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71-LOTTO INTERCLUSO
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81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
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93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
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97-RUDERI
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dossier SEMINTERRATI

art. 8 L.R. 26.11.2019 n. 18

testo coordinato L.R. 13.03.2017 n. 7

giugno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia privata, la Consulta ferma la legge Liguria sul «riutilizzo» dei locali.
È incostituzionale, per violazione degli articoli 3, 9, 32, 117, terzo comma della Costituzione, la legge della Regione Liguria 24.12.2019, n. 30 "Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati" perché non tutela i centri storici, viola il Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale e contrasta con le esigenze di tutela della salubrità degli ambienti.

Lo ha stabilito la Consulta, con la sentenza 17.06.2021 n. 124, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell' art. 2, comma 1, della legge regionale che assoggetta gli interventi di «mero mutamento di destinazione d'uso senza opere dei locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche allocati in piani seminterrati» alla segnalazione certificata di inizio attività (Scia) prevista dall'articolo 13-bis della legge della Regione Liguria 06.06.2008, n. 16 ("Disciplina dell'attività edilizia" e successive modificazioni e integrazioni).
Norma che l'Alta Corte ha ritenuto in contrasto con:
   1) l'art. 10, comma 1, lett. c), del testo unico dell'edilizia-Tue secondo cui costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire gli interventi che comportino un mutamento di destinazione d'uso nelle zone territoriali omogenee A di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444 («parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi»);
   2) l'orientamento della giurisprudenza costituzionale a mente della quale «la disciplina del testo unico dell'edilizia impone il permesso di costruire anche in assenza di opere» (Corte costituzionale, sentenza 13.01.2021, n. 2 che richiama il principio affermato dalla sentenza della Cassazione n. 40678 del 26.06.2018: è richiesto il permesso di costruire per le modifiche che comportino il passaggio di categoria).
Fermo restando che il tal senso si è espresso anche Consiglio di Stato, con la sentenza 20.11.2018, n. 6562, secondo cui «nei centri storici, come definiti dal decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, è di norma vietato il mutamento delle destinazioni d' uso residenziali: soltanto il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire in quanto non incidente sul carico urbanistico».
Con la medesima sentenza, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del successivo articolo 3, commi 1 e 2, della legge n. 30 del 2019 nella parte in cui:
   1) prevede che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili diroccati «è ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge della Regione Liguria 22.08.1984, n. 39 "Disciplina dei piani territoriali di coordinamento"»;
   2) prescrive, per i locali destinati alla permanenza di persone, un'altezza interna non inferiore a 2,40 metri.
Norme che la Corte costituzionale ha ritenuto non in linea con la legislazione statale.
La prima norma viola gli articoli 135 (Pianificazione paesaggistica), 143 (Piano paesaggistico) e 145 (Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione) del codice dei beni culturali e del paesaggio, ossia ambiti riservati esclusivamente alla potestà legislativa dello Stato (ex multis, Corte costituzionale, sentenza 13.01.2004, n. 9). Mentre la seconda norma confligge con:
   1) l'articolo 1 del decreto ministeriale 05.07.1975 "Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione", che fissa in 2,70 metri l'altezza minima interna utile dei locali destinati ad abitazione e consente di ridurre tale altezza a 2,40 metri «per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli»;
   2) l'Allegato 1, punto 2.3. «Prescrizioni», numero 4, del decreto interministeriale 26.06.2015 "Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici", che consente di derogare all'altezza sopraindicata «fino ad un massimo di dieci centimetri, nel caso di installazione di impianti termici dotati di pannelli radianti a pavimento o a soffitto e nel caso di intervento di isolamento dall'interno» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 02.07.2021).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori e pertinenze di fabbricati - Mutamento di destinazione d'uso senza opere - Subordinazione alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) ordinaria - Applicabilità anche agli immobili posti nei centri storici - Violazione dei principi fondamentali nella materia del governo del territorio - Illegittimità costituzionale in parte qua.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella parte in cui, con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d'uso senza opere alla segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) di cui all'art. 13- della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, anche con riguardo agli immobili bis posti nei centri storici (zone territoriali omogenee A di cui all'art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968).
La norma regionale impugnata dal Governo si discosta dalla normativa statale di principio contenuta nell'art. 10 t.u. edilizia, nella parte in cui, in virtù della sua formulazione generale e onnicomprensiva, ritiene sufficiente la SCIA ordinaria -anziché il permesso di costruire- anche per i mutamenti di destinazione d'uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto con la peculiarità di tali zone territoriali omogenee e con le relative esigenze di più incisiva tutela. (Precedente citato: sentenza n. 2 del 2021).
La definizione dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi costituisce principio fondamentale nella materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola la normativa regionale di dettaglio.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Permesso di costruire in deroga - Potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana - Ricorso del Governo - Lamentata violazione della competenza esclusiva statale in materia di governo del territorio - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal Governo in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.- dell'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 che, con riguardo al recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, rispettivamente prevedono il permesso di costruire in deroga e il potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del paesaggio- concerne i profili eminentemente urbanistici degli interventi e non introduce quindi una deroga non consentita al regime statale dei titoli abilitativi, né delinea una peculiare tipologia di permesso di costruire in deroga, svincolata dal preventivo vaglio del Consiglio comunale e volta a legittimare qualsiasi difformità.
Secondo costante giurisprudenza costituzionale, il regime dei titoli abilitativi per le categorie dei vari interventi edilizi costituisce principio fondamentale della materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola così la legislazione regionale di dettaglio.

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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Permesso di costruire in deroga - Potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana - Ricorso del Governo - Lamentata violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal Governo in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.- dell'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che, con riguardo al recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, rispettivamente prevedono il permesso di costruire in deroga e il potere esclusivo dei Comuni di individuare le parti soggette a recupero, con esclusione degli ambiti di rigenerazione urbana.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del paesaggio- non pregiudica l'unitarietà e la vincolatività della pianificazione paesaggistica, né mette a repentaglio l'obbligatorietà dell'elaborazione congiunta del Piano paesaggistico.
A fronte di un'indicazione espressa del legislatore regionale, non si può perciò attribuire al mancato richiamo delle prescrizioni del cod. ambiente la portata di una deroga indiscriminata, che esula dalle specifiche finalità della normativa regionale e contraddice la forza imperativa della disciplina statale.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, Precedente citato: sentenza n. 54 del 2021 affinché sia preservato il valore unitario e prevalente della tutela paesaggistica, deve essere salvaguardata la complessiva efficacia del Piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali.

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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Potere dei Comuni di individuare, entro la data del 30 aprile 2020 e a particolari condizioni, parti del territorio escluse dall'applicazione di tale normativa - Ricorso del Governo - Lamentata violazione del principio della tutela del paesaggio e della competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in motivazione.
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal Governo in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost.- dell'art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, che attribuisce ai Comuni il potere di individuare, entro la data del 30.04.2020, limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica, parti del territorio escluse dall'applicazione della normativa sul recupero di locali accessori e pertinenze, in funzione di specifiche esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria e nel rispetto della disciplina dei piani di bacino e dei piani dei parchi o anche in presenza di fenomeni di risalita della falda.
La norma regionale impugnata -interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell'ambiente e del paesaggio- non demanda ai Comuni il potere di individuare i beni oggetto di tutela, in un contesto di deroga generalizzata alle previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, bensì solamente quello di individuare porzioni del territorio in cui la legge in esame non trova applicazione, in un'ottica di più elevata tutela e in relazione a esigenze specifiche, tassativamente indicate e connesse agli interessi affidati alla cura degli enti territoriali.

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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Possibili interventi in deroga al Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale - Violazione del principio della tutela del paesaggio - Illegittimità costituzionale in parte qua.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 9 Cost., l'art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, nella parte in cui dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico (PTCP) regionale, approvato ai sensi della legge reg. Liguria n. 39 del 1984.
Tale deroga, nel consentire singoli e frammentari interventi di riutilizzo al di fuori del contesto delineato dal PTCP, collide con il valore primario del paesaggio e dell'ambiente e frustra le esigenze di tutela organica e unitaria, immanenti al sistema, pur variamente declinato, della pianificazione.

