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48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
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52-DISTANZA dai CONFINI
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54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
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92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
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96-
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dossier STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
anno 2023

EDILIZIA PRIVATA: Bene privato gravato da una servitù di uso pubblico (c.d. strada vicinale) – Caratteristiche di questo diritto – Costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene privato.
In generale, un bene privato –gravato da una servitù di uso pubblico– è sottratto alla disponibilità del proprietario che non può disporne l’interdizione, né limitarne l’uso.
Pertanto, una strada privata –gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale)– si caratterizza per la sua destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, cd. passaggio) da parte di una collettività indeterminata di persone sul bene privato.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto, sono:
   a) il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   b) la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Si tratta della dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene privato, consistente nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale o ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 17.10.2023 n. 42243 - link a www.ambientediritto.it).
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SENTENZA
5.5. Parimenti destituito di fondamento risulta l’ulteriore assunto difensivo teso ad affermare la natura privata della strada.
Che si tratti di strada ad uso pubblico, infatti, risulta pacificamente dal certificato di destinazione urbanistica n. 159B-B PUG, che classifica la stessa come strada urbana di tipologia 3 d’uso pubblico, come individuata dal PUG, c.d. piano urbanistico generale, nonché dalla delibera della Giunta Comunale n. 81 del 17.12.2014, che ha denominato la strada come “Via Giuseppe Conversi”.
Risultano poi dagli atti ulteriori elementi a sostegno dell’assunto accusatorio, quali il fatto che la strada è stata ininterrottamente nella piena disponibilità di fatto del Comune, atteso che attraverso la stessa passano le condutture asservite ai complessi edilizi retrostanti; che sin dalla data di realizzazione della stessa il Comune ha assicurato il servizio di pulizia urbana, nonché a partire dal dicembre 2016, il servizio di raccolta rifiuti delle singole utenze domestiche con metodo porta a porta; infine, la circostanza che la stessa sia di uso generalizzato e continuativo da parte della collettività, che la percorre per raggiungere le aree urbane ed il parco retrostante.
In tal senso, la più recente giurisprudenza amministrativa ha rilevato che un bene privato –gravato da una servitù di uso pubblico– è sottratto alla disponibilità del proprietario che non può disporne l’interdizione, né limitarne l’uso (Tar Lombardia, Brescia, sentenza 25.07.2022 n. 734).
È infatti noto che una strada privata –gravata da uso pubblico (c.d. strada vicinale)– si caratterizza per la sua destinazione al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato: un uso (ovvero, utilizzazione, cd. passaggio) da parte di una collettività indeterminata di persone sul bene privato (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11.03.2016, n. 507).
In particolare, l’art. 3, comma 1, n. 52, del D.Lgs. n. 285 del 1992, fa sì che queste debbano essere necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, spettante ai proprietari dei fondi latistanti, l’Ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 1446/1918, «Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse»), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza (TAR Friuli-Venezia Giulia, 24.07.1989, n. 277).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto, ravvisabili senza dubbio nella vicenda esaminata nel presente giudizio, sono:
   a) il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   b) la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Si tratta della dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico su un bene privato, consistente nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l’esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale o ablatorio, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima (TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 08.04.2011, n. 184).
5.6. Alla luce di quanto chiarito, destituito di fondamento risulta dunque il rilievo difensivo teso ad affermare la piena libertà dei ricorrenti di installare le tre barriere new jersey oggetto di contestazione, in ragione della natura privata dell’area essendo venuto meno il vincolo quinquennale all’espropriazione.
Peraltro, deve essere evidenziato che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non è condivisibile nemmeno l’ulteriore argomento secondo il quale i manufatti contestati avrebbero rappresentato soltanto una soluzione provvisoria, in attesa di realizzare un sistema automatico finalizzato ad inibire l’accesso a soggetti “non autorizzati” ad accedere a tale strada.
In tal senso, non può ammettersi un intervento del proprietario mediante il ricorso all’art. 841 cod. civ., a fronte del quale «il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo», proprio in considerazione del fatto che, nel caso di specie, il bene è gravato da una servitù di passaggio, il cui esercizio del diritto (ossia, il passaggio pubblico) non può essere limitato (Cass. civ., sez. VI, 02.09.2019, n. 21928).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima l'occupazione di ‘un’area di parcheggio esterna con carrelli funzionali all’attività di vendita’, pari a 3,41 mq, in assenza della necessaria concessione di occupazione del suolo pubblico.
In punto di fatto, si rileva che sullo spazio in questione, di 3,41 mq, è stata collocata una pensilina ancorata al suolo, sotto la quale sono posizionati i carrelli utilizzabili dai clienti dell’esercizio commerciale.
Evidentemente, poiché per ragioni di sicurezza i carrelli non possono essere liberamente collocati nell’area complessivamente destinata al parcheggio e al conseguente transito dei veicoli, la società ha inteso individuare un’area determinata ove i clienti possano agevolmente munirsi di essi.
Ciò posto, il Collegio ritiene che effettivamente l’area in questione si debba intendere destinata a parcheggio, al servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad patriam.
La dicatio ad patriam può conseguire o ad un atto volontario del proprietario, oppure ad una ‘scelta imposta’.
La ‘scelta libera’ si ha quando il proprietario, per munificenza o per altre ragioni (ad es. di culto o di ostentazione), consente alla collettività locale di utilizzare un suo bene, sia pure in orari o in giorni limitati: si pensi al proprietario di un bene monumentale, che consenta alla collettività locale di accedere periodicamente alla propria chiesa, per le attività di culto.
La ‘scelta imposta’ si ha tipicamente nel diritto urbanistico, allorquando –per il soddisfacimento degli standard– il titolare di un titolo edilizio può costruire un proprio bene, purché realizzi spazi destinati al transito o al parcheggio.
Tali spazi –anche se non diventano di proprietà pubblica– di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo privatistico e comunque non possono avere una destinazione diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la realizzazione del bene principale.
Pertanto, quando il titolo edilizio consente la realizzazione di una struttura di vendita e prevede la destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero deve mantenere siffatta destinazione: il numero di posti auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere ridotto, in conseguenza di attività che in linea di principio sarebbero libere estrinsecazioni delle facoltà dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati a parcheggio.
A volte, alla ‘scelta imposta’ di destinare spazi a parcheggio si può aggiungere anche una ‘scelta libera’, che pur sempre necessita del relativo titolo edilizio, dal momento che l’alterazione delle aree per creare un parcheggio richiede sempre il titolo edilizio.
Tali considerazioni riguardano anche i casi in cui sia stato realizzato un esercizio commerciale, dotato di parcheggi in applicazione delle regole sugli standard.
Il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono assoggettati ad una servitù di diritto pubblico.
Contrariamente a quanto ha dedotto la ricorrente, è irrilevante la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in questione) di evitare la continuativa utilizzazione del parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di chiusura dell’esercizio commerciale.
Come si è sopra rilevato, mediante la dicatio ad patriam si consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre che vi sia la continuatività dell’utilizzo.
---------------

... per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
   - della determinazione dirigenziale n. prot. CO/160971/2018 del 19.10.2018, notificata in data 23.11.2018 (n. rep. CO/2204/2018), mediante la quale la U.O. Amministrativa e Affari Generali del Municipio Roma X di Roma Capitale, ha stabilito: “… di disporre nei confronti della Gr.Sd. S.r.l.
   1) Il ripristino dello stato dei luoghi ovvero l'immediata rimozione dell'occupazione abusiva, di cui al verbale n. 14-38102 del 12.04.2018, elevato nei suoi confronti dagli operatori di Polizia Locale X Gruppo Mare in Via ... 216, e comunque di ogni tassabile non autorizzato, a sua cura e spese;
   2) la sospensione per tre giorni dell'attività commerciale sita in Via ... 16/30, a decorrere dal decimo giorno dalla data di notifica della presente determinazione dirigenziale, come previsto dal combinato disposto dall'art. 6 della Legge 25.03.1997 n. 77 e dall'art, 14, commi 5 e 6, della D.A.C. 39/2014, e comunque fino al completo ripristino di cui al punto 1)
.”;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti proposti dalla Gruppo Sda S.r.l. il 30.07.2019:
   - del Verbale di sopralluogo prot. n. VO/2019/34975 del 30.04.2019 del Corpo di Polizia di Roma Capitale, X Gruppo mare, conosciuto dalla ricorrente società mediante deposito telematico avversario, effettuato in corso di giudizio, in data 29.05.2019, dal seguente tenore letterale: “L'anno duemila 19 e questo di 30 del mese di APRILE a ore 2° turno, noi sottoscritti IIPL GA.Si. e MO.An. a seguito della richiesta come da oggetto riferiscono di seguito:
i carrelli sono inseriti all'interno di una struttura metallica adeguata a creare un recinto di contenimento degli stessi.
Aperta da un lato al fine di mettere a disposizione della clientela l'uso dei carrelli la struttura è inserita in un'area prospiciente la carreggiata, tale da essere un proseguimento della stessa dove sono inseriti i parcheggi del negozio, segnalati da un apposito cartello.
È bene precisare che l'area in questione non risulta essere chiusa totalmente, tale da poter evitare l'uso della struttura, sebbene si presuma che i carrelli vengono portati all'interno dell'attività commerciale in orario di chiusura.
Una delimitazione dell'area ma solo in modo visivo è effettuata con parapedonali nel corridoio antistante l'attività, la struttura suindicata è comunque esterna.
Si rimette il tutto a chi di dovere per il più a praticarsi
.”;
   - della documentazione fotografica, anch'essa conosciuta dalla ricorrente società a seguito di deposito telematico avversario, effettuato in data 29.05.2019;
   - della nota di trasmissione prot. CO20190081705 del 20.05.2019 della U.O. Amministrativa, a firma del Direttore Ni. De Be., anch'essa conosciuta dalla ricorrente società mediante depositato telematico avversario, effettuato il 29.05.2019;
   - nonché di tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenziali, ancorché non conosciuti o resi noti.
...
1. La società odierna ricorrente gestisce un esercizio commerciale di medie dimensioni in Roma, alla via Salorno.
A seguito di sopralluoghi effettuati in data 12.04.2018 e 01.10.2018, la polizia urbana ha accertato che la società ha occupato ‘un’area di parcheggio esterna con carrelli funzionali all’attività di vendita’, pari a 3,41 mq, in assenza della necessaria concessione di occupazione del suolo pubblico.
2. Con il provvedimento n. 160971 del 19.10.2018, Roma Capitale ha ordinato alla società il ripristino dello stato dei luoghi con la rimozione delle opere abusive, nonché la sospensione per tre giorni dell’attività commerciale.
3. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società ha impugnato il provvedimento di data 19.10.2018, nonché il verbale di sopralluogo di data 12.04.2018, proponendo tre motivi di censura.
Nel dedurre che gli spazi oggetto delle contestazioni sono destinati alla sosta di carrelli dotati di ruote e necessari per gli acquisti, la società col primo motivo ha lamentato la violazione della normativa sulle concessioni di suolo pubblico (OSP) e sul canone (COSAP) e in particolare degli articoli 14 e 14-bis del regolamento comunale, nonché la violazione della legge n. 241 del 1990 e vari profili di eccesso di potere.
La società ha in particolare dedotto che la normativa regolamentare in questione non si applicherebbe, poiché ella detiene a titolo di affitto le aree destinate a parcheggio, che risultano di proprietà privata e non risultano transitabili nelle ore in cui l’esercizio commerciale è chiuso.
Inoltre, la presenza dei carrelli mobili, dotati di ruote, impedirebbe di ravvisare una vera e propria occupazione di suolo.
Con il secondo motivo, la società ha lamentato la violazione delle norme regolamentari sotto altri profili, poiché l’Amministrazione avrebbe erroneamente ravvisato una destinazione dell’area ad uso pubblico, che non sarebbe configurabile neanche sulla base di una dicatio ad patriam.
Nella specie, non vi sarebbe mai stato il necessario animus dicandi ad patriam, ossia l’intenzione di asservire il bene all’uso pubblico, come si desume dal fatto che negli orari di chiusura dell’esercizio commerciale non si può accedere all’area, per di più munita di una sbarra di delimitazione della proprietà privata.
Inoltre, solo agendo innanzi al giudice civile Roma Capitale potrebbe far accertare la sussistenza di una servitù conseguente alla dicatio ad patriam.
Con il terzo motivo, la società ha dedotto la sussistenza di vari profili di eccesso di potere per travisamento dei fatti, assenza di istruttoria, carenza di motivazione e violazione del principio di legalità, poiché non sussisterebbero i presupposti per l’emanazione dell’atto impugnato.
...
6. Ritiene il Collegio che le censure della società, articolate in tre motivi, vadano decise congiuntamente, per la loro stretta connessione.
Infatti, tutti i motivi si basano su analoghe considerazioni, per le quali il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, poiché l’area destinata a parcheggio, su cui sono stati posizionati i carrelli, potrebbe essere utilizzata liberamente, in quanto risulta di proprietà privata, sicché l’Amministrazione avrebbe esercitato il proprio potere repressivo in assenza dei relativi presupposti.
7. Le censure formulate vanno respinte, perché infondate.
In punto di fatto, rileva il Collegio che sullo spazio in questione, di 3,41 mq, è stata collocata una pensilina ancorata al suolo, sotto la quale sono posizionati i carrelli utilizzabili dai clienti dell’esercizio commerciale.
Evidentemente, poiché per ragioni di sicurezza i carrelli non possono essere liberamente collocati nell’area complessivamente destinata al parcheggio e al conseguente transito dei veicoli, la società ha inteso individuare un’area determinata ove i clienti possano agevolmente munirsi di essi.
Tale circostanza risulta con chiarezza dai verbali di sopralluogo, oltre che dalla relazione depositata dall’Amministrazione.
Ciò posto, il Collegio ritiene che effettivamente l’area in questione si debba intendere destinata a parcheggio, al servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad patriam.
La dicatio ad patriam può conseguire o ad un atto volontario del proprietario, oppure ad una ‘scelta imposta’.
La ‘scelta libera’ si ha quando il proprietario, per munificenza o per altre ragioni (ad es. di culto o di ostentazione), consente alla collettività locale di utilizzare un suo bene, sia pure in orari o in giorni limitati: si pensi al proprietario di un bene monumentale, che consenta alla collettività locale di accedere periodicamente alla propria chiesa, per le attività di culto.
