dossier
STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA: Bene privato gravato da una servitù di uso pubblico (c.d.
strada vicinale) – Caratteristiche di questo diritto –
Costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene
privato.
In generale, un bene privato –gravato da
una servitù di uso pubblico– è sottratto alla disponibilità
del proprietario che non può disporne l’interdizione, né
limitarne l’uso.
Pertanto, una strada privata –gravata da uso pubblico (c.d.
strada vicinale)– si caratterizza per la sua destinazione al
servizio di una collettività indeterminata di soggetti
considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia
quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, cd.
passaggio) da parte di una collettività indeterminata di
persone sul bene privato.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto, sono:
a) il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un
gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione
dell’uso da tempo immemorabile.
Si tratta della dicatio ad patriam, quale modo di
costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene
privato, consistente nel comportamento del proprietario che,
se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di
uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di
continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene
a disposizione della collettività, assoggettandolo al
correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che
occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale o
ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai
membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai
motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla
sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.10.2023 n. 42243 - link a www.ambientediritto.it).
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SENTENZA
5.5. Parimenti destituito di fondamento risulta l’ulteriore
assunto difensivo teso ad affermare la natura privata della
strada.
Che si tratti di strada ad uso pubblico, infatti, risulta
pacificamente dal certificato di destinazione urbanistica n.
159B-B PUG, che classifica la stessa come strada urbana di
tipologia 3 d’uso pubblico, come individuata dal PUG, c.d.
piano urbanistico generale, nonché dalla delibera della
Giunta Comunale n. 81 del 17.12.2014, che ha denominato la
strada come “Via Giuseppe Conversi”.
Risultano poi dagli
atti ulteriori elementi a sostegno dell’assunto accusatorio,
quali il fatto che la strada è stata ininterrottamente nella
piena disponibilità di fatto del Comune, atteso che
attraverso la stessa passano le condutture asservite ai
complessi edilizi retrostanti; che sin dalla data di
realizzazione della stessa il Comune ha assicurato il
servizio di pulizia urbana, nonché a partire dal dicembre
2016, il servizio di raccolta rifiuti delle singole utenze
domestiche con metodo porta a porta; infine, la circostanza
che la stessa sia di uso generalizzato e continuativo da
parte della collettività, che la percorre per raggiungere le
aree urbane ed il parco retrostante.
In tal senso, la più recente giurisprudenza amministrativa
ha rilevato che un bene privato –gravato da una servitù di
uso pubblico– è sottratto alla disponibilità del
proprietario che non può disporne l’interdizione, né
limitarne l’uso (Tar Lombardia, Brescia, sentenza 25.07.2022 n. 734).
È infatti noto che una strada privata –gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale)– si
caratterizza per la sua destinazione al servizio di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives,
ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere
generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si
trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, cd. passaggio) da
parte di una collettività indeterminata di persone sul bene
privato (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11.03.2016, n.
507).
In particolare, l’art. 3, comma 1, n. 52, del D.Lgs. n. 285
del 1992, fa sì che queste debbano essere necessariamente
interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a
fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei
relativi accessori e pertinenze, spettante ai proprietari
dei fondi latistanti, l’Ente pubblico comunale possa vantare
su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto
reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle
spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al
consorzio privato di gestione, ai sensi dell’art. 3 del
D.Lgs. n. 1446/1918, «Facoltà agli utenti delle strade
vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e
la ricostruzione di esse»), onde garantire la sicurezza
della circolazione che su di essa si realizza (TAR Friuli-Venezia Giulia, 24.07.1989, n. 277).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto,
ravvisabili senza dubbio nella vicenda esaminata nel
presente giudizio, sono:
a) il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un
gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione
dell’uso da tempo immemorabile.
Si tratta della dicatio ad patriam, quale modo di
costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene
privato, consistente nel comportamento del proprietario che,
se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di
uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di
continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene
a disposizione della collettività, assoggettandolo al
correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che
occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale o
ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai
membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai
motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla
sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima (TAR
Friuli Venezia Giulia, sez. I, 08.04.2011, n. 184).
5.6. Alla luce di quanto chiarito, destituito di fondamento
risulta dunque il rilievo difensivo teso ad affermare la
piena libertà dei ricorrenti di installare le tre barriere
new jersey oggetto di contestazione, in ragione della natura
privata dell’area essendo venuto meno il vincolo
quinquennale all’espropriazione.
Peraltro, deve essere
evidenziato che, diversamente da quanto sostenuto dalla
difesa, non è condivisibile nemmeno l’ulteriore argomento
secondo il quale i manufatti contestati avrebbero
rappresentato soltanto una soluzione provvisoria, in attesa
di realizzare un sistema automatico finalizzato ad inibire
l’accesso a soggetti “non autorizzati” ad accedere a tale
strada.
In tal senso, non può ammettersi un intervento del
proprietario mediante il ricorso all’art. 841 cod. civ., a
fronte del quale «il proprietario può chiudere in qualunque
tempo il fondo», proprio in considerazione del fatto che,
nel caso di specie, il bene è gravato da una servitù di
passaggio, il cui esercizio del diritto (ossia, il passaggio
pubblico) non può essere limitato (Cass. civ., sez. VI, 02.09.2019, n. 21928). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima l'occupazione di ‘un’area di parcheggio esterna con
carrelli funzionali all’attività di vendita’, pari a 3,41
mq, in assenza della necessaria concessione di occupazione
del suolo pubblico.
In punto di fatto, si rileva che sullo spazio in
questione, di 3,41 mq, è stata collocata una pensilina
ancorata al suolo, sotto la quale sono posizionati i
carrelli utilizzabili dai clienti dell’esercizio
commerciale.
Evidentemente, poiché per ragioni di sicurezza i carrelli
non possono essere liberamente collocati nell’area
complessivamente destinata al parcheggio e al conseguente
transito dei veicoli, la società ha inteso individuare
un’area determinata ove i clienti possano agevolmente
munirsi di essi.
Ciò posto, il Collegio ritiene che effettivamente l’area in
questione si debba intendere destinata a parcheggio, al
servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad
patriam.
La dicatio ad patriam può conseguire o ad un atto volontario
del proprietario, oppure ad una ‘scelta imposta’.
La ‘scelta libera’ si ha quando il proprietario, per
munificenza o per altre ragioni (ad es. di culto o di
ostentazione), consente alla collettività locale di
utilizzare un suo bene, sia pure in orari o in giorni
limitati: si pensi al proprietario di un bene monumentale,
che consenta alla collettività locale di accedere
periodicamente alla propria chiesa, per le attività di
culto.
La ‘scelta imposta’ si ha tipicamente nel diritto
urbanistico, allorquando –per il soddisfacimento degli
standard– il titolare di un titolo edilizio può costruire
un proprio bene, purché realizzi spazi destinati al transito
o al parcheggio.
Tali spazi –anche se non diventano di proprietà pubblica–
di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo
privatistico e comunque non possono avere una destinazione
diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la
realizzazione del bene principale.
Pertanto, quando il titolo edilizio consente la
realizzazione di una struttura di vendita e prevede la
destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero
deve mantenere siffatta destinazione: il numero di posti
auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere
ridotto, in conseguenza di attività che in linea di
principio sarebbero libere estrinsecazioni delle facoltà
dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati
a parcheggio.
A volte, alla ‘scelta imposta’ di destinare spazi a
parcheggio si può aggiungere anche una ‘scelta libera’, che
pur sempre necessita del relativo titolo edilizio, dal
momento che l’alterazione delle aree per creare un
parcheggio richiede sempre il titolo edilizio.
Tali considerazioni riguardano anche i casi in cui sia stato
realizzato un esercizio commerciale, dotato di parcheggi in
applicazione delle regole sugli standard.
Il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando
destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima
richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di
utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono
assoggettati ad una servitù di diritto pubblico.
Contrariamente a quanto ha dedotto la ricorrente, è irrilevante
la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in
questione) di evitare la continuativa utilizzazione del
parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di
chiusura dell’esercizio commerciale.
Come si è sopra rilevato, mediante la dicatio ad patriam si
consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per
limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre
che vi sia la continuatività dell’utilizzo.
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... per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- della determinazione dirigenziale n. prot. CO/160971/2018
del 19.10.2018, notificata in data 23.11.2018 (n.
rep. CO/2204/2018), mediante la quale la U.O. Amministrativa
e Affari Generali del Municipio Roma X di Roma Capitale, ha
stabilito: “… di disporre nei confronti della Gr.Sd.
S.r.l.
1) Il ripristino dello stato dei luoghi ovvero
l'immediata rimozione dell'occupazione abusiva, di cui al
verbale n. 14-38102 del 12.04.2018, elevato nei suoi
confronti dagli operatori di Polizia Locale X Gruppo Mare in
Via ... 216, e comunque di ogni tassabile
non autorizzato, a sua cura e spese;
2) la sospensione per tre giorni dell'attività commerciale
sita in Via ... 16/30, a decorrere dal decimo giorno
dalla data di notifica della presente determinazione
dirigenziale, come previsto dal combinato disposto dall'art.
6 della Legge 25.03.1997 n. 77 e dall'art, 14, commi 5 e
6, della D.A.C. 39/2014, e comunque fino al completo
ripristino di cui al punto 1).”;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti proposti dalla Gruppo
Sda S.r.l. il 30.07.2019:
- del Verbale di sopralluogo prot. n. VO/2019/34975 del 30.04.2019 del Corpo di Polizia di Roma Capitale, X Gruppo
mare, conosciuto dalla ricorrente società mediante deposito telematico avversario, effettuato in corso di giudizio, in
data 29.05.2019, dal seguente tenore letterale: “L'anno
duemila 19 e questo di 30 del mese di APRILE a ore 2° turno,
noi sottoscritti IIPL GA.Si. e MO.An. a
seguito della richiesta come da oggetto riferiscono di
seguito:
i carrelli sono inseriti all'interno di una struttura
metallica adeguata a creare un recinto di contenimento degli
stessi.
Aperta da un lato al fine di mettere a disposizione della
clientela l'uso dei carrelli la struttura è inserita in
un'area prospiciente la carreggiata, tale da essere un
proseguimento della stessa dove sono inseriti i parcheggi
del negozio, segnalati da un apposito cartello.
È bene precisare che l'area in questione non risulta essere
chiusa totalmente, tale da poter evitare l'uso della
struttura, sebbene si presuma che i carrelli vengono portati
all'interno dell'attività commerciale in orario di chiusura.
Una delimitazione dell'area ma solo in modo visivo è
effettuata con parapedonali nel corridoio antistante
l'attività, la struttura suindicata è comunque esterna.
Si rimette il tutto a chi di dovere per il più a
praticarsi.”;
- della documentazione fotografica, anch'essa conosciuta
dalla ricorrente società a seguito di deposito telematico
avversario, effettuato in data 29.05.2019;
- della nota di trasmissione prot. CO20190081705 del 20.05.2019 della U.O. Amministrativa, a firma del Direttore
Ni. De Be., anch'essa conosciuta dalla ricorrente
società mediante depositato telematico avversario,
effettuato il 29.05.2019;
- nonché di tutti gli atti preordinati, connessi e
conseguenziali, ancorché non conosciuti o resi noti.
...
1. La società odierna ricorrente gestisce un esercizio
commerciale di medie dimensioni in Roma, alla via Salorno.
A seguito di sopralluoghi effettuati in data 12.04.2018
e 01.10.2018, la polizia urbana ha accertato che la
società ha occupato ‘un’area di parcheggio esterna con
carrelli funzionali all’attività di vendita’, pari a 3,41
mq, in assenza della necessaria concessione di occupazione
del suolo pubblico.
2. Con il provvedimento n. 160971 del 19.10.2018, Roma
Capitale ha ordinato alla società il ripristino dello stato
dei luoghi con la rimozione delle opere abusive, nonché la
sospensione per tre giorni dell’attività commerciale.
3. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società ha
impugnato il provvedimento di data 19.10.2018, nonché
il verbale di sopralluogo di data 12.04.2018, proponendo
tre motivi di censura.
Nel dedurre che gli spazi oggetto delle contestazioni sono
destinati alla sosta di carrelli dotati di ruote e necessari
per gli acquisti, la società col primo motivo ha lamentato
la violazione della normativa sulle concessioni di suolo
pubblico (OSP) e sul canone (COSAP) e in particolare degli
articoli 14 e 14-bis del regolamento comunale, nonché la
violazione della legge n. 241 del 1990 e vari profili di
eccesso di potere.
La società ha in particolare dedotto che la normativa
regolamentare in questione non si applicherebbe, poiché ella
detiene a titolo di affitto le aree destinate a parcheggio,
che risultano di proprietà privata e non risultano
transitabili nelle ore in cui l’esercizio commerciale è
chiuso.
Inoltre, la presenza dei carrelli mobili, dotati di ruote,
impedirebbe di ravvisare una vera e propria occupazione di
suolo.
Con il secondo motivo, la società ha lamentato la violazione
delle norme regolamentari sotto altri profili, poiché
l’Amministrazione avrebbe erroneamente ravvisato una
destinazione dell’area ad uso pubblico, che non sarebbe
configurabile neanche sulla base di una dicatio ad patriam.
Nella specie, non vi sarebbe mai stato il necessario animus dicandi ad patriam, ossia l’intenzione di asservire il bene
all’uso pubblico, come si desume dal fatto che negli orari
di chiusura dell’esercizio commerciale non si può accedere
all’area, per di più munita di una sbarra di delimitazione
della proprietà privata.
Inoltre, solo agendo innanzi al giudice civile Roma Capitale
potrebbe far accertare la sussistenza di una servitù
conseguente alla dicatio ad patriam.
Con il terzo motivo, la società ha dedotto la sussistenza di
vari profili di eccesso di potere per travisamento dei
fatti, assenza di istruttoria, carenza di motivazione e
violazione del principio di legalità, poiché non
sussisterebbero i presupposti per l’emanazione dell’atto
impugnato.
...
6. Ritiene il Collegio che le censure della società,
articolate in tre motivi, vadano decise congiuntamente, per
la loro stretta connessione.
Infatti, tutti i motivi si basano su analoghe
considerazioni, per le quali il provvedimento impugnato
sarebbe illegittimo, poiché l’area destinata a parcheggio,
su cui sono stati posizionati i carrelli, potrebbe essere
utilizzata liberamente, in quanto risulta di proprietà
privata, sicché l’Amministrazione avrebbe esercitato il
proprio potere repressivo in assenza dei relativi
presupposti.
7. Le censure formulate vanno respinte, perché infondate.
In punto di fatto, rileva il Collegio che sullo spazio in
questione, di 3,41 mq, è stata collocata una pensilina
ancorata al suolo, sotto la quale sono posizionati i
carrelli utilizzabili dai clienti dell’esercizio
commerciale.
Evidentemente, poiché per ragioni di sicurezza i carrelli
non possono essere liberamente collocati nell’area
complessivamente destinata al parcheggio e al conseguente
transito dei veicoli, la società ha inteso individuare
un’area determinata ove i clienti possano agevolmente
munirsi di essi.
Tale circostanza risulta con chiarezza dai verbali di
sopralluogo, oltre che dalla relazione depositata
dall’Amministrazione.
Ciò posto, il Collegio ritiene che effettivamente l’area in
questione si debba intendere destinata a parcheggio, al
servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad
patriam.
La dicatio ad patriam può conseguire o ad un atto volontario
del proprietario, oppure ad una ‘scelta imposta’.
La ‘scelta libera’ si ha quando il proprietario, per
munificenza o per altre ragioni (ad es. di culto o di
ostentazione), consente alla collettività locale di
utilizzare un suo bene, sia pure in orari o in giorni
limitati: si pensi al proprietario di un bene monumentale,
che consenta alla collettività locale di accedere
periodicamente alla propria chiesa, per le attività di
culto.
La ‘scelta imposta’ si ha tipicamente nel diritto
urbanistico, allorquando –per il soddisfacimento degli
standard– il titolare di un titolo edilizio può costruire
un proprio bene, purché realizzi spazi destinati al transito
o al parcheggio.
Tali spazi –anche se non diventano di proprietà pubblica–
di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo
privatistico e comunque non possono avere una destinazione
diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la
realizzazione del bene principale.
Pertanto, quando il titolo edilizio consente la
realizzazione di una struttura di vendita e prevede la
destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero
deve mantenere siffatta destinazione: il numero di posti
auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere
ridotto, in conseguenza di attività che in linea di
principio sarebbero libere estrinsecazioni delle facoltà
dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati
a parcheggio.
A volte, alla ‘scelta imposta’ di destinare spazi a
parcheggio si può aggiungere anche una ‘scelta libera’, che
pur sempre necessita del relativo titolo edilizio, dal
momento che l’alterazione delle aree per creare un
parcheggio richiede sempre il titolo edilizio.
Tali considerazioni riguardano anche i casi in cui sia stato
realizzato un esercizio commerciale, dotato di parcheggi in
applicazione delle regole sugli standard.
Il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando
destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima
richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di
utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono
assoggettati ad una servitù di diritto pubblico.
Contrariamente a quanto ha dedotto la società, è irrilevante
la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in
questione) di evitare la continuativa utilizzazione del
parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di
chiusura dell’esercizio commerciale.
Come si è sopra rilevato, mediante la dicatio ad patriam si
consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per
limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre
che vi sia la continuatività dell’utilizzo.
Quanto alla deduzione secondo cui Roma Capitale non avrebbe
potuto emanare l’atto repressivo dell’attività impeditiva
del parcheggio, va osservato che l’Amministrazione è
titolare del potere di consentire la prosecuzione dell’uso
pubblico: è, al contrario, il proprietario o il locatario ad
essere legittimato –avendovi interesse– ad agire innanzi
al giudice civile, per far accertare l’insussistenza della
servitù di pubblico passaggio.
Vanno respinte anche le censure secondo cui sarebbero state
violate le regole sulla partecipazione e non vi sarebbe
stata un’adeguata motivazione dell’atto impugnato.
Dalle stesse deduzioni della società ricorrente e anche
dalla documentazione depositata da Roma Capitale, si desume
che la stessa società ha avuto modo di partecipare
ripetutamente nel corso del procedimento e di rappresentare
le proprie deduzioni.
8. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto,
perché infondato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 23.08.2023 n. 13400 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L'accertamento
giurisdizionale dell'effettiva esistenza della servitù di
pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono compete
all'autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia
di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; mentre,
il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusivamente
per una cognizione incidentale sulla questione, ai sensi
dell' art. 8 c.p.a ., senza poter fare stato sulla medesima
con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi
sulla legittimità della determinazione dirigenziale che
forma specifico oggetto di ricorso.
In ordine alla ricorrenza dell’istituto
della dicatio ad patriam e all’esistenza di una servitù di
uso pubblico la giurisprudenza amministrativa osserva che:
- “L'istituto della dicatio ad patriam è notoriamente
costituito dal comportamento del proprietario di un bene che
mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a
disposizione di una collettività indeterminata di cittadini,
producendo l'effetto istantaneo della costituzione della
servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da
parte della collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario all'usucapione”;
- “Può essere definita giuridicamente strada anche un'area
di proprietà privata ove essa sia asservita all'uso
pubblico. Quest'ultimo, però, non può essere meramente
affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova,
oltre che dell'intrinseca idoneità del bene, dell'uso
continuo e pubblico ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse. Segnatamente, la costituzione su di una
strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire,
alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam,
costituita dal comportamento del proprietario di un bene che
mette spontaneamente e in modo univoco il bene a
disposizione di una collettività indeterminata di cittadini,
producendo l'effetto istantaneo della costituzione della
servitù di uso pubblico — ovvero attraverso l'uso del bene
da parte della collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario all'usucapione”;
“Laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad
un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova
dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può
discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico
di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto
pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo,
una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un
testamento”.
Dal canto suo, la giurisprudenza del Giudice ordinario
afferma che:
- “Qualora il proprietario di un fondo abbia
apposto, volontariamente e con carattere di continuità, una
striscia di terreno a disposizione della collettività,
assoggettandola all’uso pedonale e carrabile, si verificherà
un’ipotesi di “dicatio ad patiram” e non, piuttosto,
un’occupazione usurpativa.
Infatti, mancando un
provvedimento amministrativo che riveli l'intenzione della
P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in
strada pubblica, vengono meno i presupposti della
trasformazione del bene in opera pubblica tipici
dell’occupazione usurpativa.
Viceversa, la "dicatio ad
patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula
un comportamento ad uso pubblico del proprietario che,
seppur non intenzionalmente diretto a dare vita a tale
diritto, mette volontariamente e con carattere di
continuità, un proprio bene a disposizione della
collettività, assoggettandolo al relativo uso”.
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... per l'annullamento DELL’ORDINANZA CONTINGIBILE ED
URGENTE N. -OMISSIS-, AVENTE PER OGGETTO RIMOZIONE CATENA E
RIPRISTINO PASSAGGIO PUBBLICO SU STRADA ESISTENTE.
...
9- Il ricorso è fondato.
...
11- Nella fattispecie, analizzando il provvedimento
impugnato risulta che in esso il Sindaco:
-) premette il richiamo al verbale della Polizia Municipale
del 05.07.2021 da cui emerge che la stradella in questione è
stata chiusa a mezzo installazione di paletti con catena;
-) rileva che la stradella in questione è stata da sempre
pacificamente aperta al pubblico transito e passaggio,
pedonale e carrabile, e così è stata usata dalla
collettività per accedere al mare;
-) rileva che ai fini dell’esistenza di un uso pubblico di
una strada privata è necessario che la strada sia
concretamente idonea a soddisfare, anche in virtù del
semplice collegamento con la pubblica via, esigenze di
interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto
il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte
di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza
ad una comunità territoriale;
-) riscontra che l’esistenza di tale tipo di servitù è
sorretta dalla sussistenza di un diritto di uso pubblico che
si identifica nella protrazione dell’uso stesso da tempo
immemorabile e che i proprietari del tratto di strada hanno
da sempre consentito di mettere l’area privata a
disposizione della comunità indeterminata dei cittadini, per
soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività
uti cives, da cui si ritiene che sulla stradella in
questione è stata istituita una servitù di uso pubblico
tramite la c.d. dicatio ad patriam;
-) previo richiamo della giurisprudenza a supporto di ciò,
ritiene che la condotta posta in essere dai proprietari
delle abitazioni latistanti la stradella risulta per quanto
sopra illegittima ed arbitraria, creando una situazione di
fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, per
cui si impone l’adozione del provvedimento contingibile e
urgente;
-) ritiene di adottare il suddetto provvedimento con la
massima urgenza stante la stagione estiva ed essendo,
dunque, necessario ripristinare prontamente l’accesso al
mare con celerità e senza indugio alcuno, al fine di
garantire la libertà del pubblico uso del mare e per
impedire i disordini conseguenti alla mancanza
dell’essenziale collegamento tra la pubblica via e la
spiaggia pubblica ed in particolare garantire una via di
fuga in caso di calamità naturali (maremoto, terremoto, etc.)
a tutela della pubblica incolumità;
-) ordina pertanto ai proprietari dei fondi latistanti, tra
cui l’odierna ricorrente, l’immediata rimozione dei paletti
con catena a chiusura della stradella in premessa e di
qualsivoglia ostacolo posto in essere che pregiudichi il
libero e naturale transito, con avvertenza che, in caso di
inottemperanza entro 5 giorni, si provvederà in danno senza
ulteriore preavviso.
...
13- Vengono quindi esaminate congiuntamente, in quanto tra
loro interconnesse, le censure sub I.1 e I.2.
13.1- Esse sono fondate nei termini di seguito esposti.
13.2- Si premette anzitutto che “L'accertamento
giurisdizionale dell'effettiva esistenza della servitù di
pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono compete
all'autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia
di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; mentre,
il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusivamente
per una cognizione incidentale sulla questione, ai sensi
dell' art. 8 c.p.a ., senza poter fare stato sulla medesima
con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi
sulla legittimità della determinazione dirigenziale che
forma specifico oggetto di ricorso” (TAR Toscana, Sez. II,
21.10.2021, n. 1357).
In ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dell’istituto
della dicatio ad patriam e all’esistenza di una servitù di
uso pubblico la giurisprudenza amministrativa osserva che:
- “L'istituto della dicatio ad patriam è notoriamente
costituito dal comportamento del proprietario di un bene che
mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a
disposizione di una collettività indeterminata di cittadini,
producendo l'effetto istantaneo della costituzione della
servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da
parte della collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TAR
Lazio, Roma, Sez. II, 12.07.2016, n. 7967);
- “Può essere definita giuridicamente strada anche un'area
di proprietà privata ove essa sia asservita all'uso
pubblico. Quest'ultimo, però, non può essere meramente
affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova,
oltre che dell'intrinseca idoneità del bene, dell'uso
continuo e pubblico ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse. Segnatamente, la costituzione su di una
strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire,
alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam,
costituita dal comportamento del proprietario di un bene che
mette spontaneamente e in modo univoco il bene a
disposizione di una collettività indeterminata di cittadini,
producendo l'effetto istantaneo della costituzione della
servitù di uso pubblico — ovvero attraverso l'uso del bene
da parte della collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TRGA,
Trento, Sez. I, 21.11.2012, n. 341);
“Laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad
un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova
dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può
discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico
di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto
pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo,
una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un
testamento” (TAR Puglia, Bari, Sez. III, 04.12.2020, n.
1570).
Dal canto suo, la giurisprudenza del Giudice ordinario
afferma che “Qualora il proprietario di un fondo abbia
apposto, volontariamente e con carattere di continuità, una
striscia di terreno a disposizione della collettività,
assoggettandola all’uso pedonale e carrabile, si verificherà
un’ipotesi di “dicatio ad patiram” e non, piuttosto,
un’occupazione usurpativa. Infatti, mancando un
provvedimento amministrativo che riveli l'intenzione della
P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in
strada pubblica, vengono meno i presupposti della
trasformazione del bene in opera pubblica tipici
dell’occupazione usurpativa. Viceversa, la "dicatio ad
patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula
un comportamento ad uso pubblico del proprietario che,
seppur non intenzionalmente diretto a dare vita a tale
diritto, mette volontariamente e con carattere di
continuità, un proprio bene a disposizione della
collettività, assoggettandolo al relativo uso” (Tribunale
Lecce sez. I, 05/11/2019, n. 3392).
13.3- Nel caso controverso e con i precitati limiti
cognitori, dal provvedimento impugnato non emerge con
adeguata chiarezza la sussistenza del suddetto presupposto –ossia della sussistenza di un diritto d’uso da parte della
collettività– sulla stradella in questione, circostanza,
questa, meramente affermata e non anche adeguatamente
allegata e che, pertanto, si ripercuotono sulla
censurabilità del provvedimento impugnato, che appunto si
regge sulla sussistenza di un diritto d’uso collettivo
insistente sulla stradella in questione.
13.4- Peraltro, anche le stesse allegazioni difensive
dell’Amministrazione comunale finiscono, a ben vedere, per
corroborare le criticità ora rilevate.
In particolare, la richiesta del Sindaco illo tempore
all’odierna ricorrente del 18.11.2004 nella quale, rilevata
l’esistenza della stradina in relazione alla quale ha
prospettato di richiedere ai proprietari l’uso fin quando il
Comune non avrebbe provveduto a realizzare un accesso al
mare per uso pubblico e il riscontro della ricorrente datato
19.11.2004, con il quale viene consentito il passaggio sulla
stradella precariamente fino alla costruzione della strada
da realizzare in altro sito nel più breve tempo possibile,
stridono con l’assunto del Comune, su cui si basa il
provvedimento impugnato, dell’intervenuta dicatio ad patriam
della stradella medesima.
La suddetta conclusione, per il vero e sempre con i
precitati limiti cognitori, non può essere smentita dal
rilievo, contenuto nella richiesta medesima (e non
espressamente smentito dalla ricorrente) circa il fatto che
su tale stradella si eserciti l’uso della collettività
cittadina. Difatti, nel contesto in cui è formulata
l’istanza il menzionato uso potrebbe ben consistere un
un’utilizzazione da parte della collettività meramente
tollerata dai proprietari ma non anche collegata a
specifiche situazioni giuridiche soggettive.
Tale circostanza, per un verso, darebbe significato alla
richiesta da parte del Comune (che non si giustificherebbe
laddove fosse intervenuta una vera e propria dicatio ad
patriam) e, per altro verso, fa venir meno il requisito
della non inequivocità della messa a disposizione della
strada in favore della collettività, costituente presupposto
della dicatio giusta giurisprudenza precedentemente
richiamata.
13.5- In sostanza, l’aver il Comune apoditticamente
presupposto la sussistenza di un diritto d’uso pur in
presenza delle suddette criticità rende pertanto il
provvedimento censurabile (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 25.07.2022 n. 1383 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Strada
privata con servitù pubblica, il Comune ha ragione a bloccare la Scia. Il Consiglio di Stato ripercorre i
poteri e i compiti dell'ente nel confronto con i privati.
Quali
poteri ha il Comune nel caso di presentazione di una Scia tendente a
realizzare interventi
edilizi tali da incidere su di un bene gravato da servitù prediale pubblica?
Prevale l'iniziativa del privato, o la salvaguardia della servitù?
A
dirimere il conflitto
pubblico/privato, provvede il Consiglio di Stato, Sez. IV, attraverso la
sentenza
10.05.2022 n. 3618.
Il caso
Con Scia regolarmente depositata, i privati segnalavano al Comune
l'intenzione di restringere la
viabilità di una strada mediante installazione di una barra manuale, e
affermavano che la strada in
questione fosse di loro esclusiva proprietà, nonché libera da servitù, pesi,
o altri vincoli. Il Comune
contestava la legittimazione dei privati alla realizzazione dell'opera,
opponendo loro che la strada
fosse in realtà adibita al pubblico uso.
Pertanto, l'amministrazione
emetteva ordine di inibizione alla
Scia.
Avverso il provvedimento dell'ente, veniva spiegato formale ricorso al Tar Calabria - Sezione di
Catanzaro, ed il Tribunale riconosceva le ragioni dei privati. Difatti,
secondo i giudici di primo grado,
l'illegittimità del provvedimento adottato dall'ente dipendeva dalla
circostanza che gli elementi
costitutivi della servitù di uso pubblico non risultassero evincibili dalla
documentazione prodotta in
giudizio dall'amministrazione. Il Comune, decideva quindi di ricorrere in
appello, investendo della
vicenda il Consiglio di Stato.
La disamina di Palazzo Spada
Esaminati i fatti e gli atti di causa, i giudici di Palazzo Spada avviano il
proprio ragionamento giuridico partendo dalla norma di cui all'art. 11 del Dpr n.
380/2001, il quale stabilisce che
il presentatore di una Scia dovrà necessariamente allegare e dimostrare di
essere legittimato alla
realizzazione dell'intervento che ne costituisce oggetto.
Da pare sua il
Comune ha preliminarmente il
potere di accertare se il presentatore sia il proprietario dell'immobile
oggetto dell'intervento
costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per
eseguire l'attività
edificatoria. Inoltre, l'ente ha il potere di verificare se il bene immobile
sia libero da gravami di varia
natura, tra cui le servitù prediali.
Nella vicenda in esame, il Comune ritiene insussistente la legittimazione
dei richiedenti; difatti,
all'esito di opportune verifiche, l'amministrazione ha ravvisato l'esistenza
di una servitù pubblica gravante sulla strada.
L'uso pubblico del bene, è emerso dalle seguenti inequivocabili circostanze:
• la strada, da diverso tempo, veniva quotidianamente percorsa da una
generalità indifferenziata di
individui residenti in quella specifica zona del territorio comunale;
• rappresentava l'unico percorso di accesso alla via pubblica per un insieme
di fabbricati serviti dalla
suddetta strada, e collocati al di là della zona ove i privati intendevano
collocare la sbarra;
• lungo la carreggiata della strada, risultavano presenti reti ed
infrastrutture di molteplici servizi
pubblici ed utenze;
• nel tempo, il Comune si era fatto carico del buono stato di manutenzione
della sede stradale,
assumendo su di sé anche il consequenziale obbligo della custodia del bene;
• la strada era stata ricompresa nell'ambito di una serie di beni da cedere
al Comune nell'ambito
dell'attuazione di un piano di lottizzazione.
Ad avviso del Consiglio di Stato, il Comune ha svolto un'istruttoria
completa, esaustiva, e non
contraddittoria, ponendo altresì a fondamento dei suoi provvedimenti
motivazioni adeguate e ben
argomentate e dirime la controversia pubblico/privato facendo prevalere il
potere del Comune a
salvaguardare un'accertata servitù pubblica (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del
14.06.2022).
---------------
SENTENZA
7.6.2. Ai sensi dell’art. 11 d.P.R. n. 380/2001 “Il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo
per richiederlo.”.
7.6.3. La norma è ritenuta applicabile al presentatore di una segnalazione
certificata di inizio attività: colui che, nella veste di proprietario o
avente la materiale disponibilità del bene, richieda un titolo edilizio
dovrà, dunque, necessariamente allegare e dimostrare di essere legittimato
alla realizzazione dell’intervento che ne costituisce oggetto e il Comune
conserverà il potere di verificare la legittimazione del richiedente e
accerterà se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento
costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per
eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.6.4. Nel caso di specie, contrariamente a quanto rilevato dal Tar in primo
grado, non si contesta alla parte appellata la titolarità del diritto di
proprietà dell’area, ma che esso (e, conseguentemente, il bene oggetto di
quel diritto reale) sia libero da pesi o vincoli, che risultino ostativi
rispetto al tipo di intervento che si intende realizzare, in ragione di una
serie di elementi che sono stati enunciati nel provvedimento e compiutamente
ribaditi nel processo.
7.6.5. Il Comune di -OMISSIS- ha dunque ritenuto l’insussistenza della
libertà del fondo, ravvisando la sussistenza di un uso pubblico della strada
in ragione:
a) della sua percorrenza, protrattosi nel tempo, da parte di una
generalità indifferenziata di individui residenti in quella specifica zona
del territorio comunale;
b) del suo essere l’unico percorso di accesso alla “via pubblica”,
per un insieme di fabbricati, serviti dalla suddetta strada e collocati al
di là della zona dove si intende collocare la sbarra;
c) della presenza, lungo la carreggiata della strada, della rete e
delle infrastrutture di molteplici servizi pubblici e utenze;
d) dell’avvenuta cura, nel tempo, del buono stato di manutenzione
della sede stradale da parte del Comune (che si è, dunque, perciò assunto
l’obbligo della custodia del bene);
e) dell’essere stata ricompresa nell’ambito di una serie di beni da
cedere al Comune, nell’ambito dell’attuazione di un piano di lottizzazione
(e risulta irrilevante, in questo giudizio, se la cessione sia avvenuta o
meno, e se essa sia ancora possibile, in quanto ciò che rileva è la presenza
di un ulteriore indizio a conferma che la strada, finanche erroneamente,
possa essere stata destinata al pubblico uso, in quanto così era previsto in
base al suddetto piano di lottizzazione e alla relativa convenzione).
7.6.6. Ciò che rileva, dunque, ai fini del giudizio di legittimità del
provvedimento impugnato, oggetto di scrutinio da parte di questo Consiglio,
è il compimento di un’istruttoria completa, esaustiva e non contraddittoria,
e di una motivazione che ne dia compiutamente e congruamente conto.
7.7. Quanto poi all’ammissibilità di una cognizione di questo Consiglio
sulla sussistenza o meno di un “uso pubblico” sulla suddetta strada,
va ribadito che il giudice amministrativo può e deve risolvere la questione
del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché la sussistenza
di una servitù di uso pubblico sulla strada privata -eventualmente
costituita anche mediante dicatio ad patriam- allorquando sia
richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale
pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad
altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale e rientrante nella
sua giurisdizione (Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.7.1. Nel caso in esame, la questione della sussistenza o meno di un uso
pubblico viene in rilievo limitatamente ai profili relativi alla
legittimazione alla presentazione del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 11
d.P.R. n. 380/2001, e solamente a fini ostativi rispetto al consolidarsi
degli effetti del titolo edilizio di cui il privato vuole servirsi, per la
realizzazione di un’opera che impedisca il transito veicolare su questa
strada (circa la sussistenza di un potere di accertamento incidentale, cfr.
anche Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.7.2. Rientra, parimenti, nella giurisdizione di questo Consiglio lo
scrutinio della legittimità di un ordine di inibizione dei lavori indicati
in una s.c.i.a..
7.7.3. La cognizione qui espletata non concerne, dunque, l’accertamento in
via principale circa l’effettiva sussistenza del diritto in questione, la
cui competenza giurisdizionale è, del resto, demandata al giudice ordinario
(Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.8. In definitiva, dunque, l’appello va accolto e il provvedimento
impugnato dichiarato legittimo, e, pertanto, in riforma della sentenza di
primo grado, pronunciata in forma semplificata, il ricorso introduttivo del
giudizio va respinto, salve, ovviamente, le eventuali domande che le parti
riterranno di proporre in sede civile. |
EDILIZIA PRIVATA:
In via preliminare, va ribadita la giurisdizione
di questo consesso.
Invero la controversia non attiene in
via principale all’accertamento della proprietà, pubblica o
privata, di una strada o dell’esistenza di un uso pubblico
su di una strada privata, che, per involvere posizioni di
diritto soggettivo, è rimessa alla giurisdizione del giudice
ordinario, ma ha ad oggetto, più semplicemente, le ordinanze
di regolazione della circolazione veicolare sulla strada che
conduce al sito gestito dal ricorrente.
Come tale il rimedio è pienamente esperibile.
---------------
Premesso:
con il ricorso straordinario di cui in epigrafe, An.Or., dopo aver premesso di essere proprietario di un
campeggio ubicato nel Comune di La Maddalena, Località Abbatoggia, affidato in gestione alla società Ab.Vi., nonché della strada sterrata, lunga circa un
chilometro, che dalla strada provinciale conduce sia al
campeggio che alla vicina spiaggia, rappresentava che, per
sopperire agli intralci causati dalle auto parcheggiate,
aveva posizionato all’ingresso del campeggio una sbarra di
ferro, sotto la custodia di un addetto; dalle 7 alle 17,30
di ogni giorno, quest’ultimo consentiva unicamente il
transito delle automobili, ma non la loro sosta, resa
possibile nel parcheggio del campeggio ai soli utenti dei
relativi servizi.
Tanto premesso, l’Or. affida il ricorso a plurimi motivi
coi quali contesta l’esercizio del potere di autotutela
possessoria in strada privata per la mancanza dei requisiti
che consentono l’assoggettamento della strada privata ad uso
pubblico (titolo idoneo costitutivo della servitù; passaggio
non occasionale e generalizzato da parte di una collettività
di persone; idoneità a soddisfare l’interesse pubblico
connesso alla regolare viabilità generale).
Né l’uso pubblico –a dire del ricorrente- potrebbe essere
dimostrato invocando l’ordinanza della Polizia Locale n.
40/2014, parimenti impugnata, con cui era stato istituito il
divieto di sosta su ambo i lati, dal momento che i
provvedimenti in materia di viabilità sono di competenza del
Sindaco e non della Polizia Locale in base all’art. 7 del
Codice della strada.
L’ordinanza sarebbe illegittima, sia perché dà per
presupposta una situazione di “ingente afflusso di veicoli e
di intasamenti” asseritamente provocati dalla presenza della
sbarra, non veritiera perché essa svolge l’opposta funzione
di far rispettare il divieto di sosta, sia perché emessa in
violazione del principio di proporzionalità.
Quanto all’ordine di rimozione dei massi, il ricorrente lo
ritiene viziato per i medesimi motivi, oltre che per essere
diretto a lui che non è responsabile del loro
posizionamento, lamentando eccesso di potere sotto vari
profili sintomatici e difetto di motivazione.
Lo stesso ricorrente riferisce che la sbarra è stata rimossa
dalla polizia locale, ma che, comunque, permane il suo
interesse alla decisione sia per non dover sostenere le
spese di rimozione, sia per poterla ricollocare
eventualmente in futuro.
L’Amministrazione riferente, senza affrontare il merito del
ricorso, ne sostiene pregiudizialmente l’inammissibilità,
sul rilievo che la controversia riguarderebbe l’accertamento
dell’esistenza di un vincolo pubblico sulla strada sterrata,
materia concernente diritti soggettivi devoluta al giudice
ordinario.
...
Considerato:
in via preliminare, sull’eccezione di difetto di
giurisdizione formulata dall’amministrazione intimata, come
già ritenuto in sede cautelare, va ribadita la giurisdizione
di questo consesso. Invero la controversia non attiene in
via principale all’accertamento della proprietà, pubblica o
privata, di una strada o dell’esistenza di un uso pubblico
su di una strada privata, che, per involvere posizioni di
diritto soggettivo, è rimessa alla giurisdizione del giudice
ordinario, ma ha ad oggetto, più semplicemente, le ordinanze
di regolazione della circolazione veicolare sulla strada in
località Abbatoggia che conduce al sito gestito dal
ricorrente; come tale il rimedio è pienamente esperibile (cfr.
Cass. SS.UU., 23.12.2016, n. 26897).
Invero, l’esistenza della servitù pubblica sulla strada
rileva solo incidenter tantum ai fini della valutazione
degli atti impugnati, con la conseguenza che la natura
privata o pubblica della strada può essere conosciuta in via
incidentale, con efficacia limitata al giudizio, come
elemento rilevante ai fini di accertare la legittimità del
provvedimento impugnato che impone la regolamentazione della
strada stessa, rispetto al quale la posizione lesa ha la
consistenza di interesse legittimo (Cons. St. Sez. I, 31.12.2020, n. 2193; Sez. V, 11.03.2020, n. 1743; Sez.
V, 16.10.2017, n. 4791).
Sempre in via preliminare, va rilevata l’intempestività del
ricorso in relazione alla richiesta di annullamento del
rapporto di violazione edilizia all’ordinanza n. 40 del 15.10.2014 a firma del responsabile del Corpo di Polizia
Locale del Comune di La Maddalena.
Sul punto si esprime, pertanto, il parere che il ricorso
debba essere dichiarato parzialmente irricevibile,
risultando tardivamente proposto nella parte in cui viene
impugnato il sopra indicato provvedimento.
7. Con riferimento, invece, all’impugnazione dell’ordinanza
n. 24 del 16.08.2018 con la quale l’ente locale –sul
presupposto dell’esistenza di un diritto di uso pubblico del
terreno- ha disposto la rimozione della sbarra mobile che
regolava l’accesso sulla strada in proprietà del ricorrente,
e dei massi ivi esistenti, è dirimente la Relazione che il
Ministero riferente ha spedito a questo Collegio, a seguito
del disposto supplemento di istruttoria.
7.1. Invero, quel documento contiene delle condivisibili
osservazioni in merito a come, nel caso di specie, vada
ripartito l’onere di provare l’esistenza di un uso pubblico
asseritamente insistente sul viale di cui si discute,
partendo dal presupposto, incontestato, che trattasi di bene
in proprietà del ricorrente.
Non vi è dubbio che detto onere incomba (ed incombesse)
sull’amministrazione intimata, che ha dato per presupposto
l’esistenza di tale uso in tutti i provvedimenti impugnati.
A ciò aggiungasi che quel sentiero non risulta ricompreso
nell’elenco delle strade vicinali di cui all’art. 7 L. n. 126
del 1958 e, dunque, che non ricorre la presunzione di uso
pubblico, che non può essere desunta sulla sola base di
fatti concludenti.
In presenza dei tre elementi di prova indicati (e cioè:
proprietà del ricorrente, mancata inclusione nell’elenco
delle strade vicinali e non operatività della relativa
presunzione), sarebbe stato dunque necessario, da parte di
chi ne affermava l’esistenza (ossia l’amministrazione
comunale) allegare un titolo idoneo a suffragare l’esistenza
di un diritto di uso pubblico (a puro titolo
esemplificativo, un atto pubblico di costituzione del
vincolo, o la prova di un’usucapione ventennale maturata a
vantaggio della collettività locale di riferimento).
Poiché
tanto non risulta acquisito in atti, ciò depotenzia
significativamente la posizione della resistente.
7.2. A viepiù supportare le doglianze della parte
ricorrente si aggiunge la constatazione che il provvedimento
impugnato non risulta essere stato preceduto da un’indagine
diretta a comprovare l’asserita destinazione pubblica, de
facto, della via.
Per di più la (scarna) istruttoria non ha
consentito neanche di smentire quanto affermato da Or.,
che consentiva l’accesso al viale per una sua libera ed
autonoma scelta, dalle 7,30 alle 17,30 di ogni giorno, così
inequivocabilmente dimostrando chi fosse l’unico utente e
gestore diretto dell’accesso.
7.3. Infine, vanno esaminati, e confutati, gli ulteriori due
elementi, che, secondo il Comune, dimostrerebbero
l’esistenza dell’uso pubblico.
7.3.1. Quanto al primo, detta destinazione dovrebbe
ricavarsi dalla presenza sul sentiero di cavi elettrici e
telefonici con relativa connessione su pali di appoggio.
Tale deduzione non presenta però alcuna capacità
dimostrativa nel senso preteso dall’intimato. Invero, i cavi
elettrici e telefonici, ed eventualmente gli stessi pali di
appoggio, lungi dal dimostrare un possesso/uso pubblico del
sentiero, integrano, a tutto voler concedere, una servitù
coattiva pubblica, diversa, per presupposti ed effetti,
dalla destinazione dell’area ad un uso pubblico.
7.3.2. Quanto al provvedimento con cui si è disposto il
divieto di sosta nel lontano 2014, il n. 40 del 15.10.2014, il secondo dei due elementi che secondo il Comune
de “La Maddalena” sarebbe idoneo a suffragare l’esistenza di
un uso pubblico sul sito, non ha un’efficacia probatoria
così estesa. Esso dimostra infatti solo che l’area non era
asservita a parcheggio pubblico, e nulla di più.
7.3.3. Ad ulteriore conforto della fondatezza dei motivi di
ricorso, ancora una volta riprendendo le giuste
considerazioni articolate dal Ministero riferente, va
osservato che il Comune giammai ha dedotto né allegato di
avere eseguito interventi di manutenzione, ordinaria o
straordinaria, sull’area, ed anzi non ha contro obiettato
alle ripetute affermazioni del ricorrente di avere sempre
eseguito a sue spese la manutenzione del terreno.
7.3.4. Non da ultimo va osservato che neppure le dimensioni
della strada si presentano particolarmente adatte a
consentirne un uso pubblico. Si tratta, infatti, di un
sentiero, particolarmente stretto, dove, almeno per lunghi
periodi, è stata tollerata la sosta su entrambi i lati della
carreggiata, con un inevitabile effetto di ulteriore
restringimento che rendeva quanto meno scarsamente
praticabile, se non addirittura impossibile, la asserita
destinazione pubblica.
8. Tutte le considerazioni che precedono inducono ad
esprimere un parere nel senso di: dichiarare il ricorso, in
parte inammissibile per intempestività dell’impugnazione con
riferimento al provvedimento n. 40 del 15.10.del 2014;
di accogliere per l’altra parte il ricorso e, per l’effetto,
disporre l’annullamento della delibera di autotutela
possessoria del 16.08.2018, n. 24 (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 04.02.2022 n. 228 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade
vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di
interesse generale e vengano utilizzate abitualmente dalla generalità dei
cittadini. Il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) può
anche essere di proprietà privata mentre l’ente pubblico è titolare di un
diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché una servitù di
uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed
effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia
mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti
dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività
da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si
configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la
strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
---------------
Le strade vicinali private si connotano come assoggettate ad un diritto
demaniale non di natura esclusivamente dominicale ma connotato
prevalentemente da scopi funzionali. Una delle principali funzioni delle
strade vicinali è la concreta idoneità a soddisfare anche esigenze di
collegamento con la via pubblica, che assume carattere di generale
interesse.
Da ciò (oltre che in applicazione dei principi di diritto comune
dell’accessorietà dei diritti d’uso e delle servitù prediali) deriva che
laddove una strada vicinale muti parzialmente (anche ad opera
dell’intervento umano) il proprio tracciato (come, nel caso di specie,
l’accesso ed un primo tratto iniziale) ciò non implica di per sé che il
nuovo tratto non partecipi della funzione demaniale del bene, in presenza
delle medesime caratteristiche funzionali del preesistente (nel caso di
specie il collegamento della porzione più a monte della strada con la
pubblica via).
---------------
Solitamente l’onere di fornire prova della vocazione pubblicistica spetta
agli enti che rivendicano la natura demaniale dell’uso della strada. Nel
caso di specie però tale onere della prova è invertito a causa della
iscrizione della strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico di cui
alla delibera C.C. n. 12/1966.
Per giurisprudenza costante, infatti, tale
classificazione non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste
funzioni dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di
uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale
diritto di godimento da parte della collettività.
La giurisprudenza, peraltro, in presenza di tali presunzioni richiede
altresì una chiara manifestazione di volontà dell’ente locale volta alla
dismissione del diritto demaniale.
- “La strada interpoderale o vicinale,
iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico
transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per
volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la
via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada”.
- “La strada interpoderale o vicinale, iscritta
negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito,
diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà di
esso, anche implicita; pertanto, se i terreni oggetto di retratto agrario
sono separati da quelli del retraente da una strada interpoderale, per
ritenerli confinanti (art. 7 l. 14.08.1971 n. 817) non è sufficiente la
mancanza dell'uso ventennale di passaggio su di essa da parte della
collettività”.
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Il Collegio rileva che vada ribadita la natura vicinale della strada
di cui si controverte.
Il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade
vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di
interesse generale e vengano utilizzate abitualmente dalla generalità dei
cittadini. Il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) può
anche essere di proprietà privata mentre l’ente pubblico è titolare di un
diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché una servitù di
uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed
effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (cfr. Sez.
V, 14/02/2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15/05/2012, n. 2760; Sez.
V, 5/12/2012, n. 6242).
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia
mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti
dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività
da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si
configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la
strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Nel caso di specie è pacifica la natura vicinale del tratto di strada più
risalente facente parte del tratto originario collocato a monte della
porzione di strada su cui sorge il manufatto oggetto dell’ordinanza. Ciò
implica che anche la porzione di tracciato che ha sostituito l’originario
accesso alla via pubblica non può che seguirne la natura.
Le strade vicinali private, infatti, si connotano come assoggettate ad un
diritto demaniale non di natura esclusivamente dominicale ma connotato
prevalentemente da scopi funzionali. Una delle principali funzioni delle
strade vicinali è la concreta idoneità a soddisfare anche esigenze di
collegamento con la via pubblica, che assume carattere di generale interesse
(cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 13/07/2021, n. 760, Cons. Stato 13/07/2020, n.
4489, Cass. Civ. 05/07/2013, n. 16864; TAR Toscana, Sez. III, 11/04/2003, n.
1385; TAR Umbria, 13/06/2006, n. 7; 21/09/2004, n. 545; Cons. di Stato, Sez.
IV, n. 1155/2001; Cons. di Stato, Sez. V, n. 5692/2000 Cass. civ., sez. II,
12/07/1991, n. 7718).
Da ciò (oltre che in applicazione dei principi di diritto comune
dell’accessorietà dei diritti d’uso e delle servitù prediali) deriva che
laddove una strada vicinale muti parzialmente (anche ad opera
dell’intervento umano) il proprio tracciato (come, nel caso di specie,
l’accesso ed un primo tratto iniziale) ciò non implica di per sé che il
nuovo tratto non partecipi della funzione demaniale del bene, in presenza
delle medesime caratteristiche funzionali del preesistente (nel caso di
specie il collegamento della porzione più a monte della strada con la
pubblica via). Il Comune, inoltre, evidenzia, in modo non contestato dal
ricorrente, che negli anni ‘90 è stata “realizzata la variante all’ex SS28
Bis con la modifica degli accessi e delle quote stradali ed è stato
eliminato anche il potenziale ingresso dalla direttrice principale al
vecchio sedime ancora indicato catastalmente, impendendo definitivamente il
possibile recupero del vecchio tracciato senza l’esecuzione di un nuovo
ponte sul Rio Priletto”.
Solitamente l’onere di fornire prova di tale vocazione pubblicistica spetta
agli enti che rivendicano la natura demaniale dell’uso della strada. Nel
caso di specie però tale onere della prova è invertito a causa della
iscrizione della strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico di cui
alla delibera C.C. n. 12/1966. Per giurisprudenza costante, infatti, tale
classificazione non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste
funzioni dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di
uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale
diritto di godimento da parte della collettività (cfr. Cass. civ., sez. II,
24/04/1992, n. 4938).
La giurisprudenza, peraltro, in presenza di tali presunzioni richiede
altresì una chiara manifestazione di volontà dell’ente locale volta alla
dismissione del diritto demaniale. “La strada interpoderale o vicinale,
iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico
transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per
volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la
via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada” (Cass. civ. Sez.
III, 22/01/2003, n. 915). “La strada interpoderale o vicinale, iscritta
negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito,
diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà di
esso, anche implicita; pertanto, se i terreni oggetto di retratto agrario
sono separati da quelli del retraente da una strada interpoderale, per
ritenerli confinanti (art. 7 l. 14.08.1971 n. 817) non è sufficiente la
mancanza dell'uso ventennale di passaggio su di essa da parte della
collettività” (Cass. civ. Sez. III, 14/01/1998, n. 265).
Tale presunzione non può che estendersi anche al tratto di strada di cui si
controverte, costituendo lo stesso l’attuale naturale collegamento con la
viabilità pubblica.
Il Collegio ritiene che gli elementi forniti dal ricorrente non siano
sufficienti a costituire la prova contraria di cui parla la citata
giurisprudenza. Il fatto che un bene abbia formato oggetto di cessione tra
privati non mina l’assoggettamento dello stesso all’uso pubblico (al pari di
quanto avviene in presenza di diritti reali di godimento). La semplice
presenza di cartelli di divieto di accesso, di opere murarie e recinzioni
costruite in violazione delle fasce di rispetto possono al massimo
dimostrare la mancata vigilanza da parte del Comune ma non l’estinzione di
un diritto d’uso riconosciuto alla collettività.
Ciò non è messo in discussione neanche dal fatto che in una nota a mezzo PEC
del 02.10.2020 (cfr. doc. di parte ricorrente depositato il 13.05.2021),
nella interlocuzione tra le parti circa l’inserimento del tratto di cui si
discute nell’elenco delle strade comunali, il Comune definisca lo stesso
strada privata interpoderale, non potendo tale documento qualificare
formalmente la chiara e definitiva volontà di un ente di dismettere l’uso
pubblico della strada.
Il Comune, peraltro in modo non contestato dal ricorrente, sostiene di aver
provveduto negli anni ’70 e ‘80 ad attività di manutenzione ed asfaltatura
del tracciato e che comunque l’attuale tracciato serve alla collettività
degli utenti per raggiungere la borgata Prato Bierdo posta a monte
dell’intera via
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 11.10.2021 n. 900 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento con il quale il sindaco ordina il ripristino del pubblico
transito su di una strada vicinale che non sia iscritta nel relativo elenco
è impugnabile di fronte al giudice amministrativo, al quale può essere
chiesto l'accertamento in via incidentale dell'insussistenza del diritto di
uso della collettività.
---------------
Il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade
vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di
interesse generale e vengono utilizzate abitualmente dalla generalità dei
cittadini. Nelle vicinali pubbliche il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) è privato
mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma
dell’art. 825 c.c..
Le vicinali pubbliche sono strade di interesse amministrativo sottoposte ad
una regolamentazione speciale che trae origine dall’allegato F del R.D. n.
2248/1865 e dal D.L.Lgt. n. 1446/1918 nonché dal Capo II del Titolo I del
Libro III del Codice Civile. Le strade vicinali ad uso pubblico sono,
peraltro, soggette alla vigilanza del Comune, che esercita le attribuzioni
previste dagli articoli da 51 a 54 del citato RD n. 2248/1865.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia
mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti
dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività
da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si
configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la
strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché la servitù di
uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed
effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Le strade vicinali nascono generalmente come strade ad uso privato,
destinate cioè a servire alcuni terreni ed abitazioni specifici. Può
capitare tuttavia che con il passare del tempo le stesse vengano utilizzate
da soggetti terzi divenendo così utili anche alla collettività indistinta,
con la conseguenza di evidenziare un interesse di tutti all’uso della
strada, cosa che può determinare la nascita di un uso pubblico.
È consolidato inoltre l’orientamento secondo il quale l’iscrizione di una
strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico, formato dalla
amministrazione, non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste
funzioni meramente dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris
tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza
di un tale diritto di godimento da parte della collettività. Una strada deve considerarsi pubblica quando,
indipendentemente dalla denominazione, dalla inclusione nell’elenco delle
strade comunali, dalla concreta configurazione o dalla specifica
manutenzione, sia assoggettata di fatto all’uso della collettività i cui
componenti ne usufruiscono uti cives.
La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi più volte sui vari aspetti
problematici della sussistenza o meno dell’uso pubblico di una strada
vicinale, giungendo a definire i seguenti requisiti necessari per
riconoscerne la presenza:
a) il passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la
concreta idoneità della strada a soddisfare anche per il collegamento con la
via pubblica, esigenze di generale interesse;
c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo
immemorabile.
In relazione al terzo requisito, in particolare, la giurisprudenza è giunta
a stabilire che la prova dell’uso pubblico di una strada, il cui sedime non
appartenga ad un Ente, non può essere desunta da un mero uso collettivo ma
dev’essere rigorosamente provata, giungendo a richiedere la presenza di un
atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra
proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione
ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di
acquisto va preliminarmente accertata l’idoneità della strada a soddisfare
esigenze di carattere pubblico.
La giurisprudenza più consolidata sostiene che “in mancanza di espressa
classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali,
l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso
accertamento dell'uso pubblico della strada, il quale deve essere condotto
non già sulla base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito
esame della condizione effettiva in cui il bene si trova”.
“Per poter considerare assoggettata ad uso
pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente
idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità
di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere
verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta
idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via
pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere
l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile. Non è pertanto
configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio
ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e
neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai
proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica”.
Ciò che è necessario, per stabilire la presenza di un diritto di uso
pubblico, è pertanto la coesistenza di quei requisiti che rendano idonea la
strada al transito di una collettività indistinta, non necessariamente della
comunità locale.
---------------
Le argomentazioni dei ricorrenti colgono, seppure parzialmente, nel
segno.
La questione centrale risulta essere costituita dalla determinazione della
natura della strada poiché i poteri esercitati nell’ordinanza sono
sostanzialmente motivati con il ricorso alla tutela possessoria per il
ripristino del transito sulla via, a nulla rilevando lo spurio riferimento
agli artt. 33 del DPR n. 380/2001 e 167 del D.Lgs. n. 42/2004 per
l’applicazione dei quali manca non solo la motivazione ma qualsiasi
riferimento istruttorio.
Occorre premettere che tale accertamento si palesa come strumentale alla
tutela caducatoria richiesta dai ricorrenti. Il giudice amministrativo, in
presenza di tali esigenze, lo effettua esclusivamente in via incidentale
allo scopo di verificare se i soggetti gravati dall’onere della prova
abbiano assolto a tale incombente o meno. “Il provvedimento con il quale il
sindaco ordina il ripristino del pubblico transito su di una strada vicinale
che non sia iscritta nel relativo elenco è impugnabile di fronte al giudice
amministrativo, al quale può essere chiesto l'accertamento in via
incidentale dell'insussistenza del diritto di uso della collettività […]” (Cons.
Stato Sez. V, 07/04/1995, n. 522).
Ciò premesso il Collegio evidenzia che il risalente regime normativo che
viene in rilievo prevede che le strade vicinali assumano carattere pubblico,
allorché adducano a luoghi pubblici di interesse generale e vengono
utilizzate abitualmente dalla generalità dei cittadini. Nelle vicinali
pubbliche il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) è privato
mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma
dell’art. 825 c.c..
Le vicinali pubbliche sono strade di interesse amministrativo sottoposte ad
una regolamentazione speciale che trae origine dall’allegato F del R.D. n.
2248/1865 e dal D.L.Lgt. n. 1446/1918 nonché dal Capo II del Titolo I del
Libro III del Codice Civile. Le strade vicinali ad uso pubblico sono,
peraltro, soggette alla vigilanza del Comune, che esercita le attribuzioni
previste dagli articoli da 51 a 54 del citato RD n. 2248/1865.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia
mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti
dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività
da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si
configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la
strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché la servitù di
uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed
effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (cfr. Sez.
V, 14/02/2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15/05/2012, n. 2760; Sez.
V, 05/12/2012, n. 6242).
Le strade vicinali nascono generalmente come strade ad uso privato,
destinate cioè a servire alcuni terreni ed abitazioni specifici. Può
capitare tuttavia che con il passare del tempo le stesse vengano utilizzate
da soggetti terzi divenendo così utili anche alla collettività indistinta,
con la conseguenza di evidenziare un interesse di tutti all’uso della
strada, cosa che può determinare la nascita di un uso pubblico.
È consolidato inoltre l’orientamento secondo il quale l’iscrizione di una
strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico, formato dalla
amministrazione, non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste
funzioni meramente dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris
tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza
di un tale diritto di godimento da parte della collettività (cfr. Cass. civ.,
sez. II, 24/04/1992, n. 4938). Una strada deve considerarsi pubblica quando,
indipendentemente dalla denominazione, dalla inclusione nell’elenco delle
strade comunali, dalla concreta configurazione o dalla specifica
manutenzione, sia assoggettata di fatto all’uso della collettività i cui
componenti ne usufruiscono uti cives.
La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi più volte sui vari aspetti
problematici della sussistenza o meno dell’uso pubblico di una strada
vicinale, giungendo a definire i seguenti requisiti necessari per
riconoscerne la presenza:
a) il passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la
concreta idoneità della strada a soddisfare anche per il collegamento con la
via pubblica, esigenze di generale interesse;
c) un titolo valido a
sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi
nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (cfr. Cons. Stato
13/07/2020, n. 4489, Cass. Civ. 5/07/2013, n. 16864; TAR Toscana, Sez. III,
11/04/2003, n. 1385; TAR Umbria, 13/06/2006, n. 7; 21/09/2004, n. 545; Cons.
di Stato, Sez. IV, n. 1155/2001; Cons. di Stato, Sez. V, n. 5692/2000 Cass.
civ., sez. II, 12/07/1991, n. 7718).
In relazione al terzo requisito, in particolare, la giurisprudenza è giunta
a stabilire che la prova dell’uso pubblico di una strada, il cui sedime non
appartenga ad un Ente, non può essere desunta da un mero uso collettivo ma
dev’essere rigorosamente provata, giungendo a richiedere la presenza di un
atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra
proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione
ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di
acquisto va preliminarmente accertata l’idoneità della strada a soddisfare
esigenze di carattere pubblico (cfr. C.d.S., Sez. V, 01/12/2003, n. 7831;
TAR Toscana, sez. III, 19/072004, n. 2637).
La giurisprudenza più consolidata sostiene che “in mancanza di espressa
classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali,
l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso
accertamento dell'uso pubblico della strada, il quale deve essere condotto
non già sulla base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito
esame della condizione effettiva in cui il bene si trova” (TAR Lazio,
sez. II, 29/03/2004, n. 2922).
“Per poter considerare assoggettata ad uso
pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente
idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità
di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere
verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta
idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via
pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere
l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di Stato, IV, n.
1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n. 29/1997; TAR Toscana, Sez.
III; n. 1385/2003; TAR Sicilia Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn.
20405/2010 e 7718/1991). Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di
una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un
transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia
adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da
collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013,
n. 1322).” (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 04.09.2017, n. 4233;
conforme TAR Lombardia, Brescia, 19/03/2019, sent. n. 258).
Ciò che è necessario, per stabilire la presenza di un diritto di uso
pubblico, è pertanto la coesistenza di quei requisiti che rendano idonea la
strada al transito di una collettività indistinta, non necessariamente della
comunità locale.
Ebbene, gli elementi indicati non ricorrono nel caso in esame.
L’Amministrazione non ha provato la sussistenza dell’uso pubblico della
strada nei sensi sopra specificati, né in sede procedimentale né in sede
giudiziale.
Il Comune, nel provvedimento, si limita ad affermare di poter esercitare le
prerogative di cui all’art. 378 della L. n. 2248/1965; di aver “sempre
effettuato la manutenzione al lavatoio posto a circa 25 metri dalla strada
comunale, come anche la manutenzione alla vasca dell'acquedotto della
frazione Piamprato posta a monte del lavatoio stesso”; che il passaggio è
sempre stato utilizzato dai turisti, dai residenti e dai pastori per
raggiungere la baita Marmotta e Santanel (tale condizione sarebbe
constatabile anche da alcune vecchie cartine dei sentieri della Valle Soana
che però non sono state prodotte) nonché dalla collettività per il
raggiungimento dei propri fondi.
A fronte della assenza di classificazioni ufficiali, catastali o di titoli
muniti di fede privilegiata, il Comune si è limitato:
- a documentare che il passaggio insistente sul mappale n. 41 serve una
pluralità di proprietari di fondi confinanti e retrostanti per raggiungere
la via Roma (cfr. doc. 07 di parte resistente);
- ad allegare una serie di dichiarazioni di abitanti (o ex abitanti) nella
zona che per lo più testimoniano, in via diretta, come il passaggio sia
servito (sin dalla seconda metà del secolo scorso) per raggiungere
abitazioni private retrostanti e, in via indiretta, che sia altresì servito
per raggiungere il lavatoio di cui parla anche il Comune (ad usi
prevalentemente pastorali) e gli alpeggi Santanel e Marmotta (cfr. doc. da 9
a 16 di parte resistente);
- a documentare, con alcuni fotogrammi risalenti al 1988 ed un paio di
fotografie, la presenza di persone e di automobili sulla strada (cfr. doc. 17
e 20 di parte resistente) nonché la presenza di indicazioni di sentieri
turistici che passano dall’area di cui si discute;
- a documentare con alcuni estratti di mappe turistiche il reticolo dei
sentieri della Valle Soana nella zona di Piamprato, dalla quale non è però
agevole comprendere in che modo interessano anche l’area di cui è causa (cfr.
doc 18 e 19 di parte resistente).
Nel caso di specie pertanto l’uso pubblico della strada, che dovrebbe essere
rigorosamente provato, è stato attestato ma non sufficientemente documentato
dall’amministrazione né nei propri atti né in giudizio.
Le numerose dichiarazioni depositate provano direttamente solo un
consolidato interesse del vicinato all’utilizzo del passaggio; solo
indirettamente vi sono testimonianze di un uso funzionale al raggiungimento
della fontana e degli alpeggi.
Occorre osservare, inoltre, che quanto alla necessità del passaggio per il
raggiungimento del lavatoio, dell’acquedotto e dei sentieri per il
raggiungimento degli alpeggi, dagli atti depositati emerge in modo non
contestato che nelle vicinanze del mappale 41 si trovano ben due sentieri
che collegano la pubblica via Roma con la fontana e la vasca sia dal lato
nord che da quello sud, e su di essi si affacciano tutti i mappali adiacenti
al 41. In presenza di tali alternative non è possibile pertanto presumere,
in mancanza di diverse indicazioni probatorie, un pubblico interesse al
transito sul mappale 41 per raggiungere tali manufatti (cfr. doc. 10 e 11
allegati al ricorso).
Per quanto qui occorre, pertanto, risultano fondate le doglianze di cui al
primo motivo che mirano a censurare il provvedimento impugnato per carenza e
difetto di motivazione ed istruttoria. Le affermazioni sull’uso dei poteri
riconosciuti all’ente locale in materia di tutela, vigilanza e ripristino
delle aree soggette ad uso pubblico non sono state argomentate, giustificate
e sufficientemente istruite (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.07.2021 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: Come noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini
del relativo riparto tra giudice ordinario (G.O.) e giudice amministrativo (G.A.), rileva
il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato in funzione non
solo e non tanto della concreta pronuncia chiesta al giudice, bensì della causa petendi,
ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio,
individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.
Nel caso in esame l’esponente non contesta uti singulus, quale cittadino
appartenente alla collettività cui pertiene l’uso pubblico della via,
l’esistenza del potere del Comune di concedere a tempo indeterminato ad uno
o ad alcuni soggetti (frontisti e residenti) l’uso particolare ed
eccezionale di una porzione della strada demaniale o privata gravata da
diritto demaniale di uso pubblico: fattispecie che, configurando una
possibile carenza di potere in astratto (per difetto della norma attributiva
della potestà pubblicistica), sarebbe rimessa alla cognizione del G.O..
Invero, il ricorrente, in qualità di proprietario immobiliare confinante con
la via oggetto dell’avversata trasformazione, censura lo scorretto esercizio
del potere autorizzatorio e di controllo dell’Amministrazione civica
sull’intervento edilizio, radicando così una controversia attribuita alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133,
comma 1, lett. f) c.p.a..
---------------
1. Il signor Lu.Ve. si ritiene leso dalla costruzione di una rampa in
pietra sulla scalinata di via Caduti Pievesi, lamentando che l’immutazione
dello stato dei luoghi –consentendo l’utilizzo di una porzione della
salita, prima interamente pedonale, con moto e scooter– arreca turbamento
alla quiete della propria limitrofa abitazione. Esperisce, quindi, sia
un’azione demolitoria, impugnando i titoli edilizi e paesaggistici
legittimanti l’opera, sia un’azione contra silentium, denunziando la mancata
risposta dell’Amministrazione al proprio atto di significazione e diffida.
2. In punto di fatto occorre premettere che la salita in parola è una tipica
crêuza ligure, ossia una via stretta e ripida, che fende verticalmente il
versante collinare di Pieve Ligure, raggiungendo i fondi ivi collocati e
collegandosi a mezza costa con la viabilità comunale che attraversa Pieve
Alta (cfr. doc. 16 ricorrente e doc. 10 resistente).
Il signor Iv.Gu., proprietario di un immobile che affaccia sul viottolo,
dopo avere conseguito i titoli edificatori e paesistici gravati, ha
modificato l’ultimo tratto della salita, sostituendo i preesistenti gradoni
con un nuovo manufatto in pietra, consistente per circa metà della larghezza
del passaggio in una rampa e per la restante parte in una scalinata, divise
da una ringhiera in ferro (v. fotografie sub. docc. 14-15-17 ricorrente e
doc. 9 resistente). Ha altresì installato, in cima allo scivolo, una sbarra
motorizzata, circoscrivendo così la possibilità di accesso ai soli soggetti
autorizzati, frontisti e residenti della zona, mentre la parte pedonale è
rimasta percorribile da chiunque.
L’opera è stata realizzata in forza della deliberazione della Giunta
comunale in data 19.10.2015, recante l’approvazione del progetto,
dell’autorizzazione paesaggistica del 23.02.2016 e della S.C.I.A. in
data 18.03.2016 (non vi è invece alcuna D.I.A. in data 18.03.2016, la
cui menzione nella comunicazione di fine lavori costituisce un evidente
refuso). Il signor Gu. ha iniziato i lavori il 21.03.2016 e li ha
ultimati il successivo 3 agosto (cfr. docc. 5 e 8 resistente).
Va infine rilevato che la delibera giuntale e l’autorizzazione paesistica
fanno riferimento ad una “rampa per mezzi agricoli”, mentre di fatto il
nuovo passaggio viene utilizzato per transitare con motoveicoli (v.
fotografie sub doc. 14 ricorrente).
3. Si osserva preliminarmente che la natura giuridica della salita
denominata via Caduti Pievesi (v. targa toponomastica, doc. 14 ricorrente) è
controversa fra le parti: il ricorrente sostiene che rientrerebbe nel
demanio stradale comunale ex art. 824 cod. civ.; l’Amministrazione obietta
che si tratterebbe di una via privata (formatasi da tempo immemore ex
collatione agrorum privatorum), soggetta a servitù di pubblico transito ex
art. 825 cod. civ. (c.d. strada vicinale di uso pubblico).
Al riguardo, premesso che è comunque riservato al giudice ordinario
l’accertamento con efficacia di giudicato del carattere demaniale o privato
con diritto reale di pubblico uso di una strada (trattandosi di questione
attinente a situazioni giuridiche di diritto soggettivo: cfr., ad esempio,
Cass. civ., sez. I, 15.07.2020, n. 15033), il Collegio non reputa
necessario lo scrutinio del tema in parola, nemmeno in via incidentale, non
rivestendo concreta rilevanza ai fini del presente giudizio.
Sempre in via preliminare, si ritengono opportune le seguenti precisazioni
in punto di giurisdizione.
Come noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini
del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva
il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato in funzione non
solo e non tanto della concreta pronuncia chiesta al giudice, bensì della
causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in
giudizio, individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (cfr., fra
le tante, Cons. St., sez. III, 24.03.2020, n. 2071; Cass. civ., sez. un.,
ord. 14.01.2020, n. 416; Cass. civ., sez. un., ord. 17.07.2017, n.
17618).
Nel caso in esame l’esponente non contesta uti singulus, quale cittadino
appartenente alla collettività cui pertiene l’uso pubblico della via,
l’esistenza del potere del Comune di concedere a tempo indeterminato ad uno
o ad alcuni soggetti (frontisti e residenti) l’uso particolare ed
eccezionale di una porzione della strada demaniale o privata gravata da
diritto demaniale di uso pubblico: fattispecie che, configurando una
possibile carenza di potere in astratto (per difetto della norma attributiva
della potestà pubblicistica), sarebbe rimessa alla cognizione del G.O.
(sulla possibilità di agire in giudizio uti civis, con i mezzi ordinari di
tutela, a difesa del diritto di uso pubblico cfr., ex multis, Cons. St.,
sez. II, 12.05.2020, n. 2999; per un’ipotesi affine di carenza di potere
in astratto si veda TAR Veneto, sez. III, 09.10.2017, n. 897).
Invero, il ricorrente, in qualità di proprietario immobiliare confinante con
la via oggetto dell’avversata trasformazione, censura lo scorretto esercizio
del potere autorizzatorio e di controllo dell’Amministrazione civica
sull’intervento edilizio, radicando così una controversia attribuita alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133,
comma 1, lett. f) c.p.a. (cfr., ex aliis, Cons. St., sez. IV,
10.10.2018, n. 5820)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 12.05.2021 n. 430 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E’
evidente che una strada “poderale” non può che essere priva
di alcune delle caratteristiche proprie delle strade pubbliche.
Precedenti pronunce hanno confermato che ai sensi del Codice della
strada (d.lgs. 30.04.1992, n. 285), si definisce "vicinale", (ovvero
"poderale o di bonifica"), una "strada privata fuori dai centri
abitati ad uso pubblico" (art. 3, co. 1, n. 52).
Le strade vicinali sono, peraltro, equiparate alle strade pubbliche in
senso proprio ed assoggettate al regime giuridico di queste ultime e, ciò,
sia per quanto concerne la possibilità della costituzione di una servitù
coattiva di passaggio, sia per gli effetti delle norme poste a tutela della
circolazione stradale.
La sola differenza tra le strade vicinali e le strade pubbliche è che la
proprietà delle strade vicinali è privata, circostanza quest’ultima dalla
quale consegue che il suolo delle stesse è alienabile ed usucapibile e che
il relativo diritto deve essere esercitato dai privati proprietari in modo
compatibile con l'uso pubblico.
Per converso, l'amministrazione titolare di un diritto di pubblico
passaggio su strada vicinale, può esercitare tutti i poteri intesi a
garantire ed assicurare l'uso della strada da parte dei cittadini e, ciò,
pur sempre nei limiti dettati dal pubblico interesse.
---------------
L’azione di accertamento dell’assenza di ogni qualsivoglia diritto di
servitù di pubblico transito, sia pedonale che veicolare, è sottoposta alla
giurisdizione del Giudice ordinario, essendosi in presenza dell’accertamento
di un diritto soggettivo al pieno godimento di un bene di proprietà.
---------------
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 E’ da respingere, in particolare, il primo motivo con il quale si
sostiene che la strada di cui si controverte avrebbe natura privata,
circostanza che consentirebbe al proprietario di provvedere alla sua
chiusura, attraverso l’istallazione di recinzioni, cancelli o sbarre i quali
rientrerebbero nella c.d. edilizia libera.
Dette caratteristiche del tracciato dimostrebbero l’assenza di qualsivoglia
diritto reale di uso pubblico che non potrebbe essere riconosciuto
esistente, nemmeno in conseguenza dell’inclusione della stessa strada
nell’elenco delle strade poderali/vicinali.
1.2 Al fine di dimostrare l’infondatezza di detta argomentazione va chiarito
come sia stato il Comune di Carmignano a precisare che il tratto di strada
di cui si tratta è catastalmente identificato come strada poderale/privata e
che, nel contempo, l’impossibilità di chiudere la strada con una sbarra
meccanica è da ricondurre alla disposizione contenuta nell’art. 29.1.4 del
regolamento urbanistico che la classifica come percorso di fruizione e,
quindi, tra i tracciati finalizzati alla formazione di itinerari turistici
che contribuiscono alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e
naturalistico del territorio.
1.3 Detta disposizione prevede espressamente al secondo comma che, con
riferimenti a tali tracciati, ne deve essere necessariamente garantito l’uso
pedonale, ciclabile e/o equitabile e, più in generale, una continua
percorribilità.
1.4 E’ evidente che il regolamento comunale ha ritenuto che l’esistenza di
determinate caratteristiche, impedisca di per sé un uso esclusivo di alcuni
percorsi, dovendo questi ultimi essere posti a garanzia di un utilizzo
generale e indifferenziato nei confronti della collettività.
1.5 Nemmeno si è dimostrato come debba ritenersi indispensabile l’esistenza
di un titolo idoneo (atto privato o pubblico, usucapione o dicatio ad
patriam) a sorreggere l’uso pubblico della via e, ciò, considerando come
detto utilizzo pubblico è il risultato della classificazione attribuita alla
strada e del contenuto delle NTA così come sopra citato.
1.6 Altrettanto ininfluenti sono le argomentazioni dirette a sostenere che
la strada di cui si tratta sia esterna al centro abitato e non sia dotata
delle caratteristiche stradali proprie del d.lgs. 285/1992, in quanto non
avrebbe alcuna banchina, segnaletica orizzontale o verticale e manto
asfaltato.
1.7 E’ evidente che una strada “poderale” non può che essere priva
di alcune delle caratteristiche proprie delle strade pubbliche.
1.8 A conferma di ciò l’art. 29.1.4 prevede che per detti tracciati “non
sia ammessa l’asfaltatura” e che, nel contempo, solo ed esclusivamente
gli “itinerari” di cui si tratta dovranno essere supportati da
un’adeguata segnaletica e, ciò, al solo fine di consentirle una migliore
fruibilità.
1.9 Precedenti pronunce hanno confermato che ai sensi del Codice della
strada (d.lgs. 30.04.1992, n. 285), si definisce "vicinale", (ovvero
"poderale o di bonifica"), una "strada privata fuori dai centri
abitati ad uso pubblico" (art. 3, co. 1, n. 52) (Cons. Stato Sez. IV,
21.11.2013, n. 5519; Tar Calabria-Catanzaro, sez. II, n. 2093/2004).
2. Le strade vicinali sono, peraltro, equiparate alle strade pubbliche in
senso proprio ed assoggettate al regime giuridico di queste ultime e, ciò,
sia per quanto concerne la possibilità della costituzione di una servitù
coattiva di passaggio, sia per gli effetti delle norme poste a tutela della
circolazione stradale.
2.1 La sola differenza tra le strade vicinali e le strade pubbliche è che la
proprietà delle strade vicinali è privata, circostanza quest’ultima dalla
quale consegue che il suolo delle stesse è alienabile ed usucapibile e che
il relativo diritto deve essere esercitato dai privati proprietari in modo
compatibile con l'uso pubblico.
2.2 Per converso, l'amministrazione titolare di un diritto di pubblico
passaggio su strada vicinale, può esercitare tutti i poteri intesi a
garantire ed assicurare l'uso della strada da parte dei cittadini e, ciò,
pur sempre nei limiti dettati dal pubblico interesse.
2.3 Da respingere è anche il secondo motivo con il quale si sostiene la
nullità dell’art. 29.1.4 delle NTA, nella parte in cui avrebbe introdotto
una servitù di pubblico transito.
2.4 Come si è avuto modo di evidenziare la destinazione pubblica della
strada di cui si tratta è stata disposta in ragione delle peculiari
caratteristiche del percorso, suscettibile di essere classificato
nell’ambito dei “percorsi di fruizione”, destinati ad un utilizzo
collettivo.
2.5 Detta destinazione è il risultato di una valutazione posta in essere
dall’Amministrazione comunale che ha ritenuto sia l’esistenza di specifiche
caratteristiche sia, ancora, come il suo utilizzo sia stato protratto nel
tempo, circostanze queste ultime di per sé sufficienti a consentire una
destinazione ad uso pubblico, peraltro limitata ad un uso pedonale,
ciclabile e/o equitabile, per garantire la percorribilità dei tracciati.
La censura sopra citata è, quindi, infondata.
2.6 Si consideri, peraltro, che l’azione di accertamento dell’assenza di
ogni qualsivoglia diritto di servitù di pubblico transito, sia pedonale che
veicolare, laddove fosse stata autonomamente esercitata, sarebbe stata
sottoposta alla giurisdizione del Giudice ordinario, essendosi in presenza
dell’accertamento di un diritto soggettivo al pieno godimento di un bene di
proprietà.
2.7 In conclusione l’infondatezza delle sopra citate censure consente di
respingere il ricorso (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 14.12.2020 n. 1633 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam -ovvero
dell’uso pubblico dell’area, della sua utilità, della proposta di
asservimento della stessa all’uso pubblico da parte del proprietario- consistono:
(i) nell'uso esercitato "iuris
servitutis publicae" da una collettività di persone;
(ii) nella concreta
idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale;
(iii) in un
titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del
proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto
di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene
a disposizione della collettività.
---------------
La ricorrente, proprietaria di un compendio immobiliare sito nel Comune di
Castelcucco, in piazza ..., è titolare di una servitù di passaggio
su un’area attigua di proprietà privata del controinteressato, che gli
consente l’accesso ed il recesso dalla strada pubblica.
Il Comune, nel 1998, ha effettuato dei lavori di modifica della viabilità
riducendo l’area transitabile con autovetture.
La ricorrente, ritenendo che tali opere abbiano leso il proprio diritto di
passaggio, nel 2008 ha proposto, innanzi al Tribunale civile di Treviso,
un’azione di accertamento della servitù e contestuale ripristino delle
modalità del suo esercizio.
Nel corso del giudizio, in data 26.03.2013, il consiglio comunale ha
adottato, su proposta del controinteressato (proprietario dell’area su cui
insiste la servitù della ricorrente) la delibera n. 12 con la quale ha
disposto la costituzione a titolo gratuito del diritto di servitù ad uso
pubblico dell’area stessa.
La società ricorrente ha impugnato il provvedimento con il ricorso all’esame
formulando un unico articolato motivo con il quale censura il provvedimento
per il vizio di eccesso di potere.
Ad avviso del ricorrente, il Comune
avrebbe adottato l’atto costitutivo di servitù pubblica allo scopo di sanare
la pregressa illecita occupazione, così da ridurre o eliminare il danno
cagionato ed in corso di quantificazione -all’epoca della presentazione del
ricorso all’esame- nell’ambito del giudizio civile dallo stesso instaurato
innanzi al Tribunale di Treviso. Il provvedimento, inoltre, sarebbe altresì
illegittimo per violazione dell’articolo 11 L. 241/1990.
L’accordo tra Comune
e proprietario che sottende al provvedimento impugnato sarebbe stato
concluso in danno delle ragioni del ricorrente e sarebbe nullo per difetto
di forma scritta. Inoltre vi sarebbe una violazione dell’articolo 42-bis
D.P.R. 327/2001 essendo stato adottato un provvedimento in sanatoria della
pregressa occupazione sine titulo in assenza delle forme previste dalla
legge.
La ricorrente ha, infine, proposto domanda di risarcimento del danno “con
riguardo alla interdizione contra ius dell’esercizio personale ed esclusivo
dell’uso dell’area considerata”.
...
Per la corretta disamina del presente ricorso è opportuno prendere le mosse
dal contenuto del provvedimento impugnato che, al di là del dichiarato scopo
di “conformare lo stato di fatto a quello di diritto nell’uso uti cives
dell’area”, ha un contenuto meramente ricognitivo dei presupposti della
costituzione di servitù ad uso pubblico dell’area.
La delibera, infatti, si limita a dare atto della sussistenza dei
presupposti della dicatio ad patriam -ovvero dell’uso pubblico dell’area,
della sua utilità, della proposta di asservimento della stessa all’uso
pubblico da parte del proprietario (“I presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam consistono, quindi: (i) nell'uso esercitato "iuris
servitutis publicae" da una collettività di persone; (ii) nella concreta
idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale; (iii) in un
titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del
proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto
di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene
a disposizione della collettività” cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 22.08.2019, n. 5785; id., 10.09.2018, n. 5286; Cass., SS. UU., n.
1072/1988)- senza attribuire a tale acquisto alcun effetto retroattivo.
Essa, pertanto, neppure apparentemente produce l’effetto sanante
dell’illegittima occupazione dell’area, limitandosi a dare atto della
contemporanea presenza degli elementi costitutivi dell’acquisto della
servitù.
Così ricostruito il contenuto dell’atto impugnato, il ricorso si palesa
infondato. Infatti, trattandosi di atto ricognitivo, esso non è idoneo a
sanare le condotte illecite poste in essere dal Comune, che, infatti, il
Giudice civile ha accertato -pur non facendone discendere conseguenze risarcitorie– nonostante la già avvenuta adozione del provvedimento in
esame.
Non avendo l’atto impugnato effetti acquisitivi, non può ritenersi fondata
la censura di violazione dell’articolo 42-bis D.P.R. 327/2001.
Neppure può ritenersi violato l’articolo 11 L. 241/1990. Non solo la
ricorrente risulta essere stata regolarmente coinvolta nel procedimento, ma
la delibera fa espressamente salvo l’esercizio della servitù di passaggio,
mentre la questione relativa all’idoneità della costituita servitù ad uso
pubblico ad incidere in senso pregiudizievole sulle modalità di esercizio
del diritto di passaggio esula dall’ambito della cognizione di questo
Giudice ed è stata, infatti, già risolta in senso negativo per la ricorrente
dal Tribunale di Treviso nel giudizio dalla stessa instaurato, come risulta
dalla pronuncia depositata in atti
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 03.09.2020 n. 787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
prevalente (quanto condivisibile) giurisprudenza, l’uso pubblico di una
strada è determinato alla sussistenza di tre concorrenti elementi,
costituiti:
- dall’esercizio del passaggio e del transito jure servitutis publicae da
parte di una moltitudine indistinta di persone, qualificate
dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
- dalla concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e
pubblico;
- da un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo
immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso
pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non
sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una
presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’ente, ovvero del suo
uso pubblico.