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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Obbligo di altezza minima interna dei locali destinati alla permanenza di persone pari a 2,40 metri - Violazione dei principi fondamentali nella materia del governo del territorio - Illegittimità costituzionale.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 che, con riferimento al recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, impone l'obbligo di altezza minima interna dei locali destinati alla permanenza di persone pari a 2,40 metri.
Nel fissare requisiti di altezza interna inferiori a quelli prescritti dal d.m. del 05.07.1975, la norma impugnata dal Governo contrasta con un principio fondamentale della materia del governo del territorio, vincolante per la legislazione regionale di dettaglio. L'inderogabilità dei requisiti di altezza minima risponde, infatti, a esigenze di tutela della salubrità degli ambienti e della salute delle persone che vi dimorano.
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Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Liguria - Recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati - Parametri e modalità di aeroilluminazione e di assicurazione dell'altezza minima interna dei locali destinati alla permanenza di persone - Ricorso del Governo - Lamentata violazione del diritto alla salute e dei principi fondamentali nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale -promosse dal Governo in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost.- dell'art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 che, con riferimento al recupero di locali accessori, pertinenze e di immobili non utilizzati, consente di assicurare il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e dell'altezza minima interna anche mediante opere edilizie che interessano i prospetti del fabbricato oppure mediante l'installazione di impianti e di attrezzature tecnologiche.
Quanto all'altezza minima interna, i requisiti sono -alla luce dell'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, secondo periodo, della medesima legge reg. impugnata- quelli imposti dalla normativa statale, che vi derogava. Inoltre, con riguardo ai parametri di aeroilluminazione, non sussiste la deroga all'art. 5 del d.m. 05.07.1975, che impone per tutti i locali degli alloggi una illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso e detta anche una disciplina di dettaglio sull'ampiezza delle finestre e sul fattore luce diurna da garantire.
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1.– Con il ricorso iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 9, 32, 117, commi secondo, lettera s), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, secondo periodo; 3, commi 1, 2 e 3; 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Liguria 24.12.2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati).
Con successivo ricorso, iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 9, 117, commi secondo, lett. s), e terzo, Cost., gli artt. 8, comma 1, lett. b), e 24, commi 2 e 3, della legge della Regione Liguria 06.02.2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio).
2.– Il ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020 promuove questioni relative all’art. 24, commi 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che modifica rispettivamente gli artt. 3, comma 1, e 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, già impugnati con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, e investe, altresì, l’art. 8, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, censurato per ragioni in gran parte analoghe a quelle illustrate con riguardo alla disciplina di cui all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
In ragione della stretta connessione che lega le disposizioni oggetto dei due ricorsi e dell’analogia che si ravvisa tra alcune delle censure proposte, i giudizi vanno riuniti, per essere trattati congiuntamente e definiti con un’unica pronuncia.
3.– Con il primo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, è impugnato, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
3.1.– Con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, la disciplina in esame assoggetta gli interventi di «mero mutamento di destinazione d’uso senza opere» alla segnalazione certificata d’inizio attività prevista dall’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 06.06.2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia), che a sua volta richiama l’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), con le successive modificazioni e integrazioni.
3.2.– Il ricorrente prospetta il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con il principio fondamentale nella materia «governo del territorio», che, per il mutamento di destinazione d’uso idoneo a determinare «il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra», richiede «il rilascio del permesso di costruire» o comunque la «SCIA [segnalazione certificata d’inizio attività] alternativa al permesso di costruire», contraddistinta da «un procedimento aggravato».
Il regime dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi non potrebbe variare da Regione a Regione e dovrebbe essere omogeneo «su tutto il territorio nazionale».
3.3.– La Regione Liguria ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità della questione.
3.3.1.– Il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. non deriverebbe dalla disposizione impugnata, ma dall’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, che regola i mutamenti di destinazione d’uso senza opere. L’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 si limiterebbe a richiamare tale disposizione.
3.3.2.– L’eccezione non è fondata.
Non rileva che il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia impugnato l’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, in quanto nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza. La disposizione oggi sottoposta allo scrutinio di questa Corte, nel richiamare la previsione anteriore, ha l’effetto di reiterare la lesione che fonda l’interesse a ricorrere (di recente, sentenza n. 107 del 2021, punto 2.3. del Considerato in diritto).
La questione, pertanto, è ammissibile.
3.4.– Essa è fondata, nei limiti e per i motivi di séguito precisati.
3.4.1.– Occorre ricostruire, nell’evoluzione più recente, il contesto normativo in cui la disposizione impugnata si colloca.
La destinazione d’uso connota l’immobile sotto l’aspetto funzionale, condiziona il carico urbanistico, legato al fabbisogno di strutture e di spazi pubblici, e incide sull’ordinata pianificazione del territorio. Il legislatore statale ha avvertito, pertanto, l’esigenza di disciplinare i mutamenti rilevanti della destinazione d’uso, proprio per gli effetti pregiudizievoli che potrebbero produrre sull’assetto urbanistico.
A tale riguardo, viene in rilievo l’art. 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», inserito dall’art. 17, comma 1, lett. n), del decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11.11.2014, n. 164.
Nel far salve le diverse previsioni delle leggi regionali, la disposizione citata identifica i mutamenti rilevanti della destinazione d’uso in «ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale» (comma 1). Tra le categorie funzionali, il legislatore enumera quella residenziale, quella turistico-ricettiva, quella produttiva e direzionale, quella commerciale, quella rurale.
Il passaggio a una categoria funzionale autonoma, anche quando non sia accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie, è rilevante, in quanto implica un più elevato impatto sul carico urbanistico, che si configura come rapporto di proporzione quali-quantitativa tra insediamenti e standard per servizi di una determinata zona territoriale.
L’art. 23-ter, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, come sostituito dall’art. 10, comma 1, lett. m), del decreto-legge 16.07.2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11
.09.2020, n. 120, conferisce rilievo alla destinazione d’uso stabilita dal titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o che l’ha legittimata e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio riguardante l’intero immobile o unità immobiliare, «integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali».
L’art. 23-ter, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che le Regioni adeguino la propria legislazione ai princìpi stabiliti dalla normativa statale in tema di mutamenti d’uso urbanisticamente rilevanti, entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore. Decorso inutilmente tale termine, i princìpi in esame trovano comunque applicazione.
L’ultimo periodo dell’art. 23-ter, comma 3, t.u. edilizia consente in ogni caso il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale e fa salve, a tale riguardo, le diverse previsioni delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali.
L’art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 completa la disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso.
Sono le Regioni a stabilire «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti», siano subordinati a permesso di costruire e quali a segnalazione certificata di inizio attività.
La disciplina di dettaglio elaborata dalle Regioni si deve coordinare con l’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, che individua gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinati a permesso di costruire. Essi consistono negli «interventi di nuova costruzione» (lettera a), negli «interventi di ristrutturazione urbanistica» (lett. b), negli «interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42» (lett. c).
Gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui al citato art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 possono essere realizzati mediante segnalazione certificata d’inizio attività alternativa al permesso di costruire (art. 23, comma 01, lettera a, del d.P.R. n. 380 del 2001), secondo un procedimento aggravato, che impone, tra l’altro, al proprietario dell’immobile o agli altri soggetti legittimati di presentare allo sportello unico la segnalazione almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, «accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie» (art. 23, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001).
3.4.2.– La definizione dei titoli abilitativi per i diversi interventi edilizi costituisce principio fondamentale nella materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola la normativa regionale di dettaglio (con specifico riguardo ai mutamenti di destinazione d’uso, sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto).
Dall’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, si evince il principio fondamentale che prescrive, per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili o di loro parti, un vaglio dell’autorità amministrativa, rimesso alle più puntuali determinazioni della Regione, nel rispetto della normativa statale di principio. Tale vaglio si esplica nella segnalazione certificata d’inizio attività, con l’attivazione di controlli successivi, oppure, con più pregnante carattere preventivo, nel permesso di costruire, «fermo il vincolo, stabilito dall’art. 10, comma 1, t.u. edilizia, della necessità del permesso (tra l’altro) per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici (permesso eventualmente sostituibile con la “super SCIA”, ex art. 23, comma 01, lettera a, dello stesso testo unico)» (sentenza n. 2 del 2021, punto 17.3. del Considerato in diritto).
Con particolare riguardo ai locali accessori e alle pertinenze, anche collocati in piani seminterrati, la disposizione impugnata disciplina i mutamenti della destinazione d’uso senza opere, che si traducono in «forme di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare comportanti il passaggio ad una diversa categoria funzionale», tra quelle indicate dallo stesso legislatore regionale: residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale, autorimesse e rimessaggi, servizi (art. 13, comma 1, della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, richiamato dal successivo art. 13-bis della medesima legge regionale, a sua volta richiamato dall’impugnato art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019).
Nel prevedere la segnalazione certificata d’inizio attività, la normativa in esame si allinea all’art. 10, comma 2, t.u. edilizia, che, in via generale, consente alle Regioni di determinare quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili, o di loro parti, richiedano il permesso di costruire e quali siano sottoposti alla mera SCIA.
Dalla normativa statale di principio, la disciplina regionale, tuttavia, si discosta, nella parte in cui, in virtù della sua formulazione generale e onnicomprensiva, ritiene sufficiente la SCIA ordinaria anche per i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili posti nei centri storici, in contrasto con le esigenze di più incisiva tutela che presiedono a tale normativa.
Questa Corte ha affermato di recente che la disciplina del testo unico dell’edilizia, interpretata alla luce della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, «impone il permesso di costruire per i mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici anche in assenza di opere» (sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.1. del Considerato in diritto).
Dall’art. 10, comma 1, lett. c), t.u. edilizia si può desumere, difatti, che il legislatore statale considera con particolare rigore, assoggettandoli al preventivo rilascio del permesso di costruire, gli interventi idonei a determinare un mutamento di destinazione d’uso nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765».
Si tratta delle «parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi». La peculiarità di tali zone territoriali omogenee e dunque le più gravi ripercussioni dei mutamenti di destinazioni d’uso sull’armonico sviluppo urbanistico impongono una più energica tutela, vanificata da una normativa che ritiene sufficiente la SCIA ordinaria e prevede soltanto controlli successivi.
3.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella parte in cui subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio attività/SCIA di cui all’art. 13-bis della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A, di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968.
4.– Con il secondo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
4.1.– La disposizione in esame consente il riutilizzo per i fini di legge di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diroccati, in deroga alla disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali.
4.2.– Il ricorrente argomenta che tale disposizione contrasta con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con il principio fondamentale, espresso dall’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001, che sottopone a rigorose condizioni il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali.
Tale permesso potrebbe essere rilasciato soltanto «per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29.10.1999, n. 490», recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 08.10.1997, n. 352», e nel rispetto «delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia» (art. 14, comma 1, t.u. edilizia).
Per gli interventi di ristrutturazione edilizia attuati in aree industriali dismesse, potrebbe essere rilasciato il permesso di costruire in deroga alle destinazioni d’uso solo previa deliberazione del Consiglio comunale e a condizione che non vi sia un aumento della superficie coperta (art. 14, comma 1-bis, t.u. edilizia). Nel caso degli insediamenti commerciali, il legislatore impone l’osservanza dell’art. 31, comma 2, del decreto-legge 06.12.2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22.12.2011, n. 214, che riconduce a un «principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali».