La ‘scelta imposta’ si ha tipicamente nel diritto urbanistico, allorquando –per il soddisfacimento degli standard– il titolare di un titolo edilizio può costruire un proprio bene, purché realizzi spazi destinati al transito o al parcheggio.
Tali spazi –anche se non diventano di proprietà pubblica– di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo privatistico e comunque non possono avere una destinazione diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la realizzazione del bene principale.
Pertanto, quando il titolo edilizio consente la realizzazione di una struttura di vendita e prevede la destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero deve mantenere siffatta destinazione: il numero di posti auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere ridotto, in conseguenza di attività che in linea di principio sarebbero libere estrinsecazioni delle facoltà dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati a parcheggio.
A volte, alla ‘scelta imposta’ di destinare spazi a parcheggio si può aggiungere anche una ‘scelta libera’, che pur sempre necessita del relativo titolo edilizio, dal momento che l’alterazione delle aree per creare un parcheggio richiede sempre il titolo edilizio.
Tali considerazioni riguardano anche i casi in cui sia stato realizzato un esercizio commerciale, dotato di parcheggi in applicazione delle regole sugli standard.
Il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono assoggettati ad una servitù di diritto pubblico.
Contrariamente a quanto ha dedotto la società, è irrilevante la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in questione) di evitare la continuativa utilizzazione del parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di chiusura dell’esercizio commerciale.
Come si è sopra rilevato, mediante la dicatio ad patriam si consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre che vi sia la continuatività dell’utilizzo.
Quanto alla deduzione secondo cui Roma Capitale non avrebbe potuto emanare l’atto repressivo dell’attività impeditiva del parcheggio, va osservato che l’Amministrazione è titolare del potere di consentire la prosecuzione dell’uso pubblico: è, al contrario, il proprietario o il locatario ad essere legittimato –avendovi interesse– ad agire innanzi al giudice civile, per far accertare l’insussistenza della servitù di pubblico passaggio.
Vanno respinte anche le censure secondo cui sarebbero state violate le regole sulla partecipazione e non vi sarebbe stata un’adeguata motivazione dell’atto impugnato.
Dalle stesse deduzioni della società ricorrente e anche dalla documentazione depositata da Roma Capitale, si desume che la stessa società ha avuto modo di partecipare ripetutamente nel corso del procedimento e di rappresentare le proprie deduzioni.
8. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto, perché infondato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 23.08.2023 n. 13400 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: L'accertamento giurisdizionale dell'effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono compete all'autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; mentre, il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusivamente per una cognizione incidentale sulla questione, ai sensi dell' art. 8 c.p.a ., senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione dirigenziale che forma specifico oggetto di ricorso.
In ordine alla ricorrenza dell’istituto della dicatio ad patriam e all’esistenza di una servitù di uso pubblico la giurisprudenza amministrativa osserva che:
   - “L'istituto della dicatio ad patriam è notoriamente costituito dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione”;
   - “Può essere definita giuridicamente strada anche un'area di proprietà privata ove essa sia asservita all'uso pubblico. Quest'ultimo, però, non può essere meramente affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova, oltre che dell'intrinseca idoneità del bene, dell'uso continuo e pubblico ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam, costituita dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico — ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione”;
“Laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento”.
Dal canto suo, la giurisprudenza del Giudice ordinario afferma che:
   - “Qualora il proprietario di un fondo abbia apposto, volontariamente e con carattere di continuità, una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola all’uso pedonale e carrabile, si verificherà un’ipotesi di “dicatio ad patiram” e non, piuttosto, un’occupazione usurpativa.
Infatti, mancando un provvedimento amministrativo che riveli l'intenzione della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, vengono meno i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica tipici dell’occupazione usurpativa.
Viceversa, la "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dare vita a tale diritto, mette volontariamente e con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al relativo uso”.
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... per l'annullamento DELL’ORDINANZA CONTINGIBILE ED URGENTE N. -OMISSIS-, AVENTE PER OGGETTO RIMOZIONE CATENA E RIPRISTINO PASSAGGIO PUBBLICO SU STRADA ESISTENTE.
...
9- Il ricorso è fondato.
...
11- Nella fattispecie, analizzando il provvedimento impugnato risulta che in esso il Sindaco:
   -) premette il richiamo al verbale della Polizia Municipale del 05.07.2021 da cui emerge che la stradella in questione è stata chiusa a mezzo installazione di paletti con catena;
   -) rileva che la stradella in questione è stata da sempre pacificamente aperta al pubblico transito e passaggio, pedonale e carrabile, e così è stata usata dalla collettività per accedere al mare;
   -) rileva che ai fini dell’esistenza di un uso pubblico di una strada privata è necessario che la strada sia concretamente idonea a soddisfare, anche in virtù del semplice collegamento con la pubblica via, esigenze di interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale;
   -) riscontra che l’esistenza di tale tipo di servitù è sorretta dalla sussistenza di un diritto di uso pubblico che si identifica nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile e che i proprietari del tratto di strada hanno da sempre consentito di mettere l’area privata a disposizione della comunità indeterminata dei cittadini, per soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, da cui si ritiene che sulla stradella in questione è stata istituita una servitù di uso pubblico tramite la c.d. dicatio ad patriam;
   -) previo richiamo della giurisprudenza a supporto di ciò, ritiene che la condotta posta in essere dai proprietari delle abitazioni latistanti la stradella risulta per quanto sopra illegittima ed arbitraria, creando una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio, per cui si impone l’adozione del provvedimento contingibile e urgente;
   -) ritiene di adottare il suddetto provvedimento con la massima urgenza stante la stagione estiva ed essendo, dunque, necessario ripristinare prontamente l’accesso al mare con celerità e senza indugio alcuno, al fine di garantire la libertà del pubblico uso del mare e per impedire i disordini conseguenti alla mancanza dell’essenziale collegamento tra la pubblica via e la spiaggia pubblica ed in particolare garantire una via di fuga in caso di calamità naturali (maremoto, terremoto, etc.) a tutela della pubblica incolumità;
   -) ordina pertanto ai proprietari dei fondi latistanti, tra cui l’odierna ricorrente, l’immediata rimozione dei paletti con catena a chiusura della stradella in premessa e di qualsivoglia ostacolo posto in essere che pregiudichi il libero e naturale transito, con avvertenza che, in caso di inottemperanza entro 5 giorni, si provvederà in danno senza ulteriore preavviso.
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13- Vengono quindi esaminate congiuntamente, in quanto tra loro interconnesse, le censure sub I.1 e I.2.
13.1- Esse sono fondate nei termini di seguito esposti.
13.2- Si premette anzitutto che “L'accertamento giurisdizionale dell'effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio sulla quale le parti si dividono compete all'autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; mentre, il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusivamente per una cognizione incidentale sulla questione, ai sensi dell' art. 8 c.p.a ., senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione dirigenziale che forma specifico oggetto di ricorso” (TAR Toscana, Sez. II, 21.10.2021, n. 1357).
In ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dell’istituto della dicatio ad patriam e all’esistenza di una servitù di uso pubblico la giurisprudenza amministrativa osserva che:
   - “L'istituto della dicatio ad patriam è notoriamente costituito dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene medesimo a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 12.07.2016, n. 7967);
   - “Può essere definita giuridicamente strada anche un'area di proprietà privata ove essa sia asservita all'uso pubblico. Quest'ultimo, però, non può essere meramente affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova, oltre che dell'intrinseca idoneità del bene, dell'uso continuo e pubblico ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam, costituita dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente e in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico — ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione” (TRGA, Trento, Sez. I, 21.11.2012, n. 341);
Laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato, quali un provvedimento amministrativo, una convenzione fra proprietario ed Amministrazione o un testamento” (TAR Puglia, Bari, Sez. III, 04.12.2020, n. 1570).
Dal canto suo, la giurisprudenza del Giudice ordinario afferma che “Qualora il proprietario di un fondo abbia apposto, volontariamente e con carattere di continuità, una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola all’uso pedonale e carrabile, si verificherà un’ipotesi di “dicatio ad patiram” e non, piuttosto, un’occupazione usurpativa. Infatti, mancando un provvedimento amministrativo che riveli l'intenzione della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, vengono meno i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica tipici dell’occupazione usurpativa. Viceversa, la "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dare vita a tale diritto, mette volontariamente e con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al relativo uso” (Tribunale Lecce sez. I, 05/11/2019, n. 3392).
13.3- Nel caso controverso e con i precitati limiti cognitori, dal provvedimento impugnato non emerge con adeguata chiarezza la sussistenza del suddetto presupposto –ossia della sussistenza di un diritto d’uso da parte della collettività– sulla stradella in questione, circostanza, questa, meramente affermata e non anche adeguatamente allegata e che, pertanto, si ripercuotono sulla censurabilità del provvedimento impugnato, che appunto si regge sulla sussistenza di un diritto d’uso collettivo insistente sulla stradella in questione.
13.4- Peraltro, anche le stesse allegazioni difensive dell’Amministrazione comunale finiscono, a ben vedere, per corroborare le criticità ora rilevate.
In particolare, la richiesta del Sindaco illo tempore all’odierna ricorrente del 18.11.2004 nella quale, rilevata l’esistenza della stradina in relazione alla quale ha prospettato di richiedere ai proprietari l’uso fin quando il Comune non avrebbe provveduto a realizzare un accesso al mare per uso pubblico e il riscontro della ricorrente datato 19.11.2004, con il quale viene consentito il passaggio sulla stradella precariamente fino alla costruzione della strada da realizzare in altro sito nel più breve tempo possibile, stridono con l’assunto del Comune, su cui si basa il provvedimento impugnato, dell’intervenuta dicatio ad patriam della stradella medesima.
La suddetta conclusione, per il vero e sempre con i precitati limiti cognitori, non può essere smentita dal rilievo, contenuto nella richiesta medesima (e non espressamente smentito dalla ricorrente) circa il fatto che su tale stradella si eserciti l’uso della collettività cittadina. Difatti, nel contesto in cui è formulata l’istanza il menzionato uso potrebbe ben consistere un un’utilizzazione da parte della collettività meramente tollerata dai proprietari ma non anche collegata a specifiche situazioni giuridiche soggettive.
Tale circostanza, per un verso, darebbe significato alla richiesta da parte del Comune (che non si giustificherebbe laddove fosse intervenuta una vera e propria dicatio ad patriam) e, per altro verso, fa venir meno il requisito della non inequivocità della messa a disposizione della strada in favore della collettività, costituente presupposto della dicatio giusta giurisprudenza precedentemente richiamata.
13.5- In sostanza, l’aver il Comune apoditticamente presupposto la sussistenza di un diritto d’uso pur in presenza delle suddette criticità rende pertanto il provvedimento censurabile (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 25.07.2022 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAStrada privata con servitù pubblica, il Comune ha ragione a bloccare la Scia. Il Consiglio di Stato ripercorre i poteri e i compiti dell'ente nel confronto con i privati.
Quali poteri ha il Comune nel caso di presentazione di una Scia tendente a realizzare interventi edilizi tali da incidere su di un bene gravato da servitù prediale pubblica? Prevale l'iniziativa del privato, o la salvaguardia della servitù?

A dirimere il conflitto pubblico/privato, provvede il Consiglio di Stato, Sez. IV, attraverso la sentenza 10.05.2022 n. 3618.
Il caso
Con Scia regolarmente depositata, i privati segnalavano al Comune l'intenzione di restringere la viabilità di una strada mediante installazione di una barra manuale, e affermavano che la strada in questione fosse di loro esclusiva proprietà, nonché libera da servitù, pesi, o altri vincoli. Il Comune contestava la legittimazione dei privati alla realizzazione dell'opera, opponendo loro che la strada fosse in realtà adibita al pubblico uso.
Pertanto, l'amministrazione emetteva ordine di inibizione alla Scia. 
Avverso il provvedimento dell'ente, veniva spiegato formale ricorso al Tar Calabria - Sezione di Catanzaro, ed il Tribunale riconosceva le ragioni dei privati. Difatti, secondo i giudici di primo grado, l'illegittimità del provvedimento adottato dall'ente dipendeva dalla circostanza che gli elementi costitutivi della servitù di uso pubblico non risultassero evincibili dalla documentazione prodotta in giudizio dall'amministrazione. Il Comune, decideva quindi di ricorrere in appello, investendo della vicenda il Consiglio di Stato.
La disamina di Palazzo Spada
Esaminati i fatti e gli atti di causa, i giudici di Palazzo Spada avviano il proprio ragionamento giuridico partendo dalla norma di cui all'art. 11 del Dpr n. 380/2001, il quale stabilisce che il presentatore di una Scia dovrà necessariamente allegare e dimostrare di essere legittimato alla realizzazione dell'intervento che ne costituisce oggetto.
Da pare sua il Comune ha preliminarmente il potere di accertare se il presentatore sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria. Inoltre, l'ente ha il potere di verificare se il bene immobile sia libero da gravami di varia natura, tra cui le servitù prediali.
Nella vicenda in esame, il Comune ritiene insussistente la legittimazione dei richiedenti; difatti, all'esito di opportune verifiche, l'amministrazione ha ravvisato l'esistenza di una servitù pubblica gravante sulla strada.
L'uso pubblico del bene, è emerso dalle seguenti inequivocabili circostanze:
   • la strada, da diverso tempo, veniva quotidianamente percorsa da una generalità indifferenziata di individui residenti in quella specifica zona del territorio comunale;
   • rappresentava l'unico percorso di accesso alla via pubblica per un insieme di fabbricati serviti dalla suddetta strada, e collocati al di là della zona ove i privati intendevano collocare la sbarra;
   • lungo la carreggiata della strada, risultavano presenti reti ed infrastrutture di molteplici servizi pubblici ed utenze;
   • nel tempo, il Comune si era fatto carico del buono stato di manutenzione della sede stradale, assumendo su di sé anche il consequenziale obbligo della custodia del bene;
   • la strada era stata ricompresa nell'ambito di una serie di beni da cedere al Comune nell'ambito dell'attuazione di un piano di lottizzazione.
Ad avviso del Consiglio di Stato, il Comune ha svolto un'istruttoria completa, esaustiva, e non contraddittoria, ponendo altresì a fondamento dei suoi provvedimenti motivazioni adeguate e ben argomentate e dirime la controversia pubblico/privato facendo prevalere il potere del Comune a salvaguardare un'accertata servitù pubblica
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 14.06.2022).