Come puntualmente ed analiticamente osservato da questo Consiglio:
- “… per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa, l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie
pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa
della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e
dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività
mediante un’azione negatoria di servitù;
- tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua
natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività”.
La questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è
stata assai sovente esaminata in sede sia amministrativa, che civile.
Dalla copiosa elaborazione giurisprudenziale sono estrapolabili i seguenti
principi:
- “per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via
privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico
concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà
del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un
procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam,
ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al
Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché
tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla
proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né
la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione
della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento
su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale,
o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima
circa la funzione assolta da una determinata strada”;
- “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi
si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta,
effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine
titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di
riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da
essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la
strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un
atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio,
ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di
uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà
espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale”;
- “una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se
sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da
una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di
generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e
dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto
di uso pubblico”;
- “l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di
collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam,
l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una
comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche
analoghe a quelle dí un bene demaniale" (Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2012, n. 3531,
per la quale "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico
è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad
opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un
pubblico, generale interesse");
- “qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade
vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione juris tantum,
superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di
godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che
ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra
indicati requisiti".
---------------
La sottoposta controversia inerisce l’individuazione della natura –privata, ovvero pubblica– del tratto viario
interessato dall’avversato ordine comunale di rimozione di cartello recante
dicitura: “strada privata”.
In presenza di cartellonistica indicante (non la presenza di una “strada
privata”, ma) l’esistenza di un tratto viario di “proprietà privata” il Comune
può
legittimamente ordinarne la rimozione solo laddove la strada
risulti, effettivamente, gravata da una servitù d’uso pubblico (o,
altrimenti, destinata al pubblico transito).
La mancanza di un titolo formale, costitutivo della servitù, può
essere sopperita attraverso la maturazione dell’usucapione, dimostrando la
contemporanea concorrenza delle seguenti condizioni:
- l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività
indeterminata di individui, considerati uti cives, in quanto portatori di un
interesse generale (non essendo sufficiente un'utilizzazione uti singuli,
finalizzata cioè a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più
agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata);
- l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico
interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
- il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione.
Incombe quindi sul Comune, ai sensi dell’art. 2967 c.c., l’onere di provare
la concreta sussistenza delle suddette condizioni.
---------------
1. Va, preliminarmente, rilevato come la sottoposta controversia appieno
rientri nel perimetro della cognizione giurisdizionale rimessa al giudice
amministrativo, ancorché la delibazione di essa transiti, alla luce
dell’introdotto thema decidendum, attraverso l’individuazione della natura –privata, ovvero pubblica– del tratto viario, in Comune di Spinea,
interessato dall’avversato ordine comunale di rimozione di cartello recante
dicitura: “strada privata”.
Parte appellante, infatti, si è limitata a dedurre l’illegittimità
dell’impugnata ordinanza in conseguenza dell’asserita natura privata della
strada (ovvero, della mancata dimostrazione della sussistenza dell’invocato
uso pubblico della stessa): l’accertamento di tali circostanze integrando
questione pregiudiziale ai fini della valutazione della sussistenza del
vizio dedotto, la cui cognizione appartiene al giudice amministrativo ai
sensi dell’art. 8, comma 1, c.p.a. (cfr. C.G.A.R.S., 17.01.2018, n. 18; Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2017, n. 1144).
2. Quanto sopra preliminarmente osservato, secondo prevalente (quanto
condivisibile) giurisprudenza, l’uso pubblico di una strada è determinato
alla sussistenza di tre concorrenti elementi, costituiti:
- dall’esercizio del passaggio e del transito jure servitutis publicae da
parte di una moltitudine indistinta di persone, qualificate
dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
- dalla concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e
pubblico;
- da un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo
immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso
pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non
sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una
presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’ente, ovvero del suo
uso pubblico (cfr. Cass., SS.UU., 16.02.2017, n. 713; Cons. Stato:
Sez. IV, 19.03.2015, n. 1515; Sez. VI, 20.06.2016, n. 2708).
Come puntualmente ed analiticamente osservato da questo Consiglio (cfr. Sez.
IV, 10.10.2018, n. 5820):
- “… per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa (tra le tante,
Cassazione civile, sez. un., 23/12/2016, n. 26897 Cons. di Stato sez. IV, n.
1515 del 19.03.2015; Cons. di Stato sez, VI, n. 4952 dell'08.10.2013; Cass. Civ. n. 21125 del 19.10.2015; TAR Napoli, (Campania), sez. VIII,
10/10/2016, n. 4640 l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie
pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa
della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e
dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività
mediante un’azione negatoria di servitù;
- tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua
natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività”.
La questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è
stata assai sovente esaminata in sede sia amministrativa, che civile.
Dalla copiosa elaborazione giurisprudenziale sono estrapolabili i seguenti
principi:
- “per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via
privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico
concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà
del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un
procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam,
ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al
Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché
tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla
proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né
la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione
della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento
su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale,
o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima
circa la funzione assolta da una determinata strada” (cfr. Cons. Stato, Sez.
VI, 08.10.2013, n. 4952);
- “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi
si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta,
effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine
titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di
riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da
essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la
strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un
atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio,
ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di
uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà
espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale” (TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 21.11.2012, n.
341);
- “una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se
sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da
una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di
generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e
dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto
di uso pubblico” (Cass. 05.07.2013, n. 16864);
- “l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di
collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam,
l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una
comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche
analoghe a quelle dí un bene demaniale" (Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2012, n. 3531,
per la quale "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico
è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad
opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un
pubblico, generale interesse");
- “qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade
vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione juris tantum,
superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di
godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che
ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra
indicati requisiti" (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 19.12.2012, n. 5250 e sez. II, 17.07.2008, n. 8869).
3. Gli indici rivelatori della pubblicità del tratto viario interessato
dall’apposizione del cartello, oggetto dell’ordine di rimozione in prime
cure avversato, non hanno trovato elementi di compiuta dimostrazione da
parte della resistente Amministrazione comunale di Spinea.
3.1 Va, in proposito, doverosamente premesso che il potere nella fattispecie
esercitato dal Comune di Spinea trova fondamento nell’art. 37 del Codice
della Strada, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale disposizione, al comma 1, prevede che: “L'apposizione e la
manutenzione della segnaletica, ad eccezione dei casi previsti nel
regolamento per singoli segnali, fanno carico:
a) agli enti proprietari delle strade, fuori dei centri abitati;
b) ai comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e
fine del centro abitato, anche se collocati su strade non comunali;
c) al comune, sulle strade private aperte all'uso pubblico e sulle
strade locali;
d) nei tratti di strade non di proprietà del comune all'interno dei
centri abitati con popolazione inferiore ai diecimila abitanti, agli enti
proprietari delle singole strade limitatamente ai segnali concernenti le
caratteristiche strutturali o geometriche della strada. La rimanente
segnaletica è di competenza del comune”.
Ferma l’esercitabilità delle prerogative comunali in materia di segnaletica
sulle strade in proprietà dell’ente, per quanto concerne la fattispecie di
cui alla lett. c), la riconduzione del relativo potere nelle attribuzioni
comunali transita attraverso l’esistenza di un uso pubblico del tratto
viario privato.
3.2 Ritiene il Collegio che la relativa prova non sia stata raggiunta.
Il giudice di prime cure, al riguardo, ha argomentato che “la vocazione
all’uso pubblico della strada risulta:
- dal PRG, che prevede come destinazione del sedime area pubblica
destinata alla viabilità;
- dal fatto che alla via risulta attribuita sia una denominazione
che una numerazione civica;
- dalla classificazione a strada privata a uso pubblico come
risulta dalla nota dell’ufficio tecnico comunale 23.03.1994”.
Ed ha, conseguentemente, ritenuto “legittimo il richiamo all’art. 37 del D.Lgs. n. 285/1992, … posto che nella specie non si fa questione della
condizione di proprietà, pacificamente riconosciuta, ma dell’uso cui la
strada è destinata”.
In disparte la concludenza dimostrativa degli elementi indizianti come sopra
avvalorati dal TAR Veneto, va soggiunto che l’Amministrazione comunale di Spinea (come ribadito anche con memoria conclusionale depositata in atti
alla data del 09.04.2020), ha rappresentato che, “tra le altre
circostanze militanti in favore della soggezione all’uso pubblico della
stradina di cui si discute concorre … la relativa classificazione di strada
privata ad uso pubblico, ad opera dell’Amministrazione comunale appellata”;
ulteriormente deducendosi, quali elementi indizianti, “l’apposizione della
numerazione civica e della segnaletica stradale”.
Con ulteriore argomentazione (dedotta con controricorso e non più ripresa
nella memoria sopra citata), lo stesso Comune aveva, altresì, posto in
evidenza che il tratto di strada di che trattasi “è risultato interessato da
un progetto di realizzazione di un collegamento viario tra la Via Misurina e
il Viale San Remo per collegare i nuovi insediamenti residenziali e le
attrezzature pubbliche esistenti, realizzati in attuazione di un piano
PEEP”, anche se, come dall’Amministrazione ammesso, “l'inizio delle
procedure di esproprio del sedime stradale” non è stato “concluso … con la
relativa acquisizione”.
Diversamente, non rivestirebbe rilevanza apprezzabile ai fini in discorso
“la circostanza che la strada risulti chiusa da un lato, risultando
sufficiente il collegamento con la via pubblica”.
3.3 Gli elementi in presenza dei quali viene sostenuta (dal Comune
appellato, come dal giudice di prime cure) la sicura identificabilità di un
uso pubblico gravante il tratto viario in questione (la cui natura privata è
incontroversa inter partes), non rivelano, ad avviso del Collegio, dirimente
attitudine dimostrativa.
In presenza di cartellonistica indicante (non la presenza di una “strada
privata”, ma) l’esistenza di un tratto viario di “proprietà privata” (per
come, in punto di fatto, incontroverso), il Comune avrebbe, infatti, potuto
legittimamente ordinarne la rimozione solo laddove la strada fosse
risultata, effettivamente, gravata da una servitù d’uso pubblico (o,
altrimenti, destinata al pubblico transito).
La mancanza di un titolo formale, costitutivo della servitù, avrebbe potuto
essere sopperita attraverso la maturazione dell’usucapione, dimostrando la
contemporanea concorrenza delle seguenti condizioni:
- l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività
indeterminata di individui, considerati uti cives, in quanto portatori di un
interesse generale (non essendo sufficiente un'utilizzazione uti singuli,
finalizzata cioè a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più
agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata);
- l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico
interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
- il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (cfr.
Cass. Civ., Sez. II, 29.11.2017, n. 28632).
Incombeva quindi sul Comune, ai sensi dell’art. 2967 c.c., l’onere di
provare la concreta sussistenza delle suddette condizioni (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 18.03.2019, n. 1727; Sez. VI, 20.06.2016, n. 2708).
In disparte l’assenza di collegamento dell’arteria stradale di che trattasi
(servente le proprietà frontistanti) con la rimanente rete della
circolazione viaria (come dallo stesso Comune ammesso, il progetto di
collegamento tra la Via Misurina e il Viale San Remo, finalizzato a
collegare i nuovi insediamenti residenziali e le attrezzature pubbliche
esistenti, non è stato mai portato a compimento), non è dato riscontrare in
atti la presenza di alcun rilievo documentale atto a dimostrare l’esistenza
(e l’immanenza, coordinata alla presenza di una condotta consolidata nel
corso del tempo) dell’uso pubblico della via privata per cui è controversia;
per altro verso, appare difficilmente contestabile il ragionamento critico
dell’appellante, che ha fatto presente che, la affermata (ma non provata)
natura pubblica della strada, collide con gli incontestati tentativi del
comune, seppur non andati a buon fine, di avviare un procedimento
espropriativo sull’area (a che pro tentare di espropriare un’area che già,
in tesi, sarebbe destinata ad uso pubblicistico?)
Diversamente rispetto a quanto opinato dal giudice di prime cure,
pertanto, non può non rilevarsi come l’onere probatorio di che trattasi non
sia stato dall’intimato Comune assolto, con conseguente illegittimità
dell’avversata ordinanza.
4. In accoglimento dell’appello, deve conseguentemente riformarsi la
sentenza in prime cure resa dal TAR Veneto; e, conseguentemente,
annullarsi la determinazione, dinanzi al predetto giudice avversata, dal
Comune di Spinea adottata in data 03.12.1994
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 18.05.2020 n. 3158 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Servitù
di uso pubblico su suolo privato
condominiale. (Proprietà
privata condominiale ed estensione del
diritto di uso pubblico: il caso della
concessione a plateatico).
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Urbanistica - Servitù di uso pubblico - Suolo privato condominiale –
Autorizzazione dell’uso in via esclusiva in
favore di altro soggetto privato – Mancanza
del consenso dei proprietari del suolo –
Conseguenza.
Al fine di individuare il contenuto di una servitù
pubblica su suolo privato, non può darsi
rilevanza prevalente alle prescrizioni
contenute nello strumento urbanistico in
relazione alle aree aventi destinazione
omogenea rispetto alle finalità pubbliche
cui la servitù è preordinata, atteso che
nella specie non si tratta di definire il
regime urbanistico del suolo, ma piuttosto
di individuare i limiti posti al diritto di
proprietà per il perseguimento
dell’interesse pubblico in ragione del quale
la servitù è stata imposta.
In tale prospettiva, assume rilievo decisivo
la volontà delle parti quale risultante dal
titolo costitutivo della servitù, che al
tempo stesso costituisce la fonte e segna il
limite del sacrificio ammissibile del
diritto dominicale.
Pertanto, non è consentito al Comune, in
favore del quale sia stata costituita una
servitù di uso pubblico su suolo privato
condominiale, di autorizzarne l’uso in via
esclusiva in favore di altro soggetto
privato prescindendo dal necessario consenso
dei proprietari del suolo (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che diritti di uso pubblico si
configurano quali diritti reali che spettano
allo Stato, alle Province e ai Comuni, come
esplicitato dal medesimo art. 825 c.c., “per
il conseguimento di fini di pubblico
interesse corrispondenti a quelli cui
servono i beni [demaniali] medesimi”,
ossia si configurano quale peso imposto su
di un bene privato nel pubblico interesse, a
favore della collettività, presupponendo in
tal senso una publica utilitas, ossia
l’oggettiva idoneità del bene privato a
soddisfare un’esigenza comune ad una
collettività indeterminata di cittadini:
esigenza, questa, che va intesa in senso
ampio, e cioè non come pura e semplice
necessità, ma anche come mera comodità.
Detto altrimenti, nelle servitù di uso
pubblico, al peso gravante sul fondo
servente corrisponde dal lato attivo il
conseguimento di fini di pubblico interesse
da parte di una comunità di persone
considerate uti cives, sicché la loro
connotazione peculiare è data dalla
generalità di un uso indiscriminato da parte
dei singoli e dalla oggettiva idoneità del
bene privato al soddisfacimento di tale
interesse collettivo (cfr. in tal senso, ad
es.,
Cass. civ., Sez. II, 10.01.2011 n. 333).
Tali posizioni giuridiche devono dunque
essere riguardate quali diritti reali sui
generis, incidenti sul contenuto della
proprietà privata ma non estintivi della
stessa, assoggettati al regime previsto per
i beni del demanio pubblico, e -quindi-
inalienabili e imprescrittibili.
In dipendenza di ciò, pertanto, se
l’assoggettamento di un’area privata a
servitù di uso pubblico non comporta per il
proprietario –come più volte ripetuto
innanzi- la perdita del diritto di proprietà
del bene, del quale infatti egli può sempre
chiedere la tutela in sede giudiziale,
l’ente pubblico -per converso- non essendo
titolare del diritto dominicale, bensì di un
mero diritto reale parziario su di un bene
privato, può, su questo, esercitare
unicamente le facoltà dirette a garantire e
ad assicurare l’uso pubblico da parte di
tutti i cittadini, essendo conseguentemente
legittimato a tutelare il diritto parziario
medesimo sia in via amministrativa, sia in
via giurisdizionale, avvalendosi, in quest’ultima
ipotesi, in forza dell’anzidetto rinvio
operato dall’art. 825 c.c. nei riguardi
dell’art. 823 dello stesso codice, di fronte
al giudice ordinario, dei mezzi ordinari a
difesa del diritto di servitù e del possesso
ivi normati dalla medesima disciplina di
diritto comune.
Va comunque opportunamente precisato che,
oltre all’ente pubblico, a difesa del
diritto di uso pubblico può anche agire in
giudizio, uti singulus e avvalendosi
dei mezzi ordinari di tutela, ciascun
cittadino appartenente alla collettività cui
l’uso pubblico pertiene (cfr. al riguardo,
ex plurimis e tra le più recenti,
Cass. civ., Sez. II, 13.06.2019 n. 15931).
La prassi contempla la costituzione dei
diritti di uso pubblico per usucapione da
parte di una collettività indifferenziata di
soggetti e imputata nel proprio effetto
acquisitivo all’amministrazione pubblica a
ciò competente (come ad esempio accade per
l’ipotesi dell’usucapione dell’uso pubblico
su di una strada privata), per dicatio ad
patriam (consistente a sua volta nel
comportamento del proprietario che, seppure
non intenzionalmente diretto a dar vita al
diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità
e dunque senza precarietà o spirito di
tolleranza, un proprio bene a disposizione
della collettività, assoggettandolo al
correlativo uso, al fine di soddisfare
un’esigenza comune ai membri di tale
collettività uti cives,
indipendentemente dai motivi per i quali
tale comportamento venga tenuto, dalla sua
spontaneità e dallo spirito che lo anima:
cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass.
civ., sez. I, 11.03.2016, n. 4851; sez. II,
12.08.2002, n. 12167, 04.06.2001, n. 7481,
10.12.1994, n. 10574; Cons. Stato, sez. V,
24.05.2007, n. 2618) nonché –come per
l’appunto avvenuto nel caso di specie– per
convenzione stipulata tra l’ente pubblico e
i privati.
La categoria di diritti demaniali di uso
pubblico più importante e di maggiore
applicazione pratica è senza dubbio quella
dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua
volta, si distingue in due sottoclassi:
quella del predetto passaggio sulle vie
vicinali di uso pubblico -e cioè sulle
strade private soggette a pubblico transito-
e quella del passaggio su spiazzi, vicoli,
corti di proprietà privata esistenti nelle
città e negli agglomerati urbani (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 12.05.2020 n. 2999 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1.1. Gli attuali appellanti, signor Al.Pi., e signora Mo.Vi., rivestono
rispettivamente la qualità di condomino e di
amministratrice del condominio “Pi.Gi.”,
situato a Montebelluna in via ... (rectius:
...) n. 45 in posizione frontistante al
complesso edilizio costituito dal locale
Ospedale civile.
Essi espongono che il condominio, distinto
in catasto al foglio n. 31, mappale n. 31, è
sorto su iniziativa dei signori Gi.Pi.,
Ma.Fa. e No.Ba., ai quali sono poi
subentrati la El. di Ge.Pi. & C. S.a.s. e la
PI. di Gi.Pi. & C. S.a.s.
L’edificazione è avvenuta in base ad un
Piano di recupero di iniziativa privata
approvato a’ sensi degli allora vigenti artt.
11, comma 1, n. 2, lett. b), e 60 della l.r.
27.06.1985, n. 61, con deliberazione del
Consiglio comunale di Montebelluna n. 150
dd. 05.06.1989, seguito dalla stipulazione
in data 05.09.1991 di un’apposita
convenzione urbanistica (cfr. doc.ti n. 3
usque 6 del fascicolo di primo grado della parte ivi ricorrente).
Va sin d’ora precisato che i quattro piani
fuori terra del condominio si estendono su
tre lati di un quadrilatero, al cui centro è
stata realizzata una piazzola, di proprietà
del condominio medesimo, complessivamente
estesa per una superficie di mq. 120 e
aperta sul quarto lato confinante su via
..., dalla quale vi si accede.
In buona sostanza, quindi, l’edificio
condominiale assume la forma c.d. “a
ferro di cavallo” prospiciente la via
....
Tale piazzola risultava inizialmente
destinata all’epoca dei fatti di causa, a’
sensi dell’art. 35, comma 6, delle Norme
tecniche di attuazione dell’allora vigente
Piano regolatore generale del Comune, a “verde
pubblico”, destinato a “parchi e ad
aree attrezzate per il gioco dei bambini e
dei ragazzi e per il riposo degli adulti”,
con conseguente possibilità di realizzare
ivi “bar, chioschi di ristoro, tettoie
aperte, servizi igienici, gioco bambini (con
esclusione di attrezzature o campi sportivi”
(cfr. doc. 2 di parte appellante, riprodotto
anche nel presente grado di giudizio).
A questo riguardo va sin d’ora evidenziato
che l’art. 3 della predetta convenzione
urbanistica prevedeva la costituzione sulla
piazzola sopradescritta di un vincolo di uso
pubblico come standard di Piano urbanistico
attuativo (PUA).
L’invero singolare riconduzione della
piazzola di proprietà condominiale a “verde
pubblico” trova spiegazione, secondo gli
appellanti, nella necessità - affermata
dalla Relazione illustrativa del predetto
Piano di recupero - di assicurare una
dotazione minima di spazi pubblici, tra cui
circa mq. 100 di spazi a verde, e nella
correlativa circostanza che il progetto del
condominio prevedeva un eccesso di mq. 120
di area a verde, corrispondente –per
l’appunto– alla superficie della piazzola (cfr.
pag. 7 dell’atto introduttivo del presente
giudizio, nota 3).
Il susseguente art. 4 della medesima
convenzione, nell’elencare le opere di
urbanizzazione primaria, menzionava quindi
anche le piazze “coperte e scoperte”
(espressione, questa, che gli appellanti
considerano del tutto “vaga e generica,
considerato oltretutto che di piazza ne era
prevista una soltanto”: cfr. ibidem).
Sulla medesima piazzola prospetta un
pubblico esercizio denominato “Il.Ba.”, i
cui locali rientrano sempre nel
sopradescritto complesso condominiale, al
quale è stato attribuito il numero civico n.
35 della medesima via ... e di cui è
titolare la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
Tale esercizio “osserva l’orario di
apertura dalle ore 07.00 alle ore 22.00”
e “serve quasi esclusivamente i parenti
dei ricoverati” nell’attiguo ospedale (cfr.
pag. 2 del controricorso nel presente grado
di giudizio presentato dalla medesima
società).
Gli attuali appellanti riferiscono peraltro
che alcuni anni dopo l’ultimazione dei
lavori di costruzione del condominio la
proprietà del predetto bar aveva iniziato a
costruire sulla piazzola una grande tettoia
allo scopo di dotare di una copertura le
sedie e i tavolini riservati agli avventori.
Tale iniziativa della società aveva
incontrato una risoluta opposizione da parte
degli altri condomini, i quali non avevano
prestato il proprio assenso alla
realizzazione di tale struttura, “preoccupati
dal fatto che la copertura avrebbe non solo
ostruito le loro vedute verso la piazzola
interna, ma soprattutto trasformato l’area a
pertinenza esclusiva del medesimo bar, con
prevedibile costante disturbo della quiete,
diurna e notturna” (cfr. pag. 5
dell’atto introduttivo del presente
giudizio).
L’amministratore del condominio, in tale
contesto, aveva anche segnalato la
circostanza all’Amministrazione comunale
affinché fosse verificata la regolarità
edilizia di tale intervento e, in caso
contrario, assumesse i conseguenti
provvedimenti sanzionatori.
Riferiscono sempre gli appellanti che
l’opera in questione è risultata in effetti
non assistita da un titolo edilizio e che i
lavori erano stati pertanto sospesi con un
provvedimento dell’Amministrazione comunale
adottato in data 08.08.2000 quando peraltro
la copertura risultava ormai di fatto già
realizzata anche con un suo prolungamento
fino all’ingresso del bar.
Gli appellanti precisano quindi che la
società titolare del bar ha potuto ottenere
la sanatoria per la realizzazione della
tettoia verosimilmente in quanto gli
elaborati del Piano di recupero
raffiguravano -in effetti- al centro della
piazzola condominiale un’opera di arredo,
costituita –per l’appunto– da una copertura,
peraltro destinata ad essere non già
edificata quale opera di urbanizzazione,
bensì quale opera privata che sarebbe stata
quindi realizzata soltanto se e quando i
condomini avessero voluto determinarsi in
proposito: tanto che –rilevano sempre i
medesimi appellanti– la stessa
Amministrazione comunale, nell’assentire la
sanatoria dell’opera, non ne ha scomputato
il relativo importo dal contributo di
concessione, riconoscendone sotto questo
profilo la natura di opera privata.
Tuttavia –allo stesso tempo– la sanatoria è
stata rilasciata a beneficio della società
che l’aveva chiesta con atto della Giunta
comunale mediante deliberazione n. 6 dd.
25.06.2001, nella quale si afferma che agli
effetti della sanatoria medesima, disposta
a’ sensi dell’allora vigente art. 77 della
l.r. 27.06.1985, n. 61, l’opera assumeva
natura di pubblica utilità (cfr. doc. 12 di
parte ricorrente in primo grado).
Va anche precisato che tale provvedimento è
stato impugnato sub R.G. n. 899 del 2001
innanzi al TAR per il Veneto dalle predette
PI. S.a.s. di A.Pi. & C. e El. S.a.s. di
Pi.Ge. & C., nella loro qualità di
proprietarie pro tempore di alcune
unità immobiliari facenti parte del
condominio, deducendo al riguardo i seguenti
ordini di censure:
1) violazione dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985, posto che la
tettoia non costituiva un’opera di
urbanizzazione, ossia di un’opera di
pubblica utilità; né tanto meno poteva
riguardarsi quale opera pubblica;
2) eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico, in
quanto la realizzazione della medesima
tettoia neppure rispondeva ad un pubblico
interesse, bensì risultava esclusivamente
funzionale all’interesse privato e
commerciale della Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.,
tanto da prolungarsi per un tratto fino al
bar da essa gestito, essendosi pertanto
l’Amministrazione comunale avvalsa del
potere di cui all’anzidetto art. 77 della
l.r. n. 61 del 1985 per perseguire fini
diversi da quelli per cui il potere stesso è
stato attribuito;
3) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto
l’Amministrazione comunale aveva del tutto
travisato i presupposti di fatto sulla cui
base si era determinata, in particolare
ritenendo erroneamente:
a) che la piazzola su cui realizzare la
copertura fosse di proprietà pubblica, o
almeno che fosse destinata a divenirlo;
b) che la tetttoia realizzata dalla Fo. e
Pr.Id. & C. S.n.c. fosse conforme a quella
prevista dal Piano di recupero, mentre la
prima recava –a differenza della seconda– un
vistoso prolungamento e l’appoggio al muro
condominiale, proprio in corrispondenza del
bar;
4) eccesso di potere per contraddizione con precedenti
manifestazioni di volontà, posto che
l’Amministrazione comunale non aveva
considerato la tettoia quale opera di
pubblica utilità allorquando si era discusso
di scomputarla dagli oneri di
urbanizzazione, mentre l’aveva reputata
opera di urbanizzazione, e cioè di pubblica
utilità, allorquando si era trattato di
approvare il progetto in sanatoria a’ sensi
dell’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del
1985;
5) violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 77 della l.r. n. 61
del 1985 per incompetenza, in quanto la
disciplina in esso contenuta rimetteva al
Consiglio comunale –e non all’organo
giuntale– l’approvazione sostitutiva del
titolo edilizio mancante.
...
3.2.1. Premesso tutto ciò, l’appello in epigrafe va accolto.
3.2.2. L’art. 825 c.c., intitolato “Diritti demaniali su beni altrui”,
dispone che sono assoggettati al medesimo regime del demanio pubblico di cui
all’art. 823 del medesimo codice -ossia sono inalienabili, non possono
formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi stabiliti dalle
leggi che lo riguardano, e alla loro tutela la pubblica amministrazione che
ne è titolare può provvedere in via ordinaria secondo la disciplina dello
stesso codice civile apprestata per la difesa della proprietà e del
possesso, ovvero mediante azione amministrativa- “i diritti reali che
spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri
soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno
dei beni indicati negli articoli precedenti o per il conseguimento di fini
di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni
medesimi”.
E’ ben noto che tale articolo disciplina in tal modo unitariamente i
principi informatori dell’istituto delle cc.dd. “servitù di uso pubblico”,
invero definite correntemente come “diritti di uso pubblico”, le quali
pertanto rientrano nel più ampio novero dei diritti reali pubblici di
godimento costituiti su immobili di proprietà privata.
Proprio in tale contesto l’articolo in esame comunque concettualmente
distingue le cc.dd. “servitù prediali pubbliche” e i veri e propri “diritti”
(o “servitù”) “di uso pubblico”.
Le prime corrispondono ai diritti reali ivi indicati come “costituiti per
l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti”, mentre
i
secondi corrispondono ai diritti costituiti “per il conseguimento di fini di
pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
Le servitù prediali pubbliche sono pertanto particolari diritti reali
spettanti alle pubbliche amministrazioni e che gravano su beni di proprietà
privata.
I privati risultano in tal senso destinatari di una limitazione del loro
diritto in funzione della pubblica utilità segnatamente posta a vantaggio di
un bene demaniale, alla stessa guisa dell’istituto della servitù prediale
disciplinato dagli artt. 1027 e ss. c.c., e ciò anche se la relativa
disciplina è prevalentemente devoluta a leggi speciali e l’imposizione del
vincolo servile avviene pertanto mediante l’emanazione di un provvedimento
amministrativo (cfr. art. 1032, primo comma, c.c.).
In tale ipotesi è infatti la stessa disciplina di settore di diritto
pubblico che prevede per talune categorie di beni, in ragione di un rapporto
di funzionalità fra bene pubblico e bene privato, la costituzione in favore
del primo di un diritto reale parziario, quale servitù coattiva: il che
accade, ad esempio, per le funicolari aeree, gli elettrodotti, la servitù di
scolo delle acque sui terreni posti ai lati (o sottostanti) le strade
pubbliche, le servitù militari o quelle aeronautiche.
Dalle “servitù prediali pubbliche”, come sopra sintetizzate, devono essere
quindi distinti i cc.dd. “diritti di uso pubblico”, contemplati nel medesimo
art. 825 c.c, sebbene –come dianzi rilevato, e come anche accaduto nel caso
di specie– seguitino comunque ad essere parimenti definiti nel linguaggio
comune quali “servitù pubbliche”, ancorché –per l’appunto– “non prediali”.
Essi consistono in un diritto reale di cui è titolare un ente pubblico al
fine del perseguimento di un pubblico interesse e che è gravante su beni
appartenenti a privati, seppur in assenza di un rapporto funzionale tra
beni.
Sulla base di un diritto di uso pubblico una determinata collettività di
persone può infatti essere in tal modo ammessa ad una parziale utilizzazione
di tali beni che, in tal modo, pur rimanendo di proprietà privata, nel
contempo sono destinati al soddisfacimento del predetto pubblico interesse.
L’esempio più significativo è costituito dalle strade o spazi privati aperti
al pubblico passaggio, come accade, tra l’altro, per le cc.dd. “strade
vicinali” di cui all’allegato F, artt. 1, 9, 18, 19, 20, 51 e 84 del r.d. 20.03.1865, n. 2248, e al d.l.lgt. 01.09.1918, n. 1146.
Giova rimarcare che il fondamentale elemento distintivo tra servitù prediali
pubbliche e diritti di uso pubblico risiede comunque nell’assenza, nei
secondi, di un rapporto funzionale tra beni.
I diritti di uso pubblico sussistono infatti in questa evenienza a favore
delle collettività non già per l’utilità di un bene demaniale, bensì in
quanto ogni membro della collettività medesima può legittimamente fruire del
bene asservito nei limiti del relativo vincolo al pubblico interesse,
realizzato mediante la costituzione di un diritto reale parziale, non
obliterante la proprietà privata, ma che ne funzionalizza il contenuto al
pubblico interesse, coerentemente all’art. 42 Cost. e come conseguente
obbligo contemplabile dall’ordinamento giuridico nel contesto del c.d.
“statuto della proprietà privata”, a’ sensi degli artt. 832 e ss. c.c..
Va dunque ribadito che in tal senso i diritti di uso pubblico si configurano
quali diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni, come
esplicitato dal medesimo art. 825 c.c., “per il conseguimento di fini di
pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni [demaniali]
medesimi”, ossia si configurano quale peso imposto su di un bene privato nel
pubblico interesse, a favore della collettività, presupponendo in tal senso
una publica utilitas, ossia l’oggettiva idoneità del bene privato a
soddisfare un’esigenza comune ad una collettività indeterminata di
cittadini: esigenza, questa, che va intesa in senso ampio, e cioè non come
pura e semplice necessità, ma anche come mera comodità.
Detto altrimenti, nelle servitù di uso pubblico, al peso gravante sul fondo
servente corrisponde dal lato attivo il conseguimento di fini di pubblico
interesse da parte di una comunità di persone considerate uti cives, sicché
la loro connotazione peculiare è data dalla generalità di un uso
indiscriminato da parte dei singoli e dalla oggettiva idoneità del bene
privato al soddisfacimento di tale interesse collettivo (cfr. in tal senso,
ad es., Cass. civ., Sez. II, 10.01.2011, n. 333).
Tali posizioni giuridiche devono dunque essere riguardate quali diritti
reali sui generis, incidenti sul contenuto della proprietà privata ma non
estintivi della stessa, assoggettati al regime previsto per i beni del
demanio pubblico, e -quindi- inalienabili e imprescrittibili.
In dipendenza di ciò, pertanto, se l’assoggettamento di un’area privata a
servitù di uso pubblico non comporta per il proprietario –come più volte
ripetuto innanzi- la perdita del diritto di proprietà del bene, del quale
infatti egli può sempre chiedere la tutela in sede giudiziale, l’ente
pubblico -per converso- non essendo titolare del diritto dominicale, bensì
di un mero diritto reale parziario su di un bene privato, può, su questo,
esercitare unicamente le facoltà dirette a garantire e ad assicurare l’uso
pubblico da parte di tutti i cittadini, essendo conseguentemente legittimato
a tutelare il diritto parziario medesimo sia in via amministrativa, sia in
via giurisdizionale, avvalendosi, in quest’ultima ipotesi, in forza
dell’anzidetto rinvio operato dall’art. 825 c.c. nei riguardi dell’art. 823
dello stesso codice, di fronte al giudice ordinario, dei mezzi ordinari a
difesa del diritto di servitù e del possesso ivi normati dalla medesima
disciplina di diritto comune.
Va comunque opportunamente precisato che, oltre all’ente pubblico, a difesa
del diritto di uso pubblico può anche agire in giudizio, uti singulus e
avvalendosi dei mezzi ordinari di tutela, ciascun cittadino appartenente
alla collettività cui l’uso pubblico pertiene (cfr. al riguardo, ex plurimis
e tra le più recenti,
Cass. civ., Sez. II, 13.06.2019 n. 15931).
La prassi contempla la costituzione dei diritti di uso pubblico per
usucapione da parte di una collettività indifferenziata di soggetti e
imputata nel proprio effetto acquisitivo all’amministrazione pubblica a ciò
competente (come ad esempio accade per l’ipotesi dell’usucapione dell’uso
pubblico su di una strada privata), per dicatio ad patriam (consistente a
sua volta nel comportamento del proprietario che, seppure non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o
spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune
ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i
quali tale comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito
che lo anima: cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass. civ., Sez. I, 11.03.2016, n. 4851; Sez. II, 12.08.2002, n. 12167,
04.06.2001, n. 7481, 10.12.1994, n. 10574; Cons. Stato, Sez. V, 24.05.2007, n. 2618)
nonché –come per l’appunto avvenuto nel caso di specie– per convenzione
stipulata tra l’ente pubblico e i privati.
La categoria di diritti demaniali di uso pubblico più importante e di
maggiore applicazione pratica è senza dubbio quella dell’uso pubblico di
passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi: quella del
predetto passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico -e cioè sulle strade
private soggette a pubblico transito- e quella del passaggio su spiazzi,
vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli
agglomerati urbani (Consiglio di Stato, Sez.
II,
sentenza 12.05.2020 n. 2999 -
link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
Nel contesto dell’art.
825 c.c. l’ente pubblico non può
disporre in ordine alle aree private
assoggettate a servitù pubblica oltre i
limiti necessari per garantire la perdurante
insistenza sul bene del diritto di proprietà
del privato.
In tal senso, infatti, l’ente pubblico
titolare del diritto parziario demaniale non
può esercitare, sui beni assoggettati a
diritto di uso pubblico, i poteri che di
norma spettano all’ente medesimo sui beni
integralmente rientranti nel proprio
demanio, e in primis quello di concedere a
singoli privati un uso eccezionale dei beni
medesimi.
Infatti, la concessione di un uso esclusivo
a un terzo del bene privato
“funzionalizzato” a’ sensi dell’art. 825
c.c. all’uso pubblico, violerebbe per certo
l’utilizzo del bene uti cives da parte
dell’intera comunità di cui il Comune –nella
specie– è, nondimeno, il soggetto
esponenziale nonché garante dei relativi
diritti e interessi.
Allo stesso tempo il Comune, disponendo a
favore di un singolo il godimento in via
esclusiva del bene di cui non è
integralmente titolare ma in ordine al quale
esercita unicamente un diritto parziario
finalizzato al perseguimento del pubblico
interesse, violerebbe altrettanto certamente
il pur funzionalizzato diritto di proprietà
di cui il privato è titolare: e ciò, dunque,
infrangendo la ben nota regula iuris di
diritto comune -ma, all’evidenza, valida
anche in diritto pubblico- per cui nemo plus
iuris in alium transferre potest, quam ipse
habet, (D. 50.17.54 – Ulpianus, liber XLVI,
Ad edictum).
Va qui anche opportunamente precisato che
l’uso “speciale” (o altrimenti definito
“eccezionale”) del bene si determina anche
attraverso una sua occupazione non soltanto
permanente, ma anche temporanea, da parte di
colui che se ne avvale uti singulus.
Tali principi sono chiaramente espressi da
una giurisprudenza risalente nel tempo, ma
ancor oggi del tutto consolidata e
–soprattutto– assolutamente coerente con la
disciplina contenuta nell’art.
825 c.c..
Cass. civ., Sez. I, 02.03.1964 n. 469, e
29.11.1979 n. 6272, hanno infatti già avuto
modo di affermare che l’Amministrazione
comunale, titolare di una servitù di uso
pubblico su di un’area privata, può su di
essa esercitare i soli poteri che siano
rivolti a garantire e disciplinare l’uso
generale da parte della collettività,
nell’ambito del pubblico interesse
giustificativo della servitù medesima, e che
pertanto, ove non sia espressamente
consentito dal titolo, il Comune medesimo
non può concedere al singolo usi eccezionali
e particolari su porzioni di tale immobile
(nella specie l’erezione di un’edicola per
la rivendita di giornali).
Né può sostenersi che l’Amministrazione
comunale potrebbe comunque consentire, a
prescindere dalla volontà del privato
proprietario, l’uso eccezionale da parte di
un terzo del bene asservito all’uso pubblico
con riguardo a quanto disposto dagli artt.
38 e 39 del d.lgs. 15.11.1993, n. 507,
recante –tra l’altro– la “revisione ed
armonizzazione della tassa per l’occupazione
di spazi ed aree pubbliche dei comuni e
delle province”, dove invero rispettivamente
si legge al comma 3 del predetto art. 38 che
tale tassa “si applica, altresì, alle
occupazioni realizzate su tratti di aree
private sulle quali risulta costituita, nei
modi e nei termini di legge, la servitù di
pubblico passaggio” e all’art. 39 predetto
che “la tassa è dovuta al comune o alla
provincia dal titolare dell’atto di
concessione o di autorizzazione o, in
mancanza, dall’occupante di fatto, anche
abusivo, in proporzione alla superficie
effettivamente sottratta all’uso pubblico
nell’ambito del rispettivo territorio”.
Sul punto, Cass. civ., SS.UU. 08.03.1999, n.
158, e 08.07.1998, n. 6633, hanno infatti a
loro volta avuto modo di evidenziare che la
parificazione delle aree demaniali o del
patrimonio indisponibile a quelle private
soggette a servitù di uso pubblico, operante
ai fini dell’applicazione della tassa (oggi
canone) per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche, trova la sua ratio nella
circostanza che la parziale occupazione di
tali aree comporta comunque una sottrazione
della superficie occupata all’uso pubblico
cui la stessa è destinata, giustificando,
così, la debenza della tassa in parola da
parte dell’occupante quale corrispettivo
della limitazione apportata al godimento
della collettività: ma ciò attiene
esclusivamente al piano dei rapporti
tributari e comporta, tutt’al più, che il
Comune possa pretendere quella tassa da chi
occupi gli spazi abusivamente o in virtù di
contratto con il privato proprietario, o
anche che possa interferire, inibendolo o
subordinandolo a propria autorizzazione, in
forza della suindicata ratio, sul diritto di
tale proprietario di cedere a terzi l’uso di
porzioni dell’area, ma non può giammai
indurre a configurare, salva un’espressa
previsione del titolo costitutivo della
servitù pubblica di passaggio, un suo
autonomo potere concessorio, assolutamente
incompatibile, come si è detto, con il
diritto dominicale del privato, sia pure
limitato dall’esistenza di tale servitù.
---------------
1.1. Gli attuali appellanti, signor Al.Pi.,
e signora Mo.Vi., rivestono rispettivamente
la qualità di condomino e di amministratrice
del condominio “Pi.Gi.”, situato a
Montebelluna in via ... (rectius:
...) n. 45 in posizione frontistante al
complesso edilizio costituito dal locale
Ospedale civile.
Essi espongono che il condominio, distinto
in catasto al foglio n. 31, mappale n. 31, è
sorto su iniziativa dei signori Gi.Pi.,
Ma.Fa. e No.Ba., ai quali sono poi
subentrati la El. di Ge.Pi. & C. S.a.s. e la
PI. di Gi.Pi. & C. S.a.s.
L’edificazione è avvenuta in base ad un
Piano di recupero di iniziativa privata
approvato a’ sensi degli allora vigenti artt.
11, comma 1, n. 2, lett. b), e 60 della l.r.
27.06.1985, n. 61, con deliberazione del
Consiglio comunale di Montebelluna n. 150
dd. 05.06.1989, seguito dalla stipulazione
in data 05.09.1991 di un’apposita
convenzione urbanistica (cfr. doc.ti n. 3
usque 6 del fascicolo di primo grado della parte ivi ricorrente).
Va sin d’ora precisato che i quattro piani
fuori terra del condominio si estendono su
tre lati di un quadrilatero, al cui centro è
stata realizzata una piazzola, di proprietà
del condominio medesimo, complessivamente
estesa per una superficie di mq. 120 e
aperta sul quarto lato confinante su via
..., dalla quale vi si accede.
In buona sostanza, quindi, l’edificio
condominiale assume la forma c.d. “a
ferro di cavallo” prospiciente la via
....
Tale piazzola risultava inizialmente
destinata all’epoca dei fatti di causa, a’
sensi dell’art. 35, comma 6, delle Norme
tecniche di attuazione dell’allora vigente
Piano regolatore generale del Comune, a “verde
pubblico”, destinato a “parchi e ad
aree attrezzate per il gioco dei bambini e
dei ragazzi e per il riposo degli adulti”,
con conseguente possibilità di realizzare
ivi “bar, chioschi di ristoro, tettoie
aperte, servizi igienici, gioco bambini (con
esclusione di attrezzature o campi sportivi”
(cfr. doc. 2 di parte appellante, riprodotto
anche nel presente grado di giudizio).
A questo riguardo va sin d’ora evidenziato
che l’art. 3 della predetta convenzione
urbanistica prevedeva la costituzione sulla
piazzola sopradescritta di un vincolo di uso
pubblico come standard di Piano urbanistico
attuativo (PUA).
L’invero singolare riconduzione della
piazzola di proprietà condominiale a “verde
pubblico” trova spiegazione, secondo gli
appellanti, nella necessità - affermata
dalla Relazione illustrativa del predetto
Piano di recupero - di assicurare una
dotazione minima di spazi pubblici, tra cui
circa mq. 100 di spazi a verde, e nella
correlativa circostanza che il progetto del
condominio prevedeva un eccesso di mq. 120
di area a verde, corrispondente –per
l’appunto– alla superficie della piazzola (cfr.
pag. 7 dell’atto introduttivo del presente
giudizio, nota 3).
Il susseguente art. 4 della medesima
convenzione, nell’elencare le opere di
urbanizzazione primaria, menzionava quindi
anche le piazze “coperte e scoperte”
(espressione, questa, che gli appellanti
considerano del tutto “vaga e generica,
considerato oltretutto che di piazza ne era
prevista una soltanto”: cfr. ibidem).
Sulla medesima piazzola prospetta un
pubblico esercizio denominato “Il.Ba.”, i
cui locali rientrano sempre nel
sopradescritto complesso condominiale, al
quale è stato attribuito il numero civico n.
35 della medesima via ... e di cui è
titolare la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
Tale esercizio “osserva l’orario di
apertura dalle ore 07.00 alle ore 22.00”
e “serve quasi esclusivamente i parenti
dei ricoverati” nell’attiguo ospedale (cfr.
pag. 2 del controricorso nel presente grado
di giudizio presentato dalla medesima
società).
Gli attuali appellanti riferiscono peraltro
che alcuni anni dopo l’ultimazione dei
lavori di costruzione del condominio la
proprietà del predetto bar aveva iniziato a
costruire sulla piazzola una grande tettoia
allo scopo di dotare di una copertura le
sedie e i tavolini riservati agli avventori.
Tale iniziativa della società aveva
incontrato una risoluta opposizione da parte
degli altri condomini, i quali non avevano
prestato il proprio assenso alla
realizzazione di tale struttura, “preoccupati
dal fatto che la copertura avrebbe non solo
ostruito le loro vedute verso la piazzola
interna, ma soprattutto trasformato l’area a
pertinenza esclusiva del medesimo bar, con
prevedibile costante disturbo della quiete,
diurna e notturna” (cfr. pag. 5
dell’atto introduttivo del presente
giudizio).
L’amministratore del condominio, in tale
contesto, aveva anche segnalato la
circostanza all’Amministrazione comunale
affinché fosse verificata la regolarità
edilizia di tale intervento e, in caso
contrario, assumesse i conseguenti
provvedimenti sanzionatori.
Riferiscono sempre gli appellanti che
l’opera in questione è risultata in effetti
non assistita da un titolo edilizio e che i
lavori erano stati pertanto sospesi con un
provvedimento dell’Amministrazione comunale
adottato in data 08.08.2000 quando peraltro
la copertura risultava ormai di fatto già
realizzata anche con un suo prolungamento
fino all’ingresso del bar.
Gli appellanti precisano quindi che la
società titolare del bar ha potuto ottenere
la sanatoria per la realizzazione della
tettoia verosimilmente in quanto gli
elaborati del Piano di recupero
raffiguravano -in effetti- al centro della
piazzola condominiale un’opera di arredo,
costituita –per l’appunto– da una copertura,
peraltro destinata ad essere non già
edificata quale opera di urbanizzazione,
bensì quale opera privata che sarebbe stata
quindi realizzata soltanto se e quando i
condomini avessero voluto determinarsi in
proposito: tanto che –rilevano sempre i
medesimi appellanti– la stessa
Amministrazione comunale, nell’assentire la
sanatoria dell’opera, non ne ha scomputato
il relativo importo dal contributo di
concessione, riconoscendone sotto questo
profilo la natura di opera privata.
Tuttavia –allo stesso tempo– la sanatoria è
stata rilasciata a beneficio della società
che l’aveva chiesta con atto della Giunta
comunale mediante deliberazione n. 6 dd.
25.06.2001, nella quale si afferma che agli
effetti della sanatoria medesima, disposta
a’ sensi dell’allora vigente art. 77 della
l.r. 27.06.1985, n. 61, l’opera assumeva
natura di pubblica utilità (cfr. doc. 12 di
parte ricorrente in primo grado).
Va anche precisato che tale provvedimento è
stato impugnato sub R.G. n. 899 del 2001
innanzi al TAR per il Veneto dalle predette
PI. S.a.s. di A.Pi. & C. e El. S.a.s. di
Pi.Ge. & C., nella loro qualità di
proprietarie pro tempore di alcune
unità immobiliari facenti parte del
condominio, deducendo al riguardo i seguenti
ordini di censure:
1) violazione dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985, posto che la
tettoia non costituiva un’opera di
urbanizzazione, ossia di un’opera di
pubblica utilità; né tanto meno poteva
riguardarsi quale opera pubblica;
2) eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico, in
quanto la realizzazione della medesima
tettoia neppure rispondeva ad un pubblico
interesse, bensì risultava esclusivamente
funzionale all’interesse privato e
commerciale della Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.,
tanto da prolungarsi per un tratto fino al
bar da essa gestito, essendosi pertanto
l’Amministrazione comunale avvalsa del
potere di cui all’anzidetto art. 77 della
l.r. n. 61 del 1985 per perseguire fini
diversi da quelli per cui il potere stesso è
stato attribuito;
3) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto
l’Amministrazione comunale aveva del tutto
travisato i presupposti di fatto sulla cui
base si era determinata, in particolare
ritenendo erroneamente:
a) che la piazzola su cui realizzare la
copertura fosse di proprietà pubblica, o
almeno che fosse destinata a divenirlo;
b) che la tetttoia realizzata dalla Fo. e
Pr.Id. & C. S.n.c. fosse conforme a quella
prevista dal Piano di recupero, mentre la
prima recava –a differenza della seconda– un
vistoso prolungamento e l’appoggio al muro
condominiale, proprio in corrispondenza del
bar;
4) eccesso di potere per contraddizione con precedenti
manifestazioni di volontà, posto che
l’Amministrazione comunale non aveva
considerato la tettoia quale opera di
pubblica utilità allorquando si era discusso
di scomputarla dagli oneri di
urbanizzazione, mentre l’aveva reputata
opera di urbanizzazione, e cioè di pubblica
utilità, allorquando si era trattato di
approvare il progetto in sanatoria a’ sensi
dell’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del
1985;
5) violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 77 della l.r. n. 61
del 1985 per incompetenza, in quanto la
disciplina in esso contenuta rimetteva al
Consiglio comunale –e non all’organo
giuntale– l’approvazione sostitutiva del
titolo edilizio mancante.
Tale causa è stata chiamata in decisione dal
giudice adito soltanto alla pubblica udienza
del 06.03.2018, e nella sentenza che ha
definito il relativo giudizio si legge “considerato
che le parti hanno presentato … istanza
congiunta di rinvio della trattazione della
causa, per la pendenza di trattative volte
alla composizione bonaria della lite”:
istanza che peraltro il giudice medesimo non
ha accolto, “ritenuta la mancanza dei
presupposti ….. attesi il carattere
risalente (della controversia), la
genericità del riferimento alle trattative
pendenti e l’essere la causa matura per la
decisione”, dichiarando quindi, con
sentenza semplificata resa a’ sensi
dell’art. 74 c.p.a,. il ricorso
inammissibile per omessa sua notifica alla
controinteressata Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
a’ sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a. (ma
forse sarebbe stato più corretto richiamare
al riguardo l’art. 21, primo comma, della l.
06.12.1971, n. 1034, vigente all’epoca della
proposizione dell’impugnativa) (cfr.
sentenza n. 290 dd. 06.03.2018 resa dalla
Sez. I del TAR per il Veneto, prodotta quale
doc. n. 12 dal Comune di Montebelluna in
data 31.10.2019 agli atti del presente
giudizio).
Tale sentenza non è stata impugnata e
risulta pertanto passata in giudicato.
Ritornando agli originari atti di causa, tre
anni dopo l’intervenuta sanatoria della
tettoia, con atto Rep. n. 6176 dd.
29.09.2004, in esecuzione di quanto previsto
dalla ormai risalente convenzione
urbanistica dd. 05.09.1991, è stato
formalmente costituito da tutti i condomini
“un vincolo perpetuo” di “servitù
di uso pubblico a favore del Comune di
Montebelluna … sulle aree adibite a servizi,
parcheggio e verde pubblici, così censite:
Comune di Montebelluna, NCEU, Foglio 1, Mapp.
n. 2552 … sub. 53, mq. 40,10 lastrico
solare; Mapp. N. 2552, sub. 54, mq. 79,80
lastrico solare” (cfr. ibidem,
doc. n. 15), corrispondenti alla piazzola
sopradescritta.
Va rilevato sin d’ora che, a’ sensi
dell’art. 2 dell’atto costitutivo di tale
vincolo servile, “le parti private
costituenti la servitù in oggetto dichiarano
di essere divenute proprietarie in forza di
titoli validi ed efficaci. A tal fine
garantiscono la proprietà della quota a
ciascuno spettante delle aree oggetto della
presente costituzione di servitù, così come
risultanti anche dal regolamento di
condominio con annesse tabelle millesimali…”.
A questo punto la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
ha chiesto all’Amministrazione comunale di
occupare il “suolo pubblico in via ...,
civico n. 35 per posa tavoli e sedie a
servizio dell’esercizio pubblico, nei giorni
dal 09.08.2006 al 31.12.2006”.
Con provvedimento n. 154/2005 dd. 03.08.2005
a firma del Dirigente preposto al Settore
Terzo – Servizio gestione patrimonio demanio
del Comune di Montebelluna tale
autorizzazione è stata rilasciata “in via
precaria–temporale”, “Eseguito il
sopralluogo sul posto unitamente al Servizio
Viabilità”, “Visto il parere
favorevole della Giunta Comunale” non
meglio specificato nei suoi estremi, nonché
“Visti gli artt. 20 e 21 del Codice della
Strada (d.lgs. n. 285 del 1992) e artt. dal
n. 29 al n. 43 del Regolamento (d.P.R. n.
495 del 1992)”.
Tale autorizzazione, comportante
l’occupazione di una superficie di mq. 75,52
(quindi pari a quasi due terzi della
complessiva estensione della piazzola), è
stata testualmente rilasciata “senza il
pregiudizio del diritto di terzi” ed è
stata contestualmente “vincolata
all’osservanza” di alcune “prescrizioni
speciali”, tra cui, in particolare, “che
il suolo pubblico non venga manomesso,
eventualmente sia ripristinato a regola
d’arte”.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. n. 2706
del 2005 innanzi al TAR per il Veneto i
signori Al.Pi. e Mo.Vi. hanno chiesto
l’annullamento di tale provvedimento,
deducendo, quale censura assorbente la
circostanza che l’area interessata non era
di proprietà pubblica e che, comunque, essa
non era utilizzabile come plateatico da
parte di un singolo in ragione della sua
destinazione servile a beneficio della
collettività.
1.3. Si è costituito in tale primo grado di
giudizio il Comune di Montebelluna,
sollevando eccezioni preliminari e
concludendo comunque per la reiezione del
ricorso.
1.4. Si è parimenti costituita nel medesimo
primo grado di giudizio la Fo. e Pr.Id. & C.
S.n.c., rassegnando analoghe conclusioni.
1.5. Con ordinanza n. 1025 dd. 13.12.2005,
emessa a’ sensi dell’allora vigente art. 21,
ottavo comma, della l. 06.12.1971, n. 1034,
come aggiunto dall’art. 3 della l.
21.07.2000, n. 205, la Sezione III
dell’adito TAR ha accolto la domanda di
sospensione cautelare del provvedimento
impugnato, “considerato che pare
opportuno richiamare il principio che vieta
l’aggravamento della servitù, sicché l’atto
impugnato appare confliggere con detto
principio”.
1.6. Susseguentemente, con deliberazione n.
162 dd. 24.07.2006 la Giunta comunale di
Montebelluna ha adottato un atto di
indirizzo al fine di “rivitalizzare il
centro storico della città tramite il
rilascio da parte dei Dirigenti competenti
di autorizzazioni e/o provvedimenti idonei
alla realizzazione di costruzioni e/o
impianti ad uso bar, chioschi di ristoro,
tettoie aperte, servizi igienici, gioco
bambini, ecc. … previo apposito
convenzionamento, sulle aree a verde
pubblico, siano di demanio comunale ovvero
gravate da uso pubblico, fatti salvi i
diritti dei terzi”.
1.7. In conseguenza di ciò, con
provvedimento Prot. n. 34538 dd. 07.09.2006
il medesimo Dirigente preposto al Settore
Terzo -medio tempore ridenominato
Servizio patrimonio demanio– del Comune di
Montebelluna ha accolto una nuova richiesta
della medesima società intesa ad ottenere “la
occupazione temporanea di suolo pubblico in
Viale (sic) ... (civico n. 35) con sedie e
tavoli a servizio del proprio esercizio”;
e ciò,
- “Vista la convenzione rep. 3647/1991 con la quale i
proprietari del terreno si impegnavano tra
l’altro a ‘costituire vincolo di
destinazione perpetua a titolo gratuito
delle aree da destinare a … area a verde di
mq. 120’”;
- “Vista la delibera della Giunta Comunale n. 162 del 24.07.2006
con la quale è stato fissato un atto di
indirizzo atto a rivitalizzare il centro
storico della città tramite il rilascio da
parte dei Dirigenti competenti di
autorizzazioni e/o provvedimenti idonei alla
realizzazione di costruzioni e/o impianti ad
uso bar, chioschi di ristoro, tettoie
aperte, servizi igienici, gioco bambini ecc.
su aree a verde pubblico anche gravate da
uso pubblico;
- Visto il parere dell’Ufficio Legale Contratti dell’01.09.2006;…
- Visti gli artt. 20 e 21 del Codice della Strada (d.lgs. n. 285
del 1992) e artt. dal n. 29 al n. 43 del
Regolamento (d.P.R. n. 485 del 1992)”.
L’occupazione in tal caso è stata assentita
per una superficie complessiva di mq. 50,99
(quindi minore rispetto a quanto assentito
con il precedente provvedimento), precisando
–altresì– che potevano essere collocati ivi
10 tavolini del diametro di cm. 0,60 e 40
sedie,
1.8. Con motivi aggiunti di ricorso il Pi. e
la Vi. hanno pertanto chiesto l’annullamento
anche di tali ulteriori provvedimenti.
1.9. L’Amministrazione comunale e la società
controinteressata hanno aderito anche a tale
ulteriore contraddittorio, parimenti
concludendo per la reiezione della nuova
impugnativa avversaria.
1.10. Con
sentenza 04.02.2009 n. 258, recante
un’ampia e dettagliata motivazione, la
medesima Sezione III dell’adito TAR ha
respinto l’originario ricorso e i motivi
aggiunti susseguentemente proposti,
rilevando innanzitutto che, secondo la tesi
fondamentalmente dedotta dai ricorrenti,
l’area di cui trattasi non sarebbe
compatibile con l’uso a plateatico, e che
tale assunto comportava pertanto la
necessità “di un accertamento
incidentale, pregiudiziale alla decisione
sulla legittimità del provvedimento
impugnato, e, dunque, ammissibile anche
davanti a questo giudice (art. 7, l.
1034/1971).
2.1. Il primo motivo del ricorso principale è rubricato
nella violazione degli artt. 20 e 21 del
d.lgs. 285/1992, nonché degli artt. 29-43
del d.P.R. 495/1992, e nell’eccesso di
potere per travisamento dei fatti e difetto
d’istruttoria.
Esso muove dall’affermazione che il cortile
interno, interessato dai due successivi
provvedimenti, non sarebbe un’area pubblica,
ma un’area privata “soggetta a semplice
servitù d’uso pubblico, la cui proprietà è
stata trasferita e appartiene per millesimi
ai singoli titolari delle unità immobiliari
in base a contratti regolarmente
trascritti”.
L’errore sarebbe confermato dall’incongruo
richiamo, contenuto nell’autorizzazione,
alle disposizioni appena citate, le quali
stabiliscono i requisiti necessari per il
rilascio dell’autorizzazione ad occupare
suolo pubblico.
Al contrario, l’area in questione non
sarebbe una strada pubblica, ovvero un altro
spazio pubblico quanto un’area scoperta,
“pertinenziale di un edificio condominiale,
caratterizzata … dal peso di una servitù di
uso pubblico”.
Ciò risulterebbe da una sequenza
documentale, costituita:
a) dal piano di recupero, approvato con deliberazione 05.06.1989,
n. 150, del consiglio comunale di
Montebelluna, seguito dalla convenzione
urbanistica 05.09.1991: essi prevedono la
realizzazione della corte interna, e la
costituzione gratuita di un vincolo di uso
pubblico;
b) dei contratti di vendita delle unità immobiliari incluse nel
condominio, le quali comprendono una quota
dell’area de qua;
c) il decreto 10.09.2004, n. 171 con cui il dirigente del settore
comunale urbanistica autorizza la
costituzione di una servitù perpetua d’uso
pubblico sull’area, seguita dall’atto di
costituzione della stessa servitù, di data
24.09.2004, il quale, specificano i
ricorrenti, “riguarda ancora e soltanto un
diritto parziale costituito su un’area di
proprietà privata”.
2.2. Per altro verso, poi, il provvedimento sarebbe viziato da
grave carenza d’istruttoria, e ciò anche
qualora l’area fosse effettivamente
pubblica, poiché, prima di autorizzare il
plateatico, si sarebbe dovuto procedere alla
comparazione dei diversi interessi, anche
privati, qui contrapposti accertando se
l’autorizzazione non compromettesse la
vivibilità di un’unità immobiliare privata.
2.3. Il secondo motivo –concretamente irrilevante, come si vedrà– è
rubricato nella violazione e falsa
applicazione degli artt. 38 e 39 del d.lgs.
507/1993, nonché nell’eccesso di potere per
travisamento dei fatti sotto altro profilo.
Rilevano, infatti, i ricorrenti –richiamando
Cass. s.u., 18.03.1999, n. 158– come la
titolarità di una servitù di pubblico
passaggio su un’area privata, consenta
all’Ente d’esercitare “i soli poteri che
siano rivolti a garantire e disciplinare
l’uso generale da parte della collettività,
nell’ambito del pubblico interesse
giustificativo della servitù medesima”.
Pertanto, ove il titolo costitutivo della
servitù non lo consenta espressamente, non
si possono concedere ad un singolo usi
eccezionali e particolari su porzioni di
detto immobile, non potendo, d’altro canto,
neppure farsi discendere dalla parificazione
delle aree private soggette a servitù di
pubblico passaggio, a quelle del demanio o
del patrimonio indisponibile, operata ex
artt. 38 e 39 cit. agli effetti
dell’applicazione della tassa per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
Tale parificazione, fondata sulla
circostanza che l’occupazione limita il
godimento della servitù da parte della
collettività e, dunque, può importare un
corrispettivo, attiene esclusivamente al
piano dei rapporti tributari e comporta
soltanto che il Comune può pretendere la
tassa da chi occupa l’area in forza di
contratto con il privato proprietario o
possa interferire, inibendolo o
subordinandolo a propria autorizzazione, in
ragione della suindicata giustificazione,
sul diritto del proprietario di cedere a
terzi l’uso di porzioni dell’area.
3.1. Invero, soprattutto dopo l’esposizione del secondo motivo di
ricorso, pare chiaro a questo Collegio come
la vertenza proceda da un fraintendimento –l
quale traspare anche dal provvedimento
cautelare emesso da questa Sezione- e cioè
che sull’area in questione, certamente
privata, gravi una servitù prediale pubblica
di passaggio.
3.2. È anzitutto opportuno rammentare che i diritti reali pubblici
parziali su beni privati, comunque definiti,
non possono essere contenuti nell’ambito
delle servitù prediali: ex art. 825 c.c., i
diritti reali spettanti agli Enti
territoriali su beni appartenenti ad altri
soggetti, sono sottoposti al regime del
demanio pubblico, anzitutto quando i diritti
stessi sono costituiti “per l’utilità di
alcuno dei beni indicati dagli articoli
precedenti” -e qui, indubbiamente, il
riferimento più immediato è alle servitù
prediali– ma, altresì, “per il conseguimento
di fini di pubblico interesse corrispondenti
a quelli a cui servono i beni medesimi”.
3.3. Secondo questa specifica disposizione, dunque, si possono
avere in astratto dei diritti reali pubblici
(ovvero, utilizzando una comune locuzione,
delle servitù d’uso pubblico) che non
richiedono un vincolo funzionale con altri
beni pubblici (qui, ad esempio, la corte non
è di passaggio tra due spazi pubblici) ed
hanno il loro limite nello scopo, ed un
contenuto stabilito dal titolo, il quale può
essere costituito da un atto, volontario o
coattivo, ovvero da una situazione di fatto
tipica (usucapione, dicatio ad patriam).
Per questi diritti non si pone, invero, una
questione d'aggravamento della servitù, ma
di compatibilità dell’utilizzazione, data al
bene privato dall’Ente pubblico, con il
contenuto del diritto reale pubblico,
secondo il suo titolo costitutivo: ed è
appunto questo a dover formare ora oggetto
di esame.
4.1. Nella fattispecie, invero, come già accennato, il diritto
reale è sorto pattiziamente: e per
determinarne natura e contenuto è necessario
considerare quegli stessi atti cui accennano
i ricorrenti nel primo motivo di ricorso
4.2. Orbene, il 05.09.1991, fu sottoscritta la convenzione per
l’attuazione del piano di recupero tra il
Comune e la proprietà: quest'ultima
s’impegnò (art. 3) a costituire “un vincolo
di destinazione perpetua a titolo gratuito
delle aree da destinare a: area a servizi e
parcheggio di m² 635; area a verde m² 120”,
e quindi, per un totale di m² 755.
Realizzato l’edificio, furono cedute le
unità immobiliari, richiamando negli atti di
compravendita la stessa convenzione,
divenuta così vincolante anche per gli
aventi causa.
4.3. Dopo che, nel 2004, fu infine emesso il certificato di
collaudo per le opere d’urbanizzazione
relative al piano, venne formato l’atto
pubblico 24.09.2004, sottoscritto dal Comune
e dalla proprietà.
L’art. 1 di questo stabilisce che, in
ottemperanza degli obblighi assunti nella
predetta convenzione, “i comparenti
costituiscono servitù di uso pubblico a
favore del Comune di Montebelluna, che
accetta, e precisamente sulle aree adibite a
servizi, parcheggio e verde pubblici”, per
una superficie complessiva di m² 771 “in
eccedenza a quanto previsto dalla
convenzione in oggetto, rientrante nei
limiti di tolleranza catastale”.
Tra questi sono le aree, qualificate come
lastrico solare, a mapp. n. 2552 sub 53, per
m² 40,10, e sub 54 per m² 79,90: nel
complesso esse –la documentazione in atti
non lascia dubbi– identificano la corte
interna e costituiscono i m² 120 aventi, sin
dal 1991, destinazione a verde pubblico.
4.4. Attraverso l’atto de quo è stata dunque pattiziamente
costituita in perpetuo una servitù a verde
pubblico (e non, si badi bene, una servitù
prediale pubblica, di passaggio o di altro
genere) in cui, al peso gravante sul fondo
servente, si vuol far corrispondere
immediatamente un vantaggio in favore di una
comunità di persone considerate uti civies.
La servitù pubblica de qua è dunque un
diritto reale pubblico dell’Ente, costituito
(non è superfluo ribadirlo) per perseguire
“fini di pubblico interesse corrispondenti a
quelli a cui servono” i beni demaniali –o
patrimoniali indisponibili– del Comune, ex
art. 825 c.c., e non invece per l’utilità di
un determinato suo bene pubblico, rispetto
al quale l’area privata si possa qualificare
come servente, e per la quale si possa porre
una questione di aggravamento.
5.1. La questione successiva, a questo punto, è di stabilire quale
sia il contenuto della servitù in questione,
ovvero quali poteri e facoltà essa
attribuisca all’Ente pubblico sul bene che
ne costituisce oggetto. Il titolo –e cioè
l’atto pubblico del 2004– non contiene per
vero alcun elemento risolutivo; a sua volta,
la convenzione del 1991 stabilisce che la
ditta attuatrice s’impegna a costituire
vincolo di destinazione perpetua a titolo
gratuito delle aree da destinare a servizi e
parcheggio e ad area a verde, e ciò all’art.
3, intitolato “vincolo di destinazione
perpetua di uso pubblico delle aree per le
opere di urbanizzazione primaria”.
5.2. Ancora –e quanto si esporrà è forse utile, per restituire le
giuste dimensioni alla vicenda– già la
relazione del dicembre 1988 alla proposta
privata per il piano di recupero poi
approvato, nel paragrafo “indici e standards
urbanistici”, dopo aver individuato la
superficie utile da edificare, e le relative
destinazioni, puntualizza come, ex art. 9
delle norme d’attuazione del piano
regolatore generale, fosse necessaria una
determinata dotazione minima di spazi
pubblici, tra cui circa m² 100 di spazi a
verde: e aggiunge che, in progetto, erano
stati in eccesso previsti m² 120 d’area a
verde (e si tratta del noto cortile, dunque
liberamente scelto dal proponente).
5.3. Considerato che fonte del vincolo di destinazione è la
disciplina urbanistica locale, è dunque a
questa, che si deve fare rinvio per
determinare il contenuto della destinazione
a verde, e, specificatamente, all’art. 35
(zone per spazi pubblici a servizio della
residenza) delle citate n.t.a. del piano.
Segnatamente, il paragrafo 6 è appunto
intitolato alle zone a verde pubblico,
destinate “a parchi e ad aree attrezzate per
il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il
riposo degli adulti”: in esse, seguita la
previsione, possono essere realizzate
unicamente “costruzioni ad uso bar, chioschi
di ristoro, tettoie aperte, servizi
igienici, gioco bambini (con esclusione di
attrezzature o campi sportivi)”.
5.4. Ora, sebbene sia evidente che la disposizione non sia stata
immaginata per una corte condominiale, la
stessa si può ben applicare anche a quest’ultima:
sedie e tavolini sono infatti qualificabili
come “attrezzature che servono al riposo
degli adulti”; e, d’altra parte, se in
un’area verde si possono realizzare
costruzioni ad uso bar e chioschi di
ristoro, a fortiori vi potranno essere
installati sedie e tavolini, che ne sono
meri accessori.
E, va aggiunto, proprio questa stessa
disposizione, nulla specificando sulla
proprietà di tali costruzioni, non preclude
in alcun modo che queste siano private, e
neppure che siano assentite con un
provvedimento comunale che permetta un uso
particolare, sebbene parziale e strumentale,
di un’area a verde pubblico.
6.1. In sintesi, secondo la disciplina applicabile, non v’è
contrasto –o, almeno, questo non esiste nei
termini proposti in ricorso– tra la
destinazione a verde pubblico del cortile
del condominio Pi., e l’autorizzazione al
plateatico oggetto del ricorso principale,
essendone tale utilizzo pienamente
conciliabile, secondo quanto sin qui
esposto, con la destinazione ad area verde.
Inoltre, non c’è dubbio che la servitù di
uso pubblico consenta all’Ente di utilizzare
il bene, seppure privato, in tutti i modi
conciliabili con la servitù d’uso medesima,
e quindi anche destinandolo a plateatico di
un bar.
6.2. Il primo motivo di ricorso è quindi infondato, e ciò
vale anche per la parte in cui si censura il
provvedimento perché l’Amministrazione non
avrebbe verificato la compatibilità della
destinazione con l’interesse dei vicini.
In sé, invero, l’autorizzazione ad occupare
uno spazio d’uso pubblico di norma non
determina lo svolgimento di un’attività
pregiudizievole, tale da richiedere una
valutazione preliminare di pericolosità da
parte dell’Amministrazione.
Spettava dunque ai ricorrenti indicare quali
peculiari elementi non siano stati tenuti
nella dovuta considerazione
dall’Amministrazione, o quale singolare
pregiudizio –prevalente sugli altri
interessi coinvolti– sia derivato
dall’apertura del plateatico: ma nulla di
tutto ciò è esposto in ricorso, il quale si
limita ad esporre doglianze del tutto
generiche.
6.3. Inammissibile è poi il secondo motivo di ricorso, il quale, in
realtà, più che individuare un profilo
d’illegittimità del provvedimento impugnato,
è destinato a confutare un possibile suo
fondamento normativo: ma quanto sopra
esposto rende del tutto irrilevante il
contenuto della censura.
7.1. I motivi aggiunti, proposti contro la seconda autorizzazione,
disposta per un breve intervallo nel 2006,
perdono interesse, una volta accertata la
legittimità del primo provvedimento, il
quale comprende anche l’intervallo relativo
al secondo.
7.2. In ogni caso, dei motivi nuovi proposti (per altra parte le
censure corrispondono a quelle formulate con
il ricorso principale) è certamente
infondato quello che assume la nullità della
nuova autorizzazione per contrasto con il
“giudicato cautelare”, asseritamente
intervenuto per effetto della mancata
impugnazione in termini dalla citata
ordinanza 1025/2005 della Sezione.
7.3. Orbene, anzitutto il rimedio per il caso che l’Amministrazione
non presti ottemperanza alle misure
cautelari concesse, non è il ricorso
ordinario di legittimità, ma l’istanza di
cui all’art. 21, XIV comma, della l.
1034/1971.
In ogni caso, è bensì nullo ex art.
21-septies l. 241/1990 il provvedimento
adottato in elusione od in violazione del
giudicato, ma tale deve intendersi la
statuizione contenuta nella sentenza passata
in giudicato formale e non in un’ordinanza
cautelare, provvedimento in sé provvisorio
ed interinale, e dunque privo dei caratteri
di stabilità e definitività perché le sue
prescrizioni possano essere qualificate come
un giudicato.
7.4. La seconda censura è quella di violazione dell’art. 7
della l. 241/1990, non essendo stato il
nuovo provvedimento preceduto dal prescritto
avviso d’avvio nei confronti del condominio
e degli ulteriori controinteressati.
Peraltro, può qui trovare agevolmente
applicazione l’art. 21-octies della l.
241/1990: è stato cioè dimostrato in
giudizio che le parti controinteressate, e
qui ricorrenti, non disponevano di validi
argomenti perché il plateatico non fosse
autorizzato, e l’avviso era pertanto
superfluo.
8. Il ricorso va dunque nel complesso rigettato, ma le incertezze
nella corretta ricostruzione del titolo
nella disponibilità dell’Amministrazione
inducono all’integrale compensazione delle
spese di lite tra le parti.”.
2.1. Con l’appello in epigrafe i Signori
Al.Pi. e Mo.Vi. chiedono ora la riforma
della surriportata sentenza, deducendo al
riguardo i seguenti ordini di motivi:
i) erronea e falsa applicazione dell’art. 35.6 delle Norme tecniche
di attuazione del Piano regolatore generale
del Comune di Montebelluna; violazione
dell’art. 11 del t.u. approvato con d.P.R.
06.06.2001, n. 380; erronea qualificazione
giuridica e sostanziale capovolgimento dei
termini del rapporto costituito per servitù
di uso pubblico; carenza assoluta di
motivazione su un punto decisivo della
controversia;
ii) error in iudicando rispetto ai presupposti di fatto
degli atti impugnati: inesistenza del
presupposto del “suolo pubblico” ai
fini delle autorizzazioni; error in
iudicando con riferimento alla mancata
comparazione degli interessi, come
riverberatasi anche nel mancato avvio del
procedimento all’esito del quale è stata
emessa la seconda autorizzazione; violazione
e falsa applicazione dell’art. 21-octies
della l. n. 241 del 1990;
iii) error in iudicando con riferimento al diritto di uso
pubblico; violazione dell’art. 825 c.c.;
iv) error in iudicando rispetto al secondo motivo di
ricorso: violazione e falsa applicazione di
legge: artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del
1993; eccesso di potere per travisamento dei
fatti sotto altro profilo.
2.2. Si è costituita anche nel presente
grado di giudizio la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.,
eccependo in via preliminare l’improcedibilità
dell’appello in epigrafe per sopravvenuto
difetto di interesse alla sua decisione,
posto che dopo la sua proposizione sono
state puntualmente rilasciate
dall’Amministrazione comunale, anno per
anno, ben 13 analoghe autorizzazioni ad
occupare con tavoli e sedie una porzione
della piazzola, ivi compresa quella n.
10/2019 dd. 17.01.2019, da ultimo emessa.
Tali ulteriori provvedimenti, debitamente
prodotti nel presente grado di giudizio
dalla medesima società, ad avviso della
stessa sostanzierebbero ad oggi una
posizione giuridica degli attuali appellanti
riconducibile ad una sopravvenuta
acquiescenza della nuova situazione
attualmente venutasi a determinare, in
quanto da loro mai giudizialmente
contestati.
In subordine tale parte insiste per la
reiezione dell’appello.
2.3. Si è parimenti costituito anche nel
presente grado di giudizio il Comune di
Montebelluna, producendo identica
documentazione e rassegnando analoghe
conclusioni.
...
3.2.3. Venendo ora al caso di specie, invero
fondatamente il giudice di primo grado ha
escluso che la servitù di uso pubblico in
questione sia riconducibile ad una servitù
prediale pubblica, riferendone correttamente
l’origine al Piano urbanistico attuativo di
iniziativa privata approvato dal Consiglio
comunale nell’ormai lontano 1989 e alla
conseguente convenzione stipulata due anni
più tardi tra il Comune e l’impresa
costruttrice del condominio, laddove
segnatamente l’art. 3 della convenzione
medesima prevede la costituzione sulla
piazzola di cui trattasi di un vincolo di
uso pubblico come standard di piano,
disciplinandone la destinazione, a’ sensi di
quanto disposto dall’art. 35, comma 6, delle
Norme tecniche di attuazione dell’allora
vigente Piano regolatore generale del
Comune, a “verde pubblico”,
comprendente “parchi e ad aree attrezzate
per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per
il riposo degli adulti”, con conseguente
possibilità di realizzare ivi “bar,
chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi
igienici, gioco bambini (con esclusione di
attrezzature o campi sportivi)”.
Questo Collegio -peraltro- a sua volta
rimarca che se è vero che l’adibizione della
piazzola di cui trattasi a standard
urbanistico va ricondotta a una c.d. “monetizzazione”
dell’opera a scomputo degli oneri di
urbanizzazione previsti dall’allora vigente
art. 3 della l. 28.02.1985, n. 47 (oggi
sostituito dall’art. 12 e ss. del t.u.
approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e
dalla tutt’oggi vigente disciplina contenuta
negli artt. 81 e ss. della l.r. 27.06.1985,
n. 61, e successive modifiche, ciò è nella
specie avvenuto senza prefigurare, secondo
l’id quod plerumque accidit sancito
anche dall’art. 28 della l. 17.08.1942, n.
1150, come modificato dall’art. 8 della l.
06.08.1967, n. 765, l’obbligo di trasferire
il bene immobile realizzato dal privato a
scomputo degli oneri predetti in proprietà
al Comune, oltre a tutto -si badi- non già
ascrivendolo al demanio comunale, bensì al
suo patrimonio indisponibile, a’ sensi di
quanto espressamente disposto al riguardo
dall’art. 16, comma 2, del t.u. approvato
con d.P.R. 06.06.2001, n. 380, già entrato
in vigore all’epoca in cui è stato
sottoscritto l’atto di cessione
(29.09.2004), e -quindi- con l’applicazione
per tali beni delle norme contenute negli
artt. 826 e 828 c.c.
Nel caso di specie, evidentemente, la parte
pubblica e quella privata in sede di
convenzione e, successivamente, in sede di
atto di cessione dell’area di cui trattasi,
hanno dunque inteso agire diversamente,
fuoriuscendo dallo schema della disciplina
sin qui descritta e prefigurando, quindi,
per la piazzola in questione, la
conservazione della proprietà privata,
peraltro funzionalizzandola al pubblico
interesse mediante l’istituzione su di essa
del diritto parziario -esso, sì, qualificato
ex lege come demaniale- di cui all’art.
825 c.c
Al riguardo la lettera degli artt. 3 e 4
dell’atto di cessione Rep. n. 6176 dd.
29.09.2004, così come riferiti al § 1.1
della presente sentenza, risulta inequivoca,
posto che mediante l’atto medesimo tutti i
condomini unilateralmente istituiscono
sull’immobile in questione “un vincolo
perpetuo” di “servitù di uso pubblico
a favore del Comune di Montebelluna”.
Ma vi è di più.
Il medesimo atto di cessione, negli
anzidetti artt. 3 e 4, descrive
complessivamente -e genericamente- le aree
su cui il vincolo è costituito come “adibite
a servizi, parcheggio e verde pubblici”,
ma poi testualmente e in via del tutto
inequivocabile indica lo stato reale dei due
subalterni nn. 53 e 54 del mappale n. 2552
corrispondenti per la piazzola in questione
come “lastrici solari”, ossia con una
connotazione ben diversa rispetto a quanto
le parti fino a quel momento avevano tra di
loro stabilito in termini di destinazione
urbanistica, e cioè quella di “verde
pubblico”.
Tale circostanza si riconnette per certo a
quanto già dianzi rilevato al § 1.1 della
presente sentenza in ordine alla coincidenza
della complessiva estensione della piazzola
(mq. 120) con il “verde pubblico”
realizzato in eccesso rispetto alle
previsioni del piano attuativo della
relativa convenzione; ma, se è così, e se è
altrettanto vero che nella convenzione
medesima testualmente si prevedeva anche la
realizzazione di “piazze” e che –per
l’appunto– di queste ne è stata
indubitabilmente realizzata una soltanto,
pare evidente che in sede di atto di
cessione le parti hanno voluto dare atto di
tutto quanto sopra, conseguentemente
precisando che il diritto parziario
demaniale del Comune non veniva più
materialmente fatto gravare su di un bene
che fino a quel momento soltanto per
fictio era stato definito come “area
verde”, ma veniva a quel momento
istituito sulla predetta “piazza”,
rectius sui due lastrici formanti la
piazzola facente parte del condominio: un
luogo, insomma, dove certamente non poteva
essere creato un “parco” come
previsto dal predetto art. 35, comma 6,
delle Norme tecniche di attuazione del Piano
regolatore generale a quel tempo vigente, e
che di per sé potrebbe fors’anche ospitare,
ma in modo decontestualizzato rispetto alla
ivi non più attuata area di “verde
pubblico” -e, quindi, soltanto per
espressa, ma qui per l’appunto mancante,
nuova pattuizione tra le parti- le altre
infrastrutture previste dalla disciplina di
piano in precedenza richiamata e ivi non più
di fatto vigente, ossia le “aree
attrezzate per il gioco dei bambini e dei
ragazzi e per il riposo degli adulti”,
con la conseguente possibilità di parimenti
realizzarvi “bar, chioschi di ristoro,
tettoie aperte, servizi igienici, gioco
bambini”: ma, giova ribadire, solo
previo espresso accordo in tal senso tra le
parti.
Per contro, la convenzionalmente disposta “scissione”,
intervenuta nel 2004 in sede di stipula
dell’atto d’obbligo costitutivo della
servitù di uso pubblico, tra il contenuto
della predetta previsione di piano e la
ricognizione della qualità intrinseca
dell’area asservita come non rientrante tra
il “verde pubblico”, ragionevolmente
riconduce il contenuto della servitù
medesima a un quid che non si
discosta, con riguardo alla concreta
caratteristica dei luoghi, a un asservimento
che si esaurisce –nell’acclarato difetto di
specifiche pattuizioni in senso contrario-
nell’esercizio di un mero diritto di
passaggio su di una corte di proprietà
privata.
Ma, anche in disparte tutto ciò, il punto
nodale della questione risiede nella
circostanza che dapprima il Comune, e il
giudice di primo grado poi, hanno nella
specie completamente travisato il contenuto
del diritto parziario demaniale che è stato
istituto, estendendolo oltre misura ed in
via del tutto illegittima fino a cancellare
di fatto la proprietà privata pur
expressis verbis conservata
nell’anzidetto atto di cessione del 2004.
Giova a questo riguardo evidenziare che nel
contesto dell’art.
825 c.c. l’ente pubblico non può
disporre in ordine alle aree private
assoggettate a servitù pubblica oltre i
limiti necessari per garantire la perdurante
insistenza sul bene del diritto di proprietà
del privato.
In tal senso, infatti, l’ente pubblico
titolare del diritto parziario demaniale non
può esercitare, sui beni assoggettati a
diritto di uso pubblico, i poteri che di
norma spettano all’ente medesimo sui beni
integralmente rientranti nel proprio
demanio, e in primis quello di
concedere a singoli privati un uso
eccezionale dei beni medesimi.
Infatti, la concessione di un uso esclusivo
a un terzo del bene privato “funzionalizzato”
a’ sensi dell’art. 825 c.c. all’uso
pubblico, violerebbe per certo l’utilizzo
del bene uti cives da parte
dell’intera comunità di cui il Comune –nella
specie– è, nondimeno, il soggetto
esponenziale nonché garante dei relativi
diritti e interessi.
Allo stesso tempo il Comune, disponendo a
favore di un singolo il godimento in via
esclusiva del bene di cui non è
integralmente titolare ma in ordine al quale
esercita unicamente un diritto parziario
finalizzato al perseguimento del pubblico
interesse, violerebbe altrettanto certamente
il pur funzionalizzato diritto di proprietà
di cui il privato è titolare: e ciò, dunque,
infrangendo la ben nota regula iuris
di diritto comune -ma, all’evidenza, valida
anche in diritto pubblico- per cui nemo
plus iuris in alium transferre potest, quam
ipse habet, (D. 50.17.54 – Ulpianus,
liber XLVI, Ad edictum).
Va qui anche opportunamente precisato che
l’uso “speciale” (o altrimenti
definito “eccezionale”) del bene si
determina anche attraverso una sua
occupazione non soltanto permanente, ma
anche temporanea, da parte di colui che se
ne avvale uti singulus.
Tali principi sono chiaramente espressi da
una giurisprudenza risalente nel tempo, ma
ancor oggi del tutto consolidata e
–soprattutto– assolutamente coerente con la
disciplina contenuta nell’art.
825 c.c. e dianzi illustrata al § 3.2.2
della presente sentenza.
Cass. civ., Sez. I, 02.03.1964 n. 469, e
29.11.1979 n. 6272, hanno infatti già avuto
modo di affermare che l’Amministrazione
comunale, titolare di una servitù di uso
pubblico su di un’area privata, può su di
essa esercitare i soli poteri che siano
rivolti a garantire e disciplinare l’uso
generale da parte della collettività,
nell’ambito del pubblico interesse
giustificativo della servitù medesima, e che
pertanto, ove non sia espressamente
consentito dal titolo, il Comune medesimo
non può concedere al singolo usi eccezionali
e particolari su porzioni di tale immobile
(nella specie l’erezione di un’edicola per
la rivendita di giornali).
Né può sostenersi che l’Amministrazione
comunale potrebbe comunque consentire, a
prescindere dalla volontà del privato
proprietario, l’uso eccezionale da parte di
un terzo del bene asservito all’uso pubblico
con riguardo a quanto disposto dagli artt.
