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70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
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dossier ATTI AMMINISTRATIVI: ACCESSO ESPOSTO e/o PERMESSO DI COSTRUIRE e/o ATTI DI P.G. (Polizia Giudiziaria)

per approfondimenti vedi anche:
F.O.I.A. - Freedom Of Information Act (a cura del Dipartimento Funzione Pubblica)
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (presso la Presidenza Consiglio dei Ministri
)
* * *
Legge 07.08.1990 n. 241 <---> D.P.R. 12.04.2006 n. 184 <--->  D.Lgs. 14.03.2013 n. 33

anno 2022

ATTI AMMINISTRATIVIL'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L. 11.02.2005, n. 15, ha sancito, elevando a rango superiore un principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di polizia.
Orbene, essendo stata sancita con legge ordinaria la sottrazione di tali categorie di documenti alla conoscibilità degli stessi interessati, in tale prospettiva non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente.
La previsione in esame è infatti chiaramente finalizzata ad escludere la piena ostensibilità delle relazioni di servizio che non costituiscono atti presupposti volti all'adozione di un provvedimento amministrativo, ma piuttosto atti volti a sollecitare l'iniziativa penale da parte dell'autorità giudiziaria, e quindi atti inerenti non allo svolgimento dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità.
---------------
Gli atti per cui è causa, consistenti nei verbali e informative di controllo della Polizia, sono sottratti all'accesso proprio perché volti a tutelare quell'interesse pubblico senz'altro meritevole di "maggiore apprezzamento".
In particolare, le annotazioni ovvero le informative di polizia giudiziaria che consistono in accertamenti compiuti dalle forze dell'ordine in sede di controllo del territorio non possono essere resi accessibili anche in funzione di tutela dell'agente di polizia giudiziaria che li redige, delle strutture operanti e delle fonti informative.
Gli atti in questione richiesti dalla ricorrente rispondono esattamente a quelle esigenze di sicurezza e prevenzione della criminalità e dell'ordine pubblico che la normativa di settore si preoccupa di tutelare in primis et ante omnia.
Detti documenti sono esclusi dalla ostensibilità in quanto la loro conoscenza appare suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto agli interessi connessi alla sicurezza pubblica né a carico dell'amministrazione intimata appare ravvisabile un onere di motivazione sulla prevalenza dell'interesse pubblico, giacché la normativa di riferimento lo reputa presente in re ipsa nella natura dell'atto richiesto.
D’altronde, la giurisprudenza ha precisato che "l'accesso va effettivamente escluso per tutte le parti della documentazione in possesso dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio, in quanto afferenti a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza; ovvero, ancora, adducendo specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata".

---------------

1.- Con il ricorso all'esame, notificato il 2 agosto e depositato il successivo 03.08.2022, la ricorrente società ha esposto in fatto:
   - di essere stata destinataria, in data 04/07/2022, della notifica da parte dei carabinieri della Stazione di Sorrento, ai sensi e per gli effetti degli artt. 7, 8 e 10 l. n. 241/1990, della comunicazione di avvio di procedimento (protoc. n. 125 del 26/05/2022/OM) amministrativo, finalizzato all’applicazione nei suoi confronti del provvedimento ex art. 100 T.U.L.P.S.;
   - nel predetto avviso era precisato che l’avviato procedimento aveva trovato origine dalla proposta del 02/05/2022 prot. n. 15/2 formulata dalla medesima compagnia dei carabinieri nonché dalle successive note (6/5/2022 prot. n. 62/40– I/2022) inoltrate dalla Legione Carabinieri Campania–Stazione Pimonte e dalla relazione dell’08/05/2022 cat Q.2.2/2022 redatta dal Commissariato di P.S. di Sorrento, inviate alla Questura di Napoli onde conseguire l’applicazione, nei confronti della ricorrente, del provvedimento ex art. 100 T.U.L.P.S. in ragione del “grave episodio occorso nella notte del 1 maggio c.a., verso le ore 3,20, quando per futili motivi si consumava una violenta rissa tra avventori, alcuni di questi affetti anche da pregiudizi e/o precedenti di polizia”;
   - di aver quindi in data 05.07.2022 inoltrato al competente dirigente un’istanza di accesso con cui aveva domandato il rilascio di copia degli atti da cui traeva origine il procedimento de quo teso all’adozione del provvedimento ex art. 100 T.U.L.P.S.;
   - in particolare, come precisato con la successiva nota del 13/07/2022, la ricorrente, invocando la necessità di essere posta nelle condizioni di esercitare il suo diritto alla difesa, domandava di ricevere copia dei seguenti atti:
      a) proposta -prot. n. 15/2 del 02/05/2022- di provvedimento ex art. 100 TULPS Compagnia Carabinieri Sorrento;
      b) nota -protoc. 62/40-1/2022 del 06/05/2022- Legione Carabinieri Campania–Stazione di Pimonte;
      c) nota -08/05/2022, cat Q.2.2/2022- Commissariato di P.S. Sorrento per l’applicazione del provvedimento ex art. 100 TULPS;
      d) nota –04/05/2022 cat. Q.2.2- del Commissariato di Polizia di Sorrento;
      d) le relazioni o i rapporti predisposti dal personale dei Carabinieri della Compagnia di Sorrento conseguenti anche la lettura delle immagini della videosorveglianza del locale;
      e) verbale di arresto (per il reato di cui agli artt. 61 n. 1 e 588 c.p.) dei quattro correi;
      f) ordinanza del GIP di convalida dell’arresto.
   - con la nota oggetto della presente impugnazione -18-19/07/2022 sez. VI cat Q/2.2OM- il dirigente della Polizia di Stato aveva consentito l’accesso agli atti limitatamente alla proposta –prot. n. 15/2 del 02/05/2022- di adozione del provvedimento ex art. 100, redatta dalla Compagnia Carabinieri di Sorrento.
Da tanto è scaturita la proposizione dell’odierno ricorso con cui la ricorrente, ribadito di avere un interesse giuridicamente rilevante alla conoscenza dei documenti richiesti in quanto necessari a ricostruire gli accadimenti ed a verificare se sussistessero gli estremi per l’adozione nei suoi confronti del preannunciato provvedimento, ha domandato che il Tribunale, annullato il parziale diniego perché fondato su ragioni contrastanti con principi e regole posti dagli artt. 22 l. n. 241/1990 e ss.mm., D.M n. 415/1994, D.P.R. n. 352/1992 in relazione agli artt. 7, 10 e 24 l. n. 241/1990 e ss.mm.ii., ed acclarata l'illegittimità della nota impugnata, ordinasse all’ente intimato di esibire i documenti richiesti.
Il Ministero dell’Interno ha resistito al ricorso, sostenendo l’inaccoglibilità nei termini richiesti dell’istanza proposta, avendo quest’ultima ad oggetto atti sottratti all'accesso dagli articoli 3 e 4 del D.M. 10.05.1994, n. 415 ("Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi") e coperti da segreto investigativo essendo pendente un procedimento penale.
...
2.- Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
Ai sensi dell'art. 24, comma 6, lett. c), della legge 07.08.1990, n. 241 il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi "quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Il Ministero dell'interno, inoltre, con regolamento approvato con D.M. 10.05.1994, n. 415, all'art. 3, comma 1, elenca una serie di documenti inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero ai fini di prevenzione e repressione della criminalità, includendovi:
   a) le "relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposto per l'adozione degli atti o provvedimenti dell'autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all'attività di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizione di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità";
   b) "le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità".
Orbene, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L. 11.02.2005, n. 15, ha sancito, elevando a rango superiore un principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di polizia. Orbene, essendo stata sancita con legge ordinaria la sottrazione di tali categorie di documenti alla conoscibilità degli stessi interessati, in tale prospettiva non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente. La previsione in esame è infatti chiaramente finalizzata ad escludere la piena ostensibilità delle relazioni di servizio che non costituiscono atti presupposti volti all'adozione di un provvedimento amministrativo, ma piuttosto atti volti a sollecitare l'iniziativa penale da parte dell'autorità giudiziaria, e quindi atti inerenti non allo svolgimento dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità (in tal senso: TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater Sent., 14.05.2007, n. 4346).
In tale contesto normativo, il provvedimento impugnato non appare viziato per carenza di motivazione, in quanto si fonda su un conferente richiamo all'art. 3, comma 1, del D.M. n. 415/1994, atteso che la ricorrente, pur avendo avuto accesso alla proposta formulata in ordine all’adozione nei suoi confronti del provvedimento ex art. 100 TULPS, ha domandato l’accesso ad ulteriori atti chiaramente relativi alle indagini in corso nell’ambito del procedimento penale riguardanti la vicenda verificatasi in prossimità della sua sede aziendale (informative di polizia, relazioni probatorie in ordine all’immagini del sistema di videosorveglianza, verbale di arresto, ordinanza cautelare del GIP).
Le ragioni ostative all'accoglimento del chiesto accesso vanno, dunque, correlate ad una corretta interpretazione della normativa dettata in subiecta materia e, precisamente, delle disposizioni di cui all'art. 24 della legge n. 241/1990 sui documenti sottratti all'accesso e di quelle recate, in attuazione della suindicata norma dal Decreto Ministero Interno n. 415 del 1994 ( modificato con D.M. 17.11.1997 n. 508).
Invero, essendo la ratio sottesa alle predette disposizioni volta a realizzare il bilanciamento tra gli interessi privati nonché quelli sottesi alla sicurezza e alla conservazione dell'ordine pubblico con l’interesse alla riservatezza di soggetti terzi che potrebbero essere attinti dalle indagini penali, appare ragionevole ritenere che gli atti per cui è causa, consistenti nei verbali e informative di controllo della Polizia, sono sottratti all'accesso proprio perché volti a tutelare quell'interesse pubblico senz'altro meritevole di "maggiore apprezzamento".
In particolare, le annotazioni ovvero le informative di polizia giudiziaria che consistono in accertamenti compiuti dalle forze dell'ordine in sede di controllo del territorio non possono essere resi accessibili anche in funzione di tutela dell'agente di polizia giudiziaria che li redige, delle strutture operanti e delle fonti informative.
Gli atti in questione richiesti dalla ricorrente rispondono esattamente a quelle esigenze di sicurezza e prevenzione della criminalità e dell'ordine pubblico che la normativa di settore si preoccupa di tutelare in primis et ante omnia.
Detti documenti sono esclusi dalla ostensibilità in quanto la loro conoscenza appare suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto agli interessi connessi alla sicurezza pubblica (Cons. Stato, Sez. IV, 28/10/2016 n. 4537, idem, di recente 31/03/2021 n. 2677) né a carico dell'amministrazione intimata appare ravvisabile un onere di motivazione sulla prevalenza dell'interesse pubblico, giacché la normativa di riferimento lo reputa presente in re ipsa nella natura dell'atto richiesto.
D’altronde, la giurisprudenza ha precisato che "l'accesso va effettivamente escluso per tutte le parti della documentazione in possesso dell'Amministrazione coperte da segreto istruttorio, in quanto afferenti a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza; ovvero, ancora, adducendo specifici motivi ostativi riconducibili ad imprescindibili esigenze di tutela di accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata" (Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2016, n. 4537).
In forza delle suestese considerazioni il ricorso avverso il diniego di accesso si rivela infondato e va, perciò, respinto (TAR Camoania-Napoli, Sez. V, sentenza 05.12.2022 n. 7578 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio e diritto, o meno, del proprietario di accedere ai verbali di accertamento redatti da parte dei Carabinieri.
Il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere, inclusi, di regola, gli esposti, le diffide e le denunce che abbiano determinato l’attivazione di un potere di controllo, ispettivo o di vigilanza dell’autorità, salve ragioni di particolare riservatezza o di segreto istruttorio, nel caso di specie non comprovate dall’Amministrazione neppure in corso di causa.
In relazione a quanto controdedotto dal Ministero della difesa, va evidenziata infatti la evanescenza della ragione ostativa opposta, afferente alla mera pendenza di un, non meglio precisato, procedimento penale e mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di segretezza in relazione agli specifici documenti, o parti di documenti, richiesti dalla ricorrente.
Sul punto, costante giurisprudenza ha invero chiarito che l'esistenza di un’indagine penale “non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
Invero, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria.
La sussistenza in concreto delle stringenti condizioni in presenza delle quali è possibile negare o differire l’accesso c.d. “difensivo”, non sono state comprovate in giudizio dal Ministero della difesa; né il Comune, che non si è neppure costituito in giudizio, ha opposto alcuna esigenza, anche parziale, di segretezza e/o di riservatezza in riferimento alla documentazione richiesta.

---------------

... per l'annullamento
   - del silenzio–rigetto formatosi sull'istanza di accesso trasmessa dalla Sig.ra -OMISSIS- a mezzo pec in data 16.06.2022;
   - e per la declaratoria del diritto della ricorrente di esercitare il diritto di ostensione (visione ed estrazione copia) della documentazione richiesta.
...
La ricorrente espone che:
   - con istanza del 21.02.del 2022, in qualità di erede aveva chiesto e ottenuto la voltura del permesso di costruire n. -OMISSIS- del 29.08.2019 e del permesso a costruire in variante n. -OMISSIS-/2021 rilasciati al deceduto dott. -OMISSIS- per la realizzazione di un compendio rurale composto da due corpi di fabbrica con opere accessorie e sistemazione degli spazi esterni;
   - nel corso dell'esecuzione dei lavori, il cantiere veniva attinto da numerosi accertamenti/sopralluoghi effettuati dal Comune di Procida e dal Comando dei Carabinieri, da ultimo in data 24.05.2022;
   - in data 16.06.2022 formulava istanza di accesso, ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge 241/1990, evidenziando il suo interesse “difensivo” e chiedendo di “prendere visione ed estrarre copia: 1. di tutti i verbali, accertamenti, relazioni redatti a seguito dei sopralluoghi effettuati con riferimento all'esecuzione delle opere di cui al Permesso di Costruire n. -OMISSIS- del 29.08.2019 e del Permesso di Costruire in variante volturati alla scrivente; 2. di tutti gli eventuali esposti, denunce e/o diffide presentati da terzi (anche oralmente e verbalizzati) nei confronti della mia assistita”, chiedendo anche, ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.lgs. n. 33/2013, di conoscere “3. Se i sopralluoghi effettuati siano stati promossi di ufficio e/o ad istanza di parte c/o a seguito di delega di indagini da parte della Procura competente; 4. Laddove siano stati promossi di ufficio e/o ad istanza di parte, se per gli stessi sia stata operata una valutazione tecnico-discrezionale a monte circa la necessità del sopralluogo”;
   - l’Amministrazione non aveva dato risposta e si era formato il silenzio-rigetto sull’istanza di accesso documentale stante il decorso del termine di trenta giorni previsto dall’art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990.
Di qui la proposizione del presente ricorso, con cui la ricorrente precisa che intende censurare il solo silenzio-rigetto formatosi sull’istanza di accesso ex lege n. 241 del 1990 e ne lamenta l’illegittimità, rimarcando il suo interesse all’accesso alla documentazione richiesta al fine di tutelare la sua posizione giuridico-economica, anche in sede giurisdizionale, e l’assenza delle condizioni che, ex art. 24 della legge n. 241 del 1990, consentono il diniego o il differimento.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.
Si è costituito il giudizio il Ministero della difesa chiedendo la reiezione del ricorso perché gli atti richiesti non sarebbero stati ostesi dalla Stazione dei Carabinieri perché “coperti da segreto in quanto inerenti un procedimento penale pendente”.
Con memoria depositata il 21.10.2022, la ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso va accolto, considerato che la ricorrente vanta un interesse concreto, personale ed attuale ad accedere alla documentazione richiesta ai fini di tutela della sua posizione giuridica, trattandosi di documentazione riguardante i diversi accertamenti compiuti dall’Amministrazione sull’immobile in relazione al quale la ricorrente aveva ottenuto la voltura delle concessioni edilizie del de cuius e stava realizzando i lavori; e considerato che non risultano concretamente opposte dalle Amministrazioni intimate ragioni idonee a negare o differire l’accesso richiesto.
Secondo condivisibile giurisprudenza, infatti, il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere, inclusi, di regola, gli esposti, le diffide e le denunce che abbiano determinato l’attivazione di un potere di controllo, ispettivo o di vigilanza dell’autorità, salve ragioni di particolare riservatezza o di segreto istruttorio, nel caso di specie non comprovate dall’Amministrazione neppure in corso di causa (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 3128 del 2018; Tar Latina, sent. n. 551 del 2022).
In relazione a quanto controdedotto dal Ministero della difesa, va evidenziata infatti la evanescenza della ragione ostativa opposta, afferente alla mera pendenza di un, non meglio precisato, procedimento penale e mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di segretezza in relazione agli specifici documenti, o parti di documenti, richiesti dalla ricorrente.
Sul punto, costante giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha invero chiarito che l'esistenza di un’indagine penale “non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso” (cfr., tra le altre, Tar Campania, Napoli, sent. n. 1482 del 2022; n. 7712 del 2021).
Invero, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria (cfr., tra le altre, Tar Napoli, sent. n. 1253 del 2017).
La sussistenza in concreto delle stringenti condizioni in presenza delle quali è possibile negare o differire l’accesso c.d. “difensivo”, non sono state comprovate in giudizio dal Ministero della difesa; né il Comune, che non si è neppure costituito in giudizio, ha opposto alcuna esigenza, anche parziale, di segretezza e/o di riservatezza in riferimento alla documentazione richiesta.
Per quanto sopra, pertanto, il ricorso va accolto e va ordinato alle Amministrazioni intimate di ostendere alla ricorrente la documentazione richiesta con l’istanza di accesso documentale presentata ex art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notifica di parte se anteriore, della presente sentenza (TAR Campania-Napoli, Sez,. VI, sentenza 30.11.2022 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDeve essere preliminarmente escluso che il silenzio serbato dall’Amministrazione sia illegittimo per violazione del generale obbligo di concludere il procedimento, in quanto l’art. 116 c.p.a., nel dettare la disciplina del rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, qualifica il silenzio serbato sull’istanza di accesso come un silenzio-significativo di segno negativo (silenzio-rifiuto).
Né può ritenersi che esso sia privo di adeguata motivazione, in quanto il silenzio-rifiuto formatosi in relazione all’istanza di accesso risulta giustificato dalla segretazione del verbale che ne è oggetto, in quanto atto presupposto, posto alla base dell’indagine penale che riguarda l’odierno ricorrente.
Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, sebbene “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine”, debbono ritenersi sottratti al diritto di accesso quelli coperti da segreto: categoria alla quale debbono essere ricondotte anche le informative penali trasmesse dalla polizia locale, volte a sollecitare l'iniziativa penale da parte dell'autorità giudiziaria, le quali si caratterizzano per essere “atti inerenti non allo svolgimento dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità”.
Dunque, non si ravvisa ragione di discostarsi dal principio affermato nella sentenza da ultimo citata, nella quale si legge: “Non sono, dunque, ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente”. Circostanza che ricorre anche nella fattispecie.
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... per l'annullamento
   - del silenzio-rigetto con cui è stata di fatto negata l’ostensione della segnalazione del Servizio Operativo di Polizia Locale del Comune di -OMISSIS- del 15.06.2022;
...
Il ricorrente gestisce da sette anni un pubblico esercizio, nel quale asserisce di essere stato aggredito da un gruppo di giovani avventori in data 14.06.2022.
Dopo la querela presentata dal gestore nei confronti degli aggressori, lo stesso è stato destinatario di una sospensione, ex art. 100 del TULPS, della licenza di somministrazione, come da provvedimento notificato il 22.06.2022 e fondato esclusivamente sulla segnalazione del Servizio Operativo della Polizia Locale di -OMISSIS- del 15.06.2022, recante la ricostruzione, secondo gli agenti intervenuti, della dinamica del fatto.
Tale ordinanza è stata impugnata con ricorso sub RG 1013/2022, ma per articolare una compiuta difesa, il sig. -OMISSIS- ha inoltrato al Comune una richiesta di rilascio di copia della citata segnalazione della Polizia Locale che non è stata mai evasa.
L’implicito diniego all’esercizio del diritto di accesso opposto attraverso la mancata risposta all’istanza sarebbe viziato dalla violazione degli articoli 1, 2, 3, 23, 24 e 25 della legge n. 241/1990 e dell’art.24 della Costituzione. Soltanto la piena conoscenza dei contenuti della richiamata relazione potrebbe, infatti, secondo quanto sostenuto in ricorso, consentire al Sig. -OMISSIS- di censurare compiutamente gli atti lesivi assunti nei confronti dello stesso dalla PA, nonché di esercitare le proprie prerogative nel procedimento penale. In ogni caso, in assenza di un esplicito diniego, il rigetto dell’istanza sarebbe totalmente privo di motivazione e il silenzio serbato integrerebbe una violazione dell’obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato, rappresentando come il Responsabile del Servizio Operativo di Polizia Locale -previo confronto con il sostituto procuratore responsabile del procedimento penale della cui esistenza era ben a conoscenza anche il ricorrente, che ne dà atto nel ricorso, e che risulta essere ancora pendente- abbia qualificato la documentazione richiesta come “segretata e non disponibile”.
Tutto ciò premesso, deve essere preliminarmente escluso che il silenzio serbato dall’Amministrazione sia illegittimo per violazione del generale obbligo di concludere il procedimento, in quanto l’art. 116 c.p.a., nel dettare la disciplina del rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, qualifica il silenzio serbato sull’istanza di accesso come un silenzio-significativo di segno negativo (silenzio-rifiuto).
Né può ritenersi che esso sia privo di adeguata motivazione, in quanto il silenzio-rifiuto formatosi in relazione all’istanza di accesso risulta giustificato dalla segretazione del verbale che ne è oggetto, in quanto atto presupposto, posto alla base dell’indagine penale che riguarda l’odierno ricorrente.
Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, sebbene “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine” (TAR Palermo, I, 12.10.2020, n. 2057, richiamata in TAR Puglia, Lecce, Sezione 2, Sentenza 03.01.2022 n. 8), debbono ritenersi sottratti al diritto di accesso quelli coperti da segreto: categoria alla quale debbono essere ricondotte anche le informative penali trasmesse dalla polizia locale, volte a sollecitare l'iniziativa penale da parte dell'autorità giudiziaria, le quali si caratterizzano per essere “atti inerenti non allo svolgimento dell'attività amministrativa, quanto alla (diversa) attività di promozione e collaborazione dell'attività di prevenzione e repressione della criminalità” (cfr. Tar Aquila, sez. I, 27.10.2017, n. 454).
Dunque, non si ravvisa ragione di discostarsi dal principio affermato nella sentenza da ultimo citata, nella quale si legge: “Non sono, dunque, ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente”. Circostanza che ricorre anche nella fattispecie (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 28.11.2022 n. 1814 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVOROSi devono qui richiamare, in via preliminare, i principi elaborati in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa relativamente ai presupposti di ammissibilità dell’accesso documentale a norma degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
In base alla disciplina normativa prevista per tale forma di accesso, la pretesa ostensiva risulta circoscritta sul piano soggettivo, richiedendo ai fini del relativo riconoscimento la sussistenza di un interesse conoscitivo finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, infatti, vengono definiti “interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse “diretto”, “concreto” e “attuale”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
In base al consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sul tema, la richiesta legittimazione attiva è configurata in relazione al requisito della “
strumentalità” dell’accesso, declinato dal citato art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, come finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale -e non meramente emulativo o potenziale- connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso.
Sul punto è stato evidenziato, in sede giurisprudenziale, che la nozione di “strumentalità” –relativamente alla figura dell’accesso c.d. “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990– va intesa in senso ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante.
In tale prospettiva, la valutazione in ordine al legame tra finalità dichiarata e documento richiesto –quale presupposto di ammissibilità della pretesa ostensiva– va effettuata in astratto, senza apprezzamenti sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre, risultando sufficiente che la documentazione richiesta costituisca mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, non dovendo rappresentare uno strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.
L’assetto delineato corrisponde, in particolare, alla definizione in via legislativa –operata nel contesto dell’istituto dell’accesso documentale– “di un delicato equilibrio tra due esigenze contrapposte, l’una alla più ampia trasparenza dell’amministrazione, l’altra ad escludere tutela a quelle istanze meramente pretestuose o comunque ingiustificate”.
In tale prospettiva, è stato evidenziato che “il diritto all’accesso documentale –pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale- non si configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata; ne consegue che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante”.
Nell’ottica delineata, è richiesta –alla luce del disposto contenuto nell’articolo 25, comma 2, L. n. 241/1990 ai sensi del quale «la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata»– una puntuale e specifica deduzione delle finalità dell’accesso nell’ambito dell’istanza di ostensione, in modo da consentire la valutazione in ordine alla ricorrenza del nesso di strumentalità previsto dall’art. 22 L. n. 241/1990, come altresì ribadito nella recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 18.03.2021, n. 4.
Il prescritto nesso di strumentalità, dunque, se pure declinato in un’accezione ampia, non può in ogni caso prescindere dall’allegazione di elementi sufficienti ad estrinsecare il collegamento tra interesse dedotto, situazione giuridica azionata e documentazione richiesta.
Viepiù che l’art. 24 della l. 241/1990, nella parte di interesse, stabilisce: “1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini.
Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
La Giurisprudenza ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba essere interpretata in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese frustrazione delle finalità perseguite dalla L. n. 241 del 1990>>.
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Nel caso di specie, è evidente l’interesse “difensivo” fatto valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di conoscere gli atti presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative nei propri confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e far valere, se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi competenti..
Ne deriva che il diniego impugnato è illegittimo, considerato che l’astratta previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto controinteressato.
Invero, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con l’ostensione degli atti o cause di ostensibilità dei documenti amministrativi, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite l’oscuramento.
Né risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica, avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990.
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... per l'annullamento:
   - del diniego di accesso agli atti dell'Amministrazione in epigrafe comunicato con pec del 28/02/2022 avente ad oggetto “…Lo. istanza di accesso 27.01.2022.pdf INPS.7201.28/01/2022.0030473] [INPS.7201.28/02 /2022.0071062]”, rispetto all'istanza avente ad oggetto “Sig. Ca.Lo. – Provvedimento di disconoscimento di rapporto di lavoro subordinato – prot. n. INPS 7201.09/11/2021.0297976. Istanza di accesso agli atti ex art. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990” proposta (tramite lo scrivente difensore a firma congiunta con il ricorrente) e poi rinviata su richiesta della P.A. tramite apposito modello ed a quest'ultimo ritrasmessa a mezzo pec, consegnata in data 01.02.2022;
   - nonché ove occorra in parte qua (articolo 14, comma 2, richiamato nel provvedimento impugnato) del Regolamento per l'Accesso agli Atti dell'INPS (determinazione prot. n. 366 del 05/08/2011).
...
Il Collegio ritiene di dover richiamare, in via preliminare, i principi elaborati in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa relativamente ai presupposti di ammissibilità dell’accesso documentale a norma degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
In base alla disciplina normativa prevista per tale forma di accesso, la pretesa ostensiva risulta circoscritta sul piano soggettivo, richiedendo ai fini del relativo riconoscimento la sussistenza di un interesse conoscitivo finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, infatti, vengono definiti “interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse “diretto”, “concreto” e “attuale”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, sent. 11.01.2019, n. 249 e sez. V, sent. 21.08.2017, n. 4043).
In base al consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sul tema, la richiesta legittimazione attiva è configurata in relazione al requisito della “strumentalità” dell’accesso, declinato dal citato art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990, come finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale -e non meramente emulativo o potenziale- connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso.
Sul punto è stato evidenziato, in sede giurisprudenziale, che la nozione di “strumentalità” –relativamente alla figura dell’accesso c.d. “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990– va intesa in senso ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. 15.05.2017 n. 2269, sez. III, sent. 16.05.2016 n. 1978 e sez. IV, sent. 06.08.2014 n. 4209).
In tale prospettiva, la valutazione in ordine al legame tra finalità dichiarata e documento richiesto –quale presupposto di ammissibilità della pretesa ostensiva– va effettuata in astratto, senza apprezzamenti sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre, risultando sufficiente che la documentazione richiesta costituisca mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante, non dovendo rappresentare uno strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (in termini, cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, sent. 13.01.2012, n. 116).
L’assetto delineato corrisponde, in particolare, alla definizione in via legislativa –operata nel contesto dell’istituto dell’accesso documentale– “di un delicato equilibrio tra due esigenze contrapposte, l’una alla più ampia trasparenza dell’amministrazione, l’altra ad escludere tutela a quelle istanze meramente pretestuose o comunque ingiustificate” (in tal senso, cfr. Cons. St., sent. n. 249/2019, cit.).
In tale prospettiva, è stato evidenziato che “il diritto all’accesso documentale –pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale- non si configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata; ne consegue che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante” (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 14.09.2017, n. 4346).
Nell’ottica delineata, è richiesta –alla luce del disposto contenuto nell’articolo 25, comma 2, L. n. 241/1990 ai sensi del quale «la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata»– una puntuale e specifica deduzione delle finalità dell’accesso nell’ambito dell’istanza di ostensione, in modo da consentire la valutazione in ordine alla ricorrenza del nesso di strumentalità previsto dall’art. 22 L. n. 241/1990, come altresì ribadito nella recente sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 18.03.2021, n. 4.
Il prescritto nesso di strumentalità, dunque, se pure declinato in un’accezione ampia, non può in ogni caso prescindere dall’allegazione di elementi sufficienti ad estrinsecare il collegamento tra interesse dedotto, situazione giuridica azionata e documentazione richiesta.
Viepiù che l’art. 24 della l. 241/1990, nella parte di interesse, stabilisce: “1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini.
Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale
”.
La Giurisprudenza (cfr. TAR Bari, III, 06.02.2018, n. 151) ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba essere interpretata in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese frustrazione delle finalità perseguite dalla L. n. 241 del 1990 (cfr. TAR Lazio, Latina, Sez. I, 06.10.2010, n. 1653; id., 15.10.2009, n. 949)>>.
Ebbene, facendo applicazione dei principi legislativi e giurisprudenziali testé richiamati, va detto che il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto, tenuto conto che, nel caso di specie, è evidente l’interesse “difensivo” fatto valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di conoscere gli atti presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative nei propri confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e far valere, se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi competenti (come specificato nell’istanza di accesso).
Ne deriva che il diniego impugnato è illegittimo, considerato che l’astratta previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto controinteressato.
Invero, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con l’ostensione degli atti o cause di ostensibilità dei documenti amministrativi, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite l’oscuramento (ex multis, Tar Catania, sentenza 1737/2018).
Né risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica, avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990 (TAR Lecce, II, 03.01.2022, n. 8; TAR Palermo, I, 12.10.2020, n. 2057, nonché la giurisprudenza ivi citata).
Consegue l’accoglimento del ricorso, facendo obbligo all’Amministrazione di consentire l’accesso, fatti salvi i soli, specifici atti e documenti sottratti all’ostensione alla stregua dei principi sopra indicati.
L’accoglimento del motivo principale di ricorso consente di poter dichiarare assorbita la domanda, peraltro avanzata in via subordinata, con cui il ricorrente ha chiesto l’annullamento del regolamento per l'Accesso agli Atti dell'INPS (determinazione prot. n. 366 del 05/08/2011) (TAR Campania-Salerno, Sez. III, sentenza 27.06.2022 n. 1850 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVORO: Colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di “preiniziativa” quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.
Non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e, come tale, sottratto all'accesso.
In particolare è stato affermato che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241 e ss., non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990;
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, ma sono gli atti amministrativi propedeutici e relativi alle ispezioni disposte, che le Amministrazioni interpellate detengono, tenuto conto che nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa erariale in merito alla secretazione o sequestro degli stessi da parte dell’Autorità giudiziaria penale.
A ciò si aggiunga che la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione competente all'avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di denunciati, per cui anche tale documento può essere oggetto di ostensione.
Si rammenta, sul punto, che, al di fuori di particolari ipotesi in cui il soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, la tutela della riservatezza non può assumere un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi; ciò perché il principio di trasparenza che informa l'ordinamento giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all'interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo.
In sostanza, colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di “preiniziativa” quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.

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... per l'annullamento
   - della nota prot. n. -OMISSIS- datata XX/12/2021 e della nota prot. n. -OMISSIS- datata XX/12/2021, del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute - N.A.S. di Latina, con le quali è stata respinta la richiesta d'accesso della ricorrente datata 18/11/2021, relativa ai documenti presupposti e consequenziali l'ispezione sanitaria eseguita in data 24/08/2021 dai Militari dei N.A.S. di Latina;
   - nonché per il conseguente ordine di esibizione, dettando, ove occorra, le relative modalità, ai sensi dell'art. 116, co. 4, c.p.a. 
...
Considerato che:
   - ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a., nel rito in materia di accesso agli atti amministrativi, il giudice decide con sentenza in forma semplificata;
   - dalla documentazione depositata in giudizio, anche dalle Amministrazioni costituite, non risulta la pendenza di alcun procedimento penale nei confronti del rappresentante legale della ricorrente per i fatti oggetto delle ispezioni suddette;
   - il Collegio ricorda che il diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall'art. 24, comma 7, della L. 241/1990 che, nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”, purché sia dimostrata una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi;
   - pertanto, nel caso di specie, non vi è dubbio che la società istante vanta un interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione su ispezioni riguardanti controlli sanitari i cui esiti potrebbero portare a sanzioni amministrative legate all’eventuale provvedimento “in fieri”;
   - non si ritiene applicabile il motivo di esclusione dell’ostensione di cui all’art. 24, comma 1, l. n. 241/1990 legato a quanto previsto dall’art. 329 c.p.p., secondo cui “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”;
   - risulta, infatti, che nel caso di specie non vi sia alcun procedimento penale a carico del rappresentante legale, in assenza anche di indicazione di riscontro da parte della Procura della Repubblica competente a cui si era rivolto lo stesso NAS di Latina a tale scopo;
   - ne deriva che il diniego risulta fondato solo sull’”interessamento” della stessa Procura come così definito delle note impugnate;
   - a tal fine, però, il Collegio richiama la giurisprudenza per la quale non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratto all'accesso (Cons. Stato, Sez. VI, 29.01.2013, n. 547 e 10.04.2003, n. 1923; TAR Sicilia, Pa, Sez. I, 20.05.2020, n. 1006 e Ct, Sez. III, 01.02.2017, n. 229);
   - in particolare è stato affermato che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso; infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241 e ss., non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990;
   - nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, ma sono gli atti amministrativi propedeutici e relativi alle ispezioni disposte, che le Amministrazioni interpellate detengono, tenuto conto –come detto– che nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa erariale in merito alla secretazione o sequestro degli stessi da parte dell’Autorità giudiziaria penale;
   - a ciò si aggiunga che la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione competente all'avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di denunciati, per cui anche tale documento può essere oggetto di ostensione (Tar Lazio, Sez. II, 04.06.2020, n. 5955);
   - si rammenta, sul punto, che, al di fuori di particolari ipotesi in cui il soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, la tutela della riservatezza non può assumere un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi; ciò perché il principio di trasparenza che informa l'ordinamento giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all'interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo (TAR Liguria, Sez. I, 07.07.2019, n. 510);
   - in sostanza, colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di “preiniziativa” quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Toscana, Sez. I, 03.7.2017, n. 898; TAR Lombardia, Bs, Sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR Lazio, Sez. III, 01.06.2011, n. 4989 e Cons. Stato, Sez. V, 19.05.2009, n. 3081);
   - il ricorso, pertanto, deve essere accolto, e per l’effetto devono annullarsi le note impugnate con le quali l’Amministrazione ha denegato l’accesso ai documenti richiesti, con conseguenziale diritto della società ricorrente all’accesso documentale di cui è causa, in relazione alla documentazione indicata nell’istanza di accesso, mediante esame integrale ed estrazione di copia dei relativi documenti amministrativi e condanna dell’intimata Amministrazione a porre in essere le dovute attività entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza (TAR Lazio-Latina, sentenza 23.06.2022 n. 551 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL'esistenza di un'indagine penale non è di per sé causa ostativa all’accesso a documenti che siano confluiti nel fascicolo del procedimento penale o che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine.
Invero, secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale “non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratto all’accesso; laddove, infatti, la denuncia sia riconducibile all'esercizio delle istituzionali funzioni amministrative, l'atto non ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329 c.p.p. e non può ritenersi coperto dal segreto istruttorio. Diversamente, se la pubblica amministrazione trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p.”.
In buona sostanza, in materia di accesso alla documentazione amministrativa deve escludersi che sia coperto dal segreto istruttorio penale l'atto di denuncia dei fatti a carico del richiedente, rimesso dall'amministrazione alla magistratura inquirente, trattandosi di atto non riservato ai sensi dell'art. 329 c.p.p., emanato nello svolgimento di attività istituzionale amministrativa.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, L. 07.08.1990, n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, L. n. 241 del 1990.
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... per l’esercizio del diritto di accesso
quanto al ricorso n. 58 del 2022:
   - AGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DI VERIFICA URBANISTICO EDILIZIA RIGUARDANTE UN IMMOBILE DI PROPRIETA’;
e per l’annullamento
   - DELLA DETERMINAZIONE DEL RESPONSABILE DELL’UNITA’ OPERATIVA URBANISTICA ED EDILIZIA COMUNICATA VIA PEC IL 14/12/2021, RECANTE IL DINIEGO SULL’ISTANZA OSTENSIVA;
   - DELLA NOTA DIRIGENZIALE TRASMESSA IL 04/01/2022 IN RISPOSTA ALLE CONTRODEDUZIONI, AVENTE CONTENUTO SFAVOREVOLE.
quanto al ricorso n. 157 del 2022:
   - AGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DI VERIFICA URBANISTICO EDILIZIA RIGUARDANTE UN IMMOBILE DI PROPRIETA’;
e per l’annullamento
   - DELLA DETERMINAZIONE DEL RESPONSABILE DELL’UNITA’ OPERATIVA URBANISTICA ED EDILIZIA COMUNICATA VIA PEC L’08/02/2022, RECANTE IL DINIEGO SULL’ISTANZA OSTENSIVA;
   - DELLA DETERMINAZIONE CONFERMATIVA 15/02/2022, IN RISPOSTA AL SOLLECITO;
   - DELLA COMUNICAZIONE 03/02/2022.
...
Dato atto:
   - che l’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio;
   - che, con ordinanza collegiale 07/04/2022 n. 330, questo TAR ha disposto il compimento di attività istruttoria “affinché l’Ente locale si soffermi sulle ragioni sottese al rifiuto dell’istanza ostensiva, e chiarisca con precisione i contorni dell’affermata esistenza di un “procedimento penale in corso”;
   - che si trattava in altri termini “di puntualizzare se effettivamente l’attività di controllo sia stata posta in essere nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria previsti dall’ordinamento, nell’ambito di un’indagine penale”;
Atteso:
   - che il Comune intimato –nella propria relazione– ha ricostruito la dinamica fattuale, dando conto dell’avvenuta ostensione del verbale di accertamento (con relativi allegati), formato a seguito di sopralluogo originato da un esposto;
   - che il verbale è stato inoltrato all’autorità giudiziaria da parte degli agenti di Polizia Locale;
   - che, nel prosieguo, si è sviluppato un contraddittorio, all’esito del quale è stata completata l’indagine ed emesso un verbale aggiornato (in data 08/03/2022) a sua volta trasmesso alla Procura della Repubblica competente;
   - che, dopo ulteriori approfondimenti, alcuni degli abusi contestati sono stati dichiarati non rilevanti per la pubblica incolumità, e per altri si sono riscontrate violazioni alla normativa tecnica per l’edilizia, con segnalazione all’autorità giudiziaria;
   - che l’esclusione/differimento dell’accesso sarebbe stata giustificata dalla tutela dell’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, e risulterebbe limitata a violazioni, irregolarità o infrazioni suscettibili di dare luogo alla suddetta comunicazione alla Procura della Repubblica;
Considerato:
   - che, nel corso della discussione orale in Camera di consiglio, il difensore di parte ricorrente ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione dei due ricorsi, avendo l’amministrazione provveduto a depositare la documentazione richiesta all’esito dell’ordinanza istruttoria di questo Collegio, restando salva la liquidazione delle spese di lite;
   - che, pertanto, può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere;
   - che le spese di lite devono essere poste da carico del Comune intimato, alla luce della fondatezza della pretesa ostensiva avanzata nei giudizi;
Ritenuto, a quest’ultimo proposito:
   - che l'esistenza di un'indagine penale non è di per sé causa ostativa all’accesso a documenti che siano confluiti nel fascicolo del procedimento penale o che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine;
   - che secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR Umbria – 25/07/2018 n. 471) “non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratto all’accesso; laddove, infatti, la denuncia sia riconducibile all'esercizio delle istituzionali funzioni amministrative, l'atto non ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329 c.p.p. e non può ritenersi coperto dal segreto istruttorio. Diversamente, se la pubblica amministrazione trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. (C.d.S., sez. VI, 29.01.2013, n. 547)”;
   - che tale concetto è stato espresso anche da TAR Lazio-Roma, sez. II-quater – 28/07/2017 n. 9043, TAR Sardegna, sez. I – 13/11/2020 n. 618, TAR Lazio-Roma, sez. III-quater – 18/02/2020 n. 2157;
   - che, in buona sostanza, in materia di accesso alla documentazione amministrativa deve escludersi che sia coperto dal segreto istruttorio penale l'atto di denuncia dei fatti a carico del richiedente, rimesso dall'amministrazione alla magistratura inquirente, trattandosi di atto non riservato ai sensi dell'art. 329 c.p.p., emanato nello svolgimento di attività istituzionale amministrativa (TAR Campania-Salerno, sez. I – 13/01/2020 n. 64);
   - che soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria;
   - che “tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, L. 07.08.1990, n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, L. n. 241 del 1990” (TAR Sicilia-Palermo, sez. I – 20/05/2020 n. 1006, che evoca TAR Sicilia-Catania, sez. III – 01/02/2017 n. 229);
   - che neppure la relazione del Comune di Bellaria Igea Marina attesta l’esistenza di un segreto istruttorio collegato a una puntuale statuizione dell’autorità penale ovvero a un’attività esperita dalla Polizia locale nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 20.05.2022 n. 427 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
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... per l'annullamento
   - del provvedimento n. 22856 del 17.10.2021 notificato in pari data, con cui è stato comunicato il diniego di accesso agli atti, richiesto dal ricorrente con nota del 24.09.2021,
   - di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali
   - nonché per l’accertamento e la declaratoria del diritto d’accesso e l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti ex art. 116, comma 4, c.p.a..  
...
1. Il ricorrente, nella qualitas di diretto confinante dell’immobile sito in Gragnano, alla via -OMISSIS-, e di parte civile nel procedimento penale avanti il Tribunale di Torre Annunziata relativa ad abusi ivi commessi, in data 23.09.2021 presentava al Comune di Gragnano istanza di accesso agli atti ai sensi degli artt. 22 ss. della legge n. 241 del 1990 s.m.i., avente ad oggetto i seguenti documenti: “verbali di sequestro e documenti correlati (relazione tecnica, fotografie, misurazioni eseguite) per abusi commessi all’immobile di via -OMISSIS-, identificato in catasto coi dati di foglio di -OMISSIS-, a seguito di sopralluoghi dell’Ufficio controllo sul territorio del Corpo della Polizia Municipale eseguiti negli anni 2005–2006 per verifiche ai lavori del tetto in secondo piano ed ampliamenti in primo piano, e nell’anno 2009 a seguito di altro accertamento sempre per gli stessi immobili.”
1.1. Con provvedimento del 17.10.2021 la intimata Amministrazione negava l’accesso atteso che: “i controinteressati hanno rappresentato la loro opposizione all’ostensione adducendo, quale relativa motivazione la sussistenza di procedimento penale in essere e la loro pertinenza ovvero la loro acclusione al fascicolo del Pubblico Ministero. Pertanto accertato, a seguito di verifica di ufficio, che gli atti da ella richiesti pertengono effettivamente al proc. Pen nr. 2995/2015 R.G.N.R. gli stessi, allo stato, rimangono sottratti, ex legge dal Diritto D’accesso”.
1.2. Avverso tale diniego insorgeva il ricorrente, rimarcando la propria legittimazione all’accesso.
...
2. Il ricorso è fondato.
Va in limine rimarcato che la domanda di accesso nuovamente presentata dal ricorrente in data 23.09.2021 e, quel che più conta, la actio procedimentale poscia posta in essere dalla civica Amministrazione –all’uopo ritualmente compulsando anche i controinteressati, al fine di acquisirne la eventuale opposizione- e la successiva determinazione provvedimentale del 17.10.2021, valgono ad assorbire e superare la pregressa vicenda procedimentale conchiusasi con la nota del Comune dell’08.07.2021.
Ciò premesso, valga il rilevare quanto appresso.
2.1. Il ricorrente è costituito quale parte civile nel giudizio R.G. 2995/2015 pendente avanti il Tribunale di Torre Annunziata e avente ad oggetto gli abusi asseritamente commessi nel 2015 (riguardanti il solo tetto) dagli odierni controinteressati sull’immobile confinante rispetto alla sua proprietà
2.1.1. La istanza di accesso che ne occupa -eccitata dalle acquisizioni del processo penale- ha ad oggetto, per contro, atti afferenti a precedenti accertamenti compiuti dalla Polizia Municipale di Gragnano negli anni 2005-2006 e 2009, e a diversi abusi (riguardanti vari piani dell’immobile de quo).
2.1.2. Del resto la inesistenza di detti atti all’interno del fascicolo del ridetto procedimento penale del 2015 è stata quivi allegata, con un adeguato principio di prova dalla parte ricorrente (doc. 4, produzione), e non puntualmente contestata dalle resistenti.
2.1.3. Di qui la persistenza dell’interesse ostensivo del ricorrente, che non può aliundeid est, dispiegando le prerogative di parte di un processo penale- essere soddisfatto.
2.2. Indubbia, d’altra parte, è la legittimazione all’accesso del ricorrente (ex plurimis, TAR Campania, VI, 12.11.2021, n. 7229), comecché funzionale:
   - all’esercizio delle proprie indefettibili guarentigie di titolare del diritto dominicale sul bene immobile confinante (art. 42 Cost.);
   - a consentire, indi, la verifica della correttezza della posizione del confinante, e dei lavori da questi eseguiti sotto il profilo edilizio ed urbanistico.
2.3. La domanda ostensiva -di poi e ad onta di quanto eccepito da parte resistente- non veicola una pretesa esplorativa.
2.3.1. E’ ben vero, in linea di principio che la domanda di accesso:
   - non mai può assumere una generica funzione investigativa, ovvero “impiegata e piegata a ‘costruire’ ad hoc, con una finalità esplorativa” le premesse per il disvelamento, ovvero la discovery ex post, di fatti e circostanze non mai concretamente ed in modo circostanziato rappresentate o paventate ex ante; “diversamente, infatti, l'accesso documentale assolverebbe ad una finalità, espressamente vietata dalla legge, perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull'attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche Amministrazioni” (CdS, a.p., 10/2020).
   - non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, ovvero formulata in guisa tale da costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati; di qui la improponibilità di una istanza di accesso “al buio”, al fine dichiarato di eventualmente reperire ed individuare nei documenti richiesti, elementi potenzialmente idonei al soddisfacimento dei fini “investigativi” (e perciò esplorativi) perseguiti dall’istante (sulla inammissibilità di una siffatta domanda, TAR Campania, VI, 2318/2021; TAR Lombardia, I, 14.11.2019, n. 2403; id., 27.08.2018, nn. 2023 e 2024).
2.3.2. E tuttavia, nel caso che ne occupa, la domanda di accesso avanzata dal ricorrente è puntualmente formulata in relazione:
   - alla tipologia dei documenti e delle informazioni (verbali di sequestro e documenti correlati: relazione tecnica, fotografie, misurazioni eseguite);
   - all’immobile ove sarebbero stati commessi gli abusi (sito in via -OMISSIS-, identificato in catasto coi dati di foglio di -OMISSIS-);
   - alla natura degli asseriti abusi (lavori del tetto in secondo piano ed ampliamenti in primo piano);
   - al tempus in cui si sarebbero formati (anni 2005-2006 e 2009).
2.4. Alla specificità della richiesta di accesso fa da contraltare, di contro, la genericità e laconicità delle ragioni fondanti il diniego, siccome di poi adombrate in giudizio e in sede di riscontro ad una precedente domanda di accesso (nota dell’08.07.2021), consistenti nella trasmissione di detti atti alla Procura della Repubblica.
2.4.1. La realizzazione delle esigenze conoscitive quivi azionate non è in concreto preclusa da ragioni di segretezza afferenti a non meglio precisate indagini e/o procedimenti penali eventualmente in corso.
2.4.2. Non può non rimarcarsi, invero, la evanescenza di una tale ragione ostativa, afferente alla trasmissione di non meglio precisati atti alla Procura, mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni di segretezza in relazione a specifici documenti o parti di documenti.
2.4.3. Siccome statuito plurimamente anche da questo TAR (TAR Campania, 01.12.2021, n. 7712; TAR Campania, VI, 14.03.2017, n. 1484) “l'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
2.4.4. E di tali invincibili condizioni legittimanti la esistenza, o perduranza, del segreto non vi è traccia veruna nell’agere provvedimentale quivi censurato, né tampoco nelle difese quivi spiegate.
2.4.5. Anche il richiamo all’art. 329 c.p.p., non giova alle tesi delle parti resistenti, atteso che è la stessa disposizione a prevedere testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.
2.4.6. Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo stadio del procedimento penale, tenuto altresì conto che gli atti de quibus rimontano al 2005-2006 e al 2009, id est ad epoca assai risalente, rendendo peraltro poco verosimile la perduranza di asserite indagini preliminari e, con esse ed eventualmente, di ragioni di segretezza (TAR Campania-Napoli, sentenza 04.03.2022 n. 1482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVOROL’astratta previsione regolamentare di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto controinteressato.
Sicché, qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con l’ostensione degli atti richiesti, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite l’oscuramento.
Non risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica, avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che:
   “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990”.
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... per l’accertamento e la dichiarazione
   - ex art. 22 ss. l. 241/1990, del diritto di accesso in capo alla ricorrente e, dunque, alla piena evasione della sua istanza di accesso,
   - e per la conseguente condanna del resistente a rilasciare copia di detti documenti.
...
1) Premesso che:
   - a) con istanza del 11.05.2021, parte ricorrente chiedeva l’accesso agli atti presupposti del provvedimento con cui l’INPS di Lecce disconosceva determinate giornate di lavoro agricolo, con la dicitura “Disconoscimento gg. ditta Ma.Co.”;
   - b) con pec dell’11.06.2021, l’INPS negava l’accesso perché, ai sensi dell’art. 16, punto 1, lett. “g”, del regolamento per l’accesso agli atti (giusta determina n. 366/2021), il verbale di accertamento ispettivo INPS e gli atti ad esso connessi sono esclusi dall’accesso per motivi attinenti alla riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni;
   - c) si è costituito in giudizio l’INPS;
   - d) alla camera di consiglio del 16.12.2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
2) Rilevato che, con riferimento al suddetto regolamento INPS, la giurisprudenza (v. TAR Molise, n. 475 del 27.12.2019), ha osservato che:
   - a) conformemente all’art. 24 L. n. 241/1990 (secondo cui, in tutti i casi in cui siano ravvisabili le esclusioni al diritto di accesso ivi contemplati, resta fermo l’obbligo di ostensione dei documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere propri interessi giuridici”), l’art. 20 del medesimo regolamento «6.2. […] stabilisce che l’accesso debba comunque essere consentito rispetto “ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere propri interessi giuridici” (art. 20)»;
   - b) «6.3. […] in forza della norma di chiusura di cui all’art. 24, co. 7, l. 241/1990, così come richiamata dall’art. 20 del Regolamento INPS, la predetta esigenza di tutela [della riservatezza] risulta cedevole rispetto alla contrapposta esigenza del soggetto datoriale di contestare utilmente in giudizio le risultanze dell’accertamento ispettivo, a patto che (e nei limiti in cui) sia ravvisabile la rilevanza delle dichiarazioni in questione rispetto alla impugnazione del verbale di accertamento (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 10.04.2019 n. 2345)»;
   - c) «6.5. Nel contempo, ai fini del necessario bilanciamento tra i contrapporti interessi, proprio dell’accesso difensivo, è necessario regolare le concrete modalità della ostensione in modo tale da ridurne al minimo l’incidenza nella sfera soggettiva dei lavoratori: “Va ammesso l'accesso alle dichiarazioni dei lavoratori acquisite nel corso dell'attività ispettiva; l'esigenza specifica di tutelare i lavoratori contro eventuali comportamenti ritorsivi del datore di lavoro trova soluzione nella possibilità per l'Istituto di oscurare i riferimenti dei lavoratori dai provvedimenti rispetto ai quali viene chiesto l'accesso” (TAR Genova, Sez. II, 02/12/2016 n. 1197)»;
3) Ritenuto –in ragione di quanto in precedenza riportato, da cui il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi– che:
   - a) nel caso di specie, sia evidente l’interesse “difensivo” fatto valere da parte ricorrente, la quale ha chiesto di conoscere gli atti presupposti del disconoscimento delle giornate lavorative nei propri confronti, onde verificare la legittimità di tale operazione e far valere, se del caso, le proprie contrarie ragioni nelle sedi competenti (come specificato nell’istanza di accesso);
   - b) il diniego impugnato è, quindi, illegittimo, considerato che l’astratta previsione di sottrazione di determinati atti all’accesso non va intesa in senso assoluto, ma va riferita al singolo caso concreto, in relazione al quale l’Ente è chiamato ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse fatto valere dal richiedente l’accesso e l’eventuale riservatezza del soggetto controinteressato;
   - c) qualora emergano profili di riservatezza contrastanti con l’ostensione degli atti, tali profili possano essere adeguatamente tutelati tramite l’oscuramento (come sul punto evidenziato dalla menzionata giurisprudenza);
   - d) non risulta, peraltro, di ostacolo all’ostensione degli atti richiesti l’avere l’INPS, all’esito dell’espletata istruttoria, trasmesso comunicazione di notizia di reato alla competente Procura della Repubblica, avendo la giurisprudenza amministrativa condivisibilmente chiarito che: “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell' art. 329 c.p.p, di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990” (TAR Palermo, I, 12.10.2020, n. 2057, nonché la giurisprudenza ivi citata).
Nel caso di specie, quella svolta dall’INPS è un’attività amministrativa, svolta nell’ambito delle funzioni istituzionali proprie dell’Istituto, con la conseguenza che, non essendovi atti di indagine penale propriamente detti, la documentazione raccolta non si sottrae all’accesso;
4) Ritenuto, in conclusione, che il ricorso vada accolto e che, per l’effetto, vada ordinato all’INPS di Lecce di consentire, entro 30 giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza, l’accesso agli atti domandati da parte ricorrente, procedendo all’oscuramento degli eventuali dati attinenti alla riservatezza di soggetti terzi (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 03.01.2022 n. 8 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

