EDILIZIA PRIVATA: Edilizia
e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori e
pertinenze di fabbricati - Mutamento di destinazione d'uso senza opere -
Subordinazione alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
ordinaria - Applicabilità anche agli immobili posti nei centri storici -
Violazione dei principi fondamentali nella materia del governo del
territorio - Illegittimità costituzionale in parte qua.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 2, comma 1, secondo periodo, della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella parte in cui, con riguardo ai
locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in
piani seminterrati, subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento
di destinazione d'uso senza opere alla segnalazione certificata d'inizio
attività (SCIA) di cui all'art. 13- della legge reg. Liguria n. 16 del 2008,
anche con riguardo agli immobili bis posti nei centri storici (zone
territoriali omogenee A di cui all'art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968).
La norma regionale impugnata dal Governo si discosta dalla normativa statale
di principio contenuta nell'art. 10 t.u. edilizia, nella parte in cui, in
virtù della sua formulazione generale e onnicomprensiva, ritiene sufficiente
la SCIA ordinaria -anziché il permesso di costruire- anche per i mutamenti
di destinazione d'uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto
con la peculiarità di tali zone territoriali omogenee e con le relative
esigenze di più incisiva tutela. (Precedente citato: sentenza n. 2 del
2021).
La definizione dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi
costituisce principio fondamentale nella materia di legislazione concorrente
«governo del territorio» e vincola la normativa regionale di dettaglio.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Permesso di costruire
in deroga - Potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a
recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana - Ricorso del
Governo - Lamentata violazione della competenza esclusiva statale in materia
di governo del territorio - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni,
nei sensi di cui in motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in
motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal
Governo in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.- dell'art. 3, comma
1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e
in quella modificata dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1
del 2020 che, con riguardo al recupero di locali accessori, pertinenze e di
immobili non utilizzati, rispettivamente prevedono il permesso di costruire
in deroga e il potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette
a recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il
dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del
paesaggio- concerne i profili eminentemente urbanistici degli interventi e
non introduce quindi una deroga non consentita al regime statale dei titoli
abilitativi, né delinea una peculiare tipologia di permesso di costruire in
deroga, svincolata dal preventivo vaglio del Consiglio comunale e volta a
legittimare qualsiasi difformità.
Secondo costante giurisprudenza costituzionale, il regime dei titoli
abilitativi per le categorie dei vari interventi edilizi costituisce
principio fondamentale della materia di legislazione concorrente «governo
del territorio» e vincola così la legislazione regionale di dettaglio.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Permesso di costruire
in deroga - Potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a
recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana - Ricorso del
Governo - Lamentata violazione della competenza esclusiva statale in materia
di tutela dei beni culturali - Insussistenza - Non fondatezza delle
questioni, nei sensi di cui in motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in
motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal
Governo in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.-
dell'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella
formulazione originaria e in quella modificata dall'art. 24, comma 2, della
legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che, con riguardo al recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, rispettivamente
prevedono il permesso di costruire in deroga e il potere esclusivo dei
Comuni di individuare le parti soggette a recupero, con esclusione degli
ambiti di rigenerazione urbana.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il
dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del
paesaggio- non pregiudica l'unitarietà e la vincolatività della
pianificazione paesaggistica, né mette a repentaglio l'obbligatorietà
dell'elaborazione congiunta del Piano paesaggistico.
A fronte di un'indicazione espressa del legislatore regionale, non si può
perciò attribuire al mancato richiamo delle prescrizioni del cod. ambiente
la portata di una deroga indiscriminata, che esula dalle specifiche finalità
della normativa regionale e contraddice la forza imperativa della disciplina
statale.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, Precedente citato: sentenza n. 54
del 2021 affinché sia preservato il valore unitario e prevalente della
tutela paesaggistica, deve essere salvaguardata la complessiva efficacia del
Piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla
parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Potere dei Comuni di
individuare, entro la data del 30 aprile 2020 e a particolari condizioni,
parti del territorio escluse dall'applicazione di tale normativa - Ricorso
del Governo - Lamentata violazione del principio della tutela del paesaggio
e della competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali
- Insussistenza - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in
motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in
motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal
Governo in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost.-
dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, che
attribuisce ai Comuni il potere di individuare, entro la data del
30.04.2020, limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada
pubblica, parti del territorio escluse dall'applicazione della normativa sul
recupero di locali accessori e pertinenze, in funzione di specifiche
esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria e nel rispetto della
disciplina dei piani di bacino e dei piani dei parchi o anche in presenza di
fenomeni di risalita della falda.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il
dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del
paesaggio- non demanda ai Comuni il potere di individuare i beni oggetto di
tutela, in un contesto di deroga generalizzata alle previsioni del d.lgs. n.
42 del 2004, bensì solamente quello di individuare porzioni del territorio
in cui la legge in esame non trova applicazione, in un'ottica di più elevata
tutela e in relazione a esigenze specifiche, tassativamente indicate e
connesse agli interessi affidati alla cura degli enti territoriali.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Possibili interventi in
deroga al Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale -
Violazione del principio della tutela del paesaggio - Illegittimità
costituzionale in parte qua.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 9 Cost., l'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall'art. 24,
comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, nella parte in cui dispone
che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato,
anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati,
anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano
territoriale di coordinamento paesistico (PTCP) regionale, approvato ai
sensi della legge reg. Liguria n. 39 del 1984.
Tale deroga, nel consentire singoli e frammentari interventi di riutilizzo
al di fuori del contesto delineato dal PTCP, collide con il valore primario
del paesaggio e dell'ambiente e frustra le esigenze di tutela organica e
unitaria, immanenti al sistema, pur variamente declinato, della
pianificazione.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Obbligo di altezza
minima interna dei locali destinati alla permanenza di persone pari a 2,40
metri - Violazione dei principi fondamentali nella materia del governo del
territorio - Illegittimità costituzionale.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 3, comma 2, secondo periodo, della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019 che, con riferimento al recupero di locali
accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, impone l'obbligo di
altezza minima interna dei locali destinati alla permanenza di persone pari
a 2,40 metri.
Nel fissare requisiti di altezza interna inferiori a quelli prescritti dal
d.m. del 05.07.1975, la norma impugnata dal Governo contrasta con un
principio fondamentale della materia del governo del territorio, vincolante
per la legislazione regionale di dettaglio. L'inderogabilità dei requisiti
di altezza minima risponde, infatti, a esigenze di tutela della salubrità
degli ambienti e della salute delle persone che vi dimorano.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero
di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Parametri e
modalità di aeroilluminazione e di assicurazione dell'altezza minima interna
dei locali destinati alla permanenza di persone - Ricorso del Governo -
Lamentata violazione del diritto alla salute e dei principi fondamentali
nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio -
Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale
-promosse dal Governo in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost.-
dell'art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 che, con
riferimento al recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non
utilizzati, consente di assicurare il rispetto dei parametri di
aeroilluminazione e dell'altezza minima interna anche mediante opere
edilizie che interessano i prospetti del fabbricato oppure mediante
l'installazione di impianti e di attrezzature tecnologiche.
Quanto all'altezza minima interna, i requisiti sono -alla luce
dell'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, secondo periodo,
della medesima legge reg. impugnata- quelli imposti dalla normativa statale,
che vi derogava. Inoltre, con riguardo ai parametri di aeroilluminazione,
non sussiste la deroga all'art. 5 del d.m. 05.07.1975, che impone per tutti
i locali degli alloggi una illuminazione naturale diretta, adeguata alla
destinazione d'uso e detta anche una disciplina di dettaglio sull'ampiezza
delle finestre e sul fattore luce diurna da garantire.
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1.– Con il ricorso iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2020, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento
complessivamente agli artt. 3, 9, 32, 117, commi secondo, lettera s), e
terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3,
della legge della Regione Liguria 24.12.2019, n. 30 (Disciplina per il
riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili
non utilizzati).
Con successivo ricorso, iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2020, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento
complessivamente agli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lett. s), e terzo, Cost., gli artt.
8, comma 1, lett. b), e 24, commi 2 e 3, della legge
della Regione Liguria 06.02.2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione
regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla
disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del
territorio).
2.– Il ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020 promuove questioni
relative all’art. 24, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020,
che modifica rispettivamente gli artt. 3, comma 1, e 4, comma 3, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, già impugnati con il ricorso di cui al reg.
ric. n. 35 del 2020, e investe, altresì, l’art. 8, comma 1, lett. b),
della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, censurato per ragioni in gran parte
analoghe a quelle illustrate con riguardo alla disciplina di cui all’art. 3,
comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
In ragione della stretta connessione che lega le disposizioni oggetto dei
due ricorsi e dell’analogia che si ravvisa tra alcune delle censure
proposte, i giudizi vanno riuniti, per essere trattati congiuntamente e
definiti con un’unica pronuncia.
3.– Con il
primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, è
impugnato, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 2, comma
1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
3.1.– Con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato,
anche collocati in piani seminterrati, la disciplina in esame assoggetta gli
interventi di «mero mutamento di destinazione d’uso senza opere» alla
segnalazione certificata d’inizio attività prevista dall’art. 13-bis della
legge della Regione Liguria 06.06.2008, n. 16 (Disciplina dell’attività
edilizia), che a sua volta richiama l’art. 19 della legge 07.08.1990, n.
241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di
accesso ai documenti amministrativi), con le successive modificazioni e
integrazioni.