38 e 39 del d.lgs. 15.11.1993, n. 507,
recante –tra l’altro– la “revisione ed
armonizzazione della tassa per l’occupazione
di spazi ed aree pubbliche dei comuni e
delle province”, dove invero
rispettivamente si legge al comma 3 del
predetto art. 38 che tale tassa “si
applica, altresì, alle occupazioni
realizzate su tratti di aree private sulle
quali risulta costituita, nei modi e nei
termini di legge, la servitù di pubblico
passaggio” e all’art. 39 predetto che “la
tassa è dovuta al comune o alla provincia
dal titolare dell’atto di concessione o di
autorizzazione o, in mancanza,
dall’occupante di fatto, anche abusivo, in
proporzione alla superficie effettivamente
sottratta all’uso pubblico nell’ambito del
rispettivo territorio”.
Sul punto, Cass. civ., SS.UU. 08.03.1999, n.
158, e 08.07.1998, n. 6633, hanno infatti a
loro volta avuto modo di evidenziare che la
parificazione delle aree demaniali o del
patrimonio indisponibile a quelle private
soggette a servitù di uso pubblico, operante
ai fini dell’applicazione della tassa (oggi
canone) per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche, trova la sua ratio nella
circostanza che la parziale occupazione di
tali aree comporta comunque una sottrazione
della superficie occupata all’uso pubblico
cui la stessa è destinata, giustificando,
così, la debenza della tassa in parola da
parte dell’occupante quale corrispettivo
della limitazione apportata al godimento
della collettività: ma ciò attiene
esclusivamente al piano dei rapporti
tributari e comporta, tutt’al più, che il
Comune possa pretendere quella tassa da chi
occupi gli spazi abusivamente o in virtù di
contratto con il privato proprietario, o
anche che possa interferire, inibendolo o
subordinandolo a propria autorizzazione, in
forza della suindicata ratio, sul
diritto di tale proprietario di cedere a
terzi l’uso di porzioni dell’area, ma non
può giammai indurre a configurare, salva
un’espressa previsione del titolo
costitutivo della servitù pubblica di
passaggio, un suo autonomo potere
concessorio, assolutamente incompatibile,
come si è detto, con il diritto dominicale
del privato, sia pure limitato
dall’esistenza di tale servitù.
Traslando tali assunti al caso di specie,
quindi, l’Amministrazione comunale avrebbe
potuto concedere alla Fo. e Pr. & C. S.n.c.
l’area di cui trattasi solo ed
esclusivamente previo assenso da parte del
condominio, al fine di rispettarne il suo
perdurante diritto di proprietà.
Pare evidente, infatti, che l’insistenza
dell’occupazione anche parziale della
piazzola in questione da parte del pubblico
esercizio, limitandone la fruizione uti
cives e sostanziando un uso eccezionale
di tale porzione dell’immobile uti
singulus, si configura quale circostanza
che fuoriesce dallo “statuto” della
proprietà del bene asservito, e richiede
–sempre e comunque– l’assenso del tutto
condizionante da parte dei condomini.
Ove tale assenso manchi, all’Amministrazione
comunale è inibito il rilascio
dell’autorizzazione al plateatico, e in caso
contrario essa adotta un provvedimento del
tutto illegittimo, emesso in carenza di
potere e suscettivo di arrecare danno alla
privata proprietà, in tal modo compressa
contra legem.
Del resto, tutto ciò risulta a sua volta
coerente con il corollario di tale ordine di
assunti recentemente affermato dalla
medesima giurisprudenza, secondo cui,
essendo -come si è detto- le servitù di uso
pubblico dei diritti reali atipici e sui
generis appartenenti ad una determinata
collettività, finalizzati al soddisfacimento
di un interesse pubblico e costituendo essi
una figura diversa dal diritto d’uso
civilisticamente inteso, non è possibile
porre a carico del Comune, che esercita tale
diritto di servitù su un immobile, il
pagamento dell’imposta comunale sugli
immobili (ICI) di cui al d.lgs. 30.12.1992,
n. 504, posto che il Comune medesimo è il
rappresentante della collettività, e che
quest’ultima –a sua volta– “nel nostro
ordinamento non ha alcuna capacità giuridica
e di agire”.
Ne consegue che al soggetto proprietario
dell’immobile oggetto di tali servitù
compete comunque il pagamento dell’imposta,
correlativamente mantenendo tutti i poteri
del dominus sul bene, in ordine al
quale sussiste soltanto una circoscritta
limitazione del godimento (così
Cass. civ., sez. trib, 30.09.2019, n. 24264).
Riassuntivamente, quindi, l’appello in
epigrafe va accolto in quanto i motivi in
esso contenuti evidenziano come la sentenza
impugnata ha totalmente omesso di disaminare
quali fossero i limiti del potere del Comune
in relazione alla servitù gravante sull’area
in questione, tralasciando quindi di
considerare che il relativo problema non
assumeva –di per sé– una mera rilevanza
urbanistico–edilizia, bensì dominicale,
dovendosi semmai accertare, in esito alla
proposizione delle impugnative avverso le
autorizzazione di plateatico rilasciate
sull’area medesima, non già quali opere
fossero ivi realizzabili, bensì fino a che
punto, con quali modalità e per quali
finalità il diritto di proprietà dei
condomini poteva essere limitato per motivi
di pubblico interesse.
La totale obliterazione della posizione dei
soggetti proprietari dell’area è stata
addirittura statuita nella sentenza
impugnata anche sotto il profilo
procedimentale attraverso un invero non
condivisibile richiamo all’art. 21-octies
della l. 07.08.1990, n. 241, affermando in
tal modo la legittimità dell’esito del
procedimento di rilascio delle
autorizzazioni di plateatico nel senso che
il Comune potrebbe abnormemente comportarsi
sull’area di cui trattasi uti dominus,
usurpandone di fatto la proprietà e
concedendone l’uso esclusivo ad un solo
soggetto.
Né, da ultimo, va sottaciuto che in tal modo
sono stati nella specie travalicati i limiti
della servitù di uso pubblico sia dal punto
di vista oggettivo (essendo alquanto
discutibile, anche al di à dell’improprio
richiamo alle prescrizioni del P.R.G. per le
aree a “verde pubblico” riferite ad
un’area non più tale, che ciò comunque sia
sufficiente a legittimare l’esercizio
sull’area medesima di un’attività economica
privata svolta uti singulus), sia da
quello oggettivo, essendo a quest’ultimo
riguardo del tutto pertinente il rilievo
degli appellanti secondo cui, anche a voler
seguire il ragionamento del giudice di primo
grado, a poter occupare l’area poteva essere
al più autorizzato il condominio stesso
quale proprietario, ma non certo soggetti
terzi –ancorché condomini– i quali agiscano
comunque senza il consenso del condominio
medesimo.
Da ultimo, va precisato che
dall’annullamento dei provvedimenti
impugnati nel primo grado di giudizio
consegue anche quello di tutti gli analoghi
atti meramente confermativi succedutisi, in
prosieguo di tempo, di anno in anno
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 12.05.2020 n. 2999 -
link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
costante giurisprudenza <<una strada vicinale
pubblica può essere qualificata come tale solo allorché sussistano
determinati elementi di fatto, consistenti nella configurabilità di un
effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività
di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, dalla
concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale
(anche per il collegamento con la pubblica via), nonché dall'esistenza di un
titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico, non essendo
sufficienti l'iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali e la
mancanza di un provvedimento comunale di declassamento>>.
L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso
pubblico non ha natura costitutiva bensì dichiarativa, e costituisce
soltanto una presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria che
esclude l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da
parte della collettività.
Pertanto, la
qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal
fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o
dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto,
presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti
cives).
Peraltro “la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua
originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione,
può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione
proprietaria che si appalesano in modo concludente incompatibili con la
volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico”.
---------------
1. Come ha sostenuto il Consiglio di Stato (cfr. sez. V –
16/03/2020 n. 1870), per costante giurisprudenza <<una strada vicinale
pubblica può essere qualificata come tale solo allorché sussistano
determinati elementi di fatto, consistenti nella configurabilità di un
effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività
di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, dalla
concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale
(anche per il collegamento con la pubblica via), nonché dall'esistenza di un
titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico, non essendo
sufficienti l'iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali e la
mancanza di un provvedimento comunale di declassamento (in termini, tra le
tante, Cons. Stato, V, 29.05.2017, n. 2531)>>.
1.1 L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso
pubblico non ha natura costitutiva bensì dichiarativa, e costituisce
soltanto una presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria che
esclude l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da
parte della collettività (Consiglio di Stato, sez. IV – 19/03/2015 n. 1515;
TAR Puglia Bari, sez. III – 30/05/2017 n. 559).
Pertanto, la
qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal
fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o
dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto,
presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti
cives) (TAR Lombardia Brescia, sez. II – 29/11/2018 n. 1132, che risulta
appellata).
Peraltro “la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua
originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione,
può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione
proprietaria che si appalesano in modo concludente incompatibili con la
volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico” (Consiglio
di Stato, sez. IV – 10/10/2018 n. 5820)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 12.05.2020 n. 316 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un’area
privata può essere assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando tale uso
interessi una collettività indeterminata di soggetti titolari di un
interesse pubblico di carattere generale e non di soggetti titolari di una
posizione qualificata rispetto al bene gravato.
La giurisprudenza afferma,
infatti, che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga
esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza
della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione
di accedere ad essi per esigenze connesse allo loro privata utilizzazione
oppure rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o
complesso di edifici.
In definitiva, perché una strada privata possa ritenersi sottoposta ad una
servitù pubblica di passaggio è necessario che sia intrinsecamente idonea a
tale uso e che esso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
persone.
---------------
9.1. Non essendo in discussione che la strada in questione sia di
proprietà del condominio appellante, si deve considerare che un’area privata
può essere assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando tale uso
interessi una collettività indeterminata di soggetti titolari di un
interesse pubblico di carattere generale e non di soggetti titolari di una
posizione qualificata rispetto al bene gravato.
La giurisprudenza afferma
infatti che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga
esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza
della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione
di accedere ad essi per esigenze connesse allo loro privata utilizzazione
(Cass. civ., sez II, 23.05.1995, n. 5637) oppure rispetto a strade
destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici
(Cass. civ., sez. I, 22.06.1985, n. 3761; Cons. Stato, sez. V, 14.02.2012, n. 7289).
In definitiva, perché una strada privata possa ritenersi sottoposta ad una
servitù pubblica di passaggio è necessario che sia intrinsecamente idonea a
tale uso e che esso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
persone
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 09.03.2020 n. 1708 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: G.U.
28.01.2020 n. 22 "Revisione delle reti stradali relative
alle Regioni Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto"
(D.P.C.M.
21.11.2019). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Che una via sia inserita nell’elenco
delle strade ad uso pubblico e che sia dotata di illuminazione e di
sottoservizi tali circostanze, come è noto,
costituiscono una mera presunzione di pubblicità dell'uso di cui è possibile
fornire prova contraria.
---------------
Come chiarito dalla giurisprudenza, l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice
amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal privato
sia conseguenza immediata e diretta dell’illegittimità del provvedimento
impugnato, mentre si è fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo
se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un
provvedimento favorevole, che si assume illegittimo, si configuri solo come
uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda sulla capacità del
provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del
suo patrimonio, che consegue a tale affidamento.
Ciò vale anche in
ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle quali, come nel caso di specie, il
soggetto leso denuncia una lesione della sua integrità patrimoniale
derivante dall’affidamento incolpevole sulla legittimità dell’attribuzione
favorevole ritenuta illegittima, che dà luogo ad una situazione soggettiva,
che si ritiene lesa, qualificabile come diritto soggettivo, rispetto alla
quale il comportamento che si assume lesivo dell’Amministrazione non
consiste nella sola illegittimità dell’agire, ma nella violazione del
principio generale del neminem laedere.
---------------
I ricorrenti sono proprietari di un terreno nel Comune di San Martino di
Venezze a lato di una strada denominata via Trento, per il quale hanno
ottenuto il permesso di costruire n. 52/2008 del 07.10.2008, per la
realizzazione di un’abitazione unifamiliare.
Tale abitazione non è stata costruita perché un vicino, sostenendo di essere
proprietario esclusivo del tratto terminale di via Trento, ha impedito ai
ricorrenti l’accesso al proprio fondo.
I ricorrenti con nota del 28.08.2012, hanno chiesto al Comune di
intervenire per rendere accessibile la strada, sostenendo che la stessa è
pubblica o quantomeno ad uso pubblico.
Il Segretario comunale con nota prot. n. 7533 del 05.12.2012 ha
respinto l’istanza rilevando che la porzione di strada oggetto di
contestazione è del controinteressato e che la stessa non ha le
caratteristiche per poter essere definita d’uso pubblico.
Tale provvedimento non è stato impugnato.
Successivamente i ricorrenti con atto di diffida del 26.07.2017, hanno
quindi chiesto nuovamente al Comune il ripristino in via d’urgenza dell’uso
pubblico della strada, per consentire la prosecuzione dei lavori sul proprio
fondo e per recuperare al pubblico accesso e transito la via.
Il Comune, previa acquisizione di un parere legale, con decreto sindacale n.
10 del 16.10.2017, ha risposto in senso negativo alla richiesta,
riconfermando in sostanza le argomentazioni già illustrate nella precedente
nota del 2012.
Con il ricorso in epigrafe tale provvedimento è impugnato con un unico ed
articolato motivo con il quale i ricorrenti lamentano la violazione
dell’art. 15 del D.L.L. 01.09.1918, n. 1446, dell’art. 378 della legge
20.03.1865, n. 2248, all. F, il difetto e la falsità di presupposti, la
contraddittorietà rispetto a precedenti comportamenti dell’Amministrazione e
lo sviamento.
Inoltre, con domanda di risarcimento, i ricorrenti pretendono il ristoro dei
danni causati dal ritardo del Comune nel rilascio del provvedimento di
autotutela possessoria o comunque di apprensione del bene per l’ipotesi di
accoglimento del ricorso, ovvero da mancata realizzazione dell’immobile, in
caso di reiezione del ricorso, per la lesione dell’affidamento indotto
dall’Amministrazione all’atto di rilascio del permesso di costruire
assentito, in modo illegittimo, nonostante l’inesistenza di una via di
accesso al fondo.
Per quanto riguarda la domanda di annullamento in particolare i ricorrenti
lamentano che erroneamente il Comune ha rifiutato di esercitare i propri
poteri in ordine al ripristino della viabilità pubblica sulla strada ad uso
pubblico, e che ciò avrebbe dovuto fare sulla base della semplice
circostanza che la predetta strada risulta iscritta nell’elenco delle strade
di uso pubblico del Comune, che costituisce una presunzione di demanialità.
...
L’eccezione di difetto di giurisdizione deve essere respinta.
Nel caso in esame il petitum sostanziale è la verifica di legittimità del
provvedimento con il quale il Comune ha respinto l’istanza di esercizio dei
poteri di autotutela possessoria in tema di strade al fine di garantirne il
libero transito alla generalità delle persone, con richiesta di un
accertamento solamente incidentale e senza efficacia di giudicato della
proprietà della strada ai sensi dell’art. 8 cod. proc. amm. (ex pluribus cfr.
Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 04.07.2019, n. 1530; Consiglio di Stato,
Sez. V, 16.10.2017, n. 4791; Tar Campobasso, Sez. I, 19.05.2016, n.
212), diversamente da quanto accaduto nei precedenti giurisprudenziali
richiamati nelle difese del Comune (cfr. Tar Veneto, Sez. I, 28.02.2019, n. 250) in cui il soggetto che si proclamava proprietario della strada
agiva nei confronti del Comune non per la verifica del corretto esercizio
dei poteri amministrativi, ma sostanzialmente con un’azione di negatoria servitutis.
Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Infatti è vero che via Trento è inserita nell’elenco delle strade ad uso
pubblico ed è dotata di illuminazione e di sottoservizi.
Tuttavia tali circostanze, come è noto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.10.2018, n. 5820; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 12.07.2016, n. 7967),
costituiscono una mera presunzione di pubblicità dell'uso di cui è possibile
fornire prova contraria.
Nel caso di specie va osservato che effettivamente, come già documentato dal
Comune nel provvedimento, analogo a quello impugnato in questa sede, del
Segretario comunale prot. n. 7533 del 05.12.2012 (cfr. doc. 5 allegato
alle difese del Comune) e allora non impugnato, vi sono una pluralità di
elementi che depongono nel senso dell’insussistenza dei requisiti propri
dell’uso pubblico del tratto di strada oggetto di contestazione.
Infatti il predetto tratto di strada di proprietà del controinteressato che
in origine costituiva l’area cortilizia pertinenziale della sua abitazione,
è stato delimitato da un cancello in tempi non recenti, e il Comune, quando
nel 2008 ha realizzato delle opere di urbanizzazione sulla strada, ha
acquisito il sedime della stessa esclusivamente con riguardo alle aree
comprese nel Foglio 14, mappale n. 39, di mq 1030, che corrisponde al tratto
iniziale della strada, con espressa esclusione del terreno di proprietà del
controinteressato delimitato dal cancello (cfr. la deliberazione della
Giunta comunale n. 21 del 05.03.2008 contenente disposizioni di indirizzo
per l’acquisizione della strada, la deliberazione della Giunta comunale n.
36 del 04.04.2008 avente ad oggetto l’approvazione dell’elenco dei
proprietari e l’atto di determinazione dell’indennità nonché il
provvedimento dirigenziale prot. n. 3524 del 20.05.2008, di
acquisizione, di cui ai docc. nn. 6, 7 e 8 allegati alle difese del Comune).
Peraltro la circostanza che il predetto tratto di strada sia delimitato da
un cancello fin da epoca risalente (almeno dal 2010 per ammissione degli
stessi ricorrenti; il Comune sostiene invece che la chiusura risale almeno
al 2008, come attestato da una lettera dei ricorrenti del 2011 in cui
affermano di aver potuto realizzare le fondazioni del fabbricato attraverso
un accesso provvisorio da nord, ammettendo in tal modo implicitamente che il
passaggio dal fondo del controinteressato gli era precluso) impedisce di
configurare nella fattispecie un acquisito per usucapione da parte del
Comune, e denota l’insussistenza dei requisiti necessari per poter affermare
l’esistenza del transito da parte di chiunque e il protrarsi dello stesso
per lungo periodo, come specificato dal provvedimento del Segretario
comunale prot. n. 7533 del 05.12.2012, non impugnato, con cui era stata
respinta un’istanza analoga a quella che ha dato luogo all’adozione del
provvedimento impugnato in questa sede (cfr. doc. 5 allegato alle difese del
Comune).
Pertanto, poiché allo stato si deve ritenere che la strada pubblica termini
proprio al confine con il terreno dei controinteressati nel punto delimitato
dal cancello, il provvedimento del Comune si rivela immune dai vizi dedotti
dalla parte ricorrente, con conseguente reiezione del ricorso nella sua
parte impugnatoria.
Quanto alle due domande di risarcimento proposte, la prima deve essere
respinta, la seconda, come indicato alle parti nel corso dell’udienza
pubblica ai sensi dell’art. 73 cod. proc. amm., deve essere dichiarata
inammissibile per difetto di giurisdizione.
Infatti la prima domanda di risarcimento è espressamente proposta per
l’ipotesi di accoglimento del ricorso, ed ha ad oggetto la richiesta di
ristorare i danni subiti a causa del ritardo con il quale il Comune è
intervenuto ad esercitare i propri poteri di autotutela possessoria sulla
strada al fine di garantirne il libero transito alla generalità delle
persone che, come sopra chiarito, il Comune ha invece legittimamente
rifiutato di esercitare.
La seconda domanda, proposta per l’ipotesi di reiezione del ricorso, è volta
ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per aver confidato nella
legittimità del permesso di costruire rilasciato nel 2008 che, secondo la
prospettazione dei ricorrenti, deve invece considerarsi illegittimo in
quanto il Comune in quella sede non avrebbe verificato l’esistenza di un
accesso al lotto dalla pubblica via.
Rispetto a tale domanda il Comune sostiene di non essere tenuto a svolgere
tale tipo di verifiche, perché non può negare il rilascio del permesso di
costruire per la mancanza di un accesso dalla pubblica via, potendo supplire
al problema l’eventuale costituzione di una servitù coattiva di passaggio in
favore del fondo intercluso.
Orbene, la domanda risarcitoria, così formulata, esula dalla giurisdizione
del giudice amministrativo.
Infatti come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. Un., id. 04.09.2015, n. 17586; id. 22.05.2017, n. 12799; id., 23.01.2018, n. 1654; id., 24.09.2018, n. 22435; id. 13.12.2018, n.
32365) l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice
amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal privato
sia conseguenza immediata e diretta dell’illegittimità del provvedimento
impugnato, mentre si è fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo
se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un
provvedimento favorevole, che si assume illegittimo, si configuri solo come
uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda sulla capacità del
provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del
suo patrimonio, che consegue a tale affidamento.
Ciò, ha inoltre chiarito la sopra citata giurisprudenza, vale anche in
ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle quali, come nel caso di specie, il
soggetto leso denuncia una lesione della sua integrità patrimoniale
derivante dall’affidamento incolpevole sulla legittimità dell’attribuzione
favorevole ritenuta illegittima, che dà luogo ad una situazione soggettiva,
che si ritiene lesa, qualificabile come diritto soggettivo, rispetto alla
quale il comportamento che si assume lesivo dell’Amministrazione non
consiste nella sola illegittimità dell’agire, ma nella violazione del
principio generale del neminem laedere.
In definitiva pertanto il ricorso deve essere in parte respinto ed in parte
dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
26.11.2019 n. 1284 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Corte di Cassazione ha costantemente affermato “…che la
controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa
l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta
alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché investe l'accertamento
dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della
pubblica amministrazione”.
La giurisdizione del giudice amministrativo non può radicarsi in forza
dell'articolo 133, comma 1, lett. f) cpa, poiché tale giurisdizione
presuppone che l'amministrazione abbia agito con atti idonei a influire
sullo statuto proprietario, determinando l'affievolimento dei diritti
soggettivi in interessi legittimi, circostanza che non è riscontrabile nel
caso di specie ove è stato assunto un atto di natura meramente dichiarativa.
---------------
Una controversia circa il riconoscimento del diritto di uso pubblico su una
strada privata è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario poiché
–come già rilevato– investe l'accertamento dell'esistenza e dell’estensione
di diritti soggettivi dei privati o della pubblica amministrazione, senza
che a tale conclusione possa frapporsi l'esistenza di un formale atto di
classificazione della strada.
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FATTO
A. I ricorrenti sono comproprietari di un appartamento nel condominio Is.,
che insiste in Via X giornate, strada interclusa classificata di uso
pubblico. Riferiscono in punto di fatto che in corrispondenza del n. civico
14, l’arteria si allarga, e il tratto viene utilizzato dai residenti sia
come parcheggio sia per consentire le manovre di inversione di marcia.
B. Rappresentano che, malgrado ciò, nell’autunno 2011 soggetti terzi hanno
posizionato cavalletti e catene presso lo slargo al termine della strada.
C. La diffida trasmessa al Comune restava senza riscontro, cosicché il
24/1/2012 veniva depositata un’istanza di accesso agli atti amministrativi.
Con nota 26/03/2012 l’amministrazione:
- informava dell’assenza sia di pratiche o istanze per collocare
paletti o strutture sulla strada sia di ordinanze o atti autorizzatori che
assentissero gli interventi in corso;
- precisava però che Via X Giornate sarebbe stata dichiarata strada
privata ad uso pubblico, ad eccezione dello slargo posto al termine stessa.
D. Sostengono gli esponenti che il titolo abilitativo rilasciato ai
controinteressati nel 1975 recava la prescrizione di arretrare il fabbricato
in costruzione e il muro di recinzione per lasciare uno spazio sufficiente a
creare uno slargo di manovra per l’utilizzo collettivo (cfr. parere della
Commissione edilizia nella seduta del 19/11/1974 – doc. 6 e 7). La vocazione
dei beni all’uso pubblico sarebbe stata confermata nelle tavole di
azzonamento del PGT, poiché le aree sono comprese nel sistema viario
pubblico (doc. 12, 13 e 14).
E. Dopo l’instaurazione del contraddittorio, con l’atto impugnato (doc. 1)
l’Ente locale ha preso atto che Via X giornate è privata ad uso pubblico e
soggetta a pubblico transito, ma lo slargo corrispondente al civico ...
–individuato tra il mappale 265 (area di sedime stradale) e 532 (porzione
appartenente ai Sigg.ri Pa.)– è di proprietà esclusivamente privata, come si
desume dall’estratto di mappa.
...
DIRITTO
I ricorrenti censurano il provvedimento della Giunta comunale che ha
qualificato il tratto della strada denominata Via X Giornate.
0. Nella memoria conclusionale la parte controinteressata ha dedotto il
difetto di giurisdizione del giudice adito sulle questioni inerenti
all’accertamento della proprietà (pubblica o privata) di una strada o
all’esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata.
La prospettazione è condivisibile.
0.1 Come evidenziato da TAR Lombardia Milano, sez. II – 19/07/2018 n. 1767,
la Corte di Cassazione ha costantemente affermato “…che la controversia
circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza
di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, poiché investe l'accertamento
dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della
pubblica amministrazione (Cass. civ., SS.UU., 23.12.2016, n. 26897; Id.,
27.01.2010, n. 1624)”.
La giurisdizione del giudice amministrativo non può radicarsi in forza
dell'articolo 133, comma 1, lett. f) cpa, poiché tale giurisdizione
presuppone che l'amministrazione abbia agito con atti idonei a influire
sullo statuto proprietario, determinando l'affievolimento dei diritti
soggettivi in interessi legittimi, circostanza che non è riscontrabile nel
caso di specie ove è stato assunto un atto di natura meramente dichiarativa.
0.2 Anche se la domanda proposta con il ricorso introduttivo è formalmente
intesa all'annullamento di un provvedimento amministrativo, il petitum
sostanziale ha natura di accertamento petitorio dell'esistenza del diritto
di uso pubblico sul tratto finale di Via X Giornate. Gli esponenti radicano
una controversia circa il riconoscimento del diritto di uso pubblico su una
strada privata, che è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario
poiché –come già rilevato– investe l'accertamento dell'esistenza e
dell’estensione di diritti soggettivi dei privati o della pubblica
amministrazione, senza che a tale conclusione possa frapporsi l'esistenza di
un formale atto di classificazione della strada (cfr. TAR Liguria, sez. I –
08/04/2019 n. 315; TAR Campania Napoli, sez. VII – 02/07/2019 n. 3589).
0.3 I principi suesposti sono stati riepilogati anche nella sentenza di
questa Sezione 23/10/2017 n. 1268.
0.4 In conclusione, il gravame introduttivo deve essere dichiarato
inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con
contestuale declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi
al quale il giudizio potrà essere riassunto, nei termini e per gli effetti
di cui all'art. 11 del Codice del processo amministrativo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 08.11.2019 n. 970 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dicatio
ad patriam.
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L’accertamento sul carattere pubblico di una
strada, a ben vedere, non eccede l’ambito
della competenza del giudice amministrativo
ove detto carattere costituisca un
presupposto del provvedimento contestato,
dovendosi rammentare che la giurisdizione
s’individua in base alla qualificazione
della pretesa azionata, prescindendo dagli
accertamenti incidentali su situazioni
soggettive di diverso tipo.
Il Collegio non ignora l’orientamento della
Cassazione, secondo cui la valutazione in
ordine alla contestazione dei provvedimenti
di classificazione di una strada –come di
proprietà pubblica o dedita all’uso
pubblico– è rimessa alla competenza del
giudice civile, involgendo pretese di
accertamento di un diritto soggettivo; ma,
laddove oggetto della controversia non sia
il provvedimento di classificazione bensì,
come nella fattispecie in esame, altro e
diverso provvedimento che ha ordinato al
ricorrente di rimuovere l’impedimento
frapposto al passaggio, in tal caso è
evidente che la decisione sull’impugnazione
di tale provvedimento involge l’accertamento
della sussistenza di una servitù di uso
pubblico, che può essere esperito in via
incidentale dal giudice amministrativo, ai
sensi dell’art. 8, comma 1, del codice del
processo amministrativo.
---------------
La “dicatio ad patriam”
rappresenta un modo di costituzione di una
servitù di uso pubblico, consistente nel
comportamento del proprietario che, seppure
non intenzionalmente diretto a dar vita al
diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità
(non di precarietà e tolleranza), un proprio
bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine
di soddisfare un’esigenza comune ai membri
di tale collettività “uti cives”,
indipendentemente dai motivi per i quali
detto comportamento venga tenuto, dalla sua
spontaneità e dallo spirito che lo anima.
I presupposti per l’integrazione della
dicatio ad patriam consistono, quindi:
(i) nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una
collettività di persone;
(ii) nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze
d’interesse generale;
(iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un
comportamento univoco del proprietario che,
seppure non intenzionalmente diretto a dar
vita al diritto di uso pubblico, risulti
idoneo a manifestare l’intenzione di porre
il bene a disposizione della collettività.
---------------
Per consolidato orientamento
giurisprudenziale, affinché un’area privata
possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico, “è necessario, oltre
all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso
avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un
pubblico, generale interesse. Ne consegue
che deve escludersi l’uso pubblico quando il
passaggio venga esercitato unicamente dai
proprietari di determinati fondi in
dipendenza della particolare ubicazione
degli stessi, o da coloro che abbiano
occasione di accedere ad essi per esigenze
connesse alla loro privata utilizzazione,
oppure, infine, rispetto a strade destinate
al servizio di un determinato edificio o
complesso di edifici …”.
---------------
Come noto, la cd. dicatio ad patriam
richiede un comportamento del proprietario
del bene che deponga in modo univoco nel
senso della spontanea messa a disposizione
del bene medesimo a favore di una
collettività indeterminata di cittadini.
Quanto alle previsioni contenute negli
strumenti urbanistici, ricorda il Collegio
come le stesse non possano da sole
costituire diritti reali in favore
dell’Amministrazione pubblica, con la
conseguenza che un’area privata rimane tale
anche se lo strumento urbanistico la
classifichi come area pubblica o come area
destinata ad uso pubblico.
Inoltre, come noto, per dimostrare la
sussistenza di una effettiva destinazione
del bene all’uso pubblico occorrono una
pluralità di interventi pubblici sul bene
stesso dai quali desumere che esso è posto a
disposizione di tutta la collettività dei
consociati.
---------------
MASSIMA
6) In via pregiudiziale, il Collegio ritiene
utile chiarire, per dissipare eventuali
dubbi sollevati al riguardo dalle difese di
parte ricorrente, come la controversia in
esame rientri nella giurisdizione del
giudice adito.
La situazione giuridica di cui il Condominio
chiede tutela, assumendone la lesione ad
opera del cattivo esercizio del potere da
parte del Comune di Valtravaglia, sfociato
nelle impugnate ordinanze nn. 24 e 28 del
2016, è in effetti qualificabile come
interesse legittimo.
L’accertamento sul carattere pubblico di una
strada, a ben vedere, non eccede l’ambito
della competenza del giudice amministrativo
ove detto carattere costituisca un
presupposto del provvedimento contestato,
dovendosi rammentare che la giurisdizione
s’individua in base alla qualificazione
della pretesa azionata, prescindendo dagli
accertamenti incidentali su situazioni
soggettive di diverso tipo (cfr. Cons. St.,
V, 31.8.2017, n. 4141; TAR Lazio, Latina,
22.03.2018, n. 126).
Il Collegio non ignora l’orientamento della
Cassazione, secondo cui la valutazione in
ordine alla contestazione dei provvedimenti
di classificazione di una strada –come di
proprietà pubblica o dedita all’uso
pubblico– è rimessa alla competenza del
giudice civile, involgendo pretese di
accertamento di un diritto soggettivo; ma,
laddove oggetto della controversia non sia
il provvedimento di classificazione bensì,
come nella fattispecie in esame, altro e
diverso provvedimento che ha ordinato al
ricorrente di rimuovere l’impedimento
frapposto al passaggio, in tal caso è
evidente che la decisione sull’impugnazione
di tale provvedimento involge l’accertamento
della sussistenza di una servitù di uso
pubblico, che può essere esperito in via
incidentale dal giudice amministrativo, ai
sensi dell’art. 8, comma 1, del codice del
processo amministrativo (cfr. TAR Liguria,
II, 29.03.2017, n. 267; TAR Umbria
29.04.2015, n. 191; TAR Lombardia, Brescia,
I, 28.04.2014, n. 451).
Nell’ipotesi in esame oggetto principale di
contestazione è l’ordinanza n. 24, del 18.07.2016, avente ad oggetto la rimozione
della sbarra d’ingresso alla strada Monte
Sole, di cui il ricorrente condominio deduce
la relativa proprietà in assenza di servitù
di uso pubblico. In siffatte evenienze, le
contestazioni di legittimità dei
provvedimenti adottati sulla base
dell’affermazione dell’inesistenza della
servitù possono essere conosciute dal
giudice amministrativo nei limiti di cui
all’art. 8 del c.p.a. e dunque senza effetti
di giudicato tra le parti (TAR Lazio, Roma,
II-ter 18.12.2018, n. 12336; id., sentenza
nr. 9243/2017 e nr. 3634/2017).
7) Passando all’esame del merito, in
relazione al primo motivo il Collegio
osserva quanto segue.
La giurisprudenza ha da tempo affermato che
la “dicatio ad patriam” rappresenta “un
modo di costituzione di una servitù di uso
pubblico, consistente nel comportamento del
proprietario che, seppure non
intenzionalmente diretto a dar vita al
diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità
(non di precarietà e tolleranza), un proprio
bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine
di soddisfare un’esigenza comune ai membri
di tale collettività ‘uti cives’,
indipendentemente dai motivi per i quali
detto comportamento venga tenuto, dalla sua
spontaneità e dallo spirito che lo anima”
(cfr. Cons. Stato, IV, 15.03.2018, n.
1662; id., 22.05.2017, n. 2368; id., V,
16.11.2018, n. 6460; nello stesso
senso cfr. Cass., II, 14.06.2018, n.
15618; 21.02.2017, n. 4416; I, 11.03.2016, n. 4851; II, 12.08.2002, n.
12167; I, 07.05.1993, n. 5262; SS.UU.,
03.02.1988, n. 1072).
I presupposti per l’integrazione della
dicatio ad patriam consistono, quindi:
(i) nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una
collettività di persone;
(ii) nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze
d’interesse generale;
(iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un
comportamento univoco del proprietario che,
seppure non intenzionalmente diretto a dar
vita al diritto di uso pubblico, risulti
idoneo a manifestare l’intenzione di porre
il bene a disposizione della collettività
(sui diversi profili, cfr., tra le tante,
Cons. Stato, V, 22.08.2019, n. 5785; id.,
10.09.2018, n. 5286; Cass., SS. UU.,
n. 1072/1988).
Ciò posto, reputa il Collegio, sulla base di
quanto allegato e documentato in atti dalle
parti, che non sia stata qui raggiunta, da
parte dell’Amministrazione, la prova della
destinazione ad uso pubblico della strada
Monte Sole.
Difetta, in primo luogo, la prova dell’uso
esercitato “iuris servitutis publicae” da
parte di una collettività di persone. Ciò
che emerge, infatti, sia dalla lettera del
Condominio, pervenuta in Comune il
15.04.2010 (allegata sub n. 8 della
produzione resistente), che dalla risposta
ad essa del Comune del 27.12.2010, è l’uso
della strada de qua limitato «alle sole
categorie autorizzate per lo svolgimento dei
servizi di pubblico interesse (Vigili del
Fuoco, Carabinieri, …» o comunque ai
«gestori dei pubblici servizi (Comune
incluso)» e alle «Autorità di pubblica
sicurezza» (cfr. la comunicazione comunale
allegata sub n. 9 della produzione
resistente).
Per consolidato orientamento
giurisprudenziale, invero, affinché un’area
privata possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico, “è necessario, oltre
all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso
avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un
pubblico, generale interesse. Ne consegue
che deve escludersi l’uso pubblico quando il
passaggio venga esercitato unicamente dai
proprietari di determinati fondi in
dipendenza della particolare ubicazione
degli stessi, o da coloro che abbiano
occasione di accedere ad essi per esigenze
connesse alla loro privata utilizzazione
(Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637),
oppure, infine, rispetto a strade destinate
al servizio di un determinato edificio o
complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761)…” (TAR Lombardia,
Milano, IV, 05/09/2017, n. 1781; Cons. di
Stato, Sez. V, sent. n. 728 del 14/02/2012;
TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 12/05/2008,
n. 1328, per cui: “… l'ubicazione della
suddetta strada lascia agevolmente presumere
che essa sia stata in realtà utilizzata dai
soli comproprietari frontisti; utilizzo
questo che, come è noto, non può ritenersi
sufficiente a costituire una servitù di uso
pubblico o addirittura a rendere pubblica la
strada stessa”).
L’uso limitato della strada da parte di
proprietari di determinati fondi in
dipendenza della particolare ubicazione
degli stessi è esattamente quanto si
riscontra nella fattispecie in esame dove,
come comprovato dalle note, allegate dalla
stessa parte resistente (cfr., la lettera
del 18/11/2013, proveniente dai sigg.ri
Ma., Ma. e Bi., tutti
residenti in via ... nn. 10, 10/A e
10/B, allegata sub n. 12 della produzione
resistente; la lettera del 29.12.2014,
proveniente sempre dagli stessi residenti di
via ..., allegata sub n. 13 e la
lettera del 14.09.2015, dell’Avv. Ro.,
sempre per conto dei sigg.ri Ma.,
Ma. e Bi., allegata sub n. 14),
richiamate nella stessa ordinanza di
rimozione, l’uso della strada è reclamato
soltanto da alcuni residenti di via
....
È allora evidente come da tali note non si
ricavi affatto un uso della strada Monte
Sole ad opera di una collettività
indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, bensì un
uso uti singuli, ossia quali soggetti che si
trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene che si pretende gravato.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi
quanto alla prova della “dicatio ad patriam”,
atteso che, ciò che si ricava dalle
documentate interlocuzioni fra Comune e
Condominio è la volontà di quest’ultimo di
assicurare l’accesso e la percorrenza della
strada in parola, non già, alla generalità,
bensì, ai gestori di pubblici servizi e alle
Autorità di pubblica sicurezza.
Come noto, invece, la cd. dicatio ad patriam
richiede un comportamento del proprietario
del bene che deponga in modo univoco nel
senso della spontanea messa a disposizione
del bene medesimo a favore di una
collettività indeterminata di cittadini (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 27/02/2019, n. 1369).
Quanto alle previsioni contenute negli
strumenti urbanistici, ricorda il Collegio
come le stesse non possano da sole
costituire diritti reali in favore
dell’Amministrazione pubblica, con la
conseguenza che un’area privata rimane tale
anche se lo strumento urbanistico la
classifichi come area pubblica o come area
destinata ad uso pubblico (cfr. TAR Lazio
Roma, sez. II, 02.02.2015, n. 1881;
TAR Toscana, sez. III, 23.12.2014,
n. 2149).
Nessun intervento pubblico sulla strada in
parola risulta, d’altro canto, documentato
da parte resistente, benché, come noto, per
dimostrare la sussistenza di una effettiva
destinazione del bene all’uso pubblico
occorrano una pluralità di interventi
pubblici sul bene stesso dai quali desumere
che esso è posto a disposizione di tutta la
collettività dei consociati (cfr. TAR
Lombardia, Milano, 04/06/2019, n. 1275;
TAR Valle d'Aosta, 15.03.2016, n. 12).
È incontestato, al riguardo, che la
manutenzione della strada è sempre stata
effettuata ad opera del Condominio e mai del
Comune.
Non risulta, poi, adeguatamente comprovata
da parte del Comune neppure l’oggettiva
idoneità della strada a soddisfare il fine
di pubblico interesse perseguito tramite
l’esercizio della servitù. Al riguardo,
giova osservare che, come indicato nella
relazione della Polizia Locale depositata
dallo stesso Comune (sub allegato n. 17), la
strada che attraversa il Condominio è ad
unica carreggiata, priva di marciapiedi ed
ha una larghezza media di 5 metri con una
pendenza media del 12%. Si tratta di
caratteristiche che, come evidenziato da
parte ricorrente, lungi dal rivelare
un’idoneità all’uso generalizzato della
strada, pongono in luce il pericolo per la
pubblica incolumità e la sicurezza stradale
sotteso all’utilizzo in modo indifferenziato
della stessa da parte della collettività.
Non appare, infine, dirimente quanto
affermato dal Comune in ordine alla
legittimità dell’ordinanza di rimozione
della sbarra per pretese ragioni di
viabilità, che –a ben vedere- postulano
l’esistenza ma non creano un diritto di
pubblico passaggio (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sentenza citata n. 1257/2019)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 14.10.2019 n. 2145 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Accertamento
in via incidentale dell’esistenza di un uso pubblico su aree
di proprietà privata.
Il TAR Brescia affronta
il tema dell’ampiezza del potere del giudice amministrativo
e ricorda che la giurisprudenza ha chiarito che rientra
nella giurisdizione del G.A., ai sensi dell’art. 8 c.p.a.
(secondo cui il G.A. stesso può conoscere, seppur solo in
via incidentale e senza efficacia di giudicato tutte le
questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la
cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla
questione principale), l’esame dell’eccezione (di tipo
riconvenzionale), avanzata in via incidentale dalla P.A.,
tendente a far valere l’usucapione su un bene oggetto di una
procedura espropriativa, al fine di pervenire ad
un’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso
introduttivo per difetto di interesse.
Aggiunge il TAR che è stato anche osservato,
sotto altro profilo, che l’accertamento giurisdizionale
dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico
passaggio su una strada privata compete all’autorità
giudiziaria ordinaria, mentre il giudice amministrativo può
esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione
incidentale, senza poter fare stato con la propria decisione
sulla questione, e al solo e limitato fine di pronunciarsi
sulla legittimità della determinazione che forma specifico
oggetto di ricorso: quindi il giudice amministrativo può
accertare incidenter tantum, ai sensi dell’art. 8 c.p.a.,
l’esistenza di un uso pubblico consolidato su aree di
proprietà privata, laddove tale accertamento sia
indispensabile al fine di delibare la legittimità di un
provvedimento (come, ad esempio, l’atto di rigetto di
un’istanza di rilascio di un titolo edilizio motivato
sull’esistenza di un diritto di uso pubblico sull’area su
cui ricade l’intervento)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.08.2019 784 -
commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
4.1 Come ha statuito questo TAR nella
sentenza della sez. I – 09/10/2018 n. 961 (che non risulta
appellata), in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001
il permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, e tale
ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una
legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV – 28/03/2018
n. 1949, il quale ha precisato che “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in
senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990)”.
4.2 L’onere del Comune è dunque quello
ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di
altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione
giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto
dell’intervento, e che possa renderlo destinatario di un
provvedimento amministrativo autorizzatorio, senza che
l’Ente locale debba comprovare –prima del rilascio– la “pienezza”
(nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo,
dato che ciò comporterebbe l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”,
ad essa non assegnato dall’ordinamento.
4.3 Orbene, in linea di diritto, secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza
amministrativa, in sede di rilascio del titolo abilitativo
edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di
procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei
rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente
non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di
una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena
disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio
in relazione al tipo di intervento richiesto (Consiglio di
Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121).
Si è tuttavia anche specificato che
l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà
e rigore”, e che “la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è
oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga
a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del
richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le
necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza
delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni
squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie
attendibili” (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2018
n. 2397).
4.4 Nel caso di specie, l’art. 27 delle NTA
al PGT (doc. 16 ricorrenti), nella parte rubricata “Scarichi
acque meteoriche” (inizio di pag. 41) dispone che “Nel
caso di realizzazione di serre di qualsiasi tipologia, è
fatto obbligo all’imprenditore agricolo di provvedere alla
richiesta di concessione di scarico all’Ente competente
gestore del canale ricettore (Comune o Consorzio di
Bonifica). All’istanza dovrà essere allegato apposito studio
idrologico, secondo quanto verrà richiesto dall’Ente gestore
dei canali”.
Tra i documenti finalizzati al rilascio del
permesso di costruire, il Comune era dunque tenuto ad
acquisire il nulla osta dell’Ente pubblico preposto alla
gestione del canale. L’amministrazione resistente ha
correttamente accertato il possesso del titolo
autorizzatorio, emesso dal Consorzio di Bonifica Vaso
Gattinardo in data 27/03/2013. L’atto predetto (doc. 54
ricorrenti) autorizza Carini Agostino all’attraversamento
del vaso precisando che “per quanto riguarda lo scarico
pioggia meteorica dovuta alla realizzazione di tunnel per la
coltivazione di ortaggi, nella Vs. stessa lettera citate che
l’acqua piovana non assorbita dal terreno sarà convogliata
in un vaso a sud della proprietà (fg. 11, mappale 29),
canale che sfocia nel vaso consorziale. Lo stesso Consorzio
precisa di non avere nessuna obiezione a ricevere tali
acque, salvo che non vengano lesi diritti dei terzi”.
4.5 A questo punto conviene affrontare il
tema dell’ampiezza del potere del giudice amministrativo
sulla vicenda. Il C.G.A. Sicilia, con sentenza 14/01/2013 n.
9 (richiamata dalla sentenza della sez. II di questo TAR –
10/06/2014 n. 628), ha chiarito che “Rientra nella
giurisdizione del G.A., ai sensi dell’art. 8 c.p.a. (secondo
cui il G.A. stesso può conoscere, seppur solo in via
incidentale e senza efficacia di giudicato "tutte le
questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la
cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla
questione principale"), l’esame dell’eccezione (di tipo
riconvenzionale), avanzata in via incidentale dalla P.A.,
tendente a far valere l’usucapione su un bene oggetto di una
procedura espropriativa, al fine di pervenire ad
un’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso
introduttivo per difetto di interesse”.
E’ stato anche osservato, sotto altro
profilo, che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva
esistenza di una servitù di pubblico passaggio su una strada
privata compete all’autorità giudiziaria ordinaria, mentre
il giudice amministrativo può esercitare, al riguardo,
esclusivamente una cognizione incidentale (cfr. art. 8,
comma 1, CPA), senza poter fare stato con la propria
decisione sulla questione, e al solo e limitato fine di
pronunciarsi sulla legittimità della determinazione che
forma specifico oggetto di ricorso (Consiglio di Stato, sez.
V – 05/12/2014 n. 5985; si veda anche Consiglio di Stato,
sez. IV – 18/11/2014 n. 5676): quindi il giudice
amministrativo può accertare incidenter tantum, ai
sensi dell’art. 8 cod. proc. amm., l’esistenza di un uso
pubblico consolidato su aree di proprietà privata, laddove
tale accertamento sia indispensabile al fine di delibare la
legittimità di un provvedimento (come, ad esempio, l’atto di
rigetto di un’istanza di rilascio di un titolo edilizio
motivato sull’esistenza di un diritto di uso pubblico
sull’area su cui ricade l’intervento). |
EDILIZIA PRIVATA: La
cd. “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù
di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure
non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e
tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune
ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per
i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo
spirito che lo anima”.
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono
nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di
persone; nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse
generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un
comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente
diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare
l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività.
---------------
4.1. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e della Corte di
cassazione ha da tempo affermato che la cd. “dicatio ad patriam”
rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico,
consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e
tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune
ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per
i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo
spirito che lo anima” (cfr. Cons. Stato, IV, 15.03.2018, n. 1662;
22.05.2017, n. 2368; V, 16.11.2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass.,
II, 14.06.2018, n. 15618; 21.02.2017, n. 4416; I, 11.03.2016, n. 4851; II,
12.08.2002, n. 12167; I, 07.05.1993, n. 5262; SS.UU., 03.02.1988, n. 1072).
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono
nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività
di persone; nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze
d’interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in
un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente
diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare
l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi
profili, cfr. inter multis Cons. Stato, n. 6460/2018, cit.; V,
10.09.2018, n. 5286; 09.07.2015, n. 3446; 24.05.2007, n. 2621 e 2622; Cass.,
SS. UU., n. 1072/1988, cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.08.2019 n. 5785 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
principi consolidati “le risultanze catastali non fanno piena prova circa la
titolarità della proprietà e degli altri diritti reali, … in assenza di
titoli di proprietà o atti di trasferimento depositati”.
---------------
Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata
è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra
l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo
relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento
d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non
valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune,
l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale
iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla
proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né
la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione
della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento
su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale,
o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima
circa la funzione assolta da una determinata strada.
Imvero, "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né
che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta,
effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine
titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di
riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da
essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la
strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un
atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio,
ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di
uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà
espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale".
---------------
Sebbene secondo principi consolidati “le risultanze catastali non fanno
piena prova circa la titolarità della proprietà e degli altri diritti reali,
… in assenza di titoli di proprietà o atti di trasferimento depositati”
(TAR Marche, Ancona, sez. I, 06.11.2017, n. 840), emerge in tutta evidenza
che il tecnico del Comune non ha indicato atti idonei a stabilire in modo
certo la natura della via, essendosi egli limitato ad affermare di non aver
rilevato elementi tali da confermare la proprietà privata, pur richiamata
nell’atto di divisione fra i fratelli Farina del 12.02.1972 del vicolo in
questione.
Sulla base di queste sole risultanze, senza addurre alcun ulteriore elemento
di prova circa la titolarità della proprietà e, dunque, in assenza di alcuna
ulteriore attività istruttoria, il Comune ha dato per accertata la natura
pubblica del vicolo, provvedendo per questo alla modifica dello stradario
comunale e all’adozione degli atti di annullamento in autotutela e di
ingiunzione alla rimozione del cancello.
Giova sul punto richiamare la giurisprudenza ai sensi della quale "per
l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è
necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra
l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo
relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento
d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non
valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune,
l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale
iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla
proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né
la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione
della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento
su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale,
o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima
circa la funzione assolta da una determinata strada" [v. Cons. Stato, sez.
VI, 08.10.2013, n. 4952; v., altresì, TAR Trento, sez. 1, 21.11.2012, n.
341, per cui "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non
basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua
concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la
occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di
atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c.,
che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base
ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il
dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una
servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione
di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le
esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale"]” (Cons. Stato, sez. IV, sent. 5820/2018 cit.)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.07.2019 n. 4063 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
osservarsi come l’accertamento pieno e diretto della natura demaniale di un
bene (o comunque della sussistenza di servitù e diritti di uso pubblico
gravanti sullo stesso bene) rientri nell’ambito della giurisdizione
ordinaria. Infatti, è stato affermato che “Rientra nella giurisdizione
dell'autorità giudiziaria ordinaria, e non già in quella del giudice
amministrativo, la cognizione della controversia avente ad oggetto
l'accertamento della natura demaniale, o non, di un determinato bene, in
quanto le questioni relative alla natura demaniale o privata di un bene e,
quindi, alla titolarità del diritto dominicale, attengono a situazioni
giuridiche di diritto soggettivo ed esulano pertanto dalla giurisdizione del
g.a.; conseguentemente appartiene alla giurisdizione ordinaria la
controversia in cui la demanialità di un bene sia fatta valere quale ragione
di nullità del contratto con il quale un Comune, agendo iure privatorum,
abbia ceduto a terzi quel suolo”.
---------------
Più di recente, la giurisprudenza ha ribadito che “La controversia relative
alla proprietà, pubblica o privata, di una strada, così come quella relativa
all'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, deve essere
devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto investe
l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei
privati o della pubblica amministrazione”.
Deve anche rilevarsi che –sebbene l’accertamento della natura del bene
spetti in via diretta alla giurisdizione ordinaria– non risulta in atto
promosso (o, quanto meno, non è stata fornita piena prova di tale
circostanza) un giudizio innanzi all’a.g.o. che abbia la citata finalità,
non potendosi ritenere funzionale a tale scopo il procedimento civile
menzionato dal ricorrente, che appare rivolto meramente alla tutela di una
situazione di fatto –il possesso del bene immobile– piuttosto che
all’accertamento del suo status giuridico.
---------------
La giurisprudenza più recente del Consiglio di
Stato, nel richiamare il metodo di acquisto della dicatio ad patriam, ha
rammentato che si tratta di un modo di costituzione di una servitù di uso
pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette
volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o
spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune
ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per
i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo
spirito che lo anima.
---------------
In via preliminare, deve osservarsi come l’accertamento pieno e diretto
della natura demaniale di un bene (o comunque della sussistenza di servitù e
diritti di uso pubblico gravanti sullo stesso bene) rientri nell’ambito
della giurisdizione ordinaria. Infatti, è stato affermato che “Rientra
nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, e non già in quella
del giudice amministrativo, la cognizione della controversia avente ad
oggetto l'accertamento della natura demaniale, o non, di un determinato
bene, in quanto le questioni relative alla natura demaniale o privata di un
bene e, quindi, alla titolarità del diritto dominicale, attengono a
situazioni giuridiche di diritto soggettivo ed esulano pertanto dalla
giurisdizione del g.a.; conseguentemente appartiene alla giurisdizione
ordinaria la controversia in cui la demanialità di un bene sia fatta valere
quale ragione di nullità del contratto con il quale un Comune, agendo iure
privatorum, abbia ceduto a terzi quel suolo” (Tar Catania, 3840/2010).
La massima appena riportata riguarda un caso molto simile a quello ora in
esame, poiché la natura demaniale del bene costituiva –in quella vicenda–
motivo di nullità di un contratto, mentre –nel caso a mani– costituisce lo
spartiacque tra l’illegittimità e la legittimità del provvedimento adottato
dal Comune in materia edilizia.
Più di recente, la giurisprudenza ha ribadito che “La controversia
relative alla proprietà, pubblica o privata, di una strada, così come quella
relativa all'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata,
deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto
investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti
soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione” (Tar Napoli
2252/2019; in termini analoghi, Tar Lecce 269/2019).
Deve anche rilevarsi che –sebbene l’accertamento della natura del bene
spetti in via diretta alla giurisdizione ordinaria– non risulta in atto
promosso (o, quanto meno, non è stata fornita piena prova di tale
circostanza) un giudizio innanzi all’a.g.o. che abbia la citata finalità,
non potendosi ritenere funzionale a tale scopo il procedimento civile
menzionato dal ricorrente, che appare rivolto meramente alla tutela di una
situazione di fatto –il possesso del bene immobile– piuttosto che
all’accertamento del suo status giuridico.
Fatte tali premesse, questo giudice è chiamato nella vicenda in esame ad
operare una valutazione meramente incidentale circa la natura delle grotte
–valutazione consentita dall’art. 8 del c.p.a., nella parte in cui consente
al giudice amministrativo di conoscere, senza efficacia di giudicato, di
tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui
soluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale- al
limitato scopo di statuire sulla legittimità o illegittimità del
provvedimento comunale che ha negato al ricorrente l’autorizzazione ad
eseguire lavori sull’area antistante le grotte stesse.
Alla luce di quanto precisato, e negli stretti limiti del potere di “cognizione”
esercitabile nella fattispecie, il Collegio rassegna le seguenti
conclusioni:
a) il sig. Ca. è proprietario dell’area sopraelevata e delle
sottostanti grotte per averle regolarmente acquistate; peraltro, tale
diritto di proprietà non sembra essere stato messo in discussione dalla
amministrazioni che, a vario titolo, si sono occupate della vicenda;
b) ciononostante, il diritto di proprietà privata sulle grotte
sembra aver subìto, già da molti decenni, una consistente limitazione a
beneficio della collettività, quale conseguenza dell’uso pubblico che di
tali grotte è stato fatto sin dagli anni ’40 del secolo scorso;
c) la sussistenza di tale uso appare comprovata sia dalle antiche
fotografie prodotte in giudizio, che ritraggono le grotte come luogo adibito
a ricovero delle barche dei locali pescatori, sia dall’atto meramente “ricognitivo”
adottato dal Ministero delle infrastrutture e trasporti – Delegazione di
spiaggia di Salina, prot. 233 del 28.03.2013, che lo menziona come risalente
dato di fatto;
d) a ciò vanno aggiunti i documentati interventi con i quali
l’amministrazione pubblica ha inteso procedere direttamente alla
eliminazione della situazione di pericolo pubblico che discendeva dalla
stabilità precaria delle grotte; circostanza questa che lascia intendere
come l’amministrazione sia prontamente intervenuta a protezione dei terzi “utilizzatori”
delle grotte;
e) infine, l’uso pubblico dei citati beni appare compatibile con la
collocazione dell’ingresso delle grotte proprio a ridosso della spiaggia di
Rinella, ed a pochi metri dal mare.
In base alla esposte considerazioni, il provvedimento che ha negato al
ricorrente il diritto di recintare (in parte qua) il proprio fondo
risulta legittimo, in quanto teso a garantire il perpetuarsi del continuato
“uso pubblico”; correlativamente, risultano infondate le censure
articolate in ricorso, anche perché queste sono dirette essenzialmente a
negare la natura demaniale del bene, ed a confermarne l’incidenza
nell’ambito della proprietà privata, ma non tengono conto della diversa
connotazione dei beni che l’amministrazione ha messo in risalto (ossia,
dell’esistenza di un uso pubblico, compatibile con la proprietà privata) al
fine di negare il rilascio del provvedimento autorizzatorio richiesto.
Ai fini dell’inquadramento giuridico della ricostruzione sopra operata
appare utile richiamare la seguente massima: “La giurisprudenza più
recente del Consiglio di Stato, nel richiamare il metodo di acquisto della
dicatio ad patriam, ha rammentato che si tratta di un modo di costituzione
di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del
proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto
di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità e dunque
senza precarietà o spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione
della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di
soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives",
indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto,
dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima (Cons. Stato, IV,
15.03.2018 n. 1662; Cass. civ., I, 11.03.2016, n. 4851)” (Cons. Stato,
V, 6460/2018)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 09.07.2019 n. 1726 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Natura
e uso pubblico di una strada.
La verifica in ordine
alla esistenza di una servitù di uso
pubblico sulla strada in esame o della sua
demanialità è finalizzata a stabilire se i
provvedimenti comunali impugnati siano o
meno legittimi.
---------------
Secondo una costante
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la
natura e l’uso pubblico di una strada
dipendono dalla esistenza di tre concorrenti
elementi, che sono:
a) l’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis
publicae da una moltitudine indistinta di
persone qualificate dall’appartenenza ad un
ambito territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, le
esigenze di carattere generale e pubblico;
c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, il quale può identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile
(comportamento della collettività
contrassegnato dalla convinzione di
esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune
(interessato a far valere l’uso pubblico
della via) deve dare idonea dimostrazione,
salvo che la strada non sia inserita
nell’elenco delle strade comunali, ciò
rappresentando una presunzione (semplice) di
appartenenza della stessa all’Ente ovvero
del suo uso pubblico.
E’ stato anche precisato che l’esistenza di
un diritto di uso pubblico del bene non può
sorgere per meri fatti concludenti, ma
presuppone un titolo idoneo a tal fine,
quale ad esempio la proprietà del sedime
stradale in capo ad un soggetto pubblico.
---------------
MASSIMA
1. In via preliminare, va affermata la
giurisdizione del Giudice amministrativo con
riferimento alla parte della domanda con cui
si chiede l’annullamento degli atti
impugnati, atteso che il giudice
amministrativo può conoscere in via
incidentale di diritti soggettivi quando
tale sindacato è necessario per accertare la
legittimità di un provvedimento
amministrativo.
Difatti, la verifica in ordine alla
esistenza di una servitù di uso pubblico
sulla strada in esame o della sua
demanialità è finalizzata a stabilire se i
provvedimenti comunali impugnati siano o
meno legittimi (cfr. Consiglio di Stato, V,
16.10.2017, n. 4791; VI, 10.05.2013, n.
2544; altresì, TAR Lombardia, Milano, III,
11.03.2016, n. 507).
1.1. Quanto, invece, alla domanda di
accertamento del trasferimento del diritto
di proprietà della porzione della stradella
della Zoccascia, pro-quota, in capo ai
ricorrenti, la stessa risulta inammissibile
per difetto di giurisdizione del Giudice
amministrativo, giacché come evidenziato
dalla difesa comunale, si tratta di decidere
l’assetto proprietario di un bene e quindi
la sussistenza o meno di un diritto
soggettivo, facente capo alla giurisdizione
del Giudice ordinario (cfr., ex multis,
Consiglio di Stato, V, 16.10.2017, n. 4791).
...
2. Passando all’esame del merito della
domanda di annullamento, la stessa è
infondata.
3. Con la prima censura si assume il difetto
di istruttoria e motivazione in ordine alla
sussistenza di un effettivo uso pubblico
della stradella della Zoccascia e al suo
regime demaniale, trattandosi piuttosto di
un’area di passaggio di proprietà di
soggetti privati, peraltro non più destinata
all’uso pubblico attesa l’inidoneità della
stessa.
3.1. La doglianza è infondata.
Va premesso che, secondo una costante
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la
natura e l’uso pubblico di una strada
dipendono dalla esistenza di tre concorrenti
elementi, che sono:
a) l’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis
publicae da una moltitudine indistinta
di persone qualificate dall’appartenenza ad
un ambito territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, le
esigenze di carattere generale e pubblico;
c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, il quale può identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile
(comportamento della collettività
contrassegnato dalla convinzione di
esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune
(interessato a far valere l’uso pubblico
della via) deve dare idonea dimostrazione,
salvo che la strada non sia inserita
nell’elenco delle strade comunali, ciò
rappresentando una presunzione (semplice) di
appartenenza della stessa all’Ente ovvero
del suo uso pubblico (Cass., SS. UU.,
16.02.2017, n. 713; nonché, Consiglio di
Stato, VI, 20.06.2016, n. 2708; IV,
19.03.2015, n. 1515; diffusamente, da
ultimo, Consiglio di Stato, IV, 10.10.2018,
n. 5820).
E’ stato anche precisato che l’esistenza di
un diritto di uso pubblico del bene non può
sorgere per meri fatti concludenti, ma
presuppone un titolo idoneo a tal fine,
quale ad esempio la proprietà del sedime
stradale in capo ad un soggetto pubblico (cfr.
Consiglio di Stato, V, 16.10.2017, n. 4791;
TAR Campania, Napoli, VIII, 04.01.2019, n.
42).
Nella fattispecie de qua –a fronte
dell’assenza di prove di segno contrario
prospettate da parte dei ricorrenti, tali
non potendo considerarsi le apodittiche
affermazioni in punto di insussistenza di un
interesse della collettività all’utilizzo
della detta via, in relazione all’ipotizzata
assenza di sbocchi e alla sua effettiva
conformazione– il Comune ha evidenziato come
nel P.R.G. risalente all’anno 1980 e in
vigore fino al 1995, la strada vicinale
della Zoccascia risulta essere indicata (cfr.
all. 29 del Comune); anche nel P.G.T.
vigente la via risulta riprodotta nella
cartografia del Piano (cfr. all. 31 del
Comune). Inoltre, come ammesso dagli stessi
ricorrenti, sulla predetta strada è stata
realizzata la pubblica fognatura (all. 10
del Comune).
Ad abundantiam, va richiamata
l’ordinanza comunale di ripristino dello
stato dei luoghi n. 488 del 07.05.1982, la
quale dimostra che la predetta strada sia
stata già in passato oggetto di attività di
tutela comunale e i proprietari dell’epoca
non avessero affatto contestato la proprietà
pubblica della medesima (cfr. all. 17, 18 e
19 al ricorso). Nemmeno corrisponde ad un
dato reale la circostanza che la strada
sarebbe priva di sbocco, visto che
dall’aerofotogrammetria risulta il
contrario, ossia la percorribilità della
predetta via (cfr. all. 28 del Comune), e i
provvedimenti impugnati sarebbero proprio
finalizzati a ripristinare tale
collegamento, attraverso la rimozione delle
strutture realizzate dai ricorrenti.
Sulla scorta dei predetti indici appare
evidente la natura pubblica della strada e
quindi la legittimità dell’intervento
comunale.
3.2. Ciò determina il rigetto della prima
doglianza (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.07.2019 n. 1530 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza àncora una servitù di diritto pubblico ai presupposti consistenti:
a) nell’uso generalizzato del passaggio da parte di una
collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto
portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione
“uti singuli”, finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per
il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata;
b) nell'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di
pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
c) nel protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione.
---------------
6.3. In tale contesto l’iniziativa processuale di parte ricorrente non è,
soltanto, comprensibile (in quanto non certamente mossa da un “evidente
travisamento dei presupposti di diritto”, come deduce il Comune) ma risulta
fondata. Infatti, il ricorso trae origine dal rigetto dell’osservazione
presentata che, pur riconoscendo la natura privata del passaggio, gli
assegna un uso pubblico “per consuetudine”.
Ma tale provvedimento risulta in parte qua contrario ai presupposti a cui la
giurisprudenza àncora una servitù di diritto pubblico consistenti:
a) nell’uso generalizzato del passaggio da parte di una
collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto
portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione
“uti singuli”, finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per
il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata;
b) nell'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di
pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
c) nel protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (cfr.,
ex multis, Cassazione civile, sez. II, 29.11.2017, n. 28632).
Nel caso di specie, difetta, quindi, l’asservimento del bene ad uso pubblico
con conseguente illegittimità delle provvedimenti impugnati nella parte in
cui questi postulano (senza, come detto, la necessaria chiarezza) la
sussistenza di una servitù e la conseguente possibilità di inserire il
passaggio nei percorsi ciclopedonali previsti dal Comune (pur se, allo
stato, mai realizzati).
7. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con annullamento in parte qua
dei provvedimenti impugnati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.06.2019 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'accertamento
dell'uso pubblico di un bene, quale una strada, deve essere condotto non già
sulla mera base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito
esame della condizione effettiva in cui il bene si trova.
Ai fini dell'accertamento della proprietà di un'area, i dati catastali hanno
valore indiziario e ad essi può essere attribuito maggior peso probatorio
solo quando non risultino contraddetti da specifiche determinazioni
negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del contenuto
dell'atto al quale deve farsi risalire la titolarità dell'area medesima.
L’accertamento della proprietà pubblica richiede l'esistenza di un atto o di
un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di
proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo
ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, o che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o
tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine,
l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione
programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di
atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta.
---------------
L'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma esplicita finalità di
collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone, oppure quando vi sia stato, mediante la cosiddetta dicatio ad
patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico
di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le
caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso
pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la
prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto
di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di
servitù.
Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale a una via privata è
necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra
l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo
relativo, non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al
Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché
tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla
proprietà del terreno e connesse col regime giuridico della medesima.
---------------
È orientamento della giurisprudenza amministrativa ritenere che
l'accertamento dell'uso pubblico di un bene quale una strada deve essere
condotto non già sulla mera base delle risultanze catastali, ma mediante un
approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova (cfr.:
Cons. Stato IV, 17.09.2013, n. 4625).
Ai fini dell'accertamento della
proprietà di un'area, i dati catastali hanno valore indiziario e ad essi può
essere attribuito maggior peso probatorio solo quando non risultino
contraddetti da specifiche determinazioni negoziali delle parti o dalla
complessiva valutazione del contenuto dell'atto al quale deve farsi risalire
la titolarità dell'area medesima (cfr.: Cons. Stato IV, 04.04.2012, n. 1990).
L’accertamento della proprietà pubblica richiede l'esistenza di un atto o di
un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di
proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo
ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, o che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o
tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine,
l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione
programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di
atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta (cfr.: Cons. Stato V, 28.06.2011, n. 3868).
Il Comune di Agnone, prima del ricevimento dell’esposto di tale Di Mario
Nicola, non aveva mai effettuato alcuna rivendica né accampato diritti sulla
natura pubblica del viottolo. Solo con la nota datata 10.01.2013, inviata ai
ricorrenti e all’Ufficio del Territorio di Isernia, veniva proposta dal
Comune una “rettifica del foglio di mappa nr. 156 presso gli Uffici
dell’Agenzia del Territorio di Isernia”, chiedendosi di far conoscere “se
dalla data dell’impianto del catasto (1956), al 01.10.1987, data di
redazione dell’atto divisionale rep. 597324, risultano eseguite eventuali
variazioni planimetriche sul foglio di mappa nr. 156 del Comune di Agnone”.
L’Agenzia delle Entrate - Ufficio del Territorio di Isernia, con la nota di
riscontro, comunicava al Comune di Agnone che “il tratto di via comunale,
compreso tra le particelle 98, 99 e parte della 101, evidenziato in giallo
nell’allegato stralcio di mappa, non è stato interessato da alcuna
variazione catastale”. Tale affermazione -invero non molto chiara, poiché
non fornisce precisazioni sulla natura pubblica del viottolo- non contrasta
con la prospettazione dei ricorrenti i quali riconoscono che il viottolo, in
epoca remota, costituisse una “strada vicinale privata” utilizzabile da
proprietari frontisti. Non vi è, viceversa, prova che il sentiero tracciato
sul foglio di mappa catastale, sia stato e permanga una strada di proprietà
comunale, né tampoco che si tratti di un bene pubblico demaniale, come
affermato dal Comune.
L'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma esplicita finalità di
collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone, oppure quando vi sia stato, mediante la cosiddetta dicatio ad
patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico
di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le
caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr.: Cons. Stato,
IV 10.10.2018, n. 5820; Tar Campania Napoli VI, n. 106/2010).
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso
pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la
prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto
di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di
servitù. Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale a una via
privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico
concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà
del suolo relativo, non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede
viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade
comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni
giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse col regime
giuridico della medesima (cfr.: Cons. Stato VI, 08.10.2013, n. 4952; Tar
Trentino A.A. – Trento, 21.11.2012, n. 341)
(TAR Molise,
sentenza 24.04.2019 n. 140 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Realizzazione di nuova strada da parte di
privati con spese ed oneri a loro carico – successiva
cessione delle aree stradali al Comune – parere (Legali
Associati per Celva,
nota 26.03.2019 - tratto da www.celva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La circostanza dell’uso pubblico o solo privato di una strada rileva ai sensi
dell’articolo 15, del d.lgt. 01.09.2018, n. 1446, atteso che per le
strade vicinali soggette ad uso pubblico all'ente pubblico spetta una
ingerenza straordinaria, che si concreta in poteri di polizia e di
regolamentazione della circolazione e dell'ordine e della sorveglianza;
spettando al sindaco “ordinare che siano rimossi gli impedimenti all’uso
delle strade e all’esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate”, mentre per
le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può provvedere solo quando
ne sia richiesto (ultimo comma articolo 15 d.lgt. cit.).
Peraltro anche nell’ipotesi di uso pubblico “La responsabilità per i danni
derivanti dalla mancata manutenzione di strade vicinali private non può
gravare sull'amministrazione comunale, atteso che i compiti di vigilanza e
polizia, come il potere di disporre l'esecuzione di opere di ripristino a
spese degli interessati, che ad essa competono su dette strade, non
comportano anche l'obbligo di provvedere a quella manutenzione, facente
carico esclusivamente ai proprietari interessati”.
Per giurisprudenza consolidata “per poter considerare assoggettata ad uso
pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente
idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità
di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere
verificato:
- il requisito del passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
- la concreta
idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via
pubblica, esigenze di generale interesse;
- un titolo valido a sorreggere
l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di
una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un
transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia
adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da
collegamento con una via pubblica”.
Le questioni inerenti l’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di
una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada
privata, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché
investono l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti
soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione, potendo il giudice
amministrativo conoscere di tali questioni solo in via incidentale qualora
l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto
dell'atto eventualmente impugnato.
---------------
Con ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a. depositato in data 08.01.2019, il
sig. Kr.Jo.Go., proprietario di un’immobile insistente sul mappale
1679 del Comune di Tremosine sul Garda - località Vagne, espone che nel
gennaio del 2014, a seguito del distacco di materiale roccioso dalla parete
posta a monte della strada vicinale privata denominata “via Vagne”, una
frana si riversava su detta via e sui terreni a valle, tra i quali quello di
sua proprietà.
A tutela della pubblica incolumità il sindaco con ordinanza n. 39/2014
disponeva la chiusura e l’interdizione al transito veicolare e pedonale
della strada vicinale, all’altezza dei mappali 1716-1717-9094, demandando
ogni ulteriore “provvedimento di messa in pristino correlato all’evento in
argomento al perfezionamento delle procedure di verifica in atto da parte
dell’Ufficio Tecnico Comunale, il quale dovrà individuare puntualmente le
concause che hanno determinato il fenomeno”.
Lamenta il ricorrente che nonostante gli incontri successivamente tenutisi
tra il tecnico da lui incaricato ed il Sindaco, l’Amministrazione -a
distanza di anni- non ha mai comunicato l’esito dell’istruttoria né
adottato i conseguenti provvedimenti di rimessa in pristino dell’area.
Con istanze di data 29.11.2017 e 27.11.2018 egli ha sollecitato
il Comune intimato all’avvio del procedimento finalizzato all’effettuazione
delle verifiche tecniche e all’adozione delle misure di messa in sicurezza
del versante franato, alle quali però non è stato dato alcun riscontro.
Con l’odierno gravame l’esponente denuncia -quindi- l’illegittimità del
silenzio serbato dall’Amministrazione intimata, in ragione degli obblighi di
intervento posti sia in capo all’ente comunale sia, individualmente, in capo
al sindaco dalla normativa nazionale e regionale in materia di protezione
civile, nell’ambito dei compiti di prevenzione, eliminazione dei pericoli e
mitigazione dei rischi derivanti da eventi calamitosi. Conseguentemente
chiede accertarsi l’obbligo di provvedere sulle istanze sollecitatorie
presentate e di avviare e concludere il procedimento istruttorio disposto
con l’ordinanza sindacale n. 49/2014.
...
Il ricorso è fondato nei termini di seguito illustrati.
Le parti non hanno posizione univoca sulla questione inerente l’apertura o
meno della strada vicinale in questione al pubblico transito, atteso che il
ricorrente ritiene che l’utilizzo pubblico sussista in ragione del
collegamento con la viabilità comunale e dell’uso del percorso da parte di
numerosi escursionisti, mentre l’amministrazione resistente eccepisce che il
tracciato viario non solo è di proprietà privata, ma è di uso esclusivo dei
proprietari degli immobili che la stessa raggiunge.
La circostanza dell’uso pubblico o solo privato rileva ai sensi
dell’articolo 15, del d.lgt. 01.09.2018, n. 1446, atteso che per le
strade vicinali soggette ad uso pubblico all'ente pubblico spetta una
ingerenza straordinaria, che si concreta in poteri di polizia e di
regolamentazione della circolazione e dell'ordine e della sorveglianza;
spettando al sindaco “ordinare che siano rimossi gli impedimenti all’uso
delle strade e all’esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate”, mentre per
le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può provvedere solo quando
ne sia richiesto (ultimo comma articolo 15 d.lgt. cit.).
Peraltro anche nell’ipotesi di uso pubblico “La responsabilità per i danni
derivanti dalla mancata manutenzione di strade vicinali private non può
gravare sull'amministrazione comunale, atteso che i compiti di vigilanza e
polizia, come il potere di disporre l'esecuzione di opere di ripristino a
spese degli interessati, che ad essa competono su dette strade, non
comportano anche l'obbligo di provvedere a quella manutenzione, facente
carico esclusivamente ai proprietari interessati” (Cass. civ. Sez. III
25/02/2009, n. 4480).
Per giurisprudenza consolidata “per poter considerare assoggettata ad uso
pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente
idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità
di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere
verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta
idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via
pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere
l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di Stato, IV, n.
1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n. 29/1997; TAR Toscana, Sez.
III; n. 1385/2003; TAR Sicilia Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn.
20405/2010 e 7718/1991). Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di
una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un
transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia
adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da
collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013,
n. 1322)” (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 04.09.2017, n. 4233).
Le questioni inerenti l’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di
una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada
privata, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché
investono l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti
soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione (Cass., sez. un.,
ord. 27.01.2010, n. 1624), potendo il giudice amministrativo conoscere
di tali questioni solo in via incidentale qualora l'esistenza della servitù
pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente
impugnato (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18.09.2013, n. 2170).
Nel caso di specie l’uso pubblico della strada, che dovrebbe essere
rigorosamente provato, è stato affermato ma non dimostrato dal ricorrente.
Tanto premesso, la questione nel caso di specie non rileva ai fini della
decisione, atteso che l’ordinanza del 2014, consolidatasi per mancata
impugnazione e i cui effetti sono tuttora operanti, così come l’odierno
ricorso traggono diversamente fondamento non già su dette disposizioni, ma
sull’articolo 54 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che “Il sindaco,
quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche
contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento,
al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano
l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”, nonché sui compiti e gli
obblighi dell’amministrazione previsti dalla normativa in materia di
protezione civile.
La controversia verte pertanto sulla sussistenza di un obbligo del Comune,
ovvero del sindaco, di adottare specifiche disposizioni attinenti
l’accertamento delle cause dell’evento franoso e gli interventi di
ripristino necessari.
Tanto premesso, occorre evidenziare che l’amministrazione resistente
all’esito dell’evento franoso ha tempestivamente adottato un provvedimento
di inibizione al transito finalizzato a preservare l’incolumità e la
sicurezza pubblica.
Come espressamente previsto nell’ordinanza sindacale adottata, la chiusura
dell’accesso alla via costituiva una misura di carattere transitorio,
preliminare ad una successiva fase di approfondimento tecnico delle cause
dell’evento e alla conseguente adozione delle misure di ripristino dello
stato dei luoghi e di apprestamento delle misure necessarie per prevenire
successivi dissesti.
Nell’ordinanza del 2014 lo stesso comune riconosceva che “il presidio
interessati dall’evento franoso appare attualmente in condizioni di precaria
stabilità, per cui potrebbero verificarsi ulteriori crolli con conseguente
rischio per la pubblica incolumità”.
L’amministrazione subordinava inoltre ogni ulteriore provvedimento di messa
in pristino “al perfezionamento delle procedure di verifica in atto da parte
dell’Ufficio tecnico comunale, il quale dovrà individuare puntualmente le
concause che hanno determinato il fenomeno”.
Deve pertanto rilevarsi che, ancorché opportune, le interlocuzioni informali
con i singoli proprietari delle aree interessate e la presa d’atto degli
approfondimenti e degli interventi di ripristino dagli stessi proposti non
esauriscono i compiti riconducibili all’amministrazione comunale, che rimane
garante, a fini di tutela della pubblica incolumità, della verifica della
permanenza di condizioni di pericolo e della individuazione degli interventi
necessari per assicurare il ripristino dello stato dei luoghi e la
prevenzione di ulteriori eventi dannosi per le persone e le cose.
Si ritiene conseguentemente di accogliere il ricorso, ai fini della
declaratoria dell’obbligo del comune di pronunciarsi formalmente, nei limiti
delle relative competenze, anche sulla base degli approfondimenti tecnici
condotti dai privati e delle interlocuzioni informali già avvenute,
accertando la permanenza della situazione di pericolo, le cause dell’evento
franoso e disponendo le misure necessarie per il ripristino dello stato dei
luoghi, che dovranno essere realizzate a cura e carico dei proprietari
utilizzatori della via.
La formale definizione delle misure necessarie per la definitiva messa in
sicurezza dell’area risulta preordinata anche ai fini della successiva
rimozione dell’ordinanza sindacale di inibizione al transito. Resta fermo
che il Comune non è tenuto a dirimere conflitti tra i privati destinatari
dei suoi provvedimenti, in particolare sul riparto degli oneri per gli
interventi di ripristino.
Alla luce dell’attività di approfondimento già svolta dai proprietari
interessati e -informalmente- dal Comune, si ritiene congruo assegnare
all’Amministrazione il termine di giorni 60 (sessanta) giorni dalla
notificazione, o, se anteriore, dalla comunicazione della presente decisione
per adottare i conseguenti provvedimenti, rinviando la nomina di un
Commissario ad acta –su richiesta di parte ricorrente– all’inutile spirare
di tale termine
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.03.2019 n. 258 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può
avvenire alternativamente o a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam,
integrata dal comportamento del proprietario di un bene che metta
spontaneamente ed in modo univoco lo stesso a disposizione di una
collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo
della costituzione della servitù di uso pubblico, ovvero attraverso l’uso
del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario all'usucapione.
Come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa:
“affinché un'area -nel caso di specie una strada- possa ritenersi sottoposta
ad un uso pubblico, oltre che l'intrinseca idoneità del bene, è necessario
che l'uso dello stesso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
persone e, inoltre, per soddisfare un interesse pubblico generale”.
Ed invero: “L'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può
sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal
fine; in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non
appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova
dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici
presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma
necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento
amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento)
o l'intervento della usucapione ventennale, fermo restando che,
relativamente a quest'ultimo titolo di acquisto del diritto, va
preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare
esigenze di carattere pubblico”.
---------------
Come dedotto dall’appellante, la costituzione su una strada privata di una
servitù di uso pubblico può avvenire alternativamente o a mezzo della
cosiddetta dicatio ad patriam, integrata dal comportamento del
proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco lo
stesso a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini,
producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso
pubblico, ovvero attraverso l’uso del bene da parte della collettività
indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario
all'usucapione.
Come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa:
“affinché un'area -nel caso di specie una strada- possa ritenersi
sottoposta ad un uso pubblico, oltre che l'intrinseca idoneità del bene, è
necessario che l'uso dello stesso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e, inoltre, per soddisfare un interesse pubblico
generale” (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 10.10.2018, n. 5820).
Ed invero: “L'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può
sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal
fine; in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non
appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova
dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici
presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma
necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento
amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento)
o l'intervento della usucapione ventennale, fermo restando che,
relativamente a quest'ultimo titolo di acquisto del diritto, va
preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare
esigenze di carattere pubblico” (Cons. Stato, sez. V, 31.08.2017, n.
4141).
Nessuno di tali elementi risulta ricorrere nella specie, perché la strada è
a fondo cieco e viene usata solo dai condomini. Né il comune ha fornito
alcuna prova circa l'esistenza di una servitù pubblica di passaggio sulla
strada privata, neppure essendo stato provato l'uso di detta strada e la sua
utilità pubblica, mentre dalle planimetrie prodotte risulta
inequivocabilmente che tale strada è aperta solo da una parte e va a servire
esclusivamente il condominio ricorrente.
Neppure è stata fornita la prova della manutenzione della strada ad opera
del Comune, risultando in contrario dalla documentazione versata in atti
dall’appellante che la manutenzione della stessa è effettuata ad opera del
condominio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.02.2019 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
in via principale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico
passaggio rientra nella giurisdizione del Giudice Ordinario -trattandosi di
questione riguardante l'accertamento dell'esistenza ed estensione di diritti
soggettivi (e non di interessi legittimi)–.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto comunque sussistente in capo al
Giudice Amministrativo il potere di esercitare una cognizione incidentale
sulla questione (cfr. art. 8, comma 1, CPA), senza poter fare stato sulla
medesima.
---------------
Il Consiglio di Stato ha chiarito che “La cosiddetta
dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso
pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta
volontariamente, con carattere di continuità” -“(non di precarietà e
tolleranza)”- “un proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che
occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al
fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti
cives” -“e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una
posizione qualificata rispetto al bene gravato”- “indipendentemente dai
motivi per i quali detto comportamento venga tenuto”.
---------------
Osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame, la sostanziale
esistenza della servitù di uso pubblico posta dalla P.A. a fondamento del
provvedimento negativo de quo si palesa come dirimente, e di per sé
idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento gravato.
Premesso che l’accertamento in via principale dell’effettiva esistenza di
una servitù di pubblico passaggio (come nel caso di specie) rientra nella
giurisdizione del Giudice Ordinario -trattandosi di questione riguardante
l'accertamento dell'esistenza ed estensione di diritti soggettivi (e non di
interessi legittimi)– si rileva che il Consiglio di Stato ha ritenuto
comunque sussistente in capo al Giudice Amministrativo il potere di
esercitare una cognizione incidentale sulla questione (cfr. art. 8, comma 1,
CPA), senza poter fare stato sulla medesima (ex multis: Consiglio di
Stato, V, 14.02.2012 n. 728).
Orbene, nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, la sussistenza
della servitù di uso pubblico sull’area che occupa è pacifica tra le parti.
Invero, secondo la ricostruzione dei fatti ad opera delle stesse ricorrenti,
l’area de qua è utilizzata dalla generalità degli utenti, tanto è vero che
ne chiedono la recinzione prevedendo l’apertura di un passaggio della
larghezza di circa tre metri per permettere comunque la fruizione della
strada e garantire la possibilità di parcheggiare.
Peraltro, detta servitù è venuta a costituirsi in conseguenza dei successivi
frazionamenti e vendite di quella che era l’intera proprietà della dante
causa delle sigg.re Li., sig.ra Ep.. Ed infatti l’intera area è stata
frazionata e venduta con successivi atti e l’edificazione dei singoli lotti
è avvenuta previa destinazione di parte di quelle aree a strada.
Come rilevato dalla difesa del Comune, il Consiglio di Stato (ex multis:
n. 3446/2015) ha chiarito che “La cosiddetta dicatio ad patriam, quale
modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel
comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a
dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di
continuità” -“(non di precarietà e tolleranza)” (così Cassazione Civile,
I, 11.03.2016, n. 4851)- “un proprio bene a disposizione della
collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona
l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto
negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri
di tale collettività uti cives” -“e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato” (Consiglio di Stato, V, 14.02.2012, n. 728)- “indipendentemente
dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto” (in termini,
Cassazione Civile, II, 13.02.2006, n. 3075)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 19.02.2019 n. 269 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Strada consortile – fattispecie caratterizzata
da rischio per incolumità di persone e cose - obblighi di
legge in capo all’Amministrazione comunale - parere
(Legali Associati per Celva,
nota 01.02.2019 - tratto da www.celva.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Se è pacifico che il giudice amministrativo non
ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale,
della natura vicinale, pubblica o privata, della strada in
parola, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo
dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice
ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può
(anzi, deve) valutare, incidenter tantum, ossia ai limitati
fini del giudizio concernente la legittimità degli atti
impugnati, la natura vicinale, pubblica o privata, del
passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento
che tale questione costituisce un presupposto degli atti
sottoposti al suo esame in via principale.
---------------
Circa la sussistenza degli indici e dei presupposti
riconosciuti essenziali da parte della giurisprudenza per
qualificare una strada come strada a uso pubblico si deve,
in particolare, far riferimento ai seguenti elementi
evidenziati al riguardo che:
“- consente il passaggio esercitato iure
servitutis publicae da parte di una collettività
indeterminata di persone in assenza di restrizioni
all'accesso;
- è collegata con la viabilità generale;
- è connotata da un uso pubblico protratto da
tempo;
- è stata oggetto di interventi di manutenzione
da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee,
di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche,
fognarie, acquedottistiche) da parte del Comune;
- è inclusa nella Stradario Comunale agli atti
del servizio di toponomastica“.