ATTI AMMINISTRATIVIInconducenti si appalesano i rilievi del Comune volti ad accreditare una asserita “irrilevanza” dei documenti richiesti dal ricorrente rispetto alle esigenze processuali.
E’ ben vera, infatti, la natura strumentale del “diritto di accesso” ex lege 241/1990, in quanto situazione giuridica che:
   - ex se non garantisce la acquisizione o la conservazione di beni della vita e, dunque, non assicura al suo titolare il conseguimento di utilità finali;
   - è strumentale, piuttosto, al soddisfacimento (o al miglior soddisfacimento) di altri interessi giuridicamente rilevanti (diritti o interessi), rispetto ai quali si pone in posizione ancillare;
   - deve essere correlata -in modo diretto, concreto e attuale- ad altra “situazione giuridicamente tutelata” (art. 22, comma 1, l. 241/1990 e la definizione di “interessati” ivi contenuta): non si tratta, dunque, di una posizione sostanziale autonoma, ma di un potere di natura procedimentale, funzionale alla tutela di situazioni stricto sensu sostanziali, abbiano esse consistenza di diritto soggettivo o interesse legittimo.
E, tuttavia, una tale natura strumentale non mai può essere intesa nel senso di condizionare l’accesso alla valutazione –da parte della Amministrazione- circa la concreta incidenza e/o rilevanza degli atti richiesti ai fini del loro utilizzo in una controversia giurisdizionale.
E, invero, è superfluo il rimarcare che una tale valutazione –in punto di effettiva rilevanza e/o incidenza della documentazione nel giudizio- pertiene alla competente Autorità giurisdizionale, e non certo alla Amministrazione, che non potrà che limitarsi alla delibazione circa la “astratta” attinenza della documentazione richiesta rispetto alla situazione giuridica vantata dall’ostante e oggetto del contenzioso in essere.
D’altra parte, nella fattispecie in esame, la posizione “conoscitiva” azionata dalla controinteressata è chiaramente funzionale alla tutela di altra, diversa, situazione giuridica, afferente al diritto di impresa e alla libertà di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.) lato sensu intesi, oltre che alla legittima aspirazione di verificare –come del resto, expressis verbis rappresentato nella istanza di accesso- la correttezza e la buona fede dell’agere della controparte contrattuale nella fase prodromica alla stipulazione del contratto di cessione di azienda, onde eventualmente disvelare eventuali profili di culpa in contrahendo, oltre che la correttezza dell’agere della Amministrazione.
E tanto basta a disvelare la esistenza di un interesse personale, attuale e concreto, collegato agli atti, e indi costituivo di una posizione legittimante.
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Generico è il richiamo effettuato dal Comune, in sede procedimentale ma non mai ripreso in questa sede giurisdizionale, alla trasmissione di non meglio precisati atti alla Procura, mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni segretezza in relazione a specifici documenti o parti di documenti.
Siccome statuito anche da questo TAR “l'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
Quanto al riferimento all’art. 329 c.p.p. pure effettuato nella nota di riscontro del 17.06.2021, si osserva che è la stessa norma a prevedere testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”.
Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo stadio del procedimento penale.
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... per l'annullamento del diniego parziale del 17.06.2021 e, per quanto di ragione, del silenzio–rigetto del Comune di Napoli in relazione all'istanza di accesso rivolta all'Ente il 19.05.2021 con riguardo agli atti ed ai provvedimenti di séguito specificati e perché sia ordinato all'amministrazione resistente l'ostensione degli atti ed i documenti amministrativi di seguito specificati in conseguenza della dichiarazione della sussistenza del diritto azionato da chi ricorre.
...
1. Con istanza ex art. 22 l. 241/1990 trasmessa al Comune di Napoli in data 19.05.2021 la ricorrente esponeva quanto appresso:
   - la No.Bo.Ca. srl. si è resa cessionaria dell’azienda ubicata in Napoli alla via ... n. 183 giusta contratto a rogito Notaio ... del Collegio Notarile dei Distretti Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola, del 02.10.2018;
   - l’arch. Va.D’An. -all’uopo incaricata della progettazione esecutiva della ristrutturazione- riscontrava che il progetto imprenditoriale non poteva essere realizzato in ragione di un abuso edilizio relativo al soppalco del locale commerciale in questione, oggetto di un sequestro giudiziario e di un’ordinanza di abbattimento del Comune di Napoli risalenti addirittura all’anno 2006;
   - nel novembre 2020 la Polizia Municipale di Napoli redigeva un “Verbale di sopralluogo ed accertamento di opere realizzate in difetto di titoli in Napoli alla via ... n. 183”; dalla disamina dello stato dei luoghi emergeva quanto segue: il locale in parola è gravato da inesitata Disposizione Dirigenziale n. 1383 del 05.06.2006 con C.A. n. 208/06 emessa dal SACE del Comune di Napoli ai sensi dell’art. 33 del DPR 380/2001 nei confronti del precedente conduttore Ma.Fr. nato a Napoli il ... ed ivi domiciliato alla via ... n. 64 per l’accertata realizzazione di soppalco di mq 21,00 impostato a mt. 2,35/2,70 dal calpestio ed a mt. 1,70/2,30 dalla copertura diviso in tre ambienti adibiti a wc;
   - di qui l’avvio, da parte dell’ufficio SUAP, del procedimento per la dichiarazione di inefficacia giuridica della “Segnalazione Certificata di Inizio Attività (PG/860249 – pratica SUAP n. 14645 del 05/10/2018) relativa all’attività di somministrazione di bevande (tipologia B)”;
   - tanto premesso, la ricorrente instava per l’accesso agli atti e ai documenti relativi alla liceità edilizia e urbanistica dell’immobile e quelli afferenti all’attività di somministrazione di bevande in quell’immobile esercitata dal 2006 ad oggi, nonché quelli eventualmente attestanti la notifica dell’ingiunzione a demolire ai proprietari dell’immobile, nonché ogni atto e provvedimento adottato nell’àmbito del procedimento per la dichiarazione di inefficacia giuridica della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (PG/860249 – pratica SUAP n. 14645 del 05/10/2018), relativa all’attività di somministrazione di bevande (tipologia B) avviato con PG/35598 del 15.01.2021 dal SUAP del Comune di Napoli.
1.1. Il Comune riscontrava la istanza con nota del 14 giugno, inviando a mezzo pec, solo quanto riferibile all’attività esercitata a far data dal 2011 in poi dalla Ma. e Fi. srl. e, successivamente, alla No.Bo.Ca. s.r.l..
1.2. Con pec del 16.06.2021 la ricorrente instava per l’accesso alla restante documentazione indicata nella primigeni istanza.
1.3. Con atto del 17.06.2021 il Comune negava l’accesso, rappresentando che “gli atti scaturiti a seguito del sopralluogo sono stati inviati alla locale Procura della Repubblica e, dunque, non possono essere annoverati tra quelli amministrativi ostensibili”.
1.4. Avverso i ridetti atti insorge la ricorrente avanti questi TAR, rimarcando la legittimazione ad accedere agli atti de quibus (a far data dal 2006) atteso che la “situazione di incertezza generata dall’inescusabile inerzia del Comune di Napoli, nella specie degli Uffici preposti a dar seguito agli accertamenti che si è appurato risalire al lontano 2006, ha cagionato e cagiona a tutt’oggi gravissimi nocumenti alla società No.Bo.Ca. srl., che –è evidente– non si sarebbe resa cessionaria dell’azienda della Ma. & Fi. srl. ove il Comune avesse tempestivamente dichiarato l’inefficacia delle autorizzazioni che rappresentano presupposto indefettibile per lo svolgimento dell’attività cui l’odierna istante è subentrata”, tenuto conto altresì della pendenza di due liti in sede civile esperite dalla ricorrente contro la società Ma. & Fi. srl. (Tribunale civile di Napoli, RG. 11196/2019) nonché contro la Comunione Eredi Mi. (Tribunale civile di Napoli, RG. 25005/2020, RG 33849/2019), proprietaria del locale commerciale sede dell’attività ceduta.
1.5. Si costituiva il Comune di Napoli, rimarcando la indisponibilità di alcuni documenti, molto risalenti evidentemente conservati nell’archivio storico, ad oggi ancora occupato abusivamente da famiglie di senza tetto e dunque indisponibili per causa di forza maggiore, e depositando nondimeno ulteriore documentazione.
1.6. La causa, al fine, dopo una ulteriore replica delle ricorrente che insisteva per la ostensione degli atti indicati ai punti 4, 6 e 7 della primigenia istanza di accesso, veniva introitata per la decisione all’esito della udienza camerale del 09.11.2021.
2. Il ricorso è in parte fondato e in parte destinato ad una pronunzia di cessazione della materia del contendere.
2.1. E, invero, siccome emerge dalle allegazioni e dalla produzione documentale del Comune resistente:
   - quanto alle richieste di cui al punto 7; il provvedimento di ingiunzione a demolire del soppalco abusivo veniva notificato al solo responsabile dell’illecito nonché gestore della attività commerciale in data 29.06.2006; nel mentre l’atto di avvio del procedimento volto alla declaratoria di inefficacia della scia del 2021 non veniva notificato alla proprietaria dell’immobile de quo.
2.1.1. In relazione a tali allegazioni e attestazioni, indi, può dirsi soddisfatta, in parte qua, la pretesa ostensiva, con la consequenziale cessazione della materia del contendere.
2.2. Fondata, di contro, è la domanda per quanto attiene agli ulteriori atti e documenti indicati nella istanza di accesso, e segnatamente di quelli enumerati sub 4, 6 e 7 della istanza, oltre al generale obbligo di ostensione di ogni altro atto e documento in possesso della Amministrazione e rientrante nel novero di quelli richiesti dalla ricorrente, fatti salvi ovviamente i documenti già ostesi prima del giudizio e quelli successivamente quivi prodotti.
2.3. La domanda di accesso, invero, è fondata, tenuto conto della rilevanza dei documenti de quibus (titoli afferenti alla regolarità edilizia e urbanistica dell’immobile; autorizzazioni commerciali rilasciate in relazione ad esso immobile) comecché afferenti all’immobile che ne occupa, la cui conoscenza si appalesa, indi, strumentale alla tutela dell’interesse della ricorrente che in quell’immobile esplica la propria attività commerciale, alla verifica della legittimità e della concreta natura dei ridetti titoli edilizi e/o commerciali, al fine dichiarato di meglio lumeggiare:
   - la natura ed il momento in cui si sarebbero perpetrati abusi e le vicende afferenti i provvedimenti di autorizzazione commerciale succedutisi;
   - gli eventuali profili di responsabilità, tenuto conto della attuale pendenza di due giudizi instaurati in sede civile dalla ricorrente contro la società Ma. & Fi. srl. (Tribunale civile di Napoli, RG. 11196/2019) nonché tra la prima e la Comunione Er.Mi. (Tribunale civile di Napoli, RG. 25005/2020, RG 33849/2019), proprietaria del locale commerciale sede dell’attività ceduta.
2.3.1. Inconducenti, di poi, si appalesano i rilievi del Comune volti ad accreditare una asserita “irrilevanza” dei documenti de quibus rispetto alle esigenze processuali.
2.3.2. E’ ben vera, infatti, la natura strumentale del “diritto di accessoex lege 241/1990 (CdS, a.p., n. 6/2006), in quanto situazione giuridica che:
   - ex se non garantisce la acquisizione o la conservazione di beni della vita e, dunque, non assicura al suo titolare il conseguimento di utilità finali;
   - è strumentale, piuttosto, al soddisfacimento (o al miglior soddisfacimento) di altri interessi giuridicamente rilevanti (diritti o interessi), rispetto ai quali si pone in posizione ancillare (TAR Lombardia, I, 27.08.2018, n. 2023);
   - deve essere correlata -in modo diretto, concreto e attuale- ad altra “situazione giuridicamente tutelata” (art. 22, comma 1, l. 241/1990 e la definizione di “interessati” ivi contenuta): non si tratta, dunque, di una posizione sostanziale autonoma, ma di un potere di natura procedimentale, funzionale alla tutela di situazioni stricto sensu sostanziali, abbiano esse consistenza di diritto soggettivo o interesse legittimo.
2.3.3. E, tuttavia, una tale natura strumentale non mai può essere intesa nel senso di condizionare l’accesso alla valutazione –da parte della Amministrazione- circa la concreta incidenza e/o rilevanza degli atti richiesti ai fini del loro utilizzo in una controversia giurisdizionale.
2.3.4. E, invero, è superfluo il rimarcare che una tale valutazione –in punto di effettiva rilevanza e/o incidenza della documentazione nel giudizio- pertiene alla competente Autorità giurisdizionale, e non certo alla Amministrazione, che non potrà che limitarsi alla delibazione circa la “astratta” attinenza della documentazione richiesta rispetto alla situazione giuridica vantata dall’ostante e oggetto del contenzioso in essere.
2.3.5. D’altra parte, nella fattispecie in esame, la posizione “conoscitiva” azionata dalla controinteressata è chiaramente funzionale alla tutela di altra, diversa, situazione giuridica, afferente al diritto di impresa e alla libertà di autodeterminazione negoziale (artt. 2 e 41 Cost.) lato sensu intesi, oltre che alla legittima aspirazione di verificare –come del resto, expressis verbis rappresentato nella istanza di accesso- la correttezza e la buona fede dell’agere della controparte contrattuale nella fase prodromica alla stipulazione del contratto di cessione di azienda, onde eventualmente disvelare eventuali profili di culpa in contrahendo, oltre che la correttezza dell’agere della Amministrazione.
2.3.6. E tanto basta a disvelare la esistenza di un interesse personale, attuale e concreto, collegato agli atti, e indi costituivo di una posizione legittimante.
2.4. Generico, poi, è il richiamo effettuato dal Comune, in sede procedimentale ma non mai ripreso in questa sede giurisdizionale, alla trasmissione di non meglio precisati atti alla Procura, mancando qualsivoglia puntuale evidenziazione di ragioni segretezza in relazione a specifici documenti o parti di documenti.
2.4.1. Siccome statuito anche da questo TAR (TAR Campania, VI, 14.03.2017, n. 1484) “l'esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso”.
2.4.2. Quanto al riferimento all’art. 329 c.p.p. pure effettuato nella nota di riscontro del 17.06.2021, si osserva che è la stessa norma a prevedere testualmente che il segreto operi “fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Sarebbe stato quindi doveroso da parte della Amministrazione puntualizzare la tipologia dei documenti da sottrarre all’accesso e lo stadio del procedimento penale.
2.5. Inconducente, di poi, è la linea difensiva tenuta in questa sede dal Comune, che:
   - si è limitato, poi, ad accampare oggettivi impedimenti alla inventio e alla materiale adprehensio dei documenti antecedenti al 2011, che si troverebbero “negli Uffici dell’ex Servizio Commercio, alle Rampe Brancaccio notoriamente e abusivamente occupati da alcuni nuclei familiari fin dall’agosto 2013”;
   - ha addotto elementi ostativi afferenti, indi, non già alla certazione del diritto, bensì alla sua materiale attuazione.
2.5.1. Ora, la allegazione di difficoltà materiali “per così direin executivis, presuppone logicamente, ancor prima che giuridicamente, il previo riconoscimento della esistenza del diritto, la cui concreta attuazione solo si lamenta essere temporaneamente preclusa a cagione di difficoltà organizzative interne all’apparato amministrativo, e che giammai possono ritorcersi in danno del consociato, avente diritto (TAR Campania, VI, 28.07.2020, n. 3363; id., 25.02.2020, n. 859).
2.5.2. Di talché, in coerenza con il tacito assunto della Amministrazione, va quivi giudizialmente confermata la sussistenza del diritto di accesso della ricorrente ai documenti de quibus, fatti salvi quelli già esibiti prima del giudizio e quelli quivi disvelati, di cui al n. 7 della istanza di accesso, attinenti ai dati sulle notificazioni dei provvedimenti repressivi del 2006 e relativi alla scia del 2021 nella versione ad oggi vigente (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 01.12.2021 n. 7712 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possono risultare connessi con i fatti oggetto di indagine. Solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una p.a. nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'Amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. n. 241 del 1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, stessa legge.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex art. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal c.p.p.

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... per l'annullamento:
   - dell'Ordinanza del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- del 04.06.2020, notificata il 05.06.2020, avente ad oggetto: Ordinanza di rimessa in pristino e demolizione di opere edilizie eseguite in assenza di titolo abilitativo;
   - di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso e, in ispecie, del «verbale di “Relazione tecnica di sopralluogo relativa all'attività di P.G. riferita a violazioni urbanistiche in comune di -OMISSIS- pressi località “-OMISSIS-, Foglio 7, particella -OMISSIS-”, (prot. n. -OMISSIS-/2020 depositato agli atti dell'ente), sull'esito del sopralluogo eseguito in data 07.04.2020 …», richiamato nell'ordinanza n. -OMISSIS-, non conosciuto nel suo contenuto dal ricorrente in quanto la visione e il rilascio di copia sono stati espressamente negati anche in sede di accesso documentale;
   - del provvedimento unico n. 4 del 28.07.2020, prot. n. -OMISSIS- del 28.07.2020, recante la “Determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi – Provvedimento unico n. 4 del 28.07.2020” con il quale il Responsabile del Suape del Comune di -OMISSIS- «RITENUTO che sussistano i presupposti di fatto e di diritto per l'adozione di questo provvedimento negativo NON AUTORIZZA la ditta -OMISSIS- C.F. -OMISSIS- via -OMISSIS-09010 -OMISSIS- (SU), come meglio generalizzata nella precedente sezione A, alla realizzazione del progetto per la realizzazione di un nuovo ingresso e la recinzione di un lotto, ubicato lungo il proseguo di viale -OMISSIS- nel Comune di -OMISSIS- nell'immobile sito in Viale -OMISSIS- s.n.c. Comune -OMISSIS-, distinto al NCT Foglio n. 7 mappale -OMISSIS- come da elaborati di progetto a firma del Geom. -OMISSIS-, allegati al presente atto per farne parte integrante e sostanziale» (doc. 2);
   - di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso e, in particolare, per quanto occorra, del “Parere tecnico NEGATIVO” del Servizio Tecnico Settore Edilizia Privata del Comune di -OMISSIS- (L.R. n. 24/2016, art. 37, comma 5 - Direttive in materia di sportello unico per le attività produttive e per l'edilizia (SUAPE) 2019 Allegato A alla Delib. G.R. n. 49/19 del 05.12.2019), protocollo n. -OMISSIS- del 10.07.2020 (doc. 3);
nonché, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a., per la declaratoria dell'illegittimità e l'annullamento:
   - del diniego di accesso di cui alla nota del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune resistente prot. n. -OMISSIS- del 24.07.2020 (doc. 4) riferito alla visione e al rilascio di copia del verbale di “Relazione Tecnica di sopralluogo relativa all'attività di P.G. riferita a violazioni urbanistiche in comune di -OMISSIS- pressi località “-OMISSIS-” foglio 7 part. -OMISSIS- (Prot. N. -OMISSIS-/2020 depositato agli atti dell'Ente), sull'esito del sopralluogo eseguito in data 07.04.2020 in località -OMISSIS-, dal quale è emerso che le opere abusive risultano realizzate nel lotto distinto al N.C.T. foglio 7 mappale -OMISSIS-, consistevano in … omissis…”, richiesto dal ricorrente con istanza di accesso formulata in data 13.07.2020, prot. Comune -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 14.07.2020
e per l'accertamento:
   - del diritto del ricorrente ad ottenere il rilascio di copia e/o l'esibizione della documentazione e degli atti richiesti con la suddetta istanza,
e in ogni caso
   - affinché l'Ecc.mo TAR ordini il rilascio e/o l'esibizione del predetto documento richiesto dal ricorrente.
...
22. Il ricorso è in definitiva infondato e deve essere rigettato.
23. Le spese, stante la particolarità del caso sottoposto al Collegio e la cessazione della materia del contendere sulla domanda proposta ai sensi dell’art. 116 c.p.a., in cui il Comune è virtualmente soccombente, possono essere compensate tra le parti in causa.
24. Va difatti ricordato che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possono risultare connessi con i fatti oggetto di indagine. Solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una p.a. nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denuncia all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'Amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. n. 241 del 1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, stessa legge.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex art. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal c.p.p. (in questo senso, il condivisibile precedente del TAR Lazio, Roma, sez. II, 02.01.2020, n. 4) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 08.11.2021 n. 760 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVOROVa evidenziato, con riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori della società ricorrente, che secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato l’esclusione dall’accesso delle notizie acquisite nel corso dell'attività ispettiva prevista dall'art. 2 del D.M. 04.11.1994, n. 757 è limitata alle ipotesi in cui sussista un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori o per i terzi, sulla base di elementi di fatto concreti.
Pertanto all’amministrazione è rimessa non solo la ponderazione degli opposti interessi, ma anche la verifica, in concreto, del pericolo di azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei dichiaranti e che, conseguentemente, l’ipotesi di cui all'art. 3 del medesimo decreto deve di regola ritenersi insussistente allorché il rapporto di lavoro con tali soggetti sia cessato.
Nel caso di specie, l’interesse difensivo cui l’istanza di accesso è strumentale può esser soddisfatto –per espressa dichiarazione di parte ricorrente– anche limitando l’ostensione, ovvero rilasciando le nominate dichiarazioni previa cancellazione di tutti i dati che possano identificare le persone che li hanno resi.
Né assume rilievo l’obbligo di segreto ex art. 329 c.p.p. per essere i fatti oggetto degli illeciti amministrativi interessati da una contestuale indagine penale, obbligo peraltro invocato dall’amministrazione resistente solo in sede difensiva, atteso che il verbale unico di contestazione espressamente specifica che non sono state indicate le fonti di prova che attengono ad attività investigative di natura penale e che le dichiarazioni dei collaboratori costituiscono documenti utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. La mera trasmissione degli atti al vaglio del giudice penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi siano coperti da segreto né che questi siano sottratti all’accesso.
Infatti “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990”.
Conseguentemente, a fronte di un’esigenza di tutela ex articolo 24 della legge 241/1990 e non essendo configurabile in concreto la causa di esclusione all’accesso richiamata nel diniego impugnato, il provvedimento dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro va annullato e, per l'effetto, va ordinato all'amministrazione resistente di provvedere, ai sensi dell'art. 116, co. 4, c.p.a., al rilascio alla parte ricorrente delle dichiarazioni acquisite nel corso dell’accesso ispettivo, previamente anonimizzate.
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...   per l’accertamento
del diritto ad accedere a tutti gli atti e documenti richiamati:
   - nel verbale unico di accertamento e notificazione n. BS00000/2021-304-01 del 24/05/21,
   - nel verbale unico di accertamento e notificazione n. 2021001593/DDL del 24/05/2021,
dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia - processo servizi Utenza;
per l’annullamento
   - dei provvedimenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia - processo servizi Utenza, entrambi datati 01.07.2021, aventi ad oggetto: «istanza di accesso agli atti pervenuta in data 17.06.2021 ditta Ci.Wo.Gr. srl», e «istanza di accesso agli atti pervenuta in data 19.06.2021 ditta Ci.Wo.Gr. srl», con cui è stato negato l’accesso ai documenti di cui alle citate istanze, inoltrate a mezzo pec, e in particolare alle dichiarazioni rese dai collaboratori nel corso dell’accesso ispettivo e ai documenti indicati come fonte di prova del verbale unico di accertamento e notificazione n. BS00000/2021-304-01 del 24/05/21 e del verbale unico di accertamento e notificazione n. 2021001593/DDL del 24/05/2021;
e per la condanna
   - dell’Amministrazione a consentire l’accesso richiesto.
...
Ci.Wo.Gr. S.r.l. in data 03.06.2021 si è vista notificare dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia il verbale unico di accertamento e notificazione n. BS00000/2021-304-01 del 24/05/21 e il verbale unico di accertamento e notificazione n. 2021001593/DDL del 24/05/2021 (INPS), all’esito di un accertamento ispettivo iniziato in data 25/02/2021.
All’esponente sono ivi contestati illeciti amministrativi, in particolare l’erronea qualificazione giuridica dei contratti di lavoro con alcuni collaboratori e, per alcuni di essi, l’instaurazione di un rapporto di lavoro in assenza di comunicazione preventiva di assunzione, con conseguente applicazione di sanzioni e differenze contributive per l’importo complessivo di 136.186,65 euro.
Al dichiarato fine di esercitare il proprio diritto di difesa, in data 17.06.2021. la ricorrente ha presentato all’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia istanza di accesso alle dichiarazioni rese dai suoi collaboratori nel corso dell’accesso ispettivo, evidenziando che per 19 di essi il rapporto di lavoro è già cessato e per 2 non è mai esistito, nonché ai documenti indicati dalla ITL quali fonti di prova; quest’ultima richiesta è stata ribadita con pec del 19 giugno, ove la società ha richiesto di esercitare il diritto di accesso rispetto agli altri atti e fonti di prova del procedimento.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Ispettorato Territoriale del Lavoro di Brescia - processo servizi Utenza, con due provvedimenti datati 01.07.2021, ha negato l’accesso ai documenti di cui alle citate istanze.
Per quanto riguarda la richiesta di ostensione delle dichiarazioni rese dai lavoratori ai sensi dell’art. 13 della L. 689/1981, il diniego è motivato dall’applicazione dell’articolo 2, comma 1, lettera c), del D.M. 04/11/1994, n. 757, che sottrae all’accesso “i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
Per i restanti documenti richiesti, l’amministrazione ha opposto che gli stessi non sono stati specificati e individuati singolarmente nell’istanza e che pertanto la stessa risulta preordinata ad un inammissibile controllo generalizzato dell’operato dell’amministrazione, vietato dall’art. 24 L. 241/1990.
La ricorrente ha proposto ricorso ai sensi degli articoli 25 della legge 241/1990 e 116 c.p.a. avverso i nominati dinieghi, deducendone l’illegittimità per:
   - violazione dell’articolo 24, comma 7, della legge 241/1990, che garantisce l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici, in ragione dell’imminente scadenza del termine per ricorrere ex articolo 414 c.p. avanti al giudice civile e della necessità di presentare già con l’atto di opposizione tutte le sue difese, evidenziando che la documentazione qui richiesta verrà comunque integralmente prodotta dall’ITL avanti il Tribunale civile nel caso proponga ricorso giudiziale, atteso che ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 150/2011 con il decreto di fissazione udienza ex art. 415 c.p.c. il Giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione;
   - Violazione dell’articolo 3 della legge 241/1990, travisamento di fatto e di diritto, falsità del presupposto, perché la motivazione del diniego all’ostensione delle dichiarazioni dei collaboratori non tiene conto del consolidato orientamento giurisprudenziale che nega la possibilità di invocare la causa di esclusione di cui al DM 757/1994 per le ipotesi in cui i rapporti di lavoro siano già interrotti;
   - Violazione dell’articolo 3 della legge 241/1990, travisamento di fatto e di diritto, falsità del presupposto, con riferimento all’istanza di accesso alle altre fonti di prova, in quanto ancorché i documenti richiesti non siano stati elencati, gli stessi sono identificabili tramite l’inequivoco riferimento al verbale unico di accertamento;
   - Violazione dell’articolo 1, comma 1, e dell’articolo 3, comma 1 e 3, della legge 241/1990, perché conclusi gli accertamenti ispettivi, e quindi la fase sottratta al contraddittorio con il soggetto interessato, deve essere consentito alla parte che ne è destinataria di valutare la congruità delle conclusioni sulla base non solo delle motivazioni del provvedimento, ma anche delle risultanze istruttorie.
La ricorrente ha formulato istanza cautelare, rappresentando l’urgenza di disporre dei documenti richiesti ai fini di proporre ricorso avanti al Tribunale civile in ragione dei termini ridotti e della necessità, secondo il rito del lavoro applicabile alle opposizioni alle ordinanze ingiunzioni ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 150/2011, di presentare tutte le sue difese già con l’atto di opposizione.
Con decreto Presidenziale n. 206 di data 12.07.2021 è stato assegnato all’Amministrazione resistente termine fino alle ore 24.00 del 15.07.2021 per controdedurre sull’istanza cautelare, mediante deposito di memoria e documenti, riservando all’esito la decisione sull’istanza stessa.
Nel termine assegnato l’Amministrazione ha effettuato una produzione documentale, ma non ha svolto difese sulla richiesta cautelare; parimenti con successiva memoria di data 19.07.2021 l’amministrazione non si è espressa sull’istanza cautelare, ma ha ribadito la legittimità del diniego all’accesso.
La causa è stata chiamata all’udienza camerale del 29.07.2021.
Nel corso della discussione orale tenutasi da remoto la difesa della società ricorrente ha confermato l’interesse al ricorso e alla pronuncia sull’istanza cautelare, chiedendo la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata e ribadendo che anche il rilascio dei documenti in forma anonimizzata sarebbe interamente satisfattivo dell’interesse azionato.
Il Collegio ha trattenuto in decisione il ricorso, ritenendo sussistenti i presupposti per una definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 116 c.p.a., considerato che il contraddittorio si è pienamente spiegato, che la causa è matura per la decisione, che parte ricorrente ha allegato oggettive ragioni di urgenza.
Il gravame è fondato nei limiti di seguito indicati.
Va evidenziato, con riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori della società ricorrente, che secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato l’esclusione dall’accesso delle notizie acquisite nel corso dell'attività ispettiva prevista dall'art. 2 del D.M. 04.11.1994, n. 757 è limitata alle ipotesi in cui sussista un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori o per i terzi, sulla base di elementi di fatto concreti. Pertanto all’amministrazione è rimessa non solo la ponderazione degli opposti interessi, ma anche la verifica, in concreto, del pericolo di azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei dichiaranti e che, conseguentemente, l’ipotesi di cui all'art. 3 del medesimo decreto deve di regola ritenersi insussistente allorché il rapporto di lavoro con tali soggetti sia cessato (Cons. Stato Sez. III, 09.12.2020, n. 7801; TAR Umbria, Sez. I, 10.02.2020, n. 55).
Nel caso di specie, a fronte di contestazioni che riguardano anche la sussistenza di rapporti di lavoro non previamente comunicati, l’interesse difensivo cui l’istanza di accesso è strumentale può esser soddisfatto –per espressa dichiarazione di parte ricorrente– anche limitando l’ostensione, ovvero rilasciando le nominate dichiarazioni previa cancellazione di tutti i dati che possano identificare le persone che li hanno resi, circostanza che rende irrilevante la sussistenza ab origine ovvero la permanenza di un rapporto di lavoro degli stessi con la parte ricorrente.
Né assume rilievo l’obbligo di segreto ex art. 329 c.p.p. per essere i fatti oggetto degli illeciti amministrativi interessati da una contestuale indagine penale, obbligo peraltro invocato dall’amministrazione resistente solo in sede difensiva, atteso che il verbale unico di contestazione espressamente specifica che non sono state indicate le fonti di prova che attengono ad attività investigative di natura penale e che le dichiarazioni dei collaboratori costituiscono documenti utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. La mera trasmissione degli atti al vaglio del giudice penale, in assenza di un atto di sequestro, non comporta che gli stessi siano coperti da segreto né che questi siano sottratti all’accesso.
Infatti “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990” (TAR Catania, sez. III, 01/02/2017, n. 229; TAR Sicilia-Palermo Sez. I, 20/05/2020, n. 1006).
Conseguentemente, a fronte di un’esigenza di tutela ex articolo 24 della legge 241/1990 e non essendo configurabile in concreto la causa di esclusione all’accesso richiamata nel diniego impugnato, il provvedimento ITL_BS.REGISTRO UFFICIALE.2021.0021143 va annullato e, per l'effetto, va ordinato all'amministrazione resistente di provvedere, ai sensi dell'art. 116, co. 4, c.p.a., al rilascio alla parte ricorrente delle dichiarazioni acquisite nel corso dell’accesso ispettivo, previamente anonimizzate, entro cinque giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.
Il ricorso è invece infondato con riguardo alla seconda richiesta formulata dalla parte ricorrente, riferita ai documenti indicati come fonte di prova, respinta con provvedimento ITL_BS.REGISTRO UFFICIALE.2021.0021192.
La domanda di accesso ivi formulata infatti è inammissibilmente generica, laddove non si intenda riferita alle fonti di prova espressamente indicate dal verbale unico di accertamento e notificazione; queste -peraltro- sono individuate precisamente in tale atto (pag. 15 e 16) e consistono in documenti che, ad eccezione delle dichiarazioni rese dai collaboratori, di cui si è già trattato, sono tutti formati o comunque detenuti dalla stessa parte ricorrente (visura camerale, comunicazioni inviate al centro per l’impiego, libro unico del lavoro, verbale di primo accesso ispettivo, contratti di lavoro stipulati, bonifici emessi dal datore di lavoro, diffide, libro giornale anno 2019, schede contabili relative alle “prestazioni occasionali” e alle “ritenute di terzi” (anno 2020), F24 di pagamento ritenute di acconto, registro delle presenze del mese di febbraio 2021, script di presentazione utilizzato dagli operatori del call center, DVR datato 26/03/2021), per i quali -quindi- difetta un concreto interesse all’ostensione.
Conseguentemente la corrispondente domanda di annullamento non può trovare accoglimento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.07.2021 n. 708 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALILa giurisprudenza amministrativa è unanime nell’affermare che i consiglieri comunali vantano un incondizionato diritto di accesso –prevalente anche sull’eventuale diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti- a tutti gli atti che possono essere utili all'espletamento delle loro funzioni.
Ciò anche al fine di valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio oltre che per promuovere, nell'ambito di quest’ultimo, tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di cui all’art. 43 citato T.U.E.L. presenta, dunque, una ratio diversa da quella che contraddistingue l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 -riconosciuto a chiunque sia portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso- in quanto strettamente funzionale all'esercizio del munus pubblico di consigliere comunale e, quindi, alla verifica ed al controllo dell’operato degli organi decisionali dell'ente locale, quale espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.
Siffatto diritto, quindi, al fine di «evitare che sia la stessa Amministrazione a diventare arbitro dell'ambito del controllo sul proprio operato […] non incontra alcuna limitazione in relazione alla eventuale natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d'ufficio ex art. 622 cod. pen., e alla necessità di fornire la motivazione della richiesta. In definitiva gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso».
Ancor più di recente è stato ribadito che: «La giurisprudenza, con un sufficiente grado di stabilità, ha ritenuto che i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotto una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale; dal termine "utili" contenuto nel prima ricordato art. 43 non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo servendo in realtà a garantire l'estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l'esercizio del mandato.
Ciò in quanto il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda solamente le competenze attribuite al Consiglio comunale, ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di consentire la valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale.
Corollario di tale impostazione è che non può essere legittimamente opposto un diniego sull'istanza di accesso dei consiglieri motivato con riferimento alla esigenza di assicurare la riservatezza dei dati contenuti nei documenti richiesti e dunque il diritto alla privacy di soggetti terzi, in quanto, con riguardo all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale esigenza è salvaguardata dall'art. 43, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi.
La natura del diritto (soggettivo pubblico) di accesso dei consiglieri comunali e le prerogative allo stesso connesse comporta, per un'esigenza di coerenza dell'ordinamento, riflessi anche sul piano processuale, invero in poche occasioni approfonditi in sede applicativa, ma che inducono a condividere l'assunto dell'appellante, secondo cui nella materia dell'accesso dei consiglieri comunali non è configurabile una posizione di controinteresse in capo al soggetto portatore dell'interesse alla riservatezza.
Si intende cioè osservare che, non contemplando il diritto di accesso del consigliere comunale i vincoli e le limitazioni previsti dalla disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990 (ed in particolare quelli relativi alla riservatezza dei terzi), neppure in sede processuale assume rilievo la posizione del terzo che potrebbe opporsi all'accesso, e pertanto non è configurabile alcun controinteressato».
...
L’applicazione dei principi testé esposti al caso in esame conduce all’accertamento giurisdizionale del diritto degli odierni ricorrenti ad avere accesso, per come dagli stessi richiesto, a tutti gli atti e documenti di cui ai fascicoli edilizi, di condono edilizio e di vigilanza edilizia relativi al complesso immobiliare di proprietà -OMISSIS-, in Catasto al -OMISSIS-, -OMISSIS-, in quanto oggetto di una segnalazione in ordine a possibili abusi e ciò allo scopo di vigilare in ordine alla correttezza dell’attività amministrativa fin qui posta in essere.
L’istanza ostensiva in parola, oltre a soddisfare la ratio legis sottesa all’art. 43, comma 2, citato T.U.E.L. è, inoltre, assentibile anche in quanto precisa, puntuale e, come tale, non comportante alcun aggravio per gli uffici comunali i quali ben possono –rectius devono- evaderla senza alcun differimento di sorta.
Il sostanziale rifiuto di evadere la richiesta ostensiva in questione non può, peraltro, trovare giustificazione nell’asserita esistenza -peraltro evidenziata soltanto in giudizio dalla difesa dell’ente– del segreto istruttorio di cui all’art. art. 329, comma 1, c.p.p.
Ed invero, innanzitutto, dalla produzione documentale agli atti del giudizio si evince la mera pendenza, avuto riguardo al compendio immobiliare -OMISSIS-, di un procedimento di vigilanza urbanistico-edilizia, azionato dall’Ufficio Tecnico comunale in sinergia con la Polizia Municipale, rientrante nell’ordinaria sfera di competenza dell’ente locale, secondo quanto disposto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale: «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi».
Risulta, inoltre, che l’amministrazione stia valutando le risultanze di siffatta attività di vigilanza a valle della quale redigerà una relazione finale in cui darà conto degli eventuali abusi riscontrati e dell’eventuale rilevanza penale degli stessi, con i connessi obblighi di informazione nei confronti dell’Autorità Giudiziaria penale.
L’attività di vigilanza in parola, non essendo qualificabile in termini di attività di indagine penale, tale dovendosi ritenere, a mente dell’art. 329 c.p.p., esclusivamente quella compiuta dal “pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”, è doverosamente ostensibile, per le ragioni sopra esposte, nei confronti dei consiglieri comunali istanti.
A tale conclusione si dovrebbe giungere anche nel caso in cui, a valle della chiusura di siffatto procedimento amministrativo di vigilanza, l’ente dovesse determinarsi a trasmettere all’Autorità Giudiziaria Penale i relativi atti istruttori e provvedimentali, successivamente adottati.
Ed invero, l’eventuale migrazione di tali atti nel fascicolo del procedimento penale che dovesse essere, conseguentemente, avviato non sarebbe idonea a modificare la natura “amministrativa” degli accertamenti compiuti dall’ente i quali, non essendo stati realizzati né dal pubblico ministero né dalla polizia giudiziaria, continuerebbero a rimanere ostensibili dal Comune anche in pendenza di siffatto procedimento penale, giacché non “coperti” dal cd. segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p.
Quanto sopra trova riscontro in quel condivisibile orientamento anche di questo Tribunale, secondo cui «L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990"».
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... per l’annullamento:
   - della nota prot. n. 9372 del 22.02.2021, a firma del Dirigente Arch. Ma. Di St., di diniego dell'istanza di accesso agli atti;
   - della nota prot. n. 10003 del 24.02.2021 a firma del Dirigente Arch. Ma. Di St., di diniego dell'istanza di accesso agli atti e di conclusione del procedimento.
per l'accertamento:
   - dell’illegittimità del diniego di accesso agli atti;
e per la condanna:
   - dell'Amministrazione intimata a consentire l'accesso mediante visione ed estrazione di copie di atti e documenti relativi alla richiesta formulata in data 18.11.2020, prot. n. 52706.
...
1. Con ricorso tempestivamente notificato e depositato in data 24.03.2021, i ricorrenti, nella espressa qualità di consiglieri comunali del Comune di Cerveteri, mercé l’impugnazione delle note comunali in epigrafe indicate, di contenuto sostanzialmente reiettivo, hanno chiesto l’accertamento giurisdizionale del proprio diritto ad avere accesso, ai sensi dell’art. 43, comma 2, D.lgs. n. 267/2002, ai documenti amministrativi appresso indicati, relativi a taluni interventi edilizi, residenziali e non, insistenti nel territorio comunale di Cerveteri, in area contraddistinta al -OMISSIS-, -OMISSIS-(località -OMISSIS- di -OMISSIS-) di proprietà della famiglia -OMISSIS-, in quanto oggetto di segnalazioni anonime che ne denunciano il carattere abusivo:
   1) Visura e copia conforme originale della regolare licenza di costruzione degli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
   2) Visura e copia conforme originale di eventuale condono o condoni inerenti gli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
   3) Visura e copia conforme originale di eventuali verbali di sopralluogo della polizia edilizia (Polizia locale), avvenuto accertamento, sanzioni e ordinanze con relativa trasmissione alle Autorità di competenza inerenti ai presunti abusi edilizi, riguardanti varie costruzioni residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
   4) Visura e copia conforme originale di eventuali procedure e azioni finalizzate alla demolizione e/o all’acquisizione al Patrimonio Pubblico, messe in atto dal competente Ufficio Urbanistica e dalla Polizia Locale di Cerveteri, inerenti i presunti abusi edilizi riguardanti varie costruzioni residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina in allegato presente nella pervenuta segnalazione denuncia);
   5) Visura e copia conforme originale, se esistenti, di eventuali ordinanze, procedure, denunce, atti e/o azioni con i quali, a fronte della eventuale constatazione di presunti abusi edilizi, riguardanti varie costruzioni residenziali e non presenti su -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri, sono stati perseguiti gli eventuali responsabili debitamente individuati dai soggetti coinvolti e dalle competenti Autorità.
2. A fronte dell’istanza in parola, l’amministrazione comunale forniva ai ricorrenti dati ed informazioni ritenuti parziali rispetto all’oggetto di ostensione.
Più precisamente, a mezzo pec del 24.02.2021, il Responsabile della Polizia Municipale informava i ricorrenti che gli accertamenti in ordine a possibili violazioni della vigente disciplina urbanistico-edilizia nell’area del territorio comunale attenzionata erano ancora in corso e che si era in attesa che l’Ufficio Tecnico, a valle dell’attività di vigilanza, redigesse una relazione finale ricognitiva dell’esistenza di eventuali abusi che, ove esistenti, sarebbero stati perseguiti, mediante l’adozione delle correlate misure di cui gli istanti sarebbero stati informati.
3. Il gravame risulta affidato a plurimi motivi di diritto, tutti sostanzialmente tendenti all’affermazione del proprio diritto, nella qualità di consiglieri comunali, ad avere accesso incondizionato a tutti gli atti richiesti, attinenti la realizzazione di possibili abusi edilizi, in quanto utili all’espletamento del loro mandato, anche al fine di vigilare sulla correttezza, trasparenza ed efficienza dell’agere dell’ente locale, secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 2, D.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.).
4. Il Comune di Cerveteri ha resistito al gravame mediante articolate deduzioni difensive, tendenti a contestare il diritto dei ricorrenti ad avere accesso agli atti dei fascicoli edilizi relativi agli interventi attenzionati dall’amministrazione, all’uopo opponendo, per un verso, l’inesistenza di parte della documentazione richiesta, avuto specifico riguardo alle misure sanzionatorie eventualmente già adottate, e, per l’altro, il segreto istruttorio cui sarebbero tenuti la Polizia Municipale e l’Ufficio Urbanistica in relazione agli accertamenti in corso.
5. In data 21.05.2021, la difesa dell’ente ha depositato nota prot. n. 25063 del 20.05.2021, con cui il Comandante della Polizia Municipale ha notiziato i ricorrenti in ordine alle date dei sopralluoghi effettuati, congiuntamente a personale dell’Ufficio Tecnico, presso il complesso edilizio di proprietà -OMISSIS-, tra i -OMISSIS-, ribandendo il differimento dell’accesso all’esito dell’elaborazione delle relative risultanze che sarebbero state compendiate nella “specifica relazione tecnica” finale.
6. In occasione della camera di consiglio dell’01.06.2021, in vista della quale i ricorrenti hanno insistito nelle proprie richieste ostensive, ritenendole non soddisfatte dalle comunicazioni interlocutorie inoltrate dall’amministrazione, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. Il ricorso è fondato.
8. L’accertamento del diritto dei consiglieri comunali, odierni ricorrenti, ad avere accesso a tutti gli atti e documenti amministrativi richiesti, di fatto coincidenti con tutti quelli inerenti i fascicoli edilizi, di condono edilizio nonché di vigilanza edilizia relativi agli edifici di proprietà -OMISSIS-, insistenti sull’area contraddistinta in Catasto al -OMISSIS-, -OMISSIS- del territorio comunale di Cerveteri, passa dalla preliminare ricognizione della ratio sottesa alla disposizione normativa di cui all’art. 43, comma 2, D.lgs. n. 267/2000, a norma della quale «I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge».
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, è unanime nell’affermare che i consiglieri comunali vantano un incondizionato diritto di accesso –prevalente anche sull’eventuale diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dalle istanze ostensive, tenuto conto del segreto d’ufficio cui gli stessi sono tenuti- a tutti gli atti che possono essere utili all'espletamento delle loro funzioni.
Ciò anche al fine di valutare la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio oltre che per promuovere, nell'ambito di quest’ultimo, tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
8.1 Il diritto di cui all’art. 43 citato T.U.E.L. presenta, dunque, una ratio diversa da quella che contraddistingue l’accesso ai documenti amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 -riconosciuto a chiunque sia portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso- in quanto strettamente funzionale all'esercizio del munus pubblico di consigliere comunale e, quindi, alla verifica ed al controllo dell’operato degli organi decisionali dell'ente locale, quale espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.
Siffatto diritto, quindi, al fine di «evitare che sia la stessa Amministrazione a diventare arbitro dell'ambito del controllo sul proprio operato […] non incontra alcuna limitazione in relazione alla eventuale natura riservata degli atti, stante il vincolo al segreto d'ufficio ex art. 622 cod. pen., e alla necessità di fornire la motivazione della richiesta. In definitiva gli unici limiti all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali possono rinvenirsi, per un verso, nel fatto che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che esso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso» (così TAR Sicilia, Catania, sez. I, 04/05/2020, n. 926; cfr. anche, TAR Piemonte, Torino, sez. II, 01/03/2021, n. 215; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 20/01/2020, n. 16).
Ancor più di recente è stato ribadito che: «La giurisprudenza, con un sufficiente grado di stabilità, ha ritenuto che i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Di conseguenza sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotto una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio del mandato del consigliere comunale; dal termine "utili" contenuto nel prima ricordato art. 43 non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, detto aggettivo servendo in realtà a garantire l'estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l'esercizio del mandato (così, tra le tante, Cons. Stato, V, 17.09.2010, n. 6963).
Ciò in quanto il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda solamente le competenze attribuite al Consiglio comunale, ma, essendo riferito all'espletamento del mandato, investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni, al fine di consentire la valutazione della correttezza ed efficacia dell'operato dell'amministrazione comunale.
Corollario di tale impostazione è che non può essere legittimamente opposto un diniego sull'istanza di accesso dei consiglieri motivato con riferimento alla esigenza di assicurare la riservatezza dei dati contenuti nei documenti richiesti e dunque il diritto alla privacy di soggetti terzi, in quanto, con riguardo all'esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale esigenza è salvaguardata dall'art. 43, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi (Cons. Stato, V, 11.12.2013, n. 5931).
La natura del diritto (soggettivo pubblico) di accesso dei consiglieri comunali e le prerogative allo stesso connesse comporta, per un'esigenza di coerenza dell'ordinamento, riflessi anche sul piano processuale, invero in poche occasioni approfonditi in sede applicativa, ma che inducono a condividere l'assunto dell'appellante, secondo cui nella materia dell'accesso dei consiglieri comunali non è configurabile una posizione di controinteresse in capo al soggetto portatore dell'interesse alla riservatezza.
Si intende cioè osservare che, non contemplando il diritto di accesso del consigliere comunale i vincoli e le limitazioni previsti dalla disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990 (ed in particolare quelli relativi alla riservatezza dei terzi), neppure in sede processuale assume rilievo la posizione del terzo che potrebbe opporsi all'accesso, e pertanto non è configurabile alcun controinteressato
» (così Consiglio di Stato sez. V, 19/04/2021, n. 3161).
9. L’applicazione dei principi testé esposti al caso in esame conduce all’accertamento giurisdizionale del diritto degli odierni ricorrenti ad avere accesso, per come dagli stessi richiesto, a tutti gli atti e documenti di cui ai fascicoli edilizi, di condono edilizio e di vigilanza edilizia relativi al complesso immobiliare di proprietà -OMISSIS-, in Catasto al -OMISSIS-, -OMISSIS-, in quanto oggetto di una segnalazione in ordine a possibili abusi e ciò allo scopo di vigilare in ordine alla correttezza dell’attività amministrativa fin qui posta in essere (in tema di accesso dei consiglieri comunali agli atti di cui alle pratiche edilizie, si veda TAR Puglia, Bari, sez. III, 04/06/2019, n. 795).
10. L’istanza ostensiva in parola, oltre a soddisfare la ratio legis sottesa all’art. 43, comma 2, citato T.U.E.L. è, inoltre, assentibile anche in quanto precisa, puntuale e, come tale, non comportante alcun aggravio per gli uffici comunali i quali ben possono –rectius devono- evaderla senza alcun differimento di sorta.
Il sostanziale rifiuto di evadere la richiesta ostensiva in questione non può, peraltro, trovare giustificazione nell’asserita esistenza -peraltro evidenziata soltanto in giudizio dalla difesa dell’ente– del segreto istruttorio di cui all’art. art. 329, comma 1, c.p.p.
Ed invero, innanzitutto, dalla produzione documentale agli atti del giudizio si evince la mera pendenza, avuto riguardo al compendio immobiliare -OMISSIS-, di un procedimento di vigilanza urbanistico-edilizia, azionato dall’Ufficio Tecnico comunale in sinergia con la Polizia Municipale, rientrante nell’ordinaria sfera di competenza dell’ente locale, secondo quanto disposto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale: «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi».
Risulta, inoltre, che l’amministrazione stia valutando le risultanze di siffatta attività di vigilanza, espletata nel corso dei sopralluoghi del 18.02.2021, 04.03.2001 e 20.05.2001, a valle della quale redigerà una relazione finale in cui darà conto degli eventuali abusi riscontrati e dell’eventuale rilevanza penale degli stessi, con i connessi obblighi di informazione nei confronti dell’Autorità Giudiziaria penale.
10.1 L’attività di vigilanza in parola, non essendo qualificabile in termini di attività di indagine penale, tale dovendosi ritenere, a mente dell’art. 329 c.p.p., esclusivamente quella compiuta dal “pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria”, è doverosamente ostensibile, per le ragioni sopra esposte, nei confronti dei consiglieri comunali istanti.
A tale conclusione si dovrebbe giungere anche nel caso in cui, a valle della chiusura di siffatto procedimento amministrativo di vigilanza, l’ente dovesse determinarsi a trasmettere all’Autorità Giudiziaria Penale i relativi atti istruttori e provvedimentali, successivamente adottati.
Ed invero, l’eventuale migrazione di tali atti nel fascicolo del procedimento penale che dovesse essere, conseguentemente, avviato non sarebbe idonea a modificare la natura “amministrativa” degli accertamenti compiuti dall’ente i quali, non essendo stati realizzati né dal pubblico ministero né dalla polizia giudiziaria, continuerebbero a rimanere ostensibili dal Comune anche in pendenza di siffatto procedimento penale, giacché non “coperti” dal cd. segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p.
Quanto sopra trova riscontro in quel condivisibile orientamento anche di questo Tribunale, secondo cui «L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990" (TAR Catania, (Sicilia) sez. III, 01/02/2017, n. 229)» (così TAR Lazio-Roma, sez. II, 02/01/2020, n. 4).
11. Sulla scorta delle superiori considerazioni, il ricorso è fondato, con conseguente accertamento del diritto dei consiglieri comunali ricorrenti ad avere visione ed estrarre copia degli atti e documenti richiesti con l’istanza del 18.11.2020, prot. n. 52706 appresso indicati, ove esistenti:
   - Visura e copia conforme originale della regolare licenza di costruzione degli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina allegata pervenuta segnalazione denuncia);
   - Visura e copia conforme originale di eventuale condono o condoni inerenti gli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri (come da piantina allegata alla segnalazione denuncia);
   - Visura e copia conforme all’originale di tutti i verbali relativi ai sopralluoghi fin qui posti in essere presso gli immobili realizzati sulla -OMISSIS--OMISSIS- in località -OMISSIS- di -OMISSIS- nella via di -OMISSIS- del Comune di Cerveteri, allo stato indicati dal Comune in relazione degli accessi del 18.02.2021; 04.03.2021 e 20.05.2021, e di quelli eventualmente a venire.
Con espressa declaratoria del diritto dei ricorrenti ad avere copia, già richiesta, della relazione conclusiva che verrà elaborata a chiusura della suddetta attività di vigilanza edilizia nonché degli eventuali provvedimenti repressivo-sanzionatori che l’amministrazione ritenesse di adottare, con eventuale nota di trasmissione alle Autorità di competenza.
11.2 Va, dunque, ordinato al Comune di Cerveteri di esibire gli atti sopra indicati, anche mediante estrazione di copia, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione, se anteriore, della presente sentenza ovvero dall’intervenuta formazione degli stessi (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 21.06.2021 n. 7338 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAccesso ai documenti già trasmessi all’autorità giudiziaria penale.
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Accesso ai documenti – Diritto - Documenti già trasmessi all’autorità giudiziaria penale – Accessibilità.
E’ illegittimo il diniego di ostensione di documento o registrazioni audio motivata sul rilievo che gli stessi sono stati già acquisti dalla autorità giudiziaria ai quali possono essere chiesti attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro settore regolatorio, e ciò in quanto l’art. 2, l. n. 241 del 1990 non contempla tra i casi di esclusione del diritto di accesso, la contemporanea detenzione del documento da parte di altra amministrazione o autorità dello Stato (1).
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   (1) Ha chiarito il Tar che qualora un atto o documento la cui visione sia strumentale alla tutela di una posizione giuridicamente rilevante ai sensi della l. n. 241 del 1990, formi oggetto anche di disciplina –e tutela, nella ricorrenza delle relative condizioni– in altri rami del diritto, nei quali l’accesso è sottoposto a differente regolamentazione e a presupposti e condizioni differenti, l’amministrazione detentrice del medesimo atto assoggettata all’accesso ex l. n. 241 del 1990, non può sottrarsi ai suoi obblighi di ostensione (ove predicabili a termini degli artt. 22, ss. l. cit.) solo perché l’atto stesso formi oggetto anche di tutela e disciplina in altri ambiti dell’ordinamento.
Ambedue i settori dell’ordinamento disciplinano, infatti, autonomamente il diritto di accesso sulla base di regole proprie che ammettono o escludono il diritto di accedere al medesimo documento, senza reciproche interferenze o ingerenze poiché quelle regole, interne a ciascuno dei due settori ordinamentali di disciplina del diritto di accesso, costituiscono due distinti ed indipendenti microcosmi.
La ragione che sottende la previsione, in ciascun settore, di distinte e parallele regolamentazioni dell’accesso allo stesso documento o atto, risiede nel fatto che esso presenta diversi livelli di interesse per l’ordinamento giuridico, il quale proprio in ragione della contestuale rilevanza del documento nei due distinti settori, contempla e detta due autonome regolamentazioni delle condizioni, dei presupposti e delle esclusioni del diritto di accedere al medesimo atto, senza che, tuttavia, l’ordinamento avverta l’esigenza di consentire l’esercizio del diritto stesso in via alternativa, imponendo, cioè, al privato di avvalersi dell’uno o dell’altro canale ordinamentale per accedere al medesimo documento.
L’esistenza di due diversi settori di regolamentazione dell’accesso al medesimo documento è, infatti, indice della contemporanea rilevanza dello stesso documento (e degli interessi che l’esercizio di esso involge) per i due settori ordinamentali, non certo della vicendevole esclusione dei due livelli di tutela di modo che l’amministrazione possa negare il diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241 del 1990 perché il documento è accessibile al privato interessato attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro settore regolatorio.
Il plesso normativo definito agli artt. 22 e seguenti della legge sul procedimento –e relativi regolamenti attuativi– si connota infatti per autosufficienza regolatoria: non può, invero, la p.a. opporre al privato, per l’accesso ad un atto da essa formato o detenuto, la concomitante previsione di un differente e parallelo corpus di disciplina, del diritto d’accesso allo stesso documento, dettato da un altro settore ordinamentale.
L’ammissione o l’esclusione del diritto di accedere a un documento vanno infatti rinvenute interamente nel corpus normativo del Capo V della l. 07.08.1990, n. 241, il quale come precisato, è caratterizzato da un principio che può essere definito di autosufficienza regolatoria, nel senso che la regula iuris in forza della quale consentire o escludere il diritto all’accesso va ricercata unicamente nelle disposizioni dettate dagli artt. 22 e ss. della legge; nei quali, invero non è menzionata, tra le ipotesi di esclusione del diritto di accesso contemplate all’art. 24 dedicato appunto alla “Esclusione del diritto di accesso” l’esistenza di una parallela previsione di altro ramo dell’ordinamento del diritto di accedere allo stesso documento.
La Sezione ha quindi concluso che non può l’amministrazione detentrice del documento oggetto della richiesta di accesso del privato, nella specie la RAI, opporre che quel documento –nella specie la fonoregistrazione- è stato acquisito dall’autorità giudiziaria requirente o ad essa trasmesso, alla quale quindi l’istante debba rivolgersi assoggettandosi conseguentemente alla regolamentazione dettata dal Codice di procedura penale, che consente all’indagato di accedere agli atti del fascicolo del pubblico ministero solo dopo la chiusura delle indagini e il relativo avviso (art. 415-bis c.p.) e alla persona offesa dal reato dopo la presentazione della richiesta di archiviazione e il relativo avviso (art. 408, comma 3, c.p.p.).
Non risulta infatti, ad avviso della Sezione, condivisibile, ad attento esame del disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 24, l. n. 241 del 1990 l’orientamento non recente della giurisprudenza, secondo cui “non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, etc. in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente (Cfr., da ultimo Tar Palermo n. 60 del 18.01.2005)” (Tar Lazio, sez. II-quater, 14.05.2007, n. 4346).
Invero, l’esclusione del diritto di accesso nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6, e disciplinate con l’apposito regolamento governativo da esso previsto, qualora i documenti costituiscano oggetto di indagine penale (ipotesi indicata alla lett. c) del comma 6 in esame) è già contemplata, a mente di tale comma, in ben definiti termini restrittivi, vale a dire “quando i documenti riguardino…le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative (…), all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Posta siffatta regola di esclusione, già enunciata in termini di stretta strumentalità all’identità delle fonti di informazione e all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, il successivo comma 7 dell’art. 24, l. n. 241 del 1990, contrappone comunque a tale già tassativa esclusione, una rilevante eccezione, prevedendola come operante in via generale ogni qualvolta la conoscenza dei documenti amministrativi sia necessaria per curare o difendere interessi giuridici dei richiedenti l’accesso (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.06.2021 n. 6756 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
3. Sintetizzando il contenuto dell’istanza di accesso all’esame del Collegio, può precisarsi che con essa il dott. -OMISSIS- chiedeva che gli venisse dato accesso:
   - al testo della registrazione audio (che gli è stata fatta meramente, senza preavviso e solo per una volta, ascoltare dal Dott. -OMISSIS-, suo -OMISSIS- -OMISSIS-, nel corso dell’incontro del 16.10.2019), con la quale è stata carpita da qualcuno, a sua insaputa e quindi ovviamente senza il suo consenso, e poi sempre abusivamente inoltrata al Dott. -OMISSIS-, una conversazione del 10.10.2019 in cui lo stesso Dott. -OMISSIS-, nei locali della Redazione RAI in cui presta servizio, parlava del suo -OMISSIS-, criticandone l’operato in relazione ad uno specifico episodio lavorativo;
   - alla nota scritta che il Dott. -OMISSIS-, nella sua qualità di -OMISSIS- della testata RAI cui il Dott. -OMISSIS- appartiene, ha redatto in relazione a tale registrazione audio ed inviato ai competenti Organi della RAI;
   - ad ogni altro eventuale documento, ad uso sia interno sia esterno, che la RAI abbia formato in relazione all’episodio in questione.
3.1. Conviene anticipare che trattasi di atti che si connotano per una indubbia inerenza e attinenza nonché per un immediato collegamento con profili organizzativi della gestione del servizio pubblico televisivo, contrariamente a quanto la difesa della RAI ha sostenuto nella memoria difensiva prodotta il 28.12.2020 nonché nel corso della discussione di Camera di consiglio svoltasi in videoconferenza da remoto.
Il che ad avviso del Collegio impone l’accoglimento del ricorso anche a voler seguire la riduttiva e restrittiva opzione che la RAI propugna in ordine all’interpretazione della condizione limitante l’assoggettamento dei soggetti privati alla disciplina dell’accesso per via dell’assimilazione dei medesimi alle pubbliche amministrazioni disegnata all’art. 22, co. 1, lett. e), della l. 07.08.1990, n. 241.
Alle argomentazioni che seguono è affidata la compiuta illustrazione delle ragioni di diritto, con richiamo alle notazioni di fatto appuntate sul contenuto dell’istanza per cui è causa, che inducono alla formulazione della tratteggiata conclusione.
4. Deve anzitutto essere chiarito che
il diritto di accesso ai documenti e agli atti formati o stabilmente detenuti da una pubblica amministrazione o da un privato gestore di un pubblico servizio non può ritenersi a priori escluso o da escludere qualora l’ordinamento giuridico complessivamente considerato appresti, in altri settori, strumenti paralleli ed alternativi, retti da apposite regole, che prevedano il diritto per il privato di accedere agli atti che lo interessano, stabilendo all’uopo condizioni e presupposti, di talché possa fondatamente sostenersi che egli, ove l’accesso ad essi cada sotto la disciplina di quel determinato ordinamento, sia tenuto ad azionare il diritto d’accesso sulla base di tale specifica disciplina di settore e non possa, quindi, avvalersi del diritto d’accesso normato dagli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990.
Qualora, infatti, un atto o documento la cui visione sia strumentale alla tutela di una posizione giuridicamente rilevante ai sensi della l. n. 241/1990, formi oggetto anche di disciplina -e tutela, nella ricorrenza delle relative condizioni– in altri rami del diritto, nei quali l’accesso è sottoposto a differente regolamentazione e a presupposti e condizioni differenti, l’amministrazione detentrice del medesimo atto assoggettata all’accesso ex l. 241/1990, non può sottrarsi ai suoi obblighi di ostensione (ove predicabili a termini degli artt. 22, ss. l. cit.) sol perché l’atto stesso formi oggetto anche di tutela e disciplina in altri ambiti dell’ordinamento.