Il ricorrente evidenzia che la deroga sarebbe subordinata al «rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza» e riguarderebbe i soli «limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi» e, nei casi degli interventi di ristrutturazione edilizia, le destinazioni d’uso. Non potrebbero essere derogati i limiti di densità edilizia, di altezza degli edifici e di distanza tra i fabbricati, sanciti, rispettivamente, dagli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (art. 14, comma 2, t.u. edilizia).
Il legislatore regionale avrebbe dettato una diversa disciplina, «più lasca e più permissiva», e regolerebbe i titoli abilitativi in modo difforme dalla normativa statale, «che non può ammettere per sua natura differenziazioni territoriali».
4.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio impugna, inoltre, sempre in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella versione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.
4.3.1.– La disposizione citata ha escluso la possibilità di derogare alla «disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana di cui al Capo II della legge della Regione Liguria 29.11.2018, n. 23 (Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero del territorio agricolo)».
4.3.2.– Lo ius superveniens non varrebbe, tuttavia, a porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale censurati con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020 e alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto «con i princìpi fondamentali dettati dallo Stato nella materia del governo del territorio».
4.4.– In primo luogo, occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla parte resistente.
4.4.1.– Secondo la difesa della Regione Liguria, le questioni sarebbero inammissibili, in quanto non sarebbe pertinente il richiamo all’istituto del permesso di costruire in deroga.
4.4.2.– L’eccezione non è fondata.
Il motivo di ricorso è avvalorato da un’argomentazione sufficiente a superare il vaglio di ammissibilità. Se sia o meno appropriato il riferimento al permesso di costruire in deroga, è profilo che attiene al merito delle questioni.
Non vi sono, dunque, ostacoli all’esame del merito.
4.5.– Le questioni, promosse con riguardo all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella introdotta dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, oggi vigente, non sono fondate, nei termini di séguito indicati.
4.5.1.– Le censure si appuntano sulla deroga ai vigenti strumenti e piani urbanistici comunali, deroga che l’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 ha inteso delimitare, escludendo dal suo campo applicativo la disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana.
Nella prospettiva del ricorrente, tale deroga, pur così circoscritta, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, con i princìpi fondamentali espressi nella materia del governo del territorio dall’art. 14 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La normativa interposta è stata modificata dall’art. 10 del d.l. n. 76 del 2020, come convertito.
Con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia, l’art. 14, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione introdotta dall’art. 10, comma 1, lett. f), numero 1), del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, ammette la richiesta di permesso di costruire previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesti l’interesse pubblico e circoscrive quest’ultimo «alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento». Nel caso di insediamenti commerciali, permane la necessità di rispettare le disposizioni dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.
Quanto all’art. 14, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, che definisce l’ampiezza della deroga, l’art. 10, comma 1, lett. f), numero 2), del d.l. n. 76 del 2020 puntualizza che la deroga può riguardare le destinazioni d’uso, sempre che tali destinazioni siano ammissibili.
Le richiamate modificazioni della normativa interposta non mutano i termini delle questioni, che si incentrano sull’inosservanza dei presupposti di legittimità del permesso di costruire in deroga.
4.5.2.– La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il regime dei titoli abilitativi per le categorie dei vari interventi edilizi costituisce principio fondamentale della materia di legislazione concorrente «governo del territorio» e vincola così la legislazione regionale di dettaglio (fra le molte, sentenze n. 54 del 2021, punto 4.1. del Considerato in diritto, n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto, e n. 68 del 2018, punto 10.1. del Considerato in diritto).
La disciplina impugnata, tuttavia, non ha introdotto una deroga non consentita al regime statale dei titoli abilitativi e non ha delineato –come nella fattispecie scrutinata da questa Corte nella sentenza n. 282 del 2016– una peculiare tipologia di permesso di costruire in deroga, svincolata dal preventivo vaglio del Consiglio comunale e volta a legittimare qualsiasi difformità.
La disposizione in esame ha il fine precipuo di definire il campo di applicazione degli interventi di riutilizzo dei locali accessori e delle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e degli immobili non utilizzati, anche diruti, e concerne i profili eminentemente urbanistici degli interventi, senza alterare il regime dei titoli abilitativi.
Le deroghe alla pianificazione comunale devono essere inquadrate nella finalità sottesa alla disciplina impugnata, che si prefigge di «incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo di suolo, incentivare l’inserimento di funzioni per lo sviluppo economico dei territori montani, di retro-costa e urbani interni, nonché favorire l’installazione di impianti tecnologici di contenimento dei consumi energetici e delle emissioni in atmosfera» (art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019). Tale finalità fonda e al tempo stesso delimita la deroga prevista e impone di intenderla in modo coerente con gli obiettivi perseguiti dal legislatore ligure, senza estenderne la portata ad aspetti estranei all’intervento riformatore, come quelli concernenti la disciplina dei titoli abilitativi.
È in tale contesto che la legge regionale, «fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali» (sentenza n. 245 del 2018, punto 9.1. del Considerato in diritto e, nello stesso senso, sentenza n. 179 del 2019, punto 12.4. del Considerato in diritto), statuisce una deroga alla pianificazione comunale, senza stravolgere il regime dei titoli abilitativi, che si sostanzia in un principio fondamentale nella materia «governo del territorio».
Prospettata con riguardo al contrasto con la disciplina del permesso di costruire in deroga, la censura si rivela dunque non fondata, nei termini sopra indicati.
5.– Con il terzo motivo del ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020 sono impugnati gli artt. 3, comma 1, e 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, per violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost.
5.1.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è impugnato in quanto, nel disciplinare gli interventi di riutilizzo di vani accessori, pertinenze, immobili non utilizzati, non sancisce alcuna clausola di salvaguardia «a favore del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Quanto all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, le censure vertono sul fatto che tale disciplina affidi soltanto ai Comuni, in relazione a specifiche esigenze di tutela paesaggistica e soltanto nelle fattispecie tassativamente indicate (il riutilizzo per l’uso residenziale di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati e contigui alla strada pubblica), «la limitazione dell’ambito di applicazione della disciplina introdotta dalla stessa legge, senza parimenti escludere dall’ambito applicativo della legge i beni sottoposti a tutela ai sensi della Parte II [del codice] dei beni culturali e del paesaggio».
5.2.– Le censure muovono dal presupposto che le leggi regionali impugnate, nel promuovere gli interventi di riutilizzo di un gran numero di «fabbricati, anche vetusti, disseminati su tutto il territorio regionale», riguardino anche gli «immobili di interesse culturale e paesaggistico, sottoposti a tutela ai sensi della Parte II e della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42».
Sarebbe consentito, in particolare, il generale riutilizzo di «immobili potenzialmente, per la loro vetustà, di interesse culturale» e «di immobili, anche sottoposti a vincolo paesaggistico», senza la «previa introduzione di un’apposita disciplina d’uso […] elaborata d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi degli articoli 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice di settore».
Ne deriverebbe il «sostanziale svuotamento della funzione propria del piano paesaggistico», chiamato a dettare, per ogni area tutelata, «i criteri di gestione del vincolo» e a individuare le «trasformazioni compatibili» e «quelle vietate». Sarebbe compromessa, inoltre, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica, peraltro oggetto di un obbligo di elaborazione congiunta con riferimento ai beni vincolati.
Alla luce di tali premesse, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), poiché sarebbe lesa «la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela del paesaggio», rispetto alla quale «le previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio costituiscono norme interposte».
La disciplina impugnata, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 9 Cost., che sancisce «il principio fondamentale della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» e «pone la tutela del paesaggio quale interesse primario e assoluto», in quanto gli interventi che incentiva arrecherebbero un «potenziale pregiudizio ai beni tutelati».
5.3.– Con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri censura la disciplina dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.
5.3.1.– Lo ius superveniens ha sancito l’inderogabilità della disciplina regionale relativa agli ambiti di rigenerazione urbana.
5.3.2.– Pur modificata in senso restrittivo, la disposizione impugnata presenterebbe i medesimi vizi di incostituzionalità già denunciati con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020.
Essa violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., che riservano rispettivamente allo Stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico e la connessa potestà legislativa esclusiva.
5.4.– Occorre esaminare, in via prioritaria, la questione di legittimità costituzionale relativa alla violazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.
Con riguardo sia all’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, oggi vigente, sia all’art. 4, commi 1 e 2, della medesima legge regionale, la questione non è fondata, nei termini di séguito indicati.
5.4.1.– Il ricorrente ritiene che entrambe le disposizioni impugnate deroghino alle previsioni di tutela delineate dal d.lgs. n. 42 del 2004 in tema di beni culturali e paesaggistici.
Gli interventi di riutilizzo incentivati dal legislatore regionale riguarderebbero –senza eccezioni di sorta– anche immobili di interesse culturale e paesaggistico e così vanificherebbero, in particolare, l’impronta unitaria della relativa pianificazione e il vincolo della elaborazione congiunta del Piano paesaggistico tra lo Stato e le Regioni.
La violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» è dedotta sotto questo specifico profilo ed è avvalorata dal puntuale richiamo alla “normativa interposta” del Codice di settore in tema di beni culturali (artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del 2004) e di beni paesaggistici (artt. 135, 143 e 145 del medesimo decreto legislativo).
5.4.2.– Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che «[a]ffinché sia preservato il valore unitario e prevalente della tutela paesaggistica (sul quale, fra le molte, sentenze n. 11 del 2016, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014), deve […] essere salvaguardata la complessiva efficacia del Piano paesaggistico, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali (sentenza n. 182 del 2006)» (sentenza n. 74 del 2021, punto 3.2.2. del Considerato in diritto).
5.4.3.– Il ricorrente muove dall’assunto che l’omesso richiamo delle previsioni di tutela del codice di settore equivalga a una deroga, con la conseguente violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato.
A tale assunto si contrappongono argomenti di ordine testuale e sistematico.
5.4.3.1.– Il legislatore regionale ha inteso derogare ex professo alla sola disciplina dei vigenti strumenti e piani urbanistici comunali e a quella fissata dal vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale.
A fronte di un’indicazione espressa, che circoscrive l’ambito applicativo delle deroghe, non si può attribuire al mancato richiamo delle prescrizioni del codice di settore la portata di una deroga indiscriminata, che esula dalle specifiche finalità della normativa regionale e contraddice la forza imperativa della disciplina statale, ribadita anche dal legislatore ligure con riguardo ai beni culturali (art. 34 della legge della Regione Liguria 31.10.2006, n. 33, recante «Testo unico in materia di cultura») e a quelli paesaggistici (art. 1, comma 2, della legge della Regione Liguria 06.06.2014, n. 13, recante «Testo unico della normativa regionale in materia di paesaggio»).
Alla luce di tali elementi, il silenzio del legislatore regionale non consente di affermare, come fa il ricorrente, che vi sia una deroga generalizzata.
5.4.3.2.– Gli interventi edilizi di recupero di locali accessori, pertinenze e immobili non utilizzati devono essere realizzati nel rispetto delle prescrizioni sui beni culturali e dei vincoli posti dal Piano paesaggistico in corso di elaborazione. Tale disciplina mantiene intatta la sua forza precettiva, in difetto di esplicite indicazioni di segno contrario, tanto più necessarie in ragione di fondamentali esigenze di certezza e del rango primario degli interessi coinvolti.
La normativa regionale, pertanto, deve essere interpretata in termini compatibili con il dettato costituzionale e con le prescrizioni del codice dell’ambiente e del paesaggio, come questa Corte ha affermato anche di recente con riguardo a una disciplina veneta finalizzata al recupero dei sottotetti (sentenza n. 54 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Così intesa, la disciplina impugnata non pregiudica l’unitarietà e la vincolatività della pianificazione paesaggistica, né mette a repentaglio l’obbligatorietà dell’elaborazione congiunta del Piano paesaggistico.
5.4.4.– Le medesime considerazioni privano di fondamento anche le censure relative all’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, che attribuisce ai Comuni il potere di individuare, entro la data del 30.04.2020, «limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica» parti del territorio escluse dall’applicazione della normativa sul recupero di locali accessori e pertinenze, in funzione di «specifiche esigenze di tutela paesaggistica o igienico-sanitaria e nel rispetto della disciplina dei piani di bacino e dei piani dei parchi» o anche in presenza di «fenomeni di risalita della falda».
Tale normativa non demanda ai Comuni il potere di individuare i beni oggetto di tutela, in un contesto di deroga generalizzata alle previsioni del d.lgs. n. 42 del 2004, sia con riguardo ai beni culturali, sia con riguardo ai beni paesaggistici. La forza cogente di tali disposizioni rimane intatta e i Comuni –in un’ottica di più elevata tutela e in relazione a esigenze specifiche, tassativamente indicate e connesse agli interessi affidati alla cura degli enti territoriali– possono individuare porzioni del territorio in cui la legge in esame non trova applicazione.