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SENTENZA
7.6.2. Ai sensi dell’art. 11 d.P.R. n. 380/2001 “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.”.
7.6.3. La norma è ritenuta applicabile al presentatore di una segnalazione certificata di inizio attività: colui che, nella veste di proprietario o avente la materiale disponibilità del bene, richieda un titolo edilizio dovrà, dunque, necessariamente allegare e dimostrare di essere legittimato alla realizzazione dell’intervento che ne costituisce oggetto e il Comune conserverà il potere di verificare la legittimazione del richiedente e accerterà se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.6.4. Nel caso di specie, contrariamente a quanto rilevato dal Tar in primo grado, non si contesta alla parte appellata la titolarità del diritto di proprietà dell’area, ma che esso (e, conseguentemente, il bene oggetto di quel diritto reale) sia libero da pesi o vincoli, che risultino ostativi rispetto al tipo di intervento che si intende realizzare, in ragione di una serie di elementi che sono stati enunciati nel provvedimento e compiutamente ribaditi nel processo.
7.6.5. Il Comune di -OMISSIS- ha dunque ritenuto l’insussistenza della libertà del fondo, ravvisando la sussistenza di un uso pubblico della strada in ragione:
   a) della sua percorrenza, protrattosi nel tempo, da parte di una generalità indifferenziata di individui residenti in quella specifica zona del territorio comunale;
   b) del suo essere l’unico percorso di accesso alla “via pubblica”, per un insieme di fabbricati, serviti dalla suddetta strada e collocati al di là della zona dove si intende collocare la sbarra;
   c) della presenza, lungo la carreggiata della strada, della rete e delle infrastrutture di molteplici servizi pubblici e utenze;
   d) dell’avvenuta cura, nel tempo, del buono stato di manutenzione della sede stradale da parte del Comune (che si è, dunque, perciò assunto l’obbligo della custodia del bene);
   e) dell’essere stata ricompresa nell’ambito di una serie di beni da cedere al Comune, nell’ambito dell’attuazione di un piano di lottizzazione (e risulta irrilevante, in questo giudizio, se la cessione sia avvenuta o meno, e se essa sia ancora possibile, in quanto ciò che rileva è la presenza di un ulteriore indizio a conferma che la strada, finanche erroneamente, possa essere stata destinata al pubblico uso, in quanto così era previsto in base al suddetto piano di lottizzazione e alla relativa convenzione).
7.6.6. Ciò che rileva, dunque, ai fini del giudizio di legittimità del provvedimento impugnato, oggetto di scrutinio da parte di questo Consiglio, è il compimento di un’istruttoria completa, esaustiva e non contraddittoria, e di una motivazione che ne dia compiutamente e congruamente conto.
7.7. Quanto poi all’ammissibilità di una cognizione di questo Consiglio sulla sussistenza o meno di un “uso pubblico” sulla suddetta strada, va ribadito che il giudice amministrativo può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada privata -eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam- allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale e rientrante nella sua giurisdizione (Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.7.1. Nel caso in esame, la questione della sussistenza o meno di un uso pubblico viene in rilievo limitatamente ai profili relativi alla legittimazione alla presentazione del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 11 d.P.R. n. 380/2001, e solamente a fini ostativi rispetto al consolidarsi degli effetti del titolo edilizio di cui il privato vuole servirsi, per la realizzazione di un’opera che impedisca il transito veicolare su questa strada (circa la sussistenza di un potere di accertamento incidentale, cfr. anche Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.7.2. Rientra, parimenti, nella giurisdizione di questo Consiglio lo scrutinio della legittimità di un ordine di inibizione dei lavori indicati in una s.c.i.a..
7.7.3. La cognizione qui espletata non concerne, dunque, l’accertamento in via principale circa l’effettiva sussistenza del diritto in questione, la cui competenza giurisdizionale è, del resto, demandata al giudice ordinario (Cons. Stato, -OMISSIS-).
7.8. In definitiva, dunque, l’appello va accolto e il provvedimento impugnato dichiarato legittimo, e, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, pronunciata in forma semplificata, il ricorso introduttivo del giudizio va respinto, salve, ovviamente, le eventuali domande che le parti riterranno di proporre in sede civile.

EDILIZIA PRIVATA: In via preliminare, va ribadita la giurisdizione di questo consesso.
Invero la controversia non attiene in via principale all’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di una strada o dell’esistenza di un uso pubblico su di una strada privata, che, per involvere posizioni di diritto soggettivo, è rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario, ma ha ad oggetto, più semplicemente, le ordinanze di regolazione della circolazione veicolare sulla strada che conduce al sito gestito dal ricorrente.
Come tale il rimedio è pienamente esperibile.

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Premesso:
   con il ricorso straordinario di cui in epigrafe, An.Or., dopo aver premesso di essere proprietario di un campeggio ubicato nel Comune di La Maddalena, Località Abbatoggia, affidato in gestione alla società Ab.Vi., nonché della strada sterrata, lunga circa un chilometro, che dalla strada provinciale conduce sia al campeggio che alla vicina spiaggia, rappresentava che, per sopperire agli intralci causati dalle auto parcheggiate, aveva posizionato all’ingresso del campeggio una sbarra di ferro, sotto la custodia di un addetto; dalle 7 alle 17,30 di ogni giorno, quest’ultimo consentiva unicamente il transito delle automobili, ma non la loro sosta, resa possibile nel parcheggio del campeggio ai soli utenti dei relativi servizi.
Tanto premesso, l’Or. affida il ricorso a plurimi motivi coi quali contesta l’esercizio del potere di autotutela possessoria in strada privata per la mancanza dei requisiti che consentono l’assoggettamento della strada privata ad uso pubblico (titolo idoneo costitutivo della servitù; passaggio non occasionale e generalizzato da parte di una collettività di persone; idoneità a soddisfare l’interesse pubblico connesso alla regolare viabilità generale).
Né l’uso pubblico –a dire del ricorrente- potrebbe essere dimostrato invocando l’ordinanza della Polizia Locale n. 40/2014, parimenti impugnata, con cui era stato istituito il divieto di sosta su ambo i lati, dal momento che i provvedimenti in materia di viabilità sono di competenza del Sindaco e non della Polizia Locale in base all’art. 7 del Codice della strada.
L’ordinanza sarebbe illegittima, sia perché dà per presupposta una situazione di “ingente afflusso di veicoli e di intasamenti” asseritamente provocati dalla presenza della sbarra, non veritiera perché essa svolge l’opposta funzione di far rispettare il divieto di sosta, sia perché emessa in violazione del principio di proporzionalità.
Quanto all’ordine di rimozione dei massi, il ricorrente lo ritiene viziato per i medesimi motivi, oltre che per essere diretto a lui che non è responsabile del loro posizionamento, lamentando eccesso di potere sotto vari profili sintomatici e difetto di motivazione.
Lo stesso ricorrente riferisce che la sbarra è stata rimossa dalla polizia locale, ma che, comunque, permane il suo interesse alla decisione sia per non dover sostenere le spese di rimozione, sia per poterla ricollocare eventualmente in futuro.
L’Amministrazione riferente, senza affrontare il merito del ricorso, ne sostiene pregiudizialmente l’inammissibilità, sul rilievo che la controversia riguarderebbe l’accertamento dell’esistenza di un vincolo pubblico sulla strada sterrata, materia concernente diritti soggettivi devoluta al giudice ordinario.
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Considerato:
   in via preliminare, sull’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dall’amministrazione intimata, come già ritenuto in sede cautelare, va ribadita la giurisdizione di questo consesso. Invero la controversia non attiene in via principale all’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di una strada o dell’esistenza di un uso pubblico su di una strada privata, che, per involvere posizioni di diritto soggettivo, è rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario, ma ha ad oggetto, più semplicemente, le ordinanze di regolazione della circolazione veicolare sulla strada in località Abbatoggia che conduce al sito gestito dal ricorrente; come tale il rimedio è pienamente esperibile (cfr. Cass. SS.UU., 23.12.2016, n. 26897).
Invero, l’esistenza della servitù pubblica sulla strada rileva solo incidenter tantum ai fini della valutazione degli atti impugnati, con la conseguenza che la natura privata o pubblica della strada può essere conosciuta in via incidentale, con efficacia limitata al giudizio, come elemento rilevante ai fini di accertare la legittimità del provvedimento impugnato che impone la regolamentazione della strada stessa, rispetto al quale la posizione lesa ha la consistenza di interesse legittimo (Cons. St. Sez. I, 31.12.2020, n. 2193; Sez. V, 11.03.2020, n. 1743; Sez. V, 16.10.2017, n. 4791).
Sempre in via preliminare, va rilevata l’intempestività del ricorso in relazione alla richiesta di annullamento del rapporto di violazione edilizia all’ordinanza n. 40 del 15.10.2014 a firma del responsabile del Corpo di Polizia Locale del Comune di La Maddalena.
Sul punto si esprime, pertanto, il parere che il ricorso debba essere dichiarato parzialmente irricevibile, risultando tardivamente proposto nella parte in cui viene impugnato il sopra indicato provvedimento.
7. Con riferimento, invece, all’impugnazione dell’ordinanza n. 24 del 16.08.2018 con la quale l’ente locale –sul presupposto dell’esistenza di un diritto di uso pubblico del terreno- ha disposto la rimozione della sbarra mobile che regolava l’accesso sulla strada in proprietà del ricorrente, e dei massi ivi esistenti, è dirimente la Relazione che il Ministero riferente ha spedito a questo Collegio, a seguito del disposto supplemento di istruttoria.
7.1. Invero, quel documento contiene delle condivisibili osservazioni in merito a come, nel caso di specie, vada ripartito l’onere di provare l’esistenza di un uso pubblico asseritamente insistente sul viale di cui si discute, partendo dal presupposto, incontestato, che trattasi di bene in proprietà del ricorrente.
Non vi è dubbio che detto onere incomba (ed incombesse) sull’amministrazione intimata, che ha dato per presupposto l’esistenza di tale uso in tutti i provvedimenti impugnati.
A ciò aggiungasi che quel sentiero non risulta ricompreso nell’elenco delle strade vicinali di cui all’art. 7 L. n. 126 del 1958 e, dunque, che non ricorre la presunzione di uso pubblico, che non può essere desunta sulla sola base di fatti concludenti.
In presenza dei tre elementi di prova indicati (e cioè: proprietà del ricorrente, mancata inclusione nell’elenco delle strade vicinali e non operatività della relativa presunzione), sarebbe stato dunque necessario, da parte di chi ne affermava l’esistenza (ossia l’amministrazione comunale) allegare un titolo idoneo a suffragare l’esistenza di un diritto di uso pubblico (a puro titolo esemplificativo, un atto pubblico di costituzione del vincolo, o la prova di un’usucapione ventennale maturata a vantaggio della collettività locale di riferimento).
Poiché tanto non risulta acquisito in atti, ciò depotenzia significativamente la posizione della resistente.
7.2. A viepiù supportare le doglianze della parte ricorrente si aggiunge la constatazione che il provvedimento impugnato non risulta essere stato preceduto da un’indagine diretta a comprovare l’asserita destinazione pubblica, de facto, della via.
Per di più la (scarna) istruttoria non ha consentito neanche di smentire quanto affermato da Or., che consentiva l’accesso al viale per una sua libera ed autonoma scelta, dalle 7,30 alle 17,30 di ogni giorno, così inequivocabilmente dimostrando chi fosse l’unico utente e gestore diretto dell’accesso.
7.3. Infine, vanno esaminati, e confutati, gli ulteriori due elementi, che, secondo il Comune, dimostrerebbero l’esistenza dell’uso pubblico.
7.3.1. Quanto al primo, detta destinazione dovrebbe ricavarsi dalla presenza sul sentiero di cavi elettrici e telefonici con relativa connessione su pali di appoggio. Tale deduzione non presenta però alcuna capacità dimostrativa nel senso preteso dall’intimato. Invero, i cavi elettrici e telefonici, ed eventualmente gli stessi pali di appoggio, lungi dal dimostrare un possesso/uso pubblico del sentiero, integrano, a tutto voler concedere, una servitù coattiva pubblica, diversa, per presupposti ed effetti, dalla destinazione dell’area ad un uso pubblico.
7.3.2. Quanto al provvedimento con cui si è disposto il divieto di sosta nel lontano 2014, il n. 40 del 15.10.2014, il secondo dei due elementi che secondo il Comune de “La Maddalena” sarebbe idoneo a suffragare l’esistenza di un uso pubblico sul sito, non ha un’efficacia probatoria così estesa. Esso dimostra infatti solo che l’area non era asservita a parcheggio pubblico, e nulla di più.
7.3.3. Ad ulteriore conforto della fondatezza dei motivi di ricorso, ancora una volta riprendendo le giuste considerazioni articolate dal Ministero riferente, va osservato che il Comune giammai ha dedotto né allegato di avere eseguito interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria, sull’area, ed anzi non ha contro obiettato alle ripetute affermazioni del ricorrente di avere sempre eseguito a sue spese la manutenzione del terreno.
7.3.4. Non da ultimo va osservato che neppure le dimensioni della strada si presentano particolarmente adatte a consentirne un uso pubblico. Si tratta, infatti, di un sentiero, particolarmente stretto, dove, almeno per lunghi periodi, è stata tollerata la sosta su entrambi i lati della carreggiata, con un inevitabile effetto di ulteriore restringimento che rendeva quanto meno scarsamente praticabile, se non addirittura impossibile, la asserita destinazione pubblica.
8. Tutte le considerazioni che precedono inducono ad esprimere un parere nel senso di: dichiarare il ricorso, in parte inammissibile per intempestività dell’impugnazione con riferimento al provvedimento n. 40 del 15.10.del 2014; di accogliere per l’altra parte il ricorso e, per l’effetto, disporre l’annullamento della delibera di autotutela possessoria del 16.08.2018, n. 24 (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 04.02.2022 n. 228  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATAIl risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di interesse generale e vengano utilizzate abitualmente dalla generalità dei cittadini. Il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) può anche essere di proprietà privata mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché una servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
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Le strade vicinali private si connotano come assoggettate ad un diritto demaniale non di natura esclusivamente dominicale ma connotato prevalentemente da scopi funzionali. Una delle principali funzioni delle strade vicinali è la concreta idoneità a soddisfare anche esigenze di collegamento con la via pubblica, che assume carattere di generale interesse.