---------------
Ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale e
pubblica”, si deve avere riguardo alle sue condizioni
effettive, in quanto una strada può rientrare in tale
categoria solo a determinate condizioni:
1. consente il passaggio esercitato iure servitutis
publicae da parte di una collettività indeterminata di
persone in assenza di restrizioni all’accesso, ammettendo
l’irrilevanza che la via sia chiusa da un lato senza sbocco
su altra strada (c.d. vicolo cieco) qualora sussistano
numerosi e plurimi indici fattuali che denotano il regime
giuridico del vicolo, quale strada privata assoggettata a
uso pubblico;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del
diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile, inteso come
comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi
che non consente di distinguere la strada da una qualsiasi
altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il
diritto di uso della strada;
4. è collegata con la viabilità generale;
5. è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da
parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di
infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche,
fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico;
6. dalla destinazione della strada ad uso pubblico
discende poi l’applicazione della disciplina stradale.
In termini diversi, ai fini della qualificazione di una
strada come “vicinale pubblica”, occorre avere riguardo alle
sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare
in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio
esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività
di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la
concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione
del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi
nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, non
essendo sufficiente l’iscrizione della strada nell’elenco
delle strade vicinali di uso pubblico costituisce
presunzione “iuris tantum”, superabile con la prova
contraria, che escluda l’esistenza di un diritto di uso o di
godimento della strada da parte della collettività.
---------------
- per quanto attiene alla qualificazione in termini di strada a uso
pubblico del tratto che interessa -premesso che, se è
pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione
per l'accertamento, in via principale, della natura
vicinale, pubblica o privata, della strada in parola, ovvero
della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni
devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche
vero che il medesimo giudice ben può (anzi, deve) valutare,
incidenter tantum, ossia ai limitati fini del
giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati, la
natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella
strada su cui si controverte, dal momento che tale questione
costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo
esame in via principale- si ritiene che la rinnovata e più
approfondita istruttoria espletata da parte
dell’amministrazione comunale al riguardo nonché la
conseguente più diffusa e argomentata motivazione resa a
supporto dell’ordinanza impugnata rendano adeguatamente
conto della sussistenza degli indici e dei presupposti
riconosciuti essenziali da parte della giurisprudenza nella
materia ai predetti fini, ossia per qualificare la strada
che interessa, nel tratto rilevante in questa sede, come
strada a uso pubblico e si fa in particolare riferimento ai
seguenti elementi evidenziati al riguardo:
“- consente il passaggio esercitato iure
servitutis publicae da parte di una collettività
indeterminata di persone in assenza di restrizioni
all'accesso;
- è collegata con la viabilità generale;
- è connotata da un uso pubblico protratto da
tempo;
- è stata oggetto di interventi di manutenzione
da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee,
di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche,
fognarie, acquedottistiche) da parte del Comune di Termini
Imerese (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 08.06.2011, n.
3509);
- è inclusa nella Stradario Comunale agli atti
del servizio di toponomastica... essendo ubicata <<tra via
Luigi Sturzo e via Del Mazziere, con numerazione civica dal
n. 1 al n. 6 [...]” “;
- infatti, ai fini della qualificazione di una
strada come “vicinale e pubblica”, si deve avere
riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada
può rientrare in tale categoria solo a determinate
condizioni:
1. consente il passaggio
esercitato iure servitutis publicae da parte di una
collettività indeterminata di persone in assenza di
restrizioni all’accesso, ammettendo l’irrilevanza che la via
sia chiusa da un lato senza sbocco su altra strada (c.d.
vicolo cieco) qualora sussistano numerosi e plurimi indici
fattuali che denotano il regime giuridico del vicolo, quale
strada privata assoggettata a uso pubblico;
2. la concreta idoneità del
bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per
il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a
sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che
può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo
immemorabile, inteso come comportamento della collettività
contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una
situazione dei luoghi che non consente di distinguere la
strada da una qualsiasi altra strada della rete viaria
pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada;
4. è collegata con la
viabilità generale;
5. è stata, o è, oggetto di
interventi di manutenzione da parte del Comune e di
installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di
servizio (telefoniche, elettriche, fognarie,
acquedottistiche) da parte di ente pubblico;
6. dalla destinazione della
strada ad uso pubblico discende poi l’applicazione della
disciplina stradale;
- in termini diversi, ai fini della
qualificazione di una strada come “vicinale pubblica”,
occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in
quanto una strada può rientrare in tale categoria solo
qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis
pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a
un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a
soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il
collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a
sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che
può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo
immemorabile, non essendo sufficiente l’iscrizione della
strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico
costituisce presunzione “iuris tantum”, superabile
con la prova contraria, che escluda l’esistenza di un
diritto di uso o di godimento della strada da parte della
collettività;
- nella fattispecie l’amministrazione ha
richiamato più di uno dei sopra esposti elementi e la difesa
di parte ricorrente, in particolare, nulla risulta avere in
concreto dedotto in ordine alla circostanza che l’area
interessata è stata, o è, oggetto di interventi di
manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche
sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche,
elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente
pubblico se non che non sono stati indicati gli interventi
di manutenzione che legittimerebbero il preteso uso pubblico
e che i pali dell'illuminazione pubblica sono installati
solamente al termine dei parcheggi di proprietà dei
ricorrenti;
- e, peraltro, come emerge con evidenza da
quanto sopra evidenziato, la titolarità della proprietà
privata dell’area non assume alcuna rilevanza ai fini che
interessano e non viene messa in discussione nella presente
sede;
- la destinazione a parcheggio non permette di
superare le argomentazioni di cui sopra atteso che parimenti
alla strada anche il parcheggio può essere reso oggetto di
una servitù di uso pubblico e altrettanto è a dirsi quanto
alla circostanza che ogni singolo posto auto riporta “a
caratteri cubitali” la dicitura proprietà privata atteso
che, comunque, l’accesso all’area e la sosta risultano
essere effettuati senza alcuna distinzione, e considerata,
altresì, l'assenza di impedimenti all'ingresso di terzi;
- per quanto attiene alla dedotta violazione
dell’art. 381, comma 5, del D.P.R. n. 495/1992 -il quale
dispone che “5. Nei casi in cui ricorrono particolari
condizioni di invalidità della persona interessata, il
comune può, con propria ordinanza, assegnare a titolo
gratuito un adeguato spazio di sosta individuato da apposita
segnaletica indicante gli estremi del "contrassegno di
parcheggio per disabili" del soggetto autorizzato ad
usufruirne (fig. II.79/a). Tale agevolazione, se
l'interessato non ha disponibilità di uno spazio di sosta
privato accessibile, nonché fruibile, può essere concessa
nelle zone ad alta densità di traffico, dietro specifica
richiesta da parte del detentore del "contrassegno di
parcheggio per disabili".”- si rileva che la norma
prevede che la spazio di sosta privato debba essere sia “accessibile”
che “fruibile” di tal che non è sufficiente che
l’interessato sia nella dimostrata proprietà di uno spazio
privato se non è altresì dimostrato in giudizio che il
predetto spazio abbia entrambe le specifiche e dirimenti
caratteristiche indicate (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 28.12.2018 n. 2785 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Natura
pubblica o privata di una strada
interpoderale.
Al fine di poter
stabilire se una strada interpoderale sia
pubblica oppure privata non rileva il fatto
che la stessa risulti inserita negli elenchi
delle strade vicinali, poiché l’iscrizione
non ha valore costitutivo, ma soltanto
dichiarativo, consentendo soltanto di
presumere che la strada sia pubblica, ma
senza darne la certezza.
Aggiunge il TAR che il riconoscimento della
natura pubblica della strada, dipende,
invece, dalla coesistenza effettiva di tre
condizioni, quali:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae da una
collettività di persone qualificate
dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 29.11.2018 n. 1132 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
La classificazione delle strade ai fini
propri del codice della strada (e cioè in
relazione alla regolazione del traffico
sulle stesse) non può essere utile allo
scopo di determinarne il soggetto
proprietario. Per comune riconoscimento, sia
della giurisprudenza, che della dottrina in
argomento, le strade vicinali si possono
distinguere in pubbliche e private.
Sono private le vie cosiddette agrarie o
vicinali private costituite da passaggi in
comunione incidentale tra i proprietari dei
fondi latistanti serviti da quei medesimi
passaggi. Tra le tante basti ricordare la
sentenza del Tribunale Chieti, 15/10/2009,
n. 748, nella quale si legge: "La via
agraria, cioè la strada privata che i
proprietari dei fondi latistanti aprono e
mantengono per transitarvi secondo le
esigenze della coltivazione, viene formata
mediante conferimento di suolo (cd. "collatio
agrorum privatorum") o di altro apporto dei
vari proprietari, in modo da fondare una
comunione ("communio incidens"), per la
quale il godimento della strada non è "iure servitutis" ma "iure proprietatis" e, pur
avendo di regola, fondi fronteggianti, può
essere utilizzata, in relazione alla
necessità del tracciato, da più fondi in
consecuzione, fermo restando il principio
che essa possa servire a tutti i proprietari
dei fondi in tutte le direzioni, onde
ciascuno ne abbia per tutta la sua lunghezza
la proprietà "pro indiviso").
Sono vicinali pubbliche le vie di proprietà
privata, soggette a pubblico transito. In
concreto, il sedime della vicinale, compresi
accessori e pertinenze, è privato, di
proprietà dei titolari dei terreni
latistanti, mentre l’ente pubblico è
titolare di un diritto reale di transito a
norma dell’art. 825 c.c..
Tale diritto può essere costituito nei modi
più diversi, ossia mediante un titolo
negoziale, per usucapione o attraverso gli
istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso
della strada da parte della collettività da
tempo, appunto, immemorabile o della
“dicatio ad patriam”, che si configura
quando i proprietari mettono a disposizione
del pubblico la strada, assoggettandola
all’uso collettivo (cfr. Cass. Civ. Sent. n.
12181/1998 "la c.d. Dicatio ad patriam ha
come suo indefettibile presupposto,
l’asservimento del bene all’uso pubblico
nello stato in cui il bene stesso si trovi,
e non in quello realizzabile a seguito di
manipolazioni quali quelle conseguenti alle
irreversibili trasformazioni che
caratterizzano il (diverso) istituto
dell’accessione invertita".
Al fine di poter stabilire se una strada
interpoderale sia pubblica oppure privata,
non rileva, dunque, il fatto che la stessa
risulti inserita negli elenchi delle strade
vicinali, poiché l’iscrizione non ha valore
costitutivo, ma soltanto dichiarativo,
consentendo soltanto di presumere che la
strada sia pubblica, ma senza darne la
certezza (TAR Sicilia, Catania, 29.11.1996, n. 2124); assunto, questo, sostenuto
sia dal dato normativo di cui all’art. 20
della L. 20.03.1865, n. 2248, secondo il
quale, la classificazione ufficiale delle
strade ha efficacia presuntiva e
dichiarativa, ma non costitutiva della
pubblicità o meno del passaggio, sia dalla
giurisprudenza costante (cfr, tra le tante,
Sezione II, Cassazione civile, n. 4938/1992;
Sezione III, n. 6337/1994). Il
riconoscimento della natura pubblica della
strada, dipende, invece, dalla coesistenza
effettiva di tre condizioni, quali:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate
dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile,
(TAR Toscana, Sez. III, 11.04.2003, n.
1385; conformi, tra le molte: TAR Umbria,
Perugina, 13.01.2006, n. 7; id., 21.09.2004, n. 545; ed in precedenza: Cons. di Stato, Sez. IV, n. 1155/2001; Cons.
di Stato, Sez. V, n. 5692/2000; Cass. civ.,
Sez. II, n. 7718/1991).
La giurisprudenza è dunque costante nel
ritenere che ciò che caratterizza le strade
vicinali pubbliche è il loro concreto
utilizzo da parte della collettività
(Sezione III, Cassazione civile, n. 10139
del 1994, IV Sezione penale della Corte di
Cassazione n. 8950/1990 e Tar della Puglia,
sentenza n. 491 del 1994). Pertanto, la
qualificazione di una strada come di uso
pubblico discende non tanto dal fatto che su
di essa possano transitare persone diverse
dal proprietario o dal fatto che essa si
colleghi ad una pubblica via, quanto,
piuttosto, presuppone che essa sia posta a
servizio di una collettività di utenti (uti
cives).
Riassumendo, dunque, a prescindere dal fatto
che esse siano pubbliche o private, per le
strade vicinali che risultino interessate
dalla circolazione di pedoni, veicoli e
animali, debbono trovare applicazione le
norme disciplinanti la circolazione
stradale, ai sensi dell’art. 3, comma 2,
punto 52.
Il codice della strada, però, non si occupa
minimamente del profilo proprietario di
dette strade, che esula completamente dalla
materia dallo stesso disciplinata.
L’iscrizione della strada nell’elenco di
quelle vicinali tenuto dal Comune determina
una presunzione (semplice) della sussistenza
della pubblicità dell’uso della via (Cass.,
sez. II, 14.05.2018 n. 11676).
Stabilire se tale presunzione operi anche
nel caso di specie risulta essere
determinante, in quanto, se così fosse, con
riferimento alla strada di cui si
controverte, l’estensione del suo utilizzo
anche a favore dei proprietari che risultano
interclusi dalla soppressione del passaggio
a livello prevista dalla dichiarazione di
pubblica utilità non comporterebbe un
ulteriore aggravio della servitù pubblica su
di essa insistente e, conseguentemente,
nemmeno la corresponsione di un’indennità di
asservimento, così come ritenuto da RFI.
L’assenza di mutamento nell’utilizzo della
strada determinerebbe, perciò,
l’infondatezza della pretesa fatta valere
dei ricorrenti e, in particolare, dei motivi
di illegittimità correlati alla mancata
considerazione della natura privata della
strada.
Nel caso di specie, però, la presunzione
suddetta non pare poter operare, atteso che
il Comune stesso, nell’ambito del giudizio
civile promosso dai ricorrenti, ha
dichiarato di non avere mai avuto e di non
avere nessun interesse alla strada vicinale
in questione, che, pertanto, deve ritenersi
di natura privata.
Sebbene, infatti, nella relazione di parte
resistente si sostenga che il Comune, cui
sarebbero stati chiesti chiarimenti circa la
natura pubblica della strada vicinale,
evidenziata nelle mappe come distinta dai
confinanti mappali, non avrebbe affatto
dichiarato che la strada non sia pubblica,
non pare possa attribuirsi altro significato
logico all’affermazione secondo cui la
strada “non è di interesse pubblico”. E che
la strada non sia di natura pubblica appare
confermato da quanto si dirà a breve,
seguendo un percorso logico che prende le
mosse dall’orientamento da ultimo confermato
dal Consiglio di Stato, sez. V, con la
sentenza del 31/08/2017, n. 4141, secondo cui
la semplice indicazione di una strada
nell'elenco delle strade comunali (o
vicinali) non risulta dirimente, considerato
che tali elenchi hanno natura meramente
dichiarativa: principio che deve valere, a
maggior ragione, nel caso in cui la strada,
come quello in esame, seppur definita
vicinale, non risulti inserita nel relativo
elenco del Comune di Crema.
Deve, pertanto, riconoscersi rilevanza alle
circostanze oggettive che escludono la
natura di uso pubblico della strada, quali,
il fatto che la strada non è utilizzata da
persone diverse dai suoi comproprietari, è
stata asfaltata a cura e spese esclusive dei
suoi comproprietari, senza che il Comune di
Crema abbia mai effettuato alcuna opera
manutentiva, nel suolo sottostante non sono
interrati impianti ed essa è totalmente
priva di illuminazione pubblica, all’imbocco
di tale strada da sempre esiste un cartello,
apposto dai ricorrenti, che ne segnala la
“proprietà privata – divieto di accesso”,
senza che ciò abbia mai formato oggetto di
contestazione e, infine, la strada è chiusa
e conduce esclusivamente alla Cascina Colombera ed ai terreni di proprietà dei
ricorrenti.
In linea, dunque, con la sentenza del
Consiglio di Stato, sez. V, 28/10/2015, n. 4940,
la quale ha chiarito che “Una strada cieca
che si esaurisce di fronte ad un immobile
privato non è idonea a soddisfare le
esigenze della collettività, vale a dire un
numero indeterminato di cittadini, allorché
sia del tutto priva oltre l'accesso, di
qualsiasi altro collegamento con la
viabilità comunale del centro abitato.”,
proprio le caratteristiche oggettive della
strada in questione, ora descritta, non
possono che portare a concludere per la sua
natura privata (principio recentemente
ribadito anche nella sentenza del Consiglio
di Stato n. 5280/2018).
Dunque, il Collegio ritiene di dover
confermare la conclusione cui è addivenuto
in sede cautelare, laddove ha ritenuto che
la qualificazione come strada vicinale della
via di accesso denominata Colombera -che RFI ha individuato come parte del percorso
per garantire gli accessi preclusi a seguito
della soppressione di taluni passaggi a
livello- non ne fa venire meno la natura
privata, né ne legittima l’uso pubblico, dal
momento che essa non risulta classificata
tra le strade vicinali di uso pubblico e
risulta destinata al servizio esclusivo dei
proprietari frontisti, tanto che il Comune
ha negato ogni interesse pubblico al suo
utilizzo.
Né può rilevare, al fine della
classificazione come strada pubblica, la
mancanza dell’elemento identificativo nella
mappa catastale, il quale evidenzia la
presenza della strada, ma non può
determinarne il regime giuridico, pubblico o
privato. Dunque, precisato che la proprietà
dei frontisti non è mai stata revocata in
dubbio da RFI, che ha sempre affermato la
sussistenza di un uso pubblico del bene di
proprietà privata denominato “strada
vicinale Colombera”, non operando la
presunzione semplice derivante
dall’inclusione della strada nell’elenco
comunale di quelle vicinali e non avendo RFI
fornito alcun principio di prova
dell’esistenza di un uso pubblico della
stessa, l’onere della prova del fatto che
esso non sussiste deve ritenersi
adeguatamente assolta dai ricorrenti.
Dunque, la mancata inclusione, tra i beni da
espropriare e/o asservire coattivamente, di
tale porzione di strada, che deve presumersi
di proprietà privata, in ragione della sua
stessa natura, comporta l’incompletezza
della dichiarazione di pubblica utilità e
l’impossibilità di eseguire l’opera così
come progettata.
Quanto alla possibilità di procedere alla
costituzione della sola servitù di uso
pubblico, in luogo dell’espropriazione, si
ritiene necessario un preliminare distinguo.
Poiché la legge n. 2359 del 1865 consentiva
solo l’estinzione di diritti e non anche la
loro costituzione, solo attraverso una
faticosa ricostruzione giurisprudenziale si
è arrivati ad ammettere anche l’imposizione
della servitù coattiva mediante ricorso al
procedimento di espropriazione per pubblica
utilità.
Superando l’ambiguità dell’art. 1 del DPR
327/2001, che si limita a delineare l’ambito
di applicazione della procedura
espropriativa, prevedendo il ricorso alla
stessa per l’acquisto “di ogni diritto
relativo a beni immobili”, ora tale
possibilità è stata espressamente
riconosciuta dal legislatore con l’art. 3
della legge 166/2002, che ha stabilito che
“Le procedure impositive di servitù previste
dalle leggi in materia di trasporti,
telecomunicazioni, acque, energia, relative
a servizi di interesse pubblico, si
applicano anche per gli impianti che siano
stati eseguiti e utilizzati prima della data
di entrata in vigore della presente legge,
fermo restando il diritto dei proprietari
delle aree interessate alle relative
indennità”.
Indiscusso, dunque, che il procedimento
ablatorio possa essere utilizzato anche per
l’imposizione coattiva di una servitù, essa
è ammissibile solo nel caso in cui
ricorrano, a tal fine, le condizioni
previste dal codice civile o dalle leggi
speciali che ne riconoscono la possibilità
della costituzione.
Presupposto perché si disponga la
costituzione di una servitù, in luogo
dell’espropriazione è, oltre alla tipicità
del diritto che si va a costituire, che il
perseguimento dell’interesse pubblico sia
compatibile con la conservazione della
proprietà del bene, nel senso che
l’imposizione della servitù determini una
costrizione nella fruizione della proprietà
che, pur limitandone l’esercizio, non
escluda totalmente l’uso proprio da parte
del proprietario.
Ogni volta che l’uso pubblico precluda
totalmente l’uso privato della porzione di
proprietà in questione lo strumento non può
che essere quello dell’espropriazione del
diritto dominicale.
Quanto alla servitù di passaggio, inoltre,
lo schema tipico dell’asservimento comporta
che essa possa essere costituita
coattivamente solo laddove sia
specificamente individuato un fondo
dominante.
Applicando il principio alla fattispecie in
esame, dunque, il ricorso alla costituzione
della servitù coattiva deve ritenersi
legittimo, in quanto, come emerge
dall’”Elenco ditte” allegato alla relazione
tecnica prodotta a corredo del progetto
approvato e dichiarato di pubblica utilità,
il procedimento avviato risulta essere
preordinato a costituire il diritto di passo
solo a favore di fondi specifici, risultati
interclusi dalla soppressione del passaggio
a livello e non anche a perseguire il
risultato di trasformare quella che è una
viabilità privata (sia nel tratto definito
come strada vicinale, in ragione di quanto
sopra, che nel tratto in cui sul terreno si
rinviene una mera capezzagna), in una
viabilità aperta al pubblico transito. La
fattispecie, infatti, in tal caso esulerebbe
da quello che è lo schema tipico della
servitù, imponendo sui fondi dei ricorrenti
un peso che ne escluderebbe ogni facoltà di
autonomo godimento, così legittimando la
pretesa del ricorso all’esproprio, in luogo
del mero asservimento, con conseguente
imputazione degli oneri di manutenzione,
oltre che di realizzazione, a carico
dell’ente pubblico e trasferimento di ogni
forma di responsabilità derivante dalla
proprietà della strada stessa.
Chiarito, quindi, che il provvedimento
impugnato è illegittimo per aver escluso
dall’elenco dei beni da asservire la strada
vicinale della Colombera, ma non anche per
aver previsto l’imposizione coattiva di una
servitù di passaggio, in luogo
dell’espropriazione dei terreni necessari
per la realizzazione di una strada pubblica,
a favore dei soli fondi privati dell’accesso
dalla soppressione del passaggio a livello,
si può passare all’esame del profilo
attinente alla localizzazione dell’opera
pubblica.
Quanto alla seconda doglianza, va rilevato
che il termine per la presentazione delle
osservazioni non ha natura perentoria
(riservata ai soli termini esplicitamente
classificati come tali) e, conseguentemente,
l’ente espropriante è tenuto a prendere in
considerazione tutte le osservazioni anche
tardivamente pervenute, se lo siano in un
momento in cui l’attività istruttoria non si
è ancora conclusa con la dichiarazione di
pubblica utilità. Ciò che è accaduto nel
caso di specie, atteso che avrebbero dovuto
essere prodotte entro 30 gg. decorrenti dal
17 agosto e, quindi, entro il 16 settembre e
quelle del sig. Ca. sono state
spedite il 15 settembre e ricevute il 19
successivo. Poiché, però, il decreto
dichiarante la pubblica utilità è stato
adottato solo il 23.11.2017, esse
avrebbero dovuto essere comunque prese in
considerazione.
Secondo parte resistente, la mancata
valutazione delle osservazioni in sede di
approvazione del progetto sarebbe stata
sopperita dall’invio della risposta
personale ai ricorrenti, ma la tesi non può
essere condivisa.
Oltre al fatto che essa risulta essere del
tutto generica, in specie considerato che
R.F.I. avrebbe dovuto replicare alla
puntuale relazione di parte ricorrente, che
individuava tutti gli aspetti tecnici di
vantaggio della soluzione alternativa
proposta e tutte le difficoltà di
realizzazione della scelta progettuale
operata dall’ente espropriante, la
giurisprudenza ha da tempo chiarito che la
risposta alle osservazioni dei proprietari,
sebbene predisposta ed elaborata dal
dirigente o dal RUP che l’ha istruita,
dovrebbe essere fatta propria dall’organo
(giunta o consiglio comunale, a seconda che
l’opera sia o meno prevista dal piano
regolatore) deputato all’approvazione del
progetto, in quanto parte integrante dello
stesso. Diversamente opinando non avrebbe
alcun senso la disposizione di cui all’art.
16 del DPR 327/2001, secondo cui
l’accoglimento delle osservazioni comporta
la modifica del progetto, modifica che non
può che competere allo stesso organo
preposto all’approvazione del progetto
stesso (cfr. in tal senso, TAR Brescia,
sentenze n. 2424/2010 e 87/2009).
Ciononostante, l’applicazione dei principi
posti alla base dell’art. 21-octies della
legge n. 241/1990, estendibili alla
fattispecie in quanto trattasi pur sempre di
una omissione della garanzia della
partecipazione al procedimento, permette di
considerare comunque legittimo il rigetto
delle osservazioni presentate dai
ricorrenti, in ragione di quanto
rappresentato nella relazione di RFI
depositata in giudizio, in cui si legge che
“La soluzione alternativa ivi proposta dai Sigg.ri Ca.–Re. è stata
ritenuta non attuabile in quanto prevedeva
il transito dei mezzi agricoli da una zona
di alta densità abitativa (circostanza in
seguito confermata da tecnico comunale)”.
Gli aspetti di sicurezza che la sconsigliano
rendono, dunque, ragionevole e non illogica
la scelta progettuale discrezionalmente
operata da RFI nel rigetto dell’ipotesi di
tracciato alternativo individuato dai
ricorrenti.
Analogo discorso può valere con riferimento
all’ulteriore tracciato alternativo proposto
dai ricorrenti solo nel ricorso e rispetto a
cui il Collegio aveva ravvisato
l’opportunità di un confronto fra le parti
che, anziché in sede procedimentale, ha, di
fatto, avuto luogo attraverso lo scambio di
scritti difensivi.
Ne è emersa una proposta progettuale che
parte ricorrente non ha saputo suffragare
con argomenti idonei a superare le criticità
individuate dall’ente espropriante, ma prima
di approfondire tale profilo nel merito,
appare opportuno premettere che parte
ricorrente non è venuta a conoscenza del
rigetto delle proprie osservazioni fino a
febbraio 2018 e dunque non aveva altra
possibilità di proporre un’ulteriore
alternativa se non in sede impugnatoria.
In considerazione di ciò e, più in generale,
del fatto che la presentazione delle
osservazioni in fase procedimentale non può
essere considerata conditio sine qua non
dell’ammissibilità di una successiva censura
in sede giudiziale, volta ad evidenziare il
più adeguato contemperamento di interessi
pubblici e privati raggiungibile con la
diversa soluzione proposta dai ricorrenti,
quanto evidenziato negli scritti difensivi
di parte resistente appare idoneo a
dimostrare come la soluzione tecnica
individuata nel progetto resista alla
censura di illegittimità mossa al progetto
scaturito dall’esercizio discrezionale del
potere, avvenuto senza prendere in
considerazione il tracciato alternativo che
preserverebbe la proprietà dei ricorrenti,
ancorché tale motivazione non sia stata
puntualmente esternata nel corso del
procedimento.
Invero, la difesa di parte resistente ha ben
evidenziato come la nuova soluzione
prospettata non potrebbe rappresentare una
valida alternativa a quella individuata da
RFI in sede di progettazione, considerate la
sua validità sul piano tecnico, l’efficacia
nel raggiungimento dello scopo e i diversi
interessi contrapposti (e, in particolare
quello all’individuazione di soluzioni
tecniche atte ad ovviare alla preclusione
dei fondi generata dalla realizzazione
dell’opera pubblica che gravino maggiormente
sul soggetto beneficiario della costituzione
della servitù, con minor aggravio sul terzo,
proprietario dei fondi serventi).
Essa, infatti, ingenererebbe problematiche
connesse al posizionamento di due tubolari
autoportanti per l’attraversamento, definiti
ingressi esistenti, che andrebbero ad
interferire con una pista ciclopedonale, il
cui transito con mezzi agricoli e relativi
carichi non è stato adeguatamente valutato
dalle parti proponenti.
Per sfruttare tale ingresso, occorrerebbe
interferire con i mezzi direttamente sulla
pista ciclopedonale e creare una nuova
viabilità (di circa 700 mt) a Nord del
mappale 185, proseguendo verso Ovest sino
alla S.S. 235, per poi proseguire verso Sud
ad incontrare la vicinale dei Campolesi.
Tale opera risulta più complessa di quella
progettata da R.F.I., essendo più estesa la
strada da realizzare, con ben più rilevanti
e (per la collettività) disagevoli
operazioni di movimentazione terra
riguardanti una pluralità di fondi
appartenenti a diversi proprietari.
Tutto ciò a fronte di una danno limitato
alla proprietà dei ricorrenti, atteso che
l’assoggettamento alla servitù di passaggio
riguarderebbe porzioni di terreni già
destinate al transito di mezzi pesanti, per
garantire l’accesso alle (di fatto poche)
proprietà che risulterebbe intercluse dalla
soppressione del sottopasso che garantiva
loro l’accesso e, quindi, destinate non a un
transito pubblico in senso stretto, ma
limitato a soddisfare l’interesse di uno
scarso numero di soggetti.
Respinte, dunque, le censure n. 2 e 4, per
quanto riguarda, infine, la lamentata
omissione, nella fattispecie, della,
asseritamente necessaria, apposizione di un
vincolo preordinato all’esproprio, la
censura non può trovare positivo
apprezzamento. Infatti, laddove la
realizzazione dell’opera di pubblico
interesse comporti, come nel caso di specie,
il mero assoggettamento di una strada
privata, conforme alle previsioni del PRG e
del P.T.C.P., ad una servitù di passaggio,
conservandone, anche a seguito
dell’esecuzione del progetto, le
caratteristiche dimensionali e la medesima
classificazione, l’apposizione del vincolo
espropriativo non risulta necessaria, al
pari dell’acquisizione del parere della
Soprintendenza e di quello per i profili
idraulici.
Anche la terza censura risulta, dunque,
infondata.
L’accoglimento del ricorso introduttivo nei
limiti di cui in motivazione, con
conseguente necessità di integrare la
dichiarazione di pubblica utilità,
estendendola alla strada vicinale “Colombera”,
che dovrà essere inclusa nell’elenco dei
beni da asservire, con conseguente
corresponsione della relativa indennità,
determina anche l’accoglimento del ricorso
per motivi aggiunti per ragioni di
invalidità derivata.
Il decreto che autorizza l’occupazione
anticipata dei beni oggetto di asservimento
risulta, infatti, immune dai vizi dedotti,
in quanto la mancata inclusione tra gli
immobili da asservire della strada vicinale
non comporta, automaticamente,
l’illegittimità dell’occupazione degli altri
beni, regolarmente assoggettati, per tutto
quanto sopra, agli effetti della
dichiarazione di pubblica utilità.
Ciò nondimeno la mancata inclusione della
strada vicinale nell’elenco dei beni da
asservire non può non determinare
l’impossibilità oggettiva di portare ad
esecuzione l’autorizzazione all’occupazione
dei beni, rendendo illegittima la previsione
di essa come limitata alla sola capezzagna
collocata sul lato sud dei mappali 33 e 76.
Il solo parziale accoglimento del ricorso
introduttivo e la natura derivata
dell’illegittimità dell’occupazione
d’urgenza legittimano la compensazione delle
spese del giudizio. |
EDILIZIA PRIVATA:
E' ben noto che per consolidata giurisprudenza
civile ed amministrativa “l’iscrizione di una strada
nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico
riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del
comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso, superabile con la prova contraria della natura
della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento
da parte della collettività mediante un’azione negatoria di
servitù".
Tal iscrizione è quindi superabile con la prova contraria
della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di
godimento da parte della collettività.
---------------
Senza alcuna pretesa di completezza, si rammenta in
proposito che costituirebbero principi consolidati quelli
secondo cui:
● "per l'attribuzione del carattere di demanialità
comunale ad una via privata è necessario che con la
destinazione della strada all'uso pubblico concorra
l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della
proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto,
in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto
di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in
difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune,
l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali,
giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni
giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse
con il regime giuridico della medesima, né la natura
pubblica di una strada può essere desunta dalla
prospettazione della mera previsione programmatica di tale
destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del
pubblico transito per un periodo infraventennale, o
dall'intervento di atti di riconoscimento
dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da
una determinata strada". Invero:
- "affinché un'area assuma la
natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi
di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta,
effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la
occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né
l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa
assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c.,
che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico
territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche
l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su
di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù
di uso pubblico e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso
pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale";
●
ulteriore necessaria precisazione
sarebbe che "una strada rientra nella categoria delle vie
vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio
esercitato jure servitutis publicae da una collettività di
persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale, della concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il
collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un
titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico";
●
del resto, "l'adibizione
ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita
finalità di collegamento, essendo destinato al transito di
un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia
stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento
del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una
comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le
caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale".
Invero:
-
"affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse";
- "ai
fini della qualificazione di una strada come vicinale
pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni
effettive, [...], la concreta idoneità del bene a soddisfare
esigenze di carattere generale, anche per il collegamento
con la pubblica via e un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche
identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo
immemorabile. Qualora difetti l'iscrizione della strada
nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico
(iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile
con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso
o di godimento della strada da parte della collettività), è
l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa
istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti";
●
peraltro "la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale
indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che
frutto di una esplicita determinazione, può essere il
portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione
proprietaria che si appalesano in modo concludente
[incompatibili con la volontà di conservare la destinazione
del bene all'uso pubblico]".
---------------
2. Nel merito, (e considerato che il capo con il quale il Tar ha affermato la propria giurisdizione è rimasto
inimpugnato) come in premessa anticipato l’appello è
infondato in quanto:
a) è ben noto che per consolidata giurisprudenza civile ed
amministrativa (tra le tante, Cassazione civile, sez. un.,
23/12/2016, n. 26897 Cons. di Stato sez. IV, n. 1515 del
19.03.2015; Cons. di Stato sez, VI, n. 4952 dell'08.10.2013;
Cass. Civ. n. 21125 del 19.10.2015 TAR Napoli,
(Campania), sez. VIII, 10/10/2016, n. 4640 “l’iscrizione di
una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso
pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della
pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di
pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della
natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di
godimento da parte della collettività mediante un’azione
negatoria di servitù;”;
b) tale iscrizione è quindi superabile con la prova
contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un
diritto di godimento da parte della collettività;
c) sennonché, nel caso di specie, tale prova non è stata
fornita, ed anzi l’appellante continua a fare riferimento al
proprio atto di acquisto, ma non apporta alcun elemento atto
a contestare la tesi del comune.
d) come è noto, la questione concernente la riconducibilità
di una strada ad uso pubblico è stata assai sovente
esaminata dalla giurisprudenza amministrativa e civile.
Senza alcuna pretesa di completezza, si rammenta in
proposito che costituirebbero principi consolidati quelli
secondo cui:
● "per l'attribuzione del carattere di demanialità
comunale ad una via privata è necessario che con la
destinazione della strada all'uso pubblico concorra
l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della
proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto,
in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto
di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in
difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune,
l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali,
giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni
giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse
con il regime giuridico della medesima, né la natura
pubblica di una strada può essere desunta dalla
prospettazione della mera previsione programmatica di tale
destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del
pubblico transito per un periodo infraventennale, o
dall'intervento di atti di riconoscimento
dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da
una determinata strada" [v. Cons. Stato, sez. VI, 08.10.2013, n. 4952; v., altresì, TAR Trento, sez. 1, 21.11.2012, n. 341, per cui "affinché un'area assuma la
natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi
di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta,
effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la
occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né
l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa
assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c.,
che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico
territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche
l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su
di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù
di uso pubblico e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso
pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale"];
● ulteriore necessaria precisazione
sarebbe che "una strada rientra nella categoria delle vie
vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio
esercitato jure servitutis publicae da una collettività di
persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale, della concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il
collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un
titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico" (v. Cass. 05.07.2013, n. 16864);
● del resto, "l'adibizione
ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto
viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita
finalità di collegamento, essendo destinato al transito di
un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia
stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento
del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una
comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le
caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale" (v. Cons. Stato, sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; v., altresì, Cons. Stato, sez. IV, 25.06.2012, n. 3531, per la quale
"affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse"; TAR Milano, sez. Il, 09.01.2013,
n. 42; v. TAR Lecce, sez. I, 11.02.2013, n. 297 "ai
fini della qualificazione di una strada come vicinale
pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni
effettive, [...], la concreta idoneità del bene a soddisfare
esigenze di carattere generale, anche per il collegamento
con la pubblica via e un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche
identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo
immemorabile. Qualora difetti l'iscrizione della strada
nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico
(iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile
con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso
o di godimento della strada da parte della collettività), è
l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa
istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti"
(v. TAR Napoli, sez. VIII, 19.12.2012, n. 5250; v.,
altresì, TAR Napoli, sez. II, 17.07.2008, n. 8869);
● peraltro
"la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale
indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che
frutto di una esplicita determinazione, può essere il
portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione
proprietaria che si appalesano in modo concludente
[incompatibili con la volontà di conservare la destinazione
del bene all'uso pubblico]" (v. Cons. Stato, sez. VI, 27.11.2002, n. 6597; TAR Pescara 17.10.2005, n.
580).
3.1. Nel caso di specie, la vicenda è connotata dalle
seguenti emergenze processuali:
a) l’inclusione della via sulla cui natura si controverte
nell’elenco delle strade comunali ai sensi della L. 12.02.1958 n. 126 con correlativa presunzione (seppur
iuris tantum) della natura pubblicistica della stessa;
b) l’ulteriore dato della insistenza, sulla predetta via
della pubblica illuminazione (così la giurisprudenza sin da
tempo risalente TAR, Lazio, sez. II, 19/03/1990, n. 729
“l'insistenza di segnaletica stradale, la percorrenza di
linee pubbliche urbane, l'illuminazione, la funzione di
raccordo con altre strade ed a sbocco su piazza e su
pubbliche vie sono tutti elementi univoci per il
riconoscimento della qualità di strada comunale all'interno
degli abitati ai sensi dell'art. 7 sub c) l. 12.02.1958 n. 126.”);
c) l’assenza di prove di segno contrario prospettate da
parte appellante, tali non potendo considerarsi le
apodittiche affermazioni in punto di insussistenza di un
interesse della collettività all’utilizzo della detta via.
4.Alla stregua dei superiori dati, l’appello deve essere
quindi in parte dichiarato inammissibile, ed in parte
respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.10.2018 n. 5820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO:
Affinché un'area privata venga a far parte del
demanio stradale e assuma, quindi, la natura
di strada pubblica, non basta né che vi si
esplichi di fatto il transito del pubblico
(con la sua concreta, effettiva e attuale
destinazione al pubblico transito e la
occupazione sine titolo dell'area da parte
della pubblica amministrazione), né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, né
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta, ma è necessario
che la strada risulti di proprietà di un
ente pubblico territoriale in base a un atto
o a un fatto (convenzione, espropriazione,
usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il
dominio e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente all'uso pubblico (inequivocabile è
in tal senso l'inciso "se appartengono ...
ai comuni" proprio dell'art. 824, primo
comma, cod. civ.).
---------------
6.3.2. Ne consegue che la sentenza qui
impugnata non merita condivisione laddove
–al punto 3.5 della relativa motivazione–
assume come corretta l’affermazione della
sentenza n. 818/2004 (sulla questione
peraltro riformata dal giudice d’appello)
della sussistenza di una servitù di uso
pubblico, basata sul mero riconoscimento da
parte del Comune di Brindisi che la via in
questione è usata dalla collettività.
Ha ragione, infatti, il Comune appellante
quando afferma che, non solo il diritto di
proprietà, ma anche il diritto reale di
servitù presuppone un titolo giuridicamente
idoneo alla sua costituzione (ex art. 825
cod. civ.), tale non essendo una situazione
di mero fatto.
In proposito, non si può che ribadire il
principio di diritto, richiamato
dall’appellante, per il quale “Affinché
un'area privata venga a far parte del
demanio stradale e assuma, quindi, la natura
di strada pubblica, non basta né che vi si
esplichi di fatto il transito del pubblico
(con la sua concreta, effettiva e attuale
destinazione al pubblico transito e la
occupazione sine titolo dell'area da parte
della pubblica amministrazione), né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, né
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta, ma è necessario
che la strada risulti di proprietà di un
ente pubblico territoriale in base a un atto
o a un fatto (convenzione, espropriazione,
usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il
dominio e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente all'uso pubblico (inequivocabile è
in tal senso l'inciso "se appartengono ...
ai comuni" proprio dell'art. 824, primo
comma, cod. civ.)” (così Cass. civ.,
sez. II, 25.01.2000, n. 823, cui è conforme
la giurisprudenza di legittimità successiva,
fino, tra le altre, a Cass. civ., sez. II,
28.09.2010, n. 20405 e 02.02.2017, n. 2795)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.10.2018 n. 5643 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
dissuasore fai-da-te non può restare sulla strada.
Il comune deve ordinare la rimozione urgente degli eventuali impedimenti
posizionati dal privato per limitare la circolazione davanti a casa. In
particolare se si tratta di tubolari di ferro sporgenti qualche centimetro
sulla sede stradale.
Lo ha chiarito il TAR Campania-Napoli, Sez. VII, con la
sentenza 24.07.2018 n. 4930.
Un cittadino esasperato per il pericolo causato dal transito dei veicoli
davanti alla sua abitazione posizionata in prossimità di una strettoia ha
deciso di posizionare dei dissuasori artigianali, ovvero dei tubolari di
ferro sporgenti qualche centimetro dal muro di casa. Contro questa misura
singolare e creativa il comune ha reagito con una ordinanza urgente di
rimozione.
E il privato ha presentato censure al collegio ma senza successo. È evidente
che la regolazione del traffico veicolare compete al comune, specifica il
tribunale amministrativo. Anche se il comune ha rilasciato un generico
parere sulle difficoltà che derivano dalla circolazione in una sede stradale
molto stretta non compete certo al privato installare dei dissuasori. E in
particolare strumenti pericolosi come posso essere dei tubolari di ferro (articolo
ItaliaOggi dell'11.08.2018).
---------------
1. - Mi.Ru., proprietaria dell’immobile sito in via ..., n. 23/A del
Comune di Massa Lubrense, ha impugnato l’ordinanza n. 77 prot. 11454 del
03.05.2016, con cui l’ente locale ha disposto la rimozione, ad horas
e comunque entro due giorni, dei tubolari in ferro, in funzione di
dissuasori, collocati sul muro di confine dalla sede stradale.
Ha premesso che i n. 6 tubolari, di 6/7 cm di sporgenza verso la sede
stradale e posti ad altezza media di cm 35, sono stati collocati previa
acquisizione del parere favorevole del comandante della Polizia Municipale
prot. 6459 del 09.03.2016 e prot. n. 865 del 09.03.2016, assoggettato alla
condizione di assicurare il transito in sicurezza dei veicoli di larghezza
massima di mt. 1,30.
...
5. - Il provvedimento gravato si inserisce nell’ambito di una vicenda
caratterizzata dall’emissione da parte della civica amministrazione di una
precedente ordinanza, n. 241 del 31.12.2015, volta anch’essa alla rimozione
di n. 6 tubolari installati sul muro di confine dell’immobile di proprietà
della ricorrente, eseguita dalla sig.ra Ru..
5.1. - L’ordinanza n. 77/2016, impugnata con il ricorso in esame, si fonda
sulla comunicazione prot. 11117 del 22.04.2016 del Comando della Polizia
Municipale che, in seguito a sopralluogo, ha riscontrato nuovamente la
presenza dei tubolari in ferro, identici per numero e dimensioni a quelli
rimossi.
5.2. - La ricorrente si duole dell’omesso riferimento, in quest’ultimo
provvedimento, ad un elemento sopravvenuto ritenuto dirimente: il parere del
comandante della Polizia Municipale prot. 6459, PM. 865, del 09.03.2016.
Nel suddetto atto si esprime parere favorevole all’installazione dei
dissuasori sulla proprietà della sig.ra Ru., a condizione che venga
rispettata la possibilità di transito in sicurezza per i veicoli di
larghezza massima di mt. 1,30.
5.3. - Dalla perizia di parte depositata dalla ricorrente si desume che:
- in data 07.05.2016 il personale del Comune ha provveduto alla
rimozione forzata dei tubolari contestati;
- nella via in questione è presente apposita segnaletica stradale
volta ad interdire il passaggio ai veicoli con larghezza superiore ai mt.
1,30;
- nel tratto interessato dall’apposizione dei tubolari, la strada
presenta una larghezza media di mt. 1,48/1,55.
5.4. - Il Comune nel provvedimento impugnato ha espressamente affermato che
“le esigue dimensioni in larghezza della strada in questione non
permettono alcun tipo di ulteriore restringimento, senza pregiudizio della
già limitata e difficile percorribilità e fruibilità veicolare e pedonale
della strada stessa”.
6. – Dalla ricostruzione della vicenda si desume che la ricorrente non ha
ottenuto alcun titolo abilitativo per poter procedere alla nuova apposizione
dei dissuasori e che l’amministrazione, nella valutazione dell’interferenza
dei tubolari con la fruibilità della via pubblica, ha tenuto conto sia della
circolazione veicolare che di quella pedonale, ritenendo l’interesse
all’apposizione dei suddetti manufatti recessivo rispetto all’esigenza di
tutela della pubblica incolumità e della sicurezza del relativo transito.
Su tali profili nulla rileva la nota del Comando di Polizia Municipale che,
peraltro, è indirizzata solo alla ricorrente ed è antecedente al sopralluogo
effettuato in data 22.04.2016 dal medesimo Comando.
In essa si fa unicamente riferimento alla necessità di assicurare il
transito in sicurezza dei veicoli di larghezza di mt. 1,30, mentre nulla si
rileva circa le misure idonee a garantire le esigenze di sicurezza della
circolazione veicolare e pedonale. Non si rinviene alcun riferimento alle
caratteristiche dei tubolari e alle relative modalità di interferenza di
questi ultimi con le condizioni di circolazione nel relativo tratto viario
che, come risulta anche dai rilievi fotografici in atti risulta
particolarmente stretto, attesa la presenza di muri di confine su entrambi i
lati.
Tale nota, inoltre, risulta conforme a quanto già segnalato sulla pubblica
via circa il divieto di transito per veicoli di larghezza superiore a mt.
1,30.
In proposito giova rilevare che attiene ad un diverso profilo l’obbligo di
rispetto di quest’ultimo divieto, da assicurare attraverso le modalità
ritenute più utili e opportune da parte della pubblica amministrazione, ivi
compresa l’adozione di sanzioni sul piano amministrativo avverso le condotte
contrarie al Codice della strada, al fine di tutelare, oltre la pubblica
incolumità e la circolazione sicura, anche la proprietà privata della
ricorrente.
7. - Deve, pertanto, ritenersi che l’operato dell’amministrazione risulta
esente dai dedotti vizi e che il provvedimento gravato si configuri come
atto dovuto, adottato nell’esercizio delle competenze proprie del Comune,
tanto che anche le violazioni procedimentali (sulla cui sussistenza è lecito
dubitare essendo la vicenda caratterizzata dall’adozione di plurimi atti
pregressi, noti alla ricorrente) come quelle di cui agli articoli 7 della
legge n. 241/1990, in conformità al modello legale di cui all’articolo
21-octies della legge n. 241/1990, dequotano a mere irregolarità non
invalidanti.
8. - Per tutto quanto esposto il ricorso deve essere respinto, risultando
irrilevante ogni approfondimento sul Regolamento per la tassa di occupazione
di spazi ed aree pubbliche di cui alla D.G.C. n. 64 del 15.07.1994. |
EDILIZIA PRIVATA:
L’atto di declassificazione non determina di per
sé stesso la perdita dell’uso pubblico della strada, qualora
quest’ultima conservi la condizione di bene idoneo a
garantirne un’utilizzazione pubblica.
Né «il disuso protratto nel tempo» né «l’inerzia della
pubblica amministrazione nella cura della strada o
nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da
parte di privati incompatibile con l’uso pubblico» sono
sufficienti a dimostrarne «l’intervenuta tacita
sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in
assenza di un formale provvedimento di cessazione della
demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti
comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche,
incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso
pubblico».
---------------
8.3. Ebbene, secondo un principio consolidato in
giurisprudenza, l’atto di declassificazione non determina di
per sé stesso la perdita dell’uso pubblico della strada,
qualora quest’ultima conservi la condizione di bene idoneo a
garantirne un’utilizzazione pubblica.
8.4. Inoltre, la giurisprudenza amministrativa anche più
recente ha ribadito che né «il disuso protratto nel tempo»
né «l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura
della strada o nell’intervento volto ad impedire
l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con
l’uso pubblico» sono sufficienti a dimostrarne «l’intervenuta
tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur
in assenza di un formale provvedimento di cessazione della
demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti
comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche,
incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso
pubblico» (Cons. St., Sez. IV, 28.10.2013, n. 5207,
nonché Cons. St., Sez. V, 30.11.2011, n. 6338; Sez. VI,
09.02.2011, n. 868; Sez. IV, 07.09.2006, n. 5209, Sez. V,
01.12.2006, n. 7081) (TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 16.01.2018 n. 41 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Per la giurisprudenza consolidata, per poter
considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata
è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea
all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella
necessità di uso per le esigenze della circolazione o per
raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici
pubblici).
Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio
esercitato da una collettività di persone qualificate
dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta
idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, esigenze di generale
interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del
diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via
vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione
ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il
fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse
dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una
via pubblica.
Ed ancora la giurisprudenza ha osservato che, affinché possa
considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su
una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una
collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a
soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla
pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto
di interventi di manutenzione da parte della Pubblica
amministrazione.
---------------
Condivisibile giurisprudenza ritiene che, in mancanza di
espressa classificazione di una strada privata nell'elenco
delle strade vicinali, come risulta dalle certificazioni del
Comune prodotte in giudizio da parte ricorrente, l'esercizio
del potere di autotutela è condizionato al preventivo
rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada da
parte dell’amministrazione, il quale deve essere condotto
mediante un approfondito esame della condizione effettiva in
cui il bene si trova.
E’, infatti necessario, in mancanza di un atto valido a
dimostrare la sussistenza del diritto di uso pubblico, che
il fatto della protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile, quale titolo parimenti idoneo a sorreggere
l’affermazione di tale diritto, venga rigorosamente provato
da parte dell’Amministrazione, su cui incombe il relativo
onere.
---------------
Il Collegio, posto che il Comune, come peraltro ammesso dal Comune
stesso nel provvedimento impugnato, non vanta alcun titolo
di proprietà del terreno su cui insiste la strada per cui è
causa, deve verificare se tale strada possa essere
qualificata area ad uso pubblico, come sostenuto nel
medesimo provvedimento.
Ed invero, per la giurisprudenza consolidata, per poter
considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata
è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea
all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella
necessità di uso per le esigenze della circolazione o per
raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici
pubblici).
Deve quindi essere verificato: il requisito del
passaggio esercitato da una collettività di persone
qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la
concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, esigenze di generale
interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del
diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella
protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di
Stato, IV, n. 1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n.
29/1997; TAR Toscana, Sez. III; n. 1385/2003; TAR Sicilia
Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn. 20405/2010 e
7718/1991).
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento
di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico
in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e
neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di
persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da
collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II,
12.06.2013, n. 1322).
Ed ancora la giurisprudenza ha osservato che, affinché possa
considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su
una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una
collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a
soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla
pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto
di interventi di manutenzione da parte della Pubblica
amministrazione (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 10.05.2013,
n. 2544).
Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame
alla luce della richiamata giurisprudenza, occorre
innanzitutto rilevare che il provvedimento deve ritenersi
carente di motivazione, in quanto non indica in modo chiaro
i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione
alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3
della legge n. 241 del 1990.
Ciò in quanto nella fase istruttoria l’organo che ha
adottato il provvedimento aveva richiesto i rispettivi
pareri al Corpo di Polizia Municipale e all’Area “AA.GG.,
Legale e URP” di Teano ma, immotivatamente, nel
provvedimento decisorio se n’è discostato ponendo a
fondamento del provvedimento stesso unicamente il parere
precedentemente dato (nel 2014) dal suddetto Corpo di
Polizia Municipale.
Occorre premettere che il Corpo di Polizia Municipale di
Teano, nel verbale di sopralluogo prot. n. 2136/PM dell’08.10.2014, aveva concluso che la strada per cui è causa
potesse essere classificata come area ad uso pubblico sulla
base delle seguenti motivazioni: la stessa pavimentazione
della strada principale, la stessa illuminazione pubblica,
la mancanza di scritta o struttura o altro segno che
inibisce a chicchessia la sosta o il transito e/o la
circolazione dei pedoni, la circostanza che il Ci., con
regolare licenza, avesse gestito per più di vent’anni un
pubblico servizio che aveva unico ingresso ed accesso da
detto stradone, l’autorizzazione di un passo carrabile
rilasciata in favore di Ma.Vi..
Ed invero, nel parere n. 30 del 31.03.2016, il
Responsabile dell’Area AA.GG., Legale e URP aveva
rappresentato, andando in contrario avviso rispetto alle
conclusioni del Corpo di Polizia Municipale del 2014, di
“convergere, sostanzialmente, sulle ricerche fatte dagli
avvocati dei tecnici di parte”, dando atto che dalla lettura
del rispettivo parere prot. n. 615 del 29.03.2016 anche
il Comando di PM, seppur ribadendo l’impostazione del
precedente parere dell’08.10.2014, “apre a soluzione
alternative”.
Ciò in quanto il Responsabile della suddetto
Comando pur “confermando tutto quanto in essa” -dell’08.10.2014– “dedotto ed affermato” ha concluso
rappresentando che “Appare chiaro che il diritto di uso
pubblico diventa acquisito de iure allor quando il Comune
invochi, avochi ed imponga la servitù incontestata con
apposito atto amministrativo. A tutt'oggi niente vieta al
Comune di non invocare come necessario e come pretesa tale
diritto, (che comporrebbe tra l'altro ulteriori spese di
manutenzione), riconoscendo al legittimo proprietario la
piena fruibilità, senza vincolo dei propri beni.”.
Il Responsabile dell’Area Legale, dal canto suo, ha concluso
dicendo di essere “del parere che -manchino o sono
insufficienti- gli elementi fondamentali per ipotizzare una
servitù pubblica di passaggio sulla strada privata nel Borgo
di S. Marco, come individuata dagli istanti, sul doppio
presupposto che: 1)- gli attuali proprietari abbiano
dimostrato, con atti tra vivi o mortis causa, che essa sia
privata; 2)- che il palo venga immediatamente disattivato
dalla pubblica illuminazione e che i proprietari paghino una
somma forfetaria -calcolata dall'Ufficio Tecnico- a
ristoro della fornitura di energia dalla sua messa in opera
fino all'interruzione della fornitura.”.
Peraltro, in riferimento a detto palo, già con nota prot. n.
3300 del 23.02.2016 la stessa Responsabile dell’Area
Tecnica, firmataria del provvedimento oggetto di
impugnazione, aveva accolto la richiesta di eliminazione del
punto luce ubicato nella zona interessata, rappresentando di
aver dato inizio alle procedure amministrative propedeutiche
alla rimozione dello stesso.
Il Collegio, confermando quanto già sostenuto da questa
Sezione nell’ordinanza n. 2157 del 22.12.2016, con la
quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione
cautelare proposta dal ricorrente, e concordando con quanto
rappresentato nel parere n. 30 del 31.03.2016 dal
Responsabile dell’Area AA.GG., Legale e URP del Comune di
Teano, ritiene che non si ravvisino elementi certi circa la
sussistenza dell’uso pubblico della strada su cui insistono
le opere oggetto del provvedimento impugnato (cfr. TAR
Napoli, Sez. VIII, 06.12.2016, n. 5810).
Ed invero, alla luce delle risultanze dell’istruttoria, non
può ritenersi provato il requisito principale del passaggio
esercitato da una collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad un gruppo territoriale da tempo
immemorabile, non potendo ritenersi tale circostanza fondata
unicamente sulla presenza, nel passato, di un esercizio
commerciale di cui era titolare uno dei ricorrenti.
Ciò in
quanto la condivisibile giurisprudenza ritiene che, in
mancanza di espressa classificazione di una strada privata
nell'elenco delle strade vicinali, come risulta dalle
certificazioni del Comune di Teano prodotte in giudizio da
parte ricorrente, l'esercizio del potere di autotutela è
condizionato al preventivo rigoroso accertamento dell'uso
pubblico della strada da parte dell’amministrazione, il
quale deve essere condotto mediante un approfondito esame
della condizione effettiva in cui il bene si trova (cfr.
(TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013, n. 1322 cit.,
TAR Lazio, Sez. II, 29.03.2004, n. 2922).
E’, infatti
necessario, in mancanza di un atto valido a dimostrare la
sussistenza del diritto di uso pubblico, che il fatto della
protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, quale
titolo parimenti idoneo a sorreggere l’affermazione di tale
diritto, venga rigorosamente provato da parte
dell’Amministrazione, su cui incombe il relativo onere (TAR
Marche, Ancona, Sez. I, 01.02.2016, n. 48).
Inoltre dalla documentazione anche fotografica, prodotta in
atti, emerge che tale strada e cieca e consente unicamente
l’accesso alla strada principale (via Aldo Moro), ma non si
rinviene l’oggettiva idoneità della strada stessa
all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella
necessità di uso per le esigenze della circolazione o per
raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici
pubblici); né risultano effettuati lavori di manutenzione
della strada stessa da parte dell’amministrazione comunale (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 04.09.2017 n. 4233 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della qualificazione di una strada come vicinale
pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni
effettive, in quanto una strada può rientrare in tale
categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività
di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la
concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione
del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi
nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali
di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum",
superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza
di un diritto di uso o di godimento della strada da parte
della collettività.
In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione
in ipotesi di contestazione, resta fermo l'orientamento
della giurisprudenza di legittimità secondo cui "l'iscrizione di una
strada nell'elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa
della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere
una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico,
superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto
di godimento da parte della collettività.".
---------------
L'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può
derivare, oltre che dalla volontà del proprietario e dal
mutamento della situazione dei luoghi, con conseguente
inserimento della stessa nella rete viaria cittadina, anche
da un immemorabile uso pubblico, inteso come comportamento
della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur
essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente
di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra
strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto
di uso della strada.
---------------
7. Passando ai motivi del presente appello, si rileva che
con il primo motivo il Consorzio sostiene che, costituendo
il Consorzio stradale permanente degli utenti della rete
viaria del centro turistico di Marsia, il Comune di
Tagliacozzo avrebbe violato la disposizione dell’art. 14
della legge n. 126/1958, la quale prevedrebbe la
costituzione di un consorzio stradale obbligatorio per la
manutenzione soltanto delle strade vicinali pubbliche e non
invece di quelle pubbliche.
Anche in questo caso si può prescindere dall’eccezione di
inammissibilità per novità della censura, stante la sua
infondatezza.
Infatti nella proposta di deliberazione del Consiglio
comunale n. 26/P del 14.09.2009, è espressamente
affermato che “La disciplina dei consorzi stradali
obbligatori si applica a tutte le strade private aperte al
pubblico transito, a prescindere che si tratti di strade
vicinali o meno; le strade del centro turistico di Marsia, a
prescindere da chi sia il proprietario, sono sicuramente
aperte al pubblico transito; ciò è previsto, tra l’altro,
dall’art. 7 del verbale di conciliazione sottoscritto
innanzi al Commissario Regionale agli Usi Civici dell’Aquila
in data 19.07.1968, Cron. N. 136 (e ribadito, nello stesso
senso, nel verbale di conciliazione in data 01.04.1971, n.
171: “Le strade, i piazzali, i larghi destinati all’uso
collettivo sono soggetti all’uso pubblico di circolazione, a
norma delle leggi in materia, salvi gli oneri della società Marsia e suoi aventi causa per la costruzione, sistemazione
e manutenzione delle strade”), ed è stato di recente
confermato dalla sentenza del TAR dell’Aquila n. 232 del
2003 (divenuta definitiva per non essere stata impugnata da
alcuno); pertanto, anche per esse trovano applicazione le
disposizioni del d.lgs. n. 1446/1918 e dell’art. 14 della
legge n. 126/1958”.
Inoltre, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1515), ai fini della qualificazione di una
strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle
sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare
in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio
esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività
di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la
concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione
del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi
nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali
di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum",
superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza
di un diritto di uso o di godimento della strada da parte
della collettività.
In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione
in ipotesi di contestazione, resta fermo l'orientamento
della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite,
07.11.1994, n. 9206) secondo cui "l'iscrizione di una
strada nell'elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa
della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere
una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico,
superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto
di godimento da parte della collettività.".
8. Inoltre, questa Sezione (sentenza 22.12.2014, n.
6197), confermando la sentenza n. 230 del 2003 del TAR
per l’Abruzzo, ha definitivamente accertato la presenza di
un immemorabile uso pubblico delle strade e delle piazze
ricadenti all’interno del centro turistico di Marsia.
Ciò conferma risolutivamente che sussistevano i presupposti
affinché, ai sensi dell’art. 14 L. n. 126/1958, fosse
costituito dal Comunità di Tagliacozzo il consorzio stradale
permanente degli utenti della rete viaria del centro
turistico di Marsia.
Come già ricordato, l'assoggettamento ad uso pubblico di una
strada privata può derivare, oltre che dalla volontà del
proprietario e dal mutamento della situazione dei luoghi,
con conseguente inserimento della stessa nella rete viaria
cittadina, anche da un immemorabile uso pubblico, inteso
come comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi
che non consente di distinguere la strada in questione da
una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di
esercitare il diritto di uso della strada.
In ogni caso, si rileva che nella proposta di deliberazione
del Consiglio comunale n. 26/P del 14.09.2009, è
espressamente affermato (pag. 4) che “Nessuna delle strade
ricomprese nel comprensorio del centro turistico di Marsia
può essere classificata come “strada comunale” ai sensi
della vigente normativa, per cui tutte queste strade
rientrano nella definizione di “strade private” soggette ad
uso pubblico, e come tale soggette alla competenza del
Consorzio stradale che si intende costituire”.
Tali rilievi sono sufficienti a dimostrare la legittimità
degli atti impugnati sotto il profilo denunciato, restando
salve altre ed ulteriori questioni di diritto proprietario
che non sono comunque di competenza di questo plesso
giurisdizionale
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2017 n. 2531 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza
sindacale contingibile e urgente in questione, ovverosia
l’uso per pubblico transito della strada o l’esistenza di
altre ragioni che rendevano indispensabile il ripristino in
via d’urgenza della sua accessibilità, deve essere provata
dall’amministrazione che adotta il provvedimento.
Ciò tanto più in quanto il Comune in questione non ha
formalmente utilizzato il potere sindacale contemplato
dall'art. 378 l. n. 2248/1865 all. F, quale ipotesi di
autotutela possessoria “iuris publici” in tema di strade
sottoposte all'uso pubblico -che, in quanto tale, trova il
suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l'uso
pubblico della strada senza necessità di ulteriori
motivazioni- ma ha adottato una ordinanza contingibile e
urgente ai sensi dell’art. 54, comma 4, del D.Lgs. 267 del
2000, tipologicamente volta ad affrontare situazioni a
carattere straordinario ed imprevedibile, in rapporto alle
quali non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti
approntati dall'ordinamento giuridico, la cui sussistenza
deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua
motivazione.
Inoltre, i requisiti affinché una strada possa essere
considerata pubblica sono il passaggio esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale e
la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di
generale interesse, anche per il collegamento con la
pubblica via, e il diritto di uso pubblico di una strada
deve essere rigorosamente provato.
---------------
2) Il secondo ricorso per motivi aggiunti si rivela
fondato.
L’ordine di rimozione si basa sui presupposti
logico-giuridici della natura di strada vicinale e dell’uso
pubblico della strada in questione, utilizzata dalla
collettività per l’accesso ad altri lotti e ai capannoni
industriali, nonché dell’esistenza di infrastrutture
pubbliche funzionali all’esercizio di servizi pubblici
essenziali per la popolazione.
La sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza
sindacale contingibile e urgente in questione, ovverosia
l’uso per pubblico transito della strada o l’esistenza di
altre ragioni che rendevano indispensabile il ripristino in
via d’urgenza della sua accessibilità, deve essere provata
dall’amministrazione che adotta il provvedimento.
Ciò tanto più in quanto il Comune in questione non ha
formalmente utilizzato il potere sindacale contemplato
dall'art. 378 l. n. 2248/1865 all. F, quale ipotesi di
autotutela possessoria “iuris publici” in tema di strade
sottoposte all'uso pubblico -che, in quanto tale, trova il
suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l'uso
pubblico della strada senza necessità di ulteriori
motivazioni- ma ha adottato una ordinanza contingibile e
urgente ai sensi dell’art. 54, comma 4, del D.Lgs. 267 del
2000, tipologicamente volta ad affrontare situazioni a
carattere straordinario ed imprevedibile, in rapporto alle
quali non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti
approntati dall'ordinamento giuridico, la cui sussistenza
deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua
motivazione (Cons, Stato, Sez. V, 16/02/2010, n. 868).
Inoltre, i requisiti affinché una strada possa essere
considerata pubblica sono il passaggio esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale e
la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di
generale interesse, anche per il collegamento con la
pubblica via, e il diritto di uso pubblico di una strada
deve essere rigorosamente provato.
Nel caso di specie il Comune non ha provato la sussistenza
dell’uso pubblico della strada posto a base dell’ordinanza
impugnata, né specifiche ragioni di pubblica utilità
ostative all’installazione della sbarra.
La documentazione allegata dal medesimo Comune, e posta a
base dell’atto impugnato, difatti, non comprova che la
strada fosse stata stabilmente adibita a pubblico transito,
considerata anche la circostanza che si tratta di una strada
sostanzialmente chiusa e sulla quale si affacciano tre soli
lotti, né ha comprovato la presenza di infrastrutture
pubbliche e che l’impedimento alla libera transitabilità
pone a rischio l'incolumità pubblica, non essendo presente
sulla strada altro che il tratto di allaccio della rete
fognaria ai lotti in questione.
Inoltre, non appare chiara e di univoca lettura la
documentazione depositata inerente alla supposta
realizzazione da parte del Comune della strada in questione.
In sostanza, pertanto, si rileva la sussistenza del difetto
di istruttoria rispetto all’ordinanza adottata, non
risultando comprovati i presupposti necessari ai fini del
potere ripristinatorio dello stato dei luoghi esercitato (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 06.03.2017 n. 1289 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo la
giurisprudenza, la destinazione di strade vicinali ad uso
pubblico necessariamente comporta il loro coinvolgimento in
un transito generalizzato con la conseguenza che, anche a
prescindere della proprietà del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il
Comune possa vantare sulla strada vicinale, ai sensi
dell'art. 825 c.c., un diritto reale di transito.
---------------
Nel disporre la verificazione la Sezione aveva declinato le
caratteristiche richieste perché le strade possano essere
definite strade vicinali, ossia:
- che siano interessate dal passaggio iure servitutis pubblicae da
parte della collettività sul territorio,
- che siano quindi concretamente idonee a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via, e
- che siano anche di fatto destinate a tale uso pubblico da tempo
immemorabile,
prescrivendo dunque che l’accertamento della natura della
strada predetta fosse effettuato non soltanto alla stregua
di quanto previsto nel relativo elenco e secondo le
risultanze catastali, bensì anche in relazione alle
caratteristiche effettive in cui la strada si trova,
verificando l’ubicazione della strada in seno a centri
abitati, l’impiego a transito generalizzato da parte della
collettività (e non da parte, per esempio, di singoli
proprietari di fondi prospicienti sulla strada medesima) in
maniera consolidata e duratura nel tempo, l’idoneità della
strada a fare da congiunzione fra altre strade pubbliche,
nonché le attività ordinariamente svolte dal Comune in
relazione alla gestione e manutenzione di essa.
Una strada vicinale può, infatti, considerarsi aperta al
pubblico transito, quando ricorrono i seguenti tre
presupposti:
a) il passaggio esercitato iure servitutis
publicae da una collettività indeterminata di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per
il collegamento alla via pubblica, esigenze di interesse
generale;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione
del diritto di uso pubblico.
In particolare, l'accertamento in ordine all'effettiva
destinazione ad uso pubblico di una strada presuppone,
necessariamente, l'esistenza di un atto o di un fatto in
base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia
di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a
favore del medesimo ente sia costituita una servitù di uso
pubblico e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con
una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente
medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi
di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione
programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o
ancora, l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'Amministrazione stessa circa la funzione da essa
assolta.
---------------
4.2. Osserva il Collegio che la natura privata della strada in
questione, unita all’avvenuto accertamento della mancanza di
infrastrutture di servizio e della assenza dei requisiti per
essere classificata come strada aperta al pubblico transito,
alla stregua della disciplina dettata dal Codice della
strada, esclude in radice che il Comune di Leonessa possa
vantare alcuna pretesa sulla stessa né, tanto meno, che
possa ritenersi leso da quella che va qualificata attività
di recinzione di una proprietà privata, dunque
legittimamente posta in essere dall’Ente proprietario.
In proposito deve rammentarsi che la Sezione, fin
dall’ordinanza n. 2482 del 23.02.2016, aveva chiarito
che, secondo la giurisprudenza, la destinazione di strade
vicinali ad uso pubblico necessariamente comporta il loro
coinvolgimento in un transito generalizzato con la
conseguenza che, anche a prescindere della proprietà del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il
Comune possa vantare sulla strada vicinale, ai sensi
dell'art. 825 c.c., un diritto reale di transito (cfr. Cons.
Stato IV, 21.09.2015, n. 4398).
Pertanto, nel disporre la verificazione, la Sezione aveva
declinato le caratteristiche richieste perché le strade
possano essere definite strade vicinali, ossia che siano
interessate dal passaggio iure servitutis pubblicae da parte
della collettività sul territorio, che siano quindi
concretamente idonee a soddisfare esigenze di carattere
generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e
che siano anche di fatto destinate a tale uso pubblico da
tempo immemorabile, prescrivendo dunque che l’accertamento
della natura della strada predetta fosse effettuato non
soltanto alla stregua di quanto previsto nel relativo elenco
e secondo le risultanze catastali, bensì anche in relazione
alle caratteristiche effettive in cui la strada si trova,
verificando l’ubicazione della strada in seno a centri
abitati, l’impiego a transito generalizzato da parte della
collettività (e non da parte, per esempio, di singoli
proprietari di fondi prospicienti sulla strada medesima) in
maniera consolidata e duratura nel tempo, l’idoneità della
strada a fare da congiunzione fra altre strade pubbliche,
nonché le attività ordinariamente svolte dal Comune in
relazione alla gestione e manutenzione di essa.
Una strada vicinale può, infatti, considerarsi aperta al
pubblico transito, quando ricorrono i seguenti tre
presupposti:
a) il passaggio esercitato iure servitutis
publicae da una collettività indeterminata di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per
il collegamento alla via pubblica, esigenze di interesse
generale;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione
del diritto di uso pubblico.
In particolare, l'accertamento
in ordine all'effettiva destinazione ad uso pubblico di una
strada presuppone, necessariamente, l'esistenza di un atto o
di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui
essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico
territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia
costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà
espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito
del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o ancora, l'intervento di
atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione stessa
circa la funzione da essa assolta (cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. VI, 03.08.2016, n. 4013).
La relazione del verificatore ha dato risposta esaustiva e
documentata ai quesiti posti dall’ordinanza, escludendo la
sussistenza di tutti i richiamati presupposti perché la
strada in esame possa considerarsi strada vicinale di uso
pubblico: infatti, ferma restando la proprietà della strada
in capo al Comune di L’Aquila, circostanza non contestata,
il Collegio osserva che, anche dai rilievi fotografici
prodotti a corredo della relazione, è agevole verificare
ictu oculi che si tratta di un tratturo non adatto al
pubblico transito e, comunque, privo di segni visibili sia
di un abituale transito di veicoli sia di infrastrutture o
di attività di manutenzione della strada da parte del
Comune.
4.3. Da quanto precede discende l’illegittimità
dell’ordinanza di rimozione impugnata, poiché adottata dal
Comune di Leonessa in radicale assenza del presupposto
fondante, ossia che la sbarra impedisca la fruibilità della
strada, che erroneamente ha qualificato come vicinale di uso
pubblico, nonché il raggiungimento di fontanili ed acque,
anche in questo caso erroneamente qualificati come pubblici.
Conclusivamente, assorbiti gli ulteriori motivi, il ricorso
deve essere accolto e, per l’effetto, l’atto impugnato deve
essere annullato.
All’annullamento dell’ordinanza di rimozione consegue, quale
effetto conformativo, il ripristino della sbarra
illegittimamente rimossa, a cura e spese del Comune di
Leonessa (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 17.02.2017 n. 2571 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La strada di campagna non esclude l'uso pubblico.
Il privato che ottiene il via libera all'allargamento del
sentiero comunale per la realizzazione di uno scivolo
carrabile non può contestualmente limitarne il passaggio
agli altri utenti. Al massimo potrà richiedere una licenza
di passo carrabile per agevolare il passaggio dei veicoli.
Lo ha chiarito il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con la
sentenza
04.05.2016 n.
868.
Un privato ha ottenuto dal comune la regolare licenza
edilizia necessaria per la realizzazione di uno scivolo, in
allargamento di un sentiero comunale, per agevolare l'uso
del proprio garage con i mezzi a motore.
Contestualmente alla realizzazione del manufatto però il
cittadino ha anche installato dei paletti a delimitazione
della proprietà oggetto di un provvedimento urgente di
rimozione da parte del sindaco. Contro questa determinazione
l'interessato ha proposto ricorso ma senza successo.
L'assenso comunale è limitato alla realizzazione dello
scivolo. Non anche alla limitazione dell'uso pubblico del
sentiero, di proprietà comunale, da sempre destinato a uso
pubblico. Per evitare l'ostruzione del varco sarà
sufficiente richiedere un regolare passo carrabile, conclude
il Tar
(articolo ItaliaOggi del 07.06.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tar Sicilia. Il sentiero privato può essere chiuso.
Se il comune vuole impedire a un privato di sbarrare
l'accesso pedonale alla spiaggia deve dimostrare l'esistenza
di una servitù di uso pubblico. Non basta avere iscritto la
strada nella toponomastica locale.
Lo ha evidenziato il TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II, con la
sentenza 01.04.2016 n. 836.
Un comune siciliano ha negato la licenza per l'installazione
di un cancello in una stradella utilizzata per l'accesso
alle spiagge pubbliche. Contro questa determinazione gli
interessati hanno proposto con successo ricorso al collegio.
La legge regionale n. 37/1985 che si occupa di ripristino
degli accessi al mare chiusi abusivamente dai privati non è
applicabile trattandosi in questo caso di un'area privata,
specifica innanzitutto la sentenza. E neppure il comune ha
provato l'esistenza di una servitù di uso pubblico sulla
strada in questione.
L'indicazione del tracciato pedonale nella toponomastica
comunale riveste una funzione puramente dichiarativa,
specificano i giudici. Non basta ad accertare l'uso pubblico
(articolo ItaliaOggi del 26.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Spetta al comune dimostrare l'uso pubblico della strada di
accesso alla spiaggia che insiste su una proprietà privata.
E’ quasi superfluo precisare che
affinché un qualsiasi bene possa essere destinato a un uso
pubblico è necessario che rientri nel patrimonio pubblico.
Ove l’amministrazione ravvisi la necessità di acquisire un
bene privato nel proprio patrimonio, per la soddisfazione di
un interesse pubblico, la legge predispone gli strumenti
idonei affinché la P.A. possa acquisire quel bene.
---------------
L'asservimento a uso pubblico di una strada privata, in
forza del quale essa diviene soggetta alla normale
disciplina stradale, può derivare o dall'inserimento nella
rete viaria cittadina riconducibile alla volontà del
proprietario che si manifesta nel mutamento della situazione
dei luoghi, come può accadere in occasione di convenzioni
urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni,
oppure da un immemorabile uso pubblico che va inteso come
comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi
che non consente di distinguere la strada in questione da
una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di
esercitare il diritto di uso della strada.
---------------
Quanto alla identificazione della strada nella toponomastica
comunale va precisato che tale iscrizione non ha natura
costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione
puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una
semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con
la prova contraria della natura della strada e
dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività.
---------------
... per l'annullamento del diniego della domanda di
autorizzazione n. 31930 del 15.11.2013, per la collocazione
di un cancello a chiusura della stradella sul terreno, sito
in C.da San Giorgio, in catasto al foglio 150, p.lla 108.
...
Il ricorso è fondato.
E’ quasi superfluo precisare che, affinché un qualsiasi bene
possa essere destinato a un uso pubblico, è necessario che
rientri nel patrimonio pubblico.
Ove l’amministrazione ravvisi la necessità di acquisire un
bene privato nel proprio patrimonio, per la soddisfazione di
un interesse pubblico, la legge predispone gli strumenti
idonei affinché la P.A. possa acquisire quel bene.
Sulla base di tali principi è evidente che il Comune
resistente può imporre l’apertura al pubblico della
stradella per cui è causa solo in quanto il terreno su cui
insiste rientri nel suo patrimonio; diversamente, ove ne
ravvisi la necessità, dovrà prima espropriare la stradella
ai suoi attuali proprietari.
In questa logica si muove la previsione dell’art. 12 della
legge regionale n. 37/1985, laddove prevede, per un verso
l’apertura al pubblico delle strade di accesso al mare
rientranti nel patrimonio pubblico che sono state
abusivamente chiuse da privati e, per altro verso,
stabilisce che, in sede di pianificazione urbanistica, siano
individuati gli accessi al mare necessari a soddisfare
l’interesse della collettività, al fine di poterne disporre
l’espropriazione e, quindi, trasformarli in accessi pubblici
al mare.
Nel caso in esame, parte ricorrente però afferma che la
stradella per cui è causa rientra nel suo patrimonio
personale e il Comune di Sciacca non è stato in grado di
smentire tale circostanza.
Risulta perciò fondato il secondo motivo di ricorso poiché
il Comune resistente ha negato l’autorizzazione rispetto a
un bene che non è pubblico.
Ove l’amministrazione volesse perseguire il proprio
interesse all’apertura al pubblico della strada per cui è
causa, avrebbe dovuto provarne la natura pubblica
–circostanza neanche affermata nel provvedimento impugnato–
ovvero disporne l’espropriazione nei modi e nei tempi di
legge.
Né il Comune ha provato l’esistenza di una servitù di uso
pubblico sulla strada in questione.
Va, a tal proposito, richiamato l’incontroverso orientamento
giurisprudenziale secondo il quale l'asservimento a uso
pubblico di una strada privata, in forza del quale essa
diviene soggetta alla normale disciplina stradale, può
derivare o dall'inserimento nella rete viaria cittadina
riconducibile alla volontà del proprietario che si manifesta
nel mutamento della situazione dei luoghi, come può accadere
in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove
edificazioni o di espropriazioni, oppure da un immemorabile
uso pubblico che va inteso come comportamento della
collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa
palesata da una situazione dei luoghi che non consente di
distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra
strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto
di uso della strada (ex plurimis Cons. di Stato, V,
09.06.2008, n. 2864; 24.05.2007, n. 2618 e 04.02.2004, n.
373).
Ebbene, sulla stradella per la quale è lite il Comune di
Sciacca non ha dimostrato di avere svolto alcun servizio
pubblico di illuminazione, manutenzione, pulizia viaria e
raccolta di rifiuti.
Tale circostanza costituisce, ad avviso del Collegio, indice
inequivocabile del fatto che la strada non è gravata da uso
pubblico, dovendosi ricondurre il passaggio per l’accesso al
mare alla tolleranza dei proprietari, i quali non hanno mai
inteso rinunziare al loro diritto tant’è che hanno chiesto
di potere collocare il cancello, che, peraltro, potrebbe,
ipoteticamente, anche consentire il passaggio pedonale.
Quanto alla identificazione della stradella nella
toponomastica comunale va precisato che tale iscrizione non
ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste
funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso,
superabile con la prova contraria della natura della strada
e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività (Cons. Stato, V, 01.12.2006; TAR Sicilia,
Palermo, III, 05.12.2012, n. 2545; Cass. civ., sez. un., n.
1624/2010) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 01.04.2016 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Strada
vicinale, quando sussiste il diritto di uso pubblico?
Le caratteristiche indispensabili della servitù di uso
pubblico in una sentenza del Tar Lombardia-Milano.
La costante giurisprudenza amministrativa, che il
Tar Lombardia condivide nella sentenza n. 507/2016, afferma
che affinché il diritto di uso pubblico della strada possa
ritenersi sussistente “occorre che il bene privato sia
idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives,
ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere
generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si
trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato”.
Tale indirizzo è perfettamente conforme a quello della
Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la
servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione
da parte di una collettività indeterminata di persone del
bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della
stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae,
da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza
ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
La destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”,
imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992
(art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano
necessariamente interessate da un transito generalizzato,
tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime
stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai
proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale
possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ.,
un diritto reale di transito, con correlativo dovere di
concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro
quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi
dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti
delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la
manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde
garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si
realizza.
Non è quindi sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga
in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale
dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale
(commento tratto da www.casaeclima.com).
---------------
Affinché il diritto di uso pubblico della strada possa
ritenersi sussistente <<occorre che il bene privato sia
idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives,
ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere
generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si
trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato.
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello
della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la
servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione
da parte di una collettività indeterminata di persone del
bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della
stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali
“ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al
d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste
debbano necessariamente interessate da un transito
generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà
privata del sedime stradale e dei relativi accessori e
pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti),
l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi
dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con
correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione
della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di
gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918,
“Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in
Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”),
onde garantire la sicurezza della circolazione che su di
essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga
in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale
dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale>>
---------------
... per l’annullamento
●
quanto al ricorso n. 3588 del 2014:
- dell’ordinanza n. 95 dell’11.12.2014, notificata il 18.12.2014,
con la quale il Sindaco di Teglio ha ordinato al ricorrente
di astenersi da qualsiasi comportamento che possa recare
ostacolo o comunque modificare l’originaria possibilità di
pubblico transito lungo il tratto di strada vicinale
indicato nelle premesse, rimuovendo ogni opera o segnaletica
idonee a pregiudicare la piena fruizione pubblica della
strada vicinale, il tutto entro il termine perentorio di 15
giorni decorrenti dal ricevimento dell’ordinanza, avvertendo
che in caso di mancata ottemperanza entro il termine di cui
sopra, il ripristino sarebbe stato attuato d’ufficio,
ponendo le relative spese a carico degli inadempienti;
- nonché di ogni altro atto o provvedimento alle stesse
presupposto, conseguente o comunque connesso;
●
quanto al ricorso n. 868 del 2015:
- del provvedimento 01.04.2015 prot. n. 2975, concernente il
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione di una
recinzione in rete metallica e paletti;
- nonché di ogni altro atto allo stesso presupposto, conseguente o
comunque connesso ivi inclusa l’ordinanza 23.03.2015 n. 2356
e la comunicazione del Comune di Teglio 27.02.2015 n. 1737,
nonché ogni norma contenuta nel PGT da cui possa emergere
che la recinzione sia non conforme alla previsione del PGT
stesso approvato in data 24.07.2013 e, occorrendo,
specificamente, l’art. 13 delle NTA del PdS e relativa
tavola inviata in data 13.04.2015 in risposta all’istanza di
accesso agli atti inviata il 13.04.2015.
...
6. Passando all’esame del merito dei ricorsi, possono essere
esaminate congiuntamente le censure aventi carattere
assorbente, contenute in entrambi i gravami, attraverso le
quali si eccepisce l’illegittimità dei provvedimenti
comunali inibitori, in ragione della non classificabilità,
quale strada vicinale ad uso pubblico, della fascia di
terreno prospiciente l’abitazione del ricorrente.
6.1. Va premesso che i provvedimenti impugnati con entrambi
i ricorsi –ovvero l’ordinanza sindacale n. 95 dell’11.12.2014, con cui si impone al ricorrente di rimuovere
qualsiasi opera in grado di impedire il pubblico transito
nella strada vicinale situata nel terreno di sua proprietà e
il provvedimento comunale del 01.04.2015 prot. n. 2975,
concernente il divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione di una recinzione in rete metallica e paletti–
sono motivati sostanzialmente con la circostanza che la
recinzione impedirebbe il transito su un’area destinata a
strada di uso pubblico, non essendo state invece indicate le
ragioni del contrasto della predetta recinzione con le
previsioni del PGT, solo genericamente affermata nel secondo
provvedimento.
A ciò consegue che non assume rilievo
determinate la circostanza fattuale, su cui le parti
sembrano in disaccordo, in ordine alla identità o meno della
recinzione originaria con quella di cui alla SCIA del 27.03.2015 (c.d. intervento 1 e 2) e non appare nemmeno
decisiva l’assenza di un titolo idoneo per realizzare la
recinzione, visto che nel primo provvedimento comunale tale
aspetto non viene in rilievo.
6.2. Il Comune di Teglio, per affermare la natura di strada
vicinale ad uso pubblico del terreno di proprietà del
ricorrente su cui è stata apposta la recinzione, ha
evidenziato come il predetto tratto stradale risulterebbe
notoriamente utilizzato dalla collettività –sia a piedi che
con automezzi prevalentemente ad uso agricolo– da tempo
immemore, come dimostrato altresì dalle numerose
dichiarazioni di cittadini e confermato dalle risultanze
documentali del sistema informativo territoriale della
Regione Lombardia, in particolare dalla Carta tecnica
regionale del 1981 e dai coevi rilievi aerofotogrammetrici.
Inoltre il tratto stradale in questione soddisferebbe
esigenze di carattere generale giacché, oltre a collegare le
strade comunali Via San Giacomo per Carona e Via delle
Tavole, farebbe parte di un sistema di viabilità secondaria
particolarmente importante per una realtà montana, avente
caratteristiche morfologiche peculiari, e sarebbe destinato
garantire la migliore fruizione possibile del territorio.
6.3. Come evidenziato dalla costante giurisprudenza
amministrativa, che il Collegio condivide, affinché il
diritto di uso pubblico della strada possa ritenersi
sussistente <<occorre che il bene privato sia idoneo ed
effettivamente destinato al servizio di una collettività
indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali
titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e
non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una
posizione qualificata rispetto al bene gravato (Sez. V,
14.02.2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15.05.2012,
n. 2760; Sez. V, 05.12.2012, n. 6242, quest’ultima citata
dall’appellante).
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello
della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la
servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione
da parte di una collettività indeterminata di persone del
bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della
stessa (Sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali
“ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al
d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste
debbano necessariamente interessate da un transito
generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà
privata del sedime stradale e dei relativi accessori e
pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti),
l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi
dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con
correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione
della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di
gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918,
“Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in
Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”),
onde garantire la sicurezza della circolazione che su di
essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga
in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale
dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale>>
(Consiglio di Stato, V, 19.04.2013, n. 2218).