3.2.– Il ricorrente prospetta il contrasto con l’art. 117, terzo comma,
Cost. e, in particolare, con il principio fondamentale nella materia
«governo del territorio», che, per il mutamento di destinazione d’uso idoneo
a determinare «il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra»,
richiede «il rilascio del permesso di costruire» o comunque la «SCIA
[segnalazione certificata d’inizio attività] alternativa al permesso di
costruire», contraddistinta da «un procedimento aggravato».
Il regime dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi non
potrebbe variare da Regione a Regione e dovrebbe essere omogeneo «su tutto
il territorio nazionale».
3.3.– La Regione Liguria ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità
della questione.
3.3.1.– Il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. non deriverebbe
dalla disposizione impugnata, ma dall’art. 13-bis della legge reg. Liguria
n. 16 del 2008, che regola i mutamenti di destinazione d’uso senza opere.
L’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30
del 2019 si limiterebbe a richiamare tale disposizione.
3.3.2.– L’eccezione non è fondata.
Non rileva che il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia impugnato
l’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, in quanto nei giudizi
in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza. La disposizione
oggi sottoposta allo scrutinio di questa Corte, nel richiamare la previsione
anteriore, ha l’effetto di reiterare la lesione che fonda l’interesse a
ricorrere (di recente, sentenza n. 107 del 2021, punto 2.3. del Considerato
in diritto).
La questione, pertanto, è ammissibile.
3.4.– Essa è fondata, nei limiti e per i motivi di séguito precisati.
3.4.1.– Occorre ricostruire, nell’evoluzione più recente, il contesto
normativo in cui la disposizione impugnata si colloca.
La destinazione d’uso connota l’immobile sotto l’aspetto funzionale,
condiziona il carico urbanistico, legato al fabbisogno di strutture e di
spazi pubblici, e incide sull’ordinata pianificazione del territorio. Il
legislatore statale ha avvertito, pertanto, l’esigenza di disciplinare i
mutamenti rilevanti della destinazione d’uso, proprio per gli effetti
pregiudizievoli che potrebbero produrre sull’assetto urbanistico.
A tale riguardo, viene in rilievo l’art. 23-ter del decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, recante «Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)»,
inserito dall’art. 17, comma 1, lett. n), del decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione
delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11.11.2014, n. 164.
Nel far salve le diverse previsioni delle leggi regionali, la disposizione
citata identifica i mutamenti rilevanti della destinazione d’uso in «ogni
forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da
quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere
edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o
dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale»
(comma 1). Tra le categorie funzionali, il legislatore enumera quella
residenziale, quella turistico-ricettiva, quella produttiva e direzionale,
quella commerciale, quella rurale.
Il passaggio a una categoria funzionale autonoma, anche quando non sia
accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie, è rilevante, in quanto
implica un più elevato impatto sul carico urbanistico, che si configura come
rapporto di proporzione quali-quantitativa tra insediamenti e standard per
servizi di una determinata zona territoriale.
L’art. 23-ter, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, come sostituito
dall’art. 10, comma 1, lett. m), del decreto-legge 16.07.2020, n. 76
(Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale),
convertito, con modificazioni, nella legge 11.09.2020, n. 120,
conferisce rilievo alla destinazione d’uso stabilita dal titolo abilitativo
che ha previsto la costruzione dell’immobile o che l’ha legittimata e dal
titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio
riguardante l’intero immobile o unità immobiliare, «integrati con gli
eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali».
L’art. 23-ter, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che le Regioni
adeguino la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla normativa
statale in tema di mutamenti d’uso urbanisticamente rilevanti, entro novanta
giorni dalla sua entrata in vigore. Decorso inutilmente tale termine, i
princìpi in esame trovano comunque applicazione.
L’ultimo periodo dell’art. 23-ter, comma 3, t.u. edilizia consente in ogni
caso il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa
categoria funzionale e fa salve, a tale riguardo, le diverse previsioni
delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali.
L’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 completa la disciplina dei
mutamenti di destinazione d’uso.
Sono le Regioni a stabilire «quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti», siano
subordinati a permesso di costruire e quali a segnalazione certificata di
inizio attività.
La disciplina di dettaglio elaborata dalle Regioni si deve coordinare con
l’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, che individua gli interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinati a permesso
di costruire. Essi consistono negli «interventi di nuova costruzione»
(lettera a), negli «interventi di ristrutturazione urbanistica» (lett. b),
negli «interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui
comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero
che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino
modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o
dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n.
42» (lett. c).
Gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al citato art. 10, comma
1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 possono essere realizzati mediante
segnalazione certificata d’inizio attività alternativa al permesso di
costruire (art. 23, comma 01, lettera a, del d.P.R. n. 380 del 2001),
secondo un procedimento aggravato, che impone, tra l’altro, al proprietario
dell’immobile o agli altri soggetti legittimati di presentare allo sportello
unico la segnalazione almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei
lavori, «accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la
conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e
non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti,
nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie»
(art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001).
3.4.2.– La definizione dei titoli abilitativi per i diversi interventi
edilizi costituisce principio fondamentale nella materia di legislazione
concorrente «governo del territorio» e vincola la normativa regionale di
dettaglio (con specifico riguardo ai mutamenti di destinazione d’uso,
sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto).
Dall’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, si evince il principio fondamentale
che prescrive, per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili o di
loro parti, un vaglio dell’autorità amministrativa, rimesso alle più
puntuali determinazioni della Regione, nel rispetto della normativa statale
di principio. Tale vaglio si esplica nella segnalazione certificata d’inizio
attività, con l’attivazione di controlli successivi, oppure, con più
pregnante carattere preventivo, nel permesso di costruire, «fermo il
vincolo, stabilito dall’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, della necessità del
permesso (tra l’altro) per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri
storici (permesso eventualmente sostituibile con la “super SCIA”, ex art.
23, comma 01, lettera a, dello stesso testo unico)» (sentenza n. 2 del 2021,
punto 17.3. del Considerato in diritto).
Con particolare riguardo ai locali accessori e alle pertinenze, anche
collocati in piani seminterrati, la disposizione impugnata disciplina i
mutamenti della destinazione d’uso senza opere, che si traducono in «forme
di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare comportanti il
passaggio ad una diversa categoria funzionale», tra quelle indicate dallo
stesso legislatore regionale: residenziale, turistico-ricettiva, produttiva
e direzionale, commerciale, rurale, autorimesse e rimessaggi, servizi (art.
13, comma 1, della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, richiamato dal
successivo art. 13-bis della medesima legge regionale, a sua volta
richiamato dall’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg.
Liguria n. 30 del 2019).
Nel prevedere la segnalazione certificata d’inizio attività, la normativa in
esame si allinea all’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, che, in via generale,
consente alle Regioni di determinare quali mutamenti, connessi o non
connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili, o di loro parti,
richiedano il permesso di costruire e quali siano sottoposti alla mera SCIA.
Dalla normativa statale di principio, la disciplina regionale, tuttavia, si
discosta, nella parte in cui, in virtù della sua formulazione generale e
onnicomprensiva, ritiene sufficiente la SCIA ordinaria anche per i mutamenti
di destinazione d’uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto
con le esigenze di più incisiva tutela che presiedono a tale normativa.
Questa Corte ha affermato di recente che la disciplina del testo unico
dell’edilizia, interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e
di legittimità, «impone il permesso di costruire per i mutamenti di
destinazione d’uso nei centri storici anche in assenza di opere» (sentenza
n. 2 del 2021, punto 2.3.1. del Considerato in diritto).
Dall’art. 10, comma 1, lett. c), t.u. edilizia si può desumere, difatti,
che il legislatore statale considera con particolare rigore, assoggettandoli
al preventivo rilascio del permesso di costruire, gli interventi idonei a
determinare un mutamento di destinazione d’uso nelle zone territoriali
omogenee A di cui all’art. 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, n.
1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di
distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini
della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765».
Si tratta delle «parti del territorio interessate da agglomerati urbani che
rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o
da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi
parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi». La
peculiarità di tali zone territoriali omogenee e dunque le più gravi
ripercussioni dei mutamenti di destinazioni d’uso sull’armonico sviluppo
urbanistico impongono una più energica tutela, vanificata da una normativa
che ritiene sufficiente la SCIA ordinaria e prevede soltanto controlli
successivi.
3.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, nella parte in cui subordina gli interventi consistenti nel mero
mutamento di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata
d’inizio attività/SCIA di cui all’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16
del 2008, anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali
omogenee A, di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968.
4.– Con il
secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 3, comma 1, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
4.1.– La disposizione in esame consente il riutilizzo per i fini di legge di
locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani
seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diroccati, in deroga alla
disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali.
4.2.– Il ricorrente argomenta che tale disposizione contrasta con l’art.
117, terzo comma, Cost. e con il principio fondamentale, espresso dall’art.
14 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sottopone a rigorose condizioni il
rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
generali.
Tale permesso potrebbe essere rilasciato soltanto «per edifici ed impianti
pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio
comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490», recante «Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma
dell’articolo 1 della legge 08.10.1997, n. 352», e nel rispetto «delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività
edilizia» (art. 14, comma 1, t.u. edilizia).
Per gli interventi di ristrutturazione edilizia attuati in aree industriali
dismesse, potrebbe essere rilasciato il permesso di costruire in deroga alle
destinazioni d’uso solo previa deliberazione del Consiglio comunale e a
condizione che non vi sia un aumento della superficie coperta (art. 14,
comma 1-bis, t.u. edilizia). Nel caso degli insediamenti commerciali, il
legislatore impone l’osservanza dell’art. 31, comma 2, del decreto-legge 06.12.2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla
legge 22.12.2011, n. 214, che riconduce a un «principio generale
dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri
vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della
salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei
beni culturali».
