10.2020, n. 2057,
richiamata in TAR Puglia, Lecce, Sezione 2, Sentenza 03.01.2022 n. 8),
debbono ritenersi sottratti al diritto di accesso quelli coperti da segreto:
categoria alla quale debbono essere ricondotte anche le informative penali
trasmesse dalla polizia locale, volte a sollecitare l'iniziativa penale da
parte dell'autorità giudiziaria, le quali si caratterizzano per essere “atti
inerenti non allo svolgimento dell'attività amministrativa, quanto alla
(diversa) attività di promozione e collaborazione dell'attività di
prevenzione e repressione della criminalità” (cfr. Tar Aquila, sez. I,
27.10.2017, n. 454).
Dunque, non si ravvisa ragione di discostarsi dal principio affermato nella
sentenza da ultimo citata, nella quale si legge: “Non sono, dunque,
ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative
penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in
corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti
perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente”.
Circostanza che ricorre anche nella fattispecie (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 28.11.2022 n. 1814 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: Si
devono qui richiamare, in via preliminare, i principi
elaborati in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa
relativamente ai presupposti di ammissibilità dell’accesso documentale a
norma degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
In base alla disciplina normativa prevista per tale forma di accesso, la
pretesa ostensiva risulta circoscritta sul piano soggettivo, richiedendo ai
fini del relativo riconoscimento la sussistenza di un interesse conoscitivo
finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: ai sensi
dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, infatti, vengono definiti
“interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma
soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici
o diffusi, che abbiano un interesse “diretto”, “concreto” e “attuale”,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso.
In base al consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sul tema, la
richiesta legittimazione attiva è configurata in relazione al requisito
della “strumentalità” dell’accesso, declinato dal citato art. 22, comma 1,
lett. b), L. n. 241/1990, come finalizzazione della domanda ostensiva alla
cura di un interesse diretto, concreto, attuale -e non meramente emulativo
o potenziale- connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del
quale si richiede l'accesso.
Sul punto è stato evidenziato, in sede giurisprudenziale, che la nozione di
“strumentalità” –relativamente alla figura dell’accesso c.d. “ordinario” di
cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990– va intesa in senso ampio, in termini
di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante.
In tale prospettiva, la valutazione in ordine al legame tra finalità
dichiarata e documento richiesto –quale presupposto di ammissibilità della
pretesa ostensiva– va effettuata in astratto, senza apprezzamenti
sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che
il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe
proporre, risultando sufficiente che la documentazione richiesta costituisca
mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, non
dovendo rappresentare uno strumento di prova diretta della lesione di tale
interesse.
L’assetto delineato corrisponde, in particolare, alla definizione in via
legislativa –operata nel contesto dell’istituto dell’accesso documentale–
“di un delicato equilibrio tra due esigenze contrapposte, l’una alla più
ampia trasparenza dell’amministrazione, l’altra ad escludere tutela a quelle
istanze meramente pretestuose o comunque ingiustificate”.
In tale prospettiva, è stato evidenziato che “il diritto all’accesso
documentale –pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza
dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale- non si
configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque,
indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata; ne consegue
che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si
riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se
ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante”.
Nell’ottica delineata, è richiesta –alla luce del disposto contenuto
nell’articolo 25, comma 2, L. n. 241/1990 ai sensi del quale «la richiesta
di accesso ai documenti deve essere motivata»– una puntuale e specifica
deduzione delle finalità dell’accesso nell’ambito dell’istanza di
ostensione, in modo da consentire la valutazione in ordine alla ricorrenza
del nesso di strumentalità previsto dall’art. 22 L. n. 241/1990, come
altresì ribadito nella recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, 18.03.2021, n. 4.
Il prescritto nesso di strumentalità, dunque, se pure declinato in
un’accezione ampia, non può in ogni caso prescindere dall’allegazione di
elementi sufficienti ad estrinsecare il collegamento tra interesse dedotto,
situazione giuridica azionata e documentazione richiesta.
Viepiù che l’art. 24 della l. 241/1990, nella parte di interesse,
stabilisce:
“1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di
divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento
governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del
comma 2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della
legge 23.08.1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione
all'accesso di documenti amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il
personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine
pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle
fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,
all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini.
Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici.
Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è
consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini
previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196,
in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La Giurisprudenza ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba essere
interpretata in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti
sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una
sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi
tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese
frustrazione delle finalità perseguite dalla L. n. 241 del 1990>>.
---------------
Nel caso di specie, è evidente l’interesse
“difensivo” fatto valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di
conoscere gli atti presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative
nei propri confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e
far valere, se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi
competenti..
Ne deriva che il diniego impugnato è illegittimo, considerato che l’astratta
previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in
senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al
quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto
valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto
controinteressato.
Invero, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con
l’ostensione degli atti o cause di ostensibilità dei documenti
amministrativi, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite
l’oscuramento.
Né risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti
l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso
comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica,
avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che
l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non
ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di
indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti
dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l.
07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24,
l. n. 241 del 1990.
---------------
... per l'annullamento:
- del diniego di accesso agli atti dell'Amministrazione in epigrafe
comunicato con pec del 28/02/2022 avente ad oggetto “…Lo. istanza di
accesso 27.01.2022.pdf INPS.7201.28/01/2022.0030473] [INPS.7201.28/02
/2022.0071062]”, rispetto all'istanza avente ad oggetto “Sig. Ca.Lo. – Provvedimento di disconoscimento di rapporto di lavoro
subordinato – prot. n. INPS 7201.09/11/2021.0297976. Istanza di accesso agli
atti ex art. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990” proposta (tramite lo
scrivente difensore a firma congiunta con il ricorrente) e poi rinviata su
richiesta della P.A. tramite apposito modello ed a quest'ultimo ritrasmessa
a mezzo pec, consegnata in data 01.02.2022;
- nonché ove occorra in parte qua (articolo 14, comma 2, richiamato
nel provvedimento impugnato) del Regolamento per l'Accesso agli Atti
dell'INPS (determinazione prot. n. 366 del 05/08/2011).
...
Il Collegio ritiene di dover richiamare, in via preliminare, i principi
elaborati in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa
relativamente ai presupposti di ammissibilità dell’accesso documentale a
norma degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
In base alla disciplina normativa prevista per tale forma di accesso, la
pretesa ostensiva risulta circoscritta sul piano soggettivo, richiedendo ai
fini del relativo riconoscimento la sussistenza di un interesse conoscitivo
finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: ai sensi
dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, infatti, vengono definiti
“interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma
soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici
o diffusi, che abbiano un interesse “diretto”, “concreto” e “attuale”,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
sent. 11.01.2019, n. 249 e sez. V, sent. 21.08.2017, n. 4043).
In base al consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sul tema, la
richiesta legittimazione attiva è configurata in relazione al requisito
della “strumentalità” dell’accesso, declinato dal citato art. 22, comma 1,
lett. b), L. n. 241/1990, come finalizzazione della domanda ostensiva alla
cura di un interesse diretto, concreto, attuale -e non meramente emulativo
o potenziale- connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del
quale si richiede l'accesso.
Sul punto è stato evidenziato, in sede giurisprudenziale, che la nozione di
“strumentalità” –relativamente alla figura dell’accesso c.d. “ordinario” di
cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990– va intesa in senso ampio, in
termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (cfr.,
ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. 15.05.2017 n. 2269, sez. III,
sent. 16.05.2016 n. 1978 e sez. IV, sent. 06.08.2014 n. 4209).
In tale prospettiva, la valutazione in ordine al legame tra finalità
dichiarata e documento richiesto –quale presupposto di ammissibilità della
pretesa ostensiva– va effettuata in astratto, senza apprezzamenti
sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che
il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe
proporre, risultando sufficiente che la documentazione richiesta costituisca
mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, non
dovendo rappresentare uno strumento di prova diretta della lesione di tale
interesse (in termini, cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, sent. 13.01.2012, n. 116).
L’assetto delineato corrisponde, in particolare, alla definizione in via
legislativa –operata nel contesto dell’istituto dell’accesso documentale–
“di un delicato equilibrio tra due esigenze contrapposte, l’una alla più
ampia trasparenza dell’amministrazione, l’altra ad escludere tutela a quelle
istanze meramente pretestuose o comunque ingiustificate” (in tal senso, cfr.
Cons. St., sent. n. 249/2019, cit.).
In tale prospettiva, è stato evidenziato che “il diritto all’accesso
documentale –pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza
dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale- non si
configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque,
indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata; ne consegue
che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si
riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se
ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante” (cfr.
Cons. Stato, sez. V, sent. 14.09.2017, n. 4346).
Nell’ottica delineata, è richiesta –alla luce del disposto contenuto
nell’articolo 25, comma 2, L. n. 241/1990 ai sensi del quale «la richiesta
di accesso ai documenti deve essere motivata»– una puntuale e specifica
deduzione delle finalità dell’accesso nell’ambito dell’istanza di
ostensione, in modo da consentire la valutazione in ordine alla ricorrenza
del nesso di strumentalità previsto dall’art. 22 L. n. 241/1990, come
altresì ribadito nella recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, 18.03.2021, n. 4.
Il prescritto nesso di strumentalità, dunque, se pure declinato in
un’accezione ampia, non può in ogni caso prescindere dall’allegazione di
elementi sufficienti ad estrinsecare il collegamento tra interesse dedotto,
situazione giuridica azionata e documentazione richiesta.
Viepiù che l’art. 24 della l. 241/1990, nella parte di interesse,
stabilisce:
“1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di
divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento
governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del
comma 2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della
legge 23.08.1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione
all'accesso di documenti amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il
personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine
pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle
fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,
all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini.
Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici.
Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è
consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini
previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196,
in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La Giurisprudenza (cfr. TAR Bari, III, 06.02.2018, n. 151) ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba essere
interpretata in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti
sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una
sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi
tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese
frustrazione delle finalità perseguite dalla L. n. 241 del 1990 (cfr. TAR
Lazio, Latina, Sez. I, 06.10.2010, n. 1653; id., 15.10.2009, n.
949)>>.
Ebbene, facendo applicazione dei principi legislativi e giurisprudenziali
testé richiamati, va detto che il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere
accolto, tenuto conto che, nel caso di specie, è evidente l’interesse
“difensivo” fatto valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di
conoscere gli atti presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative
nei propri confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e
far valere, se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi competenti
(come specificato nell’istanza di accesso).
Ne deriva che il diniego impugnato è illegittimo, considerato che l’astratta
previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in
senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al
quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto
valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto
controinteressato.
Invero, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con
l’ostensione degli atti o cause di ostensibilità dei documenti
amministrativi, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite
l’oscuramento (ex multis, Tar Catania, sentenza 1737/2018).
Né risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti
l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso
comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica,
avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che
l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non
ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di
indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti
dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24,
l. n. 241 del 1990 (TAR Lecce, II, 03.01.2022, n. 8; TAR Palermo, I,
12.10.2020, n. 2057, nonché la giurisprudenza ivi citata).
Consegue l’accoglimento del ricorso, facendo obbligo all’Amministrazione di
consentire l’accesso, fatti salvi i soli, specifici atti e documenti
sottratti all’ostensione alla stregua dei principi sopra indicati.
L’accoglimento del motivo principale di ricorso consente di poter dichiarare
assorbita la domanda, peraltro avanzata in via subordinata, con cui il
ricorrente ha chiesto l’annullamento del regolamento per l'Accesso agli Atti
dell'INPS (determinazione prot. n. 366 del 05/08/2011) (TAR Campania-Salerno,
Sez. III,
sentenza 27.06.2022 n. 1850 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: Colui
il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse
qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi
utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di
iniziativa e di “preiniziativa” quali, appunto, denunce, segnalazioni
o esposti.
Non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica
amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto
istruttorio penale e, come tale, sottratto all'accesso.
In particolare è stato affermato che l'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241 e ss., non ricorrendo
alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990;
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di
indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria,
ma sono gli atti amministrativi propedeutici e relativi alle ispezioni
disposte, che le Amministrazioni interpellate detengono, tenuto conto che
nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa erariale in merito alla
secretazione o sequestro degli stessi da parte dell’Autorità giudiziaria
penale.
A ciò si aggiunga che la presentazione di un esposto non può considerarsi un
fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione competente all'avvio
di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti
comunque incisi in qualità di denunciati, per cui anche tale documento può
essere oggetto di ostensione.
Si rammenta, sul punto, che, al di fuori di particolari ipotesi in cui il
soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei rapporti con il
soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, la
tutela della riservatezza non può assumere un'estensione tale da includere
il diritto all'anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative
comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi; ciò perché il principio
di trasparenza che informa l'ordinamento giuridico ed i rapporti tra
consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione
che impedisca all'interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i
loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato
esito negativo.
In sostanza, colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo
ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire
dagli atti di iniziativa e di “preiniziativa” quali, appunto, denunce,
segnalazioni o esposti.
---------------
... per l'annullamento
- della nota prot. n. -OMISSIS- datata XX/12/2021 e della nota prot.
n. -OMISSIS- datata XX/12/2021, del Comando Carabinieri per la Tutela della
Salute - N.A.S. di Latina, con le quali è stata respinta la richiesta
d'accesso della ricorrente datata 18/11/2021, relativa ai documenti
presupposti e consequenziali l'ispezione sanitaria eseguita in data
24/08/2021 dai Militari dei N.A.S. di Latina;
- nonché per il conseguente ordine di esibizione, dettando, ove
occorra, le relative modalità, ai sensi dell'art. 116, co. 4, c.p.a.
...
Considerato che:
- ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a., nel rito in materia di
accesso agli atti amministrativi, il giudice decide con sentenza in forma
semplificata;
- dalla documentazione depositata in giudizio, anche dalle
Amministrazioni costituite, non risulta la pendenza di alcun procedimento
penale nei confronti del rappresentante legale della ricorrente per i fatti
oggetto delle ispezioni suddette;
- il Collegio ricorda che il diritto di accesso in funzione
difensiva è garantito dall'art. 24, comma 7, della L. 241/1990 che, nel
rispetto dell’art. 24 della Costituzione, prevede, con una formula di
portata generale, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti
l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per
curare o per difendere i propri interessi giuridici”, purché sia
dimostrata una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano
lesi;
- pertanto, nel caso di specie, non vi è dubbio che la società
istante vanta un interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione su
ispezioni riguardanti controlli sanitari i cui esiti potrebbero portare a
sanzioni amministrative legate all’eventuale provvedimento “in fieri”;
- non si ritiene applicabile il motivo di esclusione
dell’ostensione di cui all’art. 24, comma 1, l. n. 241/1990 legato a quanto
previsto dall’art. 329 c.p.p., secondo cui “gli atti di indagine compiuti
dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto
fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari”;
- risulta, infatti, che nel caso di specie non vi sia alcun
procedimento penale a carico del rappresentante legale, in assenza anche di
indicazione di riscontro da parte della Procura della Repubblica competente
a cui si era rivolto lo stesso NAS di Latina a tale scopo;
- ne deriva che il diniego risulta fondato solo sull’”interessamento”
della stessa Procura come così definito delle note impugnate;
- a tal fine, però, il Collegio richiama la giurisprudenza per la
quale non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione
all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio
penale e come tale sottratto all'accesso (Cons. Stato, Sez. VI, 29.01.2013,
n. 547 e 10.04.2003, n. 1923; TAR Sicilia, Pa, Sez. I, 20.05.2020, n. 1006 e
Ct, Sez. III, 01.02.2017, n. 229);
- in particolare è stato affermato che l'esistenza di un'indagine
penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o
provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti
oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro
e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di
accesso; infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241 e ss., non ricorrendo
alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990;
- nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono
gli atti di indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia
giudiziaria, ma sono gli atti amministrativi propedeutici e relativi alle
ispezioni disposte, che le Amministrazioni interpellate detengono, tenuto
conto –come detto– che nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa
erariale in merito alla secretazione o sequestro degli stessi da parte
dell’Autorità giudiziaria penale;
- a ciò si aggiunga che la presentazione di un esposto non può
considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione
competente all'avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente
anche i soggetti comunque incisi in qualità di denunciati, per cui anche
tale documento può essere oggetto di ostensione (Tar Lazio, Sez. II,
04.06.2020, n. 5955);
- si rammenta, sul punto, che, al di fuori di particolari ipotesi
in cui il soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei
rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite
pressioni, la tutela della riservatezza non può assumere un'estensione tale
da includere il diritto all'anonimato dei soggetti che abbiano assunto
iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi; ciò perché il
principio di trasparenza che informa l'ordinamento giuridico ed i rapporti
tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una
soluzione che impedisca all'interessato di conoscere i contenuti degli
esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti
abbiano dato esito negativo (TAR Liguria, Sez. I, 07.07.2019, n. 510);
- in sostanza, colui il quale subisce un procedimento di controllo
o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza,
a partire dagli atti di iniziativa e di “preiniziativa” quali,
appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Toscana, Sez. I, 03.7.2017, n.
898; TAR Lombardia, Bs, Sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR Lazio, Sez. III,
01.06.2011, n. 4989 e Cons. Stato, Sez. V, 19.05.2009, n. 3081);
- il ricorso, pertanto, deve essere accolto, e per l’effetto devono
annullarsi le note impugnate con le quali l’Amministrazione ha denegato
l’accesso ai documenti richiesti, con conseguenziale diritto della società
ricorrente all’accesso documentale di cui è causa, in relazione alla
documentazione indicata nell’istanza di accesso, mediante esame integrale ed
estrazione di copia dei relativi documenti amministrativi e condanna
dell’intimata Amministrazione a porre in essere le dovute attività entro il
termine di giorni 30 (trenta) dalla notificazione o, se anteriore, dalla
comunicazione in via amministrativa della presente sentenza (TAR
Lazio-Latina,
sentenza
23.06.2022 n. 551 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: L'esistenza
di un'indagine penale non è di per sé causa ostativa all’accesso a documenti
che siano confluiti nel fascicolo del procedimento penale o che in qualsiasi
modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine.
Invero, secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale “non ogni
denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità
giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come
tale sottratto all’accesso; laddove, infatti, la denuncia sia riconducibile
all'esercizio delle istituzionali funzioni amministrative, l'atto non ricade
nell'ambito di applicazione dell'art. 329 c.p.p. e non può ritenersi coperto
dal segreto istruttorio. Diversamente, se la pubblica amministrazione
trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato nell'esercizio di
funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento,
si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria,
che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329
c.p.p.”.
In buona sostanza, in materia di accesso alla documentazione amministrativa
deve escludersi che sia coperto dal segreto istruttorio penale l'atto di
denuncia dei fatti a carico del richiedente, rimesso dall'amministrazione
alla magistratura inquirente, trattandosi di atto non riservato ai sensi
dell'art. 329 c.p.p., emanato nello svolgimento di attività istituzionale
amministrativa.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria
sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi
dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica
amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti
amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto
che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G.,
cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso
garantito all'interessato dall'art. 22, L. 07.08.1990, n. 241, non
ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, L. n. 241 del 1990.
---------------
... per l’esercizio del diritto di accesso
quanto al ricorso n. 58 del 2022:
- AGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DI VERIFICA URBANISTICO EDILIZIA RIGUARDANTE UN
IMMOBILE DI PROPRIETA’;
e per l’annullamento
- DELLA DETERMINAZIONE DEL RESPONSABILE DELL’UNITA’ OPERATIVA URBANISTICA ED
EDILIZIA COMUNICATA VIA PEC IL 14/12/2021, RECANTE IL DINIEGO SULL’ISTANZA
OSTENSIVA;
- DELLA NOTA DIRIGENZIALE TRASMESSA IL 04/01/2022 IN RISPOSTA ALLE CONTRODEDUZIONI, AVENTE CONTENUTO SFAVOREVOLE.
quanto al ricorso n. 157 del 2022:
- AGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DI VERIFICA URBANISTICO EDILIZIA RIGUARDANTE UN
IMMOBILE DI PROPRIETA’;
e per l’annullamento
- DELLA DETERMINAZIONE DEL RESPONSABILE DELL’UNITA’ OPERATIVA URBANISTICA ED
EDILIZIA COMUNICATA VIA PEC L’08/02/2022, RECANTE IL DINIEGO SULL’ISTANZA OSTENSIVA;
- DELLA DETERMINAZIONE CONFERMATIVA 15/02/2022, IN RISPOSTA AL SOLLECITO;
- DELLA COMUNICAZIONE 03/02/2022.
...
Dato atto:
- che l’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio;
- che, con ordinanza collegiale 07/04/2022 n. 330, questo TAR ha disposto
il compimento di attività istruttoria “affinché l’Ente locale si soffermi
sulle ragioni sottese al rifiuto dell’istanza ostensiva, e chiarisca con
precisione i contorni dell’affermata esistenza di un “procedimento penale in
corso”;
- che si trattava in altri termini “di puntualizzare se effettivamente
l’attività di controllo sia stata posta in essere nell’esercizio dei poteri
di polizia giudiziaria previsti dall’ordinamento, nell’ambito di un’indagine
penale”;
Atteso:
- che il Comune intimato –nella propria relazione– ha ricostruito la
dinamica fattuale, dando conto dell’avvenuta ostensione del verbale di
accertamento (con relativi allegati), formato a seguito di sopralluogo
originato da un esposto;
- che il verbale è stato inoltrato all’autorità giudiziaria da parte degli
agenti di Polizia Locale;
- che, nel prosieguo, si è sviluppato un contraddittorio, all’esito del
quale è stata completata l’indagine ed emesso un verbale aggiornato (in data
08/03/2022) a sua volta trasmesso alla Procura della Repubblica competente;
- che, dopo ulteriori approfondimenti, alcuni degli abusi contestati sono
stati dichiarati non rilevanti per la pubblica incolumità, e per altri si
sono riscontrate violazioni alla normativa tecnica per l’edilizia, con
segnalazione all’autorità giudiziaria;
- che l’esclusione/differimento dell’accesso sarebbe stata giustificata
dalla tutela dell’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle
indagini, e risulterebbe limitata a violazioni, irregolarità o infrazioni
suscettibili di dare luogo alla suddetta comunicazione alla Procura della
Repubblica;
Considerato:
- che, nel corso della discussione orale in Camera di consiglio, il
difensore di parte ricorrente ha dichiarato di non avere più interesse alla
decisione dei due ricorsi, avendo l’amministrazione provveduto a depositare
la documentazione richiesta all’esito dell’ordinanza istruttoria di questo
Collegio, restando salva la liquidazione delle spese di lite;
- che, pertanto, può essere dichiarata la cessazione della materia del
contendere;
- che le spese di lite devono essere poste da carico del Comune intimato,
alla luce della fondatezza della pretesa ostensiva avanzata nei giudizi;
Ritenuto, a quest’ultimo proposito:
- che l'esistenza di un'indagine penale non è di per sé causa ostativa
all’accesso a documenti che siano confluiti nel fascicolo del procedimento
penale o che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti
oggetto di indagine;
- che secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR
Umbria – 25/07/2018 n. 471) “non ogni denuncia di reato presentata dalla
pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto
da segreto istruttorio penale e come tale sottratto all’accesso; laddove,
infatti, la denuncia sia riconducibile all'esercizio delle istituzionali
funzioni amministrative, l'atto non ricade nell'ambito di applicazione
dell'art. 329 c.p.p. e non può ritenersi coperto dal segreto istruttorio.
Diversamente, se la pubblica amministrazione trasmette all'autorità
giudiziaria una notizia di reato nell'esercizio di funzioni di polizia
giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di
atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono
soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. (C.d.S., sez.
VI, 29.01.2013, n. 547)”;
- che tale concetto è stato espresso anche da TAR Lazio-Roma, sez. II-quater – 28/07/2017 n. 9043, TAR Sardegna, sez. I – 13/11/2020 n. 618,
TAR Lazio-Roma, sez. III-quater – 18/02/2020 n. 2157;
- che, in buona sostanza, in materia di accesso alla documentazione
amministrativa deve escludersi che sia coperto dal segreto istruttorio
penale l'atto di denuncia dei fatti a carico del richiedente, rimesso
dall'amministrazione alla magistratura inquirente, trattandosi di atto non
riservato ai sensi dell'art. 329 c.p.p., emanato nello svolgimento di
attività istituzionale amministrativa (TAR Campania-Salerno, sez. I –
13/01/2020 n. 64);
- che soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria;
- che “tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione
fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da
parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro
confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, L. 07.08.1990, n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, L. n.
241 del 1990” (TAR Sicilia-Palermo, sez. I – 20/05/2020 n. 1006, che evoca
TAR Sicilia-Catania, sez. III – 01/02/2017 n. 229);
- che neppure la relazione del Comune di Bellaria Igea Marina attesta
l’esistenza di un segreto istruttorio collegato a una puntuale statuizione
dell’autorità penale ovvero a un’attività esperita dalla Polizia locale
nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 20.05.2022 n. 427 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza
di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso.
---------------
... per l'annullamento
- del provvedimento n. 22856 del 17.10.2021 notificato in pari
data, con cui è stato comunicato il diniego di accesso agli atti, richiesto
dal ricorrente con nota del 24.09.2021,
- di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali
- nonché per l’accertamento e la declaratoria del diritto d’accesso
e l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti ex art. 116, comma 4,
c.p.a..
...
1. Il ricorrente, nella qualitas di diretto confinante dell’immobile
sito in Gragnano, alla via -OMISSIS-, e di parte civile nel procedimento
penale avanti il Tribunale di Torre Annunziata relativa ad abusi ivi
commessi, in data 23.09.2021 presentava al Comune di Gragnano istanza di
accesso agli atti ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990
s.m.i., avente ad oggetto i seguenti documenti: “verbali di sequestro e
documenti correlati (relazione tecnica, fotografie, misurazioni eseguite)
per abusi commessi all’immobile di via -OMISSIS-, identificato in catasto
coi dati di foglio di -OMISSIS-, a seguito di sopralluoghi dell’Ufficio
controllo sul territorio del Corpo della Polizia Municipale eseguiti negli
anni 2005–2006 per verifiche ai lavori del tetto in secondo piano ed
ampliamenti in primo piano, e nell’anno 2009 a seguito di altro accertamento
sempre per gli stessi immobili.”
1.1. Con provvedimento del 17.10.2021 la intimata Amministrazione negava
l’accesso atteso che: “i controinteressati hanno rappresentato la loro
opposizione all’ostensione adducendo, quale relativa motivazione la
sussistenza di procedimento penale in essere e la loro pertinenza ovvero la
loro acclusione al fascicolo del Pubblico Ministero. Pertanto accertato, a
seguito di verifica di ufficio, che gli atti da ella richiesti pertengono
effettivamente al proc. Pen nr. 2995/2015 R.G.N.R. gli stessi, allo stato,
rimangono sottratti, ex legge dal Diritto D’accesso”.
1.2. Avverso tale diniego insorgeva il ricorrente, rimarcando la propria
legittimazione all’accesso.
...
2. Il ricorso è fondato.
Va in limine rimarcato che la domanda di accesso nuovamente presentata dal
ricorrente in data 23.09.2021 e, quel che più conta, la actio procedimentale
poscia posta in essere dalla civica Amministrazione –all’uopo ritualmente
compulsando anche i controinteressati, al fine di acquisirne la eventuale
opposizione- e la successiva determinazione provvedimentale del 17.10.2021,
valgono ad assorbire e superare la pregressa vicenda procedimentale
conchiusasi con la nota del Comune dell’08.07.2021.
Ciò premesso, valga il rilevare quanto appresso.
2.1. Il ricorrente è costituito quale parte civile nel giudizio R.G.
2995/2015 pendente avanti il Tribunale di Torre Annunziata e avente ad
oggetto gli abusi asseritamente commessi nel 2015 (riguardanti il solo
tetto) dagli odierni controinteressati sull’immobile confinante rispetto
alla sua proprietà
2.1.1. La istanza di accesso che ne occupa -eccitata dalle acquisizioni del
processo penale- ha ad oggetto, per contro, atti afferenti a precedenti
accertamenti compiuti dalla Polizia Municipale di Gragnano negli anni
2005-2006 e 2009, e a diversi abusi (riguardanti vari piani dell’immobile
de quo).
2.1.2. Del resto la inesistenza di detti atti all’interno del fascicolo del
ridetto procedimento penale del 2015 è stata quivi allegata, con un adeguato
principio di prova dalla parte ricorrente (doc. 4, produzione), e non
puntualmente contestata dalle resistenti.
2.1.3. Di qui la persistenza dell’interesse ostensivo del ricorrente, che
non può aliunde –id est, dispiegando le prerogative di parte
di un processo penale- essere soddisfatto.
2.2. Indubbia, d’altra parte, è la legittimazione all’accesso del ricorrente
(ex plurimis, TAR Campania, VI, 12.11.2021, n. 7229), comecché
funzionale:
- all’esercizio delle proprie indefettibili guarentigie di titolare
del diritto dominicale sul bene immobile confinante (art. 42 Cost.);
- a consentire, indi, la verifica della correttezza della posizione
del confinante, e dei lavori da questi eseguiti sotto il profilo edilizio ed
urbanistico.
2.3. La domanda ostensiva -di poi e ad onta di quanto eccepito da parte
resistente- non veicola una pretesa esplorativa.
2.3.1. E’ ben vero, in linea di principio che la domanda di accesso:
- non mai può assumere una generica funzione investigativa, ovvero
“impiegata e piegata a ‘costruire’ ad hoc, con una finalità esplorativa” le
premesse per il disvelamento, ovvero la discovery ex post, di fatti e
circostanze non mai concretamente ed in modo circostanziato rappresentate o
paventate ex ante; “diversamente, infatti, l'accesso documentale
assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché
preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull'attività,
pubblicistica o privatistica, delle pubbliche Amministrazioni” (CdS, a.p.,
10/2020).
- non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti
non specificamente individuati, ovvero formulata in guisa tale da
costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati;
di qui la improponibilità di una istanza di accesso “al buio”, al
fine dichiarato di eventualmente reperire ed individuare nei documenti
richiesti, elementi potenzialmente idonei al soddisfacimento dei fini “investigativi”
(e perciò esplorativi) perseguiti dall’istante (sulla inammissibilità di una
siffatta domanda, TAR Campania, VI, 2318/2021; TAR Lombardia, I, 14.11.2019,
n. 2403; id., 27.08.2018, nn. 2023 e 2024).
2.3.2. E tuttavia, nel caso che ne occupa, la domanda di accesso avanzata
dal ricorrente è puntualmente formulata in relazione:
- alla tipologia dei documenti e delle informazioni (verbali di
sequestro e documenti correlati: relazione tecnica, fotografie, misurazioni
eseguite);
- all’immobile ove sarebbero stati commessi gli abusi (sito in via
-OMISSIS-, identificato in catasto coi dati di foglio di -OMISSIS-);
- alla natura degli asseriti abusi (lavori del tetto in secondo
piano ed ampliamenti in primo piano);
- al tempus in cui si sarebbero formati (anni 2005-2006 e
2009).
2.4. Alla specificità della richiesta di accesso fa da contraltare, di
contro, la genericità e laconicità delle ragioni fondanti il diniego,
siccome di poi adombrate in giudizio e in sede di riscontro ad una
precedente domanda di accesso (nota dell’08.07.2021), consistenti nella
trasmissione di detti atti alla Procura della Repubblica.
2.4.1. La realizzazione delle esigenze conoscitive quivi azionate non è in
concreto preclusa da ragioni di segretezza afferenti a non meglio precisate
indagini e/o procedimenti penali eventualmente in corso.
2.4.2. Non può non rimarcarsi, invero, la evanescenza di una tale ragione
ostativa, afferente alla trasmissione di non meglio precisati atti alla
Procura, mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di
segretezza in relazione a specifici documenti o parti di documenti.
2.4.3. Siccome statuito plurimamente anche da questo TAR (TAR Campania,
01.12.2021, n. 7712; TAR Campania, VI, 14.03.2017, n. 1484) “l'esistenza
di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso”.
2.4.4. E di tali invincibili condizioni legittimanti la esistenza, o
perduranza, del segreto non vi è traccia veruna nell’agere
provvedimentale quivi censurato, né tampoco nelle difese quivi spiegate.
2.4.5. Anche il richiamo all’art. 329 c.p.p., non giova alle tesi delle
parti resistenti, atteso che è la stessa disposizione a prevedere
testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne possa
avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari”.
2.4.6. Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione
puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo
stadio del procedimento penale, tenuto altresì conto che gli atti de
quibus rimontano al 2005-2006 e al 2009, id est ad epoca assai
risalente, rendendo peraltro poco verosimile la perduranza di asserite
indagini preliminari e, con esse ed eventualmente, di ragioni di segretezza
(TAR Campania-Napoli,
sentenza
04.03.2022 n. 1482 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: L’astratta
previsione regolamentare di sottrazione di determinati atti all’accesso non
va intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in
relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra
l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale
riservatezza del soggetto controinteressato.
Sicché, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con
l’ostensione degli atti richiesti, tali profili possano essere adeguatamente
tutelati tramite l’oscuramento.
Non risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti
richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso
comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica,
avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che:
“L'esistenza
di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso. Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990”.
---------------
... per l’accertamento e la dichiarazione
- ex art. 22 ss. l. 241/1990, del diritto di accesso in capo alla
ricorrente e, dunque, alla piena evasione della sua istanza di accesso,
- e per la conseguente condanna del resistente a rilasciare copia
di detti documenti.
...
1) Premesso che:
- a) con istanza del 11.05.2021, parte ricorrente chiedeva
l’accesso agli atti presupposti del provvedimento con cui l’INPS di Lecce
disconosceva determinate giornate di lavoro agricolo, con la dicitura “Disconoscimento
gg. ditta Ma.Co.”;
- b) con pec dell’11.06.2021, l’INPS negava l’accesso perché, ai
sensi dell’art. 16, punto 1, lett. “g”, del regolamento per l’accesso agli
atti (giusta determina n. 366/2021), il verbale di accertamento ispettivo
INPS e gli atti ad esso connessi sono esclusi dall’accesso per motivi
attinenti alla riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese
ed associazioni;
- c) si è costituito in giudizio l’INPS;
- d) alla camera di consiglio del 16.12.2021, la causa è stata
trattenuta in decisione.
2) Rilevato che, con riferimento al suddetto regolamento INPS, la
giurisprudenza (v. TAR Molise, n. 475 del 27.12.2019), ha osservato che:
- a) conformemente all’art. 24 L. n. 241/1990 (secondo cui, in
tutti i casi in cui siano ravvisabili le esclusioni al diritto di accesso
ivi contemplati, resta fermo l’obbligo di ostensione dei documenti “la
cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere propri interessi
giuridici”), l’art. 20 del medesimo regolamento «6.2. […] stabilisce
che l’accesso debba comunque essere consentito rispetto “ai documenti la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere propri interessi
giuridici” (art. 20)»;
- b) «6.3. […] in forza della norma di chiusura di cui all’art.
24, co. 7, l. 241/1990, così come richiamata dall’art. 20 del Regolamento
INPS, la predetta esigenza di tutela [della riservatezza] risulta cedevole
rispetto alla contrapposta esigenza del soggetto datoriale di contestare
utilmente in giudizio le risultanze dell’accertamento ispettivo, a patto che
(e nei limiti in cui) sia ravvisabile la rilevanza delle dichiarazioni in
questione rispetto alla impugnazione del verbale di accertamento (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. III, 10.04.2019 n. 2345)»;
- c) «6.5. Nel contempo, ai fini del necessario bilanciamento
tra i contrapporti interessi, proprio dell’accesso difensivo, è necessario
regolare le concrete modalità della ostensione in modo tale da ridurne al
minimo l’incidenza nella sfera soggettiva dei lavoratori: “Va ammesso
l'accesso alle dichiarazioni dei lavoratori acquisite nel corso
dell'attività ispettiva; l'esigenza specifica di tutelare i lavoratori
contro eventuali comportamenti ritorsivi del datore di lavoro trova
soluzione nella possibilità per l'Istituto di oscurare i riferimenti dei
lavoratori dai provvedimenti rispetto ai quali viene chiesto l'accesso” (TAR
Genova, Sez. II, 02/12/2016 n. 1197)»;
3) Ritenuto –in ragione di quanto in precedenza riportato, da cui il
Collegio non ravvisa motivi per discostarsi– che:
- a) nel caso di specie, sia evidente l’interesse “difensivo” fatto
valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di conoscere gli atti
presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative nei propri
confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e far valere,
se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi competenti (come
specificato nell’istanza di accesso);
- b) il diniego impugnato è, quindi, illegittimo, considerato che
l’astratta previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va
intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in
relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra
l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale
riservatezza del soggetto controinteressato;
- c) qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con
l’ostensione degli atti, tali profili possano essere adeguatamente tutelati
tramite l’oscuramento (come sul punto evidenziato dalla menzionata
giurisprudenza);
- d) non risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti
richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso
comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica,
avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che: “L'esistenza
di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso. Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990” (TAR Palermo, I,
12.10.2020, n. 2057, nonché la giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, quella svolta dall’INPS è un’attività amministrativa,
svolta nell’ambito delle funzioni istituzionali proprie dell’Istituto, con
la conseguenza che, non essendovi atti di indagine penale propriamente
detti, la documentazione raccolta non si sottrae all’accesso;
4) Ritenuto, in conclusione, che il ricorso vada accolto e che, per
l’effetto, vada ordinato all’INPS di Lecce di consentire, entro 30 giorni
dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza, l’accesso agli
atti domandati da parte ricorrente, procedendo all’oscuramento degli
eventuali dati attinenti alla riservatezza di soggetti terzi (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 03.01.2022 n. 8 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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ATTI AMMINISTRATIVI: Inconducenti si appalesano i rilievi del Comune volti ad
accreditare una asserita “irrilevanza” dei documenti richiesti dal
ricorrente rispetto alle
esigenze processuali.
E’ ben vera, infatti, la natura strumentale del “diritto di accesso”
ex lege 241/1990, in quanto situazione giuridica che:
- ex se non garantisce la acquisizione o la conservazione di
beni della vita e, dunque, non assicura al suo titolare il conseguimento di
utilità finali;
- è strumentale, piuttosto, al soddisfacimento (o al miglior
soddisfacimento) di altri interessi giuridicamente rilevanti (diritti o
interessi), rispetto ai quali si pone in posizione ancillare;
- deve essere correlata -in modo diretto, concreto e
attuale- ad
altra “situazione giuridicamente tutelata” (art. 22, comma 1, l. 241/1990 e
la definizione di “interessati” ivi contenuta): non si tratta, dunque, di
una posizione sostanziale autonoma, ma di un potere di natura procedimentale,
funzionale alla tutela di situazioni stricto sensu sostanziali, abbiano esse
consistenza di diritto soggettivo o interesse legittimo.
E, tuttavia, una tale natura strumentale non mai può essere intesa
nel senso di condizionare l’accesso alla valutazione –da parte della
Amministrazione- circa la concreta incidenza e/o rilevanza degli atti
richiesti ai fini del loro utilizzo in una controversia giurisdizionale.
E, invero, è superfluo il rimarcare che una tale valutazione –in
punto di effettiva rilevanza e/o incidenza della documentazione nel
giudizio- pertiene alla competente Autorità giurisdizionale, e non certo
alla Amministrazione, che non potrà che limitarsi alla delibazione circa la
“astratta” attinenza della documentazione richiesta rispetto alla situazione
giuridica vantata dall’ostante e oggetto del contenzioso in essere.
D’altra parte, nella fattispecie in esame, la posizione “conoscitiva”
azionata dalla controinteressata è chiaramente funzionale alla tutela di
altra, diversa, situazione giuridica, afferente al diritto di impresa e alla
libertà di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.) lato sensu
intesi, oltre che alla legittima aspirazione di verificare –come del resto, expressis verbis rappresentato nella istanza di accesso- la correttezza e la
buona fede dell’agere della controparte contrattuale nella fase prodromica
alla stipulazione del contratto di cessione di azienda, onde eventualmente
disvelare eventuali profili di culpa in contrahendo, oltre che la
correttezza dell’agere della Amministrazione.
E tanto basta a disvelare la esistenza di un interesse personale,
attuale e concreto, collegato agli atti, e indi costituivo di una posizione
legittimante.
---------------
Generico è il richiamo effettuato dal Comune, in sede procedimentale ma non mai ripreso in questa sede giurisdizionale, alla
trasmissione di non meglio precisati atti alla Procura, mancando
qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni segretezza in relazione a
specifici documenti o parti di documenti.
Siccome statuito anche da questo TAR “l'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la
non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
Quanto al riferimento all’art. 329 c.p.p. pure effettuato nella nota
di riscontro del 17.06.2021, si osserva che è la stessa norma a
prevedere testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne
possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari”.
Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione
puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo
stadio del procedimento penale.
---------------
... per l'annullamento del diniego parziale del 17.06.2021 e, per quanto di
ragione, del silenzio–rigetto del Comune di Napoli in relazione all'istanza
di accesso rivolta all'Ente il 19.05.2021 con riguardo agli atti ed ai
provvedimenti di séguito specificati e perché sia ordinato
all'amministrazione resistente l'ostensione degli atti ed i documenti
amministrativi di seguito specificati in conseguenza della dichiarazione
della sussistenza del diritto azionato da chi ricorre.
...
1. Con istanza ex art. 22 l. 241/1990 trasmessa al Comune di Napoli in data
19.05.2021 la ricorrente esponeva quanto appresso:
- la No.Bo.Ca. srl. si è resa cessionaria dell’azienda
ubicata in Napoli alla via ... n. 183 giusta contratto a rogito
Notaio ... del Collegio Notarile dei Distretti Riuniti di
Napoli, Torre Annunziata e Nola, del 02.10.2018;
- l’arch. Va.D’An. -all’uopo incaricata della
progettazione esecutiva della ristrutturazione- riscontrava che il progetto
imprenditoriale non poteva essere realizzato in ragione di un abuso edilizio
relativo al soppalco del locale commerciale in questione, oggetto di un
sequestro giudiziario e di un’ordinanza di abbattimento del Comune di Napoli
risalenti addirittura all’anno 2006;
- nel novembre 2020 la Polizia Municipale di Napoli redigeva un “Verbale
di sopralluogo ed accertamento di opere realizzate in difetto di titoli in
Napoli alla via ... n. 183”; dalla disamina dello stato dei luoghi
emergeva quanto segue: il locale in parola è gravato da inesitata
Disposizione Dirigenziale n. 1383 del 05.06.2006 con C.A. n. 208/06 emessa dal SACE del Comune di Napoli ai sensi dell’art. 33 del DPR 380/2001 nei confronti
del precedente conduttore Ma.Fr. nato a Napoli il ... ed ivi
domiciliato alla via ... n. 64 per l’accertata realizzazione di soppalco
di mq 21,00 impostato a mt. 2,35/2,70 dal calpestio ed a mt. 1,70/2,30 dalla
copertura diviso in tre ambienti adibiti a wc;
- di qui l’avvio, da parte dell’ufficio SUAP, del procedimento per
la dichiarazione di inefficacia giuridica della “Segnalazione Certificata di
Inizio Attività (PG/860249 – pratica SUAP n. 14645 del 05/10/2018) relativa
all’attività di somministrazione di bevande (tipologia B)”;
- tanto premesso, la ricorrente instava per l’accesso agli atti e
ai documenti relativi alla liceità edilizia e urbanistica dell’immobile e
quelli afferenti all’attività di somministrazione di bevande in quell’immobile
esercitata dal 2006 ad oggi, nonché quelli eventualmente attestanti la
notifica dell’ingiunzione a demolire ai proprietari dell’immobile, nonché
ogni atto e provvedimento adottato nell’àmbito del procedimento per la
dichiarazione di inefficacia giuridica della Segnalazione Certificata di
Inizio Attività (PG/860249 – pratica SUAP n. 14645 del 05/10/2018), relativa
all’attività di somministrazione di bevande (tipologia B) avviato con
PG/35598 del 15.01.2021 dal SUAP del Comune di Napoli.
1.1. Il Comune riscontrava la istanza con nota del 14 giugno, inviando a
mezzo pec, solo quanto riferibile all’attività esercitata a far data dal
2011 in poi dalla Ma. e Fi. srl. e, successivamente, alla No.Bo.Ca. s.r.l..
1.2. Con pec del 16.06.2021 la ricorrente instava per l’accesso alla
restante documentazione indicata nella primigeni istanza.
1.3. Con atto del 17.06.2021 il Comune negava l’accesso, rappresentando
che “gli atti scaturiti a seguito del sopralluogo sono stati inviati alla
locale Procura della Repubblica e, dunque, non possono essere annoverati tra
quelli amministrativi ostensibili”.
1.4. Avverso i ridetti atti insorge la ricorrente avanti questi TAR,
rimarcando la legittimazione ad accedere agli atti de quibus (a far data dal
2006) atteso che la “situazione di incertezza generata dall’inescusabile
inerzia del Comune di Napoli, nella specie degli Uffici preposti a dar
seguito agli accertamenti che si è appurato risalire al lontano 2006, ha
cagionato e cagiona a tutt’oggi gravissimi nocumenti alla società No.Bo.Ca. srl., che –è evidente– non si sarebbe resa cessionaria
dell’azienda della Ma. & Fi. srl. ove il Comune avesse tempestivamente
dichiarato l’inefficacia delle autorizzazioni che rappresentano presupposto
indefettibile per lo svolgimento dell’attività cui l’odierna istante è
subentrata”, tenuto conto altresì della pendenza di due liti in sede civile
esperite dalla ricorrente contro la società Ma. & Fi. srl. (Tribunale
civile di Napoli, RG. 11196/2019) nonché contro la Comunione Eredi Mi.
(Tribunale civile di Napoli, RG. 25005/2020, RG 33849/2019), proprietaria
del locale commerciale sede dell’attività ceduta.
1.5. Si costituiva il Comune di Napoli, rimarcando la indisponibilità di
alcuni documenti, molto risalenti evidentemente conservati nell’archivio
storico, ad oggi ancora occupato abusivamente da famiglie di senza tetto e
dunque indisponibili per causa di forza maggiore, e depositando nondimeno
ulteriore documentazione.
1.6. La causa, al fine, dopo una ulteriore replica delle ricorrente che
insisteva per la ostensione degli atti indicati ai punti 4, 6 e 7 della
primigenia istanza di accesso, veniva introitata per la decisione all’esito
della udienza camerale del 09.11.2021.
2. Il ricorso è in parte fondato e in parte destinato ad una pronunzia di
cessazione della materia del contendere.
2.1. E, invero, siccome emerge dalle allegazioni e dalla produzione
documentale del Comune resistente:
- quanto alle richieste di cui al punto 7; il provvedimento di
ingiunzione a demolire del soppalco abusivo veniva notificato al solo
responsabile dell’illecito nonché gestore della attività commerciale in data
29.06.2006; nel mentre l’atto di avvio del procedimento volto alla
declaratoria di inefficacia della scia del 2021 non veniva notificato alla
proprietaria dell’immobile de quo.
2.1.1. In relazione a tali allegazioni e attestazioni, indi, può dirsi
soddisfatta, in parte qua, la pretesa ostensiva, con la consequenziale
cessazione della materia del contendere.
2.2. Fondata, di contro, è la domanda per quanto attiene agli ulteriori atti
e documenti indicati nella istanza di accesso, e segnatamente di quelli
enumerati sub 4, 6 e 7 della istanza, oltre al generale obbligo di
ostensione di ogni altro atto e documento in possesso della Amministrazione
e rientrante nel novero di quelli richiesti dalla ricorrente, fatti salvi
ovviamente i documenti già ostesi prima del giudizio e quelli
successivamente quivi prodotti.
2.3. La domanda di accesso, invero, è fondata, tenuto conto della rilevanza
dei documenti de quibus (titoli afferenti alla regolarità edilizia e
urbanistica dell’immobile; autorizzazioni commerciali rilasciate in
relazione ad esso immobile) comecché afferenti all’immobile che ne occupa, la
cui conoscenza si appalesa, indi, strumentale alla tutela dell’interesse
della ricorrente che in quell’immobile esplica la propria attività
commerciale, alla verifica della legittimità e della concreta natura dei
ridetti titoli edilizi e/o commerciali, al fine dichiarato di meglio
lumeggiare:
- la natura ed il momento in cui si sarebbero perpetrati abusi e le
vicende afferenti i provvedimenti di autorizzazione commerciale succedutisi;
- gli eventuali profili di responsabilità, tenuto conto della
attuale pendenza di due giudizi instaurati in sede civile dalla ricorrente
contro la società Ma. & Fi. srl. (Tribunale civile di Napoli, RG.
11196/2019) nonché tra la prima e la Comunione Er.Mi. (Tribunale
civile di Napoli, RG. 25005/2020, RG 33849/2019), proprietaria del locale
commerciale sede dell’attività ceduta.
2.3.1. Inconducenti, di poi, si appalesano i rilievi del Comune volti ad
accreditare una asserita “irrilevanza” dei documenti de quibus rispetto alle
esigenze processuali.
2.3.2. E’ ben vera, infatti, la natura strumentale del “diritto di accesso”
ex lege 241/1990 (CdS, a.p., n. 6/2006), in quanto situazione giuridica che:
- ex se non garantisce la acquisizione o la conservazione di
beni della vita e, dunque, non assicura al suo titolare il conseguimento di
utilità finali;
- è strumentale, piuttosto, al soddisfacimento (o al miglior
soddisfacimento) di altri interessi giuridicamente rilevanti (diritti o
interessi), rispetto ai quali si pone in posizione ancillare (TAR Lombardia,
I, 27.08.2018, n. 2023);
- deve essere correlata -in modo diretto, concreto e
attuale- ad
altra “situazione giuridicamente tutelata” (art. 22, comma 1, l. 241/1990 e
la definizione di “interessati” ivi contenuta): non si tratta, dunque, di
una posizione sostanziale autonoma, ma di un potere di natura procedimentale,
funzionale alla tutela di situazioni stricto sensu sostanziali, abbiano esse
consistenza di diritto soggettivo o interesse legittimo.
2.3.3. E, tuttavia, una tale natura strumentale non mai può essere intesa
nel senso di condizionare l’accesso alla valutazione –da parte della
Amministrazione- circa la concreta incidenza e/o rilevanza degli atti
richiesti ai fini del loro utilizzo in una controversia giurisdizionale.
2.3.4. E, invero, è superfluo il rimarcare che una tale valutazione –in
punto di effettiva rilevanza e/o incidenza della documentazione nel
giudizio- pertiene alla competente Autorità giurisdizionale, e non certo
alla Amministrazione, che non potrà che limitarsi alla delibazione circa la
“astratta” attinenza della documentazione richiesta rispetto alla situazione
giuridica vantata dall’ostante e oggetto del contenzioso in essere.
2.3.5. D’altra parte, nella fattispecie in esame, la posizione “conoscitiva”
azionata dalla controinteressata è chiaramente funzionale alla tutela di
altra, diversa, situazione giuridica, afferente al diritto di impresa e alla
libertà di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.) lato sensu
intesi, oltre che alla legittima aspirazione di verificare –come del resto,
expressis verbis rappresentato nella istanza di accesso- la correttezza e la
buona fede dell’agere della controparte contrattuale nella fase prodromica
alla stipulazione del contratto di cessione di azienda, onde eventualmente
disvelare eventuali profili di culpa in contrahendo, oltre che la
correttezza dell’agere della Amministrazione.
2.3.6. E tanto basta a disvelare la esistenza di un interesse personale,
attuale e concreto, collegato agli atti, e indi costituivo di una posizione
legittimante.
2.4. Generico, poi, è il richiamo effettuato dal Comune, in sede
procedimentale ma non mai ripreso in questa sede giurisdizionale, alla
trasmissione di non meglio precisati atti alla Procura, mancando
qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni segretezza in relazione a
specifici documenti o parti di documenti.
2.4.1. Siccome statuito anche da questo TAR (TAR Campania, VI, 14.03.2017, n. 1484) “l'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la
non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
2.4.2. Quanto al riferimento all’art. 329 c.p.p. pure effettuato nella nota
di riscontro del 17.06.2021, si osserva che è la stessa norma a
prevedere testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne
possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari”. Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione
puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo
stadio del procedimento penale.
2.5. Inconducente, di poi, è la linea difensiva tenuta in questa sede dal
Comune, che:
- si è limitato, poi, ad accampare oggettivi impedimenti alla
inventio e alla materiale adprehensio dei documenti antecedenti al 2011, che
si troverebbero “negli Uffici dell’ex Servizio Commercio, alle Rampe
Brancaccio notoriamente e abusivamente occupati da alcuni nuclei familiari
fin dall’agosto 2013”;
- ha addotto elementi ostativi afferenti, indi, non già alla
certazione del diritto, bensì alla sua materiale attuazione.
2.5.1. Ora, la allegazione di difficoltà materiali “per così dire” in executivis, presuppone logicamente, ancor prima che giuridicamente, il
previo riconoscimento della esistenza del diritto, la cui concreta
attuazione solo si lamenta essere temporaneamente preclusa a cagione di
difficoltà organizzative interne all’apparato amministrativo, e che giammai
possono ritorcersi in danno del consociato, avente diritto (TAR Campania,
VI, 28.07.2020, n. 3363; id., 25.02.2020, n. 859).
2.5.2. Di talché, in coerenza con il tacito assunto della Amministrazione,
va quivi giudizialmente confermata la sussistenza del diritto di accesso
della ricorrente ai documenti de quibus, fatti salvi quelli già esibiti
prima del giudizio e quelli quivi disvelati, di cui al n. 7 della istanza di
accesso, attinenti ai dati sulle notificazioni dei provvedimenti repressivi
del 2006 e relativi alla scia del 2021 nella versione ad oggi vigente (TAR Campania-Napoli,
Sez. VI,
sentenza 01.12.2021 n. 7712 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza
di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in
qualsiasi modo possono risultare connessi con i fatti oggetto di indagine.
Solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da
segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla Polizia
Giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una p.a.
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia
all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'Amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. n.
241 del 1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, stessa
legge.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto
istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i
relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso
ex art. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante
l'attivazione degli strumenti previsti dal c.p.p.
---------------
... per l'annullamento:
- dell'Ordinanza del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di
-OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 04.06.2020, notificata il
05.06.2020, avente ad oggetto: Ordinanza di rimessa in pristino e
demolizione di opere edilizie eseguite in assenza di titolo abilitativo;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso e, in ispecie, del «verbale di “Relazione tecnica di sopralluogo relativa
all'attività di P.G. riferita a violazioni urbanistiche in comune di
-OMISSIS- pressi località “-OMISSIS-, Foglio 7, particella -OMISSIS-”, (prot.
n. -OMISSIS-/2020 depositato agli atti dell'ente), sull'esito del
sopralluogo eseguito in data 07.04.2020 …», richiamato nell'ordinanza n.