Nel caso di specie, il Comune, pur evidenziando l’assenza di
un elenco di strade ad uso pubblico, ha cercato di
dimostrare la sussistenza dell’uso pubblico con le
dichiarazioni rese da alcuni cittadini e con il riferimento
alla documentazione ricavabile dal sistema cartografico
regionale. Quanto a quest’ultimo aspetto va evidenziato come
il riferimento risulti assolutamente generico e quindi
inidoneo a fungere da prova dell’uso pubblico della strada.
Con riguardo invece alla dichiarazione resa da un gruppo di
cittadini (all. 8 del Comune al ricorso R.G. n. 3588/2014) e
prescindendo dalla loro concreta identificabilità (sul
valore probatorio di tali dichiarazioni, cfr. TAR Lombardia,
Brescia, I, 28.03.2015, n. 473), va evidenziato come nella
stessa si afferma che “tale opera (ovvero la recinzione)
impedisce ai proprietari di raggiungere i propri terreni
percorrendo la strada interpoderale su cui, da più di 50
anni, esiste un passaggio mappato”. Ciò non sembra
concretare il presupposto dell’utilizzo generalizzato della
strada, quanto piuttosto un uso da parte dei proprietari dei
fondi contigui. Inoltre, il ricorrente ha allegato al
ricorso delle dichiarazioni di alcuni cittadini residenti o
abitanti a Teglio che smentiscono quanto affermato dal
Comune (all. 6 al ricorso R.G. n. 3588/2014).
Anche dalle fotografie prodotte in giudizio dal Comune (all.
6) non si è in grado di stabilire se la strada sia
effettivamente oggetto di un transito generalizzato, vista
la sua collocazione tra un fabbricato e altri manufatti, da
cui potrebbero scaturire problemi di sicurezza sia per
coloro che transitano sia per coloro che abitano in loco o
lo frequentano (in tal senso, Consiglio di Stato, VI,
10.05.2013, n. 2544; sul contesto in cui dovrebbero essere
collocate le strade ad uso pubblico, TAR Lombardia, Brescia,
I, 28.03.2015, n. 473).
6.4. Pertanto, non può dirsi provato con certezza l’uso
pubblico della strada e nemmeno l’esistenza stessa di un
tratto viario idoneo a consentire il passaggio di automezzi
(cfr. le fotografie allegate al ricorso R.G. n. 3588/2014;
sulla necessità di una compiuta ed esauriente istruttoria in
tali fattispecie, cfr. Consiglio di Stato, V, 23.09.2015, n.
4450; TAR Lombardia, Brescia, I, 28.03.2015, n. 473).
6.5. In senso contrario, non appaiono dirimenti nemmeno le
ulteriori considerazioni contenute nella memoria del Comune
resistente, attesa la loro non decisività e comunque
configurabili alla stregua di una motivazione postuma,
generalmente non ammessa in sede giurisdizionale (TAR
Lombardia, Milano, III, 05.03.2015, n. 628).
6.6. Pertanto, le scrutinate censure devono ritenersi
fondate (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 11.03.2016 n. 507 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO:
La lite sulla proprietà della strada spetta al
giudice ordinario. Dismissioni immobiliari. L’iscrizione
nell’elenco delle vie pubbliche ha portata dichiarativa, non
ablativa.
Stop al Tar sull’accertamento di
proprietà della strada inclusa nel piano comunale delle
cessioni immobiliari: si va al giudice ordinario.
La questione è importante perché è possibile che un privato
veda il proprio immobile compreso nell’elenco del Piano
comunale delle alienazioni immobiliari. Il privato ha
ragione di preoccuparsi, perché l’immobile sembra,
inopinatamente, essere divenuto di proprietà pubblica. A
quale giudice dovrà rivolgersi per far accertare che
l’immobile è di sua proprietà? Il Tar Campania ha risposto:
il giudice ordinario.
Vediamo i termini della questione.
L’articolo 58 del Dl 112/2008 stabilisce che per procedere
al riordino e valorizzazione del patrimonio immobiliare di
Regioni, Province, Comuni e altri enti locali, ciascun ente
individua, redigendo un elenco sulla base della
documentazione esistente presso i propri archivi, i singoli
beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non
strumentali all’esercizio delle proprie funzioni
istituzionali, suscettibili di valorizzazione o dismissione.
La VII Sez. del TAR Campania-Napoli, con la
sentenza 18.02.2016 n. 870 ha ritenuto che
l’elenco del Piano delle alienazioni immobiliari abbia
natura puramente dichiarativa e non costitutiva del diritto
di proprietà. Pertanto non trattandosi di un atto
autoritativo di carattere ablativo della proprietà, la
giurisdizione in merito all’accertamento della natura
privata o pubblica del bene spetta al giudice ordinario, con
il rito decisamente più lungo e complesso.
Nel caso di specie, due condòmine avevano impugnato la
delibera comunale che aveva incluso nel Piano delle
alienazioni immobiliari un viale che le stesse affermavano
essere di proprietà del condominio.
Il Tar ricorda che rientrano nella giurisdizione del giudice
ordinario le controversie in tema di proprietà pubblica o
privata delle strade, in quanto tali questioni hanno ad
oggetto l’accertamento dell’esistenza di diritti soggettivi,
sia dei privati che della Pubblica Amministrazione. Pertanto
la contestazione circa la possibilità di sua inclusione nel
Piano di alienazioni immobiliari, in considerazione della
natura privata del viale in questione, appartiene alla
giurisdizione del giudice ordinario.
Il Tar richiama il principio secondo il quale l’iscrizione
di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta,
ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del
Comune; essa pone una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso, superabile con la prova contraria della natura
della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento
da parte della collettività mediante un’azione negatoria di
servitù in sede giudiziaria civile (articolo Il Sole 24 Ore del
29.03.2016).
---------------
MASSIMA
... per l'annullamento, previa sospensione
dell’efficacia:
a) della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di
Lettere n. 20 del 06.07.2015, pubblicata mediante affissione
all'albo pretorio dal 15.07.2015 al 30.07.2015, ad oggetto "Approvazione
piano delle alienazioni e delle valorizzazioni dei beni
strumentali", nella parte in cui include nel piano delle
alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari previsto
dall'art. 58 della L. 06.08.2008 n. 133 il tratto di strada
individuato nella particella 649, foglio 13 ed indicato
quale prolungamento di "Via Casa Marangi";
b) della successiva deliberazione dello stesso Consiglio
Comunale di Lettere, n. 26 del 31.8.2015, pubblicata
mediante affissione all'albo pretorio dal 04.09.2015 al
19.09.2015, avente ad oggetto "Mozione per la revoca in
autotutela della delibera di Consiglio Comunale n. 20 del
06/07/2015, ai sensi dell'art. 21-quinques legge 241/1990,
art. 43, comma 1, D.lgs. 267/2000, art. 13, comma 1 e 2, del
vigente Statuto Comunale, artt. 15, 16 e 17 del Regolamento
per il funzionamento del Consiglio Comunale", con la
quale si delibera "di non approvare relativamente
all'argomento in oggetto la suddetta mozione di
deliberazione così come formulata a cura del consigliere
Manzo Filippo, facendo proprio il contenuto della proposta
sindacale";
...
7. Il Collegio al riguardo, richiamandosi
ai propri precedenti in materia
(da ultimo Tar Campania, sez. VII sent. n. 1752 del
25/03/2011; n. 1397 del 12/03/2010; n. 1651 del 25/03/2010;
n. 16427 del 29/06/2010) non può che
rilevare il difetto di giurisdizione dell’adito G.A..
7.1 Va ribadito, infatti, che, secondo la
giurisprudenza assolutamente prevalente
(cfr. Cass. civ. Sez. U., ordinanza n. 1624 del 27/01/2010;
Sez. U, ordinanza n. 6406 del 17/03/2010; Consiglio di
Stato, Sez. V, n. 5422 del 10.09.2009; Consiglio di Stato
sez. V, n. 522 del 07.04.1995; Cass. SS. UU. n. 5457 del
13.10.1980; Cass. SS.UU. n. 3302 del 12.06.1979; TAR Valle
d’Aosta n. 86 del 13.11.2009; TAR Campania Napoli n. 2040
del 20.04.2009; TAR Liguria n. 2053 del 27.11.2008; TAR
Trentino Alto Adige-Trento n. 286 del 10.11.2008; TAR
Lazio-Roma n. 3419 del 19.04.2007),
rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le
controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle
strade e circa l’esistenza di diritti di uso pubblico su
strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto
l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti
soggettivi, sia dei privati che della pubblica
Amministrazione.
7.2 Ed invero, nell’ipotesi di specie, parte ricorrente
contesta l’esistenza stessa dei presupposti per
l’inserimento della strada de qua fra le strade pubbliche e
pertanto la possibilità di sua inclusione nel piano di
alienazioni immobiliari, in considerazione della natura
privata del viale in questione.
7.3 Né al riguardo rilevano le specifiche censure dedotte da
parte ricorrente sub specie di difetto di istruttoria, in
quanto è noto che la giurisdizione si
determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra
giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già
la prospettazione delle parti, bensì il "petitum"
sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto
in funzione della concreta pronuncia che si chiede al
giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa
petendi", ossia della intrinseca natura della posizione
dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo
ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti
fatti costituiscono manifestazione
(fra le altre Cass. civ. Sez. U., ordinanza n. 12378 del
16/05/2008; Sez. U, ordinanza n. 15323 del 25/06/2010).
7.4 A tal riguardo è indubbio che la posizione fatta valere
da parte ricorrente sia di diritto soggettivo in quanto per
la giurisprudenza prevalente sia della Suprema Corte che del
Consiglio di Stato (da ultimo Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n.
1624 cit.; Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.12.2010
n. 8624) “l’iscrizione di una strada
nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico
non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste
funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso,
superabile con la prova contraria della natura della strada
e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività mediante un’azione negatoria di servitù";
analogamente Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza
01.12.2006 n. 7081 ritiene che l’iscrizione
di una strada vicinale nell’elenco delle strade di uso
pubblico del Comune comporta una presunzione di pubblicità
della strada stessa, superabile solo con l’accertamento in
sede giudiziaria civile della sua natura privata.
7.6. Né vale a fondare il radicamento della giurisdizione
dell’adito G.A. la circostanza che il carattere pubblico
della strada sia stato rappresentato negli atti impugnati ai
fini della sua inclusione nel pieno di alienazioni
immobiliari, in quanto, come correttamente rappresentato
dalla difesa della controinteressata, nella stessa prima
delibera di C.C. n. 20 del 2015 oggetto di impugnativa si
afferma che l’inserimento dei beni immobili nel Piano ne
determina la classificazione come bene disponibile e la
destinazione urbanistica, anche in variante, ai vigenti
strumenti urbanistici e che la stessa ha effetto
dichiarativo della proprietà, anche in assenza di precedente
trascrizione, producendo gli effetti previsti dall’art. 2644
c.c..
La natura puramente dichiarativa
dell’elenco del Piano delle Alienazioni immobiliari di cui
alle citate delibere, al pari di quella discendente
dall’iscrizione della strade tra quelle pubbliche o di uso
pubblico, non lascia pertanto spazi per la sussistenza della
giurisdizione dell’adito G.A., non potendo detta inclusione,
in quanto di carattere meramente dichiarativo –e non
costitutivo- e pertanto di natura paritetica, rilevare come
atto autoritativo di carattere ablativo della proprietà
privata.
7.5 Né può ritenersi la sussistenza della giurisdizione
dell’adito G.A. ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. n. 80/1998 (ora
ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.) in quanto
come ritenuto dal Consiglio di Stato sez. V, con sentenza
del 10.09.2009, n. 5422, (avente ad oggetto l’annullamento
di una nota comunale di inclusione di una strada privata fra
le strade vicinali, ossia fra le strade ad uso pubblico) la
disposizione citata va interpretata in senso
costituzionalmente orientato (Corte Cost. n. 204/2004 e n.
191/2006 ) e, quindi, deve escludersi che essa abbia esteso
l'alveo della giurisdizione amministrativa a liti -come la
presente- non riconducibili, nemmeno mediatamente,
all'esercizio di un pubblico potere.
8. Va quindi dichiarato il difetto di
giurisdizione dell’adito G.A. in favore del G.O., con
conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso.
9. Restano salvi gli effetti processuali e
sostanziali della domanda se il processo è riproposto
innanzi al G.O. nel termine perentorio di tre mesi dal
passaggio in giudicato della presene sentenza, ex art. 11
c.p.a. (traslatio iudicii). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Quando
vi è l’alterazione dello stato dei luoghi di una strada
(pubblica o privata) adibita al pubblico transito, il Comune
deve senza alcuna esitazione emanare il provvedimento di
autotutela iuris pubblici, e conseguentemente darvi
esecuzione.
La necessità che sia senza indugio ripristinato il pubblico
transito non tollera alcuna perdita di tempo e nella specie
ha giustificato la circostanza che il provvedimento
comunale, adottato il 12.08.2004 (a seguito di accertamenti
della polizia municipale e della relazione resa il
12.08.2004 dall'ufficio tecnico comunale), abbia ordinato di
ripristinare la situazione quo ante, in assenza della
comunicazione di avvio del procedimento: l'amministrazione
deve senza indugio porre fine ad una situazione che
pregiudica l’interesse pubblico, con un atto avente natura
vincolata (il che rileva anche al fine della applicazione
dell'art. 21-octies, comma II, della legge n. 241/1990).
Quanto al fondamento normativo del provvedimento comunale,
osserva la Sezione che per la risalente e pacifica
giurisprudenza non importa che il provvedimento
amministrativo menzioni la specifica disposizione di legge
sulla quale esso si basi: tale principio a maggior ragione
va ribadito quando si tratti di un atto da emanare senza
indugio per il carattere urgente, e che risulti espressione
di un potere desumibile da un principio generale del diritto
pubblico, del quale hanno un carattere ricognitivo le
disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale
01.09.1918, n. 1446.
---------------
La sussistenza di un diritto pubblico di transito su di una
via è provata quanto meno dalla circostanza che la
manutenzione della strada è da tempo effettuata dal Comune e
che nella strada si trova interrata la condotta
dell'acquedotto comunale.
---------------
E' principio consolidato che va ricondotta alla nozione di
strada vicinale di uso pubblico la via che:
a) consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae
da parte di una collettività indeterminata di persone in
assenza di restrizioni all'accesso;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è (eventualmente) connotata da un uso pubblico protratto
da tempo;
d) è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da
parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di
infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche,
fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico.
---------------
Anche le proteste pervenute in Comune, subito dopo
l'apposizione delle catene e la chiusura del passaggio,
possono ritenersi, infine, ulteriori elementi presuntivi,
aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza
rilevanti ai sensi dell'art. 2729 c.c., della effettiva
sussistenza della servitù di uso pubblico della strada:
anche la prossimità temporale delle proteste rispetto
all'apposizione delle catene rende non plausibile
l'affermazione dell’appellante secondo cui il passaggio
pubblico -nella via de qua- non sarebbe stato mai
consentito.
---------------
L'appello è infondato e va respinto.
2.- Con il primo motivo di censura, l'appellante lamenta la
violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 7 della
legge n. 241/1990.
L'appellante sostiene che, solo in presenza di un'accertata
situazione di urgenza, l'amministrazione può omettere la
comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7
della legge n. 241/1990, mentre i giudici di prime cure
hanno ritenuto che tale comunicazione non fosse necessaria
in ragione delle esigenze di particolare celerità volte a
ripristinare il pubblico transito su una strada vicinale.
2b.- Al riguardo, sulla base della documentazione prodotta
dall'amministrazione comunale, deve osservarsi che via Tarì,
pur non essendo una strada principale, non è utilizzata dai
soli proprietari dei fondi limitrofi ad essa e ciò è
confermato dallo stesso appellante, quando evidenzia che
l'ostacolo al transito è stato apposto in un mese (agosto)
in cui la circolazione veicolare è molto ridotta.
Proprio
tale considerazione, infatti, è probante del fatto che la
circolazione di veicoli su tale strada sussiste, anche se
con diversa incidenza temporale nei vari periodi dell’anno.
Il genere di abuso attuato, in quanto impeditivo della
circolazione nel tratto di strada, non può che giustificare
la necessità, avvertita dal Comune, di rimuovere con urgenza
gli ostacoli apposti dal privato.
Infatti, quando vi è l’alterazione dello stato dei luoghi di
una strada (pubblica o privata) adibita al pubblico
transito, il Comune deve senza alcuna esitazione emanare il
provvedimento di autotutela iuris pubblici, e
conseguentemente darvi esecuzione.
La necessità che sia senza indugio ripristinato il pubblico
transito non tollera alcuna perdita di tempo e nella specie
ha giustificato la circostanza che il provvedimento
comunale, adottato il 12.08.2004 (a seguito di
accertamenti della polizia municipale e della relazione resa
il 12.08.2004 dall'ufficio tecnico comunale), abbia
ordinato di ripristinare la situazione quo ante, in assenza
della comunicazione di avvio del procedimento:
l'amministrazione deve senza indugio porre fine ad una
situazione che pregiudica l’interesse pubblico, con un atto
avente natura vincolata (il che rileva anche al fine della
applicazione dell'art. 21-octies, comma II, della legge n.
241/1990).
3.- Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta la
violazione degli articoli 1 e 14 del D.lgs.l.gt. n.
1446/1918.
L'appellante sostiene che il TAR avrebbe errato nel
ritenere via Tarì una strada privata ad uso pubblico, in
quanto sarebbero assenti i presupposti elaborati dalla
giurisprudenza per poter ritenere tale tratto stradale come
«strada vicinale».
Il sig. Te. assume, in particolare, che mancherebbe la
«consapevolezza» della collettività che la strada sia
soggetta a pubblico transito e non sarebbe presente il
requisito dell'idoneità a soddisfare esigenze di interesse
generale e l'uso "immemorabile della strada".
3b.- Tale censura non è condivisibile.
Come evidenziato dal TAR, infatti, la sussistenza di un
diritto pubblico di transito su via Tarì è provata quanto
meno dalla circostanza che la manutenzione della strada è da
tempo effettuata dal Comune e che nella strada si trova
interrata la condotta dell'acquedotto comunale.
Per di più la medesima strada è di collegamento con una via
comunale (via Bracchio) e con un'altra strada vicinale (via
delle Groppole).
La funzione di collegamento della strada è evidenziata non
solo nella nota del responsabile dell'ufficio tecnico del
comune di Mergozzo del 12.08.2004, ma anche dai
cittadini firmatari dell'esposto presentato per censurarne
la chiusura abusiva.
L’esposto –oltre ad essere circostanziato– è stato
corroborato sul piano istruttorio dagli ulteriori
accertamenti effettuati in loco dagli organi comunali ed è
idoneo a dimostrare come –prima dell’attività posta in
essere dall’appellante– la strada era utilizzata dalla
collettività locale.
Orbene, è principio consolidato che va ricondotta alla
nozione di strada vicinale di uso pubblico la via che:
a) consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae
da parte di una collettività indeterminata di persone in
assenza di restrizioni all'accesso;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è (eventualmente) connotata da un uso pubblico protratto
da tempo;
d) è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da
parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di
infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche,
fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico (cfr.
Consiglio di Stato sez. IV, 08.06.2011, n. 3509).
Come documentato dal Comune, e come emerge dalla relazione
dell'ufficio tecnico comunale in data 12.08.2004, «la
via Tarì è inclusa nello Stradario agli atti del servizio di
toponomastica… e essa risulta tra le aree di circolazione»,
essendo ubicata «tra via Bracchio e l'abitazione Maruzzi,
con numerazione civica dal n. 1 al n. 9 e il sig. Te.
risiede al civico n. 5, a metà del percorso stradale».
L'estratto di P.R.G.C., allegato alla relazione dell'U.T.C.,
inoltre, individua la via Tarì come strada pubblica, con
previsione di allargamento a mt. 7,00, costituendo il
collegamento tra la via comunale Bracchio e la via vicinale
"delle Groppole", anch'essa gravata da servitù di pubblico
transito e in via di diventare strada comunale.
Quanto al fondamento normativo del provvedimento comunale,
osserva la Sezione che per la risalente e pacifica
giurisprudenza non importa che il provvedimento
amministrativo menzioni la specifica disposizione di legge
sulla quale esso si basi: tale principio a maggior ragione
va ribadito quando si tratti di un atto da emanare senza
indugio per il carattere urgente, e che risulti espressione
di un potere desumibile da un principio generale del diritto
pubblico, del quale hanno un carattere ricognitivo le
disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446.
3c.- Come sopra si è rilevato, anche le proteste pervenute
in Comune, subito dopo l'apposizione delle catene e la
chiusura del passaggio, possono ritenersi, infine, ulteriori
elementi presuntivi, aventi i requisiti di gravità,
precisione e concordanza rilevanti ai sensi dell'art. 2729
c.c., della effettiva sussistenza della servitù di uso
pubblico della strada: anche la prossimità temporale delle
proteste rispetto all'apposizione delle catene rende non
plausibile l'affermazione dell’appellante secondo cui il
passaggio pubblico -nella via de qua- non sarebbe stato
mai consentito.
4.- Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto,
perché manifestamente infondato
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.09.2015 n. 4450 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'uso pubblico della strada privata.
DOMANDA:
Si chiede un parere in merito a dei lavori di installazione
di una nuova recinzione che se eseguita impedirà il transito
ai veicoli una strada esistente da decenni. Tale strada è
indicata sullo strumento urbanistico vigente del comune come
"strada esistente". Si presenta come strada bianca,
cioè in terra battuta è lunga circa cento metri e collega
due strade comunali. Catastalmente risulta essere in
proprietà privata.
All'inizio, in ambo le parti, sono stati posti dei segnali
di divieto di transito con il panello integrativo con la
dicitura "proprietà privata". Il posizionamento dei
segnali è stato fatto dal proprietario per tutelarsi in caso
di sinistri stradali o richieste danni. Il transito è fatto
soprattutto da bici e qualche veicolo nell'arco della
giornata.
RISPOSTA:
La problematica esposta nel quesito risulta strettamente
connessa all’accertamento o meno, da parte
dell’amministrazione, di un eventuale uso pubblico sulla
strada in questione. E’ chiaro infatti che, al di là della
circostanza che l’area su cui insiste la strada sia
catastalmente qualificata come privata, nulla toglie, che in
concreto su di essa si eserciti di fatto un uso pubblico o
di interesse pubblico.
Al riguardo va ricordato che, come ritenuto in
giurisprudenza (cfr. tra le varie CDS sez. V, sentenza n.
728/2012) “poiché un’area privata possa ritenersi
sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio è
necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che
l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne
consegue che deve escludersi l’uso pubblico quando il
passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di
determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione
degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere
ad essi per esigenze connesse alla loro privata
utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure,
infine, rispetto a strade destinate al servizio di un
determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I,
22.06.1985, n. 3761)..” (cfr. Cons. di Stat. Sez. V,
sentenza n. 728 del 14/02/2012).
Il comune potrà dunque verificare al fine di decidere sulla
legittimità o meno della richiesta di recinzione, se
sussista o meno in concreto, un uso pubblico sulla strada
accertando p.es. se essa sia utilizzata per il transito di
tutti gli utenti della zona e comunque tenendo conto di
altri indici sintomatici di un eventuale uso pubblico come
l’ubicazione della strada stessa, l’inclusione nella
toponomastica del Comune, l’apposizione della numerazione
civica; l’apposizione di segnaletica stradale, la presenza
di aree destinate a parcheggio, la presenza di illuminazione
pubblica, la manutenzione della sede stradale, la eventuale
funzione di raccordo con altre strade e sbocco su pubbliche
vie ovvero per l’essere la stessa parte integrante della
sede viaria stradale ecc..
In sintesi, dunque, il Comune potrà applicare tali criteri
anche nel caso di specie per valutare se la strada privata
possa considerarsi assoggettata o meno ad uso pubblico e
cioè se la stessa sia oggettivamente idonea o meno
all’attuazione di un pubblico interesse ovvero a soddisfare,
anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di
interesse generale (link a
http://www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
questione del carattere privato ovvero pubblico di una data
strada, è sottoposta, di per sé, alla giurisdizione
ordinaria, in quanto inerente a diritti soggettivi, di
proprietà ovvero di servitù; può peraltro essere conosciuta
in via incidentale, e quindi con efficacia limitata al
processo, da questo giudice amministrativo allorquando, come
nella specie, rilevi per decidere della legittimità di un
provvedimento, come l’ordinanza qui impugnata, che in senso
ampio imponga una certa regolamentazione dell’uso della
strada stessa.
Ciò presuppone infatti che di uso pubblico e non privato si
tratti, e quindi che appunto si sia di fronte ad una strada
non privata.
---------------
Per classificare una data strada come pubblica l’atto di
inclusione nei relativi elenchi, di valore soltanto
dichiarativo, costituisce una presunzione semplice,
superabile avuto riguardo alla concreta situazione della
strada stessa. La strada pubblica, infatti, si caratterizza
anzitutto per appartenere all’ente pubblico in virtù di un
atto o fatto, che come tale va provato, acquisitivo del
corrispondente diritto di proprietà o servitù.
La strada pubblica è poi tale perché interessata dal
passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un
medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del
Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a
soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica,
esigenze di generale interesse.
Tale ultimo requisito del “collegamento” va poi inteso in
modo corretto, perché alla lettera prova troppo: nessuno
penserebbe infatti di considerare soggetta ad uso pubblico
una viabilità che non è in alcun modo raggiungibile dalla
generalità dei cittadini, come ad esempio la strada
panoramica interna ad una tenuta privata, che certo non si
connette in alcun modo alla pubblica via.
Per collegamento con la via pubblica, secondo ragione, va
quindi inteso non il semplice accesso alla stessa, ma un
collegamento per così dire organico, che inserisca la strada
in questione nel sistema della viabilità, rendendola normale
via di transito per compiere un certo tragitto.
A tali elementi se ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la
necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla
Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e
dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se
il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai
preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della
strada ed eventualmente adeguandola al transito della
generalità dei cittadini.
... per l'annullamento, previa sospensione, del
provvedimento 18.02.2013 prot. n. 2749 e n. 12 reg.
ordinanze, notificata il 23.02.2013, con il quale il
Responsabile del servizio del Comune di Bonate Sopra ha
ordinato a G.D. di demolire in quanto eseguite
in assenza del necessario titolo abilitativo opere
costituite dalla chiusura di un tratto di strada mediante
posizionamento in lato est di un cancello carrale per
accesso alla proprietà e di rete metallica in lato ovest e
dal sopralzo del piano stradale, il tutto alla locale via
Bonzanni sul terreno distinto al locale catasto al foglio 9
mappale 4118;
...
4. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sul presunto
carattere privato della porzione di strada occupata, e più
in generale, del viottolo cui essa appartiene, è parimenti
infondato.
5. Per chiarezza va premesso che la relativa questione
appunto il carattere privato ovvero pubblico di una data
strada, è sottoposta, di per sé, alla giurisdizione
ordinaria, in quanto inerente a diritti soggettivi, di
proprietà ovvero di servitù; può peraltro essere conosciuta
in via incidentale, e quindi con efficacia limitata al
processo, da questo giudice amministrativo allorquando, come
nella specie, rilevi per decidere della legittimità di un
provvedimento, come l’ordinanza qui impugnata, che in senso
ampio imponga una certa regolamentazione dell’uso della
strada stessa.
Ciò presuppone infatti che di uso pubblico e
non privato si tratti, e quindi che appunto si sia di fronte
ad una strada non privata: sul punto, da ultimo, C.d.S. sez.
V 10.01.2012 n. 42 e, nella giurisprudenza della
Sezione, sez. I 21.12.2011 n. 1772, ove ampie ulteriori
citazioni.
6. Ciò detto in punto giurisdizione, va affrontata, appunto
come questione pregiudiziale, quella concernente il presunto
carattere pubblico del tratto di via Bonzanni di cui in
premesse, sul quale in ricorrente ha ritenuto di intervenire
con le opere per cui è causa.
In proposito, va ricordato, in
accordo con la costante giurisprudenza amministrativa, che
per classificare una data strada come pubblica l’atto di
inclusione nei relativi elenchi, di valore soltanto
dichiarativo, costituisce una presunzione semplice,
superabile avuto riguardo alla concreta situazione della
strada stessa. La strada pubblica, infatti, si caratterizza
anzitutto per appartenere all’ente pubblico in virtù di un
atto o fatto, che come tale va provato, acquisitivo del
corrispondente diritto di proprietà o servitù: così da
ultimo C.d.S. sez. VI 08.10.2013 n. 4952 e C.G.A. 13.09.2013 n. 749.
7. La strada pubblica è poi tale perché interessata dal
passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un
medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del
Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a
soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica,
esigenze di generale interesse: così fra le molte C.d.S.
sez. IV 15.06.2012 n. 3531 nonché la citata TAR Lombardia
Brescia sez. I 21.12.2011 n. 1772.
8. Tale ultimo requisito del “collegamento”, come già
argomentato nella citata sentenza 1772/2011 di questo TAR,
va poi inteso in modo corretto, perché alla lettera prova
troppo: nessuno penserebbe infatti di considerare soggetta
ad uso pubblico una viabilità che non è in alcun modo
raggiungibile dalla generalità dei cittadini, come ad
esempio la strada panoramica interna ad una tenuta privata,
che certo non si connette in alcun modo alla pubblica via.
Per collegamento con la via pubblica, secondo ragione, va
quindi inteso non il semplice accesso alla stessa, ma un
collegamento per così dire organico, che inserisca la strada
in questione nel sistema della viabilità, rendendola normale
via di transito per compiere un certo tragitto.
9. A tali elementi, sulla scorta di C.d.S. sez. V 07.12.2010 n. 8624, se ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la
necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla
Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e
dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se
il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai
preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della
strada ed eventualmente adeguandola al transito della
generalità dei cittadini.
10. Alla luce dei principi illustrati e dell’istruttoria
documentale svolta, vi sono allora sufficienti elementi per
affermare il carattere pubblico della via considerata
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.03.2015 n. 473 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'appartenenza
di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere
desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i
requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti
dall'art. 2729 c.c., non potendo reputarsi a tal fine
elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della
strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall'art. 8
della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e
non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione
di demanialità di cui all'art. 22 della legge n. 2248 del
1865, all. F.
---------------
Per essere riconosciuta ed accertata la servitù pubblica di
un passaggio necessitano di tre presupposti:
a) il sentiero deve essere posto al servizio di una
collettività indeterminata di cittadini portatori di un
interesse generale,
b) il sentiero deve essere oggettivamente idoneo a
soddisfare le esigenze di interesse generale,
c) deve sussistere un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico che, nella
maggior parte dei casi, si identifica con la dimostrazione
dell'uso da tempo immemorabile da parte della collettività
pubblica.
Ed invero, è noto come secondo la giurisprudenza
"l'appartenenza di una strada ad un ente pubblico
territoriale può essere desunta da una serie di elementi
presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., non potendo
reputarsi a tal fine elemento da solo sufficiente
l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco,
già previsto dall'art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente
natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere
relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22
della legge n. 2248 del 1865, all. F" (cfr. Cass. Civ., Sez.
11, 09.11.2009, n. 23705) e che “per essere
riconosciuta ed accertata la servitù pubblica di un
passaggio necessitano di tre presupposti: a) il sentiero
deve essere posto al servizio di una collettività
indeterminata di cittadini portatori di un interesse
generale, b) il sentiero deve essere oggettivamente idoneo a
soddisfare le esigenze di interesse generale, c) deve
sussistere un titolo valido a sorreggere l'affermazione del
diritto di uso pubblico che, nella maggior parte dei casi,
si identifica con la dimostrazione dell'uso da tempo
immemorabile da parte della collettività pubblica” (TAR
Bolzano 16/01/2013 n. 14 o ancora in termini cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643).
Orbene, nel caso di specie possono ritenersi sussistenti sia
l'urbanizzazione del vicolo (attesa la presenza di un palo
d’illuminazione pubblica sia pure posizionato in una corte
di proprietà esclusiva privata, come evidenziato dallo
stesso ricorrente), sia l’assenza di un altrettanto breve
percorso pedonale di collegamento tra le due strade
pubbliche di Piazza dei Caduti e Via 13 Giugno (cfr. nota
prot. n. 6271 dell’01.09.2014 depositata in data 02.09.2014),
sia l’utilizzo da tempo immemorabile ed indiscriminato del
passaggio da parte dei cittadini di Calimera.
A tale ultimo riguardo, la presenza di numerose e-mail di
protesta pervenute in Comune subito dopo l’apposizione dei
cancelli, nonché di un articolo di stampa e di un’apposita
interrogazione riguardante il vicolo oggetto del giudizio
presentata al Consiglio Comunale di Calimera immediatamente
dopo la chiusura del passaggio, possono ritenersi elementi
presuntivi, aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., della sussistenza
della servitù di uso pubblico nella fattispecie che occupa;
peraltro, l’immediatezza temporale delle proteste rispetto
all’apposizione dei cancelli destituiscono di fondamento
l’affermazione fatta dal Sig. T. nel ricorso, secondo
cui il passaggio pubblico nel vicolo de quo non sarebbe
stato mai consentito né tollerato dai proprietari del
medesimo.
Quanto alle altre censure di carattere procedimentale, le
stesse possono essere ritenute parimenti prive di
fondamento, posto che nella specie risulta essere stato
consentito l’apporto partecipativo del privato e comunque
l’esistenza di una servitù di uso pubblico non è
incompatibile con l’appartenenza del passaggio ai privati.
Conclusivamente il ricorso va rigettato quanto all’ingiunto
ordine di demolizione dei cancelli, mentre va invece accolto
con riferimento all’ingiunta demolizione del corpo di
fabbrica realizzato senza titolo abilitativo sulle
particelle individuate al catasto terreni al foglio 5,
mappali 91 e 1629 e 87.
Ed invero, appare sicuramente condivisibile e fondata la
doglianza relativa alla mancanza, nella motivazione
dell’ordinanza impugnata, dell’esatta individuazione dei
manufatti presuntivamente abusivi oggetto di demolizione,
circostanza che rende parzialmente illegittimo l’atto
impugnato che va pertanto annullato in parte qua
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 05.01.2015 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sussistenza -o meno- su di una strada (privata) della
servitù ad uso pubblico.
E’ controversa la sussistenza
sulla predetta via di una servitù ad uso pubblico.
Si tratta di una circostanza la cui prova, ai sensi
dell’art. 64, comma 1, c.p.a., spettava al Comune.
La predetta norma, infatti, diversamente dall’art. 2697
c.c., non ripartisce l’onere della prova solo in base al
criterio che il fatto controverso sia stato posto a
fondamento di una domanda o di una eccezione ma anche sulla
scorta del parametro della disponibilità della prova. Per
cui il ricorrente che affermi o contesti un fatto che può
essere dimostrato attraverso la produzione di atti o
documenti che sono nella esclusiva disponibilità della p.a.
non ha anche l’onere di provarlo, dovendo essere questa ad
offrire al giudice gli elementi atti a confermare o a
smentire le affermazioni contenute nel ricorso.
Al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico
della p.a. non può, peraltro, sopperire il potere di
istruzione officiosa, conseguendo, invece, ad esso
l’applicazione la regola di giudizio di cui al secondo comma
dell’art. 64 c.p.a. secondo il quale la mancata prova di un
fatto contestato che si aveva l’onere di provare determina
l’impossibilità per il giudice di tener conto dello stesso.
Il potere acquisitivo del giudice, che nella vigenza
dell’art. 44 del RD 1054 del 1923 aveva una connotazione
ampiamente discrezionale, oggi deve essere, infatti,
esercitato “fermo restando l’onere della prova a carico
delle parti” (art. 63, comma, 1 c.p.a.) ed assume, quindi,
un carattere residuale, potendo il giudice intervenire
autonomamente nei soli casi in cui la parte che ne era
onerata senza sua colpa non sia riuscita ad a raggiungere la
prova completa dei fatti che avrebbe dovuto dimostrare e
dovendosi, invece, applicare nelle situazioni ordinarie le
regole di giudizio e di riparto dell’onere della prova
contemplate nell’art. 64 c.p.a.
La nuova impostazione seguita dal codice deriva peraltro
dall’esigenza di adeguare il rito processuale amministrativo
ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 della
Costituzione non essendo con essi compatibile un sistema che
consentisse al giudice di sopperire alla inerzia istruttoria
di una delle parti anche qualora gli elementi di prova
fossero nella sua disponibilità o che attribuisse al giudice
una incontrollata discrezionalità nel ripartire i carichi
probatori attraverso l’esercizio de potere acquisitivo.
Al fine di dare la prova relativa alla sussistenza di una
servitù di uso pubblico il Comune avrebbe, quindi, dovuto
produrre un estratto del registro delle strade a uso
pubblico (idoneo a creare quantomeno una presunzione della
sussistenza del diritto affermato) o produrre il titolo di
acquisito della affermata servitù.
Nel merito il ricorso è fondato.
Non è in contestazione la proprietà privata della via che il
Comune di Campi Bisenzio assume essere abusivamente
occupata. Tale fatto risulta implicitamente ammesso dalle
stesse ordinanze impugnate laddove esse affermano che si
tratterebbe di strada “ad uso pubblico”, ed è espressamente
ammesso nella nota del Sindaco del Comune di campi Bisenzio
in data 28.04.2010 nella quale si dichiara che il tratto
di strada di Via S. Martino dal civico 1 al civico 9 risulta
essere privato ad uso pubblico.
E’, invece, controversa la sussistenza sulla predetta via di
una servitù ad uso pubblico.
Si tratta di una circostanza la cui prova, ai sensi
dell’art. 64, comma 1, c.p.a., spettava al Comune di campi
Bisenzio.
La predetta norma, infatti, diversamente dall’art. 2697
c.c., non ripartisce l’onere della prova solo in base al
criterio che il fatto controverso sia stato posto a
fondamento di una domanda o di una eccezione ma anche sulla
scorta del parametro della disponibilità della prova. Per
cui il ricorrente che affermi o contesti un fatto che può
essere dimostrato attraverso la produzione di atti o
documenti che sono nella esclusiva disponibilità della p.a.
non ha anche l’onere di provarlo, dovendo essere questa ad
offrire al giudice gli elementi atti a confermare o a
smentire le affermazioni contenute nel ricorso.
Al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico
della p.a. non può, peraltro, sopperire il potere di
istruzione officiosa, conseguendo, invece, ad esso
l’applicazione la regola di giudizio di cui al secondo comma
dell’art. 64 c.p.a. secondo il quale la mancata prova di un
fatto contestato che si aveva l’onere di provare determina
l’impossibilità per il giudice di tener conto dello stesso.
Il potere acquisitivo del giudice, che nella vigenza
dell’art. 44 del RD 1054 del 1923 aveva una connotazione
ampiamente discrezionale, oggi deve essere, infatti,
esercitato “fermo restando l’onere della prova a carico
delle parti” (art. 63, comma, 1 c.p.a.) ed assume, quindi, un
carattere residuale, potendo il giudice intervenire
autonomamente nei soli casi in cui la parte che ne era
onerata senza sua colpa non sia riuscita ad a raggiungere la
prova completa dei fatti che avrebbe dovuto dimostrare e
dovendosi, invece, applicare nelle situazioni ordinarie le
regole di giudizio e di riparto dell’onere della prova
contemplate nell’art. 64 c.p.a.
La nuova impostazione seguita dal codice deriva peraltro
dall’esigenza di adeguare il rito processuale amministrativo
ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 della
Costituzione non essendo con essi compatibile un sistema che
consentisse al giudice di sopperire alla inerzia istruttoria
di una delle parti anche qualora gli elementi di prova
fossero nella sua disponibilità o che attribuisse al giudice
una incontrollata discrezionalità nel ripartire i carichi
probatori attraverso l’esercizio de potere acquisitivo.
Al fine di dare la prova relativa alla sussistenza di una
servitù di uso pubblico il Comune di Campi Bisenzio avrebbe,
quindi, dovuto produrre un estratto del registro delle
strade a uso pubblico (idoneo a creare quantomeno una
presunzione della sussistenza del diritto affermato) o
produrre il titolo di acquisito della affermata servitù.
Ciò, tuttavia, non è stato fatto.
Nei verbali sulla base dei quali è stata adottata
l’ordinanza impugnata si afferma in modo apodittico la
sussistenza di un diritto di uso pubblico sulla via S. Mauro
ma non viene indicato il titolo in forza del quale tale
diritto sarebbe insorto.
In giudizio il Comune si è difeso affermando che il resede
sarebbe urbanisticamente destinato a viabilità e su di esso
sarebbe stata apposta la segnaletica stradale.
Nessuna delle predette circostanze, tuttavia, può comprovare
la sussistenza di una servitù di uso pubblico: la
destinazione impressa dal PRG non è idonea a costituire
immediatamente un diritto reale su cosa altrui e
l’apposizione della segnaletica è una circostanza di mero
fatto che non incide sul regime dominicale del suolo.
In mancanza della prova del fatto che giustifica l’esercizio
del potere esercitato, il provvedimento impugnato deve,
quindi, essere annullato
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 23.12.2014 n. 2149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Affinché
possa considerarsi esistente una servitù pubblica di
passaggio su di una strada realizzata in area privata
occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di
persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in
una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il
collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della
Pubblica amministrazione.
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una
strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante
la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento
del proprietario che metta il bene a disposizione dei
cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di
guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche
analoghe a quelle di un bene demaniale.
4. Né può rilevare il fatto che la strada di proprietà
privata di accesso alla c.da S. Antonio sia senza uscita,
atteso che anche un mero cortile (cfr. Tar Sicilia, Palermo,
sent. n. 2700 del 12.11.2003), se aperto al pubblico
ed al traffico automobilistico indifferenziato dà luogo ad
un "uso pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare
l'intervento dell'Amministrazione; e nella fattispecie, come
già detto, sussiste la prova, ex art. 2700 cod. civ., che
detta strada: è stata asfaltata dal Comune; immette in un
tratto viario che a sua volta incrocia, dopo qualche decina
di metri, una "via comunale"; è manutenzionata dal Comune
medesimo ed è servita di tutti i servizi pubblici necessari
per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili prospicienti.
Peraltro la collocazione della numerazione civica, risulta
già in una attestazione del Sindaco di Messina datata
19.03.1990 e resa in relazione alla costruzione di un
fabbrica da parte di tale C.F. (cfr. all. 6
della produzione del controinteressato cit.); verosimilmente
il medesimo ricorrente di cui alla sent. della Corte di
Cassaz. n. 7573/2012 cit..
Di rilievo appare, poi, la circostanza che i ricorrenti non
deducono, né tanto meno provano, che il libero accesso alla
strada/cortile de qua, mediante autovetture, sia in effetti
impedito (mediante apposti accorgimenti: quali cancelli,
recinzioni, barre di accesso, servizio di guardiania …
ecc.); e quindi sia consentito ai soli proprietari degli
immobili prospicienti sulla strada stessa.
E' da ritenere, quindi, alla stregua degli atti di causa,
che qualsiasi cittadino possa di fatto accedere liberamente
alla strada/cortile in argomento, a piedi o con automezzi, e
che parimenti possa uscirne per immettersi nella viabilità
comunale ("via Comunale" o "via Paolo la Badessa"); in
un'area, peraltro, caratterizzata da una forte pendenza, nei
pressi del ripido ed ampio torrente S. Filippo. E ciò è
sufficiente per ritenere che il tratto viario per cui è
causa abbia in effetti una funzione di libero collegamento
dell'area in questione con le pubbliche vie circostanti e
sia destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone uti cives, e non uti singuli.
Come da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa
affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica
di passaggio su di una strada realizzata in area privata
occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività
indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare,
attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica
via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di
interventi di manutenzione da parte della Pubblica
amministrazione (cfr. tra le tante Cons. Stato Sez. VI sent.
n. 2544 del 10.05.2013 che conferma TAR Toscana, 29.07.2008 n. 1834).
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una
strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante
la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento
del proprietario che metta il bene a disposizione dei
cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di
guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche
analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr. Cons. Stato
Sez. IV sent. n. 3531 del 15.06.2012, che annulla TAR
Lazio, 06.08.2009 n. 7932; Cons. di Stato, Sez. I, parere
n. 4361 dell'11.07.2011)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. III,
sentenza 06.11.2014 n. 2912 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Strada privata. Adibizione al pubblico transito. Indici
probatori.
1. Va ritenuto attestato l'uso
pubblico di strada privata che risulti asfaltata, servita da
impianti a rete ed aperta al pubblico transito in base ad
atti formali dell'Amministrazione, dotati, fino a querela di
falso, di fede privilegiata ex art. 2700 c.c.
2. Al fine di escludere che una strada privata sia adibita a
pubblico transito non rileva il fatto che sia senza uscita,
atteso che anche un mero cortile, se aperto al pubblico
ed al traffico automobilistico indifferenziato dà luogo ad
un "uso pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare
l'intervento dell'Amministrazione (nella fattispecie
risultava che la strada senza uscita fosse stata asfaltata
dal Comune; immettesse in un tratto viario che a sua volta
incrocia con una "via comunale"; fosse manutenzionata dal
Comune e fosse servita di tutti i servizi pubblici necessari
per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili
prospicienti).
3. Laddove risulti che qualsiasi cittadino possa di fatto
accedere liberamente alla strada\cortile di proprietà
privata, a piedi o con automezzi, e che parimenti possa
uscirne per immettersi nella viabilità comunale, ciò è
sufficiente per ritenere che il tratto viario de quo abbia
in effetti una funzione di libero collegamento dell'area in
questione con le pubbliche vie circostanti e sia destinato
al transito di un numero indifferenziato di persone uti
cives, e non uti singuli.
4. Affinché possa considerarsi esistente una servitù
pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area
privata occorre che essa: a) sia utilizzata da una
collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a
soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla
pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto
di interventi di manutenzione da parte della Pubblica
amministrazione.
5. L'adibizione ad uso pubblico di una strada (o comunque di
un'area) può anche avvenire mediante la c.d. dicatio ad
patriam, per effetto del comportamento del proprietario che
metta il bene a disposizione dei cittadini, oppure con l'uso
del bene da parte della collettività indifferenziata
protratto per lungo tempo, di guisa che il bene stesso venga
ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene
demaniale.
Dunque, la prova dell'uso pubblico dell'area (che l'AGO ha
riconosciuto in effetti essere di proprietà privata, in
relazione a talune clausole contrattuali in cui si parla di
uno "spazio di isolamento e di accesso" ai realizzati
o realizzandi fabbricati), risulta attestata in atti formali
dell'Amministrazione, dotati, fino a querela di falso, di
fede privilegiata ex art. 2700 c.c.; atti ai quali questo
Decidente non può che attenersi, quale che sia stata la
valutazione fattane dall'AGO in altre controversie rese
inter alios.
Né può rilevare il fatto che la strada di proprietà privata
di accesso alla c.da S. Antonio sia senza uscita, atteso che
anche un mero cortile (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sent. n.
2700 del 12.11.2003), se aperto al pubblico ed al traffico
automobilistico indifferenziato dà luogo ad un "uso
pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare
l'intervento dell'Amministrazione; e nella fattispecie, come
già detto, sussiste la prova, ex art. 2700 cod. civ., che
detta strada: è stata asfaltata dal Comune; immette in un
tratto viario che a sua volta incrocia, dopo qualche decina
di metri, una "via comunale"; è manutenzionata dal
Comune medesimo ed è servita di tutti i servizi pubblici
necessari per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili
prospicienti. Peraltro la collocazione della numerazione
civica, risulta già in una attestazione del Sindaco di
Messina datata 19.03.1990 e resa in relazione alla
costruzione di un fabbrica da parte di tale Cucinotta
Francesco (cfr. all. 6 della produzione del
controinteressato cit.); verosimilmente il medesimo
ricorrente di cui alla sent. della Corte di Cassaz. n.
7573/2012 cit..
Di rilievo appare, poi, la circostanza che i ricorrenti non
deducono, né tanto meno provano, che il libero accesso alla
strada/cortile de qua, mediante autovetture, sia in effetti
impedito (mediante apposti accorgimenti: quali cancelli,
recinzioni, barre di accesso, servizio di guardiania …
ecc.); e quindi sia consentito ai soli proprietari degli
immobili prospicienti sulla strada stessa.
E' da ritenere, quindi, alla stregua degli atti di causa,
che qualsiasi cittadino possa di fatto accedere liberamente
alla strada/cortile in argomento, a piedi o con automezzi, e
che parimenti possa uscirne per immettersi nella viabilità
comunale ("via Comunale" o "via Paolo la Badessa");
in un'area, peraltro, caratterizzata da una forte pendenza,
nei pressi del ripido ed ampio torrente S. Filippo. E ciò è
sufficiente per ritenere che il tratto viario per cui è
causa abbia in effetti una funzione di libero collegamento
dell'area in questione con le pubbliche vie circostanti e
sia destinato al transito di un numero indifferenziato di
persone uti cives, e non uti singuli.
Come da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa
affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica
di passaggio su di una strada realizzata in area privata
occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività
indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che
si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene
gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare,
attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica
via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di
interventi di manutenzione da parte della Pubblica
amministrazione (cfr. tra le tante Cons. Stato Sez. VI sent.
n. 2544 del 10.05.2013 che conferma TAR Toscana, 29.07.2008
n. 1834).
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una
strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante
la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del
comportamento del proprietario che metta il bene a
disposizione dei cittadini, oppure con l'uso del bene da
parte della collettività indifferenziata protratto per lungo
tempo, di guisa che il bene stesso venga ad assumere
caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr.
Cons. Stato Sez. IV sent. n. 3531 del 15.06.2012, che
annulla TAR Lazio, 06.08.2009 n. 7932; Cons. di Stato, Sez.
I, parere n. 4361 dell'11.07.2011) (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it -
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sentenza 06.11.2014 n. 2912 -
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EDILIZIA
PRIVATA:
Legittimamente l'Amministrazione comunale
ingiunge la rimozione di manufatto edilizio insistente su
porzione di strada comunale onde rendere fruibile all'uso
pubblico il tratto di strada secondo il percorso originario,
laddove sia incontestata la natura demaniale della porzione
di strada vicinale comunale sul cui sedime è stato
realizzato il manufatto edilizio.
L'immanenza dei poteri di polizia demaniale esclude ogni
rilevanza all'esistenza di tracciato alternativo e
l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e
all'uso pubblico giustifica il provvedimento di rimozione,
risultando irrilevante che, per effetto del medesimo
provvedimento ripristinatorio, possa avvantaggiarsi terzo
privato inciso da tracciato alternativo non conforme a
quello originario realizzato proprio in relazione
all'usurpazione della porzione della strada vicinale
comunale che l'ha sottratta all'uso pubblico.
L'appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e
deve essere rigettato, con la conferma della sentenza
gravata.
Infatti, incontestata la natura demaniale della porzione di
strada vicinale comunale sul cui sedime è stato realizzato
il corpo di fabbrica in ampliamento al preesistente
fabbricato, l'immanenza dei poteri di polizia demaniale
esclude ogni rilevanza all'esistenza di tracciato
alternativo e l'interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi e all'uso pubblico giustifica il provvedimento
impugnato in primo grado, risultando irrilevante che, per
effetto del medesimo, possa avvantaggiarsi terzo privato
inciso da tracciato alternativo non conforme a quello
originario realizzato proprio in relazione all'usurpazione
della porzione della strada vicinale comunale che l'ha
sottratta all'uso pubblico
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.10.2014 n. 4941 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
diritto pubblico di transito può coincidere con una servitù
privatistica a favore di un ente pubblico, ma può anche
emergere in modo autonomo dalla sistemazione dei luoghi
impressa dall’amministrazione per una finalità di interesse
collettivo.
Normalmente il tempo di formazione di un diritto pubblico di
transito coincide con quelli dell’usucapione ordinaria. Si
può tuttavia osservare la costituzione del diritto pubblico
in un termine molto inferiore, se il titolo in base al quale
è stata acquisita la proprietà lo consente e se sull’area si
è insediata un’attività di interesse collettivo.
Sul diritto pubblico di transito.
14. Passando al punto centrale del ricorso, occorre
precisare che il diritto pubblico di transito può coincidere
con una servitù privatistica a favore di un ente pubblico,
ma può anche emergere in modo autonomo dalla sistemazione
dei luoghi impressa dall’amministrazione per una finalità di
interesse collettivo.
15. Normalmente il tempo di formazione di un diritto
pubblico di transito coincide con quelli dell’usucapione
ordinaria. Si può tuttavia osservare la costituzione del
diritto pubblico in un termine molto inferiore, se il titolo
in base al quale è stata acquisita la proprietà lo consente
e se sull’area si è insediata un’attività di interesse
collettivo (v. TAR Brescia Sez. II 08.05.2013 n. 440).
16. Questo è quanto si è verificato nel caso in esame.
L’atto di acquisto del 15.06.1989 menziona espressamente
un diritto di transito sui mappali n. 416 e 737. Si tratta
di una ricognizione di diritti costituiti o acquisiti in
epoca anteriore, che corrisponde allo stato dei luoghi,
rimasto immutato. Pertanto, anche se il contratto è
intercorso tra il Comune e soggetti diversi dai danti causa
dei ricorrenti, si può ravvisare in questo documento la
prova dell’esistenza di una servitù di passo, o quantomeno
il presupposto materiale di un simile diritto. Da qui in
avanti gli approfondimenti sul piano privatistico spettano
al giudice ordinario, ma per quanto rileva nel presente
giudizio occorre sottolineare che su questo presupposto si è
innestata l’azione amministrativa. Il Comune ha infatti
ristrutturato gli edifici acquistati e ha attribuito agli
stessi una funzione pubblica, nella specie dell’edilizia
residenziale pubblica. Di conseguenza, essendo intervenuta
una finalità di interesse collettivo, il transito ha
acquistato un rilievo pubblicistico.
17. Si sono dunque combinati gli elementi (titolo
privatistico non contrastante, apparenza dei luoghi,
asservimento a una funzione pubblica) che, indipendentemente
dal tempo trascorso, consentono di individuare la presenza
di un diritto pubblico di transito. Questa conclusione trova
sostegno nell’art. 22, comma 3, della legge 2248/1865 all. F.
In base a tale norma devono essere qualificati come parte
della viabilità pubblica tutti gli spazi e i vicoli interni
all’abitato, a meno che il titolo di proprietà non vi si
opponga, e purché ricorrano le seguenti caratteristiche: (a)
adiacenza alla via pubblica; (b) accesso dalla via pubblica;
(c) potenziale utilizzazione collettiva.
18. Si può quindi ritenere che sui mappali n. 416 e 737 si
sia stabilito, da quando il condominio comunale è stato
integrato nel programma di edilizia residenziale pubblica,
un diritto pubblico di transito.
19. La presenza di un accesso diretto tra il condominio
comunale e via Libertà non appare in contrasto con questa
ricostruzione. Si tratta infatti di un accesso autonomo, che
non è mai stato messo in qualche relazione con il transito
sui mappali n. 416 e 737. Inoltre, le caratteristiche e le
dimensioni di questo accesso non sono tali da consentire il
passaggio agevole dei veicoli, e neppure la sicurezza dei
pedoni. È quindi ragionevole supporre che il transito con
veicoli si sia sempre indirizzato verso i mappali n. 416 e
737.
20. In quanto titolare di un diritto pubblico di transito,
il Comune è tenuto a esercitare i poteri di regolamentazione
secondo gli ordinari principi che dirigono l’azione
amministrativa. Di conseguenza, il Comune non può limitarsi
a reprimere i tentativi di chiusura del percorso, ma deve
assicurarsi, attraverso la predisposizione di norme di
comportamento e l’effettuazione di controlli, che il
transito avvenga in condizioni di sicurezza e che i disagi
per i proprietari del sedime e dei fabbricati circostanti
siano ridotti al minimo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.10.2014 n. 1023 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO:
La sdemanializzazione di un bene pubblico, quando
non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da
altri atti o comportamenti univoci da parte
dell’amministrazione proprietaria i quali siano concludenti
e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare
la destinazione del bene stesso all’uso pubblico, oppure da
circostanze tali da rendere non configurabile un'ipotesi
diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della
funzione pubblica del bene.
Ne consegue che la sdemanializzazione non si può desumere
dal mero fatto che il bene non sia più adibito, per un certo
tempo a detto uso.
In ogni caso il Collegio
ritiene che nel caso in esame debba essere richiamato
l’orientamento secondo cui la sdemanializzazione di un bene
pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso,
deve risultare da altri atti o comportamenti univoci da
parte dell’amministrazione proprietaria i quali siano
concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima
di conservare la destinazione del bene stesso all’uso
pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non
configurabile un'ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia
al ripristino della funzione pubblica del bene. Ne consegue
che la sdemanializzazione non si può desumere dal mero fatto
che il bene non sia più adibito, per un certo tempo a detto
uso (in tal senso: Cons. Stato, IV, 14.12.2002, n. 6923) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.07.2014 n. 3408 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Affinché una strada possa essere qualificata
“pubblica” è necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la
stessa risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale
in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione)
idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia
stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso
pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione
di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per
soddisfare le esigenze di una collettività di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale.
A tal fine non è invece sufficiente la mera iscrizione della
strada nell’elenco delle strade comunali, la quale ha natura
meramente dichiarativa e presuppone –ma non sostituisce– la
titolarità del diritto di proprietà in capo all’ente
pubblico e la concreta destinazione del bene all’utilizzo da
parte di una collettività indeterminata di persone (e non
soltanto di quei soggetti che si trovano in posizione
qualificata rispetto al bene gravato).
Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità del
ricorso per genericità dei motivi formulata dalla difesa
comunale, dal momento che sia il ricorso che i motivi
aggiunti prospettano censure specifiche e chiaramente
comprensibili, sostanzialmente finalizzate alla
dimostrazione della natura “non pubblica” della stradina in
contestazione, con conseguente insussistenza del presupposto
essenziale di entrambi gli atti impugnati.
Nel merito, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti
sono fondati e vanno accolti, nei termini e nei limiti qui
di seguito precisati.
Entrambi gli atti impugnati si fondano sul presupposto
secondo cui la strada Campagnola sarebbe di proprietà
comunale: il che sarebbe dimostrato, sia dall’inclusione
della predetta strada nella classificazione delle strade
comunali operata dal consiglio comunale di Alpignano con una
delibera del 1979, sia dall’esame di una “mappa catastale
della zona” da cui risulterebbe che anche il tratto di
strada antistante il mappale 148 di proprietà della società
ricorrente farebbe parte della predetta strada Campagnola.
Osserva il collegio che gli elementi addotti dal Comune
non sono sufficienti ad attestare la proprietà comunale
della strada in contestazione.
Affinché una strada possa essere qualificata “pubblica” è
necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la stessa
risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in
base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo
a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata
costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e
che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà
espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le
esigenze di una collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad una comunità territoriale (Consiglio di
Stato, sez. VI, 08.10.2013, n. 4952; TAR Piemonte, sez. II, 27.06.2013, n. 820; TAR Trento, sez. I 21.11.2012, n. 341).
A tal fine non è invece sufficiente la mera iscrizione della
strada nell’elenco delle strade comunali, la quale ha natura
meramente dichiarativa e presuppone –ma non sostituisce– la
titolarità del diritto di proprietà in capo all’ente
pubblico e la concreta destinazione del bene all’utilizzo da
parte di una collettività indeterminata di persone (e non
soltanto di quei soggetti che si trovano in posizione
qualificata rispetto al bene gravato) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.06.2014 n.
1055 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e
giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione
delle parti, bensì il “petitum sostanziale”, il quale va
identificato non solo e non tanto in funzione della concreta
pronuncia che si chiede al giudice (vale a dire nella
domanda di annullamento di atti amministrativi) ma anche e
soprattutto in funzione della causa petendi cioè
dell'intrinseca natura della controversia dedotta in
giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti
allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono
manifestazione.
---------------
Rientrano nella giurisdizione del g.o. le controversie
relative all’impugnazione di provvedimenti amministrativi
allorché la parte ricorrente contesti la demanialità
dell'area stessa in quanto non investano vizi dell'atto
amministrativo, ma si esauriscano nell'indagine sulla
titolarità della proprietà e, quindi, rivolte alla tutela di
posizioni di diritto soggettivo.
---------------
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o
gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata
assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della
pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di
pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della
natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di
godimento da parte della collettività mediante un'azione
negatoria di servitù; ne consegue che la controversia circa
la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa
l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada
privata, è devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché
investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di
diritti soggettivi, dei privati o della p.a..
---------------
Secondo giurisprudenza pacifica è da ricondurre alla nozione
di strada vicinale di uso pubblico la strada che:
a) per le sue dimensioni, struttura, e condizioni consente
un generale passaggio esercitato "iure servitutis publicae"
da parte di una collettività indeterminata di persone in
assenza di restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà
o condominio;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è contraddistinta da un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche
identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo
immemorabile;
d) è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte
del Comune e di installazioni, sopra o sotto di essa, di
infrastrutture di servizio da parte dell'ente pubblico
(telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).
E’ altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da
parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per
un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata
destinazione all'uso pubblico, occorrendo fatti concludenti
ed univoci atti a comprovare il venir meno delle esigenze di
utilizzo generale.
---------------
Il questionario fatto compilare dal Comune ad un gruppo di
cittadini appartenenti al bacino d’utenza della strada non è
di per sé sufficiente allo scopo poiché, tuttalpiù, esso
comprova la generica permanenza dell’interesse all’uso della
strada “uti singuli” da parte di un gruppo limitato di
persone e non già di una collettività indeterminata “iure
servitutis publicae”; inoltre, la mera tolleranza dei
proprietari interessati, secondo costante giurisprudenza,
impedisce la costituzione sia di una servitù pubblica di
passaggio per uso ultraventennale sia per effetto di dicatio
ad patriam.
Parimenti non costituiscono elementi decisivi idonei a
comprovare l’uso pubblico né l’inserimento nella
toponomastica comunale, né l’avvenuta posa in opera di una
tubazione idrica per servire alcuni utenti, in assenza di
altri elementi comprovanti la manutenzione pubblica della
strada vicinale.
Come noto, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice
ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la
prospettazione delle parti, bensì il “petitum sostanziale”,
il quale va identificato non solo e non tanto in funzione
della concreta pronuncia che si chiede al giudice (vale a
dire nella domanda di annullamento di atti amministrativi)
ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi cioè
dell'intrinseca natura della controversia dedotta in
giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti
allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono
manifestazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez IV
02.03.2011, n. 1360; Cassazione Sezioni Unite 26.01.2011, n. 1767; TAR Campania - Napoli, sez. V, 01.04.2011, n. 1909).
Con l’azione in epigrafe l’odierna ricorrente, al di là
della formale domanda di annullamento degli atti impugnati,
contesta la sussistenza dei presupposti per il ripristino
dell’uso pubblico della strada vicinale per cui è causa, ed
in particolare lamenta l’illegittimità dell’esercizio del
potere con cui l’Amministrazione ha ripristinato l’idoneità
all’uso pubblico, implicitamente revocando le proprie
opposte e ripetute precedenti manifestazioni di volontà
espresse al riguardo.
Ciò premesso, secondo giurisprudenza consolidata da cui il
Collegio non ha ragione di discostarsi, rientrano nella
giurisdizione del g.o. le controversie relative
all’impugnazione di provvedimenti amministrativi allorché la
parte ricorrente contesti la demanialità dell'area stessa
(ex multis Consiglio di Stato sez. VI 14.11.2012, n.
5741; id. sez. IV 05.06.2012 n. 3298; id. sez. VI, 29.05.2002, n. 2972; TAR Campania-Napoli, sez VII,
07.06.2012, n. 2715; Cassazione civile Sez. Un. 27.01.2010, n. 1624; id. Sez. Un. 18.04.2003, n. 6347) in
quanto non investano vizi dell'atto amministrativo, ma si
esauriscano nell'indagine sulla titolarità della proprietà
e, quindi, rivolte alla tutela di posizioni di diritto
soggettivo.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o
gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata
assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della
pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di
pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria
della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto
di godimento da parte della collettività mediante un'azione
negatoria di servitù; ne consegue che la controversia circa
la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa
l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada
privata, è devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché
investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di
diritti soggettivi, dei privati o della p.a. (Cassazione
civile sez. un. 27.01.2010 n. 1624).
Nel caso di specie, è invece evidente la giurisdizione del
giudice amministrativo, poiché la controversia investe
esattamente la legittimità dell’esercizio di un potere
autoritativo, riconducibile all’autotutela con funzione di
riesame, seppur implicita, rispetto a precedenti
manifestazioni di volontà incompatibili con l’impugnato
provvedimento, da ascriversi alla materia del “governo del
territorio”, devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a.
(art. 133, c. 1, lett. f) cod. proc. amm.). Entro tale ambito
di giurisdizione, spetta al giudice amministrativo oltre la
cognizione diretta sul corretto esercizio del potere di
ripristino del pubblico transito, quella in via incidentale
ex art. 8 cod. proc. amm. sui sottostanti diritti reali, se
necessaria per pronunciare sulle questioni principali (ex multis TAR Calabria-Catanzaro
05.03.2003, n. 523; TAR Emilia Romagna-Parma 25.05.2005, n. 287).
Va pertanto affermata la giurisdizione dell’adito TAR.
---------------
Come noto e
ben riassunto dalle stesse difese, secondo giurisprudenza
pacifica (ex multis Consiglio di Stato sez. IV 08.06.2011, n. 3509; id. sez. V 19.04.2013 n. 2218; Cassazione
civ. sez. II n. 7718/1991; TAR Toscana sez. I 28.01.2013, n. 136; TAR Campania Napoli 19.12.2012,
n. 5250) è da ricondurre alla nozione di strada vicinale di
uso pubblico la strada che:
a) per le sue dimensioni,
struttura, e condizioni consente un generale passaggio
esercitato "iure servitutis publicae" da parte di una
collettività indeterminata di persone in assenza di
restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà o
condominio;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è
contraddistinta da un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche
identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo
immemorabile;
d) è stata oggetto di interventi di
manutenzione da parte del Comune e di installazioni, sopra o
sotto di essa, di infrastrutture di servizio da parte
dell'ente pubblico (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).
E’ altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da
parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per
un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata
destinazione all'uso pubblico, occorrendo fatti concludenti
ed univoci atti a comprovare il venir meno delle esigenze di
utilizzo generale (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V 30.11.2011, n. 6338; id. sez. IV,
07.09.2006 n.
5209; TAR Liguria sez. II 19.05.2011, n. 799; TAR
Umbria 21.09.2004, n. 545).
L’Amministrazione resistente, sulla base di precise
ricognizioni effettuate nel periodo 1997-2006 dai propri
organi tecnici depositate in giudizio (sopra specificate)
sulle condizioni morfologiche dei luoghi, ha escluso non
solo l’idoneità all’uso pubblico ma anche la stessa
qualificazione quale strada, in considerazione, tra l’altro:
- dell’irregolarità del sedime (in alcuni tratti sterrato ed
in altri costituito da terreno vegetativo)
- del pessimo
stato di manutenzione e della notevole pendenza di alcuni
tratti (tale da impedire il transito dei veicoli)
-
dell’assenza di collegamento con la strada pubblica e
l’esistenza di tratti di strade alternativi per il
collegamento tra San Carlo e San Bartolomeo.
Conseguentemente, ha coerentemente deciso di procedere
all’espressa sdemanializzazione della strada vicinale in
questione.
Di li a poco, e precisamente nel mese di novembre 2006, ha
esercitato un repentino “ius poenitendi” senza effettuare
l’indispensabile valutazione tecnica sull’opportunità di
considerare tutt’ora prevalente l’esigenza pubblica del
ripristino della situazione precedente per tutta o solo una
parte della strada stessa, si da contravvenire alle
risultanze precedentemente raggiunte, come accertato dalla
sentenza 592/2009 di annullamento delle deliberazioni di
revoca.
Come condivisibilmente argomentato dalla difesa della
ricorrente, la nuova deliberazione C.C. 270/2010 qui
impugnata, da una parte, interviene a disciplinare la
questione dell’uso pubblico in costanza di proprie
precedenti deliberazioni tutt’ora valide ed efficaci, per
effetto della sentenza 592/2009 la quale, nell’annullare la
revoca in autotutela, ne ha pienamente ripristinato ogni
efficacia; d’altra parte, la deliberazione impugnata è
espressione del potere dell’Amministrazione di rinnovare le
proprie precedenti valutazioni, nel rispetto dei vincoli
conformativi derivanti dalla sentenza, vale a dire
effettuando una più approfondita valutazione tecnica sullo
stato dei luoghi e sulla idoneità all’uso pubblico.
Non ritiene il Collegio che la suesposta rinnovata
valutazione sia idonea a dimostrare la sopravvenienza di
fatti o la logica diversa valutazione di circostanze già
accertate dai numerosi pareri tecnici dell’Amministrazione
poste a fondamento della deliberazione di sdemanializzazione,
oltre che dalle risultanze emerse dalle perizie disposte in
sede penale e dalla CTU depositata in sede civile.
Da una parte, il questionario fatto compilare dal Comune ad
un gruppo di cittadini appartenenti al bacino d’utenza della
strada non è di per sé sufficiente allo scopo poiché, tuttalpiù, esso comprova la generica permanenza
dell’interesse all’uso della strada “uti singuli” da parte
di un gruppo limitato di persone e non già di una
collettività indeterminata “iure servitutis publicae”;
inoltre, la mera tolleranza dei proprietari interessati,
secondo costante giurisprudenza, impedisce la costituzione
sia di una servitù pubblica di passaggio per uso
ultraventennale (Consiglio di Stato sez. V 28.01.1998
n. 102) sia per effetto di dicatio ad patriam (Cassazione
civ. sez. II 12.08.2002, n. 12167).
D’altronde, la contraddittorietà dell’operato del Comune
traspare apertamente dalla stessa motivazione della
deliberazione impugnata, laddove si afferma che in alcuni
tratti la strada sarebbe addirittura inesistente (pag. 4/5)
mentre alla successiva pag. 6 si evince che la strada
sarebbe aperta al pubblico transito da tempo immemorabile.
Se è vero che con l'introduzione dell'art. 21-quinquies
della L n. 241/1990, il potere di revoca ricomprende sia il
c.d. “ius poenitendi”, ossia la mutata valutazione
soggettiva dell’interesse pubblico, sia ogni diversa
valutazione per il sopravvenuto mutamento delle circostanze
di fatto o di diritto che costituivano il fondamento della
decisione (Consiglio di Stato sez. V 05.07.2011 n. 4028;
id. sez. V 21.04.2010, n. 2244), esso non può certo
spingersi sino al disconoscimento dei fatti obiettivamente
accertati, nella specie la natura e la morfologia della
strada, posti a fondamento dell’attività oggetto
dell’autotutela, a pena di evidente travisamento e sviamento
della funzione pubblica.
Parimenti non costituiscono elementi decisivi idonei a
comprovare l’uso pubblico né l’inserimento nella
toponomastica comunale, né l’avvenuta posa in opera di una
tubazione idrica per servire alcuni utenti, in assenza di
altri elementi comprovanti la manutenzione pubblica della
strada vicinale (TAR Umbria,
sentenza 23.05.2013 n. 304 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della classificazione e declassificazione
delle strade, le definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3,
cod. str., non impediscono di ricomprendere le piazze nella
nozione di strada a mente del comma 1 del medesimo articolo
secondo cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente
codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico
destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali>>.
Tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma
sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel
disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<…
attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre
vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli
attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in correlazione
con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2, cod. str.
-secondo cui <<1. La sicurezza delle persone, nella
circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di
ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. 2. La
circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali sulle
strade è regolata dalle norme del presente codice…>>- e
dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248, all. F
(disposizione non abrogata, ed espressamente mantenuta in
vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale include tra le
strade comunali, fra l’altro, anche le piazze; in armonia
con il delineato quadro normativo si colloca la consolidata
giurisprudenza, che individua a tutti i fini (civili,
penali, tributari) la nozione di strada in senso ampio,
facendo leva sulla caratteristica della destinazione ad uso
pubblico.
Ai fini della classificazione e declassificazione delle strade, le
definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3, cod. str., non
impediscono di ricomprendere le piazze nella nozione di
strada a mente del comma 1 del medesimo articolo secondo
cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente
codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico
destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali>>;
tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma
sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel
disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<…
attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre
vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli
attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in
correlazione con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2,
cod. str. -secondo cui <<1. La sicurezza delle persone,
nella circolazione stradale, rientra tra le finalità
primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo
Stato. 2. La circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli
animali sulle strade è regolata dalle norme del presente
codice…>>- e dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248,
all. F (disposizione non abrogata, ed espressamente
mantenuta in vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale
include tra le strade comunali, fra l’altro, anche le
piazze; in armonia con il delineato quadro normativo si
colloca la consolidata giurisprudenza, che individua a tutti
i fini (civili, penali, tributari) la nozione di strada in
senso ampio, facendo leva sulla caratteristica della
destinazione ad uso pubblico (cfr., fra le tante, Cass. pen.,
sez. IV, 17.12.2010, n. 2582; Cass. sez. trib., 06.08.2009, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 25.06.2008,
n. 17350; sez. II, 07.04.2006, n. 8204)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2447 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La strada in questione risulta inserita nella
delibera di Giunta municipale n. 436/993, contenente la
classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre
tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero
civico e la strada medesima è dotata della segnaletica
stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte
degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la
segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte
della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade
pubbliche.
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché
risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando
alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra
essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso
pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono
superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia
compiuto alcune opere sulla strada stessa.
Il ricorso è infondato.
Come documentato dal Comune resistente, e non contestato dal
ricorrente, la strada in questione risulta inserita nella
delibera di Giunta municipale n. 436 del 1993, contenente la
classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre
tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero
civico e la strada medesima è dotata della segnaletica
stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte
degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la
segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte
della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade
pubbliche (cfr. Tar Catanzaro, sentenza n. 643 del 2008).
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché
risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando
alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra
essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso
pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono
superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia
compiuto alcune opere sulla strada stessa.
Tanto più che l’unica opera veramente incompatibile con la
proprietà pubblica e soprattutto con l’uso pubblico della
medesima è stata la recinzione del terreno, che ha appunto
determinato la reazione dell’Amministrazione mediante i
provvedimenti impugnati.
La strada, peraltro, come risulta dalla relazione tecnica
allegata alla d.i.a., ha funzione di collegamento e raccordo
con la viabilità esistente, ed anche questo elemento depone
in modo rilevante per la natura pubblica della stessa (cfr.
Consiglio di Stato, sentenza n. 5596 del 2013).
La circostanza, dedotta nel ricorso, che essa non sia idonea
alla circolazione veicolare (con auto o moto) non elimina
l’uso pubblico che finora ne è stato fatto, ma semmai
riguarda la possibilità che la medesima possa essere
utilizzata a tal fine per l’avvenire, da parte
dell’Amministrazione proprietaria, la quale dovrà ovviamente
verificare ed impedire tale uso veicolare qualora, e nei
limiti in cui, esso sia effettivamente in contrasto con le
norme di sicurezza e di circolazione stradale (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 05.05.2014 n. 212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Classificazione di una strada come pubblica.
Costante giurisprudenza amministrativa afferma che per
classificare una data strada come pubblica l’atto di
inclusione nei relativi elenchi, che ha valore soltanto
dichiarativo, costituisce una presunzione semplice,
superabile avuto riguardo alla concreta situazione della
strada stessa.
La strada pubblica, infatti, si caratterizza
per essere interessata dal passaggio di una collettività di
persone appartenenti ad un medesimo gruppo territoriale,
tipicamente i cittadini del Comune o di una frazione; per
essere in concreto idonea a soddisfare, anche per il
collegamento con la via pubblica, esigenze di generale
interesse; per essere assistita da “titolo valido a
sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che
può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile”.
A tali elementi, se ne aggiunge uno
ulteriore, ovvero la necessità di considerare “il
comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel
settore dell'edilizia e dell'urbanistica”, ovvero in termini
banali di verificare se il Comune il quale assume l’uso
pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo, curando la
manutenzione della strada ed eventualmente adeguandola al
transito della generalità dei cittadini.
1. Alla decisione del presente ricorso si applicano i
principi e criteri evidenziati per analoga fattispecie nella
sentenza di questo Tribunale sez. I 21.11.2011 n. 1772, che
si riassumono di seguito per chiarezza espositiva.
2. In tema di riparto di giurisdizione allorquando, come
nella specie, sia controverso il carattere pubblico ovvero
privato di una strada, un costante orientamento
giurisprudenziale afferma anzitutto che spetta non al
Giudice amministrativo adito nella sede presente, ma alla
Autorità giudiziaria ordinaria, la giurisdizione sulla “controversia
promossa dal privato per negare che il proprio fondo sia
gravato da una servitù di pubblico transito affermata da un
provvedimento della P.A.”, il quale in tal caso assume
efficacia meramente dichiarativa, non già costitutiva.
3. In tal caso, l’attore chiede infatti l'accertamento
dell'esistenza e dell'estensione di un diritto soggettivo,
in quanto “contesta in radice il potere
dell'amministrazione comunale di ‘classificazione’ delle
strade di uso pubblico, per mancanza del suo presupposto”;
non si duole invece dei criteri seguiti per l’esercizio del
potere stesso, ipotesi nella quale sussisterebbe invece la
giurisdizione del giudice amministrativo: in tali esatti
termini, Cass. civ. S.U. 17.03.2010 n. 6406, da cui tutte le
citazioni; conforme altresì, fra le più recenti, anche Cass.
civ. S.U. 27.01.2010 n. 1624.
4. Solo apparentemente contraria, sempre nella
giurisprudenza recente, è Cass. civ. S.U. 24.12.2009 n.
27366, la quale, come risulta a lettura della motivazione
completa, riguarda una vicenda di segno opposto, in cui un
Comune, evidentemente con un atto di carattere autoritativo,
aveva preteso di escludere il pubblico passaggio su una
strada, considerandola privata.
5. Ad escludere la giurisdizione ordinaria in favore di
quella amministrativa, infine, non vale nemmeno la presenza
di un “provvedimento” di classificazione come
pubblica della strada per la quale è causa: tale preteso
provvedimento, infatti, meglio si qualificherebbe come mero
atto, dal momento che ha efficacia soltanto dichiarativa, e
non già costitutiva, come puntualizzato dalla citata Cass.
civ. 1624/2010.
6. In tali termini, non va condivisa la isolata TAR Umbria
22.11.2002 n. 845 da essa citata, secondo il quale una
controversia di tal tipo dovrebbe comunque rientrare nella
giurisdizione amministrativa in quanto inerente in generale
ad un “uso del territorio” e quindi ricompresa nel
disposto dell’allora vigente art. 34 d.lgs. 31.03.1998 n.
34. Si risponde, sulla scorta della giurisprudenza
successiva, e in primo luogo della nota C. cost. 06.07.2004
n. 204, oltre che della già citata Cass. 6406/2010, che la
giurisdizione esclusiva in parola ha pur sempre come
presupposto un agire autoritativo della p.a., e quindi una
compresenza nella fattispecie di diritti soggettivi ed
interessi legittimi; non può quindi estendersi a casi in
cui, come nella specie, si controverta esclusivamente di
diritti soggettivi.
7. Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere
la questione del carattere pubblico ovvero privato di una
strada allorquando sia richiesto di risolverla non già come
questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia
di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero
alla questione, dedotta in via principale –e all’evidenza
rientrante nella sua giurisdizione- concernente la
legittimità di un provvedimento che in senso ampio imponga
una certa regolamentazione dell’uso della strada: ciò
presuppone infatti che di uso pubblico e non privato si
tratti, e quindi che appunto si sia di fronte ad una strada
non privata. In tali termini, fra le molte, C.d.S. sez. IV
07.09.2006 n. 5209 e, fra le pronunce di primo grado, TAR
Campania Salerno sez. II 07.06.2010 n. 8536; Sardegna sez.
II 17.03.2010 n. 312; Valle d'Aosta 13.11.2009 n. 86;
Calabria Catanzaro sez. I 01.04.2009 n. 323 e Toscana sez.
III 06.11.2007 n. 3599.
8. Applicando i principi appena delineati al caso di specie,
la prima conseguenza è la necessità di dichiarare il difetto
di giurisdizione in favore dell’A.G.O. così come in
dispositivo quanto alla domanda di “annullamento”
della deliberazione consiliare del Comune di Mapello
54/2007, nella parte in cui classifica come comunale la via
Quarenghi per cui è causa.
9. Così come affermato, fa le molte, da C.d.S. sez. V
17.09.2012 n. 4317, ai fini del riparto della giurisdizione
tra giudice ordinario e amministrativo, “rileva non già
la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale”
il quale va identificato “in funzione dell'intrinseca
natura della controversia dedotta in giudizio, individuata
dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto
all'interno del quale essi si manifestano”.
10. In tali termini, è allora chiaro che la domanda di
annullamento in questione, essendo volta, come obiettivo
concreto, a contestare il carattere comunale della via
Quarenghi, va riqualificata come domanda di accertamento
negativo di tale carattere, fondata sull’incertezza che
l’atto comunale, ancorché non provvedimentale, ha creato in
merito, e come tale, per quanto detto, appartiene alla
giurisdizione dell’A.G.O. In tal sede, quindi, si dibatterà
anche delle eventuali questioni che coinvolgono Santo
Gandolfi.
11. Va invece decisa nel merito, e risulta fondata, la
domanda di annullamento della nota 23.10.2006 prot. n. 8340,
che come risulta a semplice lettura intende disciplinare
autoritativamente la circolazione sulla via Quarenghi, nella
specie diffidando i frontisti, sul presupposto evidente che
di strada pubblica si tratti, dal posizionarvi segnali di
divieto a protezione dei loro domicili.
12. L’unico motivo dedotto in rapporto a tale atto,
incentrato sul carattere invece privato della via sulla
quale il Comune è intervenuto, è fondato e va accolto. In
generale, costante giurisprudenza amministrativa afferma che
per classificare una data strada come pubblica l’atto di
inclusione nei relativi elenchi, che come ricordato ha
valore soltanto dichiarativo, costituisce una presunzione
semplice, superabile avuto riguardo alla concreta situazione
della strada stessa. La strada pubblica, infatti, si
caratterizza per essere interessata dal passaggio di una
collettività di persone appartenenti ad un medesimo gruppo
territoriale, tipicamente i cittadini del Comune o di una
frazione; per essere in concreto idonea a soddisfare, anche
per il collegamento con la via pubblica, esigenze di
generale interesse; per essere assistita da “titolo
valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell'uso
stesso da tempo immemorabile”: così fra le molte C.d.S.
sez. V 04.02.2004 n. 373 nonché TAR Lazio Roma sez. II
03.11.2009 n. 10781; Lazio Latina 14.03.2008 n. 199 e Marche
10.10.2007 n. 1595.
13. A tali elementi, la recente C.d.S. sez. V 07.12.2010 n.
8624 ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la necessità di
considerare “il comportamento tenuto dalla Pubblica
Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica”,
ovvero in termini banali di verificare se il Comune il quale
assume l’uso pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo,
curando la manutenzione della strada ed eventualmente
adeguandola al transito della generalità dei cittadini.
14. A fronte di tutto ciò, i ricorrenti (cfr. loro documenti
f-h, copie atti notarili) hanno provato la loro proprietà
del sedime, e non è controverso che, allo stato, la strada
in questione serva solo ad accedere ai loro domicili
privati. Di contro il Comune non è stato in grado di
provarne un generalizzato uso pubblico, né un impegno
pubblico nella relativa manutenzione, a ciò non bastando (v.
memoria Comune 10.03.2014 p. 4) l’eventuale carattere di
opera di urbanizzazione della strada stessa, carattere che
in astratto può essere proprio anche di strade private.
15. Per completezza, va aggiunto che tutto ciò prescinde da
successivi eventuali interventi del Comune, fermo che gli
interessati potranno, secondo le regole generali, tutelarsi
in giudizio nei confronti dei relativi atti e provvedimenti,
e che quindi è infondata l’eccezione di improcedibilità che
su tale asserito ulteriore intervento si fonda (memoria
Gandolfi 14.03.2014) (massima tratta da www.lexambiente.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.04.2014 n. 451 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Costante giurisprudenza
ritiene legittimi presupposti per l’esercizio del potere di
tutela possessoria di diritto pubblico di una strada
vicinale –ai sensi dell’art. 378 dell’allegato F della legge
20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi dell’art. 15 D.Lgt.
01.09.1918 n. 1446- l'accertata preesistenza di fatto
dell'uso pubblico della strada (anche non da tempo
immemorabile, presupposto questo necessario solo in sede
petitoria innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria) e
della sopravvenienza di un’alterazione dei luoghi che
costituisca impedimento alla sua utilizzazione da parte
della collettività.
Con la precisazione che, ai fini dell’accertamento di tale
uso, non sono determinanti le risultanze catastali o
l’inclusione nell'elenco delle strade pubbliche -la
classificazione delle strade avendo, infatti, efficacia
presuntiva e dichiarativa, non costitutiva- bensì le
condizioni effettive in cui il bene si trova, atte a
dimostrare la sussistenza dei requisiti del passaggio
esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di
persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità
territoriale, della concreta idoneità della strada a
soddisfare (anche per collegamento con la pubblica via)
esigenze di interesse generale, di un titolo valido ad
affermare il diritto di uso pubblico (che può identificarsi
anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile).
In materia, costante giurisprudenza ritiene legittimi presupposti
per l’esercizio del potere di tutela possessoria di diritto
pubblico di una strada vicinale –ai sensi dell’art. 378
dell’allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai
sensi dell’art. 15 D.Lgt. 01.09.1918 n. 1446-
l'accertata preesistenza di fatto dell'uso pubblico della
strada (anche non da tempo immemorabile, presupposto questo
necessario solo in sede petitoria innanzi all’Autorità
giudiziaria ordinaria) e della sopravvenienza di
un’alterazione dei luoghi che costituisca impedimento alla
sua utilizzazione da parte della collettività (cfr., C.G.A.R.S., 18.06.2003 n. 244).
Con la precisazione che,
ai fini dell’accertamento di tale uso, non sono determinanti
le risultanze catastali o l’inclusione nell'elenco delle
strade pubbliche -la classificazione delle strade avendo,
infatti, efficacia presuntiva e dichiarativa, non
costitutiva- bensì le condizioni effettive in cui il bene
si trova, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del
passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale, della concreta idoneità della strada
a soddisfare (anche per collegamento con la pubblica via)
esigenze di interesse generale, di un titolo valido ad
affermare il diritto di uso pubblico (che può identificarsi
anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile) (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003,
n. 7831; id., 24.10.2000 n. 5692; id., Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 23.04.2014 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La semplice indicazione
di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali)
non è sufficiente al fine di accertarne la natura pubblica,
atteso che tali elenchi hanno natura dichiarativa e non
costitutiva.