Per le medesime ragioni, non risulta violato l’art. 9 Cost.
5.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 è invece fondata per violazione dell’art. 9 Cost. con riferimento a un ulteriore e autonomo precetto contenuto nella disposizione impugnata, che deroga «alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge regionale 22.08.1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento) e successive modificazioni e integrazioni».
5.5.1.– L’art. 9 Cost. sancisce il principio fondamentale della tutela del paesaggio, che assurge a valore primario e assoluto e investe i contenuti ambientali e culturali connessi alla «morfologia del territorio», dunque all’«ambiente nel suo aspetto visivo» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1. del Considerato in diritto).
La disposizione impugnata entra in conflitto con tale principio fondamentale, nella parte in cui consente la realizzazione degli interventi di riutilizzo di locali accessori e pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili non utilizzati, anche diruti, in deroga alla disciplina del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale.
5.5.2.– Per la disamina del merito della questione, è necessario inquadrare tale piano nell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la pianificazione regionale con riguardo alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.
In base alla legge reg. Liguria n. 39 del 1984, la Regione provvede alla «formazione di piani territoriali di coordinamento in coerenza con gli indirizzi della programmazione regionale e di un quadro unitario di pianificazione», allo scopo di disciplinare, coordinare e orientare le attività di trasformazione del territorio, considerate nel loro complesso o con riguardo a specifici settori di intervento (art. 1).
I piani territoriali di coordinamento provvedono a indicare anche i termini di destinazione d’uso, l’organizzazione spaziale dei sistemi insediativi e infrastrutturali nonché gli interventi a protezione dell’ambiente in relazione alla potenzialità d’uso delle risorse territoriali e ai loro valori storico-culturali (art. 2, primo comma).
Tra i possibili contenuti dei piani territoriali di coordinamento, il legislatore regionale enumera: «a) l’individuazione e/o il coordinamento dei più rilevanti interventi infrastrutturali; b) la definizione dei sistemi delle attrezzature per servizi di livello sovracomunali e degli impianti speciali, sotto il profilo della loro organizzazione territoriale ed eventualmente della localizzazione; c) la disciplina dei modi e delle forme di utilizzazione del patrimonio ambientale nelle sue diverse espressioni insediativa, ecologica, naturalistica, paesistica, archeologica e storico-artistica, ai fini della sua conoscenza sistematica, valorizzazione e tutela; d) l’indicazione degli interventi preordinati alla difesa del suolo nonché alla salvaguardia ed utilizzazione delle risorse idriche, con particolare riguardo alle opere di sistemazione idraulica, idraulico-forestale ed idraulico-agraria; e) la definizione degli assetti costieri nei diversi rapporti strutturali e funzionali corrispettivi territori retrostanti; f) l’indicazione in termini qualitativi e quantitativi delle direttrici di sviluppo residenziale, produttivo, commerciale, turistico ed agricolo; g) l’individuazione di zone idonee anche sotto il profilo dell’impatto ambientale alla concentrazione di insediamenti produttivi, entro le quali delimitare le aree ad esso destinate, nonché l’indicazione del relativo dimensionamento» (art. 2, secondo comma, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).
Il Piano territoriale di coordinamento, per l’ambito territoriale e per i settori di intervento ai quali si riferisce, costituisce, tra l’altro, sede di coordinamento «dei piani relativi alla tutela diretta dell’ambiente, quali il piano di risanamento delle acque di cui all’articolo 4 della legge 10.06.1976, n. 319 e il piano di risanamento per il miglioramento della qualità dell’aria adottato in conseguenza del provvedimento di cui all’articolo 4, ultimo comma della legge 23.12.1978, n. 833» (art. 3, primo comma, lett. c, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).
I piani territoriali di coordinamento sono sovraordinati agli strumenti urbanistici comunali (art. 5, primo comma, della legge reg. Liguria n. 39 del 1984).
Il Piano territoriale di coordinamento paesistico coniuga le funzioni di disciplina urbanistica con quelle di tutela dei valori paesistici ed ambientali ed è riconducibile, pertanto, alla categoria dei piani tematici, che adempiono a una funzione più complessa di quella di coordinamento dell’assetto urbanistico regionale, caratteristica dei piani territoriali.
Tale piano incide non solo sulla regolamentazione urbanistica di ordine generale, con efficacia vincolante verso i Comuni, ma può contenere, altresì, la puntuale indicazione di vincoli e prescrizioni volti alla tutela del paesaggio e dell’ambiente e provvisti di forza cogente anche verso i privati proprietari. La molteplicità degli interessi coinvolti dalla pianificazione si riflette nella complessità delle funzioni, che non si esauriscono nel vincolo di direttiva verso il Comune (Consiglio di Stato, sezione quarta, decisione 26.09.2001, n. 5038).
Nella legislazione ligure il sistema della pianificazione paesaggistica ha registrato un’evoluzione continua, culminata nella transizione, non ancora compiuta, verso il Piano paesaggistico.
L’art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 04.09.1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) definisce le funzioni della pianificazione territoriale di livello regionale, deputata a fornire «il quadro generale di riferimento per le scelte pianificatorie ai diversi livelli relativamente alle componenti paesistica, ambientale, insediativa ed infrastrutturale, in coerenza con gli obiettivi ed i contenuti della programmazione economica-sociale regionale».
L’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione modificata dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Liguria 18.11.2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16.02.2016, n. 1 (Legge sulla crescita)», individua gli strumenti della pianificazione territoriale regionale nel Piano territoriale regionale (PTR) e nel Piano paesaggistico.
L’art. 3, comma 3-bis, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, aggiunto dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016 e poi modificato dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Liguria 07.08.2018, n. 15, recante «Modifiche alla legge regionale 04.09.1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale) e altre disposizioni di adeguamento in materia di governo del territorio», attribuisce al Piano paesaggistico «i contenuti e gli effetti previsti negli articoli 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42/2004 e successive modificazioni e integrazioni» e ne stabilisce la predisposizione «con modalità di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali e secondo le procedure previste dall’articolo 14-bis».
L’art. 68, comma 1, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 regola la fase transitoria e dispone che, fino all’approvazione del Piano paesaggistico, operino le previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico approvato con deliberazione del Consiglio regionale del 26.02.1990, n. 6, «limitatamente all’assetto insediativo del livello locale, con le relative norme di attuazione in quanto applicabili».
Nella memoria di costituzione depositata nel giudizio introdotto dal ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, la Regione Liguria evidenzia che il Piano territoriale di coordinamento paesistico rappresenta «l’atto di pianificazione preordinato alla tutela paesaggistica» nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico, che è «in corso di elaborazione congiunta».
5.5.3.– Il ricorrente argomenta che l’impugnato art. 3 «mantiene salva solo una parte del PTRC regionale» e pone l’accento sul fatto che –nell’attesa dell’approvazione del Piano paesaggistico, in corso di elaborazione congiunta con il Ministero per i beni e le attività culturali– una deroga strutturata in termini generali possa recare pregiudizio ai valori tutelati dall’art. 9 Cost.
Tali argomenti colgono nel segno.
La disposizione impugnata sancisce una deroga di particolare ampiezza al Piano territoriale di coordinamento paesistico, preordinato a tutelare il paesaggio e l’ambiente e destinato a trovare applicazione –come la stessa difesa regionale riconosce– fino all’approvazione definitiva del Piano paesaggistico.
A fronte di una deroga di tale latitudine, che peraltro si affianca alla deroga alla pianificazione comunale, non esclude l’illegittimità costituzionale il fatto che sia inderogabile la sola «disciplina dell’Assetto Insediativo di Livello Locale del Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale relativamente ai regimi normativi “PU” (parchi urbani) e “ANI-CE” (aree non insediate – conservazione)». Si tratta di un aspetto di dettaglio, che non attenua la portata lesiva della deroga disposta in via generale dalla normativa regionale.
Neppure si può ritenere sufficiente che sia fatta salva la disciplina degli ambiti di rigenerazione urbana o che l’art. 1 della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 escluda dall’ambito applicativo della disciplina gli edifici rurali di valore testimoniale (comma 4) e prescriva l’osservanza dei vigenti piani di bacino e dei piani dei parchi (comma 5).
Non basta a tutelare i valori affermati dall’art. 9 Cost. l’attribuzione ai Comuni del potere di individuare le aree escluse dall’ambito applicativo della nuova disciplina regionale (art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019).
Nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico e per un arco temporale che non è possibile predeterminare con certezza, il legislatore regionale deroga alle previsioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, che si ispira al medesimo metodo della pianificazione, in quanto funzionale alla salvaguardia più ampia ed efficace dell’ambiente e del paesaggio e dei molteplici interessi di risalto costituzionale che convergono nella tutela riconosciuta dall’art. 9 Cost.
Proprio la mancanza di un Piano paesaggistico avrebbe imposto in modo più stringente la salvaguardia delle prescrizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, caratterizzato da un’analoga vocazione di tutela, riconosciuta dal legislatore ligure (art. 68 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997) e dalle difese della stessa parte resistente.
La deroga censurata, nel consentire singoli e frammentari interventi di riutilizzo al di fuori del contesto delineato dal Piano territoriale di coordinamento paesistico, collide con il valore primario del paesaggio e dell’ambiente e frustra le esigenze di tutela organica e unitaria, immanenti al sistema, pur variamente declinato, della pianificazione.
5.5.4.– Si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 9 Cost., dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nel testo originario e in quello modificato dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, nella parte in cui dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge reg. Liguria n. 39 del 1984.
6.– Con il quarto motivo del ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020, è impugnato, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., l’art. 3, commi 2, secondo periodo, e 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
6.1.– L’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge regionale citata stabilisce che l’altezza interna dei locali destinati alla permanenza di persone non possa essere inferiore a 2,40 metri.
Quanto all’art. 3, comma 3, prevede che il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e dell’altezza minima interna sia assicurato anche mediante opere edilizie che interessano i prospetti del fabbricato oppure mediante l’installazione di impianti e di attrezzature tecnologiche.
6.2.– Il ricorrente lamenta che tali disposizioni contrastino con quanto prescrive il decreto ministeriale 05.07.1975 (Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20.06.1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione) con riguardo alle altezze minime interne (art. 1) e ai requisiti di aeroilluminazione (art. 5).
Il citato decreto ministeriale fissa in 2,70 metri l’altezza minima interna utile dei locali destinati ad abitazione e consente di ridurre tale altezza a 2,40 metri «per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli». Operano regole peculiari per i Comuni montani posti al di sopra dei mille metri sul livello del mare e per gli edifici situati nell’ambito delle comunità montane, sottoposti a interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie.
La disciplina delle altezze minime dei locali di abitazione è stata integrata dal decreto interministeriale 26.06.2015 (Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici), che, all’Allegato 1, punto 2.3. «Prescrizioni», numero 4, consente di derogarle fino a un massimo di dieci centimetri, nel caso di installazione di impianti termici dotati di pannelli radianti a pavimento o a soffitto e nel caso di intervento di isolamento dall’interno.
Quanto ai requisiti di aeroilluminazione, è l’art. 5 del d.m. 05.07.1975 a imporre per tutti i locali degli alloggi, a eccezione di quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli, una «illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso», e a regolare l’ampiezza della finestra e la superficie finestrata apribile.
Il ricorrente sostiene che le disposizioni riguardanti l’altezza minima e i requisiti di aeroilluminazione, pur contenute in una fonte regolamentare, rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie) e si configurino come «limiti invalicabili nel rilascio dell’abitabilità», proprio perché sono improntate a finalità di «tutela della salute e sicurezza degli ambienti».
Poste tali premesse, il ricorrente ravvisa la violazione dell’art. 32 Cost., «per contrasto con i parametri interposti rappresentati dalle citate disposizioni del D.M. 05.07.1975» e dell’art. 117, terzo comma, Cost., sul presupposto che le disposizioni impugnate travalichino «il limite dei principi fondamentali dettati dallo Stato a tutela della salute e del governo del territorio».
6.3.– Occorre esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione Liguria.
6.3.1.– Ad avviso della parte resistente, le questioni sarebbero inammissibili.
La normativa statale invocata dalla parte ricorrente non sarebbe idonea, in quanto contenuta in una fonte regolamentare, «a supportare la dedotta violazione dell’assetto delle competenze legislative come delineato dalla Costituzione».
Né si potrebbe sostenere che le previsioni regolamentari rappresentino diretta attuazione degli artt. 218, 344 e 345 del r.d. n. 1265 del 1934.
Quanto agli artt. 218 e 344 del r.d. n. 1265 del 1934, essi si limiterebbero, rispettivamente, a individuare le materie dei regolamenti di igiene e sanità e a disciplinare la procedura per l’approvazione di tali regolamenti.
L’art. 345 del r.d. n. 1265 del 1934, d’altro canto, pur imponendo la conformità dei regolamenti citati alle disposizioni ministeriali, attribuirebbe a tali disposizioni il rango di «mere istruzioni di massima», inidonee, in quanto tali, a enunciare «principi fondamentali, inderogabili da parte delle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa concorrente».
Peraltro, le disposizioni regolamentari potrebbero vincolare le Regioni, soltanto quando siano dettate dallo Stato nelle materie in cui lo stesso è titolare di competenza legislativa esclusiva.
Il vaglio di conformità all’art. 32 Cost. potrebbe riguardare soltanto la normativa in concreto adottata dal legislatore regionale.