-OMISSIS-, non conosciuto nel suo contenuto dal ricorrente in quanto la
visione e il rilascio di copia sono stati espressamente negati anche in sede
di accesso documentale;
- del provvedimento unico n. 4 del 28.07.2020, prot. n. -OMISSIS- del
28.07.2020, recante la “Determinazione motivata di conclusione della
conferenza di servizi – Provvedimento unico n. 4 del 28.07.2020” con il
quale il Responsabile del Suape del Comune di -OMISSIS- «RITENUTO che
sussistano i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione di questo
provvedimento negativo NON AUTORIZZA la ditta -OMISSIS- C.F. -OMISSIS- via
-OMISSIS-09010 -OMISSIS- (SU), come meglio generalizzata nella precedente
sezione A, alla realizzazione del progetto per la realizzazione di un nuovo
ingresso e la recinzione di un lotto, ubicato lungo il proseguo di viale
-OMISSIS- nel Comune di -OMISSIS- nell'immobile sito in Viale -OMISSIS-
s.n.c. Comune -OMISSIS-, distinto al NCT Foglio n. 7 mappale -OMISSIS- come
da elaborati di progetto a firma del Geom. -OMISSIS-, allegati al presente
atto per farne parte integrante e sostanziale» (doc. 2);
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso e, in
particolare, per quanto occorra, del “Parere tecnico NEGATIVO” del Servizio
Tecnico Settore Edilizia Privata del Comune di -OMISSIS- (L.R. n. 24/2016,
art. 37, comma 5 - Direttive in materia di sportello unico per le attività
produttive e per l'edilizia (SUAPE) 2019 Allegato A alla Delib. G.R. n.
49/19 del 05.12.2019), protocollo n. -OMISSIS- del 10.07.2020 (doc. 3);
nonché, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a.,
per la declaratoria dell'illegittimità e l'annullamento:
-
del diniego di accesso di cui alla nota del Responsabile del Servizio
Tecnico del Comune resistente prot. n. -OMISSIS- del 24.07.2020 (doc. 4)
riferito alla visione e al rilascio di copia del verbale di “Relazione
Tecnica di sopralluogo relativa all'attività di P.G. riferita a violazioni
urbanistiche in comune di -OMISSIS- pressi località “-OMISSIS-” foglio 7
part. -OMISSIS- (Prot. N. -OMISSIS-/2020 depositato agli atti dell'Ente),
sull'esito del sopralluogo eseguito in data 07.04.2020 in località
-OMISSIS-, dal quale è emerso che le opere abusive risultano realizzate nel
lotto distinto al N.C.T. foglio 7 mappale -OMISSIS-, consistevano in …
omissis…”, richiesto dal ricorrente con istanza di accesso formulata in data
13.07.2020, prot. Comune -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 14.07.2020
e per l'accertamento:
-
del diritto del ricorrente ad ottenere il rilascio di copia e/o l'esibizione
della documentazione e degli atti richiesti con la suddetta istanza,
e in ogni caso
-
affinché l'Ecc.mo TAR ordini il rilascio e/o l'esibizione del predetto
documento richiesto dal ricorrente.
...
22. Il ricorso è in definitiva infondato e deve essere rigettato.
23. Le spese, stante la particolarità del caso sottoposto al Collegio e la
cessazione della materia del contendere sulla domanda proposta ai sensi
dell’art. 116 c.p.a., in cui il Comune è virtualmente soccombente, possono
essere compensate tra le parti in causa.
24. Va difatti ricordato che l'esistenza di un'indagine penale non implica,
di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in
qualsiasi modo possono risultare connessi con i fatti oggetto di indagine.
Solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da
segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla Polizia
Giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una p.a.
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia
all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'Amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. n.
241 del 1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, stessa
legge.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto
istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i
relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso
ex art. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante
l'attivazione degli strumenti previsti dal c.p.p. (in questo senso, il
condivisibile precedente del TAR Lazio, Roma, sez. II, 02.01.2020, n.
4) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 08.11.2021 n. 760 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: Va
evidenziato, con riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori della
società ricorrente, che secondo un orientamento giurisprudenziale
consolidato l’esclusione dall’accesso delle notizie acquisite nel corso
dell'attività ispettiva prevista dall'art. 2 del D.M. 04.11.1994, n. 757 è
limitata alle ipotesi in cui sussista un effettivo pericolo di pregiudizio
per i lavoratori o per i terzi, sulla base di elementi di fatto concreti.
Pertanto all’amministrazione è rimessa non solo la ponderazione degli
opposti interessi, ma anche la verifica, in concreto, del pericolo di azioni
discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei dichiaranti e che,
conseguentemente, l’ipotesi di cui all'art. 3 del medesimo decreto deve di
regola ritenersi insussistente allorché il rapporto di lavoro con tali
soggetti sia cessato.
Nel caso di specie, l’interesse
difensivo cui l’istanza di accesso è strumentale può esser soddisfatto –per
espressa dichiarazione di parte ricorrente– anche limitando l’ostensione,
ovvero rilasciando le nominate dichiarazioni previa cancellazione di tutti i
dati che possano identificare le persone che li hanno resi.
Né assume rilievo l’obbligo di segreto ex art. 329 c.p.p. per essere i fatti
oggetto degli illeciti amministrativi interessati da una contestuale
indagine penale, obbligo peraltro invocato dall’amministrazione resistente
solo in sede difensiva, atteso che il verbale unico di contestazione
espressamente specifica che non sono state indicate le fonti di prova che
attengono ad attività investigative di natura penale e che le dichiarazioni
dei collaboratori costituiscono documenti utilizzati ai fini dell’attività
amministrativa. La mera trasmissione degli atti al vaglio del giudice
penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi
siano coperti da segreto né che questi siano sottratti all’accesso.
Infatti
“L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli
atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti
dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329
c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24,
1. n. 241 del 1990”.
Conseguentemente, a fronte di un’esigenza di tutela ex articolo 24 della
legge 241/1990 e non essendo configurabile in concreto la causa di esclusione
all’accesso richiamata nel diniego impugnato, il provvedimento
dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro va annullato e, per l'effetto, va
ordinato all'amministrazione resistente di provvedere, ai sensi dell'art.
116, co. 4, c.p.a., al rilascio alla parte ricorrente delle dichiarazioni
acquisite nel corso dell’accesso ispettivo, previamente anonimizzate.
---------------
... per l’accertamento
del diritto ad accedere a tutti gli atti e documenti richiamati:
- nel verbale unico di accertamento e notificazione n.
BS00000/2021-304-01 del 24/05/21,
- nel verbale unico di accertamento e notificazione n.
2021001593/DDL del 24/05/2021,
dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro
di Brescia - processo servizi Utenza;
per l’annullamento
- dei provvedimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro –
Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia - processo servizi Utenza,
entrambi datati 01.07.2021, aventi ad oggetto: «istanza di accesso agli
atti pervenuta in data 17.06.2021 ditta Ci.Wo.Gr. srl», e «istanza di
accesso agli atti pervenuta in data 19.06.2021 ditta Ci.Wo.Gr. srl», con
cui è stato negato l’accesso ai documenti di cui alle citate istanze,
inoltrate a mezzo pec, e in particolare alle dichiarazioni rese dai
collaboratori nel corso dell’accesso ispettivo e ai documenti indicati come
fonte di prova del verbale unico di accertamento e notificazione n.
BS00000/2021-304-01 del 24/05/21 e del verbale unico di accertamento e
notificazione n. 2021001593/DDL del 24/05/2021;
e per la condanna
- dell’Amministrazione a consentire l’accesso richiesto.
...
Ci.Wo.Gr. S.r.l. in data 03.06.2021 si è vista
notificare dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale
del Lavoro di Brescia il verbale unico di accertamento e notificazione n.
BS00000/2021-304-01 del 24/05/21 e il verbale unico di accertamento e
notificazione n. 2021001593/DDL del 24/05/2021 (INPS), all’esito di un
accertamento ispettivo iniziato in data 25/02/2021.
All’esponente sono ivi contestati illeciti amministrativi, in particolare
l’erronea qualificazione giuridica dei contratti di lavoro con alcuni
collaboratori e, per alcuni di essi, l’instaurazione di un rapporto di
lavoro in assenza di comunicazione preventiva di assunzione, con conseguente
applicazione di sanzioni e differenze contributive per l’importo complessivo
di 136.186,65 euro.
Al dichiarato fine di esercitare il proprio diritto di difesa, in data 17.06.2021. la ricorrente ha presentato all’Ispettorato Territoriale del
Lavoro di Brescia istanza di accesso alle dichiarazioni rese dai suoi
collaboratori nel corso dell’accesso ispettivo, evidenziando che per 19 di
essi il rapporto di lavoro è già cessato e per 2 non è mai esistito, nonché
ai documenti indicati dalla ITL quali fonti di prova; quest’ultima richiesta
è stata ribadita con pec del 19 giugno, ove la società ha richiesto di
esercitare il diritto di accesso rispetto agli altri atti e fonti di prova
del procedimento.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro di
Brescia - processo servizi Utenza, con due provvedimenti datati 01.07.2021, ha negato l’accesso ai documenti di cui alle citate istanze.
Per quanto riguarda la richiesta di ostensione delle dichiarazioni rese dai
lavoratori ai sensi dell’art. 13 della L. 689/1981, il diniego è motivato
dall’applicazione dell’articolo 2, comma 1, lettera c), del D.M. 04/11/1994,
n. 757, che sottrae all’accesso “i documenti contenenti notizie acquisite
nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano
derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico
di lavoratori o di terzi”.
Per i restanti documenti richiesti, l’amministrazione ha opposto che gli
stessi non sono stati specificati e individuati singolarmente nell’istanza e
che pertanto la stessa risulta preordinata ad un inammissibile controllo
generalizzato dell’operato dell’amministrazione, vietato dall’art. 24 L.
241/1990.
La ricorrente ha proposto ricorso ai sensi degli articoli 25 della legge
241/1990 e 116 c.p.a. avverso i nominati dinieghi, deducendone
l’illegittimità per:
- violazione dell’articolo 24, comma 7, della legge 241/1990, che garantisce
l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per
curare o difendere i propri interessi giuridici, in ragione dell’imminente
scadenza del termine per ricorrere ex articolo 414 c.p. avanti al giudice
civile e della necessità di presentare già con l’atto di opposizione tutte
le sue difese, evidenziando che la documentazione qui richiesta verrà
comunque integralmente prodotta dall’ITL avanti il Tribunale civile nel caso
proponga ricorso giudiziale, atteso che ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 150/2011 con il decreto di fissazione udienza ex art. 415 c.p.c. il
Giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di
depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia
del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla
contestazione o notificazione della violazione;
- Violazione dell’articolo 3 della legge 241/1990, travisamento di fatto e
di diritto, falsità del presupposto, perché la motivazione del diniego
all’ostensione delle dichiarazioni dei collaboratori non tiene conto del
consolidato orientamento giurisprudenziale che nega la possibilità di
invocare la causa di esclusione di cui al DM 757/1994 per le ipotesi in cui
i rapporti di lavoro siano già interrotti;
- Violazione dell’articolo 3 della legge 241/1990, travisamento di fatto e
di diritto, falsità del presupposto, con riferimento all’istanza di accesso
alle altre fonti di prova, in quanto ancorché i documenti richiesti non
siano stati elencati, gli stessi sono identificabili tramite l’inequivoco
riferimento al verbale unico di accertamento;
- Violazione dell’articolo 1, comma 1, e dell’articolo 3, comma 1 e 3, della
legge 241/1990, perché conclusi gli accertamenti ispettivi, e quindi la fase
sottratta al contraddittorio con il soggetto interessato, deve essere
consentito alla parte che ne è destinataria di valutare la congruità delle
conclusioni sulla base non solo delle motivazioni del provvedimento, ma
anche delle risultanze istruttorie.
La ricorrente ha formulato istanza cautelare, rappresentando l’urgenza di
disporre dei documenti richiesti ai fini di proporre ricorso avanti al
Tribunale civile in ragione dei termini ridotti e della necessità, secondo
il rito del lavoro applicabile alle opposizioni alle ordinanze ingiunzioni
ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 150/2011, di presentare tutte le sue difese già
con l’atto di opposizione.
Con decreto Presidenziale n. 206 di data 12.07.2021 è stato assegnato
all’Amministrazione resistente termine fino alle ore 24.00 del 15.07.2021 per controdedurre sull’istanza cautelare, mediante deposito di memoria
e documenti, riservando all’esito la decisione sull’istanza stessa.
Nel termine assegnato l’Amministrazione ha effettuato una produzione
documentale, ma non ha svolto difese sulla richiesta cautelare; parimenti
con successiva memoria di data 19.07.2021 l’amministrazione non si è
espressa sull’istanza cautelare, ma ha ribadito la legittimità del diniego
all’accesso.
La causa è stata chiamata all’udienza camerale del 29.07.2021.
Nel corso della discussione orale tenutasi da remoto la difesa della società
ricorrente ha confermato l’interesse al ricorso e alla pronuncia
sull’istanza cautelare, chiedendo la definizione del giudizio con sentenza
in forma semplificata e ribadendo che anche il rilascio dei documenti in
forma anonimizzata sarebbe interamente satisfattivo dell’interesse azionato.
Il Collegio ha trattenuto in decisione il ricorso, ritenendo sussistenti i
presupposti per una definizione della controversia con sentenza in forma
semplificata ai sensi degli articoli 60 e 116 c.p.a., considerato che il
contraddittorio si è pienamente spiegato, che la causa è matura per la
decisione, che parte ricorrente ha allegato oggettive ragioni di urgenza.
Il gravame è fondato nei limiti di seguito indicati.
Va evidenziato, con riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori
della società ricorrente, che secondo un orientamento giurisprudenziale
consolidato l’esclusione dall’accesso delle notizie acquisite nel corso
dell'attività ispettiva prevista dall'art. 2 del D.M. 04.11.1994, n.
757 è limitata alle ipotesi in cui sussista un effettivo pericolo di
pregiudizio per i lavoratori o per i terzi, sulla base di elementi di fatto
concreti. Pertanto all’amministrazione è rimessa non solo la ponderazione
degli opposti interessi, ma anche la verifica, in concreto, del pericolo di
azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei dichiaranti e
che, conseguentemente, l’ipotesi di cui all'art. 3 del medesimo decreto deve
di regola ritenersi insussistente allorché il rapporto di lavoro con tali
soggetti sia cessato (Cons. Stato Sez. III, 09.12.2020, n. 7801;
TAR Umbria, Sez. I, 10.02.2020, n. 55).
Nel caso di specie, a fronte di contestazioni che riguardano anche la
sussistenza di rapporti di lavoro non previamente comunicati, l’interesse
difensivo cui l’istanza di accesso è strumentale può esser soddisfatto –per
espressa dichiarazione di parte ricorrente– anche limitando l’ostensione,
ovvero rilasciando le nominate dichiarazioni previa cancellazione di tutti i
dati che possano identificare le persone che li hanno resi, circostanza che
rende irrilevante la sussistenza ab origine ovvero la permanenza di un
rapporto di lavoro degli stessi con la parte ricorrente.
Né assume rilievo l’obbligo di segreto ex art. 329 c.p.p. per essere i fatti
oggetto degli illeciti amministrativi interessati da una contestuale
indagine penale, obbligo peraltro invocato dall’amministrazione resistente
solo in sede difensiva, atteso che il verbale unico di contestazione
espressamente specifica che non sono state indicate le fonti di prova che
attengono ad attività investigative di natura penale e che le dichiarazioni
dei collaboratori costituiscono documenti utilizzati ai fini dell’attività
amministrativa. La mera trasmissione degli atti al vaglio del giudice
penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi
siano coperti da segreto né che questi siano sottratti all’accesso.
Infatti
“L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo
possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti
per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto
possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli
atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti
dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329
c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità
dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento
di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi,
nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24,
1. n. 241 del 1990” (TAR Catania, sez. III, 01/02/2017, n. 229; TAR
Sicilia-Palermo Sez. I, 20/05/2020, n. 1006).
Conseguentemente, a fronte di un’esigenza di tutela ex articolo 24 della
legge 241/1990 e non essendo configurabile in concreto la causa di esclusione
all’accesso richiamata nel diniego impugnato, il provvedimento
ITL_BS.REGISTRO UFFICIALE.2021.0021143 va annullato e, per l'effetto, va
ordinato all'amministrazione resistente di provvedere, ai sensi dell'art.
116, co. 4, c.p.a., al rilascio alla parte ricorrente delle dichiarazioni
acquisite nel corso dell’accesso ispettivo, previamente anonimizzate, entro
cinque giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.
Il ricorso è invece infondato con riguardo alla seconda richiesta formulata
dalla parte ricorrente, riferita ai documenti indicati come fonte di prova,
respinta con provvedimento ITL_BS.REGISTRO UFFICIALE.2021.0021192.
La domanda di accesso ivi formulata infatti è inammissibilmente generica,
laddove non si intenda riferita alle fonti di prova espressamente indicate
dal verbale unico di accertamento e notificazione; queste -peraltro- sono
individuate precisamente in tale atto (pag. 15 e 16) e consistono in
documenti che, ad eccezione delle dichiarazioni rese dai collaboratori, di
cui si è già trattato, sono tutti formati o comunque detenuti dalla stessa
parte ricorrente (visura camerale, comunicazioni inviate al centro per
l’impiego, libro unico del lavoro, verbale di primo accesso ispettivo,
contratti di lavoro stipulati, bonifici emessi dal datore di lavoro,
diffide, libro giornale anno 2019, schede contabili relative alle
“prestazioni occasionali” e alle “ritenute di terzi” (anno 2020), F24 di
pagamento ritenute di acconto, registro delle presenze del mese di febbraio
2021, script di presentazione utilizzato dagli operatori del call center,
DVR datato 26/03/2021), per i quali -quindi- difetta un concreto interesse
all’ostensione.
Conseguentemente la corrispondente domanda di annullamento non può trovare
accoglimento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.07.2021 n. 708 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI: La
giurisprudenza amministrativa è unanime nell’affermare che i consiglieri
comunali vantano un incondizionato diritto di accesso –prevalente anche
sull’eventuale diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del
segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti- a tutti gli atti che possono
essere utili all'espletamento delle loro funzioni.
Ciò anche al fine di valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio oltre che per promuovere, nell'ambito
di quest’ultimo, tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti
del corpo elettorale locale.
Il diritto di cui all’art. 43 citato T.U.E.L. presenta, dunque, una ratio
diversa da quella che contraddistingue l’accesso ai documenti amministrativi
di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 -riconosciuto a chiunque sia
portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l'accesso- in quanto strettamente funzionale all'esercizio del munus pubblico di consigliere comunale e, quindi, alla verifica ed al
controllo dell’operato degli organi decisionali dell'ente locale, quale
espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della
rappresentanza esponenziale della collettività.
Siffatto diritto, quindi, al fine di «evitare che sia la stessa
Amministrazione a diventare arbitro dell'ambito del controllo sul proprio
operato […] non incontra alcuna limitazione in relazione alla eventuale
natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d'ufficio ex art.
622 cod. pen., e alla necessità di fornire la motivazione della richiesta.
In definitiva gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei
consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso
deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli
uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando
tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre
surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso».
Ancor più di recente è stato ribadito che: «La giurisprudenza, con un
sufficiente grado di stabilità, ha ritenuto che i consiglieri comunali hanno
un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere
d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere
di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito
del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti
del corpo elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare
onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente
opinando, sarebbe introdotto una sorta di controllo dell'ente, attraverso i
propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale; dal
termine "utili" contenuto nel prima ricordato art. 43 non può conseguire
alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto
aggettivo servendo in realtà a garantire l'estensione di tale diritto di
accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l'esercizio del mandato.
Ciò in quanto il diritto di accesso del consigliere comunale
non riguarda solamente le competenze attribuite al Consiglio comunale, ma,
essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus
in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di consentire la
valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione
comunale.
Corollario di tale impostazione è che non può essere legittimamente opposto
un diniego sull'istanza di accesso dei consiglieri motivato con riferimento
alla esigenza di assicurare la riservatezza dei dati contenuti nei documenti
richiesti e dunque il diritto alla privacy di soggetti terzi, in quanto, con
riguardo all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale
esigenza è salvaguardata dall'art. 43, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 267
del 2000, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono
sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi.
La natura del diritto (soggettivo pubblico) di accesso dei consiglieri
comunali e le prerogative allo stesso connesse comporta, per un'esigenza di
coerenza dell'ordinamento, riflessi anche sul piano processuale, invero in
poche occasioni approfonditi in sede applicativa, ma che inducono a
condividere l'assunto dell'appellante, secondo cui nella materia
dell'accesso dei consiglieri comunali non è configurabile una posizione di
controinteresse in capo al soggetto portatore dell'interesse alla
riservatezza.
Si intende cioè osservare che, non contemplando il diritto di accesso del
consigliere comunale i vincoli e le limitazioni previsti dalla disciplina
generale di cui alla legge n. 241 del 1990 (ed in particolare quelli
relativi alla riservatezza dei terzi), neppure in sede processuale assume
rilievo la posizione del terzo che potrebbe opporsi all'accesso, e pertanto
non è configurabile alcun controinteressato».
...
L’applicazione dei principi testé esposti al caso in esame conduce
all’accertamento giurisdizionale del diritto degli odierni ricorrenti ad
avere accesso, per come dagli stessi richiesto, a tutti gli atti e documenti
di cui ai fascicoli edilizi, di condono edilizio e di vigilanza edilizia
relativi al complesso immobiliare di proprietà -OMISSIS-, in Catasto al
-OMISSIS-, -OMISSIS-, in quanto oggetto di una segnalazione in ordine a
possibili abusi e ciò allo scopo di vigilare in ordine alla correttezza
dell’attività amministrativa fin qui posta in essere.
L’istanza ostensiva in parola, oltre a soddisfare la ratio legis sottesa
all’art. 43, comma 2, citato T.U.E.L. è, inoltre, assentibile anche in quanto
precisa, puntuale e, come tale, non comportante alcun aggravio per gli
uffici comunali i quali ben possono –rectius devono- evaderla senza alcun
differimento di sorta.
Il sostanziale rifiuto di evadere la richiesta ostensiva in questione non
può, peraltro, trovare giustificazione nell’asserita esistenza -peraltro
evidenziata soltanto in giudizio dalla difesa dell’ente– del segreto
istruttorio di cui all’art. art. 329, comma 1, c.p.p.
Ed invero, innanzitutto, dalla produzione documentale agli atti del giudizio
si evince la mera pendenza, avuto riguardo al compendio immobiliare
-OMISSIS-, di un procedimento di vigilanza urbanistico-edilizia, azionato
dall’Ufficio Tecnico comunale in sinergia con la Polizia Municipale,
rientrante nell’ordinaria sfera di competenza dell’ente locale, secondo
quanto disposto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale:
«Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita,
anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti
dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio
comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi».
Risulta, inoltre, che l’amministrazione stia valutando le risultanze di
siffatta attività di vigilanza a valle della quale redigerà una
relazione finale in cui darà conto degli eventuali abusi riscontrati e
dell’eventuale rilevanza penale degli stessi, con i connessi obblighi di
informazione nei confronti dell’Autorità Giudiziaria penale.
L’attività di vigilanza in parola, non essendo qualificabile in termini
di attività di indagine penale, tale dovendosi ritenere, a mente dell’art.
329 c.p.p., esclusivamente quella compiuta dal “pubblico ministero e dalla
polizia giudiziaria”, è doverosamente ostensibile, per le ragioni sopra
esposte, nei confronti dei consiglieri comunali istanti.
A tale conclusione si dovrebbe giungere anche nel caso in cui, a valle della
chiusura di siffatto procedimento amministrativo di vigilanza, l’ente
dovesse determinarsi a trasmettere all’Autorità Giudiziaria Penale i
relativi atti istruttori e provvedimentali, successivamente adottati.
Ed invero, l’eventuale migrazione di tali atti nel fascicolo del
procedimento penale che dovesse essere, conseguentemente, avviato non
sarebbe idonea a modificare la natura “amministrativa” degli accertamenti
compiuti dall’ente i quali, non essendo stati realizzati né dal pubblico
ministero né dalla polizia giudiziaria, continuerebbero a rimanere
ostensibili dal Comune anche in pendenza di siffatto procedimento penale,
giacché non “coperti” dal cd. segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p.
Quanto sopra trova riscontro in quel condivisibile orientamento anche di
questo Tribunale, secondo cui «L'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990"».
---------------
... per l’annullamento:
- della nota prot. n. 9372 del 22.02.2021, a firma del Dirigente
Arch. Ma. Di St., di diniego dell'istanza di accesso agli atti;
- della nota prot. n. 10003 del 24.02.2021 a firma del Dirigente
Arch. Ma. Di St., di diniego dell'istanza di accesso agli atti e di
conclusione del procedimento.
per l'accertamento:
- dell’illegittimità del diniego di accesso agli atti;
e per la condanna:
- dell'Amministrazione intimata a consentire l'accesso mediante
visione ed estrazione di copie di atti e documenti relativi alla richiesta
formulata in data 18.11.2020, prot. n. 52706.
...
1. Con ricorso tempestivamente notificato e depositato in data 24.03.2021, i ricorrenti, nella espressa qualità di consiglieri comunali del
Comune di Cerveteri, mercé l’impugnazione delle note comunali in epigrafe
indicate, di contenuto sostanzialmente reiettivo, hanno chiesto
l’accertamento giurisdizionale del proprio diritto ad avere accesso, ai
sensi dell’art. 43, comma 2, D.lgs. n. 267/2002, ai documenti amministrativi
appresso indicati, relativi a taluni interventi edilizi, residenziali e non,
insistenti nel territorio comunale di Cerveteri, in area contraddistinta al
-OMISSIS-, -OMISSIS-(località -OMISSIS- di -OMISSIS-) di proprietà della
famiglia -OMISSIS-, in quanto oggetto di segnalazioni anonime che ne
denunciano il carattere abusivo:
1) Visura e copia conforme originale della regolare licenza di
costruzione degli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come
da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
2) Visura e copia conforme originale di eventuale condono o condoni
inerenti gli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come
da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
3) Visura e copia conforme originale di eventuali verbali di
sopralluogo della polizia edilizia (Polizia locale), avvenuto accertamento,
sanzioni e ordinanze con relativa trasmissione alle Autorità di competenza
inerenti ai presunti abusi edilizi, riguardanti varie costruzioni
residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di
-OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina
allegata alla segnalazione denuncia);
4) Visura e copia conforme originale di eventuali procedure e
azioni finalizzate alla demolizione e/o all’acquisizione al Patrimonio
Pubblico, messe in atto dal competente Ufficio Urbanistica e dalla Polizia
Locale di Cerveteri, inerenti i presunti abusi edilizi riguardanti varie
costruzioni residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come
da piantina in allegato presente nella pervenuta segnalazione denuncia);
5) Visura e copia conforme originale, se esistenti, di eventuali
ordinanze, procedure, denunce, atti e/o azioni con i quali, a fronte della
eventuale constatazione di presunti abusi edilizi, riguardanti varie
costruzioni residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri, sono
stati perseguiti gli eventuali responsabili debitamente individuati dai
soggetti coinvolti e dalle competenti Autorità.
2. A fronte dell’istanza in parola, l’amministrazione comunale forniva ai
ricorrenti dati ed informazioni ritenuti parziali rispetto all’oggetto di
ostensione.
Più precisamente, a mezzo pec del 24.02.2021, il Responsabile della
Polizia Municipale informava i ricorrenti che gli accertamenti in ordine a
possibili violazioni della vigente disciplina urbanistico-edilizia nell’area
del territorio comunale attenzionata erano ancora in corso e che si era in
attesa che l’Ufficio Tecnico, a valle dell’attività di vigilanza, redigesse
una relazione finale ricognitiva dell’esistenza di eventuali abusi che, ove
esistenti, sarebbero stati perseguiti, mediante l’adozione delle correlate
misure di cui gli istanti sarebbero stati informati.
3. Il gravame risulta affidato a plurimi motivi di diritto, tutti
sostanzialmente tendenti all’affermazione del proprio diritto, nella qualità
di consiglieri comunali, ad avere accesso incondizionato a tutti gli atti
richiesti, attinenti la realizzazione di possibili abusi edilizi, in quanto
utili all’espletamento del loro mandato, anche al fine di vigilare sulla
correttezza, trasparenza ed efficienza dell’agere dell’ente locale, secondo
quanto previsto dall’art. 43, comma 2, D.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.).
4. Il Comune di Cerveteri ha resistito al gravame mediante articolate
deduzioni difensive, tendenti a contestare il diritto dei ricorrenti ad
avere accesso agli atti dei fascicoli edilizi relativi agli interventi
attenzionati dall’amministrazione, all’uopo opponendo, per un verso,
l’inesistenza di parte della documentazione richiesta, avuto specifico
riguardo alle misure sanzionatorie eventualmente già adottate, e, per
l’altro, il segreto istruttorio cui sarebbero tenuti la Polizia Municipale e
l’Ufficio Urbanistica in relazione agli accertamenti in corso.
5. In data 21.05.2021, la difesa dell’ente ha depositato nota prot. n. 25063
del 20.05.2021, con cui il Comandante della Polizia Municipale ha notiziato
i ricorrenti in ordine alle date dei sopralluoghi effettuati, congiuntamente
a personale dell’Ufficio Tecnico, presso il complesso edilizio di proprietà
-OMISSIS-, tra i -OMISSIS-, ribandendo il differimento dell’accesso
all’esito dell’elaborazione delle relative risultanze che sarebbero state
compendiate nella “specifica relazione tecnica” finale.
6. In occasione della camera di consiglio dell’01.06.2021, in vista della
quale i ricorrenti hanno insistito nelle proprie richieste ostensive,
ritenendole non soddisfatte dalle comunicazioni interlocutorie inoltrate
dall’amministrazione, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Il ricorso è fondato.
8. L’accertamento del diritto dei consiglieri comunali, odierni ricorrenti,
ad avere accesso a tutti gli atti e documenti amministrativi richiesti, di
fatto coincidenti con tutti quelli inerenti i fascicoli edilizi, di condono
edilizio nonché di vigilanza edilizia relativi agli edifici di proprietà
-OMISSIS-, insistenti sull’area contraddistinta in Catasto al -OMISSIS-,
-OMISSIS- del territorio comunale di Cerveteri, passa dalla preliminare
ricognizione della ratio sottesa alla disposizione normativa di cui all’art.
43, comma 2, D.lgs. n. 267/2000, a norma della quale «I consiglieri comunali e
provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del
comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti,
tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento
del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente
determinati dalla legge».
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, è
unanime nell’affermare che i consiglieri comunali vantano un incondizionato
diritto di accesso –prevalente anche sull’eventuale diritto alla
riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del
segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti- a tutti gli atti che possono
essere utili all'espletamento delle loro funzioni.
Ciò anche al fine di valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio oltre che per promuovere, nell'ambito
di quest’ultimo, tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti
del corpo elettorale locale.
8.1 Il diritto di cui all’art. 43 citato T.U.E.L. presenta, dunque, una ratio
diversa da quella che contraddistingue l’accesso ai documenti amministrativi
di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 -riconosciuto a chiunque sia
portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l'accesso- in quanto strettamente funzionale all'esercizio del munus pubblico di consigliere comunale e, quindi, alla verifica ed al
controllo dell’operato degli organi decisionali dell'ente locale, quale
espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della
rappresentanza esponenziale della collettività.
Siffatto diritto, quindi, al fine di «evitare che sia la stessa
Amministrazione a diventare arbitro dell'ambito del controllo sul proprio
operato […] non incontra alcuna limitazione in relazione alla eventuale
natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d'ufficio ex art.
622 cod. pen., e alla necessità di fornire la motivazione della richiesta.
In definitiva gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei
consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso
deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli
uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in
richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando
tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e
approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre
surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso» (così TAR
Sicilia, Catania, sez. I, 04/05/2020, n. 926; cfr. anche, TAR Piemonte,
Torino, sez. II, 01/03/2021, n. 215; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I,
20/01/2020, n. 16).
Ancor più di recente è stato ribadito che: «La giurisprudenza, con un
sufficiente grado di stabilità, ha ritenuto che i consiglieri comunali hanno
un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere
d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere
di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato
dell'amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle
questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito
del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti
del corpo elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può
gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso,
atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotto una sorta di controllo
dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del
consigliere comunale; dal termine "utili" contenuto nel prima ricordato art.
43 non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri comunali, detto aggettivo servendo in realtà a garantire
l'estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per
l'esercizio del mandato (così, tra le tante, Cons. Stato, V, 17.09.2010, n. 6963).
Ciò in quanto il diritto di accesso del consigliere comunale
non riguarda solamente le competenze attribuite al Consiglio comunale, ma,
essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus
in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di consentire la
valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione
comunale.
Corollario di tale impostazione è che non può essere legittimamente opposto
un diniego sull'istanza di accesso dei consiglieri motivato con riferimento
alla esigenza di assicurare la riservatezza dei dati contenuti nei documenti
richiesti e dunque il diritto alla privacy di soggetti terzi, in quanto, con
riguardo all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale
esigenza è salvaguardata dall'art. 43, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 267
del 2000, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono
sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi (Cons. Stato, V, 11.12.2013, n. 5931).
La natura del diritto (soggettivo pubblico) di accesso dei consiglieri
comunali e le prerogative allo stesso connesse comporta, per un'esigenza di
coerenza dell'ordinamento, riflessi anche sul piano processuale, invero in
poche occasioni approfonditi in sede applicativa, ma che inducono a
condividere l'assunto dell'appellante, secondo cui nella materia
dell'accesso dei consiglieri comunali non è configurabile una posizione di
controinteresse in capo al soggetto portatore dell'interesse alla
riservatezza.
Si intende cioè osservare che, non contemplando il diritto di accesso del
consigliere comunale i vincoli e le limitazioni previsti dalla disciplina
generale di cui alla legge n. 241 del 1990 (ed in particolare quelli
relativi alla riservatezza dei terzi), neppure in sede processuale assume
rilievo la posizione del terzo che potrebbe opporsi all'accesso, e pertanto
non è configurabile alcun controinteressato» (così Consiglio di Stato sez.
V, 19/04/2021, n. 3161).
9. L’applicazione dei principi testé esposti al caso in esame conduce
all’accertamento giurisdizionale del diritto degli odierni ricorrenti ad
avere accesso, per come dagli stessi richiesto, a tutti gli atti e documenti
di cui ai fascicoli edilizi, di condono edilizio e di vigilanza edilizia
relativi al complesso immobiliare di proprietà -OMISSIS-, in Catasto al
-OMISSIS-, -OMISSIS-, in quanto oggetto di una segnalazione in ordine a
possibili abusi e ciò allo scopo di vigilare in ordine alla correttezza
dell’attività amministrativa fin qui posta in essere (in tema di accesso dei
consiglieri comunali agli atti di cui alle pratiche edilizie, si veda TAR
Puglia, Bari, sez. III, 04/06/2019, n. 795).
10. L’istanza ostensiva in parola, oltre a soddisfare la ratio legis sottesa
all’art. 43, comma 2, citato T.U.E.L. è, inoltre, assentibile anche in quanto
precisa, puntuale e, come tale, non comportante alcun aggravio per gli
uffici comunali i quali ben possono –rectius devono- evaderla senza alcun
differimento di sorta.
Il sostanziale rifiuto di evadere la richiesta ostensiva in questione non
può, peraltro, trovare giustificazione nell’asserita esistenza -peraltro
evidenziata soltanto in giudizio dalla difesa dell’ente– del segreto
istruttorio di cui all’art. art. 329, comma 1, c.p.p.
Ed invero, innanzitutto, dalla produzione documentale agli atti del giudizio
si evince la mera pendenza, avuto riguardo al compendio immobiliare
-OMISSIS-, di un procedimento di vigilanza urbanistico-edilizia, azionato
dall’Ufficio Tecnico comunale in sinergia con la Polizia Municipale,
rientrante nell’ordinaria sfera di competenza dell’ente locale, secondo
quanto disposto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale:
«Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita,
anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti
dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio
comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi».
Risulta, inoltre, che l’amministrazione stia valutando le risultanze di
siffatta attività di vigilanza, espletata nel corso dei sopralluoghi del
18.02.2021, 04.03.2001 e 20.05.2001, a valle della quale redigerà una
relazione finale in cui darà conto degli eventuali abusi riscontrati e
dell’eventuale rilevanza penale degli stessi, con i connessi obblighi di
informazione nei confronti dell’Autorità Giudiziaria penale.
10.1 L’attività di vigilanza in parola, non essendo qualificabile in termini
di attività di indagine penale, tale dovendosi ritenere, a mente dell’art.
329 c.p.p., esclusivamente quella compiuta dal “pubblico ministero e dalla
polizia giudiziaria”, è doverosamente ostensibile, per le ragioni sopra
esposte, nei confronti dei consiglieri comunali istanti.
A tale conclusione si dovrebbe giungere anche nel caso in cui, a valle della
chiusura di siffatto procedimento amministrativo di vigilanza, l’ente
dovesse determinarsi a trasmettere all’Autorità Giudiziaria Penale i
relativi atti istruttori e provvedimentali, successivamente adottati.
Ed invero, l’eventuale migrazione di tali atti nel fascicolo del
procedimento penale che dovesse essere, conseguentemente, avviato non
sarebbe idonea a modificare la natura “amministrativa” degli accertamenti
compiuti dall’ente i quali, non essendo stati realizzati né dal pubblico
ministero né dalla polizia giudiziaria, continuerebbero a rimanere
ostensibili dal Comune anche in pendenza di siffatto procedimento penale,
giacché non “coperti” dal cd. segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p.
Quanto sopra trova riscontro in quel condivisibile orientamento anche di
questo Tribunale, secondo cui «L'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990" (TAR Catania,
(Sicilia) sez. III, 01/02/2017, n. 229)» (così TAR Lazio-Roma, sez. II,
02/01/2020, n. 4).
11. Sulla scorta delle superiori considerazioni, il ricorso è fondato, con
conseguente accertamento del diritto dei consiglieri comunali ricorrenti ad
avere visione ed estrarre copia degli atti e documenti richiesti con
l’istanza del 18.11.2020, prot. n. 52706 appresso indicati, ove esistenti:
- Visura e copia conforme originale della regolare licenza di
costruzione degli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come
da piantina allegata pervenuta segnalazione denuncia);
- Visura e copia conforme originale di eventuale condono o condoni
inerenti gli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località
-OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come
da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
- Visura e copia conforme all’originale di tutti i verbali relativi
ai sopralluoghi fin qui posti in essere presso gli immobili realizzati sulla
-OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di
-OMISSIS- del Comune di Cerveteri, allo stato indicati dal Comune in
relazione degli accessi del 18.02.2021; 04.03.2021 e 20.05.2021, e di quelli
eventualmente a venire.
Con espressa declaratoria del diritto dei ricorrenti ad avere copia, già
richiesta, della relazione conclusiva che verrà elaborata a chiusura della
suddetta attività di vigilanza edilizia nonché degli eventuali provvedimenti
repressivo-sanzionatori che l’amministrazione ritenesse di adottare, con
eventuale nota di trasmissione alle Autorità di competenza.
11.2 Va, dunque, ordinato al Comune di Cerveteri di esibire gli atti sopra
indicati, anche mediante estrazione di copia, nel termine di trenta giorni
dalla comunicazione e/o notificazione, se anteriore, della presente sentenza
ovvero dall’intervenuta formazione degli stessi (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-quater,
sentenza 21.06.2021 n. 7338 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso
ai documenti già trasmessi all’autorità giudiziaria penale.
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Accesso ai documenti – Diritto - Documenti già trasmessi all’autorità
giudiziaria penale – Accessibilità.
E’ illegittimo il diniego di ostensione di documento
o registrazioni audio motivata sul rilievo che gli stessi sono stati già
acquisti dalla autorità giudiziaria ai quali possono essere chiesti
attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro settore regolatorio,
e ciò in quanto l’art. 2, l. n. 241 del 1990 non contempla tra i casi di
esclusione del diritto di accesso, la contemporanea detenzione del documento
da parte di altra amministrazione o autorità dello Stato (1).
---------------
(1) Ha chiarito il Tar che qualora un atto o documento la cui
visione sia strumentale alla tutela di una posizione giuridicamente
rilevante ai sensi della l. n. 241 del 1990, formi oggetto anche di
disciplina –e tutela, nella ricorrenza delle relative condizioni– in altri
rami del diritto, nei quali l’accesso è sottoposto a differente
regolamentazione e a presupposti e condizioni differenti, l’amministrazione
detentrice del medesimo atto assoggettata all’accesso ex l. n. 241 del 1990,
non può sottrarsi ai suoi obblighi di ostensione (ove predicabili a termini
degli artt. 22, ss. l. cit.) solo perché l’atto stesso formi oggetto anche
di tutela e disciplina in altri ambiti dell’ordinamento.
Ambedue i settori dell’ordinamento disciplinano, infatti, autonomamente il
diritto di accesso sulla base di regole proprie che ammettono o escludono il
diritto di accedere al medesimo documento, senza reciproche interferenze o
ingerenze poiché quelle regole, interne a ciascuno dei due settori
ordinamentali di disciplina del diritto di accesso, costituiscono due
distinti ed indipendenti microcosmi.
La ragione che sottende la previsione, in ciascun settore, di distinte e
parallele regolamentazioni dell’accesso allo stesso documento o atto,
risiede nel fatto che esso presenta diversi livelli di interesse per
l’ordinamento giuridico, il quale proprio in ragione della contestuale
rilevanza del documento nei due distinti settori, contempla e detta due
autonome regolamentazioni delle condizioni, dei presupposti e delle
esclusioni del diritto di accedere al medesimo atto, senza che, tuttavia,
l’ordinamento avverta l’esigenza di consentire l’esercizio del diritto
stesso in via alternativa, imponendo, cioè, al privato di avvalersi dell’uno
o dell’altro canale ordinamentale per accedere al medesimo documento.
L’esistenza di due diversi settori di regolamentazione dell’accesso al
medesimo documento è, infatti, indice della contemporanea rilevanza dello
stesso documento (e degli interessi che l’esercizio di esso involge) per i
due settori ordinamentali, non certo della vicendevole esclusione dei due
livelli di tutela di modo che l’amministrazione possa negare il diritto di
accesso ex art. 22, l. n. 241 del 1990 perché il documento è accessibile al
privato interessato attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro
settore regolatorio.
Il plesso normativo definito agli artt. 22 e seguenti della legge sul
procedimento –e relativi regolamenti attuativi– si connota infatti per
autosufficienza regolatoria: non può, invero, la p.a. opporre al privato,
per l’accesso ad un atto da essa formato o detenuto, la concomitante
previsione di un differente e parallelo corpus di disciplina, del diritto
d’accesso allo stesso documento, dettato da un altro settore ordinamentale.
L’ammissione o l’esclusione del diritto di accedere a un documento vanno
infatti rinvenute interamente nel corpus normativo del Capo V della l.
07.08.1990, n. 241, il quale come precisato, è caratterizzato da un
principio che può essere definito di autosufficienza regolatoria, nel senso
che la regula iuris in forza della quale consentire o escludere il
diritto all’accesso va ricercata unicamente nelle disposizioni dettate dagli
artt. 22 e ss. della legge; nei quali, invero non è menzionata, tra le
ipotesi di esclusione del diritto di accesso contemplate all’art. 24
dedicato appunto alla “Esclusione del diritto di accesso” l’esistenza
di una parallela previsione di altro ramo dell’ordinamento del diritto di
accedere allo stesso documento.
La Sezione ha quindi concluso che non può l’amministrazione detentrice del
documento oggetto della richiesta di accesso del privato, nella specie la
RAI, opporre che quel documento –nella specie la fonoregistrazione- è stato
acquisito dall’autorità giudiziaria requirente o ad essa trasmesso, alla
quale quindi l’istante debba rivolgersi assoggettandosi conseguentemente
alla regolamentazione dettata dal Codice di procedura penale, che consente
all’indagato di accedere agli atti del fascicolo del pubblico ministero solo
dopo la chiusura delle indagini e il relativo avviso (art. 415-bis c.p.) e
alla persona offesa dal reato dopo la presentazione della richiesta di
archiviazione e il relativo avviso (art. 408, comma 3, c.p.p.).
Non risulta infatti, ad avviso della Sezione, condivisibile, ad attento
esame del disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 24, l. n. 241 del 1990
l’orientamento non recente della giurisprudenza, secondo cui “non sono
ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative
penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in
corso, etc. in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e
rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente
procedente (Cfr., da ultimo
Tar Palermo n. 60 del 18.01.2005)” (Tar
Lazio, sez. II-quater, 14.05.2007, n. 4346).
Invero, l’esclusione del diritto di accesso nelle ipotesi indicate dall’art.
24, comma 6, e disciplinate con l’apposito regolamento governativo da esso
previsto, qualora i documenti costituiscano oggetto di indagine penale
(ipotesi indicata alla lett. c) del comma 6 in esame) è già contemplata, a
mente di tale comma, in ben definiti termini restrittivi, vale a dire “quando
i documenti riguardino…le azioni strettamente strumentali alla tutela
dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità
con particolare riferimento alle tecniche investigative (…), all’attività di
polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Posta siffatta regola di esclusione, già enunciata in termini di stretta
strumentalità all’identità delle fonti di informazione e all’attività di
polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, il successivo comma 7
dell’art. 24, l. n. 241 del 1990, contrappone comunque a tale già tassativa
esclusione, una rilevante eccezione, prevedendola come operante in via
generale ogni qualvolta la conoscenza dei documenti amministrativi sia
necessaria per curare o difendere interessi giuridici dei richiedenti
l’accesso (TAR Lazio-Roma, Sez.
III,
sentenza 07.06.2021 n. 6756 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
3. Sintetizzando il contenuto dell’istanza di accesso all’esame del
Collegio, può precisarsi che con essa il dott. -OMISSIS- chiedeva che gli
venisse dato accesso:
- al testo della registrazione audio (che gli è stata fatta
meramente, senza preavviso e solo per una volta, ascoltare dal Dott.
-OMISSIS-, suo -OMISSIS- -OMISSIS-, nel corso dell’incontro del 16.10.2019),
con la quale è stata carpita da qualcuno, a sua insaputa e quindi ovviamente
senza il suo consenso, e poi sempre abusivamente inoltrata al Dott.
-OMISSIS-, una conversazione del 10.10.2019 in cui lo stesso Dott.
-OMISSIS-, nei locali della Redazione RAI in cui presta servizio, parlava
del suo -OMISSIS-, criticandone l’operato in relazione ad uno specifico
episodio lavorativo;
- alla nota scritta che il Dott. -OMISSIS-, nella sua qualità di
-OMISSIS- della testata RAI cui il Dott. -OMISSIS- appartiene, ha redatto in
relazione a tale registrazione audio ed inviato ai competenti Organi della
RAI;
- ad ogni altro eventuale documento, ad uso sia interno sia
esterno, che la RAI abbia formato in relazione all’episodio in questione.
3.1. Conviene anticipare che trattasi di atti che si connotano per una
indubbia inerenza e attinenza nonché per un immediato collegamento con
profili organizzativi della gestione del servizio pubblico televisivo,
contrariamente a quanto la difesa della RAI ha sostenuto nella memoria
difensiva prodotta il 28.12.2020 nonché nel corso della discussione di
Camera di consiglio svoltasi in videoconferenza da remoto.
Il che ad avviso del Collegio impone l’accoglimento del ricorso anche a
voler seguire la riduttiva e restrittiva opzione che la RAI propugna in
ordine all’interpretazione della condizione limitante l’assoggettamento dei
soggetti privati alla disciplina dell’accesso per via dell’assimilazione dei
medesimi alle pubbliche amministrazioni disegnata all’art. 22, co. 1, lett.
e), della l. 07.08.1990, n. 241.
Alle argomentazioni che seguono è affidata la compiuta illustrazione delle
ragioni di diritto, con richiamo alle notazioni di fatto appuntate sul
contenuto dell’istanza per cui è causa, che inducono alla formulazione della
tratteggiata conclusione.
4. Deve anzitutto essere chiarito che il diritto di accesso ai documenti e
agli atti formati o stabilmente detenuti da una pubblica amministrazione o
da un privato gestore di un pubblico servizio non può ritenersi a priori
escluso o da escludere qualora l’ordinamento giuridico complessivamente
considerato appresti, in altri settori, strumenti paralleli ed alternativi,
retti da apposite regole, che prevedano il diritto per il privato di
accedere agli atti che lo interessano, stabilendo all’uopo condizioni e
presupposti, di talché possa fondatamente sostenersi che egli, ove l’accesso
ad essi cada sotto la disciplina di quel determinato ordinamento, sia tenuto
ad azionare il diritto d’accesso sulla base di tale specifica disciplina di
settore e non possa, quindi, avvalersi del diritto d’accesso normato dagli
artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990.
Qualora, infatti, un atto o documento la cui visione sia strumentale alla
tutela di una posizione giuridicamente rilevante ai sensi della l. n.
241/1990, formi oggetto anche di disciplina -e tutela, nella ricorrenza
delle relative condizioni– in altri rami del diritto, nei quali l’accesso è
sottoposto a differente regolamentazione e a presupposti e condizioni
differenti, l’amministrazione detentrice del medesimo atto assoggettata
all’accesso ex l. 241/1990, non può sottrarsi ai suoi obblighi di ostensione
(ove predicabili a termini degli artt. 22, ss. l. cit.) sol perché l’atto
stesso formi oggetto anche di tutela e disciplina in altri ambiti
dell’ordinamento.
4.1. Ambedue i settori dell’ordinamento disciplinano, infatti, autonomamente
il diritto di accesso sulla base di regole proprie che ammettono o escludono
il diritto di accedere al medesimo documento, senza reciproche interferenze
o ingerenze poiché quelle regole, interne a ciascuno dei due settori ordinamentali di disciplina del diritto di accesso, costituiscono due
distinti ed indipendenti microcosmi.
La ragione che sottende la previsione, in ciascun settore, di distinte e
parallele regolamentazioni dell’accesso allo stesso documento o atto,
risiede nel fatto esso presenta diversi livelli di interesse per
l’ordinamento giuridico, il quale proprio in ragione della contestuale
rilevanza del documento nei due distinti settori, contempla e detta due
autonome regolamentazioni delle condizioni, dei presupposti e delle
esclusioni del diritto di accedere al medesimo atto, senza che, tuttavia,
l’ordinamento avverta l’esigenza di consentire l’esercizio del diritto
stesso in via alternativa, imponendo, cioè, al privato di avvalersi dell’uno
o dell’altro canale ordinamentale per accedere al medesimo documento.
L’esistenza di due diversi settori di regolamentazione dell’accesso al
medesimo documento è, infatti, indice della contemporanea rilevanza dello
stesso documento (e degli interessi che l’esercizio di esso involge) per i
due settori ordinamentali, non certo della vicendevole esclusione dei due
livelli di tutela di modo che l’amministrazione possa negare il diritto di
accesso ex art. 22, l. n. 241/1990 perché il documento è accessibile al
privato interessato attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro
settore regolatorio.
4.2. Il plesso normativo definito agli artt. 22 e seguenti della legge sul
procedimento –e relativi regolamenti attuativi– si connota infatti per
autosufficienza regolatoria: non può, invero, la p.a. opporre al privato,
per l’accesso ad un atto da essa formato o detenuto, la concomitante
previsione di un differente e parallelo corpus di disciplina, del diritto
d’accesso allo stesso documento, dettato da un altro settore ordinamentale.
L’ammissione o l’esclusione del diritto di accedere a un documento vanno
infatti rinvenute interamente nel corpus normativo del Capo V della l.
07.08.1990, n. 241, il quale come precisato, è caratterizzato da un
principio che può essere definito di autosufficienza regolatoria, nel senso
che la regula iuris in forza della quale consentire o escludere il diritto
all’accesso va ricercata unicamente nelle disposizioni dettate dagli artt.
22 e ss. della legge; nei quali, invero non è menzionata, tra le ipotesi di
esclusione del diritto di accesso contemplate all’art. 24 dedicato appunto
alla “Esclusione del diritto di accesso” l’esistenza di una parallela
previsione di altro ramo dell’ordinamento del diritto di accedere allo
stesso documento.
4.2.1. Conseguentemente, con attinenza al caso all’esame del Collegio, non
può l’amministrazione detentrice del documento oggetto della richiesta di
accesso del privato, nella specie la RAI, opporre che quel documento –nella
specie la fonoregistrazione delle esternazione del ricorrente nei confronti
del -OMISSIS- - è stato acquisito dall’autorità giudiziaria requirente o ad
essa trasmesso, alla quale quindi l’istante debba rivolgersi assoggettandosi
conseguentemente alla regolamentazione dettata dal Codice di procedura
penale, che consente all’indagato di accedere agli atti del fascicolo del
pubblico ministero solo dopo la chiusura delle indagini e il relativo avviso
(art. 415-bis c.p.) e alla persona offesa dal reato dopo la presentazione
della richiesta di archiviazione e il relativo avviso (art. 408, co. 3,
c.p.p.).
4.3. Non risulta infatti condivisibile, ad attento esame del disposto dei
commi 6 e 7 dell’art. 24, l. n. 241/1990, l’orientamento non recente della
giurisprudenza, secondo cui “non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329
c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti
degli istanti, ad eventuali indagini in corso, etc. in quanto relative ad un
(eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva
disponibilità dell'organo requirente procedente (Cfr., da ultimo TAR
Sicilia, Palermo, n. 60 del 18.1.2005)” (TAR Lazio–Roma, Sez. II-quater,
14/05/2007, n. 4346).
Invero, l’esclusione del diritto di accesso nelle ipotesi indicate dall’art.
24, comma 6, e disciplinate con l’apposito regolamento governativo da esso
previsto, qualora i documenti costituiscano oggetto di indagine penale
(ipotesi indicata alla lett. c) del comma 6 in esame) è già contemplata, a
mente di tale comma, in ben definiti termini restrittivi, vale a dire “quando
i documenti riguardino…le azioni strettamente strumentali alla tutela
dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità
con particolare riferimento alle tecniche investigative (…), all’attività di
polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Posta siffatta regola di esclusione, già enunciata in termini di stretta
strumentalità all’identità delle fonti di informazione e all’attività di
polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, il successivo comma 7
dell’art. 24 della L. n. 241/1990, contrappone comunque a tale già tassativa
esclusione, una rilevante eccezione, prevedendola come operante in via
generale ogni qualvolta la conoscenza dei documenti amministrativi sia
necessaria per curare o difendere interessi giuridici dei richiedenti
l’accesso.
Stabilisce, infatti, testualmente il comma 7 dell’art. 24 che “Deve
comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici.” (poi precisando che nel caso di documenti
contenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è limitato alla stretta
indispensabilità e in caso di dati atti a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale è consentito nei termini di cui all’art. 60, d.lgs. n.
196/2003).