---------------
La sussistenza dei presupposti necessari per poter
qualificare ad uso pubblico una strada sono:
a) il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità della strada, anche per il
collegamento con la via pubblica, a soddisfare esigenze di
interesse generale;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione di uso
pubblico.
Nemmeno, poi, risulta decisiva in
contrario l’affermazione secondo cui “il tratto di strada
denominata via Lamma, con inizio da piazza Matteotti e fine
alla via Incoronata, è di proprietà comunale ed è
inventariata nei beni demaniali di cui all’allegato C al n.
54, come riportato nella deliberazione di C.C. n. 9/1965”,
in quanto la semplice indicazione di una strada nell'elenco
delle strade comunali (o vicinali) non è sufficiente al fine
di accertarne la natura pubblica, atteso che tali elenchi
hanno natura dichiarativa e non costitutiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 1624 del 27.01.2010; Cons. di Stato sez. V, n. 8624
del 07.12.2010; TAR Valle d’Aosta n. 86 del 13.11.2009; TAR Calabria-Catanzaro n. 141 del
05.02.2008).
Peraltro, va notato, a quest’ultimo proposito, che l’operato
amministrativo risulta comunque connotato da poca chiarezza
(se non da errori), atteso che l’elenco di cui all’allegato
C della delibera di C.C. n. 9/1965, oltre a riferirsi alle
strade vicinali (e quindi non a quelle demaniali), si ferma
al n. 43 (e va detto che, verificando i detti elenchi, una
via Lamma “da piazza Trivione a via Incoronata” si rinviene
al n. 5 dell’allegato A - strade comunali urbane; ma ancora
nella memoria del 04.10.2013, il Comune intimato ribadisce
che la “strada comunale Lamma è riportata ancora oggi nei
beni demaniali del Comune di Gragnano, al n. 54
dell’allegato C alla delibera di Consiglio Comunale n. 9 del
10.04.1965. Non è stata mai sdemanializzata, né avrebbe
potuto essere oggetto di trasferimento tra privati”).
In definitiva, quindi, deve giudicarsi che la strada Lamma
in discussione, la quale il verificatore afferma essere
stata probabilmente esistente in loco in un tempo anteriore
al 1943, al più dovesse essere una via vicinale privata, non
essendovi prova della sussistenza dei presupposti necessari
per poterla qualificare ad uso pubblico [ovvero: a) il
passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale; b) la concreta idoneità della strada,
anche per il collegamento con la via pubblica, a soddisfare
esigenze di interesse generale; c) un titolo valido a
sorreggere l'affermazione di uso pubblico]; con la
conseguenza che deve presumersi che, caduta in disuso, ben
avrebbe potuto essere compravenduta dai privati proprietari
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.02.2014 n.
1151 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'inserimento di una via nell'elenco delle vie
pubbliche non ha alcuna valenza provvedimentale, trattandosi
di mero atto ricognitivo di una situazione di fatto di cui è
presupposta una posizione dominicale (proprietà o servitù di
uso pubblico), la cui cognizione è pacificamente devoluta al
giudice ordinario.
Una cognizione incidentale sulla classificazione pubblica o
privata di una via è consentita al giudice amministrativo
solo ove finalizzata alla risoluzione di un contenzioso
avente ad oggetto in principalità un provvedimento
amministrativo (si pensi all'ipotesi in cui la
classificazione della via rilevi al fine di valutare la
legittimità di un titolo edilizio rilasciato in relazione a
quella particolare area).
Ove, per contro, la controversia sia in realtà volta a
stabilire la sussistenza di un diritto di proprietà o di una
servitù di uso pubblico, l'oggetto della controversia è
devoluto alla cognizione del giudice ordinario.
---------------
E' consolidato l'orientamento interpretativo che predica
l’equiparazione delle strade vicinali assoggettate a
pubblico transito alle strade pubbliche in senso proprio,
per ciò che concerne l’assoggettamento alla disciplina delle
distanze dalle costruzioni.
Il terzo
profilo di censura attiene alla contestata natura pubblica
della strada, dalla quale dovrebbe calcolarsi la distanza
dei 5,00, mt, ai sensi dell'art. 11, punto A.2 delle n.t.a..
Il vincolo distanziale rileva per i manufatti B-C-D-E-M. La
parte ricorrente sostiene che la strada dal cui ciglio
dovrebbero dipartirsi il margine dei 5 metri è di proprietà
privata, e come tale è esente da qualsiasi fascia di
rispetto. Ciò si desumerebbe dal fatto che la cartografia
del P.R.G. non classifica la strada come pubblica.
La parte resistente, per contro, fa rilevare come la strada
in questione sia da tempo inserita nell’elenco delle vie
comunali, sub 46, con la denominazione “strada comunale Chiovenda”.
A chiarimento sui limiti della giurisdizione del giudice
amministrativo in subiecta materia, occorre ricordare che
l'inserimento di una via nell'elenco delle vie pubbliche non
ha alcuna valenza provvedimentale, trattandosi di mero atto
ricognitivo di una situazione di fatto di cui è presupposta
una posizione dominicale (proprietà o servitù di uso
pubblico), la cui cognizione è pacificamente devoluta al
giudice ordinario. Una cognizione incidentale sulla
classificazione pubblica o privata di una via è consentita
al giudice amministrativo solo ove finalizzata alla
risoluzione di un contenzioso avente ad oggetto in
principalità un provvedimento amministrativo (si pensi
all'ipotesi in cui la classificazione della via rilevi al
fine di valutare la legittimità di un titolo edilizio
rilasciato in relazione a quella particolare area).
Ove, per contro, la controversia sia in realtà volta a
stabilire la sussistenza di un diritto di proprietà o di una
servitù di uso pubblico, l'oggetto della controversia è
devoluto alla cognizione del giudice ordinario.
Nel caso di specie risulta evidente che oggetto di
impugnazione è un provvedimento amministrativo e che la
parte ricorrente ha interesse a che si riconosca la
sussistenza della natura privata della via solo in funzione
della declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato.
Considerato, quindi, il petitum sostanziale della pretesa
azionata, non può che rilevarsi che il medesimo è devoluto
alla cognizione del giudice amministrativo.
La confutazione della natura pubblica della strada
discenderebbe, secondo i rilievi della parte ricorrente, dal
dissidio tra la descrizione contenuta nell’elenco delle
strade comunali (“dalla strada comunale due Fonne - n. 45 -
si dirige verso giorno e poi svolta verso mattino”) e
l’effettivo andamento del tracciato che cinge la proprietà
ricorrente, il quale svolta (non già vero mattino ma) verso
sera.
L’argomento, tuttavia, non appare decisivo, per una serie di
considerazioni che di seguito si vanno a esporre.
Innanzitutto, il tracciato in questione, come riportato
sulle mappe, nel suo primo tratto si indirizza verso giorno
(est), poi svolta verso mattino (sud) e solo nel suo ultimo
tratto si orienta verso sera (ovest). La descrizione
contenuta nell’elenco delle strade comunali è quindi
parziale o imprecisa, ma non del tutto incoerente con la
conformazione effettiva della strada.
Ciò che più conta, poi, è che tanto la larghezza (3 mt)
quanto la lunghezza (240 mt) della strada (riportate nel
citato elenco), non sono state contestate come inveritiere
da parte ricorrente e pertanto, per quanto consta,
corrispondono a quelle del tracciato effettivamente
confinante con il mappale 74.
Ancora, appare di rilievo il fatto che non sia stata fornita
alcuna indicazione plausibile circa l’esistenza di ulteriori
tracciati viari eventualmente confondibili con quello per
cui è causa e ai quali potrebbe attagliarsi la descrizione
contenuta al sub 46 nell’elenco delle vie comunali.
Ferme le considerazioni che precedono, l’argomento
decisivo a favore della sussistenza del limite distanziale
lo si ricava dal fatto che nella stessa cartografia allegata
al PRG la strada in questione è indicata come “vicinale”, e
su questa definizione minima paiono concordare le stesse
parti contendenti. A ciò si aggiunge il dato, suffragato,
almeno in via presuntiva, dalle stesse allegazioni delle
parti e dagli elementi descrittivi versati in atti,
dell’assoggettamento ad uso pubblico della strada (cfr.
Cass. civ., sez. II, 10.10.2007, n. 21245).
In tal
senso rileva il fatto che lungo il suo tracciato non si
riscontrino opere di interclusione al libero passaggio; che
quindi la stessa conformazione del tracciato rende
plausibile la sua libera percorrenza a vantaggio della
collettività; che, infine, non vi siano tracce di attività
di gestione o di manutenzione della strada riconducibili ad
iniziative e interessi privati. Non sussistono elementi,
pertanto, per ipotizzare che la strada rientri
nell’esclusiva disponibilità dei proprietari dei fondi
antistanti, sì da configurarsi come strada vicinale preclusa
all’accesso pubblico.
Dai dati evidenziati, si desume al contrario
l’assoggettamento della strada all’uso pubblico, dal che
consegue il suo legittimo inserimento nel sistema viario
cittadino preso in considerazione dalle N.T.A. ai fini della
regolamentazione delle fasce di rispetto.
A questa conclusione si perviene in ragione del
consolidato orientamento interpretativo che predica
l’equiparazione delle strade vicinali assoggettate a
pubblico transito alle strade pubbliche in senso proprio,
per ciò che concerne l’assoggettamento alla disciplina delle
distanze dalle costruzioni (Cass. civ. sez. II, 19.02.1993, n. 2025; Id. 12.02.1994, n. 1429; id 27.12.2011, n. 28938).
Nello stesso senso depone l’art. 11 delle N.T.A. del
P.R.G.C., il quale, nell’imporre l’osservanza della fascia
di rispetto dalle pubbliche vie, fa riferimento a tutte le
strade appartenenti alla rete viaria di interesse pubblico,
siano esse di proprietà pubblica o semplicemente subordinate
all’uso pubblico. Sicché anche una strada vicinale
assoggettata ad uso pubblico, in quanto rilevante ai fini
della fruizione collettiva, deve intendersi assoggetta al
regime della fasce di rispetto.
In conclusione, dovendosi riconoscere la vincolatività
del limite distanziale non rispettato, va respinta la
dedotta illegittimità delle determinazioni provvedimentali
impugnate. Il ricorso iscritto ad R.G. 1389/2007 non può
quindi trovare accoglimento (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.02.2014 n. 323 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Il concetto di “utente” di strada vicinale
soggetta a pubblico transito, come emergente dall’art. 1 del
D.L.Lgt. n. 1446 del 1918, deve necessariamente essere
considerato e interpretato in senso maggiormente estensivo
rispetto alla definizione (oltremodo restrittiva) datane in
ricorso; ciò in coerenza e nel rispetto della ratio della
norma stessa.
L’art. 1, al primo comma, stabilisce infatti che: “Gli
utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a
pubblico transito, possono costituirsi in Consorzio per la
manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse”.
La norma intende individuare detta utenza mediante un
criterio del tutto oggettivo, che pone a confronto la
situazione dei luoghi e delle proprietà e/o dei soggetti
utilizzatori dei terreni, con il percorso della strada
vicinale, in modo da includere nell’elenco dei soggetti
utenti della strada tutti coloro i cui terreni siano
oggettivamente, direttamente raggiungibili percorrendo la
strada vicinale e ciò evidentemente a prescindere da quale
sia l’effettivo concreto utilizzo di quel percorso da parte
dei soggetti interessati e, ulteriormente, a prescindere
dall’esistenza, in zona, di altri tragitti che consentono di
accedere ai loro fondi.
In buona sostanza, il concetto di utente della strada voluto
dalla citata disposizione, individua il soggetto i cui fondi
possono essere direttamente raggiunti percorrendo la stessa.
Nella fattispecie in esame, pertanto, ove non è contestato
che i terreni di proprietà della ricorrente siano
raggiungibili direttamente percorrendo la strada vicinale di
cui è causa, anche attraverso il tratto di essa non soggetto
all’uso pubblico, il Collegio ritiene che del tutto
legittimamente, sulla base delle motivate argomentazioni
svolte nella deliberazione consiliare impugnata, il Comune
abbia incluso la ricorrente tra gli utenti della strada
vicinale obbligati a consorziarsi.
... per l'annullamento della deliberazione del Consiglio
comunale di Monzuno avente ad oggetto l’approvazione della
costituzione del consorzio obbligatorio della strada
vicinale di uso pubblico “Montorio – Pieve di Montorio –
Molinelli” tra gli utenti della strada, nella parte in cui
si respinge il reclamo della ricorrente diretto ad essere
esclusa dall’elenco degli utenti consorziati.
...
Il Collegio osserva che il ricorso non merita accoglimento.
Le argomentazioni della ricorrente sono dirette a
contrastare l’inclusione della stessa nell’elenco dei
soggetti partecipanti al Consorzio obbligatorio per la
gestione della strada vicinale di uso pubblico “Montorio –
Pieve di Montorio – Molinelli”, conferendo rilevanza a
considerazioni circa l’effettivo mancato utilizzo della
strada vicinale sia da parte della ricorrente –proprietaria
dei fondi– sia da parte del soggetto affittuario dei fondi
stessi. La ricorrente ritiene, in definitiva, di non essere
e di non potere essere in alcun modo considerata “utente”
della strada vicinale, mancando il necessario presupposto,
indicato nel D.L.lgt. n. 1446 del 1918, di essere soggetto
che per accedere alla sua proprietà deve necessariamente
utilizzare, ed in concreto, utilizza, la strada.
Secondo la prospettazione della ricorrente, anche lo Statuto
del Consorzio avallerebbe detta oltre modo restrittiva
interpretazione della normativa statale, ove, all’art. 3 si
dispone che “…fanno parte del Consorzio tutti i proprietari
di terreni e fabbricati, attività agricole, artigianali ed
industriali, che per accedere alle proprietà di pertinenza
debbano servirsi totalmente o anche solo parzialmente della
strada”. Pertanto, a dire della ricorrente, per essere
considerato quale utente della strada vicinale e, quindi,
obbligato al Consorzio, occorre che lo stato dei luoghi
imponga la necessità di servirsi proprio di quel percorso;
nella specie, invece, tale situazione non si verificherebbe,
dato che i fondi di cui è proprietaria non fronteggiano la
strada vicinale e dato che sia essa stessa sia il
coltivatore affittuario non si servano di quel tragitto per
accedere ai propri fondi.
Il Collegio ritiene che le predette considerazioni non
possano essere condivise, stante che il concetto di “utente”
di strada vicinale soggetta a pubblico transito, come
emergente dall’art. 1 del D.L.Lgt. n. 1446 del 1918, debba
necessariamente essere considerato e interpretato in senso
maggiormente estensivo rispetto alla definizione (oltremodo
restrittiva) datane in ricorso; ciò in coerenza e nel
rispetto della ratio della norma stessa.
L’art. 1, al primo comma, stabilisce infatti che: “Gli
utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a
pubblico transito, possono costituirsi in Consorzio per la
manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse”. La
norma intende individuare detta utenza mediante un criterio
del tutto oggettivo, che pone a confronto la situazione dei
luoghi e delle proprietà e/o dei soggetti utilizzatori dei
terreni, con il percorso della strada vicinale, in modo da
includere nell’elenco dei soggetti utenti della strada tutti
coloro i cui terreni siano oggettivamente, direttamente
raggiungibili percorrendo la strada vicinale e ciò
evidentemente a prescindere da quale sia l’effettivo
concreto utilizzo di quel percorso da parte dei soggetti
interessati e, ulteriormente, a prescindere dall’esistenza,
in zona, di altri tragitti che consentono di accedere ai
loro fondi.
In buona sostanza, il concetto di utente della
strada voluto dalla citata disposizione, individua il
soggetto i cui fondi possono essere direttamente raggiunti
percorrendo la stessa.
Nella fattispecie in esame, pertanto,
ove non è contestato che i terreni di proprietà della
ricorrente siano raggiungibili direttamente percorrendo la
strada vicinale di cui è causa, anche attraverso il tratto
di essa non soggetto all’uso pubblico (v. doc. n. 1 del
Comune), il Collegio ritiene che del tutto legittimamente,
sulla base delle motivate argomentazioni svolte nella
deliberazione consiliare impugnata, il Comune abbia incluso
la ricorrente tra gli utenti della strada vicinale obbligati
a consorziarsi.
Per le suesposte ragioni, il ricorso è respinto
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 11.02.2014 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: DICATIO AD PATRIAM, NOZIONE E PRESUPPOSTI.
La dicatio ad patriam -quale modo di costituzione di
servitù di uso pubblico- consiste nella destinazione
volontaria,
definitiva e gratuita, della proprietà immobiliare
al servizio della collettività, in assenza di riserve o
reazioni dei proprietari, al fine di soddisfare un'esigenza
comune ai membri di tale collettività uti cives,
indipendentemente
dai motivi per i quali tale comportamento
sia tenuto.
Tale accertamento, costituendo indagine di
mero fatto, è riservato al giudice del merito ed è perciò
insindacabile in sede di legittimità se sorretto da
motivazione
sufficiente e non contraddittoria.
Alcuni privati convennero avanti il Tribunale ordinario una
amministrazione comunale, chiedendone la condanna al
risarcimento
del danno per occupazione illegittima e irreversibile
trasformazione di suoli di loro proprietà, utilizzati per
il completamento della viabilità urbana. Il Comune chiese il
rigetto della domanda deducendo che quelle strade erano
state realizzate non solo in epoca risalente (prima del
1970)
ma anche che da sempre erano state utilizzate dalla
collettività
e solo in un secondo momento sistemate dall'amministrazione
con opere di bitumazione e interramento di
condotte e sotto-servizi.
Il Tribunale rigettò la domanda, al pari della Corte
d’appello
che, qualificatala come di “occupazione usurpativa” (poiché
lo spossessamento operato dal Comune non era stato
preceduto da dichiarazione di p.u.) recepì la tesi comunale
secondo cui i suoli, sui quali insistevano le strade, erano
stati in precedenza oggetto di dicatio ad patriam, sicché
agli attori non spettava corrispettivo o risarcimento
alcuno.
La sentenza è gravata in Cassazione con ricorso dei privati
-con richiesta d’integrale riforma- e con ricorso
incidentale
condizionato del Comune.
La Suprema Corte muove dalla considerazione che la Corte
del merito abbia ritenuto, fin dagli anni sessanta, che le
odierne parti private avessero iniziato a vendere parti
della
loro proprietà immobiliare secondo un più ampio progetto
di lottizzazione (ritenuta abusiva) di cui le strade,
realizzate
contestualmente alla costruzione delle prime unità
abitative,
costituivano parte indispensabile. Questo, osserva la
Corte, è evincibile dagli stessi atti di vendita successivi
al
1970, ove i medesimi privati riservarono a sé la proprietà
delle fasce di suolo destinate a strade e concessero la
servitù
di passaggio agli acquirenti. Tali strade, già dotate di
sotto-servizi, furono aperte al transito dei cittadini per
consentire
agli acquirenti dei lotti di raggiungere le loro abitazioni:
in questo contesto, il Comune provvide ad asfaltarle
e a costruire i marciapiedi.
La presenza di un tale contesto permette di ritenere
presente
una dicatio ad patriam consistente nella destinazione
volontaria, definitiva e gratuita, della proprietà
immobiliare
al servizio della collettività, in assenza di riserve o
reazioni
dei proprietari i quali, al contrario, erano implicitamente
consenzienti e avevano lucrato da quella destinazione
pubblicistica.
Osserva la Corte che la dicatio ad patriam, quale modo di
costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel
comportamento del proprietario che, se pur non
intenzionalmente
diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta
volontariamente, in modo univoco e con carattere di
continuità
(non di mera precarietà o di tolleranza), un proprio
bene a disposizione della collettività assoggettandolo al
correlativo uso al fine di soddisfare un'esigenza comune ai
membri di tale collettività uti cives, ossia
indipendentemente
dai motivi per i quali detto comportamento sia tenuto,
dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima. Tale
accertamento
di fatto, riservato al giudice del merito, è insindacabile
in sede di legittimità se sorretto da motivazione
sufficiente e non contraddittoria (v. Cass. n. 12167/2002,
n.
5262/1993).
Occorre quindi che sia verificato, da parte del giudice di
merito, se l’utilizzo delle strade era proprio della
collettività,
indistintamente, oppure dei soli frontisti o comproprietari
dei lotti urbanizzati: solo nel primo caso potrebbe
astrattamente
ammettersi l'esistenza di un uso pubblico rilevante
ai fini della dicatio ad patriam desumibile dal solo fatto
che
il proprietario abbia consentito il passaggio pubblico su
parte del proprio fondo (Cass. n. 4597/2013) o su una strada
privata di accesso ad alcuni edifici e di collegamento tra
strade pubbliche (Cass. n. 4207/2012). Né, soprattutto, la
dicatio è configurabile con riguardo a strade destinate al
servizio d’un determinato edificio o complesso di edifici,
indipendentemente
dal fatto che esse manchino di recinzioni
e siano inserite nella rete viaria pubblica della zona
(Cass.
n. 3761/1985).
Ancora, va escluso l'uso pubblico quando il
passaggio sia esercitato dai soli proprietari di determinati
fondi per la particolare ubicazione degli stessi o da chi
abbia
occasione di accedervi per esigenze connesse alla loro
privata utilizzazione (Cons. Stato, sez. V, n. 728/2012) (Corte
di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 05.02.2014 n. 2557 -
tratto da
Urbanistica e appalti n. 4/2014). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: LA CREAZIONE DI STRADE DI PERCORRENZA ALL’INTERNO
DI UN FONDO LOTTIZZATO NON COSTITUISCE DI PER SÉ
STESSA DICATIO AD PATRIAM.
Il comportamento del proprietario di un fondo suddiviso
in lotti, che abbia riservato spazi di transito su cui un
Comune abbia eseguito lavori di miglioramento delle
strade e realizzato opere di urbanizzazione non
necessariamente
comporta l’asservimento, a uso pubblico
dei fondi da parte del privato.
In tali casi è compito del
giudice di merito -laddove tale azione pubblica non sia
stata anticipata da declaratoria di p.u.- verificare se vi
sia stata dicatio ad patriam che -quale modo di
costituzione
di una servitù- postula un comportamento del
proprietario che destini volontariamente all’uso di una
collettività indistinta il bene di sua proprietà, con
carattere
di continuità e non di precarietà e tolleranza.
Un Comune appellava due sentenze, l'una parziale e l'altra
definitiva, di accoglimento della domanda proposta da un
privato per ottenere la condanna dell'Ente locale al
risarcimento
del danno patito per effetto dell'occupazione illegittima
accompagnata dall’esecuzione di opere di urbanizzazione
primaria su parte dei terreni di proprietà del privato,
destinati a vie di accesso a circa duecento piccoli lotti in
cui il privato aveva suddiviso il proprio fondo, ai fini
della
vendita a terzi per edilizia residenziale privata.
La Corte di appello, in accoglimento del gravame rigettava
l’originaria domanda del privato e dichiarava asserviti a
uso pubblico gli spazi destinati a strade e urbanizzati,
esistenti
sul fondo in questione. Riteneva che non fosse configurabile
alcuna occupazione acquisitiva da parte dell'ente,
perché il Comune –in assenza di declaratoria di pubblica
utilità– aveva eseguito lavori di miglioramento delle
preesistenti
strade e realizzato opere di urbanizzazione su strade,
pur già individuate e realizzate dallo stesso privato
all'interno
del suo fondo abusivamente lottizzato.
Ancora, statuiva
che andasse riconosciuto l'asservimento a uso pubblico
delle strade in questione per dicatio ad patriam, come
chiesto
in riconvenzione dal Comune, perché era emerso, dagli
atti di causa, che il privato avesse suddiviso i propri
fondi
in una serie di lotti da destinare all'edificazione
lasciando -
ai loro margini - appositi spazi per accedervi e che solo
successivamente questi fossero stati destinati al passaggio
dei diversi proprietari ed avessero costituito le strade di
accesso
a tutti i lotti. Il passaggio, quindi, era stato permesso
a quisque de populo, sicché era avvenuto per l'apertura a
pubblico transito e non per esercizio di concesse singole
servitù.
La sentenza è gravata dal privato per Cassazione, che cassa
con rinvio la sentenza, per due motivi.
Osserva il Giudice nomofilattico che la dicatio ad patriam,
quale modo di costituzione di una servitù, postula un
comportamento
da parte del proprietario che destini volontariamente
ad uso pubblico il bene di sua proprietà, seppur non
intenzionalmente ma con carattere di continuità (non di
precarietà e tolleranza). Deve trattari di una collettività
indeterminata
di persone, uti cives, con assoggettamento del
bene al relativo uso (cfr. Cass. n. 3761/1985; n. 875, 6924
e
7481/2001; n. 12167/2002; n. 4207 e 4597/2012).
La conclusione dell'intervenuta costituzione della servitù
pubblica di uso in virtù di dicatio ad patriam, presuppone,
oltre all'uso pubblico del bene, la volontà del proprietario
di
porlo a disposizione della collettività (Corte
di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 31.01.2014 n. 2121 -
tratto da
Urbanistica e appalti n. 4/2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Una
prima considerazione attiene alla valenza da attribuire alla
deliberazione di giunta municipale che abbia individuato, a
seguito della delimitazione del centro abitato, i tratti di
strade statali, regionali o provinciali che attraversano i
centri abitati con popolazione superiore a diecimila
abitanti.
E’ indubbio che tale delibera costituisce di per sé titolo
per il passaggio di proprietà alla stregua degli altri
titoli indicati dalla norma e, quindi, è idoneo presupposto
per la consegna delle strade o di tronchi di strade tra gli
enti, ove la delimitazione del centro abitato ne comporti la
classificazione come strada appartenente ad ente diverso da
quello della precedente classificazione.
-----------------
Altra questione riguarda il concetto di “centro abitato” ed
in particolare se la individuazione e delimitazione del
centro abitato, effettuata dalla giunta comunale ai fini del
citato art. 4 del Codice della Strada, sia derogabile ove il
Comune sia effettivamente articolato in più centri abitati e
se il riferimento demografico ai fini del passaggio delle
strade tra enti debba essere riferito al “centro abitato”
individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada o ai
centri abitati in cui è articolato il Comune dal punto di
vista topografico.
Ritiene il Collegio che la disciplina dettata dal Codice
della Strada non consente deroghe e per tutti gli aspetti
considerati dalla suddetta disciplina non possa che farsi
riferimento al “centro abitato” individuato ai fini
dell’art. 4 del Codice della Strada.
L’art. 2, comma 7, del Codice si riferisce a questa
accezione di centro abitato, atteso che parla di strade
comprese nel centro abitato.
Ne consegue in base alla medesima disposizione di legge, che
sono comunali le strade urbane di scorrimento, di quartiere
e locali che ricadono all’interno del centro abitato
delimitato con popolazione superiore ai diecimila abitanti,
mentre sono tratti interni di strade statali, regionali e
provinciali quelle che sono delimitate all’interno di un
centro abitato con popolazione inferiore ai diecimila
abitanti.
---------------
Dalla disciplina citata emerge con certezza che l’elemento
demografico non può che essere riferito al “centro abitato”
o ai “centri abitati” individuati ai fini dell’art. 4 del
Codice della Strada.
Va da sé che l’individuazione del “centro abitato” o dei
“centri abitati” nella ratio del Codice della Strada
risponde a criteri funzionali all’applicazione delle diverse
discipline previste dal codice della strada e dal
regolamento all'interno ed all'esterno del centro abitato,
con i conseguenziali limiti territoriali di competenza e di
responsabilità tra il comune e gli altri enti proprietari di
strade.
Non può, quindi, essere determinata da finalità diverse,
quale in ipotesi il conseguimento del minore aggravio
possibile degli oneri di manutenzione delle strade, né
rispondere ad esigenze di natura urbanistica (non coincide
infatti con la ripartizione urbanistica di una città in
centro storico, zone residenziali, periferia) o coincidere
con la ripartizione amministrativa della città in municipi.
Ugualmente è irrilevante che il comune si sviluppi in
maniera disordinata, articolandosi in agglomerati di case
sparse lungo le arterie principali, atteso che il concetto
di centro abitato nella ratio del Codice della Strada
risponde solamente a criteri funzionali alla circolazione
stradale.
---------------
In conclusione deve ritenersi che la delimitazione del
centro abitato o dei centri abitati risponde ai soli criteri
fissati dal Codice della strada ed è funzionale solamente
alla circolazione; essa tuttavia comporta, sempre e per
effetto automatico, il passaggio delle strade ai diversi
enti territoriali secondo i criteri su esposti, non
assumendo rilevanza l’effettiva articolazione dello sviluppo
edilizio in più centri abitati da un punto di vista
topografico.
La questione in esame attiene all’interpretazione delle
norme del codice della strada e del relativo regolamento in
relazione ai c.d. “centri abitati” ed alla
classificazione delle strade interne conseguente alla
individuazione dei “centri abitati”.
L’art. 3, comma 8, del codice della strada individua il “centro
abitato” con riferimento ad un agglomerato di almeno 25
edifici sebbene intervallati da strade, giardini od altro.
L’art. 4, stabilisce la competenza della giunta comunale in
ordine alla individuazione e delimitazione del centro
abitato secondo i criteri dettati dal codice e dal
regolamento: “Ai fini dell’attuazione della disciplina
della circolazione stradale, il Comune entro centottanta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice,
provvede con delibera della giunta alla delimitazione del
centro abitato…La deliberazione…è pubblicata all’Albo
Pretorio…; ad essa viene allegata idonea cartografia nella
quale sono evidenziati i confini sulle strade di accesso”.
L’art. 4 del Regolamento del Codice della Strada (d.p.r. n.
285 del 1992), ai commi 4 e 5 stabilisce che “I tratti di
strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i
centri abitati con popolazione superiore a diecimila
abitanti, individuati a seguito della delimitazione del
centro abitato prevista dall’art. 4 del codice, sono
classificati quali strade comunali con la stessa
deliberazione della giunta municipale con la quale si
procede alla delimitazione medesima.
Successivamente all’emanazione dei provvedimenti di
classificazione e di declassificazione delle strade previsti
dagli articoli 2 e 3, all’emanazione dei decreti di
passaggio di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi
precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei
tronchi di strade fra gli enti proprietari”.
Una prima considerazione attiene alla valenza da attribuire
alla deliberazione di giunta municipale che abbia
individuato, a seguito della delimitazione del centro
abitato, i tratti di strade statali, regionali o provinciali
che attraversano i centri abitati con popolazione superiore
a diecimila abitanti.
E’ indubbio che tale delibera costituisce di per sé titolo
per il passaggio di proprietà alla stregua degli altri
titoli indicati dalla norma e, quindi, è idoneo presupposto
per la consegna delle strade o di tronchi di strade tra gli
enti, ove la delimitazione del centro abitato ne comporti la
classificazione come strada appartenente ad ente diverso da
quello della precedente classificazione.
Altra questione riguarda il concetto di “centro abitato”
ed in particolare se la individuazione e delimitazione del
centro abitato, effettuata dalla giunta comunale ai fini del
citato art. 4 del Codice della Strada, sia derogabile ove il
Comune sia effettivamente articolato in più centri abitati e
se il riferimento demografico ai fini del passaggio delle
strade tra enti debba essere riferito al “centro abitato”
individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada o ai
centri abitati in cui è articolato il Comune dal punto di
vista topografico.
Ritiene il Collegio che la disciplina dettata dal Codice
della Strada non consente deroghe e per tutti gli aspetti
considerati dalla suddetta disciplina non possa che farsi
riferimento al “centro abitato” individuato ai fini
dell’art. 4 del Codice della Strada.
L’art. 2, comma 7, del Codice si riferisce a questa
accezione di centro abitato, atteso che parla di strade
comprese nel centro abitato.
Ne consegue in base alla medesima disposizione di legge, che
sono comunali le strade urbane di scorrimento, di quartiere
e locali che ricadono all’interno del centro abitato
delimitato con popolazione superiore ai diecimila abitanti,
mentre sono tratti interni di strade statali, regionali e
provinciali quelle che sono delimitate all’interno di un
centro abitato con popolazione inferiore ai diecimila
abitanti.
Tanto è dettagliatamente esposto nel Regolamento del Codice
della Strada, che all’art. 5, precisa che “la
delimitazione del centro abitato, come definito all'articolo
3, comma 1, punto 8, del codice, è finalizzata ad
individuare l'ambito territoriale in cui, per le
interrelazioni esistenti tra le strade e l'ambiente
circostante, è necessaria da parte dell'utente della strada,
una particolare cautela nella guida, e sono imposte
particolari norme di comportamento (la delimitazione del
centro abitato individua pertanto i limiti territoriali di
applicazione delle diverse discipline previste dal codice e
dal regolamento all'interno ed all'esterno del centro
abitato).
La delimitazione del centro abitato individua altresì, lungo
le strade statali, regionali e provinciali, che attraversano
i centri medesimi, i tratti di strada che:
a) per i centri con popolazione non superiore a diecimila
abitanti costituiscono «i tratti interni»;
b) per i centri con popolazione superiore a diecimila
abitanti costituiscono «strade comunali», ed individua,
pertanto, i limiti territoriali di competenza e di
responsabilità tra il comune e gli altri enti proprietari di
strade”.
Dalla disciplina citata emerge con certezza che l’elemento
demografico non può che essere riferito al “centro
abitato” o ai “centri abitati” individuati ai
fini dell’art. 4 del Codice della Strada.
Va da sé che l’individuazione del “centro abitato” o
dei “centri abitati” nella ratio del Codice
della Strada risponde a criteri funzionali all’applicazione
delle diverse discipline previste dal codice della strada e
dal regolamento all'interno ed all'esterno del centro
abitato, con i conseguenziali limiti territoriali di
competenza e di responsabilità tra il comune e gli altri
enti proprietari di strade.
Non può, quindi, essere determinata da finalità diverse,
quale in ipotesi il conseguimento del minore aggravio
possibile degli oneri di manutenzione delle strade, né
rispondere ad esigenze di natura urbanistica (non coincide
infatti con la ripartizione urbanistica di una città in
centro storico, zone residenziali, periferia) o coincidere
con la ripartizione amministrativa della città in municipi.
Ugualmente è irrilevante che il comune si sviluppi in
maniera disordinata, articolandosi in agglomerati di case
sparse lungo le arterie principali, atteso che il concetto
di centro abitato nella ratio del Codice della Strada
risponde solamente a criteri funzionali alla circolazione
stradale.
Significativo in tal senso è la prescrizione di cui al comma
4 dell’art. 4 del Regolamento del Codice della Strada (“Nel
caso in cui l'intervallo tra due contigui insediamenti
abitativi, aventi ciascuno le caratteristiche di centro
abitato, risulti, anche in relazione all'andamento
planoaltimetrico della strada, insufficiente per un duplice
cambiamento di comportamento da parte dell'utente della
strada, si provvede alla delimitazione di un unico centro
abitato, individuando ciascun insediamento abitativo con il
segnale di località. Nel caso in cui i due insediamenti
ricadano nell'ambito di comuni diversi si provvede a
delimitazioni separate, anche se contigue, apponendo sulla
stessa sezione stradale il segnale di fine del primo centro
abitato e di inizio del successivo centro abitato”).
In conclusione deve ritenersi che la delimitazione del
centro abitato o dei centri abitati risponde ai soli criteri
fissati dal Codice della strada ed è funzionale solamente
alla circolazione; essa tuttavia comporta, sempre e per
effetto automatico, il passaggio delle strade ai diversi
enti territoriali secondo i criteri su esposti, non
assumendo rilevanza l’effettiva articolazione dello sviluppo
edilizio in più centri abitati da un punto di vista
topografico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.01.2014 n. 403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Strade private di uso pubblico e diritti soggettivi
(commento critico a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza
25.11.2013 n. 5596) (12.12.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
c.d. “sdemanializzazione tacita” di una strada è altro
discorso, dovendosi considerare, a tale proposito, che
secondo la giurisprudenza tale evenienza ricorre solo
quando, oltre al prolungato disuso di un bene demaniale da
parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza
osservata da quest’ultimo rispetto ad una occupazione da
parte di privati, si constati l’esistenza di comportamenti
inequivocabili ed incompatibili con la volontà di conservare
quella destinazione, così da non lasciare adito ad altre
ipotesi se non a quella che l’Amministrazione abbia
definitivamente rinunciato al ripristino del bene pubblico.
Che “la via vecchia di Novi Ligure” non sia
stata, per decenni, utilizzata in tutta la sua lunghezza
quale via pubblica, ossia quale viabilità di collegamento
con altre strade pubbliche, non pare dunque seriamente
contestabile.
Che detta circostanza abbia comportato anche la c.d.
“sdemanializzazione tacita” della strada è invece altro
discorso, dovendosi considerare, a tale proposito, che
secondo la giurisprudenza tale evenienza ricorre solo
quando, oltre al prolungato disuso di un bene demaniale da
parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza
osservata da quest’ultimo rispetto ad una occupazione da
parte di privati, si constati l’esistenza di comportamenti
inequivocabili ed incompatibili con la volontà di conservare
quella destinazione, così da non lasciare adito ad altre
ipotesi se non a quella che l’Amministrazione abbia
definitivamente rinunciato al ripristino del bene pubblico
(ex multis: C.d.S. sez. V, 30.11.2011 n. 6338) (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 22.11.2013 n. 1251
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sia il disuso protratto
nel tempo che l’inerzia della pubblica amministrazione nella
cura della strada o nell’intervento volto ad impedire
l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con
l’uso pubblico non sono sufficienti a dimostrare
l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo
allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di
cessazione della demanialità, la volontà
dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e
da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di
conservare il bene all’uso pubblico.
In questa sede il Collegio non può che ribadire i consolidati
principi secondo cui sia il disuso protratto nel tempo che
l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della
strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o
l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico
non sono sufficienti a dimostrare l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in
assenza di un formale provvedimento di cessazione della
demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti
comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche,
incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso
pubblico (cfr. Cons. St., Sez. V, 30.11.2011, n. 6338; Sez.
VI, 09.02.2011, n. 868; Sez. IV, 07.09.2006, n. 5209, Sez. V,
01.12.2006, n. 7081)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.10.2013 n. 5207 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso
pubblico di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di
una collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non
uti singuli.
Del pari, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come
l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile
quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma
una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al
transito di un numero indifferenziato di persone, oppure
quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam,
l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso
pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad
assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene
demaniale.
Ebbene, ritiene il Collegio che la
tesi dell’amministrazione sia condivisibile, atteso che, in
particolare, non risulta dimostrato che la strada in
questione (vicolo della Valle) sia privata, e sussistendo,
invece, precisi indici rivelatori circa l’esistenza di una
servitù di passaggio iure pubblico su detta via.
Un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico
di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives,
ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non uti
singuli (Cons. Stato sez. V 14.02.2012 n. 728).
Del pari, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come
l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile
quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma
una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al
transito di un numero indifferenziato di persone (Cons.
Stato Sez. V 07.12.2010 n. 8624), oppure quando vi sia
stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento
del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una
comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le
caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale
(Cass. Civile Sez. II 21.05.2001 n. 6924)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.10.2013 n. 5116 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In merito alla
sussistenza dei presupposti fattuali che rivelano
l’esistenza di un uso pubblico del passaggio, i presupposti
che possono così identificarsi: passaggio esercitato da una
collettività di persone, idoneità del bene a soddisfare
esigenze di carattere generale, protrazione del diritto di
uso pubblico da tempo immemorabile ed eventuale inserimento
del sentiero in un elenco istituito presso il Comune.
Sui requisiti rivelatori dell’uso pubblico di un bene,
recentemente il CdS ha così statuito: <<La giurisprudenza,
con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene
che affinché possa considerarsi esistente una servitù
pubblica di passaggio su una strada occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di
persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in
una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il
collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della
pubblica amministrazione>>.
Con provvedimento prot. 5317 del 27.11.2012, il Responsabile
del Servizio Edilizia Privata del Comune di Chiesa in
Valmalenco (SO), diffidava il Condominio “Chalet La
Genziana”, a rimuovere i cancelli e a ripristinare il
pubblico transito di un sentiero asserito di collegamento
fra due strade comunali, ritenuto dal Comune medesimo di uso
pubblico.
...
La questione fondamentale della presente
controversia riguarda l’esistenza o meno di una servitù di
pubblico passaggio sul sentiero adiacente il Condominio ove
risiedono gli esponenti.
Sul punto, attese le opposte posizioni delle parti, il
Collegio ha disposto istruttoria mediante verificazione, per
l’accertamento della sussistenza dei presupposti fattuali
che rivelano l’esistenza di un uso pubblico del passaggio,
presupposti che possono così identificarsi: passaggio
esercitato da una collettività di persone, idoneità del bene
a soddisfare esigenze di carattere generale, protrazione del
diritto di uso pubblico da tempo immemorabile ed eventuale
inserimento del sentiero in un elenco istituito presso il
Comune [sui requisiti rivelatori dell’uso pubblico di un
bene, si veda –fra le più recenti– Consiglio di Stato,
sez. VI, 10.05.2013, n. 2544, nella quale si legge che: <<La
giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione
aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente
una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che
essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di
persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in
una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia
concretamente idonea a soddisfare, attraverso il
collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale; c) sia oggetto di interventi di
manutenzione da parte della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.02.2011, n. 1240; IV, n.
2760 del 2012, cit.)>>; oltre a Cassazione civile, sez. II,
05.07.2013, n. 16864].
Ciò premesso, dalla lettura della relazione depositata in
giudizio dal verificatore risulta chiaramente che:
- mancano elementi certi per affermare che sul sentiero vi
sia un passaggio esercitato iure servitutis publicae;
- il sentiero soddisfa esigenze di collegamento con altri
sentieri e non con le pubbliche vie;
- non vi sono elementi certi per avvalorare la tesi di un
uso pubblico protratto nel tempo;
- il Comune, con propria nota allegata dal verificatore alla
sua relazione, ha dichiarato di non avere accertato se il
sentiero sia inserito in elenchi tenuti
dall’Amministrazione.
Viste le risultanze della verificazione, è giocoforza
concludere che non vi è idonea prova dell’uso pubblico del
sentiero, sicché risulta priva di fondamento la pretesa del
Comune stesso di rimozione dei cancelli collocati dal
privato per la salvaguardia del Condominio e dei residenti
nel medesimo.
A diversa conclusione non induce la documentazione prodotta
da parte resistente in data 24.06.2013, la quale attesta
semplicemente l’acquisto della segnaletica da parte della
Giunta Comunale nel 1990 e l’avvenuta pulizia del sentiero,
sempre nel 1990, ma che non appare idonea a scalfire le
conclusioni raggiunte dall’incaricato della verificazione.
Il ricorso deve quindi accogliersi, con conseguente
annullamento del provvedimento impugnato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.10.2013 n. 2283 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO:
Divieto di transito per veicoli a motore su strade in aree
collinari e boschive.
Tra le strade non appartenenti al
demanio pubblico, rimangono estranee alla disciplina
pubblicistica, venendo regolate da norme di diritto privato,
le c.d. vie agrarie (chiamate anche 'vicinali private').
Sono, di conseguenza, assai circoscritte le possibilità
offerte dalla legge alle amministrazioni locali per limitare
la circolazione su dette strade onde impedire danneggiamenti
all'ambiente circostante, mentre dovrebbe essere
nell'interesse dei proprietari dei fondi interessati
intervenire, utilizzando gli strumenti forniti dal diritto
privato e dal diritto penale, a tutela del proprio diritto
di proprietà e dell'integrità dei terreni ai quali questo
diritto si riferisce.
Il Comune riferisce che, in un'area collinare e boschiva,
sita nell'ambito del proprio territorio, sussistono diverse
strade che attraversano proprietà private. Tra di esse vi è
una strada che pare essere stata realizzata diverso tempo fa
dall'Esercito. Quest'ultimo, interpellato riguardo alla
stessa, sembra abbia dichiarato informalmente il proprio
disinteresse senza però produrre un ufficiale atto di
dismissione.
Poiché tali strade, che non sono pubbliche o ad uso
pubblico, vengono spesso percorse da motoveicoli
fuoristrada, che si spingono anche al di fuori dei sentieri
tracciati, inoltrandosi nei boschi e scavando profondi
solchi nell'ambiente circostante, l'Ente chiede di sapere in
che modo possa legittimamente interdire la circolazione ai
veicoli a motore, con l'eccezione dei mezzi agricoli
appartenenti ai proprietari del fondo, anche se i terreni in
argomento non costituiscono aree soggette a vincolo
idrogeologico di cui alla legge regionale 23.04.2007, n. 9
(Norme in materia di risorse forestali) [1].
In via preliminare, il Comune dovrebbe verificare se la
strada menzionata appartenga tuttora all'Esercito ovvero se
vi sia stata una sdemanializzazione, anche tacita, della
stessa [2].
In caso di appartenenza della via al demanio militare,
spetterebbe, infatti, all'ente proprietario della stessa la
predisposizione di eventuali misure idonee a contrastare
abusi e fenomeni di degrado come quelli segnalati dal Comune
[3].
Le strade che non risultano essere militari e neppure
statali, provinciali o comunali e che, quindi, non
appartengono al demanio pubblico, sono, secondo una
normativa piuttosto risalente, ripresa dalla giurisprudenza
e dalla dottrina, le strade vicinali [4]
e le strade agrarie (quest'ultime chiamate anche vicinali
private) [5].
Le vie vicinali sono strade private o pubbliche, non
iscritte nei registri delle pubbliche vie, che sono idonee
al pubblico transito ed assoggettate al medesimo regime
giuridico delle strade pubbliche. Titolare del diritto d'uso
delle vie vicinali è il comune, ma chi lo esercita è la
collettività considerata come complesso di persone
[6].
Le vie agrarie sono strade private costituite dai passaggi
interpoderali che sono in comunione incidentale tra i
proprietari dei fondi latistanti i quali si servono, iure
domini, di quei percorsi per l'accesso e l'utilizzo dei
terreni. Su tali vie i proprietari partecipanti alla
comunione vantano un diritto d'uso riservato ed esclusivo
[7].
Si osserva, quindi, che mentre le vie vicinali sono di
interesse amministrativo, rimangono, invece, estranee alla
disciplina pubblicistica, venendo regolate da norme di
diritto privato (in particolare da quelle relative alla
comunione), le vie agrarie [8].
Sembrano, perciò, essere assai circoscritte le possibilità
offerte dalla legge al Comune instante per limitare la
circolazione sulle strade interpoderali de quibus le
quali, inoltre, non possono nemmeno godere della protezione
fornita con la L.R. 9/2007 non ricadendo all'interno di
territori sottoposti a vincolo idrogeologico per i quali
sono previste apposite disposizioni riguardanti la
circolazione fuori strada [9].
A dimostrazione di un tanto, si riscontra che unicamente
nelle vie vicinali si applicano le disposizioni del D.Lgs.
30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) in quanto
solo esse rientrano nella definizione fornita dall'art. 2 di
questa normativa che definisce come "strada" l'area
ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei
veicoli e degli animali. In particolare, ai sensi dell'art.
3, comma 1, n. 52, del Nuovo codice della strada, è definita
strada vicinale la 'strada privata fuori dai centri
abitati ad uso pubblico'. Inoltre, ai sensi dell'art. 2,
comma 6, del decreto, le strade vicinali sono assimilate
alle strade comunali.
Per questa ragione, per le strade private non soggette ad
uso pubblico, è esclusa la possibilità per il sindaco del
comune competente, prevista in relazione alle strade
vicinali, di emettere le ordinanze, di cui agli artt. 5,
comma 3 e 6, comma 4, del Nuovo codice della strada, grazie
alle quali l'ente proprietario può stabilire anche obblighi,
divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente,
anche per determinate categorie di veicoli, in relazione
alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche
strutturali delle strade.
Diversa è anche la disciplina per i due tipi di strade che
deriva dal decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918,
n. 1446 (Facoltà agli utenti delle strade vicinali di
costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la
ricostruzione di esse) [10].
L'art. 15 di tale decreto ha affidato al sindaco compiti di
vigilanza e polizia su tutte le strade vicinali, ma tali
poteri, che sembrano comunque esulare dagli aspetti di
regolamentazione del traffico [11],
possono essere autonomamente esercitati solamente
nell'ipotesi in cui le vie vicinali siano gravate da
pubblico transito, mentre, nel caso di strade private non
soggette ad uso pubblico, il sindaco può attivarsi solamente
a seguito di un'istanza dei consorzi eventualmente
costituiti fra gli utenti [12].
Al contrario, poiché le strade in argomento risultano essere
di proprietà privata e non soggette ad uso pubblico,
dovrebbe essere nell'interesse dei proprietari dei fondi
interessati intervenire, utilizzando gli strumenti forniti
dal diritto privato e dal diritto penale, a tutela del
proprio diritto di proprietà e dell'integrità dei terreni ai
quali questo diritto si riferisce [13].
Un intervento da parte di un comune su strade private, non
interessate dalla pubblica circolazione, potrebbe quindi
giustificarsi solamente qualora sorgessero importanti
esigenze di carattere pubblico.
Tale è evidentemente l'ipotesi in cui si integrino i
presupposti, nel caso de quo difficilmente
riscontrabili, per l'emissione delle ordinanze contingibili
ed urgenti di cui all'art. 54, comma 4, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267 che richiedono la sussistenza
di gravi ed imminenti pericoli per la pubblica incolumità e
la sicurezza urbana [14].
Tali provvedimenti rimangono comunque limitati nel tempo,
essendo per loro natura provvisori e sono soggetti a
particolare cautela nella loro applicazione nel caso
riguardino beni di proprietà privata [15].
In relazione, infine, alla possibilità, fatta propria da
alcune amministrazioni comunali, di prevedere, all'interno
dei propri regolamenti di polizia rurale
[16], disposizioni
che pongono il divieto di ingresso nei fondi altrui, si
rileva che risulta abrogato ormai da anni l'art. 110 del
Regio decreto 12.02.1911, n. 297 (Approvazione del
regolamento per la esecuzione della legge comunale e
provinciale) [17].
---------------
[1] Tale normativa ha abrogato la legge regionale
15.04.1991, n. 15 (Disciplina dell'accesso dei veicoli a
motore nelle zone soggette a vincolo idrogeologico o
ambientale. Modifica della legge regionale 22.01.1991, n.
3).
[2] La sdemanializzazione può avvenire grazie ad un
provvedimento di declassificazione, assunto ai sensi
dell'art. 3, comma 6, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495, oppure
in forma tacita, come precisato dalla Corte di cassazione:
'La sdemanializzazione di una strada può anche verificarsi
senza l'adempimento delle formalità previste dalla legge in
materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci,
concludenti e positivi della Pubblica Amministrazione,
incompatibili con la volontà di conservare la destinazione
del bene all'uso pubblico. Né il disuso da tempo
immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario possono
essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di
far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene
demaniale all'uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è
pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano
accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così
significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi
se non quella che la Pubblica Amministrazione abbia
definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica
funzione del bene medesimo' (Cassazione civile, Sez. II,
30.08.2004, n. 17387).
[3] Ai sensi dell'art. 5, comma 3, del decreto legislativo
30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), 'I
provvedimenti per la regolamentazione della circolazione
sono emessi dagli enti proprietari, attraverso gli organi
competenti a norma degli articoli 6 e 7, con ordinanze
motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti
segnali'.
[4] L'art. 3, comma 1, n. 52, del decreto legislativo
30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) reca la
definizione della sola strada vicinale come 'strada privata
fuori dei centri abitati ad uso pubblico'.
[5] La distinzione tra i due tipi di strade vicinali deriva
dal diritto romano ed è stata ripresa dal decreto
legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446. V. 'Il
regime giuridico delle strade provinciali, comunali,
vicinali e private', Pietro La Rocca, 2006, Maggioli
Editore, pagg. 209-290.
[6] Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale,
affinché una strada possa rientrare nella categoria delle
strade vicinali pubbliche, devono sussistere: il requisito
del passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a
soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica,
esigenze di interesse generale; un titolo valido a
sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che
può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo
immemorabile (Cfr. Cass. civ., sez. II, 12.07.1991, n. 7718;
TAR Sardegna, 21.12.2000, n. 1246; Consiglio di Stato, sez.
V, 01.12.2003, n. 7831).
[7] 'Le vie vicinali agrarie formate "ex collazione
privatorum agrorum" traggono la loro origine da situazioni
oggettive di diversa natura, le quali possono essere
determinate dalla volontà coincidente, anche se non
concorde, di tutte le parti, manifestata attraverso il fatto
materiale del conferimento in relazione all'effettiva
esigenza dei fondi (Cass. 27.07.2006 n. 17111) [...]
l'insorgenza della comunione presuppone inevitabilmente che
tutti i partecipanti abbiano in vario modo o misura
contribuito a conferire il sedime della strada, non essendo
ipotizzabile che alla comunione partecipi un soggetto che
nulla abbia conferito, a meno che non ricorra un diverso
titolo negoziale (Cass. 11.02.2005 n. 2751)', Cassazione
civile, sez. II, 05.07.2013, n. 16864.
[8] Come osservato in dottrina, 'le strade private agrarie
sono proprietà comune pro indiviso dei proprietari dei fondi
latistanti [...] e le strade medesime sono completamente
assoggettate alla regolamentazione e alla disciplina
privatistica del condominio' ('Le strade nell'attuale
disciplina legislativa', A. Romano, in 'Amm. It', n. 4,
aprile 1963 e n. 5, maggio 1963, pagg. 309 e ss.)
[9] Tale normativa in particolare prevede, per i territori
soggetti a vincolo idrogeologico o appartenenti ad aree
protette di cui alla legge regionale 30.12.1996, n. 42, il
divieto di circolazione e sosta dei veicoli a motore sui
percorsi fuoristrada, fatte salve alcune eccezioni tra le
quali il passaggio di veicoli per la conduzione dei fondi e
per l'accesso ai beni immobili in proprietà o possesso
(artt. 71-73).
[10] Ai sensi dell'art. 3 del decreto, il comune è tenuto a
contribuire alle spese di manutenzione e
sistemazione/ricostruzione delle strade vicinali soggette a
pubblico traffico da 1/5 fino a metà delle stesse, mentre ha
solo la facoltà di farlo per quelle private e solo fino ad
un massimo di 1/5 della spesa..
[11] L'art. 15, comma 1, specifica che al sindaco spetta
'ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle
strade e all'esecuzione delle opere definitivamente
approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose
abusivamente alterate'.
[12] V. Tar Sardegna, 05.12.1979, n. 399 e Tar Piemonte,
sez, I, 16.03.1989, n. 203.
[13] V. gli artt. 633 (Invasione di terreni ed edifici), 635
(Danneggiamento), 637 (Ingresso abusivo su fondo altrui) del
Codice.
[14] Ai sensi dell'art. 1 del decreto del Ministero
dell'interno 05.08.2008, 'per incolumità pubblica si intende
l'integrità fisica della popolazione e per sicurezza urbana
un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a
difesa, nell'ambito delle comunità locali. del rispetto
delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le
condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza
civile e la coesione sociale'.
[15] 'Quando si tratti, dunque, di un caso di pericolo
gravante esclusivamente su beni privati sottratti a
qualsiasi forma di uso e transito pubblici, il vaglio di
legittimità dell'esercizio del suddetto potere di ordinanza
ex art. 54 cit. deve essere ancor più penetrante e severo,
soprattutto al fine di impedire che il ricorso a tale
invasivo strumento imperativo, sviando dalla funzione
pubblica, si risolva in una inutile e indebita interferenza
in liti tra privati (magari già incardinate dinanzi al
competente giudice civile)' (Tar Campania, Napoli, sez. V,
19.04.2007, n. 4992).
[16] 'I regolamenti di polizia urbana e rurale solitamente
disciplinano, in conformità ai principi generali
dell'ordinamento giuridico ed in armonia con le norme
speciali e con le finalità degli statuti, comportamenti ed
attività comunque influenti sulla vita della comunità
cittadina e rurale al fine di salvaguardare la convivenza
civile, la sicurezza dei cittadini, la decenza, il decoro,
la più ampia fruibilità dei beni comuni e di tutelare la
qualità della vita e dell'ambiente, con attività di
prevenzione, ma anche con attività diretta all'attuazione e
all'osservanza da parte dei singoli cittadini delle leggi e
dei regolamenti emessi dallo Stato e da altri enti' (v. 'La
disciplina della polizia locale nell'ambito dell'autonomia
regolamentare degli enti locali', Regione Piemonte,
Assessorato Polizia locale, promozione della sicurezza,
2013, pag. 10).
[17] Tale articolo stabiliva -prima dell'abrogazione
avvenuta con la legge 08.06.1990, n. 142- che i comuni, con
i regolamenti di polizia rurale, provvedessero, tra l'altro,
a 'evitare i passaggi abusivi nelle private proprietà'.
Nulla di simile è stato successivamente previsto dalla
stessa L. 142/1990, dal Tuel o da altre disposizioni di
legge (11.10.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’impugnata deliberazione
di classificazione della strada in questione come strada
comunale deve ritenersi illegittima sulla base
dell’assorbente rilievo dell’insussistenza del presupposto
della proprietà pubblica o di una servitù di uso pubblico
sulle aree interessate dal tracciato stradale, alla luce
dell’ivi richiamato consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo cui per l’attribuzione del
carattere di demanialità comunale ad una via privata è
necessario che con la destinazione della strada all’uso
pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente
locale, della proprietà del suolo relativo o di altro
diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in
conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di
usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in
difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune,
l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali,
giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni
giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse
con il regime giuridico della medesima.
In reiezione del secondo, complesso motivo d’appello, è sufficiente
rilevare che:
- la natura di strada forestale, propria di lunghi tratti
della strada in questione, non incide sull’assetto
dominicale dei fondi attraversati dal tracciato stradale,
nel caso di specie in parte di proprietà di soggetti
privati;
- come accertato con la sentenza, che definisce il giudizio
parallelo trattenuto in decisione all’udienza del 04.06.2013 (ricorso in appello n. 3282 del 2013), l’impugnata
deliberazione di classificazione della strada in questione
come strada comunale deve ritenersi illegittima sulla base
dell’assorbente rilievo dell’insussistenza del presupposto
della proprietà pubblica o di una servitù di uso pubblico
sulle aree interessate dal tracciato stradale, alla luce
dell’ivi richiamato consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo cui per l’attribuzione del
carattere di demanialità comunale ad una via privata è
necessario che con la destinazione della strada all’uso
pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente
locale, della proprietà del suolo relativo o di altro
diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in
conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di
usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in
difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune,
l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali,
giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni
giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse
con il regime giuridico della medesima (v. sul punto, per
tutte, Cass. civ., sez. II, 28.09.2010, n. 20405;
Cass. civ., sez. I, 26.08.2002, n. 12540; Cass. civ.,
Sez. II, 07.04.2006, n. 8204);
- la contestazione dell’illegittimità ab imis dell’impugnata
deliberazione di classificazione, per difetto del
presupposto di una strada di uso pubblico, deve ritenersi
insita nell’impianto difensivo della Provincia, ricavabile
da un’interpretazione sistematica del ricorso di primo
grado, nonché riproposta in appello nei relativi atti
difensivi (v. anche le difese svolte dall’appellata
Provincia in replica al primo motivo d’appello), con la
conseguenza che, sotto un profilo processuale, la questione
in esame rientra nei limiti dell’oggetto del presente
giudizio.
La rilevata insussistenza della presupposta situazione
giuridica reale impone la conferma dell’appellata
statuizione annullatoria dell’impugnata delibera di
classificazione stradale, con sequela di caducazione
dell’ordinanza sindacale recante la disciplina della
circolazione sulla strada medesima, sul presupposto
(insussistente) della sua natura comunale (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 08.10.2013 n. 4953 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’eventuale
iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta,
ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del
Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso che è superabile con la prova contraria della
natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di
godimento da parte di coloro che sono al riguardo
legittimati mediante un'azione negatoria di servitù e che,
conseguentemente, la controversia circa la sussistenza di
diritti di uso pubblico su una strada privata è comunque
devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che
essa investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione
di diritti soggettivi, dei privati ovvero del Comune
medesimo; né diversamente accade per l’accertamento dei
presupposti dell’anzidetto istituto della dicatio ad patriam,
parimenti rientrante nell’ambito della giurisdizione del
giudice ordinario.
Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere la
questione del carattere pubblico ovvero privato di una
strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico
sulla strada privata –eventualmente costituita anche
mediante dicatio ad patriam- allorquando sia richiesto di
risolverla non già come questione principale, sulla quale
pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione
preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via
principale -e all’evidenza rientrante nella sua
giurisdizione- concernente la legittimità di un
provvedimento del tipo di quello qui impugnato.
---------------
Il titolo idoneo ad affermare il diritto di uso pubblico
deve infatti essere rigorosamente provato; e a tal fine in
giudizio deve essere fornita la prova specifica di un
effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità
dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, non
essendo sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a
prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici
episodi svoltisi in maniera discontinua ovvero per mera
tolleranza dei legittimi proprietari.
Il pubblico transito iure servitutis publicae sussiste
infatti soltanto se esercitato da parte di una collettività
di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità
territoriale, e la circostanza (qui comunque non comprovata
per un lasso di tempo almeno ventennale) del pregresso
parcheggio nell’area in questione da parte di terzi non
significa -di per sé- che costoro abbiano intenzionalmente
agito quali componenti della collettività usando il bene in
modo continuativo uti cives con contestuale disconoscimento
del diritto del proprietario.
Va anche soggiunto che l’avvenuta installazione della
predetta cabina telefonica su di un’evidentemente ristretta
porzione dell’area di cui trattasi non significa per certo
che l’eventualmente intervenuta acquisizione di un
qualsivoglia diritto al riguardo da parte del gestore del
servizio telefonico dell’epoca possa riguardare la sorte
dell’intera area per la quale è causa, e che l’avvenuta
installazione di segnali stradali da parte del Comune non
può essere considerata -avendo propriamente riguardo ai
limiti dell’incidentalità dell’accertamento richiesto a
questo giudice- come piena dimostrazione circa la
sussistenza di un diritto reale del Comune sull’area di cui
trattasi.
Ciò posto, va premesso che l’eventuale
iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta,
ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del
Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso che è superabile con la prova contraria della
natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di
godimento da parte di coloro che sono al riguardo
legittimati mediante un'azione negatoria di servitù e che,
conseguentemente, la controversia circa la sussistenza di
diritti di uso pubblico su una strada privata è comunque
devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che
essa investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione
di diritti soggettivi, dei privati ovvero del Comune
medesimo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cass. Civ., SS.UU.,
17.03.2010 n. 6406); né –per quanto qui segnatamente
interessa- diversamente accade per l’accertamento dei
presupposti dell’anzidetto istituto della dicatio ad patriam,
parimenti rientrante nell’ambito della giurisdizione del
giudice ordinario (cfr. sul punto Cass. Civ., SS.UU., 18.03.1999 n. 158)
Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere la
questione del carattere pubblico ovvero privato di una
strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico
sulla strada privata –eventualmente costituita anche
mediante dicatio ad patriam- allorquando sia richiesto di
risolverla non già come questione principale, sulla quale
pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione
preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via
principale -e all’evidenza rientrante nella sua
giurisdizione- concernente la legittimità di un
provvedimento del tipo di quello qui impugnato (così, ad
es., Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Se così è, dall’analisi della documentazione versata in atti
risulta che, in effetti, le tavole di viabilità e della
zonizzazione del P.R.G. del 1968 riportano l’area in
questione assoggettandola ad allargamento della sede
stradale (cfr. doc. 14 di parte resistente in primo grado):
ma, all’evidenza, tale elaborato grafico assume al più
valenza programmatoria dell’allargamento medesimo, non
sostanziando alcuna imposizione di vincoli servili sull’area
di cui trattasi; né l’apposizione sull’area medesima di
cartelli stradali e la realizzazione sullo stesso sedime di
una cabina telefonica, ovvero di recinzioni (cfr. ibidem,
doc. ti 7 e 11), o anche la tolleranza prestata al
parcheggio da parte di terzi (cfr. ibidem, doc.ti 9 e 10)
possono a tale fine costituire idonea comprova del
sopravvenuto asservimento pubblico.
Il titolo idoneo ad affermare il diritto di uso pubblico
deve infatti essere rigorosamente provato; e a tal fine in
giudizio deve essere fornita la prova specifica di un
effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità
dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, non
essendo sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a
prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici
episodi svoltisi in maniera discontinua ovvero per mera
tolleranza dei legittimi proprietari (così, ad es., (Cass.
Civ., Sez. II, 09.12.1989 n. 5452).
Il pubblico transito iure servitutis publicae sussiste
infatti soltanto se esercitato da parte di una collettività
di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità
territoriale, e la circostanza (qui comunque non comprovata
per un lasso di tempo almeno ventennale) del pregresso
parcheggio nell’area in questione da parte di terzi non
significa -di per sé- che costoro abbiano intenzionalmente
agito quali componenti della collettività usando il bene in
modo continuativo uti cives con contestuale disconoscimento
del diritto del proprietario (cfr. sul punto, ad es., Cass.
Civ., Sez. II, 17.06.2004 n. 11346).
Va anche soggiunto che l’avvenuta installazione della
predetta cabina telefonica su di un’evidentemente ristretta
porzione dell’area di cui trattasi non significa per certo
che l’eventualmente intervenuta acquisizione di un
qualsivoglia diritto al riguardo da parte del gestore del
servizio telefonico dell’epoca possa riguardare la sorte
dell’intera area per la quale è causa, e che l’avvenuta
installazione di segnali stradali da parte del Comune non
può essere considerata -avendo propriamente riguardo ai
limiti dell’incidentalità dell’accertamento richiesto a
questo giudice- come piena dimostrazione circa la
sussistenza di un diritto reale del Comune sull’area di cui
trattasi.
Semmai –come rettamente considerato dal giudice di primo
grado– dall’esame della documentazione complessivamente
versata in atti, ed in ispecie della nota di trascrizione di
vincolo a favore del Comune da parte della S.I.C.E.A. ,
incontrovertibilmente emerge la sussistenza di un vincolo di
non ulteriore edificabilità dell’area in questione, da
asservire a verde a vantaggio delle erigende costruzioni,
ossia a beneficio degli attuali appellati.
Tale ulteriore circostanza conforta quindi ancor di più -a
ben vedere- l’insussistenza di una destinazione dell’area in
questione a pubblico transito o al pubblico parcheggio, e
quindi la carenza del presupposto invocato dal Comune a
fondamento dell’ordinanza da esso emessa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4844 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
22, comma 3, all. f), l. n. 2248/1865 stabilisce
espressamente che “nell’interno delle città e villaggi fanno
parte delle strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli
ad esse adiacenti sul suolo pubblico, restando però ferme le
consuetudini, le convenzioni ed i diritti acquisiti”.
Con questa disposizione, il legislatore ha introdotto una
presunzione di uso pubblico delle aree adiacenti il suolo
pubblico, presunzione che può trovare conferma in un formale
provvedimento classificatorio dell’amministrazione ovvero
nella destinazione urbanistica dell’area.
Qualora questi elementi siano assenti, l’uso pubblico di
un’area può ugualmente ricavarsi da indici rilevatori,
individuati, secondo l’elaborazione giurisprudenziale sul
tema, tra l’altro nelle seguenti circostanze:
- passaggio continuativo esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo
territoriale;
- concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche con il collegamento ad una via
pubblica;
- presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione
del diritto di uso pubblico.
Viene anche affermato che l’onere della prova della
esistenza di tali elementi grava sul Comune.
In sintesi, come chiarito dalla giurisprudenza, dunque, la
destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile in
particolare dall' uso pubblico effettivo della stessa.
Oggetto della controversia è l’asserito
diritto della ricorrente di delimitare ed acquisire ad uso
esclusivo privato una strada che il comune asserisce essere
pacificamente adibita, da oltre trent’anni, ad uso pubblico.
Sul punto, si rammenta che l’art. 22, comma 3, all. f), l. n.
2248/1865 stabilisce espressamente che “nell’interno delle
città e villaggi fanno parte delle strade comunali le
piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti sul suolo
pubblico, restando però ferme le consuetudini, le
convenzioni ed i diritti acquisiti”.
Con questa disposizione, il legislatore ha introdotto una
presunzione di uso pubblico delle aree adiacenti il suolo
pubblico, presunzione che può trovare conferma in un formale
provvedimento classificatorio dell’amministrazione ovvero
nella destinazione urbanistica dell’area.
Qualora questi elementi siano assenti, l’uso pubblico di
un’area può ugualmente ricavarsi da indici rilevatori,
individuati, secondo l’elaborazione giurisprudenziale sul
tema, tra l’altro nelle seguenti circostanze:
- passaggio continuativo esercitato da una collettività di
persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo
territoriale;
- concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche con il collegamento ad una via
pubblica;
- presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione
del diritto di uso pubblico (cfr. TAR Marche, Ancona, I, 15.04.2009, n. 217; TAR Abruzzo, Pescara, I, 10.12.2008, n. 955; TAR Lazio, Roma, II;
03.11.2009, n. 10781
e I, 06.08.2009, n. 7932; TAR Campania, Salerno, sez. II,
11.04.2011, n. 660).
Viene anche affermato che l’onere della prova della
esistenza di tali elementi grava sul Comune (cfr. TAR Marche
n. 217/2009 cit.).
In sintesi, come chiarito dalla giurisprudenza, dunque, la
destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile in
particolare dall' uso pubblico effettivo della stessa (cfr.
Cons. di Stato, sez. V, 23.06.2003, n. 3716).
Nella fattispecie in esame, non mancano indici rivelatori
della destinazione pubblica della strada, in particolare per
quanto riguarda l’uso continuativo e frequente della strada
da parte della collettività.
La sussistenza di questo elemento di fatto è infatti
confermato dalla nota della polizia municipale prot. n.
121/A2 del 25.05.2010, nella quale si dichiara
espressamente che la via oggetto di disputa è in uso
pacifico ed ininterrotto, da oltre trent’anni, da parte
della cittadinanza.
La strada è peraltro usata con frequenza, attesa la sua
utilità nell’accorciare le distanze dai fabbricati con il
pubblico parcheggio delle scuole elementari nonché la
postazione del deposito dei rifiuti solidi urbani.
Proprio in relazione all’uso pubblico, l’amministrazione ha
realizzato nel corso degli anni la pubblica illuminazione,
la condotta idrica e quella fognaria, tutte opere di utilità
collettiva che forniscono un’ulteriore conferma della
destinazione pubblica della strada in questione.
Per quanto sopra il ricorso è infondato e va quindi respinto
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.09.2013 n. 1990 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere abusive e uso pubblico della strada.
La circostanza che il Comune non sia
intervenuto tempestivamente nell'assumere iniziative per il
ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla
demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle
strade pubbliche.
Per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di
autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi
dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865 n.
2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt.
01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando
da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività
ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio
(massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 18.09.2013 n. 2170 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisdizione del g.a. non viene meno ancorché
gli venga richiesto di accertare, in via incidentale, la
sussistenza o meno del diritto della collettività sul suolo
pubblico o soggetto ad uso pubblico.
Se è vero, infatti, che non rientra nella giurisdizione del
Giudice Amministrativo l'accertamento in via principale di
una servitù pubblica di passaggio, essendo detta questione
devoluta alla giurisdizione del Giudice Ordinario, è
altrettanto vero che ricorre la giurisdizione del Giudice
Amministrativo qualora l'esistenza della servitù pubblica
risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente
impugnato, cosicché la valutazione della sua sussistenza si
ponga come questione da valutare, incidenter tantum, al
limitato fine di verificare la legittimità degli atti
gravati, non ravvisandosi alcuna pregiudiziale obbligatoria,
in siffatte questioni, a favore del Giudice Ordinario.
---------------
Infondato si appalesa, poi, il secondo motivo, atteso
che, la presenza di una doppia sottoscrizione (del Sindaco e
del Dirigente) non fa di certo venire meno l’assunzione
della paternità dell’ordinanza al soggetto ex lege
legittimato alla sua adozione (nel caso di specie, il
Sindaco, ex art. 15 cit.), così rendendo l’atto in questione
soggettivamente perfetto e immune dalle dedotte censure.
Da ciò si ricava anche l’infondatezza del terzo motivo,
atteso che l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 non ha inteso
privare il Sindaco delle competenze ad esso specificamente
attribuite dalle previgenti previsioni normative, laddove si
resti comunque al di fuori dei compiti di gestione (cfr.
artt. 107, co. 5 e 50, co. 4 d.lgs. n. 267/2000). Infatti,
in disparte la circostanza che l’ordinanza in esame non
rientra tra i “compiti” espressamente attribuiti, ai sensi
del comma 3 dell’art. 107 cit. alla competenza dirigenziale,
in ogni caso essa non è riconducibile fra i “compiti di
attuazione degli obiettivi o dei programmi definiti con gli
atti di indirizzo”.
Ne consegue che, legittimamente l’ordinanza in esame reca la
firma del Sindaco, in conformità del chiaro disposto di cui
all’art. 15 d.l.lgt. cit..
---------------
Le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali
sono esercitate dal sindaco, a cui spetta ordinare che siano
rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e
all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che
siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente
alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico, il sindaco dispone
l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli
interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il
termine prefisso agli ordini ricevuti. La nota di spese è
resa esecutoria dal prefetto, sentiti gli interessati, ed è
riscossa nelle forme e con i privilegi fiscali. Sono altresì
applicabili per queste strade gli artt. 374 a 377 della
legge sulle opere pubbliche.
Per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può
solo provvedere quando ne sia richiesto, e può autorizzare
il Consorzio ad eseguire i lavori di ripristino anche in
pendenza di ricorsi.
Come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, i presupposti
che legittimano l'esercizio del potere di autotutela
possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco ai
sensi della su riportata norma, sono:
a) la preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada,
anche se questa sia del tutto privata;
b) la sopravvenienza di un'alterazione del preesistente
stato di fatto, che abbia frapposto impedimenti all'uso
pubblico della strada medesima.
---------------
L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali
soggette ad uso pubblico, comporta, per la sua natura
dichiarativa, in adesione a consolidata giurisprudenza, una
presunzione della sussistenza del diritto di pubblico
transito sulla strada, che può essere vinta solo con
l’esperimento dell’actio negatoria servitutis di fronte al
giudice ordinario, ai sensi del disposto dell’art. 20, II
comma, dell’all. “F” alla legge n. 2248 del 1865.
Al contempo, quindi, alla stregua del medesimo indirizzo
giurisprudenziale, la sussistenza di tale iscrizione
costituisce il presupposto che fonda la legittimazione del
Comune all’esercizio del potere di ripristino dell’uso
pubblico stesso, estrinsecazione del potere di autotutela
possessoria, di cui all’art. 15 copra richiamato.
Non si può dire, infatti, che la parte ricorrente abbia
adempiuto all’onere probatorio conseguentemente ravvisabile
a suo carico, in ordine alla prova della mancanza di un uso
pubblico della strada de qua, essendosi la difesa attorea
limitata a richiamare, al riguardo, l’attuale stato di
inservibilità della strada.
Sennonché, giova osservare al riguardo come, sempre per
giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di
autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi
dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865 n.
2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt.
01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando
da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività
ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio.
Per completezza, è utile richiamare anche quanto
recentemente affermato dal Consiglio di Stato, secondo cui:
“La circostanza che il Comune non sia intervenuto
tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino
della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione
delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle
strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969),
ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla
giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato
nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono
l'esistenza di una strada vicinale iscritta come tale
nell'elenco delle strade comunali, l'uso da parte della
collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse per il
collegamento con la pubblica via del santuario dell'acqua
nera e l'interruzione e trasformazione da parte del
ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo della
realizzazione sull'area stradale di opere edilizie abusive.
Si è costituito il Comune di Garlasco,
controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie
e sollevando, altresì, eccezioni pregiudiziali di
inammissibilità del gravame.
In particolare, il Comune ha rilevato come la pretesa
sostanziale azionata con l’odierna impugnazione verta
sull’accertamento della natura privata della strada vicinale
Milano, sicché essa è sottratta alla giurisdizione del
giudice amministrativo e riconducibile a quella dell’A.G.O.,
alla stregua dell’actio negatoria servitutis, finalizzata ad
accertare che la strada non è soggetta all’uso pubblico.
La difesa civica ha, altresì, rilevato come il ricorso sia
inammissibile per mancata impugnazione di atto presupposto,
autonomamente lesivo, consistente nella delibera del
Consiglio comunale n. 78/1981 di classificazione della
strada de qua come vicinale d’uso pubblico.
Con ordinanza n. 1179 del 24.08.2012 è stata accolta la
formulata domanda cautelare.
In prossimità dell’udienza fissata per la discussione del
merito entrambe le parti hanno depositato memorie e
repliche.
All’udienza pubblica del 02.05.2013 la causa è stata
trattenuta dal Collegio per la decisione.
Il Collegio rileva, in via preliminare, la pacifica
sussistenza della propria giurisdizione sulla fattispecie,
poiché l'impugnata ordinanza, qualificabile ai sensi
dell'art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918, integra una
fattispecie di autotutela possessoria in via amministrativa
o "iure publico" - finalizzata all'immediato ripristino
dello stato di fatto preesistente di una strada, volto a
reintegrare la collettività nel godimento del bene (cfr.
Cons. St., Sez. V, sent. 08.01.2009, n. 25; TAR
Piemonte, Torino, Sez. I, Sent. 20.03.2013, n. 341; TAR
Salerno, Sez. I, sent. 29.05.2012, n. 1058; TAR
Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, sent. 08.04.2011, n. 184).
La giurisdizione del g.a. non viene meno ancorché gli venga
richiesto di accertare, in via incidentale, la sussistenza o
meno del diritto della collettività sul suolo pubblico o
soggetto ad uso pubblico. Se è vero, infatti, che non
rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo
l'accertamento in via principale di una servitù pubblica di
passaggio, essendo detta questione devoluta alla
giurisdizione del Giudice Ordinario, è altrettanto vero che
ricorre la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora
l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un
presupposto dell'atto eventualmente impugnato, cosicché la
valutazione della sua sussistenza si ponga come questione da
valutare, incidenter tantum, al limitato fine di verificare
la legittimità degli atti gravati, non ravvisandosi alcuna
pregiudiziale obbligatoria, in siffatte questioni, a favore
del Giudice Ordinario (cfr. in tal senso, sempre TAR
Piemonte, Torino Sez. I, Sent., n. 341/2013; TAR
Friuli-Venezia Giulia Sez. I, n. 184/2011; Cass. SS.UU.
02.10.1989, n. 3950, 23.01.1991, n. 596, 07.11.1994, n. 9206).
--------------
Si può, a
questo punto, prescindere dall’esame della residua questione
preliminare, essendo il ricorso infondato nel merito.
In tal senso, re melius perpensa rispetto a quanto deciso in
sede di cognizione sommaria, preme al Collegio evidenziare
come l’ordinanza di cui trattasi, pur richiamando nelle
proprie premesse almeno un duplice ordine di presupposti
normativi (da un lato, il d.P.R. n. 380/2001, la l.reg. n.
12/2005 e il d.lgs. n. 42/2004 e, dall’altro, l’art. 15 del
d.l.lgt. n. 1446/1918), radichi, di fatto, la disposta
ingiunzione sull’esercizio del potere di autotutela
possessoria, spettante al Sindaco ai sensi dell’art. 15 del
d.l.lgt. n. 1446/1918.
In effetti, è proprio sul potere in esame che risulta
calibrata la motivazione del provvedimento, che, dopo avere
descritto lo stato della strada interessata dal cumulo di
materiale inerte, richiama, nelle premesse, nell’ordine, la
delibera del Consiglio comunale recante l’elenco delle
strade vicinali ad uso pubblico, i presupposti applicativi
dell’art. 15 cit. e, quindi, il prevalente interesse
pubblico al ripristino della preesistente viabilità. In
siffatte circostanze, reputa il Collegio che il
provvedimento in questione costituisca esplicazione del
predetto potere di autotutela e come tale debba essere
valutato, tenendo conto della normativa ad esso applicabile.
Non va dimenticato, infatti, che l’esatta qualificazione
giuridica del provvedimento amministrativo impugnato,
fondandosi sull'analisi del suo contenuto effettivo e della
sua causa reale, spetta al giudice investito dalla
controversia, il quale può, addirittura, legittimamente
prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito
dall'amministrazione all'atto adottato (cfr. ex multis, da
ultimo, TAR Lazio Roma Sez. II, Sent., 22.05.2013, n.
5144).
Su tali premesse, il primo motivo di ricorso appare
inammissibile, prima ancora che infondato, poiché non
riferibile all’ordinanza che qui ci occupa, così come
correttamente intesa alla stregua di provvedimento adottato
nell’esercizio del potere di autotutela possessoria delle
strade vicinali, potere di spettanza sindacale. Esso, a ben
vedere, appare riferito ad un ipotetico provvedimento,
conclusivo del procedimento avviato con la comunicazione del
29.09.2011, per l’abusiva trasformazione permanente del
suolo in edificato, non ravvisabile -a parere del Collegio- nell’ordinanza per cui è causa. Quest’ultima, proprio in
virtù della sua specifica connotazione, non necessita di
previa comunicazione di avvio, rivestendo natura tipicamente
cautelare e urgente, diretta a recuperare nell’immediato
l’uso pubblico della strada di cui trattasi (cfr. Cons. di
Stato, sent. 01.12.2006 n. 7081).
Analogamente infondato si appalesa, poi, il secondo motivo,
atteso che, la presenza di una doppia sottoscrizione (del
Sindaco e del Dirigente) non fa di certo venire meno
l’assunzione della paternità dell’ordinanza al soggetto ex lege legittimato alla sua adozione (nel caso di specie, il
Sindaco, ex art. 15 cit.), così rendendo l’atto in questione
soggettivamente perfetto e immune dalle dedotte censure.
Da ciò si ricava anche l’infondatezza del terzo motivo,
atteso che l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 non ha inteso
privare il Sindaco delle competenze ad esso specificamente
attribuite dalle previgenti previsioni normative, laddove si
resti comunque al di fuori dei compiti di gestione (cfr.
artt. 107, co. 5 e 50, co. 4 d.lgs. n. 267/2000). Infatti, in
disparte la circostanza che l’ordinanza in esame non rientra
tra i “compiti” espressamente attribuiti, ai sensi del comma
3 dell’art. 107 cit. alla competenza dirigenziale, in ogni
caso essa non è riconducibile fra i “compiti di attuazione
degli obiettivi o dei programmi definiti con gli atti di
indirizzo”.
Ne consegue che, legittimamente l’ordinanza in esame reca la
firma del Sindaco, in conformità del chiaro disposto di cui
all’art. 15 d.l.lgt. cit..
Si può, così, passare all’esame del quarto motivo, con cui
si lamenta, in sostanza, il difetto dei presupposti di cui
all’art. 15 richiamato.
Ebbene, tale norma (introdotta con il d.l.lgt. 01.09.1918 n.
1446, convertito in legge dalla L. 17.04.1925, n. 473,
le cui disposizioni -delle quali l'art. 2, d.l. 22.12.2008, n. 200, aveva previsto l’abrogazione a decorrere dal
16.12.2009- sono state sottratte all’effetto
abrogativo in base al comma 2 dell’art. 1, d.lgs. 01.12.2009, n. 179), così dispone:
“Le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali
sono esercitate dal sindaco, a cui spetta ordinare che siano
rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e
all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che
siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente
alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico, il sindaco dispone
l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli
interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il
termine prefisso agli ordini ricevuti. La nota di spese è
resa esecutoria dal prefetto, sentiti gli interessati, ed è
riscossa nelle forme e con i privilegi fiscali. Sono altresì
applicabili per queste strade gli artt. 374 a 377 della
legge sulle opere pubbliche.
Per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può
solo provvedere quando ne sia richiesto, e può autorizzare
il Consorzio ad eseguire i lavori di ripristino anche in
pendenza di ricorsi”.
Come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, i presupposti
che legittimano l'esercizio del potere di autotutela
possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco ai
sensi della su riportata norma, sono:
a) la preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada,
anche se questa sia del tutto privata;
b) la sopravvenienza di un'alterazione del preesistente
stato di fatto, che abbia frapposto impedimenti all'uso
pubblico della strada medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
sent. n. 151 del 09.05.1983; di recente, TAR
Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 21.01.2013, n. 20).
---------------
Come
correttamente rilevato dalla difesa comunale, infatti,
l’iscrizione della strada nel tratto che qui interessa
nell’elenco delle strade vicinali soggette ad uso pubblico,
comporta, per la sua natura dichiarativa, in adesione a
consolidata giurisprudenza (cfr. Cons. di Stato sez. V,
sent. 22.06.2010 n. 3891), una presunzione della sussistenza
del diritto di pubblico transito sulla strada, che può
essere vinta solo con l’esperimento dell’actio negatoria
servitutis di fronte al giudice ordinario, ai sensi del
disposto dell’art. 20, II comma, dell’all. “F” alla legge n.
2248 del 1865.
Al contempo, quindi, alla stregua del medesimo indirizzo
giurisprudenziale, la sussistenza di tale iscrizione
costituisce il presupposto che fonda la legittimazione del
Comune all’esercizio del potere di ripristino dell’uso
pubblico stesso, estrinsecazione del potere di autotutela
possessoria, di cui all’art. 15 copra richiamato.
Non si può dire, infatti, che la parte ricorrente abbia
adempiuto all’onere probatorio conseguentemente ravvisabile
a suo carico, in ordine alla prova della mancanza di un uso
pubblico della strada de qua, essendosi la difesa attorea
limitata a richiamare, al riguardo, l’attuale stato di
inservibilità della strada.
Sennonché, giova osservare al riguardo come, sempre per
giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di
autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi
dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865
n. 2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt.
01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche
quando da tempo la strada non è stata utilizzata dalla
collettività ed anche quando sia diventata impraticabile al
carreggio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 522 del
07.04.1995).
Per completezza, è utile richiamare anche quanto
recentemente affermato dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. V,
Sent., 14.05.2013, n. 2611), secondo cui:
“La circostanza che il Comune non sia intervenuto
tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino
della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione
delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle
strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969),
ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla
giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato
nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono
l'esistenza di una strada vicinale iscritta come tale
nell'elenco delle strade comunali, l'uso da parte della
collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse per il
collegamento con la pubblica via del santuario dell'acqua
nera e l'interruzione e trasformazione da parte del
ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo della
realizzazione sull'area stradale di opere edilizie abusive
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.06.2012, n. 3531; sez. V,
04.02.2004, n. 373; sez. V, 24.10.2002, n. 5692;
Cass. civ., sez. II , 10.10.2000, n. 13485; 07.04.2000, n. 4345; Sez. I,
03.10.2000, n. 13087, cui si
rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.)” (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.09.2013 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura pubblica di una strada.
Domanda
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche
comporta la natura pubblica della strada?
Risposta
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche
non comporta la natura pubblica della strada.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o
gravate da uso pubblico non ha infatti natura costitutiva e
portata assoluta, ma riveste una funzione puramente
dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice
presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova
contraria della natura della strada.