Inammissibile sarebbe l’impugnazione dell’art. 3, comma 3, della legge reg. n. 30 del 2019, in quanto carente di ogni supporto argomentativo in merito ai profili di contrasto con i parametri costituzionali invocati.
6.3.2.– Le eccezioni preliminari non meritano di essere accolte.
6.3.2.1.– Questa Corte ha affermato di recente, nel respingere analoga eccezione di inammissibilità (sentenza n. 54 del 2021, punto 2.1. del Considerato in diritto), che gli atti statali di normazione secondaria possono vincolare la normativa regionale di dettaglio nelle materie di competenza legislativa concorrente, quando definiscano e specifichino, in un ambito contraddistinto da un rilevante coefficiente tecnico, il precetto posto dalla normativa primaria e formino così una unità inscindibile con le previsioni di tale normativa.
Le prescrizioni del d.m. 05.07.1975, come integrate dal d.m. 26.06.2015 con specifico riguardo alle altezze interne, presentano una evidente natura tecnica. Adottate previo parere del Consiglio superiore di sanità, esse fanno corpo unico con quanto sancisce l’art. 218 del r.d. n. 1265 del 1934, che demanda al Ministro competente il potere di emanare «le istruzioni di massima», affinché i «regolamenti locali di igiene e sanità» assicurino, tra l’altro, «che nelle abitazioni: a) non vi sia difetto di aria e di luce».
Legate da un nesso evidente alla normativa primaria e chiamate a specificarne sul versante tecnico i precetti generali, le previsioni contenute nella fonte regolamentare sono idonee a esprimere princìpi fondamentali, vincolanti per la normativa di dettaglio adottata dalla Regione Liguria.
6.3.2.2.– Sorretta da adeguata motivazione, e pertanto ammissibile, è anche la censura di violazione dell’art. 32 Cost. Il ricorrente argomenta che la normativa regolamentare mira a salvaguardare la salubrità e l’abitabilità degli ambienti ed è dunque inscindibilmente connessa con l’attuazione dell’art. 32 Cost.
6.3.2.3.– Ammissibile è anche il motivo di ricorso riguardante l’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, previsione che si correla all’impugnato art. 3, comma 2, della medesima legge regionale e disciplina le modalità con le quali si può assicurare il rispetto dei parametri di aeroilluminazione e di altezza minima interna.
Dal punto di vista del ricorrente, tali parametri si discosterebbero dalle prescrizioni della normativa statale e, pertanto, anche la normativa sulle modalità utili ad assicurarne il rispetto sarebbe affetta dai medesimi vizi di illegittimità costituzionale.
6.4.– La questione, promossa con riguardo all’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, è fondata.
6.4.1.– Le previsioni in tema di altezze interne degli edifici, dettate dal d.m. 05.07.1975, si prefiggono di salvaguardare le condizioni di abitabilità e di agibilità degli edifici e rappresentano diretta attuazione delle prescrizioni stabilite dal r.d. n. 1265 del 1934, fonte normativa di rango primario (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 23.12.2020, n. 8289). La norma secondaria attua e specifica l’imperativo contenuto nella norma primaria e ne definisce il contenuto minimo inderogabile, dal quale la verifica dell’abitabilità non può prescindere (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 26.03.2021, n. 2575).
L’inderogabilità dei requisiti di altezza minima, ribadita da questa Corte (sentenza n. 256 del 1996) nello scrutinio della disciplina del condono (art. 35 della legge 28.02.1985, n. 47, recante «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie»), risponde a esigenze di tutela della salubrità degli ambienti e della salute delle persone che vi dimorano.
Le prescrizioni riguardanti l’altezza interna degli edifici, al pari dei parametri di aeroilluminazione, perseguono l’essenziale finalità di conformare l’attività edilizia e, in tale ambito, apprestano misure volte anche a garantire il diritto alla salute nel contesto dell’abitazione, spazio di importanza vitale nell’esistenza di ogni persona. Tali prescrizioni si configurano, pertanto, come princìpi fondamentali nella materia «governo del territorio», vincolanti per la legislazione regionale di dettaglio.
6.4.2.– Nel fissare requisiti di altezza interna inferiori a quelli prescritti dalla fonte statale, la normativa regionale si pone in contrasto con il richiamato principio fondamentale.
6.4.2.1.– Non serve invocare –come fa la parte resistente– la circostanza che altre leggi regionali che hanno fissato requisiti analoghi non siano state impugnate. Tale circostanza è ininfluente e non offre argomenti decisivi a sostegno dell’infondatezza delle questioni promosse.
6.4.2.2.– Non inducono a diverse conclusioni le affermazioni della sentenza di questa Corte n. 245 del 2018, richiamata a più riprese dalla Regione Liguria negli scritti difensivi.
Tale pronuncia non ha analizzato il tema della compatibilità delle previsioni della legge della Regione Abruzzo 01.08.2017, n. 40 (Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni d’uso e contenimento dell’uso del suolo, modifiche alla legge regionale n. 96/2000 ed ulteriori disposizioni) con la normativa inderogabile posta dal d.m. 05.07.1975.
La legge abruzzese, finalizzata a promuovere il recupero di vani e locali accessori e di vani e locali seminterrati, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e del contenimento del consumo di suolo, è stata scrutinata da questa Corte in riferimento a diversi profili, attinenti, in particolare, alla normativa di principio del testo unico dell’edilizia, che assegna ai Comuni la disciplina dell’attività edilizia (art. 2), attribuisce ai Comuni la potestà pianificatoria urbanistica (artt. 4 e 7) e individua l’attività edilizia realizzabile in assenza degli strumenti urbanistici (art. 9).
6.4.2.3.– Quanto alla sentenza di questa Corte n. 54 del 2021, menzionata dalla difesa regionale nel corso della discussione all’udienza pubblica, essa si confronta espressamente con le prescrizioni del d.m. 05.07.1975, per affermarne l’inapplicabilità alla speciale normativa in tema di sottotetti.
La pronuncia ricordata, tuttavia, non collima con la fattispecie oggi sottoposta al vaglio di questa Corte.
La ratio decidendi della sentenza citata si fonda sulla «peculiare morfologia» dei sottotetti e non può essere estesa all’eterogenea categoria degli immobili disciplinati dalla disposizione impugnata. Quest’ultima include locali accessori e pertinenze e, per tale vasta gamma di immobili, che non risultano accomunati da caratteristiche e morfologie peculiari, di per sé incompatibili per la loro conformazione con l’osservanza integrale dei limiti di altezza interna, non può che imporsi la forza cogente delle disposizioni invocate come parametro interposto.
Dettate a salvaguardia della salubrità degli ambienti e della salute di chi li abita e calibrate anche sulla specificità dei diversi locali abitativi e del contesto in cui sorgono, tali disposizioni rispondono a scelte statali, che non possono essere vanificate dalla disciplina regionale di dettaglio.
6.4.3.– Si deve dichiarare, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
Restano assorbite le censure di violazione degli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo evocato con riferimento al contrasto con i princìpi fondamentali nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute».
6.4.4.– Non sono, per contro, fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
6.4.4.1.– Quanto all’altezza minima interna, la previsione che impone di assicurarne il rispetto anche con opere edilizie che possono interessare i prospetti del fabbricato o mediante l’installazione di impianti e attrezzature tecnologiche deve ora essere letta alla luce dell’appena pronunciata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
I requisiti di altezza interna sono ora quelli imposti dalla normativa statale, illegittimamente derogati dalla disciplina regionale dichiarata costituzionalmente illegittima. Pertanto, non si ravvisa il denunciato contrasto e la questione non è fondata.
6.4.4.2.– Anche la questione concernente i parametri di aeroilluminazione non è fondata.
Il legislatore regionale non deroga all’art. 5 del d.m. 05.07.1975. Tale previsione, richiamata dal ricorrente, impone per tutti i locali degli alloggi una illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso e detta anche una disciplina di dettaglio sull’ampiezza delle finestre e sul fattore luce diurna da garantire.
Non sussiste, pertanto, il contrasto con la normativa statale di principio che il ricorrente ha censurato.
Da tali rilievi discende la non fondatezza delle questioni promosse.
7.– Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente impugna, in riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, poi censurato, con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.
7.1.– Nell’originaria formulazione la disposizione impugnata stabilisce che la legge regionale si applichi «agli immobili esistenti o per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento richiesto alla data di approvazione della delibera del Consiglio comunale di cui al comma 1».
Si tratta della delibera con cui il Consiglio comunale, «limitatamente al riutilizzo di locali contigui alla strada pubblica», può individuare «parti del proprio territorio nelle quali non trovano applicazione le disposizioni» della legge in esame, riguardanti il «riutilizzo per l’uso residenziale dei locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati», e può altresì determinare «specifici ambiti del territorio comunale nei quali, in presenza di fenomeni di risalita della falda, è esclusa la possibilità di riutilizzo dei locali accessori e delle pertinenze di un fabbricato collocate in piani seminterrati».
Le previsioni della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 si applicano agli immobili realizzati successivamente, decorsi cinque anni dall’ultimazione dei lavori.
7.2.– Il motivo di ricorso verte sull’asserita applicazione retroattiva delle deroghe previste dalla legge regionale «ad immobili per la cui costruzione sia già stato conseguito il titolo abilitativo edilizio o l’approvazione dell’eventuale programma integrato di intervento».
Ad avviso del ricorrente, il «carattere innovativo, con efficacia retroattiva» della previsione censurata «potrebbe rendere legittime condotte che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore». Si determinerebbe così la «regolarizzazione ex post di opere che, al momento della loro realizzazione, erano in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento».
La previsione retroattiva dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 sarebbe sprovvista di «un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza» e lederebbe in maniera arbitraria «l’affidamento che la collettività ripone nella sicurezza giuridica», meritevole di particolare tutela «[n]ella specifica materia urbanistica».
Alla luce di tali rilievi, il ricorrente prospetta il contrasto con il principio di ragionevolezza enunciato dall’art. 3 Cost.
7.3.– Il medesimo contrasto è denunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020, con riguardo all’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020.
La disposizione impugnata, nella versione oggi vigente, prevede l’applicazione della legge reg. Liguria n. 30 del 2019 «ai locali, alle pertinenze e agli immobili, come definiti all’articolo 1, esistenti alla data della sua entrata in vigore o per la cui costruzione sia stato conseguito il titolo abilitativo edilizio prima della data di approvazione della deliberazione del Consiglio comunale di cui al comma 1».
Le modifiche apportate dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020 hanno soppresso il richiamo all’approvazione del programma integrato di intervento.
7.4.– Il ricorrente evidenzia che l’eliminazione del richiamo al programma integrato di intervento non sana i vizi di illegittimità costituzionale dedotti con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020.
Difatti, la portata derogatoria della disciplina sarebbe pur sempre «estesa con valenza retroattiva agli immobili già abilitati» e sacrificherebbe in modo arbitrario l’affidamento «dei controinteressati che si sono determinati sulla base dell’assetto normativo previgente».
7.5.– Le questioni, promosse con riguardo alla versione originaria e a quella oggi vigente dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, possono essere esaminate in una prospettiva unitaria, poiché identiche sono le argomentazioni addotte dal ricorrente e dalla Regione Liguria e identiche sono le censure.
7.6.– Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari formulate dalla Regione Liguria.
7.6.1.– Con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, impugnata con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020, la parte resistente ha eccepito l’improcedibilità delle censure. La disposizione sarebbe stata tempestivamente modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020 e, pertanto, si potrebbe escludere, con ogni verosimiglianza, che nel frattempo essa abbia ricevuto concreta applicazione.
Da tali considerazioni si potrebbe evincere, nella prospettiva della parte resistente, il sopravvenuto venir meno dell’interesse al ricorso.
7.6.2.– L’eccezione non può essere accolta.
L’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nell’originaria versione, che includeva anche il richiamo al programma integrato di intervento, è entrato in vigore il 15.01.2020. La legge regionale, difatti, è stata pubblicata il 31.12.2019 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 19, parte prima, e, in difetto di disposizioni di segno diverso, è entrata in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione, in base alle previsioni dell’art. 49, comma 2, della legge statutaria 03.05.2005, n. 1, recante «Statuto della Regione Liguria».
Quanto alla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha modificato la disposizione previgente e ha abrogato la previsione riguardante il programma integrato di intervento, è stata pubblicata il 12.02.2020 sul Bollettino Ufficiale della Regione, n. 1, parte prima, ed è dunque entrata in vigore il 27.02.2020, quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione.
La vigenza della norma per un apprezzabile arco di tempo –dal 15.01.2020 al 27.02.2020– non avvalora la sua mancata applicazione. Peraltro, nel regolare l’ambito di applicazione della nuova normativa, le previsioni impugnate producono effetti immediati e la parte resistente non ha allegato elementi circostanziati a sostegno della mancata applicazione nel periodo, non trascurabile, di vigenza.
Né tale sopravvenuta carenza di interesse si può desumere in maniera univoca dal contegno della parte ricorrente, che ha mostrato di coltivare l’impugnazione anche con riguardo all’originaria formulazione dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
7.6.3.– Con riguardo alla vigente formulazione della disposizione impugnata, la parte resistente ha eccepito l’inammissibilità in ragione della genericità delle argomentazioni svolte nel ricorso.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare, si sarebbe limitato a escludere la natura satisfattiva delle innovazioni e a configurare una lesione dell’affidamento, senza offrire, tuttavia, argomenti persuasivi.
7.6.4.– Neppure tale eccezione può essere accolta.
Il ricorrente ha osservato che le sopravvenienze non hanno inciso sul nucleo precettivo della disposizione impugnata e non hanno posto rimedio al vulnus denunciato, che non risiede nell’inclusione del programma integrato di intervento, ma nella paventata regolarizzazione di abusi preesistenti.
Quanto alla lesione dell’affidamento, la parte ricorrente ha mostrato di evincerla dalla natura retroattiva della disposizione e ha svolto –anche a tale riguardo– un’argomentazione adeguata, che consente di cogliere il senso delle censure.