Il ricorrente evidenzia che la deroga sarebbe subordinata al «rispetto delle
norme igieniche, sanitarie e di sicurezza» e riguarderebbe i soli «limiti di
densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle
norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi» e,
nei casi degli interventi di ristrutturazione edilizia, le destinazioni
d’uso. Non potrebbero essere derogati i limiti di densità edilizia, di
altezza degli edifici e di distanza tra i fabbricati, sanciti,
rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (art. 14,
comma 2, t.u. edilizia).
Il legislatore regionale avrebbe dettato una diversa disciplina, «più lasca
e più permissiva», e regolerebbe i titoli abilitativi in modo difforme dalla
normativa statale, «che non può ammettere per sua natura differenziazioni
territoriali».
4.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del
Consiglio impugna, inoltre, sempre in riferimento all’art. 117, terzo comma,
Cost., l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella
versione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del
2020.
4.3.1.– La disposizione citata ha escluso la possibilità di derogare alla
«disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui al Capo II della
legge della Regione Liguria 29.11.2018, n. 23 (Disposizioni per la
rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo)».
4.3.2.– Lo ius superveniens non varrebbe, tuttavia, a porre rimedio ai vizi
di illegittimità costituzionale censurati con il ricorso di cui al reg. ric.
n. 35 del 2020 e alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per
contrasto «con i princìpi fondamentali dettati dallo Stato nella materia del
governo del territorio».
4.4.– In primo luogo, occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate
dalla parte resistente.
4.4.1.– Secondo la difesa della Regione Liguria, le questioni sarebbero
inammissibili, in quanto non sarebbe pertinente il richiamo all’istituto del
permesso di costruire in deroga.
4.4.2.– L’eccezione non è fondata.
Il motivo di ricorso è avvalorato da un’argomentazione sufficiente a
superare il vaglio di ammissibilità. Se sia o meno appropriato il
riferimento al permesso di costruire in deroga, è profilo che attiene al
merito delle questioni.
Non vi sono, dunque, ostacoli all’esame del merito.
4.5.– Le questioni, promosse con riguardo all’art. 3, comma 1, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella
introdotta dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020,
oggi vigente, non sono fondate, nei termini di séguito indicati.
4.5.1.– Le censure si appuntano sulla deroga ai vigenti strumenti e piani
urbanistici comunali, deroga che l’art. 24, comma 2, della legge reg.
Liguria n. 1 del 2020 ha inteso delimitare, escludendo dal suo campo
applicativo la disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana.
Nella prospettiva del ricorrente, tale deroga, pur così circoscritta, si
porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare,
con i princìpi fondamentali espressi nella materia del governo del
territorio dall’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La normativa interposta è stata modificata dall’art. 10 del d.l. n. 76 del
2020, come convertito.
Con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia, l’art. 14, comma
1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione introdotta dall’art.
10, comma 1, lett. f), numero 1), del d.l. n. 76 del 2020, come
convertito, ammette la richiesta di permesso di costruire previa
deliberazione del Consiglio comunale che ne attesti l’interesse pubblico e
circoscrive quest’ultimo «alle finalità di rigenerazione urbana, di
contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano
dell’insediamento». Nel caso di insediamenti commerciali, permane la
necessità di rispettare le disposizioni dell’art. 31, comma 2, del d.l. n.
201 del 2011, come convertito.
Quanto all’art. 14, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, che definisce
l’ampiezza della deroga, l’art. 10, comma 1, lett. f), numero 2), del d.l.
n. 76 del 2020 puntualizza che la deroga può riguardare le destinazioni
d’uso, sempre che tali destinazioni siano ammissibili.
Le richiamate modificazioni della normativa interposta non mutano i termini
delle questioni, che si incentrano sull’inosservanza dei presupposti di
legittimità del permesso di costruire in deroga.
4.5.2.– La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il
regime dei titoli abilitativi per le categorie dei vari interventi edilizi
costituisce principio fondamentale della materia di legislazione concorrente
«governo del territorio» e vincola così la legislazione regionale di
dettaglio (fra le molte, sentenze n. 54 del 2021, punto 4.1. del Considerato
in diritto, n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto, e n. 68
del 2018, punto 10.1. del Considerato in diritto).
La disciplina impugnata, tuttavia, non ha introdotto una deroga non
consentita al regime statale dei titoli abilitativi e non ha delineato –come nella fattispecie scrutinata da questa Corte nella sentenza n. 282 del
2016– una peculiare tipologia di permesso di costruire in deroga,
svincolata dal preventivo vaglio del Consiglio comunale e volta a
legittimare qualsiasi difformità.
La disposizione in esame ha il fine precipuo di definire il campo di
applicazione degli interventi di riutilizzo dei locali accessori e delle
pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e degli
immobili non utilizzati, anche diruti, e concerne i profili eminentemente
urbanistici degli interventi, senza alterare il regime dei titoli
abilitativi.
Le deroghe alla pianificazione comunale devono essere inquadrate nella
finalità sottesa alla disciplina impugnata, che si prefigge di «incentivare
il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo di suolo,
incentivare l’inserimento di funzioni per lo sviluppo economico dei
territori montani, di retro-costa e urbani interni, nonché favorire
l’installazione di impianti tecnologici di contenimento dei consumi
energetici e delle emissioni in atmosfera» (art. 1, comma 1, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019). Tale finalità fonda e al tempo stesso delimita
la deroga prevista e impone di intenderla in modo coerente con gli obiettivi
perseguiti dal legislatore ligure, senza estenderne la portata ad aspetti
estranei all’intervento riformatore, come quelli concernenti la disciplina
dei titoli abilitativi.
È in tale contesto che la legge regionale, «fonte normativa primaria
sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali» (sentenza n. 245
del 2018, punto 9.1. del Considerato in diritto e, nello stesso senso,
sentenza n. 179 del 2019, punto 12.4. del Considerato in diritto), statuisce
una deroga alla pianificazione comunale, senza stravolgere il regime dei
titoli abilitativi, che si sostanzia in un principio fondamentale nella
materia «governo del territorio».
Prospettata con riguardo al contrasto con la disciplina del permesso di
costruire in deroga, la censura si rivela dunque non fondata, nei termini
sopra indicati.
5.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020 sono
impugnati gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria
n. 30 del 2019, per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lett.
s), Cost.
5.1.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è impugnato
in quanto, nel disciplinare gli interventi di riutilizzo di vani accessori,
pertinenze, immobili non utilizzati, non sancisce alcuna clausola di
salvaguardia «a favore del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Quanto all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, le
censure vertono sul fatto che tale disciplina affidi soltanto ai Comuni, in
relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica e soltanto nelle
fattispecie tassativamente indicate (il riutilizzo per l’uso residenziale di
locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani
seminterrati e contigui alla strada pubblica), «la limitazione dell’ambito
di applicazione della disciplina introdotta dalla stessa legge, senza
parimenti escludere dall’ambito applicativo della legge i beni sottoposti a
tutela ai sensi della Parte II [del codice] dei beni culturali e del
paesaggio».
5.2.– Le censure muovono dal presupposto che le leggi regionali impugnate,
nel promuovere gli interventi di riutilizzo di un gran numero di
«fabbricati, anche vetusti, disseminati su tutto il territorio regionale»,
riguardino anche gli «immobili di interesse culturale e paesaggistico,
sottoposti a tutela ai sensi della Parte II e della Parte III del Codice dei
beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42».
Sarebbe consentito, in particolare, il generale riutilizzo di «immobili
potenzialmente, per la loro vetustà, di interesse culturale» e «di immobili,
anche sottoposti a vincolo paesaggistico», senza la «previa introduzione di
un’apposita disciplina d’uso […] elaborata d’intesa con il Ministero per i
beni e le attività culturali, ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143,
comma 2, del Codice di settore».
Ne deriverebbe il «sostanziale svuotamento della funzione propria del piano
paesaggistico», chiamato a dettare, per ogni area tutelata, «i criteri di
gestione del vincolo» e a individuare le «trasformazioni compatibili» e
«quelle vietate». Sarebbe compromessa, inoltre, l’impronta unitaria della
pianificazione paesaggistica, peraltro oggetto di un obbligo di elaborazione
congiunta con riferimento ai beni vincolati.
Alla luce di tali premesse, il ricorrente denuncia la violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera s), poiché sarebbe lesa «la potestà legislativa
esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio», rispetto alla
quale «le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio
costituiscono norme interposte».
La disciplina impugnata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 9 Cost.,
che sancisce «il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del
patrimonio storico e artistico della Nazione» e «pone la tutela del
paesaggio quale interesse primario e assoluto», in quanto gli interventi che
incentiva arrecherebbero un «potenziale pregiudizio ai beni tutelati».
5.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del
Consiglio dei ministri censura la disciplina dell’art. 3, comma 1, della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art.
24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.
5.3.1.– Lo ius superveniens ha sancito l’inderogabilità della disciplina
regionale relativa agli ambiti di rigenerazione urbana.
5.3.2.– Pur modificata in senso restrittivo, la disposizione impugnata
presenterebbe i medesimi vizi di incostituzionalità già denunciati con il
ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020.
Essa violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., che
riservano rispettivamente allo Stato la tutela del paesaggio e del
patrimonio storico e artistico e la connessa potestà legislativa esclusiva.