4.1.
Ambedue i settori dell’ordinamento disciplinano, infatti, autonomamente il diritto di accesso sulla base di regole proprie che ammettono o escludono il diritto di accedere al medesimo documento, senza reciproche interferenze o ingerenze poiché quelle regole, interne a ciascuno dei due settori ordinamentali di disciplina del diritto di accesso, costituiscono due distinti ed indipendenti microcosmi.
La ragione che sottende la previsione, in ciascun settore, di distinte e parallele regolamentazioni dell’accesso allo stesso documento o atto, risiede nel fatto esso presenta diversi livelli di interesse per l’ordinamento giuridico, il quale proprio in ragione della contestuale rilevanza del documento nei due distinti settori, contempla e detta due autonome regolamentazioni delle condizioni, dei presupposti e delle esclusioni del diritto di accedere al medesimo atto, senza che, tuttavia, l’ordinamento avverta l’esigenza di consentire l’esercizio del diritto stesso in via alternativa, imponendo, cioè, al privato di avvalersi dell’uno o dell’altro canale ordinamentale per accedere al medesimo documento.
L’esistenza di due diversi settori di regolamentazione dell’accesso al medesimo documento è, infatti, indice della contemporanea rilevanza dello stesso documento (e degli interessi che l’esercizio di esso involge) per i due settori ordinamentali, non certo della vicendevole esclusione dei due livelli di tutela di modo che l’amministrazione possa negare il diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241/1990 perché il documento è accessibile al privato interessato attraverso il parallelo canale disciplinato dall’altro settore regolatorio.

4.2.
Il plesso normativo definito agli artt. 22 e seguenti della legge sul procedimento –e relativi regolamenti attuativi– si connota infatti per autosufficienza regolatoria: non può, invero, la p.a. opporre al privato, per l’accesso ad un atto da essa formato o detenuto, la concomitante previsione di un differente e parallelo corpus di disciplina, del diritto d’accesso allo stesso documento, dettato da un altro settore ordinamentale.
L’ammissione o l’esclusione del diritto di accedere a un documento vanno infatti rinvenute interamente nel corpus normativo del Capo V della l. 07.08.1990, n. 241, il quale come precisato, è caratterizzato da un principio che può essere definito di autosufficienza regolatoria, nel senso che la regula iuris in forza della quale consentire o escludere il diritto all’accesso va ricercata unicamente nelle disposizioni dettate dagli artt. 22 e ss. della legge; nei quali, invero non è menzionata, tra le ipotesi di esclusione del diritto di accesso contemplate all’art. 24 dedicato appunto alla “Esclusione del diritto di accesso” l’esistenza di una parallela previsione di altro ramo dell’ordinamento del diritto di accedere allo stesso documento.

4.2.1. Conseguentemente, con attinenza al caso all’esame del Collegio, non può l’amministrazione detentrice del documento oggetto della richiesta di accesso del privato, nella specie la RAI, opporre che quel documento –nella specie la fonoregistrazione delle esternazione del ricorrente nei confronti del -OMISSIS- - è stato acquisito dall’autorità giudiziaria requirente o ad essa trasmesso, alla quale quindi l’istante debba rivolgersi assoggettandosi conseguentemente alla regolamentazione dettata dal Codice di procedura penale, che consente all’indagato di accedere agli atti del fascicolo del pubblico ministero solo dopo la chiusura delle indagini e il relativo avviso (art. 415-bis c.p.) e alla persona offesa dal reato dopo la presentazione della richiesta di archiviazione e il relativo avviso (art. 408, co. 3, c.p.p.).
4.3.
Non risulta infatti condivisibile, ad attento esame del disposto dei commi 6 e 7 dell’art. 24, l. n. 241/1990, l’orientamento non recente della giurisprudenza, secondo cui “non sono ostensibili, ex artt. 114 e 329 c.p.p., gli atti afferenti ad informative penali inoltrate nei confronti degli istanti, ad eventuali indagini in corso, etc. in quanto relative ad un (eventuale) procedimento penale e rientranti perciò nella esclusiva disponibilità dell'organo requirente procedente (Cfr., da ultimo TAR Sicilia, Palermo, n. 60 del 18.1.2005)” (TAR Lazio–Roma, Sez. II-quater, 14/05/2007, n. 4346).
Invero,
l’esclusione del diritto di accesso nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6, e disciplinate con l’apposito regolamento governativo da esso previsto, qualora i documenti costituiscano oggetto di indagine penale (ipotesi indicata alla lett. c) del comma 6 in esame) è già contemplata, a mente di tale comma, in ben definiti termini restrittivi, vale a dire “quando i documenti riguardino…le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative (…), all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”.
Posta siffatta regola di esclusione, già enunciata in termini di stretta strumentalità all’identità delle fonti di informazione e all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini, il successivo comma 7 dell’art. 24 della L. n. 241/1990, contrappone comunque a tale già tassativa esclusione, una rilevante eccezione, prevedendola come operante in via generale ogni qualvolta la conoscenza dei documenti amministrativi sia necessaria per curare o difendere interessi giuridici dei richiedenti l’accesso.
Stabilisce, infatti, testualmente il comma 7 dell’art. 24 che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.” (poi precisando che nel caso di documenti contenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è limitato alla stretta indispensabilità e in caso di dati atti a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale è consentito nei termini di cui all’art. 60, d.lgs. n. 196/2003).
4.4. La delineata eccezione all’esclusione del diritto di accesso prevista nelle ipotesi indicate dall’art. 24, comma 6, è significativamente denominata in dottrina e in giurisprudenza “accesso difensivo” e deve ritenersi operante per tutti i casi in cui vige, in tali ipotesi, la parimenti generale regola dell’esclusione.
L’onnicomprensivo e indifferenziato tenore del comma 7 dell’art. 25, che infatti non limita l’applicazione della regola ostensiva da esso istituita, ad una specifica lettera del comma 6, induce a ritenere che detta regola abbracci tutti i casi di esclusione indicati dal comma 6.
4.4.1. Giova evidenziare che la sussistenza e la anzidetta portata generale della garanzia dell’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici dei richiedenti, è confermata dalla giurisprudenza, che facendo leva sull’espressa clausola di salvezza ovvero di prevalenza, comunque, dell’accesso documentale finalizzato a curare o difendere proprio interessi giuridici, ha deciso che il diritto di prendere visione di documenti al delineato fine, deve essere comunque garantito all’interessato anche nei casi di esclusione del diritto d’accesso previsti dal comma 6 (tra i quali la pendenza di procedimento penale ma comunque limitatamente alle “azioni strettamente strumentali alla repressione della criminalità con particolare riferimento alla identità delle fonti informative e all’attività di polizia giudiziaria e conduzione delle indagini; la vita privata e la riservatezza delle persone, etc.").
Il Giudice amministrativo condivisibilmente ha infatti, anche di recente, letto in tali sensi il rapporto tra il comma 6 sulle esclusioni del diritto di accesso e il comma 7 dell’art. 24, istituente una regola di prevalenza del diritto all’ostensione dei documenti finalizzata alla tutela giurisdizionale pur nei casi di esclusione, chiarendo che “
L'art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, nel prevedere, immediatamente dopo l'individuazione ad opera del comma 6 dei documenti sottratti all'accesso, che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici", ha sancito la tendenziale prevalenza del c.d. 'accesso difensivo' anche sulle antagoniste ragioni di riservatezza o di segretezza tecnica o commerciale delle parti controinteressate, sicché il problema del bilanciamento delle contrapposte esigenze delle parti, diritto di accesso e di difesa, da un lato, e diritto di riservatezza dei terzi, dall'altro, deve essere risolto dando prevalenza al diritto di accesso qualora sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici. L'ordinamento italiano non consente dubbi circa la prevalenza del diritto all'accesso agli atti per fini difensionali, rispetto alle eventuali contrapposte esigenze di riservatezza delle informazioni” (TAR Veneto, Sez. III, 26/07/2019, n. 894).
Sulla stessa linea esegetica si è evidenziato che “
All'accesso defensionale ovvero all'accesso documentale propedeutico alla migliore tutela delle proprie ragioni in giudizio, è riconosciuta dall'ordinamento una tutela preminente atteso che, per espressa previsione normativa, l'interesse con esso perseguito prevale anche su eventuali interessi contrapposti (…)Il legislatore ha in tal senso operato, ab origine, una valutazione di prevalenza dell'interesse ostensivo, ove connesso alla necessità di curare ovvero difendere i propri interessi giuridici, rispetto agli interessi, pubblici e privati, eventualmente antagonisti così legittimando l'accesso in ragione della preminenza, in una scala gerarchica di valori, delle prospettate esigenze defensionali e ciò, indipendentemente dalla fondatezza, nel merito, delle proprie ragioni” (TRGA Trentino Alto Adige–Trento, 29/06/2020, n. 95).
Opzione espressa anche da questo Tribunale secondo cui “
Atteso che il diritto di difesa rientra tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in quanto intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia e inteso ad assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio, l'esercizio dell'accesso difensivo, se può tollerare l'esplicazione da parte dell'Amministrazione dell'autonomia decisionale che le compete nell'ambito della sua potestà discrezionale, non può conciliarsi con una negazione in via assoluta dell'ostensione della documentazione, laddove l'accesso si renda necessario per difendere interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo” (TAR Lazio–Roma, Sez. I, 04/02/2020, n. 1470).
4.4.2.
In tali evenienze, precisa il Collegio che occorre comunque che l’accesso difensivo sia rigorosamente collegato a un interesse del richiedente non generico ma specifico all’ostensione del documento al fine di tutelare i suoi interessi giuridici in uno specifico giudizio, dovendo l’istante far emergere “la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta e il documento di cui si invoca la conoscenza (cfr. la Sezione: TAR Lazio–Roma, Sez. III, 07/01/2021, n. 187).
4.5. In applicazione di questi principi la RAI, pertanto, non può negare al ricorrente l’accesso al file audio contenente il suo “sfogo” verso il -OMISSIS-, illecitamente registrato nella sala studio, adducendo che tale file è in possesso dell’autorità giudiziaria. Deve infatti indagarsi se quel documento che è comunque nella disponibilità della Rai essendone stata avviata la riproduzione dal -OMISSIS- -OMISSIS- al cospetto del dott. -OMISSIS-, è ostensibile o sottraibile all’accesso secondo le disposizioni di cui agli artt. 22, 23, 24, l. n. 241/1990. Ciò per la dirimente ragione, più sopra lumeggiata, che l’art. 24 della L. n. 241/1990 non contempla tra i casi di esclusione del diritto di accesso, la contemporanea detenzione del documento da parte di altra amministrazione o autorità dello Stato.
4.6. La riprova dell’esattezza dell’opzione ermeneutica ora esposta è data dalla coesistenza nel diritto amministrativo sostanziale e processuale, di due contestuali e distinte previsioni del diritto d’accesso, tra loro non escludentisi: il Capo V, artt. 22, ss. l. n. 241/1990 e l’art. 116, co. 2, c.p.a., norme che definiscono facoltà non affermabili in situazione di concorso alternativo ma cumulativo in guisa che l’una non elide o esclude l’altra, anche perché ciascuna è soggetta ai rispettivi presupposti stabiliti dal legislatore.
Il Tribunale richiesto di accesso in corso di causa ex art. 116, co. 2, c.p.a. non può rigettare tale istanza sul rilievo che il ricorrente debba domandare l’accesso all’amministrazione che detiene il documento la cui esibizione sia strumentale ai fini del decidere la causa e solo in seconda battuta adire il giudice con il ricorso e il rito in materia di accesso ex art. 116, co. 1. c.p.a., ma deve valutare l’istanza di cui all’art. 116, co. 2, c.p.a al lume delle necessità istruttorie di acquisizione dei relativi documenti in dipendenza dalle censure svolte.
Per converso, l’amministrazione destinataria di istanza di accesso ad un atto che l’istante affermi essere strumentale alla tutela di un suo interesse giuridicamente rilevante, non può respingerla adducendo che il richiedente, ove si determini a tutelare giudizialmente la sua situazione soggettiva, può domandare al giudice l’acquisizione del documento stesso.
4.7.
L’esistenza di una via processuale di soddisfazione del diritto di accesso non esime, dunque, l’amministrazione, dall’obbligo di vagliare l’istanza in base alle disposizioni di cui agli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e di accoglierla se essa è motivata a termini dell’art. 23 (o differirla se ciò sia sufficiente agli interessi dell’amministrazione in luogo del diniego) e non ricorre alcuna delle ipotesi di esclusione contemplate all’art. 24 (anche per rinvio ai casi previsti con regolamento governativo ex art. 17, co. 2, l. n. 400/1988 in riferimento alle ipotesi già delineate normativamente alle lettere a)–e) del comma 6 dell’art. 24.
Si è espressa del resto negli stessi sensi l’Adunanza Plenaria disegnando la cumulatività e correlativa non esclusione del diritto d’accesso ex art. 22 ss. L. n. 241/1990 in conseguenza dell’esercizio del potere istruttorio di acquisizione del giudice civile in materia di diritto di famiglia, statuendo infatti, che “
L'accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell'anagrafe tributaria, ivi compreso l'archivio dei rapporti finanziari, può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall'esercizio dei poteri istruttori del giudice civile contemplati dagli art. 155-sexies disp. att. c.p.c. e 492-bis c.p.c. , nonché, più in generale, dalla previsione e dall'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di diritto di famiglia” (Consiglio di Stato ad. plen., 25.09.2020, n. 21).
5. Sul piano soggettivo, relativo alla ricognizione delle situazioni giuridiche e dei fini a cui deve essere preordinata la domanda di accesso, la giurisprudenza, com’è noto, esalta la consistenza sostanziale autonoma del diritto d’accesso, disancorandola dal legame immediato con la tutela giurisdizionale della situazione giuridica e con la pienezza stessa della tutela.
Si è precisato al riguardo che “
7.13. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito, infatti, che la disciplina dell'accesso agli atti amministrativi non condiziona l'esercizio del relativo diritto alla titolarità di una posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata.
7.14. La legittimazione all'accesso va quindi riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita, distinto rispetto alla situazione legittimante all'impugnativa dell'atto
” (Consiglio di Stato sez. III, 27/07/2020, n. 4771; in tal senso anche TAR Valle d’Aosta, 16/11/2020, n. 58).
Anche la Sezione ha enunciato il medesimo principio puntualizzando che “
La legittimazione all'accesso agli atti va riconosciuta a chi è in grado di dimostrare che gli atti oggetto dell'accesso hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, a prescindere dalla lesione di una posizione giuridica” (TAR Lazio-Roma, sez. III, 01/6/2020, n. 5785).
5.1. In termini più generali,
va ricordato che da tempo la giurisprudenza richiede ai fini della integrazione del presupposto legittimante l'esercizio del diritto di accesso, l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante del soggetto richiedente, non necessariamente consistente in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, purché comunque giuridicamente tutelato, nonché un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione. Nesso di strumentalità che deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante (TAR Campania-Napoli, n. 456/2020; TAR Lombardia-Brescia, n. 55/2017; Consiglio di Stato, Sez. V, 10.01.2007, n. 55).
Non si richiede, invece, la prova della lesione attuale di una situazione giuridica soggettiva di diritto o interesse legittimo, né l’attualità di un giudizio (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.08.2020, n. 4930; Cons. Stato Sez. VI, 28/01/2013, n. 511; in terminis anche la Sezione: TAR Lazio-Roma, Sez. III, 22.07.2020, n. 8580, ID, 01/06/2020, n. 5785) stante l’autonoma consistenza del diritto di accesso rispetto alla situazione giuridica retrostante alla cui tutela è preordinato.
5.2.. Da ciò discende che la Rai non può opporre all’accoglimento della domanda d’accesso de qua agitur, l’attuale inesistenza di iniziative intraprese o atti pregiudizievoli assunti nei confronti del dott. -OMISSIS-, non occorrendo, come ampiamente testé illustrato, che l’istante dia prova della esistenza di una lesione attuale e quindi dell’imminenza di un giudizio che egli si appresti a promuovere per riparare tale lesione.
5.2.1.. Il bene della vita che innerva e sottende il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, autonomo, ha spessore e consistenza sostanziale ed è sganciato dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva incisa.
5.3. Del pari incontestabili sono i requisiti di personalità e concretezza nonché di attualità, dell’interesse fatto valere dal dott. -OMISSIS-; caratteri che affiorano da tutto l’insieme delle doglianze che fondano la sua richiesta di accesso, le quali si prospettano concretamente imperniate sulla sua postergazione rispetto al collega divenuto affidatario della conduzione del programma sportivo in questione. L’istante inoltre evidenziava nella domanda che quella registrazione rappresentava una grave violazione dei suoi diritti e domandava la consegna immediata di tale materiale.
Il che sostanzia un indubbio carattere di concretezza ed attualità oltre che personalità dell’interesse sostanziale posto a base della denegata istanza.
Inoltre, nella e-mail inviata al dott. -OMISSIS- il deducente rappresentava di tenere a che il suo “percorso aziendale prosegu[isse] senza alcuna macchia disciplinare” e, pertanto, gli chiedeva di “avviare tutte le opportune procedure aziendali per fare chiarezza, laddove necessarie anche disciplinari”.
6. Ancora sul versante soggettivo, conviene brevemente riepilogare che ai fini dell'accesso ai documenti amministrativi, l'art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005, richiede la titolarità di "un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso".
7. Sul piano oggettivo, concernente gli atti accessibili, l’art. 22, co. 3, stabilisce che "tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all'art. 24, c. 1, 2, 3, 5 e 6"; l'art. 24, al comma 7 più sopra esaminato trattando del c.d accesso difensivo, precisa che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici".
7.1. Con riguardo agli atti formati o stabilmente detenuti da un soggetto dalla veste formale privatistica ma gestore, quale la resistente RAI, di un pubblico servizio, la giurisprudenza assoggetta all’accesso gli atti inerenti la gestione del rapporto di lavoro privatistico intercorrente con tali enti, affermando –contrariamente a quanto si sostiene nell’impugnato provvedimento di diniego della RAI del 24.08.2020 -OMISSIS- - che “
l’attività amministrativa, alla quale gli artt. 22 e 23 della legge n. 241 del 1990 correlano il diritto d'accesso, ricomprende, non solo, quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato, posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica" (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 22/07/2015, n. 1775 con richiamo a TAR Lombardia, Milano, IV, 07.09.2012, n. 2251).
Aveva enunciato questo principio già il Giudice d’appello, secondo cui gli atti di gestione del rapporto di lavoro privatizzato, che hanno natura giuridica privata, ma che sono funzionali all'interesse pubblico curato dal datore di lavoro, rientrano nel novero degli atti accessibili da parte dei soggetti interessati, ovvero dei lavoratori dipendenti dalle Poste (Consiglio di Stato, VI, 12.03.2012, n. 1403).
Si era già espressa in tal senso la giurisprudenza di primo grado secondo cui “
anche documenti giuridicamente di natura privatistica, come debbono ritenersi tutti quelli attinenti al rapporto di impiego pubblico c.d. privatizzato presso pubbliche amministrazioni, sono accessibili attesa la loro intima connessione e funzionalizzazione all'esercizio di funzioni pubbliche” (TAR Toscana, Sez. II, 18.11.2005, n. 6458)
Segnala il Collegio che la Sezione si è posta sulla stessa linea ermeneutica, avendo statuito, in materia di atti assunti da Poste italiane S.P.A. nell’ambito dell’attività di diritto privato, che “
L'art. 22 lett. d), l. n. 241 del 1990 prevede che il documento di cui si chiede l'ostensione concerna attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale e, coerentemente, l'art. 22, lett. e), prevede che anche i soggetti di diritto privato rientrano tra i soggetti obbligati all'ostensione, peraltro, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Pertanto, nella nozione di attività amministrativa, cui gli artt. 22 e 23, l. n. 241 del 1990 correlano il diritto di accesso, deve comprendersi non solo quella di diritto amministrativo in senso stretto, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi” (TAR Lazio-Roma, Sez. III, 01/02/2013, n. 1153).
Non rinviene il Collegio ragioni per discostarsi da questo precedente, che è in linea con l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa.
Rai S.P.A condivide, infatti, con Poste Italiane S.p.a. la veste formale privatistica e l’attività di erogazione e gestione di un servizio pubblico; non v’è quindi ragione per non ritenerla soggetta al diritto di accesso anche relativamente agli atti di gestione del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti, qual è, nella fattispecie che occupa il dott. -OMISSIS-, giornalista dipendente della RAI.
8. Quanto ai presupposti e alla latitudine delle posizioni soggettive ammesse a tutela, cui è finalizzata la domanda di accesso costituendone il profilo motivazionale, il Consiglio di Stato ha condivisibilmente disegnato la consistenza delle posizioni stesse nonché i fini che sottendono il diritto di accesso: “
La Pubblica amministrazione deve consentire all'istante l'accesso al documento amministrativo se questo contiene notizie e dati che, secondo quanto esposto dall'istante nonché alla luce di un esame oggettivo, attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, o ancora documentano parametri, criteri e giudizi, rilevanti al fine di individuare il metro di valutazione utilizzato; di conseguenza, una volta accertato il collegamento, ogni altra indagine sull'utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento, od ancora, sull'ammissibilità o tempestività della domanda di tutela prospettata, è sicuramente ultronea, così come è ultronea l'indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili, poiché essi possono essere giurisdizionali, ma anche amministrativi, e finanche di natura non rimediale (come potrebbe essere semplicemente la costruttiva partecipazione ad un procedimento amministrativo, ad ex art. 10-bis, l. 07.08.1990, n. 241) o sollecitatoria (ad es. la richiesta di annullamento in autotutela di un provvedimento amministrativo)” (Consiglio di Stato sez. IV, 13/03/2014, n. 1211).
8.1. Non può pertanto può essere seguita la linea difensiva svolta sul punto dalla RAI e ribadita anche nel corso della discussione di Camera di consiglio svolta in videoconferenza da remoto, affidata all’argomento secondo cui i soggetti di diritto privato concessionari di servizio pubblico sono sottoposti agli obblighi di accesso solo ove emerga e si appalesi un legame di strumentalità tra l’oggetto della richiesta di accesso e il pubblico servizio, nella specie, radiotelevisivo.
L’assunto difensivo svolto dalla difesa della RAI nella memoria prodotta per la Camera di consiglio, fa perno sulla locuzione normativa circoscrivente l’equiparazione di tali società formalmente private alla pubblica amministrazione in senso stretto, “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” (art. 22, co. 1, lett. e), l. n. 241/1990).
La Rai invoca a supporto la giurisprudenza di questo TAR secondo cui i gestori di pubblici servizi sono soggetti alla disciplina in materia di accesso agli atti solo per i profili che presentino un “nesso di strumentalità derivante dalla intensa conformazione pubblicistica” (in particolare, secondo TAR Lazio, Roma, Sez. III, 30.10.2019, n. 12486).
9. La riassunta prospettazione difensiva non può essere dal Collegio condivisa.
In primis poiché la sentenza della Sezione n. 12846/2019 invocata dalla RAI non è dirimente, atteso che il “nesso di strumentalità derivante dalla intensa conformazione pubblicistica” ivi indicato, ad avviso del Collegio è nella specie ravvisabile, come si argomenterà in appresso.
In secundis, poiché la Sezione più di recente ha assoggettato la gestione e l’organizzazione, del rapporto di lavoro dei giornalisti della RAI alla disciplina del diritto d’accesso ex att. 22, ss. L. n. 241/1990 enunciando, con richiamo già a precedenti del 2018 e 2019, posizioni di principio (TAR Lazio–Roma, Sez. III, 16.11.2020, n. 12977) di seguito illustrate, che vanno qui ribadite e collimano con quanto si viene ad argomentare.
9.1. In terzo luogo –ma non per ordine decrescente di rilievo giuridico- segnala il Collegio che le più recenti decisioni di secondo grado rese sulla specifico tematica dell’assoggettamento dei soggetti di diritto privato -nella specie gestori di pubblici servizi- alle norme sulla trasparenza e gli obblighi di ostensione non richiedono più ai fini de quibus l’emersione dell’addotto nesso di strumentalità dell’atto o documento colpito dall’istanza di accesso rispetto alla gestione o erogazione del pubblico servizio, condivisibilmente degradando, in una avvertita e plausibile ottica di trasparenza, siffatto nesso di strumentalità ad un più costituzionalmente orientato nesso di “attinenza o comunque di collegamento” tra l’atto oggetto di istanza di accesso e l’attività di pubblico interesse. Tantum sufficit a predicare l’assimilazione del soggetto di diritto privato alla pubblica amministrazione, ergo l’assoggettamento alla disciplina di cui al Capo V, sull’accesso ai documenti amministrativi dettata agli artt. 22 e ss. della legge sul procedimento.
Invero, il Consiglio di Stato, in una fattispecie in cui si controverteva sull’ostensibilità di documenti di natura contabile formati da una società costituita ai sensi del d.lgs. n. 190 del 2002, operante su mandato di ANAS S.p.A. e deputata allo svolgimento della funzione di soggetto attuatore unico per la realizzazione del progetto infrastrutturale "Quadrilatero" assumendo i compiti di stazione appaltante ai sensi delle disposizioni europee e nazionali sui contratti pubblici, ha di recente puntualizzato come “
Vale rammentare, in termini generali, che il diritto di accesso riguarda non solo i soggetti di diritto pubblico, ma anche quelli di diritto privato, in relazione alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario (cfr. art. 22, comma 1, lett. e), l. n. 241 del 1990, in correlazione all'art. 1, comma ter): esso include, inoltre, non solo l'attività propriamente amministrativa posta in essere dalle pubbliche amministrazioni, ma anche gli atti di diritto privato posti in essere da soggetti diversi dagli enti pubblici, attinenti o comunque collegati alla attività di pubblico interesse svolta (art. 22, comma 1 lett. d), l. n. 241 del 1990 e cfr. ex multis, Cons. Stato, IV, 20.10.2016, n. 4372)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.08.2020, n. 4930, p. 2).
9.2. Delineato dunque in termini di attinenza o comunque di collegamento, il nesso tra gli atti di diritto privato con l’attività di pubblico servizio, il Consiglio, confermando la sentenza di questo Tribunale, (TAR Lazio-Roma, Sez. I, n. 5365 del 2019) ha precisato che “
Quadrilatero svolge dunque (peraltro esclusivamente) attività che è incontestabilmente "attività di interesse pubblico", disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” e che l’istanza di accesso concerneva documenti “comunque attinenti” all’attività di pubblico interesse svolta dalla predetta società, sebbene trattavasi di atti di diritto privato: “Ciò posto, l'istanza di accesso avanzata dal Consorzio appellato ha ad oggetto documenti che sono stati "formati" o sono "detenuti stabilmente" dalla stessa Quadrilatero nella sua qualità di soggetto aggiudicatore ai sensi dell'art. 176 del d.lgs. n. 163 del 2006 e che, con evidenza, attengono alla ridetta attività di interesse pubblico: di tal che la circostanza che si tratti di documenti di natura strettamente privatistica (contratti, fatture, atti contabili et similia), non ne impedisce l'ostensibilità” (Consiglio di Stato, Sez. V, 05.08.2020, n. 4930, p. 2).
La sentenza d’appello in disamina richiama del resto il precedente di cui a Cons. di Stato, Sez. IV, 20.10.2016, n. 4372 che già aveva qualificato il delineato nesso tra documenti e attività di pubblico interesse, in termini di “atti concernenti attività di pubblico interesse”, esprimendosi in sensi ancor più marcati all’insegna della più ampia ostensione documentale.
Il Consiglio ebbe infatti a sancire l’obbligo di consentire l’accesso da parte di una società di gestione di uno scalo aeroportuale, affermando: “2.3.1. Va del pari disattesa ogni considerazione incentrata sulla legittimazione passiva della società gestore dello scalo aeroportuale” stante “il sicuro rilievo pubblicistico dell'attività dalla stessa espletata (si veda Consiglio di Stato sez. IV 09.02.2015 n. 661) la "neutralità" della forma rivestita dall'ente che tali funzioni esercita, unitamente alla considerazione per cui (Consiglio di Stato, sez. III, 31/03/2016, n. 1261) ai sensi dell'art. 22, comma 1, l. 07.08.1990, n. 241 atti amministrativi soggetti all'accesso sono anche gli atti interni concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale, allo scopo di assicurare l'imparzialità e la trasparenza dell'azione amministrativa”.
9.3. Inoltre, con specifico riguardo al tema dell’ostensione di atti relativi al rapporto di lavoro, merita di essere evidenziato che questo TAR riconosce il diritto d’accesso anche agli atti di gestione del rapporto di lavoro privatistico di dipendenti di soggetti privati gestori di un pubblico servizio, ritenendo tale rapporto di rilevanza pubblicistica, e la sua gestione strumentale al servizio pubblico.
Si è infatti di recente condivisibilmente sancito che “L'attività di ANAS S.p.A. relativa alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, deve ritenersi strumentale al servizio pubblico gestito” e che “Inoltre, il rapporto di impiego che lega l'interessata al suddetto gestore di pubblico servizio può ritenersi di rilevanza pubblicistica, che attrae alla disciplina del diritto di accesso qualunque documento, anche di natura privatistica, che sia funzionalizzato all'esercizio di poteri lato sensu amministrativi.” (TAR Lazio–Roma, Sez. I, 24.07.2020, n. 4212; in termini anche TAR Lazio–Roma, Sez. III-ter, 23.10.2019 n. 12172).
Orientamento già espresso dalla giurisprudenza, efficacemente precisandosi che “è pertanto soggetta alla disciplina in tema di accesso anche l'attività di organizzazione delle forze lavorative, in quanto attività strumentale alla gestione del servizio pubblico affidato al gestore, a nulla rilevando la natura privatistica degli atti di gestione del rapporto di impiego, dovendosi dunque convenire che anche gli atti incidenti sulle posizioni del personale devono essere sottoposte all'esercizio del diritto di accesso siccome potenzialmente incidenti sulla qualità del servizio stesso.” (TAR Emilia Romagna–Bologna, Sez. I, 30/07/2014, n. 806; sulla stessa linea, TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, 07/02/2011, n. 163 che ha riconosciuto il diritto d’accesso anche a dipendenti di un gestore di pubblico sevizio -Poste Italiane S.p.A.- cessati dal servizio)
10. Dai ricostruiti condivisi approdi giurisprudenziali consegue che non appare risolutivo acclarare se il file contenente la registrazione dello “sfogo” del ricorrente ed entrato nella disponibilità del -OMISSIS- (nonché gli altri documenti oggetto della domanda di accesso) si caratterizzi per profili di inerenza e strumentalità con il pubblico servizio radiotelevisivo erogato e gestito dalla resistente RAI S.P.A. atteso che i fattori rilevanti, determinanti l’obbligo di ostensione, sono da un lato la circostanza che i documenti siano “attinenti o comunque collegati alla attività di pubblico interesse svolta” dal soggetto formalmente privato ma gestore di un servizio pubblico
Dall’altro la considerazione che il rapporto di lavoro del dipendente del gestore di un servizio pubblico ha rilevanza pubblicistica, e la sua gestione è strumentale al servizio pubblico.
10.1. Né, sottolinea il Collegio, potrebbe obiettarsi che debba trattarsi di documenti realizzati dal gestore del pubblico servizio, nel caso di specie, dalla RAI resistente (il file audio per cui si controverte, in effetti non è stato realizzato dalla RAI nello svolgimento della sua attività istituzionale, ma probabilmente creato da un dipendente che ha agito motu proprio; eppure acquisito, detenuto e utilizzato dal -OMISSIS-) bastando all’uopo, che il gestore stesso li detenga.
Anche sul punto la decisione d’appello sopra richiamata si pronuncia, precisando che “
il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, riconosciuto nei confronti dei soggetti che abbiano la materiale e stabile disponibilità dei documenti (cfr. art. 22, comma 1, lett. d), l. n. 241 del 1990), indipendentemente dalla circostanza che abbiano o meno concorso a formarli” (Cons. di St., V, n. 4930/2020 cit. p. 2 ad finem).
10.2. Orbene, la disponibilità dell’audio per cui è causa, è provata dal fatto che, come riferisce il ricorrente nella sua istanza diffida del 16.07.2020 (doc. 2 produz. ricorr.) stante la sua negazione di aver mai offeso il collega, il -OMISSIS- di RAI sport lo informava di essere venuto in possesso della registrazione dell’episodio avvenuto in redazione e ne avviava la riproduzione, facendogliela ascoltare.
Afferma infatti il ricorrente nella istanza diffida, senza essere sul punto contraddetto dalla RAI nell’impugnato provvedimento del 24.08.2020: “Il -OMISSIS-, allora, prende il suo telefono cellulare e avvia la riproduzione di una registrazione effettuata da qualcuno la mattina del 10 ottobre in redazione, all'insaputa del dott. -OMISSIS-, nella quale si sente uno sfogo del medesimo nei confronti del -OMISSIS-” perseguendo altresì nel riferire che: “In ogni caso, fa presente che chiunque abbia effettuato (e consegnato a terzi) quella registrazione ha messo in atto una condotta illegittima con una grave violazione dei suoi diritti” e che: “Il -OMISSIS- risponde (testualmente) che "ormai siamo praticamente nel 2020 e che c'è la tecnologia". Il dott. -OMISSIS- replica che questo non fa venire meno la normativa in vigore e che lui non avrebbe dovuto acquisire e utilizzare la registrazione e che, anzi, avrebbe dovuto denunciare la condotta illegittima del collega.” (Istanza-diffida di accesso del 16.07.2020, cit. pag. 2).
Quanto testé riportato e, si ribadisca, non smentito e/o contrastato dal provvedimento di diniego ovvero da altro atto del procedimento amministrativo (a nulla valendo l’allusione di cui alla memoria difensiva della RAI del prodotta il 28.12.2020 circa il non possesso del file de quo) dimostra che la RAI deteneva la registrazione per cui è causa ed è pertanto assoggettata all’actio ad exibendum, essendo soggetto passivo di essa in quanto detentrice del documento richiesto dal ricorrente.
10.3. Né, per converso, potrebbe sostenersi che il -OMISSIS-, nell’ acquisizione da terzi, nella detenzione e successiva riproduzione al cospetto del dott. -OMISSIS-, del file audio in controversia, abbia agito a titolo personale, stanti le evidenti circostanze di luogo e fatto nelle quali la vicenda si è svolta, nonché la inerenza dei documenti ed in particolare del file audio in questione, ad un contesto diacronico di organizzazione del pubblico servizio.
11. Invero, ritiene il Collegio di poter individuare comunque la cennata inerenza e strumentalità, infondatamente escluse dalla difesa della RAI, che è dato intessere tra il documento fonografico oggetto dell’istanza diffida per cui è causa e il pubblico servizio radiotelevisivo, sol che si rifletta sulla qualità del ricorrente e sull’iscrizione della vicenda nell’alveo della scansione di innegabili momenti di organizzazione del pubblico servizio di trasmissione di servizi televisivi di comunicazione sportiva, come a breve si spiegherà.
12. Corrobora siffatta convinzione altresì la doverosa considerazione della particolare natura giuridica e collocazione istituzionale della RAI quale soggetto solo formalmente privato ma a totale capitale pubblico statale, attributario di un prelievo di natura fiscale (come riconosciuto dalla giurisprudenza tributaria) imposto ai cittadini e fino a qualche anno addietro riscosso con le forme dell’imposizione e riscossione coattiva delle entrate erariali ed oggi con apposita voce tariffaria nelle fatture emesse dalle società di erogazione del servizio elettrico.
12.1. La Rai è, inoltre, società concessionaria tuttora individuabile come televisione pubblica “di Stato”, ipostasi del servizio pubblico radiotelevisivo per antonomasia, espressione e garanzia di elevati standard qualitativi del servizio erogato nonché di significativi connotati di funzionalizzazione della complessiva sua attività a scopi ed obiettivi di pubblico interesse.
In tale sua irrefutabile veste ed immagine, la Rai non può esser ritenuta sottratta ad obblighi e doveri di trasparenza nei confronti soprattutto del suo personale dipendente (oltre che dei cittadini, quantunque nei limiti e alle condizioni cui è astretto l’accesso civico disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013).
12.2. Ritiene in proposito il Collegio di dover richiamare l’attenzione sulla norma–proclama, che il legislatore ha innestato nel tronco dell’art. 22 della legge sul procedimento mediante l’art. 10 della l. n. 69/2009 stabilendo che “
L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, così sostituito all’art. 10 della l. 08.06.2009 n, 69).
Valorizzando tale norma di principio la giurisprudenza d’appello ha di recente condivisibilmente affermato che “
L'art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990 secondo cui l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, sancisce al comma III il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto interesse con altri interessi meritevoli di tutela” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15/05/2020, n. 3101).
13. Attenta e doverosa considerazione va rivolta inoltre al particolare oggetto della istanza di accesso denegata dalla Rai, costituito da una registrazione effettuata all’insaputa del ricorrente, di una sua conversazione intrattenuta con un collega: trattasi all’evidenza di un’operazione connotata da immanenti profili di antigiuridicità.
Il ricorrente assume comprensibilmente di essere stato pregiudicato nell’assegnazione della conduzione della trasmissione o del servizio sportivo in onda sul canale RAI NEWS 24 ad altro collega concorrente in conseguenza dell’impatto e della negativa valutazione del suo “sfogo” avvenuto nel corso della conversazione abusivamente registrata da terzi, registrazione poi entrata nella disponibilità del -OMISSIS- che ha convocato il dott. -OMISSIS- richiamandolo all’osservanza di un contegno espressivo più asettico e meno schietto.
13.1. In disparte l’illiceità della registrazione di tale colloquio, sullo sfondo della vicenda sostanziale campeggia la verosimile incidenza di quella registrazione sulla successiva assegnazione del servizio sportivo ambito dal ricorrente, ad altro giornalista.
Lamenta infatti il ricorrente nella sua istanza di accesso (doc. 1 produz. ricorr.) che il suo -OMISSIS- la mattina del 10.10.2019 aveva mandato in onda come opinionista di Rai Sport per il Tg Rai News delle 12.30, non il Dott. -OMISSIS-, secondo la griglia dei turni programmati, ma un altro giornalista: l’inerenza ai profili gestori concreti del pubblico servizio è disvelata, dunque, quanto meno, dalla circostanza che la griglia dei turni programmati per lo svolgimento dei servizi televisivi non era stata rispettata.
Se quella conversazione non fosse stata fonoregistrata e poi fatta pervenire al -OMISSIS- di RAI Sport, presumibilmente quest’ultimo non avrebbe convocato il dott. -OMISSIS- e partecipatogli il suo disappunto e il richiamo ad un contegno più moderato.
E, probabilmente, il ricorrente non avrebbe subito il nocumento di cui si duole, ovverosia l’affidamento del servizio sportivo ad altro giornalista.
13.2. E’ dunque di una certa evidenza la circostanza che la conversazione in questione si è riverberata sul livello più prettamente organizzativo afferente all’affidamento della conduzione del servizio televisivo in parola ad altro giornalista.
Nel che va individuata l’inerenza del documento de quo agitur all’organizzazione del servizio pubblico televisivo concretamente riferita alla conduzione di quello specifico programma o servizio sportivo su RAI NEWS 24.
Per altro verso, va osservato che del diniego dell’ostensione della abusiva intercettazione in controversia si gioverebbe il controinteressato sostanziale della vicenda, ossia il giornalista preferito al ricorrente nell’affidamento della conduzione del servizio sportivo in questione.
13.3. V’è da chiedersi se il quadro ordinamentale costituito, a livello di fonte primaria, quanto meno dall’art. 22, comma 2, della l. n. 241/1990 sopra riportato, a mente del quale “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”, consente che la RAI, di cui poc’anzi si sono sommariamente evidenziate le note di pubblicità e funzionalizzazione, seguiti a celare un documento di tale importanza, negandone l’ostensione al ricorrente che ne ha diritto e che è stato qualche tempo fa soggetto passivo di un’illecita attività di fonoregistrazione verosimilmente integranti ipotesi di reato.
E da ritenere che la RAI, proprio in quanto depositaria di valori e principi di trasparenza per diretto effetto del disposto appena riprodotto dell’art. 22, co. 2, della l. n. 241/1990, non possa essere giudicata immune ai doveri di ostensione.
Oltretutto, non si intende la ragione e il superiore e prevalente contrario interesse pubblico a che la RAI non conceda accesso alla documentazione tutta oggetto della denegata istanza con particolare riguardo alla registrazione fonografica in questione, tanto più ove si tenga nel debito conto che la stessa è prodotto di un’attività non iure, verosimilmente integrante ipotesi di reato.
14. Conclusivamente, come avvertito al superiore par. 9, giova rammentare che di recente la Sezione si è pronunciata favorevolmente su una actio ad exibendum ex artt. 22 e ss. della L. 07.08.1990, n. 241 proposta da una giornalista dipendente della RAI, enunciando considerazioni di principio e pervenendo a conclusioni congruenti con quelle fin qui svolte e che, dunque, meritano di essere segnalate (TAR Lazio–Roma, Sez. III, 16.11.2020 n. 11977).
La fattispecie, in sintesi, concerne una istanza nella quale la ricorrente aveva esposto alcune vicende legate allo svolgimento del suo rapporto di lavoro, nelle quali si sarebbe prodotta una lesione dei suoi diritti, comprese alcune progressioni di carriera e nomine che hanno interessato taluni giornalisti dipendenti della RAI specificamente individuati. Erano oggetto di richiesta di accesso, in particolare, i curricula e i criteri obiettivi di valutazione, preventivamente comunicati al CDR, che avevano consentito la valutazione dei candidati e la conclusione del relativo procedimento di scelta dei colleghi da promuovere o a cui conferire incarichi anche ad personam.
Trattasi, all’evidenza, di una fattispecie concernente proprio la gestione e il dipanarsi del rapporto di lavoro dei giornalisti dipendenti della RAI, sia per i profili progressivi e selettivi che per quelli più generali di carattere organizzativo.
14.1. La Sezione ha accolto il ricorso richiamando un costante orientamento, risalente alle sentenze n. 1354/2018 e n. 934/2019, consonante con le argomentazioni più sopra esposte e che riconduce la gestione e l’organizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti della RAI, quantunque privatistico, agli obblighi di accesso ed ostensione dei documenti ed atti amministrativi da intendersi nell’ampia accezione di cui all’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241/1990.
Con la richiamata Sentenza n. 11977/2020, p. 10, si è rammentato, infatti, che “Questa Sezione ha già avuto modo di osservare, nelle sentenze n. 9347/2019 e n. 1354/2018, che la RAI è assoggettata al diritto di accesso di cui agli artt. 22 e ss. della Legge n. 241 del 1990 in forza del riferimento della norma anche ai “gestori di pubblici servizi”, in quanto essa, “… pur nella sua veste formalmente privatistica di S.p.a. e pur agendo mediante atti di diritto privato, conserva certamente significativi elementi di natura pubblicistica, ravvisabili in particolare: a) nella prevista nomina di numerosi componenti del C.d.A. non già da parte del socio pubblico, ma da un organo ad essa esterno quale la Commissione parlamentare di vigilanza; b) nell’indisponibilità dello scopo da perseguire (il servizio pubblico radiotelevisivo), prefissato a livello normativo; c) nella destinazione di un canone, avente natura di imposta, alla copertura dei costi del servizio da essa gestito. L’azienda è inoltre di proprietà pubblica ed è la concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo, sicché non è revocabile in dubbio la sua riconducibilità di pieno diritto all’ambito di applicazione della normativa sul diritto di accesso, entro i confini delimitati dall’art. 23 della Legge n. 241 del 1990 che, non a caso, menziona tra i soggetti passivi del diritto di accesso, accanto alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, anche i “gestori di pubblici servizi”, nel cui novero va certamente collocata la RAI.”
14.2. Ora, non sfugge al Collegio che con la sentenza in esame si è precisato che le precedenti nn. 1354/2018 e 9347/2019 concernevano giornalisti che “rivestivano una posizione certamente qualificata ad ottenere l’accesso agli atti della procedura selettiva per l’assunzione di cento giornalisti professionisti indetta nel 2014 in forza dell’art. 1, comma 1096, della legge n. 205 del 2017, norma che aveva avuto l’effetto di conformare a determinate regole l’azione della concessionaria del servizio pubblico in sede di assunzione di giornalisti professionisti, che nella presente e diversa fattispecie –in cui una giornalista già dipendente di RAI chiede accesso ad atti relativi alle promozioni di colleghi- non è applicabile”. Tuttavia la Sezione in quell’occasione ha puntualizzato che “Ciò che tuttavia più rileva nel diverso caso in esame è l’affermazione di principio espressa dal TAR in quei precedenti.” (TAR Lazio–Roma, Sez. III, 16.11.2020, n. 11977, p. 12).
Sono dunque le affermazioni di principio enunciate con i richiamati precedenti del 2018 e 2019 e riprodotti nel passo sopra riportato della Sentenza n. 1977/2020, che il Collegio, condividendole, in questa sede ritiene di dover valorizzare e ribadire.
15. In definitiva, assorbita ogni altra doglianza, il motivo finora scrutinato si prospetta fondato e va accolto, dovendosi annullare l’impugnato provvedimento di diniego di accesso del 24.08.2020 e per l’effetto ordinare alla RAI S.P.A. di consegnare al Dott. -OMISSIS- copia dei documenti tutti -compreso il file audio contenente la registrazione per cui è causa- oggetto dell’istanza di accesso presentata dal ricorrente il 28.05.2020 e riproposta con diffida del 16.07.2020, entro 30 (trenta) giorni dalla notifica ovvero dalla comunicazione, ove anteriore, della presente sentenza (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 07.06.2021 n. 6756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla mancata ostensione dell’esposto laddove non abbia in alcun modo pregiudicato il diritto di difesa dell'istante.
Nel senso della legittimità del rigetto di una generica istanza di accesso avente ad oggetto esposti/denunce si è espresso anche il Consiglio di Stato secondo il quale gli esposti-denunce e gli atti ispettivi non possono essere oggetto di accesso poiché non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla tutela delle proprie posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art. 24, comma 7, legge n. 241/1990.
Ciò in quanto l’attività amministrativa da cui il privato può eventualmente ricevere effetti sfavorevoli della propria sfera giuridica e rispetto alla quale ha, dunque, diritto all’accesso è costituita unicamente dai verbali amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le determinazioni della P.A. procedente, che non costituiscono la risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva poste in essere.
Invero, secondo il TAR Veneto, Sez. III, 20.03.2015 n. 321:
   «… il documento di cui si chiede l’ostensione, vale a dire l’esposto che ha dato origine alle verifiche ispettive, non incide in alcun modo sul diritto di difesa della parte ricorrente, cui sono stati notificati i verbali conclusivi dell’accertamento che recano tutte le motivazioni delle contestazioni mosse e che sono quindi sicuramente l’unica fonte delle contestazioni mosse alla ricorrente. In effetti il ricorso non motiva in alcun modo per quale ragione la richiesta sarebbe necessaria a tutelare gli interessi della ricorrente e quindi le motivazioni dell’interesse ad ottenere l’accesso richiesto. Anche la domanda di accesso non motiva in alcun modo in ordine alla sussistenza dell’interesse, limitandosi ad affermare che la richiesta servirebbe a valutare l’eventuale ricorso alla competente autorità giudiziaria nei confronti del soggetto responsabile dell’esposto nonché per valutare l’eventuale sussistenza di una lesione ai propri diritti soggettivi ed interessi legittimi a seguito dell’avvio del su indicato procedimento. È invece evidente che le verifiche ispettive effettuate dalla amministrazione del lavoro rientrano nei doveri della stessa e che, in ogni caso, i verbali sanzionatori adottati possono e debbono fondarsi sui risultati delle stesse, vale a dire sulle letture dei tempi di guida registrati dai cronotachigrafi montati sugli automezzi e sull’esame della documentazione fornita dalla stessa ricorrente, come tra l’altro appare ulteriormente confermato dalla precisazione contenuta nel controricorso della resistente amministrazione secondo cui la denuncia, oltre ad essere anonima, non era nemmeno riferita alla ricorrente ma era invece diretta a segnalare presunte violazioni commesse da altre ditte del settore. Questo risulta ulteriore conferma del fatto che l’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e che la denuncia ha semmai svolto il ruolo -che non era certamente necessario- di sollecitarne l’esercizio. E’ pertanto evidente che l’accesso alla denuncia non risponde ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di difesa.».
Altresì, il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 26.06.2014, n. 1656 ha evidenziato:
   «… chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a documenti che contengono dati di terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la riservatezza di terzi. Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza del 14.02.2014, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli era il destinatario di tali misure sanzionatorie. Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati identificativi di colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso. Questi interessi non sono stati indicati nell’istanza d’accesso; pertanto, va ribadita l’infondatezza del ricorso che deve essere, di conseguenza, respinto. …».
Infine, di recente il Cons. Stato, Ad. Plen., 18.03.2021, n. 4 ha sottolineato:
   «… a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare;
   b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. …».
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Tanto premesso in punto di fatto, ciò che in questa sede rileva è che la mancata ostensione dell’esposto non ha in alcun modo pregiudicato il diritto di difesa della deducente, cui sono stati notificati e/o altrimenti resi disponibili (in conformità alla richiesta presentata) tutti gli atti in cui è stata consacrata l’attività amministrativa di accertamento espletata (in particolare la relazione tecnica di sopralluogo e il verbale di accertamento) e che recano tutte le motivazioni delle contestazioni a lei mosse.
È opportuno ricordare che nel senso della legittimità del rigetto di una generica istanza di accesso avente ad oggetto esposti/denunce si è espresso anche il Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza n. 5779/2014), secondo il quale gli esposti-denunce e gli atti ispettivi non possono essere oggetto di accesso poiché non sussiste il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla tutela delle proprie posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art. 24, comma 7, legge n. 241/1990.
Ciò in quanto l’attività amministrativa da cui il privato può eventualmente ricevere effetti sfavorevoli della propria sfera giuridica e rispetto alla quale ha, dunque, diritto all’accesso è costituita unicamente dai verbali amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le determinazioni della P.A. procedente, che non costituiscono la risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva poste in essere.
Si richiama anche TAR Veneto, Venezia, Sez. III, 20.03.2015 n. 321 secondo cui:
   «… il documento di cui si chiede l’ostensione, vale a dire l’esposto che ha dato origine alle verifiche ispettive, non incide in alcun modo sul diritto di difesa della parte ricorrente, cui sono stati notificati i verbali conclusivi dell’accertamento che recano tutte le motivazioni delle contestazioni mosse e che sono quindi sicuramente l’unica fonte delle contestazioni mosse alla ricorrente. In effetti il ricorso non motiva in alcun modo per quale ragione la richiesta sarebbe necessaria a tutelare gli interessi della ricorrente e quindi le motivazioni dell’interesse ad ottenere l’accesso richiesto.
   Anche la domanda di accesso non motiva in alcun modo in ordine alla sussistenza dell’interesse, limitandosi ad affermare che la richiesta servirebbe a valutare l’eventuale ricorso alla competente autorità giudiziaria nei confronti del soggetto responsabile dell’esposto nonché per valutare l’eventuale sussistenza di una lesione ai propri diritti soggettivi ed interessi legittimi a seguito dell’avvio del su indicato procedimento.
   È invece evidente che le verifiche ispettive effettuate dalla amministrazione del lavoro rientrano nei doveri della stessa e che, in ogni caso, i verbali sanzionatori adottati possono e debbono fondarsi sui risultati delle stesse, vale a dire sulle letture dei tempi di guida registrati dai cronotachigrafi montati sugli automezzi e sull’esame della documentazione fornita dalla stessa ricorrente, come tra l’altro appare ulteriormente confermato dalla precisazione contenuta nel controricorso della resistente amministrazione secondo cui la denuncia, oltre ad essere anonima, non era nemmeno riferita alla ricorrente ma era invece diretta a segnalare presunte violazioni commesse da altre ditte del settore. Questo risulta ulteriore conferma del fatto che l’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e che la denuncia ha semmai svolto il ruolo -che non era certamente necessario- di sollecitarne l’esercizio.
   E’ pertanto evidente che l’accesso alla denuncia non risponde ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di difesa. (Consiglio di Stato numero 5779/2014). …
».
A tal riguardo, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.06.2014, n. 1656 ha evidenziato:
   «… chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a documenti che contengono dati di terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la riservatezza di terzi.
   Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza del 14.02.2014, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli era il destinatario di tali misure sanzionatorie.
   Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati identificativi di colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso.
   Questi interessi non sono stati indicati nell’istanza d’accesso; pertanto, va ribadita l’infondatezza del ricorso che deve essere, di conseguenza, respinto. …
».
Infine, di recente Cons. Stato, Ad. Plen., 18.03.2021, n. 4 ha sottolineato:
   «… a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare;
   b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adito nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990. …
».
Nella fattispecie in esame la ricorrente nell’ultima nota del 16.01.2015 ha indicato un interesse generico all’accesso, omettendo di evidenziare il nesso di strumentalità tra l’ostensione dell’esposto del 22.07.2014 e le proprie esigenze difensive di tutela giurisdizionale, posto che -come detto- la conoscenza di esposti/segnalazioni non incide per nulla sull’azione amministrativa di accertamento/repressione di illeciti edilizi, la quale non costituisce la risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva poste in essere e in relazione alla quale è stato correttamente consentito l’accesso alla -OMISSIS-.
Risulta, pertanto, evidente la mancanza di collegamento tra il documento de quo (esposto del 22.07.2014) e le esigenze difensive della istante
(TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 01.04.2021 n. 563 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