4.4. La delineata eccezione all’esclusione del diritto di accesso prevista
nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6, è significativamente
denominata in dottrina e in giurisprudenza “accesso difensivo” e deve
ritenersi operante per tutti i casi in cui vige, in tali ipotesi, la
parimenti generale regola dell’esclusione.
L’onnicomprensivo e indifferenziato tenore del comma 7 dell’art. 25, che
infatti non limita l’applicazione della regola ostensiva da esso istituita,
ad una specifica lettera del comma 6, induce a ritenere che detta regola
abbracci tutti i casi di esclusione indicati dal comma 6.
4.4.1. Giova evidenziare che la sussistenza e la anzidetta portata generale
della garanzia dell’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza
sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici dei
richiedenti, è confermata dalla giurisprudenza, che facendo leva
sull’espressa clausola di salvezza ovvero di prevalenza, comunque,
dell’accesso documentale finalizzato a curare o difendere proprio interessi
giuridici, ha deciso che il diritto di prendere visione di documenti al
delineato fine, deve essere comunque garantito all’interessato anche nei
casi di esclusione del diritto d’accesso previsti dal comma 6 (tra i quali
la pendenza di procedimento penale ma comunque limitatamente alle “azioni
strettamente strumentali alla repressione della criminalità con particolare
riferimento alla identità delle fonti informative e all’attività di polizia
giudiziaria e conduzione delle indagini; la vita privata e la riservatezza
delle persone, etc.").
Il Giudice amministrativo condivisibilmente ha infatti, anche di recente,
letto in tali sensi il rapporto tra il comma 6 sulle esclusioni del diritto
di accesso e il comma 7 dell’art. 24, istituente una regola di prevalenza
del diritto all’ostensione dei documenti finalizzata alla tutela
giurisdizionale pur nei casi di esclusione, chiarendo che “L'art. 24,
comma 7, della l. n. 241 del 1990, nel prevedere, immediatamente dopo
l'individuazione ad opera del comma 6 dei documenti sottratti all'accesso,
che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici", ha sancito la tendenziale prevalenza del c.d.
'accesso difensivo' anche sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di
segretezza tecnica o commerciale delle parti controinteressate, sicché il
problema del bilanciamento delle contrapposte esigenze delle parti, diritto
di accesso e di difesa, da un lato, e diritto di riservatezza dei terzi,
dall'altro, deve essere risolto dando prevalenza al diritto di accesso
qualora sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi
giuridici. L'ordinamento italiano non consente dubbi circa la prevalenza del
diritto all'accesso agli atti per fini difensionali, rispetto alle eventuali
contrapposte esigenze di riservatezza delle informazioni” (TAR Veneto,
Sez. III, 26/07/2019, n. 894).
Sulla stessa linea esegetica si è evidenziato che “All'accesso
defensionale ovvero all'accesso documentale propedeutico alla migliore
tutela delle proprie ragioni in giudizio, è riconosciuta dall'ordinamento
una tutela preminente atteso che, per espressa previsione normativa,
l'interesse con esso perseguito prevale anche su eventuali interessi
contrapposti (…)Il legislatore ha in tal senso operato, ab origine, una
valutazione di prevalenza dell'interesse ostensivo, ove connesso alla
necessità di curare ovvero difendere i propri interessi giuridici, rispetto
agli interessi, pubblici e privati, eventualmente antagonisti così
legittimando l'accesso in ragione della preminenza, in una scala gerarchica
di valori, delle prospettate esigenze defensionali e ciò, indipendentemente
dalla fondatezza, nel merito, delle proprie ragioni” (TRGA Trentino Alto
Adige–Trento, 29/06/2020, n. 95).
Opzione espressa anche da questo Tribunale secondo cui “Atteso che il
diritto di difesa rientra tra i principi supremi del nostro ordinamento
costituzionale, in quanto intimamente connesso con lo stesso principio di
democrazia e inteso ad assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi
controversia, un giudice e un giudizio, l'esercizio dell'accesso difensivo,
se può tollerare l'esplicazione da parte dell'Amministrazione dell'autonomia
decisionale che le compete nell'ambito della sua potestà discrezionale, non
può conciliarsi con una negazione in via assoluta dell'ostensione della
documentazione, laddove l'accesso si renda necessario per difendere
interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo” (TAR
Lazio–Roma, Sez. I, 04/02/2020, n. 1470).
4.4.2. In tali evenienze, precisa il Collegio che occorre comunque che
l’accesso difensivo sia rigorosamente collegato a un interesse del
richiedente non generico ma specifico all’ostensione del documento al fine
di tutelare i suoi interessi giuridici in uno specifico giudizio, dovendo
l’istante far emergere “la corrispondenza e il collegamento tra la
situazione che si assume protetta e il documento di cui si invoca la
conoscenza” (cfr. la Sezione: TAR Lazio–Roma, Sez. III, 07/01/2021, n.
187).
4.5. In applicazione di questi principi la RAI, pertanto, non può negare al
ricorrente l’accesso al file audio contenente il suo “sfogo” verso il
-OMISSIS-, illecitamente registrato nella sala studio, adducendo che tale
file è in possesso dell’autorità giudiziaria. Deve infatti indagarsi se quel
documento che è comunque nella disponibilità della Rai essendone stata
avviata la riproduzione dal -OMISSIS- -OMISSIS- al cospetto del dott.
-OMISSIS-, è ostensibile o sottraibile all’accesso secondo le disposizioni
di cui agli artt. 22, 23, 24, l. n. 241/1990. Ciò per la dirimente ragione,
più sopra lumeggiata, che l’art. 24 della L. n. 241/1990 non contempla tra i
casi di esclusione del diritto di accesso, la contemporanea detenzione del
documento da parte di altra amministrazione o autorità dello Stato.
4.6. La riprova dell’esattezza dell’opzione ermeneutica ora esposta è data
dalla coesistenza nel diritto amministrativo sostanziale e processuale, di
due contestuali e distinte previsioni del diritto d’accesso, tra loro non
escludentisi: il Capo V, artt. 22, ss. l. n. 241/1990 e l’art. 116, co. 2,
c.p.a., norme che definiscono facoltà non affermabili in situazione di
concorso alternativo ma cumulativo in guisa che l’una non elide o esclude
l’altra, anche perché ciascuna è soggetta ai rispettivi presupposti
stabiliti dal legislatore.
Il Tribunale richiesto di accesso in corso di causa ex art. 116, co. 2,
c.p.a. non può rigettare tale istanza sul rilievo che il ricorrente debba
domandare l’accesso all’amministrazione che detiene il documento la cui
esibizione sia strumentale ai fini del decidere la causa e solo in seconda
battuta adire il giudice con il ricorso e il rito in materia di accesso ex
art. 116, co. 1. c.p.a., ma deve valutare l’istanza di cui all’art. 116, co.
2, c.p.a al lume delle necessità istruttorie di acquisizione dei relativi
documenti in dipendenza dalle censure svolte.
Per converso, l’amministrazione destinataria di istanza di accesso ad un
atto che l’istante affermi essere strumentale alla tutela di un suo
interesse giuridicamente rilevante, non può respingerla adducendo che il
richiedente, ove si determini a tutelare giudizialmente la sua situazione
soggettiva, può domandare al giudice l’acquisizione del documento stesso.
4.7. L’esistenza di una via processuale di soddisfazione del diritto di
accesso non esime, dunque, l’amministrazione, dall’obbligo di vagliare
l’istanza in base alle disposizioni di cui agli artt. 22 e ss. della l. n.
241/1990 e di accoglierla se essa è motivata a termini dell’art. 23 (o
differirla se ciò sia sufficiente agli interessi dell’amministrazione in
luogo del diniego) e non ricorre alcuna delle ipotesi di esclusione
contemplate all’art. 24 (anche per rinvio ai casi previsti con regolamento
governativo ex art. 17, co. 2, l. n. 400/1988 in riferimento alle ipotesi
già delineate normativamente alle lettere a)–e) del comma 6 dell’art. 24.
Si è espressa del resto negli stessi sensi l’Adunanza Plenaria disegnando la
cumulatività e correlativa non esclusione del diritto d’accesso ex art. 22
ss. L. n. 241/1990 in conseguenza dell’esercizio del potere istruttorio di
acquisizione del giudice civile in materia di diritto di famiglia, statuendo
infatti, che “L'accesso difensivo ai documenti contenenti i dati
reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell'anagrafe tributaria,
ivi compreso l'archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato
indipendentemente dalla previsione e dall'esercizio dei poteri istruttori
del giudice civile contemplati dagli art. 155-sexies disp. att. c.p.c. e
492-bis c.p.c. , nonché, più in generale, dalla previsione e dall'esercizio
dei poteri istruttori d'ufficio del giudice civile nei procedimenti in
materia di diritto di famiglia” (Consiglio di Stato ad. plen.,
25.09.2020, n. 21).
5. Sul piano soggettivo, relativo alla ricognizione delle situazioni
giuridiche e dei fini a cui deve essere preordinata la domanda di accesso,
la giurisprudenza, com’è noto, esalta la consistenza sostanziale autonoma
del diritto d’accesso, disancorandola dal legame immediato con la tutela
giurisdizionale della situazione giuridica e con la pienezza stessa della
tutela.
Si è precisato al riguardo che “7.13. Questo Consiglio di Stato ha già
chiarito, infatti, che la disciplina dell'accesso agli atti amministrativi
non condiziona l'esercizio del relativo diritto alla titolarità di una
posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il
collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura
attenuata.
7.14. La legittimazione all'accesso va quindi riconosciuta a chiunque possa
dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato
o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti,
indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante
l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della
vita, distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa
dell'atto” (Consiglio di Stato sez. III, 27/07/2020, n. 4771; in tal
senso anche TAR Valle d’Aosta, 16/11/2020, n. 58).
Anche la Sezione ha enunciato il medesimo principio puntualizzando che “La
legittimazione all'accesso agli atti va riconosciuta a chi è in grado di
dimostrare che gli atti oggetto dell'accesso hanno prodotto o possano
produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla
lesione di una posizione giuridica” (TAR Lazio-Roma, sez. III,
01/6/2020, n. 5785).
5.1. In termini più generali, va ricordato che da tempo la giurisprudenza
richiede ai fini della integrazione del presupposto legittimante l'esercizio
del diritto di accesso, l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante
del soggetto richiedente, non necessariamente consistente in un interesse
legittimo o in un diritto soggettivo, purché comunque giuridicamente
tutelato, nonché un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la
documentazione di cui si chiede l'ostensione. Nesso di strumentalità che
deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione
richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa
dell'interesse giuridicamente rilevante (TAR Campania-Napoli, n. 456/2020;
TAR Lombardia-Brescia, n. 55/2017; Consiglio di Stato, Sez. V, 10.01.2007,
n. 55).
Non si richiede, invece, la prova della lesione attuale di una situazione
giuridica soggettiva di diritto o interesse legittimo, né l’attualità di un
giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.08.2020, n. 4930; Cons. Stato Sez.
VI, 28/01/2013, n. 511; in terminis anche la Sezione: TAR Lazio-Roma,
Sez. III, 22.07.2020, n. 8580, ID, 01/06/2020, n. 5785) stante l’autonoma
consistenza del diritto di accesso rispetto alla situazione giuridica
retrostante alla cui tutela è preordinato.
5.2.. Da ciò discende che la Rai non può opporre all’accoglimento della
domanda d’accesso de qua agitur, l’attuale inesistenza di iniziative
intraprese o atti pregiudizievoli assunti nei confronti del dott. -OMISSIS-,
non occorrendo, come ampiamente testé illustrato, che l’istante dia prova
della esistenza di una lesione attuale e quindi dell’imminenza di un
giudizio che egli si appresti a promuovere per riparare tale lesione.
5.2.1.. Il bene della vita che innerva e sottende il diritto di accesso ai
documenti amministrativi è, infatti, autonomo, ha spessore e consistenza
sostanziale ed è sganciato dalla lesione di una situazione giuridica
soggettiva incisa.
5.3. Del pari incontestabili sono i requisiti di personalità e concretezza
nonché di attualità, dell’interesse fatto valere dal dott. -OMISSIS-;
caratteri che affiorano da tutto l’insieme delle doglianze che fondano la
sua richiesta di accesso, le quali si prospettano concretamente imperniate
sulla sua postergazione rispetto al collega divenuto affidatario della
conduzione del programma sportivo in questione. L’istante inoltre
evidenziava nella domanda che quella registrazione rappresentava una grave
violazione dei suoi diritti e domandava la consegna immediata di tale
materiale.
Il che sostanzia un indubbio carattere di concretezza ed attualità oltre che
personalità dell’interesse sostanziale posto a base della denegata istanza.
Inoltre, nella e-mail inviata al dott. -OMISSIS- il deducente rappresentava
di tenere a che il suo “percorso aziendale prosegu[isse] senza alcuna
macchia disciplinare” e, pertanto, gli chiedeva di “avviare tutte le
opportune procedure aziendali per fare chiarezza, laddove necessarie anche
disciplinari”.
6. Ancora sul versante soggettivo, conviene brevemente riepilogare che ai
fini dell'accesso ai documenti amministrativi, l'art. 22, comma 1, lett. b),
della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005,
richiede la titolarità di "un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l'accesso".
7. Sul piano oggettivo, concernente gli atti accessibili, l’art. 22, co. 3,
stabilisce che "tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad
eccezione di quelli indicati all'art. 24, c. 1, 2, 3, 5 e 6"; l'art. 24,
al comma 7 più sopra esaminato trattando del c.d accesso difensivo, precisa
che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici".
7.1. Con riguardo agli atti formati o stabilmente detenuti da un soggetto
dalla veste formale privatistica ma gestore, quale la resistente RAI, di un
pubblico servizio, la giurisprudenza assoggetta all’accesso gli atti
inerenti la gestione del rapporto di lavoro privatistico intercorrente con
tali enti, affermando –contrariamente a quanto si sostiene nell’impugnato
provvedimento di diniego della RAI del 24.08.2020 -OMISSIS- - che “l’attività
amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990
correlano il diritto d'accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto
amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in essere dai
soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente
gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di
strumentalità derivante, anche sul versante soggettivo, dalla intensa
conformazione pubblicistica" (TAR Lombardia, Milano, Sez. III,
22/07/2015, n. 1775 con richiamo a TAR Lombardia, Milano, IV, 07.09.2012, n.
2251).
Aveva enunciato questo principio già il Giudice d’appello, secondo cui gli
atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato, che hanno natura
giuridica privata, ma che sono funzionali all'interesse pubblico curato dal
datore di lavoro, rientrano nel novero degli atti accessibili da parte dei
soggetti interessati, ovvero dei lavoratori dipendenti dalle Poste
(Consiglio di Stato, VI, 12.03.2012, n. 1403).
Si era già espressa in tal senso la giurisprudenza di primo grado secondo
cui “anche documenti giuridicamente di natura privatistica, come debbono
ritenersi tutti quelli attinenti al rapporto di impiego pubblico c.d.
privatizzato presso pubbliche amministrazioni, sono accessibili attesa la
loro intima connessione e funzionalizzazione all'esercizio di funzioni
pubbliche” (TAR Toscana, Sez. II, 18.11.2005, n. 6458)
Segnala il Collegio che la Sezione si è posta sulla stessa linea
ermeneutica, avendo statuito, in materia di atti assunti da Poste italiane
S.P.A. nell’ambito dell’attività di diritto privato, che “L'art. 22 lett.
d), l. n. 241 del 1990 prevede che il documento di cui si chiede
l'ostensione concerna attività di pubblico interesse, indipendentemente
dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale
e, coerentemente, l'art. 22, lett. e), prevede che anche i soggetti di
diritto privato rientrano tra i soggetti obbligati all'ostensione, peraltro,
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal
diritto nazionale o comunitario. Pertanto, nella nozione di attività
amministrativa, cui gli artt. 22 e 23, l. n. 241 del 1990 correlano il
diritto di accesso, deve comprendersi non solo quella di diritto
amministrativo in senso stretto, ma anche quella di diritto privato posta in
essere dai soggetti gestori di pubblici servizi” (TAR Lazio-Roma, Sez.
III, 01/02/2013, n. 1153).
Non rinviene il Collegio ragioni per discostarsi da questo precedente, che è
in linea con l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa.
Rai S.P.A condivide, infatti, con Poste Italiane S.p.a. la veste formale
privatistica e l’attività di erogazione e gestione di un servizio pubblico;
non v’è quindi ragione per non ritenerla soggetta al diritto di accesso
anche relativamente agli atti di gestione del rapporto di lavoro dei suoi
dipendenti, qual è, nella fattispecie che occupa il dott. -OMISSIS-,
giornalista dipendente della RAI.
8. Quanto ai presupposti e alla latitudine delle posizioni soggettive
ammesse a tutela, cui è finalizzata la domanda di accesso costituendone il
profilo motivazionale, il Consiglio di Stato ha condivisibilmente disegnato
la consistenza delle posizioni stesse nonché i fini che sottendono il
diritto di accesso: “La Pubblica amministrazione deve consentire
all'istante l'accesso al documento amministrativo se questo contiene notizie
e dati che, secondo quanto esposto dall'istante nonché alla luce di un esame
oggettivo, attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la
fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa
interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, o ancora
documentano parametri, criteri e giudizi, rilevanti al fine di individuare
il metro di valutazione utilizzato; di conseguenza, una volta accertato il
collegamento, ogni altra indagine sull'utilità ed efficacia in chiave
difensiva del documento, od ancora, sull'ammissibilità o tempestività della
domanda di tutela prospettata, è sicuramente ultronea, così come è ultronea
l'indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili, poiché essi
possono essere giurisdizionali, ma anche amministrativi, e finanche di
natura non rimediale (come potrebbe essere semplicemente la costruttiva
partecipazione ad un procedimento amministrativo, ad ex art. 10-bis, l.
07.08.1990, n. 241) o sollecitatoria (ad es. la richiesta di annullamento in
autotutela di un provvedimento amministrativo)” (Consiglio di Stato sez.
IV, 13/03/2014, n. 1211).
8.1. Non può pertanto può essere seguita la linea difensiva svolta sul punto
dalla RAI e ribadita anche nel corso della discussione di Camera di
consiglio svolta in videoconferenza da remoto, affidata all’argomento
secondo cui i soggetti di diritto privato concessionari di servizio pubblico
sono sottoposti agli obblighi di accesso solo ove emerga e si appalesi un
legame di strumentalità tra l’oggetto della richiesta di accesso e il
pubblico servizio, nella specie, radiotelevisivo.
L’assunto difensivo svolto dalla difesa della RAI nella memoria prodotta per
la Camera di consiglio, fa perno sulla locuzione normativa circoscrivente
l’equiparazione di tali società formalmente private alla pubblica
amministrazione in senso stretto, “limitatamente alla loro attività di
pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”
(art. 22, co. 1, lett. e), l. n. 241/1990).
La Rai invoca a supporto la giurisprudenza di questo TAR secondo cui i
gestori di pubblici servizi sono soggetti alla disciplina in materia di
accesso agli atti solo per i profili che presentino un “nesso di
strumentalità derivante dalla intensa conformazione pubblicistica” (in
particolare, secondo TAR Lazio, Roma, Sez. III, 30.10.2019, n. 12486).
9. La riassunta prospettazione difensiva non può essere dal Collegio
condivisa.
In primis poiché la sentenza della Sezione n. 12846/2019 invocata dalla RAI
non è dirimente, atteso che il “nesso di strumentalità derivante dalla
intensa conformazione pubblicistica” ivi indicato, ad avviso del
Collegio è nella specie ravvisabile, come si argomenterà in appresso.
In secundis, poiché la Sezione più di recente ha assoggettato la
gestione e l’organizzazione, del rapporto di lavoro dei giornalisti della
RAI alla disciplina del diritto d’accesso ex att. 22, ss. L. n. 241/1990
enunciando, con richiamo già a precedenti del 2018 e 2019, posizioni di
principio (TAR Lazio–Roma, Sez. III, 16.11.2020, n. 12977) di seguito
illustrate, che vanno qui ribadite e collimano con quanto si viene ad
argomentare.
9.1. In terzo luogo –ma non per ordine decrescente di rilievo giuridico-
segnala il Collegio che le più recenti decisioni di secondo grado rese sulla
specifico tematica dell’assoggettamento dei soggetti di diritto privato
-nella specie gestori di pubblici servizi- alle norme sulla trasparenza e
gli obblighi di ostensione non richiedono più ai fini de quibus
l’emersione dell’addotto nesso di strumentalità dell’atto o documento
colpito dall’istanza di accesso rispetto alla gestione o erogazione del
pubblico servizio, condivisibilmente degradando, in una avvertita e
plausibile ottica di trasparenza, siffatto nesso di strumentalità ad un più
costituzionalmente orientato nesso di “attinenza o comunque di
collegamento” tra l’atto oggetto di istanza di accesso e l’attività di
pubblico interesse. Tantum sufficit a predicare l’assimilazione del
soggetto di diritto privato alla pubblica amministrazione, ergo
l’assoggettamento alla disciplina di cui al Capo V, sull’accesso ai
documenti amministrativi dettata agli artt. 22 e ss. della legge sul
procedimento.
Invero, il Consiglio di Stato, in una fattispecie in cui si controverteva
sull’ostensibilità di documenti di natura contabile formati da una società
costituita ai sensi del d.lgs. n. 190 del 2002, operante su mandato di ANAS
S.p.A. e deputata allo svolgimento della funzione di soggetto attuatore
unico per la realizzazione del progetto infrastrutturale "Quadrilatero"
assumendo i compiti di stazione appaltante ai sensi delle disposizioni
europee e nazionali sui contratti pubblici, ha di recente puntualizzato come
“Vale rammentare, in termini generali, che il diritto di accesso riguarda
non solo i soggetti di diritto pubblico, ma anche quelli di diritto privato,
in relazione alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal
diritto nazionale o comunitario (cfr. art. 22, comma 1, lett. e), l. n. 241
del 1990, in correlazione all'art. 1, comma ter): esso include, inoltre, non
solo l'attività propriamente amministrativa posta in essere dalle pubbliche
amministrazioni, ma anche gli atti di diritto privato posti in essere da
soggetti diversi dagli enti pubblici, attinenti o comunque collegati alla
attività di pubblico interesse svolta (art. 22, comma 1 lett. d), l. n. 241
del 1990 e cfr. ex multis, Cons. Stato, IV, 20.10.2016, n. 4372)”
(Consiglio di Stato, Sez. V, 05.08.2020, n. 4930, p. 2).
9.2. Delineato dunque in termini di attinenza o comunque di collegamento, il
nesso tra gli atti di diritto privato con l’attività di pubblico servizio,
il Consiglio, confermando la sentenza di questo Tribunale, (TAR Lazio-Roma, Sez. I, n. 5365 del 2019) ha precisato che “Quadrilatero svolge dunque
(peraltro esclusivamente) attività che è incontestabilmente "attività di
interesse pubblico", disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” e che
l’istanza di accesso concerneva documenti “comunque attinenti” all’attività
di pubblico interesse svolta dalla predetta società, sebbene trattavasi di
atti di diritto privato: “Ciò posto, l'istanza di accesso avanzata dal
Consorzio appellato ha ad oggetto documenti che sono stati "formati" o sono
"detenuti stabilmente" dalla stessa Quadrilatero nella sua qualità di
soggetto aggiudicatore ai sensi dell'art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006 e
che, con evidenza, attengono alla ridetta attività di interesse pubblico: di
tal che la circostanza che si tratti di documenti di natura strettamente
privatistica (contratti, fatture, atti contabili et similia), non ne
impedisce l'ostensibilità” (Consiglio di Stato, Sez. V,
05.08.2020, n.
4930, p. 2).
La sentenza d’appello in disamina richiama del resto il precedente di cui a
Cons. di Stato, Sez. IV, 20.10.2016, n. 4372 che già aveva qualificato
il delineato nesso tra documenti e attività di pubblico interesse, in
termini di “atti concernenti attività di pubblico interesse”, esprimendosi
in sensi ancor più marcati all’insegna della più ampia ostensione
documentale.
Il Consiglio ebbe infatti a sancire l’obbligo di consentire l’accesso da
parte di una società di gestione di uno scalo aeroportuale,
affermando: “2.3.1. Va del pari disattesa ogni considerazione incentrata sulla
legittimazione passiva della società gestore dello scalo aeroportuale”
stante “il sicuro rilievo pubblicistico dell'attività dalla stessa espletata
(si veda Consiglio di Stato sez. IV 09.02.2015 n. 661) la
"neutralità" della forma rivestita dall'ente che tali funzioni esercita,
unitamente alla considerazione per cui (Consiglio di Stato, sez. III,
31/03/2016, n. 1261) ai sensi dell'art. 22, comma 1, l. 07.08.1990, n. 241
atti amministrativi soggetti all'accesso sono anche gli atti interni
concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura
pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, allo scopo
di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa”.
9.3. Inoltre, con specifico riguardo al tema dell’ostensione di atti
relativi al rapporto di lavoro, merita di essere evidenziato che questo
TAR riconosce il diritto d’accesso anche agli atti di gestione del
rapporto di lavoro privatistico di dipendenti di soggetti privati gestori di
un pubblico servizio, ritenendo tale rapporto di rilevanza pubblicistica, e
la sua gestione strumentale al servizio pubblico.
Si è infatti di recente condivisibilmente sancito che “L'attività di ANAS
S.p.A. relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri
dipendenti, deve ritenersi strumentale al servizio pubblico gestito” e che
“Inoltre, il rapporto di impiego che lega l'interessata al suddetto gestore
di pubblico servizio può ritenersi di rilevanza pubblicistica, che attrae
alla disciplina del diritto di accesso qualunque documento, anche di natura privatistica, che sia funzionalizzato all'esercizio di poteri lato sensu
amministrativi.” (TAR Lazio–Roma, Sez. I, 24.07.2020, n. 4212; in
termini anche TAR Lazio–Roma, Sez. III-ter, 23.10.2019 n. 12172).
Orientamento già espresso dalla giurisprudenza, efficacemente precisandosi
che “è pertanto soggetta alla disciplina in tema di accesso anche l'attività
di organizzazione delle forze lavorative, in quanto attività strumentale
alla gestione del servizio pubblico affidato al gestore, a nulla rilevando
la natura privatistica degli atti di gestione del rapporto di impiego,
dovendosi dunque convenire che anche gli atti incidenti sulle posizioni del
personale devono essere sottoposte all'esercizio del diritto di accesso
siccome potenzialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso.” (TAR
Emilia Romagna–Bologna, Sez. I, 30/07/2014, n. 806; sulla stessa linea,
TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, 07/02/2011, n. 163 che ha riconosciuto
il diritto d’accesso anche a dipendenti di un gestore di pubblico sevizio -Poste Italiane S.p.A.- cessati dal servizio)
10. Dai ricostruiti condivisi approdi giurisprudenziali consegue che non
appare risolutivo acclarare se il file contenente la registrazione dello
“sfogo” del ricorrente ed entrato nella disponibilità del -OMISSIS- (nonché
gli altri documenti oggetto della domanda di accesso) si caratterizzi per
profili di inerenza e strumentalità con il pubblico servizio radiotelevisivo
erogato e gestito dalla resistente RAI S.P.A. atteso che i fattori
rilevanti, determinanti l’obbligo di ostensione, sono da un lato la
circostanza che i documenti siano “attinenti o comunque collegati alla
attività di pubblico interesse svolta” dal soggetto formalmente privato ma
gestore di un servizio pubblico
Dall’altro la considerazione che il rapporto di lavoro del dipendente del
gestore di un servizio pubblico ha rilevanza pubblicistica, e la sua
gestione è strumentale al servizio pubblico.
10.1. Né, sottolinea il Collegio, potrebbe obiettarsi che debba trattarsi di
documenti realizzati dal gestore del pubblico servizio, nel caso di specie,
dalla RAI resistente (il file audio per cui si controverte, in effetti non è
stato realizzato dalla RAI nello svolgimento della sua attività
istituzionale, ma probabilmente creato da un dipendente che ha agito motu
proprio; eppure acquisito, detenuto e utilizzato dal -OMISSIS-) bastando
all’uopo, che il gestore stesso li detenga.
Anche sul punto la decisione d’appello sopra richiamata si pronuncia,
precisando che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi è,
infatti, riconosciuto nei confronti dei soggetti che abbiano la materiale e
stabile disponibilità dei documenti (cfr. art. 22, comma 1, lett. d), l. n.
241 del 1990), indipendentemente dalla circostanza che abbiano o meno
concorso a formarli” (Cons. di St., V, n. 4930/2020 cit. p. 2 ad finem).
10.2. Orbene, la disponibilità dell’audio per cui è causa, è provata dal
fatto che, come riferisce il ricorrente nella sua istanza diffida del 16.07.2020 (doc. 2 produz. ricorr.) stante la sua negazione di aver mai
offeso il collega, il -OMISSIS- di RAI sport lo informava di essere venuto
in possesso della registrazione dell’episodio avvenuto in redazione e ne
avviava la riproduzione, facendogliela ascoltare.
Afferma infatti il ricorrente nella istanza diffida, senza essere sul punto
contraddetto dalla RAI nell’impugnato provvedimento del 24.08.2020: “Il
-OMISSIS-, allora, prende il suo telefono cellulare e avvia la riproduzione
di una registrazione effettuata da qualcuno la mattina del 10 ottobre in
redazione, all'insaputa del dott. -OMISSIS-, nella quale si sente uno sfogo
del medesimo nei confronti del -OMISSIS-” perseguendo altresì nel riferire
che: “In ogni caso, fa presente che chiunque abbia effettuato (e consegnato
a terzi) quella registrazione ha messo in atto una condotta illegittima con
una grave violazione dei suoi diritti” e che: “Il -OMISSIS- risponde
(testualmente) che "ormai siamo praticamente nel 2020 e che c'è la
tecnologia". Il dott. -OMISSIS- replica che questo non fa venire meno la
normativa in vigore e che lui non avrebbe dovuto acquisire e utilizzare la
registrazione e che, anzi, avrebbe dovuto denunciare la condotta illegittima
del collega.” (Istanza-diffida di accesso del 16.07.2020, cit. pag.
2).
Quanto testé riportato e, si ribadisca, non smentito e/o contrastato dal
provvedimento di diniego ovvero da altro atto del procedimento
amministrativo (a nulla valendo l’allusione di cui alla memoria difensiva
della RAI del prodotta il 28.12.2020 circa il non possesso del file de quo)
dimostra che la RAI deteneva la registrazione per cui è causa ed è pertanto
assoggettata all’actio ad exibendum, essendo soggetto passivo di essa in
quanto detentrice del documento richiesto dal ricorrente.
10.3. Né, per converso, potrebbe sostenersi che il -OMISSIS-, nell’
acquisizione da terzi, nella detenzione e successiva riproduzione al
cospetto del dott. -OMISSIS-, del file audio in controversia, abbia agito a
titolo personale, stanti le evidenti circostanze di luogo e fatto nelle
quali la vicenda si è svolta, nonché la inerenza dei documenti ed in
particolare del file audio in questione, ad un contesto diacronico di
organizzazione del pubblico servizio.
11. Invero, ritiene il Collegio di poter individuare comunque la cennata
inerenza e strumentalità, infondatamente escluse dalla difesa della RAI, che
è dato intessere tra il documento fonografico oggetto dell’istanza diffida
per cui è causa e il pubblico servizio radiotelevisivo, sol che si rifletta
sulla qualità del ricorrente e sull’iscrizione della vicenda nell’alveo
della scansione di innegabili momenti di organizzazione del pubblico
servizio di trasmissione di servizi televisivi di comunicazione sportiva,
come a breve si spiegherà.
12. Corrobora siffatta convinzione altresì la doverosa considerazione della
particolare natura giuridica e collocazione istituzionale della RAI quale
soggetto solo formalmente privato ma a totale capitale pubblico statale,
attributario di un prelievo di natura fiscale (come riconosciuto dalla
giurisprudenza tributaria) imposto ai cittadini e fino a qualche anno
addietro riscosso con le forme dell’imposizione e riscossione coattiva delle
entrate erariali ed oggi con apposita voce tariffaria nelle fatture emesse
dalle società di erogazione del servizio elettrico.
12.1. La Rai è, inoltre, società concessionaria tuttora individuabile come
televisione pubblica “di Stato”, ipostasi del servizio pubblico
radiotelevisivo per antonomasia, espressione e garanzia di elevati standard
qualitativi del servizio erogato nonché di significativi connotati di funzionalizzazione della complessiva sua attività a scopi ed obiettivi di
pubblico interesse.
In tale sua irrefutabile veste ed immagine, la Rai non può esser ritenuta
sottratta ad obblighi e doveri di trasparenza nei confronti soprattutto del
suo personale dipendente (oltre che dei cittadini, quantunque nei limiti e
alle condizioni cui è astretto l’accesso civico disciplinato dal d.lgs. n.
33/2013).
12.2. Ritiene in proposito il Collegio di dover richiamare l’attenzione
sulla norma–proclama, che il legislatore ha innestato nel tronco dell’art.
22 della legge sul procedimento mediante l’art. 10 della l. n. 69/2009
stabilendo che “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue
rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale
dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di
assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, così
sostituito all’art. 10 della l. 08.06.2009 n, 69).
Valorizzando tale norma di principio la giurisprudenza d’appello ha di
recente condivisibilmente affermato che “L'art. 22, comma 2, l. n. 241 del
1990 secondo cui l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue
rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale
dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di
assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, sancisce al comma III il
principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le
limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto
interesse con altri interessi meritevoli di tutela” (Consiglio di Stato,
sez. IV, 15/05/2020, n. 3101).
13. Attenta e doverosa considerazione va rivolta inoltre al particolare
oggetto della istanza di accesso denegata dalla Rai, costituito da una
registrazione effettuata all’insaputa del ricorrente, di una sua
conversazione intrattenuta con un collega: trattasi all’evidenza di
un’operazione connotata da immanenti profili di antigiuridicità.
Il ricorrente assume comprensibilmente di essere stato pregiudicato
nell’assegnazione della conduzione della trasmissione o del servizio
sportivo in onda sul canale RAI NEWS 24 ad altro collega concorrente in
conseguenza dell’impatto e della negativa valutazione del suo “sfogo”
avvenuto nel corso della conversazione abusivamente registrata da terzi,
registrazione poi entrata nella disponibilità del -OMISSIS- che ha convocato
il dott. -OMISSIS- richiamandolo all’osservanza di un contegno espressivo
più asettico e meno schietto.
13.1. In disparte l’illiceità della registrazione di tale colloquio, sullo
sfondo della vicenda sostanziale campeggia la verosimile incidenza di quella
registrazione sulla successiva assegnazione del servizio sportivo ambito dal
ricorrente, ad altro giornalista.
Lamenta infatti il ricorrente nella sua istanza di accesso (doc. 1 produz.
ricorr.) che il suo -OMISSIS- la mattina del 10.10.2019 aveva mandato
in onda come opinionista di Rai Sport per il Tg Rai News delle 12.30, non il
Dott. -OMISSIS-, secondo la griglia dei turni programmati, ma un altro
giornalista: l’inerenza ai profili gestori concreti del pubblico servizio è
disvelata, dunque, quanto meno, dalla circostanza che la griglia dei turni
programmati per lo svolgimento dei servizi televisivi non era stata
rispettata.
Se quella conversazione non fosse stata fonoregistrata e poi fatta
pervenire al -OMISSIS- di RAI Sport, presumibilmente quest’ultimo non
avrebbe convocato il dott. -OMISSIS- e partecipatogli il suo disappunto e il
richiamo ad un contegno più moderato.
E, probabilmente, il ricorrente non avrebbe subito il nocumento di cui si
duole, ovverosia l’affidamento del servizio sportivo ad altro giornalista.
13.2. E’ dunque di una certa evidenza la circostanza che la conversazione in
questione si è riverberata sul livello più prettamente organizzativo
afferente all’affidamento della conduzione del servizio televisivo in parola
ad altro giornalista.
Nel che va individuata l’inerenza del documento de quo agitur
all’organizzazione del servizio pubblico televisivo concretamente riferita
alla conduzione di quello specifico programma o servizio sportivo su RAI
NEWS 24.
Per altro verso, va osservato che del diniego dell’ostensione della abusiva
intercettazione in controversia si gioverebbe il controinteressato
sostanziale della vicenda, ossia il giornalista preferito al ricorrente
nell’affidamento della conduzione del servizio sportivo in questione.
13.3. V’è da chiedersi se il quadro ordinamentale costituito, a livello di
fonte primaria, quanto meno dall’art. 22, comma 2, della l. n. 241/1990 sopra
riportato, a mente del quale “L’accesso ai documenti amministrativi, attese
le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio
generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione
e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”, consente che la RAI, di
cui poc’anzi si sono sommariamente evidenziate le note di pubblicità e
funzionalizzazione, seguiti a celare un documento di tale importanza,
negandone l’ostensione al ricorrente che ne ha diritto e che è stato qualche
tempo fa soggetto passivo di un’illecita attività di fonoregistrazione
verosimilmente integranti ipotesi di reato.
E da ritenere che la RAI, proprio in quanto depositaria di valori e principi
di trasparenza per diretto effetto del disposto appena riprodotto dell’art.
22, co. 2, della l. n. 241/1990, non possa essere giudicata immune ai doveri
di ostensione.
Oltretutto, non si intende la ragione e il superiore e prevalente contrario
interesse pubblico a che la RAI non conceda accesso alla documentazione
tutta oggetto della denegata istanza con particolare riguardo alla
registrazione fonografica in questione, tanto più ove si tenga nel debito
conto che la stessa è prodotto di un’attività non iure, verosimilmente
integrante ipotesi di reato.
14. Conclusivamente, come avvertito al superiore par. 9, giova rammentare
che di recente la Sezione si è pronunciata favorevolmente su una actio ad
exibendum ex artt. 22 e ss. della L. 07.08.1990, n. 241 proposta da una
giornalista dipendente della RAI, enunciando considerazioni di principio e
pervenendo a conclusioni congruenti con quelle fin qui svolte e che, dunque,
meritano di essere segnalate (TAR Lazio–Roma, Sez. III, 16.11.2020 n. 11977).
La fattispecie, in sintesi, concerne una istanza nella quale la ricorrente
aveva esposto alcune vicende legate allo svolgimento del suo rapporto di
lavoro, nelle quali si sarebbe prodotta una lesione dei suoi diritti,
comprese alcune progressioni di carriera e nomine che hanno interessato
taluni giornalisti dipendenti della RAI specificamente individuati. Erano
oggetto di richiesta di accesso, in particolare, i curricula e i criteri
obiettivi di valutazione, preventivamente comunicati al CDR, che avevano
consentito la valutazione dei candidati e la conclusione del relativo
procedimento di scelta dei colleghi da promuovere o a cui conferire
incarichi anche ad personam.
Trattasi, all’evidenza, di una fattispecie concernente proprio la gestione e
il dipanarsi del rapporto di lavoro dei giornalisti dipendenti della RAI,
sia per i profili progressivi e selettivi che per quelli più generali di
carattere organizzativo.
14.1. La Sezione ha accolto il ricorso richiamando un costante orientamento,
risalente alle sentenze n. 1354/2018 e n. 934/2019, consonante con le
argomentazioni più sopra esposte e che riconduce la gestione e
l’organizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti della RAI, quantunque
privatistico, agli obblighi di accesso ed ostensione dei documenti ed atti
amministrativi da intendersi nell’ampia accezione di cui all’art. 22, comma
1, lett. d), della l. n. 241/1990.
Con la richiamata Sentenza n. 11977/2020, p. 10, si è rammentato, infatti,
che “Questa Sezione ha già avuto modo di osservare, nelle sentenze n.
9347/2019 e n. 1354/2018, che la RAI è assoggettata al diritto di accesso di
cui agli artt. 22 e ss. della Legge n. 241 del 1990 in forza del riferimento
della norma anche ai “gestori di pubblici servizi”, in quanto essa, “… pur
nella sua veste formalmente privatistica di S.p.a. e pur agendo mediante
atti di diritto privato, conserva certamente significativi elementi di
natura pubblicistica, ravvisabili in particolare: a) nella prevista nomina
di numerosi componenti del C.d.A. non già da parte del socio pubblico, ma da
un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza; b)
nell’indisponibilità dello scopo da perseguire (il servizio pubblico
radiotelevisivo), prefissato a livello normativo; c) nella destinazione di
un canone, avente natura di imposta, alla copertura dei costi del servizio
da essa gestito. L’azienda è inoltre di proprietà pubblica ed è la
concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché
non è revocabile in dubbio la sua riconducibilità di pieno diritto
all’ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, entro i
confini delimitati dall’art. 23 della Legge n. 241 del 1990 che, non a caso,
menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle
pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i “gestori di pubblici
servizi”, nel cui novero va certamente collocata la RAI.”
14.2. Ora, non sfugge al Collegio che con la sentenza in esame si è
precisato che le precedenti nn. 1354/2018 e 9347/2019 concernevano
giornalisti che “rivestivano una posizione certamente qualificata ad
ottenere l’accesso agli atti della procedura selettiva per l’assunzione di
cento giornalisti professionisti indetta nel 2014 in forza dell’art. 1, comma
1096, della legge n. 205 del 2017, norma che aveva avuto l’effetto di
conformare a determinate regole l’azione della concessionaria del servizio
pubblico in sede di assunzione di giornalisti professionisti, che nella
presente e diversa fattispecie –in cui una giornalista già dipendente di
RAI chiede accesso ad atti relativi alle promozioni di colleghi- non è
applicabile”. Tuttavia la Sezione in quell’occasione ha puntualizzato che
“Ciò che tuttavia più rileva nel diverso caso in esame è l’affermazione di
principio espressa dal TAR in quei precedenti.” (TAR Lazio–Roma, Sez.
III, 16.11.2020, n. 11977, p. 12).
Sono dunque le affermazioni di principio enunciate con i richiamati
precedenti del 2018 e 2019 e riprodotti nel passo sopra riportato della
Sentenza n. 1977/2020, che il Collegio, condividendole, in questa sede
ritiene di dover valorizzare e ribadire.
15. In definitiva, assorbita ogni altra doglianza, il motivo finora
scrutinato si prospetta fondato e va accolto, dovendosi annullare
l’impugnato provvedimento di diniego di accesso del 24.08.2020 e per
l’effetto ordinare alla RAI S.P.A. di consegnare al Dott. -OMISSIS- copia
dei documenti tutti -compreso il file audio contenente la registrazione per
cui è causa- oggetto dell’istanza di accesso presentata dal ricorrente il
28.05.2020 e riproposta con diffida del 16.07.2020, entro 30
(trenta) giorni dalla notifica ovvero dalla comunicazione, ove anteriore,
della presente sentenza
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 07.06.2021 n. 6756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
mancata ostensione dell’esposto laddove non abbia in alcun modo pregiudicato
il diritto di difesa dell'istante.
Nel senso della legittimità del rigetto di una generica
istanza di accesso avente ad oggetto esposti/denunce si è espresso anche il
Consiglio di Stato secondo il quale gli esposti-denunce e gli atti ispettivi
non possono essere oggetto di accesso poiché non sussiste il requisito della
stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla
tutela delle proprie posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art.
24, comma 7, legge n. 241/1990.
Ciò in quanto l’attività amministrativa da cui il privato può eventualmente
ricevere effetti sfavorevoli della propria sfera giuridica e rispetto alla
quale ha, dunque, diritto all’accesso è costituita unicamente dai verbali
amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le determinazioni
della P.A. procedente, che non costituiscono la risultante automatica delle
segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva
poste in essere.
Invero, secondo il TAR Veneto, Sez. III, 20.03.2015 n. 321:
«… il documento di cui si chiede l’ostensione, vale a dire
l’esposto che ha dato origine alle verifiche ispettive, non incide in alcun
modo sul diritto di difesa della parte ricorrente, cui sono stati notificati
i verbali conclusivi dell’accertamento che recano tutte le motivazioni delle
contestazioni mosse e che sono quindi sicuramente l’unica fonte delle
contestazioni mosse alla ricorrente. In effetti il ricorso non motiva in
alcun modo per quale ragione la richiesta sarebbe necessaria a tutelare gli
interessi della ricorrente e quindi le motivazioni dell’interesse ad
ottenere l’accesso richiesto. Anche la domanda di accesso non motiva in
alcun modo in ordine alla sussistenza dell’interesse, limitandosi ad
affermare che la richiesta servirebbe a valutare l’eventuale ricorso alla
competente autorità giudiziaria nei confronti del soggetto responsabile
dell’esposto nonché per valutare l’eventuale sussistenza di una lesione ai
propri diritti soggettivi ed interessi legittimi a seguito dell’avvio del su
indicato procedimento. È invece evidente che le verifiche ispettive
effettuate dalla amministrazione del lavoro rientrano nei doveri della
stessa e che, in ogni caso, i verbali sanzionatori adottati possono e
debbono fondarsi sui risultati delle stesse, vale a dire sulle letture dei
tempi di guida registrati dai cronotachigrafi montati sugli automezzi e
sull’esame della documentazione fornita dalla stessa ricorrente, come tra
l’altro appare ulteriormente confermato dalla precisazione contenuta nel
controricorso della resistente amministrazione secondo cui la denuncia,
oltre ad essere anonima, non era nemmeno riferita alla ricorrente ma era
invece diretta a segnalare presunte violazioni commesse da altre ditte del
settore. Questo risulta ulteriore conferma del fatto che l’amministrazione
ha esercitato il suo dovere ispettivo e che la denuncia ha semmai svolto il
ruolo -che non era certamente necessario- di sollecitarne l’esercizio. E’
pertanto evidente che l’accesso alla denuncia non risponde ad alcun
interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di difesa.».
Altresì, il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 26.06.2014, n. 1656 ha
evidenziato:
«… chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a
documenti che contengono dati di terzi deve specificare le ragioni per le
quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano
gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di
diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta
nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal
menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità
dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la
riservatezza di terzi. Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria
istanza del 14.02.2014, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione
effettuata dal terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo
hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva
ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli era il destinatario di
tali misure sanzionatorie. Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano
sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere
ammissibile l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti
soggetti terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto
evidenziare, nella propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui
tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati
identificativi di colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso. Questi
interessi non sono stati indicati nell’istanza d’accesso; pertanto, va
ribadita l’infondatezza del ricorso che deve essere, di conseguenza,
respinto. …».
Infine, di recente il Cons. Stato, Ad. Plen., 18.03.2021, n. 4 ha
sottolineato:
«… a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma
7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente
nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate
esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già
pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento
richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di
strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione
finale che l’istante intende curare o tutelare;
b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il
giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116
c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione
sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento
richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento
compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della
questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento
o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una
evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze
difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario
dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti
legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. …».
---------------
Tanto premesso in punto di fatto, ciò che in questa sede rileva è che la
mancata ostensione dell’esposto non ha in alcun modo pregiudicato il diritto
di difesa della deducente, cui sono stati notificati e/o altrimenti resi
disponibili (in conformità alla richiesta presentata) tutti gli atti in cui
è stata consacrata l’attività amministrativa di accertamento espletata (in
particolare la relazione tecnica di sopralluogo e il verbale di
accertamento) e che recano tutte le motivazioni delle contestazioni a lei
mosse.
È opportuno ricordare che nel senso della legittimità del rigetto di una
generica istanza di accesso avente ad oggetto esposti/denunce si è espresso
anche il Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza n. 5779/2014), secondo il
quale gli esposti-denunce e gli atti ispettivi non possono essere oggetto di
accesso poiché non sussiste il requisito della stretta connessione e del
rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla tutela delle proprie
posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art. 24, comma 7, legge n.
241/1990.
Ciò in quanto l’attività amministrativa da cui il privato può eventualmente
ricevere effetti sfavorevoli della propria sfera giuridica e rispetto alla
quale ha, dunque, diritto all’accesso è costituita unicamente dai verbali
amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le determinazioni
della P.A. procedente, che non costituiscono la risultante automatica delle
segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva
poste in essere.
Si richiama anche TAR Veneto, Venezia, Sez. III, 20.03.2015 n. 321 secondo
cui:
«… il documento di cui si chiede l’ostensione, vale a dire
l’esposto che ha dato origine alle verifiche ispettive, non incide in alcun
modo sul diritto di difesa della parte ricorrente, cui sono stati notificati
i verbali conclusivi dell’accertamento che recano tutte le motivazioni delle
contestazioni mosse e che sono quindi sicuramente l’unica fonte delle
contestazioni mosse alla ricorrente. In effetti il ricorso non motiva in
alcun modo per quale ragione la richiesta sarebbe necessaria a tutelare gli
interessi della ricorrente e quindi le motivazioni dell’interesse ad
ottenere l’accesso richiesto.
Anche la domanda di accesso non motiva in alcun modo in ordine alla
sussistenza dell’interesse, limitandosi ad affermare che la richiesta
servirebbe a valutare l’eventuale ricorso alla competente autorità
giudiziaria nei confronti del soggetto responsabile dell’esposto nonché per
valutare l’eventuale sussistenza di una lesione ai propri diritti soggettivi
ed interessi legittimi a seguito dell’avvio del su indicato procedimento.
È invece evidente che le verifiche ispettive effettuate dalla
amministrazione del lavoro rientrano nei doveri della stessa e che, in ogni
caso, i verbali sanzionatori adottati possono e debbono fondarsi sui
risultati delle stesse, vale a dire sulle letture dei tempi di guida
registrati dai cronotachigrafi montati sugli automezzi e sull’esame della
documentazione fornita dalla stessa ricorrente, come tra l’altro appare
ulteriormente confermato dalla precisazione contenuta nel controricorso
della resistente amministrazione secondo cui la denuncia, oltre ad essere
anonima, non era nemmeno riferita alla ricorrente ma era invece diretta a
segnalare presunte violazioni commesse da altre ditte del settore. Questo
risulta ulteriore conferma del fatto che l’amministrazione ha esercitato il
suo dovere ispettivo e che la denuncia ha semmai svolto il ruolo -che non
era certamente necessario- di sollecitarne l’esercizio.
E’ pertanto evidente che l’accesso alla denuncia non risponde ad
alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di
difesa. (Consiglio di Stato numero 5779/2014). …».
A tal riguardo, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.06.2014, n. 1656 ha
evidenziato:
«… chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a
documenti che contengono dati di terzi deve specificare le ragioni per le
quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano
gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di
diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta
nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal
menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità
dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la
riservatezza di terzi.
Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza del
14.02.2014, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal
terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e
che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi necessariamente
sussistente in quanto egli era il destinatario di tali misure sanzionatorie.
Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano sufficienti a
soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere ammissibile
l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti soggetti
terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella
propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui tutela sarebbe
stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati identificativi di
colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso.
Questi interessi non sono stati indicati nell’istanza d’accesso;
pertanto, va ribadita l’infondatezza del ricorso che deve essere, di
conseguenza, respinto. …».
Infine, di recente Cons. Stato, Ad. Plen., 18.03.2021, n. 4 ha sottolineato:
«… a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24,
comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente
nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate
esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già
pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento
richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di
strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione
finale che l’istante intende curare o tutelare;
b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il
giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116
c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione
sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento
richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento
compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della
questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento
o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una
evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze
difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario
dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti
legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. …».
Nella fattispecie in esame la ricorrente nell’ultima nota del 16.01.2015 ha
indicato un interesse generico all’accesso, omettendo di evidenziare il
nesso di strumentalità tra l’ostensione dell’esposto del 22.07.2014 e le
proprie esigenze difensive di tutela giurisdizionale, posto che -come detto-
la conoscenza di esposti/segnalazioni non incide per nulla sull’azione
amministrativa di accertamento/repressione di illeciti edilizi, la quale non
costituisce la risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il
prodotto delle attività di verifica ispettiva poste in essere e in relazione
alla quale è stato correttamente consentito l’accesso alla -OMISSIS-.
Risulta, pertanto, evidente la mancanza di collegamento tra il documento
de quo (esposto del 22.07.2014) e le esigenze difensive della istante
(TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 01.04.2021 n. 563 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI: È
possibile conoscere il nome di chi ci denuncia? Il TAR risponde sì.
Una recentissima sentenza del TAR si pronuncia in maniera sorprendente su un
tema di estrema attualità: il diritto di accesso a esposti e segnalazioni.
Risulta possibile conoscere il nome di chi ci denuncia? Il TAR del Lazio
risponde a questa domanda con una recente Sentenza che farà certamente
discutere.
Nel caso specifico era stata comminata una sanzione a seguito a seguito di
segnalazione e di una verifica dell’ispettorato di un ministero. A questo
punto il soggetto sanzionato aveva scritto al ministero chiedendo,
espressamente, copia dell’esposto dal quale aveva preso avvio il
procedimento.
Alla risposta negativa il soggetto era ricorso al TAR.
Si può conoscere il nome di chi ci denuncia? La risposta
del TAR del Lazio
Nell’ambito delle segnalazioni alle autorità amministrative –dicevamo in
partenza– non c’è uniformità di vedute. Tuttavia il TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter, con la
sentenza 04.06.2020 n. 5955
ha riconosciuto un principio generale diritto del cittadino a sapere il nome
di chi lo ha segnalato o ha presentato contro di lui un esposto.
Questo perché il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di
trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di «denunce
anonime o segrete».
Inoltre una volta pervenuto nella sfera di conoscenza della Pa, l’esposto
costituisce presupposto dell’attività ispettiva, sicché il suo autore «perde
il controllo» dell’atto in questione, che uscito dalla sua sfera
volitiva entra in quella dell’ente.
Pertanto, il principio di trasparenza prevale sugli altri caratteri
legislativi: e dunque necessita di una risoluzione che favorisca
all’interessato di conoscere il contenuto degli esposti e loro autori.
La particolarità di questa Sentenza infine è che essa sovverte altre due
Sentenze del TAR precedenti (Tar Emilia Romagna
n. 772/2018 e Tar Liguria
n. 772/2019) che si erano espresse con parere negativo. O
quantomeno avevano espresso dubbi sull’argomento (commento tratto da
www.lentepubblica.it).
---------------
MASSIMA
In data 21.08.2019 due funzionari del dipartimento dell’Ispettorato centrale
della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti
agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
e del turismo effettuavano una verifica presso lo stabilimento della
ricorrente.
All’esito della verifica veniva contestato alla ricorrente, unitamente alla
qualità di responsabile della qualità e della etichettatura dei prodotti
alimentari dell’azienda, la violazione del Capo V del REG UE 1169/2011,
violazione in relazione alla quale veniva comminata una sanzione pecuniaria.
La ricorrente impugnava il provvedimento sanzionatorio e proponeva, in data
22.08.2019 un’istanza di accesso a “tutti i documenti e atti su cui si fonda
la contestazione di illecito amministrativo”.