5.4.– Occorre esaminare, in via prioritaria, la questione di legittimità
costituzionale relativa alla violazione del riparto di competenze tra Stato
e Regioni, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s),
Cost.
Con riguardo sia all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24,
comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, oggi vigente, sia all’art.
4, commi 1 e 2, della medesima legge regionale, la questione non è fondata,
nei termini di séguito indicati.
5.4.1.– Il ricorrente ritiene che entrambe le disposizioni impugnate
deroghino alle previsioni di tutela delineate dal d.lgs. n. 42 del 2004 in
tema di beni culturali e paesaggistici.
Gli interventi di riutilizzo incentivati dal legislatore regionale
riguarderebbero –senza eccezioni di sorta– anche immobili di interesse
culturale e paesaggistico e così vanificherebbero, in particolare,
l’impronta unitaria della relativa pianificazione e il vincolo della
elaborazione congiunta del Piano paesaggistico tra lo Stato e le Regioni.
La violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella
materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» è
dedotta sotto questo specifico profilo ed è avvalorata dal puntuale richiamo
alla “normativa interposta” del Codice di settore in tema di beni culturali
(artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del 2004) e di beni paesaggistici (artt.
135, 143 e 145 del medesimo decreto legislativo).
5.4.2.– Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che «[a]ffinché sia
preservato il valore unitario e prevalente della tutela paesaggistica (sul
quale, fra le molte, sentenze n. 11 del 2016, n. 64 del 2015 e n. 197 del
2014), deve […] essere salvaguardata la complessiva efficacia del Piano
paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione
degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006)»
(sentenza n. 74 del 2021, punto 3.2.2. del Considerato in diritto).
5.4.3.– Il ricorrente muove dall’assunto che l’omesso richiamo delle
previsioni di tutela del codice di settore equivalga a una deroga, con la
conseguente violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato.
A tale assunto si contrappongono argomenti di ordine testuale e sistematico.
5.4.3.1.– Il legislatore regionale ha inteso derogare ex professo alla sola
disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali e a quella
fissata dal vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico
regionale.
A fronte di un’indicazione espressa, che circoscrive l’ambito applicativo
delle deroghe, non si può attribuire al mancato richiamo delle prescrizioni
del codice di settore la portata di una deroga indiscriminata, che esula
dalle specifiche finalità della normativa regionale e contraddice la forza
imperativa della disciplina statale, ribadita anche dal legislatore ligure
con riguardo ai beni culturali (art. 34 della legge della Regione Liguria 31.10.2006, n. 33, recante «Testo unico in materia di cultura») e a quelli
paesaggistici (art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 06.06.2014, n. 13, recante «Testo unico della normativa regionale in materia di
paesaggio»).
Alla luce di tali elementi, il silenzio del legislatore regionale non
consente di affermare, come fa il ricorrente, che vi sia una deroga
generalizzata.
5.4.3.2.– Gli interventi edilizi di recupero di locali accessori, pertinenze
e immobili non utilizzati devono essere realizzati nel rispetto delle
prescrizioni sui beni culturali e dei vincoli posti dal Piano paesaggistico
in corso di elaborazione. Tale disciplina mantiene intatta la sua forza
precettiva, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario, tanto
più necessarie in ragione di fondamentali esigenze di certezza e del rango
primario degli interessi coinvolti.
La normativa regionale, pertanto, deve essere interpretata in termini
compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice
dell’ambiente e del paesaggio, come questa Corte ha affermato anche di
recente con riguardo a una disciplina veneta finalizzata al recupero dei
sottotetti (sentenza n. 54 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Così intesa, la disciplina impugnata non pregiudica l’unitarietà e la
vincolatività della pianificazione paesaggistica, né mette a repentaglio
l’obbligatorietà dell’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico.
5.4.4.– Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le censure
relative all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019,
che attribuisce ai Comuni il potere di individuare, entro la data del 30.04.2020, «limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada
pubblica» parti del territorio escluse dall’applicazione della normativa sul
recupero di locali accessori e pertinenze, in funzione di «specifiche
esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria e nel rispetto della
disciplina dei piani di bacino e dei piani dei parchi» o anche in presenza
di «fenomeni di risalita della falda».
Tale normativa non demanda ai Comuni il potere di individuare i beni oggetto
di tutela, in un contesto di deroga generalizzata alle previsioni del d.lgs.
n. 42 del 2004, sia con riguardo ai beni culturali, sia con riguardo ai beni
paesaggistici. La forza cogente di tali disposizioni rimane intatta e i
Comuni –in un’ottica di più elevata tutela e in relazione a esigenze
specifiche, tassativamente indicate e connesse agli interessi affidati alla
cura degli enti territoriali– possono individuare porzioni del territorio
in cui la legge in esame non trova applicazione.
Per le medesime ragioni, non risulta violato l’art. 9 Cost.
5.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è invece fondata per violazione dell’art.
9 Cost. con riferimento a un ulteriore e autonomo precetto contenuto nella
disposizione impugnata, che deroga «alla disciplina del vigente Piano
territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della
legge regionale 22.08.1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di
coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni».
5.5.1.– L’art. 9 Cost. sancisce il principio fondamentale della tutela del
paesaggio, che assurge a valore primario e assoluto e investe i contenuti
ambientali e culturali connessi alla «morfologia del territorio», dunque
all’«ambiente nel suo aspetto visivo» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1.
del Considerato in diritto).
La disposizione impugnata entra in conflitto con tale principio
fondamentale, nella parte in cui consente la realizzazione degli interventi
di riutilizzo di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche
collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diruti,
in deroga alla disciplina del Piano territoriale di coordinamento paesistico
regionale.
5.5.2.– Per la disamina del merito della questione, è necessario inquadrare
tale piano nell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la pianificazione
regionale con riguardo alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.
In base alla legge reg. Liguria n. 39 del 1984, la Regione provvede alla
«formazione di piani territoriali di coordinamento in coerenza con gli
indirizzi della programmazione regionale e di un quadro unitario di
pianificazione», allo scopo di disciplinare, coordinare e orientare le
attività di trasformazione del territorio, considerate nel loro complesso o
con riguardo a specifici settori di intervento (art. 1).
I piani territoriali di coordinamento provvedono a indicare anche i termini
di destinazione d’uso, l’organizzazione spaziale dei sistemi insediativi e
infrastrutturali nonché gli interventi a protezione dell’ambiente in
relazione alla potenzialità d’uso delle risorse territoriali e ai loro
valori storico-culturali (art. 2, primo comma).
Tra i possibili contenuti dei piani territoriali di coordinamento, il
legislatore regionale enumera: «a) l’individuazione e/o il coordinamento dei
più rilevanti interventi infrastrutturali; b) la definizione dei sistemi
delle attrezzature per servizi di livello sovracomunali e degli impianti
speciali, sotto il profilo della loro organizzazione territoriale ed
eventualmente della localizzazione; c) la disciplina dei modi e delle forme
di utilizzazione del patrimonio ambientale nelle sue diverse espressioni
insediativa, ecologica, naturalistica, paesistica, archeologica e
storico-artistica, ai fini della sua conoscenza sistematica, valorizzazione
e tutela; d) l’indicazione degli interventi preordinati alla difesa del
suolo nonché alla salvaguardia ed utilizzazione delle risorse idriche, con
particolare riguardo alle opere di sistemazione idraulica,
idraulico-forestale ed idraulico-agraria; e) la definizione degli assetti
costieri nei diversi rapporti strutturali e funzionali corrispettivi
territori retrostanti; f) l’indicazione in termini qualitativi e
quantitativi delle direttrici di sviluppo residenziale, produttivo,
commerciale, turistico ed agricolo; g) l’individuazione di zone idonee anche
sotto il profilo dell’impatto ambientale alla concentrazione di insediamenti
produttivi, entro le quali delimitare le aree ad esso destinate, nonché
l’indicazione del relativo dimensionamento» (art. 2, secondo comma, della
legge reg. Liguria n. 39 del 1984).
Il Piano territoriale di coordinamento, per l’ambito territoriale e per i
settori di intervento ai quali si riferisce, costituisce, tra l’altro, sede
di coordinamento «dei piani relativi alla tutela diretta dell’ambiente,
quali il piano di risanamento delle acque di cui all’articolo 4 della legge
10.06.1976, n. 319 e il piano di risanamento per il miglioramento della
qualità dell’aria adottato in conseguenza del provvedimento di cui
all’articolo 4, ultimo comma della legge 23.12.1978, n. 833» (art. 3,
primo comma, lett. c, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).
I piani territoriali di coordinamento sono sovraordinati agli strumenti
urbanistici comunali (art. 5, primo comma, della legge reg. Liguria n. 39
del 1984).
Il Piano territoriale di coordinamento paesistico coniuga le funzioni di
disciplina urbanistica con quelle di tutela dei valori paesistici ed
ambientali ed è riconducibile, pertanto, alla categoria dei piani tematici,
che adempiono a una funzione più complessa di quella di coordinamento
dell’assetto urbanistico regionale, caratteristica dei piani territoriali.
Tale piano incide non solo sulla regolamentazione urbanistica di ordine
generale, con efficacia vincolante verso i Comuni, ma può contenere,
altresì, la puntuale indicazione di vincoli e prescrizioni volti alla tutela
del paesaggio e dell’ambiente e provvisti di forza cogente anche verso i
privati proprietari. La molteplicità degli interessi coinvolti dalla
pianificazione si riflette nella complessità delle funzioni, che non si
esauriscono nel vincolo di direttiva verso il Comune (Consiglio di Stato,
sezione quarta, decisione 26.09.2001, n. 5038).