ATTI AMMINISTRATIVIÈ possibile conoscere il nome di chi ci denuncia? Il TAR risponde sì.
Una recentissima sentenza del TAR si pronuncia in maniera sorprendente su un tema di estrema attualità: il diritto di accesso a esposti e segnalazioni.

Risulta possibile conoscere il nome di chi ci denuncia? Il TAR del Lazio risponde a questa domanda con una recente Sentenza che farà certamente discutere.
Nel caso specifico era stata comminata una sanzione a seguito a seguito di segnalazione e di una verifica dell’ispettorato di un ministero. A questo punto il soggetto sanzionato aveva scritto al ministero chiedendo, espressamente, copia dell’esposto dal quale aveva preso avvio il procedimento.
Alla risposta negativa il soggetto era ricorso al TAR.
Si può conoscere il nome di chi ci denuncia? La risposta del TAR del Lazio
Nell’ambito delle segnalazioni alle autorità amministrative –dicevamo in partenza– non c’è uniformità di vedute. Tuttavia il TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, con la sentenza 04.06.2020 n. 5955 ha riconosciuto un principio generale diritto del cittadino a sapere il nome di chi lo ha segnalato o ha presentato contro di lui un esposto.
Questo perché il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di «denunce anonime o segrete».
Inoltre una volta pervenuto nella sfera di conoscenza della Pa, l’esposto costituisce presupposto dell’attività ispettiva, sicché il suo autore «perde il controllo» dell’atto in questione, che uscito dalla sua sfera volitiva entra in quella dell’ente.
Pertanto, il principio di trasparenza prevale sugli altri caratteri legislativi: e dunque necessita di una risoluzione che favorisca all’interessato di conoscere il contenuto degli esposti e loro autori.
La particolarità di questa Sentenza infine è che essa sovverte altre due Sentenze del TAR precedenti (Tar Emilia Romagna n. 772/2018 e Tar Liguria n. 772/2019) che si erano espresse con parere negativo. O quantomeno avevano espresso dubbi sull’argomento (commento tratto da www.lentepubblica.it).
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MASSIMA
In data 21.08.2019 due funzionari del dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del turismo effettuavano una verifica presso lo stabilimento della ricorrente.
All’esito della verifica veniva contestato alla ricorrente, unitamente alla qualità di responsabile della qualità e della etichettatura dei prodotti alimentari dell’azienda, la violazione del Capo V del REG UE 1169/2011, violazione in relazione alla quale veniva comminata una sanzione pecuniaria.
La ricorrente impugnava il provvedimento sanzionatorio e proponeva, in data 22.08.2019 un’istanza di accesso a “tutti i documenti e atti su cui si fonda la contestazione di illecito amministrativo”.
Ottenuta una parte di documenti, in data 11.09.2019, la ricorrente formulava una nuova istanza di accesso, con la quale chiedeva copia della segnalazione dalla quale aveva preso avvio il procedimento, precisando di voler “conoscerne precisamente il contenuto, di fondamentale importanza per comprendere quali elementi fattuali e/o normativi giustificherebbero la non conformità, nonché di individuare l’autore materiale della stessa, indispensabile per conoscere la fonte che ha dato impulso agli accertamenti svolti e il soggetto nei confronti del quale -OMISSIS-S.p.A potrà eventualmente intraprendere le azioni più idonee alla tutela dei propri diritti ed interessi e della propria immagine”.
L’amministrazione, con il provvedimento oggi impugnato, respingeva l’istanza ritenendo l’atto in questione rientrante nelle categorie dei documenti inaccessibili di cui all’art. 2, lettere f) e m), del D.M. 05.09.1997 n. 392, il quale “per la salvaguardia dell’ordine pubblico, la prevenzione e la repressione della criminalità” consentirebbe di secretare i documenti richiesti.
La ricorrente proponeva quindi il ricorso in esame, con il quale lamentava violazione degli artt. 22 e ss della legge n. 241/1990 e successive modifiche, falsa applicazione dell’art. 2, lettere f) e m), del d.m. 05.09.1997 n. 392, violazione del diritto di accesso spettante al cittadino sui documenti amministrativi detenuti dall’amministrazione. Violazione dell’articolo 24 della Costituzione. Eccesso di potere per difetto dei presupposti.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del turismo, costituito in resistenza, rappresentava come rappresenta come il diniego di ostensione fosse basato sul d.m. 05.09.1997, n. 392, adottato ai sensi sensi dell’ art. 24 della legge 241/1990, che, nell’individuare gli atti sottratti all’accesso, menziona gli “atti riguardanti l'identità delle fonti di informazione e atti e documenti attinenti ad informazioni fornite da fonti confidenziali di privati, di organizzazioni di categorie o sindacati”.
Tali sarebbero, a giudizio del Ministero, tutti gli atti che concernono l’attività ispettiva dell’Ispettorato svolta nell’ambito del settore alimentare, atteso che essi tendono a salvaguardare l’indipendenza e l’efficacia dell’attività di indagine nonché la riservatezza delle fonti di informazione.
Il Ministero ha, infine, richiamato l’orientamento giurisprudenziale che esclude l'ostensibilità di un esposto da cui non sarebbe evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nome del denunciante.
La ricorrente ha depositato memoria di replica per contestare la tesi esposta dalla difesa erariale.
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
La questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti e agli atti di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di accertamento di illeciti a carico di privati è stata affrontata in giurisprudenza con approdi non univoci.
Secondo un primo orientamento, invocato dal Ministero, il diniego di accesso a tali atti è legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell'intervenuta notifica del verbale conclusivo dell'attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell'autore dell'esposto (cfr., fra le ultime, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17.10.2018, n. 772).
Appare tuttavia maggioritario l’orientamento secondo il quale, al di fuori di particolari ipotesi, in cui il soggetto denunciante potrebbe essere esposto, in ragione dei rapporti con il soggetto denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, la tutela della riservatezza non può assumere un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi: il principio di trasparenza che informa l'ordinamento giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all'interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo (Tar Liguria, sez. I, 07.07.2019, n. 510)
Occorre anche considerare che,
una volta pervenuto nella sfera di conoscenza della pubblica amministrazione, l'esposto costituisce un presupposto dell'attività ispettiva, sicché il suo autore perde il controllo di un atto uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità dell'amministrazione.
Per tali ragioni,
la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all'Amministrazione competente all'avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di "denunciati" (Consiglio di Stato, sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento giurisprudenziale, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di "denunce segrete": colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Firenze, sez. I, 03.07.2017, n. 898; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, sez. III, 01.06.2011, n. 4989; Cons. Stato, sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Né potevano essere utilmente invocate in senso contrario le disposizioni regolamentari contenute nel d.m. 392/1997, alla disapplicazione delle quali (attesa l’attinenza del procedimento de quo a una mera sanzione amministrativa e non alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità) il giudice amministrativo può procedere pure in assenza di una specifica domanda di parte.
E infatti, nel caso concreto, viene in esame un giudizio in materia di accesso, il quale, anche se si atteggia come impugnatorio nella fase della proposizione del ricorso -in quanto rivolto contro l'atto di diniego o avverso il silenzio-diniego formatosi sulla relativa istanza ed il ricorso è da esperire nel termine perentorio di trenta giorni- è sostanzialmente rivolto all'accertamento la sussistenza o meno del titolo all'accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall'amministrazione per giustificarne il diniego.
Sulla base delle suesposte argomentazioni, stante la fondatezza nel merito del ricorso, deve disporsi l'annullamento del gravato provvedimento di rigetto dell'istanza di accesso documentale, con contestuale ordine al Ministero intimato di esibire alla ricorrente, mediante estrazione di copia, la segnalazione dalla quale aveva preso avvio il procedimento, entro il termine di giorni trenta dalla comunicazione o, se antecedente, dalla notificazione della presente sentenza.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione delle accennate oscillazioni giurisprudenziali (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 04.06.2020 n. 5955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIIl diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall'art. 24, comma 7, della L. 241/1990, che, nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
E’ anche vero che la medesima norma specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi.
Orbene nel caso in esame non vi è dubbio che la società istante vanta un interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione, corrispondente ad una posizione giuridica qualificata, siccome derivante dalla comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla revoca di un contributo pubblico in precedenza concesso; diritto all’ostensione che, come noto, prescinde dal requisito della strumentalità rispetto alle connesse ed eventuali iniziative giudiziarie conseguenti, potendo essere tutelato di per sé ed in via autonoma.
L’istanza di accesso formulata dalla società ricorrente non è quindi generica, avendo ad oggetto specifici atti, ed è altresì motivata con riferimento a finalità difensive.
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L'art. 24, co. 1, L. n. 241/1990 così dispone: “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento, rientra quello istruttorio in sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale <<gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari>>.
La norma in commento segreta gli atti di indagine, che siano posti in essere dal pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso.
In particolare è stato affermato che “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990”.
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, ma sono gli atti amministrativi inerenti il procedimento di revoca del contributo, sicché detti atti amministrativi, salvo non siano stati espressamente sottoposti a secretazione dall’Autorità giudiziaria penale, sono certamente ostensibili; e sul punto nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa erariale.
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... per l'annullamento del diniego di accesso ai documenti amministrativi relativi ai procedimenti di revoca delle agevolazioni di cui alla nota 21841 del 28/03/2019, negato con il provvedimento del 24/05/2019, prot. -OMISSIS-.
...
2. Il ricorso è fondato.
2.1. Il diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall'art. 24, comma 7, della L. 241/1990, che, nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
E’ anche vero che la medesima norma -come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lgs. n. 196/2003 e art. 16 l. n. 15/2005)- specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l'accesso, dovendo quest'ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 28.09.2012 n. 5153).
Orbene nel caso in esame non vi è dubbio che la società istante vanta un interesse personale, concreto ed attuale alla ostensione, corrispondente ad una posizione giuridica qualificata, siccome derivante dalla comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla revoca di un contributo pubblico in precedenza concesso; diritto all’ostensione che, come noto, prescinde dal requisito della strumentalità rispetto alle connesse ed eventuali iniziative giudiziarie conseguenti (cfr. CdS Sez. III n. 116/2012), potendo essere tutelato di per sé ed in via autonoma (Consiglio di Stato sez. VI, 15/11/2018, n. 6444).
L’istanza di accesso formulata dalla società ricorrente non è quindi generica, avendo ad oggetto specifici atti, ed è altresì motivata con riferimento a finalità difensive.
3. Ciò precisato deve rilevarsi che le ragioni addotte dall’amministrazione per negare l’accesso, in relazione alla documentazione richiesta, non appaiono scriminanti rispetto a detto interesse qualificato della ricorrente.
3.1. Il provvedimento di diniego è fondato sull’assunto che “così come precisato dagli organi di polizia giudiziaria competenti, il contenuto degli atti è già nella disponibilità della Società che può acquisirne copia nelle forme previste dal c.p.p.”.
La difesa erariale ha a sua volta sostenuto nella propria memoria che la richiesta di accesso in esame riguarda atti e documenti relativi al procedimento di revoca delle agevolazioni, attivato dall’Assessorato a seguito di una segnalazione della Guardia di Finanza –Tenenza Barcellona Pozzo di Gotto, la quale informava delle circostanze di fatto per le quali è stato instaurato, parallelamente, il procedimento penale -OMISSIS- R.G.N.R. Mod. 21 a carico dell’amministratore della -OMISSIS- per il reato p. e p. dall’art. 640-bis c.p., vale a dire il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Ha rappresentato, peraltro, che nell’ambito del procedimento penale l’Autorità procedente ha richiesto e ottenuto un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche in forma equivalente dei beni nella disponibilità dell’indagato.
Orbene sulla scorta di dette premesse la difesa erariale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse atteso che a suo avviso “…parte ricorrente mira ad ottenere l’ostensione di atti di fatto già in suo possesso” trattandosi di “… informazioni certamente già nella disponibilità della società -OMISSIS- o comunque ottenibili attraverso le ordinarie forme di cui al c.p.p., atteso che a seguito dell’istanza di riesame del provvedimento di sequestro, la documentazione è diventata ostensibile”.
3.2. Le argomentazioni opposte dall’amministrazione sono infondate.
Sotto un primo profilo va tenuto presente che l’istanza di accesso è stata proposta dalla Soc. -OMISSIS- Srl, titolare di una propria soggettività giuridica nonché soggetto direttamente coinvolto nel procedimento di revoca del contributo avviato dall’amministrazione e, pertanto, suscettibile di essere inciso negativamente dall’eventuale provvedimento in fieri; il procedimento penale pendente, invece, è a carico dell’amministratore della società, persona fisica titolare di una distinta e separata soggettività giuridica, che in tesi potrebbe anche porsi in conflitto di interesse rispetto a quello della società ricorrente.
Sotto altro profilo deve rilevarsi che l'art. 24, co. 1, L. n. 241/1990 così dispone: “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento, rientra quello istruttorio in sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale <<gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari>>.
La norma in commento segreta gli atti di indagine, che siano posti in essere dal pubblico ministero ovvero dalla polizia giudiziaria. Come esattamente rilevato dal Consiglio di Stato, non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 29/01/2013, n. 547; Consiglio di Stato, sez. VI, 10/04/2003, n. 1923).
In particolare è stato affermato che “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990” (TAR, Catania, sez. III, 01/02/2017, n. 229).
Nel caso in esame gli atti richiesti dalla ricorrente non sono gli atti di indagine posti in essere dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, ma sono gli atti amministrativi inerenti il procedimento di revoca del contributo, sicché detti atti amministrativi, salvo non siano stati espressamente sottoposti a secretazione dall’Autorità giudiziaria penale, sono certamente ostensibili; e sul punto nulla è stato riferito e comprovato dalla difesa erariale.
4. Conclusivamente, ritiene il Collegio che l’istanza di accesso agli atti sia pertinente con il diritto di difesa della società ricorrente sicché, per le surriferite ragioni, il ricorso deve essere accolto, e per l’effetto:
   - va annullata la nota impugnata con cui l’amministrazione ha denegato l’accesso ai documenti richiesti;
   - va affermato il diritto della società ricorrente all’accesso documentale di cui è causa, in relazione alla documentazione indicata nella parte motiva e nei sensi sopra esposti, mediante esame integrale ed estrazione di copia dei relativi documenti amministrativi.
Con condanna dell’intimata amministrazione a porre in essere le dovute attività consequenziali entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 20.05.2020 n. 1006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa questione oggetto del presente giudizio è se possa essere legittimamente negato l’accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22, comma 3 e 24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990, in quanto strumentali ad attività di indagine della polizia giudiziaria.
Come è noto, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L. 11.02.2005, n. 15 ha sancito, elevando a rango superiore un principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di polizia.
La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990”.
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale.
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... per l'annullamento del diniego accesso atti del 21.03.2019 prot. -OMISSIS- dell'agenzia del demanio direzione regionale Lazio.
...
Con il ricorso in epigrafe, parte ricorrente agisce per l’accesso ai documenti richiesti all’Agenzia del demanio in data 14.02.2019 e concernenti il sopralluogo e l’ispezione effettuati nello stabilimento balneare della società ricorrente da un tecnico della Agenzia nel settembre del 2018.
La richiesta era motivata sulla base del fatto che il comune di Sabaudia aveva successivamente comunicato un avviso di avvio del procedimento di revoca della concessione demaniale e pertanto la documentazione richiesta era necessaria all’istante per svolgere le proprie attività difensive sia in sede procedimentale che, eventualmente, in sede giudiziale.
In particolare, la ricorrente chiedeva i seguenti atti:
   1)- Nota prot. -OMISSIS- citata nell'esito dell'Ispezione del -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-, in tutte le sue parti e completa di tutta la documentazione ad essa allegata;
   2)- Nota di servizio e/o verbale di acquisizione degli atti presso il Comune di Sabaudia come indicati nella nota ”esito ispezione” con prot. n. -OMISSIS-;
   3)- Copia degli atti inviati al Comune di Sabaudia successivamente alla data del -OMISSIS-;
   4)- Copia di qualunque altro atto interno, anche se non direttamente conosciuto, successivo e funzionalmente collegato all'esito dell'ispezione del -OMISSIS-.
In data 14.03.2019, a mezzo PEC, l'Agenzia del Demanio dava seguito alla richiesta di accesso indicando la data del 21 marzo per l'espletamento dell'attività richiesta.
Il giorno 21 marzo, il tecnico incaricato dalla ricorrente si recava presso gli uffici d'Agenzia del Demanio in Roma per accedere al fascicolo, ma contrariamente a quanto indicato in precedenza, in quella sede gli veniva negato l’accesso in quanto, a seguito di una telefonata con la Capitaneria di porto, si era venuti a sapere che la documentazione richiesta era oggetto di attività di indagine da parte della Capitaneria di porto a carico del titolare dello stabilimento balneare e che, pertanto, ai sensi dell'art. 22, comma 3, e 24, comma 6, lett. c), della L. 241/1990 l'accesso alla documentazione richiesta deve ritenersi allo stato negato in attesa di acquisire ulteriori informazioni dalla Capitaneria di Porto.
Avverso tale atto, parte ricorrente deduce:
   1)- violazione e falsa applicazione dell’art. 97 e dell'art. 24 della costituzione e del principio del buon andamento dell’amministrazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 3, della l. 241/1990. Eccesso di potere. Sviamento.
   3)- falsa ed errata applicazione della legge. Violazione e falsa applicazione dell’art.24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990. Eccesso di potere.
Il diniego di accesso sarebbe stato ingiustificato non ricorrente l’ipotesi invocata dalla amministrazione resistente, in quanto gli atti dei quali si richiede l’accesso sono atti amministrativi e non atti di polizia giudiziaria e poiché non si verte nel caso di specie di prevenzione della criminalità, tecniche investigative o identità delle fonti di informazione.
L’Agenzia del demanio si è costituita e ha depositato una memoria per sostenere l’infondatezza del ricorso.
All’udienza del -OMISSIS-, il Collegio ha chiesto, con ordinanza n. -OMISSIS-, chiarimenti circa lo stato delle indagini in corso, specificando in particolare se la documentazione oggetto della istanza di accesso sia stata oggetto di un provvedimento di sequestro probatorio e se sia comunque ancora nella disponibilità della amministrazione intimata.
In data 24.09.2019, l’amministrazione ha reso noto che, secondo quanto riferito dagli uffici competenti, non risultava che alcuna documentazione fosse oggetto di sequestro probatorio, precisando, tuttavia, che “sono in corso indagini della Procura della Repubblica di Latina nei confronti del nominato in argomento, per il quale, da ultimo, il GIP ha disposto il sequestro preventivo dello stabilimento balneare in concessione all’indagato”.
Gli uffici evidenziavano, altresì, che “ogni documentazione, ovvero atto prodotto nel merito delle indagini in parola, essendo ancora nell’ambito delle indagini preliminari, possono essere fornite ad eventuali istanti, con particolare riguardo agli indagati, unicamente giusta autorizzazione della Procura Procedente. Per quanto sopra ogni documento avente validità probatoria inserita nel fascicolo del P.M. dovrà essere richiesto direttamente allo stesso”.
In data 04.10.2019, parte ricorrente ha depositato una memoria nella quale ha specificato che nessun documento del fascicolo del PM era stato richiesto, in quanto la richiesta di accesso riguardava il fascicolo dell'Agenzia del Demanio, che non risulta aver inviato nulla al PM.
Risulta inoltre dagli atti depositati da parte ricorrente che le indagini si sono concluse e che è stato notificato all’indagato l’avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415-bis c.p.p. emesso in data 01.10.2019. Pertanto, il segreto sugli atti d’indagini è caduto, mentre permane per parte ricorrente l’interesse ad accedere al fascicolo degli atti amministrativi dell’Agenzia.
La causa, all’odierna udienza, è stata trattenuta in decisione.
La questione oggetto del presente giudizio è se possa essere legittimamente negato l’accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22, comma 3 e 24, comma 6, lett. c), della l. 241/1990, in quanto strumentali ad attività di indagine della polizia giudiziaria.
Come è noto, l'art. 24 della L. n. 241/1990, nella versione riformulata dalla L. 11.02.2005, n. 15 ha sancito, elevando a rango superiore un principio già introdotto a livello regolamentare, l'esclusione dell'esibizione di atti utilizzati nel corso dell'attività giudiziaria o di polizia.
La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990.” (TAR Catania, (Sicilia) sez. III, 01/02/2017, n. 229).
Viceversa, qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale (cfr. TAR Roma, (Lazio) sez. III, 23/12/2015, n. 14525).
Ora nel caso di specie non risulta né è stato allegato che gli atti in questione siano confluiti nel fascicolo del PM e siano pertanto da qualificarsi atti di indagine. E’ inoltre stato accertato che nessun provvedimento di sequestro probatorio è stato adottato con riferimento alla documentazione in questione.
Gli atti richiesti da parte ricorrente, dunque, pur avendo una sicura attinenza con indagini della PG, non risultano sottratti al diritto di accesso ai sensi della normativa indicata dalla Agenzia resistente in quanto non sono confluiti nel fascicolo del PM e non riguardano attività posta in essere nell’esercizio di funzioni di PG.
Inoltre, in ogni caso, anche qualora essi fossero stati acquisiti al fascicolo del PM (e così non è, a quanto risulta dagli atti del presente giudizio), il segreto è comunque venuto meno dalla data del 01.10.2019 a seguito della comunicazione dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p..
In conclusione, dunque, il ricorso deve essere accolto e deve essere ordinato all’Agenzia resistente di consentire l’accesso (nelle forme della visione e dell’estrazione di copia) degli atti richiesti con l’istanza del 14.02.2019, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente sentenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 02.01.2020 n. 4 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAAbusi edilizi, denunce palesi. Chi è segnalato ha diritto di sapere da chi è accusato. Il Tar Liguria: il cittadino che subisce un sopralluogo è portatore di un interesse qualificato.
Non c'è privacy per le spie. Chi subisce in casa un sopralluogo della polizia municipale alla ricerca di un abuso edilizio ha diritto a sapere chi lo ha segnalato al Comune. E ciò perché in Italia «non esistono denunce segrete»: al privato deve essere consegnata un copia dell'esposto presentato contro di lui anche se la verifica ha avuto esito negativo.
È quanto emerge dalla sentenza 07.06.2019 n. 510, pubblicata dalla I Sez. del TAR Liguria.
Trasparenza e responsabilità. Il ricorso è accolto perché il cittadino è portatore di un interesse qualificato a conoscere il nome di chi lo accusa: il Comune ha 20 giorni di tempo per tirare fuori le carte. Non convince la tesi secondo cui il no all'accesso agli atti non incide sul diritto di difesa. Sbaglia l'avvocatura civica quando esclude l'ostensione dell'esposto in tema di abusi edilizi, anche quando pende una causa civile contro il condominio, perché con l'esito negativo basta il verbale del sopralluogo ad attestare che l'immobile è in regola dal punto di vista urbanistico ed edilizio. La privacy è tutelata ad esempio in caso di dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva: divulgare i nomi potrebbe esporli ad azioni discriminatorie o indebite pressioni da parte del datore.
Per il resto, non ha diritto alla riservatezza chi assume iniziative che comunque incidono sulla sfera giuridica di terzi. Il nostro ordinamento, scrivono i giudici, è ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità che impediscono di tenere nascosto il nome dell'autore di denunce, segnalazioni o esposti.
L'atto esce dal controllo dell'autore una volta entrato nella sfera di conoscenza dell'amministrazione: costituisce il presupposto dell'attività ispettiva e riguarda direttamente il soggetti inciso in qualità di denunciato; il quale, dunque, ha diritto a conoscere per intero i documenti utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza.
Denunce, effetti limitati. Il Comune, poi, non può ordinare al condomino di abbattere la veranda solo perché il vicino lo denuncia.
L'amministrazione, infatti, non deve farsi carico di questioni privatistiche nel momento in cui è chiamata ad assentire l'opera edilizia.
È quanto emerge dalla sentenza n. 1593/2018, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Campania.
Accolto il ricorso del singolo proprietario esclusivo che vuole costruire due verandine e una pensilina. L'autotutela scatta perché con l'esposto del vicino emergono «aspetti controversi» sul diritto di proprietà dei balconi «incriminati». Ma non sussistono i presupposti affinché il Comune possa rimangiarsi il permesso di costruire in sanatoria: manca l'assenso del condominio agli interventi. E ciò perché al momento in cui l'ente locale concede il titolo in sanatoria non conosce i limiti condominiali al progetto laddove è controversa la titolarità dei balconi e dei passetti oggetto dell'intervento.
Dagli allegati tecnici all'istanza di accertamento di conformità emerge che si tratta di opere effettuate su balconate di pertinenza dell'appartamento di proprietà del richiedente. E se la questione della titolarità risulta incerta, non è certo il Comune a doverla chiarire: la circostanza esula dai poteri di verifica affidatigli in sede di rilascio del titolo edilizio. Né si può ordinare la demolizione sul rilievo che i manufatti incidono sull'estetica del fabbricato: il decoro architettonico dell'edificio condominiale è un'altra questione privatistica di cui non deve ingerirsi l'amministrazione.
Diritto di sapere anche per chi rischia il processo. E se invece la segnalazione anonima ha esito positivo? Chi è denunciato ai vigili urbani ha comunque diritto a vedere l'esposto anche quando rischia il processo per abuso edilizio. La comunicazione della polizia municipale alla procura della repubblica, infatti, non rientra fra le attività di polizia giudiziaria: il destinatario del controllo ha l'interesse qualificato a conoscere le carte da cui emergerebbe il reato.
È quanto stabilisce la sentenza n. 11188/2015, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lazio.
Sbaglia il comando della polizia locale a rispondere al proprietario dell'immobile che l'accesso all'esposto è precluso dall'articolo 329 cpp in quanto è stata comunicata una notizia di reato. In realtà il responsabile dei lavori ha diritto a leggere la denuncia: in questo caso la comunicazione dei vigili in Procura non rientra fra le attività di polizia giudiziaria, mentre chi è soggetto a un controllo o a un'ispezione ha l'interesse qualificato a conoscere tutti i documenti dai quali scaturisce l'iniziativa.
Nel nostro caso la polizia municipale, in quanto espressione del Comune, agisce nell'ambito della sua attività istituzionale, che è amministrativa e non come polizia giudiziaria quando ha ricevuto l'esposto dal terzo. Risulta dunque esclusa l'applicazione della regola secondo cui gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'interessato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Deve invece riconoscersi al proprietario dell'immobile nei guai per l'opera edilizia la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad esposti o denunce presentati nei suoi confronti.
Diritto alla trasparenza anche per le persone giuridiche. Il diritto alla trasparenza, poi, va riconosciuto alle persone giuridiche oltre che a quelle fisiche. La società additata in un esposto rivolto al Comune sulla sua attività ha diritto a conoscerne il contenuto anche se l'atto proviene da un privato: è infatti esclusa la tutela della riservatezza invocata dall'amministrazione quando il documento va comunque a incidere sulla sfera giuridica della compagine.
È quanto emerge dalla sentenza n. 898/2017, pubblicata dalla terza sezione del Tar Toscana.
La srl ha diritto all'ostensione anche se le carte richieste non risultano strumentali a un'eventuale difesa in giudizio: la società che si trova esposta a un controllo a un'ispezione è titolare di un interesse qualificato a ottenere tutti i documenti utilizzati, compresi gli atti di iniziativa e preiniziativa.
Poteri repressivi. È escluso, tuttavia, che il Comune possa far finta di niente di fronte all'istanza di uno dei condomini che vuole siano puniti gli abusi edilizi compiuti da un altro. E ciò per due motivi: da una parte è possibile ricorrere alla procedura del silenzio-adempimento dell'ente locale sui mancati controlli alle opere realizzate senza titolo dal vicino; dall'altra l'amministrazione deve comunque dar seguito alla domanda della parte privata anche quando la ritiene inammissibile.
È quanto emerge dalla sentenza n. 3454/2019, pubblicata dalla sezione II-bis del Tar Lazio.
Accolto solo in parte il ricorso proposto da uno dei proprietari esclusivi contro il silenzio serbato dall'amministrazione: gli uffici devono fornire almeno un riscontro entro novanta giorni alla denuncia rivolta contro due condomini del piano terra.
In entrambi i casi gli immobili sorgono manufatti negli spazi di distacco dal fabbricato contro il divieto contenuto nel regolamento condominiale, secondo cui le aree devono rimanere destinate a giardino. Ma per un'opera pende una causa davanti al Tar e per l'altra la domanda di condono: si tratta del box realizzato dai precedenti proprietari. In ogni caso il Comune deve rispondere all'istanza del privato che lo sollecita a esercitare i poteri repressivi in materia edilizia: sono escluse soltanto le domande pretestuose. E se l'inadempimento continua si può ottenere la nomina di un commissario che provveda. Il singolo condomino, tuttavia, non può pretendere che si dia seguito all'obbligo di sistemare a giardino gli spazi assunto dal Comune quando ha rilasciato il permesso di costruire.
Sbaglia infine l'ente locale a ignorare la diffida proposta dall'amministratore condominiale, che è legittimato ad agire ex articoli 1130 e 1131 c.c.: l'iniziativa rientra nel potere di compiere atti conservativi nei confronti del fabbricato.
Lo precisa la sentenza 297/2018, pubblicata dalla sezione seconda bis del Tar Lazio
(articolo ItaliaOggi Sette dell'08.07.2019).

EDILIZIA PRIVATA: La presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di “denunciati”.
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di “denunce segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.