Ottenuta una parte di documenti, in data 11.09.2019, la ricorrente formulava
una nuova istanza di accesso, con la quale chiedeva copia della segnalazione
dalla quale aveva preso avvio il procedimento, precisando di voler
“conoscerne precisamente il contenuto, di fondamentale importanza per
comprendere quali elementi fattuali e/o normativi giustificherebbero la non
conformità, nonché di individuare l’autore materiale della stessa,
indispensabile per conoscere la fonte che ha dato impulso agli accertamenti
svolti e il soggetto nei confronti del quale -OMISSIS-S.p.A potrà
eventualmente intraprendere le azioni più idonee alla tutela dei propri
diritti ed interessi e della propria immagine”.
L’amministrazione, con il provvedimento oggi impugnato, respingeva l’istanza
ritenendo l’atto in questione rientrante nelle categorie dei documenti
inaccessibili di cui all’art. 2, lettere f) e m), del D.M. 05.09.1997
n. 392, il quale “per la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione e
la repressione della criminalità” consentirebbe di secretare i documenti
richiesti.
La ricorrente proponeva quindi il ricorso in esame, con il quale lamentava
violazione degli artt. 22 e ss della legge n. 241/1990 e successive
modifiche, falsa applicazione dell’art. 2, lettere f) e m), del d.m. 05.09.1997 n. 392, violazione del diritto di accesso spettante al
cittadino sui documenti amministrativi detenuti dall’amministrazione.
Violazione dell’articolo 24 della Costituzione. Eccesso di potere per
difetto dei presupposti.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del turismo,
costituito in resistenza, rappresentava come rappresenta come il diniego di
ostensione fosse basato sul d.m. 05.09.1997, n. 392, adottato ai sensi
sensi dell’ art. 24 della legge 241/1990, che, nell’individuare gli atti
sottratti all’accesso, menziona gli “atti riguardanti l'identità delle fonti
di informazione e atti e documenti attinenti ad informazioni fornite da
fonti confidenziali di privati, di organizzazioni di categorie o sindacati”.
Tali sarebbero, a giudizio del Ministero, tutti gli atti che concernono
l’attività ispettiva dell’Ispettorato svolta nell’ambito del settore
alimentare, atteso che essi tendono a salvaguardare l’indipendenza e
l’efficacia dell’attività di indagine nonché la riservatezza delle fonti di
informazione.
Il Ministero ha, infine, richiamato l’orientamento giurisprudenziale che
esclude l'ostensibilità di un esposto da cui non sarebbe evincibile alcun
elemento utile di conoscenza, salvo il nome del denunciante.
La ricorrente ha depositato memoria di replica per contestare la tesi
esposta dalla difesa erariale.
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
La questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti
e agli atti di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o
altri procedimenti di accertamento di illeciti a carico di privati è stata
affrontata in giurisprudenza con approdi non univoci.
Secondo un primo orientamento, invocato dal Ministero,
il diniego di accesso
a tali atti è legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del
soggetto che, a fronte dell'intervenuta notifica del verbale conclusivo
dell'attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome
dell'autore dell'esposto (cfr., fra le ultime, TAR Emilia Romagna,
Bologna, sez. II, 17.10.2018, n. 772).
Appare tuttavia maggioritario l’orientamento secondo il quale, al di fuori
di particolari ipotesi, in cui il soggetto denunciante potrebbe essere
esposto, in ragione dei rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni
discriminatorie o indebite pressioni, la tutela della riservatezza non può
assumere un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato dei
soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera
giuridica di terzi: il principio di trasparenza che informa l'ordinamento
giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si
frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all'interessato di
conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i
conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo (Tar Liguria, sez. I,
07.07.2019, n. 510)
Occorre anche considerare che, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza
della pubblica amministrazione, l'esposto costituisce un presupposto
dell'attività ispettiva, sicché il suo autore perde il controllo di un atto
uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità
dell'amministrazione.
Per tali ragioni, la presentazione di un esposto non può considerarsi un
fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione competente all'avvio
di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti
comunque incisi in qualità di "denunciati" (Consiglio di Stato, sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento
giurisprudenziale, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi
democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di
"denunce segrete": colui il quale subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza,
a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti (TAR Firenze, sez. I,
03.07.2017, n.
898; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR
Lazio, Roma, sez. III, 01.06.2011, n. 4989; Cons. Stato, sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Né potevano essere utilmente invocate in senso contrario le disposizioni
regolamentari contenute nel d.m. 392/1997, alla disapplicazione delle quali
(attesa l’attinenza del procedimento de quo a una mera sanzione
amministrativa e non alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e
alla repressione della criminalità) il giudice amministrativo può procedere
pure in assenza di una specifica domanda di parte.
E infatti, nel caso concreto, viene in esame un giudizio in materia di
accesso, il quale, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della
proposizione del ricorso -in quanto rivolto contro l'atto di diniego o
avverso il silenzio-diniego formatosi sulla relativa istanza ed il ricorso è
da esperire nel termine perentorio di trenta giorni- è sostanzialmente
rivolto all'accertamento la sussistenza o meno del titolo all'accesso nella
specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente
dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte
dall'amministrazione per giustificarne il diniego.
Sulla base delle suesposte argomentazioni, stante la fondatezza nel merito
del ricorso, deve disporsi l'annullamento del gravato provvedimento di
rigetto dell'istanza di accesso documentale, con contestuale ordine al
Ministero intimato di esibire alla ricorrente, mediante estrazione di copia,
la segnalazione dalla quale aveva preso avvio il procedimento, entro il
termine di giorni trenta dalla comunicazione o, se antecedente, dalla
notificazione della presente sentenza.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione delle accennate
oscillazioni giurisprudenziali
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.06.2020 n. 5955 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Il
diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall'art. 24, comma 7,
della L. 241/1990, che, nel rispetto dell’art. 24 della
Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, che “deve
comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici”.
E’ anche vero che la medesima norma specifica con molta chiarezza come non bastino
esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo
corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si
assumano lesi.
Orbene nel caso in esame non vi è dubbio che la società istante vanta un
interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione,
corrispondente ad
una posizione giuridica qualificata, siccome derivante dalla comunicazione
di avvio del procedimento finalizzato alla revoca di un contributo pubblico
in precedenza concesso; diritto all’ostensione che, come noto, prescinde dal
requisito della strumentalità rispetto alle connesse ed eventuali iniziative
giudiziarie conseguenti, potendo essere tutelato di per sé ed in via
autonoma.
L’istanza di accesso formulata dalla società ricorrente non è quindi
generica, avendo ad oggetto specifici atti, ed è altresì motivata con
riferimento a finalità difensive.
---------------
L'art. 24, co. 1, L. n. 241/1990 così
dispone: “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da
segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive
modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione
espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al
comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente
articolo”.
Tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento, rientra quello istruttorio
in sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale <<gli
atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria
sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere
conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari>>.
La norma in commento segreta gli atti di indagine, che siano posti in essere
dal pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, non ogni
denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità
giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come
tale sottratta all'accesso.
In particolare è stato affermato che “L'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990”.
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di
indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria,
ma sono gli atti amministrativi inerenti il procedimento di revoca del
contributo, sicché detti atti amministrativi, salvo non siano stati
espressamente sottoposti a secretazione dall’Autorità giudiziaria penale,
sono certamente ostensibili; e sul punto nulla è stato riferito e comprovato
dalla difesa erariale.
---------------
... per l'annullamento
del diniego di accesso ai documenti amministrativi relativi ai procedimenti
di revoca delle agevolazioni di cui alla nota 21841 del 28/03/2019, negato
con il provvedimento del 24/05/2019, prot. -OMISSIS-.
...
2. Il ricorso è fondato.
2.1. Il diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall'art. 24,
comma 7, della L. 241/1990, che, nel rispetto dell’art. 24 della
Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, che “deve
comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici”.
E’ anche vero che la medesima norma -come successivamente modificata tra il
2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lgs. n. 196/2003
e art. 16 l. n. 15/2005)- specifica con molta chiarezza come non bastino
esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi
che si assumano lesi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 28.09.2012 n. 5153).
Orbene nel caso in esame non vi è dubbio che la società istante vanta un
interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione,
corrispondente ad
una posizione giuridica qualificata, siccome derivante dalla comunicazione
di avvio del procedimento finalizzato alla revoca di un contributo pubblico
in precedenza concesso; diritto all’ostensione che, come noto, prescinde dal
requisito della strumentalità rispetto alle connesse ed eventuali iniziative
giudiziarie conseguenti (cfr. CdS Sez. III n. 116/2012), potendo essere
tutelato di per sé ed in via autonoma (Consiglio di Stato sez. VI,
15/11/2018, n. 6444).
L’istanza di accesso formulata dalla società ricorrente non è quindi
generica, avendo ad oggetto specifici atti, ed è altresì motivata con
riferimento a finalità difensive.
3. Ciò precisato deve rilevarsi che le ragioni addotte dall’amministrazione
per negare l’accesso, in relazione alla documentazione richiesta, non
appaiono scriminanti rispetto a detto interesse qualificato della
ricorrente.
3.1. Il provvedimento di diniego è fondato sull’assunto che “così come
precisato dagli organi di polizia giudiziaria competenti, il contenuto degli
atti è già nella disponibilità della Società che può acquisirne copia nelle
forme previste dal c.p.p.”.
La difesa erariale ha a sua volta sostenuto nella propria memoria che la
richiesta di accesso in esame riguarda atti e documenti relativi al
procedimento di revoca delle agevolazioni, attivato dall’Assessorato a
seguito di una segnalazione della Guardia di Finanza –Tenenza Barcellona
Pozzo di Gotto, la quale informava delle circostanze di fatto per le quali è
stato instaurato, parallelamente, il procedimento penale -OMISSIS- R.G.N.R.
Mod. 21 a carico dell’amministratore della -OMISSIS- per il reato p. e p.
dall’art. 640-bis c.p., vale a dire il delitto di truffa aggravata per il
conseguimento di erogazioni pubbliche.
Ha rappresentato, peraltro, che nell’ambito del procedimento penale
l’Autorità procedente ha richiesto e ottenuto un decreto di sequestro
preventivo finalizzato alla confisca anche in forma equivalente dei beni
nella disponibilità dell’indagato.
Orbene sulla scorta di dette premesse la difesa erariale ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse atteso che a suo
avviso “…parte ricorrente mira ad ottenere l’ostensione di atti di fatto già
in suo possesso” trattandosi di “… informazioni certamente già nella
disponibilità della società -OMISSIS- o comunque ottenibili attraverso le
ordinarie forme di cui al c.p.p., atteso che a seguito dell’istanza di
riesame del provvedimento di sequestro, la documentazione è diventata
ostensibile”.
3.2. Le argomentazioni opposte dall’amministrazione sono infondate.
Sotto un primo profilo va tenuto presente che l’istanza di accesso è stata
proposta dalla Soc. -OMISSIS- Srl, titolare di una propria soggettività
giuridica nonché soggetto direttamente coinvolto nel procedimento di revoca
del contributo avviato dall’amministrazione e, pertanto, suscettibile di
essere inciso negativamente dall’eventuale provvedimento in fieri; il
procedimento penale pendente, invece, è a carico dell’amministratore della
società, persona fisica titolare di una distinta e separata soggettività
giuridica, che in tesi potrebbe anche porsi in conflitto di interesse
rispetto a quello della società ricorrente.
Sotto altro profilo deve rilevarsi che l'art. 24, co. 1, L. n. 241/1990 così
dispone: “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da
segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive
modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione
espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al
comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente
articolo”.
Tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento, rientra quello istruttorio
in sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale <<gli
atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria
sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere
conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari>>.
La norma in commento segreta gli atti di indagine, che siano posti in essere
dal pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria.
Come esattamente rilevato dal Consiglio di Stato, non ogni denuncia di reato
presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria
costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta
all'accesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 29/01/2013, n. 547; Consiglio di
Stato, sez. VI, 10/04/2003, n. 1923).
In particolare è stato affermato che “L'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai
sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una
pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono
atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990” (TAR, Catania, sez. III, 01/02/2017, n. 229).
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di
indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria,
ma sono gli atti amministrativi inerenti il procedimento di revoca del
contributo, sicché detti atti amministrativi, salvo non siano stati
espressamente sottoposti a secretazione dall’Autorità giudiziaria penale,
sono certamente ostensibili; e sul punto nulla è stato riferito e comprovato
dalla difesa erariale.
4. Conclusivamente, ritiene il Collegio che l’istanza di accesso agli atti
sia pertinente con il diritto di difesa della società ricorrente sicché, per
le surriferite ragioni, il ricorso deve essere accolto, e per l’effetto:
- va annullata la nota impugnata con cui l’amministrazione ha denegato
l’accesso ai documenti richiesti;
- va affermato il diritto della società ricorrente all’accesso documentale
di cui è causa, in relazione alla documentazione indicata nella parte motiva
e nei sensi sopra esposti, mediante esame integrale ed estrazione di copia
dei relativi documenti amministrativi.
Con condanna dell’intimata amministrazione a porre in essere le dovute
attività consequenziali entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla
notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa
della presente sentenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 20.05.2020 n. 1006 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: La questione oggetto del presente giudizio è se possa essere legittimamente
negato l’accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22, comma 3
e 24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990, in quanto strumentali ad attività
di indagine della polizia giudiziaria.
Come è noto, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata
dalla L. 11.02.2005, n. 15 ha sancito, elevando a rango superiore un
principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione
dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di
polizia.
La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che “L'esistenza di un'indagine
penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o
provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti
oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro
e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di
accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990”.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto
istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i
relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso
ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante
l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale.
---------------
... per l'annullamento
del diniego accesso atti del 21.03.2019 prot. -OMISSIS- dell'agenzia del
demanio direzione regionale Lazio.
...
Con il ricorso in epigrafe, parte ricorrente agisce per l’accesso ai
documenti richiesti all’Agenzia del demanio in data 14.02.2019 e
concernenti il sopralluogo e l’ispezione effettuati nello stabilimento
balneare della società ricorrente da un tecnico della Agenzia nel settembre
del 2018.
La richiesta era motivata sulla base del fatto che il comune di Sabaudia aveva successivamente comunicato un avviso di avvio del
procedimento di revoca della concessione demaniale e pertanto la
documentazione richiesta era necessaria all’istante per svolgere le proprie
attività difensive sia in sede procedimentale che, eventualmente, in sede
giudiziale.
In particolare, la ricorrente chiedeva i seguenti atti:
1)- Nota prot. -OMISSIS- citata nell'esito dell'Ispezione del -OMISSIS-, prot.
n. -OMISSIS-, in tutte le sue parti e completa di tutta la documentazione ad
essa allegata;
2)- Nota di servizio e/o verbale di acquisizione degli atti presso il Comune
di Sabaudia come indicati nella nota ”esito ispezione” con prot. n. -OMISSIS-;
3)- Copia degli atti inviati al Comune di Sabaudia successivamente alla data
del -OMISSIS-;
4)- Copia di qualunque altro atto interno, anche se non direttamente
conosciuto, successivo e funzionalmente collegato all'esito dell'ispezione
del -OMISSIS-.
In data 14.03.2019, a mezzo PEC, l'Agenzia del Demanio dava seguito alla
richiesta di accesso indicando la data del 21 marzo per l'espletamento
dell'attività richiesta.
Il giorno 21 marzo, il tecnico incaricato dalla ricorrente si recava presso
gli uffici d'Agenzia del Demanio in Roma per accedere al fascicolo, ma
contrariamente a quanto indicato in precedenza, in quella sede gli veniva
negato l’accesso in quanto, a seguito di una telefonata con la Capitaneria
di porto, si era venuti a sapere che la documentazione richiesta era oggetto
di attività di indagine da parte della Capitaneria di porto a carico del
titolare dello stabilimento balneare e che, pertanto, ai sensi dell'art. 22,
comma 3, e 24, comma 6, lett. c), della L. 241/1990 l'accesso alla
documentazione richiesta deve ritenersi allo stato negato in attesa di
acquisire ulteriori informazioni dalla Capitaneria di Porto.
Avverso tale atto, parte ricorrente deduce:
1)- violazione e falsa applicazione dell’art. 97 e dell'art. 24 della
costituzione e del principio del buon andamento dell’amministrazione.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 3, della l. 241/1990.
Eccesso di potere. Sviamento.
3)- falsa ed errata applicazione della legge. Violazione e
falsa applicazione dell’art.24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990. Eccesso di
potere.
Il diniego di accesso sarebbe stato ingiustificato non ricorrente l’ipotesi
invocata dalla amministrazione resistente, in quanto gli atti dei quali si
richiede l’accesso sono atti amministrativi e non atti di polizia giudiziaria
e poiché non si verte nel caso di specie di prevenzione della criminalità,
tecniche investigative o identità delle fonti di informazione.
L’Agenzia del demanio si è costituita e ha depositato una memoria per
sostenere l’infondatezza del ricorso.
All’udienza del -OMISSIS-, il Collegio ha chiesto, con ordinanza n.
-OMISSIS-, chiarimenti circa lo stato delle indagini in corso, specificando
in particolare se la documentazione oggetto della istanza di accesso sia
stata oggetto di un provvedimento di sequestro probatorio e se sia comunque
ancora nella disponibilità della amministrazione intimata.
In data 24.09.2019, l’amministrazione ha reso noto che, secondo
quanto riferito dagli uffici competenti, non risultava che alcuna
documentazione fosse oggetto di sequestro probatorio, precisando, tuttavia,
che “sono in corso indagini della Procura della Repubblica di Latina nei
confronti del nominato in argomento, per il quale, da ultimo, il GIP ha
disposto il sequestro preventivo dello stabilimento balneare in concessione
all’indagato”.
Gli uffici evidenziavano, altresì, che “ogni documentazione, ovvero atto
prodotto nel merito delle indagini in parola, essendo ancora nell’ambito
delle indagini preliminari, possono essere fornite ad eventuali istanti, con
particolare riguardo agli indagati, unicamente giusta autorizzazione della
Procura Procedente. Per quanto sopra ogni documento avente validità
probatoria inserita nel fascicolo del P.M. dovrà essere richiesto
direttamente allo stesso”.
In data 04.10.2019, parte ricorrente ha depositato una memoria nella
quale ha specificato che nessun documento del fascicolo del PM era stato
richiesto, in quanto la richiesta di accesso riguardava il fascicolo
dell'Agenzia del Demanio, che non risulta aver inviato nulla al PM.
Risulta inoltre dagli atti depositati da parte ricorrente che le indagini si
sono concluse e che è stato notificato all’indagato l’avviso di conclusione
delle indagini, ex art. 415-bis c.p.p. emesso in data 01.10.2019.
Pertanto, il segreto sugli atti d’indagini è caduto, mentre permane per
parte ricorrente l’interesse ad accedere al fascicolo degli atti
amministrativi dell’Agenzia.
La causa, all’odierna udienza, è stata trattenuta in decisione.
La questione oggetto del presente giudizio è se possa essere legittimamente
negato l’accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22, comma 3
e 24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990, in quanto strumentali ad attività
di indagine della polizia giudiziaria.
Come è noto, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata
dalla L. 11.02.2005, n. 15 ha sancito, elevando a rango superiore un
principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione
dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di
polizia.
La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che “L'esistenza di un'indagine
penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o
provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti
oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro
e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di
accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990.” (TAR Catania,
(Sicilia) sez. III, 01/02/2017, n. 229).
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto
istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i
relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso
ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante
l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale (cfr.
TAR Roma, (Lazio) sez. III, 23/12/2015, n. 14525).
Ora nel caso di specie non risulta né è stato allegato che gli atti in
questione siano confluiti nel fascicolo del PM e siano pertanto da
qualificarsi atti di indagine. E’ inoltre stato accertato che nessun
provvedimento di sequestro probatorio è stato adottato con riferimento alla
documentazione in questione.
Gli atti richiesti da parte ricorrente, dunque, pur avendo una sicura
attinenza con indagini della PG, non risultano sottratti al diritto di
accesso ai sensi della normativa indicata dalla Agenzia resistente in quanto
non sono confluiti nel fascicolo del PM e non riguardano attività posta in
essere nell’esercizio di funzioni di PG.
Inoltre, in ogni caso, anche qualora essi fossero stati acquisiti al
fascicolo del PM (e così non è, a quanto risulta dagli atti del presente
giudizio), il segreto è comunque venuto meno dalla data del 01.10.2019 a
seguito della comunicazione dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p..
In conclusione, dunque, il ricorso deve essere accolto e deve essere
ordinato all’Agenzia resistente di consentire l’accesso (nelle forme della
visione e dell’estrazione di copia) degli atti richiesti con l’istanza del
14.02.2019, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della
presente sentenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Abusi
edilizi, denunce palesi. Chi è segnalato ha diritto di sapere da chi è
accusato. Il Tar Liguria: il cittadino che subisce un sopralluogo è
portatore di un interesse qualificato.
Non c'è privacy per le spie. Chi subisce in casa un
sopralluogo della polizia municipale alla ricerca di un abuso edilizio ha
diritto a sapere chi lo ha segnalato al Comune. E ciò perché in Italia «non
esistono denunce segrete»: al privato deve essere consegnata un copia
dell'esposto presentato contro di lui anche se la verifica ha avuto esito
negativo.
È
quanto emerge dalla
sentenza
07.06.2019 n. 510, pubblicata
dalla I Sez. del TAR Liguria.
Trasparenza e responsabilità.
Il ricorso è accolto perché il cittadino è portatore di un interesse
qualificato a conoscere il nome di chi lo accusa: il Comune ha 20 giorni di
tempo per tirare fuori le carte. Non convince la tesi secondo cui il no
all'accesso agli atti non incide sul diritto di difesa. Sbaglia l'avvocatura
civica quando esclude l'ostensione dell'esposto in tema di abusi edilizi,
anche quando pende una causa civile contro il condominio, perché con l'esito
negativo basta il verbale del sopralluogo ad attestare che l'immobile è in
regola dal punto di vista urbanistico ed edilizio. La privacy è tutelata ad
esempio in caso di dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva:
divulgare i nomi potrebbe esporli ad azioni discriminatorie o indebite
pressioni da parte del datore.
Per il resto, non ha diritto alla riservatezza chi assume iniziative che
comunque incidono sulla sfera giuridica di terzi. Il nostro ordinamento,
scrivono i giudici, è ispirato a principi democratici di trasparenza e
responsabilità che impediscono di tenere nascosto il nome dell'autore di
denunce, segnalazioni o esposti.
L'atto esce dal controllo dell'autore una volta entrato nella sfera di
conoscenza dell'amministrazione: costituisce il presupposto dell'attività
ispettiva e riguarda direttamente il soggetti inciso in qualità di
denunciato; il quale, dunque, ha diritto a conoscere per intero i documenti
utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza.
Denunce, effetti limitati.
Il Comune, poi, non può ordinare al condomino di abbattere la veranda solo
perché il vicino lo denuncia.
L'amministrazione, infatti, non deve farsi carico di questioni privatistiche
nel momento in cui è chiamata ad assentire l'opera edilizia.
È quanto emerge
dalla sentenza n. 1593/2018, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Campania.
Accolto il ricorso del singolo proprietario esclusivo che vuole costruire
due verandine e una pensilina. L'autotutela scatta perché con l'esposto del
vicino emergono «aspetti controversi» sul diritto di proprietà dei balconi
«incriminati». Ma non sussistono i presupposti affinché il Comune possa
rimangiarsi il permesso di costruire in sanatoria: manca l'assenso del
condominio agli interventi. E ciò perché al momento in cui l'ente locale
concede il titolo in sanatoria non conosce i limiti condominiali al progetto
laddove è controversa la titolarità dei balconi e dei passetti oggetto
dell'intervento.
Dagli allegati tecnici all'istanza di accertamento di conformità emerge che
si tratta di opere effettuate su balconate di pertinenza dell'appartamento
di proprietà del richiedente. E se la questione della titolarità risulta
incerta, non è certo il Comune a doverla chiarire: la circostanza esula dai
poteri di verifica affidatigli in sede di rilascio del titolo edilizio. Né
si può ordinare la demolizione sul rilievo che i manufatti incidono
sull'estetica del fabbricato: il decoro architettonico dell'edificio
condominiale è un'altra questione privatistica di cui non deve ingerirsi
l'amministrazione.
Diritto di sapere anche per chi rischia il processo.
E se invece la segnalazione anonima ha esito positivo? Chi è denunciato ai
vigili urbani ha comunque diritto a vedere l'esposto anche quando rischia il
processo per abuso edilizio. La comunicazione della polizia municipale alla
procura della repubblica, infatti, non rientra fra le attività di polizia
giudiziaria: il destinatario del controllo ha l'interesse qualificato a
conoscere le carte da cui emergerebbe il reato.
È quanto stabilisce la
sentenza n. 11188/2015, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lazio.
Sbaglia il comando della polizia locale a rispondere al proprietario
dell'immobile che l'accesso all'esposto è precluso dall'articolo 329 cpp in
quanto è stata comunicata una notizia di reato. In realtà il responsabile
dei lavori ha diritto a leggere la denuncia: in questo caso la comunicazione
dei vigili in Procura non rientra fra le attività di polizia giudiziaria,
mentre chi è soggetto a un controllo o a un'ispezione ha l'interesse
qualificato a conoscere tutti i documenti dai quali scaturisce l'iniziativa.
Nel nostro caso la polizia municipale, in quanto espressione del Comune,
agisce nell'ambito della sua attività istituzionale, che è amministrativa e
non come polizia giudiziaria quando ha ricevuto l'esposto dal terzo. Risulta
dunque esclusa l'applicazione della regola secondo cui gli atti d'indagine
compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal
segreto fino a quando l'interessato non ne possa avere conoscenza e,
comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Deve invece
riconoscersi al proprietario dell'immobile nei guai per l'opera edilizia la
sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad
esposti o denunce presentati nei suoi confronti.
Diritto alla trasparenza anche per le persone giuridiche.
Il diritto alla trasparenza, poi, va riconosciuto alle persone giuridiche
oltre che a quelle fisiche. La società additata in un esposto rivolto al
Comune sulla sua attività ha diritto a conoscerne il contenuto anche se
l'atto proviene da un privato: è infatti esclusa la tutela della
riservatezza invocata dall'amministrazione quando il documento va comunque a
incidere sulla sfera giuridica della compagine.
È quanto emerge dalla
sentenza n. 898/2017, pubblicata dalla terza sezione del Tar Toscana.
La srl ha
diritto all'ostensione anche se le carte richieste non risultano strumentali
a un'eventuale difesa in giudizio: la società che si trova esposta a un
controllo a un'ispezione è titolare di un interesse qualificato a ottenere
tutti i documenti utilizzati, compresi gli atti di iniziativa e
preiniziativa.
Poteri repressivi.
È escluso, tuttavia, che il Comune possa far finta di niente di fronte
all'istanza di uno dei condomini che vuole siano puniti gli abusi edilizi
compiuti da un altro. E ciò per due motivi: da una parte è possibile
ricorrere alla procedura del silenzio-adempimento dell'ente locale sui
mancati controlli alle opere realizzate senza titolo dal vicino; dall'altra
l'amministrazione deve comunque dar seguito alla domanda della parte privata
anche quando la ritiene inammissibile.
È quanto emerge dalla sentenza n.
3454/2019, pubblicata dalla sezione II-bis del Tar Lazio.
Accolto solo in parte il ricorso proposto da uno dei proprietari esclusivi
contro il silenzio serbato dall'amministrazione: gli uffici devono fornire
almeno un riscontro entro novanta giorni alla denuncia rivolta contro due
condomini del piano terra.
In entrambi i casi gli immobili sorgono manufatti negli spazi di distacco
dal fabbricato contro il divieto contenuto nel regolamento condominiale,
secondo cui le aree devono rimanere destinate a giardino. Ma per un'opera
pende una causa davanti al Tar e per l'altra la domanda di condono: si
tratta del box realizzato dai precedenti proprietari. In ogni caso il Comune
deve rispondere all'istanza del privato che lo sollecita a esercitare i
poteri repressivi in materia edilizia: sono escluse soltanto le domande
pretestuose. E se l'inadempimento continua si può ottenere la nomina di un
commissario che provveda. Il singolo condomino, tuttavia, non può pretendere
che si dia seguito all'obbligo di sistemare a giardino gli spazi assunto dal
Comune quando ha rilasciato il permesso di costruire.
Sbaglia infine l'ente locale a ignorare la diffida proposta
dall'amministratore condominiale, che è legittimato ad agire ex articoli
1130 e 1131 c.c.: l'iniziativa rientra nel potere di compiere atti
conservativi nei confronti del fabbricato.
Lo precisa la sentenza 297/2018,
pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.07.2019). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al
suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio di un eventuale
procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in
qualità di “denunciati”.
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento
giurisprudenziale secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi
democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di
“denunce segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza,
a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti.
---------------
In data 10.12.2018, personale del Comune di Genova eseguiva un sopralluogo
presso l’unità immobiliare di proprietà del ricorrente sita in via ... n.
17/1.
All’esito del sopralluogo, veniva esclusa la sussistenza di irregolarità
edilizie con la relazione prot. n. 433333 del 14.12.2018.
Avendo informalmente appreso che l’attività di controllo aveva tratto
impulso da un esposto di privati, l’interessato chiedeva l’ostensione di
tale atto e degli eventuali allegati con istanza presentata al Comune di
Genova in data 15.01.2019.
Il Comune respingeva l’istanza con provvedimento del 31 gennaio successivo,
poiché “l’esposto svolge un ruolo meramente sollecitatorio rispetto ad
una funzione” che la pubblica amministrazione “deve comunque
generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private”.
Nella motivazione del diniego, si fa anche riferimento ad un “costante
orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Civica Avvocatura, secondo
il quale gli esposti in materia di abusivismo edilizio non sarebbero
ostensibili” e si rileva che l’acquisizione dell’esposto non sarebbe
giustificata neppure dalla pendenza di una causa civile con il condominio,
attesa la sufficienza del verbale di sopralluogo ad attestare la regolarità
urbanistico-edilizia dell’immobile.
L’interessato ha impugnato il diniego di accesso con ricorso notificato il
01.03.2019 e depositato il successivo 7 marzo, sollevando specifiche
contestazioni in ordine ai motivi su cui esso fonda.
Resiste il Comune di Genova che, dando lealmente atto dell’esistenza di
difformi orientamenti giurisprudenziali in materia, argomenta in favore
dell’opzione che esclude l’ostensibilità di un esposto da cui non sarebbe
evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nome del
denunciante.
...
La questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti
in materia di abusivismo edilizio (e, più in generale, agli atti di impulso
che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di
accertamento di illeciti a carico di privati) ha dato luogo a soluzioni
giurisprudenziali non univoche.
Secondo un primo orientamento, il diniego di accesso a tali atti è legittimo
in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte
dell’intervenuta notifica del verbale conclusivo dell’attività ispettiva,
non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell’autore dell’esposto (cfr.,
fra le ultime, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17.10.2018, n. 772).
Tale conclusione appare condivisibile laddove sussista una particolare
esigenza di tutelare la riservatezza dell’autore della segnalazione, come
nel caso delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva che,
qualora divulgate, potrebbero comportare azioni discriminatorie o indebite
pressioni da parte del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
24.11.2014, n. 5779).
Al di fuori di tali particolari ipotesi, la tutela della riservatezza non
può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei
soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera
giuridica di terzi: il principio di trasparenza che informa l’ordinamento
giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si
frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all’interessato di
conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i
conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo.
Occorre anche considerare che, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza
della pubblica amministrazione, l’esposto costituisce un presupposto
dell’attività ispettiva, sicché il suo autore perde il controllo di un atto
uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità
dell’amministrazione.
Per tali ragioni, la presentazione di un esposto non può considerarsi un
fatto circoscritto al suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio
di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti
comunque incisi in qualità di “denunciati” (Cons. Stato, sez. VI,
25.06.2007, n. 3601).
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento
giurisprudenziale, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi
democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di “denunce
segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza,
a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti (TAR Firenze, sez. I, 03.07.2017, n. 898;
TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, sez.
III, 01.06.2011, n. 4989; Cons. Stato, sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Sulla base delle suesposte argomentazioni, stante la fondatezza nel merito
del ricorso, deve disporsi l’annullamento del gravato provvedimento di
rigetto dell’istanza di accesso documentale, con contestuale ordine al
Comune di Genova di esibire al ricorrente, mediante estrazione di copia,
l’esposto che ha dato origine al menzionato sopralluogo presso il suo
immobile e la documentazione ad esso eventualmente allegata, entro il
termine di giorni venti dalla comunicazione o, se antecedente, dalla
notificazione della presente sentenza
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 07.06.2019 n. 510 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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Al riguardo si legga anche:
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Denuncia abuso edilizio: è segreta? (02.07.2019 - link a
www.laleggepertutti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: La giurisprudenza ha sancito, in termini costanti, che se possono esservi dubbi in ordine alla
conoscibilità dei dati dei soggetti che abbiano posto in essere, nei
confronti dell’imprenditore, eventuali segnalazioni o esposti idonei ad
innescare l’accertamento lavoristico, non può invece essere revocata in
dubbio la piena accessibilità dei documenti in virtù dei quali l’ente
ispettivo abbia irrogato le sanzioni. Detta conoscenza è infatti essenziale
per il datore di lavoro ai fini dell’esercizio del proprio diritto di difesa
giurisdizionale, costituzionalmente garantito.
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il differimento del diritto di accesso può essere disposto per la
salvaguardia degli specifici interessi pubblici indicati dall’art. 24, comma
6, L. 241/1990, ovvero:
a) sicurezza, difesa e sovranità nazionale oltre alle relazioni
internazionali dello Stato;
b) politica monetaria e valutaria;
c) ordine pubblico, prevenzione e repressione della criminalità e
attività di polizia giudiziaria e conduzione delle indagini;
d) vita privata e riservatezza di soggetti terzi;
e) contrattazione collettiva.
L’interesse pubblico per la cui tutela si dispone il differimento deve
essere specificamente individuato e reso noto, nello stesso atto di
differimento, all’interessato. Inoltre, il differimento non può essere
disposto sine die, ma deve necessariamente essere indicato un termine
finale.
Nel caso di specie, il provvedimento adottato dalla p.a. prevedeva una
scadenza non individuabile e non era motivato, in quanto conteneva un
generico riferimento a una non meglio precisata “necessità di tutelare
temporaneamente l’interesse pubblico”, senza individuare quale, tra gli
interessi pubblici idonei secondo il legislatore (art. 24, comma 6, cit.)
alla temporanea compressione del diritto di accesso, venisse in rilievo.
Tuttavia, configurandosi il rito dell’accesso come un processo volto ad
accertare in termini sostanziali la sussistenza del diritto, deve ritenersi
che la p.a. sia ammessa a integrare la motivazione del provvedimento in sede
giurisdizionale: invero, “Il ricorso in materia di accesso è ontologicamente
rivolto all'accertamento della fondatezza della pretesa. Il relativo
giudizio, infatti, pur seguendo il rito impugnatorio, è in ogni caso
strutturato come un giudizio di accertamento della fondatezza della pretesa
a prescindere dal contenuto del provvedimento di diniego o, come nel caso di
specie, di differimento, sicché l'eventuale difetto di motivazione non
assume alcun rilievo ai fini dell'esito del ricorso, imponendo, invece, al
giudice di verificare direttamente se sussistono i presupposti di legge per
ordinare l'esibizione degli atti.[…] Nel giudizio in materia di accesso,
l’integrazione della motivazione del diniego o del differimento deve
ritenersi senz’altro consentita all’Amministrazione e, peraltro, ai fini
dell’esito del ricorso è sostanzialmente irrilevante, atteso che l’azione
giurisdizionale è rivolta ad accertare l’esistenza del diritto di accesso
alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore
correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il
diniego”.
Nella relazione allegata all’atto di costituzione in giudizio depositata
dalla difesa erariale, si faceva menzione (peraltro in termini piuttosto
vaghi e ipotetici) di accertamenti ancora in corso e dell’eventualità di una
delega d’indagine da parte dell’Autorità Giudiziaria penale, assoggettata a
segreto istruttorio.
In effetti, gli atti eventualmente posti in essere dalla p.a. in veste di
Polizia Giudiziaria sono assoggettati a segreto istruttorio e non sono
ostensibili in sede di accesso ex artt. 22 e ss. L. 241/1990: “Qualora si
richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in
essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno
essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241
del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti
previsti dal codice di procedura penale tra cui sono contemplate le cd.
indagini difensive ex artt. 391-bis e ss. c.p.p.”.
Dunque, con riferimento ad essi, la p.a. correttamente esercitava il potere
di differimento, anche mediante indicazione di un termine ‘elastico’, ovvero
legato alla conclusione dell’attività di indagine delegata in sede penale.
Sotto tale profilo, anche il superamento del termine di 30 giorni indicato
dall’art. 25 L. 241/1990 non è rilevante, posto che in presenza di segreto
istruttorio per gli atti di Polizia Giudiziaria il differimento dell’accesso
si profila come un atto dovuto.
Tuttavia, le considerazioni sopra esposte devono intendersi limitate ai soli
atti compiuti dalla p.a. resistente in virtù di delega di indagine penale, e
dunque in veste di Polizia Giudiziaria, non anche con riferimento
all’attività posta in essere dall’Ispettorato del Lavoro nell’esercizio
delle proprie ordinarie funzioni amministrative di vigilanza, controllo e
irrogazione delle sanzioni in sede amministrativa: in verità, “L'esistenza
di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M.
e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei
procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti
in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività
istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento
di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e
rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria;
tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto
che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G.,
cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso
garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo
alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990”.
Con riferimento agli atti compiuti dalla p.a. al di fuori dell’attività
investigativa di Polizia Giudiziaria delegata dall’Autorità Giudiziaria
penale, atti in relazione ai quali veniva disposta l’irrogazione, nei
confronti del ricorrente, delle sanzioni pecuniarie in sede amministrativa
che lo stesso ha diritto a contestare in sede giurisdizionale, deve dunque
dichiararsi la sussistenza del diritto di accesso del ricorrente, nonché
l’illegittimità del silenzio-rigetto e del differimento, in quanto non
motivato e privo di un termine ultimo di efficacia.
---------------
... per l'annullamento
per l'accesso
-
agli atti e documenti presenti nel fascicolo in possesso dell'Ispettorato
Territoriale del Lavoro di Taranto originanti la notifica di verbale unico
di accertamento e notificazione (prot. N. 25910 del 05/12/2018) avente ad
oggetto la contestazione di illecito amministrativo di cui agli art. 39,
comma 1, DL 112/2008 e ss.mm.ii. e art. 3, comma 3, DL 12/2002;
nonché per l'annullamento
-
del silenzio-rigetto formatosi in data 18.01.2019 sulla domanda di
accesso presentata in data 19.12.2018;
nonché per l'annullamento
-
del provvedimento di differimento comunicato a mezzo pec in data 21.01.2019.
...
1. Ma.Ga. è titolare della ditta individuale E.G. di Ma.Ga. e,
in tale qualità, in data 05.12.2018 gli veniva notificato
dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Taranto il “Verbale unico di
accertamento e notificazione” Prot. 85910 del 05.12.2018. Con il
suddetto atto si contestava al Ga.:
1) la violazione dell’art. 39, comma I,
D.L. 112/2008 convertito in Legge 133/2008 – Istituzione e tenuta del LUL;
2) la Violazione dell’art. 3, comma 3, D.L. 12/2002 convertito in Legge
73/2002 come sostituito dall’art. 22, comma 1, D.Lgs. 14.09.2015 n. 151 –
Misure di contrasto del lavoro sommerso e irregolare fino a 30 giornate
senza mantenimento in servizio.
2. Con pec del proprio legale ricevuta dall’Ispettorato il 19.12.2018
il Ga. richiedeva, ai sensi degli artt. 22 e ss. L. 241/1990, “copia
conforme all’originale di tutti gli atti, nessuno escluso, alla data odierna
presenti nel fascicolo in possesso dell’ufficio procedente e riguardanti la
contestazione mossa al sig. Ga.”, motivando la propria richiesta con
l’intenzione di “esercitare il connesso diritto di difesa”.
3. In data 18.01.2019 scadeva il termine per il perfezionamento del
silenzio-rigetto di cui all’art. 25 L. 241/1990, senza che l’amministrazione
si pronunciasse.
In seguito, con nota Prot. 1226 del 21.01.2019 l’Amministrazione
rispondeva alla domanda di accesso rispondendo che: “l’accesso è differito
alla definizione degli accertamenti, attesa la necessità di assicurare una
temporanea tutela dell’interesse pubblico”.
4. Avverso il silenzio-rigetto e il suddetto provvedimento di differimento
Ma.Ga. proponeva ricorso, chiedendone l’annullamento per i seguenti
motivi: 1) “Violazione degli artt. 1, 2, 3, 22 commi 1, lett. b) e 6, e 24,
comma 7, e 25, comma 2, della L. n. 241/1990. Violazione dell’art. 9 del DPR
184/2006. Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.
Violazione dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon
andamento dell’azione amministrativa. Assente e/o apparente motivazione;
motivazione apodittica. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria”, con il
quale deduceva la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 22 e ss. L.
241/1990 per il diritto di accesso e la non ricorrenza delle condizioni di
differimento dello stesso.
Chiedeva inoltre l’accertamento della situazione
giuridica soggettiva azionata in giudizio e la condanna della p.a.
all’ostensione dei documenti richiesti.
L’Ispettorato del Lavoro si costituiva in giudizio con il ministero
dell’Avvocatura dello Stato.
...
5. Il ricorso va parzialmente accolto, nei limiti e per le ragioni che
seguono.
5.1. Sussiste, nella fattispecie oggetto di causa, il diritto di accesso di
Ma.Ga. con riferimento alla documentazione oggetto della richiesta del
19.12.2018 (salvo quanto si dirà al successivo punto 5.2), afferente
all’accertamento posto in essere nei di lui confronti dall’ispettorato del
Lavoro.
La giurisprudenza ha infatti sancito, in termini costanti e
condivisi dal Collegio, che se possono esservi dubbi in ordine alla
conoscibilità dei dati dei soggetti che abbiano posto in essere, nei
confronti dell’imprenditore, eventuali segnalazioni o esposti idonei ad
innescare l’accertamento lavoristico, non può invece essere revocata in
dubbio la piena accessibilità dei documenti in virtù dei quali l’ente
ispettivo abbia irrogato le sanzioni. Detta conoscenza è infatti essenziale
per il datore di lavoro ai fini dell’esercizio del proprio diritto di difesa
giurisdizionale, costituzionalmente garantito (si veda in tal senso: TAR
Sicilia, Catania, Sez. IV, 07.11.2011 n. 2641).
5.2. Nel caso di specie, il diritto di accesso, pur implicitamente
riconosciuto dalla p.a., era oggetto di apposito provvedimento di
differimento.
L’esercizio del potere di differimento dell’accesso da parte della p.a. è
disciplinato dalle seguenti disposizioni normative:
- art. 24, comma 4, L.
241/1990: “L’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove
sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento”;
- art. 25, comma 3, L.
241/1990: “Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono
ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall’art. 24 e debbono essere
motivati”;
- art. 9 D.P.R. 12.04.2006 n. 184: “1. Il rifiuto, la
limitazione o il differimento dell'accesso richiesto in via formale sono
motivati, a cura del responsabile del procedimento di accesso, con
riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione delle
categorie di cui all'articolo 24 della legge, ed alle circostanze di fatto
per cui la richiesta non può essere accolta così come proposta. 2. Il
differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una
temporanea tutela agli interessi di cui all'articolo 24, comma 6, della
legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie
nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui
conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa.
3. L'atto che dispone il differimento dell'accesso ne indica la durata”.
Dal combinato disposto delle norme su menzionate, deriva che il differimento
del diritto di accesso può essere disposto per la salvaguardia degli
specifici interessi pubblici indicati dall’art. 24, comma 6, L. 241/1990,
ovvero:
a) sicurezza, difesa e sovranità nazionale oltre alle relazioni
internazionali dello Stato;
b) politica monetaria e valutaria;
c) ordine
pubblico, prevenzione e repressione della criminalità e attività di polizia
giudiziaria e conduzione delle indagini;
d) vita privata e riservatezza di
soggetti terzi;
e) contrattazione collettiva.
L’interesse pubblico per la
cui tutela si dispone il differimento deve essere specificamente individuato
e reso noto, nello stesso atto di differimento, all’interessato. Inoltre, il
differimento non può essere disposto sine die, ma deve necessariamente
essere indicato un termine finale.
Nel caso di specie, il provvedimento adottato dalla p.a. prevedeva una
scadenza non individuabile e non era motivato, in quanto conteneva un
generico riferimento a una non meglio precisata “necessità di tutelare
temporaneamente l’interesse pubblico”, senza individuare quale, tra gli
interessi pubblici idonei secondo il legislatore (art. 24, comma 6, cit.) alla
temporanea compressione del diritto di accesso, venisse in rilievo.
Tuttavia, configurandosi il rito dell’accesso come un processo volto ad
accertare in termini sostanziali la sussistenza del diritto, deve ritenersi
che la p.a. sia ammessa a integrare la motivazione del provvedimento in sede
giurisdizionale: “Il ricorso in materia di accesso è ontologicamente rivolto
all'accertamento della fondatezza della pretesa. Il relativo giudizio,
infatti, pur seguendo il rito impugnatorio, è in ogni caso strutturato come
un giudizio di accertamento della fondatezza della pretesa a prescindere dal
contenuto del provvedimento di diniego o, come nel caso di specie, di
differimento, sicché l'eventuale difetto di motivazione non assume alcun
rilievo ai fini dell'esito del ricorso, imponendo, invece, al giudice di
verificare direttamente se sussistono i presupposti di legge per ordinare
l'esibizione degli atti.[…] Nel giudizio in materia di accesso,
l’integrazione della motivazione del diniego o del differimento deve
ritenersi senz’altro consentita all’Amministrazione e, peraltro, ai fini
dell’esito del ricorso è sostanzialmente irrilevante, atteso che l’azione
giurisdizionale è rivolta ad accertare l’esistenza del diritto di accesso
alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore
correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il
diniego” (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 18.12.2009 n. 13139; cfr: TAR
Campania, Napoli, Sez. VI, 02.12.2010 n. 26573; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.05.2004 n. 2966).
Nella relazione allegata all’atto di costituzione in giudizio depositata
dalla difesa erariale, si faceva menzione (peraltro in termini piuttosto
vaghi e ipotetici) di accertamenti ancora in corso e dell’eventualità di una
delega d’indagine da parte dell’Autorità Giudiziaria penale, assoggettata a
segreto istruttorio.
In effetti, gli atti eventualmente posti in essere
dalla p.a. in veste di Polizia Giudiziaria sono assoggettati a segreto
istruttorio e non sono ostensibili in sede di accesso ex artt. 22 e ss. L.
241/1990: “Qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto
istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i
relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso
ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante
l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale tra
cui sono contemplate le cd. indagini difensive ex artt. 391-bis e ss. c.p.p.”
(TAR Lazio, Roma, Sez. III, 23.12.2015 n. 14525).
Dunque, con
riferimento ad essi, la p.a. correttamente esercitava il potere di
differimento, anche mediante indicazione di un termine ‘elastico’, ovvero
legato alla conclusione dell’attività di indagine delegata in sede penale.
Sotto tale profilo, anche il superamento del termine di 30 giorni indicato
dall’art. 25 L. 241/1990 non è rilevante, posto che in presenza di segreto
istruttorio per gli atti di Polizia Giudiziaria il differimento dell’accesso
si profila come un atto dovuto.
5.3. Tuttavia, le considerazioni sopra esposte devono intendersi limitate ai
soli atti compiuti dalla p.a. resistente in virtù di delega di indagine
penale, e dunque in veste di Polizia Giudiziaria, non anche con riferimento
all’attività posta in essere dall’Ispettorato del Lavoro nell’esercizio
delle proprie ordinarie funzioni amministrative di vigilanza, controllo e
irrogazione delle sanzioni in sede amministrativa: “L'esistenza di
un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli
atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i
fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il
sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto
di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti
penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da
una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale
sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di
vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo
l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque,
restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga
uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non
può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito
all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990” (TAR Sicilia,
Catania, Sez. III, 01.02.2017 n. 229).
Con riferimento agli atti compiuti dalla p.a. al di fuori dell’attività
investigativa di Polizia Giudiziaria delegata dall’Autorità Giudiziaria
penale, atti in relazione ai quali veniva disposta l’irrogazione, nei
confronti del ricorrente, delle sanzioni pecuniarie in sede amministrativa
che lo stesso ha diritto a contestare in sede giurisdizionale, deve dunque
dichiararsi la sussistenza del diritto di accesso del Ga., nonché
l’illegittimità del silenzio-rigetto e del differimento, in quanto non
motivato e privo di un termine ultimo di efficacia.
6. Il ricorso merita dunque, per quanto precede, parziale accoglimento. Nei
limiti degli atti indicati al precedente punto 5.3, deve infatti accertarsi
la sussistenza del diritto di accesso del Ga. e l’illegittimità del
silenzio-rigetto e del differimento opposto dall’ispettorato.
Deve pertanto ordinarsi all’amministrazione resistente di mettere a
disposizione del ricorrente gli atti oggetto della richiesta ostensiva, a
esclusione di quelli che siano stati compiuti dall’Ispettorato in veste di
Polizia Giudiziaria e nell’esercizio della delega di indagine penale, con
facoltà, per il Ga., di estrarre copia di quelli di ritenuta utilità, nel
termine perentorio di 20 giorni dalla notificazione/comunicazione della
presente sentenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 21.05.2019 n. 800 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Accesso atti
di polizia.
Domanda
Una segnalazione/esposto presentato alla polizia può essere oggetto di
diritto di accesso agli atti?
Risposta
Cerchiamo di riassumere efficacemente l’ampia disciplina riguardante
l’argomento oggetto della domanda, al fine di poter tracciare chiaramente,
seppur in breve, la prassi da seguire.
Innanzitutto è doveroso distinguere. Se si tratta di denuncia di rilievo
penale la procedura è quella prevista dallo stesso codice di procedura
penale: l’attività di polizia rientra nella funzioni della polizia
giudiziaria ex art. 55 del c.p.p. e gli atti sono coperti dal segreto ex
art. 329 c.p.p.; diverso il caso in cui la segnalazione ha rilievo
amministrativo, in cui la violazione di legge o di regolamento che viene
denunciata determina una sanzione amministrativa, evento che non obbliga al
segreto di indagine da parte dell’organo di polizia.
Gli orientamenti dei diversi TAR e del Consiglio di Stato sono oscillanti,
tra gli istituti della tutela della “privacy” e la garanzia dell’accesso
agli atti.
Al proposito va citata l’innovativa e recentissima sentenza del TAR
Emilia-Romagna del 17.10.2018, n. 772.
A seguito di un controllo su esposto da parte della polizia locale, il
titolare di una palestra richiede al comune di Bologna l’accesso agli atti
per conoscere il “delatore”. Al diniego, l’interessato si rivolge al TAR,
che a sua volta conferma le argomentazioni addotte dal comune, evidenziando
che “la conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non
risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività ispettiva,
poiché, qualunque sia la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze
dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo”.
Per il Tar Emilia Romagna è pertanto preferibile l’interpretazione per cui
l’esposto o la segnalazione non può essere oggetto di accesso agli atti
perché “non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipenda la
difesa del denunciato”. “La conoscenza dei fatti –conclude la sentenza– e
delle allegazioni contestati risulta assicurata già dal verbale di
accertamento; non c’è quindi ragione di risalire al precedente esposto”.
Interessante, su questa linea di indirizzo, anche una sentenza TAR Veneto
del 04.04.2004, n. 934 che in maniera meno decisa e più “equilibrata”,
tra i due diritti, non nega la possibilità di accedere all’esposto, ma
ritiene necessaria tutelare la “privacy” dell’autore omettendone il nome per
evitare possibili ritorsioni.
Quindi, risulta del tutto legittimo, alla luce di quanto sostenuto dai
tribunali amministrativi, negare in tutto o in parte l’accesso all’esposto
con cui la polizia amministrativa si attivi e accerti una violazione
amministrativa, la cui conseguenza è del tutto autonoma rispetto all’impulso
iniziale, espressione del privato cittadino (23.11.2018 - tratto da e
link a www.publika.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
L'autore di un esposto resta riservato. Non è dalla
conoscenza del nome del denunciante che dipende la difesa
del denunciato.
La conoscenza della fonte all’origine di
un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di
colui che subisce la attività ispettiva, poiché, qualunque
sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze
dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito
del controllo.
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Con il presente ricorso per l’accesso è chiesto
l’annullamento del provvedimento di diniego dell’accesso
agli atti in data 30.04.2018 chiesto dalla ricorrente in
relazione all’eventuale esposto, denuncia o dichiarazione
cha ha sollecitato l’attività ispettiva da cui è
successivamente scaturito il provvedimento di divieto di
prosecuzione della attività asseritamente abusiva di
palestra sita nei locali di Via ... 35.
Il Comune si costituisce in replica.
Chiarisce che –con il ricorso– in buona sostanza la
ricorrente vuole acquisire il nominativo del soggetto che ha
sollecitato l’attività ispettiva
Il Comune precisa –richiamando gli artt. 5 e 5-bis del DLGS
33/2013– che l’obiettivo perseguito dalla ricorrente esula
dall’obiettivo esplicitato dalle norme (favorire forme
diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di
promuovere la partecipazione al dibattito pubblico).
Il Collegio concorda con le osservazioni del Comune.
Nella specie, il provvedimento è correttamente e
adeguatamente motivato sul seguente presupposto: <la
conoscenza della fonte all’origine di un controllo di
polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce
la attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la
ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per
l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo>.
La giurisprudenza si è espressa con due orientamenti
opposti.
Secondo un primo orientamento (cfr., recente sentenza
del Tar Toscana n. 898/2017) non c’è ragione di nascondere
il nome di chi fa una denuncia, un esposto o una
segnalazione: chi si trova al centro di una indagine o una
verifica deve poter accedere agli atti e conoscere le
ragioni da cui è partito il procedimento nei suoi confronti;
del resto, una volta che la denuncia o l’esposto arriva alle
autorità, essa costituisce un atto interno
all’amministrazione e, come tutti gli atti amministrativi da
cui derivano procedimenti per i cittadini, è sottoposto alla
massima «trasparenza».
Secondo un secondo diverso orientamento, invece (cfr.,
Tar Veneto Venezia, sent. n. 321/2015 e Cons. St. sent. n.
5779/2014) è stato affermato che l’esposto presentato alla
pubblica amministrazione, da cui trae origine una verifica,
un’ispezione o altri procedimenti di accertamento di
illeciti, non può essere oggetto di «accesso agli atti»,
poiché non è dalla conoscenza del nome del denunciante che
dipende la difesa del denunciato.
Peraltro, la conoscenza dei fatti e delle allegazioni
contestati risulta assicurata già dal verbale di
accertamento; non c’è quindi ragione di risalire al
precedente esposto.
Il Collegio ritiene preferibile aderire al secondo
orientamento.