I rilievi del ricorso non presentano, pertanto, le lacune segnalate dalla difesa regionale a sostegno dell’eccezione di inammissibilità.
7.7.– Le questioni promosse con riguardo all’originaria e all’odierna formulazione della disposizione impugnata non sono fondate.
7.7.1.– Le censure di irragionevolezza, per arbitraria lesione di un affidamento meritevole di tutela, si incentrano sulla premessa che la disposizione impugnata, con la sua valenza retroattiva, regolarizzi gli abusi preesistenti.
7.7.2.– Tale regolarizzazione deve essere esclusa, alla luce del dato letterale della normativa impugnata e delle finalità che la ispirano.
7.7.2.1.– Nel promuovere il riutilizzo –per vari scopi– di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, e di immobili, anche diruti, non utilizzati da almeno cinque anni, la legge reg. Liguria n. 30 del 2019 pone come requisito imprescindibile la legittima realizzazione o la regolare legittimazione alla data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 3, della legge regionale citata, per i locali accessori e le pertinenze, e comma 4, per gli immobili non utilizzati).
Il legislatore regionale estende, inoltre, le misure di incentivo anche agli immobili per la cui costruzione sia stato già conseguito il titolo abilitativo edilizio –o, nella versione previgente, sia stato approvato il programma integrato di intervento– prima della delibera del Consiglio comunale che individua le aree escluse, per esigenze di particolare tutela, dall’applicazione della legge.
Gli interventi disciplinati dal legislatore regionale riguardano dunque immobili legittimamente assentiti o comunque immobili per i quali si è positivamente concluso il vaglio dell’amministrazione che conduce al rilascio del titolo abilitativo o alla conclusione del programma integrato di intervento.
Alla luce del suo inequivocabile tenore letterale la disposizione impugnata non si risolve, quindi, nella regolarizzazione degli abusi già perpetrati.
7.7.2.2.– Tale asserita regolarizzazione è contraddetta anche dalla considerazione delle finalità perseguite dalla normativa in esame.
Essa si prefigge, all’art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, di promuovere gli interventi di riutilizzo, «con l’obiettivo di incentivare il riuso del patrimonio edilizio esistente e ridurre il consumo di suolo» e, secondo i princìpi generali (art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile), dispone per l’avvenire e si applica dunque alle opere ancora da realizzare.
Esula dalla finalità di una disciplina così congegnata la regolarizzazione di preesistenti condotte abusive, che non potrebbero essere ricondotte –da un punto di vista sia semantico sia finalistico– agli interventi di riutilizzo che il legislatore regionale intende favorire con misure mirate (negli stessi termini, per una fattispecie e per censure in gran parte analoghe, sentenza n. 118 del 2021, punto 3.2.1. del Considerato in diritto).
7.7.3.– La fattispecie sottoposta all’odierno scrutinio di costituzionalità non può essere assimilata, pertanto, a quella esaminata nella sentenza n. 73 del 2017, che il ricorrente richiama a fondamento delle censure.
Con la pronuncia indicata, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Basilicata 04.03.2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), che, dietro lo schermo dell’interpretazione autentica, avevano legittimato retroattivamente interventi difformi dagli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro realizzazione, in contrasto con il principio della doppia conformità.
Alle stesse conclusioni questa Corte è giunta nella sentenza n. 70 del 2020, con riguardo all’art. 2 della legge della Regione Puglia 17.12.2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30.07.2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)».
Anche in tale ipotesi la previsione impugnata, nel dichiarato intento di fornire l’interpretazione autentica della disciplina previgente, presentava nondimeno una portata innovativa, tale da rendere irragionevolmente legittime, in virtù della sua efficacia retroattiva, condotte che tali non erano allorché erano state attuate. Per questa via, il legislatore regionale aveva introdotto in maniera surrettizia una sanatoria, in contrasto con il principio fondamentale della doppia conformità.
La disposizione impugnata nell’odierno giudizio, per contro, si applica agli interventi di riutilizzo successivi alla sua entrata in vigore, a condizione che riguardino immobili legittimamente realizzati o che sia stata vagliata la conformità alla normativa edilizia, con il rilascio del titolo abilitativo o l’approvazione del programma integrato di intervento.
Essa delimita in senso restrittivo i presupposti degli interventi di riutilizzo che intende promuovere, senza introdurre alcuna sanatoria extra ordinem delle irregolarità preesistenti.
8.– Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 41 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri censura, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), l’art. 8, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che ha sostituito l’art. 12, comma 2, della legge della Regione Liguria 05.04.2012, n. 10 (Disciplina per l’esercizio delle attività produttive e riordino dello sportello unico).
8.1.– In virtù della disposizione impugnata, gli interventi di ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia, finalizzati all’ampliamento degli «insediamenti produttivi esistenti destinati ad attività artigianali, industriali, agricole ed agrituristiche, ad alberghi tradizionali, a strutture turistico ricettive e ad attività socio-assistenziali e commerciali, con esclusione delle grandi strutture di vendita», non possono essere cumulati con «gli ampliamenti consentiti dagli strumenti urbanistici comunali entro soglie percentuali predeterminate» e possono essere realizzati, mediante il procedimento unico disciplinato dall’art. 10 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012, «anche in deroga alla disciplina dei piani urbanistici e territoriali vigenti e/o operanti in salvaguardia».
La legge regionale fa salvo in ogni caso «il rispetto della dotazione dei parcheggi pertinenziali previsti dalla disciplina urbanistico comunale, nonché della dotazione di opere di urbanizzazione primaria e/o secondaria per il soddisfacimento degli standard urbanistici necessari».
8.2.– Il ricorrente assume che «la deroga generalizzata agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, anche se operanti in salvaguardia», in mancanza di «prescrizioni che impongano comunque il rispetto delle norme contenute nella Parte II del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, o in ogni caso del piano paesaggistico sovraordinato», invada «la sfera di potestà legislativa dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, come esercitata con gli articoli 20 e 21 del Codice di settore, e con le norme dello stesso Codice che impongono la pianificazione congiunta (artt. 135, 143 e 145)».
In violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., la disciplina regionale in esame incentiverebbe «l’ampliamento generalizzato dei complessi immobiliari in deroga agli strumenti pianificatori», senza salvaguardare l’applicazione della normativa statale riguardante i beni sottoposti a tutela.
La disposizione impugnata finirebbe così per «svuotare la funzione propria del piano paesaggistico», chiamato a «dettare, per ciascuna area tutelata, le prescrizioni del caso, le trasformazioni compatibili e quelle vietate, nonché le condizioni delle eventuali trasformazioni», e infrangerebbe l’obbligo di pianificazione congiunta tra Stato e Regioni.
Sarebbe violato anche l’art. 9 Cost., «che attribuisce allo Stato la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico».
8.3.– La Regione Liguria ha eccepito, in linea preliminare, l’inammissibilità delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.
8.3.1.– La disposizione impugnata non avrebbe innovato la disciplina degli interventi di ampliamento, già dettata dall’art. 12 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012.
La previsione che il ricorrente reputa lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato e dell’art. 9 Cost. sarebbe dunque «in vigore dal 2012» e non sarebbe stata introdotta dalla legge reg. Liguria n. 1 del 2020, che avrebbe soltanto raccordato la normativa previgente con il nuovo procedimento unico. Questi rilievi indurrebbero a ritenere la questione inammissibile.
8.3.2.– L’eccezione deve essere disattesa.
Nell’adeguare la disciplina dell’ampliamento degli insediamenti produttivi al procedimento autorizzatorio unico regionale (art. 10 della legge reg. Liguria n. 10 del 2012), la legislazione ligure conferma la deroga agli strumenti urbanistici, già contemplata dalla normativa previgente.
Tale circostanza, tuttavia, non preclude l’esame del merito, in quanto nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza e –nella prospettiva del ricorrente– la disposizione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte reitera la lesione insita nella disciplina anteriore (fra le molte, sentenze n. 25 del 2021, punto 17 del Considerato in diritto, e n. 106 del 2020, punto 2.1. del Considerato in diritto).
Sussiste, pertanto, l’interesse a ricorrere contro una disciplina che riproduce l’originario contenuto lesivo in un sistema peraltro contraddistinto da un nuovo e peculiare procedimento autorizzatorio.
8.4.– Le questioni, promosse nei confronti dell’art. 8, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, possono essere scrutinate nel merito.
Esse non sono fondate, nei termini di séguito precisati.
8.4.1.– Il ricorrente muove dall’assunto che la disposizione impugnata, nel derogare in via generale agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, non imponga il rispetto delle prescrizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e così consenta l’ampliamento anche di complessi immobiliari sottoposti a vincolo. Una disciplina così congegnata svilirebbe il ruolo essenziale del Piano paesaggistico, frutto di una elaborazione congiunta tra lo Stato e le Regioni.
8.4.2.– La disposizione impugnata ben può essere, tuttavia, interpretata in termini compatibili col dettato costituzionale.
8.4.2.1.– La deroga prevista dal novellato art. 12, comma 2, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012 è circoscritta alla pianificazione urbanistica e, peraltro, anche in tale ambito, non ha un’estensione indeterminata, come si evince dalle indicazioni del comma 1, che valgono a delimitarne l’ampiezza. È prescritto, in termini generali, il rispetto della «destinazione d’uso prevista dalla pianificazione urbanistica comunale» (lettera b), e delle «distanze minime dalle costruzioni esistenti stabilite dalla strumentazione urbanistica comunale o dalla vigente legislazione in materia» (lettera d).
Alla luce del dato testuale, la deroga censurata non investe la disciplina di tutela prevista nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il fatto che tale disciplina, provvista di valenza generale e di autonoma forza precettiva, non sia richiamata, non comporta una deroga implicita, per le ragioni già illustrate nei punti 5.4.3.1. e 5.4.3.2. nello scrutinio dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
8.4.2.2.– Anche il contesto complessivo, in cui la disposizione impugnata si colloca, avvalora tali conclusioni.
In una prospettiva di più efficace tutela, il legislatore regionale si è premurato di salvaguardare anche la «conformità con la disciplina del Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico», deputato a svolgere la funzione di pianificazione del paesaggio nelle more dell’approvazione del Piano paesaggistico (art. 12, comma 1, lett. e, della legge reg. Liguria n. 10 del 2012).
Nella fattispecie ora sottoposta allo scrutinio di questa Corte non si ravvisa quella deroga alle prescrizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico, che è a fondamento della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019.
La legge regionale citata ha dettato ulteriori previsioni di dettaglio, allo scopo di preservare i valori ambientali e paesaggistici. A tali finalità si ispirano, in particolare, la salvaguardia delle alberature di pregio presenti nell’area di intervento (lett. f), la messa a dimora di alberature di alto fusto «negli ampliamenti degli insediamenti industriali ed artigianali, lungo i confini a contatto con insediamenti a destinazione d’uso diversa da quella produttiva» (lettera g), l’obbligo di assicurare «un armonico inserimento rispetto alla costruzione esistente» per gli ampliamenti degli alberghi tradizionali, delle strutture turistico ricettive e delle strutture socio-assistenziali (lett. h), l’obbligo di rispettare «le tipologie edilizie degli edifici esistenti» con riguardo agli ampliamenti degli edifici adibiti alle attività di agriturismo (lett. i).
8.4.3.– La disciplina regionale, intesa alla luce di tutte le previsioni in cui si articola, non si risolve nell’indistinta approvazione degli interventi di ampliamento di beni vincolati, in contrasto con i princìpi enunciati dall’art. 9 Cost., e non entra in conflitto con il Piano paesaggistico e con le regole che presiedono alla sua elaborazione congiunta, nel quadro della competenza legislativa esclusiva statale sancita dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Nei termini indicati, pertanto, la questione non è fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
   1)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge della Regione Liguria 24.12.2019, n. 30 (Disciplina per il riutilizzo di locali accessori, di pertinenza di fabbricati e di immobili non utilizzati), nella parte in cui, con riguardo ai locali accessori e alle pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, subordina gli interventi consistenti nel mero mutamento di destinazione d’uso senza opere alla segnalazione certificata d’inizio attività di cui all’art. 13-bis della legge della Regione Liguria 06.06.2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia), anche con riguardo agli immobili posti nelle zone territoriali omogenee A di cui all’art. 2 del decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, recante «Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765»;
   2)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge della Regione Liguria 06.02.2020, n. 1 (Adeguamento della legislazione regionale in materia di disciplina edilizia per le attività produttive alla disciplina statale e altre disposizioni in materia di governo del territorio), nella parte in cui dispone che il riutilizzo di locali accessori e di pertinenze di un fabbricato, anche collocati in piani seminterrati, nonché di immobili non utilizzati, anche diruti, sia ammesso in deroga alla disciplina del vigente Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, approvato ai sensi della legge della Regione Liguria 22.08.1984, n. 39 (Disciplina dei piani territoriali di coordinamento);
   3)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019;
   4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
   5) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
   6) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 35 del 2020;
   7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 35 del 2020;
   8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge reg. Liguria n. 30 del 2019, nella formulazione originaria e in quella modificata dall’art. 24, comma 3, della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, rispettivamente con i ricorsi di cui al reg. ric. n. 35 e n. 41 del 2020;
   9) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. b), della legge reg. Liguria n. 1 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui al reg. ric. n. 41 del 2020 (Corte Costituzionale, sentenza 17.06.2021 n. 124).