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In data 10.12.2018, personale del Comune di Genova eseguiva un sopralluogo presso l’unità immobiliare di proprietà del ricorrente sita in via ... n. 17/1.
All’esito del sopralluogo, veniva esclusa la sussistenza di irregolarità edilizie con la relazione prot. n. 433333 del 14.12.2018.
Avendo informalmente appreso che l’attività di controllo aveva tratto impulso da un esposto di privati, l’interessato chiedeva l’ostensione di tale atto e degli eventuali allegati con istanza presentata al Comune di Genova in data 15.01.2019.
Il Comune respingeva l’istanza con provvedimento del 31 gennaio successivo, poiché “l’esposto svolge un ruolo meramente sollecitatorio rispetto ad una funzione” che la pubblica amministrazione “deve comunque generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private”.
Nella motivazione del diniego, si fa anche riferimento ad un “costante orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Civica Avvocatura, secondo il quale gli esposti in materia di abusivismo edilizio non sarebbero ostensibili” e si rileva che l’acquisizione dell’esposto non sarebbe giustificata neppure dalla pendenza di una causa civile con il condominio, attesa la sufficienza del verbale di sopralluogo ad attestare la regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile.
L’interessato ha impugnato il diniego di accesso con ricorso notificato il 01.03.2019 e depositato il successivo 7 marzo, sollevando specifiche contestazioni in ordine ai motivi su cui esso fonda.
Resiste il Comune di Genova che, dando lealmente atto dell’esistenza di difformi orientamenti giurisprudenziali in materia, argomenta in favore dell’opzione che esclude l’ostensibilità di un esposto da cui non sarebbe evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nome del denunciante.
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La questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti in materia di abusivismo edilizio (e, più in generale, agli atti di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di accertamento di illeciti a carico di privati) ha dato luogo a soluzioni giurisprudenziali non univoche.
Secondo un primo orientamento, il diniego di accesso a tali atti è legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell’intervenuta notifica del verbale conclusivo dell’attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell’autore dell’esposto (cfr., fra le ultime, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17.10.2018, n. 772).
Tale conclusione appare condivisibile laddove sussista una particolare esigenza di tutelare la riservatezza dell’autore della segnalazione, come nel caso delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva che, qualora divulgate, potrebbero comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni da parte del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24.11.2014, n. 5779).
Al di fuori di tali particolari ipotesi, la tutela della riservatezza non può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi: il principio di trasparenza che informa l’ordinamento giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all’interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo.
Occorre anche considerare che, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza della pubblica amministrazione, l’esposto costituisce un presupposto dell’attività ispettiva, sicché il suo autore perde il controllo di un atto uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità dell’amministrazione.
Per tali ragioni, la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di “denunciati” (Cons. Stato, sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento giurisprudenziale, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di “denunce segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Firenze, sez. I, 03.07.2017, n. 898; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, sez. III, 01.06.2011, n. 4989; Cons. Stato, sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Sulla base delle suesposte argomentazioni, stante la fondatezza nel merito del ricorso, deve disporsi l’annullamento del gravato provvedimento di rigetto dell’istanza di accesso documentale, con contestuale ordine al Comune di Genova di esibire al ricorrente, mediante estrazione di copia, l’esposto che ha dato origine al menzionato sopralluogo presso il suo immobile e la documentazione ad esso eventualmente allegata, entro il termine di giorni venti dalla comunicazione o, se antecedente, dalla notificazione della presente sentenza (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 07.06.2019 n. 510 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
Denuncia abuso edilizio: è segreta? (02.07.2019 - link a www.laleggepertutti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - SICUREZZA LAVOROLa giurisprudenza ha sancito, in termini costanti, che se possono esservi dubbi in ordine alla conoscibilità dei dati dei soggetti che abbiano posto in essere, nei confronti dell’imprenditore, eventuali segnalazioni o esposti idonei ad innescare l’accertamento lavoristico, non può invece essere revocata in dubbio la piena accessibilità dei documenti in virtù dei quali l’ente ispettivo abbia irrogato le sanzioni. Detta conoscenza è infatti essenziale per il datore di lavoro ai fini dell’esercizio del proprio diritto di difesa giurisdizionale, costituzionalmente garantito.
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il differimento del diritto di accesso può essere disposto per la salvaguardia degli specifici interessi pubblici indicati dall’art. 24, comma 6, L. 241/1990, ovvero:
   a) sicurezza, difesa e sovranità nazionale oltre alle relazioni internazionali dello Stato;
   b) politica monetaria e valutaria;
   c) ordine pubblico, prevenzione e repressione della criminalità e attività di polizia giudiziaria e conduzione delle indagini;
   d) vita privata e riservatezza di soggetti terzi;
   e) contrattazione collettiva.
L’interesse pubblico per la cui tutela si dispone il differimento deve essere specificamente individuato e reso noto, nello stesso atto di differimento, all’interessato. Inoltre, il differimento non può essere disposto sine die, ma deve necessariamente essere indicato un termine finale.
Nel caso di specie, il provvedimento adottato dalla p.a. prevedeva una scadenza non individuabile e non era motivato, in quanto conteneva un generico riferimento a una non meglio precisata “necessità di tutelare temporaneamente l’interesse pubblico”, senza individuare quale, tra gli interessi pubblici idonei secondo il legislatore (art. 24, comma 6, cit.) alla temporanea compressione del diritto di accesso, venisse in rilievo.
Tuttavia, configurandosi il rito dell’accesso come un processo volto ad accertare in termini sostanziali la sussistenza del diritto, deve ritenersi che la p.a. sia ammessa a integrare la motivazione del provvedimento in sede giurisdizionale: invero, “Il ricorso in materia di accesso è ontologicamente rivolto all'accertamento della fondatezza della pretesa. Il relativo giudizio, infatti, pur seguendo il rito impugnatorio, è in ogni caso strutturato come un giudizio di accertamento della fondatezza della pretesa a prescindere dal contenuto del provvedimento di diniego o, come nel caso di specie, di differimento, sicché l'eventuale difetto di motivazione non assume alcun rilievo ai fini dell'esito del ricorso, imponendo, invece, al giudice di verificare direttamente se sussistono i presupposti di legge per ordinare l'esibizione degli atti.[…] Nel giudizio in materia di accesso, l’integrazione della motivazione del diniego o del differimento deve ritenersi senz’altro consentita all’Amministrazione e, peraltro, ai fini dell’esito del ricorso è sostanzialmente irrilevante, atteso che l’azione giurisdizionale è rivolta ad accertare l’esistenza del diritto di accesso alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il diniego”.
Nella relazione allegata all’atto di costituzione in giudizio depositata dalla difesa erariale, si faceva menzione (peraltro in termini piuttosto vaghi e ipotetici) di accertamenti ancora in corso e dell’eventualità di una delega d’indagine da parte dell’Autorità Giudiziaria penale, assoggettata a segreto istruttorio.
In effetti, gli atti eventualmente posti in essere dalla p.a. in veste di Polizia Giudiziaria sono assoggettati a segreto istruttorio e non sono ostensibili in sede di accesso ex artt. 22 e ss. L. 241/1990: “Qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale tra cui sono contemplate le cd. indagini difensive ex artt. 391-bis e ss. c.p.p.”.
Dunque, con riferimento ad essi, la p.a. correttamente esercitava il potere di differimento, anche mediante indicazione di un termine ‘elastico’, ovvero legato alla conclusione dell’attività di indagine delegata in sede penale.
Sotto tale profilo, anche il superamento del termine di 30 giorni indicato dall’art. 25 L. 241/1990 non è rilevante, posto che in presenza di segreto istruttorio per gli atti di Polizia Giudiziaria il differimento dell’accesso si profila come un atto dovuto.
Tuttavia, le considerazioni sopra esposte devono intendersi limitate ai soli atti compiuti dalla p.a. resistente in virtù di delega di indagine penale, e dunque in veste di Polizia Giudiziaria, non anche con riferimento all’attività posta in essere dall’Ispettorato del Lavoro nell’esercizio delle proprie ordinarie funzioni amministrative di vigilanza, controllo e irrogazione delle sanzioni in sede amministrativa: in verità, “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, 1. n. 241 del 1990”.
Con riferimento agli atti compiuti dalla p.a. al di fuori dell’attività investigativa di Polizia Giudiziaria delegata dall’Autorità Giudiziaria penale, atti in relazione ai quali veniva disposta l’irrogazione, nei confronti del ricorrente, delle sanzioni pecuniarie in sede amministrativa che lo stesso ha diritto a contestare in sede giurisdizionale, deve dunque dichiararsi la sussistenza del diritto di accesso del ricorrente, nonché l’illegittimità del silenzio-rigetto e del differimento, in quanto non motivato e privo di un termine ultimo di efficacia.
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... per l'annullamento
per l'accesso
   - agli atti e documenti presenti nel fascicolo in possesso dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Taranto originanti la notifica di verbale unico di accertamento e notificazione (prot. N. 25910 del 05/12/2018) avente ad oggetto la contestazione di illecito amministrativo di cui agli art. 39, comma 1, DL 112/2008 e ss.mm.ii. e art. 3, comma 3, DL 12/2002;
nonché per l'annullamento
   - del silenzio-rigetto formatosi in data 18.01.2019 sulla domanda di accesso presentata in data 19.12.2018;
nonché per l'annullamento
   - del provvedimento di differimento comunicato a mezzo pec in data 21.01.2019.
...
1. Ma.Ga. è titolare della ditta individuale E.G. di Ma.Ga. e, in tale qualità, in data 05.12.2018 gli veniva notificato dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Taranto il “Verbale unico di accertamento e notificazione” Prot. 85910 del 05.12.2018. Con il suddetto atto si contestava al Ga.:
   1) la violazione dell’art. 39, comma I, D.L. 112/2008 convertito in Legge 133/2008 – Istituzione e tenuta del LUL;
   2) la Violazione dell’art. 3, comma 3, D.L. 12/2002 convertito in Legge 73/2002 come sostituito dall’art. 22, comma 1, D.Lgs. 14.09.2015 n. 151 – Misure di contrasto del lavoro sommerso e irregolare fino a 30 giornate senza mantenimento in servizio.
2. Con pec del proprio legale ricevuta dall’Ispettorato il 19.12.2018 il Ga. richiedeva, ai sensi degli artt. 22 e ss. L. 241/1990, “copia conforme all’originale di tutti gli atti, nessuno escluso, alla data odierna presenti nel fascicolo in possesso dell’ufficio procedente e riguardanti la contestazione mossa al sig. Ga.”, motivando la propria richiesta con l’intenzione di “esercitare il connesso diritto di difesa”.
3. In data 18.01.2019 scadeva il termine per il perfezionamento del silenzio-rigetto di cui all’art. 25 L. 241/1990, senza che l’amministrazione si pronunciasse.
In seguito, con nota Prot. 1226 del 21.01.2019 l’Amministrazione rispondeva alla domanda di accesso rispondendo che: “l’accesso è differito alla definizione degli accertamenti, attesa la necessità di assicurare una temporanea tutela dell’interesse pubblico”.
4. Avverso il silenzio-rigetto e il suddetto provvedimento di differimento Ma.Ga. proponeva ricorso, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) “Violazione degli artt. 1, 2, 3, 22 commi 1, lett. b) e 6, e 24, comma 7, e 25, comma 2, della L. n. 241/1990. Violazione dell’art. 9 del DPR 184/2006. Violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione. Violazione dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Assente e/o apparente motivazione; motivazione apodittica. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria”, con il quale deduceva la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 22 e ss. L. 241/1990 per il diritto di accesso e la non ricorrenza delle condizioni di differimento dello stesso.
Chiedeva inoltre l’accertamento della situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio e la condanna della p.a. all’ostensione dei documenti richiesti.
L’Ispettorato del Lavoro si costituiva in giudizio con il ministero dell’Avvocatura dello Stato.
...
5. Il ricorso va parzialmente accolto, nei limiti e per le ragioni che seguono.
5.1. Sussiste, nella fattispecie oggetto di causa, il diritto di accesso di Ma.Ga. con riferimento alla documentazione oggetto della richiesta del 19.12.2018 (salvo quanto si dirà al successivo punto 5.2), afferente all’accertamento posto in essere nei di lui confronti dall’ispettorato del Lavoro.
La giurisprudenza ha infatti sancito, in termini costanti e condivisi dal Collegio, che se possono esservi dubbi in ordine alla conoscibilità dei dati dei soggetti che abbiano posto in essere, nei confronti dell’imprenditore, eventuali segnalazioni o esposti idonei ad innescare l’accertamento lavoristico, non può invece essere revocata in dubbio la piena accessibilità dei documenti in virtù dei quali l’ente ispettivo abbia irrogato le sanzioni. Detta conoscenza è infatti essenziale per il datore di lavoro ai fini dell’esercizio del proprio diritto di difesa giurisdizionale, costituzionalmente garantito (si veda in tal senso: TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 07.11.2011 n. 2641).
5.2. Nel caso di specie, il diritto di accesso, pur implicitamente riconosciuto dalla p.a., era oggetto di apposito provvedimento di differimento.
L’esercizio del potere di differimento dell’accesso da parte della p.a. è disciplinato dalle seguenti disposizioni normative:
   - art. 24, comma 4, L. 241/1990: “L’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento”;
   - art. 25, comma 3, L. 241/1990: “Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall’art. 24 e debbono essere motivati”;
   - art. 9 D.P.R. 12.04.2006 n. 184: “1. Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell'accesso richiesto in via formale sono motivati, a cura del responsabile del procedimento di accesso, con riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione delle categorie di cui all'articolo 24 della legge, ed alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere accolta così come proposta. 2. Il differimento dell'accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all'articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell'amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell'azione amministrativa. 3. L'atto che dispone il differimento dell'accesso ne indica la durata”.
Dal combinato disposto delle norme su menzionate, deriva che il differimento del diritto di accesso può essere disposto per la salvaguardia degli specifici interessi pubblici indicati dall’art. 24, comma 6, L. 241/1990, ovvero:
   a) sicurezza, difesa e sovranità nazionale oltre alle relazioni internazionali dello Stato;
   b) politica monetaria e valutaria;
   c) ordine pubblico, prevenzione e repressione della criminalità e attività di polizia giudiziaria e conduzione delle indagini;
   d) vita privata e riservatezza di soggetti terzi;
   e) contrattazione collettiva.
L’interesse pubblico per la cui tutela si dispone il differimento deve essere specificamente individuato e reso noto, nello stesso atto di differimento, all’interessato. Inoltre, il differimento non può essere disposto sine die, ma deve necessariamente essere indicato un termine finale.
Nel caso di specie, il provvedimento adottato dalla p.a. prevedeva una scadenza non individuabile e non era motivato, in quanto conteneva un generico riferimento a una non meglio precisata “necessità di tutelare temporaneamente l’interesse pubblico”, senza individuare quale, tra gli interessi pubblici idonei secondo il legislatore (art. 24, comma 6, cit.) alla temporanea compressione del diritto di accesso, venisse in rilievo.
Tuttavia, configurandosi il rito dell’accesso come un processo volto ad accertare in termini sostanziali la sussistenza del diritto, deve ritenersi che la p.a. sia ammessa a integrare la motivazione del provvedimento in sede giurisdizionale: “Il ricorso in materia di accesso è ontologicamente rivolto all'accertamento della fondatezza della pretesa. Il relativo giudizio, infatti, pur seguendo il rito impugnatorio, è in ogni caso strutturato come un giudizio di accertamento della fondatezza della pretesa a prescindere dal contenuto del provvedimento di diniego o, come nel caso di specie, di differimento, sicché l'eventuale difetto di motivazione non assume alcun rilievo ai fini dell'esito del ricorso, imponendo, invece, al giudice di verificare direttamente se sussistono i presupposti di legge per ordinare l'esibizione degli atti.[…] Nel giudizio in materia di accesso, l’integrazione della motivazione del diniego o del differimento deve ritenersi senz’altro consentita all’Amministrazione e, peraltro, ai fini dell’esito del ricorso è sostanzialmente irrilevante, atteso che l’azione giurisdizionale è rivolta ad accertare l’esistenza del diritto di accesso alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il diniego” (TAR Lazio, Roma, Sez. I, 18.12.2009 n. 13139; cfr: TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 02.12.2010 n. 26573; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.05.2004 n. 2966).
Nella relazione allegata all’atto di costituzione in giudizio depositata dalla difesa erariale, si faceva menzione (peraltro in termini piuttosto vaghi e ipotetici) di accertamenti ancora in corso e dell’eventualità di una delega d’indagine da parte dell’Autorità Giudiziaria penale, assoggettata a segreto istruttorio.
In effetti, gli atti eventualmente posti in essere dalla p.a. in veste di Polizia Giudiziaria sono assoggettati a segreto istruttorio e non sono ostensibili in sede di accesso ex artt. 22 e ss. L. 241/1990: “Qualora si richieda l'ostensione di atti coperti da segreto istruttorio perché posti in essere nell'ambito di un'attività di P.G., i relativi documenti dovranno essere ritenuti sottratti al diritto di accesso ex artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990 e ostensibili unicamente mediante l'attivazione degli strumenti previsti dal codice di procedura penale tra cui sono contemplate le cd. indagini difensive ex artt. 391-bis e ss. c.p.p.” (TAR Lazio, Roma, Sez. III, 23.12.2015 n. 14525).
Dunque, con riferimento ad essi, la p.a. correttamente esercitava il potere di differimento, anche mediante indicazione di un termine ‘elastico’, ovvero legato alla conclusione dell’attività di indagine delegata in sede penale.
Sotto tale profilo, anche il superamento del termine di 30 giorni indicato dall’art. 25 L. 241/1990 non è rilevante, posto che in presenza di segreto istruttorio per gli atti di Polizia Giudiziaria il differimento dell’accesso si profila come un atto dovuto.
5.3. Tuttavia, le considerazioni sopra esposte devono intendersi limitate ai soli atti compiuti dalla p.a. resistente in virtù di delega di indagine penale, e dunque in veste di Polizia Giudiziaria, non anche con riferimento all’attività posta in essere dall’Ispettorato del Lavoro nell’esercizio delle proprie ordinarie funzioni amministrative di vigilanza, controllo e irrogazione delle sanzioni in sede amministrativa: “L'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. Infatti, soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990” (TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 01.02.2017 n. 229).
Con riferimento agli atti compiuti dalla p.a. al di fuori dell’attività investigativa di Polizia Giudiziaria delegata dall’Autorità Giudiziaria penale, atti in relazione ai quali veniva disposta l’irrogazione, nei confronti del ricorrente, delle sanzioni pecuniarie in sede amministrativa che lo stesso ha diritto a contestare in sede giurisdizionale, deve dunque dichiararsi la sussistenza del diritto di accesso del Ga., nonché l’illegittimità del silenzio-rigetto e del differimento, in quanto non motivato e privo di un termine ultimo di efficacia.
6. Il ricorso merita dunque, per quanto precede, parziale accoglimento. Nei limiti degli atti indicati al precedente punto 5.3, deve infatti accertarsi la sussistenza del diritto di accesso del Ga. e l’illegittimità del silenzio-rigetto e del differimento opposto dall’ispettorato.
Deve pertanto ordinarsi all’amministrazione resistente di mettere a disposizione del ricorrente gli atti oggetto della richiesta ostensiva, a esclusione di quelli che siano stati compiuti dall’Ispettorato in veste di Polizia Giudiziaria e nell’esercizio della delega di indagine penale, con facoltà, per il Ga., di estrarre copia di quelli di ritenuta utilità, nel termine perentorio di 20 giorni dalla notificazione/comunicazione della presente sentenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 21.05.2019 n. 800 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso atti di polizia.
Domanda
Una segnalazione/esposto presentato alla polizia può essere oggetto di diritto di accesso agli atti?
Risposta
Cerchiamo di riassumere efficacemente l’ampia disciplina riguardante l’argomento oggetto della domanda, al fine di poter tracciare chiaramente, seppur in breve, la prassi da seguire.
Innanzitutto è doveroso distinguere. Se si tratta di denuncia di rilievo penale la procedura è quella prevista dallo stesso codice di procedura penale: l’attività di polizia rientra nella funzioni della polizia giudiziaria ex art. 55 del c.p.p. e gli atti sono coperti dal segreto ex art. 329 c.p.p.; diverso il caso in cui la segnalazione ha rilievo amministrativo, in cui la violazione di legge o di regolamento che viene denunciata determina una sanzione amministrativa, evento che non obbliga al segreto di indagine da parte dell’organo di polizia.
Gli orientamenti dei diversi TAR e del Consiglio di Stato sono oscillanti, tra gli istituti della tutela della “privacy” e la garanzia dell’accesso agli atti.
Al proposito va citata l’innovativa e recentissima sentenza del TAR Emilia-Romagna del 17.10.2018, n. 772.
A seguito di un controllo su esposto da parte della polizia locale, il titolare di una palestra richiede al comune di Bologna l’accesso agli atti per conoscere il “delatore”. Al diniego, l’interessato si rivolge al TAR, che a sua volta conferma le argomentazioni addotte dal comune, evidenziando che “la conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo”.
Per il Tar Emilia Romagna è pertanto preferibile l’interpretazione per cui l’esposto o la segnalazione non può essere oggetto di accesso agli atti perché “non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipenda la difesa del denunciato”. “La conoscenza dei fatti –conclude la sentenza– e delle allegazioni contestati risulta assicurata già dal verbale di accertamento; non c’è quindi ragione di risalire al precedente esposto”.
Interessante, su questa linea di indirizzo, anche una sentenza TAR Veneto del 04.04.2004, n. 934 che in maniera meno decisa e più “equilibrata”, tra i due diritti, non nega la possibilità di accedere all’esposto, ma ritiene necessaria tutelare la “privacy” dell’autore omettendone il nome per evitare possibili ritorsioni.
Quindi, risulta del tutto legittimo, alla luce di quanto sostenuto dai tribunali amministrativi, negare in tutto o in parte l’accesso all’esposto con cui la polizia amministrativa si attivi e accerti una violazione amministrativa, la cui conseguenza è del tutto autonoma rispetto all’impulso iniziale, espressione del privato cittadino (23.11.2018 - tratto da e link a www.publika.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: L'autore di un esposto resta riservato. Non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipende la difesa del denunciato.
La conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce la attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo.
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Con il presente ricorso per l’accesso è chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego dell’accesso agli atti in data 30.04.2018 chiesto dalla ricorrente in relazione all’eventuale esposto, denuncia o dichiarazione cha ha sollecitato l’attività ispettiva da cui è successivamente scaturito il provvedimento di divieto di prosecuzione della attività asseritamente abusiva di palestra sita nei locali di Via ... 35.
Il Comune si costituisce in replica.
Chiarisce che –con il ricorso– in buona sostanza la ricorrente vuole acquisire il nominativo del soggetto che ha sollecitato l’attività ispettiva
Il Comune precisa –richiamando gli artt. 5 e 5-bis del DLGS 33/2013– che l’obiettivo perseguito dalla ricorrente esula dall’obiettivo esplicitato dalle norme (favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico).
Il Collegio concorda con le osservazioni del Comune.
Nella specie, il provvedimento è correttamente e adeguatamente motivato sul seguente presupposto: <la conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce la attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo>.
La giurisprudenza si è espressa con due orientamenti opposti.
Secondo un primo orientamento (cfr., recente sentenza del Tar Toscana n. 898/2017) non c’è ragione di nascondere il nome di chi fa una denuncia, un esposto o una segnalazione: chi si trova al centro di una indagine o una verifica deve poter accedere agli atti e conoscere le ragioni da cui è partito il procedimento nei suoi confronti; del resto, una volta che la denuncia o l’esposto arriva alle autorità, essa costituisce un atto interno all’amministrazione e, come tutti gli atti amministrativi da cui derivano procedimenti per i cittadini, è sottoposto alla massima «trasparenza».
Secondo un secondo diverso orientamento, invece (cfr., Tar Veneto Venezia, sent. n. 321/2015 e Cons. St. sent. n. 5779/2014) è stato affermato che l’esposto presentato alla pubblica amministrazione, da cui trae origine una verifica, un’ispezione o altri procedimenti di accertamento di illeciti, non può essere oggetto di «accesso agli atti», poiché non è dalla conoscenza del nome del denunciante che dipende la difesa del denunciato.
Peraltro, la conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestati risulta assicurata già dal verbale di accertamento; non c’è quindi ragione di risalire al precedente esposto.
Il Collegio ritiene preferibile aderire al secondo orientamento.
In conclusione, il ricorso è da respingere nel merito (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 17.10.2018 n. 772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIDocumenti, segretezza da motivare.
L'esistenza di un'indagine penale non implica la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso. E per rendere un atto riservato è sempre necessaria una motivazione che chiarisca le ragioni alla base della segretezza.

È quanto stabilito dal TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 23.08.2018 n. 1737.
Secondo i giudici amministrativi siciliani soltanto gli atti di indagine compiuti dal pm e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 del codice di procedura penale.
Gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria.
Tali atti, dunque, ha chiarito il Tar, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, con la conseguenza che non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, il diritto di accesso garantito all'interessato dall'art. 22 della legge n. 241/1990, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di esclusione di cui all'art. 24 della medesima legge.
Il Tar Catania ha anche chiarito che per secretare un atto è sempre necessaria una motivazione che faccia comprendere le concrete ragioni (senza alcuna necessità, ovviamente, di divulgazione) per le quali i documenti richiesti siano stati classificati come «riservati», non potendosi ritenere sufficiente il mero rinvio alla normativa regolante la materia, trasfusa nel decreto del presidente del consiglio dei ministri 06.11.2015, n. 5
(articolo ItaliaOggi del 25.08.2018).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti classificati “riservati”.
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Accesso ai documenti - Documenti classificati “riservati” – Motivazione sulla riservatezza – Necessità.
In tema di accesso agli atti di documenti ritenuti riservati, la Prefettura che forma il documento classifica il documento e/o le parti dello stesso da ritenere “Riservato”, attenendosi alle direttive contenute nell’all.to D del d.P.C.M. 12.06.2009, n. 7 o rinvenendo altre assimilabili ipotesi; ciò implica una motivazione puntuale, che faccia comprendere le concrete ragioni (senza alcuna necessità, ovviamente, di divulgazione) per le quali i documenti richiesti siano stati classificati come “riservati”, non potendosi ritenere sufficiente il mero rinvio alla normativa regolante la materia, trasfusa nel d.P.C.M. 06.11.2015, n. 5 (1).
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   (1) Ha aggiunto la Sezione che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990 (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 23.08.2018 n. 1737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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II. Con il provvedimento impugnato, il Prefetto di Catania ha negato l’accesso poiché il “verbale della -OMISSIS- documenti e pareri acquisiti nonché la relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - hanno carattere riservato ai sensi del D.P.C.M. del 06.11.2015 n. 5 recante “Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni classificate a diffusione esclusiva” e, come tali, sono sottratti all’accesso …”.
Parte ricorrente manifesta, in ricorso (coerentemente con la sintetica istanza di accesso, nella quale si fa riferimento al “rischio alla persona” e alle “misure di protezione” asseritamente vulnerate, nonché, in sede di ricorso alla Commissione per l’accesso, al “bene vita” e alla sua “sicurezza”) l’interesse alla tutela della sua incolumità, mentre, poi, in sede di memoria conclusiva, precisa ancora meglio che il diniego costituirebbe un vulnus anche alle sue funzioni.
Premette il Collegio che, in ragione delle motivazioni personali espresse nelle istanze, non può considerarsi, ove mai fondata, la censura relativa all’illegittimità del diniego di accesso in ragione delle funzioni svolte dal ricorrente.
Vero è che l’art. 3, comma 2, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 06/11/2015, n. 5 stabilisce che “l'accesso alle informazioni classificate è consentito soltanto alle persone che, fermo restando il possesso del NOS quando richiesto, hanno necessità di conoscerle in funzione del proprio incarico”, ma, in disparte l’assenza del NOS, tali esigenze non sono state, si ribadisce, evidenziate nelle istanze, essendo state introdotte altre ragioni, assolutamente comprensibili, ma di natura strettamente personale, seppur collegate all’Ufficio ricoperto.
Ciò posto, va ricostruita la complessa normativa posta a presidio della tutela dei documenti “riservati”, cui il Prefetto di Catania si è riferito per negare l’accesso.
In termini generali, l’art. 24 della l. 241/1990, nella parte di interesse, stabilisce: “1. Il diritto di accesso è escluso:
   a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24.10.1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
... 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400 , il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:
... c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini.
7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall' articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 , in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale
”.
Con decreto ministeriale 10.05.1994, n. 41 (recante il regolamento del Ministero dell’Interno per la disciplina delle categorie di documenti sottratti all'accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell'art. 24, comma 4 -ora comma 6-, della l. n. 241 del 1990), all’art. 3, lett. b), del comma 1, vengono sottratte all’accesso “le relazioni di servizio, informazioni ed altri atti o documenti inerenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni od autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza di autorità o organi diversi, compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo, che contengono notizie relative a situazioni di interesse per l'ordine e la sicurezza pubblica e all'attività di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità;".
La Giurisprudenza (cfr. TAR Bari, III, 06.02.2018, n. 151) ha condivisibilmente precisato che <<la norma in esame debba essere interpretata in senso non strettamente letterale, giacché altrimenti sorgerebbero dubbi sulla sua legittimità, in quanto si determinerebbe una sottrazione sostanzialmente generalizzata alle richieste ostensive di quasi tutti i documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno, con palese frustrazione delle finalità perseguite dalla l. n. 241 del 1990>> (cfr. TAR Lazio, Latina, Sez. I, 06.10.2010, n. 1653; id., 15.10.2009, n. 949).
Con specifico riferimento alla lett. b) dell'art. 3, comma 1, del d.m. n. 415 cit., sussiste "l'esigenza di evitare che, stante l'ampia formulazione della previsione stessa, essa si traduca in una sottrazione indiscriminata e generalizzata all'accesso di una grandissima parte dei documenti formati dall'Amministrazione dell'Interno. Donde la necessità che la clausola escludente ex art. 3, comma 1, lett. b), del D.M. n. 415 del 1994, operi a sua volta, quale causa di giustificazione del diniego di accesso, in presenza di quelle situazioni ed esigenze -strumentali alla tutela dell'ordine pubblico ed alla repressione della criminalità- elencate dall'art. 24, comma 6, lett. c), della l. n. 241/1990" (TAR Latina, sez. I, sent. 262 del 02.04.2012).
<<
Inoltre, la disposizione regolamentare di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), del D.M. n. 415 del 1994 va coordinata con quella generale dettata dall'art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 352 del 1992, secondo cui "I documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24 della legge 07.08.1990, n. 241">>.
<<
E' stato osservato in proposito che "l'inaccessibilità generalizzata delle categorie di atti di cui al citato art. 3, comma 1, lett. b), del D.M., a prescindere dalla verifica, in concreto, dell'incompatibilità dell'accesso con la tutela della riservatezza prevista dalle norme sovraordinate, risulterebbe in insanabile contrasto con queste ultime e imporrebbe la disapplicazione della disciplina ministeriale (in senso conforme cfr. TAR Liguria, sez. II, 06.02.2013 n. 241)" (TAR Toscana sez. II, sent. 2122 del 23.12.2014)>>.
Il Prefetto di Catania, però, come chiarito, ha individuato la fonte di riservatezza nel D.P.C.M. del 06.11.2015 n. 5.
L’art. 42 della legge 03.08.2007, n. 124, stabilisce che: “1. Le classifiche di segretezza sono attribuite per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi [e siano a ciò abilitati] in ragione delle proprie funzioni istituzionali.
1-bis. Per la trattazione di informazioni classificate segretissimo, segreto e riservatissimo è necessario altresì il possesso del nulla osta di sicurezza (NOS).
2. La classifica di segretezza è apposta, e può essere elevata, dall'autorità che forma il documento, l'atto o acquisisce per prima la notizia, ovvero è responsabile della cosa, o acquisisce dall'estero documenti, atti, notizie o cose.
3. Le classifiche attribuibili sono: segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato. Le classifiche sono attribuite sulla base dei criteri ordinariamente seguiti nelle relazioni internazionali.
4. Chi appone la classifica di segretezza individua, all'interno di ogni atto o documento, le parti che devono essere classificate e fissa specificamente il grado di classifica corrispondente ad ogni singola parte
”.
L’art. 3, del predetto D.P.C.M. del 06.11.2015 n. 5, stabilisce che “l'accesso alle informazioni classificate è consentito soltanto alle persone che, fermo restando il possesso del NOS quando richiesto, hanno necessità di conoscerle in funzione del proprio incarico”.
Si è già detto che la disposizione non è applicabile al caso in esame.
L’art. 4 prevede che “in applicazione dell'art. 42, commi 1 e 3, della legge, le classifiche sono attribuite:
   a) per circoscrivere la conoscenza di informazioni, documenti, atti, attività o cose ai soli soggetti che abbiano necessità di accedervi;
   b) sulla base dei criteri ordinariamente seguiti nelle relazioni internazionali, applicabili, per motivi convenzionali e ai fini dell'analisi del rischio di cui all'art. 3, comma 1, lettera s).
2. Le classifiche assicurano la tutela amministrativa di informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea a recare un pregiudizio agli interessi fondamentali della Repubblica.
3. La classifica SEGRETISSIMO è attribuita a informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno eccezionalmente grave agli interessi essenziali della Repubblica.
4. La classifica SEGRETO è attribuita a informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno grave agli interessi essenziali della Repubblica.
5. La classifica RISERVATISSIMO è attribuita a informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno agli interessi essenziali della Repubblica.
6. La classifica RISERVATO è attribuita a informazioni, documenti, atti, attività o cose la cui diffusione non autorizzata sia idonea ad arrecare un danno lieve agli interessi della Repubblica.
7. Le tabelle A, B, C e D allegate al presente regolamento individuano l'ambito dei singoli livelli di classifica, i soggetti cui è conferito il potere di classifica e le materie che possono essere oggetto di classifica, tra le quali quelle elencate nella colonna 3 delle tabelle stesse
”.
Emerge, quindi, che per i documenti classificati come riservati, la diffusione non autorizzata determina un danno lieve agli interessi della Repubblica.
L’art. 19 del medesimo dpcm stabilisce che “1. Le classifiche di segretezza SEGRETISSIMO (SS), SEGRETO (S), RISERVATISSIMO (RR) e RISERVATO (R), di cui all'art. 42 della legge, assicurano la tutela prevista dall'ordinamento di informazioni la cui diffusione sia idonea a recare un pregiudizio agli interessi della Repubblica e sono attribuite per le finalità e secondo i criteri stabiliti dall'art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 7 del 12.06.2009”.
Le finalità, quindi, vanno rinvenute, nel caso di specie, all’all. D di tale decreto.
L’all. D, dopo aver premesso questi principi, elenca un numero rilevante di casi, nei quali non rientra la fattispecie in esame.
Tuttavia, alla colonna 3, in premessa, si avverte che l’elenco non è esaustivo, sicché, debitamente la Prefettura può autonomamente valutare che l’ostensione possa determinare la lesione degli interessi (lievi), ove indiscriminatamente ostesi.
In somma sintesi,
l’Autorità che forma il documento (la Prefettura) classifica il documento e/o le parti dello stesso da ritenere “Riservati”, attenendosi a tali direttive o rinvenendo altre assimilabili ipotesi.
Ciò implica una motivazione puntuale, che faccia comprendere le concrete ragioni (senza alcuna necessità, ovviamente, di divulgazione) per le quali i documenti richiesti siano stati classificati come “riservati”.

Nella relazione della Prefettura alla Commissione per l’accesso, si precisa che vi sarebbero anche “atti di natura giudiziaria in ambito processuale non ancora definito”.
Parte ricorrente invoca un precedente di questo Tribunale (cfr. TAR Catania, III, 01.02.2017, n. 229), che il Collegio condivide e secondo il quale <<
l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso (cfr. TAR Puglia, Lecce, n. 2331/2014).
Soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell'ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l'inoltro di una denunzia all'autorità giudiziaria; tali atti, dunque, restano nella disponibilità dell'amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell'A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l'accesso garantito all'interessato dall'art. 22, l. 07.08.1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all'art. 24, l. n. 241 del 1990
>>.
Nel caso di specie, come premesso, per quanto riferito nella relazione della Prefettura alla Commissione per l’accesso, le relazioni (atti amministrativi) conterebbero imprescindibili riferimenti a fasi istruttorie di natura penale non chiuse e, quindi, sottratte all’accesso.
Né viene indicata una diversa (o ulteriore) motivazione concreta per la quale quanto richiesto sia classificabile come riservato.
Si deve osservare che i provvedimenti impugnati sono, quindi, affetti da difetto di motivazione, poiché, quanto meno, le ragioni concrete emergono (in parte) nella fase successiva alla loro adozione e dagli stessi non sono richiamate espressamente.
La censura sia pure in maniera sintetica è contenuta in ricorso, nella misura in cui parte ricorrente si duole della circostanza secondo la quale “l’amministrazione ha errato anche perché nell’eccepire la rilevanza del tema della riservatezza si è disfatta dell’istanza di accesso senza alcuna valutazione comparativa con le esigenze anteposte dal richiedente, affermando (implicitamente) la prevalenza di queste ultime acriticamente ed immotivatamente”.
Consegue l’accoglimento del ricorso, facendo obbligo all’Amministrazione di rideterminarsi, consentendo l’accesso o negandolo mediante motivazione coerente con i principi sopra indicati.

ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGOCon l’archiviazione del procedimento penale non sussistono ragioni ostative all’accesso ai relativi atti in possesso dell’Amministrazione e riconducibili al ricorrente (atti comunque non oggetto di sequestro).
Il diritto di accesso, ferme le ovvie limitazioni derivanti dal segreto d’ufficio o da prevalenti ragioni di privacy, ha infatti una portata ampia collegata in particolare alla necessità dell’interessato di essere posto nelle condizioni di esercitare al meglio ogni forma di tutela consentita.
Peraltro, anche gli atti relativi e denunce ed esposti sono accessibili. Questi ultimi, una volta entrati nella disponibilità dell'Amministrazione, non sono preclusi dall’accesso per esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza, imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete. Colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha quindi un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti.
Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o, comunque, riduttive ad opera dell'Autorità atteso che ogni Amministrazione è tenuta a dar seguito all'istanza del privato (ove rispettosa dei crismi normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante l'esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente previste per differirne ovvero negarne l'accesso.
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15. Con il ricorso di primo grado, il maresciallo Ca. aveva chiesto anche l’accesso agli atti in possesso dell’Amministrazione relativi al procedimento penale instaurato a suo carico e poi concluso con una archiviazione.
Il Tar, tuttavia, ha ritenuto che tali documenti, in quanto riferiti all'attività investigativa, dovevano, ai sensi dell'art. 24, comma 1, lett. a), della legge n. 241 del 1990, essere esclusi dal diritto di accesso. L’apertura di un procedimento penale, seppure poi archiviato, avrebbe imposto al ricorrente di chiederne l’ostensione all’Autorità giudiziaria.
16. Il giudice di primo grado ha quindi consentito l’accesso solo a quelli fuori dalla vicenda penale e sufficientemente individuati nell’istanza: “In altri termini, a prescindere dalla specifica indicazione della data e del numero di protocollo attribuito agli atti richiesti, non v'è dubbio come l'accesso non possa costringere l'Amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati”.
17. Le conclusioni del Tar non possono essere condivise.
Innanzitutto, va rilevato che con l’archiviazione del procedimento penale non sussistono ragioni ostative all’accesso ai relativi atti in possesso dell’Amministrazione e riconducibili al ricorrente incidentale (atti comunque non oggetto di sequestro).
Il diritto di accesso, ferme le ovvie limitazioni derivanti dal segreto d’ufficio o da prevalenti ragioni di privacy, ha infatti una portata ampia collegata in particolare alla necessità dell’interessato di essere posto nelle condizioni di esercitare al meglio ogni forma di tutela consentita.
Peraltro, anche gli atti relativi e denunce ed esposti sono accessibili. Questi ultimi, una volta entrati nella disponibilità dell'Amministrazione, non sono preclusi dall’accesso per esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi (Cons. St., sez. V, 19.05.2009 n. 3081; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 11.02.2016 n. 396).
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza, imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete. Colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha quindi un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016 n. 980, TAR Campania, sez. VI, 04.02.2016 n. 639).
18. Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o, comunque, riduttive ad opera dell'Autorità atteso che ogni Amministrazione è tenuta a dar seguito all'istanza del privato (ove rispettosa dei crismi normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante l'esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente previste per differirne ovvero negarne l'accesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.04.2017, n. 1832) (Consiglio di Stato, Sez, IV, sentenza 24.05.2018 n. 3128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI- il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma protezione, indipendentemente dalla pendenza e dall'oggetto di una controversia giurisdizionale, e non è condizionata al necessario giudizio di ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di istanze a finalità probatorie, sicché resta rimessa al libero apprezzamento dell'interessato la scelta di avvalersi del rimedio giurisdizionale offerto dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 ovvero di conseguire la conoscenza dell'atto nel diverso giudizio pendente tra le parti mediante la richiesta di esibizione istruttoria, e con l'ulteriore conseguenza che, non costituendo il diritto di accesso una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante ma essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, la relativa domanda giudiziale si presenta indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione ma anche dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre;
   - in ragione di ciò, il diritto di accesso non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti;
   - non si oppone, poi, all'accoglimento della domanda giudiziale la circostanza che si tratterebbe di atti riguardanti un’indagine penale, avendo la giurisprudenza chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso; soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p..

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... per l'annullamento
   - della comunicazione prot.n. 14/9-2 del 26.03.2018, not. 26.03.2018, con la quale la Legione Carabinieri Campania – Stazione di Montefredane ha rigettato l'istanza di accesso agli atti presentata dalla ricorrente in data 28.02.2018;
e per la declaratoria
   - della spettanza dell'accesso con conseguente condanna della P.A. all'ostensione dei documenti richiesti ed alla estrazione di copia;
...
   Considerato che, in ragione della pendenza del giudizio instaurato a seguito dell’impugnativa del provvedimento prot. n. 53571 del 14.12.2017, notificato in data 29.12.2017, con cui la Prefettura di Avellino – UTG Ufficio Antimafia ha informato che nei confronti della soc. -OMISSIS- S.R.L. che “sussistono elementi che fanno ritenere concreto il pericolo di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi ai sensi dell’art. 84 d.lgs. n. 159/2011”, la ricorrente domandava (istanza del 28.02.2018) alla competente stazione dei carabinieri di Mercogliano l'accesso relazioni e/o comunicazioni rese nei confronti dei -OMISSIS- nell’ambito dell’attività istruttoria finalizzata alla verifica in punto di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, poste a fondamento del provvedimento impugnato;
   Rilevato che la sopra menzionata Stazione dei Carabinieri respingeva la domanda, opponendo che "quanto richiesto, ossia gli eventuali atti originati da questo Comando non possono considerarsi a fondamento del provvedimento emesso dalla Prefettura di Avellino" (v. provvedimento prot. n. 14/9-2 del 26.03.2018, not. 26.03.2018);
   Ritenuto che la ricorrente ha esercitato l'actio ad exhibendum, ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 116 cod. proc. amm., con richiesta al giudice amministrativo dell'annullamento del provvedimento sopra epigrafato e dell'accertamento del diritto di accesso agli atti invocati, e con conseguente condanna dell'Amministrazione a consentire l'esibizione e l'estrazione di copia della suindicata documentazione;
   Rilevato che si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, opponendosi all'accoglimento del ricorso e che alla Camera di Consiglio del 04.07.2018, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione;
   Ritenuto:
- che, come è stato rilevato in giurisprudenza (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 23.02.2010 n. 1067), il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma protezione, indipendentemente dalla pendenza e dall'oggetto di una controversia giurisdizionale, e non è condizionata al necessario giudizio di ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di istanze a finalità probatorie, sicché resta rimessa al libero apprezzamento dell'interessato la scelta di avvalersi del rimedio giurisdizionale offerto dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 ovvero di conseguire la conoscenza dell'atto nel diverso giudizio pendente tra le parti mediante la richiesta di esibizione istruttoria, e con l'ulteriore conseguenza che, non costituendo il diritto di accesso una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante ma essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, la relativa domanda giudiziale si presenta indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione ma anche dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre;
- che, in ragione di ciò, il diritto di accesso non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti (v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 27.01.2011 n. 619);
- che nella fattispecie si presenta allora illegittimo il diniego opposto alla ricorrente, la quale ha titolo all'ostensione degli atti istruttori posti a fondamento dell’impugnata informativa, anche se resta incerto se e in quali limiti quegli atti potrebbero venire in rilievo nel processo in corso, dovendo il giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda di accesso verificare unicamente la sussistenza dei presupposti legittimanti detta istanza e non anche la rilevanza dei documenti richiesti rispetto all’adozione del provvedimento impugnato e, quindi, al giudizio principale pendente (compito riservato a quella sede);
- che non si oppone, poi, all'accoglimento della domanda giudiziale la circostanza che si tratterebbe di atti riguardanti un’indagine penale, avendo la giurisprudenza chiarito che l'esistenza di un'indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso (cfr. TAR Puglia, Lecce, n. 2331/2014); soltanto gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall'obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell'art. 329 c.p.p.;
- che, nella specie, l’amministrazione richiesta si è limitata ad opporre la generica irrilevanza degli atti istruttori richiesti ai fini dell’adozione dell’interdittiva impugnata e non la pendenza di un procedimento penale ovvero la sussistenza del segreto istruttorio;
- che l'art. 22, l. 07.08.1990, n. 241 estende il diritto di accesso agli atti amministrativi ai "documenti amministrativi", in tal modo comprendendovi tutti gli atti istruttori del procedimento, anche se non provenienti dall'amministrazione, se sulla base di questi risulti essersi formata la volontà dell'amministrazione medesima;
   Considerato, in conclusione:
- che va annullato il diniego opposto al ricorrente e quindi ordinata all’amministrazione resistente l'esibizione degli atti oggetto della richiesta di accesso del 28.03.2018;
- che a tanto l'ente resistente provvederà entro trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione o dalla sua notificazione, se anteriore, previa segnalazione con congruo preavviso del tempo e del luogo stabiliti per l'esame e l'estrazione di copia della documentazione (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.05.2018 n. 1165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

ATTI AMMINISTRATIVI: Illegittimità del diniego di accesso agli esposti.
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Accesso ai documenti – Diritto – Esposto – Diniego – Illegittimità.
E’ illegittimo il diniego di accesso ad un esposto a seguito del quale è stato attivato un procedimento di verifica o ispettivo, e ciò in quanto colui il quale subisce tale procedimento ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (1).
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   (1) Ha chiarito il Tar che il privato, che subisce un procedimento di controllo, vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l'esercizio del potere -inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l'azione dell'autorità- suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all'accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
Infatti, l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde consapevolmente e scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità dell'amministrazione.
La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 03.07.2017 n. 898 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
Espone la ricorrente di essere venuta a conoscenza di almeno due esposti inviati al Comune di Sorano da soggetti privati e aventi ad oggetto fatti e contestazioni riguardanti la propria attività.
Venivano perciò presentate al Comune due distinte richieste di accesso agli atti, l’una in data 11/11/2016 e l’altra in data 15/11/2016, al fine di prendere visione ed ottenere copia di detti documenti onde, eventualmente, esercitare il proprio diritto alla interlocuzione.
Con nota del 31.01.2017 l’amministrazione riscontrava negativamente le suddette istanze di accesso in quanto i sottoscrittori degli esposti, previamente informati, avrebbero espresso la propria opposizione e tale diniego veniva condiviso nella motivazione del provvedimento giacché “il diritto di accesso si limita agli eventuali verbali di accertamento conseguenti alle attività ispettive la cui titolarità già appartiene alla P.A. e non agli esposti–denunce, anche per l’evidente esigenza di tutela della riservatezza dei soggetti interessati ”.
Avverso tali atti insorgeva la società in intestazione chiedendone l’annullamento, oltre all’accertamento del proprio diritto di prendere visione ed estrarre copia integrale della documentazione richiesta con la consequenziale condanna del Comune di Sorano all'ostensione dei documenti.
L’accoglimento del ricorso veniva affidato ai motivi che seguono:
- Violazione dei principi di imparzialità e di trasparenza dell'attività amministrativa (articolo 97 della Costituzione). Violazione degli articoli 22 e 24 della L. n. 241/1990.
Il Comune di Sorano non si costituiva in giudizio.
Nella camera di consiglio del 12.06.2017 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
Il ricorso è fondato.
Va premesso che
il diritto di accesso agli atti della P.A. non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio, essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita, così che la domanda giudiziale tesa ad ottenere l'accesso ai documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione, ma anche dall'eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre (Cfr. Cons. St., sez. V, 23.02.2010 n. 1067, id., sez. VI, 12.04.2005 n. 1680 ; id., sez. VI, 21.09.2006 n. 5569).
Invero,
le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare l'esigenza della trasparenza e dell'imparzialità dell'Amministrazione -nei termini di cui all'art. 22, l. n. 241 del 1990- con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi -specificamente- quelli dei soggetti "individuati o facilmente individuabili"- che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Il successivo art. 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al comma 6 i casi di possibile sottrazione all'accesso in via regolamentare e fra questi -al punto d)- quelli relativi a documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari.
Ne segue che
la mera e non meglio motivata espressione del diniego da parte dei controinteressati non può costituire ostacolo all’esplicazione del diritto in parola.
Per altro verso si è avuto modo di affermare che
in ragione dell'ampia nozione di “documento amministrativo” di cui all'art. 22 l. n. 241 del 1990, ben può l'accesso investire atti formati e provenienti da soggetti privati, purché gli stessi siano detenuti stabilmente dalla p.a. per l'espletamento delle proprie attività istituzionali.
In particolare, il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l'esercizio del potere —inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l'azione dell'autorità— suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all'accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
Infatti, l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde consapevolmente e scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità dell'amministrazione. La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi
(Cons. St., sez. V, 19.05.2009 n. 3081; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 11.02.2016 n. 396).
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza, imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete: sicché colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 12.07.2016 n. 980, TAR Campania, sez. VI, 04.02.2016 n. 639).
Ne segue, per le ragioni esposte, che il ricorso va accolto annullando gli atti impugnati e, per l’effetto, condannando il Comune di Sorano a consentire alla società ricorrente, nel termine massimo di trenta giorni dalla notificazione della sentenza, l’accesso e l’estrazione di copia dei documenti richiesti.

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIl ricorrente, in quanto proprietario di un immobile adiacente a quello della società controinteressata, ha chiesto di poter accedere alla documentazione relativa ai titoli edilizi e paesaggistici “richiesti, denegati e concessi” concernenti “l’intervento inerente il cambio di destinazione d’uso da lastrico solare a terrazzo praticabile (roof garden) con realizzazione di torrino ascensore ed installazione di pergolato presso l’albergo denominato ...”.
Ritiene il Collegio che in capo al ricorrente, in ragione del divisato presupposto della vicinitas, deve riconoscersi la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l'accesso”, che l'art. 22 l n. 241/1990, prevede quale presupposto per la legittimazione all'azione e l'accoglimento della relativa domanda.
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... per l'accertamento dell’illegittimo silenzio/inadempimento perfezionatosi sull’istanza di accesso inoltrata al Comune di Vico Equense a mezzo PEC in data 30.08.2016;
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
Preliminarmente devono essere respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso perché proposto, secondo la prospettazione dei resistenti, ai sensi dell’art. 117 c.p.a. (ricorso avverso il silenzio inadempimento) e non ai sensi dell’art. 116 c.p.a. (accesso ai documenti amministrativi).
Deve, infatti, osservarsi che ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a. il giudice ha l’obbligo di qualificare l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali.
Nella fattispecie, l’azione proposta è volta ad accertare il diritto del ricorrente (e il conseguente obbligo del Comune) di accedere alla documentazione richiesta con l’istanza del 30.08.2016 e sulla quale si è formato un provvedimento tacito di rigetto tempestivamente impugnato (il ricorso è stato notificato ai resistenti in data 19.10.2016). E’ evidente, quindi, che la domanda giudiziale (sebbene proposta dal ricorrente ai sensi dell’art. 117 c.p.a.) ha tutti i requisiti di forma e sostanza per essere qualificata come azione ai sensi dell’art. 116 c.p.a. volta all’annullamento del provvedimento tacito di rigetto dell’istanza di accesso e all’accertamento del diritto di ottenere la documentazione richiesta (con conseguente obbligo del Comune di esibirla).
Ciò premesso, il ricorso è fondato.
Il ricorrente in quanto proprietario di un immobile adiacente a quello della società controinteressata ha chiesto di poter accedere alla documentazione relativa ai titoli edilizi e paesaggistici “richiesti, denegati e concessi” concernenti “l’intervento inerente il cambio di destinazione d’uso da lastrico solare a terrazzo praticabile (roof garden) con realizzazione di torrino ascensore ed installazione di pergolato presso l’albergo denominato “Le An.” sito alla via ... n. ...”.
Ritiene il Collegio che in capo al ricorrente, in ragione del divisato presupposto della vicinitas, deve riconoscersi la sussistenza di un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l'accesso”, che l'art. 22 l n. 241/1990, prevede quale presupposto per la legittimazione all'azione e l'accoglimento della relativa domanda.
Deve, inoltre, osservarsi che -contrariamente a quanto eccepito dal Comune resistente- la domanda di accesso è tutt’altro che generica in quanto individua o comunque consente di individuare agevolmente (cfr. D.P.R. 184/2006) gli atti richiesti che riguardano i titoli rilasciati per uno specifico intervento edilizio realizzato dalla controinteressata. Del resto lo stesso Comune con la nota inoltrata per conoscenza al ricorrente in data 24.05.2017 (e da quest’ultimo depositata) ha chiesto alla società controinteressata di evidenziare eventuali motivi di opposizione all’accesso agli atti in mancanza dei quali “procederà ad evadere” la richiesta; nonostante tale intendimento il Comune non risulta allo stato avere ancora adempiuto.
Quanto precede basta per concedere ingresso alla pretesa qui fatta valere, nella precisazione che siffatta decisione in nulla è condizionata da valutazioni circa la fondatezza delle eventuali pretese alla cui tutela l'acquisizione della documentazione è strumentale posto che, per costante giurisprudenza, il diritto di accesso è autonomo rispetto alla posizione giuridica posta a base della relativa istanza (cfr., per tutte, Tar Campania, questa sezione sesta, 11.03.2010, n. 1373).
In definitiva, alla luce di quanto fin qui argomentato, il ricorso deve essere accolto con conseguente accertamento del diritto all’ostensione, per effetto del quale l’amministrazione intimata dovrà consentire l’accesso, secondo le modalità indicate in dispositivo (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 21.06.2017 n. 3382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATAChe la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17.08.1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata per richiedere il sostegno di specifici precedenti.
Sebbene l’art. 31 sia stato formalmente abrogato dall’art. 136, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, in ordine all’impugnazione dei titoli edilizi -secondo l’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di Stato, che da quella disposizione si sviluppa- deve essere riconosciuta una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
Di conseguenza, è legittimato a impugnare il titolo edilizio ad altri rilasciato il soggetto in questa situazione che, dolendosi del mancato rispetto di una servitù di non edificazione gravante sul terreno della controparte e della perdita di valore di mercato dell’immobile di proprietà, censuri l’alterazione dello stato dei luoghi e la violazione dell’ordine urbanistico, indipendentemente dalla circostanza dell’aver fornito la prova che i lavori contestati abbiano provocato uno specifico danno e, in particolare, una diminuzione del valore economico dei beni, costituendo questa una questione di merito irrilevante sulla condizione dell'azione.
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Non è consentito al giudice di anticipare alla fase dello scrutinio della sussistenza dell’interesse (e della legittimazione) a ricorrere la verifica del rispetto o meno dell'assetto prodotto dall'intervento contestato, perché è sufficiente l'astratta prospettazione della suscettibilità del contrasto con siffatto assetto ad arrecare pregiudizio a coloro che siano titolari di immobili ubicati nella zona ovvero che con la stessa abbiano comunque, anche a titolo diverso, uno stabile collegamento a consentire di riconoscerne l’interesse, oltre che la legittimazione attiva, al ricorso giurisdizionale avverso le scelte compiute.

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25.1. Quanto al primo motivo, non ha pregio l’eccezione di carenza di interesse in capo all’originario ricorrente, già vagliata e respinta dal TAR e riproposta in questo grado di giudizio.
25.1.1. Che la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17.08.1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata per richiedere il sostegno di specifici precedenti.
25.1.2. Sebbene l’art. 31 sia stato formalmente abrogato dall’art. 136, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, in ordine all’impugnazione dei titoli edilizi -secondo l’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di Stato, che da quella disposizione si sviluppa- deve essere riconosciuta una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di "stabile collegamento" con la stessa.
Di conseguenza, è legittimato a impugnare il titolo edilizio ad altri rilasciato il soggetto in questa situazione che, dolendosi del mancato rispetto di una servitù di non edificazione gravante sul terreno della controparte e della perdita di valore di mercato dell’immobile di proprietà, censuri l’alterazione dello stato dei luoghi e la violazione dell’ordine urbanistico, indipendentemente dalla circostanza dell’aver fornito la prova che i lavori contestati abbiano provocato uno specifico danno e, in particolare, una diminuzione del valore economico dei beni, costituendo questa una questione di merito irrilevante sulla condizione dell'azione (cfr. per tutte, in termini, sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; sez. IV, 08.07.2013, n. 3596; sez. IV, 18.11.2014, n. 3596; sez. IV, 12.11.2015, n. 5160; sez. IV, 06.06.2016, n. 2395; sez. IV, 26.07.2016, n. 3330).
25.1.3. In definitiva, non è consentito al giudice di anticipare alla fase dello scrutinio della sussistenza dell’interesse (e della legittimazione) a ricorrere la verifica del rispetto o meno dell'assetto prodotto dall'intervento contestato, perché è sufficiente l'astratta prospettazione della suscettibilità del contrasto con siffatto assetto ad arrecare pregiudizio a coloro che siano titolari di immobili ubicati nella zona ovvero che con la stessa abbiano comunque, anche a titolo diverso, uno stabile collegamento a consentire di riconoscerne l’interesse, oltre che la legittimazione attiva, al ricorso giurisdizionale avverso le scelte compiute (cfr. sez. IV, 12.06.2013, n. 3257)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.10.2016 n. 4380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVINel bilanciamento tra diritto alla difesa e diritto alla riservatezza, sussiste la prevalenza del primo nell'accesso agli atti amministrativi.
Sicché, il ricorso merita solo parziale accoglimento, alla luce del principio desumibile dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3081/2009, nella quale risulta affermata <<l’irrilevanza del fatto che il sopralluogo non abbia condotto ad un procedimento sanzionatorio. La giurisprudenza più recente di questo Consiglio di Stato, da cui la Sezione non ha motivo di dissentire, ha infatti osservato che “il nostro ordinamento non tollera le denunce segrete e come “colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti”. Non si può, dunque, “escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto concedere, giustificare un breve differimento del diritto di accesso. Non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti quando ormai” (come accade nella fattispecie) “il procedimento ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso” >>.