Da ciò (oltre che in applicazione dei principi di diritto comune dell’accessorietà dei diritti d’uso e delle servitù prediali) deriva che laddove una strada vicinale muti parzialmente (anche ad opera dell’intervento umano) il proprio tracciato (come, nel caso di specie, l’accesso ed un primo tratto iniziale) ciò non implica di per sé che il nuovo tratto non partecipi della funzione demaniale del bene, in presenza delle medesime caratteristiche funzionali del preesistente (nel caso di specie il collegamento della porzione più a monte della strada con la pubblica via).
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Solitamente l’onere di fornire prova della vocazione pubblicistica spetta agli enti che rivendicano la natura demaniale dell’uso della strada. Nel caso di specie però tale onere della prova è invertito a causa della iscrizione della strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico di cui alla delibera C.C. n. 12/1966.
Per giurisprudenza costante, infatti, tale classificazione non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste funzioni dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività.
La giurisprudenza, peraltro, in presenza di tali presunzioni richiede altresì una chiara manifestazione di volontà dell’ente locale volta alla dismissione del diritto demaniale.
   - “La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada”.
   - “La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà di esso, anche implicita; pertanto, se i terreni oggetto di retratto agrario sono separati da quelli del retraente da una strada interpoderale, per ritenerli confinanti (art. 7 l. 14.08.1971 n. 817) non è sufficiente la mancanza dell'uso ventennale di passaggio su di essa da parte della collettività”.
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Il Collegio rileva che vada ribadita la natura vicinale della strada di cui si controverte.
Il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di interesse generale e vengano utilizzate abitualmente dalla generalità dei cittadini. Il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) può anche essere di proprietà privata mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché una servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (cfr. Sez. V, 14/02/2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15/05/2012, n. 2760; Sez. V, 5/12/2012, n. 6242).
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Nel caso di specie è pacifica la natura vicinale del tratto di strada più risalente facente parte del tratto originario collocato a monte della porzione di strada su cui sorge il manufatto oggetto dell’ordinanza. Ciò implica che anche la porzione di tracciato che ha sostituito l’originario accesso alla via pubblica non può che seguirne la natura.
Le strade vicinali private, infatti, si connotano come assoggettate ad un diritto demaniale non di natura esclusivamente dominicale ma connotato prevalentemente da scopi funzionali. Una delle principali funzioni delle strade vicinali è la concreta idoneità a soddisfare anche esigenze di collegamento con la via pubblica, che assume carattere di generale interesse (cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 13/07/2021, n. 760, Cons. Stato 13/07/2020, n. 4489, Cass. Civ. 05/07/2013, n. 16864; TAR Toscana, Sez. III, 11/04/2003, n. 1385; TAR Umbria, 13/06/2006, n. 7; 21/09/2004, n. 545; Cons. di Stato, Sez. IV, n. 1155/2001; Cons. di Stato, Sez. V, n. 5692/2000 Cass. civ., sez. II, 12/07/1991, n. 7718).
Da ciò (oltre che in applicazione dei principi di diritto comune dell’accessorietà dei diritti d’uso e delle servitù prediali) deriva che laddove una strada vicinale muti parzialmente (anche ad opera dell’intervento umano) il proprio tracciato (come, nel caso di specie, l’accesso ed un primo tratto iniziale) ciò non implica di per sé che il nuovo tratto non partecipi della funzione demaniale del bene, in presenza delle medesime caratteristiche funzionali del preesistente (nel caso di specie il collegamento della porzione più a monte della strada con la pubblica via). Il Comune, inoltre, evidenzia, in modo non contestato dal ricorrente, che negli anni ‘90 è stata “realizzata la variante all’ex SS28 Bis con la modifica degli accessi e delle quote stradali ed è stato eliminato anche il potenziale ingresso dalla direttrice principale al vecchio sedime ancora indicato catastalmente, impendendo definitivamente il possibile recupero del vecchio tracciato senza l’esecuzione di un nuovo ponte sul Rio Priletto”.
Solitamente l’onere di fornire prova di tale vocazione pubblicistica spetta agli enti che rivendicano la natura demaniale dell’uso della strada. Nel caso di specie però tale onere della prova è invertito a causa della iscrizione della strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico di cui alla delibera C.C. n. 12/1966. Per giurisprudenza costante, infatti, tale classificazione non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste funzioni dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività (cfr. Cass. civ., sez. II, 24/04/1992, n. 4938).
La giurisprudenza, peraltro, in presenza di tali presunzioni richiede altresì una chiara manifestazione di volontà dell’ente locale volta alla dismissione del diritto demaniale. “La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà anche implicita del medesimo, irrilevante essendo al riguardo che la via sia chiusa da un lato, senza sbocco su altra strada” (Cass. civ. Sez. III, 22/01/2003, n. 915). “La strada interpoderale o vicinale, iscritta negli elenchi comunali, si presume assoggettata al pubblico transito, diritto reale dell'ente esponenziale estinguibile soltanto per volontà di esso, anche implicita; pertanto, se i terreni oggetto di retratto agrario sono separati da quelli del retraente da una strada interpoderale, per ritenerli confinanti (art. 7 l. 14.08.1971 n. 817) non è sufficiente la mancanza dell'uso ventennale di passaggio su di essa da parte della collettività” (Cass. civ. Sez. III, 14/01/1998, n. 265).
Tale presunzione non può che estendersi anche al tratto di strada di cui si controverte, costituendo lo stesso l’attuale naturale collegamento con la viabilità pubblica.
Il Collegio ritiene che gli elementi forniti dal ricorrente non siano sufficienti a costituire la prova contraria di cui parla la citata giurisprudenza. Il fatto che un bene abbia formato oggetto di cessione tra privati non mina l’assoggettamento dello stesso all’uso pubblico (al pari di quanto avviene in presenza di diritti reali di godimento). La semplice presenza di cartelli di divieto di accesso, di opere murarie e recinzioni costruite in violazione delle fasce di rispetto possono al massimo dimostrare la mancata vigilanza da parte del Comune ma non l’estinzione di un diritto d’uso riconosciuto alla collettività.
Ciò non è messo in discussione neanche dal fatto che in una nota a mezzo PEC del 02.10.2020 (cfr. doc. di parte ricorrente depositato il 13.05.2021), nella interlocuzione tra le parti circa l’inserimento del tratto di cui si discute nell’elenco delle strade comunali, il Comune definisca lo stesso strada privata interpoderale, non potendo tale documento qualificare formalmente la chiara e definitiva volontà di un ente di dismettere l’uso pubblico della strada.
Il Comune, peraltro in modo non contestato dal ricorrente, sostiene di aver provveduto negli anni ’70 e ‘80 ad attività di manutenzione ed asfaltatura del tracciato e che comunque l’attuale tracciato serve alla collettività degli utenti per raggiungere la borgata Prato Bierdo posta a monte dell’intera via (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 11.10.2021 n. 900 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento con il quale il sindaco ordina il ripristino del pubblico transito su di una strada vicinale che non sia iscritta nel relativo elenco è impugnabile di fronte al giudice amministrativo, al quale può essere chiesto l'accertamento in via incidentale dell'insussistenza del diritto di uso della collettività.
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Il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di interesse generale e vengono utilizzate abitualmente dalla generalità dei cittadini. Nelle vicinali pubbliche il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) è privato mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Le vicinali pubbliche sono strade di interesse amministrativo sottoposte ad una regolamentazione speciale che trae origine dall’allegato F del R.D. n. 2248/1865 e dal D.L.Lgt. n. 1446/1918 nonché dal Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile. Le strade vicinali ad uso pubblico sono, peraltro, soggette alla vigilanza del Comune, che esercita le attribuzioni previste dagli articoli da 51 a 54 del citato RD n. 2248/1865.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché la servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Le strade vicinali nascono generalmente come strade ad uso privato, destinate cioè a servire alcuni terreni ed abitazioni specifici. Può capitare tuttavia che con il passare del tempo le stesse vengano utilizzate da soggetti terzi divenendo così utili anche alla collettività indistinta, con la conseguenza di evidenziare un interesse di tutti all’uso della strada, cosa che può determinare la nascita di un uso pubblico.
È consolidato inoltre l’orientamento secondo il quale l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico, formato dalla amministrazione, non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste funzioni meramente dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività. Una strada deve considerarsi pubblica quando, indipendentemente dalla denominazione, dalla inclusione nell’elenco delle strade comunali, dalla concreta configurazione o dalla specifica manutenzione, sia assoggettata di fatto all’uso della collettività i cui componenti ne usufruiscono uti cives.
La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi più volte sui vari aspetti problematici della sussistenza o meno dell’uso pubblico di una strada vicinale, giungendo a definire i seguenti requisiti necessari per riconoscerne la presenza:
   a) il passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
In relazione al terzo requisito, in particolare, la giurisprudenza è giunta a stabilire che la prova dell’uso pubblico di una strada, il cui sedime non appartenga ad un Ente, non può essere desunta da un mero uso collettivo ma dev’essere rigorosamente provata, giungendo a richiedere la presenza di un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto va preliminarmente accertata l’idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico.
La giurisprudenza più consolidata sostiene che “in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada, il quale deve essere condotto non già sulla base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova”.
“Per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile. Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica”.
Ciò che è necessario, per stabilire la presenza di un diritto di uso pubblico, è pertanto la coesistenza di quei requisiti che rendano idonea la strada al transito di una collettività indistinta, non necessariamente della comunità locale.
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Le argomentazioni dei ricorrenti colgono, seppure parzialmente, nel segno.
La questione centrale risulta essere costituita dalla determinazione della natura della strada poiché i poteri esercitati nell’ordinanza sono sostanzialmente motivati con il ricorso alla tutela possessoria per il ripristino del transito sulla via, a nulla rilevando lo spurio riferimento agli artt. 33 del DPR n. 380/2001 e 167 del D.Lgs. n. 42/2004 per l’applicazione dei quali manca non solo la motivazione ma qualsiasi riferimento istruttorio.
Occorre premettere che tale accertamento si palesa come strumentale alla tutela caducatoria richiesta dai ricorrenti. Il giudice amministrativo, in presenza di tali esigenze, lo effettua esclusivamente in via incidentale allo scopo di verificare se i soggetti gravati dall’onere della prova abbiano assolto a tale incombente o meno. “Il provvedimento con il quale il sindaco ordina il ripristino del pubblico transito su di una strada vicinale che non sia iscritta nel relativo elenco è impugnabile di fronte al giudice amministrativo, al quale può essere chiesto l'accertamento in via incidentale dell'insussistenza del diritto di uso della collettività […]” (Cons. Stato Sez. V, 07/04/1995, n. 522).
Ciò premesso il Collegio evidenzia che il risalente regime normativo che viene in rilievo prevede che le strade vicinali assumano carattere pubblico, allorché adducano a luoghi pubblici di interesse generale e vengono utilizzate abitualmente dalla generalità dei cittadini. Nelle vicinali pubbliche il sedime della strada (compresi accessori e pertinenze) è privato mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Le vicinali pubbliche sono strade di interesse amministrativo sottoposte ad una regolamentazione speciale che trae origine dall’allegato F del R.D. n. 2248/1865 e dal D.L.Lgt. n. 1446/1918 nonché dal Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile. Le strade vicinali ad uso pubblico sono, peraltro, soggette alla vigilanza del Comune, che esercita le attribuzioni previste dagli articoli da 51 a 54 del citato RD n. 2248/1865.
Il diritto di uso pubblico può costituirsi nei modi più svariati, ossia mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte della collettività da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la strada, assoggettandola anche solo di fatto all’uso collettivo.
Per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato affinché la servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (cfr. Sez. V, 14/02/2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15/05/2012, n. 2760; Sez. V, 05/12/2012, n. 6242).
Le strade vicinali nascono generalmente come strade ad uso privato, destinate cioè a servire alcuni terreni ed abitazioni specifici. Può capitare tuttavia che con il passare del tempo le stesse vengano utilizzate da soggetti terzi divenendo così utili anche alla collettività indistinta, con la conseguenza di evidenziare un interesse di tutti all’uso della strada, cosa che può determinare la nascita di un uso pubblico.
È consolidato inoltre l’orientamento secondo il quale l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico, formato dalla amministrazione, non ha natura costitutiva o portata assoluta ma riveste funzioni meramente dichiarative e pone in essere solo una presunzione juris tantum di uso pubblico, superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività (cfr. Cass. civ., sez. II, 24/04/1992, n. 4938). Una strada deve considerarsi pubblica quando, indipendentemente dalla denominazione, dalla inclusione nell’elenco delle strade comunali, dalla concreta configurazione o dalla specifica manutenzione, sia assoggettata di fatto all’uso della collettività i cui componenti ne usufruiscono uti cives.
La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi più volte sui vari aspetti problematici della sussistenza o meno dell’uso pubblico di una strada vicinale, giungendo a definire i seguenti requisiti necessari per riconoscerne la presenza:
   a) il passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (cfr. Cons. Stato 13/07/2020, n. 4489, Cass. Civ. 5/07/2013, n. 16864; TAR Toscana, Sez. III, 11/04/2003, n. 1385; TAR Umbria, 13/06/2006, n. 7; 21/09/2004, n. 545; Cons. di Stato, Sez. IV, n. 1155/2001; Cons. di Stato, Sez. V, n. 5692/2000 Cass. civ., sez. II, 12/07/1991, n. 7718).
In relazione al terzo requisito, in particolare, la giurisprudenza è giunta a stabilire che la prova dell’uso pubblico di una strada, il cui sedime non appartenga ad un Ente, non può essere desunta da un mero uso collettivo ma dev’essere rigorosamente provata, giungendo a richiedere la presenza di un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto va preliminarmente accertata l’idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico (cfr. C.d.S., Sez. V, 01/12/2003, n. 7831; TAR Toscana, sez. III, 19/072004, n. 2637).
La giurisprudenza più consolidata sostiene che “in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada, il quale deve essere condotto non già sulla base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova” (TAR Lazio, sez. II, 29/03/2004, n. 2922).
Per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di Stato, IV, n. 1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n. 29/1997; TAR Toscana, Sez. III; n. 1385/2003; TAR Sicilia Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn. 20405/2010 e 7718/1991). Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013, n. 1322).” (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 04.09.2017, n. 4233; conforme TAR Lombardia, Brescia, 19/03/2019, sent. n. 258).