agosto 2017

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 33 del 14.08.2017, "Assestamento al bilancio 2017/2019 - I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali" (L.R. 10.08.2017 n. 22).
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Si leggano, di particolare interesse:
Art. 4 (Disposizioni finanziarie)
   4. Alla legge regionale 12.10.2015, n. 33 (Disposizioni in materia di opere o di costruzioni e relativa vigilanza in zone sismiche) sono apportate le seguenti modifiche:
a) dopo il comma 3 dell’articolo 2 sono aggiunti i seguenti:
«3-bis. La Regione, nei limiti delle disponibilità di bilancio, assegna contributi ai comuni, singoli o associati, con popolazione fino a 5.000 abitanti, per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1.
3-ter. La Giunta regionale, con la deliberazione di cui all’articolo 13, comma 1, stabilisce i criteri e le modalità per l’assegnazione dei contributi previsti al comma 3-bis, in funzione delle necessità organizzative e di supporto specialistico in materia sismica delle strutture tecniche comunali.»;
b) prima del comma 1 dell’articolo 14 è aggiunto il seguente:
«01. Alle spese di cui all’articolo 2, comma 3-bis, quantificate in € 160.000,00 per l’esercizio finanziario 2017 e in € 350.000,00 annui per gli esercizi finanziari 2018 e 2019, si fa fronte con le risorse allocate alla missione 11 «Soccorso Civile», programma 2 «Interventi a seguito di calamità naturali» - Titolo 1 «Spese correnti». Dalle successive annualità si provvede con le leggi di approvazione di bilancio dei singoli esercizi finanziari.».

Art. 11 (Modifiche a leggi regionali a seguito di impegni assunti con il Governo, in attuazione del principio di leale collaborazione)
   2. I commi 1-bis e 1-ter dell’articolo 5, il comma 4-bis dell’articolo 10 e il comma 1-bis dell’articolo 13 della legge regionale 12.10.2015, n. 33 (Disposizioni in materia di opere o di costruzioni e relativa vigilanza in zone sismiche), come inseriti dall’articolo 25, comma 1, lettere a), f) e g), della legge regionale 26.05.2017, n. 15 (Legge di semplificazione 2017), sono abrogati.
   4. Alla legge regionale 10.03.2017, n. 7 (Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti) è apportata la seguente modifica:
a) nel primo periodo del comma 8 e al comma 9 dell’articolo 2 le parole «superficie lorda di pavimento (SLP)» sono sostituite dalle seguenti: «superficie lorda (SL)».
Art. 12 (Modifiche agli articoli 1, 2, 3 e 4 della l.r. 7/2017)
   1. Alla legge regionale 13.03.2017, n. 7 (Recupero dei vani e dei seminterrati esistenti) sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 4 dell’articolo 1 è aggiunto il seguente periodo: «Qualora i locali presentino altezze interne irregolari, si considera l’altezza media, calcolata dividendo il volume della parte di vano seminterrato la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa.»;
b) al comma 4 dell’articolo 2 è aggiunto il seguente periodo: «Per gli interventi di recupero fino a 100 mq. di superficie lorda, anche nei casi di cambio di destinazione d’uso, sono esclusi il reperimento di aree per servizi e attrezzature pubblici e di interesse pubblico o generale e la monetizzazione.»;
c) il comma 3 dell’articolo 3 è sostituito dal seguente: «3. Qualora il recupero dei locali seminterrati comporti la creazione di autonome unità ad uso abitativo, i comuni trasmettono alle Agenzie di tutela della salute (ATS) territorialmente competenti copia della segnalazione certificata presentata ai sensi dell’articolo 24 del d.p.r. 380/2001, che deve essere corredata da attestazione sul rispetto dei limiti di esposizione al gas radon stabiliti dal regolamento edilizio comunale o, in difetto, dalle linee guida di cui al decreto del direttore generale sanità della Giunta regionale di Regione Lombardia 21.12.2011, n. 12678 (Linee guida per la prevenzione delle esposizioni al gas radon in ambienti indoor) e successive eventuali modifiche e integrazioni.»;
d) dopo il comma 3 dell’articolo 3 sono aggiunti i seguenti: «3 bis. Le pareti interrate dovranno essere protette mediante intercapedini aerate o con altre soluzioni tecniche della stessa efficacia.
3-ter. Dovrà essere garantita la presenza di idoneo vespaio aerato su tutta la superficie dei locali o altra soluzione tecnica della stessa efficacia.
3-quater. Per il recupero ad uso abitativo inteso come estensione di un’unità residenziale esistente e solo per locali accessori o di servizio è sempre ammesso il ricorso ad aeroilluminazione totalmente artificiale purché la parte recuperata non superi il 50 per cento della superficie utile complessiva dell’unità.
3-quinquies. Per il recupero ad uso abitativo inteso come creazione di unità autonome, il raggiungimento degli indici di aeroilluminazione con impianti tecnologici non potrà superare il 50 per cento rispetto a quanto previsto dai regolamenti locali.
3-sexies. Per il recupero ad uso abitativo, per il calcolo dei rapporti aeroilluminanti la distanza tra le luci del locale e il fabbricato prospiciente dovrà essere di almeno metri 2,5.»;
e) al comma 1 dell’articolo 4 sono apportate le seguenti modifiche:
   1) le parole «Entro il termine perentorio di centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 31.10.2017»;
   2) le parole «e comunque non oltre il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge» sono sostituite dalle seguenti: «entro il 31.10.2017».

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia: abitabilità seminterrati più semplice. Prorogato al 31 ottobre il termine per i Comuni per recepire la nuova norma.
La Lombardia ha approvato le modifiche alla legge regionale 7/2017 sull’abitabilità dei seminterrati in virtù di una maggiore chiarezza e semplicità burocratica. Di seguito riportiamo le novità introdotte. (...continua) (02.08.2017 - link a www.casaeclima.com).

luglio 2017

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Legge regionale 10.03.2017, n. 7 (BURL n. 11 del 13 marzo) – Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti – Indicazioni per l’individuazione degli ambiti di esclusione di cui all’art. 4 (Regione Lombardia, Direzione Generale Welfare, nota 19.07.2017 n. 23689 di prot.)

EDILIZIA PRIVATA: F. Donegani, Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti (Legge regione Lombardia 10.03.2017, n. 7) (14.07.2017 - link a www.studiospallino.it).

giugno 2017

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 23 del 09.06.2017, "Monitoraggio degli interventi di recupero dei vani e locali seminterrati in attuazione della legge regionale 10.03.2017, n. 7" (decreto D.S. 05.06.2017 n. 6555).

maggio 2017

EDILIZIA PRIVATA: F. Donegani, Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti - Legge Regionale Lombardia 10.03.2017 n. 7 (20.05.2017 - tratto da www.studiospallino.it).

aprile 2017

EDILIZIA PRIVATARecupero dei seminterrati, contano epoca e livello. Le norme regionali considerano data di costruzione e struttura dei locali.
Urbanistica. Oltre alla Lombardia, sette Regioni regolano il riuso a fini abitativi o commerciali.

La Lombardia è l’ottava regione a disciplinare il recupero dei vani e dei locali seminterrati. Con la legge regionale 10.03.2017 n. 7 essa si aggiunge a Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
La motivazione ricorrente delle normative regionali approvate su questa materia è che dell’utilizzo di questi spazi è un modo per contenere il consumo di suolo, che si avrebbe, altrimenti, con la costruzione di nuovi edifici. A questa giustificazione di base in qualche caso se ne aggiungono altre. La legge lombarda si propone anche di favorire l’installazione di impianti tecnologici, il contenimento dei consumi energetici (obiettivi condivisi anche con la normativa pugliese), e delle emissioni in atmosfera.
Le leggi delle Regioni che per prime intervennero sulla materia furono tutte approvate nei primi anni 2000, con una forte concentrazione tra il 2005 e il 2010. Dalla loro entrata in vigore, alcune di esse sono state, però, soggette a più di un intervento di manutenzione, anche recente, con modifiche relative ai vincoli e ai requisiti necessari per poter fruire degli interrati e dei seminterrati come abitazioni o per lo svolgimento di attività terziarie e commerciali.
In Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia gli ultimi interventi di restyling sono stati fatti nel 2016, mentre in Molise sulla legge del 2008 si sono rimesse le mani all’inizio di quest’anno.
I locali recuperabili
Le leggi regionali in alcuni casi (Basilicata Calabria e Puglia) consentono il recupero dei volumi di locali posti sia ai piani seminterrati sia a quelli interrati. In altre invece (Lombardia) è possibile recuperare solo i seminterrati.
La definizione di cosa debba intendersi per piano interrato o seminterrato è dettagliata in misura differente da Regione a Regione. Nella legge lombarda l’individuazione di piano seminterrato è generica: è quello il cui pavimento si trova in parte sotto la quota del terreno posto in aderenza all’edificio e il cui soffitto si trova sopra tale quota.
In altre la collocazione dei piani è più dettagliata. In Calabria, Puglia, Molise e Basilicata, per esempio, è considerato seminterrato il piano la cui superficie laterale è contro terra per una percentuale non superiore ai due terzi della superficie laterale totale; superata questa percentuale il piano è considerato interrato.
La distinzione è importante nei casi in cui la legge regionale fa distinzione tra le destinazioni d’uso dei locali recuperati. In Calabria, per esempio, possono diventare abitazioni solo i seminterrati, mentre possono essere utilizzati per ospitare attività commerciali sia i semi che gli interrati.
La costruzione dell’immobile
Uno dei vincoli più frequenti fissati dalle leggi riguarda la data in cui l’edificio deve risultare esistente affinché si possa ampliare l’uso dei locali che sono stati realizzati totalmente o in parte sottoterra. È uno dei paletti più importanti per disegnare i confini entro cui si possono applicare benefici previsti dalle norme regionali.
Fatta eccezione per la Calabria, le altre Regioni che negli anni scorsi hanno disciplinato il recupero dei seminterrati inizialmente fecero coincidere la data di esistenza dell’immobile con quella di entrata in vigore delle rispettive leggi. Nel tempo però questo termine è stato spostato in avanti.
La Basilicata lo ha portato al 31.12.2013 e la Puglia al 30 giugno di quello stesso anno. La legge di bilancio della regione Molise l’ha fissato al 31.12.2016 purché a quella data risultasse ultimata l’intera struttura portante dell’edificio, e fosse regolarmente certificata e realizzata nel rispetto delle normative vigenti oppure fosse stata preventivamente sanata.
La Calabria ha disciplinato il recupero dei vani interrati e seminterrati con la legge sul piano casa del 2010. Per il recupero non sembra, però, aver posto alcun limite legato alla data di costruzione , come invece ha fatto per gli interventi di demolizione e ricostruzione agevolati.
Infine, la legge della Lombardia consente il recupero dei vani e locali seminterrati esistenti o per i quali sia stato ottenuto il titolo abilitativo entro il termine (120 giorni dall'entrata in vigore della legge) concessi ai Comuni per limitare l'applicazione delle norme. Ma le date che verranno fuori nei singoli Comuni non delimiteranno definitivamente gli ambiti di applicazione. La legge, infatti, si applicherà anche agli immobili costruiti successivamente a tali date dopo che saranno decorsi cinque anni dall'ultimazione dei lavori (articolo Il Sole 24 Ore del 10.04.2017 - tratto da www.centrostudicni.it).