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La ricorrente ha chiesto al Comune di avere accesso alla segnalazione pervenuta al Comune di Mantova che ha originato il sopralluogo degli agenti di polizia locale (avvenuto il 02.03.2016) per verificare le condizioni psico-fisiche dell’animale di cui essa è proprietaria (che sarebbe stato oggetto di maltrattamenti) e l’ambiente in cui lo stesso vive.
Ciò al fine di tutelare i propri diritti e vagliare l’eventuale sussistenza dei presupposti per la promozione di una causa al fine di difendersi da una possibile imputazione per maltrattamenti di animali.
La richiesta è stata, però, rigettata, poiché, secondo il Dirigente della Polizia locale: “la conoscenza della fonte dell’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività ispettiva, poiché qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose possono nuocere solo all’esito del controllo”.
Il 22.03.2016 la ricorrente ha richiesto anche il rilascio di copia del verbale di sopralluogo: nemmeno questa, però, è stata rilasciata.
L’impugnato diniego avrebbe violato gli artt. 1, 22 e 24 della legge n. 241/1990 e gli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.
Sul punto, parte ricorrente richiama giurisprudenza che attiene, però, al diritto di accesso agli esposti e alle denunce, ma nel solo caso in cui essi abbiano determinato l’attivazione del potere sanzionatorio (Cons. Stato, IV, 231/2012 e V, 3081/2009).
Si è costituito in giudizio il Comune di Mantova, richiamando, a sostegno del proprio provvedimento, la sentenza del TAR Emilia Romagna n. 784/2015, dalla quale è stato estrapolato il principio affermato nell’atto. Atto con il quale, peraltro, l’accesso non è stato negato, ma sostanzialmente differito all’esito delle verifiche effettuate.
Il 07.04.2016, peraltro, la richiesta sarebbe stata soddisfatta con l’invio al legale della ricorrente della relazione di servizio riguardanti gli accertamenti effettuati, nella quale si dà atto che il cane è stato trovato in adeguate condizioni igieniche ed è stato verificato che gode di ottima salute e dispone di spazi sufficienti. Non è stato, dunque, riscontrato alcun elemento che faccia ritenere sussistente il reato di cui all’art. 554 c.p..
Non avendo, dunque, alcuna esigenza difensiva, il nominativo di chi ha effettuato la segnalazione è stato omesso e l’accesso all’esposto, di fatto, negato.
Parte ricorrente, invece, confuta la possibilità di qualificare il provvedimento impugnato come differimento del diritto di accesso e dopo averlo ricondotto ad un’ipotesi di diniego ne deduce l’illegittimità, poiché precluderebbe alla ricorrente di verificare se tale esposto contenga la descrizione di fatti e/o affermazioni lesive del proprio onore e della propria immagine e sussistano, dunque, i presupposti per presentare una querela per diffamazione.
Nel bilanciamento tra diritto alla difesa e diritto alla riservatezza, contrariamente a quanto asserito da parte resistente, sussisterebbe la prevalenza del primo, che avrebbe dovuto determinare il Comune a consentire il richiesto accesso.
Tutto ciò premesso, il ricorso merita solo parziale accoglimento, alla luce del principio desumibile dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 3081/2009, nella quale risulta affermata <<l’irrilevanza del fatto che il sopralluogo non abbia condotto ad un procedimento sanzionatorio. La giurisprudenza più recente di questo Consiglio di Stato, da cui la Sezione non ha motivo di dissentire, ha infatti osservato che “il nostro ordinamento non tollera le denunce segrete e come “colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti”. Non si può, dunque, “escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto concedere, giustificare un breve differimento del diritto di accesso. Non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti quando ormai” (come accade nella fattispecie) “il procedimento ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso” (cfr. Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601)>>.
L’originario provvedimento, dunque, poteva ritenersi legittimo, se interpretabile come un differimento dall’accesso: interpretazione esclusa, però, dal successivo, definitivo, diniego di cui agli atti difensivi, che sostengono la legittimità della mancata esibizione dell’esposto e del nominativo di chi l’ha presentato e ne confermano, dunque, la contrarietà all’ordinamento.
Ciò peraltro, in considerazione del fatto che all’esposto non è stato concesso accesso nemmeno previa cancellazione del nominativo di chi l’ha presentato. Tale esibizione avrebbe consentito alla ricorrente di accertare se e quali elementi di diffamazione fossero ravvisabili nell’esposto e se gli stessi potessero giustificare un’azione penale, la proponibilità della quale avrebbe, altresì, giustificato l’ulteriore pretesa a conoscere la paternità dell’esposto.
Deve, dunque, riconoscersi il diritto della ricorrente ad ottenere copia dell’esposto che ha originato il sopralluogo presso la sua abitazione, previa cancellazione del nome del suo sottoscrittore. Solo in un secondo momento, la ricorrente potrà, se del caso, con una nuova domanda, debitamente motivata evidenziando i possibili profili di rilevanza penale desumibili dallo stesso, chiedere di avere accesso anche al nome dell’autore dell’esposto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 12.07.2016 n. 980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Privacy, esposto con diritto all’anonimato. Tar del Lazio. Bocciata la richiesta di accesso alle segnalazioni inviate al Garante.
L’accesso alle segnalazioni inviate al Garante della privacy su presunte violazioni nel trattamento dei dati personali farebbe venir meno il potere di controllo alternativo e le forme di tutela affidati dal legislatore a questo tipo di strumenti di garanzia, posto che chi li utilizza ha lo stesso diritto alla riservatezza riconosciuto ai lavoratori che rilasciano dichiarazioni agli ispettori del lavoro.
Il TAR Lazio-Roma –sentenza 18.03.2016 n. 3364, Sez. I-quater– ha bocciato così il ricorso di una titolare di agenzia di elaborazione dati che aveva chiesto al Garante di accedere a un esposto-denuncia su un presunto trattamento illecito dei “dati sensibili” nella propria attività.
Il Garante, che aveva archiviato il caso avendo accertato l’assenza di violazioni al Codice in materia di protezione di dati personali (Dlgs 196/2003), aveva respinto la richiesta poiché gli atti non avevano danneggiato la ricorrente e questa non aveva «alcun interesse diretto, concreto e attuale» a difendersi. La ricorrente sosteneva invece di aver diritto a conoscerli come soggetto interessato dai controlli, e che così avrebbe potuto chiedere ai responsabili di risarcirle i danni subiti per un’ispezione domiciliare, oltre a verificare l’ipotesi di calunnia.
I giudici hanno spiegato che in questi casi il diritto d’accesso va bilanciato con le forme di tutela riconosciute dal legislatore agli strumenti alternativi a garanzia della protezione dei dati personali quali il «reclamo circostanziato», la «segnalazione» e il «ricorso» (articolo 141, Codice privacy), garantendo l’«anonimato di chi, esercitando un diritto espressamente previsto dall’ordinamento, si pone quale stimolo dei poteri di accertamento e di controllo, anche a mezzo di ispezioni, propri del Garante...».
Per il Tar, anche per le segnalazioni vale l’indirizzo generale del Consiglio di Stato che tutela la privacy nei controlli sui contratti di lavoro (sentenza 5779/2014) per cui la «riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare rilevanza, onde scongiurare eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del soggetto nei cui confronti sono state rese le dichiarazioni, ma anche, (e, ritiene il Collegio, soprattutto) per preservare, su di un piano più ampio, il generale interesse ad un compiuto controllo delle attività oggetto di ispezione...».
Quindi, anche se il diritto d’accesso prevale su quello alla riservatezza quando la conoscenza degli atti è necessaria alla difesa dei propri interessi giuridici (comma 7, articolo 24, legge 241/1990), in questi casi «esiste, sullo sfondo, un preminente interesse dell’ordinamento giuridico, quale la tutela dei dati personali come declinata nei diversi mezzi pure previsti dal legislatore, che è altrettanto meritevole di essere preservato nella sua integrità ed effettività», posto che le segnalazioni, insieme ai ricorsi e ai reclami, garantiscono al potere di controllo del Garante «la più completa ed esauriente esplicazione…» a prescindere dall’esito.
Non può dunque essere ammesso l’invocato diritto a identificare chi segnala presunti abusi poiché «si risolverebbe, di fatto, in un depotenziamento di questo utile strumento posto a tutela di un bene giuridico considerato di particolare rilievo, quali sono, appunto, i “dati personali”»
(articolo Il Sole 24 Ore del 07.04.2016).
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MASSIMA
Il ricorso è infondato.
E’ principio consolidato che
il giudizio in materia di accesso ai documenti di cui all’art. 25, legge 07.08.1990, n. 241, anche se si atteggia come impugnatorio -dovendo essere presentato il ricorso nel termine perentorio di 30 giorni ed essendo rivolto contro l’atto di diniego o il silenzio diniego formatosi sulla relativa istanza- è, in sostanza, rivolto ad accertare la sussistenza o meno del titolo all’accesso nella specifica situazione alla luce dei parametri normativi, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza o completezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificare il diniego, tanto è vero che, anche nel caso di impugnativa del silenzio diniego, la parte resistente potrebbe anche dedurre in giudizio le ragioni che precludono all’interessato di avere copia o di visionare i relativi documenti richiesti.
Come sopra esposto, alle richieste di accesso presentate dalla parte ricorrente, l’Autorità resistente ha opposto, dapprima la sussistenza di ragioni per il differimento, e poi, con la nota impugnata, la carenza di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti di cui è stato chiesto l'accesso.
Ed invero, è indubitabile che le norme introdotte dalla legge 241 nel 1990, come successivamente integrate e modificate, consentono
l’esercizio del c.d. «diritto di accesso», ovvero il diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, a tutti coloro che l’art. 22, legge in esame, definisce «interessati», ovvero a tutti i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l'accesso.
Il successivo art. 25, secondo comma, dispone, ancora, che la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata, e deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento e che lo detiene stabilmente.
Con norma speculare ai principi dianzi riportati, l’art. 2, d.P.R. 12.4.2006, n. 184, recante la disciplina applicativa in materia di accesso, prevede che “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l'accesso. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso.”
Il delineato quadro normativo fa ritenere al Collegio che
l’interesse all’accesso deve evidenziare la sua strumentalità rispetto alla sussistenza di un’ulteriore situazione soggettiva cui l’ordinamento riconosce tutela (“per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”, giusta l’art. 22, legge n. 241 del 1990, sopra richiamato) che deve essere necessariamente, a sua volta, d’interesse legittimo o di diritto soggettivo, onde evitare che, attraverso il ricorso a tale mezzo di tutela si determini, di fatto, l’accesso indifferenziato alla attività amministrativa, mentre invece la struttura normativa come sopra indicata porta ad escludere che il diritto di accesso comporti un indiscriminato potere esplorativo né, tantomeno, un generalizzato potere di vigilanza sull’operato delle Amministrazioni.
Tanto precisato, e venendo all’oggetto della richiesta ostensiva presentata dalla ricorrente, emerge con limpida evidenza che l’interesse alla stessa sotteso, ancorché diretto, concreto e attuale, va circoscritto, in sostanza, alla conoscenza del nominativo dell’autore della segnalazione che ha dato avvio al procedimento ispettivo eseguito a suo carico, onde rivalersi dei danni asseritamente patiti in conseguenza di ciò, atteso che invece, sul versante prettamente amministrativo, il procedimento si è concluso favorevolmente con una archiviazione, non essendo emerse violazioni della disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali suscettibili di costituire oggetto di specifici interventi da parte dell’Autorità.
Così circoscritto l’interesse all’accesso alla conoscenza del dato di cui sopra si è detto (nominativo dell’autore della segnalazione ricevuta dall’Ufficio del garante)
la questione giuridica da porsi è quella della prevalenza comunque del diritto alla ostensione rispetto alla tutela, non tanto della riservatezza di un terzo che, peraltro, nemmeno è parte del presente giudizio, ma, più in radice, delle forme di tutela che il legislatore ha posto a presidio del diritto alla protezione dei dati personali, attraverso la garanzia dell’anonimato di chi, esercitando un diritto espressamente previsto dall’ordinamento, si pone quale stimolo dei poteri di accertamento e di controllo, anche a mezzo di ispezioni, propri del Garante per la protezione dei dati personali.
E’ il caso, invero, dei procedimenti avviati sulla base di segnalazioni, ai sensi dell’art. 141, lett. b), che il d.lgs. n. 196/2003 annovera tra le forme di tutela del diritto alla protezione dei dati personali, cui il Collegio ritiene possano essere estesi i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia affine a quella oggetto della presente controversia.
Esiste, infatti, un orientamento assunto dal Consiglio di Stato (ancorché in occasione di controversie su una differente tipologia di procedimento, ma i cui tratti sono assimilabili per i fini di interesse; cfr. Sez. VI, n. 5779/2014), secondo cui
l’esigenza di tutela della riservatezza di chi rende dichiarazioni in sede ispettiva assume una peculiare rilevanza, onde scongiurare eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del soggetto nei cui confronti sono state rese le dichiarazioni, ma anche, (e, ritiene il Collegio, soprattutto) per preservare, su di un piano più ampio, il generale interesse ad un compiuto controllo delle attività oggetto di ispezione (nella specie, si trattava dell’attività ispettiva sulla regolarità dei rapporti di lavoro).
Se, infatti, il bilanciamento tra diritto di accesso per la difesa e cura dei propri interessi, da un lato, e diritto di riservatezza del terzo, dall’altro, è stato risolto dal legislatore con la prevalenza alla tutela del diritto di accesso, quando questo sia strumentale alla cura o difesa di propri interessi giuridici (art. 24, co. 7, legge n. 241/21990),
non può essere trascurato che, nel caso di specie esiste, sullo sfondo, un preminente interesse dell’ordinamento giuridico, quale la tutela dei dati personali come declinata nei diversi mezzi pure previsti dal legislatore, che è altrettanto meritevole di essere preservato nella sua integrità ed effettività.
Come si evince dall’incipit della nota oggetto di contestazione, il Garante ha precisato che l’attività istruttoria in merito al trattamento dei dati personali effettuato dalla ricorrente in qualità di titolare dell’Agenzia “Il fi. ro.”, era stata avviata d’ufficio e sulla base di una segnalazione.
Si tratta, dunque, di un caso in cui l’attività amministrativa è stata sollecitata facendo legittimo ricorso ad uno strumento (la segnalazione) che costituisce una precisa forma di tutela, a prescindere dal fatto che poi il procedimento si sia concluso, per la ricorrente, con una archiviazione.
Ed invero,
il potere di controllo, che il Garante può esercitare anche in via del tutto autonoma, ottiene la più completa ed esauriente esplicazione anche con l’esercizio dei mezzi di tutela posti dall’art. 141, d.lgs. 196/2001, tra cui, le segnalazioni che possono essere presentate in mancanza di elementi tali da consentire la presentazione di un ricorso o di un reclamo circostanziato.
Pertanto, ammettere che la conoscenza del nominativo del segnalatore costituisca un diritto indefettibile del soggetto che tratta dati personali, che, in ragione di ciò, si ricorda, è sottoposto al permanente potere di controllo del Garante circa la regolarità e conformità a legge di tale trattamento si risolverebbe, di fatto, in un depotenziamento di questo utile strumento posto a tutela di un bene giuridico considerato di particolare rilievo, quali sono, appunto, i “dati personali”.

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Il ricorso proposto contro il solo verbale redatto dai vigili urbani è inammissibile, in quanto avente ad oggetto un atto endoprocedimentale ad efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla polizia municipale alla quale non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva, allo scopo occorrendo un formale atto di accertamento della competente autorità amministrativa.
Il verbale di accertamento di infrazione redatto dal Corpo di Polizia Municipale non è direttamente impugnabile, trattandosi di atto a carattere endoprocedimentale, inidoneo a produrre alcun effetto lesivo nella sfera giuridica del privato, la quale viene incisa solo a seguito e per l’effetto dell’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, costituito dall’ordinanza, unico atto contro cui è possibile proporre impugnazione.

In proposito, secondo pacifica e condivisa giurisprudenza: <<Il ricorso proposto contro il solo verbale redatto dai vigili urbani è inammissibile, in quanto avente ad oggetto un atto endoprocedimentale ad efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla polizia municipale alla quale non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva, allo scopo occorrendo un formale atto di accertamento della competente autorità amministrativa>> (ex multis: TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 08.01.2011, n. 25); ed, ancora: <<il verbale di accertamento di infrazione redatto dal Corpo di Polizia Municipale non è direttamente impugnabile, trattandosi di atto a carattere endoprocedimentale, inidoneo a produrre alcun effetto lesivo nella sfera giuridica del privato, la quale viene incisa solo a seguito e per l’effetto dell’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo, costituito dall’ordinanza, unico atto contro cui è possibile proporre impugnazione>> (TAR Trentino Aldo Adige, Trento, 10.12.2007, n. 183).
Ne deriva che, previa contestazione nel verbale di udienza ai sensi dell’art. 73 c.p.a., i motivi aggiunti in esame sono inammissibili in quanto prodotti avverso un verbale di accertamento di ottemperanza che, in quanto atto endoprocedimentale, non è suscettibile di autonoma impugnazione con conseguente inammissibilità originaria del ricorso in esame (cfr. TAR Campania, sez. III, 15.01.2013, n. 28)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 06.11.2015 n. 5199 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, l'abusivo può avere l'esposto.
Qualcuno ha fatto la «spia» ai vigili. A un vicino i lavori edilizi nella casa attigua proprio non sono andati giù e si è rivolto alla Municipale. Ecco allora che il proprietario dell'immobile chiede di vedere l'esposto contro di lui ma il comando della polizia locale risponde che l'accesso è precluso dall'articolo 329 Cpp in quanto è stata comunicata una notizia di reato.
In realtà, invece, il responsabile dei lavori ha diritto a leggere l'esposto anche se rischia l'incriminazione penale: in questo caso la comunicazione dei vigili in procura non rientra fra le attività di polizia giudiziaria, mentre chi è soggetto a un controllo o a un'ispezione ha l'interesse qualificato a conoscere tutti i documenti dai quali scaturisce l'iniziativa.

È quanto emerge dalla sentenza 10.09.2015 n. 11188, pubblicata dalla II Sez. del TAR Lazio-Roma.
Secondo cui la polizia municipale, in quanto espressione del comune, agisce nell'ambito della sua attività istituzionale, che è amministrativa e non come polizia giudiziaria laddove ha ricevuto l'esposto dal terzo.
Risulta dunque esclusa l'applicazione della regola secondo cui gli atti d'indagine compiuti dal pm e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Deve invece riconoscersi al proprietario dell'immobile la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere a esposti o denunce presentati nei suoi confronti (articolo ItaliaOggi del 13.10.2015).
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MASSIMA
... ritiene il Collegio che il ricorso meriti favorevole esame.
La gravata determinazione oppone un diniego all’istanza del ricorrente, volta ad ottenere l’accesso all’esposto presentato nei suoi confronti con riguardo a lavori edili eseguiti nella propria abitazione, nel ritenuto presupposto che essendo stato trasmessa comunicazione di notizia di reato all’Autorità Giudiziaria ed essendo in corso l’attività di indagine vi osterebbe la previsione recata dall’art. 329 c.p.p.
Al riguardo, osserva il Collegio l’erroneità della motivazione posta a base del gravato diniego in quanto, in adesione alla giurisprudenza maggioritaria (ex plurimis, da ultimo: Consiglio di Stato, Sez. VI, 29.01.2013 n. 547; TAR Reggio Calabria 22.10.2014 n. 584),
non ogni denuncia di reato presentata all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, dal momento che, se la denuncia è presentata dalla p.a. nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p., diversamente da quanto accade nell’ipotesi in cui la p.a. che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall'ordinamento, venendo in rilievo in tali casi atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. che sono conseguentemente sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990.
Esclusa quindi l’applicabilità, alla fattispecie in esame, dell’art. 329 c.p.p. –il quale prevede, al comma 1, che gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari– e ciò in quanto la comunicazione effettuata dall’Amministrazione all’Autorità Giudiziaria non rientra tra le attività di polizia giudiziaria attribuite all’Amministrazione stessa, ritiene ancora il Collegio, quanto a verifica della sussistenza dei presupposti per l’accesso, che
deve in linea generale riconoscersi in capo all’istante la sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale di accedere ad esposti o denunce presentati nei suoi confronti, trattandosi di interesse collegato ad una situazione giuridicamente tutelata in capo al soggetto istante e connesso al documento al quale è chiesto l'accesso.
Chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha, infatti, un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell'istruttoria, il che può unicamente giustificare il differimento del diritto di accesso, ma non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti (Cons. Stato, Sez. V, 19.05.2009, n. 3081; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601).
Nello stesso senso,
ancor più di recente, il Consiglio di Stato (Sez. III, 08.09.2014, n. 4539) ha riconosciuto l'ostensibilità delle denunce che hanno dato origine ad un accertamento medico a cui è stato sottoposto il lavoratore, da parte del datore di lavoro, ancorché conclusosi con esito negativo.
I richiamati principi di diritto, che trovano applicazione alla fattispecie in esame, conducono quindi all’accoglimento del ricorso, dovendo per l’effetto disporsi l'annullamento del gravato provvedimento di diniego con contestuale ordine, alla resistente Amministrazione, di consentire l’accesso al ricorrente, mediante estrazione di copia, all’esposto presentato nei suoi confronti entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore, della presente pronuncia.

ATTI AMMINISTRATIVI: Distinzione tra l'istanza che fa nascere l'obbligo di provvedere e il semplice "esposto" come protezione contro le inerzie dell’amministrazione.
Esiste l'obbligo di provvedere, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, anche in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l'adozione di un provvedimento. Si tende, in tal modo, ad estendere le possibilità di protezione contro le inerzie dell’amministrazione pur in assenza di una norma ad hoc che imponga un dovere di provvedere (è stato detto che "indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un'esplicita pronuncia)".
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In caso di richiesta di atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall'adozione dei quali l’istante possa trarre indirettamente vantaggi (c.d. interessi strumentali) -e tali sono le istanze presentate dalla ricorrente- occorre distinguere tra l'istanza che fa nascere l'obbligo di provvedere e il semplice "esposto", che ha mero valore di denuncia inidonea a radicare una posizione di interesse tutelata sia dall'apertura del procedimento conclusivo, sia dalla conclusione dello stesso in modo conforme alle aspettative dell'istante.
Al riguardo, il criterio distintivo tra istanza (idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero esposto, viene ravvisato dalla giurisprudenza “nell'esistenza in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività. Occorre, in altri termini, che il comportamento omissivo dell'Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto, per l'appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile. Ove ciò accada, l'eventuale inerzia serbata dall'Amministrazione sull'istanza, assume una connotazione negativa e censurabile dovendo l'Ente dar comunque seguito (anche magari esplicitando l'erronea valutazione dei presupposti da parte dell'interessato) all'istanza”.
... per l'accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dalla Provincia di Milano, ora Città Metropolitana di Milano, sulle reiterate segnalazioni della ricorrente, con cui si denunciava la presenza di una serie di impianti pubblicitari abusivamente apposti da ignoti sul sedime laterale della Strada Provinciale 15-bis, nel tratto immediatamente prospiciente la rotonda posta all'incrocio tra Via A. Grandi e Via XXV Aprile, in Comune di Peschiera Borromeo (MI), ai fini della loro rimozione, nonché -ove occorrer possa- per la declaratoria dell'illegittimità di ogni altro eventuale comportamento presupposto, connesso e/o conseguente.
...
5. La giurisprudenza è ormai costantemente orientata nel ritenere che esiste l'obbligo di provvedere, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, anche in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l'adozione di un provvedimento. Si tende, in tal modo, ad estendere le possibilità di protezione contro le inerzie dell’amministrazione pur in assenza di una norma ad hoc che imponga un dovere di provvedere (Cons. Stato, sez. VI, 11.05.2007, n. 2318; Cons. Stato, sez. IV, 14.12.2004, n. 7975 secondo cui “indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un'esplicita pronuncia)".
In particolare, in caso di richiesta di atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall'adozione dei quali l’istante possa trarre indirettamente vantaggi (c.d. interessi strumentali) -e tali sono le istanze presentate dalla ricorrente- occorre distinguere tra l'istanza che fa nascere l'obbligo di provvedere e il semplice "esposto", che ha mero valore di denuncia inidonea a radicare una posizione di interesse tutelata sia dall'apertura del procedimento conclusivo, sia dalla conclusione dello stesso in modo conforme alle aspettative dell'istante.
Al riguardo, il criterio distintivo tra istanza (idonea a radicare il dovere di provvedere) e mero esposto, viene ravvisato dalla giurisprudenza “nell'esistenza in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività. Occorre, in altri termini, che il comportamento omissivo dell'Amministrazione sia stigmatizzato da un soggetto qualificato, in quanto, per l'appunto, titolare di una situazione di specifico e rilevante interesse che lo differenzia da quello generalizzato di per sé non immediatamente tutelabile. Ove ciò accada, l'eventuale inerzia serbata dall'Amministrazione sull'istanza, assume una connotazione negativa e censurabile dovendo l'Ente dar comunque seguito (anche magari esplicitando l'erronea valutazione dei presupposti da parte dell'interessato) all'istanza”.
In applicazione di questi principi, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sussista in capo all’amministrazione un obbligo di provvedere.
La proprietà di un complesso immobiliare che affaccia sulla strada provinciale 15-bis su cui sono stati apposti i cartelloni abusivi in questione, attribuisce alla ricorrente una situazione di specifico e rilevante interesse, differenziata da quella della generalità dei consociati e tale, pertanto, da radicare in capo all'amministrazione un obbligo di pronunciarsi sulla relativa istanza.
6. Occorre a questo punto accertare se l’amministrazione abbia o meno provveduto sulle istanze presentate dalla ricorrente, e, in particolare, su quella del 16.12.2013 (perché solo con riferimento a questa il ricorso è stato proposto nei termini previsti all’art. 31, c. 2, cod. proc. amm.).
La ricorrente ha presentato all’amministrazione provinciale una prima denuncia nel luglio 2010, cui ha fatto seguito la rimozione da parte dell’amministrazione dei cartelloni abusivi.
Nell’ottobre e nel novembre 2010, la ricorrente ha dato avviso alla Provincia della successiva nuova installazione di impianti pubblicitari abusivi da parte di ignoti, chiedendone la rimozione.
In mancanza di riscontro, con nota del gennaio 2011, la società ricorrente ha nuovamente denunciato all’amministrazione il perdurare della situazione e richiesto l’assunzione di provvedimenti repressivi.
Con nota del 16.2.2011, la Provincia di Milano ha riscontrato l’istanza, comunicando alla ricorrente di avere avviato le procedure per bandire il nuovo appalto per il servizio di rimozione degli impianti pubblicitari abusivi.
Con nota dell’agosto 2011, la ricorrente ha nuovamente richiesto alla Provincia di provvedere alla eliminazione dei tabelloni pubblicitari. L’istanza è stata reiterata con nota del luglio 2012 e da ultimo con nota del 16.12.2013.
Sulle istanze presentate nel 2010 e nel 2011, l’obbligo di conclusione del procedimento previsto all’art. 2, l. n. 241/1990 può dirsi adempiuto con il provvedimento del febbraio 2011 con il quale l’amministrazione provinciale ha comunicato di essere intervenuta più volte per rimuovere gli impianti pubblicitari in questione, che l’appalto per il servizio di rimozione mezzi pubblicitari abusivi è scaduto e sono state avviate le procedure per bandire il nuovo appalto.
Si tratta invero di un provvedimento espresso che si è pronunciato sulle richieste presentate della ricorrente.
Ad avviso del Collegio, tale atto non è tuttavia sufficiente a ritenere rispettato quanto previsto dall’art. 2, l. n. 241/1990 in quanto le successive istanze presentate nel 2012 e nel 2013, con cui la ricorrente ha reiterato la richiesta di intervento dell’amministrazione, hanno determinato nuovamente il sorgere di un obbligo di provvedere.
Non trova, invero, applicazione nel caso di specie il principio giurisprudenziale secondo cui un tale obbligo non sorge allorché un’istanza sia meramente reiterativa di altra, di identico contenuto, sulla quale era già intervenuta una determinazione esplicita, divenuta inoppugnabile per decorso dei termini (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 13/06/2003, n. 2428; TAR Marche, Ancona, sez. I, 21/03/2014, n. 369; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 26/11/2009, n. 810; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 12/10/2009, n. 697) e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (cfr. id. n. 89/95 e Cass. SS.UU. 20.01.1969, n. 128).
Questa giurisprudenza trova, invero, applicazione in caso di mera reiterazione di un'istanza già definita con atto negativo o anche solo soprassessorio.
Il provvedimento del febbraio 2011 con cui la p.a. ha riscontrato le prime istanze aveva, invece, un contenuto favorevole alla ricorrente, poiché con esso la Provincia ha, nella sostanza, affermato che avrebbe agito nel senso auspicato dall’istante, provvedendo, mediante una procedura d’appalto, alla individuazione di un soggetto che avrebbe rimosso gli impianti abusivi: non avendo un contenuto lesivo l’atto non necessitava pertanto di alcuna impugnazione.
Inoltre, a fronte di un atto con cui la p.a., nel febbraio 20111, ha affermato di avere dato avvio alle procedure per bandire il nuovo appalto per il servizio di rimozione dei mezzi pubblicitari abusivi, ormai scaduto, a luglio 2012 e, a maggior ragione, a dicembre 2013 può dirsi decorso il termine entro il quale tale procedura di gara avrebbe dovuto essere conclusa: ciò configura un sopravvenuto mutamento della situazione di fatto e di diritto che consente di ritenere nuova l’ultima istanza e dunque di affermare il sorgere, nuovamente, dell’obbligo per la p.a. di concludere il procedimento con la stessa avviato.
In caso contrario, invero, l’istante resterebbe privo di tutela: non avrebbe potuto impugnare il provvedimento con cui viene comunicato l’avvio delle procedure per bandire la gara d’appalto, in quanto atto favorevole e, pur a fronte di una perdurante inerzia della p.a. nel concludere il procedimento di gara d’appalto e comunque nel provvedere a esercitare il doveroso potere sanzionatorio, non disporrebbe neppure dello strumento del ricorso avverso il silenzio.
7. Affermata la sussistenza di un obbligo di conclusione del provvedimento va, infine, rigettata l’eccezione formulata dalla difesa dell’amministrazione provinciale con cui si afferma che la competenza a provvedere sull’istanza è del Comune di Peschiera Borromeo -ai sensi di quanto previsto dall’art. 23, c. 4, d.lgs. n. 285/1992, in quanto la rotatoria e la strada provinciale 15-bis su cui si trovano i cartelloni abusivi sono incluse nel centro abitato del Comune- e non della Città Metropolitana di Milano.
La Provincia di Milano, con nota depositata il 21.05.2015, in ottemperanza all’istanza istruttoria formulata da questo Tribunale con ordinanza n. 1009/2015, ha affermato che:
- il Comune di Peschiera Borromeo ha inserito con delibera n. 301/2008 il tratto stradale in questione nel centro abitato;
- per i Comuni con un numero di abitanti superiore alle 10.000 unità, l’art. 4, d.P.R. n. 495/1992 prevede che i tratti di strade provinciali ricadenti all’interno del centro abitato vengano declassati a strade comunali e che la competenza della gestione e manutenzione, compresa la rimozione degli impianti abusivi, passi al Comune;
- ha attivato le procedure per la cessione dei tratti stradali (incluso il tratto della s.p. 15-bis su cui si trovano gli impianti abusivi) che il Comune di Peschiera Borromeo ha incluso nel centro abitato ma che il Comune non ha dato, al momento, riscontro favorevole di tale passaggio.
Il Collegio non condivide queste argomentazioni.
L’articolo 4, d.P.R. n. 495/1992, recante “passaggi di proprietà fra enti proprietari delle strade”, così dispone ai commi 4 e ss.: “4. I tratti di strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati a seguito della delimitazione del centro abitato prevista dall'articolo 4 del codice, sono classificati quali strade comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale con la quale si procede alla delimitazione medesima.
5. Successivamente all'emanazione dei provvedimenti di classificazione e di declassificazione delle strade previsti agli articoli 2 e 3, all'emanazione dei decreti di passaggio di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei tronchi di strade fra gli enti proprietari.
6. La consegna all'ente nuovo proprietario della strada è oggetto di apposito verbale da redigersi in tempo utile per il rispetto dei termini previsti dal comma 7 dell'articolo 2 ed entro sessanta giorni dalla delibera della giunta municipale per i tratti di strade interni ai centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti.
7. Qualora l'amministrazione che deve prendere in consegna la strada, o tronco di essa, non interviene nel termine fissato, l'amministrazione cedente è autorizzata a redigere il relativo verbale di consegna alla presenza di due testimoni, a notificare all'amministrazione inadempiente, mediante ufficiale giudiziario, il verbale di consegna e ad apporre agli estremi della strada dismessa, o dei tronchi di essa, appositi cartelli sui quali vengono riportati gli estremi del verbale richiamato
”.
Poiché nel caso di specie non risulta che l’amministrazione provinciale -a fronte dell’inerzia del Comune di Peschiera Borromeo nel prendere in consegna la strada in questione- abbia attivato la procedura prevista dall’ultimo comma della norma citata, si può affermare che la competenza a provvedere in merito all’istanza della ricorrente sia rimasta in capo alla Provincia e dunque ora alla Città Metropolitana di Milano.
8. Non escludono, infine, l’illegittimità del silenzio la non disponibilità, in capo all’ente, delle attrezzature necessarie per rimuovere mezzi elettrificati e le difficoltà economiche lamentate dall’amministrazione, stante la doverosità non solo dell’obbligo di conclusione del procedimento, previsto all’art. 2, l. n. 241/1990, ma anche dell’esercizio del potere sanzionatorio disciplinato dall’art. 23, d.lgs. n. 285/1992, norma che prevede la irrogazione di sanzioni direttamente nei confronti dell’autore della violazione, del proprietario o del possessore del suolo privato o del soggetto che utilizza gli spazi pubblicitari privi di autorizzazione e che dispone altresì che, ove la rimozione sia effettuata dall’ente proprietario, i relativi oneri siano a carico dell'autore della violazione e, in via tra loro solidale, del proprietario o possessore del suolo.
9. Per le ragioni esposte il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. Per l’effetto va ordinato alla Città Metropolitana di Milano di concludere con un provvedimento espresso e motivato il procedimento avviato con l’istanza presentata dalla ricorrente il 16.12.2013, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.
10. In caso di inottemperanza entro il termine suindicato, il Prefetto di Milano, in qualità di commissario ad acta, con facoltà di delega a funzionario di sua fiducia, provvederà in sostituzione dell’amministrazione inadempiente a concludere il procedimento entro il successivo termine di novanta giorni (
TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 09.09.2015 n. 1958 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sul legittimo diniego di accesso all'esposto cui consegue un sopralluogo da parte della Polizia Locale.
Il provvedimento di diniego del Comune è fondato sull’art. 20, comma 2, del Regolamento sui procedimenti amministrativi e sull’art. 329 c.p.p. e nella parte conclusiva del provvedimento è evidenziato che l’attività ispettiva è scaturita da un esposto anonimo che il Comune sostiene essere stato inviato a molte autorità pubbliche compresa la Procura della Repubblica.
La conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo.
Pertanto nessun vantaggio ai fini della difesa dei propri interessi può scaturire dalla conoscenza dell’autore dell’esposto, circostanza peraltro impossibile nel caso di specie, poiché la denuncia è stata presentata in forma anonima.
L’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e la denuncia anonima ha semmai svolto il ruolo –che non era certamente necessario– di sollecitarne l’esercizio. E’ pertanto evidente che l'accesso alla denuncia non risponde ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di difesa.

... per l'accertamento del diritto all’accesso agli atti richiesti con nota depositata il 30.03.2015;
...
Il ricorrente comproprietario di un immobile sito in Rimini aveva visto effettuare un sopralluogo da parte di agenti di polizia amministrativa del Comune per verificare la conformità dello stato dei luoghi rispetto alle normative edilizie.
Presentava una richiesta di accesso in data 30.03.2015 per conoscere il nome dell’autore dell’esposto-denuncia che era all’origine del sopralluogo effettuato ed il Comune non dava seguito all’istanza entro trenta giorni.
Con il primo motivo di ricorso affermava l’illegittimità del silenzio-rifiuto poiché l’interesse all’esibizione dei documenti non è immediatamente preordinato a esigenze di tutela giurisdizionale di diritti, ma richiede un semplice interesse diretto che corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata.
Nel caso di specie la rivelazione dell’autore dell’esposto è necessaria perché dall’attività ispettiva della Polizia Municipale è sorta una denuncia all’Autorità Giudiziaria.
Osservava, inoltre, che l’esistenza di un procedimento penale non giustifica l’opposizione del segreto investigativo di cui all’art. 329 c.p.p. poiché l’atto richiesto non è un atto di indagine, ma un semplice presupposto di successivi atti di indagine.
Nelle more tra la notifica ed il deposito del ricorso, veniva emesso un atto formale di diniego della richiesta di accesso che veniva impugnato con motivi aggiunti che ricalcavano nella sostanza quanto già affermato nel ricorso principale.
Il Comune di Rimini si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Il provvedimento di diniego del Comune di Rimini è fondato sull’art. 20, comma 2, del Regolamento sui procedimenti amministrativi e sull’art. 329 c.p.p. e nella parte conclusiva del provvedimento è evidenziato che l’attività ispettiva è scaturita da un esposto anonimo che il Comune sostiene essere stato inviato a molte autorità pubbliche compresa la Procura della Repubblica.
La conoscenza della fonte all’origine di un controllo di polizia non risponde a nessun interesse di colui che subisce l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo.
Pertanto nessun vantaggio ai fini della difesa dei propri interessi può scaturire dalla conoscenza dell’autore dell’esposto, circostanza peraltro impossibile nel caso di specie, poiché la denuncia è stata presentata in forma anonima.
L’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e la denuncia anonima ha semmai svolto il ruolo –che non era certamente necessario– di sollecitarne l’esercizio. E’ pertanto evidente che l'accesso alla denuncia non risponde ad alcun interesse del ricorrente e in nessun modo incide sul suo diritto di difesa (Consiglio di Stato n. 5779/2014).
Il ricorso principale è improcedibile e quello per motivi aggiunti infondato (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sezz. unite, sentenza 26.08.2015 n. 784 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIAtti di indagine. Il comune giustificato dal segreto.
La richiesta di accesso agli atti di indagine della polizia locale trova un limite nell'attività di polizia giudiziaria. In questo caso, il comune non può essere trasparente ed è condizionato dal segreto istruttorio.

Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 12.05.2015 n. 2357.
Un dipendente comunale indagato ha richiesto di poter accedere al proprio fascicolo personale ma senza completo successo, ovvero senza ricevere informazioni sugli atti di indagine svolti dalla polizia municipale su delega dell'autorità giudiziaria.
Contro questa misura limitativa anche della trasparenza amministrativa, l'interessato ha proposto ricorso ai giudici di palazzo Spada, ottenendo conferma della legittimità dell'operato degli uffici comunali.
In buona sostanza non basta l'interesse del richiedente per accedere a questi atti. Serve sempre anche il nullaosta dell'autorità giudiziaria (articolo ItaliaOggi del 26.05.2015).
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MASSIMA
Il ricorso è infondato e va respinto.
Al riguardo si deve osservare, infatti, come rilevato dal TAR per la Liguria nella pronuncia ora oggetto d’impugnativa, che avverso il precedente diniego su medesima istanza di accesso, adottato dal Comune di Savona con nota prot. n. 39915 del 26.08.2013, è già intervenuta la sentenza n. 319/2014, oramai divenuta irrevocabile e che l’appellante ha motivato la nuova istanza ripetendone l’oggetto e indicandone, a giustificazione, gli stessi motivi che hanno originato la precedente richiesta.
Orbene, atteso che nel caso di specie nella richiesta di accesso non sono stati introdotti elementi di novità e l’interessato si è limitato a reiterare l’originaria istanza o, al più, a illustrare ulteriormente le proprie ragioni, non si ravvisa motivo per discostarsi dalla decisione del TAR Liguria che, comunque, ha verificato l'inesistenza della lamentata violazione del diritto di accesso (cfr. C.d.S., Ad. plen. nn. 6 e 7 del 2006, C.d.S., Sez. V, n. 1661 dell'08.04.2014).
L'accesso agli atti amministrativi non può riguardare, infatti, atti su cui operi il segreto istruttorio penale, perché formatisi in occasione di attività di indagine compiute dalla polizia municipale quale organo di polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero, atti per i quali in assenza di autorizzazione di quest’ultimo è esclusa in radice l'ostensibilità.
Pertanto, se da un lato gli atti oggetto delle istanze di accesso formulate dal Sig. G. inerenti indagini penali, quand’anche esistenti, non sono ostensibili, dall'altro deve constatarsi che il ricorrente non ha provato l'esistenza di altri dati, notizie ed informazioni ai quali non gli sarebbe stato concesso di accedere, limitandosi a sostenere che l'interesse sotteso alle istanze di accesso era quello di verificare quali atti di indagine il Comune di Savona tenesse ipoteticamente serbati nel fascicolo personale o più in generale negli archivi e che, a suo dire, erano stati utilizzati per promuovere procedimenti disciplinari e per fornire informazioni alla locale Prefettura presso la quale era in trattazione una domanda per ottenere i benefici concessi ai tutori dell'ordine in quanto "vittime del dovere".
Fermo restando quanto sopra rappresentato circa la non ostensibilità degli atti d’indagine penale, si riscontra che in ambito disciplinare il Comune si è attivato a seguito della comunicazione di cui all'art. 129 disp. att. c.p.p. e in merito alla richiesta dei benefici spettanti alle "vittime del dovere" ha fornito alla Prefettura un dettagliato rapporto relativo al servizio prestato dal ricorrente, così come richiesto dalla stessa.

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Deve ritenersi pacifico e radicato in giurisprudenza il principio secondo il quale la sussistenza del requisito della vicinitas tra la proprietà dell'istante e quella del controinteressato, supportata dalla produzione dell'atto di acquisto dell'area interessata, fanno sì che debba riconoscersi la sussistenza in capo al ricorrente dell'interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l'accesso (nella specie, copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso), che l'art. 22, l. n. 241 del 1990, anche nel nuovo testo conseguente alle modifiche apportate dalla l. n. 15 del 2005, prevede quale presupposto per la legittimazione all'azione e l'accoglimento della relativa domanda.
Peraltro, se è indubbio che il frontista (il confinante, il vicino) ad un'area oggetto di interventi edilizi ha il diritto di accedere ai relativi provvedimenti abilitativi, ancora indubbio è che a suo carico non sussiste l'onere di indicare dettagliatamente i documenti che intende visionare, essendo sufficiente, ai fini della specificità dell'istanza di accesso, che con la domanda siano forniti elementi utili alla loro individuazione.
---------------
Se è vero che la sussistenza dei requisiti per l'accesso agli atti amministrativi va accertata, in sede sia amministrativa che giurisdizionale, nella pienezza del contraddittorio con gli interessati cui i documenti si riferiscono, i quali perciò assumono nel processo la veste di controinteressati, deve, tuttavia, ritenersi che tale fattispecie non ricorra e che, quindi, tale principio non trovi applicazione nei casi, come quello "de quo", in cui la domanda di accesso riguardi atti che, per la loro diretta inerenza a provvedimenti amministrativi pubblici, non possono essere in alcun modo sottratti all'accesso.
D’altro canto già, sotto l’impero della Legge Urbanistica fondamentale n. 1142 del 1950, l’art. 31 c. 9, (nella parte in cui stabiliva che chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto), aveva riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la stessa.
Parallelamente oggi l’art. 20, c. 6, del T.U. n. 380 del 2001, come inteso dalla giurisprudenza vigente, assicura a qualsiasi soggetto interessato (termine da intendersi non come sinonimo di un’azione popolare ma, come sopra chiarito, con riferimento ai proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la stessa) la possibilità di visionare gli atti del procedimento di rilascio di permesso di costruire, in ragione del controllo diffuso sull'attività edilizia, che il legislatore ha inteso garantire ed atteso che in subiecta materia non può essere affermata l'esistenza di un diritto alla riservatezza in capo ai contro interessati; postulato cui accede che, nel caso di specie, non trova applicazione la norma dell’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006 (diversamente da quanto sembra argomentato dalla resistente Amministrazione).
Pertanto il ricorso in epigrafe merita accoglimento con riferimento alla richiesta di ostensione della copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso.
Al contrario, analoga statuizione non è consentita con riguardo all’esibizione degli atti di cui all’art. 27, c. 4, del T.U. n. 380 del 2001 in quanto detta norma si riferisce agli atti di p.g. con cui, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, una volta rilevati casi di presunta violazione urbanistico edilizia, ne danno immediata comunicazione all’A.g.o. (nel caso in cui, ovviamente, integrino notitiae criminis) ed ai competenti organi regionali e comunali.
Altrimenti detto gli atti de quibus sono redatti dalla p.a. non nell’esercizio delle sue istituzionali funzioni amministrative ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essa specificamente attribuite dall'ordinamento; si è dunque in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria che, come tali, sono sottoposti al segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p. e, per conseguenza, sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24 della l. n. 241/1990.
Segue a tanto che gli specifici atti di cui al par. III), punto 2) dell’istanza di accesso del ricorrente, ove integranti -come già detto- notitiae criminis acquisite dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dipendenti comunali nell’esercizio delle funzioni di p.g. ad essi specificamente attribuite dall’Ordinamento, vanno esclusi dall’ordine di esibizione di cui al dispositivo della presente decisione.

... per l'annullamento silenzio formatosi in esito all’istanza di accesso agli atti presentata al comune di Pomezia in data 22.10.2014.
...
Considerato in diritto:
- che deve ritenersi pacifico e radicato in giurisprudenza il principio secondo il quale la sussistenza del requisito della vicinitas tra la proprietà dell'istante e quella del controinteressato, supportata dalla produzione dell'atto di acquisto dell'area interessata, fanno sì che debba riconoscersi la sussistenza in capo al ricorrente dell'interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato chiesto l'accesso (nella specie, copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso), che l'art. 22, l. n. 241 del 1990, anche nel nuovo testo conseguente alle modifiche apportate dalla l. n. 15 del 2005, prevede quale presupposto per la legittimazione all'azione e l'accoglimento della relativa domanda;
- che, peraltro, se è indubbio che il frontista (il confinante, il vicino) ad un'area oggetto di interventi edilizi ha il diritto di accedere ai relativi provvedimenti abilitativi, ancora indubbio è che a suo carico non sussiste l'onere di indicare dettagliatamente i documenti che intende visionare, essendo sufficiente, ai fini della specificità dell'istanza di accesso, che con la domanda siano forniti elementi utili alla loro individuazione (cfr., in tal senso, ex plurimis, Cons. St. Sez. V, 14.02.2012, n. 946);
- che, se è vero che la sussistenza dei requisiti per l'accesso agli atti amministrativi va accertata, in sede sia amministrativa che giurisdizionale, nella pienezza del contraddittorio con gli interessati cui i documenti si riferiscono, i quali perciò assumono nel processo la veste di controinteressati, deve, tuttavia, ritenersi che tale fattispecie non ricorra e che, quindi, tale principio non trovi applicazione nei casi, come quello "de quo", in cui la domanda di accesso riguardi atti che, per la loro diretta inerenza a provvedimenti amministrativi pubblici, non possono essere in alcun modo sottratti all'accesso.
D’altro canto già, sotto l’impero della Legge Urbanistica fondamentale n. 1142 del 1950, l’art. 31 c. 9, (nella parte in cui stabiliva che chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto), aveva riconosciuto una posizione qualificata e differenziata in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la stessa.
Parallelamente oggi l’art. 20, c. 6, del T.U. n. 380 del 2001, come inteso dalla giurisprudenza vigente, assicura a qualsiasi soggetto interessato (termine da intendersi non come sinonimo di un’azione popolare ma, come sopra chiarito, con riferimento ai proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di stabile collegamento con la stessa) la possibilità di visionare gli atti del procedimento di rilascio di permesso di costruire, in ragione del controllo diffuso sull'attività edilizia, che il legislatore ha inteso garantire ed atteso che in subiecta materia non può essere affermata l'esistenza di un diritto alla riservatezza in capo ai contro interessati (cfr. Cons. St. n. 9158 del 2013); postulato cui accede che, nel caso di specie, non trova applicazione la norma dell’art. 3 del d.P.R. n. 184 del 2006 (diversamente da quanto sembra argomentato dalla resistente Amministrazione);
- che pertanto il ricorso in epigrafe merita accoglimento con riferimento alla richiesta di ostensione della copia dei titoli abilitativi in forza dei quali sono stati effettuati dal confinante i lavori descritti nell’istanza di accesso; mentre analoga statuizione non è consentita con riguardo all’esibizione degli atti di cui all’art. 27, c. 4, del T.U. n. 380 del 2001 in quanto detta norma si riferisce agli atti di p.g. con cui, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, una volta rilevati casi di presunta violazione urbanistico edilizia, ne danno immediata comunicazione all’A.g.o. (nel caso in cui, ovviamente, integrino notitiae criminis) ed ai competenti organi regionali e comunali.
Altrimenti detto gli atti de quibus sono redatti dalla p.a. non nell’esercizio delle sue istituzionali funzioni amministrative ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essa specificamente attribuite dall'ordinamento; si è dunque in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria che, come tali, sono sottoposti al segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p. e, per conseguenza, sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24 della l. n. 241/1990 (C.d.S., Sez. VI, 09.12.2008, n. 6117; Tar LT, n. 17 del 2014).
Segue a tanto che gli specifici atti di cui al par. III), punto 2) dell’istanza di accesso del ricorrente, ove integranti -come già detto- notitiae criminis acquisite dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dipendenti comunali nell’esercizio delle funzioni di p.g. ad essi specificamente attribuite dall’Ordinamento, vanno esclusi dall’ordine di esibizione di cui al dispositivo della presente decisione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 15.04.2015 n. 5613 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: F. Guida, Accesso agli atti amministrativi: limiti alla ostensibilità di esposti e denunce alla base di atti in autotutela (02.04.2015 - link a www.diritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti amministrativi: limiti alla ostensibilità di esposti e denunce.
L'esposto alla PA dal quale trae origine un'attività amministrativa che si traduce, prima, in verifiche ispettive e, quindi, in verbali di accertamento di illeciti amministrativi non può essere fatto oggetto di accesso agli atti, non sussistendo il requisito della stretta connessione e del rapporto di strumentalità necessaria rispetto alla tutela delle proprie posizioni soggettive in giudizio, previsto dall’art. 24, comma 7, della Legge n. 241/1990 ed invocato dal richiedente a supporto di una richiesta ex artt. 22 e ss. L. n. 241/1990.
E’ quanto emerge dalla sentenza 20.03.2015 n. 321 del TAR Veneto, resa in applicazione di un orientamento già riscontrabile anche nella giurisprudenza di secondo grado (C.d.S. sez. VI, sent. n. 5779/2014).
Il GA mette in evidenza il ruolo svolto dall’esposto, che, non ha natura necessaria, bensì meramente sollecitatoria rispetto ad una funzione amministrativa già in capo alla PA e che la stessa deve comunque generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private, in attuazione del canone di buon andamento dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.).
Gli esposti e le denunce provenienti da privati, quindi, non si pongono in rapporto di necessaria causalità rispetto allo svolgimento dell’attività di verifica ispettiva.
L’attività amministrativa da cui il privato può eventualmente ricevere effetti sfavorevoli della propria sfera giuridica e rispetto alla quale ha, dunque, diritto all’accesso è costituita unicamente dai verbali amministrativi di accertamento, nei quali si sostanziano le determinazioni della PA procedente, che non costituiscono la risultante automatica delle segnalazioni private, bensì il prodotto delle attività di verifica ispettiva posta in essere.
La pronuncia si pone in linea con precedente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, sent. n. 5779/2014), per la quale la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestati risulta assicurata dal verbale di accertamento.
Nessun collegamento causale esiste, dunque, tra l’esposto ed il verbale di accertamento, ma solo tra la verifica ispettiva attivata ed il provvedimento finale.
Né è dato riscontrare un rinvio espresso dal verbale di accertamento all’esposto di parte e, dunque, una eventuale motivazione per relationem dell’atto amministrativo, tale da giustificare una richiesta di accesso estesa all’atto privato.
A parere dello scrivente i principi enunciati nei casi di specie, nei quali l’atto finale della PA si traduce in un’ordinanza - ingiunzione per un illecito amministrativo, paiono legittimamente richiamabili in ogni ipotesi di esercizio di attività amministrativa in autotutela.
Va dato atto, tuttavia, della sussistenza di un orientamento giurisprudenziale apparentemente difforme (per tutte: Tar Brescia sez. II, sentenza 20.11.2014, n. 1251).
Tale sentenza afferma, infatti, che il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l'esercizio del potere, inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l'azione dell'autorità, e che l'esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell'amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un'attività ispettiva o di un intervento in autotutela, di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione che diventa un elemento nella disponibilità dell'amministrazione. Né, ritiene il Tar lombardo, la sua divulgazione può ritenersi preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un'estensione tale trasformarlo in diritto all'anonimato.
Un elemento di congiunzione tra i due richiamati orientamenti, a giudizio di chi scrive, potrebbe essere individuato nel carattere che, nella vicenda concreta, assume effettivamente l’atto di parte da cui si origina l’attività ispettiva che è sfociata nell’adozione dell’atto in autotutela.
Tale carattere potrebbe indurre a favore della ostensibilità dell’esposto nei limiti in cui esso abbia costituito direttamente l’elemento fondante dello stesso provvedimento finale, o sia stato richiamato a supporto delle determinazioni assunte, o, ancora, nel caso in cui, il provvedimento adottato motivi per relationem, avuto riguardo all’esposto o alla denuncia privata. Diversamente, e quindi in senso contrario alla ostensibilità, nel caso in cui la valutazione amministrativa si basa solo ed esclusivamente sugli esiti della verifica ispettiva.
La tematica proposta è di particolare attualità e rilevanza anche alla luce dell’art. 1, comma 51, della Legge n. 190/2012, introduttiva dell’art. 54-bis (
[i]) del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.
Tale norma sottrae all’accesso la denuncia del pubblico dipendente che segnala, in sede amministrativa, al proprio superiore gerarchico la supposta consumazione di condotte illecite, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
L’adesione all’uno o all’altro degli orientamenti -fatta salva la lettura proposta, volta a renderli in qualche modo compatibili- ne determina la natura, quale norma ricognitiva ed applicativa di un principio generale o, diversamente, derogatoria ed eccezionale.
_____________
[i] Art. 54-bis. (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. 2. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato. 3. L'adozione di misure discriminatorie e' segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. 4. La denuncia e' sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 07.08.1990, n. 241, e successive modificazioni (link a www.altalex.com).

anno 2014

PUBBLICO IMPIEGO: Procedimenti disciplinari.
Domanda
Nell'ambito di un procedimento disciplinare il diritto di accesso del dipendente pubblico può estendersi alle denunce e agli esposti che hanno attivato la procedura?
Risposta
Il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati dall'amministrazione nell'esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che hanno determinato l'attivazione di tale potere (Cds, sez. IV, 19.01.2012, n. 231; sez. V, 19.05.2009, n. 3081).
Il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha a oggetto il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti informativi nell'ambito di un procedimento ispettivo. Infatti, al diritto alla riservatezza, non può riconoscersi un'estensione tale da includere il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi, tanto più che l'ordinamento non attribuisce valore giuridico positivo all'anonimato (Cds, sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Il Consiglio di stato, sez. V, con sentenza 28.09.2012 n. 5132 ha precisato che la conoscenza integrale dell'esposto rappresenta uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici in quanto solo in questo modo è possibile proporre eventualmente denuncia per calunnia a tutela dell'onorabilità (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.12.2014).