Nella legislazione ligure il sistema della pianificazione paesaggistica ha
registrato un’evoluzione continua, culminata nella transizione, non ancora
compiuta, verso il Piano paesaggistico.
L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 04.09.1997, n. 36
(Legge urbanistica regionale) definisce le funzioni della pianificazione
territoriale di livello regionale, deputata a fornire «il quadro generale di
riferimento per le scelte pianificatorie ai diversi livelli relativamente
alle componenti paesistica, ambientale, insediativa ed infrastrutturale, in
coerenza con gli obiettivi ed i contenuti della programmazione
economica-sociale regionale».
L’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella
formulazione modificata dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione
Liguria 18.11.2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia
urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16.02.2016, n. 1 (Legge sulla crescita)», individua gli strumenti della
pianificazione territoriale regionale nel Piano territoriale regionale (PTR)
e nel Piano paesaggistico.
L’art. 3, comma 3-bis, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, aggiunto
dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016 e poi
modificato dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Liguria 07.08.2018, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale
04.09.1997, n. 36
(Legge urbanistica regionale) e altre disposizioni di adeguamento in materia
di governo del territorio», attribuisce al Piano paesaggistico «i contenuti
e gli effetti previsti negli articoli 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42/2004 e
successive modificazioni e integrazioni» e ne stabilisce la predisposizione
«con modalità di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le
attività culturali e secondo le procedure previste dall’articolo 14-bis».
L’art. 68, comma 1, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 regola la fase
transitoria e dispone che, fino all’approvazione del Piano paesaggistico,
operino le previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico
approvato con deliberazione del Consiglio regionale del 26.02.1990, n.
6, «limitatamente all’assetto insediativo del livello locale, con le
relative norme di attuazione in quanto applicabili».
Nella memoria di costituzione depositata nel giudizio introdotto dal ricorso
di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, la Regione Liguria evidenzia che il
Piano territoriale di coordinamento paesistico rappresenta «l’atto di
pianificazione preordinato alla tutela paesaggistica» nelle more
dell’approvazione del Piano paesaggistico, che è «in corso di elaborazione
congiunta».
5.5.3.– Il ricorrente argomenta che l’impugnato art. 3 «mantiene salva solo
una parte del PTRC regionale» e pone l’accento sul fatto che –nell’attesa
dell’approvazione del Piano paesaggistico, in corso di elaborazione
congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali– una deroga
strutturata in termini generali possa recare pregiudizio ai valori tutelati
dall’art. 9 Cost.
Tali argomenti colgono nel segno.
La disposizione impugnata sancisce una deroga di particolare ampiezza al
Piano territoriale di coordinamento paesistico, preordinato a tutelare il
paesaggio e l’ambiente e destinato a trovare applicazione –come la stessa
difesa regionale riconosce– fino all’approvazione definitiva del Piano
paesaggistico.
A fronte di una deroga di tale latitudine, che peraltro si affianca alla
deroga alla pianificazione comunale, non esclude l’illegittimità
costituzionale il fatto che sia inderogabile la sola «disciplina
dell’Assetto Insediativo di Livello Locale del Piano territoriale di
coordinamento paesistico regionale relativamente ai regimi normativi “PU”
(parchi urbani) e “ANI-CE” (aree non insediate – conservazione)». Si tratta
di un aspetto di dettaglio, che non attenua la portata lesiva della deroga
disposta in via generale dalla normativa regionale.
Neppure si può ritenere sufficiente che sia fatta salva la disciplina degli
ambiti di rigenerazione urbana o che l’art. 1 della legge reg. Liguria n. 30
del 2019 escluda dall’ambito applicativo della disciplina gli edifici rurali
di valore testimoniale (comma 4) e prescriva l’osservanza dei vigenti piani
di bacino e dei piani dei parchi (comma 5).
Non basta a tutelare i valori affermati dall’art. 9 Cost. l’attribuzione ai
Comuni del potere di individuare le aree escluse dall’ambito applicativo
della nuova disciplina regionale (art. 4, commi 1 e 2, della legge reg.
Liguria n. 30 del 2019).
Nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico e per un arco temporale
che non è possibile predeterminare con certezza, il legislatore regionale
deroga alle previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico,
che si ispira al medesimo metodo della pianificazione, in quanto funzionale
alla salvaguardia più ampia ed efficace dell’ambiente e del paesaggio e dei
molteplici interessi di risalto costituzionale che convergono nella tutela
riconosciuta dall’art. 9 Cost.
Proprio la mancanza di un Piano paesaggistico avrebbe imposto in modo più
stringente la salvaguardia delle prescrizioni del Piano territoriale di
coordinamento paesistico, caratterizzato da un’analoga vocazione di tutela,
riconosciuta dal legislatore ligure (art. 68 della legge reg. Liguria n. 36
del 1997) e dalle difese della stessa parte resistente.
La deroga censurata, nel consentire singoli e frammentari interventi di
riutilizzo al di fuori del contesto delineato dal Piano territoriale di
coordinamento paesistico, collide con il valore primario del paesaggio e
dell’ambiente e frustra le esigenze di tutela organica e unitaria, immanenti
al sistema, pur variamente declinato, della pianificazione.
5.5.4.– Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale, per
violazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria
n. 30 del 2019, nel testo originario e in quello modificato dall’art. 24,
comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, nella parte in cui dispone
che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato,
anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati,
anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano
territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della
legge reg. Liguria n. 39 del 1984.
6.– Con il quarto motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020, è
impugnato, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., l’art. 3,
commi 2, secondo periodo, e 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
6.1.– L’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge regionale citata
stabilisce che l’altezza interna dei locali destinati alla permanenza di
persone non possa essere inferiore a 2,40 metri.
Quanto all’art. 3, comma 3, prevede che il rispetto dei parametri di
aeroilluminazione e dell’altezza minima interna sia assicurato anche
mediante opere edilizie che interessano i prospetti del fabbricato oppure
mediante l’installazione di impianti e di attrezzature tecnologiche.
6.2.– Il ricorrente lamenta che tali disposizioni contrastino con quanto
prescrive il decreto ministeriale 05.07.1975 (Modificazioni alle
istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all’altezza minima ed
ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione) con
riguardo alle altezze minime interne (art. 1) e ai requisiti di
aeroilluminazione (art. 5).
Il citato decreto ministeriale fissa in 2,70 metri l’altezza minima interna
utile dei locali destinati ad abitazione e consente di ridurre tale altezza
a 2,40 metri «per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti
ed i ripostigli». Operano regole peculiari per i Comuni montani posti al di
sopra dei mille metri sul livello del mare e per gli edifici situati
nell’ambito delle comunità montane, sottoposti a interventi di recupero
edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie.
La disciplina delle altezze minime dei locali di abitazione è stata
integrata dal decreto interministeriale 26.06.2015 (Applicazione delle
metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle
prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici), che, all’Allegato 1,
punto 2.3. «Prescrizioni», numero 4, consente di derogarle fino a un massimo
di dieci centimetri, nel caso di installazione di impianti termici dotati di
pannelli radianti a pavimento o a soffitto e nel caso di intervento di
isolamento dall’interno.
Quanto ai requisiti di aeroilluminazione, è l’art. 5 del d.m. 05.07.1975
a imporre per tutti i locali degli alloggi, a eccezione di quelli destinati
a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli, una
«illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso», e a
regolare l’ampiezza della finestra e la superficie finestrata apribile.
Il ricorrente sostiene che le disposizioni riguardanti l’altezza minima e i
requisiti di aeroilluminazione, pur contenute in una fonte regolamentare,
rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi
sanitarie) e si configurino come «limiti invalicabili nel rilascio
dell’abitabilità», proprio perché sono improntate a finalità di «tutela
della salute e sicurezza degli ambienti».
Poste tali premesse, il ricorrente ravvisa la violazione dell’art. 32 Cost.,
«per contrasto con i parametri interposti rappresentati dalle citate
disposizioni del D.M. 05.07.1975» e dell’art. 117, terzo comma, Cost.,
sul presupposto che le disposizioni impugnate travalichino «il limite dei
principi fondamentali dettati dallo Stato a tutela della salute e del
governo del territorio».
6.3.– Occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione
Liguria.
6.3.1.– Ad avviso della parte resistente, le questioni sarebbero
inammissibili.
La normativa statale invocata dalla parte ricorrente non sarebbe idonea, in
quanto contenuta in una fonte regolamentare, «a supportare la dedotta
violazione dell’assetto delle competenze legislative come delineato dalla
Costituzione».
Né si potrebbe sostenere che le previsioni regolamentari rappresentino
diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del r.d. n. 1265 del 1934.
Quanto agli artt. 218 e 344 del r.d. n. 1265 del 1934, essi si
limiterebbero, rispettivamente, a individuare le materie dei regolamenti di
igiene e sanità e a disciplinare la procedura per l’approvazione di tali
regolamenti.
L’art. 345 del r.d. n. 1265 del 1934, d’altro canto, pur imponendo la
conformità dei regolamenti citati alle disposizioni ministeriali,
attribuirebbe a tali disposizioni il rango di «mere istruzioni di massima»,
inidonee, in quanto tali, a enunciare «principi fondamentali, inderogabili
da parte delle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa
concorrente».
Peraltro, le disposizioni regolamentari potrebbero vincolare le Regioni,
soltanto quando siano dettate dallo Stato nelle materie in cui lo stesso è
titolare di competenza legislativa esclusiva.