marzo 2017

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Legge regionale 7/2017 per il recupero dei seminterrati esistenti (Ance di Bergamo, circolare 17.03.2017 n. 65).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, supplemento n. 11 del 13.03.2017, "Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti" (L.R. 10.03.2017 n. 7).
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Si legga anche:
- Consiglio Regionale approva nuove norme per il recupero di vani e locali seminterrati (28.02.2017 - link a www.lombardiaquotidiano.com).

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, Lombardia: legge per il recupero dei vani e locali seminterrati esistenti.
E' in attesa di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia la proposta di legge approvata dal Consiglio Regionale nella seduta del 28.02.2017 e intitolata "Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti" (...continua) (11.03.2017 - link a http://studiospallino.blogspot.it).

EDILIZIA PRIVATASeminterrati abitabili in Lombardia. Leggi regionali. Approvata la legge che consente l’agibilità di porzioni immobiliari interrate con adeguati sistemi di illuminazione e ricambio di aria.
Tutti giù per terra. Con la legge regionale approvata martedì dal Consiglio regionale lombardo (progetto di legge 258, presentato da Fabio Altitonante nel 2015) si aprono prospettive decisamente ampie per chi decide di usare come abitazioni i seminterrati.
La norma, in attesa di pubblicazione sul Burl e non ancora in vigore, ha superato la presentazione di ben 46 emendamenti (ne sono stati approvati solo alcuni, di cui alcuni incisivi di Iolanda Nanni del M5S e di Viviana Beccalossi di F.d’I.) e prevede, in sostanza, che nei seminterrati recuperati si potranno realizzare uffici, appartamenti e attività commerciali.
Il seminterrato viene definito come il piano di un edificio anche solo parzialmente interrato e il cui soffitto si trova a una «quota superiore» rispetto al terreno in aderenza all’edificio» (anche solo di pochi centimetri). È prevista un’altezza minima del locale di 2,40 metri.
Non occorre, però, che ci siano finestre: «La novità -dice Altitonante- è che le norme di aeroilluminazione potranno essere garantite anche con impianti e attrezzature tecnologiche». Quindi anche un locale quasi completamente sotterraneo potrà ospitare alloggi, negozi o uffici, purché esistano impianti di illuminazione e di riciclo dell’aria, nonché igienico-sanitari, sufficienti a rispettare le norme vigenti. I Comuni devono inviare alle Asl copia del certificato di agibilità in modo che possano essere fatti tempestivamente i controlli.
Il recupero non è soggetto a preventiva adozione di piano attuativo o permesso di costruire; se sono previste opere edili si chiederà il normale titolo edilizio del caso, altrimenti basterà la comunicazione preventiva al Comune.
I Comuni, entro 120 giorni dalla legge, potranno limitare gli ambiti territoriali dove effettuare gli interventi per esigenze di tutela paesaggistica, rischio idrogeologico e difesa del suolo. Trascorsi i 120 giorni potranno ugualmente intervenire in caso di alluvioni o a seguito specifiche analisi di rischio idrogeologico. Una volta scelta la destinazione d’uso, questa non potrà essere più cambiata per dieci anni.
La norma riguarda i seminterrati già realizzati alla data di entrata in vigore della legge, posti in edifici che siano serviti da opere di urbanizzazione primaria. Attenzione: trascorsi cinque anni dall’ultimazione, anche i seminterrati in edifici costruiti dopo la legge potranno essere regolarizzati. Quindi, dato che il seminterrato come tale non fa volumetria, sfuggirebbe “ex post” ai limiti imposti dai Comuni. I quali avrebbero però un rimedio: inserire nelle norme urbanistiche la previsione del computo volumetrico dei seminterrati una volta resi agibili.
«La legge è impostata come una liberalizzazione e non come una sanatoria edilizia -precisa Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia.- E consente di andare incontro ai bisogni delle famiglie». Di fatto, è difficile verificare un uso irregolare di fatto di questi locali precedente alla norma.
Qualche problema di adattamento si avrà in condominio: per l’uso più intenso degli spazi comuni (scale e androni), per la necessaria revisione delle tabelle millesimali e per gli eventuali limiti contenuti nei regolamenti condominiali contrattuali
(articolo Il Sole 24 Ore del 02.03.2017).

EDILIZIA PRIVATALombardia, ok alla legge per recuperare i seminterrati.
Via libera alla legge per il recupero dei vani e dei locali seminterrati esistenti, approvata a maggioranza dal Consiglio regionale della Lombardia.

Ieri è stato votato il testo definitivo del
progetto di legge 258, pensata per facilitare la ristrutturazione di spazi già esistenti ma non sfruttati, da adibire ad uso abitativo, commerciale o terziario.
I seminterrati da recuperare non potranno essere inferiori di 2,40 metri, stabilisce il provvedimento, abbassando di 0,30 metri il parametro relativo all'altezza. In caso di aumento del carico urbanistico, vi è l'obbligo di creare nuovi spazi per parcheggi e servizi, permettendo in caso di impossibilità di monetizzarli. Esentati dal versamento del costo di costruzione solo i seminterrati con una superficie lorda non superiore ai 200 metri quadrati se adibita a uso abitativo e non superiore ai 100 metri quadrati se per altri usi, che costituiscono pertinenza diretta di unità immobiliari.
Entro il termine di 4 mesi dall'entrata in vigore i comuni dovranno disporre l'esclusione di parti del territorio dall'applicazione della legge per esigenze legate alla tutela del paesaggio, al rischio idrogeologico e alla difesa del suolo. Superata la scadenza i luoghi da escludere potranno essere aggiornati in caso di nuovi eventi alluvionali o in seguito a specifiche analisi di rischio geologico e idrogeologico.
Rimangono preclusi gli spazi oggetto di attività di bonifica, in corso o già effettuate, e i luoghi dove siano presenti fenomeni di risalita della falda acquifera. Gli interventi, da effettuare nel rispetto di tutte le prescrizioni igienico-sanitarie, saranno possibili solo sui seminterrati legittimamente realizzati alla data di entrata in vigore della legge e solo dove siano posti in strutture servite da tutte le urbanizzazioni primarie.
Per quanto riguarda gli immobili realizzati dopo l'entrata in vigore della legge, sarà necessario attendere almeno 5 anni per poter applicare questo provvedimento. Inoltre nei dieci anni successivi al conseguimento dell'agibilità i vani e i locali seminterrati non potranno essere oggetto di mutamento di destinazione d'uso, pena il pagamento di un corrispettivo come previsto nella legge n. 12/2005 (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2017).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, è legge il recupero dei seminterrati per uso abitativo, commerciale o terziario.
Colombo Clerici (Assoedilizia): “Si amplia l’offerta di funzioni e non si consuma nuovo suolo. Calcoliamo che, nel tempo, potranno prevedersi circa 40 mila interventi ai sensi di questa legge” (01.03.2017 - link a www.casaeclima.com).

gennaio 2017

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATASeminterrati abitabili nei condomìni lombardi.
È stato presentato in Regione Lombardia il progetto di legge n. 258 di iniziativa consiliare relativo al «Recupero dei piani seminterrati esistenti».
Si tratta di «piani la cui superficie laterale si presenta come parzialmente controterra, in misura comunque non superiore ai 2/3 della superficie laterale totale» e già realizzati in forza di un titolo concessorio legittimo. Devono anche: far parte di edifici serviti da tutte le urbanizzazioni primarie; rispettare tutte le prescrizioni igieniche (tranne l’altezza che, in ogni caso, deve essere almeno m. 2,40 e comunque non sembra ammissibile eseguire uno scavo per aumentarla); essere dotati di parcheggi pertinenziali.
Infine devono essere provvisti di isolamento termico e avere realizzato l'abbattimento delle barriere architettoniche ai sensi di quanto disposto dalla legge regionale 6/1989.
Tale intervento di recupero non si configura esclusivamente come mutamento di destinazione dell'unità di seminterrato ma, quel che più conta, determina un incremento di volumetria abitabile, in ogni caso legittimata, che, diversamente da quanto prevede la disciplina di recupero dei sottotetti, può essere destinata non solo ad abitazione ma anche a uso terziario e commerciale.
La legittimazione dell'intervento è determinata esclusivamente dal consenso del Comune, che dovrà certificare la rispondenza dell'opera alle prescrizioni tutte dettate dalla norma: e questo nell'ipotesi si tratti di un seminterrato di un edificio appartenente ad un unico proprietario.
Ma nell'ipotesi di seminterrato di proprietà di un singolo condòmino posto in un edificio condominiale l'interveniente, prima di dare corso al procedimento di consenso comunale, dovrà accertarsi della inesistenza di impedimenti alla trasformazione o di speciali obblighi determinati a suo carico in forza della disciplina condominiale.
Vediamo i principali:
   1) eventuali prescrizioni di un regolamento contrattuale escludenti determinate destinazioni delle unità immobiliari (non superabili neppure con il sì del Comune);
   2 l'opera non deve procurare un danno alle parti comuni e non deve neppure determinare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio; il condomino deve darne notizia all'amministratore, che riferirà poi all' assemblea e il condominio potrà esercitare i suoi controlli;
   3) i progetti che incidono sull'aspetto esteriore di luoghi ed edifici sono soggetti al preliminare benestare di compatibilità paesaggistica;
   4) devono essere previste idonee opere di isolamento termico;
   5) l'assemblea condominiale potrà rettificare la tabella, con la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell'edificio, se si sia verificata l'alterazione per più di 1/5 del valore proporzionale di una unità immobiliare.
Se invece il seminterrato è proprietà condominiale indivisa la trasformazione deve essere deliberata all'unanimità. L'intervento, infatti, non si configura come un semplice mutamento di destinazione d'uso ma come creazione sull'edificio di una nuova volumetria, per la quale andranno corrisposti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione
(articolo Il Sole 24 Ore del 24.01.2017).