Ciò che è necessario, per stabilire la presenza di un diritto di uso pubblico, è pertanto la coesistenza di quei requisiti che rendano idonea la strada al transito di una collettività indistinta, non necessariamente della comunità locale.
Ebbene, gli elementi indicati non ricorrono nel caso in esame.
L’Amministrazione non ha provato la sussistenza dell’uso pubblico della strada nei sensi sopra specificati, né in sede procedimentale né in sede giudiziale.
Il Comune, nel provvedimento, si limita ad affermare di poter esercitare le prerogative di cui all’art. 378 della L. n. 2248/1965; di aver “sempre effettuato la manutenzione al lavatoio posto a circa 25 metri dalla strada comunale, come anche la manutenzione alla vasca dell'acquedotto della frazione Piamprato posta a monte del lavatoio stesso”; che il passaggio è sempre stato utilizzato dai turisti, dai residenti e dai pastori per raggiungere la baita Marmotta e Santanel (tale condizione sarebbe constatabile anche da alcune vecchie cartine dei sentieri della Valle Soana che però non sono state prodotte) nonché dalla collettività per il raggiungimento dei propri fondi.
A fronte della assenza di classificazioni ufficiali, catastali o di titoli muniti di fede privilegiata, il Comune si è limitato:
   - a documentare che il passaggio insistente sul mappale n. 41 serve una pluralità di proprietari di fondi confinanti e retrostanti per raggiungere la via Roma (cfr. doc. 07 di parte resistente);
   - ad allegare una serie di dichiarazioni di abitanti (o ex abitanti) nella zona che per lo più testimoniano, in via diretta, come il passaggio sia servito (sin dalla seconda metà del secolo scorso) per raggiungere abitazioni private retrostanti e, in via indiretta, che sia altresì servito per raggiungere il lavatoio di cui parla anche il Comune (ad usi prevalentemente pastorali) e gli alpeggi Santanel e Marmotta (cfr. doc. da 9 a 16 di parte resistente);
   - a documentare, con alcuni fotogrammi risalenti al 1988 ed un paio di fotografie, la presenza di persone e di automobili sulla strada (cfr. doc. 17 e 20 di parte resistente) nonché la presenza di indicazioni di sentieri turistici che passano dall’area di cui si discute;
   - a documentare con alcuni estratti di mappe turistiche il reticolo dei sentieri della Valle Soana nella zona di Piamprato, dalla quale non è però agevole comprendere in che modo interessano anche l’area di cui è causa (cfr. doc 18 e 19 di parte resistente).
Nel caso di specie pertanto l’uso pubblico della strada, che dovrebbe essere rigorosamente provato, è stato attestato ma non sufficientemente documentato dall’amministrazione né nei propri atti né in giudizio.
Le numerose dichiarazioni depositate provano direttamente solo un consolidato interesse del vicinato all’utilizzo del passaggio; solo indirettamente vi sono testimonianze di un uso funzionale al raggiungimento della fontana e degli alpeggi.
Occorre osservare, inoltre, che quanto alla necessità del passaggio per il raggiungimento del lavatoio, dell’acquedotto e dei sentieri per il raggiungimento degli alpeggi, dagli atti depositati emerge in modo non contestato che nelle vicinanze del mappale 41 si trovano ben due sentieri che collegano la pubblica via Roma con la fontana e la vasca sia dal lato nord che da quello sud, e su di essi si affacciano tutti i mappali adiacenti al 41. In presenza di tali alternative non è possibile pertanto presumere, in mancanza di diverse indicazioni probatorie, un pubblico interesse al transito sul mappale 41 per raggiungere tali manufatti (cfr. doc. 10 e 11 allegati al ricorso).
Per quanto qui occorre, pertanto, risultano fondate le doglianze di cui al primo motivo che mirano a censurare il provvedimento impugnato per carenza e difetto di motivazione ed istruttoria. Le affermazioni sull’uso dei poteri riconosciuti all’ente locale in materia di tutela, vigilanza e ripristino delle aree soggette ad uso pubblico non sono state argomentate, giustificate e sufficientemente istruite
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.07.2021 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIOCome noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario (G.O.) e giudice amministrativo (G.A.), rileva il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato in funzione non solo e non tanto della concreta pronuncia chiesta al giudice, bensì della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati.
Nel caso in esame l’esponente non contesta uti singulus, quale cittadino appartenente alla collettività cui pertiene l’uso pubblico della via, l’esistenza del potere del Comune di concedere a tempo indeterminato ad uno o ad alcuni soggetti (frontisti e residenti) l’uso particolare ed eccezionale di una porzione della strada demaniale o privata gravata da diritto demaniale di uso pubblico: fattispecie che, configurando una possibile carenza di potere in astratto (per difetto della norma attributiva della potestà pubblicistica), sarebbe rimessa alla cognizione del G.O..
Invero, il ricorrente, in qualità di proprietario immobiliare confinante con la via oggetto dell’avversata trasformazione, censura lo scorretto esercizio del potere autorizzatorio e di controllo dell’Amministrazione civica sull’intervento edilizio, radicando così una controversia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f) c.p.a..
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1. Il signor Lu.Ve. si ritiene leso dalla costruzione di una rampa in pietra sulla scalinata di via Caduti Pievesi, lamentando che l’immutazione dello stato dei luoghi –consentendo l’utilizzo di una porzione della salita, prima interamente pedonale, con moto e scooter– arreca turbamento alla quiete della propria limitrofa abitazione. Esperisce, quindi, sia un’azione demolitoria, impugnando i titoli edilizi e paesaggistici legittimanti l’opera, sia un’azione contra silentium, denunziando la mancata risposta dell’Amministrazione al proprio atto di significazione e diffida.
2. In punto di fatto occorre premettere che la salita in parola è una tipica crêuza ligure, ossia una via stretta e ripida, che fende verticalmente il versante collinare di Pieve Ligure, raggiungendo i fondi ivi collocati e collegandosi a mezza costa con la viabilità comunale che attraversa Pieve Alta (cfr. doc. 16 ricorrente e doc. 10 resistente).
Il signor Iv.Gu., proprietario di un immobile che affaccia sul viottolo, dopo avere conseguito i titoli edificatori e paesistici gravati, ha modificato l’ultimo tratto della salita, sostituendo i preesistenti gradoni con un nuovo manufatto in pietra, consistente per circa metà della larghezza del passaggio in una rampa e per la restante parte in una scalinata, divise da una ringhiera in ferro (v. fotografie sub. docc. 14-15-17 ricorrente e doc. 9 resistente). Ha altresì installato, in cima allo scivolo, una sbarra motorizzata, circoscrivendo così la possibilità di accesso ai soli soggetti autorizzati, frontisti e residenti della zona, mentre la parte pedonale è rimasta percorribile da chiunque.
L’opera è stata realizzata in forza della deliberazione della Giunta comunale in data 19.10.2015, recante l’approvazione del progetto, dell’autorizzazione paesaggistica del 23.02.2016 e della S.C.I.A. in data 18.03.2016 (non vi è invece alcuna D.I.A. in data 18.03.2016, la cui menzione nella comunicazione di fine lavori costituisce un evidente refuso). Il signor Gu. ha iniziato i lavori il 21.03.2016 e li ha ultimati il successivo 3 agosto (cfr. docc. 5 e 8 resistente).
Va infine rilevato che la delibera giuntale e l’autorizzazione paesistica fanno riferimento ad una “rampa per mezzi agricoli”, mentre di fatto il nuovo passaggio viene utilizzato per transitare con motoveicoli (v. fotografie sub doc. 14 ricorrente).
3. Si osserva preliminarmente che la natura giuridica della salita denominata via Caduti Pievesi (v. targa toponomastica, doc. 14 ricorrente) è controversa fra le parti: il ricorrente sostiene che rientrerebbe nel demanio stradale comunale ex art. 824 cod. civ.; l’Amministrazione obietta che si tratterebbe di una via privata (formatasi da tempo immemore ex collatione agrorum privatorum), soggetta a servitù di pubblico transito ex art. 825 cod. civ. (c.d. strada vicinale di uso pubblico).
Al riguardo, premesso che è comunque riservato al giudice ordinario l’accertamento con efficacia di giudicato del carattere demaniale o privato con diritto reale di pubblico uso di una strada (trattandosi di questione attinente a situazioni giuridiche di diritto soggettivo: cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. I, 15.07.2020, n. 15033), il Collegio non reputa necessario lo scrutinio del tema in parola, nemmeno in via incidentale, non rivestendo concreta rilevanza ai fini del presente giudizio.
Sempre in via preliminare, si ritengono opportune le seguenti precisazioni in punto di giurisdizione.
Come noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato in funzione non solo e non tanto della concreta pronuncia chiesta al giudice, bensì della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (cfr., fra le tante, Cons. St., sez. III, 24.03.2020, n. 2071; Cass. civ., sez. un., ord. 14.01.2020, n. 416; Cass. civ., sez. un., ord. 17.07.2017, n. 17618).
Nel caso in esame l’esponente non contesta uti singulus, quale cittadino appartenente alla collettività cui pertiene l’uso pubblico della via, l’esistenza del potere del Comune di concedere a tempo indeterminato ad uno o ad alcuni soggetti (frontisti e residenti) l’uso particolare ed eccezionale di una porzione della strada demaniale o privata gravata da diritto demaniale di uso pubblico: fattispecie che, configurando una possibile carenza di potere in astratto (per difetto della norma attributiva della potestà pubblicistica), sarebbe rimessa alla cognizione del G.O. (sulla possibilità di agire in giudizio uti civis, con i mezzi ordinari di tutela, a difesa del diritto di uso pubblico cfr., ex multis, Cons. St., sez. II, 12.05.2020, n. 2999; per un’ipotesi affine di carenza di potere in astratto si veda TAR Veneto, sez. III, 09.10.2017, n. 897).
Invero, il ricorrente, in qualità di proprietario immobiliare confinante con la via oggetto dell’avversata trasformazione, censura lo scorretto esercizio del potere autorizzatorio e di controllo dell’Amministrazione civica sull’intervento edilizio, radicando così una controversia attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f) c.p.a. (cfr., ex aliis, Cons. St., sez. IV, 10.10.2018, n. 5820) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 12.05.2021 n. 430 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATAE’ evidente che una strada “poderale” non può che essere priva di alcune delle caratteristiche proprie delle strade pubbliche.
Precedenti pronunce hanno confermato che ai sensi del Codice della strada (d.lgs. 30.04.1992, n. 285), si definisce "vicinale", (ovvero "poderale o di bonifica"), una "strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico" (art. 3, co. 1, n. 52).
Le strade vicinali sono, peraltro, equiparate alle strade pubbliche in senso proprio ed assoggettate al regime giuridico di queste ultime e, ciò, sia per quanto concerne la possibilità della costituzione di una servitù coattiva di passaggio, sia per gli effetti delle norme poste a tutela della circolazione stradale.
La sola differenza tra le strade vicinali e le strade pubbliche è che la proprietà delle strade vicinali è privata, circostanza quest’ultima dalla quale consegue che il suolo delle stesse è alienabile ed usucapibile e che il relativo diritto deve essere esercitato dai privati proprietari in modo compatibile con l'uso pubblico.
Per converso, l'amministrazione titolare di un diritto di pubblico passaggio su strada vicinale, può esercitare tutti i poteri intesi a garantire ed assicurare l'uso della strada da parte dei cittadini e, ciò, pur sempre nei limiti dettati dal pubblico interesse.
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L’azione di accertamento dell’assenza di ogni qualsivoglia diritto di servitù di pubblico transito, sia pedonale che veicolare, è sottoposta alla giurisdizione del Giudice ordinario, essendosi in presenza dell’accertamento di un diritto soggettivo al pieno godimento di un bene di proprietà.
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1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 E’ da respingere, in particolare, il primo motivo con il quale si sostiene che la strada di cui si controverte avrebbe natura privata, circostanza che consentirebbe al proprietario di provvedere alla sua chiusura, attraverso l’istallazione di recinzioni, cancelli o sbarre i quali rientrerebbero nella c.d. edilizia libera.
Dette caratteristiche del tracciato dimostrebbero l’assenza di qualsivoglia diritto reale di uso pubblico che non potrebbe essere riconosciuto esistente, nemmeno in conseguenza dell’inclusione della stessa strada nell’elenco delle strade poderali/vicinali.
1.2 Al fine di dimostrare l’infondatezza di detta argomentazione va chiarito come sia stato il Comune di Carmignano a precisare che il tratto di strada di cui si tratta è catastalmente identificato come strada poderale/privata e che, nel contempo, l’impossibilità di chiudere la strada con una sbarra meccanica è da ricondurre alla disposizione contenuta nell’art. 29.1.4 del regolamento urbanistico che la classifica come percorso di fruizione e, quindi, tra i tracciati finalizzati alla formazione di itinerari turistici che contribuiscono alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturalistico del territorio.
1.3 Detta disposizione prevede espressamente al secondo comma che, con riferimenti a tali tracciati, ne deve essere necessariamente garantito l’uso pedonale, ciclabile e/o equitabile e, più in generale, una continua percorribilità.
1.4 E’ evidente che il regolamento comunale ha ritenuto che l’esistenza di determinate caratteristiche, impedisca di per sé un uso esclusivo di alcuni percorsi, dovendo questi ultimi essere posti a garanzia di un utilizzo generale e indifferenziato nei confronti della collettività.
1.5 Nemmeno si è dimostrato come debba ritenersi indispensabile l’esistenza di un titolo idoneo (atto privato o pubblico, usucapione o dicatio ad patriam) a sorreggere l’uso pubblico della via e, ciò, considerando come detto utilizzo pubblico è il risultato della classificazione attribuita alla strada e del contenuto delle NTA così come sopra citato.
1.6 Altrettanto ininfluenti sono le argomentazioni dirette a sostenere che la strada di cui si tratta sia esterna al centro abitato e non sia dotata delle caratteristiche stradali proprie del d.lgs. 285/1992, in quanto non avrebbe alcuna banchina, segnaletica orizzontale o verticale e manto asfaltato.
1.7 E’ evidente che una strada “poderale” non può che essere priva di alcune delle caratteristiche proprie delle strade pubbliche.
1.8 A conferma di ciò l’art. 29.1.4 prevede che per detti tracciati “non sia ammessa l’asfaltatura” e che, nel contempo, solo ed esclusivamente gli “itinerari” di cui si tratta dovranno essere supportati da un’adeguata segnaletica e, ciò, al solo fine di consentirle una migliore fruibilità.