Il vaglio di conformità all’art. 32 Cost. potrebbe riguardare soltanto la
normativa in concreto adottata dal legislatore regionale.
Inammissibile sarebbe l’impugnazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg.
n. 30 del 2019, in quanto carente di ogni supporto argomentativo in merito
ai profili di contrasto con i parametri costituzionali invocati.
6.3.2.– Le eccezioni preliminari non meritano di essere accolte.
6.3.2.1.– Questa Corte ha affermato di recente, nel respingere analoga
eccezione di inammissibilità (sentenza n. 54 del 2021, punto 2.1. del
Considerato in diritto), che gli atti statali di normazione secondaria
possono vincolare la normativa regionale di dettaglio nelle materie di
competenza legislativa concorrente, quando definiscano e specifichino, in un
ambito contraddistinto da un rilevante coefficiente tecnico, il precetto
posto dalla normativa primaria e formino così una unità inscindibile con le
previsioni di tale normativa.
Le prescrizioni del d.m. 05.07.1975, come integrate dal d.m. 26.06.2015 con specifico riguardo alle altezze interne, presentano una evidente
natura tecnica. Adottate previo parere del Consiglio superiore di sanità,
esse fanno corpo unico con quanto sancisce l’art. 218 del r.d. n. 1265 del
1934, che demanda al Ministro competente il potere di emanare «le istruzioni
di massima», affinché i «regolamenti locali di igiene e sanità» assicurino,
tra l’altro, «che nelle abitazioni: a) non vi sia difetto di aria e di
luce».
Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a
specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni
contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi
fondamentali, vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalla
Regione Liguria.
6.3.2.2.– Sorretta da adeguata motivazione, e pertanto ammissibile, è anche
la censura di violazione dell’art. 32 Cost. Il ricorrente argomenta che la
normativa regolamentare mira a salvaguardare la salubrità e l’abitabilità
degli ambienti ed è dunque inscindibilmente connessa con l’attuazione
dell’art. 32 Cost.
6.3.2.3.– Ammissibile è anche il motivo di ricorso riguardante l’art. 3,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, previsione che si correla
all’impugnato art. 3, comma 2, della medesima legge regionale e disciplina
le modalità con le quali si può assicurare il rispetto dei parametri di
aeroilluminazione e di altezza minima interna.
Dal punto di vista del ricorrente, tali parametri si discosterebbero dalle
prescrizioni della normativa statale e, pertanto, anche la normativa sulle
modalità utili ad assicurarne il rispetto sarebbe affetta dai medesimi vizi
di illegittimità costituzionale.
6.4.– La questione, promossa con riguardo all’art. 3, comma 2, secondo
periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, è fondata.
6.4.1.– Le previsioni in tema di altezze interne degli edifici, dettate dal
d.m. 05.07.1975, si prefiggono di salvaguardare le condizioni di
abitabilità e di agibilità degli edifici e rappresentano diretta attuazione
delle prescrizioni stabilite dal r.d. n. 1265 del 1934, fonte normativa di
rango primario (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 23.12.2020, n. 8289). La norma secondaria attua e specifica l’imperativo contenuto
nella norma primaria e ne definisce il contenuto minimo inderogabile, dal
quale la verifica dell’abitabilità non può prescindere (Consiglio di Stato,
sezione sesta, sentenza 26.03.2021, n. 2575).
L’inderogabilità dei requisiti di altezza minima, ribadita da questa Corte
(sentenza n. 256 del 1996) nello scrutinio della disciplina del condono
(art. 35 della legge 28.02.1985, n. 47, recante «Norme in materia di
controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria
delle opere edilizie»), risponde a esigenze di tutela della salubrità degli
ambienti e della salute delle persone che vi dimorano.
Le prescrizioni riguardanti l’altezza interna degli edifici, al pari dei
parametri di aeroilluminazione, perseguono l’essenziale finalità di
conformare l’attività edilizia e, in tale ambito, apprestano misure volte
anche a garantire il diritto alla salute nel contesto dell’abitazione,
spazio di importanza vitale nell’esistenza di ogni persona. Tali
prescrizioni si configurano, pertanto, come princìpi fondamentali nella
materia «governo del territorio», vincolanti per la legislazione regionale
di dettaglio.
6.4.2.– Nel fissare requisiti di altezza interna inferiori a quelli
prescritti dalla fonte statale, la normativa regionale si pone in contrasto
con il richiamato principio fondamentale.
6.4.2.1.– Non serve invocare –come fa la parte resistente– la circostanza
che altre leggi regionali che hanno fissato requisiti analoghi non siano
state impugnate. Tale circostanza è ininfluente e non offre argomenti
decisivi a sostegno dell’infondatezza delle questioni promosse.
6.4.2.2.– Non inducono a diverse conclusioni le affermazioni della sentenza
di questa Corte n. 245 del 2018, richiamata a più riprese dalla Regione
Liguria negli scritti difensivi.
Tale pronuncia non ha analizzato il tema della compatibilità delle
previsioni della legge della Regione Abruzzo 01.08.2017, n. 40
(Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge
regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni) con la normativa
inderogabile posta dal d.m. 05.07.1975.
La legge abruzzese, finalizzata a promuovere il recupero di vani e locali
accessori e di vani e locali seminterrati, nell’ottica di uno sviluppo
sostenibile e del contenimento del consumo di suolo, è stata scrutinata da
questa Corte in riferimento a diversi profili, attinenti, in particolare,
alla normativa di principio del testo unico dell’edilizia, che assegna ai
Comuni la disciplina dell’attività edilizia (art. 2), attribuisce ai Comuni
la potestà pianificatoria urbanistica (artt. 4 e 7) e individua l’attività
edilizia realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici (art. 9).
6.4.2.3.– Quanto alla sentenza di questa Corte n. 54 del 2021, menzionata
dalla difesa regionale nel corso della discussione all’udienza pubblica,
essa si confronta espressamente con le prescrizioni del d.m. 05.07.1975,
per affermarne l’inapplicabilità alla speciale normativa in tema di
sottotetti.
La pronuncia ricordata, tuttavia, non collima con la fattispecie oggi
sottoposta al vaglio di questa Corte.
La ratio decidendi della sentenza citata si fonda sulla «peculiare
morfologia» dei sottotetti e non può essere estesa all’eterogenea categoria
degli immobili disciplinati dalla disposizione impugnata. Quest’ultima
include locali accessori e pertinenze e, per tale vasta gamma di immobili,
che non risultano accomunati da caratteristiche e morfologie peculiari, di
per sé incompatibili per la loro conformazione con l’osservanza integrale
dei limiti di altezza interna, non può che imporsi la forza cogente delle
disposizioni invocate come parametro interposto.
Dettate a salvaguardia della salubrità degli ambienti e della salute di chi
li abita e calibrate anche sulla specificità dei diversi locali abitativi e
del contesto in cui sorgono, tali disposizioni rispondono a scelte statali,
che non possono essere vanificate dalla disciplina regionale di dettaglio.
6.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019.
Restano assorbite le censure di violazione degli artt. 32 e 117, terzo
comma, Cost., quest’ultimo evocato con riferimento al contrasto con i
princìpi fondamentali nella materia di legislazione concorrente «tutela
della salute».
6.4.4.– Non sono, per contro, fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019.
6.4.4.1.– Quanto all’altezza minima interna, la previsione che impone di
assicurarne il rispetto anche con opere edilizie che possono interessare i
prospetti del fabbricato o mediante l’installazione di impianti e
attrezzature tecnologiche deve ora essere letta alla luce dell’appena
pronunciata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma
2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
I requisiti di altezza interna sono ora quelli imposti dalla normativa
statale, illegittimamente derogati dalla disciplina regionale dichiarata
costituzionalmente illegittima. Pertanto, non si ravvisa il denunciato
contrasto e la questione non è fondata.
6.4.4.2.– Anche la questione concernente i parametri di aeroilluminazione
non è fondata.
Il legislatore regionale non deroga all’art. 5 del d.m. 05.07.1975. Tale
previsione, richiamata dal ricorrente, impone per tutti i locali degli
alloggi una illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso
e detta anche una disciplina di dettaglio sull’ampiezza delle finestre e sul
fattore luce diurna da garantire.
Non sussiste, pertanto, il contrasto con la normativa statale di principio
che il ricorrente ha censurato.
Da tali rilievi discende la non fondatezza delle questioni promosse.
7.– Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente impugna, in riferimento
all’art. 3 Cost., l’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, poi censurato, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020,
nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg.
Liguria n. 1 del 2020.
7.1.– Nell’originaria formulazione la disposizione impugnata stabilisce che
la legge regionale si applichi «agli immobili esistenti o per la cui
costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o
l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento richiesto
alla data di approvazione della delibera del Consiglio comunale di cui al
comma 1».
Si tratta della delibera con cui il Consiglio comunale, «limitatamente al
riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica», può individuare «parti
del proprio territorio nelle quali non trovano applicazione le disposizioni»
della legge in esame, riguardanti il «riutilizzo per l’uso residenziale dei
locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani
seminterrati», e può altresì determinare «specifici ambiti del territorio
comunale nei quali, in presenza di fenomeni di risalita della falda, è
esclusa la possibilità di riutilizzo dei locali accessori e delle pertinenze
di un fabbricato collocate in piani seminterrati».
Le previsioni della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 si applicano agli
immobili realizzati successivamente, decorsi cinque anni dall’ultimazione
dei lavori.