In conclusione, il ricorso è da respingere nel merito (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 17.10.2018 n. 772 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Documenti, segretezza da motivare.
L'esistenza di un'indagine penale non implica la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi
con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto
il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al
diritto di accesso. E per rendere un atto riservato è sempre necessaria una
motivazione che chiarisca le ragioni alla base della segretezza.
È quanto stabilito dal
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 23.08.2018 n. 1737.
Secondo i giudici amministrativi siciliani soltanto gli atti di indagine
compiuti dal pm e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di
segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 del codice di
procedura penale.
Gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche
se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di
accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, ha chiarito il Tar, restano
nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno
specifico provvedimento di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, con
la conseguenza che non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, il
diritto di accesso garantito all'interessato dall'art. 22 della legge n.
241/1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di esclusione di cui all'art.
24 della medesima legge.
Il Tar Catania ha anche chiarito che per secretare un atto è sempre
necessaria una motivazione che faccia comprendere le concrete ragioni (senza
alcuna necessità, ovviamente, di divulgazione) per le quali i documenti
richiesti siano stati classificati come «riservati», non potendosi ritenere
sufficiente il mero rinvio alla normativa regolante la materia, trasfusa nel
decreto del presidente del consiglio dei ministri 06.11.2015, n. 5 (articolo
ItaliaOggi del 25.08.2018). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti classificati “riservati”.
---------------
Accesso ai documenti - Documenti classificati “riservati”
– Motivazione sulla riservatezza – Necessità.
In tema di accesso agli atti di
documenti ritenuti riservati, la Prefettura che forma il
documento classifica il documento e/o le parti dello stesso
da ritenere “Riservato”, attenendosi alle direttive
contenute nell’all.to D del d.P.C.M. 12.06.2009, n. 7 o
rinvenendo altre assimilabili ipotesi; ciò implica una
motivazione puntuale, che faccia comprendere le concrete
ragioni (senza alcuna necessità, ovviamente, di
divulgazione) per le quali i documenti richiesti siano stati
classificati come “riservati”, non potendosi ritenere
sufficiente il mero rinvio alla normativa regolante la
materia, trasfusa nel d.P.C.M. 06.11.2015, n. 5 (1).
---------------
(1)
Ha aggiunto la Sezione che l'esistenza di un'indagine penale
non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli
atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare
connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per
i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da
segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei
procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché
gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti
amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di
attività di vigilanza, controllo e di accertamento di
illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella
disponibilità dell'amministrazione fintanto che non
intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte
dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei
loro confronti, l'accesso garantito all'interessato
dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 23.08.2018 n. 1737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
II. Con il provvedimento impugnato, il Prefetto di Catania
ha negato l’accesso poiché il “verbale della -OMISSIS-
documenti e pareri acquisiti nonché la relazione del
Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale di
Palermo - hanno carattere riservato ai sensi del D.P.C.M.
del 06.11.2015 n. 5 recante “Disposizioni per la tutela
amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni
classificate a diffusione esclusiva” e, come tali, sono
sottratti all’accesso …”.
Parte ricorrente manifesta, in ricorso (coerentemente con la
sintetica istanza di accesso, nella quale si fa riferimento
al “rischio alla persona” e alle “misure di
protezione” asseritamente vulnerate, nonché, in sede di
ricorso alla Commissione per l’accesso, al “bene vita”
e alla sua “sicurezza”) l’interesse alla tutela della
sua incolumità, mentre, poi, in sede di memoria conclusiva,
precisa ancora meglio che il diniego costituirebbe un vulnus
anche alle sue funzioni.
Premette il Collegio che, in ragione delle motivazioni
personali espresse nelle istanze, non può considerarsi, ove
mai fondata, la censura relativa all’illegittimità del
diniego di accesso in ragione delle funzioni svolte dal
ricorrente.
Vero è che l’art. 3, comma 2, del Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 06/11/2015, n. 5 stabilisce che “l'accesso
alle informazioni classificate è consentito soltanto alle
persone che, fermo restando il possesso del NOS quando
richiesto, hanno necessità di conoscerle in funzione del
proprio incarico”, ma, in disparte l’assenza del NOS,
tali esigenze non sono state, si ribadisce, evidenziate
nelle istanze, essendo state introdotte altre ragioni,
assolutamente comprensibili, ma di natura strettamente
personale, seppur collegate all’Ufficio ricoperto.
Ciò posto, va ricostruita la complessa normativa posta a
presidio della tutela dei documenti “riservati”, cui
il Prefetto di Catania si è riferito per negare l’accesso.
In termini generali, l’art. 24 della l. 241/1990, nella
parte di interesse, stabilisce: “1. Il diritto di accesso
è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge
24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi
di segreto o di divieto di divulgazione espressamente
previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al
comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma
2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17,
comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400 , il Governo può
prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti
amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi,
le dotazioni, il personale e le azioni strettamente
strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla
prevenzione e alla repressione della criminalità con
particolare riferimento alle tecniche investigative, alla
identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei
beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia
giudiziaria e di conduzione delle indagini.
7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso
ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria
per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel
caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari,
l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente
indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 , in caso di dati
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Con decreto ministeriale 10.05.1994, n. 41 (recante il
regolamento del Ministero dell’Interno per la disciplina
delle categorie di documenti sottratti all'accesso ai
documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma
4 -ora comma 6-, della l. n. 241 del 1990), all’art. 3,
lett. b), del comma 1, vengono sottratte all’accesso “le
relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o
documenti inerenti ad adempimenti istruttori relativi a
licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o
ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi
diversi, compresi quelli relativi al contenzioso
amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni
di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e
all'attività di prevenzione e repressione della criminalità,
salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne
siano previste particolari forme di pubblicità o debbano
essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità;".
La Giurisprudenza (cfr. TAR Bari, III, 06.02.2018, n. 151)
ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba
essere interpretata in senso non strettamente letterale,
giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità,
in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente
generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i
documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con
palese frustrazione delle finalità perseguite dalla l. n.
241 del 1990>> (cfr. TAR Lazio, Latina, Sez. I, 06.10.2010, n.
1653; id., 15.10.2009, n. 949).
Con specifico riferimento alla lett. b) dell'art. 3, comma
1, del d.m. n. 415 cit., sussiste "l'esigenza di evitare
che, stante l'ampia formulazione della previsione stessa,
essa si traduca in una sottrazione indiscriminata e
generalizzata all'accesso di una grandissima parte dei
documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno. Donde
la necessità che la clausola escludente ex art. 3, comma 1,
lett. b), del D.M. n. 415 del 1994, operi a sua volta, quale
causa di giustificazione del diniego di accesso, in presenza
di quelle situazioni ed esigenze -strumentali alla tutela
dell'ordine pubblico ed alla repressione della criminalità-
elencate dall'art. 24, comma 6, lett. c), della l. n.
241/1990" (TAR Latina, sez. I, sent. 262 del
02.04.2012).
<<Inoltre, la disposizione regolamentare di cui all'art.
3, comma 1, lett. b), del D.M. n. 415 del 1994 va coordinata
con quella generale dettata dall'art. 8, comma 2, del D.P.R.
n. 352 del 1992, secondo cui "I documenti non possono essere
sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili
di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati
nell'art. 24 della legge 07.08.1990, n. 241">>.
<<E' stato osservato in proposito che "l'inaccessibilità
generalizzata delle categorie di atti di cui al citato art.
3, comma 1, lett. b), del D.M., a prescindere dalla
verifica, in concreto, dell'incompatibilità dell'accesso con
la tutela della riservatezza prevista dalle norme
sovraordinate, risulterebbe in insanabile contrasto con
queste ultime e imporrebbe la disapplicazione della
disciplina ministeriale (in senso conforme cfr. TAR Liguria,
sez. II, 06.02.2013 n. 241)" (TAR Toscana sez. II, sent.
2122 del 23.12.2014)>>.
Il Prefetto di Catania, però, come chiarito, ha individuato
la fonte di riservatezza nel D.P.C.M. del 06.11.2015 n. 5.
L’art. 42 della legge 03.08.2007, n. 124, stabilisce che: “1.
Le classifiche di segretezza sono attribuite per
circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti,
atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità
di accedervi [e siano a ciò abilitati] in ragione delle
proprie funzioni istituzionali.
1-bis. Per la trattazione di informazioni classificate
segretissimo, segreto e riservatissimo è necessario altresì
il possesso del nulla osta di sicurezza (NOS).
2. La classifica di segretezza è apposta, e può essere
elevata, dall'autorità che forma il documento, l'atto o
acquisisce per prima la notizia, ovvero è responsabile della
cosa, o acquisisce dall'estero documenti, atti, notizie o
cose.
3. Le classifiche attribuibili sono: segretissimo, segreto,
riservatissimo, riservato. Le classifiche sono attribuite
sulla base dei criteri ordinariamente seguiti nelle
relazioni internazionali.
4. Chi appone la classifica di segretezza individua,
all'interno di ogni atto o documento, le parti che devono
essere classificate e fissa specificamente il grado di
classifica corrispondente ad ogni singola parte”.
L’art. 3, del predetto D.P.C.M. del 06.11.2015 n. 5,
stabilisce che “l'accesso alle informazioni classificate
è consentito soltanto alle persone che, fermo restando il
possesso del NOS quando richiesto, hanno necessità di
conoscerle in funzione del proprio incarico”.
Si è già detto che la disposizione non è applicabile al caso
in esame.
L’art. 4 prevede che “in applicazione dell'art. 42, commi
1 e 3, della legge, le classifiche sono attribuite:
a) per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti,
atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità
di accedervi;
b) sulla base dei criteri ordinariamente seguiti nelle relazioni
internazionali, applicabili, per motivi convenzionali e ai
fini dell'analisi del rischio di cui all'art. 3, comma 1,
lettera s).
2. Le classifiche assicurano la tutela amministrativa di
informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui
diffusione non autorizzata sia idonea a recare un
pregiudizio agli interessi fondamentali della Repubblica.
3. La classifica SEGRETISSIMO è attribuita a informazioni,
documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non
autorizzata sia idonea ad arrecare un danno eccezionalmente
grave agli interessi essenziali della Repubblica.
4. La classifica SEGRETO è attribuita a informazioni,
documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non
autorizzata sia idonea ad arrecare un danno grave agli
interessi essenziali della Repubblica.
5. La classifica RISERVATISSIMO è attribuita a informazioni,
documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non
autorizzata sia idonea ad arrecare un danno agli interessi
essenziali della Repubblica.
6. La classifica RISERVATO è attribuita a informazioni,
documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non
autorizzata sia idonea ad arrecare un danno lieve agli
interessi della Repubblica.
7. Le tabelle A, B, C e D allegate al presente regolamento
individuano l'ambito dei singoli livelli di classifica, i
soggetti cui è conferito il potere di classifica e le
materie che possono essere oggetto di classifica, tra le
quali quelle elencate nella colonna 3 delle tabelle stesse”.
Emerge, quindi, che per i documenti classificati come
riservati, la diffusione non autorizzata determina un danno
lieve agli interessi della Repubblica.
L’art. 19 del medesimo dpcm stabilisce che “1. Le
classifiche di segretezza SEGRETISSIMO (SS), SEGRETO (S),
RISERVATISSIMO (RR) e RISERVATO (R), di cui all'art. 42
della legge, assicurano la tutela prevista dall'ordinamento
di informazioni la cui diffusione sia idonea a recare un
pregiudizio agli interessi della Repubblica e sono
attribuite per le finalità e secondo i criteri stabiliti
dall'art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri n. 7 del 12.06.2009”.
Le finalità, quindi, vanno rinvenute, nel caso di specie,
all’all. D di tale decreto.
L’all. D, dopo aver premesso questi principi, elenca un
numero rilevante di casi, nei quali non rientra la
fattispecie in esame.
Tuttavia, alla colonna 3, in premessa, si avverte che
l’elenco non è esaustivo, sicché, debitamente la Prefettura
può autonomamente valutare che l’ostensione possa
determinare la lesione degli interessi (lievi), ove
indiscriminatamente ostesi.
In somma sintesi,
l’Autorità che forma il documento (la
Prefettura) classifica il documento e/o le parti dello
stesso da ritenere “Riservati”, attenendosi a tali
direttive o rinvenendo altre assimilabili ipotesi.
Ciò implica una motivazione puntuale, che faccia comprendere
le concrete ragioni (senza alcuna necessità, ovviamente, di
divulgazione) per le quali i documenti richiesti siano stati
classificati come “riservati”.
Nella relazione della Prefettura alla Commissione per
l’accesso, si precisa che vi sarebbero anche “atti di
natura giudiziaria in ambito processuale non ancora definito”.
Parte ricorrente invoca un precedente di questo Tribunale (cfr.
TAR Catania, III, 01.02.2017, n. 229), che il Collegio
condivide e secondo il quale <<l'esistenza di un'indagine
penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti
gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano
risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli
atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di
accesso (cfr. TAR Puglia, Lecce, n. 2331/2014).
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei
procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché
gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione
nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti
amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di
attività di vigilanza, controllo e di accertamento di
illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia
all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella
disponibilità dell'amministrazione fintanto che non
intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte
dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei
loro confronti, l'accesso garantito all'interessato
dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna
delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990>>.
Nel caso di specie, come premesso, per quanto riferito nella
relazione della Prefettura alla Commissione per l’accesso,
le relazioni (atti amministrativi) conterebbero
imprescindibili riferimenti a fasi istruttorie di natura
penale non chiuse e, quindi, sottratte all’accesso.
Né viene indicata una diversa (o ulteriore) motivazione
concreta per la quale quanto richiesto sia classificabile
come riservato.
Si deve osservare che i provvedimenti impugnati sono,
quindi, affetti da difetto di motivazione, poiché, quanto
meno, le ragioni concrete emergono (in parte) nella fase
successiva alla loro adozione e dagli stessi non sono
richiamate espressamente.
La censura sia pure in maniera sintetica è contenuta in
ricorso, nella misura in cui parte ricorrente si duole della
circostanza secondo la quale “l’amministrazione ha errato
anche perché nell’eccepire la rilevanza del tema della
riservatezza si è disfatta dell’istanza di accesso senza
alcuna valutazione comparativa con le esigenze anteposte dal
richiedente, affermando (implicitamente) la prevalenza di
queste ultime acriticamente ed immotivatamente”.
Consegue l’accoglimento del ricorso, facendo obbligo
all’Amministrazione di rideterminarsi, consentendo l’accesso
o negandolo mediante motivazione coerente con i principi
sopra indicati.
|
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO: Con
l’archiviazione del procedimento penale non sussistono ragioni ostative
all’accesso ai relativi atti in possesso dell’Amministrazione e
riconducibili al ricorrente (atti comunque non oggetto di sequestro).
Il diritto di accesso, ferme le ovvie limitazioni derivanti dal segreto
d’ufficio o da prevalenti ragioni di privacy, ha infatti una portata ampia
collegata in particolare alla necessità dell’interessato di essere posto
nelle condizioni di esercitare al meglio ogni forma di tutela consentita.
Peraltro, anche gli atti relativi e denunce ed esposti sono accessibili.
Questi ultimi, una volta entrati nella disponibilità dell'Amministrazione,
non sono preclusi dall’accesso per esigenze di tutela della riservatezza,
giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il
diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va
ad incidere nella sfera giuridica di terzi.
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza,
imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete.
Colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha quindi un
interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a
cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti.
Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle
espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in
particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o,
comunque, riduttive ad opera dell'Autorità atteso che ogni Amministrazione è
tenuta a dar seguito all'istanza del privato (ove rispettosa dei crismi
normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante
l'esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente
richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente
previste per differirne ovvero negarne l'accesso.
---------------
15. Con il ricorso di primo grado, il maresciallo Ca. aveva chiesto anche
l’accesso agli atti in possesso dell’Amministrazione relativi al
procedimento penale instaurato a suo carico e poi concluso con una
archiviazione.
Il Tar, tuttavia, ha ritenuto che tali documenti, in quanto riferiti
all'attività investigativa, dovevano, ai sensi dell'art. 24, comma 1, lett.
a), della legge n. 241 del 1990, essere esclusi dal diritto di accesso.
L’apertura di un procedimento penale, seppure poi archiviato, avrebbe
imposto al ricorrente di chiederne l’ostensione all’Autorità giudiziaria.
16. Il giudice di primo grado ha quindi consentito l’accesso solo a quelli
fuori dalla vicenda penale e sufficientemente individuati nell’istanza: “In
altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del
numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v'è dubbio come
l'accesso non possa costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca ed
elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica,
eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati”.
17. Le conclusioni del Tar non possono essere condivise.
Innanzitutto, va rilevato che con l’archiviazione del procedimento penale
non sussistono ragioni ostative all’accesso ai relativi atti in possesso
dell’Amministrazione e riconducibili al ricorrente incidentale (atti
comunque non oggetto di sequestro).
Il diritto di accesso, ferme le ovvie limitazioni derivanti dal segreto
d’ufficio o da prevalenti ragioni di privacy, ha infatti una portata ampia
collegata in particolare alla necessità dell’interessato di essere posto
nelle condizioni di esercitare al meglio ogni forma di tutela consentita.
Peraltro, anche gli atti relativi e denunce ed esposti sono accessibili.
Questi ultimi, una volta entrati nella disponibilità dell'Amministrazione,
non sono preclusi dall’accesso per esigenze di tutela della riservatezza,
giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il
diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va
ad incidere nella sfera giuridica di terzi (Cons. St., sez. V, 19.05.2009 n.
3081; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 11.02.2016 n. 396).
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza,
imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete.
Colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha quindi un
interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a
cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016
n. 980, TAR Campania, sez. VI, 04.02.2016 n. 639).
18. Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle
espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in
particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o,
comunque, riduttive ad opera dell'Autorità atteso che ogni Amministrazione è
tenuta a dar seguito all'istanza del privato (ove rispettosa dei crismi
normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante
l'esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente
richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente
previste per differirne ovvero negarne l'accesso (cfr. Consiglio di Stato,
sez. IV, 19.04.2017, n. 1832) (Consiglio
di Stato, Sez, IV,
sentenza
24.05.2018 n. 3128 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI: -
il diritto alla trasparenza dell'azione
amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma
protezione, indipendentemente dalla pendenza e dall'oggetto di una
controversia giurisdizionale, e non è condizionata al necessario giudizio di
ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di
istanze a finalità probatorie, sicché resta rimessa al libero apprezzamento
dell'interessato la scelta di avvalersi del rimedio giurisdizionale offerto
dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 ovvero di conseguire la conoscenza
dell'atto nel diverso giudizio pendente tra le parti mediante la richiesta
di esibizione istruttoria, e con l'ulteriore conseguenza che, non
costituendo il diritto di accesso una pretesa meramente strumentale alla
difesa in giudizio della situazione sottostante ma essendo in realtà diretto
al conseguimento di un autonomo bene della vita, la relativa domanda
giudiziale si presenta indipendente non solo dalla sorte del processo
principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione ma anche
dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che
il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre;
- in ragione di ciò, il diritto di accesso non è ostacolato
dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale
gli stessi documenti potrebbero essere richiesti;
- non si oppone, poi, all'accoglimento della domanda giudiziale la
circostanza che si tratterebbe di atti riguardanti un’indagine penale,
avendo la giurisprudenza chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso; soltanto gli atti di indagine compiuti
dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto
nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p..
---------------
... per l'annullamento
-
della comunicazione prot.n. 14/9-2 del 26.03.2018, not. 26.03.2018, con la
quale la Legione Carabinieri Campania – Stazione di Montefredane ha
rigettato l'istanza di accesso agli atti presentata dalla ricorrente in data
28.02.2018;
e per la declaratoria
-
della spettanza dell'accesso con conseguente condanna della P.A.
all'ostensione dei documenti richiesti ed alla estrazione di copia;
...
Considerato che, in ragione della pendenza del giudizio
instaurato a seguito dell’impugnativa del provvedimento prot. n. 53571 del
14.12.2017, notificato in data 29.12.2017, con cui la Prefettura di Avellino
– UTG Ufficio Antimafia ha informato che nei confronti della soc. -OMISSIS-
S.R.L. che “sussistono elementi che fanno ritenere concreto il pericolo di
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionarne le scelte e gli
indirizzi ai sensi dell’art. 84 d.lgs. n. 159/2011”, la ricorrente domandava
(istanza del 28.02.2018) alla competente stazione dei carabinieri di Mercogliano l'accesso relazioni e/o comunicazioni rese nei confronti dei
-OMISSIS- nell’ambito dell’attività istruttoria finalizzata alla verifica in
punto di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, poste a
fondamento del provvedimento impugnato;
Rilevato che la sopra menzionata Stazione dei Carabinieri respingeva la
domanda, opponendo che "quanto richiesto, ossia gli eventuali atti
originati da questo Comando non possono considerarsi a fondamento del
provvedimento emesso dalla Prefettura di Avellino" (v. provvedimento prot. n.
14/9-2 del 26.03.2018, not. 26.03.2018);
Ritenuto che la ricorrente ha esercitato l'actio ad exhibendum, ai sensi
dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 116 cod. proc. amm., con
richiesta al giudice amministrativo dell'annullamento del provvedimento
sopra epigrafato e dell'accertamento del diritto di accesso agli atti
invocati, e con conseguente condanna dell'Amministrazione a consentire
l'esibizione e l'estrazione di copia della suindicata documentazione;
Rilevato che si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa,
opponendosi all'accoglimento del ricorso e che alla Camera di Consiglio del
04.07.2018, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in
decisione;
Ritenuto:
-
che, come è stato rilevato in giurisprudenza (v., tra le altre, Cons. Stato,
Sez. V, 23.02.2010 n. 1067), il diritto alla trasparenza dell'azione
amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma
protezione, indipendentemente dalla pendenza e dall'oggetto di una
controversia giurisdizionale, e non è condizionata al necessario giudizio di
ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di
istanze a finalità probatorie, sicché resta rimessa al libero apprezzamento
dell'interessato la scelta di avvalersi del rimedio giurisdizionale offerto
dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 ovvero di conseguire la conoscenza
dell'atto nel diverso giudizio pendente tra le parti mediante la richiesta
di esibizione istruttoria, e con l'ulteriore conseguenza che, non
costituendo il diritto di accesso una pretesa meramente strumentale alla
difesa in giudizio della situazione sottostante ma essendo in realtà diretto
al conseguimento di un autonomo bene della vita, la relativa domanda
giudiziale si presenta indipendente non solo dalla sorte del processo
principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione ma anche
dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che
il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre;
-
che, in ragione di ciò, il diritto di accesso non è ostacolato dalla
pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli
stessi documenti potrebbero essere richiesti (v. anche Cons. Stato, Sez. IV,
27.01.2011 n. 619);
-
che nella fattispecie si presenta allora illegittimo il diniego opposto alla
ricorrente, la quale ha titolo all'ostensione degli atti istruttori posti a
fondamento dell’impugnata informativa, anche se resta incerto se e in quali
limiti quegli atti potrebbero venire in rilievo nel processo in corso,
dovendo il giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di accesso
verificare unicamente la sussistenza dei presupposti legittimanti detta
istanza e non anche la rilevanza dei documenti richiesti rispetto
all’adozione del provvedimento impugnato e, quindi, al giudizio principale
pendente (compito riservato a quella sede);
-
che non si oppone, poi, all'accoglimento della domanda giudiziale la
circostanza che si tratterebbe di atti riguardanti un’indagine penale,
avendo la giurisprudenza chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non
implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti
che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di
indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli
coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso (cfr.
TAR Puglia, Lecce, n. 2331/2014); soltanto gli atti di indagine compiuti
dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto
nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p.;
-
che, nella specie, l’amministrazione richiesta si è limitata ad opporre la
generica irrilevanza degli atti istruttori richiesti ai fini dell’adozione
dell’interdittiva impugnata e non la pendenza di un procedimento penale
ovvero la sussistenza del segreto istruttorio;
-
che l'art. 22, l. 07.08.1990, n. 241 estende il diritto di accesso agli
atti amministrativi ai "documenti amministrativi", in tal modo
comprendendovi tutti gli atti istruttori del procedimento, anche se non
provenienti dall'amministrazione, se sulla base di questi risulti essersi
formata la volontà dell'amministrazione medesima;
Considerato, in conclusione:
-
che va annullato il diniego opposto al ricorrente e quindi ordinata
all’amministrazione resistente l'esibizione degli atti oggetto della
richiesta di accesso del 28.03.2018;
-
che a tanto l'ente resistente provvederà entro trenta giorni dalla
comunicazione della presente decisione o dalla sua notificazione, se
anteriore, previa segnalazione con congruo preavviso del tempo e del luogo
stabiliti per l'esame e l'estrazione di copia della documentazione (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.05.2018 n. 1165 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Illegittimità del diniego di accesso agli esposti.
---------------
Accesso ai documenti – Diritto – Esposto – Diniego –
Illegittimità.
E’ illegittimo il diniego di accesso
ad un esposto a seguito del quale è stato attivato un
procedimento di verifica o ispettivo, e ciò in quanto colui
il quale subisce tale procedimento ha un interesse
qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di
vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di
preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o
esposti (1).
---------------
(1) Ha chiarito il Tar che il privato, che subisce un
procedimento di controllo, vanta un interesse qualificato a
conoscere tutti i documenti utilizzati per l'esercizio del
potere -inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che
hanno attivato l'azione dell'autorità- suscettibili per il
loro particolare contenuto probatorio di concorrere
all'accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
Infatti, l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di
conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento
che assume rilievo procedimentale come presupposto di
un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di
conseguenza il denunciante perde consapevolmente e
scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla
propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla
sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del
procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità
dell'amministrazione.
La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di
tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non
assume un'estensione tale da includere il diritto
all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che
comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 03.07.2017 n. 898 - commento tratto da e
link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
Espone la ricorrente di essere venuta a conoscenza di
almeno due esposti inviati al Comune di Sorano da soggetti
privati e aventi ad oggetto fatti e contestazioni
riguardanti la propria attività.
Venivano perciò presentate al Comune due distinte richieste
di accesso agli atti, l’una in data 11/11/2016 e l’altra in
data 15/11/2016, al fine di prendere visione ed ottenere
copia di detti documenti onde, eventualmente, esercitare il
proprio diritto alla interlocuzione.
Con nota del 31.01.2017 l’amministrazione riscontrava
negativamente le suddette istanze di accesso in quanto i
sottoscrittori degli esposti, previamente informati,
avrebbero espresso la propria opposizione e tale diniego
veniva condiviso nella motivazione del provvedimento giacché
“il diritto di accesso si limita agli eventuali verbali
di accertamento conseguenti alle attività ispettive la cui
titolarità già appartiene alla P.A. e non agli
esposti–denunce, anche per l’evidente esigenza di tutela
della riservatezza dei soggetti interessati ”.
Avverso tali atti insorgeva la società in intestazione
chiedendone l’annullamento, oltre all’accertamento del
proprio diritto di prendere visione ed estrarre copia
integrale della documentazione richiesta con la
consequenziale condanna del Comune di Sorano all'ostensione
dei documenti.
L’accoglimento del ricorso veniva affidato ai motivi che
seguono:
- Violazione dei principi di imparzialità e di trasparenza
dell'attività amministrativa (articolo 97 della
Costituzione). Violazione degli articoli 22 e 24 della L. n.
241/1990.
Il Comune di Sorano non si costituiva in giudizio.
Nella camera di consiglio del 12.06.2017 il ricorso veniva
trattenuto per la decisione.
Il ricorso è fondato.
Va premesso che il diritto di accesso agli
atti della P.A. non costituisce una pretesa meramente
strumentale alla difesa in giudizio, essendo in realtà
diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita,
così che la domanda giudiziale tesa ad ottenere l'accesso ai
documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo
principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta
situazione, ma anche dall'eventuale infondatezza o
inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente,
una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre
(Cfr. Cons. St., sez. V, 23.02.2010 n. 1067, id., sez. VI,
12.04.2005 n. 1680 ; id., sez. VI, 21.09.2006 n. 5569).
Invero, le disposizioni in materia di
diritto di accesso mirano a coniugare l'esigenza della
trasparenza e dell'imparzialità dell'Amministrazione -nei
termini di cui all'art. 22, l. n. 241 del 1990- con il
bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi
contrapposti e fra questi -specificamente- quelli dei
soggetti "individuati o facilmente individuabili"-
che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il
loro diritto alla riservatezza.
Il successivo art. 24 della medesima legge,
che disciplina i casi di esclusione dal diritto in
questione, prevede al comma 6 i casi di possibile
sottrazione all'accesso in via regolamentare e fra questi
-al punto d)- quelli relativi a documenti che riguardino la
vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di
persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con
particolare riferimento agli interessi epistolare,
sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui
siano in concreto titolari.
Ne segue che la mera e non meglio motivata
espressione del diniego da parte dei controinteressati non
può costituire ostacolo all’esplicazione del diritto in
parola.
Per altro verso si è avuto modo di affermare che
in ragione dell'ampia nozione di “documento
amministrativo” di cui all'art. 22 l. n. 241 del 1990,
ben può l'accesso investire atti formati e provenienti da
soggetti privati, purché gli stessi siano detenuti
stabilmente dalla p.a. per l'espletamento delle proprie
attività istituzionali.
In particolare, il privato che subisce un procedimento di
controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i
documenti utilizzati per l'esercizio del potere —inclusi, di
regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l'azione
dell'autorità— suscettibili per il loro particolare
contenuto probatorio di concorrere all'accertamento di fatti
pregiudizievoli per il denunciato.
Infatti, l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di
conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento
che assume rilievo procedimentale come presupposto di
un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di
conseguenza il denunciante perde consapevolmente e
scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla
propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla
sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del
procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità
dell'amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è
preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché
il predetto diritto non assume un'estensione tale da
includere il diritto all'anonimato di colui che rende una
dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera
giuridica di terzi
(Cons. St., sez. V, 19.05.2009 n. 3081; TAR Sicilia,
Catania, sez. III, 11.02.2016 n. 396).
Né il nostro ordinamento, ispirato a
principi democratici di trasparenza, imparzialità e
responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete:
sicché colui il quale subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere
integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati
nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli
atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto,
denunce, segnalazioni o esposti
(TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016 n. 980, TAR
Campania, sez. VI, 04.02.2016 n. 639).
Ne segue, per le ragioni esposte, che il ricorso va accolto
annullando gli atti impugnati e, per l’effetto, condannando
il Comune di Sorano a consentire alla società ricorrente,
nel termine massimo di trenta giorni dalla notificazione
della sentenza, l’accesso e l’estrazione di copia dei
documenti richiesti. |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il ricorrente, in quanto proprietario di un immobile
adiacente a quello della società controinteressata, ha
chiesto di poter accedere alla documentazione relativa ai
titoli edilizi e paesaggistici “richiesti, denegati e
concessi” concernenti “l’intervento inerente il cambio di
destinazione d’uso da lastrico solare a terrazzo praticabile
(roof garden) con realizzazione di torrino ascensore ed
installazione di pergolato presso l’albergo denominato ...”.
Ritiene il Collegio che in capo al ricorrente, in ragione
del divisato presupposto della vicinitas, deve riconoscersi
la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto
l'accesso”, che l'art. 22 l n. 241/1990, prevede quale
presupposto per la legittimazione all'azione e
l'accoglimento della relativa domanda.
---------------
...
per l'accertamento
dell’illegittimo silenzio/inadempimento perfezionatosi
sull’istanza di accesso inoltrata al Comune di Vico Equense
a mezzo PEC in data 30.08.2016;
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
Preliminarmente devono essere respinte le eccezioni di
inammissibilità del ricorso perché proposto, secondo la
prospettazione dei resistenti, ai sensi dell’art. 117 c.p.a.
(ricorso avverso il silenzio inadempimento) e non ai sensi
dell’art. 116 c.p.a. (accesso ai documenti amministrativi).
Deve, infatti, osservarsi che ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a. il giudice ha l’obbligo di qualificare l’azione
proposta in base ai suoi elementi sostanziali.
Nella fattispecie, l’azione proposta è volta ad accertare il
diritto del ricorrente (e il conseguente obbligo del Comune)
di accedere alla documentazione richiesta con l’istanza del
30.08.2016 e sulla quale si è formato un provvedimento
tacito di rigetto tempestivamente impugnato (il ricorso è
stato notificato ai resistenti in data 19.10.2016). E’
evidente, quindi, che la domanda giudiziale (sebbene
proposta dal ricorrente ai sensi dell’art. 117 c.p.a.) ha
tutti i requisiti di forma e sostanza per essere qualificata
come azione ai sensi dell’art. 116 c.p.a. volta
all’annullamento del provvedimento tacito di rigetto
dell’istanza di accesso e all’accertamento del diritto di
ottenere la documentazione richiesta (con conseguente
obbligo del Comune di esibirla).
Ciò premesso, il ricorso è fondato.
Il ricorrente in quanto proprietario di un immobile
adiacente a quello della società controinteressata ha
chiesto di poter accedere alla documentazione relativa ai
titoli edilizi e paesaggistici “richiesti, denegati e
concessi” concernenti “l’intervento inerente il cambio di
destinazione d’uso da lastrico solare a terrazzo praticabile
(roof garden) con realizzazione di torrino ascensore ed
installazione di pergolato presso l’albergo denominato “Le
An.” sito alla via ... n. ...”.
Ritiene il Collegio che in capo al ricorrente, in ragione
del divisato presupposto della vicinitas, deve riconoscersi
la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed
attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto
l'accesso”, che l'art. 22 l n. 241/1990, prevede quale
presupposto per la legittimazione all'azione e
l'accoglimento della relativa domanda.
Deve, inoltre, osservarsi che -contrariamente a quanto
eccepito dal Comune resistente- la domanda di accesso è
tutt’altro che generica in quanto individua o comunque
consente di individuare agevolmente (cfr. D.P.R. 184/2006)
gli atti richiesti che riguardano i titoli rilasciati per
uno specifico intervento edilizio realizzato dalla controinteressata. Del resto lo stesso Comune con la nota
inoltrata per conoscenza al ricorrente in data 24.05.2017 (e da quest’ultimo depositata) ha chiesto alla società controinteressata di evidenziare eventuali motivi di
opposizione all’accesso agli atti in mancanza dei quali
“procederà ad evadere” la richiesta; nonostante tale
intendimento il Comune non risulta allo stato avere ancora
adempiuto.
Quanto precede basta per concedere ingresso alla pretesa qui
fatta valere, nella precisazione che siffatta decisione in
nulla è condizionata da valutazioni circa la fondatezza
delle eventuali pretese alla cui tutela l'acquisizione della
documentazione è strumentale posto che, per costante
giurisprudenza, il diritto di accesso è autonomo rispetto
alla posizione giuridica posta a base della relativa istanza
(cfr., per tutte, Tar Campania, questa sezione sesta, 11.03.2010, n. 1373).
In definitiva, alla luce di quanto fin qui argomentato, il
ricorso deve essere accolto con conseguente accertamento del
diritto all’ostensione, per effetto del quale
l’amministrazione intimata dovrà consentire l’accesso,
secondo le modalità indicate in dispositivo
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 21.06.2017 n. 3382 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Che
la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge
17.08.1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere
visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e
dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio
della licenza edilizia in quanto in contrasto con le
disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le
prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani
particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso
introdurre una forma di azione popolare, è affermazione
troppo consolidata per richiedere il sostegno di specifici
precedenti.
Sebbene l’art. 31 sia stato formalmente abrogato dall’art.
136, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, in
ordine all’impugnazione dei titoli edilizi -secondo
l’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di
Stato, che da quella disposizione si sviluppa- deve essere
riconosciuta una posizione qualificata e differenziata solo
in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui
la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
Di conseguenza, è legittimato a impugnare il titolo edilizio
ad altri rilasciato il soggetto in questa situazione che,
dolendosi del mancato rispetto di una servitù di non
edificazione gravante sul terreno della controparte e della
perdita di valore di mercato dell’immobile di proprietà,
censuri l’alterazione dello stato dei luoghi e la violazione
dell’ordine urbanistico, indipendentemente dalla circostanza
dell’aver fornito la prova che i lavori contestati abbiano
provocato uno specifico danno e, in particolare, una
diminuzione del valore economico dei beni, costituendo
questa una questione di merito irrilevante sulla condizione
dell'azione.
---------------
Non è consentito al giudice di anticipare alla fase dello
scrutinio della sussistenza dell’interesse (e della
legittimazione) a ricorrere la verifica del rispetto o meno
dell'assetto prodotto dall'intervento contestato, perché è
sufficiente l'astratta prospettazione della suscettibilità
del contrasto con siffatto assetto ad arrecare pregiudizio a
coloro che siano titolari di immobili ubicati nella zona
ovvero che con la stessa abbiano comunque, anche a titolo
diverso, uno stabile collegamento a consentire di
riconoscerne l’interesse, oltre che la legittimazione
attiva, al ricorso giurisdizionale avverso le scelte
compiute.
---------------
25.1. Quanto al primo motivo, non ha pregio
l’eccezione di carenza di interesse in capo all’originario
ricorrente, già vagliata e respinta dal TAR e riproposta in
questo grado di giudizio.
25.1.1. Che la regola sancita dall’art. 31, nono comma,
della legge 17.08.1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque
può prendere visione presso gli uffici comunali, della
licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere
contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in
contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o
con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani
particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso
introdurre una forma di azione popolare, è affermazione
troppo consolidata per richiedere il sostegno di specifici
precedenti.
25.1.2. Sebbene l’art. 31 sia stato formalmente abrogato
dall’art. 136, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del
2001, in ordine all’impugnazione dei titoli edilizi -secondo
l’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di
Stato, che da quella disposizione si sviluppa- deve essere
riconosciuta una posizione qualificata e differenziata solo
in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui
la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una
situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
Di conseguenza, è legittimato a impugnare il titolo edilizio
ad altri rilasciato il soggetto in questa situazione che,
dolendosi del mancato rispetto di una servitù di non
edificazione gravante sul terreno della controparte e della
perdita di valore di mercato dell’immobile di proprietà,
censuri l’alterazione dello stato dei luoghi e la violazione
dell’ordine urbanistico, indipendentemente dalla circostanza
dell’aver fornito la prova che i lavori contestati abbiano
provocato uno specifico danno e, in particolare, una
diminuzione del valore economico dei beni, costituendo
questa una questione di merito irrilevante sulla condizione
dell'azione (cfr. per tutte, in termini, sez. VI,
15.06.2010, n. 3744; sez. IV, 08.07.2013, n. 3596; sez. IV,
18.11.2014, n. 3596; sez. IV, 12.11.2015, n. 5160; sez. IV,
06.06.2016, n. 2395; sez. IV, 26.07.2016, n. 3330).
25.1.3. In definitiva, non è consentito al giudice di
anticipare alla fase dello scrutinio della sussistenza
dell’interesse (e della legittimazione) a ricorrere la
verifica del rispetto o meno dell'assetto prodotto
dall'intervento contestato, perché è sufficiente l'astratta
prospettazione della suscettibilità del contrasto con
siffatto assetto ad arrecare pregiudizio a coloro che siano
titolari di immobili ubicati nella zona ovvero che con la
stessa abbiano comunque, anche a titolo diverso, uno stabile
collegamento a consentire di riconoscerne l’interesse, oltre
che la legittimazione attiva, al ricorso giurisdizionale
avverso le scelte compiute (cfr. sez. IV, 12.06.2013, n.
3257)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.10.2016 n. 4380 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Nel
bilanciamento tra diritto alla difesa e diritto alla riservatezza, sussiste
la prevalenza del primo nell'accesso agli atti amministrativi.
Sicché, il ricorso merita solo parziale accoglimento, alla luce del
principio desumibile dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3081/2009,
nella quale risulta affermata <<l’irrilevanza del fatto che il sopralluogo
non abbia condotto ad un procedimento sanzionatorio. La giurisprudenza più
recente di questo Consiglio di Stato, da cui la Sezione non ha motivo di
dissentire, ha infatti osservato che “il nostro ordinamento non tollera le
denunce segrete e come “colui il quale subisce un procedimento di controllo
o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza,
a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto,
denunce o esposti”. Non si può, dunque, “escludere che l’immediata
comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi
negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto
concedere, giustificare un breve differimento del diritto di accesso. Non
consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti quando
ormai” (come accade nella fattispecie) “il procedimento
ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso” >>.
---------------
La ricorrente ha chiesto al Comune di avere accesso alla segnalazione
pervenuta al Comune di Mantova che ha originato il sopralluogo degli agenti
di polizia locale (avvenuto il 02.03.2016) per verificare le condizioni
psico-fisiche dell’animale di cui essa è proprietaria (che sarebbe stato
oggetto di maltrattamenti) e l’ambiente in cui lo stesso vive.
Ciò al fine di tutelare i propri diritti e vagliare l’eventuale sussistenza
dei presupposti per la promozione di una causa al fine di difendersi da una
possibile imputazione per maltrattamenti di animali.
La richiesta è stata, però, rigettata, poiché, secondo il Dirigente della
Polizia locale: “la conoscenza della fonte dell’origine di un controllo
di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività
ispettiva, poiché qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le
conseguenze dannose possono nuocere solo all’esito del controllo”.
Il 22.03.2016 la ricorrente ha richiesto anche il rilascio di copia del
verbale di sopralluogo: nemmeno questa, però, è stata rilasciata.
L’impugnato diniego avrebbe violato gli artt. 1, 22 e 24 della legge n.
241/1990 e gli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.
Sul punto, parte ricorrente richiama giurisprudenza che attiene, però, al
diritto di accesso agli esposti e alle denunce, ma nel solo caso in cui essi
abbiano determinato l’attivazione del potere sanzionatorio (Cons. Stato, IV,
231/2012 e V, 3081/2009).
Si è costituito in giudizio il Comune di Mantova, richiamando, a sostegno
del proprio provvedimento, la sentenza del TAR Emilia Romagna n. 784/2015,
dalla quale è stato estrapolato il principio affermato nell’atto. Atto con
il quale, peraltro, l’accesso non è stato negato, ma sostanzialmente
differito all’esito delle verifiche effettuate.
Il 07.04.2016, peraltro, la richiesta sarebbe stata soddisfatta con l’invio
al legale della ricorrente della relazione di servizio riguardanti gli
accertamenti effettuati, nella quale si dà atto che il cane è stato trovato
in adeguate condizioni igieniche ed è stato verificato che gode di ottima
salute e dispone di spazi sufficienti. Non è stato, dunque, riscontrato
alcun elemento che faccia ritenere sussistente il reato di cui all’art. 554
c.p..
Non avendo, dunque, alcuna esigenza difensiva, il nominativo di chi ha
effettuato la segnalazione è stato omesso e l’accesso all’esposto, di fatto,
negato.
Parte ricorrente, invece, confuta la possibilità di qualificare il
provvedimento impugnato come differimento del diritto di accesso e dopo
averlo ricondotto ad un’ipotesi di diniego ne deduce l’illegittimità, poiché
precluderebbe alla ricorrente di verificare se tale esposto contenga la
descrizione di fatti e/o affermazioni lesive del proprio onore e della
propria immagine e sussistano, dunque, i presupposti per presentare una
querela per diffamazione.
Nel bilanciamento tra diritto alla difesa e diritto alla riservatezza,
contrariamente a quanto asserito da parte resistente, sussisterebbe la
prevalenza del primo, che avrebbe dovuto determinare il Comune a consentire
il richiesto accesso.
Tutto ciò premesso, il ricorso merita solo parziale accoglimento, alla luce
del principio desumibile dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3081/2009,
nella quale risulta affermata <<l’irrilevanza del fatto che il
sopralluogo non abbia condotto ad un procedimento sanzionatorio. La
giurisprudenza più recente di questo Consiglio di Stato, da cui la Sezione
non ha motivo di dissentire, ha infatti osservato che “il nostro ordinamento
non tollera le denunce segrete e come “colui il quale subisce un
procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a
conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati
nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa
e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti”. Non si può, dunque,
“escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante
potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò
può, a tutto concedere, giustificare un breve differimento del diritto di
accesso. Non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli
atti quando ormai” (come accade nella fattispecie) “il procedimento
ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso” (cfr. Sez. VI,
25.06.2007 n. 3601)>>.
L’originario provvedimento, dunque, poteva ritenersi legittimo, se
interpretabile come un differimento dall’accesso: interpretazione esclusa,
però, dal successivo, definitivo, diniego di cui agli atti difensivi, che
sostengono la legittimità della mancata esibizione dell’esposto e del
nominativo di chi l’ha presentato e ne confermano, dunque, la contrarietà
all’ordinamento.
Ciò peraltro, in considerazione del fatto che all’esposto non è stato
concesso accesso nemmeno previa cancellazione del nominativo di chi l’ha
presentato. Tale esibizione avrebbe consentito alla ricorrente di accertare
se e quali elementi di diffamazione fossero ravvisabili nell’esposto e se
gli stessi potessero giustificare un’azione penale, la proponibilità della
quale avrebbe, altresì, giustificato l’ulteriore pretesa a conoscere la
paternità dell’esposto.
Deve, dunque, riconoscersi il diritto della ricorrente ad ottenere copia
dell’esposto che ha originato il sopralluogo presso la sua abitazione,
previa cancellazione del nome del suo sottoscrittore. Solo in un secondo
momento, la ricorrente potrà, se del caso, con una nuova domanda,
debitamente motivata evidenziando i possibili profili di rilevanza penale
desumibili dallo stesso, chiedere di avere accesso anche al nome dell’autore
dell’esposto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 12.07.2016 n. 980 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Privacy, esposto con diritto all’anonimato. Tar
del Lazio. Bocciata la richiesta di accesso alle
segnalazioni inviate al Garante.
L’accesso alle segnalazioni inviate
al Garante della privacy su presunte violazioni nel
trattamento dei dati personali farebbe venir meno il potere
di controllo alternativo e le forme di tutela affidati dal
legislatore a questo tipo di strumenti di garanzia, posto
che chi li utilizza ha lo stesso diritto alla riservatezza
riconosciuto ai lavoratori che rilasciano dichiarazioni agli
ispettori del lavoro.
Il TAR Lazio-Roma –sentenza
18.03.2016 n. 3364, Sez. I-quater– ha bocciato così il ricorso di una titolare di
agenzia di elaborazione dati che aveva chiesto al Garante di
accedere a un esposto-denuncia su un presunto trattamento
illecito dei “dati sensibili” nella propria attività.
Il
Garante, che aveva archiviato il caso avendo accertato
l’assenza di violazioni al Codice in materia di protezione
di dati personali (Dlgs 196/2003), aveva respinto la
richiesta poiché gli atti non avevano danneggiato la
ricorrente e questa non aveva «alcun interesse diretto,
concreto e attuale» a difendersi. La ricorrente sosteneva
invece di aver diritto a conoscerli come soggetto
interessato dai controlli, e che così avrebbe potuto
chiedere ai responsabili di risarcirle i danni subiti per
un’ispezione domiciliare, oltre a verificare l’ipotesi di
calunnia.
I giudici hanno spiegato che in questi casi il diritto
d’accesso va bilanciato con le forme di tutela riconosciute
dal legislatore agli strumenti alternativi a garanzia della
protezione dei dati personali quali il «reclamo
circostanziato», la «segnalazione» e il «ricorso» (articolo
141, Codice privacy), garantendo l’«anonimato di chi,
esercitando un diritto espressamente previsto
dall’ordinamento, si pone quale stimolo dei poteri di
accertamento e di controllo, anche a mezzo di ispezioni,
propri del Garante...».
Per il Tar, anche per le
segnalazioni vale l’indirizzo generale del Consiglio di
Stato che tutela la privacy nei controlli sui contratti di
lavoro (sentenza 5779/2014) per cui la «riservatezza di chi
rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare
rilevanza, onde scongiurare eventuali ritorsioni o indebite
pressioni da parte del soggetto nei cui confronti sono state
rese le dichiarazioni, ma anche, (e, ritiene il Collegio,
soprattutto) per preservare, su di un piano più ampio, il
generale interesse ad un compiuto controllo delle attività
oggetto di ispezione...».
Quindi, anche se il diritto d’accesso prevale su quello alla
riservatezza quando la conoscenza degli atti è necessaria
alla difesa dei propri interessi giuridici (comma 7,
articolo 24, legge 241/1990), in questi casi «esiste, sullo
sfondo, un preminente interesse dell’ordinamento giuridico,
quale la tutela dei dati personali come declinata nei
diversi mezzi pure previsti dal legislatore, che è
altrettanto meritevole di essere preservato nella sua
integrità ed effettività», posto che le segnalazioni,
insieme ai ricorsi e ai reclami, garantiscono al potere di
controllo del Garante «la più completa ed esauriente
esplicazione…» a prescindere dall’esito.
Non può dunque
essere ammesso l’invocato diritto a identificare chi segnala
presunti abusi poiché «si risolverebbe, di fatto, in un
depotenziamento di questo utile strumento posto a tutela di
un bene giuridico considerato di particolare rilievo, quali
sono, appunto, i “dati personali”» (articolo Il Sole 24 Ore del
07.04.2016).
---------------
MASSIMA
Il ricorso è infondato.
E’ principio consolidato che il giudizio in materia di
accesso ai documenti di cui all’art. 25, legge 07.08.1990,
n. 241, anche se si atteggia come impugnatorio -dovendo
essere presentato il ricorso nel termine perentorio di 30
giorni ed essendo rivolto contro l’atto di diniego o il
silenzio diniego formatosi sulla relativa istanza- è, in
sostanza, rivolto ad accertare la sussistenza o meno del
titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei
parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o
minore correttezza o completezza delle ragioni addotte
dall’Amministrazione per giustificare il diniego, tanto è
vero che, anche nel caso di impugnativa del silenzio
diniego, la parte resistente potrebbe anche dedurre in
giudizio le ragioni che precludono all’interessato di avere
copia o di visionare i relativi documenti richiesti.
Come sopra esposto, alle richieste di accesso presentate
dalla parte ricorrente, l’Autorità resistente ha opposto,
dapprima la sussistenza di ragioni per il differimento, e
poi, con la nota impugnata, la carenza di un interesse
diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti
di cui è stato chiesto l'accesso.
Ed invero, è indubitabile che le norme introdotte dalla
legge 241 nel 1990, come successivamente integrate e
modificate, consentono l’esercizio del c.d. «diritto di
accesso», ovvero il diritto di prendere visione e di
estrarre copia di documenti amministrativi, a tutti coloro
che l’art. 22, legge in esame, definisce «interessati»,
ovvero a tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto,
concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è
chiesto l'accesso.
Il successivo art. 25, secondo comma, dispone, ancora, che
la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata, e
deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il
documento e che lo detiene stabilmente.
Con norma speculare ai principi dianzi riportati, l’art. 2,
d.P.R. 12.4.2006, n. 184, recante la disciplina applicativa
in materia di accesso, prevede che “Il diritto di accesso ai
documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di
tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto
privato limitatamente alla loro attività di pubblico
interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario,
da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è richiesto l'accesso. Il
diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti
amministrativi materialmente esistenti al momento della
richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica
amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera
e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a
formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La
pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in
suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.”
Il delineato quadro normativo fa ritenere al Collegio che
l’interesse all’accesso deve evidenziare la sua
strumentalità rispetto alla sussistenza di un’ulteriore
situazione soggettiva cui l’ordinamento riconosce tutela
(“per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”,
giusta l’art. 22, legge n. 241 del 1990, sopra richiamato)
che deve essere necessariamente, a sua volta, d’interesse
legittimo o di diritto soggettivo, onde evitare che,
attraverso il ricorso a tale mezzo di tutela si determini,
di fatto, l’accesso indifferenziato alla attività
amministrativa, mentre invece la struttura normativa come
sopra indicata porta ad escludere che il diritto di accesso
comporti un indiscriminato potere esplorativo né, tantomeno,
un generalizzato potere di vigilanza sull’operato delle
Amministrazioni.
Tanto precisato, e venendo all’oggetto della richiesta
ostensiva presentata dalla ricorrente, emerge con limpida
evidenza che l’interesse alla stessa sotteso, ancorché
diretto, concreto e attuale, va circoscritto, in sostanza,
alla conoscenza del nominativo dell’autore della
segnalazione che ha dato avvio al procedimento ispettivo
eseguito a suo carico, onde rivalersi dei danni
asseritamente patiti in conseguenza di ciò, atteso che
invece, sul versante prettamente amministrativo, il
procedimento si è concluso favorevolmente con una
archiviazione, non essendo emerse violazioni della
disciplina rilevante in materia di protezione dei dati
personali suscettibili di costituire oggetto di specifici
interventi da parte dell’Autorità.
Così circoscritto l’interesse all’accesso alla conoscenza
del dato di cui sopra si è detto (nominativo dell’autore
della segnalazione ricevuta dall’Ufficio del garante)
la
questione giuridica da porsi è quella della prevalenza
comunque del diritto alla ostensione rispetto alla tutela,
non tanto della riservatezza di un terzo che, peraltro,
nemmeno è parte del presente giudizio, ma, più in radice,
delle forme di tutela che il legislatore ha posto a presidio
del diritto alla protezione dei dati personali, attraverso
la garanzia dell’anonimato di chi, esercitando un diritto
espressamente previsto dall’ordinamento, si pone quale
stimolo dei poteri di accertamento e di controllo, anche a
mezzo di ispezioni, propri del Garante per la protezione dei
dati personali.
E’ il caso, invero, dei procedimenti avviati sulla base di
segnalazioni, ai sensi dell’art. 141, lett. b), che il
d.lgs. n. 196/2003 annovera tra le forme di tutela del
diritto alla protezione dei dati personali, cui il Collegio
ritiene possano essere estesi i principi elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa in materia affine a quella
oggetto della presente controversia.
Esiste, infatti, un orientamento assunto dal Consiglio di
Stato (ancorché in occasione di controversie su una
differente tipologia di procedimento, ma i cui tratti sono
assimilabili per i fini di interesse; cfr. Sez. VI, n.
5779/2014), secondo cui l’esigenza di tutela della
riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva
assume una peculiare rilevanza, onde scongiurare eventuali
ritorsioni o indebite pressioni da parte del soggetto nei
cui confronti sono state rese le dichiarazioni, ma anche,
(e, ritiene il Collegio, soprattutto) per preservare, su di
un piano più ampio, il generale interesse ad un compiuto
controllo delle attività oggetto di ispezione (nella specie,
si trattava dell’attività ispettiva sulla regolarità dei
rapporti di lavoro).
Se, infatti, il bilanciamento tra diritto di accesso per la
difesa e cura dei propri interessi, da un lato, e diritto di
riservatezza del terzo, dall’altro, è stato risolto dal
legislatore con la prevalenza alla tutela del diritto di
accesso, quando questo sia strumentale alla cura o difesa di
propri interessi giuridici (art. 24, co. 7, legge n.