1.9 Precedenti pronunce hanno confermato che ai sensi del Codice della strada (d.lgs. 30.04.1992, n. 285), si definisce "vicinale", (ovvero "poderale o di bonifica"), una "strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico" (art. 3, co. 1, n. 52) (Cons. Stato Sez. IV, 21.11.2013, n. 5519; Tar Calabria-Catanzaro, sez. II, n. 2093/2004).
2. Le strade vicinali sono, peraltro, equiparate alle strade pubbliche in senso proprio ed assoggettate al regime giuridico di queste ultime e, ciò, sia per quanto concerne la possibilità della costituzione di una servitù coattiva di passaggio, sia per gli effetti delle norme poste a tutela della circolazione stradale.
2.1 La sola differenza tra le strade vicinali e le strade pubbliche è che la proprietà delle strade vicinali è privata, circostanza quest’ultima dalla quale consegue che il suolo delle stesse è alienabile ed usucapibile e che il relativo diritto deve essere esercitato dai privati proprietari in modo compatibile con l'uso pubblico.
2.2 Per converso, l'amministrazione titolare di un diritto di pubblico passaggio su strada vicinale, può esercitare tutti i poteri intesi a garantire ed assicurare l'uso della strada da parte dei cittadini e, ciò, pur sempre nei limiti dettati dal pubblico interesse.
2.3 Da respingere è anche il secondo motivo con il quale si sostiene la nullità dell’art. 29.1.4 delle NTA, nella parte in cui avrebbe introdotto una servitù di pubblico transito.
2.4 Come si è avuto modo di evidenziare la destinazione pubblica della strada di cui si tratta è stata disposta in ragione delle peculiari caratteristiche del percorso, suscettibile di essere classificato nell’ambito dei “percorsi di fruizione”, destinati ad un utilizzo collettivo.
2.5 Detta destinazione è il risultato di una valutazione posta in essere dall’Amministrazione comunale che ha ritenuto sia l’esistenza di specifiche caratteristiche sia, ancora, come il suo utilizzo sia stato protratto nel tempo, circostanze queste ultime di per sé sufficienti a consentire una destinazione ad uso pubblico, peraltro limitata ad un uso pedonale, ciclabile e/o equitabile, per garantire la percorribilità dei tracciati.
La censura sopra citata è, quindi, infondata.
2.6 Si consideri, peraltro, che l’azione di accertamento dell’assenza di ogni qualsivoglia diritto di servitù di pubblico transito, sia pedonale che veicolare, laddove fosse stata autonomamente esercitata, sarebbe stata sottoposta alla giurisdizione del Giudice ordinario, essendosi in presenza dell’accertamento di un diritto soggettivo al pieno godimento di un bene di proprietà.
2.7 In conclusione l’infondatezza delle sopra citate censure consente di respingere il ricorso (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 14.12.2020 n. 1633 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam -ovvero dell’uso pubblico dell’area, della sua utilità, della proposta di asservimento della stessa all’uso pubblico da parte del proprietario- consistono:
   (i) nell'uso esercitato "iuris servitutis publicae" da una collettività di persone;
   (ii) nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale;
   (iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività.
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La ricorrente, proprietaria di un compendio immobiliare sito nel Comune di Castelcucco, in piazza ..., è titolare di una servitù di passaggio su un’area attigua di proprietà privata del controinteressato, che gli consente l’accesso ed il recesso dalla strada pubblica.
Il Comune, nel 1998, ha effettuato dei lavori di modifica della viabilità riducendo l’area transitabile con autovetture.
La ricorrente, ritenendo che tali opere abbiano leso il proprio diritto di passaggio, nel 2008 ha proposto, innanzi al Tribunale civile di Treviso, un’azione di accertamento della servitù e contestuale ripristino delle modalità del suo esercizio.
Nel corso del giudizio, in data 26.03.2013, il consiglio comunale ha adottato, su proposta del controinteressato (proprietario dell’area su cui insiste la servitù della ricorrente) la delibera n. 12 con la quale ha disposto la costituzione a titolo gratuito del diritto di servitù ad uso pubblico dell’area stessa.
La società ricorrente ha impugnato il provvedimento con il ricorso all’esame formulando un unico articolato motivo con il quale censura il provvedimento per il vizio di eccesso di potere.
Ad avviso del ricorrente, il Comune avrebbe adottato l’atto costitutivo di servitù pubblica allo scopo di sanare la pregressa illecita occupazione, così da ridurre o eliminare il danno cagionato ed in corso di quantificazione -all’epoca della presentazione del ricorso all’esame- nell’ambito del giudizio civile dallo stesso instaurato innanzi al Tribunale di Treviso. Il provvedimento, inoltre, sarebbe altresì illegittimo per violazione dell’articolo 11 L. 241/1990.
L’accordo tra Comune e proprietario che sottende al provvedimento impugnato sarebbe stato concluso in danno delle ragioni del ricorrente e sarebbe nullo per difetto di forma scritta. Inoltre vi sarebbe una violazione dell’articolo 42-bis D.P.R. 327/2001 essendo stato adottato un provvedimento in sanatoria della pregressa occupazione sine titulo in assenza delle forme previste dalla legge.
La ricorrente ha, infine, proposto domanda di risarcimento del danno “con riguardo alla interdizione contra ius dell’esercizio personale ed esclusivo dell’uso dell’area considerata”.
...
Per la corretta disamina del presente ricorso è opportuno prendere le mosse dal contenuto del provvedimento impugnato che, al di là del dichiarato scopo di “conformare lo stato di fatto a quello di diritto nell’uso uti cives dell’area”, ha un contenuto meramente ricognitivo dei presupposti della costituzione di servitù ad uso pubblico dell’area.
La delibera, infatti, si limita a dare atto della sussistenza dei presupposti della dicatio ad patriam -ovvero dell’uso pubblico dell’area, della sua utilità, della proposta di asservimento della stessa all’uso pubblico da parte del proprietario (“I presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam consistono, quindi: (i) nell'uso esercitato "iuris servitutis publicae" da una collettività di persone; (ii) nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale; (iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività” cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 22.08.2019, n. 5785; id., 10.09.2018, n. 5286; Cass., SS. UU., n. 1072/1988)- senza attribuire a tale acquisto alcun effetto retroattivo.
Essa, pertanto, neppure apparentemente produce l’effetto sanante dell’illegittima occupazione dell’area, limitandosi a dare atto della contemporanea presenza degli elementi costitutivi dell’acquisto della servitù.
Così ricostruito il contenuto dell’atto impugnato, il ricorso si palesa infondato. Infatti, trattandosi di atto ricognitivo, esso non è idoneo a sanare le condotte illecite poste in essere dal Comune, che, infatti, il Giudice civile ha accertato -pur non facendone discendere conseguenze risarcitorie– nonostante la già avvenuta adozione del provvedimento in esame.
Non avendo l’atto impugnato effetti acquisitivi, non può ritenersi fondata la censura di violazione dell’articolo 42-bis D.P.R. 327/2001.
Neppure può ritenersi violato l’articolo 11 L. 241/1990. Non solo la ricorrente risulta essere stata regolarmente coinvolta nel procedimento, ma la delibera fa espressamente salvo l’esercizio della servitù di passaggio, mentre la questione relativa all’idoneità della costituita servitù ad uso pubblico ad incidere in senso pregiudizievole sulle modalità di esercizio del diritto di passaggio esula dall’ambito della cognizione di questo Giudice ed è stata, infatti, già risolta in senso negativo per la ricorrente dal Tribunale di Treviso nel giudizio dalla stessa instaurato, come risulta dalla pronuncia depositata in atti (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 03.09.2020 n. 787 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo prevalente (quanto condivisibile) giurisprudenza, l’uso pubblico di una strada è determinato alla sussistenza di tre concorrenti elementi, costituiti:
   - dall’esercizio del passaggio e del transito jure servitutis publicae da parte di una moltitudine indistinta di persone, qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
   - dalla concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico;
   - da un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’ente, ovvero del suo uso pubblico.
Come puntualmente ed analiticamente osservato da questo Consiglio:
   - “… per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa, l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù;
   - tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività”.
La questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è stata assai sovente esaminata in sede sia amministrativa, che civile.
Dalla copiosa elaborazione giurisprudenziale sono estrapolabili i seguenti principi:
   - “per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada”;
   - “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale”;
   - “una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico”;
   - “l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale" (Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2012, n. 3531, per la quale "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse");
   - “qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione juris tantum, superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti".
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La sottoposta controversia inerisce l’individuazione della natura –privata, ovvero pubblica– del tratto viario interessato dall’avversato ordine comunale di rimozione di cartello recante dicitura: “strada privata”.
In presenza di cartellonistica indicante (non la presenza di una “strada privata”, ma) l’esistenza di un tratto viario di “proprietà privata” il Comune può legittimamente ordinarne la rimozione solo laddove la strada risulti, effettivamente, gravata da una servitù d’uso pubblico (o, altrimenti, destinata al pubblico transito).
La mancanza di un titolo formale, costitutivo della servitù, può essere sopperita attraverso la maturazione dell’usucapione, dimostrando la contemporanea concorrenza delle seguenti condizioni:
   - l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives, in quanto portatori di un interesse generale (non essendo sufficiente un'utilizzazione uti singuli, finalizzata cioè a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata);
   - l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
   - il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione.
Incombe quindi sul Comune, ai sensi dell’art. 2967 c.c., l’onere di provare la concreta sussistenza delle suddette condizioni.
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1. Va, preliminarmente, rilevato come la sottoposta controversia appieno rientri nel perimetro della cognizione giurisdizionale rimessa al giudice amministrativo, ancorché la delibazione di essa transiti, alla luce dell’introdotto thema decidendum, attraverso l’individuazione della natura –privata, ovvero pubblica– del tratto viario, in Comune di Spinea, interessato dall’avversato ordine comunale di rimozione di cartello recante dicitura: “strada privata”.
Parte appellante, infatti, si è limitata a dedurre l’illegittimità dell’impugnata ordinanza in conseguenza dell’asserita natura privata della strada (ovvero, della mancata dimostrazione della sussistenza dell’invocato uso pubblico della stessa): l’accertamento di tali circostanze integrando questione pregiudiziale ai fini della valutazione della sussistenza del vizio dedotto, la cui cognizione appartiene al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 8, comma 1, c.p.a. (cfr. C.G.A.R.S., 17.01.2018, n. 18; Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2017, n. 1144).
2. Quanto sopra preliminarmente osservato, secondo prevalente (quanto condivisibile) giurisprudenza, l’uso pubblico di una strada è determinato alla sussistenza di tre concorrenti elementi, costituiti:
   - dall’esercizio del passaggio e del transito jure servitutis publicae da parte di una moltitudine indistinta di persone, qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
   - dalla concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico;
   - da un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’ente, ovvero del suo uso pubblico (cfr. Cass., SS.UU., 16.02.2017, n. 713; Cons. Stato: Sez. IV, 19.03.2015, n. 1515; Sez. VI, 20.06.2016, n. 2708).
Come puntualmente ed analiticamente osservato da questo Consiglio (cfr. Sez. IV, 10.10.2018, n. 5820):
   - “… per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa (tra le tante, Cassazione civile, sez. un., 23/12/2016, n. 26897 Cons. di Stato sez. IV, n. 1515 del 19.03.2015; Cons. di Stato sez, VI, n. 4952 dell'08.10.2013; Cass. Civ. n. 21125 del 19.10.2015; TAR Napoli, (Campania), sez. VIII, 10/10/2016, n. 4640 l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù;
   - tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività
”.
La questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è stata assai sovente esaminata in sede sia amministrativa, che civile.
Dalla copiosa elaborazione giurisprudenziale sono estrapolabili i seguenti principi:
   - “per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 08.10.2013, n. 4952);
   - “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale” (TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 21.11.2012, n. 341);
   - “una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico” (Cass. 05.07.2013, n. 16864);
   - “l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale" (Cons. Stato, Sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; cfr., altresì, Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2012, n. 3531, per la quale "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse");
   - “qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione juris tantum, superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti" (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 19.12.2012, n. 5250 e sez. II, 17.07.2008, n. 8869).
3. Gli indici rivelatori della pubblicità del tratto viario interessato dall’apposizione del cartello, oggetto dell’ordine di rimozione in prime cure avversato, non hanno trovato elementi di compiuta dimostrazione da parte della resistente Amministrazione comunale di Spinea.
3.1 Va, in proposito, doverosamente premesso che il potere nella fattispecie esercitato dal Comune di Spinea trova fondamento nell’art. 37 del Codice della Strada, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale disposizione, al comma 1, prevede che: “L'apposizione e la manutenzione della segnaletica, ad eccezione dei casi previsti nel regolamento per singoli segnali, fanno carico:
   a) agli enti proprietari delle strade, fuori dei centri abitati;
   b) ai comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e fine del centro abitato, anche se collocati su strade non comunali;
   c) al comune, sulle strade private aperte all'uso pubblico e sulle strade locali;
   d) nei tratti di strade non di proprietà del comune all'interno dei centri abitati con popolazione inferiore ai diecimila abitanti, agli enti proprietari delle singole strade limitatamente ai segnali concernenti le caratteristiche strutturali o geometriche della strada. La rimanente segnaletica è di competenza del comune
”.
Ferma l’esercitabilità delle prerogative comunali in materia di segnaletica sulle strade in proprietà dell’ente, per quanto concerne la fattispecie di cui alla lett. c), la riconduzione del relativo potere nelle attribuzioni comunali transita attraverso l’esistenza di un uso pubblico del tratto viario privato.
3.2 Ritiene il Collegio che la relativa prova non sia stata raggiunta.
Il giudice di prime cure, al riguardo, ha argomentato che “la vocazione all’uso pubblico della strada risulta:
   - dal PRG, che prevede come destinazione del sedime area pubblica destinata alla viabilità;
   - dal fatto che alla via risulta attribuita sia una denominazione che una numerazione civica;
   - dalla classificazione a strada privata a uso pubblico come risulta dalla nota dell’ufficio tecnico comunale 23.03.1994
”.
Ed ha, conseguentemente, ritenuto “legittimo il richiamo all’art. 37 del D.Lgs. n. 285/1992, … posto che nella specie non si fa questione della condizione di proprietà, pacificamente riconosciuta, ma dell’uso cui la strada è destinata”.