7.2.– Il motivo di ricorso verte sull’asserita applicazione retroattiva
delle deroghe previste dalla legge regionale «ad immobili per la cui
costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o
l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento».
Ad avviso del ricorrente, il «carattere innovativo, con efficacia
retroattiva» della previsione censurata «potrebbe rendere legittime condotte
che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non
conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per
effetto dell’intervento successivo del legislatore». Si determinerebbe così
la «regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro
realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di
riferimento».
La previsione retroattiva dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n.
30 del 2019 sarebbe sprovvista di «un’adeguata giustificazione sul piano
della ragionevolezza» e lederebbe in maniera arbitraria «l’affidamento che
la collettività ripone nella sicurezza giuridica», meritevole di particolare
tutela «[n]ella specifica materia urbanistica».
Alla luce di tali rilievi, il ricorrente prospetta il contrasto con il
principio di ragionevolezza enunciato dall’art. 3 Cost.
7.3.– Il medesimo contrasto è denunciato dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, con riguardo
all’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella
formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1
del 2020.
La disposizione impugnata, nella versione oggi vigente, prevede
l’applicazione della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 «ai locali, alle
pertinenze e agli immobili, come definiti all’articolo 1, esistenti alla
data della sua entrata in vigore o per la cui costruzione sia stato
conseguito il titolo abilitativo edilizio prima della data di approvazione
della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 1».
Le modifiche apportate dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020 hanno
soppresso il richiamo all’approvazione del programma integrato di
intervento.
7.4.– Il ricorrente evidenzia che l’eliminazione del richiamo al programma
integrato di intervento non sana i vizi di illegittimità costituzionale
dedotti con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020.
Difatti, la portata derogatoria della disciplina sarebbe pur sempre «estesa
con valenza retroattiva agli immobili già abilitati» e sacrificherebbe in
modo arbitrario l’affidamento «dei controinteressati che si sono determinati
sulla base dell’assetto normativo previgente».
7.5.– Le questioni, promosse con riguardo alla versione originaria e a
quella oggi vigente dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, possono essere esaminate in una prospettiva unitaria, poiché identiche
sono le argomentazioni addotte dal ricorrente e dalla Regione Liguria e
identiche sono le censure.
7.6.– Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari formulate
dalla Regione Liguria.
7.6.1.– Con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4, comma 3, della
legge reg. Liguria n. 30 del 2019, impugnata con il ricorso di cui al reg.
ric. n. 35 del 2020, la parte resistente ha eccepito l’improcedibilità delle
censure. La disposizione sarebbe stata tempestivamente modificata dall’art.
24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 e, pertanto, si potrebbe
escludere, con ogni verosimiglianza, che nel frattempo essa abbia ricevuto
concreta applicazione.
Da tali considerazioni si potrebbe evincere, nella prospettiva della parte
resistente, il sopravvenuto venir meno dell’interesse al ricorso.
7.6.2.– L’eccezione non può essere accolta.
L’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nell’originaria
versione, che includeva anche il richiamo al programma integrato di
intervento, è entrato in vigore il 15.01.2020. La legge regionale,
difatti, è stata pubblicata il 31.12.2019 sul Bollettino Ufficiale
della Regione, n. 19, parte prima, e, in difetto di disposizioni di segno
diverso, è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla
pubblicazione, in base alle previsioni dell’art. 49, comma 2, della legge
statutaria 03.05.2005, n. 1, recante «Statuto della Regione Liguria».
Quanto alla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha modificato la
disposizione previgente e ha abrogato la previsione riguardante il programma
integrato di intervento, è stata pubblicata il 12.02.2020 sul
Bollettino Ufficiale della Regione, n. 1, parte prima, ed è dunque entrata
in vigore il 27.02.2020, quindicesimo giorno successivo alla
pubblicazione.
La vigenza della norma per un apprezzabile arco di tempo –dal 15.01.2020 al 27.02.2020– non avvalora la sua mancata applicazione.
Peraltro, nel regolare l’ambito di applicazione della nuova normativa, le
previsioni impugnate producono effetti immediati e la parte resistente non
ha allegato elementi circostanziati a sostegno della mancata applicazione
nel periodo, non trascurabile, di vigenza.
Né tale sopravvenuta carenza di interesse si può desumere in maniera univoca
dal contegno della parte ricorrente, che ha mostrato di coltivare
l’impugnazione anche con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
7.6.3.– Con riguardo alla vigente formulazione della disposizione impugnata,
la parte resistente ha eccepito l’inammissibilità in ragione della
genericità delle argomentazioni svolte nel ricorso.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare, si sarebbe
limitato a escludere la natura satisfattiva delle innovazioni e a
configurare una lesione dell’affidamento, senza offrire, tuttavia, argomenti
persuasivi.
7.6.4.– Neppure tale eccezione può essere accolta.
Il ricorrente ha osservato che le sopravvenienze non hanno inciso sul nucleo
precettivo della disposizione impugnata e non hanno posto rimedio al vulnus
denunciato, che non risiede nell’inclusione del programma integrato di
intervento, ma nella paventata regolarizzazione di abusi preesistenti.
Quanto alla lesione dell’affidamento, la parte ricorrente ha mostrato di
evincerla dalla natura retroattiva della disposizione e ha svolto –anche a
tale riguardo– un’argomentazione adeguata, che consente di cogliere il
senso delle censure.
I rilievi del ricorso non presentano, pertanto, le lacune segnalate dalla
difesa regionale a sostegno dell’eccezione di inammissibilità.
7.7.– Le questioni promosse con riguardo all’originaria e all’odierna
formulazione della disposizione impugnata non sono fondate.
7.7.1.– Le censure di irragionevolezza, per arbitraria lesione di un
affidamento meritevole di tutela, si incentrano sulla premessa che la
disposizione impugnata, con la sua valenza retroattiva, regolarizzi gli
abusi preesistenti.
7.7.2.– Tale regolarizzazione deve essere esclusa, alla luce del dato
letterale della normativa impugnata e delle finalità che la ispirano.
7.7.2.1.– Nel promuovere il riutilizzo –per vari scopi– di locali
accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani
seminterrati, e di immobili, anche diruti, non utilizzati da almeno cinque
anni, la legge reg. Liguria n. 30 del 2019 pone come requisito
imprescindibile la legittima realizzazione o la regolare legittimazione alla
data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 3, della legge
regionale citata, per i locali accessori e le pertinenze, e comma 4, per gli
immobili non utilizzati).
Il legislatore regionale estende, inoltre, le misure di incentivo anche agli
immobili per la cui costruzione sia stato già conseguito il titolo
abilitativo edilizio –o, nella versione previgente, sia stato approvato il
programma integrato di intervento– prima della delibera del Consiglio
comunale che individua le aree escluse, per esigenze di particolare tutela,
dall’applicazione della legge.
Gli interventi disciplinati dal legislatore regionale riguardano dunque
immobili legittimamente assentiti o comunque immobili per i quali si è
positivamente concluso il vaglio dell’amministrazione che conduce al
rilascio del titolo abilitativo o alla conclusione del programma integrato
di intervento.
Alla luce del suo inequivocabile tenore letterale la disposizione impugnata
non si risolve, quindi, nella regolarizzazione degli abusi già perpetrati.
7.7.2.2.– Tale asserita regolarizzazione è contraddetta anche dalla
considerazione delle finalità perseguite dalla normativa in esame.
Essa si prefigge, all’art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del
2019, di promuovere gli interventi di riutilizzo, «con l’obiettivo di
incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo
di suolo» e, secondo i princìpi generali (art. 11 delle disposizioni
preliminari al codice civile), dispone per l’avvenire e si applica dunque
alle opere ancora da realizzare.
Esula dalla finalità di una disciplina così congegnata la regolarizzazione
di preesistenti condotte abusive, che non potrebbero essere ricondotte –da
un punto di vista sia semantico sia finalistico– agli interventi di
riutilizzo che il legislatore regionale intende favorire con misure mirate
(negli stessi termini, per una fattispecie e per censure in gran parte
analoghe, sentenza n. 118 del 2021, punto 3.2.1. del Considerato in
diritto).
7.7.3.– La fattispecie sottoposta all’odierno scrutinio di costituzionalità
non può essere assimilata, pertanto, a quella esaminata nella sentenza n. 73
del 2017, che il ricorrente richiama a fondamento delle censure.
Con la pronuncia indicata, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Basilicata 04.03.2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), che,
dietro lo schermo dell’interpretazione autentica, avevano legittimato
retroattivamente interventi difformi dagli strumenti urbanistici vigenti al
momento della loro realizzazione, in contrasto con il principio della doppia
conformità.
Alle stesse conclusioni questa Corte è giunta nella sentenza n. 70 del 2020,
con riguardo all’art. 2 della legge della Regione Puglia 17.12.2018,
n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30.07.2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività
edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio
residenziale)».
Anche in tale ipotesi la previsione impugnata, nel dichiarato intento di
fornire l’interpretazione autentica della disciplina previgente, presentava
nondimeno una portata innovativa, tale da rendere irragionevolmente
legittime, in virtù della sua efficacia retroattiva, condotte che tali non
erano allorché erano state attuate. Per questa via, il legislatore regionale
aveva introdotto in maniera surrettizia una sanatoria, in contrasto con il
principio fondamentale della doppia conformità.
La disposizione impugnata nell’odierno giudizio, per contro, si applica agli
interventi di riutilizzo successivi alla sua entrata in vigore, a condizione
che riguardino immobili legittimamente realizzati o che sia stata vagliata
la conformità alla normativa edilizia, con il rilascio del titolo
abilitativo o l’approvazione del programma integrato di intervento.