241/21990), non può essere trascurato che, nel caso di
specie esiste, sullo sfondo, un preminente interesse
dell’ordinamento giuridico, quale la tutela dei dati
personali come declinata nei diversi mezzi pure previsti dal
legislatore, che è altrettanto meritevole di essere
preservato nella sua integrità ed effettività.
Come si evince dall’incipit della nota oggetto di
contestazione, il Garante ha precisato che l’attività
istruttoria in merito al trattamento dei dati personali
effettuato dalla ricorrente in qualità di titolare
dell’Agenzia “Il fi. ro.”, era stata avviata d’ufficio e
sulla base di una segnalazione.
Si tratta, dunque, di un caso in cui l’attività
amministrativa è stata sollecitata facendo legittimo ricorso
ad uno strumento (la segnalazione) che costituisce una
precisa forma di tutela, a prescindere dal fatto che poi il
procedimento si sia concluso, per la ricorrente, con una
archiviazione.
Ed invero, il potere di controllo, che il Garante può
esercitare anche in via del tutto autonoma, ottiene la più
completa ed esauriente esplicazione anche con l’esercizio
dei mezzi di tutela posti dall’art. 141, d.lgs. 196/2001,
tra cui, le segnalazioni che possono essere presentate in
mancanza di elementi tali da consentire la presentazione di
un ricorso o di un reclamo circostanziato.
Pertanto, ammettere che la conoscenza del nominativo del
segnalatore costituisca un diritto indefettibile del
soggetto che tratta dati personali, che, in ragione di ciò,
si ricorda, è sottoposto al permanente potere di controllo
del Garante circa la regolarità e conformità a legge di tale
trattamento si risolverebbe, di fatto, in un depotenziamento
di questo utile strumento posto a tutela di un bene
giuridico considerato di particolare rilievo, quali sono,
appunto, i “dati personali”. |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il ricorso proposto contro il solo verbale
redatto dai vigili urbani è inammissibile, in quanto avente
ad oggetto un atto endoprocedimentale ad efficacia meramente
dichiarativa delle operazioni effettuate dalla polizia
municipale alla quale non è attribuita la competenza
all’adozione di atti di amministrazione attiva, allo scopo
occorrendo un formale atto di accertamento della competente
autorità amministrativa.
Il verbale di accertamento di infrazione redatto dal Corpo
di Polizia Municipale non è direttamente impugnabile,
trattandosi di atto a carattere endoprocedimentale, inidoneo
a produrre alcun effetto lesivo nella sfera giuridica del
privato, la quale viene incisa solo a seguito e per
l’effetto dell’emanazione del provvedimento conclusivo del
procedimento amministrativo, costituito dall’ordinanza,
unico atto contro cui è possibile proporre impugnazione.
In proposito,
secondo pacifica e condivisa giurisprudenza: <<Il ricorso
proposto contro il solo verbale redatto dai vigili urbani è
inammissibile, in quanto avente ad oggetto un atto endoprocedimentale ad efficacia meramente dichiarativa delle
operazioni effettuate dalla polizia municipale alla quale
non è attribuita la competenza all’adozione di atti di
amministrazione attiva, allo scopo occorrendo un formale
atto di accertamento della competente autorità
amministrativa>> (ex multis: TAR Lombardia, Brescia,
sez. II, 08.01.2011, n. 25); ed, ancora: <<il verbale di
accertamento di infrazione redatto dal Corpo di Polizia
Municipale non è direttamente impugnabile, trattandosi di
atto a carattere endoprocedimentale, inidoneo a produrre
alcun effetto lesivo nella sfera giuridica del privato, la
quale viene incisa solo a seguito e per l’effetto
dell’emanazione del provvedimento conclusivo del
procedimento amministrativo, costituito dall’ordinanza,
unico atto contro cui è possibile proporre impugnazione>>
(TAR Trentino Aldo Adige, Trento, 10.12.2007, n. 183).
Ne deriva che, previa contestazione nel verbale di udienza
ai sensi dell’art. 73 c.p.a., i motivi aggiunti in esame
sono inammissibili in quanto prodotti avverso un verbale di
accertamento di ottemperanza che, in quanto atto
endoprocedimentale, non è suscettibile di autonoma
impugnazione con conseguente inammissibilità originaria del
ricorso in esame (cfr. TAR Campania, sez. III, 15.01.2013, n.
28)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 06.11.2015 n. 5199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, l'abusivo può avere l'esposto.
Qualcuno ha fatto la «spia» ai vigili. A un vicino i lavori
edilizi nella casa attigua proprio non sono andati giù e si
è rivolto alla Municipale. Ecco allora che il proprietario
dell'immobile chiede di vedere l'esposto contro di lui ma il
comando della polizia locale risponde che l'accesso è
precluso dall'articolo 329 Cpp in quanto è stata comunicata
una notizia di reato.
In realtà, invece, il responsabile dei lavori ha diritto a
leggere l'esposto anche se rischia l'incriminazione penale:
in questo caso la comunicazione dei vigili in procura non
rientra fra le attività di polizia giudiziaria, mentre chi è
soggetto a un controllo o a un'ispezione ha l'interesse
qualificato a conoscere tutti i documenti dai quali
scaturisce l'iniziativa.
È quanto emerge dalla
sentenza 10.09.2015 n. 11188, pubblicata dalla II
Sez. del TAR Lazio-Roma.
Secondo cui la polizia municipale, in quanto espressione del
comune, agisce nell'ambito della sua attività istituzionale,
che è amministrativa e non come polizia giudiziaria laddove
ha ricevuto l'esposto dal terzo.
Risulta dunque esclusa l'applicazione della regola secondo
cui gli atti d'indagine compiuti dal pm e dalla polizia
giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando
l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Deve invece riconoscersi al proprietario dell'immobile la
sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di
accedere a esposti o denunce presentati nei suoi confronti
(articolo ItaliaOggi del 13.10.2015).
---------------
MASSIMA
... ritiene il Collegio che il ricorso meriti favorevole
esame.
La gravata determinazione oppone un diniego all’istanza del
ricorrente, volta ad ottenere l’accesso all’esposto
presentato nei suoi confronti con riguardo a lavori edili
eseguiti nella propria abitazione, nel ritenuto presupposto
che essendo stato trasmessa comunicazione di notizia di
reato all’Autorità Giudiziaria ed essendo in corso
l’attività di indagine vi osterebbe la previsione recata
dall’art. 329 c.p.p.
Al riguardo, osserva il Collegio l’erroneità della
motivazione posta a base del gravato diniego in quanto, in
adesione alla giurisprudenza maggioritaria (ex plurimis,
da ultimo: Consiglio di Stato, Sez. VI, 29.01.2013 n. 547;
TAR Reggio Calabria 22.10.2014 n. 584),
non
ogni denuncia di reato presentata all'autorità giudiziaria
costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e
come tale sottratta all'accesso, dal momento che, se la
denuncia è presentata dalla p.a. nell'esercizio delle
proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade
nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.,
diversamente da quanto accade nell’ipotesi in cui la p.a.
che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato
non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale
attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di
polizia giudiziaria specificamente attribuitele
dall'ordinamento, venendo in rilievo in tali casi atti di
indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali,
sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329
c.p.p. che sono conseguentemente sottratti all'accesso ai
sensi dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990.
Esclusa quindi l’applicabilità, alla fattispecie in esame,
dell’art. 329 c.p.p. –il quale prevede, al comma 1, che gli
atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla
polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando
l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari– e ciò in
quanto la comunicazione effettuata dall’Amministrazione
all’Autorità Giudiziaria non rientra tra le attività di
polizia giudiziaria attribuite all’Amministrazione stessa,
ritiene ancora il Collegio, quanto a verifica della
sussistenza dei presupposti per l’accesso, che
deve in linea generale riconoscersi in capo
all’istante la sussistenza di un interesse diretto, concreto
e attuale di accedere ad esposti o denunce presentati nei
suoi confronti, trattandosi di interesse collegato ad una
situazione giuridicamente tutelata in capo al soggetto
istante e connesso al documento al quale è chiesto
l'accesso.
Chi subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha, infatti, un interesse qualificato a conoscere
integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati
nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli
atti d'iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto,
denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro
normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di
accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza
delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo
del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo
dell'istruttoria, il che può unicamente giustificare il
differimento del diritto di accesso, ma non consente,
invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti
(Cons. Stato, Sez. V, 19.05.2009, n. 3081; Sez. VI,
25.06.2007 n. 3601).
Nello stesso senso, ancor più di recente,
il Consiglio di Stato
(Sez. III, 08.09.2014, n. 4539) ha
riconosciuto l'ostensibilità delle denunce che hanno dato
origine ad un accertamento medico a cui è stato sottoposto
il lavoratore, da parte del datore di lavoro, ancorché
conclusosi con esito negativo.
I richiamati principi di diritto, che trovano applicazione
alla fattispecie in esame, conducono quindi all’accoglimento
del ricorso, dovendo per l’effetto disporsi l'annullamento
del gravato provvedimento di diniego con contestuale ordine,
alla resistente Amministrazione, di consentire l’accesso al
ricorrente, mediante estrazione di copia, all’esposto
presentato nei suoi confronti entro il termine di 30
(trenta) giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione
se anteriore, della presente pronuncia. |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Distinzione tra l'istanza che fa
nascere l'obbligo di provvedere e il semplice "esposto" come protezione
contro le inerzie dell’amministrazione.
Esiste l'obbligo di provvedere, oltre
che nei casi stabiliti dalla legge, anche in fattispecie
ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità
impongono l'adozione di un provvedimento. Si tende, in tal
modo, ad estendere le possibilità di protezione contro le
inerzie dell’amministrazione pur in assenza di una norma ad
hoc che imponga un dovere di provvedere (è stato detto che
"indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che
impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza
non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che,
in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo
obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia
sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento
espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona
amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il
privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad
un'esplicita pronuncia)".
---------------
In
caso di richiesta di atti diretti a produrre effetti
sfavorevoli nei confronti di terzi, dall'adozione dei quali
l’istante possa trarre indirettamente vantaggi (c.d.
interessi strumentali) -e tali sono le istanze presentate
dalla ricorrente- occorre distinguere tra l'istanza che
fa nascere l'obbligo di provvedere e il
semplice "esposto", che ha mero valore di
denuncia inidonea a radicare una posizione di interesse
tutelata sia dall'apertura del procedimento conclusivo, sia
dalla conclusione dello stesso in modo conforme alle
aspettative dell'istante.
Al riguardo, il criterio distintivo tra istanza
(idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero
esposto, viene ravvisato dalla giurisprudenza
“nell'esistenza in capo al privato di uno specifico e
rilevante interesse che valga a differenziare la sua
posizione da quella della collettività. Occorre, in altri
termini, che il comportamento omissivo dell'Amministrazione
sia stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto, per
l'appunto, titolare di una situazione di specifico e
rilevante interesse che lo differenzia da quello
generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile. Ove
ciò accada, l'eventuale inerzia serbata dall'Amministrazione
sull'istanza, assume una connotazione negativa e censurabile
dovendo l'Ente dar comunque seguito (anche magari
esplicitando l'erronea valutazione dei presupposti da parte
dell'interessato) all'istanza”.
... per
l'accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalla
Provincia di Milano, ora Città Metropolitana di Milano,
sulle reiterate segnalazioni della ricorrente, con cui si
denunciava la presenza di una serie di impianti pubblicitari
abusivamente apposti da ignoti sul sedime laterale della
Strada Provinciale 15-bis, nel tratto immediatamente
prospiciente la rotonda posta all'incrocio tra Via A. Grandi
e Via XXV Aprile, in Comune di Peschiera Borromeo (MI), ai
fini della loro rimozione, nonché -ove occorrer possa- per
la declaratoria dell'illegittimità di ogni altro eventuale
comportamento presupposto, connesso e/o conseguente.
...
5. La giurisprudenza è ormai costantemente orientata nel
ritenere che esiste l'obbligo di provvedere, oltre che nei
casi stabiliti dalla legge, anche in fattispecie ulteriori
nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono
l'adozione di un provvedimento. Si tende, in tal modo, ad
estendere le possibilità di protezione contro le inerzie
dell’amministrazione pur in assenza di una norma ad hoc
che imponga un dovere di provvedere (Cons. Stato, sez. VI,
11.05.2007, n. 2318; Cons. Stato, sez. IV, 14.12.2004, n.
7975 secondo cui “indipendentemente dall'esistenza di
specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di
pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei
privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e
partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta
esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un
provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza
e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al
quale il privato vanta una legittima e qualificata
aspettativa ad un'esplicita pronuncia)".
In particolare, in caso di richiesta di atti diretti a
produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi,
dall'adozione dei quali l’istante possa trarre
indirettamente vantaggi (c.d. interessi strumentali) -e tali
sono le istanze presentate dalla ricorrente- occorre
distinguere tra l'istanza che fa nascere l'obbligo di
provvedere e il semplice "esposto", che ha
mero valore di denuncia inidonea a radicare una posizione di
interesse tutelata sia dall'apertura del procedimento
conclusivo, sia dalla conclusione dello stesso in modo
conforme alle aspettative dell'istante.
Al riguardo, il criterio distintivo tra istanza
(idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero
esposto, viene ravvisato dalla giurisprudenza “nell'esistenza
in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse
che valga a differenziare la sua posizione da quella della
collettività. Occorre, in altri termini, che il
comportamento omissivo dell'Amministrazione sia
stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto, per
l'appunto, titolare di una situazione di specifico e
rilevante interesse che lo differenzia da quello
generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile. Ove
ciò accada, l'eventuale inerzia serbata dall'Amministrazione
sull'istanza, assume una connotazione negativa e censurabile
dovendo l'Ente dar comunque seguito (anche magari
esplicitando l'erronea valutazione dei presupposti da parte
dell'interessato) all'istanza”.
In applicazione di questi principi, il Collegio ritiene che,
nel caso di specie, sussista in capo all’amministrazione un
obbligo di provvedere.
La proprietà di un complesso immobiliare che affaccia sulla
strada provinciale 15-bis su cui sono stati apposti i
cartelloni abusivi in questione, attribuisce alla ricorrente
una situazione di specifico e rilevante interesse,
differenziata da quella della generalità dei consociati e
tale, pertanto, da radicare in capo all'amministrazione un
obbligo di pronunciarsi sulla relativa istanza.
6. Occorre a questo punto accertare se l’amministrazione
abbia o meno provveduto sulle istanze presentate dalla
ricorrente, e, in particolare, su quella del 16.12.2013
(perché solo con riferimento a questa il ricorso è stato
proposto nei termini previsti all’art. 31, c. 2, cod. proc.
amm.).
La ricorrente ha presentato all’amministrazione provinciale
una prima denuncia nel luglio 2010, cui ha fatto seguito la
rimozione da parte dell’amministrazione dei cartelloni
abusivi.
Nell’ottobre e nel novembre 2010, la ricorrente ha dato
avviso alla Provincia della successiva nuova installazione
di impianti pubblicitari abusivi da parte di ignoti,
chiedendone la rimozione.
In mancanza di riscontro, con nota del gennaio 2011, la
società ricorrente ha nuovamente denunciato
all’amministrazione il perdurare della situazione e
richiesto l’assunzione di provvedimenti repressivi.
Con nota del 16.2.2011, la Provincia di Milano ha
riscontrato l’istanza, comunicando alla ricorrente di avere
avviato le procedure per bandire il nuovo appalto per il
servizio di rimozione degli impianti pubblicitari abusivi.
Con nota dell’agosto 2011, la ricorrente ha nuovamente
richiesto alla Provincia di provvedere alla eliminazione dei
tabelloni pubblicitari. L’istanza è stata reiterata con nota
del luglio 2012 e da ultimo con nota del 16.12.2013.
Sulle istanze presentate nel 2010 e nel 2011, l’obbligo di
conclusione del procedimento previsto all’art. 2, l. n.
241/1990 può dirsi adempiuto con il provvedimento del
febbraio 2011 con il quale l’amministrazione provinciale ha
comunicato di essere intervenuta più volte per rimuovere gli
impianti pubblicitari in questione, che l’appalto per il
servizio di rimozione mezzi pubblicitari abusivi è scaduto e
sono state avviate le procedure per bandire il nuovo
appalto.
Si tratta invero di un provvedimento espresso che si è
pronunciato sulle richieste presentate della ricorrente.
Ad avviso del Collegio, tale atto non è tuttavia sufficiente
a ritenere rispettato quanto previsto dall’art. 2, l. n.
241/1990 in quanto le successive istanze presentate nel 2012
e nel 2013, con cui la ricorrente ha reiterato la richiesta
di intervento dell’amministrazione, hanno determinato
nuovamente il sorgere di un obbligo di provvedere.
Non trova, invero, applicazione nel caso di specie il
principio giurisprudenziale secondo cui un tale obbligo non
sorge allorché un’istanza sia meramente reiterativa di
altra, di identico contenuto, sulla quale era già
intervenuta una determinazione esplicita, divenuta
inoppugnabile per decorso dei termini (cfr. TAR Puglia,
Bari, sez. I, 13/06/2003, n. 2428; TAR Marche, Ancona, sez.
I, 21/03/2014, n. 369; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I,
26/11/2009, n. 810; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I,
12/10/2009, n. 697) e non siano sopravvenuti mutamenti della
situazione di fatto o di diritto (cfr. id. n. 89/95 e Cass.
SS.UU. 20.01.1969, n. 128).
Questa giurisprudenza trova, invero, applicazione in caso di
mera reiterazione di un'istanza già definita con atto
negativo o anche solo soprassessorio.
Il provvedimento del febbraio 2011 con cui la p.a. ha
riscontrato le prime istanze aveva, invece, un contenuto
favorevole alla ricorrente, poiché con esso la Provincia ha,
nella sostanza, affermato che avrebbe agito nel senso
auspicato dall’istante, provvedendo, mediante una procedura
d’appalto, alla individuazione di un soggetto che avrebbe
rimosso gli impianti abusivi: non avendo un contenuto lesivo
l’atto non necessitava pertanto di alcuna impugnazione.
Inoltre, a fronte di un atto con cui la p.a., nel febbraio
20111, ha affermato di avere dato avvio alle procedure per
bandire il nuovo appalto per il servizio di rimozione dei
mezzi pubblicitari abusivi, ormai scaduto, a luglio 2012 e,
a maggior ragione, a dicembre 2013 può dirsi decorso il
termine entro il quale tale procedura di gara avrebbe dovuto
essere conclusa: ciò configura un sopravvenuto mutamento
della situazione di fatto e di diritto che consente di
ritenere nuova l’ultima istanza e dunque di affermare il
sorgere, nuovamente, dell’obbligo per la p.a. di concludere
il procedimento con la stessa avviato.
In caso contrario, invero, l’istante resterebbe privo di
tutela: non avrebbe potuto impugnare il provvedimento con
cui viene comunicato l’avvio delle procedure per bandire la
gara d’appalto, in quanto atto favorevole e, pur a fronte di
una perdurante inerzia della p.a. nel concludere il
procedimento di gara d’appalto e comunque nel provvedere a
esercitare il doveroso potere sanzionatorio, non disporrebbe
neppure dello strumento del ricorso avverso il silenzio.
7. Affermata la sussistenza di un obbligo di conclusione del
provvedimento va, infine, rigettata l’eccezione formulata
dalla difesa dell’amministrazione provinciale con cui si
afferma che la competenza a provvedere sull’istanza è del
Comune di Peschiera Borromeo -ai sensi di quanto previsto
dall’art. 23, c. 4, d.lgs. n. 285/1992, in quanto la
rotatoria e la strada provinciale 15-bis su cui si trovano i
cartelloni abusivi sono incluse nel centro abitato del
Comune- e non della Città Metropolitana di Milano.
La Provincia di Milano, con nota depositata il 21.05.2015,
in ottemperanza all’istanza istruttoria formulata da questo
Tribunale con ordinanza n. 1009/2015, ha affermato che:
- il Comune di Peschiera Borromeo ha inserito con delibera
n. 301/2008 il tratto stradale in questione nel centro
abitato;
- per i Comuni con un numero di abitanti superiore alle
10.000 unità, l’art. 4, d.P.R. n. 495/1992 prevede che i
tratti di strade provinciali ricadenti all’interno del
centro abitato vengano declassati a strade comunali e che la
competenza della gestione e manutenzione, compresa la
rimozione degli impianti abusivi, passi al Comune;
- ha attivato le procedure per la cessione dei tratti
stradali (incluso il tratto della s.p. 15-bis su cui si
trovano gli impianti abusivi) che il Comune di Peschiera
Borromeo ha incluso nel centro abitato ma che il Comune non
ha dato, al momento, riscontro favorevole di tale passaggio.
Il Collegio non condivide queste argomentazioni.
L’articolo 4, d.P.R. n. 495/1992, recante “passaggi di
proprietà fra enti proprietari delle strade”, così dispone
ai commi 4 e ss.: “4. I tratti di strade statali,
regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati
con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati
a seguito della delimitazione del centro abitato prevista
dall'articolo 4 del codice, sono classificati quali strade
comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale
con la quale si procede alla delimitazione medesima.
5. Successivamente all'emanazione dei provvedimenti di
classificazione e di declassificazione delle strade previsti
agli articoli 2 e 3, all'emanazione dei decreti di passaggio
di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi
precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei
tronchi di strade fra gli enti proprietari.
6. La consegna all'ente nuovo proprietario della strada è
oggetto di apposito verbale da redigersi in tempo utile per
il rispetto dei termini previsti dal comma 7 dell'articolo 2
ed entro sessanta giorni dalla delibera della giunta
municipale per i tratti di strade interni ai centri abitati
con popolazione superiore a diecimila abitanti.
7. Qualora l'amministrazione che deve prendere in consegna
la strada, o tronco di essa, non interviene nel termine
fissato, l'amministrazione cedente è autorizzata a redigere
il relativo verbale di consegna alla presenza di due
testimoni, a notificare all'amministrazione inadempiente,
mediante ufficiale giudiziario, il verbale di consegna e ad
apporre agli estremi della strada dismessa, o dei tronchi di
essa, appositi cartelli sui quali vengono riportati gli
estremi del verbale richiamato”.
Poiché nel caso di specie non risulta che l’amministrazione
provinciale -a fronte dell’inerzia del Comune di Peschiera
Borromeo nel prendere in consegna la strada in questione-
abbia attivato la procedura prevista dall’ultimo comma della
norma citata, si può affermare che la competenza a
provvedere in merito all’istanza della ricorrente sia
rimasta in capo alla Provincia e dunque ora alla Città
Metropolitana di Milano.
8. Non escludono, infine, l’illegittimità del silenzio la
non disponibilità, in capo all’ente, delle attrezzature
necessarie per rimuovere mezzi elettrificati e le difficoltà
economiche lamentate dall’amministrazione, stante la
doverosità non solo dell’obbligo di conclusione del
procedimento, previsto all’art. 2, l. n. 241/1990, ma anche
dell’esercizio del potere sanzionatorio disciplinato
dall’art. 23, d.lgs. n. 285/1992, norma che prevede la
irrogazione di sanzioni direttamente nei confronti
dell’autore della violazione, del proprietario o del
possessore del suolo privato o del soggetto che utilizza gli
spazi pubblicitari privi di autorizzazione e che dispone
altresì che, ove la rimozione sia effettuata dall’ente
proprietario, i relativi oneri siano a carico dell'autore
della violazione e, in via tra loro solidale, del
proprietario o possessore del suolo.
9. Per le ragioni esposte il ricorso è fondato e va,
pertanto, accolto. Per l’effetto va ordinato alla Città
Metropolitana di Milano di concludere con un provvedimento
espresso e motivato il procedimento avviato con l’istanza
presentata dalla ricorrente il 16.12.2013, entro il termine
di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della
presente sentenza.
10. In caso di inottemperanza entro il termine suindicato,
il Prefetto di Milano, in qualità di commissario ad acta,
con facoltà di delega a funzionario di sua fiducia,
provvederà in sostituzione dell’amministrazione inadempiente
a concludere il procedimento entro il successivo termine di
novanta giorni (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 09.09.2015 n. 1958 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sul
legittimo diniego di accesso all'esposto cui consegue un
sopralluogo da parte della Polizia Locale.
Il provvedimento di diniego del Comune è
fondato sull’art. 20, comma 2, del Regolamento sui
procedimenti amministrativi e sull’art. 329 c.p.p. e nella
parte conclusiva del provvedimento è evidenziato che
l’attività ispettiva è scaturita da un esposto anonimo che
il Comune sostiene essere stato inviato a molte autorità
pubbliche compresa la Procura della Repubblica.
La conoscenza della fonte all’origine di un controllo di
polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce
l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione
che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per
l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo.
Pertanto nessun vantaggio ai fini della difesa dei propri
interessi può scaturire dalla conoscenza dell’autore
dell’esposto, circostanza peraltro impossibile nel caso di
specie, poiché la denuncia è stata presentata in forma
anonima.
L’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e la
denuncia anonima ha semmai svolto il ruolo –che non era
certamente necessario– di sollecitarne l’esercizio. E’
pertanto evidente che l'accesso alla denuncia non risponde
ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide
sul suo diritto di difesa.
... per l'accertamento del diritto all’accesso agli atti
richiesti con nota depositata il 30.03.2015;
...
Il ricorrente comproprietario di un immobile sito in Rimini
aveva visto effettuare un sopralluogo da parte di agenti di
polizia amministrativa del Comune per verificare la
conformità dello stato dei luoghi rispetto alle normative
edilizie.
Presentava una richiesta di accesso in data 30.03.2015 per
conoscere il nome dell’autore dell’esposto-denuncia che era
all’origine del sopralluogo effettuato ed il Comune non dava
seguito all’istanza entro trenta giorni.
Con il primo motivo di ricorso affermava l’illegittimità del
silenzio-rifiuto poiché l’interesse all’esibizione dei
documenti non è immediatamente preordinato a esigenze di
tutela giurisdizionale di diritti, ma richiede un semplice
interesse diretto che corrisponda ad una situazione
giuridicamente tutelata.
Nel caso di specie la rivelazione dell’autore dell’esposto è
necessaria perché dall’attività ispettiva della Polizia
Municipale è sorta una denuncia all’Autorità Giudiziaria.
Osservava, inoltre, che l’esistenza di un procedimento
penale non giustifica l’opposizione del segreto
investigativo di cui all’art. 329 c.p.p. poiché l’atto
richiesto non è un atto di indagine, ma un semplice
presupposto di successivi atti di indagine.
Nelle more tra la notifica ed il deposito del ricorso,
veniva emesso un atto formale di diniego della richiesta di
accesso che veniva impugnato con motivi aggiunti che
ricalcavano nella sostanza quanto già affermato nel ricorso
principale.
Il Comune di Rimini si costituiva in giudizio chiedendo il
rigetto del ricorso.
Il provvedimento di diniego del Comune di Rimini è fondato
sull’art. 20, comma 2, del Regolamento sui procedimenti
amministrativi e sull’art. 329 c.p.p. e nella parte
conclusiva del provvedimento è evidenziato che l’attività
ispettiva è scaturita da un esposto anonimo che il Comune
sostiene essere stato inviato a molte autorità pubbliche
compresa la Procura della Repubblica.
La conoscenza della fonte all’origine di un controllo di
polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce
l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione
che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per
l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo.
Pertanto nessun vantaggio ai fini della difesa dei propri
interessi può scaturire dalla conoscenza dell’autore
dell’esposto, circostanza peraltro impossibile nel caso di
specie, poiché la denuncia è stata presentata in forma
anonima.
L’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e la
denuncia anonima ha semmai svolto il ruolo –che non era
certamente necessario– di sollecitarne l’esercizio. E’
pertanto evidente che l'accesso alla denuncia non risponde
ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide
sul suo diritto di difesa (Consiglio di Stato n.
5779/2014).
Il ricorso principale è improcedibile e quello per motivi
aggiunti infondato
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sezz. unite,
sentenza 26.08.2015 n. 784 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Atti
di indagine. Il comune giustificato dal segreto.
La richiesta di accesso agli atti di indagine della polizia
locale trova un limite nell'attività di polizia giudiziaria.
In questo caso, il comune non può essere trasparente ed è
condizionato dal segreto istruttorio.
Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato, Sez. V, con la
sentenza 12.05.2015 n. 2357.
Un dipendente comunale indagato ha richiesto di poter
accedere al proprio fascicolo personale ma senza completo
successo, ovvero senza ricevere informazioni sugli atti di
indagine svolti dalla polizia municipale su delega
dell'autorità giudiziaria.
Contro questa misura limitativa
anche della trasparenza amministrativa, l'interessato ha
proposto ricorso ai giudici di palazzo Spada, ottenendo
conferma della legittimità dell'operato degli uffici
comunali.
In buona sostanza non basta l'interesse del
richiedente per accedere a questi atti. Serve sempre anche
il nullaosta dell'autorità giudiziaria
(articolo ItaliaOggi del 26.05.2015).
---------------
MASSIMA
Il ricorso è infondato e va respinto.
Al riguardo si deve osservare, infatti, come rilevato dal
TAR per la Liguria nella pronuncia ora oggetto
d’impugnativa, che avverso il precedente diniego su medesima
istanza di accesso, adottato dal Comune di Savona con nota
prot. n. 39915 del 26.08.2013, è già intervenuta la sentenza
n. 319/2014, oramai divenuta irrevocabile e che l’appellante
ha motivato la nuova istanza ripetendone l’oggetto e
indicandone, a giustificazione, gli stessi motivi che hanno
originato la precedente richiesta.
Orbene, atteso che nel caso di specie nella richiesta di
accesso non sono stati introdotti elementi di novità e
l’interessato si è limitato a reiterare l’originaria istanza
o, al più, a illustrare ulteriormente le proprie ragioni,
non si ravvisa motivo per discostarsi dalla decisione del
TAR Liguria che, comunque, ha verificato l'inesistenza della
lamentata violazione del diritto di accesso (cfr. C.d.S.,
Ad. plen. nn. 6 e 7 del 2006, C.d.S., Sez. V, n. 1661
dell'08.04.2014).
L'accesso agli atti amministrativi non può riguardare,
infatti, atti su cui operi il segreto istruttorio penale,
perché formatisi in occasione di attività di indagine
compiute dalla polizia municipale quale organo di polizia
giudiziaria, su delega del pubblico ministero, atti per i
quali in assenza di autorizzazione di quest’ultimo è esclusa
in radice l'ostensibilità.
Pertanto, se da un lato gli atti oggetto delle istanze di
accesso formulate dal Sig. G. inerenti indagini penali,
quand’anche esistenti, non sono ostensibili, dall'altro deve
constatarsi che il ricorrente non ha provato l'esistenza di
altri dati, notizie ed informazioni ai quali non gli sarebbe
stato concesso di accedere, limitandosi a sostenere che
l'interesse sotteso alle istanze di accesso era quello di
verificare quali atti di indagine il Comune di Savona
tenesse ipoteticamente serbati nel fascicolo personale o più
in generale negli archivi e che, a suo dire, erano stati
utilizzati per promuovere procedimenti disciplinari e per
fornire informazioni alla locale Prefettura presso la quale
era in trattazione una domanda per ottenere i benefici
concessi ai tutori dell'ordine in quanto "vittime del
dovere".
Fermo restando quanto sopra rappresentato circa la non
ostensibilità degli atti d’indagine penale, si riscontra che
in ambito disciplinare il Comune si è attivato a seguito
della comunicazione di cui all'art. 129 disp. att. c.p.p. e
in merito alla richiesta dei benefici spettanti alle "vittime
del dovere" ha fornito alla Prefettura un dettagliato
rapporto relativo al servizio prestato dal ricorrente, così
come richiesto dalla stessa. |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Deve ritenersi pacifico e radicato in
giurisprudenza il principio secondo il quale la sussistenza
del requisito della vicinitas tra la proprietà dell'istante
e quella del controinteressato, supportata dalla produzione
dell'atto di acquisto dell'area interessata, fanno sì che
debba riconoscersi la sussistenza in capo al ricorrente
dell'interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è stato chiesto l'accesso (nella specie,
copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati
effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di
accesso), che l'art. 22, l. n. 241 del 1990, anche nel nuovo
testo conseguente alle modifiche apportate dalla l. n. 15
del 2005, prevede quale presupposto per la legittimazione
all'azione e l'accoglimento della relativa domanda.
Peraltro, se è indubbio che il frontista (il confinante, il
vicino) ad un'area oggetto di interventi edilizi ha il
diritto di accedere ai relativi provvedimenti abilitativi,
ancora indubbio è che a suo carico non sussiste l'onere di
indicare dettagliatamente i documenti che intende visionare,
essendo sufficiente, ai fini della specificità dell'istanza
di accesso, che con la domanda siano forniti elementi utili
alla loro individuazione.
---------------
Se è vero che la sussistenza dei requisiti per l'accesso
agli atti amministrativi va accertata, in sede sia
amministrativa che giurisdizionale, nella pienezza del
contraddittorio con gli interessati cui i documenti si
riferiscono, i quali perciò assumono nel processo la veste
di controinteressati, deve, tuttavia, ritenersi che tale
fattispecie non ricorra e che, quindi, tale principio non
trovi applicazione nei casi, come quello "de quo", in cui la
domanda di accesso riguardi atti che, per la loro diretta
inerenza a provvedimenti amministrativi pubblici, non
possono essere in alcun modo sottratti all'accesso.
D’altro canto già, sotto l’impero della Legge Urbanistica
fondamentale n. 1142 del 1950, l’art. 31 c. 9, (nella parte
in cui stabiliva che chiunque può prendere visione presso
gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi
atti di progetto), aveva riconosciuto una posizione
qualificata e differenziata in favore dei proprietari di
immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e
a coloro che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la stessa.
Parallelamente oggi l’art. 20, c. 6, del T.U. n. 380 del
2001, come inteso dalla giurisprudenza vigente, assicura a
qualsiasi soggetto interessato (termine da intendersi non
come sinonimo di un’azione popolare ma, come sopra chiarito,
con riferimento ai proprietari di immobili siti nella zona
in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano
in una situazione di stabile collegamento con la stessa) la
possibilità di visionare gli atti del procedimento di
rilascio di permesso di costruire, in ragione del controllo
diffuso sull'attività edilizia, che il legislatore ha inteso
garantire ed atteso che in subiecta materia non può essere
affermata l'esistenza di un diritto alla riservatezza in
capo ai contro interessati; postulato cui accede che, nel
caso di specie, non trova applicazione la norma dell’art. 3
del d.P.R. n. 184 del 2006 (diversamente da quanto sembra
argomentato dalla resistente Amministrazione).
Pertanto il ricorso in epigrafe merita accoglimento con
riferimento alla richiesta di ostensione della copia dei
titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati
dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso.
Al contrario, analoga statuizione non è consentita con
riguardo all’esibizione degli atti di cui all’art. 27, c. 4,
del T.U. n. 380 del 2001 in quanto detta norma si riferisce
agli atti di p.g. con cui, ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria, una volta rilevati casi di presunta violazione
urbanistico edilizia, ne danno immediata comunicazione all’A.g.o.
(nel caso in cui, ovviamente, integrino notitiae criminis)
ed ai competenti organi regionali e comunali.
Altrimenti detto gli atti de quibus sono redatti dalla p.a.
non nell’esercizio delle sue istituzionali funzioni
amministrative ma nell'esercizio di funzioni di polizia
giudiziaria ad essa specificamente attribuite
dall'ordinamento; si è dunque in presenza di atti di
indagine compiuti dalla polizia giudiziaria che, come tali,
sono sottoposti al segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p. e,
per conseguenza, sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24
della l. n. 241/1990.
Segue a tanto che gli specifici atti di cui al par. III),
punto 2) dell’istanza di accesso del ricorrente, ove
integranti -come già detto- notitiae criminis acquisite
dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dipendenti
comunali nell’esercizio delle funzioni di p.g. ad essi
specificamente attribuite dall’Ordinamento, vanno esclusi
dall’ordine di esibizione di cui al dispositivo della
presente decisione.
... per l'annullamento silenzio formatosi in esito
all’istanza di accesso agli atti presentata al comune di
Pomezia in data 22.10.2014.
...
Considerato in diritto:
- che deve ritenersi pacifico e radicato in giurisprudenza
il principio secondo il quale la sussistenza del requisito
della vicinitas tra la proprietà dell'istante e
quella del controinteressato, supportata dalla produzione
dell'atto di acquisto dell'area interessata, fanno sì che
debba riconoscersi la sussistenza in capo al ricorrente
dell'interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente
ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è stato chiesto l'accesso (nella specie,
copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati
effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di
accesso), che l'art. 22, l. n. 241 del 1990, anche nel nuovo
testo conseguente alle modifiche apportate dalla l. n. 15
del 2005, prevede quale presupposto per la legittimazione
all'azione e l'accoglimento della relativa domanda;
- che, peraltro, se è indubbio che il frontista (il
confinante, il vicino) ad un'area oggetto di interventi
edilizi ha il diritto di accedere ai relativi provvedimenti
abilitativi, ancora indubbio è che a suo carico non sussiste
l'onere di indicare dettagliatamente i documenti che intende
visionare, essendo sufficiente, ai fini della specificità
dell'istanza di accesso, che con la domanda siano forniti
elementi utili alla loro individuazione (cfr., in tal senso,
ex plurimis, Cons. St. Sez. V, 14.02.2012, n. 946);
- che, se è vero che la sussistenza dei requisiti per
l'accesso agli atti amministrativi va accertata, in sede sia
amministrativa che giurisdizionale, nella pienezza del
contraddittorio con gli interessati cui i documenti si
riferiscono, i quali perciò assumono nel processo la veste
di controinteressati, deve, tuttavia, ritenersi che tale
fattispecie non ricorra e che, quindi, tale principio non
trovi applicazione nei casi, come quello "de quo", in
cui la domanda di accesso riguardi atti che, per la loro
diretta inerenza a provvedimenti amministrativi pubblici,
non possono essere in alcun modo sottratti all'accesso.
D’altro canto già, sotto l’impero della Legge Urbanistica
fondamentale n. 1142 del 1950, l’art. 31 c. 9, (nella parte
in cui stabiliva che chiunque può prendere visione presso
gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi
atti di progetto), aveva riconosciuto una posizione
qualificata e differenziata in favore dei proprietari di
immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e
a coloro che si trovano in una situazione di stabile
collegamento con la stessa.
Parallelamente oggi l’art. 20, c. 6, del T.U. n. 380 del
2001, come inteso dalla giurisprudenza vigente, assicura a
qualsiasi soggetto interessato (termine da intendersi non
come sinonimo di un’azione popolare ma, come sopra chiarito,
con riferimento ai proprietari di immobili siti nella zona
in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano
in una situazione di stabile collegamento con la stessa) la
possibilità di visionare gli atti del procedimento di
rilascio di permesso di costruire, in ragione del controllo
diffuso sull'attività edilizia, che il legislatore ha inteso
garantire ed atteso che in subiecta materia non può
essere affermata l'esistenza di un diritto alla riservatezza
in capo ai contro interessati (cfr. Cons. St. n. 9158 del
2013); postulato cui accede che, nel caso di specie, non
trova applicazione la norma dell’art. 3 del d.P.R. n. 184
del 2006 (diversamente da quanto sembra argomentato dalla
resistente Amministrazione);
- che pertanto il ricorso in epigrafe merita accoglimento
con riferimento alla richiesta di ostensione della copia dei
titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati
dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso;
mentre analoga statuizione non è consentita con riguardo
all’esibizione degli atti di cui all’art. 27, c. 4, del T.U.
n. 380 del 2001 in quanto detta norma si riferisce agli atti
di p.g. con cui, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria,
una volta rilevati casi di presunta violazione urbanistico
edilizia, ne danno immediata comunicazione all’A.g.o. (nel
caso in cui, ovviamente, integrino notitiae criminis)
ed ai competenti organi regionali e comunali.
Altrimenti detto gli atti de quibus sono redatti
dalla p.a. non nell’esercizio delle sue istituzionali
funzioni amministrative ma nell'esercizio di funzioni di
polizia giudiziaria ad essa specificamente attribuite
dall'ordinamento; si è dunque in presenza di atti di
indagine compiuti dalla polizia giudiziaria che, come tali,
sono sottoposti al segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p. e,
per conseguenza, sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24
della l. n. 241/1990 (C.d.S., Sez. VI, 09.12.2008, n. 6117;
Tar LT, n. 17 del 2014).
Segue a tanto che gli specifici atti di cui al par. III),
punto 2) dell’istanza di accesso del ricorrente, ove
integranti -come già detto- notitiae criminis
acquisite dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria
dipendenti comunali nell’esercizio delle funzioni di p.g. ad
essi specificamente attribuite dall’Ordinamento, vanno
esclusi dall’ordine di esibizione di cui al dispositivo
della presente decisione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 15.04.2015 n. 5613 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
F. Guida,
Accesso agli atti amministrativi: limiti alla ostensibilità
di esposti e denunce alla base di atti in autotutela
(02.04.2015 - link a www.diritto.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti amministrativi: limiti alla ostensibilità
di esposti e denunce.
L'esposto alla PA dal quale trae origine
un'attività amministrativa che si traduce, prima, in
verifiche ispettive e, quindi, in verbali di accertamento di
illeciti amministrativi non può essere fatto oggetto di
accesso agli atti, non sussistendo il requisito della
stretta connessione e del rapporto di strumentalità
necessaria rispetto alla tutela delle proprie posizioni
soggettive in giudizio, previsto dall’art. 24, comma 7,
della Legge n. 241/1990 ed invocato dal richiedente a
supporto di una richiesta ex artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
E’ quanto emerge dalla
sentenza 20.03.2015 n. 321 del TAR Veneto, resa
in applicazione di un orientamento già riscontrabile anche
nella giurisprudenza di secondo grado (C.d.S. sez. VI, sent.
n. 5779/2014).
Il GA mette in evidenza il ruolo svolto dall’esposto, che,
non ha natura necessaria, bensì meramente sollecitatoria
rispetto ad una funzione amministrativa già in capo alla PA
e che la stessa deve comunque generalmente esercitare,
indipendentemente da segnalazioni private, in attuazione del
canone di buon andamento dell’attività amministrativa (art.
97 Cost.).
Gli esposti e le denunce provenienti da privati, quindi, non
si pongono in rapporto di necessaria causalità rispetto allo
svolgimento dell’attività di verifica ispettiva.
L’attività amministrativa da cui il privato può
eventualmente ricevere effetti sfavorevoli della propria
sfera giuridica e rispetto alla quale ha, dunque, diritto
all’accesso è costituita unicamente dai verbali
amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le
determinazioni della PA procedente, che non costituiscono la
risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il
prodotto delle attività di verifica ispettiva posta in
essere.
La pronuncia si pone in linea con precedente giurisprudenza
del Consiglio di Stato (sez. VI, sent. n. 5779/2014), per la
quale la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni
contestati risulta assicurata dal verbale di accertamento.
Nessun collegamento causale esiste, dunque, tra l’esposto ed
il verbale di accertamento, ma solo tra la verifica
ispettiva attivata ed il provvedimento finale.
Né è dato riscontrare un rinvio espresso dal verbale di
accertamento all’esposto di parte e, dunque, una eventuale
motivazione per relationem dell’atto amministrativo,
tale da giustificare una richiesta di accesso estesa
all’atto privato.
A parere dello scrivente i principi enunciati nei casi di
specie, nei quali l’atto finale della PA si traduce in
un’ordinanza - ingiunzione per un illecito amministrativo,
paiono legittimamente richiamabili in ogni ipotesi di
esercizio di attività amministrativa in autotutela.
Va dato atto, tuttavia, della sussistenza di un orientamento
giurisprudenziale apparentemente difforme (per tutte: Tar
Brescia sez. II, sentenza 20.11.2014, n. 1251).
Tale sentenza afferma, infatti, che il privato che subisce
un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato
a conoscere tutti i documenti utilizzati per l'esercizio del
potere, inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che
hanno attivato l'azione dell'autorità, e che l'esposto, una
volta pervenuto nella sfera di conoscenza
dell'amministrazione, costituisce un documento che assume
rilievo procedimentale come presupposto di un'attività
ispettiva o di un intervento in autotutela, di conseguenza
il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione
che diventa un elemento nella disponibilità
dell'amministrazione. Né, ritiene il Tar lombardo, la sua
divulgazione può ritenersi preclusa da esigenze di tutela
della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume
un'estensione tale trasformarlo in diritto all'anonimato.
Un elemento di congiunzione tra i due richiamati
orientamenti, a giudizio di chi scrive, potrebbe essere
individuato nel carattere che, nella vicenda concreta,
assume effettivamente l’atto di parte da cui si origina
l’attività ispettiva che è sfociata nell’adozione dell’atto
in autotutela.
Tale carattere potrebbe indurre a favore della ostensibilità
dell’esposto nei limiti in cui esso abbia costituito
direttamente l’elemento fondante dello stesso provvedimento
finale, o sia stato richiamato a supporto delle
determinazioni assunte, o, ancora, nel caso in cui, il
provvedimento adottato motivi per relationem, avuto
riguardo all’esposto o alla denuncia privata. Diversamente,
e quindi in senso contrario alla ostensibilità, nel caso in
cui la valutazione amministrativa si basa solo ed
esclusivamente sugli esiti della verifica ispettiva.
La tematica proposta è di particolare attualità e rilevanza
anche alla luce dell’art. 1, comma 51, della Legge n.
190/2012, introduttiva dell’art. 54-bis ([i])
del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, rubricato “Tutela
del dipendente pubblico che segnala illeciti”.
Tale norma sottrae all’accesso la denuncia del pubblico
dipendente che segnala, in sede amministrativa, al proprio
superiore gerarchico la supposta consumazione di condotte
illecite, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del
rapporto di lavoro.
L’adesione all’uno o all’altro degli orientamenti -fatta
salva la lettura proposta, volta a renderli in qualche modo
compatibili- ne determina la natura, quale norma ricognitiva
ed applicativa di un principio generale o, diversamente,
derogatoria ed eccezionale.
_____________
[i]
Art. 54-bis. (Tutela del dipendente pubblico che segnala
illeciti). 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di
calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai
sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico
dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla
Corte dei conti, o all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC),
ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte
illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del
rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o
sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o
indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per
motivi collegati direttamente o indirettamente alla
denuncia. 2. Nell'ambito del procedimento disciplinare,
l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il
suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito
disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e
ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la
contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla
segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua
conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa
dell'incolpato. 3. L'adozione di misure discriminatorie e'
segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i
provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative
nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste
in essere. 4. La denuncia e' sottratta all'accesso previsto
dagli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241,
e successive modificazioni
(link a www.altalex.com). |
anno 2014 |
|
PUBBLICO
IMPIEGO: Procedimenti
disciplinari.
Domanda
Nell'ambito di un
procedimento disciplinare il diritto di accesso del
dipendente pubblico può estendersi alle denunce e agli
esposti che hanno attivato la procedura?
Risposta
Il soggetto che
subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un
interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti utilizzati dall'amministrazione nell'esercizio del
potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che
hanno determinato l'attivazione di tale potere (Cds, sez. IV,
19.01.2012, n. 231; sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando
la richiesta di accesso ha a oggetto il nome di coloro che
hanno reso denunce o rapporti informativi nell'ambito di un
procedimento ispettivo. Infatti, al diritto alla
riservatezza, non può riconoscersi un'estensione tale da
includere il diritto all'anonimato di colui che rende una
dichiarazione a carico di terzi, tanto più che l'ordinamento
non attribuisce valore giuridico positivo all'anonimato (Cds,
sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Il Consiglio di stato, sez. V, con sentenza 28.09.2012 n.
5132 ha precisato che la conoscenza integrale dell'esposto
rappresenta uno strumento indispensabile per la tutela degli
interessi giuridici in quanto solo in questo modo è
possibile proporre eventualmente denuncia per calunnia a
tutela dell'onorabilità (articolo ItaliaOggi Sette
dell'01.12.2014). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Sul diritto di accesso ad un esposto alla P.A. nei propri
confronti.
Il diritto di accesso è ormai pacificamente
riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione
qualificata, a fronte del quale l’amministrazione pone in
essere un’attività materiale vincolata.
L’istanza del richiedente deve essere sorretta da un
interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un
qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non
emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile
all’istante da uno specifico nesso.
Il diritto alla trasparenza dell’azione
amministrativa costituisce una situazione giuridica attiva
meritevole di autonoma protezione, da garantire qualora sia
funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che
stragiudiziale, anche prima e indipendentemente
dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale.
---------------
Il privato che subisce un procedimento di controllo
vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti
utilizzati per l’esercizio del potere –inclusi, di regola,
gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione
dell’autorità– suscettibili per il loro particolare
contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti
pregiudizievoli per il denunciato.
L’esposto, una volta pervenuto nella sfera di
conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento
che assume rilievo procedimentale come presupposto di
un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di
conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria
segnalazione la quale diventa un elemento nella
disponibilità dell’amministrazione.
La sua divulgazione non è preclusa da esigenze di
tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non
assume un’estensione tale da includere il diritto
all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico
di terzi.
La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un
valore estraneo al nostro ordinamento giuridico e gli autori
degli esposti sono tutelati dagli strumenti predisposti
dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta
privata.
---------------
Non può seriamente dubitarsi che la conoscenza
integrale dell’esposto rappresenti uno strumento
indispensabile per la tutela degli interessi giuridici
dell’istante, essendo intuitivo che solo in questo modo egli
potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela
della propria immagine verso l’esterno.
Detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento
giuridico i dubbi sull’uso strumentale e ritorsivo della
conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a
carico del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese
esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus
intollerabile ad un diritto fondamentale della persona,
quale quello dell’onore.
Il principio di trasparenza dell’attività
amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti del
denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di
denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura
che ha preso origine dall’esposto.
Infatti, specularmente, la qualità di autore di un
esposto che abbia dato luogo a un procedimento lato sensu
sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità
di una situazione giuridicamente rilevante di accesso agli
atti della pubblica amministrazione.
E' pur vero che, in un caso particolare sul quale si
è confrontata la giurisprudenza –ossia quello dell’accesso
ai verbali redatti dalle autorità amministrative (INPS e
INAIL), titolari delle funzioni di vigilanza sui rapporti di
lavoro– è stata affermata una stringente esigenza di tutela
dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi
ispettivi, per il possibile rischio di condotte ritorsive
provenienti dalla parte “forte” del rapporto contrattuale.
E' stato tuttavia affermato che le suesposte
necessità appaiono in ogni caso recessive, rispetto alle
esigenze difensive del datore, ove il rapporto d’impiego sia
cessato.
... per l'esercizio del diritto di accesso MEDIANTE
ESTRAZIONE DI COPIA, ALLE GENERALITA’ DELL’AUTORE DELLA
SEGNALAZIONE DEL 23/09/2013, TRASMESSA ALL’A.S.L. DI
BERGAMO.
...
Rilevato:
- che il diritto di accesso è ormai pacificamente
riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione
qualificata, a fronte del quale l’amministrazione pone in
essere un’attività materiale vincolata;
- che l’istanza del richiedente deve essere sorretta da un
interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un
qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non
emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile
all’istante da uno specifico nesso;
- che il diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa
costituisce una situazione giuridica attiva meritevole di
autonoma protezione, da garantire qualora sia funzionale a
qualunque forma di tutela, sia giudiziale che
stragiudiziale, anche prima e indipendentemente
dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale (Consiglio
di Stato, sez. V – 23/02/2010 n. 1067);
Considerato:
- che il privato che subisce un procedimento di controllo
vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti
utilizzati per l’esercizio del potere –inclusi, di regola,
gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione
dell’autorità– suscettibili per il loro particolare
contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti
pregiudizievoli per il denunciato (Consiglio di Stato, sez.
V – 19/05/2009 n. 3081; sez. VI – 25/06/2007 n. 3601);
- che l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di
conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento
che assume rilievo procedimentale come presupposto di
un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di
conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria
segnalazione la quale diventa un elemento nella
disponibilità dell’amministrazione;
- che la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di
tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non
assume un’estensione tale da includere il diritto
all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico
di terzi (TAR Veneto, sez. III – 03/02/2012 n. 116);
- che la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un
valore estraneo al nostro ordinamento giuridico (si veda la
sentenza di questo TAR 29/10/2008 n. 1469), e gli autori
degli esposti sono tutelati dagli strumenti predisposti
dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta
privata;
Tenuto conto:
- che non può pertanto seriamente dubitarsi che la
conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento
indispensabile per la tutela degli interessi giuridici
dell’istante, essendo intuitivo che solo in questo modo egli
potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela
della propria immagine verso l’esterno;
- che detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento
giuridico i dubbi sull’uso strumentale e ritorsivo della
conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a
carico del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese
esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus
intollerabile ad un diritto fondamentale della persona,
quale quello dell’onore (Consiglio di Stato, sez. V –
28/09/2012 n. 5132);
- che il principio di trasparenza dell’attività
amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti del
denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di
denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura
che ha preso origine dall’esposto;
- che infatti, specularmente, la qualità di autore di un
esposto che abbia dato luogo a un procedimento lato sensu
sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità
di una situazione giuridicamente rilevante di accesso agli
atti della pubblica amministrazione (TAR Toscana, sez. III –
16/10/2014 n. 1569 e la giurisprudenza ivi richiamata);
- che è pur vero che, in un caso particolare sul quale si è
confrontata la giurisprudenza –ossia quello dell’accesso ai
verbali redatti dalle autorità amministrative (INPS e
INAIL), titolari delle funzioni di vigilanza sui rapporti di
lavoro– è stata affermata una stringente esigenza di tutela
dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi
ispettivi, per il possibile rischio di condotte ritorsive
provenienti dalla parte “forte” del rapporto
contrattuale;
- che è stato tuttavia affermato che le
suesposte necessità appaiono in ogni caso recessive,
rispetto alle esigenze difensive del datore, ove il rapporto
d’impiego sia cessato (cfr. TAR Umbria – 21/01/2013 n. 31)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.11.2014 n. 1251 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permessi di costruire senza privacy.
Tar Marche. Qualsiasi interessato ha diritto di accesso agli
atti, anche prima della legge sulla trasparenza.
In tema di edilizia, l’accesso agli atti
amministrativi e agli elaborati progettuali è garantito a
qualsiasi soggetto interessato con la pubblicazione delle
autorizzazioni approvate nell’albo pretorio della pubblica
amministrazione. Una forma di pubblicità non prevista dalla
normativa precedente, ma nemmeno impedita da ragioni di
riservatezza. E comunque più estesa di quella prevista dalla
legge sul diritto d’accesso e utile al controllo pubblico
dell’attività urbanistico-edilizia.
Lo ha stabilito il TAR Marche con la
sentenza 07.11.2014 n. 923.