ATTI AMMINISTRATIVI: Sul diritto di accesso ad un esposto alla P.A. nei propri confronti.
Il diritto di accesso è ormai pacificamente riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione qualificata, a fronte del quale l’amministrazione pone in essere un’attività materiale vincolata.
L’istanza del richiedente deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso.
Il diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa costituisce una situazione giuridica attiva meritevole di autonoma protezione, da garantire qualora sia funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale.
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Il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere –inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità– suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
L’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione.
La sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi.
La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico e gli autori degli esposti sono tutelati dagli strumenti predisposti dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata.
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Non può seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’istante, essendo intuitivo che solo in questo modo egli potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria immagine verso l’esterno.
Detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso strumentale e ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a carico del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore.
Il principio di trasparenza dell’attività amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti del denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura che ha preso origine dall’esposto.
Infatti, specularmente, la qualità di autore di un esposto che abbia dato luogo a un procedimento lato sensu sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante di accesso agli atti della pubblica amministrazione.
E' pur vero che, in un caso particolare sul quale si è confrontata la giurisprudenza –ossia quello dell’accesso ai verbali redatti dalle autorità amministrative (INPS e INAIL), titolari delle funzioni di vigilanza sui rapporti di lavoro– è stata affermata una stringente esigenza di tutela dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi ispettivi, per il possibile rischio di condotte ritorsive provenienti dalla parte “forte” del rapporto contrattuale.
E' stato tuttavia affermato che le suesposte necessità appaiono in ogni caso recessive, rispetto alle esigenze difensive del datore, ove il rapporto d’impiego sia cessato.

... per l'esercizio del diritto di accesso MEDIANTE ESTRAZIONE DI COPIA, ALLE GENERALITA’ DELL’AUTORE DELLA SEGNALAZIONE DEL 23/09/2013, TRASMESSA ALL’A.S.L. DI BERGAMO.
...
Rilevato:
- che il diritto di accesso è ormai pacificamente riconosciuto come diritto soggettivo ad un’informazione qualificata, a fronte del quale l’amministrazione pone in essere un’attività materiale vincolata;
- che l’istanza del richiedente deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all’istante da uno specifico nesso;
- che il diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa costituisce una situazione giuridica attiva meritevole di autonoma protezione, da garantire qualora sia funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall'effettivo esercizio di un'azione giudiziale (Consiglio di Stato, sez. V – 23/02/2010 n. 1067);
Considerato:
- che il privato che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere –inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità– suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato (Consiglio di Stato, sez. V – 19/05/2009 n. 3081; sez. VI – 25/06/2007 n. 3601);
- che l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione;
- che la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi (TAR Veneto, sez. III – 03/02/2012 n. 116);
- che la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico (si veda la sentenza di questo TAR 29/10/2008 n. 1469), e gli autori degli esposti sono tutelati dagli strumenti predisposti dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata;
Tenuto conto:
- che non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’istante, essendo intuitivo che solo in questo modo egli potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria immagine verso l’esterno;
- che detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso strumentale e ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a carico del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore (Consiglio di Stato, sez. V – 28/09/2012 n. 5132);
- che il principio di trasparenza dell’attività amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti del denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura che ha preso origine dall’esposto;
- che infatti, specularmente, la qualità di autore di un esposto che abbia dato luogo a un procedimento lato sensu sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante di accesso agli atti della pubblica amministrazione (TAR Toscana, sez. III – 16/10/2014 n. 1569 e la giurisprudenza ivi richiamata);
- che è pur vero che, in un caso particolare sul quale si è confrontata la giurisprudenza –ossia quello dell’accesso ai verbali redatti dalle autorità amministrative (INPS e INAIL), titolari delle funzioni di vigilanza sui rapporti di lavoro– è stata affermata una stringente esigenza di tutela dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi ispettivi, per il possibile rischio di condotte ritorsive provenienti dalla parte “forte” del rapporto contrattuale;
- che è stato tuttavia affermato che le suesposte necessità appaiono in ogni caso recessive, rispetto alle esigenze difensive del datore, ove il rapporto d’impiego sia cessato (cfr. TAR Umbria – 21/01/2013 n. 31) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.11.2014 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
EDILIZIA PRIVATAPermessi di costruire senza privacy. Tar Marche. Qualsiasi interessato ha diritto di accesso agli atti, anche prima della legge sulla trasparenza.
In tema di edilizia, l’accesso agli atti amministrativi e agli elaborati progettuali è garantito a qualsiasi soggetto interessato con la pubblicazione delle autorizzazioni approvate nell’albo pretorio della pubblica amministrazione. Una forma di pubblicità non prevista dalla normativa precedente, ma nemmeno impedita da ragioni di riservatezza. E comunque più estesa di quella prevista dalla legge sul diritto d’accesso e utile al controllo pubblico dell’attività urbanistico-edilizia.

Lo ha stabilito il TAR Marche con la sentenza 07.11.2014 n. 923.
I giudici hanno accolto il ricorso di un privato a cui un Comune, per tutelare un presunto diritto alla riservatezza dei terzi interessati, aveva negato la visione dell’intera documentazione relativa ai titoli edilizi rilasciati ad un’azienda titolare di una lottizzazione comprendente un terreno di comproprietà. La documentazione era utile per una causa legale pendente contro lo stesso ente pubblico per il risarcimento dei danni derivanti da varianti urbanistiche ed edilizie.
A parere del collegio, l’accesso agli atti deve essere garantito in quanto necessario a curare o difendere gli interessi giuridici del richiedente secondo quanto stabilito in generale dalle norme sul procedimento amministrativo in tema di accesso (articolo 24 della legge 241/1990), ma in particolare da quelle del Testo unico in materia edilizia (Dpr 380/2001). Secondo il Tar, quest’ultime, obbligando la Pa a pubblicare nell’albo pretorio il concesso permesso di costruire (articolo 20, comma 6, del Testo unico), ne prevedono «un regime di pubblicità molto più esteso», almeno «prima dell’avvento del c.d. diritto di accesso civico» fissato con la legge sulla trasparenza (articolo 5 del Dlgs 33/2013).
Tale onere, afferma la sentenza, consente «a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire». Per questo poi, sull’accesso a tali atti «non può essere affermata l’esistenza di un diritto alla riservatezza» di terzi dato che, come nel caso in esame, chi li richiede «ha solo l’esigenza di verificare la presenza di eventuali abusi edilizi o altre similari evenienze che possano ledere la sua proprietà» (articolo Il Sole 24 Ore del 27.11.2014).
EDILIZIA PRIVATAIn materia di rilascio dei titoli edilizi esistono specifiche disposizioni di legge e regolamentari che, sulla scorta della nota disposizione di cui all’art. 31 della L. n. 1150/1942, come modificato dalla c.d. legge ponte n. 765/1967, prevedono un regime di pubblicità molto più esteso di quello che, prima dell’avvento del c.d. diritto di accesso civico (D.Lgs. n. 33/2013), era contemplato dalla L. n. 241/1990.
Si veda, in particolare, l’art. 20, comma 6, del T.U. n. 380/2001, nella parte in cui stabilisce che dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso all’albo pretorio. Tale disposizione non può che essere interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire (vedasi anche l’art. 27, comma 3, del DPR n. 380/2001).

Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
In effetti, in materia di rilascio dei titoli edilizi esistono specifiche disposizioni di legge e regolamentari che, sulla scorta della nota disposizione di cui all’art. 31 della L. n. 1150/1942, come modificato dalla c.d. legge ponte n. 765/1967, prevedono un regime di pubblicità molto più esteso di quello che, prima dell’avvento del c.d. diritto di accesso civico (D.Lgs. n. 33/2013), era contemplato dalla L. n. 241/1990.
Si veda, in particolare, l’art. 20, comma 6, del T.U. n. 380/2001, nella parte in cui stabilisce che dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio va dato avviso all’albo pretorio. Tale disposizione non può che essere interpretata nel senso che tale onere di pubblicazione è funzionale a consentire a qualsiasi soggetto interessato di visionare gli atti del procedimento, in ragione di quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire (vedasi anche l’art. 27, comma 3, del DPR n. 380/2001).
Ma nel caso di specie non è nemmeno necessario applicare tali disposizioni, visto che il ricorrente è comproprietario di un lotto di terreno attiguo a quelli di proprietà della ditta controinteressata e incluso nella medesima lottizzazione, e che egli è stato asseritamente danneggiato da alcune varianti urbanistiche ed edilizie che il Comune di Recanati ha approvato negli ultimi tempi. E tale affermazione non è meramente soggettiva, visto che pende già davanti a questo Tribunale il ricorso con cui il sig. C. chiede la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.
Sussistono quindi tutti i presupposti di cui all’art. 24, comma 7, L. n. 241/1990, considerato che in subiecta materia non può essere affermata l’esistenza di un diritto alla riservatezza in capo ai controinteressati.
In effetti, il ricorrente ha solo l’esigenza di verificare la presenza di eventuali abusi edilizi o altre similari evenienze che possano ledere la sua proprietà (e non importa se si tratti di proprietà individuale o di comproprietà), il che non implica quindi la conoscenza di dati sensibili. A voler diversamente opinare si darebbe, ad esempio, la possibilità agli autori di abusi edilizi di poter evitare qualsiasi controllo su impulso di parte, accampando un inesistente diritto alla riservatezza.
Naturalmente non è scontato che i documenti oggetto di accesso siano effettivamente utili al ricorrente nell’ambito del giudizio pendente (così come è da ribadire che la proposizione di istanze di accesso non riapre ex se i termini di impugnazione di provvedimenti ormai consolidatisi), ma in questa sede il giudice deve solo verificare la non manifesta inutilità della visione degli atti oggetto della richiesta di accesso.
Il Tribunale, per quanto detto in precedenza, non ritiene che la visione degli atti in argomento sia icto oculi irrilevante rispetto alle esigenze di tutela giurisdizionale delle ragioni del sig. C..
In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente condanna del Comune di Recanati a consentire al ricorrente la visione e l’estrazione di copia degli atti indicati nell’istanza di accesso del 18/2/2014 (per la parte rimasta inevasa), chiarita con le successive note del 10/03/2014 e del 23/04/2014 (TAR Marche, sentenza 07.11.2014 n. 923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sul diritto, o meno, di accedere ad un esposto presentato al comune (nei propri confronti) per presunto abuso edilizio al fine di conoscere le generalità del firmatario.
 L’atto per il quale il ricorrente ha proposto istanza d’accesso ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 consiste in un esposto presentato da un terzo al Comune di Varese, esposto con il quale venivano segnalati all’Amministrazione presunti abusi edilizi che il ricorrente stesso stava per effettuare su un proprio immobile.
 Il Comune, a seguito di questa istanza, ha avviato un procedimento istruttorio dal quale è emerso che effettivamente il ricorrente aveva posto in essere alcuni interventi edilizi in assenza di titolo; conseguentemente sono stati emessi i relativi provvedimenti sanzionatori.
 Non è contestato che i provvedimenti emanati dal Comune di Varese indichino esaustivamente i presupposti fattuali e le ragioni giuridiche che stanno alla base delle misure sanzionatorie adottate.
 La richiesta di acceso agli atti presentata dal ricorrente ha dunque esclusivamente la finalità di risalire all’identità di colui che ha segnalato l’abuso. Tale intento è peraltro confermato dagli scritti difensivi della parte, laddove si sostiene la sussistenza di un diritto all’eccesso finalizzato alla conoscenza dei dati identificativi del terzo che segnali all’amministrazione pubblica un illecito perpetrato dall’interessato.
 Ciò premesso si deve evidenziare che l’art. 24, comma 6, lett. d), della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, con proprio regolamento, le pubbliche amministrazione possono escludere dall’accesso documenti che contengano dati personali di terzi; e ciò all’evidente fine di tutelare la riservatezza di questi.
 Il comma 7 dello stesso art. 24 stabilisce poi che l’accesso deve comunque essere garantito ai richiedenti, anche qualora ciò possa ledere il diritto alla riservatezza di terzi, quando la conoscenza dei documenti richiesti sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici.
 Come si vede il legislatore, nel configurare l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi, non ha posto un divieto assoluto di divulgazione di dati di terzi da parte della pubblica amministrazione, ma ha dettato norme particolari che denotano l’intenzione di bilanciare in maniera appropriata i vari interessi che entrano in conflitto.
 La riservatezza, dunque, costituisce un valore primario da tutelare che, tuttavia, non prevale in maniera incondizionata, ma che anzi è destinato a recedere qualora l’accesso sia funzionale alla tutela di interessi giuridici del richiedente.
 Da quanto sopra deriva che chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a documenti che contegono dati di terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la riservatezza di terzi.
 Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli era il destinatario di tali misure sanzionatorie.
 Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati identificativi di colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso.

 Il sig. A.G., odierno ricorrente, in data 11.02.2014, ha inoltrato al Comune di Varese un’istanza di accesso agli atti riguardante una segnalazione per presunto abuso edilizio presentata da un terzo ed afferente ad interventi edilizi che lo stesso sig. Giordano stava effettuando su un proprio edificio.
 Il Comune di Varese, con nota del 10.03.2014, ha respinto l’istanza.
 Avverso tale atto di diniego è diretto il ricorso in esame. Il ricorrente chiede pertanto che il Comune venga condannato al rilascio della documentazione richiesta.
 Si è costituito in giudizio, per opporsi all’accoglimento delle domande avverse, il Comune di Varese.
 Tenutasi la camera di consiglio in data 19.06.2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
 Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato per le ragioni che seguono.
 Come anticipato, l’atto per il quale il ricorrente ha proposto istanza d’accesso ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 consiste in un esposto presentato da un terzo al Comune di Varese, esposto con il quale venivano segnalati all’Amministrazione presunti abusi edilizi che il ricorrente stesso stava per effettuare su un proprio immobile.
 Il Comune, a seguito di questa istanza, ha avviato un procedimento istruttorio dal quale è emerso che effettivamente il ricorrente aveva posto in essere alcuni interventi edilizi in assenza di titolo; conseguentemente sono stati emessi i relativi provvedimenti sanzionatori.
 Non è contestato che i provvedimenti emanati dal Comune di Varese indichino esaustivamente i presupposti fattuali e le ragioni giuridiche che stanno alla base delle misure sanzionatorie adottate.
 La richiesta di acceso agli atti presentata dal ricorrente ha dunque esclusivamente la finalità di risalire all’identità di colui che ha segnalato l’abuso. Tale intento è peraltro confermato dagli scritti difensivi della parte, laddove si sostiene la sussistenza di un diritto all’eccesso finalizzato alla conoscenza dei dati identificativi del terzo che segnali all’amministrazione pubblica un illecito perpetrato dall’interessato.
 Ciò premesso si deve evidenziare che l’art. 24, comma 6, lett. d), della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, con proprio regolamento, le pubbliche amministrazione possono escludere dall’accesso documenti che contengano dati personali di terzi; e ciò all’evidente fine di tutelare la riservatezza di questi.
 Il comma 7 dello stesso art. 24 stabilisce poi che l’accesso deve comunque essere garantito ai richiedenti, anche qualora ciò possa ledere il diritto alla riservatezza di terzi, quando la conoscenza dei documenti richiesti sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici.
 Come si vede il legislatore, nel configurare l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi, non ha posto un divieto assoluto di divulgazione di dati di terzi da parte della pubblica amministrazione, ma ha dettato norme particolari che denotano l’intenzione di bilanciare in maniera appropriata i vari interessi che entrano in conflitto.
 La riservatezza, dunque, costituisce un valore primario da tutelare che, tuttavia, non prevale in maniera incondizionata, ma che anzi è destinato a recedere qualora l’accesso sia funzionale alla tutela di interessi giuridici del richiedente.
 Da quanto sopra deriva che chi vuole esercitare il diritto d’accesso con riguardo a documenti che contegono dati di terzi deve specificare le ragioni per le quali ne chiede l’ostensione; ed in particolare deve evidenziare quali siano gli interessi giuridici la cui tutela non possa essere assicurata in caso di diniego all’accesso. Solo così, infatti, l’amministrazione pubblica è posta nelle condizioni di sincerarsi del ricorrere delle condizioni richieste dal menzionato art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 per l’ammissibilità dell’accesso a documenti la cui ostensione possa pregiudicare la riservatezza di terzi.
 Nel caso concreto, il ricorrente, nella propria istanza del 14 febbraio 2014, si è limitato ad evidenziare che la segnalazione effettuata dal terzo era menzionata nei provvedimenti sanzionatori che lo hanno colpito; e che l’interesse all’ostensione di tale atto doveva ritenersi necessariamente sussistente in quanto egli era il destinatario di tali misure sanzionatorie.
 Ritiene il Collegio che queste ragioni non siano sufficienti a soddisfare i requisiti voluti dal legislatore per rendere ammissibile l’ostensione di documenti contenenti dati personali riguardanti soggetti terzi. Come detto, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare, nella propria istanza, gli specifici interessi giuridici la cui tutela sarebbe stata preclusa in caso di mancata conoscenza dei dati identificativi di colui che ha effettuato la segnalazione dell’abuso.
 Questi interessi non sono stati indicati nell’istanza d’accesso; pertanto, va ribadita l’infondatezza del ricorso che deve essere, di conseguenza, respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.06.2014 n. 1656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Diritto di accesso alle autorizzazioni a costruire.
Con nota e-mail del 15 ottobre u.s., che si allega in copia, un consigliere del comune di … ha chiesto un parere in merito al corretto esercizio del diritto di accesso agli atti riservato agli amministratori degli enti locali.
Al riguardo, si osserva che l’articolo 22, comma 2, della legge n. 241/1990 prevede che “l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.
In materia di enti locali, l’articolo 10 del d.lgs. n. 267/2000 dispone che tutti gli atti dell’amministrazione comunale sono pubblici, e rinvia, altresì alla previsione regolamentare la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso che, comunque deve essere assicurato a tutti i cittadini.
Del resto, l’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 prevede la pubblicazione all’albo pretorio, di tutte le deliberazioni (in senso lato) del comune, che pur essendo soggetta ad una limitazione temporale, consente, tuttavia, a chiunque di prendere visione degli atti prodotti.
Il diritto d’accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti amministrativi dell’ente locale è disciplinato dall’art. 43, comma 2, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, il quale prevede in capo agli stessi il diritto di ottenere dagli uffici comunali, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato (ribadito anche dalla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi, Plenum del 02.02.2010 e del 23.02.2010 e parere del 05.10.2010).
Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. C.di S. Sez. V. n. 929/2007), il diritto di accesso nei confronti del consigliere “non può subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell’ente con l’unico limite di poter esaudire la richiesta (qualora sia di una certa gravosità) secondo i tempi necessari per non determinare interruzione delle altre attività di tipo corrente …” (limite della proporzionalità e ragionevolezza delle richieste), restando ferma la “necessità di contemperare nel modo più ragionevole e adeguato possibile dette richieste, finalizzate all’espletamento del mandato, con le esigenze di funzionamento degli uffici”. (C.d.S., Sezione V, del 17.09.2010, n. 6963).
Dal contenuto dell’art. 43 del d.lgs. n. 267/2000 si evince il riconoscimento in capo al consigliere comunale di un diritto dai confini più ampi sia del diritto di accesso ai documenti amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art. 10, T.U. Enti locali) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n. 241/1990.
Tale maggiore ampiezza di legittimazione è riconosciuta in ragione del particolare munus espletato dal consigliere comunale, affinché questi possa valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, onde poter esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza della P.A., opportunamente considerando il ruolo di garanzia democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata (a maggior ragione, per ovvie considerazioni, qualora il consigliere comunale appartenga alla minoranza, istituzionalmente deputata allo svolgimento di compiti di controllo e verifica dell’operato della maggioranza).
A tal fine il consigliere comunale non deve motivare la propria richiesta di informazioni, poiché, diversamente opinando, la P.A. si ergerebbe ad arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi.
Conseguentemente, gli Uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato.
Ciò, anche nel rispetto della separazione dei poteri (art. 4 e art. 14 del d. lgs. n. 165/2001) sancita per gli enti locali dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 che richiama il principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, essendo riservata ai dirigenti la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è orientata nel senso di ritenere che ai consiglieri comunali spetti un’ampia prerogativa a ottenere informazioni, senza che possano essere opposti profili di riservatezza nel caso in cui la richiesta riguardi l’esercizio del mandato istituzionale, restando fermi, peraltro, gli obblighi di tutela del segreto e i divieti di divulgazione di dati personali secondo la vigente normativa sulla riservatezza (secondo la quale, ai sensi dell’art. 43, comma 2, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, i consiglieri comunali e provinciali “sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”).
In ogni caso, ad avviso di questa Direzione Centrale, appare necessaria una regolamentazione della materia da parte del Consiglio comunale nell’ambito anche degli strumenti di autorganizzazione dello stesso Consiglio.
Anche il TAR Toscana, Sez. I, con sentenza 11.11.2009, n. 1607 ha ritenuto opportuno sottolineare (concordando, in questo, con l'indicazione fornita dal Ministero dell'Interno in fattispecie analoghe) l'opportunità che l'ente locale, nell’ambito della propria autonomia, si doti da un lato di apposita regolamentazione, utile a disciplinare il corretto esercizio del diritto di accesso agli atti e alle informazioni sancito dall’art. 43 comma 2 del TUEL, dall'altro di strumenti organizzativi adeguati a soddisfare le esigenze connesse con l'esercizio del diritto in questione.
Riguardo alla particolare problematica relativa alle autorizzazioni a costruire, occorre fare riferimento al parere della Commissione d’accesso ai documenti amministrativi del 27.03.2003 nonché al parere del 14.10.2003 di rinvio alla decisione n. 549 del 23.05.1997 con la quale il Consiglio di Stato, V sezione ha riconosciuto che "in virtù dell'art. 22 della legge 241 del 1990, qualsiasi soggetto abitante nel comune ha diritto di accesso agli atti relativi ad una concessione edilizia rilasciata dal sindaco".
In particolare, secondo quanto rilevato dalla Commissione d’accesso, trattandosi di diritto del cittadino di accedere ai documenti del proprio comune, la materia è soggetta non alla disciplina generale della legge n. 241/1990 ma a quella particolare della legge 17.08.1942, n. 1150, che all'art. 31, comma 8, stabilisce che "chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali della concessione edilizia e dei relativi atti di progetto", e del d.lgs. n. 267/2000 T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, art.10.
Tuttavia occorre precisare che la legge n. 1150/1942 è stata sostituita, tra le altre anche dal D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, il quale pur non avendo riproposto il contenuto dell’articolo 31, comma 8, ha mantenuto, all’art. 20, la disposizione relativa alla pubblicità del permesso di costruire mediante affissione all’albo pretorio, ferma restando la più generale applicazione dell’ articolo 10 del T.U. n. 267/2000.
I permessi per costruire, pertanto, non sono soggetti a particolare riservatezza potendo essere conosciuti da qualsiasi cittadino, ferma restando la necessità del rispetto delle linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali, adottate dal Garante per la protezione dei dati personali con deliberazione n. 17 del 19.04.2007, e ferma restando l’opportunità della valutazione in ordine all’individuazione di eventuali controinteressati che abbiano titolo ad essere avvisati con le modalità di cui all’articolo 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184.
Tanto si rappresenta con preghiera di volere partecipare il contenuto della presente al consigliere ed all’Ente interessati (
Ministero dell'Interno, parere 29.10.2013 - link a http://incomune.interno.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accessibilità ai documenti relativi al rilascio di concessioni edilizie. – Quesito.
Il comune di …ha posto un quesito in ordine alla legittimità della richiesta di accesso, effettuata da un cittadino esercente la professione di geometra ad alcune concessioni edilizie, ai sensi dell’articolo 10 del TUEL n. 267/2000.
Al riguardo, si osserva che l’articolo 22, comma 2, della legge n. 241/1990 prevede che “l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.
In materia di enti locali, l’articolo 10 del d.lgs. n. 267/2000 dispone che tutti gli atti dell’amministrazione comunale sono pubblici, e rinvia, altresì alla previsione regolamentare la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso che, comunque deve essere assicurato a tutti i cittadini.
Del resto, l’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 prevede la pubblicazione all’albo pretorio, di tutte le deliberazioni (in senso lato) del comune, che pur essendo soggetta ad una limitazione temporale, consente, tuttavia, a chiunque di prendere visione degli atti prodotti.
Nel caso specifico, occorre fare riferimento al parere della Commissione d’accesso ai documenti amministrativi del 27.03.2003 nonché al parere del 14 ottobre 2003 di rinvio alla decisione n. 549 del 23.05.1997 con la quale il Consiglio di Stato, V sezione ha riconosciuto che "in virtù dell'art. 22 della legge 241 del 1990, qualsiasi soggetto abitante nel comune ha diritto di accesso agli atti relativi ad una concessione edilizia rilasciata dal sindaco".
In particolare, secondo quanto rilevato dalla Commissione d’accesso, trattandosi di diritto del cittadino di accedere ai documenti del proprio comune, la materia è soggetta non alla disciplina generale della legge n. 241/1990 ma a quella particolare della legge 17.08.1942, n. 1150, che all'art. 31, comma 8, stabilisce che "chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali della concessione edilizia e dei relativi atti di progetto", e del d.lgs. n. 267/2000 T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, art. 10.
Tuttavia occorre precisare che la legge n. 1150/1942 è stata sostituita, tra le altre anche dal D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, il quale pur non avendo riproposto il contenuto dell’articolo 31, comma 8, ha mantenuto, all’art. 20, la disposizione relativa alla pubblicità del permesso di costruire mediante affissione all’albo pretorio, ferma restando la più generale applicazione dell’ articolo 10 del T.U. n. 267/2000.
I permessi per costruire, pertanto, non sono soggetti a particolare riservatezza potendo essere conosciuti da qualsiasi cittadino, ferma restando la necessità del rispetto delle linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali, adottate dal Garante per la protezione dei dati personali con deliberazione n. 17 del 19.04.2007, e ferma restando l’opportunità della valutazione in ordine alla individuazione di eventuali controinteressati che abbiano titolo ad essere avvisati con le modalità di cui all’articolo 3 del d.P.R. 12.04.2006, n. 184.
Tutto ciò premesso, occorre osservare, nondimeno, che la richiamata legge n. 241/1990, all’art. 24, comma 3, dispone che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni”.
Tale assunto è stato confermato anche dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi con delibera in data 27.02.2013 con cui la stessa Commissione ha rilevato che il diritto d'accesso ai documenti riconosciuti dall'art. 22 legge n. 241/1990, non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull'amministrazione, né può essere trasformato in uno strumento di ispezione popolare sull'efficienza di un soggetto pubblico o di un determinato servizio, nemmeno in ambito locale.
Al contrario, da un lato, l'interesse che legittima ciascun soggetto all'istanza, e che va accertato caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso e, dall'altro, la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse, oltre che individuata o ben individuabile (Così C.d.S., Sez. VI, n. 820/1998).
Sul punto era nuovamente intervenuto il Consiglio di Stato con sentenza n. 2283 del 29.04.2002, sez. IV, affermando che "anche se il diritto in questione è volto ad assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, rimane fermo che l'accesso agli atti della pubblica amministrazione è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente si rivolgono, e che ne possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva...." e che "l'interesse ad esercitare il diritto d'accesso per acquisire una serie di informazioni su un particolare settore allo scopo di valutarne l'efficienza e di assumere iniziative a tutela degli utenti del servizio...mira a trasformare il diritto di accesso in uno strumento di ispezione popolare sull'efficienza del servizio - con il quale il richiedente finirebbe per sostituirsi agli organi deputati dall'ordinamento ad effettuare i previsti controlli".
Tant’è che lo stesso Consiglio di Stato con sentenza Sez. VI, n. 117 del 12.01.2011, confermando le proprie precedenti posizioni in merito ha ribadito che se anche, nella specie, la richiesta di accesso fosse stata motivata con riferimento ad un interesse individuale puntuale, non di meno, per la mole dei documenti richiesti, l’accesso comporterebbe un controllo generalizzato e di tipo ispettivo sull’operato dell’Amministrazione.
Tanto si rappresenta con preghiera di volere partecipare il contenuto della presente all’Ente interessato (
Ministero dell'Interno, parere 13.09.2013 - link a http://incomune.interno.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I. Mastrangeli, DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI E TUTELA DELLA RISERVATEZZA - Il delicato rapporto tra il diritto di accesso agli atti per chi è interessato da un procedimento ispettivo/sanzionatorio e la tutela della riservatezza dell’autore dell’esposto, che a quel procedimento ha dato origine, è risolto con la preferenza per il primo, considerato che la Costituzione non tollera denunce segrete o anonime (Gazzetta Amministrativa n. 1/2013).

EDILIZIA PRIVATA: Polizia locale in funzione di polizia giudiziaria: sugli illeciti edilizi poteri più ampi.
Il Consiglio di Stato ha precisato e chiarito due questioni fondamentali nel caso degli accertamenti di violazioni urbanistico edilizie. La prima è che
il diniego dell'accesso agli atti è legittimo solo nel caso di atti assunti dalla Polizia Municipale in quanto atti di Polizia Giudiziaria. La seconda è la non necessità di preavviso per l'esecuzione di sopralluoghi.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.01.2013 n. 547, ha affrontato la problematica dell'accesso agli atti nel caso in cui vi siano accertamenti della Polizia Municipale.
Nel caso di specie siamo di fronte ad accertamenti correlati ad attività edilizia.
A prescindere dall'esito processuale ci pare particolarmente interessante trattare due aspetti ben evidenziati e chiariti nella Decisione del Consiglio di Sato e che sono quelli di seguito descritti.
Primo aspetto: LIMITI ALL'ACCESSO AGLI ATTI NELL'AMBITO DI UN PROCESSO PENALE.
Verrebbe spontaneo affermare prontamente che è escluso in ogni caso il diritto di accesso, ma la decisione del Collegio afferma che così non è.
Il Giudicante precisa che la negazione dell'accesso agli atti deve trovare giustificazione nella tipologia dell'atto e, più specificatamente, in relazione al soggetto che li ha assunti ed alla funzione dallo stesso soggetto espletata nel momento in cui ha assunto gli atti, quindi, in altra e più sintetica formulazione, al modus operandi.
Precisamente, nell'ambito generale degli atti finalizzati all'accertamento ed alla repressione di presunti abusi edilizi vi sono:
1) Atti delegati dall'Autorità Giudiziaria;
2) Atti "notizia criminis" posti in essere dalla Polizia Municipale nella funzione di delega ricevuta, attribuiti alla Polizia Municipale dall'ordinamento;
3) Atti di indagine ed accertamento che confluiscono anche in denunce all'Autorità Giudiziaria, ma compiuti nell'ambito delle funzioni amministrative istituzionali proprie della Polizia Municipale e non compiuti quali attività di Polizia Giudiziaria.
Conclude il Collegio affermando che sulla summenzionata ed elencata tipologia di atti è legittimo negare l'accesso solo nelle ipotesi di cui ai punti sub 1) e sub 2), nel mentre l'ipotesi sub 3) non può sopportare alcuna limitazione all'accesso da parte dei privati interessati.
A giustificazione di tali conclusioni è richiamato l'art. 329 del Codice di Procedura Penale sul segreto istruttorio ed è richiamato il Consiglio di Stato -Sezione Sesta- Dec. n. 6117 del 09.12.2008, in ordine all'art. 24, L. n. 241 del 1990.
Secondo aspetto: DOVERE DA PARTE DELL'ENTE LOCALE DI PREAVVISARE IL PRIVATO CIRCA IL SOPRALLUOGO DI ACCERTAMENTO.
Nell'ambito processuale il ricorrente ha eccepito la negazione del diritto di accesso all'atto con il quale il Comune ha avviato l'accertamento effettuando ossia la determinazione espressa di effettuare un sopralluogo.
Nello specifico deve essere chiarito che l'atto richiesto, in quanto preavviso del sopralluogo, era inesistente perché non sussiste la necessità di una determinazione a compiere il sopralluogo e quindi la necessità preavviso, a tutela del privato, in quanto trattasi di accertamenti e non di provvedimenti.
Il Giudicante ciò giustifica in considerazione del fatto che l'art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce al Dirigente dell'Ufficio tecnico Comunale la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e ciò al fine di assicurare la conformità degli interventi alle prescrizioni di leggi, regolamenti, strumenti urbanistici e permessi di costruire.
Per quanto appena esposto il Collegio ha affermato che il Dirigente Responsabile, anche a mezzo di propri dipendenti, può "a sorpresa" effettuare accessi e sopralluoghi, sui siti di intervento edilizio, al fine di verificare se sussistono violazioni edilizie, con o senza rilevanza penale, tali da giustificare se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se ci si debba determinare per un procedimento finalizzato al ritiro del precedente titolo abilitativo all'edificazione.
Conclude il Collegio che, solo in quest'ultimo caso (rectius: in quest'ultima fase del procedimento), sussiste l'obbligo, per la Pubblica Amministrazione, di trasmettere formale avviso dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7, L. n. 241 del 1990 (commento tratto da www.ispoa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.;
Tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24, l. n. 241 del 1990.
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Ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico sull’edilizia (approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001), “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
Pertanto, se del caso per il tramite dei suoi dipendenti, il dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche ad horas, informalmente e ‘a sorpresa’ l’accesso sui luoghi per verificare se sussista un illecito edilizio (avente o meno rilevanza penale), se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto abilitativo: solo in quest’ultimo caso è configurabile l’obbligo di trasmettere un formale avviso previsto dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Da quanto esposto in narrativa emerge che la signora B. fosse portatrice di una posizione giuridica soggettiva idonea a legittimare la proposizione del ricorso per l’accesso.
In particolare, come esposto in narrativa e chiarito in atti, l’odierna appellante è proprietaria di un appartamento –e delle relative pertinenze– sul quale, nel corso degli anni, sono stati effettuati interventi di manutenzione in relazione ai quali risulta che il Comune di Napoli abbia avviato un procedimento finalizzato alla verifica di presunti abusi edilizi ivi commessi.
Conseguentemente, l’odierna appellante vanta un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, ad accedere agli atti del procedimento avviato dall’amministrazione comunale.
Al riguardo i primi Giudici hanno correttamente richiamato il principio secondo cui non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.; tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24, l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, VI, 09.12.2008, n. 6117).
Ebbene, nei suoi scritti difensivi (il cui contenuto è stato sostanzialmente condiviso dai primi Giudici) il Comune di Napoli si è limitato a dichiarare che gli ulteriori accertamenti (sic) sono stati compiuti nell’espletamento di compiti delegati dall’Autorità giudiziaria.
Da quanto rilevato dal Comune non è dato comprendere se gli atti finalizzati all’accertamento e alla repressione dei presunti abusi edilizi posti in essere nella proprietà dell’appellante:
a) siano stati delegati dall’A.G. (nel qual caso l’ostensione non sarebbe possibile);
b) coincidano con le notitiae criminis poste in essere dagli organi comunali nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria ad essi specificamente attribuite dall'ordinamento (nel qual caso parimenti l’ostensione non sarebbe possibile), ovvero
c) costituiscano atti di indagine e accertamento (se del caso, tradottisi in denunce all’A.G.) non compiuti nell’esercizio di funzioni di P.G., bensì nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative (nel qual caso, non sussistono impedimenti ad ammettere l’esercizio del diritto di accesso su tali atti).
Sono invece infondate le deduzioni dell’appellante che, incidentalmente, hanno lamentato che l’accesso sui luoghi poteva aver luogo solo previo avviso di avvio di un procedimento sanzionatorio.
Ai sensi dell’art. 27, comma 1, del testo unico sull’edilizia (approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001), “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.
Pertanto, se del caso per il tramite dei suoi dipendenti, il dirigente o il responsabile dell’ufficio può disporre anche ad horas, informalmente e ‘a sorpresa’ l’accesso sui luoghi per verificare se sussista un illecito edilizio (avente o meno rilevanza penale), se vada emesso un ordine di sospensione dei lavori o se vada avviato un procedimento per l’emanazione di un atto di ritiro di un precedente atto abilitativo: solo in quest’ultimo caso è configurabile l’obbligo di trasmettere un formale avviso previsto dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Ciò comporta l’infondatezza della pretesa dell’interessata, di subordinare la propria collaborazione con l’ufficio al previo rilascio di un formale atto di avviso di avvio di un procedimento sanzionatorio: da un lato, ella può accedere ai verbali posti in essere dall’ufficio con riferimento alla sua posizione (purché, come sopra precisato, non siano stati posti in essere nell’esercizio di una delega trasmessa dalla autorità giudiziaria), dall’altro ella non può pretendere di visionare un atto formale di avvio di un procedimento sanzionatorio, che non va emesso per accertare la realtà di fatto caratterizzante un immobile (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.01.2013 n. 547 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L’art. 116 c.p.p. stabilisce che "Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti", rimettendo all'autorità giudiziaria penale il delicato compito di valutare e bilanciare le contrapposte esigenze implicate in tali vicende (art. 116, comma 2).
Di fronte ad atti di polizia giudiziaria coperti dal segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p., vige il divieto di pubblicazione sancito dall'art. 114 c.p.p..
Tuttavia, a tenore del comma 1 della citata norma, il suddetto divieto può protrarsi, salve le ipotesi di cui al terzo comma, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Premesso:
- che il ricorrente ha chiesto l’ottemperanza alla sentenza n. 286 dell’11.10.2012 con cui la Sezione ha ordinato al Comune di Parma di consentire l’accesso al documento richiesto con l’istanza del 30.04.2012;
- che il Comune intimato si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso in quanto il documento richiesto (nota inviata dal Comune alla Procura della Repubblica in data 25.10.2011) sarebbe soggetto a segreto istruttorio in quanto oggetto di indagine penale, come risultante dalla nota del Procuratore della Repubblica in data 09.11.2012, in cui sono individuati i seguenti procedimenti pendenti dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma: 1) n. 5086/10 MOD. 21; n. 1185/12 MOD. 21; 3) n. 5803/12 MOD. 21;
- che, in data 20.12.2012, il Comune intimato ha prodotto la nota del 14.12.2012 inviata alla Procura della Repubblica, in calce alla quale il Procuratore dott. Gerardo Laguardia ha denegato l’autorizzazione all’ostensione del documento richiesto dal sig. Cesare Piazza, in quanto coperto da segreto istruttorio;
- che, preso atto di tale provvedimento, il ricorrente, in via principale ha insistito per l’accoglimento del ricorso censurando la condotta del Comune che, pur in mancanza di un atto di secretazione dell’Autorità giudiziaria penale, ha denegato l’accesso sebbene ordinato con la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza;
- che, in subordine, il ricorrente ha chiesto ordinarsi all’amministrazione resistente l’emissione di un provvedimento idoneo a consentirgli l’accesso all’atto richiesto, differendone l’emissione alla chiusura delle indagini preliminari e nominando, per il caso di inadempimento protratto oltre detto termine, un commissario ad acta che provveda in luogo del Comune;
- che il Comune si è opposto alla avversa richiesta chiedendo la reiezione del ricorso;
- che alla camera di consiglio del 23.01.2013, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione;
Considerato:
- che l’art. 116 c.p.p. stabilisce che "Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti", rimettendo all'autorità giudiziaria penale il delicato compito di valutare e bilanciare le contrapposte esigenze implicate in tali vicende (art. 116, comma 2);
- che di fronte ad atti di polizia giudiziaria coperti, come nel caso di specie, dal segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p., vige il divieto di pubblicazione sancito dall'art. 114 c.p.p. (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.09.2012, n. 2220);
- che, tuttavia, a tenore del comma 1 della citata norma il suddetto divieto può protrarsi, salve le ipotesi di cui al terzo comma, non oltre la chiusura delle indagini preliminari;
Ritenuto:
- che, per quanto precede, il ricorso può essere accolto quanto alla subordinata domanda dovendosi ordinare, per l’effetto, al Comune di Parma di provvedere, entro quindici giorni dalla chiusura delle indagini preliminari relative ai procedimenti penali indicati nella nota del Procuratore della Repubblica in data 09.11.2012, all’ostensione del documento richiesto dal ricorrente (nota inviata dal Comune alla Procura della Repubblica in data 25.10.2011);
- che, per l’ipotesi di inerzia del Comune protratta oltre il concesso termine, va, fin d’ora, nominato un Commissario ad acta nella persona del Prefetto di Parma, o di un suo delegato, che dovrà provvedere, in luogo del Comune onerato, nel termine dei successivi quindici giorni ... (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 24.01.2013 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012
ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso al nominativo di un esposto.
L’istante ha segnalato che il Comune ove risiede nega sistematicamente l’accesso agli atti della Polizia Municipale (verbali o accertamenti) relativi al procedimento conseguente ai numerosi esposti presentati per molestie provocate, ad esso istante e ai cittadini del comune, da cani di grossa taglia lasciati incustoditi sulla pubblica via.
In conformità all’orientamento espresso da questa Commissione, nel caso in cui l’istante -come nella specie- sia un cittadino residente nel comune, il diritto di accesso è soggetto alla disciplina speciale di cui all’art. 10, co. 1, del d.lgs. n. 267/2000, che sancisce espressamente il principio della pubblicità di tutti gli atti ed il diritto dei cittadini di accedere alle informazioni in possesso delle autonomie locali, senza fare menzione alcuna della necessità di dichiarare la sussistenza di tale situazione al fine di poter valutare la legittimazione all’accesso del richiedente.
Pertanto, considerato che il diritto di accesso ex art. 10 TUEL si configura alla stregua di un’azione popolare, il cittadino residente può accedere agli atti amministrativi dell'ente locale di appartenenza senza alcun condizionamento e senza necessità della previa indicazione delle ragioni della richiesta, dovendosi cautelare la sola segretezza degli atti la cui esibizione è vietata dalla legge o da esigenze di tutela della riservatezza dei terzi (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 23.10.2012 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso al nominativo di un esposto.
Il Comune istante ha chiesto di conoscere se due cittadini, destinatari di una denuncia per presunti abusi edilizi e maltrattamenti su animali d’affezione, possano accedere al nominativo del denunciante e al contenuto dell’esposto, che aveva innescato un procedimento istruttorio per la verifica di quanto lamentato.
L’amministrazione ritiene di poter rilasciare copia dello stesso esposto ma epurata dei nomi degli esponenti a tutela della loro riservatezza, segnalando un contrasto nella giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di accesso ad esposti di privati e domandando quale sia il comportamento da tenere in simili occasioni per contemperare le esigenze dell’accesso con quelle della riservatezza.
La Commissione ribadisce il proprio costante orientamento (vedi pareri plenum 26.10.2010 e 14.12.2010) secondo cui la riservatezza non può essere invocata quando venga richiesto di conoscere il nominativo di coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell'ambito di un procedimento ispettivo, foss’anche per coprire o difendere il denunciante da eventuali reazioni da parte del denunciato, le quali, comunque, non sfuggirebbero al controllo dell'autorità giudiziaria (Cons. Stato, decisione n. 3601/2007; n. 3081/2009), poiché il nostro ordinamento non tollera le denunce segrete (in questi termini, anche Cons. Stato, sez. V, 22.06.1998, n. 923).
Tale impostazione non è smentita dalla decisione del Consiglio di Stato (n. 895/2011) richiamata dall’amministrazione, poiché il contrasto delineato dal Comune è soltanto apparente. Infatti, nella fattispecie, seppure i Giudici hanno ritenuto corretta la decisione dell’amministrazione di criptare i nominativi dei soggetti denuncianti per salvaguardarne la riservatezza e sottrarli ad ipotetiche azioni ritorsive, tuttavia hanno anche affermato che tali esigenze possono divenire recessive se sussista la necessità della difesa in giudizio del richiedente l'accesso.
Si tenga anche conto peraltro, come emerge da una più attenta lettura della sentenza, che nella specie le generalità dei denuncianti erano comunque note al richiedente l’accesso poiché evincibili dai documenti resi ostensibili
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 23.10.2012 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIl soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che hanno determinato l’attivazione di tale potere, non ostandovi neppure il diritto alla riservatezza che non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha ad oggetto il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo, giacché al predetto diritto alla riservatezza non può riconoscersi un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi, tanto più che l’ordinamento non attribuisce valore giuridico positivo all’anonimato.
Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’appellato, essendo intuitivo che solo in questo modo egli potrebbe proporre eventualmente denuncia per calunnia a tutela della propria onorabilità: il che rende del tutto prive di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso asseritamente strumentale e ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo al procedimento disciplinare in danno del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinate un vulnus intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore.

Quanto al merito della questione la Sezione rileva che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, il soggetto che subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati dall’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che hanno determinato l’attivazione di tale potere (C.d.S., sez. IV, 19.01.2012, n. 231; sez. V, 19.05.2009, n. 3081), non ostandovi neppure il diritto alla riservatezza che non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha ad oggetto il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo, giacché al predetto diritto alla riservatezza non può riconoscersi un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi, tanto più che l’ordinamento non attribuisce valore giuridico positivo all’anonimato (C.d.S., sez. VI, 25.06.2007, n. 3601).
Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’appellato, essendo intuitivo che solo in questo modo egli potrebbe proporre eventualmente denuncia per calunnia a tutela della propria onorabilità: il che rende del tutto prive di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso asseritamente strumentale e ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo al procedimento disciplinare in danno del ricorrente, non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinate un vulnus intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.09.2012 n. 5132 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Abusi edilizi senza accesso agli atti.
E' esclusa la possibilità di accedere agli atti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990 e s.m.i. in riferimento alla richiesta di acquisizione di copia degli atti riguardanti l'attività svolta dalla Polizia Municipale riguardanti l'accertamento di abuso edilizio.

Il TAR Sicilia ha negato l'accesso agli atti ad un contribuente che voleva verificare le modalità con cui erano state svolte le pratiche amministrativa per dichiarare l'abuso edilizio di un immobile di sua proprietà.
La vicenda nasce quando il Comune aveva negato ad un contribuente l’accesso agli atti amministrativi ex L. 241/1990.
Il contribuente aveva richiesto all’amministrazione comunale di acquisire copia degli atti concernenti l’attività di accesso e sopralluogo espletata dalla Polizia Municipale nel suo immobile a seguito di segnalazione di abuso edilizio fatta da terzi.
Il Comando dei vigili urbani aveva respinto l’istanza, affermando che gli accertamenti svolti riguardano l’attività di polizia giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi con comunicazione di notizia di reato del 25 novembre 2012 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale , precisando che “la richiesta di accesso debba essere inoltrata direttamente all’Autorità Giudiziaria competente”.
Avverso tale atto il ricorrente è ricorso al Tribunale amministrativo regionale. In linea generale il testo della legge n. 241/1990, nel contemplare l’estensione e la legittimazione all’esercizio del diritto di accesso, sia pure con diverse sfumature, opera una limitazione di tale situazione giuridica richiedendo un interesse qualificato all’ostensione del documento e, di conseguenza, che le istanze siano motivate.
In altri termini, non è sufficiente un mero interesse di fatto teso semplicemente a controllare l’operato dell’azione amministrativa, ma si richiede che tale interesse sia corrispondente ad una situazione giuridica soggettiva riconosciuta e protetta dall’ordinamento generale.
Qualora tale collegamento non sia ritenuto sussistente dall’amministrazione destinataria della richiesta di accesso, quest’ultima potrà legittimamente negare la richiesta di accesso, atteso che la giurisprudenza amministrativa ha in più di un’occasione affermato il principio, secondo il quale le istanze di accesso, non possono essere volte ad effettuare un controllo generalizzato sull’attività amministrativa.
Tale principio, inoltre, ha trovato una sua positivizzazione nella legge n. 15/2005 di modifica della legge n. 241/1990, il cui articolo 16, comma 3, che ha sostituito l’art. 24 della legge del 1990, prevede testualmente: “Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.
La ratio di tale ultima disposizione è evidentemente quella di adattare l’esercizio del diritto di accesso con un altro bene-interesse, che altrimenti sarebbe oltremodo sacrificato, avente dignità costituzionale (art. 97) e meritevole di tutela: il buon andamento della pubblica amministrazione.
Con riferimento alla sentenza oggetto del presente commento per i giudici amministrativi regionali il ricorso è, in parte, infondato ed, in parte, inammissibile, e va pertanto respinto.
Per i giudici amministrativi non corrisponde al vero quanto asserito dal contribuente ricorrente in merito al fatto che vi sia stata violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 25 della legge 241/1990 in quanto il diritto di accesso agli atti amministrativi costituirebbe principio generale dell’attività amministrativa non comprimibile nemmeno a causa del segreto istruttorio, quando il richiedente vuole conoscere i documenti al fine di tutelare la propria sfera soggettiva; l’art. 24 della legge 241/1990, riferita all’esclusione dal diritto di accesso agli atti, riguarda il diritto di accesso ai documenti amministrativi e non risulta riferibile agli atti di polizia giudiziaria, ossia a quella attività che, a norma dell’art. 55 c.p.p., si sostanzia nel “prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale”.
Per il TAR se è vero che non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all’autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale, potendosi registrare casi in cui la denuncia è presentata dall’amministrazione nell’esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, è vero il contrario nei casi in cui la P.A. agisca nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuitele dall’ordinamento. In tali ultimi casi, gli atti redatti sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24, Legge n. 241/1990.
Di fronte ad atti di polizia giudiziaria, coperti dal segreto istruttorio ex art. 329 c.p.p., vige il divieto di pubblicazione sancito dall’art. 114 c.p.p.
In sostanza per i giudici amministrativi vi è una netta differenza tra atti amministrativi, sui quali è ritenuta legittima la richiesta di accesso ex art. 241/1990, da quelli di polizia giudiziaria i quali , proprio per la loro natura e finalità, sano sottratti al diritto di accesso (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 20.09.2012 n. 2220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Una “notizia di danno” è valida ai fini dell’avvio delle indagini anche se da essa non emergono con certezza i requisiti dell’attualità e concretezza del danno.
Invero gli elementi dell'attualità e concretezza del danno si configurano come presupposti oggettivi necessari ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativa dovendo sussistere al momento dell'emissione dell'invito a dedurre, ma non anche al momento dell'avvio delle indagini da parte dell'inquirente.
In tale fase, secondo l’art. 17, comma 30, del decreto legge n. 78 del 2009 s.m.i., è sufficiente che sussista l'indicazione attendibile di una condotta la quale, nella sua specifica fattualità, sia idonea a determinare un immediato effetto dannoso il cui concreto prodursi formerà, anch’esso, oggetto di indagine da parte dell'inquirente e degli organi di polizia giudiziaria [fattispecie in materia di inquadramenti e assunzioni in mancanza di requisiti previsti dalla legge] (massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. III giur. centrale d'appello, sentenza 03.09.2012 n. 567 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI:  Diritto di accesso ad esposti e denunce.
La questione investe il problema del bilanciamento e del contemperamento tra il diritto di accesso ai documenti amministrativi, da un lato, e la tutela dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella documentazione richiesta, dall’altro lato, con particolare riferimento all'esigenza di tutela della riservatezza dei firmatari di un esposto.
La preordinazione dell'istituto dell’accesso alla cura ed alla difesa di interessi giuridici (di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990), dalla quale soltanto dipende la prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in una clausola di stile, ma deve essere effettiva, in relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda di accesso si inserisce e che tale effettività deve essere controllabile dal giudice dell'accesso.
Allorquando l’accertamento di un illecito amministrativo sia fondato su autonomi atti di ispezione dell'autorità amministrativa, l'esposto del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d'ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano rappresentate particolari esigenze: ciò, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza dell'esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all'esercizio del diritto di difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l'ordinamento non può tutelare.
Di conseguenza, non avendo il ricorrente evidenziato alcun interesse proprio, giuridicamente rilevante, tale da consentire il corrispondente sacrificio del diritto alla riservatezza dei terzi potenzialmente interessati dalla sua richiesta, la sua istanza di accesso non poteva e non può trovare, in base alla legge, favorevole riscontro.