Essa delimita in senso restrittivo i presupposti degli interventi di
riutilizzo che intende promuovere, senza introdurre alcuna sanatoria extra ordinem delle irregolarità preesistenti.
8.– Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del
Consiglio dei ministri censura, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo
comma, lett. s), l’art. 8, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria
n. 1 del 2020, che ha sostituito l’art. 12, comma 2, della legge della
Regione Liguria 05.04.2012, n. 10 (Disciplina per l’esercizio delle
attività produttive e riordino dello sportello unico).
8.1.– In virtù della disposizione impugnata, gli interventi di
ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia,
finalizzati all’ampliamento degli «insediamenti produttivi esistenti
destinati ad attività artigianali, industriali, agricole ed agrituristiche,
ad alberghi tradizionali, a strutture turistico ricettive e ad attività
socio-assistenziali e commerciali, con esclusione delle grandi strutture di
vendita», non possono essere cumulati con «gli ampliamenti consentiti dagli
strumenti urbanistici comunali entro soglie percentuali predeterminate» e
possono essere realizzati, mediante il procedimento unico disciplinato
dall’art. 10 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012, «anche in deroga alla
disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o operanti in
salvaguardia».
La legge regionale fa salvo in ogni caso «il rispetto della dotazione dei
parcheggi pertinenziali previsti dalla disciplina urbanistico comunale,
nonché della dotazione di opere di urbanizzazione primaria e/o secondaria
per il soddisfacimento degli standard urbanistici necessari».
8.2.– Il ricorrente assume che «la deroga generalizzata agli strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale, anche se operanti in
salvaguardia», in mancanza di «prescrizioni che impongano comunque il
rispetto delle norme contenute nella Parte II del Codice dei Beni Culturali
e del Paesaggio, o in ogni caso del piano paesaggistico sovraordinato»,
invada «la sfera di potestà legislativa dello Stato in materia di tutela dei
beni culturali e del paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e 21 del
Codice di settore, e con le norme dello stesso Codice che impongono la
pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)».
In violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., la disciplina
regionale in esame incentiverebbe «l’ampliamento generalizzato dei complessi
immobiliari in deroga agli strumenti pianificatori», senza salvaguardare
l’applicazione della normativa statale riguardante i beni sottoposti a
tutela.
La disposizione impugnata finirebbe così per «svuotare la funzione propria
del piano paesaggistico», chiamato a «dettare, per ciascuna area tutelata,
le prescrizioni del caso, le trasformazioni compatibili e quelle vietate,
nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni», e infrangerebbe
l’obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regioni.
Sarebbe violato anche l’art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato la tutela
del paesaggio e del patrimonio storico e artistico».
8.3.– La Regione Liguria ha eccepito, in linea preliminare,
l’inammissibilità delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri.
8.3.1.– La disposizione impugnata non avrebbe innovato la disciplina degli
interventi di ampliamento, già dettata dall’art. 12 della legge reg. Liguria
n. 10 del 2012.
La previsione che il ricorrente reputa lesiva della competenza legislativa
esclusiva dello Stato e dell’art. 9 Cost. sarebbe dunque «in vigore dal
2012» e non sarebbe stata introdotta dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020,
che avrebbe soltanto raccordato la normativa previgente con il nuovo
procedimento unico. Questi rilievi indurrebbero a ritenere la questione
inammissibile.
8.3.2.– L’eccezione deve essere disattesa.
Nell’adeguare la disciplina dell’ampliamento degli insediamenti produttivi
al procedimento autorizzatorio unico regionale (art. 10 della legge reg.
Liguria n. 10 del 2012), la legislazione ligure conferma la deroga agli
strumenti urbanistici, già contemplata dalla normativa previgente.
Tale circostanza, tuttavia, non preclude l’esame del merito, in quanto nei
giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza e –nella
prospettiva del ricorrente– la disposizione oggi sottoposta al vaglio di
questa Corte reitera la lesione insita nella disciplina anteriore (fra le
molte, sentenze n. 25 del 2021, punto 17 del Considerato in diritto, e n.
106 del 2020, punto 2.1. del Considerato in diritto).
Sussiste, pertanto, l’interesse a ricorrere contro una disciplina che
riproduce l’originario contenuto lesivo in un sistema peraltro
contraddistinto da un nuovo e peculiare procedimento autorizzatorio.
8.4.– Le questioni, promosse nei confronti dell’art. 8, comma 1, lett. b),
della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, possono essere scrutinate nel
merito.
Esse non sono fondate, nei termini di séguito precisati.
8.4.1.– Il ricorrente muove dall’assunto che la disposizione impugnata, nel
derogare in via generale agli strumenti di pianificazione urbanistica e
territoriale, non imponga il rispetto delle prescrizioni del codice dei beni
culturali e del paesaggio e così consenta l’ampliamento anche di complessi
immobiliari sottoposti a vincolo. Una disciplina così congegnata svilirebbe
il ruolo essenziale del Piano paesaggistico, frutto di una elaborazione
congiunta tra lo Stato e le Regioni.
8.4.2.– La disposizione impugnata ben può essere, tuttavia, interpretata in
termini compatibili col dettato costituzionale.
8.4.2.1.– La deroga prevista dal novellato art. 12, comma 2, della legge
reg. Liguria n. 10 del 2012 è circoscritta alla pianificazione urbanistica
e, peraltro, anche in tale ambito, non ha un’estensione indeterminata, come
si evince dalle indicazioni del comma 1, che valgono a delimitarne
l’ampiezza. È prescritto, in termini generali, il rispetto della
«destinazione d’uso prevista dalla pianificazione urbanistica comunale»
(lettera b), e delle «distanze minime dalle costruzioni esistenti stabilite
dalla strumentazione urbanistica comunale o dalla vigente legislazione in
materia» (lettera d).
Alla luce del dato testuale, la deroga censurata non investe la disciplina
di tutela prevista nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il fatto che tale disciplina, provvista di valenza generale e di autonoma
forza precettiva, non sia richiamata, non comporta una deroga implicita, per
le ragioni già illustrate nei punti 5.4.3.1. e 5.4.3.2. nello scrutinio
dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
8.4.2.2.– Anche il contesto complessivo, in cui la disposizione impugnata si
colloca, avvalora tali conclusioni.
In una prospettiva di più efficace tutela, il legislatore regionale si è
premurato di salvaguardare anche la «conformità con la disciplina del Piano
Territoriale di Coordinamento Paesistico», deputato a svolgere la
funzione di pianificazione del paesaggio nelle more dell’approvazione del
Piano paesaggistico (art. 12, comma 1, lett. e, della legge reg. Liguria n. 10
del 2012).
Nella fattispecie ora sottoposta allo scrutinio di questa Corte non si
ravvisa quella deroga alle prescrizioni del Piano territoriale di
coordinamento paesistico, che è a fondamento della declaratoria di
illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria
n. 30 del 2019.
La legge regionale citata ha dettato ulteriori previsioni di dettaglio, allo
scopo di preservare i valori ambientali e paesaggistici. A tali finalità si
ispirano, in particolare, la salvaguardia delle alberature di pregio
presenti nell’area di intervento (lett. f), la messa a dimora di
alberature di alto fusto «negli ampliamenti degli insediamenti industriali
ed artigianali, lungo i confini a contatto con insediamenti a destinazione
d’uso diversa da quella produttiva» (lettera g), l’obbligo di assicurare «un
armonico inserimento rispetto alla costruzione esistente» per gli
ampliamenti degli alberghi tradizionali, delle strutture turistico ricettive
e delle strutture socio-assistenziali (lett. h), l’obbligo di rispettare
«le tipologie edilizie degli edifici esistenti» con riguardo agli
ampliamenti degli edifici adibiti alle attività di agriturismo (lett. i).
8.4.3.– La disciplina regionale, intesa alla luce di tutte le previsioni in
cui si articola, non si risolve nell’indistinta approvazione degli
interventi di ampliamento di beni vincolati, in contrasto con i princìpi
enunciati dall’art. 9 Cost., e non entra in conflitto con il Piano
paesaggistico e con le regole che presiedono alla sua elaborazione
congiunta, nel quadro della competenza legislativa esclusiva statale sancita
dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Nei termini indicati, pertanto, la questione non è fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo
periodo, della legge della Regione Liguria 24.12.2019, n. 30
(Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di
fabbricati e di immobili non utilizzati), nella parte in cui, con riguardo
ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in
piani seminterrati, subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento
di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio
attività di cui all’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 06.06.2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia),
anche con riguardo agli
immobili posti nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del
decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti
massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e
spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a
parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17
della legge 06.08.1967, n. 765»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella
modificata dall’art. 24, comma 2, della legge della Regione Liguria 06.02.2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di
disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e
altre disposizioni in materia di governo del territorio), nella parte in cui
dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un
fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non
utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente
Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi
della legge della Regione Liguria 22.08.1984, n. 39 (Disciplina dei
piani territoriali di coordinamento);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo
periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019;
4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n.
30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art.
24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg.
ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
5) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge
reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella
modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020,
promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., dal Presidente
del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg.
ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
6) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg.
Liguria n. 30 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo
comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, promosse, in
riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione
originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg.
Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dal
Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui
al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
9) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. b), della legge
reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117,
secondo comma, lett. s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri
con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020
(Corte Costituzionale,
sentenza 17.06.2021 n. 124). |