I giudici hanno accolto il ricorso di un privato a cui un
Comune, per tutelare un presunto diritto alla riservatezza
dei terzi interessati, aveva negato la visione dell’intera
documentazione relativa ai titoli edilizi rilasciati ad
un’azienda titolare di una lottizzazione comprendente un
terreno di comproprietà. La documentazione era utile per una
causa legale pendente contro lo stesso ente pubblico per il
risarcimento dei danni derivanti da varianti urbanistiche ed
edilizie.
A parere del collegio, l’accesso agli atti deve essere
garantito in quanto necessario a curare o difendere gli
interessi giuridici del richiedente secondo quanto stabilito
in generale dalle norme sul procedimento amministrativo in
tema di accesso (articolo 24 della legge 241/1990), ma in
particolare da quelle del Testo unico in materia edilizia (Dpr
380/2001). Secondo il Tar, quest’ultime, obbligando la Pa a
pubblicare nell’albo pretorio il concesso permesso di
costruire (articolo 20, comma 6, del Testo unico), ne
prevedono «un regime di pubblicità molto più esteso»,
almeno «prima dell’avvento del c.d. diritto di accesso
civico» fissato con la legge sulla trasparenza (articolo
5 del Dlgs 33/2013).
Tale onere, afferma la sentenza, consente «a
qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del
procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso”
sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire».
Per questo poi, sull’accesso a tali atti «non può essere
affermata l’esistenza di un diritto alla riservatezza»
di terzi dato che, come nel caso in esame, chi li richiede «ha
solo l’esigenza di verificare la presenza di eventuali abusi
edilizi o altre similari evenienze che possano ledere la sua
proprietà» (articolo
Il Sole 24 Ore del 27.11.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: In materia di rilascio dei titoli
edilizi esistono specifiche disposizioni di legge e
regolamentari che, sulla scorta della nota disposizione di
cui all’art. 31 della L. n. 1150/1942, come modificato dalla
c.d. legge ponte n. 765/1967, prevedono un regime di
pubblicità molto più esteso di quello che, prima
dell’avvento del c.d. diritto di accesso civico (D.Lgs. n.
33/2013), era contemplato dalla L. n. 241/1990.
Si veda, in particolare, l’art. 20, comma 6, del
T.U. n. 380/2001, nella parte in cui stabilisce che
dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso
all’albo pretorio. Tale disposizione non può che essere
interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è
funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di
visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel
controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il
legislatore ha inteso garantire (vedasi anche l’art. 27,
comma 3, del DPR n. 380/2001).
Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
In effetti, in materia di rilascio dei titoli edilizi
esistono specifiche disposizioni di legge e regolamentari
che, sulla scorta della nota disposizione di cui all’art. 31
della L. n. 1150/1942, come modificato dalla c.d. legge
ponte n. 765/1967, prevedono un regime di pubblicità molto
più esteso di quello che, prima dell’avvento del c.d.
diritto di accesso civico (D.Lgs. n. 33/2013), era
contemplato dalla L. n. 241/1990.
Si veda, in particolare, l’art. 20, comma 6, del T.U. n.
380/2001, nella parte in cui stabilisce che dell’avvenuto
rilascio di un titolo edilizio va dato avviso all’albo
pretorio. Tale disposizione non può che essere interpretata
nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a
consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli
atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso”
sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso
garantire (vedasi anche l’art. 27, comma 3, del DPR n.
380/2001).
Ma nel caso di specie non è nemmeno necessario applicare
tali disposizioni, visto che il ricorrente è comproprietario
di un lotto di terreno attiguo a quelli di proprietà della
ditta controinteressata e incluso nella medesima
lottizzazione, e che egli è stato asseritamente danneggiato
da alcune varianti urbanistiche ed edilizie che il Comune di
Recanati ha approvato negli ultimi tempi. E tale
affermazione non è meramente soggettiva, visto che pende già
davanti a questo Tribunale il ricorso con cui il sig. C.
chiede la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei
danni.
Sussistono quindi tutti i presupposti di cui all’art. 24,
comma 7, L. n. 241/1990, considerato che in subiecta
materia non può essere affermata l’esistenza di un
diritto alla riservatezza in capo ai controinteressati.
In effetti, il ricorrente ha solo l’esigenza di verificare
la presenza di eventuali abusi edilizi o altre similari
evenienze che possano ledere la sua proprietà (e non importa
se si tratti di proprietà individuale o di comproprietà), il
che non implica quindi la conoscenza di dati sensibili. A
voler diversamente opinare si darebbe, ad esempio, la
possibilità agli autori di abusi edilizi di poter evitare
qualsiasi controllo su impulso di parte, accampando un
inesistente diritto alla riservatezza.
Naturalmente non è scontato che i documenti oggetto di
accesso siano effettivamente utili al ricorrente nell’ambito
del giudizio pendente (così come è da ribadire che la
proposizione di istanze di accesso non riapre ex se i
termini di impugnazione di provvedimenti ormai
consolidatisi), ma in questa sede il giudice deve solo
verificare la non manifesta inutilità della visione degli
atti oggetto della richiesta di accesso.
Il Tribunale, per quanto detto in precedenza, non ritiene
che la visione degli atti in argomento sia icto oculi
irrilevante rispetto alle esigenze di tutela giurisdizionale
delle ragioni del sig. C..
In conclusione, il ricorso va accolto, con
conseguente condanna del Comune di Recanati a consentire al
ricorrente la visione e l’estrazione di copia degli atti
indicati nell’istanza di accesso del 18/2/2014 (per la parte
rimasta inevasa), chiarita con le successive note del
10/03/2014 e del 23/04/2014 (TAR Marche,
sentenza 07.11.2014 n. 923 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Sul diritto, o meno, di accedere ad un esposto presentato al
comune (nei propri confronti) per presunto abuso edilizio al
fine di conoscere le generalità del firmatario.
L’atto
per il quale il ricorrente ha proposto istanza d’accesso ai
sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990
consiste in un esposto presentato da un terzo al Comune di
Varese, esposto con il quale venivano segnalati
all’Amministrazione presunti abusi edilizi che il ricorrente
stesso stava per effettuare su un proprio immobile.
Il Comune, a seguito di questa istanza, ha avviato un
procedimento istruttorio dal quale è emerso che
effettivamente il ricorrente aveva posto in essere alcuni
interventi edilizi in assenza di titolo; conseguentemente
sono stati emessi i relativi provvedimenti sanzionatori.
Non è contestato che i provvedimenti emanati dal Comune di
Varese indichino esaustivamente i presupposti fattuali e le
ragioni giuridiche che stanno alla base delle misure
sanzionatorie adottate.
La richiesta di acceso agli atti presentata dal ricorrente
ha dunque esclusivamente la finalità di risalire
all’identità di colui che ha segnalato l’abuso. Tale intento
è peraltro confermato dagli scritti difensivi della parte,
laddove si sostiene la sussistenza di un diritto all’eccesso
finalizzato alla conoscenza dei dati identificativi del
terzo che segnali all’amministrazione pubblica un illecito
perpetrato dall’interessato.
Ciò premesso si deve evidenziare che l’art. 24, comma 6,
lett. d), della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, con
proprio regolamento, le pubbliche amministrazione possono
escludere dall’accesso documenti che contengano dati
personali di terzi; e ciò all’evidente fine di tutelare la
riservatezza di questi.
Il comma 7 dello stesso art. 24 stabilisce poi che
l’accesso deve comunque essere garantito ai richiedenti,
anche qualora ciò possa ledere il diritto alla riservatezza
di terzi, quando la conoscenza dei documenti richiesti sia
necessaria per curare o per difendere interessi giuridici.
Come si vede il legislatore, nel configurare l’istituto
dell’accesso agli atti amministrativi, non ha posto un
divieto assoluto di divulgazione di dati di terzi da parte
della pubblica amministrazione, ma ha dettato norme
particolari che denotano l’intenzione di bilanciare in
maniera appropriata i vari interessi che entrano in
conflitto.
La riservatezza, dunque, costituisce un valore primario da
tutelare che, tuttavia, non prevale in maniera
incondizionata, ma che anzi è destinato a recedere qualora
l’accesso sia funzionale alla tutela di interessi giuridici
del richiedente.
Da quanto sopra deriva che chi vuole esercitare il diritto
d’accesso con riguardo a documenti che contegono dati di
terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede
l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano
gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere
assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così,
infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni
di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal
menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per
l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione
possa pregiudicare la riservatezza di terzi.
Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza, si
è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal
terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo
hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto
doveva ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli
era il destinatario di tali misure sanzionatorie.
Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano
sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore
per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti
dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto,
infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella
propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui
tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza
dei dati identificativi di colui che ha effettuato la
segnalazione dell’abuso.
Il sig. A.G., odierno ricorrente, in data 11.02.2014, ha
inoltrato al Comune di Varese un’istanza di accesso agli
atti riguardante una segnalazione per presunto abuso
edilizio presentata da un terzo ed afferente ad interventi
edilizi che lo stesso sig. Giordano stava effettuando su un
proprio edificio.
Il Comune di Varese, con nota del 10.03.2014, ha respinto
l’istanza.
Avverso tale atto di diniego è diretto il ricorso in esame.
Il ricorrente chiede pertanto che il Comune venga condannato
al rilascio della documentazione richiesta.
Si è costituito in giudizio, per opporsi all’accoglimento
delle domande avverse, il Comune di Varese.
Tenutasi la camera di consiglio in data 19.06.2014, la
causa è stata trattenuta in decisione.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato per le
ragioni che seguono.
Come anticipato, l’atto per il quale il ricorrente ha
proposto istanza d’accesso ai sensi degli artt. 22 e
seguenti della legge n. 241 del 1990 consiste in un esposto
presentato da un terzo al Comune di Varese, esposto con il
quale venivano segnalati all’Amministrazione presunti abusi
edilizi che il ricorrente stesso stava per effettuare su un
proprio immobile.
Il Comune, a seguito di questa istanza, ha avviato un
procedimento istruttorio dal quale è emerso che
effettivamente il ricorrente aveva posto in essere alcuni
interventi edilizi in assenza di titolo; conseguentemente
sono stati emessi i relativi provvedimenti sanzionatori.
Non è contestato che i provvedimenti emanati dal Comune di
Varese indichino esaustivamente i presupposti fattuali e le
ragioni giuridiche che stanno alla base delle misure
sanzionatorie adottate.
La richiesta di acceso agli atti presentata dal ricorrente
ha dunque esclusivamente la finalità di risalire
all’identità di colui che ha segnalato l’abuso. Tale intento
è peraltro confermato dagli scritti difensivi della parte,
laddove si sostiene la sussistenza di un diritto all’eccesso
finalizzato alla conoscenza dei dati identificativi del
terzo che segnali all’amministrazione pubblica un illecito
perpetrato dall’interessato.
Ciò premesso si deve evidenziare che l’art. 24, comma 6,
lett. d), della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, con
proprio regolamento, le pubbliche amministrazione possono
escludere dall’accesso documenti che contengano dati
personali di terzi; e ciò all’evidente fine di tutelare la
riservatezza di questi.
Il comma 7 dello stesso art. 24 stabilisce poi che
l’accesso deve comunque essere garantito ai richiedenti,
anche qualora ciò possa ledere il diritto alla riservatezza
di terzi, quando la conoscenza dei documenti richiesti sia
necessaria per curare o per difendere interessi giuridici.
Come si vede il legislatore, nel configurare l’istituto
dell’accesso agli atti amministrativi, non ha posto un
divieto assoluto di divulgazione di dati di terzi da parte
della pubblica amministrazione, ma ha dettato norme
particolari che denotano l’intenzione di bilanciare in
maniera appropriata i vari interessi che entrano in
conflitto.
La riservatezza, dunque, costituisce un valore primario da
tutelare che, tuttavia, non prevale in maniera
incondizionata, ma che anzi è destinato a recedere qualora
l’accesso sia funzionale alla tutela di interessi giuridici
del richiedente.
Da quanto sopra deriva che chi vuole esercitare il diritto
d’accesso con riguardo a documenti che contegono dati di
terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede
l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano
gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere
assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così,
infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni
di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal
menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per
l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione
possa pregiudicare la riservatezza di terzi.
Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza del
14 febbraio 2014, si è limitato ad evidenziare che la
segnalazione effettuata dal terzo era menzionata nei
provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e che
l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi
necessariamente sussistente in quanto egli era il
destinatario di tali misure sanzionatorie.
Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano
sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore
per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti
dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto,
infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella
propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui
tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza
dei dati identificativi di colui che ha effettuato la
segnalazione dell’abuso.
Questi interessi non sono stati indicati
nell’istanza d’accesso; pertanto, va ribadita l’infondatezza
del ricorso che deve essere, di conseguenza, respinto (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.06.2014 n. 1656
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Diritto di accesso alle autorizzazioni a
costruire.
Con nota e-mail del 15 ottobre u.s., che si allega in copia,
un consigliere del comune di … ha chiesto un parere in
merito al corretto esercizio del diritto di accesso agli
atti riservato agli amministratori degli enti locali.
Al riguardo, si osserva che l’articolo 22, comma 2, della
legge n. 241/1990 prevede che “l'accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce principio generale dell'attività
amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di
assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.
In materia di enti locali, l’articolo 10 del d.lgs. n.
267/2000 dispone che tutti gli atti dell’amministrazione
comunale sono pubblici, e rinvia, altresì alla previsione
regolamentare la disciplina delle modalità di esercizio del
diritto di accesso che, comunque deve essere assicurato a
tutti i cittadini.
Del resto, l’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 prevede la
pubblicazione all’albo pretorio, di tutte le deliberazioni
(in senso lato) del comune, che pur essendo soggetta ad una
limitazione temporale, consente, tuttavia, a chiunque di
prendere visione degli atti prodotti.
Il diritto d’accesso dei consiglieri comunali e provinciali
agli atti amministrativi dell’ente locale è disciplinato
dall’art. 43, comma 2, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, il quale
prevede in capo agli stessi il diritto di ottenere dagli
uffici comunali, tutte le notizie e le informazioni in loro
possesso, utili all’espletamento del loro mandato (ribadito
anche dalla Commissione per l’Accesso ai Documenti
Amministrativi, Plenum del 02.02.2010 e del 23.02.2010 e
parere del 05.10.2010).
Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr.
C.di S. Sez. V. n. 929/2007), il diritto di accesso nei
confronti del consigliere “non può subire compressioni
per pretese esigenze di natura burocratica dell’ente con
l’unico limite di poter esaudire la richiesta (qualora sia
di una certa gravosità) secondo i tempi necessari per non
determinare interruzione delle altre attività di tipo
corrente …” (limite della proporzionalità e
ragionevolezza delle richieste), restando ferma la “necessità
di contemperare nel modo più ragionevole e adeguato
possibile dette richieste, finalizzate all’espletamento del
mandato, con le esigenze di funzionamento degli uffici”.
(C.d.S., Sezione V, del 17.09.2010, n. 6963).
Dal contenuto dell’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 si evince
il riconoscimento in capo al consigliere comunale di un
diritto dai confini più ampi sia del diritto di accesso ai
documenti amministrativi attribuito al cittadino nei
confronti del Comune di residenza (art. 10, T.U. Enti
locali) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale
disciplinato dalla legge n. 241/1990.
Tale maggiore ampiezza di legittimazione è riconosciuta in
ragione del particolare munus espletato dal
consigliere comunale, affinché questi possa valutare con
piena cognizione di causa la correttezza e l’efficacia
dell’operato dell’Amministrazione, onde poter esprimere un
giudizio consapevole sulle questioni di competenza della
P.A., opportunamente considerando il ruolo di garanzia
democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata
(a maggior ragione, per ovvie considerazioni, qualora il
consigliere comunale appartenga alla minoranza,
istituzionalmente deputata allo svolgimento di compiti di
controllo e verifica dell’operato della maggioranza).
A tal fine il consigliere comunale non deve motivare la
propria richiesta di informazioni, poiché, diversamente
opinando, la P.A. si ergerebbe ad arbitro delle forme di
esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato
all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi.
Conseguentemente, gli Uffici comunali non hanno il potere di
sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle
richieste di informazioni avanzate da un consigliere
comunale e le modalità di esercizio del munus da questi
espletato.
Ciò, anche nel rispetto della separazione dei poteri (art. 4
e art. 14 del d. lgs. n. 165/2001) sancita per gli enti
locali dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 che richiama il
principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo spettano agli organi di governo,
essendo riservata ai dirigenti la gestione amministrativa,
finanziaria e tecnica.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è orientata nel
senso di ritenere che ai consiglieri comunali spetti
un’ampia prerogativa a ottenere informazioni, senza che
possano essere opposti profili di riservatezza nel caso in
cui la richiesta riguardi l’esercizio del mandato
istituzionale, restando fermi, peraltro, gli obblighi di
tutela del segreto e i divieti di divulgazione di dati
personali secondo la vigente normativa sulla riservatezza
(secondo la quale, ai sensi dell’art. 43, comma 2, d.lgs.
18.08.2000, n. 267, i consiglieri comunali e provinciali “sono
tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla
legge”).
In ogni caso, ad avviso di questa Direzione Centrale, appare
necessaria una regolamentazione della materia da parte del
Consiglio comunale nell’ambito anche degli strumenti di
autorganizzazione dello stesso Consiglio.
Anche il TAR Toscana, Sez. I, con sentenza 11.11.2009, n.
1607 ha ritenuto opportuno sottolineare (concordando, in
questo, con l'indicazione fornita dal Ministero dell'Interno
in fattispecie analoghe) l'opportunità che l'ente locale,
nell’ambito della propria autonomia, si doti da un lato di
apposita regolamentazione, utile a disciplinare il corretto
esercizio del diritto di accesso agli atti e alle
informazioni sancito dall’art. 43 comma 2 del TUEL,
dall'altro di strumenti organizzativi adeguati a soddisfare
le esigenze connesse con l'esercizio del diritto in
questione.
Riguardo alla particolare problematica relativa alle
autorizzazioni a costruire, occorre fare riferimento al
parere della Commissione d’accesso ai documenti
amministrativi del 27.03.2003 nonché al parere del
14.10.2003 di rinvio alla decisione n. 549 del 23.05.1997
con la quale il Consiglio di Stato, V sezione ha
riconosciuto che "in virtù dell'art. 22 della legge 241
del 1990, qualsiasi soggetto abitante nel comune ha diritto
di accesso agli atti relativi ad una concessione edilizia
rilasciata dal sindaco".
In particolare, secondo quanto rilevato dalla Commissione
d’accesso, trattandosi di diritto del cittadino di accedere
ai documenti del proprio comune, la materia è soggetta non
alla disciplina generale della legge n. 241/1990 ma a quella
particolare della legge 17.08.1942, n. 1150, che all'art.
31, comma 8, stabilisce che "chiunque può prendere
visione presso gli uffici comunali della concessione
edilizia e dei relativi atti di progetto", e del d.lgs.
n. 267/2000 T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali, art.10.
Tuttavia occorre precisare che la legge n. 1150/1942 è stata
sostituita, tra le altre anche dal D.P.R. n. 380 del
06.06.2001, recante il testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, il quale
pur non avendo riproposto il contenuto dell’articolo 31,
comma 8, ha mantenuto, all’art. 20, la disposizione relativa
alla pubblicità del permesso di costruire mediante
affissione all’albo pretorio, ferma restando la più generale
applicazione dell’ articolo 10 del T.U. n. 267/2000.
I permessi per costruire, pertanto, non sono soggetti a
particolare riservatezza potendo essere conosciuti da
qualsiasi cittadino, ferma restando la necessità del
rispetto delle linee guida in materia di trattamento di dati
personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti
e documenti di enti locali, adottate dal Garante per la
protezione dei dati personali con deliberazione n. 17 del
19.04.2007, e ferma restando l’opportunità della valutazione
in ordine all’individuazione di eventuali controinteressati
che abbiano titolo ad essere avvisati con le modalità di cui
all’articolo 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184.
Tanto si rappresenta con preghiera di volere partecipare il
contenuto della presente al consigliere ed all’Ente
interessati (Ministero
dell'Interno,
parere 29.10.2013 - link a http://incomune.interno.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Accessibilità ai documenti relativi al rilascio
di concessioni edilizie. – Quesito.
Il comune di …ha posto un quesito in ordine alla legittimità
della richiesta di accesso, effettuata da un cittadino
esercente la professione di geometra ad alcune concessioni
edilizie, ai sensi dell’articolo 10 del TUEL n. 267/2000.
Al riguardo, si osserva che l’articolo 22, comma 2, della
legge n. 241/1990 prevede che “l'accesso ai documenti
amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce principio generale dell'attività
amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di
assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.
In materia di enti locali, l’articolo 10 del d.lgs. n.
267/2000 dispone che tutti gli atti dell’amministrazione
comunale sono pubblici, e rinvia, altresì alla previsione
regolamentare la disciplina delle modalità di esercizio del
diritto di accesso che, comunque deve essere assicurato a
tutti i cittadini.
Del resto, l’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 prevede la
pubblicazione all’albo pretorio, di tutte le deliberazioni
(in senso lato) del comune, che pur essendo soggetta ad una
limitazione temporale, consente, tuttavia, a chiunque di
prendere visione degli atti prodotti.
Nel caso specifico, occorre fare riferimento al parere della
Commissione d’accesso ai documenti amministrativi del
27.03.2003 nonché al parere del 14 ottobre 2003 di rinvio
alla decisione n. 549 del 23.05.1997 con la quale il
Consiglio di Stato, V sezione ha riconosciuto che "in
virtù dell'art. 22 della legge 241 del 1990, qualsiasi
soggetto abitante nel comune ha diritto di accesso agli atti
relativi ad una concessione edilizia rilasciata dal sindaco".
In particolare, secondo quanto rilevato dalla Commissione
d’accesso, trattandosi di diritto del cittadino di accedere
ai documenti del proprio comune, la materia è soggetta non
alla disciplina generale della legge n. 241/1990 ma a quella
particolare della legge 17.08.1942, n. 1150, che all'art.
31, comma 8, stabilisce che "chiunque può prendere
visione presso gli uffici comunali della concessione
edilizia e dei relativi atti di progetto", e del d.lgs.
n. 267/2000 T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali, art. 10.
Tuttavia occorre precisare che la legge n. 1150/1942 è stata
sostituita, tra le altre anche dal D.P.R. n. 380 del
06.06.2001, recante il testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, il quale
pur non avendo riproposto il contenuto dell’articolo 31,
comma 8, ha mantenuto, all’art. 20, la disposizione relativa
alla pubblicità del permesso di costruire mediante
affissione all’albo pretorio, ferma restando la più generale
applicazione dell’ articolo 10 del T.U. n. 267/2000.
I permessi per costruire, pertanto, non sono soggetti a
particolare riservatezza potendo essere conosciuti da
qualsiasi cittadino, ferma restando la necessità del
rispetto delle linee guida in materia di trattamento di dati
personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti
e documenti di enti locali, adottate dal Garante per la
protezione dei dati personali con deliberazione n. 17 del
19.04.2007, e ferma restando l’opportunità della valutazione
in ordine alla individuazione di eventuali controinteressati
che abbiano titolo ad essere avvisati con le modalità di cui
all’articolo 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184.
Tutto ciò premesso, occorre osservare, nondimeno, che la
richiamata legge n. 241/1990, all’art. 24, comma 3, dispone
che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate
ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche
amministrazioni”.
Tale assunto è stato confermato anche dalla Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi con delibera in data
27.02.2013 con cui la stessa Commissione ha rilevato che il
diritto d'accesso ai documenti riconosciuti dall'art. 22
legge n. 241/1990, non si atteggia come una sorta di azione
popolare diretta a consentire una forma di controllo
generalizzato sull'amministrazione, né può essere
trasformato in uno strumento di ispezione popolare
sull'efficienza di un soggetto pubblico o di un determinato
servizio, nemmeno in ambito locale.
Al contrario, da un lato, l'interesse che legittima ciascun
soggetto all'istanza, e che va accertato caso per caso, deve
essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto
stesso da uno specifico nesso e, dall'altro, la
documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile
a tale interesse, oltre che individuata o ben individuabile
(Così C.d.S., Sez. VI, n. 820/1998).
Sul punto era nuovamente intervenuto il Consiglio di Stato
con sentenza n. 2283 del 29.04.2002, sez. IV, affermando che
"anche se il diritto in questione è volto ad assicurare
la trasparenza dell'attività amministrativa e a favorirne lo
svolgimento imparziale, rimane fermo che l'accesso agli atti
della pubblica amministrazione è consentito soltanto a
coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o
indirettamente si rivolgono, e che ne possano eventualmente
avvalere per la tutela di una posizione soggettiva...."
e che "l'interesse ad esercitare il diritto d'accesso per
acquisire una serie di informazioni su un particolare
settore allo scopo di valutarne l'efficienza e di assumere
iniziative a tutela degli utenti del servizio...mira a
trasformare il diritto di accesso in uno strumento di
ispezione popolare sull'efficienza del servizio - con il
quale il richiedente finirebbe per sostituirsi agli organi
deputati dall'ordinamento ad effettuare i previsti controlli".
Tant’è che lo stesso Consiglio di Stato con sentenza Sez. VI,
n. 117 del 12.01.2011, confermando le proprie precedenti
posizioni in merito ha ribadito che se anche, nella specie,
la richiesta di accesso fosse stata motivata con riferimento
ad un interesse individuale puntuale, non di meno, per la
mole dei documenti richiesti, l’accesso comporterebbe un
controllo generalizzato e di tipo ispettivo sull’operato
dell’Amministrazione.
Tanto si rappresenta con preghiera di volere partecipare il
contenuto della presente all’Ente interessato (Ministero
dell'Interno,
parere 13.09.2013 - link a http://incomune.interno.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
I. Mastrangeli,
DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI E TUTELA DELLA RISERVATEZZA
- Il delicato rapporto tra il diritto di accesso agli atti
per chi è interessato da un procedimento
ispettivo/sanzionatorio e la tutela della riservatezza
dell’autore dell’esposto, che a quel procedimento ha dato
origine, è risolto con la preferenza per il primo,
considerato che la Costituzione non tollera denunce segrete
o anonime (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Polizia locale in funzione di polizia giudiziaria: sugli
illeciti edilizi poteri più ampi.
Il Consiglio di Stato ha precisato e chiarito due questioni fondamentali
nel caso degli accertamenti di violazioni urbanistico
edilizie. La prima è che il diniego dell'accesso agli atti
è legittimo solo nel caso di atti assunti dalla Polizia
Municipale in quanto atti di Polizia Giudiziaria. La seconda
è la non necessità di preavviso per l'esecuzione di
sopralluoghi.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.01.2013 n. 547, ha affrontato
la problematica dell'accesso agli atti nel caso in cui vi
siano accertamenti della Polizia Municipale.
Nel caso di specie siamo di fronte ad accertamenti correlati
ad attività edilizia.
A prescindere dall'esito processuale ci pare particolarmente
interessante trattare due aspetti ben evidenziati e chiariti
nella Decisione del Consiglio di Sato e che sono quelli di
seguito descritti.
Primo aspetto: LIMITI ALL'ACCESSO AGLI ATTI NELL'AMBITO DI
UN PROCESSO PENALE.
Verrebbe spontaneo affermare prontamente che è escluso in
ogni caso il diritto di accesso, ma la decisione del
Collegio afferma che così non è.
Il Giudicante precisa che la negazione dell'accesso agli
atti deve trovare giustificazione nella tipologia dell'atto
e, più specificatamente, in relazione al soggetto che li ha
assunti ed alla funzione dallo stesso soggetto espletata nel
momento in cui ha assunto gli atti, quindi, in altra e più
sintetica formulazione, al modus operandi.
Precisamente, nell'ambito generale degli atti finalizzati
all'accertamento ed alla repressione di presunti abusi
edilizi vi sono:
1) Atti delegati dall'Autorità Giudiziaria;
2) Atti "notizia criminis" posti in essere dalla Polizia
Municipale nella funzione di delega ricevuta, attribuiti
alla Polizia Municipale dall'ordinamento;
3) Atti di indagine ed accertamento che confluiscono anche
in denunce all'Autorità Giudiziaria, ma compiuti nell'ambito
delle funzioni amministrative istituzionali proprie della
Polizia Municipale e non compiuti quali attività di Polizia
Giudiziaria.
Conclude il Collegio affermando che sulla summenzionata ed
elencata tipologia di atti è legittimo negare l'accesso solo
nelle ipotesi di cui ai punti sub 1) e sub 2), nel mentre
l'ipotesi sub 3) non può sopportare alcuna limitazione
all'accesso da parte dei privati interessati.
A giustificazione di tali conclusioni è richiamato l'art.
329 del Codice di Procedura Penale sul segreto istruttorio
ed è richiamato il Consiglio di Stato -Sezione Sesta- Dec.
n. 6117 del 09.12.2008, in ordine all'art. 24, L. n.
241 del 1990.
Secondo aspetto: DOVERE DA PARTE DELL'ENTE LOCALE DI
PREAVVISARE IL PRIVATO CIRCA IL SOPRALLUOGO DI ACCERTAMENTO.
Nell'ambito processuale il ricorrente ha eccepito la
negazione del diritto di accesso all'atto con il quale il
Comune ha avviato l'accertamento effettuando ossia la
determinazione espressa di effettuare un sopralluogo.
Nello specifico deve essere chiarito che l'atto richiesto,
in quanto preavviso del sopralluogo, era inesistente perché
non sussiste la necessità di una determinazione a compiere
il sopralluogo e quindi la necessità preavviso, a tutela del
privato, in quanto trattasi di accertamenti e non di
provvedimenti.
Il Giudicante ciò giustifica in considerazione del fatto che
l'art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce al
Dirigente dell'Ufficio tecnico Comunale la vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e
ciò al fine di assicurare la conformità degli interventi
alle prescrizioni di leggi, regolamenti, strumenti
urbanistici e permessi di costruire.
Per quanto appena esposto il Collegio ha affermato che il
Dirigente Responsabile, anche a mezzo di propri dipendenti,
può "a sorpresa" effettuare accessi e sopralluoghi, sui siti
di intervento edilizio, al fine di verificare se sussistono
violazioni edilizie, con o senza rilevanza penale, tali da
giustificare se vada emesso un ordine di sospensione dei
lavori o se ci si debba determinare per un procedimento
finalizzato al ritiro del precedente titolo abilitativo
all'edificazione.
Conclude il Collegio che, solo in quest'ultimo caso (rectius:
in quest'ultima fase del procedimento), sussiste l'obbligo,
per la Pubblica Amministrazione, di trasmettere formale
avviso dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7, L.
n. 241 del 1990 (commento tratto da www.ispoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica
amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto
coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta
all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla
pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie
istituzionali funzioni amministrative, non si ricade
nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.;
Tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette
all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa
nell'esercizio della propria istituzionale attività
amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di polizia
giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è
in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia
giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto
istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. e conseguentemente
sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24, l. n. 241 del
1990.
---------------
Ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico
sull’edilizia (approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001), “il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale
esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto
o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività
urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne
la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
Pertanto, se del caso per il tramite dei suoi dipendenti, il
dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche
ad horas, informalmente e ‘a sorpresa’ l’accesso sui luoghi
per verificare se sussista un illecito edilizio (avente o
meno rilevanza penale), se vada emesso un ordine di
sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per
l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto
abilitativo: solo in quest’ultimo caso è configurabile
l’obbligo di trasmettere un formale avviso previsto
dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Da quanto esposto in narrativa emerge che la signora
B. fosse portatrice di una posizione giuridica
soggettiva idonea a legittimare la proposizione del ricorso
per l’accesso.
In particolare, come esposto in narrativa e chiarito in
atti, l’odierna appellante è proprietaria di un appartamento
–e delle relative pertinenze– sul quale, nel corso degli
anni, sono stati effettuati interventi di manutenzione in
relazione ai quali risulta che il Comune di Napoli abbia
avviato un procedimento finalizzato alla verifica di
presunti abusi edilizi ivi commessi.
Conseguentemente, l’odierna appellante vanta un interesse
diretto, concreto ed attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata, ad accedere agli atti
del procedimento avviato dall’amministrazione comunale.
Al riguardo i primi Giudici hanno correttamente richiamato
il principio secondo cui non ogni denuncia di reato
presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità
giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio
penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la
denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione
nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni
amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione
dell'art. 329, c.p.p.; tuttavia se la pubblica
amministrazione che trasmette all'autorità giudiziaria una
notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria
istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di
funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite
dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine
compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono
soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p.
e conseguentemente sottratti all'accesso ai sensi dell'art.
24, l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, VI, 09.12.2008, n. 6117).
Ebbene, nei suoi scritti difensivi (il cui contenuto è stato
sostanzialmente condiviso dai primi Giudici) il Comune di
Napoli si è limitato a dichiarare che gli ulteriori
accertamenti (sic) sono stati compiuti nell’espletamento di
compiti delegati dall’Autorità giudiziaria.
Da quanto rilevato dal Comune non è dato comprendere se gli
atti finalizzati all’accertamento e alla repressione dei
presunti abusi edilizi posti in essere nella proprietà
dell’appellante:
a) siano stati delegati dall’A.G. (nel qual
caso l’ostensione non sarebbe possibile);
b) coincidano con
le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali
nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essi
specificamente attribuite dall'ordinamento (nel qual caso
parimenti l’ostensione non sarebbe possibile), ovvero
c)
costituiscano atti di indagine e accertamento (se del caso,
tradottisi in denunce all’A.G.) non compiuti nell’esercizio
di funzioni di P.G., bensì nell'esercizio delle proprie
istituzionali funzioni amministrative (nel qual caso, non
sussistono impedimenti ad ammettere l’esercizio del diritto
di accesso su tali atti).
Sono invece infondate le deduzioni dell’appellante che,
incidentalmente, hanno lamentato che l’accesso sui luoghi
poteva aver luogo solo previo avviso di avvio di un
procedimento sanzionatorio.
Ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico
sull’edilizia (approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001), “il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale
esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto
o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne
la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
Pertanto, se del caso per il tramite dei suoi dipendenti, il
dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche
ad horas, informalmente e ‘a sorpresa’ l’accesso sui luoghi
per verificare se sussista un illecito edilizio (avente o
meno rilevanza penale), se vada emesso un ordine di
sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per
l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto
abilitativo: solo in quest’ultimo caso è configurabile
l’obbligo di trasmettere un formale avviso previsto
dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Ciò comporta l’infondatezza della pretesa dell’interessata,
di subordinare la propria collaborazione con l’ufficio al
previo rilascio di un formale atto di avviso di avvio di un
procedimento sanzionatorio: da un lato, ella può accedere ai
verbali posti in essere dall’ufficio con riferimento alla
sua posizione (purché, come sopra precisato, non siano stati
posti in essere nell’esercizio di una delega trasmessa dalla
autorità giudiziaria), dall’altro ella non può pretendere di
visionare un atto formale di avvio di un procedimento
sanzionatorio, che non va emesso per accertare la realtà di
fatto caratterizzante un immobile
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.01.2013 n.
547 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 116 c.p.p. stabilisce che
"Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque
vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese
di copie, estratti o certificati di singoli atti",
rimettendo all'autorità giudiziaria penale il delicato
compito di valutare e bilanciare le contrapposte esigenze
implicate in tali vicende (art. 116, comma 2).
Di fronte ad atti di polizia giudiziaria coperti dal segreto
istruttorio ex art. 329 c.p.p., vige il divieto di
pubblicazione sancito dall'art. 114 c.p.p..
Tuttavia, a tenore del comma 1 della citata norma, il
suddetto divieto può protrarsi, salve le ipotesi di cui al
terzo comma, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari.
Premesso:
- che il ricorrente ha chiesto l’ottemperanza alla sentenza
n. 286 dell’11.10.2012 con cui la Sezione ha ordinato al
Comune di Parma di consentire l’accesso al documento
richiesto con l’istanza del 30.04.2012;
- che il Comune intimato si è costituito in giudizio
chiedendo la reiezione del ricorso in quanto il documento
richiesto (nota inviata dal Comune alla Procura della
Repubblica in data 25.10.2011) sarebbe soggetto a segreto
istruttorio in quanto oggetto di indagine penale, come
risultante dalla nota del Procuratore della Repubblica in
data 09.11.2012, in cui sono individuati i seguenti
procedimenti pendenti dinanzi alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Parma: 1) n. 5086/10 MOD. 21; n.
1185/12 MOD. 21; 3) n. 5803/12 MOD. 21;
- che, in data 20.12.2012, il Comune intimato ha prodotto la
nota del 14.12.2012 inviata alla Procura della Repubblica,
in calce alla quale il Procuratore dott. Gerardo Laguardia
ha denegato l’autorizzazione all’ostensione del documento
richiesto dal sig. Cesare Piazza, in quanto coperto da
segreto istruttorio;
- che, preso atto di tale provvedimento, il ricorrente, in
via principale ha insistito per l’accoglimento del ricorso
censurando la condotta del Comune che, pur in mancanza di un
atto di secretazione dell’Autorità giudiziaria penale, ha
denegato l’accesso sebbene ordinato con la sentenza di cui è
chiesta l’ottemperanza;
- che, in subordine, il ricorrente ha chiesto ordinarsi
all’amministrazione resistente l’emissione di un
provvedimento idoneo a consentirgli l’accesso all’atto
richiesto, differendone l’emissione alla chiusura delle
indagini preliminari e nominando, per il caso di
inadempimento protratto oltre detto termine, un commissario
ad acta che provveda in luogo del Comune;
- che il Comune si è opposto alla avversa richiesta
chiedendo la reiezione del ricorso;
- che alla camera di consiglio del 23.01.2013, sentiti i
difensori presenti, la causa è stata trattenuta in
decisione;
Considerato:
- che l’art. 116 c.p.p. stabilisce che "Durante il
procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia
interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie,
estratti o certificati di singoli atti", rimettendo
all'autorità giudiziaria penale il delicato compito di
valutare e bilanciare le contrapposte esigenze implicate in
tali vicende (art. 116, comma 2);
- che di fronte ad atti di polizia giudiziaria coperti, come
nel caso di specie, dal segreto istruttorio ex art. 329
c.p.p., vige il divieto di pubblicazione sancito dall'art.
114 c.p.p. (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.09.2012,
n. 2220);
- che, tuttavia, a tenore del comma 1 della citata norma il
suddetto divieto può protrarsi, salve le ipotesi di cui al
terzo comma, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari;
Ritenuto:
- che, per quanto precede, il ricorso può essere accolto
quanto alla subordinata domanda dovendosi ordinare, per
l’effetto, al Comune di Parma di provvedere, entro quindici
giorni dalla chiusura delle indagini preliminari relative ai
procedimenti penali indicati nella nota del Procuratore
della Repubblica in data 09.11.2012, all’ostensione del
documento richiesto dal ricorrente (nota inviata dal Comune
alla Procura della Repubblica in data 25.10.2011);
- che, per l’ipotesi di inerzia del Comune protratta oltre
il concesso termine, va, fin d’ora, nominato un Commissario
ad acta nella persona del Prefetto di Parma, o di un
suo delegato, che dovrà provvedere, in luogo del Comune
onerato, nel termine dei successivi quindici giorni ... (TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 24.01.2013 n. 24 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso al
nominativo di un esposto.
L’istante ha segnalato che il Comune ove risiede nega
sistematicamente l’accesso agli atti della Polizia
Municipale (verbali o accertamenti) relativi al procedimento
conseguente ai numerosi esposti presentati per molestie
provocate, ad esso istante e ai cittadini del comune, da
cani di grossa taglia lasciati incustoditi sulla pubblica
via.
In conformità all’orientamento espresso da questa
Commissione, nel caso in cui l’istante -come nella specie-
sia un cittadino residente nel comune, il diritto di accesso
è soggetto alla disciplina speciale di cui all’art. 10, co.
1, del d.lgs. n. 267/2000, che sancisce espressamente il
principio della pubblicità di tutti gli atti ed il diritto
dei cittadini di accedere alle informazioni in possesso
delle autonomie locali, senza fare menzione alcuna della
necessità di dichiarare la sussistenza di tale situazione al
fine di poter valutare la legittimazione all’accesso del
richiedente.
Pertanto, considerato che il diritto di
accesso ex art. 10 TUEL si configura alla stregua di
un’azione popolare, il cittadino residente può accedere agli
atti amministrativi dell'ente locale di appartenenza senza
alcun condizionamento e senza necessità della previa
indicazione delle ragioni della richiesta, dovendosi
cautelare la sola segretezza degli atti la cui esibizione è
vietata dalla legge o da esigenze di tutela della
riservatezza dei terzi (Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 23.10.2012 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
Richiesta di parere sul diritto di accesso al nominativo di
un esposto.
Il Comune istante ha chiesto di conoscere se due cittadini,
destinatari di una denuncia per presunti abusi edilizi e
maltrattamenti su animali d’affezione, possano accedere al
nominativo del denunciante e al contenuto dell’esposto, che
aveva innescato un procedimento istruttorio per la verifica
di quanto lamentato.
L’amministrazione ritiene di poter rilasciare copia dello
stesso esposto ma epurata dei nomi degli esponenti a tutela
della loro riservatezza, segnalando un contrasto nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di accesso ad
esposti di privati e domandando quale sia il comportamento
da tenere in simili occasioni per contemperare le esigenze
dell’accesso con quelle della riservatezza.
La Commissione ribadisce il proprio costante orientamento
(vedi pareri plenum 26.10.2010 e 14.12.2010) secondo cui la
riservatezza non può essere invocata quando venga richiesto
di conoscere il nominativo di coloro che hanno reso
segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell'ambito di
un procedimento ispettivo, foss’anche per coprire o
difendere il denunciante da eventuali reazioni da parte del
denunciato, le quali, comunque, non sfuggirebbero al
controllo dell'autorità giudiziaria (Cons. Stato, decisione
n. 3601/2007; n. 3081/2009), poiché il nostro ordinamento
non tollera le denunce segrete (in questi termini, anche
Cons. Stato, sez. V, 22.06.1998, n. 923).
Tale impostazione non è smentita dalla decisione del
Consiglio di Stato (n. 895/2011) richiamata
dall’amministrazione, poiché il contrasto delineato dal
Comune è soltanto apparente. Infatti, nella fattispecie,
seppure i Giudici hanno ritenuto corretta la decisione
dell’amministrazione di criptare i nominativi dei soggetti
denuncianti per salvaguardarne la riservatezza e sottrarli
ad ipotetiche azioni ritorsive, tuttavia hanno anche
affermato che tali esigenze possono divenire recessive se
sussista la necessità della difesa in giudizio del
richiedente l'accesso.
Si tenga anche conto peraltro, come emerge da una più
attenta lettura della sentenza, che nella specie le
generalità dei denuncianti erano comunque note al
richiedente l’accesso poiché evincibili dai documenti resi
ostensibili
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 23.10.2012 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il
soggetto che subisce un procedimento di controllo o
ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere
integralmente tutti i documenti utilizzati
dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza,
compresi gli esposti e le denunce che hanno determinato
l’attivazione di tale potere, non ostandovi neppure il
diritto alla riservatezza che non può essere invocato quando
la richiesta di accesso ha ad oggetto il nome di coloro che
hanno reso denunce o rapporti informativi nell’ambito di un
procedimento ispettivo, giacché al predetto diritto alla
riservatezza non può riconoscersi un’estensione tale da
includere il diritto all’anonimato di colui che rende una
dichiarazione a carico di terzi, tanto più che l’ordinamento
non attribuisce valore giuridico positivo all’anonimato.
Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza
integrale dell’esposto rappresenti uno strumento
indispensabile per la tutela degli interessi giuridici
dell’appellato, essendo intuitivo che solo in questo modo
egli potrebbe proporre eventualmente denuncia per calunnia a
tutela della propria onorabilità: il che rende del tutto
prive di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso
asseritamente strumentale e ritorsivo della conoscenza
dell’esposto che ha dato luogo al procedimento disciplinare
in danno del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese
esigenze di riservatezza possano determinate un vulnus
intollerabile ad un diritto fondamentale della persona,
quale quello dell’onore.
Quanto al merito della questione la Sezione rileva che,
secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal
quale non vi è motivo per discostarsi, il soggetto che
subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un
interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i
documenti utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del
potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che
hanno determinato l’attivazione di tale potere (C.d.S., sez.
IV, 19.01.2012, n. 231; sez. V, 19.05.2009, n. 3081), non
ostandovi neppure il diritto alla riservatezza che non può
essere invocato quando la richiesta di accesso ha ad oggetto
il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti
informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo,
giacché al predetto diritto alla riservatezza non può
riconoscersi un’estensione tale da includere il diritto
all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico
di terzi, tanto più che l’ordinamento non attribuisce valore
giuridico positivo all’anonimato (C.d.S., sez. VI,
25.06.2007, n. 3601).
Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza
integrale dell’esposto rappresenti uno strumento
indispensabile per la tutela degli interessi giuridici
dell’appellato, essendo intuitivo che solo in questo modo
egli potrebbe proporre eventualmente denuncia per calunnia a
tutela della propria onorabilità: il che rende del tutto
prive di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso
asseritamente strumentale e ritorsivo della conoscenza
dell’esposto che ha dato luogo al procedimento disciplinare
in danno del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese
esigenze di riservatezza possano determinate un vulnus
intollerabile ad un diritto fondamentale della persona,
quale quello dell’onore (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.09.2012 n. 5132 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Abusi edilizi senza accesso agli atti.
E' esclusa la possibilità di accedere agli atti
amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 e s.m.i. in
riferimento alla richiesta di acquisizione di copia degli
atti riguardanti l'attività svolta dalla Polizia Municipale
riguardanti l'accertamento di abuso edilizio.
Il TAR Sicilia
ha negato l'accesso agli atti ad un contribuente che voleva
verificare le modalità con cui erano state svolte le
pratiche amministrativa per dichiarare l'abuso edilizio di
un immobile di sua proprietà.
La vicenda nasce quando il Comune aveva negato ad un
contribuente l’accesso agli atti amministrativi ex L.
241/1990.
Il contribuente aveva richiesto all’amministrazione comunale
di acquisire copia degli atti concernenti l’attività di
accesso e sopralluogo espletata dalla Polizia Municipale nel
suo immobile a seguito di segnalazione di abuso edilizio
fatta da terzi.
Il Comando dei vigili urbani aveva respinto l’istanza,
affermando che gli accertamenti svolti riguardano l’attività
di polizia giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi con
comunicazione di notizia di reato del 25 novembre 2012 alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale , precisando
che “la richiesta di accesso debba essere inoltrata
direttamente all’Autorità Giudiziaria competente”.
Avverso tale atto il ricorrente è ricorso al Tribunale
amministrativo regionale. In linea generale il testo della
legge n. 241/1990, nel contemplare l’estensione e la
legittimazione all’esercizio del diritto di accesso, sia
pure con diverse sfumature, opera una limitazione di tale
situazione giuridica richiedendo un interesse qualificato
all’ostensione del documento e, di conseguenza, che le
istanze siano motivate.
In altri termini, non è sufficiente un mero interesse di
fatto teso semplicemente a controllare l’operato dell’azione
amministrativa, ma si richiede che tale interesse sia
corrispondente ad una situazione giuridica soggettiva
riconosciuta e protetta dall’ordinamento generale.
Qualora tale collegamento non sia ritenuto sussistente
dall’amministrazione destinataria della richiesta di
accesso, quest’ultima potrà legittimamente negare la
richiesta di accesso, atteso che la giurisprudenza
amministrativa ha in più di un’occasione affermato il
principio, secondo il quale le istanze di accesso, non
possono essere volte ad effettuare un controllo
generalizzato sull’attività amministrativa.
Tale principio, inoltre, ha trovato una sua positivizzazione
nella legge n. 15/2005 di modifica della legge n. 241/1990,
il cui articolo 16, comma 3, che ha sostituito l’art. 24
della legge del 1990, prevede testualmente: “Non sono
ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo
generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.
La ratio di tale ultima disposizione è evidentemente
quella di adattare l’esercizio del diritto di accesso con un
altro bene-interesse, che altrimenti sarebbe oltremodo
sacrificato, avente dignità costituzionale (art. 97) e
meritevole di tutela: il buon andamento della pubblica
amministrazione.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento
per i giudici amministrativi regionali il ricorso è, in
parte, infondato ed, in parte, inammissibile, e va pertanto
respinto.
Per i giudici amministrativi non corrisponde al vero quanto
asserito dal contribuente ricorrente in merito al fatto che
vi sia stata violazione e falsa applicazione degli articoli
24 e 25 della legge 241/1990 in quanto il diritto di accesso
agli atti amministrativi costituirebbe principio generale
dell’attività amministrativa non comprimibile nemmeno a
causa del segreto istruttorio, quando il richiedente vuole
conoscere i documenti al fine di tutelare la propria sfera
soggettiva; l’art. 24 della legge 241/1990, riferita
all’esclusione dal diritto di accesso agli atti, riguarda il
diritto di accesso ai documenti amministrativi e non risulta
riferibile agli atti di polizia giudiziaria, ossia a quella
attività che, a norma dell’art. 55 c.p.p., si sostanzia nel
“prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati
a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli
atti necessari per assicurare le fonti di prova e
raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione
della legge penale”.
Per il TAR se è vero che non ogni denuncia di reato
presentata dalla pubblica amministrazione all’autorità
giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio
penale, potendosi registrare casi in cui la denuncia è
presentata dall’amministrazione nell’esercizio delle proprie
istituzionali funzioni amministrative, è vero il contrario
nei casi in cui la P.A. agisca nell'esercizio di funzioni di
polizia giudiziaria specificamente attribuitele
dall’ordinamento. In tali ultimi casi, gli atti redatti sono
soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p.
e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art.
24, Legge n. 241/1990.
Di fronte ad atti di polizia giudiziaria, coperti dal
segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p., vige il divieto di
pubblicazione sancito dall’art. 114 c.p.p.
In sostanza per i giudici amministrativi vi è una netta
differenza tra atti amministrativi, sui quali è ritenuta
legittima la richiesta di accesso ex art. 241/1990, da
quelli di polizia giudiziaria i quali , proprio per la loro
natura e finalità, sano sottratti al diritto di accesso
(commento tratto da www.ispoa.it - TAR Sicilia-Catania, Sez.
I,
sentenza 20.09.2012 n. 2220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Una “notizia di danno” è valida ai fini
dell’avvio delle indagini anche se da essa non emergono con
certezza i requisiti dell’attualità e concretezza del danno.
Invero gli elementi dell'attualità e concretezza del danno
si configurano come presupposti oggettivi necessari ai fini
dell'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativa
dovendo sussistere al momento dell'emissione dell'invito a
dedurre, ma non anche al momento dell'avvio delle indagini
da parte dell'inquirente.
In tale fase, secondo l’art. 17, comma 30, del decreto legge
n. 78 del 2009 s.m.i., è sufficiente che sussista
l'indicazione attendibile di una condotta la quale, nella
sua specifica fattualità, sia idonea a determinare un
immediato effetto dannoso il cui concreto prodursi formerà,
anch’esso, oggetto di indagine da parte dell'inquirente e
degli organi di polizia giudiziaria [fattispecie in materia
di inquadramenti e assunzioni in mancanza di requisiti
previsti dalla legge] (massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. III giur. centrale d'appello,
sentenza 03.09.2012 n. 567 - link a
www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso ad esposti e denunce.
La questione investe il problema del
bilanciamento e del contemperamento tra il diritto di
accesso ai documenti amministrativi, da un lato, e la tutela
dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella
documentazione richiesta, dall’altro lato, con particolare
riferimento all'esigenza di tutela della riservatezza dei
firmatari di un esposto.
La preordinazione dell'istituto dell’accesso alla
cura ed alla difesa di interessi giuridici (di cui all’art.
24, comma 7, della legge n. 241 del 1990), dalla quale
soltanto dipende la prevalenza del diritto di accesso sul
diritto alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in
una clausola di stile, ma deve essere effettiva, in
relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale
la domanda di accesso si inserisce e che tale effettività
deve essere controllabile dal giudice dell'accesso.
Allorquando l’accertamento di un illecito
amministrativo sia fondato su autonomi atti di ispezione
dell'autorità amministrativa, l'esposto del privato ha il
solo effetto di sollecitare il promovimento d'ufficio del
procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la
conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il
destinatario del provvedimento finale non sussiste la
necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i
propri interessi giuridici, a meno che non siano
rappresentate particolari esigenze: ciò, del resto,
corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla
riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza
dell'esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla
preordinazione all'esercizio del diritto di difesa, acquista
un obiettivo connotato ritorsivo che l'ordinamento non può
tutelare.
Di conseguenza, non avendo il ricorrente evidenziato
alcun interesse proprio, giuridicamente rilevante, tale da
consentire il corrispondente sacrificio del diritto alla
riservatezza dei terzi potenzialmente interessati dalla sua
richiesta, la sua istanza di accesso non poteva e non può
trovare, in base alla legge, favorevole riscontro.
* * *
Ritenuto:
● che, a seguito di verbale di ispezione n. 286 del
06.07.2011 redatto, presso un cantiere edile, da funzionari
del Dipartimento di Prevenzione S.O.C. S.Pre.S.A.L.
(Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro),
l’ASL di Asti ha irrogato al sig. W.S., in qualità di
committente dei lavori, una sanzione amministrativa
pecuniaria di euro 1.200,00 a causa di rilevate irregolarità
contributive nei confronti dei lavoratori impiegati nel
cantiere, ai sensi dell’art. 90, comma 9, lett. a, del
d.lgs. n. 81 del 2008;
● che il sig. S., dopo aver provveduto al pagamento della
sanzione, ha presentato, in data 07.10.2011, istanza di
accesso agli atti, istanza che è stata riscontrata
negativamente dall’amministrazione con la seguente
motivazione: “l’oggetto della richiesta di accesso è
costituito da documenti sottratti all’accesso, ai sensi
dell’art. 24, comma 1, lettera a) della legge 241/1990, in
quanto si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla
Polizia Giudiziaria” (provvedimento dell’11.11.2011);
● che avverso tale diniego il sig. S. ha dapprima presentato
istanza di riesame al Difensore civico comunale il quale
l’ha accolta con provvedimento del 20.12.2011;
● che, successivamente, in data 27.01.2012, il sig. S. ha
presentato istanza alla ASL di Asti, ex art. 7 d.lgs. n. 196
del 2003, volta a conoscere e ad acquisire, in relazione al
predetto procedimento ispettivo, gli “atti di
pre-iniziativa (esposto/denuncia) ed autori”;
● che la relativa risposta dell’amministrazione, nuovamente
negativa, è giunta in data 03.02.2012;
● che il sig. S., con il ricorso in epigrafe, ha quindi
chiesto a questo TAR l’annullamento del provvedimento di
diniego di accesso agli atti amministrativi inerenti il
procedimento ispettivo de quo, contestualmente
insistendo perché venga ordinato all’amministrazione
l’esibizione di “tutti gli atti relativi al procedimento
amministrativo/ispettivo, comprensivo di fotografie dello
stato dei luoghi nonché [de]gli atti di preiniziativa
intendendo per tali esposti e/o denunce, loro contenuto ed
autori”;
● che, con atto depositato in giudizio il 16.04.2012, si è
costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di Asti,
in persona del Commissario pro tempore, preliminarmente
eccependo la carenza di interesse concreto ed attuale del
ricorrente;
● che alla camera di consiglio del 18.04.2012, dopo breve
discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione;
Considerato:
● che, con riferimento alla richiesta di accesso ai
documenti inerenti il procedimento ispettivo (e formati dopo
il suo inizio), deve essere dichiarata la cessazione della
materia del contendere, in quanto l’amministrazione ha
spontaneamente depositato in giudizio tutti i documenti
contenuti nel fascicolo del procedimento ispettivo;
● che, con riferimento all’ulteriore istanza di accesso agli
“atti di preiniziativa (esposto/denuncia) ed autori”,
il ricorso deve invece essere rigettato;
● che, al riguardo, la questione investe il problema del
bilanciamento e del contemperamento tra il diritto di
accesso ai documenti amministrativi, da un lato, e la tutela
dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella
documentazione richiesta, dall’altro lato, con particolare
riferimento all'esigenza di tutela della riservatezza dei
firmatari di un esposto (cfr., analogamente, TAR Sardegna,
sez. II, n. 2590 del 2010);
● che la preordinazione dell'istituto dell’accesso alla cura
ed alla difesa di interessi giuridici (di cui all’art. 24,
comma 7, della legge n. 241 del 1990), dalla quale soltanto
dipende la prevalenza del diritto di accesso sul diritto
alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in una
clausola di stile, ma deve essere effettiva, in relazione
alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda
di accesso si inserisce e che tale effettività deve essere
controllabile dal giudice dell'accesso (Cons. Stato, sez. V,
n. 1916 del 2000);
● che allorquando, come nella specie, l’accertamento di un
illecito amministrativo sia fondato su autonomi atti di
ispezione dell'autorità amministrativa, l'esposto del
privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento
d'ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia
probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di
regola, per il destinatario del provvedimento finale non
sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di
difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano
rappresentate particolari esigenze, il che qui non ricorre:
ciò, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al
diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di
conoscenza dell'esposto da parte del richiedente, se
svincolata dalla preordinazione all'esercizio del diritto di
difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che
l'ordinamento non può tutelare (così, ancora, Cons. Stato,
sez. V, n. 1916 del 2000);
● che, di conseguenza, non avendo il
ricorrente evidenziato alcun interesse proprio,
giuridicamente rilevante, tale da consentire il
corrispondente sacrificio del diritto alla riservatezza dei
terzi potenzialmente interessati dalla sua richiesta, la sua
istanza di accesso non poteva e non può trovare, in base
alla legge, favorevole riscontro (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 10.05.2012 n. 537 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: OGGETTO:
Richiesta parere in merito all’accesso a documentazione
amministrativa (pareri legali, esposti).
L’istante lamenta che il Comune di Savona avrebbe negato, in
varie forme, l’accesso ad alcuni documenti, in particolare:
a) oscurando i nominativi degli autori di esposti rivolti
dai vicini nei suoi confronti, quale proprietario di una
strada oggetto di lavori di scavo;
b) rifiutando l’accesso alle memorie difensive prodotte
dall’ente locale nell’ambito di un contenzioso in atto;
c) negando l’accesso ad una relazione redatta dalla Polizia
locale, atto poi rinvenuto presso altra amministrazione;
d) negando la visione preventiva di un fascicolo
procedimentale che lo riguardava;
e) omettendo la consegna di alcuni verbali nel corso di un
procedimento di esproprio sino a violare i termini di
conclusione del procedimento.
Tanto premesso, chiedeva a questa Commissione un parere
sulla legittimità delle determinazioni assunte dall’ente
locale.
Quanto al punto sub a), la commissione osserva che, secondo
il costante orientamento seguito, deve essere reso
accessibile il nome di coloro che hanno reso segnalazioni,
denunce o rapporti informativi nell'ambito di un
procedimento ispettivo, non potendo essere invocato in tali
casi il diritto alla riservatezza che recede quando venga in
rilievo l’accesso per le necessità di cura e difesa degli
interessi giuridici del richiedente ai sensi dell’art. 24,
co. 7, legge n. 241/1990, salvo i casi di dati sensibili o
supersensibili (arg. ex CdS Sez. V, 27.5.2008 n. 2511; vedi
anche TAR Lombardia-Brescia, Sez. I 29.10.2008 n. 1469).
Quanto al punto sub b), si segnala che nell'ambito dei
segreti sottratti all'accesso ai documenti rientrano gli
atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a
specifici rapporti di consulenza con l'Amministrazione,
trattandosi di un segreto che gode di una tutela
qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli
articoli 622 codice penale e 200 codice di procedura penale
(arg. ex CdS Sez. VI, 30.09.2010, n. 7237).
Quanto al punto sub c), è assorbente il rilievo che il
documento è stato rinvenuto e dunque l’interesse all’accesso
risulta soddisfatto.
Quanto al punto sub d), pur non parendo sussistere riscontri
certi del lamentato rifiuto dell’amministrazione di far
visionare il fascicolo, si ribadisce che il soggetto
partecipante al procedimento amministrativo -diversamente da
quello estraneo ad esso- null'altro deve dimostrare per
legittimare il diritto di visionare ed ottenere copia dei
documenti di interesse se non la veste di parte dello stesso
procedimento (cfr.: Consiglio di Stato, VI Sezione,
13.04.2006 n. 2068).
Infine, i punti sub e) e f) ineriscono a questioni del tutto
estranee alla materia dell’accesso e dunque questa
Commissione si ritiene incompetente a pronunciarsi su di
essi
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 17.04.2012 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Non sono segrete le denunce
dell’amministrazione nell'esercizio delle proprie funzioni
istituzionali.
L’ARDIS ha negato l’accesso agli atti richiesti dalla
Compagnia di Navigazione Ponte Sant’Angelo S.r.l. in quanto
il regolamento della Regione Lazio n. 1/2002, all’art. 445,
sottrarrebbe all’accesso le denunce, gli esposti, i verbali
di accertamento relativi a violazioni e infrazioni soggette
a comunicazioni di notizie di reato all’Autorità
Giudiziaria, se e in quanto coperti dalla segretezza delle
indagini.
In tal modo l’ARDIS, affermando che i verbali di
accertamento redatti dai propri funzionari in sede dei
sopralluoghi effettuati (nei quali sarebbero riportate e
descritte le difformità delle opere provvisorie realizzate
rispetto a quelle approvate) sono coperti da segreto
istruttorio ex art. 329 cpp (e, quindi, non conoscibili) ha
opposto un diniego generalizzato alla conoscenza degli atti
che interessano la ricorrente, senza fornire specifiche
indicazioni sul presupposto del diniego e cioè sul fatto
che, nella fattispecie, gli atti fossero concretamente
coperti dal segreto istruttorio, e senza distinguere tra
atti effettivamente coperti da segreto istruttorio e altri
documenti amministrativi.
Va osservato, sul punto, che non ogni denuncia di reato
presentata dalla p.a. all'autorità giudiziaria costituisce
atto coperto da segreto istruttorio penale (che, in quanto
tale, è sottratto all'accesso). Infatti, qualora la denuncia
sia stata presentata dall’Amministrazione nell'esercizio
delle proprie funzioni istituzionali, l'atto richiesto in
ostensione non ricade nell'ambito di applicazione dell'art.
329 c.p.p. (TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 18.02.2011,
n. 144) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 05.03.2012 n. 2181 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: La
denuncia o l’esposto non possono considerarsi un fatto
circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente
al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma
riguardano direttamente anche i soggetti denunciati, i quali
ne risultano comunque incisi.
Nell’ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato
ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter
conoscere con precisione i contenuti e gli autori di
segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno,
possano costituire le basi per l’avvio di un procedimento
ispettivo o sanzionatorio, non la P.A. precedente opporre
all’interessato esigenze di riservatezza.
... Il Collegio rileva in primis che la Commissione
per l’accesso ai documenti amministrativi ha già disposto "che
con riferimento alle relazioni si osserva che le medesime,
qualora si traducano in rapporti informativi, sono sottratte
all’accesso ai sensi della disposizione regolamentare
citata.
Per quanto concerne gli esposti e denunce questa Commissione
ribadisce l’adesione al prevalente orientamento della
giurisprudenza secondo il quale “La denuncia o l’esposto non
possono considerarsi un fatto circoscritto al solo autore,
all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura
dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente
anche i soggetti denunciati, i quali ne risultano comunque
incisi. Nell’ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990,
ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di
difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve,
pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli
autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente
o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non la P.A.
precedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza”
(Tar Lombardia, sent. 1469/2008). Si ritiene, pertanto, che
detti documenti siano ostensibili.
In ordine, infine, ai documenti oggetto di corrispondenza si
evidenzia che la loro accessibilità è connessa alla
riconducibilità di tali documenti alle categorie sottratte
all’accesso ai sensi dell’art. 24 della L. 241/1990 a
garanzia di superiori interessi; pertanto, spetta
all’Amministrazione tale verifica" (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 03.02.2012 n. 116 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Diritto di accesso ad esposto.
Un cittadino ha chiesto a questa Commissione un parere
sull’accessibilità di eventuali esposti presentati alle
forze dell’ordine nei suoi confronti da privati (ignoti o
vicini di casa) al fine di innescare controlli nella propria
abitazione o nella sua attività imprenditoriale.
La Commissione ribadisce il proprio costante orientamento
secondo cui -poiché nell'ambito dell'ordinamento giuridico
generale non è riconosciuto il diritto all'anonimato di
colui che rende una dichiarazione a carico di terzi- ogni
soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e
gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che,
fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio
di un procedimento ispettivo, di controllo o sanzionatorio
nei suoi confronti, non potendo in proposito la Pubblica
Amministrazione procedente opporre all’interessato esigenze
di riservatezza (così TAR Lombardia Brescia, sez. I,
29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., CdS, Sez. V
19.05.2009 n. 3081; Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI,
23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI,
12.04.2007, n. 1699)
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'01.02.2012 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Gdf
in trasparenza. Sì alla visione della denuncia. Consiglio di
stato dà ragione al contribuente sull'accesso.
Chi subisce un' ispezione tributaria ha
diritto a prendere visione e a estrarre copia della denuncia
dalla quale tale ispezione è scaturita. A maggior ragione se
dall'ispezione non sia venuta fuori alcuna irregolarità.
È questo il principio affermato dalla IV Sez. del Consiglio
di stato, con la
sentenza 19.01.2012 n. 231.
Il caso verteva su di un diniego opposto dalla Guardia di
finanza a una richiesta di accesso ai sensi dell' art. 22
della legge 241/1990, presentata da una società che era
stata fatta oggetto di un controllo tributario. La società
ricorrente aveva chiesto di accedere agli atti per difendere
i propri interessi lesi, per il danno di immagine subito
proprio per effetto del controllo dei finanzieri. Che
peraltro si era concluso con un nulla di fatto.
E non si trattava di una richiesta formulata in vista di una
ipotetica azione di risarcimento, ma di un'istanza diretta
ad acquisire documentazione da far valere nel corso di un
giudizio pendente davanti al Tribunale, proprio sugli stessi
fatti. Il giudizio in sede civile verteva, infatti, su di un
inadempimento contrattuale operato ai danni della società da
un'impresa pubblicitaria, che aveva impedito alla ricorrente
di avvalersi degli strumenti di propaganda pattuiti con la
medesima.
Di qui l'azione risarcitoria, che, peraltro, si concludeva
con la condanna dell'impresa al risarcimento in forma
specifica. E cioè con il reintegro della società ricorrente
nel diritto ad avvalersi dei mezzi pubblicitari oggetto del
contratto. Mezzi che consistevano nella facoltà di seguire
il Giro d'Italia con propri veicoli pubblicitari. Sennonché,
subito dopo il reintegro, la società ricorrente era stata
fatta oggetto di un'ispezione tributaria dalla quale non era
emerso nulla di irregolare. Di qui il danno di immagine alla
base della richiesta di accesso che, però, veniva rigettata
dalla Guardia di finanza. E dunque, il conseguente
esperimento dell'azione giudiziale davanti al Tar, che si
concludeva con la soccombenza e la relativa impugnazione
davanti al Consiglio di stato, che ha capovolto la decisione
del collegio di I grado.
I giudici di Palazzo Spada hanno motivato la decisione
facendo presente che le denunce e le comunicazioni non
rientrano tra i documenti di interesse pubblicistico coperti
dalla preclusione del diritto di accesso. Che si giustifica
solo in relazione all'esigenza di salvaguardare l'ordine e
la sicurezza pubblica, nonché la prevenzione e la
repressione della criminalità. E dunque, con particolare
riferimento ai documenti attinenti l'attività informativa
nei settori istituzionali e a quelli della Guardia di
finanza inerenti l'emanazione di ordini di servizio, nonché
l'esecuzione del servizio stesso.
E siccome le denunce e le comunicazioni non pregiudicano gli
interessi sottesi alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla
prevenzione e repressione della criminalità, l'accesso
doveva essere consentito. Tanto più che i documenti chiesti
in visione non erano oggetto di un procedimento penale e
neppure costituivano atti di indagine (articolo
ItaliaOggi del 25.01.2012). |
anno 2011 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Richiesta di parere in ordine all’acquisizione
di documenti ed informazioni nel corso di indagini di
polizia giudiziaria.
Il Segretario comunale del Comune di Cernusco Lombardone
(LC) fa presente che tra il Responsabile del servizio di
polizia locale ed il Commissario aggiunto suo collaboratore
esiste da tempo uno stato di tensione sfociato in vari
procedimenti disciplinari, ed in numerose missive
indirizzate al Sindaco ed al Segretario comunale.
Da ultimo il Commissario aggiunto con nota indirizzata al
Sindaco e al Segretario, in qualità di ufficiale di Polizia
giudiziaria, chiede di conoscere se il Responsabile del
servizio di polizia locale sia stato preventivamente
autorizzato a frequentare un “Corso” e se lo abbia
concretamente frequentato nel 2005; se in alcuni giorni del
2005 abbia prestato servizio presso il Comune svolgendo
attività di controllo del territorio comunale con la
cosiddetta “pattuglia serale” e, in caso affermativo
se abbia percepito un compenso e in che forma.
A tal fine il Commissario aggiunto ha chiesto il rilascio di
copia autentica della preventiva autorizzazione rilasciata
al Responsabile del Servizio di polizia locale per la
frequenza del “Corso”; copia autentica dell’ordine di
servizio adottato dal Responsabile del Servizio, riguardante
i turni e gli orari di servizio degli operatori della
polizia locale relativi ad alcuni mesi del 2005; copia
autentica dei cartellini segnatempo/presenza in servizio del
responsabile riguardanti il suddetto periodo, anche nella
versione appositamente predisposta per evidenziare
all’Ufficio ragioneria i servizi rientranti nel c.d. “Progetto
finalizzato” retribuito in modo del tutto particolare;
copia autentica di ulteriori documenti quali l’eventuale
lettera di iscrizione al corso di cui trattasi e l’eventuale
diploma all’uopo rilasciato.
Tutto ciò premesso, il Segretario del Comune di Cernusco
Lombardone chiede di conoscere se sia possibile,
obbligatorio o vietato evadere la richiesta di documenti
avanzata dal Commissario aggiunto.
Ad avviso della Commissione l’istanza di accesso presentata
dal Commissario aggiunto, per come è stata formulata e per
le ragioni che espressamente la sostengono non può trovare
accoglimento.
L’interessato, invero, non intende esercitare il diritto di
accesso alla documentazione amministrativa, detenuta dal
proprio Comune per tutelare interessi propri, ma, al
contrario, quale ufficiale di polizia giudiziaria, chiede
documenti ed informazioni al dichiarato fine “di eseguire
una indagine conoscitiva volta a poter escludere oppure
documentare la possibilità che sussistano o meno violazioni
di legge”.
All’evidenza una tale ipotesi è fuori dall’ambito di
applicazione delle norme sul diritto di accesso, per la
decisiva ragione che le modalità di acquisizione di
documenti ed informazioni nel corso di indagini di polizia
giudiziaria sono disciplinate da norme tutt’affatto diverse
(Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 20.12.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso agli
esposti ex art. 1 TULPS.
Un commissariato di P.S. ha chiesto a questa Commissione un
parere sull’accessibilità di un esposto di un privato che
aveva innescato un procedimento per la bonaria composizione
dei dissidi privati ex art. 1 TULPS.
La Commissione ribadisce il costante orientamento secondo
cui nel sistema delineato dalla legge 07.08.1990, n. 241 e
ss. mm., ispirato ai principi della trasparenza, del diritto
di difesa e della dialettica democratica -nell'ambito
dell'ordinamento giuridico generale che non riconosce il
diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione a
carico di terzi- ogni soggetto deve poter conoscere con
precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti
o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le
basi per l'avvio di un procedimento ispettivo, di controllo
o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo in proposito
la Pubblica Amministrazione procedente opporre
all’interessato esigenze di riservatezza (così TAR Lombardia
Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso
cfr., Cons. Stato, Sez. V 19.05.2009 n 3081; Sez. V,
27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI,
25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699).
Alla luce di tale orientamento, non pare che possa essere
esclusa l'ostensione dell’esposto (di cui peraltro risulta
già data lettura alla controparte), non potendo essere
considerato un fatto circoscritto al solo autore o al
Commissariato di PS competente al suo esame ai fini
dell'apertura del procedimento di composizione bonaria,
riguardando direttamente anche i soggetti "denunciati",
fatti comunque salvi i limiti previsti all’accesso per casi
di dati sensibili o supersensibili ex art. 24, comma 7,
legge n. 241/1990 (Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Accesso di cittadino residente a documenti in
materia edilizia.
L’Avv. ... lamenta che il Comune di Sannicandro Garganico,
in contrasto con le disposizioni contenute nell’art. 10,
TUEL, gli abbia negato l’accesso ad atti che riguardano la
materia edilizia in generale (progettazioni, autorizzazioni
a costruire e simili).
Il diniego dell’amministrazione comunale, ai sensi del
richiamato art. 10 del TUEL è illegittimo.
Per quanto riguarda la legittimazione all’accesso agli atti
adottati da enti locali, la consolidata giurisprudenza di
questa Commissione distingue la diversa posizione dei
cittadini residenti e non. Per i primi, cittadini residenti
(siano essi persone fisiche, associazioni o persone
giuridiche), il principio fondamentale che informa
l’orientamento consolidato della Commissione
sull’applicazione dell’art. 10, TUEL è quello di “specialità”:
si ritiene cioè che il legislatore abbia adottato una
disciplina specifica per gli enti locali versata nel TUEL
approvato con il d.lgs. n. 267/2000.
Tale specialità comporta, in linea generale, che le norme
contenute nella l. n. 241/1990 si applicano al TUEL solo in
via suppletiva, ove necessario, e nei limiti in cui siano
con esso compatibili. E mentre, per l’accesso agli atti di
amministrazioni centrali dello Stato (e sue articolazioni
periferiche) l’art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990
prevede che la legittimazione all’accesso spetti soltanto ai
soggetti titolari di un “interesse diretto, concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”,
l’art. 10 del TUEL non stabilisce invece alcuna restrizione
e si limita a prevedere l’esistenza di un’area di atti (non
precisata) il cui accesso o è assolutamente precluso per
legge o è differibile (tale essendo l’effetto pratico della
necessaria dichiarazione del Sindaco) nei casi previsti da
un apposito regolamento, a tutela della riservatezza.
Secondo la Commissione i diversi contenuti delle due
disposizioni citate caratterizzano la specificità del
diritto di accesso dei cittadini comunali configurandolo
alla stregua di un’azione popolare che non deve essere
accompagnata né dalla titolarità di una situazione
giuridicamente rilevante né da un’adeguata motivazione.
Ovviamente, a tutela del buon andamento
dell’ordinaria attività amministrativa degli uffici
comunali, l’amministrazione ha la facoltà di stabilire tempi
e modalità di accesso alla documentazione richiesta
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 27.09.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Off
limits le note del vigile «poliziotto».
Gli atti posti in essere dalla polizia municipale in
funzione di polizia giudiziaria sono sottratti al diritto
d'accesso: così ha stabilito il TAR Sardegna, Sez. II, nella
sentenza 20.06.2011 n. 638.
Il Tribunale, d'altronde, ha applicato a questa vicenda i
principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in
materia, secondo cui non ogni denuncia di reato presentata
dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria
costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e
come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è
presentata dalla Pa nell'esercizio delle proprie
istituzionali funzioni amministrative, non si ricade
nell'ambito di applicazione dell'articolo 329 del Codice di
procedura penale; tuttavia se la Pa che trasmette
all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa
nell'esercizio della propria istituzionale attività
amministrativa, ma nel l'esercizio di funzioni di polizia
giudiziaria specificamente attribuite dal l'ordinamento, si
è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia
giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto
istruttorio ai sensi dell'articolo 329 del Codice di
procedura penale e conseguentemente sottratti all'accesso.
I giudici sardi hanno precisato che ai fini dell'esercizio
del l'accesso ai documenti amministrativi, la polizia
municipale esercita, rispetto alle opere edilizie abusive,
funzioni di polizia giudiziaria, con la conseguenza che gli
atti che quest'ultima compie e acquisisce nel l'esercizio di
tali funzioni sono assoggettati al regime stabilito dal
Codice di procedura penale e al segreto istruttorio di cui
all'articolo 329 (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.09.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI:
Accesso agli atti senza vedere firme. La sentenza del Tar
Sardegna.
L'interessato che richiede l'accesso a un esposto
che lo riguarda ha diritto ad ottenere perlomeno
l'ostensione del documento con l'occultamento dei nominativi
di tutti i firmatari.
Lo ha ribadito il TAR Sardegna, Sez. II, con la
sentenza 02.08.2011 n. 865.
È sempre molto sottile la linea di demarcazione tra la
tutela del diritto alla riservatezza e il diritto alla
trasparenza e all'accesso agli atti amministrativi. Spesso
infatti il destinatario di un esposto chiede all'autorità
destinataria delle doglianze copia dell'atto per configurare
eventuali contromisure non necessariamente convenzionali.
Anche per semplice e legittima curiosità. Questo determina
sovente un irrigidimento della pubblica amministrazione
destinataria della richiesta di accesso agli atti che per
evitare di gettare benzina sul fuoco nega totalmente
l'accesso all'esposto.
Questa pratica non è corretta secondo il Tar sardo. Nel caso
esaminato dal collegio il socio di una cooperativa posta in
liquidazione si è visto rigettare dall'Inps la richiesta di
accesso a un esposto presentato a suo danno da altri soci
lavoratori. Contro questa determinazione negativa
l'interessato ha avanzato con parziale successo ricorso al
tribunale amministrativo evidenziando l'importanza del
documento per la tutela dei suoi interessi.
Il collegio ha accolto, in parte, le
doglianze dell'interessato richiamando, tra l'altro, «il
precedente giurisprudenziale del Tar Lombardia Milano, sez.
IV, dell'08.11.2004, n. 5716, nel quale è stato affermato
che in tema di bilanciamento tra il diritto di accesso ai
documenti amministrativi e la tutela dei terzi i cui dati
personali siano contenuti nella documentazione richiesta,
deve ritenersi che le esigenze di tutela della riservatezza
dei firmatari di un esposto nei confronti di un
professionista, presentato al relativo ordine professionale,
e del quale il primo chieda l'ostensione, possano essere
garantite mediante la mascheratura dei nominativi» (articolo
ItaliaOggi del 24.08.2011). |
ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Necessità o meno di comunicare ai
controinteressati l’istanza di accesso presentata ai sensi
dell’art. 391-quater cod. proc. pen..
Il dirigente del Comune di Rieti in indirizzo chiede il
parere di questa Commissione in ordine alla necessità di
comunicare ai controinteressati (ex art. 3, d.p.r. n.
184/2006) la domanda di accesso formulata i sensi dell’art.
391-quater cod. proc. pen. da un avvocato per conto del suo
cliente ed avente ad oggetto il rilascio di copia della
documentazione relativa a pratiche edilizie appartenenti a
terzi e non riconducibili al procedimento penale in cui il
suo assistito è coinvolto.
A parere del dirigente comunale la comunicazione ai terzi
controinteressati non sarebbe necessaria in quanto la
suddetta documentazione è finalizzata esclusivamente alla
redazione di memorie da parte del legale.
Ritiene questa Commissione di poter condividere tale
assunto.
La notifica ai controinteressati ex art. 3, d.p.r. n.
184/2006 è un atto dovuto dall’amministrazione in ogni caso
in cui la richiesta di accesso coinvolga la tutela della
riservatezza del terzo, il quale ha il diritto di presentare
o meno una motivata opposizione all’accesso entro dieci
giorni dalla comunicazione. Questa procedura, la cui
osservanza non può dipendere dal giudizio sulla sua
fondatezza che la stessa amministrazione maturi anche in
virtù di consolidata giurisprudenza, può essere superata nei
casi in cui la legge stabilisca l’obbligo di ostensione del
documento richiesto o il consenso dell’autorità giudiziaria
e in quelli in cui il soggetto terzo, pur individuato nel
documento, rivesta la posizione di controinteressato solo in
senso formale (è l’ipotesi della richiesta di accesso di un
candidato di una procedura concorsuale ad accedere a verbali
o elaborati di altri candidati della stessa procedura).
Nel caso di specie, sembra ricorrere la prima
ipotesi considerato che l’art. 391-quater cod. proc. pen.
–secondo cui “Ai fini delle indagini difensive, il
difensore può chiedere i documenti in possesso della
pubblica amministrazione e di estrarne copia”- prevede,
al terzo comma, che in caso di rifiuto al rilascio da parte
della P.A. si applicano gli artt. 367 e 368 cod. proc. pen.,
che devolvono al P.M. (art. 367) e al GIP (art. 368) la
decisione su richieste istruttorie nel corso delle indagini
preliminari. Non è, dunque, il terzo controinteressato che
può opporsi alla domanda di accesso, ma solo l’autorità
giudiziaria può valutarne l’ammissibilità (Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 20.07.2011 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Una
parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di
un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare
l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri
della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente
esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato,
l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce,
ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell'ordinamento
delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi
della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica
democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con
precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti
o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le
basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o
sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza”) facciano
propendere per la soluzione opposta, cioè per
l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale
documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono
essere considerati un fatto circoscritto al solo autore,
all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura
dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente
anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque
incisi”.
Per quanto concerne l’esposto dl vicino di casa, il Collegio
ritiene che la domanda sia fondata e che il Comune debba
consentirne l’accesso.
Non ignora il Tribunale che una parte della giurisprudenza
ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica
funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o
repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito
normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto
sanzionato, l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce
(cfr., ad esempio: TAR Campania-Napoli n. 14859/2010 e
Lombardia-Brescia n. 1469/2008; nonché C.S. n. 2511/2008; n.
5569/2007; e n. 3601/2007), ritiene che ragioni di
trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato dalla legge
n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del
diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni
soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e
gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che,
fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio
di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la
P.A. procedente opporre all'interessato esigenze di
riservatezza”) facciano propendere per la soluzione
opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato
anche a tale documento, in quanto “la denuncia e
l’esposto… non possono essere considerati un fatto
circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente
al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma
riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i
quali ne risultano comunque incisi”.
Né vale a legittimare il diniego di accesso all’esposto
presentato dal vicino, l’eventuale sussistenza di indagini
penali in relazione a fatti oggetto anche di indagine
amministrativa, sia perché (come appurato in Camera di
Consiglio) il Comune detiene comunque copia della
documentazione di cui trattasi (che non è stata oggetto di
sequestro); sia perché (come stabilito da TAR Puglia-Bari n.
2565/2008) la richiesta di accesso anche ad atti oggetto di
indagine penale (dei quali peraltro il Collegio non ritiene
possa far parte l’esposto del privato, proprio perché ha
solo dato impulso ad indagini autonomamente effettuate dalla
P.A., unicamente all’esito delle quali si è ritenuta la
possibile sussistenza di un illecito penalmente rilevante)
può in ogni caso essere assentita, eventualmente, e ove di
ragione, previa autorizzazione della competente Procura
della Repubblica che deve esserne richiesta, senza indugio,
dall’Amministrazione stessa.
Questa parte della domanda va quindi accolta con conseguente
dichiarazione dell’obbligo del Comune di consentire
l’accesso all’esposto presentato dal vicino (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 14.07.2011 n. 349 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: Gli
atti posti in essere dalla polizia municipale in funzione di
polizia giudiziaria sono sottratti al diritto d’accesso.
Col ricorso in rassegna il ricorrente chiedeva
l’annullamento di un provvedimento con il quale il Comune in
causa aveva respinto l'istanza di accesso al verbale dei
VV.UU. relativo all'accertamento eseguito nell'abitazione
del ricorrente in quanto coperto da segreto istruttorio.
Il Tribunale amministrativo di Cagliari ha considerato tale
istanza infondata sul presupposto che debbano trovare
applicazione anche nel caso di specie i principi affermati
dalla giurisprudenza amministrativa in materia, secondo cui
“non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica
amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto
coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta
all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla
pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie
istituzionali funzioni amministrative, non si ricade
nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.; tuttavia
se la pubblica amministrazione che trasmette all'autorità
giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio
della propria istituzionale attività amministrativa, ma
nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria
specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza
di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che,
come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi
dell'art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti
all'accesso ai sensi dell'art. 24, l. n. 241 del 1990.”
(cfr. Consiglio di Stato , sez. VI, 09.12.2008 , n. 6117).
È stato altresì precisato, continuano i giudici sardi, che “ai
fini dell'esercizio dell'accesso ai documenti
amministrativi, la polizia municipale esercita, rispetto
alle opere edilizie abusive, funzioni di polizia
giudiziaria, con la conseguenza che gli atti che
quest'ultima compie e acquisisce nell'esercizio di tali
funzioni sono assoggettati al regime stabilito dal codice di
procedura penale e al segreto istruttorio di cui all'art.
329, c.p.p.” (cfr. TAR Sicilia Palermo, sez. II,
06.06.2008 , n. 757; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II,
05.12.2005, n. 1676).
Poiché nella situazione in commento il verbale di
accertamento in questione è stato redatto ai sensi
dell’articolo 354 c.p.p., trattandosi pertanto di atto posto
in essere nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria,
lo stesso risulta assoggettato al segreto istruttorio di cui
all’articolo 329 c.p.p. e, come tale, sottratto all’accesso
in via amministrativa, dovendosi in tal caso esercitare
l’accesso esclusivamente nelle forme consentite dalla
partecipazione al procedimento penale cui l’atto medesimo
inerisce e cioè previo nulla osta dell’autorità giudiziaria
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 20.06.2011 n. 638 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Accesso ai documenti amministrativi -
Documenti relativi a procedimenti di controllo o ispettivi -
Diritto di accesso - Sussiste - Anche rispetto ad esposti e
denunce che abbiano determinato l'attivazione del
procedimento.
In presenza di un interesse qualificato da parte di un
soggetto, che subisce un procedimento di controllo o
ispettivo, deve essere riconosciuto il diritto dello stesso
a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati
dall'Amministrazione nell'esercizio del potere di vigilanza,
compresi gli esposti e le denunce che abbiano determinato
l'attivazione del procedimento medesimo (Fattispecie
relativa ad una domanda di accesso agli atti di un
procedimento ispettivo della Guardia di finanza, attivato
nei confronti dell'istante sulla base di esposti e
segnalazioni) (Cfr. Cons. Stato Sez. V, 19.05.2009, n. 3081)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 26.04.2011 n. 1051 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
1. Ricorso amministrativo -
Controinteressato - Caratteri ed Individuazione - Mera
partecipazione al procedimento o semplice presentazione di
esposti e denunce - Insufficienza.
2. Preavviso di rigetto ex art. 10-bis, L. 241/1990 -
Carattere interlocutorio - Mancanza di lesività attuale -
Impugnabilità - Non sussiste.
3. Ricorso amministrativo - Consulenza tecnica d'ufficio -
Istruttoria volta a colmare lacune procedimentali della P.A.
- Inammissibilità.
4. Atto amministrativo - Motivazione - Integrazione
successiva - In sede giurisdizionale - Motivazione contenuta
in atti difensivi - Inammissibilità.
1.
La mera partecipazione al procedimento o la semplice
presentazione di esposti e denunce all'autorità pubblica non
costituiscono condizioni sufficienti ad acquisire la qualità
di controinteressato nel giudizio amministrativo (cfr. TAR
Latina, sent. n. 293/2010; TAR Napoli, sent. n. 1918/2010;
Cons. di Stato, sent. n. 547/2006).
2.
Qualora in un provvedimento la P.A., da un lato, parli di "archiviazione"
della pratica, ma, dall'altro, richiami l'art. 10-bis della
Legge 241/1990 -come se l'atto non rappresentasse una
determinazione definitiva, ma soltanto un preavviso di
rigetto- il provvedimento risulta non impugnabile, non
apparendo chiara la sua effettiva portata lesiva (cfr. TAR
Milano, sent. n. 7192/2010).
3.
E' inammissibile la consulenza tecnica d'ufficio qualora si
configuri come attività istruttoria volta a colmare le
lacune procedimentali -consulenza tecnica c.d. esplorativa-
in cui sia incorsa la P.A. che non abbia adeguatamente
assolto l'onere della prova della propria pretesa di inibire
l'attività edificatoria dell'esponente (cfr. TAR Catania,
sent. n. 2930/2010).
4.
Pur dopo le modifiche alla Legge 241/1990 introdotte con la
Legge 15/2005, permane nel processo amministrativo il
divieto di integrare la motivazione con gli atti difensivi
(cfr. TAR Piemonte, sent. n. 4550/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.02.2011 n. 382 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: OGGETTO:
Diritto di accesso di un condomino al contenuto di una
segnalazione inviata dall’amministratore all’ASL.
Un condomino, abitante in un palazzo ove l’amministratore
pro tempore aveva segnalato alla ASL gravi anomalie nel
sistema di evacuazione dei fumi provenienti dalle canne
fumarie collettive, riferiva di avere inoltrato alla stessa
ASL istanza di accesso per acquisire copia della
segnalazione in quanto l’amministratore condominiale ne
aveva negato più volte il rilascio. Sennonché, la competente
ASL, pur rilasciando copia dell’esposto, aveva oscurato
l’intestazione, la firma ed altri particolari contenuti
nella segnalazione.
Tanto premesso, l’istante chiedeva a questa Commissione un
parere per ottenere dalla ASL la copia integrale della
segnalazione fatta dal condominio, senza le cancellature
apposte al documento.
E’ senza alcun dubbio sussistente un interesse diretto,
concreto, attuale dell’istante ad avere copia della
segnalazione sia quale condomino, titolare del potere di
controllo sulla gestione delle cose comuni (tra cui anche le
canne fumarie collettive di aspirazione dei fumi), sia quale
eventuale soggetto destinatario dell’esposto in previsione
di eventuali procedimenti sanzionatori o ispettivi, tanto
che l’amministrazione ha rilasciato copia della segnalazione
al condomino istante.
In tale duplice ottica, non appaiono poi sussistere ragioni
giustificative dell’oscuramento di alcune parti della
segnalazione (verosimilmente inerenti alle generalità dei
soggetti coinvolti), prevalendo comunque il diritto di
accesso rispetto alla riservatezza.
Ed infatti, l’interesse alla riservatezza, da un lato, non
può essere invocato sul contenuto e sugli autori di esposti,
segnalazioni o denunce, non costituendo fatti circoscritti
al solo autore e all’Amministrazione competente al suo
esame, ma riguardando direttamente anche i soggetti “denunciati”,
i quali ne risultano comunque incisi; dall’altro, essa
recede quando venga in rilievo l’accesso per le necessità di
cura e difesa degli interessi giuridici del richiedente ai
sensi dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990, salvo i casi
di dati sensibili o supersensibili.
Alla luce di quanto esposto, non pare che la p.a. possa
opporre all’interessato esigenze di riservatezza, oscurando
dati inerenti il contenuto o le generalità indicate
nell’esposto, non venendo peraltro in apparente
considerazione dati sensibili o supersensibili (Presidenza
del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai
documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 14.12.2010 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: OGGETTO:
Comunicazione del nominativo di autore di un esposto.
A fronte di un’istanza di accesso presentata al Comune di
Trecate da parte del proprietario di alcuni cani per
conoscere le generalità di chi aveva inoltrato una
segnalazione, da cui era stata avviata una successiva
verifica circa il preteso disturbo della quiete pubblica e
del riposo derivante dal continuo abbaiare dei cani, il
Comando Polizia Municipale ha chiesto a questa Commissione
di sapere se possa dare riscontro negativo a detta
richiesta, evitando di comunicare il nominativo dell’autore
dell’esposto.
L’ente istante ha precisato, altresì, che l’accedente
intende tutelare la propria reputazione asseritamente lesa
dalla segnalazione, mentre il denunciante si è opposto
all’accesso, asserendo di temere eventuali ritorsioni a
danno della propria incolumità.
La Commissione ribadisce il costante orientamento
giurisprudenziale secondo cui il diritto alla riservatezza
non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha
per oggetto, come nella presente fattispecie, il nome di
coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti
informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo (cfr.,
C.d.S. Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n.
5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n.
1699; Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n. 5;
cfr anche TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 29.10.2008 n.
1469).
Ed infatti, ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del
1990, nel testo novellato, al comma 7, "deve comunque
essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o
per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso
è consentito nei limiti in sia strettamente indispensabile e
nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo
30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo
stato di salute e la vita sessuale".
Nel caso in esame, l’istanza di accesso è diretta a
conoscere le generalità di chi ha effettuato la segnalazione
al Comune, segnalazione da cui è scaturita la successiva
verifica da parte degli uffici comunali delle lamentele
circa il disturbo della quiete pubblica derivanti dai
latrati dei cani.
Non venendo quindi in rilievo i dati sensibili o
supersensibili di cui al menzionato art. 60, sono
irrilevanti i timori manifestati dall’opponente di esporsi
ad eventuali azioni ritorsive, con la conseguenza che deve
essere riconosciuto l’accesso al nominativo del denunciante
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per
l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 26.10.2010 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Procedimento amministrativo - Accesso -
Provvedimenti incidenti sulle libertà individuali -
Limitazioni all’accesso - Art. 3, lett. a), d.m. n. 415/1994
- Interpretazione.
L’art. 3, lett. a), d.m. 10.05.1994 n. 415 -secondo cui sono
sottratti ad accesso “relazioni di servizio ed altri atti
o documenti presupposti per l’adozione degli atti o
provvedimenti dell’autorità nazionale e delle altre autorità
di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di
pubblica sicurezza, ovvero inerenti all’attività di tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e
repressione della criminalità, salvo che si tratti di
documentazione che, per disposizione di legge o di
regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti
soggetti a pubblicità”- deve essere interpretata,
soprattutto allorché i documenti di cui è chiesto l’accesso
siano già stati utilizzati per l’adozione di provvedimenti
amministrativi incidenti sulle libertà individuali, nel
senso che la sottrazione all’accesso debba essere di volta
in volta giustificata in relazione a specifiche e concrete
esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di
repressione della criminalità e specificamente in relazione
alla tutela di “strutture, mezzi, dotazioni, personale e
azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine
pubblico, alla prevenzione e alla repressione della
criminalità con particolare riferimento alle tecniche
investigative, alla identità delle fonti di informazione e
alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte,
all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle
indagini”, come previsto dalla lett. c) dell’art. 24,
comma 6, l. 07.08.1990 n. 241; se infatti la disposizione
venisse interpretata in senso letterale potrebbe dubitarsi
della sua legittimità in quanto si determinerebbe una
sostanzialmente generalizzata sottrazione ad accesso di
quasi tutti i documenti formati dall’amministrazione
dell’interno con frustrazione delle finalità della l. n.
241/1990 (TAR Lazio Latina, 15.10.2009, n. 949) (TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 06.10.2010 n. 1653 - link a
www.ambientediritto.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
OGGETTO: Comunicazione del nominativo di autori di
denunce o esposti.
Con nota del 15.07.2010 n. 0022686 il Comando della Polizia
Municipale del Comune di Porto Sant’Elpidio ha chiesto di
conoscere se, a parere di questa Commissione, debba dare
corso alle richieste, avanzate da persone che in sede di
procedimenti ispettivi o sanzionatori (per lo più relativi a
rapporti di lavoro dipendente) siano state oggetto di
denunzie o di esposti, di conoscere il nominativo del
denunziante o dell’esponente.
Al riguardo la Commissione fa presente che secondo un
orientamento giurisprudenziale “le finalità che
sostengono le disposizioni che precludono ai datori di
lavoro l'accesso alla documentazione contenente le
dichiarazioni rese in sede ispettiva dai rispettivi
dipendenti -fondate su un particolare aspetto della
riservatezza, quello cioè attinente all'esigenza di
preservare l'identità dei dipendenti autori delle
dichiarazioni allo scopo di sottrarli a potenziali azioni
discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte
del datore di lavoro-, prevalgono a fronte dell'esigenza
contrapposta di tutela della difesa dei propri interessi
giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa
garantita “comunque” dall'art. 24, comma 7, della legge n.
241 del 1990” (Sez. V, 07.12.2009 n. 7678 e 29.07.2008,
n. 3798; Sez. VI, 10.04.2003, n. 1923; 03.05.2002, n. 2366,
26.01.1999, n. 59).
Secondo altro orientamento, invece, “nell'ordinamento
delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai principi della
trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica
democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere
con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano
costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo
o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza. La tolleranza
verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al
nostro ordinamento giuridico.
Emblematico, in tal senso, è l'art. 111 Cost. che, nel
sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il
diritto dell'accusato di interrogare o far interrogare le
persone che rendono dichiarazioni a suo carico,
inevitabilmente presuppone che l'accusato abbia anche il
diritto di conoscere il nome dell'autore di tali
dichiarazioni. Tale sfavore verso le denunce e le
dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice
di procedura penale: si pensi, ad esempio, all'art. 240
C.p.p. in forza del quale i documenti che contengono
dichiarazioni anonime non possono essere acquisti né in
alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano il corpo del
reato o provengano comunque dall'imputato; all'art. 195,
comma 7, C.p.p. che sancisce l'inutilizzabilità della
testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare
la persona o la fonte da cui appreso la notizia dei fatti
oggetto dell'esame; all'art. 203 C.p.p. che pure prevede
l'inutilizzabilità delle informazioni rese dagli informatori
alla polizia giudiziaria quando il nome di tali informatori
non venga svelato” (così TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.10.2008 n. 1469, sulla base dei precedenti di
cui C.d.S. Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007
n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007,
n. 1699; Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n.
5).
Entrambi gli orientamenti danno luogo a perplessità. Il
primo orientamento perché in sostanza interpreta
restrittivamente il disposto dell’art. 24, comma 7, relativo
alla garanzia dell’accesso finalizzato alla “conoscenza
necessaria per curare o difendere i propri interessi
giuridici”, limitandolo alla cura e difesa in sede
giurisdizionale, trascurando che la legge assicura una prima
difesa in sede amministrativa dinanzi a questa Commissione;
e su questa base nega al datore di lavoro l’accesso in sede
amministrativa, per la considerazione che l’interessato
potrà comunque ottenerlo in sede giurisdizionale. Ma in tal
modo chi voglia ottenere l’accesso è costretto a seguire la
costosa e più lunga via giurisdizionale. Ma anche il secondo
orientamento dà luogo a dubbi: perché consentendo l’accesso
in sede amministrativa espone effettivamente il lavoratore
ad azioni ritorsive.
Ritiene pertanto la Commissione che una equa via di mezzo
possa essere quella di ammettere l’accesso al contenuto
degli esposti o delle denunzie solo qualora ricorrano le
seguenti condizioni:
1) che il provvedimento, ispettivo o sanzionatorio, sia
direttamente fondato sulle dichiarazioni acquisite da parte
del denunziante o dell’esponente e non sugli accertamenti
obiettivi che, sia pure a seguito delle denunce e delle
dichiarazioni ricevute, l’Amministrazione ha poi
autonomamente effettuato; e cioè soltanto nei casi in cui la
denuncia o la dichiarazione abbia costituito la diretta ed
essenziale causa giustificatrice del provvedimento lesivo e
non semplicemente l’occasione per attivare i poteri
d’ufficio dell’Amministrazione (cfr. C.d.S., Sez. VI, n.
5199/2009, in Commissione per l’accesso, Giurisprudenza
2009, pag. 270);
2) che il documento al quale è stato chiesto di accedere,
non consenta, con gli opportuni omissis, di desumerne
l’autore;
3) che, ove non sia possibile oscurare l’identità
dell’autore, l’accesso possa essere concesso soltanto nel
caso in cui l’interessato possa dare specifica prova, che la
mancata conoscenza del nominativo di detto autore gli
precluderebbe la cura o difesa dei suoi interessi giuridici
in giudizio (Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,
risposta del Plenum in seduta del 28.09.2010 -
link a www.commissioneaccesso.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI: Ogni
soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e
gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che,
fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio
di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la
p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di
riservatezza.
La tutela dell'accesso prevale sulla tutela della
riservatezza qualora il primo sia strumentale alla cura o
alla difesa dei propri interessi giuridici, salvo che
vengano in considerazione dati sensibili o sensibilissimi.
Il diritto alla riservatezza, pure
costituzionalmente rilevante, non può dunque essere
ricostruito in termini di "diritto all'anonimato"
dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un
procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella
sfera giuridica di altro soggetto.
Come più volte rilevato in giurisprudenza, “..
nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato
ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere
con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano
costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo
o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza” (così TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso
senso cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI,
23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI,
12.04.2007, n. 1699).
Deve essere, infatti, rilevato che l’art. 22 della legge
241/1990 disciplina l’accesso come principio generale
dell’attività amministrativa e che il successivo art. 24, al
comma 7, stabilisce che "deve comunque essere garantito
ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti
dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei
limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini
previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n.
196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e
la vita sessuale".
In sostanza nell’attuale sistema la tutela dell'accesso
prevale sulla tutela della riservatezza qualora il primo sia
strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi
giuridici, salvo che vengano in considerazione dati
sensibili o sensibilissimi (cfr. ex multis, Consiglio
Stato, sez. VI, 23.10.2007, n. 5569).
La denuncia e l'esposto, del resto, non possono essere
considerati un fatto circoscritto al solo autore,
all'Amministrazione competente al suo esame e all'apertura
dell'eventuale procedimento, ma riguardano direttamente
anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano
comunque incisi (così, TAR Lombardia, Brescia, 1469/2008,
cit.).
In conclusione il diritto alla riservatezza,
pure costituzionalmente rilevante, non può dunque essere
ricostruito in termini di "diritto all'anonimato"
dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un
procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella
sfera giuridica di altro soggetto (TAR Campania-Napoli, Sez.
VI,
sentenza 16.06.2010 n. 14859 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Esiste
il diritto di accesso per conoscere il nome dell'autore di
un esposto?
In giurisprudenza si rinvengono sentenze di orientamento
opposto sulla questione se l'interessato abbia il diritto di
accesso per conoscere il nome dell'autore di un esposto
inviato alla P.A.
In senso favorevole,
si segnalano TAR Lombardia - Brescia, sez. I, sentenza
29.10.2008, n. 1469; Consiglio di Stato, sez. V, 19.05.2009,
n. 3081; Consiglio di Stato, sez. V, 27.05.2008, n. 2511.
Queste sentenze affermano che il nome dell'autore di un
esposto non rientra tra i dati sensibili o supersensibili di
cui all'articolo 60 del Codice dati personali e dell'art. 24
della legge n. 241/1990. Inoltre, l'esposto non è un fatto
circoscritto al solo autore o alla P.A., ma incide anche sui
denunciati, in modo particolare quando dall'esposto è
scaturita l'emanazione di un provvedimento amministrativo.
L'accesso si ricollega ai principi della trasparenza, del
diritto di difesa e della dialettica democratica, che
ispirano la legge 241/1990. Inoltre la tolleranza verso
denunzie segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro
ordinamento giuridico, come si può evincere anche dall'art.
111 della Costituzione che considera un elemento essenziale
del giusto processo il diritto dell'accusato di interrogare
o di fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a
suo carico (il che presuppone il diritto di conoscere il
nome delle persone che emettono tali dichiarazioni).
In tema, si vedano anche gli artt. 240, 195, comma 7 e 203
del codice di procedura penale. Neanche nel caso in cui un
atto sia formato o detenuto da un soggetto tenuto al segreto
professionale è automaticamente escluso il diritto di
accesso.
In senso contrario,
invece si sono espressi il Consiglio di Stato, sez. V,
03.04.2000, n. 1916; TAR Sardegna Cagliari, sez. I,
10.04.2009, n. 517.
In queste sentenze si legge che, di regola, per il
destinatario di un provvedimento finale non sussiste la
necessità di conoscere l'autore di un esposto al fine di
difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano
esibite particolari esigenze, da verificare in concreto.
Infatti, di fronte al diritto della riservatezza del terzo,
la pretesa di conoscere l'autore dell'esposto da parte del
richiedente, "acquista un connotato ritorsivo che
l'ordinamento non può tutelare".
Pubblichiamo il testo delle sentenze citate nella nota (01.12.2009
- link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Chi riceve un esposto edilizio ha
diritto a sapere il mittente.
Chi subisce un procedimento ispettivo di
carattere urbanistico non può essere limitato nell'accesso
agli atti amministrativi. Per questo motivo il comune non
può negare all'interessato la piena conoscenza di un
eventuale esposto edilizio concluso con un nulla di fatto a
carico del soggetto sottoposto a controlli.
Lo ha stabilito il Consiglio di stato, Sez. V, con la
sentenza 19.05.2009 n. 3081.
Alcuni cittadini hanno richiesto una verifica comunale da
parte dei vigili urbani su un immobile di proprietà di un
avvocato. Nonostante l'esito negativo del controllo il
comune ha ritenuto di limitare l'accesso agli atti
consegnando al proprietario immobiliare richiedente una
copia dell'esposto epurata dei riferimenti completi del
mittente.
Contro questa determinazione l'avvocato, motivato a
conoscere gli autori della delazione anche per intraprendere
eventuali azioni di rivalsa, ha proposto inutilmente ricorso
al Tar ma il Consiglio di stato ha ribaltato l'esito della
vertenza. La richiesta di accesso completo agli atti
ispettivi ed in particolare alle generalità degli autori
della denuncia, specifica la sentenza, è pienamente
legittimata anche dall'esito del controllo edilizio che ha
evidenziato mere questioni di carattere civilistico tra le
parti.
La giurisprudenza più recente in materia, prosegue il
collegio, ha infatti osservato che «il nostro ordinamento
non tollera le denunce segrete e come colui il quale subisce
un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse
qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di
vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di
preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, per
concludere nel senso che non si può escludere che
l'immediata comunicazione del nominativo del denunciante
potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo
dell'istruttoria».
In buona sostanza, a parte eventuali limitazioni derivanti
da indagini tecniche complesse o penali il diniego delle
generalità dell'esponente non è ammesso (articolo ItaliaOggi
del 19.06.2009, pag. 13). |
anno 2008 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI: Sull'accesso
agli atti e sulla salvaguardia o meno del diritto alla
riservatezza.
Il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando
la richiesta di accesso ha per oggetto il nome di coloro che
hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi
nell’ambito di un procedimento ispettivo (cfr., Cons. Stato
Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569;
Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699;
Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n. 5).
In linea generale va premesso che il rapporto tra diritto di
accesso e diritto alla riservatezza è stato risolto
direttamente dal legislatore grazie al vasto intervento
riformatore operato dal Codice dei dati personali (D.Lgs. n.
196/2003), dalla Legge n. 15/2005 (recante la novella alla
Legge n. 241/1990) e dal D.P.R. n. 184/2006, che hanno,
nella sostanza ed in estrema sintesi, cristallizzato gli
approdi cui era giunta la giurisprudenza del Consiglio di
Stato (in particolare Ad. Plen. n. 5 del 1997), avanzando in
ogni caso la soglia di tutela dell'accesso.
In particolare l'art. 59, del Codice dati personali, fatta
salva l'applicazione della disciplina derogatoria sancita
dal successivo art. 60 per i dati idonei a rivelare lo stato
di salute e la vita sessuale, ha demandato interamente alla
Legge n. 241 del 1990 la regolamentazione del rapporto
accesso-privacy anche per ciò che concerne i dati sensibili
e giudiziari.
L'art. 24 della Legge n. 241 del 1990, nel testo novellato,
al comma 7 recita che “deve comunque essere garantito ai
richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i
propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti
dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei
limiti in sia strettamente indispensabile e nei termini
previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n.
196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e
la vita sessuale” (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 29.10.2008 n. 1469 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso: niente riservatezza
per gli autori di segnalazioni e denunce.
Nell'ordinamento delineato dalla l. 241/1990, ispirato ai
principi della trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere
con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni,
esposti o denunce che -fondatamente o meno- possano
costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo
o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo
l'Amministrazione procedente opporre all'interessato
esigenze di riservatezza (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 29.10.2008 n. 1469 -
link a
www.eius.it). |
anno 2007 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI:
Nessuna riservatezza per il nome dell’autore di un
esposto.
Ai sensi dell’art. 22
lett. c) legge n. 241/1990, in materia di accesso, per
“controinteressati” si intendono “tutti i soggetti,
individuati o facilmente individuabili in base alla natura
del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso
vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
In base alla definizione legislativa appena riportata,
quindi, sono controinteressati non tutti coloro che, a
qualsiasi titolo sono nominati o coinvolti nel documento
oggetto dall’istanza ostensiva, ma solo coloro che per
effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro
diritto alla riservatezza.
Ebbene, pur non potendosi sottovalutare l’ampliamento e la
progressiva importanza assunta dal diritto alla
riservatezza, il Collegio ritiene, tuttavia, che tale
situazione giuridica concerna solo quelle vicende collegate
in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto, e non
anche quelle destinate ad assumere una dimensione di
carattere pubblico.
Nell'ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai
principi della trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter
conoscere con precisione i contenuti e gli autori di esposti
o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le
basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o
sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre
all'interessato esigenze di riservatezza, foss’anche per
coprire o difendere il denunciante da eventuali reazioni da
parte del denunciato, le quali, comunque, non sfuggirebbero
al controllo dell'autorità giudiziaria.
La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore
estraneo al nostro ordinamento giuridico. Emblematico, in
tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come
elemento essenziale del giusto processo) il diritto
dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone
che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente
presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di
conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni.
Non può allora dubitarsi che colui il quale subisce un
procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse
qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti
amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di
vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di
preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti.
Certo, non si può escludere che l’immediata comunicazione
del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi
negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a
tutto concedere, giustificare un breve differimento del
diritto di accesso. Non consente, invece, il diniego del
diritto alla conoscenza degli atti quando ormai (come accade
nella fattispecie) il procedimento ispettivo-disciplinare si
è definitivamente concluso (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.06.2007 n. 3601
- link a www.altalex.com). |
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