In disparte la concludenza dimostrativa degli elementi indizianti come sopra avvalorati dal TAR Veneto, va soggiunto che l’Amministrazione comunale di Spinea (come ribadito anche con memoria conclusionale depositata in atti alla data del 09.04.2020), ha rappresentato che, “tra le altre circostanze militanti in favore della soggezione all’uso pubblico della stradina di cui si discute concorre … la relativa classificazione di strada privata ad uso pubblico, ad opera dell’Amministrazione comunale appellata”; ulteriormente deducendosi, quali elementi indizianti, “l’apposizione della numerazione civica e della segnaletica stradale”.
Con ulteriore argomentazione (dedotta con controricorso e non più ripresa nella memoria sopra citata), lo stesso Comune aveva, altresì, posto in evidenza che il tratto di strada di che trattasi “è risultato interessato da un progetto di realizzazione di un collegamento viario tra la Via Misurina e il Viale San Remo per collegare i nuovi insediamenti residenziali e le attrezzature pubbliche esistenti, realizzati in attuazione di un piano PEEP”, anche se, come dall’Amministrazione ammesso, “l'inizio delle procedure di esproprio del sedime stradale” non è stato “concluso … con la relativa acquisizione”.
Diversamente, non rivestirebbe rilevanza apprezzabile ai fini in discorso “la circostanza che la strada risulti chiusa da un lato, risultando sufficiente il collegamento con la via pubblica”.
3.3 Gli elementi in presenza dei quali viene sostenuta (dal Comune appellato, come dal giudice di prime cure) la sicura identificabilità di un uso pubblico gravante il tratto viario in questione (la cui natura privata è incontroversa inter partes), non rivelano, ad avviso del Collegio, dirimente attitudine dimostrativa.
In presenza di cartellonistica indicante (non la presenza di una “strada privata”, ma) l’esistenza di un tratto viario di “proprietà privata” (per come, in punto di fatto, incontroverso), il Comune avrebbe, infatti, potuto legittimamente ordinarne la rimozione solo laddove la strada fosse risultata, effettivamente, gravata da una servitù d’uso pubblico (o, altrimenti, destinata al pubblico transito).
La mancanza di un titolo formale, costitutivo della servitù, avrebbe potuto essere sopperita attraverso la maturazione dell’usucapione, dimostrando la contemporanea concorrenza delle seguenti condizioni:
   - l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives, in quanto portatori di un interesse generale (non essendo sufficiente un'utilizzazione uti singuli, finalizzata cioè a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata);
   - l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
   - il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 29.11.2017, n. 28632).
Incombeva quindi sul Comune, ai sensi dell’art. 2967 c.c., l’onere di provare la concreta sussistenza delle suddette condizioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.03.2019, n. 1727; Sez. VI, 20.06.2016, n. 2708).
In disparte l’assenza di collegamento dell’arteria stradale di che trattasi (servente le proprietà frontistanti) con la rimanente rete della circolazione viaria (come dallo stesso Comune ammesso, il progetto di collegamento tra la Via Misurina e il Viale San Remo, finalizzato a collegare i nuovi insediamenti residenziali e le attrezzature pubbliche esistenti, non è stato mai portato a compimento), non è dato riscontrare in atti la presenza di alcun rilievo documentale atto a dimostrare l’esistenza (e l’immanenza, coordinata alla presenza di una condotta consolidata nel corso del tempo) dell’uso pubblico della via privata per cui è controversia; per altro verso, appare difficilmente contestabile il ragionamento critico dell’appellante, che ha fatto presente che, la affermata (ma non provata) natura pubblica della strada, collide con gli incontestati tentativi del comune, seppur non andati a buon fine, di avviare un procedimento espropriativo sull’area (a che pro tentare di espropriare un’area che già, in tesi, sarebbe destinata ad uso pubblicistico?)
Diversamente rispetto a quanto opinato dal giudice di prime cure, pertanto, non può non rilevarsi come l’onere probatorio di che trattasi non sia stato dall’intimato Comune assolto, con conseguente illegittimità dell’avversata ordinanza.
4. In accoglimento dell’appello, deve conseguentemente riformarsi la sentenza in prime cure resa dal TAR Veneto; e, conseguentemente, annullarsi la determinazione, dinanzi al predetto giudice avversata, dal Comune di Spinea adottata in data 03.12.1994 (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 18.05.2020 n. 3158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAServitù di uso pubblico su suolo privato condominiale. (Proprietà privata condominiale ed estensione del diritto di uso pubblico: il caso della concessione a plateatico).
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Urbanistica - Servitù di uso pubblico - Suolo privato condominiale – Autorizzazione dell’uso in via esclusiva in favore di altro soggetto privato – Mancanza del consenso dei proprietari del suolo – Conseguenza.
Al fine di individuare il contenuto di una servitù pubblica su suolo privato, non può darsi rilevanza prevalente alle prescrizioni contenute nello strumento urbanistico in relazione alle aree aventi destinazione omogenea rispetto alle finalità pubbliche cui la servitù è preordinata, atteso che nella specie non si tratta di definire il regime urbanistico del suolo, ma piuttosto di individuare i limiti posti al diritto di proprietà per il perseguimento dell’interesse pubblico in ragione del quale la servitù è stata imposta.
In tale prospettiva, assume rilievo decisivo la volontà delle parti quale risultante dal titolo costitutivo della servitù, che al tempo stesso costituisce la fonte e segna il limite del sacrificio ammissibile del diritto dominicale.
Pertanto, non è consentito al Comune, in favore del quale sia stata costituita una servitù di uso pubblico su suolo privato condominiale, di autorizzarne l’uso in via esclusiva in favore di altro soggetto privato prescindendo dal necessario consenso dei proprietari del suolo (1).

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   (1) Ha chiarito la Sezione che diritti di uso pubblico si configurano quali diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni, come esplicitato dal medesimo art. 825 c.c., “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni [demaniali] medesimi”, ossia si configurano quale peso imposto su di un bene privato nel pubblico interesse, a favore della collettività, presupponendo in tal senso una publica utilitas, ossia l’oggettiva idoneità del bene privato a soddisfare un’esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini: esigenza, questa, che va intesa in senso ampio, e cioè non come pura e semplice necessità, ma anche come mera comodità.
Detto altrimenti, nelle servitù di uso pubblico, al peso gravante sul fondo servente corrisponde dal lato attivo il conseguimento di fini di pubblico interesse da parte di una comunità di persone considerate uti cives, sicché la loro connotazione peculiare è data dalla generalità di un uso indiscriminato da parte dei singoli e dalla oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di tale interesse collettivo (cfr. in tal senso, ad es., Cass. civ., Sez. II, 10.01.2011 n. 333).
Tali posizioni giuridiche devono dunque essere riguardate quali diritti reali sui generis, incidenti sul contenuto della proprietà privata ma non estintivi della stessa, assoggettati al regime previsto per i beni del demanio pubblico, e -quindi- inalienabili e imprescrittibili.
In dipendenza di ciò, pertanto, se l’assoggettamento di un’area privata a servitù di uso pubblico non comporta per il proprietario –come più volte ripetuto innanzi- la perdita del diritto di proprietà del bene, del quale infatti egli può sempre chiedere la tutela in sede giudiziale, l’ente pubblico -per converso- non essendo titolare del diritto dominicale, bensì di un mero diritto reale parziario su di un bene privato, può, su questo, esercitare unicamente le facoltà dirette a garantire e ad assicurare l’uso pubblico da parte di tutti i cittadini, essendo conseguentemente legittimato a tutelare il diritto parziario medesimo sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale, avvalendosi, in quest’ultima ipotesi, in forza dell’anzidetto rinvio operato dall’art. 825 c.c. nei riguardi dell’art. 823 dello stesso codice, di fronte al giudice ordinario, dei mezzi ordinari a difesa del diritto di servitù e del possesso ivi normati dalla medesima disciplina di diritto comune.
Va comunque opportunamente precisato che, oltre all’ente pubblico, a difesa del diritto di uso pubblico può anche agire in giudizio, uti singulus e avvalendosi dei mezzi ordinari di tutela, ciascun cittadino appartenente alla collettività cui l’uso pubblico pertiene (cfr. al riguardo, ex plurimis e tra le più recenti, Cass. civ., Sez. II, 13.06.2019 n. 15931).
La prassi contempla la costituzione dei diritti di uso pubblico per usucapione da parte di una collettività indifferenziata di soggetti e imputata nel proprio effetto acquisitivo all’amministrazione pubblica a ciò competente (come ad esempio accade per l’ipotesi dell’usucapione dell’uso pubblico su di una strada privata), per dicatio ad patriam (consistente a sua volta nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali tale comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima: cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 11.03.2016, n. 4851; sez. II, 12.08.2002, n. 12167, 04.06.2001, n. 7481, 10.12.1994, n. 10574; Cons. Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618) nonché –come per l’appunto avvenuto nel caso di specie– per convenzione stipulata tra l’ente pubblico e i privati.
La categoria di diritti demaniali di uso pubblico più importante e di maggiore applicazione pratica è senza dubbio quella dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi: quella del predetto passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico -e cioè sulle strade private soggette a pubblico transito- e quella del passaggio su spiazzi, vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli agglomerati urbani (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.05.2020 n. 2999 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1.1. Gli attuali appellanti, signor Al.Pi., e signora Mo.Vi., rivestono rispettivamente la qualità di condomino e di amministratrice del condominio “Pi.Gi.”, situato a Montebelluna in via ... (rectius: ...) n. 45 in posizione frontistante al complesso edilizio costituito dal locale Ospedale civile.
Essi espongono che il condominio, distinto in catasto al foglio n. 31, mappale n. 31, è sorto su iniziativa dei signori Gi.Pi., Ma.Fa. e No.Ba., ai quali sono poi subentrati la El. di Ge.Pi. & C. S.a.s. e la PI. di Gi.Pi. & C. S.a.s.
L’edificazione è avvenuta in base ad un Piano di recupero di iniziativa privata approvato a’ sensi degli allora vigenti artt. 11, comma 1, n. 2, lett. b), e 60 della l.r. 27.06.1985, n. 61, con deliberazione del Consiglio comunale di Montebelluna n. 150 dd. 05.06.1989, seguito dalla stipulazione in data 05.09.1991 di un’apposita convenzione urbanistica (cfr. doc.ti n. 3 usque 6 del fascicolo di primo grado della parte ivi ricorrente).
Va sin d’ora precisato che i quattro piani fuori terra del condominio si estendono su tre lati di un quadrilatero, al cui centro è stata realizzata una piazzola, di proprietà del condominio medesimo, complessivamente estesa per una superficie di mq. 120 e aperta sul quarto lato confinante su via ..., dalla quale vi si accede.
In buona sostanza, quindi, l’edificio condominiale assume la forma c.d. “a ferro di cavallo” prospiciente la via ....
Tale piazzola risultava inizialmente destinata all’epoca dei fatti di causa, a’ sensi dell’art. 35, comma 6, delle Norme tecniche di attuazione dell’allora vigente Piano regolatore generale del Comune, a “verde pubblico”, destinato a “parchi e ad aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti”, con conseguente possibilità di realizzare ivi “bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini (con esclusione di attrezzature o campi sportivi” (cfr. doc. 2 di parte appellante, riprodotto anche nel presente grado di giudizio).
A questo riguardo va sin d’ora evidenziato che l’art. 3 della predetta convenzione urbanistica prevedeva la costituzione sulla piazzola sopradescritta di un vincolo di uso pubblico come standard di Piano urbanistico attuativo (PUA).
L’invero singolare riconduzione della piazzola di proprietà condominiale a “verde pubblico” trova spiegazione, secondo gli appellanti, nella necessità - affermata dalla Relazione illustrativa del predetto Piano di recupero - di assicurare una dotazione minima di spazi pubblici, tra cui circa mq. 100 di spazi a verde, e nella correlativa circostanza che il progetto del condominio prevedeva un eccesso di mq. 120 di area a verde, corrispondente –per l’appunto– alla superficie della piazzola (cfr. pag. 7 dell’atto introduttivo del presente giudizio, nota 3).
Il susseguente art. 4 della medesima convenzione, nell’elencare le opere di urbanizzazione primaria, menzionava quindi anche le piazze “coperte e scoperte” (espressione, questa, che gli appellanti considerano del tutto “vaga e generica, considerato oltretutto che di piazza ne era prevista una soltanto”: cfr. ibidem).
Sulla medesima piazzola prospetta un pubblico esercizio denominato “Il.Ba.”, i cui locali rientrano sempre nel sopradescritto complesso condominiale, al quale è stato attribuito il numero civico n. 35 della medesima via ... e di cui è titolare la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
Tale esercizio “osserva l’orario di apertura dalle ore 07.00 alle ore 22.00” e “serve quasi esclusivamente i parenti dei ricoverati” nell’attiguo ospedale (cfr. pag. 2 del controricorso nel presente grado di giudizio presentato dalla medesima società).
Gli attuali appellanti riferiscono peraltro che alcuni anni dopo l’ultimazione dei lavori di costruzione del condominio la proprietà del predetto bar aveva iniziato a costruire sulla piazzola una grande tettoia allo scopo di dotare di una copertura le sedie e i tavolini riservati agli avventori.
Tale iniziativa della società aveva incontrato una risoluta opposizione da parte degli altri condomini, i quali non avevano prestato il proprio assenso alla realizzazione di tale struttura, “preoccupati dal fatto che la copertura avrebbe non solo ostruito le loro vedute verso la piazzola interna, ma soprattutto trasformato l’area a pertinenza esclusiva del medesimo bar, con prevedibile costante disturbo della quiete, diurna e notturna” (cfr. pag. 5 dell’atto introduttivo del presente giudizio).
L’amministratore del condominio, in tale contesto, aveva anche segnalato la circostanza all’Amministrazione comunale affinché fosse verificata la regolarità edilizia di tale intervento e, in caso contrario, assumesse i conseguenti provvedimenti sanzionatori.
Riferiscono sempre gli appellanti che l’opera in questione è risultata in effetti non assistita da un titolo edilizio e che i lavori erano stati pertanto sospesi con un provvedimento dell’Amministrazione comunale adottato in data 08.08.2000 quando peraltro la copertura risultava ormai di fatto già realizzata anche con un suo prolungamento fino all’ingresso del bar.