Stante pertanto la natura dichiarativa degli elenchi delle
vie pubbliche o gravate da uso pubblico, è necessario
individuare altri elementi costitutivi da valutarsi al fine
dell'accertamento della natura pubblica di una strada, quali
l'uso pubblico (inteso come l'utilizzo da parte di un numero
indeterminato di persone), l'ubicazione della strada
all'interno di luoghi abitati, nonché il comportamento
tenuto dalla p.a. nel settore dell'edilizia e
dell'urbanistica.
Ciò posto e ribadito pertanto che l'iscrizione di una strada
nell'elenco delle vie pubbliche non comporta la natura
pubblica della strada, avendo l'inserimento una sola valenza
dichiarativa, è opportuno precisare però che chi intende
affermare la natura privata della strada o negare
l'esistenza della servitù non può limitarsi a sostenere che
l'elenco non ha valenza costitutiva, ma deve fornire prove
idonee a dimostrare la diversa connotazione della strada
(Tar Veneto, Sezione II, n. 1555 del 13/12/2012) (articolo ItaliaOggi
Sette dell'01.07.2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Vanno attribuiste alla giurisdizione
amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che
abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima,
e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei
termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità
senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò
in quanto in questi casi trattasi non già di meri
comportamenti materiali, ma di condotte costituenti
espressione di un'azione originariamente riconducibile
all'esercizio del potere autoritativo della p.a.
Altresì, rientra nella giurisdizione del giudice
amministrativo l'azione con la quale i proprietari di
un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in
subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo
la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione,
ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta
dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella
giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla
richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che
l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di
risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di
entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso
in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità
della giurisdizione anche in presenza di motivi di
connessione.
---------------
Il danno da occupazione illegittima si ricollega a una
condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto
si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti
illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con
riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si
determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che
in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al
risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso
momento decorre il relativo termine di prescrizione
quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni
rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore
al quinquennio precedente la proposizione della domanda,
anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio
dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma
corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi
dell’occupazione può costituire fattore impeditivo
all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi
nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni
momento dell’illecito permanente (de die in diem); il
risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il
diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente
per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione
dell’azione risarcitoria.
---------------
Quanto al dedotto intervento dell’istituto della c.d.
dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una
manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso
dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che
sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di
lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla
realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla
trasformazione del suolo mediante la realizzazione
dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in
conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta
l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario
avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o
sbocco su pubbliche vie nonché la destinazione al transito
di un numero indifferenziato di persone.
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi
assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso
avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un
pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli
ossia quali soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato.
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può
avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il
comportamento del proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività indeterminata di cittadini,
oppure con l'uso del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale.
Insomma, perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e
all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso
pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una
manifestazione di liberalità da parte del proprietario
(nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam;
2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di
uso pubblico o della proprietà per usucapione.
E’ oramai consolidato l'orientamento che
attribuisce alla giurisdizione amministrativa le
controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi
divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di
efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il
sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in
quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti
materiali, ma di condotte costituenti espressione di
un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del
potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl.,
22.10.2007, nr. 12; id., 30.07.2007, nr. 9; id., 30.08.2005, nr. 4; C.g.a.r.s., 10.11.2010, nr. 1410;
Cons. Stato, sez. IV, 06.11.2008, nr. 5498).
E’ stato anche affermato che rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari
di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in
subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo
la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione,
ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta
dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella
giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla
richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che
l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di
risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di
entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso
in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità
della giurisdizione anche in presenza di motivi di
connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 04.02.2011, n. 804).
---------------
Devono
respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa civica con
le quali si eccepisce oltre alla prescrizione del diritto
del ricorrente al risarcimento dei danni subiti, anche la
c.d. “dicatio ad patriam” ossia l’acquisto della natura
demaniale di una strada privata.
Escluso che la realizzazione dell’opera pubblica determini
l’acquisizione dell’area alla mano pubblica, secondo
l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di
aderire (Cfr. Cass. civ., sez. I, 07.03.2011, nr. 5381;
Cons. Stato, sez. IV, 02.08.2011, nr. 4590), il danno da
occupazione illegittima si ricollega a una condotta
antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae
nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a
partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento
a ciascun periodo in relazione al quale si determina la
perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni
momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento
del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il
relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il
diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla
prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio
precedente la proposizione della domanda, anche qualora i
frutti vengano richiesti secondo il criterio
dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma
corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi
dell’occupazione può costituire fattore impeditivo
all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi
nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni
momento dell’illecito permanente (de die in diem); il
risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il
diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente
per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione
dell’azione risarcitoria.
Nella specie, il ricorrente ha inviato una prima richiesta
con racc. del 22.09.1995, una successiva con nota del
25.03.1997 e un’altra in data 04.02.2002 sicché, essendo
intervenuti atti interruttivi della prescrizione, questa non
risulta maturata, con conseguente diritto al risarcimento a
far data dalla occupazione del bene, ossia dal 23.11.1992 ( come risulta dal processo verbale di consegna del 23.11.1992).
Quanto al secondo aspetto, ossia al dedotto intervento
dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo
presuppone storicamente una manifestazione di volontà del
privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso
pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio)
quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o
analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante
la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione
di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia
rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente
pubblico la proprietà.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre,
costituisce strada pubblica quel tratto viario avente
finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco
su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000 n. 4345;
idem, 28.11.1988 n. 6412) nonché la destinazione al
transito di un numero indifferenziato di persone (Cons.
Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi
assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso
avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un
pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli
ossia quali soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V,
14.02.2012 n. 728).
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può
avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il
comportamento del proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività indeterminata di cittadini,
oppure con l'uso del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21.05.2001
n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti
afferma che perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un
uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del
bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e
all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso
pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una
manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di
dicatio ad patriam;
2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di
uso pubblico o della proprietà per usucapione.
Nella specie, non vi è stato alcun atto del privato idoneo a
dar luogo alla dicatio ad patriam e comunque
l’amministrazione comunale non ha in alcun modo provato la
sussistenza degli elementi costitutivi all’uopo necessari (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.05.2013 n. 1174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quando
la strada vicinale non è iscritta negli appositi elenchi (di
cui all’art. 20 L. n. 2248/1865 all. F), l’amministrazione
deve porre a base delle sue determinazioni idonei
accertamenti da cui risulti un titolo di acquisto del
relativo diritto da parte della collettività.
---------------
Il Comune ha voluto desumere l'uso pubblico (della strada)
dal fatto che il passaggio venga esercitato nell'interesse
di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari di
determinati immobili, in dipendenza della loro particolare
ubicazione.
In siffatte evenienze, non può dirsi dimostrato che la
strada in questione sia al servizio della generalità
indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e
non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa
da parte dei soli residenti che se ne servono per
raggiungere i fabbricati ivi ubicati.
Nel caso di specie, in definitiva, non vengono indicati
elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità,
precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c.. e
neanche la concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di
dimostrare l’asservimento della stessa all'uso pubblico.
Prima di emettere il provvedimento impugnato, per contro,
l’amministrazione avrebbe dovuto accertare attraverso
un'adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti
avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione
dell'ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di
specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare
la strada in questione come strada destinata ad uso
pubblico.
... per l'annullamento dell’ordinanza del Responsabile del
servizio “Ufficio lavori pubblici e gestione del
territorio” n. 11/2005 del 2.12.2005, di immediata
rimozione dei manufatti (pali metallici e catena) installati
su strada posta al servizio della località Roccolo.
...
Dalla documentazione versata in atti
da entrambe le parti non emerge in modo univoco la natura
giuridica della strada, né si rinvengono elementi idonei a
provare l’esistenza di una servitù di uso pubblico su di
essa, e, neppure ricorrono elementi atti a deporre per la
sua demanialità.
L’istruttoria compiuta dall’Amministrazione comunale si
rivela semplicistica e superficiale, anche perché non tiene
conto del fatto che, quando la strada vicinale non è
iscritta negli appositi elenchi (di cui all’art. 20 L. n.
2248/1865 all. F), l’amministrazione deve porre a base delle
sue determinazioni idonei accertamenti da cui risulti un
titolo di acquisto del relativo diritto da parte della
collettività. Allo stesso modo, risultano carenti gli altri
requisiti a tal fine necessari, ovvero, il passaggio
abituale esercitato da una collettività di persone
qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale,
nonché la concreta idoneità della strada a soddisfare
esigenze di pubblico interesse.
L’amministrazione si è limitata, infatti, ad affermare ma
non ha dimostrato la “notorietà pubblica” della strada, né
ha documentato quali sarebbero le “dichiarazioni degli
utenti interessati”, a cui si fa solo cenno nelle premesse
dell’atto impugnato.
Le mappe versate in giudizio, poi, non chiariscono il regime
giuridico della strada, atteso che, specie quella risalente
al 1860 (tratta dall’archivio di Stato del comune di Como),
pur recando l’indicazione della strada in questione, non ne
fornisce alcuna qualificazione, a differenza della contigua
strada per Rovenzola, ivi indicata come “comunale”.
Non risulta, quindi, che la P.A. abbia posto a fondamento
del provvedimento impugnato accertamenti idonei in ordine
alla sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso,
condotti mediante un approfondito esame della condizione
effettiva in cui il bene si trova (cfr. ex multis Cons. St.,
Sez. V, 04.02.2004 n. 373; id. 07.04.1995 n. 522; TAR
Catanzaro, I, 19.12.2011 n. 1634; TAR Lazio, Roma, Sez. II,
29.03.2004, n. 2922 TAR Valle d'Aosta, I, n. 86/2009) o
mediante la verifica che l'uso pubblico possa aver luogo ad
opera di una collettività indeterminata di persone, per
soddisfare un interesse pubblico generale. Sembra, al
contrario, che il Comune abbia voluto desumere l'uso
pubblico dal fatto che il passaggio venga esercitato
nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i
proprietari di determinati immobili, in dipendenza della
loro particolare ubicazione.
In siffatte evenienze, non può dirsi dimostrato che la
strada in questione sia al servizio della generalità
indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e
non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa
da parte dei soli residenti che se ne servono per
raggiungere i fabbricati ivi ubicati (cfr. TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, sentenza 19.12.2011, n. 1634; TAR
Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005 n. 287).
Nel caso di specie, in definitiva, non vengono indicati
elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità,
precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c.. e
neanche la concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di
dimostrare l’asservimento della stessa all'uso pubblico
(cfr. Cons. di Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618; id.
01.12.2003, n. 7831; id. 24.10.2000 n. 5692; id.,
Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155).
Prima di emettere il provvedimento impugnato, per contro,
l’amministrazione avrebbe dovuto accertare attraverso
un'adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti
avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione
dell'ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di
specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare
la strada in questione come strada destinata ad uso
pubblico.
Deve, quindi, essere ribadita la fondatezza del suesposto
motivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.05.2013 n. 1270 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La circostanza che il Comune non sia intervenuto
tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino
della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione
delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle
strade pubbliche, ma, secondo i consolidati principi
elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere
alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi
significativi sono l’esistenza di una strada vicinale
iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso
da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità
della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per
il collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua
nera e l’interruzione e trasformazione da parte del
ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la
realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive.
L’asserita
privatizzazione della strada “ab immemore” sulla quale
insiste la difesa del Grassini, appare priva di consistenza,
atteso che l’istituto richiamato dall’interessato,
presuppone il disuso del bene demaniale per un tempo
superiore a cinquanta anni, ovvero il verificarsi di fatti
naturali che abbiano mutato l’originaria consistenza e
funzione del bene.
Nel caso non risulta che ci siano stati eventi naturali
significativi e l’unico elemento portato a suffragio di tale
ricostruzione giuridica è la costruzione di opere abusive,
avvenuta solamente quindici anni prima dell’ordinanza di
rimozione qui in questione e che, verosimilmente è stata la
causa dello spostamento che la strada avrebbe subito.
La circostanza che il Comune non sia intervenuto
tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino
della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione
delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può
ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della
strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle
strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969),
ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla
giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato
nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono
l’esistenza di una strada vicinale iscritta come tale
nell’elenco delle strade comunali, l’uso da parte della
collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse per il
collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua
nera e l’interruzione e trasformazione da parte del
ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la
realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.06.2012, n. 3531; sez. V,
04.02.2004, n. 373; sez. V, 24.10.2002, n. 5692;
Cass. civ., sez. II, 10.10.2000, n. 13485; 07.04.2000, n. 4345; Sez. I,
03.10.2000, n. 13087, cui si
rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2611 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Affinché possa considerarsi esistente una servitù
pubblica di passaggio su una strada occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di
persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in
una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il
collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della
pubblica amministrazione.
La
giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione
aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente
una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che
essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di
persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in
una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia
concretamente idonea a soddisfare, attraverso il
collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di
interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di
manutenzione da parte della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.02.02011, n. 1240; IV,
n. 2760 del 2012, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2013 n. 2544 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Accesso carrabile e pedonale da un’area privata su strada ad
uso pubblico senza il consenso del proprietario.
L’amministrazione comunale non può, in
sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire
l’accesso carrabile e pedonale, da un’area privata su una
strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà
di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso da
parte del proprietario.
La compressione delle prerogative del proprietario
conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico
passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di
ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel
caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino
un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento
di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale
l’accesso alla strada di uso pubblico.
Se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di
costruire all’autorità amministrativa sia consentito
costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si
specie: l’obbligo di consentire il passaggio)
indipendentemente dal consenso del proprietario, si
giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione
di una servitù sostanziale (quale quella che consente il
passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei
tassativi modi di costituzione espressamente richiamati
dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della
corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli
1032 e 1053 del medesimo Codice.
Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello
proposto da una società cooperativa edilizia avverso la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo
con cui è stato accolto il ricorso proposto da una società
cooperativa controinteressata e, per l’effetto, è stato
disposto l’annullamento del titolo edilizio rilasciato in
suo favore nel dicembre del 2004 per la parte in cui le ha
consentito di realizzare un accesso carrabile su una strada
privata (ma ad uso pubblico) di proprietà della ricorrente
in primo grado.
Il thema decidendum consiste nello stabilire se
legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di
rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso
–carrabile e pedonale– da un’area privata su una strada ad
uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un
altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi:
vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario
Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma
laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita
risposta in senso negativo.
Al riguardo si osserva in primo luogo:
- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria
viaria in parte di proprietà comunale e in parte di
proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si
configura –almeno in parte– come strada privata di suo
pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade
piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via
Abruzzo e la Via della Scuola);
- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile
che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare
della società appellante ricade in toto nella porzione della
via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal
senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo
giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità –
Mobilità della provincia dell’Aquila).
Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una
controversia avente ad oggetto la delimitazione della
consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione
e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale
civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso
nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada
privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità
indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare
l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non
può dall’altro legittimare il proprietario del fondo
confinante all’apertura di accesso alla strada stessa,
nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi
di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico
del bene privato e che correlativamente non può essere
neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine
necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto
al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”;
pertanto, [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada
Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente,
una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un
accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio
per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla
presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi
fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di
passaggio”.
Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il
giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai
fini della definizione della presente controversia, nel cui
ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti
e degli obblighi delle parti private in lite viene in
rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti
abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.
In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove
ha osservato che la compressione delle prerogative del
proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al
pubblico passaggio non può spingersi (per evidente
eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione
di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di
costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di
compressione volta al soddisfacimento di un interesse
squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla
strada di uso pubblico.
Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di
rilascio del permesso di costruire all’autorità
amministrativa sia consentito costituire sull’area di un
terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire
il passaggio) indipendentemente dal consenso del
proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo
surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale
(quale quella che consente il passaggio attraverso e sul
fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di
costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del
Codice civile e in assenza della corresponsione
dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053
del medesimo Codice.
Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono
in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di
questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 09.06.2008, n.
2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).
Si osserva al riguardo:
- che quella sentenza ha compendiato i princìpi
giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per
l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma
non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo)
relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti
altresì che l’amministrazione possa –in assenza o in
contrasto con la volontà del proprietario– consentire un
accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;
- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha
affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una
strada privata comporta che questa diviene soggetta alla
normale disciplina stradale “e la proprietà privata si
riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena
disponibilità del proprietario quando cessasse la
destinazione stradale”, per altro verso essa non ha
affatto affermato che ciò comporti necessariamente la
possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere
abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se
si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto
dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero
inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le
condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso
pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma
di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza
di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi
dell’articolo 1032 del Codice civile) (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.05.2013 n. 2416 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' pacifico che
l'Amministrazione comunale, sulle aree gravate da una
servitù di passaggio su un'area privata, debba esercitare il
potere diretto a garantire ed a disciplinare l'uso generale
del bene da parte della collettività, nell'ambito del
pubblico interesse giustificativo della servitù medesima,
concedendo l’uso particolare (cfr. l’art. 38, comma 3, del
Dlgs. 15.11.1993, n. 507, che infatti assoggetta ad
autorizzazione e al pagamento della relativa tassa
l’occupazione di suolo privato ad uso pubblico).
Nel caso di specie tali poteri sussistono in quanto,
quand’anche la striscia di terreno fosse da qualificare come
privata, quell’area è sicuramente assoggettata all’uso
pubblico, in quanto gravata da lunghissimo tempo da una
servitù di pubblico passaggio pedonale costante ed
indiscriminato a favore della generalità di persone.
Considerato:
- che con il provvedimento impugnato il Comune di Villa
Estense ha ordinato la rimozione di fioriere, panchine e
vasi che sono stati apposti alla ricorrente sulla via
Cavour, nella parte esterna alla carreggiata non asfaltata
prospiciente il muro di cinta del giardino pertinenziale
dell’edificio di proprietà;
- che tale provvedimento è impugnato per le censure di
violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990,
perché la precedente comunicazione del 15.06.2012 faceva
riferimento a problematiche inerenti l’occupazione di suolo
pubblico, mentre il provvedimento impugnato è motivato con
la necessità di evitare che tali manufatti siano lasciati in
stato di abbandono, divenendo ricettacolo di sporcizia e
deposito rifiuti, causa di propagazione di vegetazione
infestante con conseguenti problematiche igienico sanitarie,
e per prevenire situazioni di intralcio alla circolazione
veicolare e pedonale che siano causa di situazioni di
pericolo;
- che con ulteriore censura si lamenta il difetto di
istruttoria e di motivazione, l’illogicità e la disparità di
trattamento in quanto non è comprovata la sussistenza delle
condizioni di degrado indicate nell’ordinanza, e in mancanza
delle fioriere e delle panchine vi è il rischio che vengano
parcheggiate delle automobili, mettendo a rischio lo stato
di conservazione del muro di cinta, e comunque, come risulta
dalla perizia allegata al ricorso, la striscia di terreno è
di proprietà privata;
- che si è costituito in giudizio il Comune di Villa Estense
eccependo l’inammissibilità del ricorso per carenza di
interesse nonché per la mancata notifica del medesimo ai
controinterssati, e concludendo per la sua reiezione;
- che per economicità di giudizio si può prescindere
dall’esaminare le eccezioni di inammissibilità perché il
ricorso è infondato nel merito;
- che infatti, contrariamente a quanto dedotto, il
provvedimento impugnato non presuppone neppure
l’accertamento della proprietà comunale della porzione di
terreno sulla quale sono presenti le fioriere e le panchine,
ma l’esistenza o meno di poteri del Comune a disciplinare
l’uso generale di quel suolo da parte della collettività;
- che infatti è pacifico che l'Amministrazione comunale,
sulle aree gravate da una servitù di passaggio su un'area
privata, debba esercitare il potere diretto a garantire ed a
disciplinare l'uso generale del bene da parte della
collettività, nell'ambito del pubblico interesse
giustificativo della servitù medesima, concedendo l’uso
particolare (cfr. l’art. 38, comma 3, del Dlgs. 15.11.1993, n. 507, che infatti assoggetta ad autorizzazione e al
pagamento della relativa tassa l’occupazione di suolo
privato ad uso pubblico);
- che nel caso di specie tali poteri sussistono in quanto,
quand’anche la striscia di terreno fosse da qualificare come
privata, quell’area è sicuramente assoggettata all’uso
pubblico, in quanto gravata da lunghissimo tempo da una
servitù di pubblico passaggio pedonale costante ed
indiscriminato a favore della generalità di persone;
- che pertanto va respinta la censura di cui al secondo
motivo, in quanto l’abusività dell’installazione delle
fioriere e delle panchine è sufficiente a sorreggere
l’ordine di rimozione e, come dedotto dal Comune nelle
proprie difese, la presenza di tali manufatti è
oggettivamente idonea a costituire un intralcio alla
manutenzione del ciglio della strada, con conseguente
degrado della stessa, ed intralcio alla circolazione dei
veicoli e dei pedoni (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 22.04.2013 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Affinché la
servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il
bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al
servizio di una collettività indeterminata di soggetti
considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia
quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato.
Anche la Cassazione ha da ultimo ribadito che la servitù di
uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione da parte di
una collettività indeterminata di persone del bene privato
idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un
gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali
“ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al
d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste
debbano necessariamente interessate da un transito
generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà
privata del sedime stradale e dei relativi accessori e
pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti),
l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi
dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con
correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione
della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di
gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918,
“Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in
Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”),
onde garantire la sicurezza della circolazione che su di
essa si realizza.
Oggetto del presente giudizio è l’ordinanza sindacale n. 45
del 14.09.1995 con la quale il Comune di Trevignano ha
ingiunto a U.T. di demolire la recinzione in muratura posta
a delimitazione del fabbricato di civile abitazione, con
annesso terreno, di sua proprietà, censito al foglio 20,
mappale n. 123, di detto comune.
Il provvedimento in questione si fonda sullo sconfinamento
di tale recinzione su “un tratto di strada pubblica e la
sede di corso d’acqua demaniale”, e cioè,
rispettivamente, sulla strada vicinale “della Brentella”,
qualificata nel provvedimento come strada vicinale gravata
da servitù d’uso pubblico e “catastalmente” pubblica,
nonché su un canale consorziale.
...
L’elemento di fatto valorizzato dal TAR non è infatti
sufficiente a costituire una servitù di uso pubblico.
Nel supplemento di istruttoria richiamato nell’ordine di
demolizione si afferma che, in base alle mappe catastali e a
non meglio precisate “informazioni assunte sul posto”
la strada risulta essere utilizzata “dai proprietari dei
fondi latistanti”, nonché dal personale dei consorzi di
gestione dei canali irrigui (Solagna e della Vittoria) per
la normale manutenzione.
Tuttavia, per giurisprudenza costante di questo Consiglio di
Stato, ancora di recente riaffermata, e dalla quale non vi è
motivo di discostarsi, affinché il diritto reale in
questione possa dirsi sorto occorre che il bene privato sia
idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di
carattere generale, e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato (Sez. V, 14.02. 2012 n. 728; in
senso conforme: Sez. IV, 15.05.2012, n. 2760; Sez. V,
05.12.2012, n. 6242, quest’ultima citata dall’appellante).
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello
della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la
servitù di uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione
da parte di una collettività indeterminata di persone del
bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della
stessa (Sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae,
da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza
ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di
carattere generale, anche per il collegamento con la
pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali “ad
uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al
d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste
debbano necessariamente interessate da un transito
generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà
privata del sedime stradale e dei relativi accessori e
pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti),
l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi
dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con
correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione
della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di
gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà
agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in
Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”),
onde garantire la sicurezza della circolazione che su di
essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga
in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale
dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale.
Del resto, l’amministrazione resistente, che della prova
dell’uso generale è onerata, non ha in alcun modo riferito
di segnalazioni o esposti della cittadinanza tendenti a
denunciare un diminuito godimento del diritto transito per
effetto della (pur risalente) opera muraria oggetto
dell’ordine di demolizione.
Va infine dato atto che nel supplemento di istruttoria si
desume l’uso pubblico dall’inserimento della strada vicinale
nello “strumento urbanistico vigente che individua un
“percorso ambientale” che collega la strada comunale Via
alloro con la strada provinciale Via Villette”.
Ma anche questo elemento è all’evidenza del tutto inidoneo a
provare l’asservimento effettivo all’uso della collettività.
Pertanto, il provvedimento qui impugnato è effettivamente
contrastante con l’art. 825 cod. civ. e carente di
istruttoria e motivazione sullo specifico punto
dell’asservimento all’uso pubblico della strada vicinale.
Tale vizio risulta ancora una volta inficiante in modo
decisivo l’ordine di demolizione impugnato, perché lo priva
di un fondamentale presupposto fattuale. Esso fa infatti
emergere, al di là della sintomatica contraddittorietà in
ordine alla natura di tale strada quale incontestabilmente
emergente nella vicenda qui in decisione, l’assenza di un
abuso sanzionabile con l’ordine di demolizione, visto che
per quanto concerne l’altra situazione di illegalità in
detto provvedimento enucleata, consistente nello
sconfinamento sul canale consorziale, è stata rimossa in
seguito all’ottenimento della concessione idraulica in
sanatoria, come debitamente comprovato in via documentale
dall’appellante (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.04.2013 n. 2218 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi degli artt. 2, comma 7, e 3, comma 1, p.
52, del D.L.vo 30.04.1992 n. 285 (codice della strada),
l'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può
derivare proprio dall’uso pubblico risalente nel tempo.
Ai sensi del richiamato codice della strada, quanto alla
disciplina del traffico su strade di proprietà privata
ricadenti all'interno del centro abitato, queste sono
assoggettate agli ordinari poteri di regolamentazione
assegnati al Sindaco dall'art. 7 D.L.vo n. 285 cit..
Occorre rilevare che le strade di cui è questione,
interessate al disposto temporaneo divieto di sosta
finalizzato alla esecuzione sulle stesse di lavori di
asfaltatura, sono strade private aperte al pubblico
transito. Sono esattamente strade consortili appunto aperte
al pubblico transito, facenti parte del Consorzio stradale
distacchi convenzionati Via Marconi – Comprensorio B,
tuttavia non più operante poiché sciolto in data 01.11.1991.
Del resto, ai sensi degli artt. 2, comma 7, e 3, comma 1, p. 52,
del D.L.vo 30.04.1992 n. 285 (codice della strada),
l'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può
derivare proprio dall’uso pubblico risalente nel tempo (cfr.
TAR Trento, 13.01.2012 n. 15).
Così come occorre anche ricordare che ai sensi del
richiamato codice della strada, quanto alla disciplina del
traffico su strade di proprietà privata ricadenti
all'interno del centro abitato, queste sono assoggettate
agli ordinari poteri di regolamentazione assegnati al
Sindaco dall'art. 7 D.L.vo n. 285 cit..
Risulta pertanto legittima la determinazione dirigenziale
con cui, attesa propria la fruizione pubblica delle strade,
si è disposto per (soli) tredici giorni il divieto di sosta
per consentire di asfaltare le strade medesime. La chiara ed
inequivoca necessità di tutelare il pubblico interesse alla
sicurezza della circolazione stradale è ragione sufficiente
a reggere la avversata determinazione.
Deve in effetti il Collegio anche rilevare che appare
difficile cogliere nella determinazione avversata contestata
un pregiudizio grave ed irreparabile alla sfera giuridica
dei ricorrenti in ragione del disposto divieto di sosta,
finalizzato a mezzo dei lavori di asfaltatura a migliorare
la circolazione sulle strade interessate e quindi la loro
sicurezza, con beneficio innanzitutto di chi, come i
ricorrenti, maggiormente ne usufruisce (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.04.2013 n. 3348 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di una strada vicinale, per questo come
tale giuridicamente equiparata alle strade comunali, non
possono esservi dubbi sulla sussistenza del rispetto delle
relative fasce stradali inedificabili.
Al riguardo
deve premettersi che, per l’art. 2, VI° co., lett. D), ultimo
periodo del d.lgs. n. 285/1992 Codice della Strada: “… Ai
fini del presente codice, le strade "vicinali" sono
assimilate alle strade comunali…”.
Nel caso in esame, l’estratto delle mappe catastali del PRG
(allegate all’appello sub 2) individua come “Strada Cavallara” il sedime della via che, intersecando la
Provinciale n. 18, ricollega le case sparse “Cason” e la
proprietà Schio alla medesima strada provinciale.
Tale ultimo particolare, da solo, esclude assolutamente la
natura meramente campestre o interpoderale del tracciato,
come indica anche il segno grafico identificativo, che è
quello di una “strada vicinale”.
E’ dunque evidente l’errore sui presupposti della decisione
del TAR, che ha qualificato come interpoderale Via Cason, ed
ha indebitamente escluso l’esigenza di rispettare le
relative fasce stradali.
Al contrario, dato che la strada in questione era vicinale,
e per questo come tale giuridicamente equiparata alle strade
comunali, non possono esservi dubbi sulla sussistenza nel
caso in esame di un vincolo di inedificabilità stradale.
In tali considerazioni, nelle quali restano assorbiti i
restanti profili di censura, l’appello deve essere accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.03.2013 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Determinazione dell'appartenenza di una strada
al demanio comunale.
Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al
demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre
che l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero
indeterminato di persone (il quale, isolatamente
considerato, potrebbe essere indicativo soltanto di una
servitù di passaggio), le risultanze delle mappe catastali,
la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati
(tenuto conto che, in base all'art. 16, lett. b, della legge
20.03.1985, n. 2248, allegato F, si presumono comunali le
strade site all'interno dei centri abitati), l’attività di
manutenzione effettuata dall’ente, i comportamenti tenuti
dalla pubblica amministrazione che presuppongano la natura
pubblica della strada e l'assoggettamento dei cittadini alle
prassi determinate da tali comportamenti.
Alla inclusione o,
rispettivamente, alla mancata inclusione della strada
nell’elenco delle strade comunali (già previsto dall’art. 8
della legge n. 126 del 1958) deve riconoscersi mero valore
dichiarativo e ricognitivo, ma non costitutivo della
proprietà del suolo da parte dell'ente locale. Si tratta,
perciò, di circostanze che non possono ritenersi decisive
per affermare o escludere la natura pubblica e, nonostante
il difetto dell'iscrizione, l'appartenenza di una strada al
demanio comunale ben può essere desunta da altri elementi
presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 cod. civ. (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.01.2013 n. 4145 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
natura pubblica della strada costituisce il presupposto per
l’adozione dell’ordine di rimozione (di un cancello), e,
qualora difetti, l'iscrizione della strada nell'elenco delle
strade comunali e vicinali di uso pubblico è
l'Amministrazione che ha l'onere di accertare con rigorosa
istruttoria la sussistenza di un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico e la concreta
idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di
pubblica utilità.
... per l'annullamento:
1) dell’ordinanza n. 47 del 09/08/2012, con la quale il
Sindaco del Comune di Sant’Agata li Battiati -nell’esercizio
dei propri poteri di massima autorità di Protezione Civile
nell’ambito della pianificazione d’emergenza comunale e
rilevata la necessità, l’urgenza e l’indifferibilità
dell’adozione del provvedimento- ha imposto ai ricorrenti,
la rimozione a propria cura e spese, entro il termine di 30
giorni, del cancello esistente dopo il civico 1 e 2 della
via Lavatoio e della porzione di muro adiacente al cancello;
...
RITENUTO che -a prescindere dalle censure sulla competenza
del Sindaco (che appaio comunque fondate, non essendo
ravvisabili i presupposti per l’adozione di un’ordinanza in
relazione alle esigenze di “salvaguardia della pubblica
incolumità”, nella quale, tuttavia, non risultano
indicate le specifiche ragioni di pericolo la pubblica
incolumità, né il rischio concreto di un danno grave e
imminente per l’incolumità pubblica, riferendosi
esclusivamente alla circostanza che il cancello “può
rappresentare un ostacolo all’ingresso dei mezzi di
soccorso...”)- i profili di doglianza concernenti il
difetto d’istruttoria e la contraddittorietà della
motivazione, sono fondati e assorbenti di ogni altra
censura.
Infatti, in disparte ogni questione sull’accertamento della
proprietà della strada che, ovviamente, esula dalla
giurisdizione del giudice amministrativo ed è devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario, giacché investe
l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti
soggettivi, dei privati o della p.a. (Cassazione civile,
Sezioni unite, 27.01.2010, n. 1624), va rilevato, tuttavia,
come la natura pubblica della strada costituisce il
presupposto per l’adozione dell’ordine di rimozione, e,
qualora difetti, come nel caso di specie, l'iscrizione della
strada nell'elenco delle strade comunali e vicinali di uso
pubblico, è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare
con rigorosa istruttoria la sussistenza di un titolo valido
a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico
(cfr., Cons. di Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618) e la
concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente
esigenze di pubblica utilità.
Pertanto, l'Amministrazione, prima di emettere il
provvedimento impugnato, avrebbe dovuto accertare attraverso
un’adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti
avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione
dell’ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di
specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare
la strada in questione come strada destinata ad uso
pubblico. Istruttoria che, nella specie, s’imponeva in
considerazione alcune determinazioni di Uffici comunali cha
avevano affermato la natura privata della strada in
questione. (cfr. in particolare, nota del 25/06/2005, nella
quale il Capo Settore UTC, dopo aver rilevato che “…
tutta l’altra documentazione, agli atti di questo ufficio,
dimostra (a partire almeno dal 1942) la proprietà privata
della strada” e che “non esistono altri elementi che
possano far presupporre la proprietà comunale della
stradella”, ha informato il Sindaco della inesistenza di
validi presupposti per reclamare la proprietà comunale della
strada affermando che “Il Comune non è in possesso di
altri elementi che possano dimostrare la proprietà del bene”
e che “la strada allo stato attuale non è di nessun
interesse pubblico, in quanto non ha sbocco ed è di limitata
sezione, a fondo naturale e priva di illuminazione”.
E’ evidente, quindi, una situazione di obiettiva incertezza
e contraddittorietà sullo stato dei luoghi, che avrebbe
dovuto indurre il Comune, prima di emettere il provvedimento
impugnato, ad eseguire un’idonea istruttoria sulla natura
della strada che, nella specie, è, invece, mancata, non
potendo nemmeno supplire l’integrazione della motivazione
contenuta nella memoria difensiva, laddove si fa riferimento
a circostanze (presenza della numerazione civica e
riconoscimento della natura pubblica della strada da parte
di un privato in una bozza di convenzione di lottizzazione)
assolutamente inidonee a qualificare gli indici rilevatori
della natura "pubblica" della strada (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7831; Cons. Stato, Sez. V,
24.10.2000 n. 5692; id., Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155).
RITENUTO, quindi, che l’omissione di un rigoroso
accertamento circa gli elementi di fatto e di diritto
rilevatori della natura "pubblica" della strada in
questione evidenzia il difetto istruttorio in cui è incorso
il Comune di Sant’Agata Li Battiati nell'adozione
dell’ordine di rimozione impugnato.
CONSIDERATO che per quanto sopra, il ricorso è fondato e va
accolto, con conseguente annullamento del provvedimento
impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che
l'Amministrazione potrà adottare in esito ad una rinnovata
ed idonea attività istruttoria
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 18.01.2013 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
semplice inclusione di una strada nell'elenco delle strade
comunali (o vicinali) non ha efficacia costitutiva e, ciò,
considerando come tali elenchi hanno natura meramente
dichiarativa, per cui detta inclusione non è di per sé
sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una
strada.
In tal senso si è espressa recentemente la Corte di
Cassazione, secondo cui "l'iscrizione di una strada
nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico
non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste
funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso,
superabile con la prova contraria della natura della strada
e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività mediante un'azione negatoria di servitù".
Stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi in
questione, la giurisprudenza ha precisato l’esistenza di
ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell'accertamento
della natura “pubblica” di una strada, quali l'uso pubblico
(inteso come l'utilizzo da parte di un numero indeterminato
di persone), l'ubicazione della strada all'interno di luoghi
abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica
Amministrazione nel settore dell'edilizia e
dell'urbanistica.
La risoluzione della controversia si sposta quindi
sull’esistenza o meno della connotazione di “strada
pubblica” di Via Tagliamento, presupposto quest’ultimo
per sancire l’applicabilità o meno del disposto di cui al
Decreto Ministeriale sopra citato.
Sul punto va rilevato come questo il Collegio sia
consapevole come la semplice inclusione di una strada
nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non abbia
efficacia costitutiva e, ciò, considerando come tali elenchi
hanno natura meramente dichiarativa, per cui detta
inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la
natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso si è espressa recentemente la Corte di
Cassazione, secondo cui "l'iscrizione di una strada
nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico
non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste
funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune,
ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso,
superabile con la prova contraria della natura della strada
e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della
collettività mediante un'azione negatoria di servitù (Cass.
Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624)”.
Stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi in
questione, la giurisprudenza ha precisato l’esistenza di
ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell'accertamento
della natura “pubblica” di una strada, quali l'uso
pubblico (inteso come l'utilizzo da parte di un numero
indeterminato di persone), l'ubicazione della strada
all'interno di luoghi abitati, nonché il comportamento
tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore
dell'edilizia e dell'urbanistica.
Tutto ciò premesso va comunque rilevato che l’inclusione di
cui si tratta, sancisce comunque un effetto quanto meno “presuntivo”
e per quanto ritiene la qualificazione di una strada
pubblica.
Fermo restando detto criterio presuntivo, e i criteri fatti
propri dall’orientamento sopra ricordato, parte ricorrente
avrebbe dovuto individuare, nel concreto, quegli elementi,
quelle caratteristiche, suscettibili di connotare
diversamente la strada di cui si tratta e, ciò, senza
limitarsi (come in realtà è avvenuto nel ricorso) a porre in
essere una generica contestazione del carattere presuntivo
sopra ricordato.
Al contrario il Comune di Venezia ha rilevato come Via
Tagliamento sia una strada aperta al pubblico; ha, altresì,
precisato come essa costituisca un tratto viario che unisce
le pubbliche strade di Via Rio Cimetto e Via Muggia;
elementi tutti così elencati che, non solo avvalorano il
carattere presuntivo sopra citato, ma consentono di ritenere
insussistente la violazione dell’art. 8 del DM 1444/1968
sostenuta da parte ricorrente.
Il primo motivo deve, pertanto, ritenersi infondato
(Tar Veneto,
Sezione II,
sentenza 13.12.2012 n. 1555 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La PA deve operare accertamenti in ordine alla
sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso nonché in
ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, condotte mediante
un approfondito esame della condizione effettiva in cui il
bene si trova.
Sicché, è illegittimo il comportamento comunale che si limita a
desumere apoditticamente l'uso pubblico dal fatto che il
passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo
limitato di soggetti, quali i proprietari degli immobili
confinanti nonché coloro che devono recarsi alla centralina
idroelettrica, costruita a seguito di procedure ablative che
non hanno interessato la suddetta stradina e che avrebbero
dovuto, se del caso, interessarla, in presenza di eventuali
connesse esigenze di pubblica utilità.
Non risulta, dunque, dimostrato che la stradina in questione
sia al servizio della generalità indifferenziata dei
cittadini uti cives e non uti singuli e non risulta neanche
comprovata l’utilizzazione continuativa da parte dei soli
residenti che se ne servono per raggiungere i fondi.
Nel caso di specie, quindi, non vengono indicati elementi
presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c. e neanche viene
indicata la concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di
dimostrare l’asservimento della stradella in questione
all'uso pubblico.
Rafforza tale significativo quadro fattuale la circostanza
inerente l’omesso inserimento della strada in questione
nell’elenco comunale, come confermato dallo stesso Comune
resistente, anche a voler prescindere dalla considerazione
secondo cui detta inclusione, ai sensi dell'art. 8 della
legge n. 126 del 1958, non risulta dirimente, ha natura
dichiarativa e non costitutiva ed ha carattere di mera
presunzione di demanialità, ai sensi dell'art. 22 della
legge n. 2248 del 1865, all. F, superabile con la prova
contraria dell'inesistenza di un diritto di godimento da
parte della collettività mediante un'azione negatoria di
servitù.
---------------
Viene impugnata l’epigrafata ordinanza, con cui viene
imposto al ricorrente di rimuovere una sbarra metallica,
apposta dal ricorrente sul tratto di strada privata
denominato “Taverna-Monti”, di proprietà del
ricorrente.
In punto di fatto, non risulta in contestazione che la
stradella in questione sia mai stata rilevata o censita,
come ammesso dallo stesso Comune con nota prot. 2545 del
24.11.2008, sebbene sia utilizzata dai proprietari dei vari
fondi agricoli limitrofi e serva per arrivare alla
Centralina Idroelettrica Comunale, realizzata mediante
procedure ablative che non hanno interessato il sito su cui
sorge detta stradina.
Risulta altresì che pende presso il Tribunale di Cosenza un
giudizio civile, intrapreso dal ricorrente con citazione del
09.03.2006 nei confronti del Comune.
Non risulta che la P.A. abbia posto a fondamento del
provvedimento impugnato idonei accertamenti in ordine alla
sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso nonché in
ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, condotte mediante
un approfondito esame della condizione effettiva in cui il
bene si trova (conf.: Cons. St., Sez. V, 07.04.1995, n. 522;
Tar Lombardia, Brescia, 07.09.1999, n. 769; TAR Sardegna,
21.12.2000, n. 1246; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 29.03.2004,
n. 2922 TAR Valle d'Aosta, I, n. 86/2009), limitandosi a
desumere apoditticamente l'uso pubblico dal fatto che il
passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo
limitato di soggetti, quali i proprietari degli immobili
confinanti nonché coloro che devono recarsi alla centralina
idroelettrica, costruita a seguito di procedure ablative che
non hanno interessato la suddetta stradina e che avrebbero
dovuto, se del caso, interessarla, in presenza di eventuali
connesse esigenze di pubblica utilità.
Non risulta, dunque, dimostrato che la stradina in questione
sia al servizio della generalità indifferenziata dei
cittadini uti cives e non uti singuli e non
risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa da
parte dei soli residenti che se ne servono per raggiungere i
fondi.
Nel caso di specie, quindi, non vengono indicati elementi
presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e
concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c. e neanche viene
indicata la concreta idoneità della strada a soddisfare
attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di
dimostrare l’asservimento della stradella in questione
all'uso pubblico.
Rafforza tale significativo quadro fattuale la circostanza
inerente l’omesso inserimento della strada in questione
nell’elenco comunale, come confermato dallo stesso Comune
resistente, anche a voler prescindere dalla considerazione
secondo cui detta inclusione, ai sensi dell'art. 8 della
legge n. 126 del 1958, non risulta dirimente, ha natura
dichiarativa e non costitutiva ed ha carattere di mera
presunzione di demanialità, ai sensi dell'art. 22 della
legge n. 2248 del 1865, all. F, superabile con la prova
contraria dell'inesistenza di un diritto di godimento da
parte della collettività mediante un'azione negatoria di
servitù (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624; Cass.
Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705).
Ritiene, dunque, il Collegio che, in punto di fatto, risulti
ammessa la natura privata della strada in questione e non
risulta dimostrata alcuna situazione di demanialità o di uso
pubblico nel caso di specie, sebbene in via di fatto la
stradina sia ritenuta molto utile per accedere alla centrale
comunale idroelettrica: ma tanto non basta a consentire al
Comune l’esercizio di poteri autoritativi, nei confronti del
ricorrente, in assenza di atti ablativi, né tanto meno
mediante lo strumento atipico dell’ordinanza contingibile ed
urgente, difettandone, nella specie, ab imis i
presupposti legittimanti (sebbene il ricorso non sia
incentrato su questo aspetto).
In definitiva, gli elementi acquisiti al giudizio depongono
per la fondatezza del gravame.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va accolto
e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato,
fatti salvi gli ulteriori e legittimi provvedimenti
dell’Autorità Amministrativa (TAR Calabria-Catanzaro, Sez.
I,
sentenza 08.02.2012 n. 157 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Il concorso del contributo comunale entro
limiti fissati per legge. I privati usano e pagano.
Per la manutenzione delle strade vicinali.
Quesito
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per le strade
vicinali a uso pubblico e la misura della partecipazione
alle spese da parte dell'ente locale, posto che l'unica
disposizione in vigore in materia sembrerebbe essere l'art.
14 della legge 12/02/1958, n. 126, sulla base del presupposto
che il d.l. lgt. 01/09/1918, n. 1446 risulterebbe abrogato dal
dl 22/12/2008, n. 200, convertito dalla legge 18/02/2009, n.
9?
Risposta
Dalla ricostruzione dei passaggi normativi che hanno
interessato la disciplina in materia, emerge che il d.l. lgt.
n. 1446/1918 era stato mantenuto in vigore dalla citata
legge 18/02/2009 n. 9 fino al 15.12.2009.
Tuttavia, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha
sottratto all'effetto abrogativo le disposizione di cui al
suddetto d.l. lgt. 01/09/1918, n. 1446 (art. 1, comma 2, all.
2); inoltre ha ritenuto indispensabile la permanenza in
vigore dell'art. 14 della legge 12/02/1958, n. 126,
relativamente all'obbligo della costituzione di consorzi per
la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade
vicinali di uso pubblico (art. 1, comma1, in combinato
disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla manutenzione e
riscossione delle strade vicinali, ed alla facoltà per gli
utenti delle stesse di costituirsi in Consorzio, può essere
tutt'ora ricondotta alle disposizioni di cui al d.l. lgt.
01/09/1918, n. 1446 e all'art. 14 della legge n. 126 del 1958.
Occorre, peraltro, distinguere se si tratti di strade
vicinali soggette ad uso pubblico o esclusivamente ad uso
privato.
Nel primo caso, infatti, quando il comune è titolare di un
diritto reale di uso pubblico sulla strada vicinale, che è
sempre di proprietà privata, la costituzione di consorzi per
la manutenzione, sistemazione e ricostruzione di dette
strade, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 126 del
12/02/1958, è obbligatoria, mentre rimane facoltativa nel
secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico utilizzo deriva anche
l'obbligo, per il comune, di concorrere alle spese; in
applicazione, infatti, dell'art 3 del citato d.l. lgt. n.
1446 del 1918, che fissa i limiti di compartecipazione per
le strade vicinali soggette al pubblico transito, il comune
è tenuto a concorrere alle spese di manutenzione,
sistemazione e ricostruzione nella misura variabile da un
quinto sino alla metà della spesa, a seconda dell'importanza
della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono inderogabili in
quanto con tale disciplina, tenuto conto dello speciale
regime giuridico di queste strade, il legislatore ha già
contemperato a monte gli interessi pubblici e privati in
gioco, demandando ai comuni solo la possibilità di scegliere
in concreto l'ammontare della contribuzione all'interno dei
limiti minimi e massimi consentiti, motivando
esaurientemente tale scelta (in tal senso la Corte dei
conti, sez. reg. di controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che riguarda i
consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico, nella
ritenuta applicazione dell'art. 14 della legge n. 126/1958 –che rende obbligatoria la costituzione della forma
associativa– e degli artt. 1 e 3 del d.d. lgt. n. 1446/1918,
si deduce che gli oneri per la manutenzione e sistemazione
delle strade vicinali gravano essenzialmente sui soggetti
privati che le utilizzano, salvo il concorso del contributo
comunale nei limiti e termini stabiliti dalla legge
(articolo ItaliaOggi del 07.12.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Lecito il no all'esposizione di merce anche su
una ''porzione'' di marciapiede.
E' legittimo il provvedimento con cui un ente locale ha
rigettato un'istanza tendente a ottenere il rinnovo di una
concessione di suolo pubblico riguardante una ristretta
porzione di marciapiede per l'esposizione di merce, motivato
con riferimento alla circostanza che il marciapiede è stato
da sempre destinato all'uso della collettività e consente un
generale passaggio esercitato iure servitutis publicae da
una quantità indeterminata di persone.
La ricorrente, titolare di un esercizio commerciale deputato
alla vendita di oggetti di ferramenta, ha impugnato il
provvedimento con cui il Comune le aveva negato il rinnovo
della concessione di occupazione di un suolo pubblico (una
porzione di marciapiede) per l’esposizione della merce.
In particolare, ha esposto che il menzionato atto negativo
era stato adottato sulla base della circostanza per cui, a
seguito di alcuni lavori, la dimensione del predetto
marciapiede era risultata talmente ridotta da non consentire
più alcuno spazio espositivo.
Pertanto, insorto avverso siffatto diniego, la deducente ha
contestato la violazione dell’art. 20, D.Lgs. n. 285/1992,
nonché svariati profili di eccesso di potere per
travisamento di fatti ed erronea presupposizione, atteso che
-a suo ritenere– lo spazio antistante il proprio locale
commerciale sarebbe stato di proprietà privata e, così,
destinato al servizio dell’immobile principale.
Il ricorso è stato respinto.
Il Collegio di Perugia, con riferimento all’inosservanza
delle disposizioni contenute nel Codice della Strada, ha
esaminato la questione attinente la presunta
contraddittorietà tra l’impugnato provvedimento e
l’originaria concessione nel cui contesto era stato
richiamato il menzionato decreto.
Invero, il giudicante, prescindendo dalla genericità del
suddetto richiamo formale, ha evidenziato l’insussistenza
del suddetto vizio, atteso che l’errore commesso in sede di
rilascio della prima concessione non avrebbe potuto
costringere l’Amministrazione a rinnovarla.
Sul proposito, ha infatti precisato che il contestato atto
rinviava a una nota istruttoria con cui la civica P.A.,
nell’evidenziare la larghezza del marciapiede nel tratto
della richiesta occupazione per esposizione di materiali in
vendita, aveva dichiarato l’impossibilità di procedere al
rinnovo della concessione, in quanto lo stesso avrebbe
riguardato una zona destinata alla circolazione dei pedoni
per un’ampiezza pari a due metri.
Del resto, l’art. 20, comma 3, D.Lgs. n. 285/1992, sancisce
espressamente che: “Nei centri abitati, ferme restando le
limitazioni e i divieti di cui agli articoli e commi
precedenti, l'occupazione di marciapiedi da parte di
chioschi, edicole o altre installazioni può essere
consentita fino a un massimo della metà della loro
larghezza, purché in adiacenza ai fabbricati e sempre che
rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga
non meno di 2 metri. Le occupazioni non possono comunque
ricadere all'interno dei triangoli di visibilità delle
intersezioni, di cui all'art. 18, comma 2. Nelle zone di
rilevanza storico-ambientale, ovvero quando sussistano
particolari caratteristiche geometriche della strada, è
ammessa l'occupazione dei marciapiedi a condizione che sia
garantita una zona adeguata per la circolazione dei pedoni e
delle persone con limitata o impedita capacità motoria”.
Sicché, all’adito G.A. è risultato evidente che il
contestato diniego era stato adottato dal Comune al fine di
garantire alla collettività la fruizione del bene pubblico
che in alcun modo avrebbe potuto essere “piegato” alle
esigenze (commerciali) di un unico cittadino.
Peraltro, il Collegio è giunto alla medesima conclusione
anche in relazione alla circostanza opposta
dall’interessata, secondo cui lo spazio oggetto dell’istanza
di concessione di suolo pubblico sarebbe stato di proprietà
della ricorrente, in tal modo escludendo la configurabilità
di un marciapiede.
Al proposito, richiamando il disposto di cui all’art. 3
C.d.s., ha rilevato che il tratto di marciapiede in
questione era stato da sempre destinato all’uso della
collettività; peraltro, la suddetta disposizione prevede che
il marciapiede è: “… una parte della strada, esterna alla
carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta,
destinata ai pedoni”.
Al contempo, il TAR perugino, sempre con riferimento ai
“marciapiedi”, ha richiamato un consolidato orientamento
giurisprudenziale per cui: “Secondo i principi generali in
materia, sussiste servitù di uso pubblico nel caso in cui il
bene abbia un’intrinseca idoneità a essere utilizzato da
parte di una collettività, configurandosi un uso a carattere
generale e non uti singuli per un periodo prolungato nel
tempo” (Cons. Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3509; TAR
Veneto, Sez. II, 18.11.2004, n. 4035).
Dunque, quanto alla vicenda, ha osservato che il marciapiede
de quo consentiva un generale passaggio esercitato iure
servitutis publicae da una collettività indeterminata di
persone, in assenza di restrizioni all’accesso o di vincoli
di proprietà o condominio.
Per siffatte ragioni, il G.A. di Perugia, ritenendo che lo
spazio antistante l’esercizio commerciale della ricorrente
era destinato esclusivamente alla pubblica fruizione, ha
respinto il gravame e, per l’effetto confermato la
legittimità del provvedimento di diniego di rinnovo della
concessione dell’area pubblica (commento tratto da
www.ispoa.it - TAR Umbria,
sentenza 28.11.2012 n. 502 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Può
essere definita giuridicamente "strada" anche un’area di
proprietà privata ove essa sia asservita all’uso pubblico.
Quest’ultimo, però, non può essere meramente affermato ma
esige di essere dimostrato tramite la prova, oltreché
dell'intrinseca idoneità del bene, dell’uso continuo e
pubblico ad opera di una collettività indeterminata di
persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di
una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente,
a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam -costituita dal
comportamento del proprietario di un bene che mette
spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di
una collettività indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso
pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il
tempo necessario all'usucapione.
Simmetricamente, la giurisprudenza civile ha puntualizzato
che “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica,
non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del
pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale
destinazione al pubblico transito e la occupazione sine
titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione) …
né l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa
assolta”, ma che è invece necessario, ai sensi dell'art. 824
c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico
territoriale in base a un atto o a un fatto (fra anche
l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, “ovvero che su
di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù
di uso pubblico e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita dell'Ente,
all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale”.
---------------
Vari sono gli “indici di riferimento” individuati dalla
giurisprudenza per integrare l’asservimento all’uso pubblico
da tempo immemorabile da parte della collettività dei
cittadini, fra i quali rileva l'uso continuo della strada da
parte di un numero indeterminato di persone, il
comportamento in relazione ad essa dell’Amministrazione nei
settori dell'edilizia e dell'urbanistica, la sua inclusione
in un centro abitato e l'effettiva ed attuale destinazione
del bene al pubblico servizio.
Quanto al secondo presupposto, ossia l’asserita esistenza di
un uso pubblico, si deve osservare che può essere definita
giuridicamente "strada" anche un’area di proprietà privata
ove essa sia asservita all’uso pubblico.
Quest’ultimo, però, non può essere meramente affermato ma
esige di essere dimostrato tramite la prova, oltreché
dell'intrinseca idoneità del bene, dell’uso continuo e
pubblico ad opera di una collettività indeterminata di
persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse
(cfr., in termini, C.d.S., sez. IV, 15.06.2012, n. 3531).
Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di
una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente,
a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam -costituita dal
comportamento del proprietario di un bene che mette
spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di
una collettività indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso
pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il
tempo necessario all'usucapione (cfr., C.d.S., sez. V,
28.06.2011, n. 3868).
Simmetricamente, la giurisprudenza civile ha puntualizzato
che “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica,
non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del
pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale
destinazione al pubblico transito e la occupazione sine
titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione) …
né l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa
assolta”, ma che è invece necessario, ai sensi dell'art. 824
c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico
territoriale in base a un atto o a un fatto (fra anche
l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, “ovvero che su
di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù
di uso pubblico e che essa venga destinata, con una
manifestazione di volontà espressa o tacita dell'Ente,
all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una
comunità territoriale” (cfr., Cass. Civ., sez. II, 07.04.2006,
n. 8204; sez. I, 26.08.2002, n. 12540).
5b. Nella specie, risulta che:
- a detta della ricorrente l’accesso all’area di passaggio
de qua è chiuso da una stanga (visibile dalla documentazione
fotografica dimessa) chiusa con lucchetto, del quale
l’Amministrazione possiede la chiave solo per poter accedere
dapprima all’area gravata dalla servitù di passo e, quindi,
tramite un viottolo, ad un fondo del Comune (situato oltre
la proprietà della deducente) sul quale insiste una stazione
di pompaggio della fognatura;
- il Comune conferma di aver autorizzato la posa della
stanga ma sostiene che essa preclude l’accesso solo nel
periodo estivo, quando sono presenti gli ospiti minori di
Sos Feriendorf, mentre nel resto dell’anno essa rimane
aperta per consentire il libero transito. In proposito
produce una nota, inviata alla direzione della Società
ricorrente nel dicembre 2006, con cui il Sindaco, su
segnalazione di un censito (che, invero, lamentava una serie
di inadempienze del Comune in ordine alla donazione di
terreni ricevuta dalla Società consortile Lago di
Caldonazzo) ha chiesto di rimuovere la stanga per “garantire
il passaggio al pubblico” (cfr., doc. n. 13 in atti del
Comune).
5c. Orbene, i principi giurisprudenziali esposti rendono
ancor più evidente l’insufficienza dei dati allegati in
questa sede dal Comune di Caldonazzo per suffragare la
dedotta esistenza dell’uso pubblico. L’Amministrazione
intimata, in altri termini, ha affidato ad una sola nota,
con cui in un’occasione ha chiesto di aprire la stanga della
quale un terzo lamentava la frequente chiusura, il compito
di integrare la probatio della sussistenza di una servitù di
uso pubblico.
Ne consegue che il Comune di Caldonazzo non ha adeguatamente
provato:
- né l'avvenuto acquisto del tratto in questione per
usucapione per decorso del termine ventennale;
- né ha rigorosamente dimostrato la sussistenza degli
“indici di riferimento” individuati dalla giurisprudenza per
integrare l’asservimento all’uso pubblico da tempo
immemorabile da parte della collettività dei cittadini, fra
i quali rileva l'uso continuo della strada da parte di un
numero indeterminato di persone, il comportamento in
relazione ad essa dell’Amministrazione nei settori
dell'edilizia e dell'urbanistica, la sua inclusione in un
centro abitato e l'effettiva ed attuale destinazione del
bene al pubblico servizio (cfr., Cass. Civ., sez. II,
28.09.2010, n. 20405)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.11.2012 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sono
legittimi i presupposti per
l’intervento ripristinatorio di autotutela possessoria da
parte dell’Amministrazione laddove vi sia l’accertata
preesistenza di fatto dell’uso pubblico della strada e la
turbativa e alterazione dei luoghi che impedisce
l’utilizzazione da parte della collettività.
L'esercizio dei poteri di autotutela possessoria (ex art.
823 cod. civ. e art. 15 d.lgs. 01.09.1918, n. 1446)
presuppone la persistenza dei requisiti “di fatto” necessari
per la configurabilità di tale tipo di strade: un passaggio
esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di
persone, la concreta idoneità della strada a soddisfare il
collegamento con la via pubblica, ma anche esigenze di
carattere generale (accesso al parco pubblico), l'esistenza
di un titolo valido a fondamento del diritto di uso
pubblico.
In relazione a ciò occorre richiamare la
giurisprudenza costante che ritiene legittimi i presupposti
per l’intervento ripristinatorio di autotutela possessoria
da parte dell’Amministrazione laddove, come nella specie, vi
sia l’accertata preesistenza di fatto dell’uso pubblico
della strada e la turbativa e alterazione dei luoghi che
impedisce l’utilizzazione da parte della collettività (cfr.
ex multis, Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, 18.06.2003, n. 244: Tar Lazio, Roma, sez. I, 19.04.2007, n.
3419; idem, sez. II-ter, 03.11.2009, n.10781; Tar
Sardegna, sez. II, 17.03.2010, n. 312; Cons. Stato, sez.
V, 25.06.2010, n. 4064; Tar Piemonte, sez. I, 08.04.2011, n. 376).
A ciò va richiamato che l'esercizio dei poteri di autotutela
possessoria (ex art. 823 cod. civ. e art. 15 d.lgs. 01.09.1918, n. 1446) presuppone la persistenza dei
requisiti “di fatto” necessari per la configurabilità di
tale tipo di strade: un passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di persone, la
concreta idoneità della strada a soddisfare il collegamento
con la via pubblica, ma anche esigenze di carattere generale
(accesso al parco pubblico), l'esistenza di un titolo valido
a fondamento del diritto di uso pubblico (atto d’obbligo 28.01.1969); nella specie, si tratta di requisiti che
risultano accertati con adeguata istruttoria ed esplicitati
nella motivazione del provvedimento di autotutela, che
pertanto come risulta dimostrato non può ritenersi –nel
senso asserito dal Condominio (sesto mezzo)- mera
riedizione del precedente provvedimento repressivo adottato
dal Comune nei confronti dello stesso.
Né varrebbe obiettare, come sostiene parte ricorrente
(quarto e quinto mezzo), che non vi sarebbero documenti atti
a provare che la strada in questione sia pubblica, posto che
mancherebbe anche la prova da parte del Comune dello
svolgimento di attività manutentiva sulla strada medesima.
Ebbene, riguardo a ciò va riservata analoga prognosi di
infondatezza, in quanto appare invece dimostrato in modo
evidente dalla documentazione in atti che la predetta strada
è compresa nell’elenco delle strade la cui manutenzione è a
carico del Municipio XIII (vedi elenco prot. n. 117531 del
30.12.2010; nota Municipio XIII, 10.12.2007, prot. n. 114721), così come indicato nell’atto impugnato.
Pertanto, l’Amministrazione comunale con il provvedimento
impugnato, e in esecuzione del pregresso giudicato, ha
esercitato correttamente il potere di autotutela possessoria
iuris publici in relazione alla strada in questione
interessata da uso pubblico, per favorire l’accesso al parco
pubblico da parte della collettività
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 05.11.2012 n. 9045 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade
comunali non risulta dirimente, considerato che tali elenchi
hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per
cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a
comprovare la natura pubblica o privata di una strada; si
tratta di presunzione “iuris tantum”, cioè superabile con la
prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o di
godimento della strada da parte della collettività, avendo
riguardo alle condizioni effettive del bene.
E’ cioè necessario che la strada sia posta all’interno di un
centro abitato, che sia concretamente idonea a soddisfare
(anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di
interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto
il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte
di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza
ad una comunità territoriale.
Ora, va rilevato che, per pacifica
giurisprudenza, la semplice indicazione di una strada
nell’elenco delle strade comunali non risulta dirimente,
considerato che tali elenchi hanno natura meramente
dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione
non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica
o privata di una strada (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 07.12.2010, n. 8624; Cass. Civ., sez. II,
09.11.2009, n. 23705); si tratta di presunzione “iuris tantum”,
cioè superabile con la prova contraria della inesistenza di
un diritto di uso o di godimento della strada da parte della
collettività (cfr., Cass., sez. I, 26.08.2002, n. 12540;
Cons. di Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7831), avendo
riguardo alle condizioni effettive del bene.
E’ cioè necessario che la strada sia posta all’interno di un
centro abitato, che sia concretamente idonea a soddisfare
(anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di
interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto
il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte
di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza
ad una comunità territoriale (cfr., ex multis, Cons. di
Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 16.10.2012 n. 1612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La semplice
intitolazione di una strada nell'elenco delle strade
comunali (o vicinali) non risulta dirimente al fine di
accertare la sua natura pubblica, attesa la natura non
costitutiva dell'adempimento (l. n. 1188/1927), per cui
detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la
natura pubblica di una strada.
Né, ancora, per tale finalità
è sufficiente l'individuazione della strada nell'inventario del Comune
redatto ai sensi dell'(ormai abrogato, ma vigente ratione
temporis) art. 72 d.lgs. 25.02.1995, n. 77, poi
trasposto nell'art. 230 d.lgs. 18.08.2000, n. 267
(entrambi efficaci nel territorio regionale siciliano per
effetto del rinvio "dinamico" di cui all'art. 1 della l.r.
11.12.1991, n. 48).
Come si legge nella sentenza TAR Sicilia
Palermo Sez. III, 06-12-2011, n. 2275, infatti, “La semplice
intitolazione di una strada nell'elenco delle strade
comunali (o vicinali) non risulta dirimente al fine di
accertare la sua natura pubblica, attesa la natura non
costitutiva dell'adempimento (l. n. 1188/1927), per cui
detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la
natura pubblica di una strada; né, ancora, per tale finalità
è sufficiente l'individuazione -cosa che qui non è peraltro
neppure provata– della strada nell'inventario del Comune
redatto ai sensi dell'(ormai abrogato, ma vigente ratione
temporis) art. 72 d.lgs. 25.02.1995, n. 77, poi
trasposto nell'art. 230 d.lgs. 18.08.2000, n. 267
(entrambi efficaci nel territorio regionale siciliano per
effetto del rinvio "dinamico" di cui all'art. 1 della l.r.
11.12.1991, n. 48)”
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.09.2012 n. 1494 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Strada privata ad uso pubblico.
La proprietà privata di un’area non esclude l’uso pubblico
della stessa, infatti, un’area privata può ritenersi
assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’uso
avvenga ad opera di una collettività indeterminata di
soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un
interesse pubblico di carattere generale, e non uti singuli
ossia quali soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato.
Inoltre, costituisce
strada pubblica quel tratto viario avente finalità di
collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche
vie, e che sia effettivamente utilizzata dalla collettività uti cives. L’uso del bene da parte della collettività
indifferenziata per lunghissimo tempo comporta l’assunzione
da parte del bene di caratteristiche analoghe a quelle di un
bene demaniale, ciò non può che comportare l’uso
altresì pubblico dell’area per parcheggio regolamentato in
quanto strumentale all’avvicinamento all’arenile, risultando
invero illogico e ingiustificato che ai cittadini, innovando
rispetto al consolidato e risalente stato dei luoghi, venga
consentito il libero accesso al mare vietando loro
un’attività risalente nel tempo e volta al medesimo fine.
Per la giurisprudenza
consolidata:
a) la proprietà privata di un’area non esclude l’uso
pubblico della stessa;
b) un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso
pubblico di passaggio quando l’uso avvenga ad opera di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un interesse pubblico di
carattere generale, e non uti singuli ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato;
c) costituisce strada pubblica quel tratto viario avente
finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco
su pubbliche vie, e che sia effettivamente utilizzata dalla
collettività uti cives;
d) l’uso del bene da parte della collettività
indifferenziata per lunghissimo tempo comporta l’assunzione
da parte del bene di caratteristiche analoghe a quelle di un
bene demaniale (Cons. Stato, Sez. IV, 15.06.2012, n. 3531;
Sez. V, 10.01.2012, n. 43) (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.07.2012 n. 4386
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Servitù di uso pubblico. Strade vicinali.
Iscrizione nell'elenco comunale dei
percorsi/transiti ad uso pubblico. Obblighi
di manutenzione.
1) Per la individuazione
dell'organo competente ad effettuare la
classificazione delle strade vicinali si
ritiene si possa applicare, per analogia,
l'art. 17 della legge 2248/1865 relativo
alla formazione degli elenchi delle strade
comunali il quale attribuisce alla giunta il
compito della loro formazione ed al
consiglio comunale la successiva
approvazione dello stesso.
2) Circa le opere di manutenzione sussiste
sul Comune un obbligo di compartecipazione a
tali spese, in attuazione di quanto dispone
l'articolo 3 del D.L.Lgt. 1446/1918 il quale
obbliga il Comune a concorrere alla spesa
per la manutenzione, sistemazione e
ricostruzione delle strade vicinali in una
misura che varia a seconda dell'importanza
della strada: da un minimo di un quinto
della spesa, sino ad arrivare alla metà.
---------------
Il Comune chiede di conoscere un parere in
merito alla disciplina giuridica relativa a
servitù di uso pubblico. Più in particolare,
riferisce che sul territorio comunale
sussiste, da tempo, una 'viabilità
secondaria' (rappresentata, per lo più, da
sentieri di bosco, mulattiere e similari)
che collega due zone pubbliche o il cui
transito permette di raggiungere luoghi
pubblici. In relazione ad essa l'Ente
desidera sapere se può introdurla
nell'elenco comunale dei percorsi/transiti
ad uso pubblico; quale sia l'organo
competente all'approvazione di tale elenco;
se tale inserimento legittimi il Comune ad
eseguire opere di manutenzione della
viabilità in argomento.
Con l'espressione servitù ad uso pubblico si
intendono quei diritti reali spettanti allo
Stato, alle Province ed ai Comuni per il
conseguimento di fini di pubblico interesse
corrispondenti a quelli a cui servono i beni
medesimi. Si tratta di diritti reali di
godimento costituiti a carico di un bene
privato a vantaggio di una collettività e
per il raggiungimento di un fine di pubblico
interesse.[1]
Con riferimento specifico ai transiti
costituenti la c.d. viabilità secondaria, di
cui al quesito in riferimento, si ritiene
che essi vadano annoverati tra le c.d.
strade vicinali pubbliche, tali essendo, per
l'appunto, le vie di proprietà privata,
soggette a pubblico transito.[2] In
concreto, il sedime della strada vicinale,
compresi accessori e pertinenze, è privato,
di proprietà dei titolari dei terreni
latistanti, mentre l'ente pubblico è
titolare di un diritto reale di transito.[3]
La giurisprudenza,[4] in diverse occasioni,
ha precisato che la natura pubblica della
strada dipende dalla coesistenza effettiva
delle tre condizioni di seguito indicate:
1. il passaggio esercitato iure
servitutis pubblicae, da una
collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a
soddisfare esigenze di carattere generale,
anche per il collegamento con la pubblica
via;
3. un titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico,
che può anche identificarsi nella
protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Alla luce della qualificazione giuridica
che, come sopra affermato, può essere
attribuita alla viabilità secondaria
esistente sul territorio del Comune che ha
posto il quesito, segue che la stessa possa
essere inserita nell'elenco comunale delle
strade vicinali.
Circa l'individuazione dell'organo
competente all'approvazione di tale elenco
si osserva che l'unica disposizione di legge
che concerne, in generale, la compilazione
da parte del Comune dell'elenco delle vie
vicinali soggette al pubblico transito si
rinviene nell'allegato 4 all'articolo 83 del
regolamento per l'esecuzione della legge
comunale e provinciale,[5] approvato con
regio decreto 12.02.1911, n. 297, il quale,
tuttavia, non indica la procedura da
osservare per la formazione degli elenchi
delle strade vicinali. Tale articolo è
stato, peraltro, abrogato dall'articolo 64,
comma 1, lettera a), della legge 08.06.1990,
n. 142.[6]
La dottrina,[7] tuttavia, ritiene che, in
mancanza di norme specifiche per la
classificazione delle strade vicinali, si
possano seguire, per analogia, le
disposizioni riguardanti la formazione degli
elenchi delle strade comunali, atteso che le
strade vicinali hanno interesse pubblico al
pari di quelle comunali perché soggette a
servitù del pubblico, anche se di secondaria
importanza.
Al riguardo, l'articolo 17 della legge
20.03.1865, n. 2248 attribuisce alla giunta
municipale il compito della formazione
dell'elenco delle strade da classificarsi
fra le comunali precisando, altresì, al
secondo comma, che 'questo elenco sarà per
la durata di un mese depositato in una delle
sale della residenza comunale ed affisso in
copia all'albo pretorio. Gli interessati
verranno con pubblico avviso invitati a
prenderne cognizione ed a presentare in
iscritto entro il termine suddetto le loro
osservazioni ed i loro reclami. Spirato quel
termine, il Consiglio comunale, deliberando
sulla proposta della Giunta e sui reclami
dei privati, stabilirà l'elenco delle strade
comunali [...]'.
Con riferimento alle opere di manutenzione
delle strade vicinali si osserva che
l'articolo 14 del decreto legislativo
285/1992 prevede che: 'Gli enti
proprietari delle strade, allo scopo di
garantire la sicurezza e la fluidità della
circolazione, provvedono: a) alla
manutenzione, gestione e pulizia delle
strade, delle loro pertinenze e arredo,
nonché delle attrezzature, impianti e
servizi; b) al controllo tecnico
dell'efficienza delle strade e relative
pertinenze; c) alla apposizione e
manutenzione della segnaletica prescritta'.
Il successivo comma 4 dispone, poi, che 'Per
le strade vicinali di cui all'art. 2, comma
7, i poteri dell'ente proprietario previsti
dal presente codice sono esercitati dal
comune'.
Tra i compiti attribuiti al Comune vi sono,
pertanto, anche quelli volti a garantire la
sicurezza e la fluidità della circolazione,
e di provvedere alla manutenzione, gestione
e pulizia delle strade e delle pertinenze. I
comuni, tuttavia, sono chiamati ad assolvere
a tali obblighi di manutenzione solo in caso
di inadempimento da parte dei soggetti a ciò
tenuti, - ossia i consorzi per la
manutenzione delle strade vicinali, da
costituirsi con la procedura di cui
all'articolo 2 del decreto legge
luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446,[8] o
qualora si tratti di interventi urgenti.
Alla luce di un tanto segue l'impossibilità
per l'ente locale di farsi integralmente
carico degli oneri di sistemazione delle
strade vicinali. Sul Comune sussiste,
invece, un obbligo di compartecipazione a
tali spese, in attuazione di quanto dispone
l'articolo 3 del D.L.Lgt. 1446/1918[9] il
quale obbliga il Comune a concorrere alla
spesa per la manutenzione, sistemazione e
ricostruzione delle strade vicinali in una
misura che varia a seconda dell'importanza
della strada: da un minimo di un quinto
della spesa, sino ad arrivare alla metà. Nel
caso in cui L'Ente anticipi tali somme
sussisterà, a suo favore, l'obbligo di
recuperare le somme di altrui spettanza.[10]
Circa l'inderogabilità dei limiti di
compartecipazione stabiliti dall'articolo 3
del D.L.Lgt. 1446/1918 si è espressa la
Corte dei Conti, sezione regionale di
controllo per il Veneto, con la sentenza del
07.11.2008, n. 140 la quale ha precisato che
'il legislatore con tale disciplina,
tenendo conto dello speciale regime
giuridico di tali strade, ha già
contemperato a monte gli interessi pubblici
e privati in gioco, demandando ai comuni
solo la possibilità di scegliere in concreto
l'ammontare della contribuzione all'interno
dei limiti minimi e massimi consentiti. Tale
scelta, corredata da esaustiva motivazione
anche in relazione al grado di fruizione
pubblica della strada oggetto di intervento,
dovrà ovviamente seguire criteri di
trasparenza, parità di trattamento,
economicità e razionalità di gestione, e
dovrà tener conto anche delle disponibilità
finanziarie complessive dell'ente'.
---------------
[1] Sul punto si veda Cassazione civile,
sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333 la
quale recita: 'La servitù ad uso pubblico è
caratterizzata dall'utilizzazione, da parte
di una collettività indeterminata di
persone, di un bene il quale sia idoneo al
soddisfacimento di un interesse collettivo'.
[2] Si precisa, altresì, che una definizione
di strada vicinale si ritrova nell'articolo
3, comma 1, n. 52 del decreto legislativo
30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada) il quale definisce la strada
vicinale (o Poderale o di Bonifica) quale
'strada privata fuori dai centri abitati ad
uso pubblico'.
[3] Interessante, al riguardo, è la sentenza
del TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
dell'11.11.2008, n. 1602 relativa ad un
sentiero di montagna soggetto ad uso
pubblico per finalità turistiche,
naturalistiche, ricreative, e anche al
servizio delle attività agricole della zona,
in riferimento alla quale il giudice
amministrativo ha affermato che 'Se una
strada può essere percorsa indistintamente
da tutti i cittadini per una molteplicità di
usi e con una pluralità di mezzi non può
essere negata la presenza del pubblico
transito solo perché materialmente la strada
si presenta disagevole in alcuni tratti e
poco frequentata nel complesso. L'uso
pubblico, assimilabile a una servitù
collettiva, legittima i comuni a introdurre
alcune limitazioni al traffico, ad esempio
vietando l'uso di alcuni mezzi (specie di
quelli molto impattanti) in modo
continuativo o in particolari periodi, come
per il resto della viabilità comunale.
L'apposizione di limiti e divieti non fa
venire meno la caratteristica del pubblico
transito'.
[4] Tra le altre, Cassazione civile, sez. II,
sentenza del 10.01.2011, n. 354; TAR Puglia,
Lecce, sez. I, sentenza del 09.01.2008, n.
48; TAR Marche, Ancona, sez. I, sentenza del
10.10.2007, n. 1595.
[5] Recita l'articolo 83 del r.d. 297/1911:
'In ogni Comune il segretario deve tenere in
corrente e in ordine cronologico le leggi e
i decreti appartenenti all'edizione
ufficiale, i registri, gli elenchi e gli
atti indicati nell'allegato n. 4,
obbligatori per i Comuni, oltre a quelli
speciali prescritti da leggi e da
regolamenti. [...]'. L'allegato 4 del
regolamento n. 297 del 1911 comprende, al n.
4, l'elenco delle strade comunali e di
quelle private soggette a servitù pubblica,
ma non indica la procedura da osservare per
la formazione degli elenchi delle strade
vicinali.
[6] Si ricorda che la legge 142/1990 è stata
successivamente abrogata dall'articolo 274,
comma 1, lettera q), del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267.
[7] Cfr. P. La Rocca, 'Il regime giuridico
delle strade provinciali, comunali, vicinali
e private', Maggioli editore, 2006, pag.
257.
[8] Si consideri, al riguardo, anche la
legge 12.02.1958, n. 126 che prescrive,
all'articolo 14, l'obbligatorietà della
costituzione dei consorzi per le strade
vicinali di uso pubblico fra utenti e Comune
per il concorso nelle spese di manutenzione.
[9] Per completezza espositiva, si segnala
che il D.L.Lgt. 1446/1918 era stato
abrogato, a decorrere dal 16.12.2009,
dall'articolo 2, comma 1, del D.L.
22.12.2008, n. 200. Successivamente,
tuttavia, l'efficacia dell'indicato decreto
è stata ripristinata dall'articolo 1, comma
2, del D.Lgs. 01.12.2009, n. 179.
[10] In questo senso si veda, anche, il
parere rilasciato dal Ministero
dell'Interno, del 16.10.2009 e quello della
Regione Emilia Romagna, Servizio affari
istituzionali e delle autonomie locali, del
23.04.2010.
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L 20.03.1865, n. 2248, art. 17; D.L.Lgt.
01.09.1918, n. 1446, art. 3 (25.07.2012
- link a www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fermo restando che per l’acquisto del
carattere demaniale sono prescritti
specifici requisiti,
costituisce strada pubblica quel tratto
viario avente finalità di collegamento, con
funzione di raccordo o sbocco su pubbliche
vie nonché l’essere destinata al transito di
un numero indifferenziato di persone.
In particolare, sotto quest’ultimo aspetto,
un’area privata può ritenersi assoggettata
ad uso pubblico di passaggio quando l’uso
avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti
singuli ossia quali soggetti che si trovano
in una posizione qualificata rispetto al
bene gravato.
Del pari, la giurisprudenza ha avuto cura di
precisare come l’adibizione ad uso pubblico
di un’area possa avvenire mediante la c.d.
dicatio ad patriam, con il comportamento del
proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività
indeterminata di cittadini, oppure con l’uso
del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto per lunghissimo
tempo, di talché il bene stesso viene ad
assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale.
Insomma, perché un’area
possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltreché l’intrinseca
idoneità del bene, che l’uso avvenga ad
opera di una collettività indeterminata di
persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
L’argomento introdotto consente di precisare
come la problematica giuridica oggetto della
presente controversia coinvolge due profili,
quello della proprietà della strada e
quello
dell’utilizzazione della strada stessa, se
all’uso generale della collettività oppure a
quello dei soli abitanti frontisti.
Fermo restando che per l’acquisto del
carattere demaniale, sono prescritti
specifici requisiti (Cons. Stato, Sez. V,
24.05.2007 n. 2618), secondo un
consolidato orientamento giurisprudenziale,
costituisce strada pubblica quel tratto
viario avente finalità di collegamento, con
funzione di raccordo o sbocco su pubbliche
vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000
n. 4345; idem, 28.11.1988 n. 6412)
nonché l’essere destinata al transito di un
numero indifferenziato di persone (Cons.
Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
In particolare, sotto quest’ultimo aspetto,
un’area privata può ritenersi assoggettata
ad uso pubblico di passaggio quando l’uso
avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico
interesse di carattere generale, e non uti
singuli ossia quali soggetti che si trovano
in una posizione qualificata rispetto al
bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2012 n. 728).
Del pari, la giurisprudenza ha avuto cura di
precisare come l’adibizione ad uso pubblico
di un’area possa avvenire mediante la c.d.
dicatio ad patriam, con il comportamento del
proprietario che mette il bene a
disposizione della collettività
indeterminata di cittadini, oppure con l’uso
del bene da parte della collettività
indifferenziata protratto per lunghissimo
tempo, di talché il bene stesso viene ad
assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II,
21.05.2001 n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati
sopra esposti afferma che perché un’area
possa ritenersi sottoposta ad un uso
pubblico è necessario oltreché l’intrinseca
idoneità del bene, che l’uso avvenga ad
opera di una collettività indeterminata di
persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.06.2012 n. 3531 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina delle distanze minime fra gli
edifici tra i quali sono interposte strade
destinate al traffico di veicoli è quella di
cui all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui questa
disposizione fa riferimento, in linea con
l’art. 1 del codice della strada, va
riferita alle sole aree ad uso pubblico
destinate alla circolazione, essendo tali
norme finalizzate a disciplinare le fasce di
rispetto delle costruzioni ai fini della
sicurezza della circolazione.
---------------
L'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone
l'esistenza di un atto o di un fatto in base
al quale la proprietà del suolo su cui essa
sorge sia di proprietà di un ente pubblico
territoriale, ovvero che a favore del
medesimo ente sia stata costituita una
servitù di uso pubblico, e che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di
fatto del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta
L'art. 28 delle n.t.a. del piano
regolatore comunale disciplina le distanze
minime fra gli edifici tra i quali sono
interposte strade destinate al traffico di
veicoli, riproducendo le prescrizioni di cui
all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui queste
disposizioni fanno riferimento, in linea con
l’art. 1 del codice della strada, va riferita
alle sole aree ad uso pubblico destinate
alla circolazione, essendo tali norme
finalizzate a disciplinare le fasce di
rispetto delle costruzioni ai fini della
sicurezza della circolazione (si richiamano
al riguardo le motivazioni espresse, in una
fattispecie analoga, dal Consiglio di Stato,
sez. V, 28.06.2011, n. 3868).
Nel caso di specie, l'amministrazione ha
invece ritenuto applicabile la normativa in
questione per il solo fatto che si tratta di
strada con passaggio di veicoli, circostanza
meramente fattuale che non coincide con
l'uso pubblico della strada.
L'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone, invero,
l'esistenza di un atto o di un fatto in base
al quale la proprietà del suolo su cui essa
sorge sia di proprietà di un ente pubblico
territoriale, ovvero che a favore del
medesimo ente sia stata costituita una
servitù di uso pubblico, e che la stessa sia
destinata all'uso pubblico con una
manifestazione di volontà espressa o tacita
dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di
fatto del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta (Cassazione civile,
sez. II, 07.04.2006, n. 8204).
Il provvedimento impugnato è quindi affetto
dai vizi di difetto di istruttoria e di
motivazione. Le ulteriori censure possono
essere assorbite.
La domanda di risarcimento dei danni deve
essere respinta perché la società ha
tempestivamente ottenuto la tutela cautelare
richiesta ed anche poiché non è stata
offerta, in corso di giudizio, una prova dei
danni derivanti del ritardo nella
edificazione, mediante l'allegazione di
precise circostanze di fatto.
Per le ragioni esposte la domanda di
annullamento è fondata e va quindi accolta.
Va invece respinta la domanda di
risarcimento dei danni
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.06.2012 n. 1612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’inserimento della strada nel
contesto della rete viaria comunale, in
quanto idonea a soddisfare le esigenze di
carattere generale della comunità
territoriale mediante l’uso pubblico, non ne
fa venire meno la natura di strada
“vicinale”, cui occorre fare riferimento ai
fini della distanza da applicare ai sensi
dell’art. 26, che non contiene alcuna
distinzione tra uso pubblico o privato delle
strade vicinali.
Infondato è anche l’ulteriore mezzo, con
cui l’appellante censura la sentenza di
primo grado per avere erroneamente giudicato
non violato l’obbligo di distanza di 20
metri dalle strade locali comunali, sancito
dall’art. 26, c. 2, D.P.R. 495/1992,
rilevandosi una distanza inferiore tra
l’impianto e la strada “Carruttata”.
Va, preliminarmente, osservato che ai
sensi dell’art. 26, comma 2, del Regolamento
di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, la
distanza delle costruzioni dalla sede
stradale è di 20 metri per le strade di tipo
F (ossia di interesse locale) diverse dalle
strade vicinali, e di 10 metri per le strade
vicinali.
Nella specie, la c.d. strada Carruttata
risulta dalla certificazione comunale del
20.09.2010 e dalla pianta allegata come
strada comunale esterna denominata “strada
vicinale Carottata”.
L’inserimento della
strada nel contesto della rete viaria
comunale, in quanto idonea a soddisfare le
esigenze di carattere generale della
comunità territoriale mediante l’uso
pubblico, non ne fa venire meno la natura di
strada “vicinale” (cfr. Cons. Stato Sez. V,
23-05-2005, n. 2584), cui occorre fare
riferimento ai fini della distanza da
applicare ai sensi dell’art. 26, che non
contiene alcuna distinzione tra uso pubblico
o privato delle strade vicinali.
La sentenza
di primo grado fa, quindi, corretta
applicazione della disciplina in materia di
distanze dalle strade vicinali, che è di 10
metri e nella specie risulta rispettata (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.06.2012 n. 3343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza insegna:
● che costituisce una strada pubblica quel
tratto viario che non è cieco, ma assume una
esplicita finalità di collegamento, essendo
destinato al transito di un numero
indifferenziato di persone;
● che il connotato di interclusione
dell'area servita esclude che vi possa
sorgere un uso stradale in favore di una
collettività indeterminata, e fa invece
concludere per un'utilità limitata ai soli
proprietari frontisti;
● che un'area privata può ritenersi
assoggettata ad uso pubblico di passaggio
quando l'uso avvenga ad opera di una
collettività indeterminata di soggetti
considerati uti cives, ossia quali titolari
di un pubblico interesse di carattere
generale, e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione
qualificata rispetto al bene gravato;
oppure quando vi sia stato, con la
cosiddetta dicatio ad patriam,
l'asservimento del bene da parte del
proprietario all'uso pubblico, analogamente,
di una comunità indeterminata di soggetti
considerati sempre uti cives, di talché il
bene stesso viene ad assumere
caratteristiche analoghe a quelle di un bene
demaniale;
● che ai fini della dicatio ad patriam
occorre pur sempre il requisito
dell’idoneità intrinseca del bene a
soddisfare un’esigenza comune della
collettività dei consociati uti cives.
In coerenza con gli enunciati appena
esposti, può, dunque, escludersi l'uso
pubblico quando il passaggio venga
esercitato unicamente dai proprietari di
determinati fondi in dipendenza della
particolare ubicazione degli stessi, o da
coloro che abbiano occasione di accedere ad
essi per esigenze connesse alla loro privata
utilizzazione, oppure, infine, rispetto a
strade destinate al servizio di un
determinato edificio o complesso di edifici.