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Ritenuto:
● che, a seguito di verbale di ispezione n. 286 del 06.07.2011 redatto, presso un cantiere edile, da funzionari del Dipartimento di Prevenzione S.O.C. S.Pre.S.A.L. (Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro), l’ASL di Asti ha irrogato al sig. W.S., in qualità di committente dei lavori, una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 1.200,00 a causa di rilevate irregolarità contributive nei confronti dei lavoratori impiegati nel cantiere, ai sensi dell’art. 90, comma 9, lett. a, del d.lgs. n. 81 del 2008;
● che il sig. S., dopo aver provveduto al pagamento della sanzione, ha presentato, in data 07.10.2011, istanza di accesso agli atti, istanza che è stata riscontrata negativamente dall’amministrazione con la seguente motivazione: “l’oggetto della richiesta di accesso è costituito da documenti sottratti all’accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lettera a) della legge 241/1990, in quanto si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla Polizia Giudiziaria” (provvedimento dell’11.11.2011);
● che avverso tale diniego il sig. S. ha dapprima presentato istanza di riesame al Difensore civico comunale il quale l’ha accolta con provvedimento del 20.12.2011;
● che, successivamente, in data 27.01.2012, il sig. S. ha presentato istanza alla ASL di Asti, ex art. 7 d.lgs. n. 196 del 2003, volta a conoscere e ad acquisire, in relazione al predetto procedimento ispettivo, gli “atti di pre-iniziativa (esposto/denuncia) ed autori”;
● che la relativa risposta dell’amministrazione, nuovamente negativa, è giunta in data 03.02.2012;
● che il sig. S., con il ricorso in epigrafe, ha quindi chiesto a questo TAR l’annullamento del provvedimento di diniego di accesso agli atti amministrativi inerenti il procedimento ispettivo de quo, contestualmente insistendo perché venga ordinato all’amministrazione l’esibizione di “tutti gli atti relativi al procedimento amministrativo/ispettivo, comprensivo di fotografie dello stato dei luoghi nonché [de]gli atti di preiniziativa intendendo per tali esposti e/o denunce, loro contenuto ed autori”;
● che, con atto depositato in giudizio il 16.04.2012, si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di Asti, in persona del Commissario pro tempore, preliminarmente eccependo la carenza di interesse concreto ed attuale del ricorrente;
● che alla camera di consiglio del 18.04.2012, dopo breve discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione;
Considerato:
● che, con riferimento alla richiesta di accesso ai documenti inerenti il procedimento ispettivo (e formati dopo il suo inizio), deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto l’amministrazione ha spontaneamente depositato in giudizio tutti i documenti contenuti nel fascicolo del procedimento ispettivo;
● che, con riferimento all’ulteriore istanza di accesso agli “atti di preiniziativa (esposto/denuncia) ed autori”, il ricorso deve invece essere rigettato;
● che, al riguardo, la questione investe il problema del bilanciamento e del contemperamento tra il diritto di accesso ai documenti amministrativi, da un lato, e la tutela dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella documentazione richiesta, dall’altro lato, con particolare riferimento all'esigenza di tutela della riservatezza dei firmatari di un esposto (cfr., analogamente, TAR Sardegna, sez. II, n. 2590 del 2010);
● che la preordinazione dell'istituto dell’accesso alla cura ed alla difesa di interessi giuridici (di cui all’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990), dalla quale soltanto dipende la prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza dei terzi, non può risolversi in una clausola di stile, ma deve essere effettiva, in relazione alla situazione di fatto e di diritto nella quale la domanda di accesso si inserisce e che tale effettività deve essere controllabile dal giudice dell'accesso (Cons. Stato, sez. V, n. 1916 del 2000);
● che allorquando, come nella specie, l’accertamento di un illecito amministrativo sia fondato su autonomi atti di ispezione dell'autorità amministrativa, l'esposto del privato ha il solo effetto di sollecitare il promovimento d'ufficio del procedimento, senza acquisire efficacia probatoria, con la conseguenza che in tali evenienze, di regola, per il destinatario del provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere gli esposti al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano rappresentate particolari esigenze, il che qui non ricorre: ciò, del resto, corrisponde al fatto che, di fronte al diritto alla riservatezza del terzo, la pretesa di conoscenza dell'esposto da parte del richiedente, se svincolata dalla preordinazione all'esercizio del diritto di difesa, acquista un obiettivo connotato ritorsivo che l'ordinamento non può tutelare (così, ancora, Cons. Stato, sez. V, n. 1916 del 2000);
● che, di conseguenza, non avendo il ricorrente evidenziato alcun interesse proprio, giuridicamente rilevante, tale da consentire il corrispondente sacrificio del diritto alla riservatezza dei terzi potenzialmente interessati dalla sua richiesta, la sua istanza di accesso non poteva e non può trovare, in base alla legge, favorevole riscontro (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 10.05.2012 n. 537 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOGGETTO: Richiesta parere in merito all’accesso a documentazione amministrativa (pareri legali, esposti).
L’istante lamenta che il Comune di Savona avrebbe negato, in varie forme, l’accesso ad alcuni documenti, in particolare:
a) oscurando i nominativi degli autori di esposti rivolti dai vicini nei suoi confronti, quale proprietario di una strada oggetto di lavori di scavo;
b) rifiutando l’accesso alle memorie difensive prodotte dall’ente locale nell’ambito di un contenzioso in atto;
c) negando l’accesso ad una relazione redatta dalla Polizia locale, atto poi rinvenuto presso altra amministrazione;
d) negando la visione preventiva di un fascicolo procedimentale che lo riguardava;
e) omettendo la consegna di alcuni verbali nel corso di un procedimento di esproprio sino a violare i termini di conclusione del procedimento.
Tanto premesso, chiedeva a questa Commissione un parere sulla legittimità delle determinazioni assunte dall’ente locale.
Quanto al punto sub a), la commissione osserva che, secondo il costante orientamento seguito, deve essere reso accessibile il nome di coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell'ambito di un procedimento ispettivo, non potendo essere invocato in tali casi il diritto alla riservatezza che recede quando venga in rilievo l’accesso per le necessità di cura e difesa degli interessi giuridici del richiedente ai sensi dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990, salvo i casi di dati sensibili o supersensibili (arg. ex CdS Sez. V, 27.5.2008 n. 2511; vedi anche TAR Lombardia-Brescia, Sez. I 29.10.2008 n. 1469).
Quanto al punto sub b), si segnala che nell'ambito dei segreti sottratti all'accesso ai documenti rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l'Amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 codice penale e 200 codice di procedura penale (arg. ex CdS Sez. VI, 30.09.2010, n. 7237).
Quanto al punto sub c), è assorbente il rilievo che il documento è stato rinvenuto e dunque l’interesse all’accesso risulta soddisfatto.
Quanto al punto sub d), pur non parendo sussistere riscontri certi del lamentato rifiuto dell’amministrazione di far visionare il fascicolo, si ribadisce che il soggetto partecipante al procedimento amministrativo -diversamente da quello estraneo ad esso- null'altro deve dimostrare per legittimare il diritto di visionare ed ottenere copia dei documenti di interesse se non la veste di parte dello stesso procedimento (cfr.: Consiglio di Stato, VI Sezione, 13.04.2006 n. 2068).
Infine, i punti sub e) e f) ineriscono a questioni del tutto estranee alla materia dell’accesso e dunque questa Commissione si ritiene incompetente a pronunciarsi su di essi
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 17.04.2012 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Non sono segrete le denunce dell’amministrazione nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali.
L’ARDIS ha negato l’accesso agli atti richiesti dalla Compagnia di Navigazione Ponte Sant’Angelo S.r.l. in quanto il regolamento della Regione Lazio n. 1/2002, all’art. 445, sottrarrebbe all’accesso le denunce, gli esposti, i verbali di accertamento relativi a violazioni e infrazioni soggette a comunicazioni di notizie di reato all’Autorità Giudiziaria, se e in quanto coperti dalla segretezza delle indagini.
In tal modo l’ARDIS, affermando che i verbali di accertamento redatti dai propri funzionari in sede dei sopralluoghi effettuati (nei quali sarebbero riportate e descritte le difformità delle opere provvisorie realizzate rispetto a quelle approvate) sono coperti da segreto istruttorio ex art. 329 cpp (e, quindi, non conoscibili) ha opposto un diniego generalizzato alla conoscenza degli atti che interessano la ricorrente, senza fornire specifiche indicazioni sul presupposto del diniego e cioè sul fatto che, nella fattispecie, gli atti fossero concretamente coperti dal segreto istruttorio, e senza distinguere tra atti effettivamente coperti da segreto istruttorio e altri documenti amministrativi.
Va osservato, sul punto, che non ogni denuncia di reato presentata dalla p.a. all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale (che, in quanto tale, è sottratto all'accesso). Infatti, qualora la denuncia sia stata presentata dall’Amministrazione nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, l'atto richiesto in ostensione non ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329 c.p.p. (TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 18.02.2011, n. 144) (TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter, sentenza 05.03.2012 n. 2181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVILa denuncia o l’esposto non possono considerarsi un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti denunciati, i quali ne risultano comunque incisi.
Nell’ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non la P.A. precedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza.

... Il Collegio rileva in primis che la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha già disposto "che con riferimento alle relazioni si osserva che le medesime, qualora si traducano in rapporti informativi, sono sottratte all’accesso ai sensi della disposizione regolamentare citata.
Per quanto concerne gli esposti e denunce questa Commissione ribadisce l’adesione al prevalente orientamento della giurisprudenza secondo il quale “La denuncia o l’esposto non possono considerarsi un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti denunciati, i quali ne risultano comunque incisi. Nell’ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non la P.A. precedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza” (Tar Lombardia, sent. 1469/2008). Si ritiene, pertanto, che detti documenti siano ostensibili.
In ordine, infine, ai documenti oggetto di corrispondenza si evidenzia che la loro accessibilità è connessa alla riconducibilità di tali documenti alle categorie sottratte all’accesso ai sensi dell’art. 24 della L. 241/1990 a garanzia di superiori interessi; pertanto, spetta all’Amministrazione tale verifica
" (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 03.02.2012 n. 116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Diritto di accesso ad esposto.
Un cittadino ha chiesto a questa Commissione un parere sull’accessibilità di eventuali esposti presentati alle forze dell’ordine nei suoi confronti da privati (ignoti o vicini di casa) al fine di innescare controlli nella propria abitazione o nella sua attività imprenditoriale.
La Commissione ribadisce il proprio costante orientamento secondo cui -poiché nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale non è riconosciuto il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi- ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo, di controllo o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo in proposito la Pubblica Amministrazione procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza (così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., CdS, Sez. V 19.05.2009 n. 3081; Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699)
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'01.02.2012 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVIGdf in trasparenza. Sì alla visione della denuncia. Consiglio di stato dà ragione al contribuente sull'accesso.
Chi subisce un' ispezione tributaria ha diritto a prendere visione e a estrarre copia della denuncia dalla quale tale ispezione è scaturita. A maggior ragione se dall'ispezione non sia venuta fuori alcuna irregolarità.
È questo il principio affermato dalla IV Sez. del Consiglio di stato, con la sentenza 19.01.2012 n. 231.
Il caso verteva su di un diniego opposto dalla Guardia di finanza a una richiesta di accesso ai sensi dell' art. 22 della legge 241/1990, presentata da una società che era stata fatta oggetto di un controllo tributario. La società ricorrente aveva chiesto di accedere agli atti per difendere i propri interessi lesi, per il danno di immagine subito proprio per effetto del controllo dei finanzieri. Che peraltro si era concluso con un nulla di fatto.
E non si trattava di una richiesta formulata in vista di una ipotetica azione di risarcimento, ma di un'istanza diretta ad acquisire documentazione da far valere nel corso di un giudizio pendente davanti al Tribunale, proprio sugli stessi fatti. Il giudizio in sede civile verteva, infatti, su di un inadempimento contrattuale operato ai danni della società da un'impresa pubblicitaria, che aveva impedito alla ricorrente di avvalersi degli strumenti di propaganda pattuiti con la medesima.
Di qui l'azione risarcitoria, che, peraltro, si concludeva con la condanna dell'impresa al risarcimento in forma specifica. E cioè con il reintegro della società ricorrente nel diritto ad avvalersi dei mezzi pubblicitari oggetto del contratto. Mezzi che consistevano nella facoltà di seguire il Giro d'Italia con propri veicoli pubblicitari. Sennonché, subito dopo il reintegro, la società ricorrente era stata fatta oggetto di un'ispezione tributaria dalla quale non era emerso nulla di irregolare. Di qui il danno di immagine alla base della richiesta di accesso che, però, veniva rigettata dalla Guardia di finanza. E dunque, il conseguente esperimento dell'azione giudiziale davanti al Tar, che si concludeva con la soccombenza e la relativa impugnazione davanti al Consiglio di stato, che ha capovolto la decisione del collegio di I grado.
I giudici di Palazzo Spada hanno motivato la decisione facendo presente che le denunce e le comunicazioni non rientrano tra i documenti di interesse pubblicistico coperti dalla preclusione del diritto di accesso. Che si giustifica solo in relazione all'esigenza di salvaguardare l'ordine e la sicurezza pubblica, nonché la prevenzione e la repressione della criminalità. E dunque, con particolare riferimento ai documenti attinenti l'attività informativa nei settori istituzionali e a quelli della Guardia di finanza inerenti l'emanazione di ordini di servizio, nonché l'esecuzione del servizio stesso.
E siccome le denunce e le comunicazioni non pregiudicano gli interessi sottesi alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla prevenzione e repressione della criminalità, l'accesso doveva essere consentito. Tanto più che i documenti chiesti in visione non erano oggetto di un procedimento penale e neppure costituivano atti di indagine (articolo ItaliaOggi del 25.01.2012).

anno 2011

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere in ordine all’acquisizione di documenti ed informazioni nel corso di indagini di polizia giudiziaria.
Il Segretario comunale del Comune di Cernusco Lombardone (LC) fa presente che tra il Responsabile del servizio di polizia locale ed il Commissario aggiunto suo collaboratore esiste da tempo uno stato di tensione sfociato in vari procedimenti disciplinari, ed in numerose missive indirizzate al Sindaco ed al Segretario comunale.
Da ultimo il Commissario aggiunto con nota indirizzata al Sindaco e al Segretario, in qualità di ufficiale di Polizia giudiziaria, chiede di conoscere se il Responsabile del servizio di polizia locale sia stato preventivamente autorizzato a frequentare un “Corso” e se lo abbia concretamente frequentato nel 2005; se in alcuni giorni del 2005 abbia prestato servizio presso il Comune svolgendo attività di controllo del territorio comunale con la cosiddetta “pattuglia serale” e, in caso affermativo se abbia percepito un compenso e in che forma.
A tal fine il Commissario aggiunto ha chiesto il rilascio di copia autentica della preventiva autorizzazione rilasciata al Responsabile del Servizio di polizia locale per la frequenza del “Corso”; copia autentica dell’ordine di servizio adottato dal Responsabile del Servizio, riguardante i turni e gli orari di servizio degli operatori della polizia locale relativi ad alcuni mesi del 2005; copia autentica dei cartellini segnatempo/presenza in servizio del responsabile riguardanti il suddetto periodo, anche nella versione appositamente predisposta per evidenziare all’Ufficio ragioneria i servizi rientranti nel c.d. “Progetto finalizzato” retribuito in modo del tutto particolare; copia autentica di ulteriori documenti quali l’eventuale lettera di iscrizione al corso di cui trattasi e l’eventuale diploma all’uopo rilasciato.
Tutto ciò premesso, il Segretario del Comune di Cernusco Lombardone chiede di conoscere se sia possibile, obbligatorio o vietato evadere la richiesta di documenti avanzata dal Commissario aggiunto.
Ad avviso della Commissione l’istanza di accesso presentata dal Commissario aggiunto, per come è stata formulata e per le ragioni che espressamente la sostengono non può trovare accoglimento.
L’interessato, invero, non intende esercitare il diritto di accesso alla documentazione amministrativa, detenuta dal proprio Comune per tutelare interessi propri, ma, al contrario, quale ufficiale di polizia giudiziaria, chiede documenti ed informazioni al dichiarato fine “di eseguire una indagine conoscitiva volta a poter escludere oppure documentare la possibilità che sussistano o meno violazioni di legge”.
All’evidenza una tale ipotesi è fuori dall’ambito di applicazione delle norme sul diritto di accesso, per la decisiva ragione che le modalità di acquisizione di documenti ed informazioni nel corso di indagini di polizia giudiziaria sono disciplinate da norme tutt’affatto diverse
(Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 20.12.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Richiesta di parere sul diritto di accesso agli esposti ex art. 1 TULPS.
Un commissariato di P.S. ha chiesto a questa Commissione un parere sull’accessibilità di un esposto di un privato che aveva innescato un procedimento per la bonaria composizione dei dissidi privati ex art. 1 TULPS.
La Commissione ribadisce il costante orientamento secondo cui nel sistema delineato dalla legge 07.08.1990, n. 241 e ss. mm., ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica -nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale che non riconosce il diritto all'anonimato di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi- ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo, di controllo o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo in proposito la Pubblica Amministrazione procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza (così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., Cons. Stato, Sez. V 19.05.2009 n 3081; Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699).
Alla luce di tale orientamento, non pare che possa essere esclusa l'ostensione dell’esposto (di cui peraltro risulta già data lettura alla controparte), non potendo essere considerato un fatto circoscritto al solo autore o al Commissariato di PS competente al suo esame ai fini dell'apertura del procedimento di composizione bonaria, riguardando direttamente anche i soggetti "denunciati", fatti comunque salvi i limiti previsti all’accesso per casi di dati sensibili o supersensibili ex art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta dell'08.11.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Accesso di cittadino residente a documenti in materia edilizia.
L’Avv. ... lamenta che il Comune di Sannicandro Garganico, in contrasto con le disposizioni contenute nell’art. 10, TUEL, gli abbia negato l’accesso ad atti che riguardano la materia edilizia in generale (progettazioni, autorizzazioni a costruire e simili).
Il diniego dell’amministrazione comunale, ai sensi del richiamato art. 10 del TUEL è illegittimo.
Per quanto riguarda la legittimazione all’accesso agli atti adottati da enti locali, la consolidata giurisprudenza di questa Commissione distingue la diversa posizione dei cittadini residenti e non. Per i primi, cittadini residenti (siano essi persone fisiche, associazioni o persone giuridiche), il principio fondamentale che informa l’orientamento consolidato della Commissione sull’applicazione dell’art. 10, TUEL è quello di “specialità”: si ritiene cioè che il legislatore abbia adottato una disciplina specifica per gli enti locali versata nel TUEL approvato con il d.lgs. n. 267/2000.
Tale specialità comporta, in linea generale, che le norme contenute nella l. n. 241/1990 si applicano al TUEL solo in via suppletiva, ove necessario, e nei limiti in cui siano con esso compatibili. E mentre, per l’accesso agli atti di amministrazioni centrali dello Stato (e sue articolazioni periferiche) l’art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990 prevede che la legittimazione all’accesso spetti soltanto ai soggetti titolari di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, l’art. 10 del TUEL non stabilisce invece alcuna restrizione e si limita a prevedere l’esistenza di un’area di atti (non precisata) il cui accesso o è assolutamente precluso per legge o è differibile (tale essendo l’effetto pratico della necessaria dichiarazione del Sindaco) nei casi previsti da un apposito regolamento, a tutela della riservatezza.
Secondo la Commissione i diversi contenuti delle due disposizioni citate caratterizzano la specificità del diritto di accesso dei cittadini comunali configurandolo alla stregua di un’azione popolare che non deve essere accompagnata né dalla titolarità di una situazione giuridicamente rilevante né da un’adeguata motivazione.
Ovviamente, a tutela del buon andamento dell’ordinaria attività amministrativa degli uffici comunali, l’amministrazione ha la facoltà di stabilire tempi e modalità di accesso alla documentazione richiesta (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 27.09.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOff limits le note del vigile «poliziotto».
Gli atti posti in essere dalla polizia municipale in funzione di polizia giudiziaria sono sottratti al diritto d'accesso: così ha stabilito il TAR Sardegna, Sez. II, nella sentenza 20.06.2011 n. 638.
Il Tribunale, d'altronde, ha applicato a questa vicenda i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in materia, secondo cui non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla Pa nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'articolo 329 del Codice di procedura penale; tuttavia se la Pa che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nel l'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dal l'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'articolo 329 del Codice di procedura penale e conseguentemente sottratti all'accesso.
I giudici sardi hanno precisato che ai fini dell'esercizio del l'accesso ai documenti amministrativi, la polizia municipale esercita, rispetto alle opere edilizie abusive, funzioni di polizia giudiziaria, con la conseguenza che gli atti che quest'ultima compie e acquisisce nel l'esercizio di tali funzioni sono assoggettati al regime stabilito dal Codice di procedura penale e al segreto istruttorio di cui all'articolo 329 (articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso agli atti senza vedere firme. La sentenza del Tar Sardegna.
L'interessato che richiede l'accesso a un esposto che lo riguarda ha diritto ad ottenere perlomeno l'ostensione del documento con l'occultamento dei nominativi di tutti i firmatari.
Lo ha ribadito il TAR Sardegna, Sez. II, con la sentenza 02.08.2011 n. 865.
È sempre molto sottile la linea di demarcazione tra la tutela del diritto alla riservatezza e il diritto alla trasparenza e all'accesso agli atti amministrativi. Spesso infatti il destinatario di un esposto chiede all'autorità destinataria delle doglianze copia dell'atto per configurare eventuali contromisure non necessariamente convenzionali. Anche per semplice e legittima curiosità. Questo determina sovente un irrigidimento della pubblica amministrazione destinataria della richiesta di accesso agli atti che per evitare di gettare benzina sul fuoco nega totalmente l'accesso all'esposto.
Questa pratica non è corretta secondo il Tar sardo. Nel caso esaminato dal collegio il socio di una cooperativa posta in liquidazione si è visto rigettare dall'Inps la richiesta di accesso a un esposto presentato a suo danno da altri soci lavoratori. Contro questa determinazione negativa l'interessato ha avanzato con parziale successo ricorso al tribunale amministrativo evidenziando l'importanza del documento per la tutela dei suoi interessi.
Il collegio ha accolto, in parte, le doglianze dell'interessato richiamando, tra l'altro, «il precedente giurisprudenziale del Tar Lombardia Milano, sez. IV, dell'08.11.2004, n. 5716, nel quale è stato affermato che in tema di bilanciamento tra il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la tutela dei terzi i cui dati personali siano contenuti nella documentazione richiesta, deve ritenersi che le esigenze di tutela della riservatezza dei firmatari di un esposto nei confronti di un professionista, presentato al relativo ordine professionale, e del quale il primo chieda l'ostensione, possano essere garantite mediante la mascheratura dei nominativi» (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).
ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Necessità o meno di comunicare ai controinteressati l’istanza di accesso presentata ai sensi dell’art. 391-quater cod. proc. pen..
Il dirigente del Comune di Rieti in indirizzo chiede il parere di questa Commissione in ordine alla necessità di comunicare ai controinteressati (ex art. 3, d.p.r. n. 184/2006) la domanda di accesso formulata i sensi dell’art. 391-quater cod. proc. pen. da un avvocato per conto del suo cliente ed avente ad oggetto il rilascio di copia della documentazione relativa a pratiche edilizie appartenenti a terzi e non riconducibili al procedimento penale in cui il suo assistito è coinvolto.
A parere del dirigente comunale la comunicazione ai terzi controinteressati non sarebbe necessaria in quanto la suddetta documentazione è finalizzata esclusivamente alla redazione di memorie da parte del legale.
Ritiene questa Commissione di poter condividere tale assunto.
La notifica ai controinteressati ex art. 3, d.p.r. n. 184/2006 è un atto dovuto dall’amministrazione in ogni caso in cui la richiesta di accesso coinvolga la tutela della riservatezza del terzo, il quale ha il diritto di presentare o meno una motivata opposizione all’accesso entro dieci giorni dalla comunicazione. Questa procedura, la cui osservanza non può dipendere dal giudizio sulla sua fondatezza che la stessa amministrazione maturi anche in virtù di consolidata giurisprudenza, può essere superata nei casi in cui la legge stabilisca l’obbligo di ostensione del documento richiesto o il consenso dell’autorità giudiziaria e in quelli in cui il soggetto terzo, pur individuato nel documento, rivesta la posizione di controinteressato solo in senso formale (è l’ipotesi della richiesta di accesso di un candidato di una procedura concorsuale ad accedere a verbali o elaborati di altri candidati della stessa procedura).
Nel caso di specie, sembra ricorrere la prima ipotesi considerato che l’art. 391-quater cod. proc. pen. –secondo cui “Ai fini delle indagini difensive, il difensore può chiedere i documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia”- prevede, al terzo comma, che in caso di rifiuto al rilascio da parte della P.A. si applicano gli artt. 367 e 368 cod. proc. pen., che devolvono al P.M. (art. 367) e al GIP (art. 368) la decisione su richieste istruttorie nel corso delle indagini preliminari. Non è, dunque, il terzo controinteressato che può opporsi alla domanda di accesso, ma solo l’autorità giudiziaria può valutarne l’ammissibilità (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 20.07.2011 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAUna parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce, ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza”) facciano propendere per la soluzione opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi”.

Per quanto concerne l’esposto dl vicino di casa, il Collegio ritiene che la domanda sia fondata e che il Comune debba consentirne l’accesso.
Non ignora il Tribunale che una parte della giurisprudenza ritiene che quando l’esposto di un terzo abbia avuto l’unica funzione di stimolare l’attivazione di poteri di indagine o repressivi propri della P.A., che la stessa ha in seguito normalmente esercitato, venga a mancare, in capo al soggetto sanzionato, l’interesse a conoscere dato atto di impulso.
Tuttavia altra giurisprudenza, cui il Collegio aderisce (cfr., ad esempio: TAR Campania-Napoli n. 14859/2010 e Lombardia-Brescia n. 1469/2008; nonché C.S. n. 2511/2008; n. 5569/2007; e n. 3601/2007), ritiene che ragioni di trasparenza (“.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la P.A. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza”) facciano propendere per la soluzione opposta, cioè per l’accessibilità da parte dell’interessato anche a tale documento, in quanto “la denuncia e l’esposto… non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all’Amministrazione competente al suo esame e all’apertura dell’eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi”.
Né vale a legittimare il diniego di accesso all’esposto presentato dal vicino, l’eventuale sussistenza di indagini penali in relazione a fatti oggetto anche di indagine amministrativa, sia perché (come appurato in Camera di Consiglio) il Comune detiene comunque copia della documentazione di cui trattasi (che non è stata oggetto di sequestro); sia perché (come stabilito da TAR Puglia-Bari n. 2565/2008) la richiesta di accesso anche ad atti oggetto di indagine penale (dei quali peraltro il Collegio non ritiene possa far parte l’esposto del privato, proprio perché ha solo dato impulso ad indagini autonomamente effettuate dalla P.A., unicamente all’esito delle quali si è ritenuta la possibile sussistenza di un illecito penalmente rilevante) può in ogni caso essere assentita, eventualmente, e ove di ragione, previa autorizzazione della competente Procura della Repubblica che deve esserne richiesta, senza indugio, dall’Amministrazione stessa.
Questa parte della domanda va quindi accolta con conseguente dichiarazione dell’obbligo del Comune di consentire l’accesso all’esposto presentato dal vicino (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 14.07.2011 n. 349 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIGli atti posti in essere dalla polizia municipale in funzione di polizia giudiziaria sono sottratti al diritto d’accesso.
Col ricorso in rassegna il ricorrente chiedeva l’annullamento di un provvedimento con il quale il Comune in causa aveva respinto l'istanza di accesso al verbale dei VV.UU. relativo all'accertamento eseguito nell'abitazione del ricorrente in quanto coperto da segreto istruttorio.
Il Tribunale amministrativo di Cagliari ha considerato tale istanza infondata sul presupposto che debbano trovare applicazione anche nel caso di specie i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa in materia, secondo cui “non ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla pubblica amministrazione nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.; tuttavia se la pubblica amministrazione che trasmette all'autorità giudiziaria una notizia di reato non lo fa nell'esercizio della propria istituzionale attività amministrativa, ma nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria, che, come tali, sono soggetti a segreto istruttorio ai sensi dell'art. 329 c.p.p. e conseguentemente sottratti all'accesso ai sensi dell'art. 24, l. n. 241 del 1990.” (cfr. Consiglio di Stato , sez. VI, 09.12.2008 , n. 6117).
È stato altresì precisato, continuano i giudici sardi, che “ai fini dell'esercizio dell'accesso ai documenti amministrativi, la polizia municipale esercita, rispetto alle opere edilizie abusive, funzioni di polizia giudiziaria, con la conseguenza che gli atti che quest'ultima compie e acquisisce nell'esercizio di tali funzioni sono assoggettati al regime stabilito dal codice di procedura penale e al segreto istruttorio di cui all'art. 329, c.p.p.” (cfr. TAR Sicilia Palermo, sez. II, 06.06.2008 , n. 757; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 05.12.2005, n. 1676).
Poiché nella situazione in commento il verbale di accertamento in questione è stato redatto ai sensi dell’articolo 354 c.p.p., trattandosi pertanto di atto posto in essere nell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria, lo stesso risulta assoggettato al segreto istruttorio di cui all’articolo 329 c.p.p. e, come tale, sottratto all’accesso in via amministrativa, dovendosi in tal caso esercitare l’accesso esclusivamente nelle forme consentite dalla partecipazione al procedimento penale cui l’atto medesimo inerisce e cioè previo nulla osta dell’autorità giudiziaria (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 20.06.2011 n. 638 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Accesso ai documenti amministrativi - Documenti relativi a procedimenti di controllo o ispettivi - Diritto di accesso - Sussiste - Anche rispetto ad esposti e denunce che abbiano determinato l'attivazione del procedimento.
In presenza di un interesse qualificato da parte di un soggetto, che subisce un procedimento di controllo o ispettivo, deve essere riconosciuto il diritto dello stesso a conoscere integralmente tutti i documenti utilizzati dall'Amministrazione nell'esercizio del potere di vigilanza, compresi gli esposti e le denunce che abbiano determinato l'attivazione del procedimento medesimo (Fattispecie relativa ad una domanda di accesso agli atti di un procedimento ispettivo della Guardia di finanza, attivato nei confronti dell'istante sulla base di esposti e segnalazioni) (Cfr. Cons. Stato Sez. V, 19.05.2009, n. 3081) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 26.04.2011 n. 1051 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Ricorso amministrativo - Controinteressato - Caratteri ed Individuazione - Mera partecipazione al procedimento o semplice presentazione di esposti e denunce - Insufficienza.
2. Preavviso di rigetto ex art. 10-bis, L. 241/1990 - Carattere interlocutorio - Mancanza di lesività attuale - Impugnabilità - Non sussiste.
3. Ricorso amministrativo - Consulenza tecnica d'ufficio - Istruttoria volta a colmare lacune procedimentali della P.A. - Inammissibilità.
4. Atto amministrativo - Motivazione - Integrazione successiva - In sede giurisdizionale - Motivazione contenuta in atti difensivi - Inammissibilità.

1. La mera partecipazione al procedimento o la semplice presentazione di esposti e denunce all'autorità pubblica non costituiscono condizioni sufficienti ad acquisire la qualità di controinteressato nel giudizio amministrativo (cfr. TAR Latina, sent. n. 293/2010; TAR Napoli, sent. n. 1918/2010; Cons. di Stato, sent. n. 547/2006).
2. Qualora in un provvedimento la P.A., da un lato, parli di "archiviazione" della pratica, ma, dall'altro, richiami l'art. 10-bis della Legge 241/1990 -come se l'atto non rappresentasse una determinazione definitiva, ma soltanto un preavviso di rigetto- il provvedimento risulta non impugnabile, non apparendo chiara la sua effettiva portata lesiva (cfr. TAR Milano, sent. n. 7192/2010).
3. E' inammissibile la consulenza tecnica d'ufficio qualora si configuri come attività istruttoria volta a colmare le lacune procedimentali -consulenza tecnica c.d. esplorativa- in cui sia incorsa la P.A. che non abbia adeguatamente assolto l'onere della prova della propria pretesa di inibire l'attività edificatoria dell'esponente (cfr. TAR Catania, sent. n. 2930/2010).
4. Pur dopo le modifiche alla Legge 241/1990 introdotte con la Legge 15/2005, permane nel processo amministrativo il divieto di integrare la motivazione con gli atti difensivi (cfr. TAR Piemonte, sent. n. 4550/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.02.2011 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

ATTI AMMINISTRATIVIOGGETTO: Diritto di accesso di un condomino al contenuto di una segnalazione inviata dall’amministratore all’ASL.
Un condomino, abitante in un palazzo ove l’amministratore pro tempore aveva segnalato alla ASL gravi anomalie nel sistema di evacuazione dei fumi provenienti dalle canne fumarie collettive, riferiva di avere inoltrato alla stessa ASL istanza di accesso per acquisire copia della segnalazione in quanto l’amministratore condominiale ne aveva negato più volte il rilascio. Sennonché, la competente ASL, pur rilasciando copia dell’esposto, aveva oscurato l’intestazione, la firma ed altri particolari contenuti nella segnalazione.
Tanto premesso, l’istante chiedeva a questa Commissione un parere per ottenere dalla ASL la copia integrale della segnalazione fatta dal condominio, senza le cancellature apposte al documento.
E’ senza alcun dubbio sussistente un interesse diretto, concreto, attuale dell’istante ad avere copia della segnalazione sia quale condomino, titolare del potere di controllo sulla gestione delle cose comuni (tra cui anche le canne fumarie collettive di aspirazione dei fumi), sia quale eventuale soggetto destinatario dell’esposto in previsione di eventuali procedimenti sanzionatori o ispettivi, tanto che l’amministrazione ha rilasciato copia della segnalazione al condomino istante.
In tale duplice ottica, non appaiono poi sussistere ragioni giustificative dell’oscuramento di alcune parti della segnalazione (verosimilmente inerenti alle generalità dei soggetti coinvolti), prevalendo comunque il diritto di accesso rispetto alla riservatezza.
Ed infatti, l’interesse alla riservatezza, da un lato, non può essere invocato sul contenuto e sugli autori di esposti, segnalazioni o denunce, non costituendo fatti circoscritti al solo autore e all’Amministrazione competente al suo esame, ma riguardando direttamente anche i soggetti “denunciati”, i quali ne risultano comunque incisi; dall’altro, essa recede quando venga in rilievo l’accesso per le necessità di cura e difesa degli interessi giuridici del richiedente ai sensi dell’art. 24, co. 7, legge n. 241/1990, salvo i casi di dati sensibili o supersensibili.
Alla luce di quanto esposto, non pare che la p.a. possa opporre all’interessato esigenze di riservatezza, oscurando dati inerenti il contenuto o le generalità indicate nell’esposto, non venendo peraltro in apparente considerazione dati sensibili o supersensibili (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 14.12.2010 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOGGETTO: Comunicazione del nominativo di autore di un esposto.
A fronte di un’istanza di accesso presentata al Comune di Trecate da parte del proprietario di alcuni cani per conoscere le generalità di chi aveva inoltrato una segnalazione, da cui era stata avviata una successiva verifica circa il preteso disturbo della quiete pubblica e del riposo derivante dal continuo abbaiare dei cani, il Comando Polizia Municipale ha chiesto a questa Commissione di sapere se possa dare riscontro negativo a detta richiesta, evitando di comunicare il nominativo dell’autore dell’esposto.
L’ente istante ha precisato, altresì, che l’accedente intende tutelare la propria reputazione asseritamente lesa dalla segnalazione, mentre il denunciante si è opposto all’accesso, asserendo di temere eventuali ritorsioni a danno della propria incolumità.
La Commissione ribadisce il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha per oggetto, come nella presente fattispecie, il nome di coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo (cfr., C.d.S. Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699; Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n. 5; cfr anche TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 29.10.2008 n. 1469).
Ed infatti, ai sensi dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990, nel testo novellato, al comma 7, "deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
Nel caso in esame, l’istanza di accesso è diretta a conoscere le generalità di chi ha effettuato la segnalazione al Comune, segnalazione da cui è scaturita la successiva verifica da parte degli uffici comunali delle lamentele circa il disturbo della quiete pubblica derivanti dai latrati dei cani.
Non venendo quindi in rilievo i dati sensibili o supersensibili di cui al menzionato art. 60, sono irrilevanti i timori manifestati dall’opponente di esporsi ad eventuali azioni ritorsive, con la conseguenza che deve essere riconosciuto l’accesso al nominativo del denunciante (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 26.10.2010 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Procedimento amministrativo - Accesso - Provvedimenti incidenti sulle libertà individuali - Limitazioni all’accesso - Art. 3, lett. a), d.m. n. 415/1994 - Interpretazione.
L’art. 3, lett. a), d.m. 10.05.1994 n. 415 -secondo cui sono sottratti ad accesso “relazioni di servizio ed altri atti o documenti presupposti per l’adozione degli atti o provvedimenti dell’autorità nazionale e delle altre autorità di pubblica sicurezza, nonché degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, ovvero inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità, salvo che si tratti di documentazione che, per disposizione di legge o di regolamento, debba essere unita a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”- deve essere interpretata, soprattutto allorché i documenti di cui è chiesto l’accesso siano già stati utilizzati per l’adozione di provvedimenti amministrativi incidenti sulle libertà individuali, nel senso che la sottrazione all’accesso debba essere di volta in volta giustificata in relazione a specifiche e concrete esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico e di repressione della criminalità e specificamente in relazione alla tutela di “strutture, mezzi, dotazioni, personale e azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini”, come previsto dalla lett. c) dell’art. 24, comma 6, l. 07.08.1990 n. 241; se infatti la disposizione venisse interpretata in senso letterale potrebbe dubitarsi della sua legittimità in quanto si determinerebbe una sostanzialmente generalizzata sottrazione ad accesso di quasi tutti i documenti formati dall’amministrazione dell’interno con frustrazione delle finalità della l. n. 241/1990 (TAR Lazio Latina, 15.10.2009, n. 949) (TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 06.10.2010 n. 1653 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: OGGETTO: Comunicazione del nominativo di autori di denunce o esposti.
Con nota del 15.07.2010 n. 0022686 il Comando della Polizia Municipale del Comune di Porto Sant’Elpidio ha chiesto di conoscere se, a parere di questa Commissione, debba dare corso alle richieste, avanzate da persone che in sede di procedimenti ispettivi o sanzionatori (per lo più relativi a rapporti di lavoro dipendente) siano state oggetto di denunzie o di esposti, di conoscere il nominativo del denunziante o dell’esponente.
Al riguardo la Commissione fa presente che secondo un orientamento giurisprudenziale “le finalità che sostengono le disposizioni che precludono ai datori di lavoro l'accesso alla documentazione contenente le dichiarazioni rese in sede ispettiva dai rispettivi dipendenti -fondate su un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè attinente all'esigenza di preservare l'identità dei dipendenti autori delle dichiarazioni allo scopo di sottrarli a potenziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte del datore di lavoro-, prevalgono a fronte dell'esigenza contrapposta di tutela della difesa dei propri interessi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita “comunque” dall'art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990” (Sez. V, 07.12.2009 n. 7678 e 29.07.2008, n. 3798; Sez. VI, 10.04.2003, n. 1923; 03.05.2002, n. 2366, 26.01.1999, n. 59).
Secondo altro orientamento, invece, “nell'ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza. La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico.
Emblematico, in tal senso, è l'art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il diritto dell'accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che l'accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell'autore di tali dichiarazioni. Tale sfavore verso le denunce e le dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice di procedura penale: si pensi, ad esempio, all'art. 240 C.p.p. in forza del quale i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano il corpo del reato o provengano comunque dall'imputato; all'art. 195, comma 7, C.p.p. che sancisce l'inutilizzabilità della testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame; all'art. 203 C.p.p. che pure prevede l'inutilizzabilità delle informazioni rese dagli informatori alla polizia giudiziaria quando il nome di tali informatori non venga svelato
” (così TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.10.2008 n. 1469, sulla base dei precedenti di cui C.d.S. Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699; Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n. 5).
Entrambi gli orientamenti danno luogo a perplessità. Il primo orientamento perché in sostanza interpreta restrittivamente il disposto dell’art. 24, comma 7, relativo alla garanzia dell’accesso finalizzato alla “conoscenza necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”, limitandolo alla cura e difesa in sede giurisdizionale, trascurando che la legge assicura una prima difesa in sede amministrativa dinanzi a questa Commissione; e su questa base nega al datore di lavoro l’accesso in sede amministrativa, per la considerazione che l’interessato potrà comunque ottenerlo in sede giurisdizionale. Ma in tal modo chi voglia ottenere l’accesso è costretto a seguire la costosa e più lunga via giurisdizionale. Ma anche il secondo orientamento dà luogo a dubbi: perché consentendo l’accesso in sede amministrativa espone effettivamente il lavoratore ad azioni ritorsive.
Ritiene pertanto la Commissione che una equa via di mezzo possa essere quella di ammettere l’accesso al contenuto degli esposti o delle denunzie solo qualora ricorrano le seguenti condizioni:
1) che il provvedimento, ispettivo o sanzionatorio, sia direttamente fondato sulle dichiarazioni acquisite da parte del denunziante o dell’esponente e non sugli accertamenti obiettivi che, sia pure a seguito delle denunce e delle dichiarazioni ricevute, l’Amministrazione ha poi autonomamente effettuato; e cioè soltanto nei casi in cui la denuncia o la dichiarazione abbia costituito la diretta ed essenziale causa giustificatrice del provvedimento lesivo e non semplicemente l’occasione per attivare i poteri d’ufficio dell’Amministrazione (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 5199/2009, in Commissione per l’accesso, Giurisprudenza 2009, pag. 270);
2) che il documento al quale è stato chiesto di accedere, non consenta, con gli opportuni omissis, di desumerne l’autore;
3) che, ove non sia possibile oscurare l’identità dell’autore, l’accesso possa essere concesso soltanto nel caso in cui l’interessato possa dare specifica prova, che la mancata conoscenza del nominativo di detto autore gli precluderebbe la cura o difesa dei suoi interessi giuridici in giudizio (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, risposta del Plenum in seduta del 28.09.2010 - link a www.commissioneaccesso.it).

ATTI AMMINISTRATIVIOgni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza.
La tutela dell'accesso prevale sulla tutela della riservatezza qualora il primo sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici, salvo che vengano in considerazione dati sensibili o sensibilissimi.
Il diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può dunque essere ricostruito in termini di "diritto all'anonimato" dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica di altro soggetto.

Come più volte rilevato in giurisprudenza, “.. nell'ordinamento delineato dalla legge n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza” (così TAR Lombardia Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, nello stesso senso cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699).
Deve essere, infatti, rilevato che l’art. 22 della legge 241/1990 disciplina l’accesso come principio generale dell’attività amministrativa e che il successivo art. 24, al comma 7, stabilisce che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".
In sostanza nell’attuale sistema la tutela dell'accesso prevale sulla tutela della riservatezza qualora il primo sia strumentale alla cura o alla difesa dei propri interessi giuridici, salvo che vengano in considerazione dati sensibili o sensibilissimi (cfr. ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 23.10.2007, n. 5569).
La denuncia e l'esposto, del resto, non possono essere considerati un fatto circoscritto al solo autore, all'Amministrazione competente al suo esame e all'apertura dell'eventuale procedimento, ma riguardano direttamente anche i soggetti "denunciati", i quali ne risultano comunque incisi (così, TAR Lombardia, Brescia, 1469/2008, cit.).
In conclusione il diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può dunque essere ricostruito in termini di "diritto all'anonimato" dell’autore di una dichiarazione rilevante nell'ambito di un procedimento destinato ad incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica di altro soggetto (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 16.06.2010 n. 14859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
anno 2009

ATTI AMMINISTRATIVIEsiste il diritto di accesso per conoscere il nome dell'autore di un esposto?
In giurisprudenza si rinvengono sentenze di orientamento opposto sulla questione se l'interessato abbia il diritto di accesso per conoscere il nome dell'autore di un esposto inviato alla P.A.
In senso favorevole, si segnalano TAR Lombardia - Brescia, sez. I, sentenza 29.10.2008, n. 1469; Consiglio di Stato, sez. V, 19.05.2009, n. 3081; Consiglio di Stato, sez. V, 27.05.2008, n. 2511.
Queste sentenze affermano che il nome dell'autore di un esposto non rientra tra i dati sensibili o supersensibili di cui all'articolo 60 del Codice dati personali e dell'art. 24 della legge n. 241/1990. Inoltre, l'esposto non è un fatto circoscritto al solo autore o alla P.A., ma incide anche sui denunciati, in modo particolare quando dall'esposto è scaturita l'emanazione di un provvedimento amministrativo.
L'accesso si ricollega ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, che ispirano la legge 241/1990. Inoltre la tolleranza verso denunzie segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico, come si può evincere anche dall'art. 111 della Costituzione che considera un elemento essenziale del giusto processo il diritto dell'accusato di interrogare o di fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (il che presuppone il diritto di conoscere il nome delle persone che emettono tali dichiarazioni).
In tema, si vedano anche gli artt. 240, 195, comma 7 e 203 del codice di procedura penale. Neanche nel caso in cui un atto sia formato o detenuto da un soggetto tenuto al segreto professionale è automaticamente escluso il diritto di accesso.
In senso contrario, invece si sono espressi il Consiglio di Stato, sez. V, 03.04.2000, n. 1916; TAR Sardegna Cagliari, sez. I, 10.04.2009, n. 517.
In queste sentenze si legge che, di regola, per il destinatario di un provvedimento finale non sussiste la necessità di conoscere l'autore di un esposto al fine di difendere i propri interessi giuridici, a meno che non siano esibite particolari esigenze, da verificare in concreto. Infatti, di fronte al diritto della riservatezza del terzo, la pretesa di conoscere l'autore dell'esposto da parte del richiedente, "acquista un connotato ritorsivo che l'ordinamento non può tutelare".
Pubblichiamo il testo delle sentenze citate nella nota (01.12.2009 - link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: Chi riceve un esposto edilizio ha diritto a sapere il mittente.
Chi subisce un procedimento ispettivo di carattere urbanistico non può essere limitato nell'accesso agli atti amministrativi. Per questo motivo il comune non può negare all'interessato la piena conoscenza di un eventuale esposto edilizio concluso con un nulla di fatto a carico del soggetto sottoposto a controlli.
Lo ha stabilito il Consiglio di stato, Sez. V, con la sentenza 19.05.2009 n. 3081.
Alcuni cittadini hanno richiesto una verifica comunale da parte dei vigili urbani su un immobile di proprietà di un avvocato. Nonostante l'esito negativo del controllo il comune ha ritenuto di limitare l'accesso agli atti consegnando al proprietario immobiliare richiedente una copia dell'esposto epurata dei riferimenti completi del mittente.
Contro questa determinazione l'avvocato, motivato a conoscere gli autori della delazione anche per intraprendere eventuali azioni di rivalsa, ha proposto inutilmente ricorso al Tar ma il Consiglio di stato ha ribaltato l'esito della vertenza. La richiesta di accesso completo agli atti ispettivi ed in particolare alle generalità degli autori della denuncia, specifica la sentenza, è pienamente legittimata anche dall'esito del controllo edilizio che ha evidenziato mere questioni di carattere civilistico tra le parti.
La giurisprudenza più recente in materia, prosegue il collegio, ha infatti osservato che «il nostro ordinamento non tollera le denunce segrete e come colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, per concludere nel senso che non si può escludere che l'immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell'istruttoria».
In buona sostanza, a parte eventuali limitazioni derivanti da indagini tecniche complesse o penali il diniego delle generalità dell'esponente non è ammesso (articolo ItaliaOggi del 19.06.2009, pag. 13).

anno 2008

ATTI AMMINISTRATIVISull'accesso agli atti e sulla salvaguardia o meno del diritto alla riservatezza.
Il diritto alla riservatezza non può essere invocato quando la richiesta di accesso ha per oggetto il nome di coloro che hanno reso segnalazioni, denunce o rapporti informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo (cfr., Cons. Stato Sez. V, 27.05.2008 n. 2511; Sez. VI, 23.10.2007 n. 5569; Sez. VI, 25.06.2007 n. 3601; Sez. VI, 12.04.2007, n. 1699; Sez. V, 22.06.1998 n. 923; Ad. Plen. 04.02.1997 n. 5).
In linea generale va premesso che il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza è stato risolto direttamente dal legislatore grazie al vasto intervento riformatore operato dal Codice dei dati personali (D.Lgs. n. 196/2003), dalla Legge n. 15/2005 (recante la novella alla Legge n. 241/1990) e dal D.P.R. n. 184/2006, che hanno, nella sostanza ed in estrema sintesi, cristallizzato gli approdi cui era giunta la giurisprudenza del Consiglio di Stato (in particolare Ad. Plen. n. 5 del 1997), avanzando in ogni caso la soglia di tutela dell'accesso.
In particolare l'art. 59, del Codice dati personali, fatta salva l'applicazione della disciplina derogatoria sancita dal successivo art. 60 per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, ha demandato interamente alla Legge n. 241 del 1990 la regolamentazione del rapporto accesso-privacy anche per ciò che concerne i dati sensibili e giudiziari.
L'art. 24 della Legge n. 241 del 1990, nel testo novellato, al comma 7 recita che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'art. 60 del decreto legislativo 30.06.2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 29.10.2008 n. 1469 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso: niente riservatezza per gli autori di segnalazioni e denunce.
Nell'ordinamento delineato dalla l. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di segnalazioni, esposti o denunce che -fondatamente o meno- possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio nei suoi confronti, non potendo l'Amministrazione procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 29.10.2008 n. 1469 -
link a www.eius.it).

anno 2007

ATTI AMMINISTRATIVI: Nessuna riservatezza per il nome dell’autore di un esposto.
Ai sensi dell’art. 22 lett. c) legge n. 241/1990, in materia di accesso, per “controinteressati” si intendono “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.
In base alla definizione legislativa appena riportata, quindi, sono controinteressati non tutti coloro che, a qualsiasi titolo sono nominati o coinvolti nel documento oggetto dall’istanza ostensiva, ma solo coloro che per effetto dell’ostensione vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza.
Ebbene, pur non potendosi sottovalutare l’ampliamento e la progressiva importanza assunta dal diritto alla riservatezza, il Collegio ritiene, tuttavia, che tale situazione giuridica concerna solo quelle vicende collegate in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto, e non anche quelle destinate ad assumere una dimensione di carattere pubblico.
Nell'ordinamento delineato dalla L. n. 241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con precisione i contenuti e gli autori di esposti o denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l'avvio di un procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo la p.a. procedente opporre all'interessato esigenze di riservatezza, foss’anche per coprire o difendere il denunciante da eventuali reazioni da parte del denunciato, le quali, comunque, non sfuggirebbero al controllo dell'autorità giudiziaria.
La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico. Emblematico, in tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni.
Non può allora dubitarsi che colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell'esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d'iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti.
Certo, non si può escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto concedere, giustificare un breve differimento del diritto di accesso. Non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti quando ormai (come accade nella fattispecie) il procedimento ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso (
Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.06.2007 n. 3601 - link a www.altalex.com).