Ad avviso di questo Collegio, a nulla
rileva, conseguentemente, che detta strada
privata sia stata inserita nelle tavole di
piano quale viabilità esistente e che le sia
stata impressa una funzione di viabilità di
servizio e distribuzione per l’area
produttiva di tipo D2, dato che il suo
utilizzo pubblico meramente prospettico, ma
non sicuramente attuale, la rende, allo
stato, priva di quel requisito di pubblica
percorribilità, idonea a soddisfare esigenze
di carattere generale, alla cui tutela è da
ritenersi preordinata la disposizione di cui
all’art. 26.3 delle NTA.
Come recentemente ricordato dalla V Sezione
del Consiglio di Stato (sentenza n. 728 in
data 14.02.2012), “la giurisprudenza
insegna, invero, che costituisce una strada
pubblica quel tratto viario che non è cieco,
ma assume una esplicita finalità di
collegamento, essendo destinato al transito
di un numero indifferenziato di persone:
C.d.S., V, 07.12.2010, n. 8624; che il
connotato di interclusione dell'area servita
esclude che vi possa sorgere un uso stradale
in favore di una collettività indeterminata,
e fa invece concludere per un'utilità
limitata ai soli proprietari frontisti:
C.d.S., V, 18.12.2006, n. 7601; che un'area
privata può ritenersi assoggettata ad uso
pubblico di passaggio quando l'uso avvenga
ad opera di una collettività indeterminata
di soggetti considerati uti cives, ossia
quali titolari di un pubblico interesse di
carattere generale, e non uti singuli, ossia
quali soggetti che si trovano in una
posizione qualificata rispetto al bene
gravato; oppure quando vi sia stato, con la
cosiddetta dicatio ad patriam,
l'asservimento del bene da parte del
proprietario all'uso pubblico, analogamente,
di una comunità indeterminata di soggetti
considerati sempre uti cives, di talché il
bene stesso viene ad assumere
caratteristiche analoghe a quelle di un bene
demaniale: Cassazione civile, sez. II,
21.05.2001, n. 6924; che ai fini della
dicatio ad patriam occorre pur sempre il
requisito dell’idoneità intrinseca del bene
a soddisfare un’esigenza comune della
collettività dei consociati uti cives: Cass.
Civ., II, 13.02.2006, n. 3075”.
In coerenza con gli enunciati appena
esposti, può, dunque, escludersi l'uso
pubblico quando il passaggio venga
esercitato unicamente dai proprietari di
determinati fondi in dipendenza della
particolare ubicazione degli stessi, o da
coloro che abbiano occasione di accedere ad
essi per esigenze connesse alla loro privata
utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995,
n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade
destinate al servizio di un determinato
edificio o complesso di edifici (Cass. civ.,
I, 22.06.1985, n. 3761).
Nel caso di specie, manca –come s’è visto-
proprio il requisito dell’idoneità
intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza
comune della collettività dei consociati
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 24.05.2012 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costituzione
su una strada privata di una servitù di uso
pubblico può avvenire, alternativamente, a
mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del
proprietario di un bene che metta
spontaneamente ed in modo univoco il bene a
disposizione di una collettività
indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione
della servitù di uso pubblico-, ovvero
attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario
all'usucapione”.
L'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone
necessariamente l'esistenza di un atto o di
un fatto in base al quale la proprietà del
suolo su cui essa sorge sia di proprietà di
un ente pubblico territoriale, ovvero che a
favore del medesimo ente sia stata
costituita una servitù di uso pubblico, e
che la stessa sia destinata all'uso pubblico
con una manifestazione di volontà espressa o
tacita dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto
del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta.
Come risulta dalla giurisprudenza costante, “la costituzione
su una strada privata di una servitù di uso
pubblico può avvenire, alternativamente, a
mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del
proprietario di un bene che metta
spontaneamente ed in modo univoco il bene a
disposizione di una collettività
indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione
della servitù di uso pubblico-, ovvero
attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini,
protratto per il tempo necessario
all'usucapione”.
“Simmetricamente, secondo gli insegnamenti
della giurisprudenza civile …,
l'accertamento in ordine alla natura
pubblica di una strada presuppone
necessariamente l'esistenza di un atto o di
un fatto in base al quale la proprietà del
suolo su cui essa sorge sia di proprietà di
un ente pubblico territoriale, ovvero che a
favore del medesimo ente sia stata
costituita una servitù di uso pubblico, e
che la stessa sia destinata all'uso pubblico
con una manifestazione di volontà espressa o
tacita dell'ente medesimo, senza che sia
sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto
del transito del pubblico, né la mera
previsione programmatica della sua
destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la
funzione da essa assolta (Cassazione civile,
sez. II, 07.04.2006 , n. 8204)” (Cons.
Stato, sez. V, 28.06.2011, n. 3868) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 21.05.2012 n. 1384 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione
comunale fonda le proprie pretese su
porzione della fascia di rispetto
controversa sulla presunzione di proprietà
pubblica delle strade ex art. 22 della legge
n. 2248/1865, All. F, di cui in particolare
per quanto qui rileva, sono considerati
parte integrante –testualmente- “i fossi
laterali che servono unicamente o
principalmente agli scoli..”; e per vincere
tale presunzione -iuris tantum- è necessario
fornire –piena- prova contraria del
carattere privato dell’area.
Il punto che resta controverso è dunque la
natura pubblica o privata di una porzione
tale area (si ribadisce quella sulla quale
insisterebbe il canale di scolo), il cui
accertamento rileva ai fini del
dimensionamento della volumetria
edificabile. L’atto impugnato contiene un
chiaro riferimento alla “...discrepanza
derivante dalla non corrispondenza tra la
realtà e la restituzione del rilievo
catastale...” per cui vi sarebbe “...una
consistente quota di suolo che la ditta ha
sostenuto che facesse parte della superificie sulla quale far sorgere
l’immobile privato…”.
La quota mancante, secondo la prospettazione
di parte ricorrente, coinciderebbe con
l’intera fascia di rispetto in discussione.
A riprova dell’assunto, la stessa allega
l’atto di compravendita del 23.05.2006 a
rogito del notaio D’Agosto, dal quale in
effetti emerge l’acquisto di un’area con
superficie reale dichiaratamente più estesa
di quella catastale (mq. 536 a fronte di
mq. 336), ricadente “...nel vigente PdF parte
in zona B1 (zona di completamento) e parte
su fascia di rispetto stradale”.
Tali risultanze sono tuttavia insufficienti
a fornire la prova decisiva della proprietà
privata secondo l’insegnamento della Suprema
Corte (Cass. n. 3568/2002); parallelamente,
tuttavia, non sono dirimenti le risultanze
catastali, le quali hanno semplice valore
indiziario (Cass., Sez. II, 09.07.1980,
n. 4372).
L’Amministrazione comunale fonda invece le
proprie pretese su porzione della fascia di
rispetto controversa -come detto- sulla
presunzione di proprietà pubblica delle
strade ex art. 22 della legge n. 2248/1865, All. F , di cui in particolare per quanto qui
rileva, sono considerati parte integrante
–testualmente- “i fossi laterali che servono
unicamente o principalmente agli scoli..”; e
per vincere tale presunzione -iuris tantum-
è necessario fornire –piena- prova contraria
del carattere privato dell’area (cfr. Cass.
civ., sez. II, 02.03.2007 n. 4975 e 09.11.2009,
n. 23705; in termini Sez. II, 27.05.2002,
n. 7708)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 18.05.2012 n. 957 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Per la definizione di “strada”, assume
rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della
strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso
pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della
proprietà.
L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale
il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e
pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende
alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe
site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada,
devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in
modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse
a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di
sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale,
nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano
immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata
del corpo stradale.
In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal
ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”,
assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del
codice della strada, la destinazione di una determinata
superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o
privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350
del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a
precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e
straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che
incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni
confinanti con il “corpo stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d.
leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, qualora non vi siano
atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto, come
nel suo caso, il “confine stradale” è identificato “nel
piede della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio
superiore della scarpata se la strada è in trincea”, gli
obblighi manutentivi ed il taglio dei sensi insistenti sulla
strada e involgenti le scarpate non sono legittimamente
addossabili ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai
confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare
esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare
adottato in violazione della suddetta normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei
lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o
abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con
il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna
all’ente comunale il compito di provvedere alla
manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma
tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti,
in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle
strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada,
devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in
modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse
a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di
sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale,
nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano
immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata
del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in
questione, diretta a soggetti responsabili di terreni
privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a
carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in
quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate,
ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del
confinante che abbia illecitamente operato sulla sede
stradale medesima (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 09.05.2012 n. 2158 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’utilizzazione
di una strada privata per il transito di veicoli da parte di
una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale
ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di
passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario
del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada
stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa,
trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto
uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può
essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine
necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto
al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”.
Pertanto, “l’assoggettamento…ad uso pubblico della strada
Ateleta……non poteva certamente legittimare la resistente,
una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un
accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio
per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla
presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi
fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di
passaggio.
---------------
Il Comune non può consentire, senza l’accettazione espressa
dei proprietari, l’accesso di terzi attraverso la strada
privata e se lo fa vìola l’art. 11 del D.P.R. 380/2001
consentendo l’edificazione a chi non dispone del titolo
(limitatamente al disposto accesso) per farlo.
E ciò, si ribadisce, per quanto sopra detto, nonostante la
natura pubblica del passaggio attraverso il tratto privato
di strada.
I. I ricorrenti impugnano il permesso di costruire
rilasciato alla controinteressata nella parte in cui
consente gli accessi, carrabili e pedonali, attraverso una
strada che i ricorrenti qualificano di loro esclusiva
proprietà.
I.1) E’ accaduto che il Comune dell’Aquila ha autorizzato la
costruzione di un fabbricato in L’Aquila su area riportata
al N.C.T. al foglio 90, part.lle nn. 1664, 2644, sulla base
(anche) di una dichiarazione della cooperativa
controinteressata (in produzione di parte ricorrente, doc.
n. 3) attestante che “gli accessi del futuro edificio
avverranno dall’antistante strada privata di uso pubblico
via Ateleta. Viabilità in corso di cessione al Comune da
parte delle cooperative”.
La circostanza che la strada attraverso la quale realizzare
gli accessi non fosse nella disponibilità della cooperativa
richiedente, e neppure del Comune, era dunque ben chiara
alla stessa richiedente (come comprovato dalla prudenziale
aggiunta alla succitata dichiarazione in ordine alla “viabilità
in corso di cessione al comune”, che, a ben vedere,
corregge la qualificazione di “strada privata di suo
pubblico”) e dello stesso comune (a margine della
dichiarazione succitata il funzionario istruttore attesta
che “via Ateleta a tutt’oggi risulta strada privata
aperta al pubblico transito. Si ritiene di dover chiedere
l’autorizzazione agli attuali proprietari dell’area”).
Nello stesso senso si esprime il Settore territorio del
Comune di L’Aquila che attestava (doc. n. 4 in produzione di
parte ricorrente) che “per la realizzazione dell’accesso
al lotto d’intervento risulta necessario acquisire specifico
assenso da parte dei proprietari dell’area di fatto
utilizzata come viabilità. L’attuale via Ateleta, sebbene
aperta al pubblico transito, risulta essere strada privata”.
Il settore Opere pubbliche (doc. n. 2 in produzione di parte
ricorrente) del pari certificava che “la strada
denominata via Ateleta in località Torretta, di collegamento
tra via Abruzzo e via della Scuola, è di natura privata,
aperta al pubblico transito”.
II. Osserva il Collegio che, sulla base della relazione
tecnica commessa dal TAR al Dirigente del Settore Viabilità
– Mobilità della Provincia dell’Aquila, può senz’altro
addivenirsi alla conclusione che la contestata Via Ateleta,
nel tratto in contestazione, sia “strada privata aperta
al pubblico transito”, come del resto riconoscono
pacificamente sia il Comune resistente che la
controinteressata; e ciò non solo per quanto attestato dal
Comune e risultante dalla documentazione esibita in atti, ma
per la circostanza del tutto evidente che via Ateleta è
arteria di collegamento (di proprietà privata) tra due
strade pubbliche (via Abruzzo e via della Scuola); se non
altro per il passaggio generalizzato, ripetuto e prolungato,
per la finalità suindicata, l’uso pubblico non può
ragionevolmente escludersi.
II.1) Il tecnico nominato ha invero sul punto chiarito che “dalla
documentazione prodotta dalle parti si evince che un tratto
di via Ateleta è privato in quanto i terreni su cui insiste
la stessa sono di proprietà degli assegnatari degli alloggi
della Cooperativa giusta atto del Notaio Antonio Battaglia
rep. n. 92043 del 16.02.1996. Un altro tratto di strada è di
proprietà del Comune di L’Aquila il quale l’ha acquisita con
atto del notaio Franca Fanti del 12.07.2006, n. rep. 37786
di cessione gratuita di area tra la soc.cooperativa edilizia
Eccezione a r.l. ed il Comune stesso. Lungo il tratto
privato di via Ateleta insiste il terreno su cui è stata
realizzata dalla Orione Costruzioni Generali s.r.l. la
palazzina situata al n. civico 26 di via Ateleta previo
permesso a costruire n. 512 del 28.12.2004…Il progetto
allegato al permesso di costruire prevedeva la realizzazione
di un accesso pedonale e di uno carrabile che effettivamente
insistono sulla parte privata di via Ateleta di proprietà
degli assegnatari degli alloggi della cooperativa edilizia
Novità”.
Conclude il tecnico, condivisibilmente, che: “1. La
strada via Ateleta è parte di proprietà comunale parte di
proprietà privata; 2. La strada via Ateleta è di effettivo
uso pubblico ed in particolare di pubblico transito; 3.
L’uso pubblico è manifesto sin dalla realizzazione delle n.2
cooperative e quindi almeno dal 1981”.
III. Ma tale circostanza (uso pubblico della strada) non
comporta affatto, come sia il Comune che la
controinteressata intendono, che la strada possa essere
utilizzata come accesso alla proprietà privata di altri che
non sia il proprietario della strada medesima.
L’uso pubblico, come sopra detto, serve (e tali sono i
limiti della servitù imposta) per collegare, carrabilmente e
pedonalmente, via degli Abruzzo e via della Scuola.
Tale è la conclusione cui è pervenuto il giudice civile
(sentenza tribunale L’Aquila, n. 202/2009) pronunciandosi
sulla controversia inter partes incentrata sulla
esatta consistenza dei diritti reciproci sulla strada in
questione.
Puntualmente, il giudicante evidenziava che “l’utilizzazione
di una strada privata per il transito di veicoli da parte di
una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale
ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di
passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario
del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada
stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa,
trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto
uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può
essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine
necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto
al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”;
pertanto, “l’assoggettamento…ad uso pubblico della strada
Ateleta……non poteva certamente legittimare la resistente,
una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un
accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio
per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla
presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi
fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di
passaggio”.
III.1) Giova aggiungere che proprio la natura privata della
strada (riconosciuta dallo stesso Comune) non avrebbe in
ogni caso consentito l’automatica possibilità di apertura
dell’accesso, quand’anche assoggettata a pubblico passaggio,
considerato che finanche per le strade pubbliche l’accesso è
consentito solo per espressa “concessione” dell’ente
proprietario ed è regolamentato, nei casi specifici,
ricorrendone le condizioni di legge (cfr, ad esempio, art.
27 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di
L’Aquila, pagg. 3 e 4 , in produzione di parte
controinteressata).
III.2) L’intervenuto accertamento della effettiva
consistenza dei “diritti” reciproci comporta
conseguentemente l’illegittimità del permesso di costruire
nella parte in cui consente l’accesso privato traverso il
tratto di via Ateleta di proprietà privata dei ricorrenti.
Il Comune pertanto non avrebbe comunque potuto consentire,
senza l’accettazione espressa dei proprietari, l’accesso di
terzi attraverso la strada privata e nel farlo ha violato,
come esattamente rilevato dai ricorrenti nel primo motivo di
ricorso, l’art. 11 del D.P.R. 380/2001 consentendo
l’edificazione a chi non disponeva del titolo (limitatamente
al disposto accesso) per farlo.
E ciò, si ribadisce, per quanto sopra detto, nonostante la
natura pubblica del passaggio attraverso il tratto privato
di strada.
IV. Il ricorso va pertanto accolto con l’annullamento del
permesso di costruire impugnato in parte de qua in positiva
delibazione del motivo sopra illustrato, con assorbimento
del secondo, terzo e quarto motivo
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 29.03.2012 n. 208 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento della natura di strada
pubblica o privata. Autorizzazione edilizia per
l’installazione di una barra di accesso ad una strada.
L’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza
della servitù di pubblico passaggio compete all’autorità
giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto
soggettivo e non di interesse legittimo. Il Giudice
amministrativo può invece esercitare, al riguardo,
esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione
(ex art. 8, comma 1, c.p.a.), senza poter fare stato sulla
medesima con la propria decisione, e al solo fine di
pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento che
riguarda la strada (nella specie è stata ritenuta
sussistente la giurisdizione amministrativa, atteso che la
controversia riguardava il diniego di autorizzazione per
l’installazione di una sbarra automatizzata destinata a
regolare il traffico di una strada, rispetto al quale la
determinazione della natura -privata o pubblica- della
strada costituiva accertamento incidentale).
Costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è
cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento,
essendo destinato al transito di un numero indifferenziato
di persone (1). Il connotato di interclusione dell'area
servita, infatti, esclude che vi possa sorgere un uso
stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa
invece concludere per un'utilità limitata ai soli
proprietari frontisti (2).
Un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico
di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di
carattere generale, e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la
cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del
bene da parte del proprietario all'uso pubblico,
analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti
considerati sempre uti cives, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale (3).
E’ illegittimo un provvedimento con cui un dirigente
comunale ha negato l’assenso all’installazione di una sbarra
automatizzata destinata a regolare il traffico in entrata e
in uscita da una strada privata appartenente a un
condominio, limitandosi ad affermare che si tratta di una
strada pubblica, senza argomentare ulteriormente dagli
indici che la giurisprudenza ha da tempo individuato per
dedurre la natura pubblica di una via, atteso peraltro che
nella specie il terreno destinato a via consente l’accesso
ed il recesso da alcuni condomini alla via pubblica, e non
risulta provato che sia stato destinato all’uso pubblico
indifferenziato da tempo immemore.
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010, n. 8624
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2006, n. 7601
(3) Cfr. Cass. civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; v.
anche Cass. civ., II, 13.02.2006, n. 3075 secondo cui, ai
fini della dicatio ad patriam, occorre pur sempre il
requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare
un’esigenza comune della collettività dei consociati uti
cives.
V. inoltre Cass. civ., II, 23.05.1995, n. 5637, secondo cui,
perché un'area privata possa ritenersi sottoposta ad una
servitù pubblica di passaggio, è necessario, oltre
all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera
di una collettività indeterminata di persone e per
soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che
deve escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga
esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi
in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o
da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per
esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure,
infine, rispetto a strade destinate al servizio di un
determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I,
22.06.1985, n. 3761).
In applicazione del principio nella specie è stato escluso
l’uso pubblico della strada, trattandosi di strada per la
quale l’unico uso possibile era quello funzionale alla mera
utilità dei residenti dei condomini interessati; tale
strada, infatti, non era mai proseguita oltre tali edifici,
nel collegamento dei quali alla strada pubblica ha dunque
sempre visto esaurita la propria concreta funzione.
Mancavano quindi i presupposti perché sulla strada potesse
effettivamente svolgersi un uso generale, facendo difetto,
in particolare, il requisito dell’idoneità intrinseca del
bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei
consociati.
In senso contrario, secondo la sentenza in rassegna, non
valeva opporre l’inclusione della previsione della strada
nell’ambito dell’antica lottizzazione, in quanto i relativi
piani possono prevedere anche strade private non soggette a
transito pubblico, quali sono, appunto, tutte quelle che
abbiano il mero scopo di dare accesso solo a singoli edifici
privati (massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2012 n. 728 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Caratteri distintivi che consentono di
qualificare una strada come "strada pubblica" o "strada
privata sottoposta a servitù di passaggio pubblico".
La giurisprudenza insegna che costituisce una strada
pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una
esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al
transito di un numero indifferenziato di persone: C.d.S., V,
07.12.2010, n. 8624; che il connotato di interclusione
dell'area servita esclude che vi possa sorgere un uso
stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa
invece concludere per un'utilità limitata ai soli
proprietari frontisti: C.d.S., V, 18.12.2006, n. 7601; che
un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico
di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una
collettività indeterminata di soggetti considerati uti
cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di
carattere generale, e non uti singuli, ossia quali
soggetti che si trovano in una posizione qualificata
rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la
cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del
bene da parte del proprietario all'uso pubblico,
analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti
considerati sempre uti cives, di talché il bene
stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle
di un bene demaniale: Cassazione civile, sez. II,
21.05.2001, n. 6924; che ai fini della dicatio ad patriam
occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del
bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei
consociati uti cives: Cass. Civ., II, 13.02.2006, n.
3075.
In coerenza con gli enunciati appena esposti, la
giurisprudenza afferma in definitiva che, perché un'area
privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica
di passaggio, è necessario, oltre all'intrinseca idoneità
del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività
indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico,
generale interesse.
Ne consegue che deve escludersi l'uso pubblico quando il
passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di
determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione
degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere
ad essi per esigenze connesse alla loro privata
utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure,
infine, rispetto a strade destinate al servizio di un
determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I,
22.06.1985, n. 3761) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.02.2012 n. 728 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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LAVORI PUBBLICI:
Pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo
privato.
Non risulta possibile eseguire la
pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo
privato senza procedere alla preventiva acquisizione di tali
beni, atteso che l'intervento comunale si tradurrebbe -con
riferimento a dette porzioni- in un'indebita spesa pubblica.
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, al Comune,
di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di
marciapiede.
---------------
Il Comune rappresenta che:
· negli anni 1970-1980 ha posto in opera le cordonate
stradali lungo alcune strade comunali, ma non ha ancora
provveduto alla pavimentazione dei marciapiedi;
· lo spazio sterrato utilizzato quale marciapiede è compreso
tra le predette cordonate ed i recinti privati, alcuni dei
quali, però, sono stati costruiti in arretramento rispetto
al confine di proprietà;
· non risulta evidente, in loco, quale sia il limite tra
proprietà pubblica e proprietà privata[1], cosicché la
collettività utilizza lo spazio nella sua totalità;
· l'Amministrazione comunale intende procedere alla
pavimentazione anche dei predetti spazi sterrati, al fine di
renderli più decorosi, sicuri e conformi alla norme sul
superamento delle barriere architettoniche.
Pur avendo già fatto ricorso, in altre circostanze, alla
procedura semplificata per l'accorpamento al demanio
stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso
pubblico, prevista dall'art. 31, commi 21 e 22, della legge
23.12.1998, n. 448, il Comune chiede di conoscere se possa
eseguire la pavimentazione suddetta, che insisterebbe anche
su porzioni di suolo privato utilizzate da illo tempore
quale viabilità pedonale pubblica, senza dover procedere
alla preventiva acquisizione di tali porzioni e,
conseguentemente, al frazionamento catastale, in quanto
questo risulterebbe oneroso per l'Amministrazione e
materialmente difficoltoso.
Al quesito si ritiene di dover fornire risposta negativa,
atteso che, pur risultando necessario provvedere
all'integrale pavimentazione dei marciapiedi, in relazione
alle preminenti necessità di garantire la sicurezza degli
utenti e di provvedere al superamento delle barriere
architettoniche, l'intervento comunale non preceduto
dall'acquisizione delle aree si tradurrebbe -quanto alla
porzione di opera ricadente sul suolo privato- in
un'indebita spesa pubblica, alla quale potrebbero far
seguito ulteriori esborsi a carico del bilancio dell'Ente,
anche a seguito dell'instaurazione di possibili contenziosi,
sia da parte dei soggetti catastalmente titolari della
proprietà, quanto dei pedoni che ritengano di vantare
indennizzi per lesioni subite in tali tratti privati (ma
apparentemente di proprietà pubblica).
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, all'Ente,
di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di
marciapiede.
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[1] Mentre esso risulta rilevabile dai rilievi catastali
eseguiti dal Comune (19.08.2011 - link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: I
beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi
dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione,
in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili
mediante i poteri di autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale
da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione
nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad
occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la
destinazione pubblica, non bastano a comprovare
inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo
potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione
tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da
fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare
adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia
definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale
pubblico.
Quanto alla considerazione degli interessi dei privati al
mantenimento (alla legittimazione) della situazione di
fatto, non è superfluo ricordare che i beni demaniali, in
quanto inalienabili ai sensi dell'articolo 823, c.c. non
sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa
sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di
autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale
da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione
nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad
occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la
destinazione pubblica, non bastano a comprovare
inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo
potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione
tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da
fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare
adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia
definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale
pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2006, n. 5209; V,
06.10.2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 08.07.2009,
n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20.06.2009, n. 445; TAR
Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005, n. 291)
(TAR Umbria,
sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I beni demaniali non sono suscettibili
di usucapione in mancanza di previa sdemanializzazione.
I beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi
dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione,
in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili
mediante i poteri di autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale
da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione
nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad
occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la
destinazione pubblica, non bastano a comprovare
inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo
potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione
tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da
fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare
adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia
definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale
pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2006, n. 5209; V,
06.10.2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 08.07.2009,
n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20.06.2009, n. 445; TAR
Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005, n. 291)
(TAR Umbria,
sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Servitù di uso pubblico.
Domanda.
In quali modi può
costituirsi la servitù di uso pubblico?
Risposta.
La servitù di uso pubblico può costituirsi con un regolare
atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del
terreno, ma anche mediante l'effettivo uso pubblico
dell'area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile
e, comunque, almeno pari ad un ventennio, oppure mediante
l'istituto della c.d. dicatio ad patriam.
Orbene, siffatto istituto, quale titolo costitutivo di una
servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del
proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar
vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con
carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, un
proprio bene a disposizione della collettività,
assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona
l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o
un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare
un'esigenza comune ai membri di tale collettività quali
cittadini (07.07.2011 - commento tratto da
www.ipsoa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La costituzione su una strada privata di
una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente,
a mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal
comportamento del proprietario di un bene che metta
spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di
una collettività indeterminata di cittadini, producendo
l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso
pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della
collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il
tempo necessario all'usucapione.
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada
presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un
fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa
sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale,
ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita
una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata
all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa
o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal
fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la
mera previsione programmatica della sua destinazione a
strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da
parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da
essa assolta.
La costituzione su una strada privata di una servitù di uso
pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd.
dicatioad patriam -costituita dal comportamento del
proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo
univoco il bene a disposizione di una collettività
indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo
della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero
attraverso l'uso del bene da parte della collettività
indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo
necessario all'usucapione (cfr. C.d.S., sez. V, 24.05.2007,
n. 2618).
L'accertamento in ordine alla
natura pubblica di una strada presuppone necessariamente
l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la
proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un
ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo
ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che
la stessa sia destinata all'uso pubblico con una
manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente
medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi
di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione
programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o
l'intervento di atti di riconoscimento da parte
dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa
assolta (Cassazione civile, sez. II, 07.04.2006 , n. 8204)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 28.06.2011 n. 3868 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Una servitù di uso pubblico può
costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di
costituzione da parte del proprietario del terreno, anche
mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso
pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo
immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure
mediante l’istituto della dicatio ad patriam.
A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso
pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo
presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a
soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via)
esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto
accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae", da
parte di una collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad una comunità territoriale..
E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso
stesso da tempo immemorabile, almeno ultraventennale.
Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite
dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto giuridico
del comportamento del proprietario che, se pur non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso
pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità
e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a
disposizione della collettività, assoggettandolo al
correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che
occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al
fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale
collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i
quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua
spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima.
Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad
uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento,
ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel
mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella
rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e
situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta
indice di un comportamento del proprietario verificatosi in
epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso
come comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi
che non consente di distinguere la strada in questione da
una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di
esercitare il diritto di uso della strada.
Con i motivi nn. 1 del ricorso e 5 dei motivi aggiunti, il
ricorrente espone le censure portanti del gravame, con le
quali si insiste sulla proprietà privata del cortile e si
nega l’esistenza d’una servitù pubblica di passaggio. In
quest’ottica, pertanto, le censure inerenti il carattere
abusivo o meno dei cancelli passano in secondo piano,
degradando a mera variabile dipendente della questione
principale.
Sul punto occorre precisare che, dagli atti dell’istruttoria
procedimentale (verbale di contravvenzione n. 2 del
10/09/2010) risulta che la polizia municipale, dietro
segnalazione di alcuni cittadini residenti in San Fele,
effettuava un sopralluogo a seguito del quale accertava che
“il tratto di strada di via Francesco Stia che si collega
con Vico II La Vista è stato interdetto al transito pedonale
dal signor D’Onofrio Gerardo, Michele, Pietro, mediante
l’apposizione di due cancelli abusivi, di cui uno in ferro,
apposto a monte del fabbricato di sua proprietà e l’altro in
legno, a valle del medesimo fabbricato, ubicato al civico 4
della strada de quo, in assenza di relative autorizzazioni
da parte del Comune di San Fele, trattandosi di strada
pubblica come confermato dagli accertamenti eseguiti sia
presso l’ufficio tecnico comunale, giusta nota di riscontro
prot. n. 6748 del 23/08/2010…….sia presso i competenti
Uffici Regionali del Territorio”. La difesa
dell’amministrazione ha depositato quest’ultima nota alla
quale sono allegate planimetrie catastali dalle quali,
secondo il responsabile del procedimento, risulterebbe che
l’area è di proprietà comunale.
Tutto ciò esposto occorre anzitutto rilevare che il
ricorrente non fornisce prova della proprietà dell’area di
cui si discute. In allegato alla perizia giurata depositata
l’08.10.2010 esiste un rogito del 1926 con cui il padre
dell’attuale ricorrente acquistava la proprietà e il
possesso di alcune case dirute fra cui Palazzo Stia ma tale
atto, di per sé, non prova in modo specifico la proprietà
dell’area di cui si discute.
La restante documentazione depositata dal ricorrente mira a
risalire alla prova della proprietà delle aree attraverso
alcuni elementi di fatto minori (la denominazione di vico,
ritenuta, ad avviso del Collegio, erroneamente equivalente a
strada cieca e quindi priva di accesso sulla pubblica via,
la numerazione civica posta sul piedritto destro del
portale, la diversa pavimentazione presente nell’androne
rispetto a quella di via Stia e dal fatto che la muratura
che contiene il portale di ingresso è della stessa altezza
del palazzo) palesemente insufficienti a fondare tale prova.
Quanto agli altri elementi, alla luce delle planimetrie
depositate dall’amministrazione e della speculare, precisa
descrizione dei luoghi riportata nella relazione in data
10/11/2010 del settore tecnico comunale (sub n. 15), va
anzitutto smentita la configurazione e la definizione di “cortile”
(ancorché ripresa in mappe presentate dal dante causa del
ricorrente nel 1939) attribuita dall’istante a quello che
invece è un vero e proprio “slargo” su cui via Francesco
Stia, dopo un tratto rettilineo di circa 150 metri si apre
all’interno d’uno spazio in concreto non definibile cortile
(pertinenziale a Palazzo Stia) sia perché sullo stesso si
affaccia non solo Palazzo Stia, ma anche Palazzo Lubrino e
sia per l’evidente, fisica appartenenza dello stesso al
tracciato di via Francesco Stia, come peraltro confermato
dal fatto che nelle mappe catastali fornite al Comune
dall’Agenzia del Territorio di Potenza la parola Stia (della
dicitura Via Federico Stia), ricade proprio su detto slargo.
Il transito lungo di esso introduce poi a un passaggio
ricadente sotto Palazzo Stia indicato con segni tratteggiati
nella mappa catastale ora citata e denominato, nel gergo
locale, “supporto” e di lì, dopo breve percorso, a
Vico II Luigi La Vista e, percorso quest’ultimo, si giunge a
via Luigi La Vista.
Ora, secondo il Collegio, le aree “de quibus”, in
quanto spazi, interni all’abitato e adiacenti e/o aperti sul
suolo pubblico (vedi art. 22, co. 3, allegato F della legge
20/03/1865 n. 2248) e in comunicazione diretta con esso,
sono assistiti da una presunzione legale di demanialità
cioè, appunto, di appartenenza al demanio di detti spazi.
Nella specie, la prova contraria, che pur potrebbe vincere
la presunzione “de qua”, non risulta essere stata
resa dal ricorrente dato che non è stato prodotto alcun
titolo valido, certificante, per così dire, la titolarità di
precisi diritti, anche di solo godimento, sulle aree in
questione (e tale non potendosi ritenere neppure la
documentazione allegata al ricorso).
Oltretutto, come osservato dalla difesa
dell’amministrazione, nella mappa catastale allegata alla
relazione tecnica (all. 2 del doc. n. 15) e in quella
rilasciata dall’Agenzia del Territorio di Potenza figura il
corpo principale dell’immobile nell’area di colore chiaro
(particella n. 76) che presenta solo il giardino come sola
pertinenza aggraffata alla particella in questione mentre
l’area di collegamento fra le due strade non ha numeri
identificativi a livello catastale e non appare riferibile
quale pertinenza della particella 76.
Ma anche a voler prescindere da questioni inerenti la prova
della proprietà e l’evidente idoneità dei sopra specificati
percorsi a formare un sistema unico di circolazione pedonale
che congiunge via Stia, per il tramite del passaggio a Vico
II Stia e in tal modo a via Luigi la Vista, c’è da dire che
lo stesso ricorrente, con la nota inviata al Sindaco di San
Fele in data 27/08/2010, a pochi giorni dal sopralluogo
effettuato dai vigili, dopo aver dichiarato che “il
cancello” sarebbe stato apposto circa 25 anni fa, pur
insistendo sulla proprietà privata del cortile antistante
Palazzo Stia, fa espresso riferimento al “diritto di
passaggio del popolo, che gli attuali proprietari tollerano,
tant’è che i cancelli sono apribili da parte di chicchessia”.
Tali riferimenti, al di là di ogni altra considerazione,
convalidano pertanto l’affermazione del Comune secondo cui i
tratti di collegamento fra via Stia e Vico II sono stati da
sempre o comunque da lungo tempo utilizzati per il libero
passaggio pedonale (vedi relazione tecnica sub-15 della
produzione comunale). Il Collegio ritiene cioè comunque
esistente una servitù di uso pubblico, essendosi la stessa
costituita a seguito di prolungato esercizio del diritto
d’uso pubblico o, quantomeno, per dicatio ad patriam
e che la stessa è, pertanto, opponibile al ricorrente.
Come di recente ricordato in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli
Venezia Giulia cit.), una servitù di uso pubblico può
costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di
costituzione da parte del proprietario del terreno, anche
mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso
pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo
immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure
mediante l’istituto della dicatio ad patriam.
A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso
pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo
presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a
soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via)
esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto
accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae",
da parte di una collettività di persone qualificate
dall'appartenenza ad una comunità territoriale (Cons. Stato,
Sez. V - sentenza 24.05.2007 n. 2618; TAR Lombardia Milano,
Sez. II - 18.04.2008 n. 1229 ).
E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso
stesso da tempo immemorabile (cfr. ex plurimis,
C.d.S., Sez. V, 04.02.2004, n. 373; C.d.S., Sez. V,
01.12.2003, n. 7831; TAR Abruzzo, Pescara, 04.03.2006, n.
144; TAR Toscana, sez. III, 19.07.2004, n. 2637; TAR Lazio,
sez. II, 29.03.2004, n. 2922; TAR Campania–Napoli, Sez. VIII
- sentenza 01.06.2007, n. 5906), almeno ultraventennale
(Cons. Stato, Sez. V – sentenza 04.02.2004 n. 373; Cons.
Stato, Sez.. V - sentenza 04.02.2004, n. 373; TAR
Puglia-Lecce, Sez. I - sentenza 09.01.2008 n. 48).
Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite
dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto
giuridico del comportamento del proprietario che, se pur non
intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso
pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità
e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a
disposizione della collettività, assoggettandolo al
correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che
occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al
fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale
collettività "uti cives", indipendentemente dai
motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla
sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima. (Cass.
Civ., Sez. II, sent. n. 12167 del 12-08-2002; Sez. II, sent.
n. 7481 del 04-06-2001; Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 10574
del 10-12-1994; Cons. Stato, Sez. V - sentenza 24.05.2007 n.
2618).
Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad
uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento,
ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel
mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella
rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e
situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta
indice di un comportamento del proprietario verificatosi in
epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso
come comportamento della collettività contrassegnato dalla
convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi
che non consente di distinguere la strada in questione da
una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di
esercitare il diritto di uso della strada (Cons. Stato, Sez.
V - sentenza 09.06.2008 n. 2864).
Nel caso di specie il Collegio ritiene che sussistano tutti
i requisiti affinché possa ritenersi essere venuta in
esistenza una servitù di uso pubblico per uso
ultraventennale o, in ogni caso, per dicatio ad patriam.
Risulta cioè maturato secondo il collegio un periodo di
pubblico uso ultraventennale tale da aver determinato, per
quanto in precedenza indicato, la costituzione di una
servitù di uso pubblico sulle aree in questione (TAR
Basilicata,
sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a
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COMPETENZE
GESTIONALI:
L'ordinanza di ripristino del pubblico
transito di una strada, nella specie nel ripristino d’un
passaggio di uso pubblico su di una strada che si assume
utilizzata dalla collettività, si connota sicuramente come
atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza
che vengano in rilievo le specifiche problematiche di
competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del
1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente
previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale
competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale
a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs.
n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di
tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già
spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi
ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n.
2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica
come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici,
scevro da profili di indirizzo e controllo
politico-amministrativo e come tale attribuito alla
competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non
rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50,
comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378
non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale
ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce
dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello
stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta
salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più
ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è
limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene
comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di
ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del
D.Lgs. 18-08-2000, n. 267.
Il D.Lgs. n. 267 del 2000 ha, come è noto, sancito,
nell’art. 107, un criterio di ripartizione delle
attribuzioni di competenza in ambito comunale che affida
alla dirigenza gli atti gestionali e lascia agli organi di
governo, quale il Sindaco, solo gli atti attinenti alle
funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo
degli organi comunali.
A norma del principio sancito dall'art. 107 del citato
D.Lgs., la competenza ad adottare provvedimenti
amministrativi, consistenti in atti autoritativi posti in
essere dalla p.a. nell'espletamento di una potestà
amministrativa e aventi rilevanza esterna, è stata devoluta
ai dirigenti degli enti locali -fatti salvi solo l’esercizio
dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo
spettanti agli organi di governo– con l’attribuzione ai
dirigenti dei compiti non compresi espressamente dalla legge
o dallo statuto fra le funzioni degli organi di governo o
fra quelle del segretario comunale o del direttore generale.
L’art. 107 del D.Lgs. in questione prevede altresì che, a
decorrere dalla data di sua entrata in vigore, le
disposizioni che conferiscono agli organi di governo
dell’ente "l'adozione di atti di gestione e di atti o
provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la
relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto
previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54".
L'articolo 50, comma 3, prevede che, salvo quanto previsto
dall'articolo 107, il sindaco e il presidente della
provincia "esercitano le funzioni loro attribuite dalle
leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono
altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali
attribuite o delegate al comune e alla provincia".
L’articolo 54 descrive le attribuzioni del sindaco nei
servizi di competenza statale indicando che lo stesso
sovraintende, quale ufficiale del Governo: "a)
all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla
legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza
pubblica; b) allo svolgimento delle funzioni affidategli
dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia
giudiziaria; c) alla vigilanza su tutto quanto possa
interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone
preventivamente il prefetto".
Alla luce di tale premessa la censura si rivela infondata,
come evidenziato di recente in giurisprudenza (cfr. TAR
Friuli Venezia Giulia, I, 08/04/2011 n. 184).
In primo luogo, il Collegio ritiene che l’Amministrazione
abbia agito in virtù di un più ampio potere di autotutela
amministrativa spettante alla stessa sui beni demaniali ex
art. 823 cod. civ. (ed in forza dell’art. 825 cod. civ.
anche sui diritti reali che spettano allo Stato, alle
province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti
quando sono stati costituiti per l'utilità di beni demaniali
o per il conseguimento di fini di pubblico interesse) che
esula dallo stretto disposto dell’art. 378 della legge n.
2248 del 1865, allegato F, riallacciandosi, nel caso in
esame, l’azione dell’amministrazione al più ampio potere di
tutela dei beni demaniali e dei diritti reali ad uso
pubblico.
In questo senso, pertanto, l’atto posto in essere si connota
sicuramente come atto gestionale di spettanza della
dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le
specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art.
378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente
previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale
competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale
a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs.
n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di
tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già
spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi
ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n.
2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica
come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici,
scevro da profili di indirizzo e controllo
politico-amministrativo e come tale attribuito alla
competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non
rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50,
comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378
non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale
ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce
dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello
stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta
salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più
ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è
limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene
comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di
ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del
D.Lgs. 18-08-2000, n. 267 (TAR Basilicata,
sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
L’esercizio del potere sindacale
contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865, all. F, configura
non già un provvedimento repressivo in materia edilizia,
bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in
tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova
il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare
l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori
motivazioni.
- L'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F, attribuisce al
sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio,
volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni
demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso
pubblico. Con la conseguenza che, a prescindere
dall'effettiva esistenza di un diritto reale di servitù
pubblica di passaggio o dall'esistenza di una pubblica via
vicinale (che tra l'altro prescinde anche dall'inclusione
della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere
dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali
ostativi al libero transito con le modalità esistenti
anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei
luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo
pregiudizio del pubblico passaggio.
Per l’Amministrazione Comunale appellante, l’esercizio del
potere sindacale contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865,
all. F, configura non già un provvedimento repressivo in
materia edilizia, bensì un’ipotesi di autotutela possessoria
iuris publici in tema di strade di uso pubblico, che,
in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella
necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza
necessità di ulteriori motivazioni (cfr. Consiglio Stato n.
25/2009).
Nel caso, la qualificazione pubblica della via sarebbe stata
dimostrata in particolare: dalle ripetute nel tempo
asfaltature da parte del Comune; dall’apposizione di un
cartello “fine divieto di sosta” da oltre dieci anni,
e dalle dichiarazioni scritte di dieci cittadini sull’uso
pubblico da tempo immemorabile.
---------------
Come la concorde giurisprudenza
ha sempre riconosciuto l'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248,
all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di
carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato
di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali
soggette ad uso pubblico.
Con la conseguenza che, a prescindere dall'effettiva
esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di
passaggio o dall'esistenza di una pubblica via vicinale (che
tra l'altro prescinde anche dall'inclusione della via stessa
dagli elenchi comunali), sussiste il potere
dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali
ostativi al libero transito con le modalità esistenti
anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei
luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo
pregiudizio del pubblico passaggio (cfr. Consiglio Stato,
sez. V, 08.01.2009, n. 25; Consiglio Stato, sez. IV,
07.09.2006, n. 5209; Consiglio Stato, sez. IV, 06.04.2000,
n. 1975) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.06.2011 n. 3509 -
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LAVORI PUBBLICI:
Il non tempestivo esercizio dei poteri
pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non
comporta affatto il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che
annette all’iscrizione delle strade nell’elenco di quelle
vicinali un effetto meramente dichiarativo e non
costitutivo, è altresì pacifico che la mancata utilizzazione
di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi
anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se
per la cessata destinazione all’uso pubblico (cfr., Cons.
St., sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non tempestivo esercizio dei
poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada
vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto, consolidatasi per
un lungo tempo, che palesi in modo univoco l’impossibilità
da parte della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene sottolineare- con
specifico riguardo a quanto ne occupa, non deve essere
imputabile all’esecuzione di opere abusive realizzate dal
privato avente interesse contrario all’utilizzazione
pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri oggettivi risulta che
la strada per cui si discute va annoverata fra quelle
vicinali: in primo luogo, detta strada fa parte della rete
viaria che dalla strada comunale via Mareschino conduce in
località Fratin, funzionale al transito di mezzi agricoli
per il trasporto di legnami e generi vari (cfr.,
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), né, ad
ulteriore testimonianza della permanenza attuale e concreta
dell’interesse pubblico all’utilizzazione di essa da parte
della collettività, va passato sotto silenzio il fatto che
la strada in questione, inclusa negli itinerari del CAI, è
altresì funzionale alla pratica turistico-alpina; in secondo
luogo, la preclusione all’attuale utilizzo pubblico
scaturisce non già da fattori naturali, sedimentatisi nel
tempo, bensì esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti
ricorrente: quali la duplice apposizione di congegni
preordinati a precludere l’accesso sia a monte che a valle
della strada e la pavimentazione di parte del suolo di
transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica l’uso pubblico, la
cui tutela è presidiata dal potere pubblicistico di cui
all’art. 14 l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente esercitato
dal Comune resistente (ex multis, Tar Liguria, sez.
II, 08.01.2003 n. 23).
Infine la natura vincolata del potere esercitato dal Comune,
in ragione degli interessi in gioco, depone nel senso che il
contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto
essere diverso da quello adottato anche qualora fosse stato
preceduto dal contraddittorio con il ricorrente, sollecitato
a mezzo della comunicazione d’avvio del procedimento (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La classificazione ufficiale delle
strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non
costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di
uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la
sussistenza dei requisiti del generale passaggio,
direttamente collegato e non limitato da vincoli di
proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis
publicae” da una collettività indeterminata di persone in
assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso
il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze
di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di
uso pubblico, identificabili anche nella protrazione
dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o
l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di
servizio da parte dell’ente pubblico.
Ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865, n. 2248, parte
2^, la classificazione ufficiale delle strade ha efficacia
presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della
pubblicità o meno del passaggio.
Al riguardo deve ricordarsi come una strada può rientrare
nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando
sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la
sussistenza dei requisiti del generale passaggio,
direttamente collegato e non limitato da vincoli di
proprietà o condominio, nonché esercitato “iure
servitutis publicae” da una collettività indeterminata
di persone in assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso
il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze
di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di
uso pubblico, identificabili anche nella protrazione
dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o
l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di
servizio da parte dell’ente pubblico (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 24.02.2011 n. 1240 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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LAVORI PUBBLICI:
Quali rimedi ha il cittadino nel caso in cui il Comune non
provveda a eseguire la manutenzione delle strade?
Distinzione tra strade normali e strade vicinali.
Ci giungono frequentemente quesiti riguardanti i rimedi a
disposizione del cittadino nel caso in cui il Comune non
provveda a effettuare la manutenzione delle strade.
Pubblichiamo una nota dell'avv. Marta Bassanese, che
approfondisce la questione, distinguendo a seconda che si
tratti delle normali strade pubbliche oppure delle strade
vicinali (private oppure di uso pubblico), dato che vengono
in rilievo normative differenti (link a
http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La semplice indicazione di una strada
nell’elenco delle strade comunali non è sufficiente a
comprovarne la natura pubblica o privata.
La complessa vicenda processuale di cui ci occupiamo trae
origine dal ricorso proposto dagli appellanti, proprietari
di immobili interessati da una determinata strada, contro la
Deliberazione del Consiglio Comunale di un Comune piemontese
avente ad oggetto: la costituzione di un Consorzio sulla
stessa.
Invero, ad avviso degli appellanti, la strada in questione
avrebbe natura comunale e, pertanto, risulterebbe
illegittima la costituzione del Consorzio in questione, in
quanto esclusivamente in ipotesi di strade vicinali
l’istituzione di un Consorzio per la loro manutenzione,
sistemazione e ricostruzione sarebbe ammissibile.
Il Comune, invece, sostiene, di aver dimostrato, nel corso
del giudizio di primo grado, la natura privata della strada
in questione e la conseguente legittimità della costituzione
del Consorzio, ribadendo che la strada in menzione, oltre a
non essere mai stata inclusa negli elenchi delle vie
comunali (essendo stata, al contrario, inserita nelle liste
delle vie private), non possiede le caratteristiche ed i
requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza
formatasi in materia al fine di tale qualificazione.
Ma a tale riguardo, i giudici del Consiglio di Stato
osservano che la semplice indicazione di una strada
nell’elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta
dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura
meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta
inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la
natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso, infatti, ricordano i giudici d’appello, si è
espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "L’iscrizione
di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da
uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta,
ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del
Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità
dell’uso, superabile con la prova contraria della natura
della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento
da parte della collettività mediante un’azione negatoria di
servitù” (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624).
Considerata la natura meramente dichiarativa degli elenchi
in questione, la giurisprudenza ha elencato ulteriori
requisiti da valutarsi al fine dell’accertamento della
natura di una strada, quali l’uso pubblico (inteso come
l’utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone),
l’ubicazione della strada all’interno di luoghi abitati,
nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica
Amministrazione nel settore dell’edilizia e
dell’urbanistica.
Di recente, inoltre, un’ulteriore pronuncia della Suprema
Corte ha affermato che “L’appartenenza di una strada ad
un ente pubblico territoriale può essere desunta da una
serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità,
precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non
potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente
l’inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco,
già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente
natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere
relativo la presunzione di demanialità di cui all’art. 22
della legge n. 2248 del 1865, all. F” (nella specie, la
Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva
riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di
plurime circostanze e, segnatamente, dall’inclusione nelle
mappe catastali, dalla classificazione come comunale da
parte del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di
manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione nella top
onomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica
e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del
contrario assunto sulla natura privata della strada
medesima: Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705)
(commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.12.2010 n. 8624 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel costituire una servitù di uso
pubblico il requisito della protrazione dell’uso stesso da
tempo immemorabile deve essere rigorosamente dimostrato.
Come ripetutamente rilevato in giurisprudenza, affinché su
di un’area possa dirsi costituita una servitù di uso
pubblico, devono sussistere i tre requisiti del passaggio
esercitato iure servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una
comunità territoriale, della concreta idoneità dell’area a
soddisfare esigenze di interesse generale e di un titolo
valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso
pubblico, potendo tale ultimo requisito identificarsi
nell’acquisto per usucapione (per decorso del termine
ventennale) ovvero nella protrazione dell’uso stesso da
tempo immemorabile –la quale tuttavia deve essere
rigorosamente dimostrata–, onde si rende necessaria la prova
specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte
della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del
proprietario, per non essere sufficiente che le singole
utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù
si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera
discontinua e per tolleranza del legittimo proprietario,
tanto più che anche la costituzione di una servitù di uso
pubblico mediante dicatio ad patriam postula un
comportamento del proprietario univocamente rivolto, con
carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a
porre a disposizione del pubblico una cosa propria
oggettivamente idonea al soddisfacimento di un’esigenza
comune alla collettività (v. in questi termini, TAR
Lombardia, Brescia, n. 1365/2005 cit.).
Nella fattispecie, però, l’Amministrazione comunale non ha
fornito elementi che dimostrino l’uso continuativo del bene
da parte della comunità locale per un periodo di tempo utile
alla costituzione dell’invocata servitù di uso pubblico,
essendosi la stessa limitata a richiamare tale circostanza
senza fornire riscontri oggettivi di alcun tipo, salva
l’esibizione di fotografie che evidenzierebbero sì il
pregresso libero accesso all’area ma non anche la risalenza
e l’ininterrotto protrarsi nel tempo di tale situazione, e
neppure risulta documentato, o in altro modo comprovato,
l’asserito ripetersi degli interventi di manutenzione e
delle altre attività che, a dire dell’ente locale,
contraddistinguerebbero l’uso pubblico del bene.
E’ pur vero, poi, che la ricorrente aveva dato il proprio
assenso ai lavori comunali di riqualificazione della zona
comprendenti l’area in esame, ma non aveva ella in tal modo
inteso anche prestare acquiescenza ad una destinazione
pubblica del bene, rispetto al quale anzi aveva comunicato
all’Amministrazione la volontà di “…conservazione dei
diritti di utilizzazione della piazza come attualmente
esistenti e/o esercitati, senza alcuna rinuncia al riguardo
…” (v. nota del 04.02.2004) (TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 10.11.2010 n. 487 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Strade vicinali.
Quale disciplina è applicabile ai consorzi di strade
vicinali, già esistenti, in considerazione dell'abrogazione
del dlgs n. 1446/1918, disposta dall'art. 2 del dl n.
200/2008?
La Corte dei conti, sezione regionale Emilia Romagna, con
deliberazione n. 244/2009, ha affermato che «l'abrogazione
della norma sopra citata (dlgs n. 1446/1918) non può aver
influito sulla sorte dei soggetti già esistenti»,
proprio in considerazione della particolare connotazione
formale che caratterizza i consorzi riguardanti le strade
vicinali di uso pubblico, quali soggetti dotati di
personalità giuridica (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010,
pag. 37). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'installazione di un cancello su una
strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla
costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi
dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47.
Conseguentemente, l'amministrazione comunale, nel corso
dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della
concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è
rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve
verificare che esista il titolo per intervenire sulla
proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con
particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di
altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere
limitati dal manufatto a realizzarsi.
L'installazione di un cancello su una strada privata
soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su
aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5
e 6, L. 28.02.1985 n. 47 (TAR Lombardia Brescia, 13.09.2005,
n. 833).
Ne consegue che l'amministrazione comunale, nel corso
dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della
concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è
rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve
verificare che esista il titolo per intervenire sulla
proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con
particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di
altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere
limitati dal manufatto a realizzarsi, atteso che il
provvedimento autorizzativo in discorso è un atto
amministrativo che rende legittima l'attività autorizzata
nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che, in
relazione a quell'attività, si genera tra l'autorità
amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del
quale è emesso.
Ne discende che, non essendo tale atto amministrativo
suscettibile di attribuire al beneficiario diritti
soggettivi in conseguenza all'attività stessa, eventuali
situazioni di contitolarità del diritto, ovvero di diritti
tra loro configgenti, devono essere fatte valere alla
stregua della disciplina fissata dal diritto comune
dovendosi escludere, in tal senso, un’attività ulteriore
dell’amministrazione che ad essa non compete (arg. ex Cons.
Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; anche TAR Lombardia
Milano, sez. II, 06.02.2009, n. 1157).
Appartengono, infatti, alla giurisdizione ordinaria le
controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle
strade, nonché circa l'esistenza di diritti di uso pubblico
ovvero di servitù in favore di fondi privati su strade
private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto
l'accertamento dell'esistenza e dell'ampiezza di diritti
soggettivi, sia dei privati che della P.A. (cfr. TAR Emilia
Romagna Parma, 12.07.2005, n. 383)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Affinché una strada privata possa essere
considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire
da collegamento con una via pubblica e sia adibita al
transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche
necessario che la strada sia posta al servizio di una
collettività indeterminata di cittadini portatori di un
interesse generale.
In mancanza di espressa classificazione di una strada
privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare
assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario
che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un
pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le
esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Affinché una strada privata
possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa
possa servire da collegamento con una via pubblica e sia
adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma
è anche necessario che la strada sia posta al servizio di
una collettività indeterminata di cittadini portatori di un
interesse generale.
Non è, quindi, da considerare ad uso pubblico una strada
che:
1) è utilizzata prevalentemente dagli abitanti dei comparti
edilizi che su essa prospettano;
2) è priva di marciapiedi e, pertanto, non si presenta
destinata alla circolazione dei pedoni come richiede,
invece, l'art. 2 del codice della strada allorché definisce
il concetto di strada;
3) è a vicolo cieco e, dunque, per essa non può valere il
principio della presunzione di uso pubblico che opera solo
qualora il tratto di strada colleghi due strade pubbliche
(TAR Veneto Venezia, sez. II, 24.01.2008, n. 169).
Peraltro, costituisce jus receptum che, in mancanza
di espressa classificazione di una strada privata
nell'elenco delle strade vicinali, per considerare
assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario
che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un
pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le
esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di
interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Deve quindi essere verificato:
a) il requisito del passaggio esercitato da una collettività
di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo
territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per
il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale
interesse;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto
di uso pubblico, che può anche identificarsi nella
protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. TAR
Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
I,
sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'esercizio
del potere comunale
di autotutela possessoria sulle strade vicinali
richiede la sussistenza di requisiti di fatto (un passaggio
esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività di
persone, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze
di carattere generale, l'esistenza di un titolo valido a
fondamento del diritto di uso pubblico) che la parte
ricorrente non ha fatto oggetto di contestazione, essendosi
la deducente limitata a rimarcare le caratteristiche
oggettive che imporrebbero di configurare l’arteria in
questione come un semplice sentiero di campagna.
Tali caratteristiche, peraltro, non ne escludono la
riconducibilità alla categoria delle strade, poiché l’art. 3
del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, definisce il
sentiero (o mulattiera o tratturo) come la strada a fondo
naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di
animali.
Rimane da
considerare il terzo motivo posto a fondamento dei
provvedimenti impugnati, riferito all’esistenza di una
strada comunale che attraversa il fondo dei ricorrenti e che
sarebbe stata interrotta dalla recinzione.
Il provvedimento ripristinatorio specifica ulteriormente, al
riguardo, che l’esistenza della recinzione impedisce la
regolare circolazione sulla strada e l’accesso a un tombino
di derivazione dell’acqua potabile ivi esistente; il tombino
è posto a servizio di un limitrofo fabbricato di proprietà
di terzi, cosicché si verificherebbe nella specie
l’interruzione del pubblico servizio di manutenzione
dell’acquedotto.
Tale corredo motivazionale prescinde, quindi, da esigenze di
tutela di valori urbanistici o ambientali e presuppone,
invece, l’esercizio del potere comunale di autotutela
possessoria sulle strade vicinali, finalizzato alla
rimozione degli ostacoli che si frappongono all’uso pubblico
delle strade, tuttora previsto dall’art. 15 del decreto
legge luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446, convertito
nella legge 17.04.1925, n. 473.
L'esercizio di tale potere richiede la sussistenza di
requisiti di fatto (un passaggio esercitato “iure servitutis
publicae” da una collettività di persone, la concreta
idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale, l'esistenza di un titolo valido a fondamento del
diritto di uso pubblico) che la parte ricorrente non ha
fatto oggetto di contestazione, essendosi la deducente
limitata a rimarcare le caratteristiche oggettive che
imporrebbero di configurare l’arteria in questione come un
semplice sentiero di campagna.
Tali caratteristiche, peraltro, non ne escludono la
riconducibilità alla categoria delle strade, poiché l’art. 3
del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, definisce il
sentiero (o mulattiera o tratturo) come la strada a fondo
naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di
animali.
Né il potere comunale di autotutela esercitato nella
fattispecie avrebbe potuto essere escluso dal diritto,
riconosciuto dall’art. 841 cod. civ., del proprietario di
chiudere il proprio fondo, poiché la facoltà di chiusura non
può esercitarsi con modalità tali da impedire (o da rendere
difficoltoso) l’esercizio della preesistente servitù
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Strade pubbliche e private - strade
vicinali - uso pubblico - polizia demaniale - autotutela -
limite.
In materia di polizia demaniale, ex art. 823 c.c.,
l'amministrazione dispone di un potere alternativo sia ai
mezzi ordinari di difesa della proprietà sia ai mezzi
ordinari di difesa del possesso, e può qualificarsi tanto
come possessore dei beni demaniali quanto come proprietario
degli stessi (ovvero come titolare dei diritti demaniali),
con facoltà, in questa seconda ipotesi, di adottare e far
eseguire provvedimenti che mirano al recupero dei beni, o
alla tutela dei diritti, senza incontrare i limiti temporali
e sostanziali previsti per le azioni possessorie: il vero
limite dell'autotutela da parte della pubblica
amministrazione è costituito dalla sdemanializzazione tacita
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 11.01.2010 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
PATRIMONIO:
Demanio e patrimonio -
Sdemanializzazione - Non determina di per sé il
trasferimento al patrimonio della P.A. di ciò che era e
rimane di proprietà privata ancorché gravato dall'uso
pubblico dismesso.
Il procedimento di sdemanializzazione muta il regime
giuridico di ciò che è già di proprietà pubblica,
dismettendo la destinazione all'uso pubblico del bene o
dell'area pubblica o gravata da servitù di uso pubblico, ma
non determina, di per sé, il trasferimento al patrimonio
della P.A. di ciò che era e rimane di proprietà privata
ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Modalità calcolo altezza
fabbricato. Normativa fosse biologiche.
Accesso agli atti. Acquisizione strade nel
demanio.
Il Comune richiedente pone una serie di
quesiti in materia urbanistica e di accesso
ai documenti amministrativi e precisamente:
1) Modalità di calcolo dell’altezza di un
fabbricato; 2) Normativa vigente in materia
di fosse biologiche; 3) Accesso ai documenti
amministrativi; 4) Acquisizione di strade
nel demanio comunale (Regione
Piemonte,
parere n. 141/2009 -
tratto da
www.regione.piemonte.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI:
La disciplina della circolazione sulle
strade comunali rientra nelle competenze della dirigenza
comunale anche se il Codice della Strada del 1992 afferma il
contrario, in quanto dalla data di entrata in vigore del
nuovo T.U. degli enti locali l'adozione di atti di gestione
e di atti o provvedimenti amministrativi spetta ai
dirigenti.
Deve, preliminarmente, stabilirsi quale potere il Sindaco
abbia inteso esercitare nell’emanare l’impugnata ordinanza.
Ad avviso del Collegio sussistono pochi dubbi sul fatto che
questa sia stata emanata ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs.
30/04/1992 n.285 (nuovo codice della strada) e non, invece,
ex art. 54, comma 4 del D. Lgs. 18/08/2000 n.267, come
pretendono tanto il comune quanto il consorzio.
Ed invero, nell’ordinanza è esplicitamente richiamata la
norma di cui al citato art. 7 e, del resto, l’atto manifesta
i contenuti tipici del provvedimento descritto nella
suddetta disposizione, dettando prescrizioni volte a
regolare la circolazione stradale nella zona considerata.
Sono assenti, invece, indizi che manifestino l’intendimento
del Sindaco di agire con un provvedimento extra ordinem.
Manca, difatti, qualunque indicazione circa l’esistenza di
un pericolo incombente non altrimenti fronteggiabile con gli
ordinari strumenti. E del resto, le prescrizioni date hanno
il carattere della continuità e stabilità, mentre le
ordinanze contingibili ed urgenti hanno, per loro natura,
efficacia temporalmente limitata. Il che induce ad
escludere, in mancanza di elementi ermeneutici di segno
contrario, che il Sindaco abbia agito ai sensi dell’art. 54,
comma 4, del citato D. Lgs. n. 267/2000.
Ciò premesso, deve ritenersi che spettasse
al dirigente competente per settore provvedere.
Infatti, in tema di disciplina della circolazione sulle
strade comunali, rientrano nelle competenze della dirigenza
comunale i provvedimenti che siano diretti a regolamentare
la circolazione su singole strade del centro abitato, a
nulla rilevando, in contrario, che il combinato disposto di
cui agli articoli 6 e 7 del codice della strada,
precedentemente emanato, attribuisca al sindaco la
regolamentazione della circolazione nei centri abitati e che
i provvedimenti in questione non risultino specificamente
tra quelli enumerati dall'articolo 107, terzo comma, del
d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che:
a) il quinto comma del citato art. 107 stabilisce
espressamente che, a decorrere dalla data di entrata in
vigore del testo unico in cui la norma è contenuta, le
disposizioni che conferiscono agli organi di governo degli
enti l'adozione di atti di gestione e di atti o
provvedimenti amministrativi, “si intendono nel senso che
la relativa competenza spetta ai dirigenti”;
b) l’elenco delle competenze dirigenziali contenuto nella
disposizione ha natura meramente esemplificativa (TAR
Calabria–Catanzaro 23/09/2003 n. 2730; TAR Lombardia–Brescia
28/04/2003 n. 464; TAR Piemonte 27/11/2002 n. 2000; Cass.
Sez. II, 06/11/2006 n. 23622).
Occorre, infine, rilevare che, contrariamente a quanto le
controparti sostengono, nessun rilievo può avere il fatto
che le strade interne al comprensorio siano private, atteso
che è incontroverso che le stesse siano adibite ad uso
pubblico; del resto, ove così non fosse, il Consorzio non
avrebbe avuto alcuna necessità di rivolgersi al Sindaco per
regolare il traffico veicolare nelle aree in contestazione;
gli sarebbe bastato avvalersi della ordinaria facoltà di cui
all’art. 841 cod. civ., che consente al proprietario di
chiudere il fondo in qualunque momento (TAR Sardegna, Sez.
I,
sentenza 28.07.2009 n. 1391 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Strade vicinali e spese dei consorzi obbligatori.
Pubblichiamo una nota dell'avvocato Marta Bassanese del foro
di Vicenza sulle spese per la manutenzione delle strade
vicinali. La nota segnala la differenza tra le strade
vicinali a uso pubblico e quelle non a uso pubblico e spiega
quali sono i presupposti per la formazione di un consorzio
obbligatorio per la manutenzione delle strade vicinali
(http://venetoius.myblog.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Castel San Pietro
Terme riguardante gli effetti del D.L.
22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge
18.02.2009 n. 9, che ha abrogato il D.L. Lgt. 1446/1918, con
il quale era stato stabilito che i Comuni dovessero
concorrere alle spese per la manutenzione, sistemazione e
ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna,
parere 26.06.2009 n. 244).
... la materia dei consorzi per la manutenzione e
ricostruzione delle strade vicinali, era stata organicamente
disciplinata dal citato decreto legge luogotenenziale del
1918, che aveva stabilito la competenza dell’autorità
comunale, sia per la costituzione dei consorzi, che per la
sovrintendenza nelle varie fasi della loro esistenza. Per i
casi in cui le strade vicinali fossero destinate all’uso
pubblico, era inoltre prescritto l’obbligo del Comune di
accollarsi una quota degli oneri necessari alla loro
manutenzione e ricostruzione.
A tale disciplina era seguita nel 1958 la legge n. 126, in
materia di classificazione e manutenzione delle strade
destinate ad uso pubblico, che, nell’art. 14, ribadiva
l’obbligatorietà della costituzione dei consorzi previsti
dal D.L. Lgt. 1446/1918, e stabiliva che, in caso assenza di
iniziativa degli utenti o dei comuni, la costituzione poteva
essere disposta d’ufficio dal Prefetto. Quest’ultima norma,
a differenza di quanto accaduto al D.L. Lgt. di cui qui si
tratta, non risulta espressamente abrogata dal D.L.
22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge
18.02.2009 n. 9.
Prescindendo comunque dall’attuale incongruo assetto
normativo, e venendo al quesito posto dal Sindaco di Castel
San Pietro Terme, si chiarisce che l’abrogazione del D.L.
Lgt. 1446/1918 non comporta, a parere di questo Collegio, la
eliminazione dei consorzi già costituiti in base a tale
antica normativa.
Ciò in considerazione dl fatto che l’atto costitutivo del
Consorzio, quale originaria manifestazione della volontà dei
proprietari delle strade vicinali (approvata, secondo l’art.
2 del citato D.L. Lgt. 1446/1918, con delibera del Consiglio
comunale), non ha perso il suo valore a seguito
dell’abrogazione della norma che ab origine disciplinò gli
effetti di tale legittima manifestazione di volontà.
Va detto, inoltre, che per i consorzi riguardanti le
strade vicinali di uso pubblico che, per consolidato
orientamento giurisprudenziale, sono dotati di personalità
giuridica pubblica, tale ultimo elemento di carattere
formale, avvalora ancor più l’opinione che l’abrogazione
della norma sopracitata non possa avere influito sulla sorte
di soggetti già esistenti.
Va considerato, infine, che il fondamento per un eventuale
sostegno finanziario comunale a favore dei consorzi già
costituiti, che a suo tempo era indicato espressamente nelle
disposizioni del D.L. Lgt. 1446/1918, può oggi rinvenirsi
nella qualità riconosciuta ai Comuni di enti esponenziali
degli interessi della comunità locale, e quindi abilitati
anche a garantire, con adeguati interventi finanziari,
l’efficienza della viabilità minore di uso pubblico. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Strumenti legittimi per la tutela delle
strade ad uso pubblico.
In caso di realizzazione di una
recinzione che ostruisce il pubblico uso di un percorso, è
legittimo l’esercizio del potere sindacale contemplato
dall’art. 378 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F, il
quale configura, non già un provvedimento repressivo in
materia edilizia, bensì una ipotesi di autotutela
possessoria iuris publici in tema di strade
sottoposte all’uso pubblico, che, in quanto tale, trova il
suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso
pubblico della strada senza necessità di ulteriori
motivazioni
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.01.2009 n. 25 - link a www.altalex.com). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Interventi su area privata.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede se sia possibile
acquisire, per soddisfare un pubblico interesse, al
patrimonio comunale una strada agro-silvo-pastorale, con
stipula di atto pubblico di compravendita; oppure se, in
alternativa, il Comune possa “acquisire” esclusivamente
l’uso pubblico al transito, mantenendo il sedime privato.
In questa seconda evenienza il sindaco chiede parere sulla
legittimità di interventi a cura del Comune su area privata
(Regione Piemonte,
parere n. 167/2008 - link a
www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Viabilità agro-silvo-pastorale - Strada
vicinale - Manutenzione - Oneri a carico dei Comuni -
Soggezione a pubblico transito - Soggezione a uso pubblico -
Differenze.
La misura della partecipazione dei comuni agli oneri di
manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali
va definita sulla base dell'art. 3 del DLLgt. 1446/1918, il
quale prevede una misura variabile da 1/5 fino a metà della
spesa a seconda dell'importanza delle strade.
Condizione essenziale perché possa sorgere l'obbligo di
contribuzione è che le vicinali siano soggette a pubblico
transito. Se una strada vicinale può essere percorsa
indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di
usi e con una pluralità di mezzi, non può essere negata la
presenza del pubblico transito solo perché materialmente la
strada si presenta disagevole in alcuni tratti e poco
frequentata nel complesso.
L'uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva,
legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al
traffico, ad esempio vietando l'uso di alcuni mezzi (specie
di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in
particolari periodi, come per il resto della viabilità
comunale ma l'apposizione di limiti e divieti non fa venire
meno la caratteristica del pubblico transito e quindi non
esime i comuni dall'obbligo di contribuire alla
manutenzione.
L’esistenza dell’obbligo in capo ai comuni è indipendente
dalla formazione di un consorzio tra gli utenti, sia nella
forma facoltativa di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 sia
nella forma obbligatoria di cui all’art. 14 della legge
12.02.1958 n. 126. La costituzione del consorzio è
necessaria per imporre la ripartizione delle spese tra i
privati, mentre nei confronti del comune competente per
territorio l’obbligo di finanziamento è una conseguenza
automatica del diritto di uso pubblico secondo il principio
generale dell’art. 1069 cc. in materia di opere necessarie
per la conservazione della servitù. Poiché l’uso pubblico è
il risultato di un insieme di comportamenti omogenei
ripetuti nel tempo, il contenuto del diritto ha
un’estensione mediana e riflette l’utilità collettiva e non
quella di ogni singolo utente. Pertanto i comuni non sono
tenuti a introdurre nelle strade vicinali caratteristiche
tecniche idonee a soddisfare speciali esigenze di transito
di alcuni utenti.
Tuttavia la manutenzione deve tenere conto degli interessi
pubblici collegati alla viabilità, e in particolare
dell’utilizzazione della strada per il servizio antincendio,
le emergenze sanitarie e gli interventi di protezione
civile. Queste considerazioni riassumono i criteri con cui
deve avvenire il riparto della spesa tra i comuni e i
privati.
Un ulteriore criterio è costituito dalla presenza di un
“consumo notevole” della strada da parte di un singolo
utente o un gruppo ristretto ai sensi dell’art. 9 del DLLgt.
1446/1918. In effetti se vi è uno squilibrio
nell’utilizzazione, nel senso che la strada è di fatto al
servizio di pochi anziché della collettività, l’onere
economico deve gravare in misura proporzionale su questi
ultimi, a prescindere dalla formale istituzione di un
consorzio (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 11.11.2008 n. 1602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Provvedimento di rifiuto di rilascio
di autorizzazione edilizia - Chiusura con cancelli carrai di
una piazza privata - Servitù pubblica di passaggio su una
strada privata - Prova - Non sussiste.
2. Provvedimento di rifiuto di rilascio di autorizzazione
edilizia - Chiusura con cancelli carrai di una piazza
privata - Motivi di pubblica sicurezza - Limitazione del
diritto di proprietà - Illegittimità.
1.
L'esistenza di una servitù pubblica di passaggio su una
strada o una piazza privata, non si suppone, ma va
dimostrata attraverso la prova dell'uso e dell'utilità
pubblica di detta strada. In particolare non emergendo dagli
atti, e non avendo il Comune fornito in giudizio ulteriori
elementi in tal senso, se la transitabilità della piazza in
questione si sia protratta nel tempo per una durata almeno
ultraventennale, il provvedimento di diniego di
autorizzazione edilizia per la chiusura con cancelli carrai
della piazza, motivato sull'esistenza di un diritto di uso
pubblico (non dimostrato), è illegittimo.
2.
L'esigenza inerente a motivi di pubblica sicurezza di non
interrompere un tratto di viabilità (per il passaggio dei
mezzi di soccorso) si può porre come limitativa del diritto
di proprietà del privato solo qualora fatta valere tramite
adeguati strumenti di carattere pubblicistico, che ben
l'amministrazione può adottare, volti ad imporre vincoli o
limitazioni al diritto dominicale con le modalità e forme
previste dalla legge, ma in assenza di tali provvedimenti,
la mera sussistenza di esigenze riconducibili ad interesse
pubblico non è motivo da solo sufficiente per rifiutare
l'autorizzazione edilizia a chiudere l'accesso ad una piazza
privata
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.07.2008 n. 2926). |
URBANISTICA:
Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Segrate (Mi)
circa la necessità che l’Ente debba agire giuridicamente
per il riconoscimento dell’uso pubblico di strade ed opere
inserite in un piano di lottizzazione scaduto, per le quali
era prevista una cessione al Comune, mai avvenuta, a titolo
di urbanizzazione primaria, ma che ad oggi sono da ritenersi
di uso pubblico; e se le spese ordinarie e straordinarie, di
tali opere, debbano ritenersi a carico della pubblica
amministrazione (Corte dei Conti, Sez. regionale di
controllo Lombardia,
parere
11.06.2008 n. 42). |
EDILIZIA PRIVATA: L’assoggettamento
ad uso pubblico di una strada privata, in forza del quale
essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale e la
proprietà privata si riduce al fatto che l’area ritornerebbe
nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse
la destinazione stradale, deriva o dall’inserimento,
ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi
nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada
nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione
di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di
espropriazioni oppure da un immemorabile uso pubblico (a sua
volta indice di un comportamento del proprietario
verificatosi in epoca remota e imprecisabile).
Tale uso deve essere inteso come comportamento della
collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa
palesata da una situazione dei luoghi che non consente di
distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra
strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto
di uso della strada
Vanno preliminarmente richiamati i principi vigenti in
materia di costituzione dell’uso pubblico delle strade,
esposti nelle sentenze impugnate e confermati con le
decisioni non definitive indicate in epigrafe e desumibili,
ora, dagli articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n.
52, del codice della strada emanato con decreto legislativo
30.04.1992 n. 285 cioè che:
- l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata,
in forza del quale essa diviene soggetta alla normale
disciplina stradale e la proprietà privata si riduce al
fatto che l’area ritornerebbe nella piena disponibilità del
proprietario quando cessasse la destinazione stradale,
deriva o dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del
proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione
dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come
può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di
nuove edificazioni o di espropriazioni (vedasi, in aggiunta
ai precedenti già citati nella sentenza impugnata e nelle
decisioni non definitive della Sezione, la decisione
23.06.2003 n. 3716),
- oppure da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice
di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca
remota e imprecisabile).
Tale uso deve essere inteso come comportamento della
collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa
palesata da una situazione dei luoghi che non consente di
distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra
strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto
di uso della strada
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.06.2008 n. 2864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Interclusione a strade soggette a
servitù di pubblico transito - È illegittima - Esigenza dei
requisiti del passaggio, della concreta idoneità della
strada a soddisfare esigenze di generale interesse e del
titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico - Sussiste.
È illegittima ogni interclusione a strade, anche private o
vicinali, soggette a servitù di pubblico transito. A tal
fine si richiede la sussistenza dei requisiti del passaggio
(esercitato iure servitutis publicae da una collettività di
persone qualificate dall'appartenenza ad un comunità
territoriale), della concreta idoneità della strada a
soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il
collegamento con la pubblica via) e del titolo valido a
sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che
può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da
tempo immemorabile
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.04.2008 n. 1229
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La classificazione delle strade comunali
ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i
provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse
non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia
iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi
l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità,
l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è
solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento
dell'uso pubblico della strada.
La preesistenza -di fatto- dell'uso pubblico di una strada,
anche se questa sia del tutto privata, è uno dei presupposti
che legittimano l'esercizio dei poteri di autotutela
possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco
dall'art. 15 D.L. Lgt. n. 1446 cit. (C.g.a. 18.06.2003, n.
244; Cons. St., Sez. V, 12.08.1998, n. 1250; 07.04.1995, n.
522; 23.01.1991, n. 64; TAR Lazio, Latina, 15.05.2004, n.
332; TAR Lazio, Roma, 29.03.2004, n. 2922; TAR Calabria,
Catanzaro, 15.01.2002, n. 17; TAR Calabria Catanzaro,
02.03.1999, n. 255; TAR Sicilia, Catania, 29.09.1994, n.
2147).
La stessa classificazione delle strade comunali ha valore
solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di
autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono
necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei
registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa
sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del
relativo potere da parte del sindaco è solamente
condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso
pubblico della strada (cfr. TAR Piemonte, Torino con
sentenza n. 22 del 13.01.2000).
Nello stesso senso è stato osservato in giurisprudenza che
il potere di ordinanza in materia di polizia demaniale si
configura come una forma di autotutela di carattere
possessorio da parte della P.A. per la conservazione dello
stato di fatto dei beni demaniale o dei beni soggetti a
servitù pubbliche e tale potere si pone su di un piano di
parallelismo con le azioni possessorie, di guisa che il
potere ex art. 15 D.L. Lgt. 1446/1918 deve intendersi
finalizzato al ripristino dello stato di fatto preesistente
in ordine all'uso pubblico della strada, indipendentemente
dalla natura e spettanza dei diritti reali sulla strada
medesima (cfr. TAR Umbria, Perugia, 22.09.1994, n. 562) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 311 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Convenzione per realizzazione strade da
parte di privati.
Il sindaco del Comune XXX pone un quesito che interessa
molte amministrazioni locali: strade realizzate da privati,
in ambito di convenzione edilizia, gravate da uso pubblico.
I proprietari del sedime stradale chiedono al Comune di
farsi carico della manutenzione ordinaria e straordinaria,
nonché di assumersi la responsabilità per eventuali danni a
terzi (Regione Piemonte,
parere n. 79/2008 - link a
www.regione.piemonte.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Strada privata, destinata ad uso pubblico -
Realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la posa
di asfalto - Inversione del possesso - Esclusione -
Fondamento - Occupazione usurpativa - Esclusione - Art. 43
t.u. n. 327/2001.
La realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la
posa di asfalto (interventi che non possono essersi tradotti
in una occupazione della strada privata da parte della p.a.
ma più semplicemente a delle attività di manutenzione e
sistemazione di una strada privata, destinata ad uso
pubblico; attività necessarie al fine di scongiurare
pericoli per la pubblica incolumità), costituiscono delle
utilità per il proprietario ricorrente e, oltre a non essere
idonee a stravolgere l'identità del bene, sono conformi al
contenuto del diritto di uso pubblico, con l'ulteriore
conseguenza che non costituiscono opere pubbliche tali da
determinare un'inversione del possesso, da contenuto del
diritto reale pubblico di passaggio a diritto reale di
proprietà pubblica. Nella specie, non si è verificata,
alcuna ipotesi di occupazione usurpativa (la quale, tra
l'altro, ex articolo 43 del t.u. n. 327 del 2001, non
determinerebbe da sola il trasferimento alla p.a. del
diritto di proprietà, in difetto di un atto formale, benché
postumo, di trasferimento da parte dell'Autorità
amministrativa o giurisdizionale).
Servitù pubblica di passaggio - Elementi per
l’esistenza - Fattispecie: diritto reale d'uso pubblico
ultraventennale.
Ai fini dell'esistenza di una servitù pubblica di passaggio,
non è determinante l'inclusione negli elenchi delle strade
pubbliche, atteso che, perché una strada possa rientrare
nella categoria delle vie vicinali pubbliche, devono
sussistere i requisiti del passaggio (esercitato "iure
servitutis pubblicae" da una collettività di persone
qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale);
della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze
di generale interesse (anche per il collegamento con la
pubblica via); nonché il titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico (che può
identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da
tempo immemorabile) (Consiglio di Stato 24/10/2002, n.
5692). Nella specie, il comune deve ritenersi titolare di un
diritto reale d'uso pubblico ultraventennale delle aree in
questione che ne legittimano l'utilizzo e la manutenzione da
parte dello stesso per soddisfare specifici interessi
pubblicistici di cui è portatore (garantire la sicurezza
della viabilità) e primario responsabile (Consiglio di
Stato, sentenza n. 373 del 2004) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 09.01.2008 n. 48
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazione passo carraio.
Il Comune XXX ha formulato al Servizio di consulenza
regionale un quesito attinente alla possibilità di
autorizzare l’apertura di un passo carraio caratterizzato
dalla particolarità data dal fatto che il passo carraio
medesimo consente l’accesso non già direttamente su di una
strada o piazza pubblica, bensì su di un’area di proprietà
di terzi asservita all’uso pubblico, e più specificatamente
a parcheggio pubblico (Regione Piemonte,
parere n. 69/2007 - link a
www.regione.piemonte.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Strada - Servitù di passaggio -
Presupposti - Limiti - Dicatio ad patriam - Fattispecie.
Affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da
servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso
risponda alla necessità o alla utilità di una collettività
di persone (C.d.S. Sezione V, 28.01.1998, n. 102).
Nella specie, il carattere “interno” dell’area
esclude il presupposto in esame facendo concludere per una
utilità limitata ai soli proprietari frontisti (quando l’uso
avvenga in favore di soggetti considerati uti singuli,
e non uti cives, non può darsi uso pubblico di
passaggio né per usucapione di servitù, né per dicatio ad
patriam: Cass. 21.05.2001, n. 6924; 13.02.2006, n. 3075)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.12.2006 n. 7601 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Strada vicinale: circostanze e requisiti per
l’attribuzione del carattere pubblico.
La iscrizione di una
strada vicinale nell’elenco delle strade di uso pubblico del
Comune comporta una presunzione di pubblicità della strada
stessa che può essere superata solo con l’accertamento in
sede giudiziaria civile della sua natura privata.
In primo luogo si deve precisare che l’utilizzo della strada
sia per il transito pedonale che con mezzi a motore, anche
se si ritiene che sia necessario percorrerla con fuoristrada
o con mezzi agricoli, non esclude la transitabilità e anche
se la strada, ove sottoposta ad idonei interventi di
manutenzione, potrebbe consentire il suo utilizzo anche con
autoveicoli ordinari.
In secondo luogo, la strada vicinale consente un
collegamento più breve, anche se al momento come si è detto
non agevole ma pur sempre alternativo.
La circostanza che alcuni appezzamenti di terreno di
proprietà di terzi siano raggiungibili con la vicinale
depone ulteriormente per il suo carattere pubblico
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza
01.12.2006 n. 7081
- link a www.altalex.com). |
anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai proprietari di immobili
frontisti è riconosciuta una posizione di
uso speciale della strada dalla quale hanno
accesso ai loro beni, poiché da essa essi
traggono un’utilità diversa e maggiore di
quella accordata alla collettività, non
limitandosi a transitarvi, ma utilizzandola
quale tramite per l’accesso alle loro
proprietà, senza bisogno di costituire
servitù di passaggio, sicché sono titolari
di una posizione di interesse legittimo nei
confronti dell’amministrazione proprietaria.
In linea con tali rilievi, del resto, si è
posta parte della giurisprudenza, affermando
che “ai proprietari di immobili frontisti
è riconosciuta una posizione di uso speciale
della strada dalla quale hanno accesso ai
loro beni, poiché da essa essi traggono
un’utilità diversa e maggiore di quella
accordata alla collettività, non limitandosi
a transitarvi, ma utilizzandola quale
tramite per l’accesso alle loro proprietà,
senza bisogno di costituire servitù di
passaggio, sicché sono titolari di una
posizione di interesse legittimo nei
confronti dell’amministrazione proprietaria”
(Cassazione civile, Sezione III, 18.07.2003
n. 11242)
(TAR Campania-Salerno Sez. II,
sentenza 25.05.2005 n. 834 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
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EDILIZIA PRIVATA: Si
ha uso pubblico, che comporta l’assoggettamento della strada
alla disciplina delle strade comunali anche se esse siano
“vicinali” ossia fuori dal centro abitato (decreto
legislativo 30.04.1992 n. 285, contenente il codice della
strada, articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n.
52) quando un’area privata venga dal proprietario destinata
ad essere inserita nella rete viaria pubblica, o mediante
atto negoziale oppure, in modo simile a quanto è previsto
dall’articolo 1062 del codice civile per la costituzione di
servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una
sistemazione dei luoghi nella quale sia implicita la
realizzazione di una strada per uso pubblico, seguita da uso
pubblico effettivo.
Inoltre ha ragione il comune a rilevare che, anche
indipendentemente dall’efficacia del negozio di cessione, si
era verificato un uso pubblico della strada, per
comportamento esplicito e spontaneo del proprietario.
Si ha uso pubblico, che comporta l’assoggettamento della
strada alla disciplina delle strade comunali anche se esse
siano “vicinali” ossia fuori dal centro abitato
(decreto legislativo 30.04.1992 n. 285, contenente il codice
della strada, articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione
n. 52) quando un’area privata venga dal proprietario
destinata ad essere inserita nella rete viaria pubblica, o
mediante atto negoziale oppure, in modo simile a quanto è
previsto dall’articolo 1062 del codice civile per la
costituzione di servitù per destinazione del padre di
famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi nella quale
sia implicita la realizzazione di una strada per uso
pubblico, seguita da uso pubblico effettivo.
Nella specie la cessione del dottor G.T., seguita dall’uso
pubblico effettivo, dalla toponomastica e dall’illuminazione
pubblica, ha appunto realizzato in modo conclamato quanto
meno la destinazione ad uso pubblico della strada,
indipendentemente, anche qui, dalle vicende del procedimento
amministrativo di lottizzazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2003 n. 3716 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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