Gli appellanti precisano quindi che la società titolare del bar ha potuto ottenere la sanatoria per la realizzazione della tettoia verosimilmente in quanto gli elaborati del Piano di recupero raffiguravano -in effetti- al centro della piazzola condominiale un’opera di arredo, costituita –per l’appunto– da una copertura, peraltro destinata ad essere non già edificata quale opera di urbanizzazione, bensì quale opera privata che sarebbe stata quindi realizzata soltanto se e quando i condomini avessero voluto determinarsi in proposito: tanto che –rilevano sempre i medesimi appellanti– la stessa Amministrazione comunale, nell’assentire la sanatoria dell’opera, non ne ha scomputato il relativo importo dal contributo di concessione, riconoscendone sotto questo profilo la natura di opera privata.
Tuttavia –allo stesso tempo– la sanatoria è stata rilasciata a beneficio della società che l’aveva chiesta con atto della Giunta comunale mediante deliberazione n. 6 dd. 25.06.2001, nella quale si afferma che agli effetti della sanatoria medesima, disposta a’ sensi dell’allora vigente art. 77 della l.r. 27.06.1985, n. 61, l’opera assumeva natura di pubblica utilità (cfr. doc. 12 di parte ricorrente in primo grado).
Va anche precisato che tale provvedimento è stato impugnato sub R.G. n. 899 del 2001 innanzi al TAR per il Veneto dalle predette PI. S.a.s. di A.Pi. & C. e El. S.a.s. di Pi.Ge. & C., nella loro qualità di proprietarie pro tempore di alcune unità immobiliari facenti parte del condominio, deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:
   1) violazione dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985, posto che la tettoia non costituiva un’opera di urbanizzazione, ossia di un’opera di pubblica utilità; né tanto meno poteva riguardarsi quale opera pubblica;
   2) eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico, in quanto la realizzazione della medesima tettoia neppure rispondeva ad un pubblico interesse, bensì risultava esclusivamente funzionale all’interesse privato e commerciale della Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c., tanto da prolungarsi per un tratto fino al bar da essa gestito, essendosi pertanto l’Amministrazione comunale avvalsa del potere di cui all’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del 1985 per perseguire fini diversi da quelli per cui il potere stesso è stato attribuito;
   3) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto l’Amministrazione comunale aveva del tutto travisato i presupposti di fatto sulla cui base si era determinata, in particolare ritenendo erroneamente:
a) che la piazzola su cui realizzare la copertura fosse di proprietà pubblica, o almeno che fosse destinata a divenirlo;
b) che la tetttoia realizzata dalla Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c. fosse conforme a quella prevista dal Piano di recupero, mentre la prima recava –a differenza della seconda– un vistoso prolungamento e l’appoggio al muro condominiale, proprio in corrispondenza del bar;
   4) eccesso di potere per contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà, posto che l’Amministrazione comunale non aveva considerato la tettoia quale opera di pubblica utilità allorquando si era discusso di scomputarla dagli oneri di urbanizzazione, mentre l’aveva reputata opera di urbanizzazione, e cioè di pubblica utilità, allorquando si era trattato di approvare il progetto in sanatoria a’ sensi dell’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del 1985;
   5) violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985 per incompetenza, in quanto la disciplina in esso contenuta rimetteva al Consiglio comunale –e non all’organo giuntale– l’approvazione sostitutiva del titolo edilizio mancante.
...
3.2.1. Premesso tutto ciò, l’appello in epigrafe va accolto.
3.2.2. L’art. 825 c.c., intitolato “Diritti demaniali su beni altrui”, dispone che sono assoggettati al medesimo regime del demanio pubblico di cui all’art. 823 del medesimo codice -ossia sono inalienabili, non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi stabiliti dalle leggi che lo riguardano, e alla loro tutela la pubblica amministrazione che ne è titolare può provvedere in via ordinaria secondo la disciplina dello stesso codice civile apprestata per la difesa della proprietà e del possesso, ovvero mediante azione amministrativa- “i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati negli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
E’ ben noto che tale articolo disciplina in tal modo unitariamente i principi informatori dell’istituto delle cc.dd. “servitù di uso pubblico”, invero definite correntemente come “diritti di uso pubblico”, le quali pertanto rientrano nel più ampio novero dei diritti reali pubblici di godimento costituiti su immobili di proprietà privata.
Proprio in tale contesto l’articolo in esame comunque concettualmente distingue le cc.dd. “servitù prediali pubbliche” e i veri e propri “diritti” (o “servitù”) “di uso pubblico”.
Le prime corrispondono ai diritti reali ivi indicati come “costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti”, mentre i secondi corrispondono ai diritti costituiti “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
Le servitù prediali pubbliche sono pertanto particolari diritti reali spettanti alle pubbliche amministrazioni e che gravano su beni di proprietà privata.
I privati risultano in tal senso destinatari di una limitazione del loro diritto in funzione della pubblica utilità segnatamente posta a vantaggio di un bene demaniale, alla stessa guisa dell’istituto della servitù prediale disciplinato dagli artt. 1027 e ss. c.c., e ciò anche se la relativa disciplina è prevalentemente devoluta a leggi speciali e l’imposizione del vincolo servile avviene pertanto mediante l’emanazione di un provvedimento amministrativo (cfr. art. 1032, primo comma, c.c.).
In tale ipotesi è infatti la stessa disciplina di settore di diritto pubblico che prevede per talune categorie di beni, in ragione di un rapporto di funzionalità fra bene pubblico e bene privato, la costituzione in favore del primo di un diritto reale parziario, quale servitù coattiva: il che accade, ad esempio, per le funicolari aeree, gli elettrodotti, la servitù di scolo delle acque sui terreni posti ai lati (o sottostanti) le strade pubbliche, le servitù militari o quelle aeronautiche.
Dalle “servitù prediali pubbliche”, come sopra sintetizzate, devono essere quindi distinti i cc.dd. “diritti di uso pubblico”, contemplati nel medesimo art. 825 c.c, sebbene –come dianzi rilevato, e come anche accaduto nel caso di specie– seguitino comunque ad essere parimenti definiti nel linguaggio comune quali “servitù pubbliche”, ancorché –per l’appunto– “non prediali”.
Essi consistono in un diritto reale di cui è titolare un ente pubblico al fine del perseguimento di un pubblico interesse e che è gravante su beni appartenenti a privati, seppur in assenza di un rapporto funzionale tra beni.
Sulla base di un diritto di uso pubblico una determinata collettività di persone può infatti essere in tal modo ammessa ad una parziale utilizzazione di tali beni che, in tal modo, pur rimanendo di proprietà privata, nel contempo sono destinati al soddisfacimento del predetto pubblico interesse.
L’esempio più significativo è costituito dalle strade o spazi privati aperti al pubblico passaggio, come accade, tra l’altro, per le cc.dd. “strade vicinali” di cui all’allegato F, artt. 1, 9, 18, 19, 20, 51 e 84 del r.d. 20.03.1865, n. 2248, e al d.l.lgt. 01.09.1918, n. 1146.
Giova rimarcare che il fondamentale elemento distintivo tra servitù prediali pubbliche e diritti di uso pubblico risiede comunque nell’assenza, nei secondi, di un rapporto funzionale tra beni.
I diritti di uso pubblico sussistono infatti in questa evenienza a favore delle collettività non già per l’utilità di un bene demaniale, bensì in quanto ogni membro della collettività medesima può legittimamente fruire del bene asservito nei limiti del relativo vincolo al pubblico interesse, realizzato mediante la costituzione di un diritto reale parziale, non obliterante la proprietà privata, ma che ne funzionalizza il contenuto al pubblico interesse, coerentemente all’art. 42 Cost. e come conseguente obbligo contemplabile dall’ordinamento giuridico nel contesto del c.d. “statuto della proprietà privata”, a’ sensi degli artt. 832 e ss. c.c..
Va dunque ribadito che in tal senso i diritti di uso pubblico si configurano quali diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni, come esplicitato dal medesimo art. 825 c.c., “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono i beni [demaniali] medesimi”, ossia si configurano quale peso imposto su di un bene privato nel pubblico interesse, a favore della collettività, presupponendo in tal senso una publica utilitas, ossia l’oggettiva idoneità del bene privato a soddisfare un’esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini: esigenza, questa, che va intesa in senso ampio, e cioè non come pura e semplice necessità, ma anche come mera comodità.
Detto altrimenti, nelle servitù di uso pubblico, al peso gravante sul fondo servente corrisponde dal lato attivo il conseguimento di fini di pubblico interesse da parte di una comunità di persone considerate uti cives, sicché la loro connotazione peculiare è data dalla generalità di un uso indiscriminato da parte dei singoli e dalla oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di tale interesse collettivo (cfr. in tal senso, ad es., Cass. civ., Sez. II, 10.01.2011, n. 333).
Tali posizioni giuridiche devono dunque essere riguardate quali diritti reali sui generis, incidenti sul contenuto della proprietà privata ma non estintivi della stessa, assoggettati al regime previsto per i beni del demanio pubblico, e -quindi- inalienabili e imprescrittibili.
In dipendenza di ciò, pertanto, se l’assoggettamento di un’area privata a servitù di uso pubblico non comporta per il proprietario –come più volte ripetuto innanzi- la perdita del diritto di proprietà del bene, del quale infatti egli può sempre chiedere la tutela in sede giudiziale, l’ente pubblico -per converso- non essendo titolare del diritto dominicale, bensì di un mero diritto reale parziario su di un bene privato, può, su questo, esercitare unicamente le facoltà dirette a garantire e ad assicurare l’uso pubblico da parte di tutti i cittadini, essendo conseguentemente legittimato a tutelare il diritto parziario medesimo sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale, avvalendosi, in quest’ultima ipotesi, in forza dell’anzidetto rinvio operato dall’art. 825 c.c. nei riguardi dell’art. 823 dello stesso codice, di fronte al giudice ordinario, dei mezzi ordinari a difesa del diritto di servitù e del possesso ivi normati dalla medesima disciplina di diritto comune.
Va comunque opportunamente precisato che, oltre all’ente pubblico, a difesa del diritto di uso pubblico può anche agire in giudizio, uti singulus e avvalendosi dei mezzi ordinari di tutela, ciascun cittadino appartenente alla collettività cui l’uso pubblico pertiene (cfr. al riguardo, ex plurimis e tra le più recenti, Cass. civ., Sez. II, 13.06.2019 n. 15931
).
La prassi contempla la costituzione dei diritti di uso pubblico per usucapione da parte di una collettività indifferenziata di soggetti e imputata nel proprio effetto acquisitivo all’amministrazione pubblica a ciò competente (come ad esempio accade per l’ipotesi dell’usucapione dell’uso pubblico su di una strada privata), per dicatio ad patriam (consistente a sua volta nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali tale comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima: cfr. al riguardo, ex plurimis, Cass. civ., Sez. I, 11.03.2016, n. 4851; Sez. II, 12.08.2002, n. 12167, 04.06.2001, n. 7481, 10.12.1994, n. 10574; Cons. Stato, Sez. V, 24.05.2007, n. 2618) nonché –come per l’appunto avvenuto nel caso di specie– per convenzione stipulata tra l’ente pubblico e i privati.
La categoria di diritti demaniali di uso pubblico più importante e di maggiore applicazione pratica è senza dubbio quella dell’uso pubblico di passaggio, che, a sua volta, si distingue in due sottoclassi: quella del predetto passaggio sulle vie vicinali di uso pubblico -e cioè sulle strade private soggette a pubblico transito- e quella del passaggio su spiazzi, vicoli, corti di proprietà privata esistenti nelle città e negli agglomerati urbani (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.05.2020 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Nel contesto dell’art. 825 c.c. l’ente pubblico non può disporre in ordine alle aree private assoggettate a servitù pubblica oltre i limiti necessari per garantire la perdurante insistenza sul bene del diritto di proprietà del privato.
In tal senso, infatti, l’ente pubblico titolare del diritto parziario demaniale non può esercitare, sui beni assoggettati a diritto di uso pubblico, i poteri che di norma spettano all’ente medesimo sui beni integralmente rientranti nel proprio demanio, e in primis quello di concedere a singoli privati un uso eccezionale dei beni medesimi.
Infatti, la concessione di un uso esclusivo a un terzo del bene privato “funzionalizzato” a’ sensi dell’art. 825 c.c. all’uso pubblico, violerebbe per certo l’utilizzo del bene uti cives da parte dell’intera comunità di cui il Comune –nella specie– è, nondimeno, il soggetto esponenziale nonché garante dei relativi diritti e interessi.
Allo stesso tempo il Comune, disponendo a favore di un singolo il godimento in via esclusiva del bene di cui non è integralmente titolare ma in ordine al quale esercita unicamente un diritto parziario finalizzato al perseguimento del pubblico interesse, violerebbe altrettanto certamente il pur funzionalizzato diritto di proprietà di cui il privato è titolare: e ciò, dunque, infrangendo la ben nota regula iuris di diritto comune -ma, all’evidenza, valida anche in diritto pubblico- per cui nemo plus iuris in alium transferre potest, quam ipse habet, (D. 50.17.54 – Ulpianus, liber XLVI, Ad edictum).
Va qui anche opportunamente precisato che l’uso “speciale” (o altrimenti definito “eccezionale”) del bene si determina anche attraverso una sua occupazione non soltanto permanente, ma anche temporanea, da parte di colui che se ne avvale uti singulus.
Tali principi sono chiaramente espressi da una giurisprudenza risalente nel tempo, ma ancor oggi del tutto consolidata e –soprattutto– assolutamente coerente con la disciplina contenuta nell’art. 825 c.c..
Cass. civ., Sez. I, 02.03.1964 n. 469, e 29.11.1979 n. 6272, hanno infatti già avuto modo di affermare che l’Amministrazione comunale, titolare di una servitù di uso pubblico su di un’area privata, può su di essa esercitare i soli poteri che siano rivolti a garantire e disciplinare l’uso generale da parte della collettività, nell’ambito del pubblico interesse giustificativo della servitù medesima, e che pertanto, ove non sia espressamente consentito dal titolo, il Comune medesimo non può concedere al singolo usi eccezionali e particolari su porzioni di tale immobile (nella specie l’erezione di un’edicola per la rivendita di giornali).
Né può sostenersi che l’Amministrazione comunale potrebbe comunque consentire, a prescindere dalla volontà del privato proprietario, l’uso eccezionale da parte di un terzo del bene asservito all’uso pubblico con riguardo a quanto disposto dagli artt. 38 e 39 del d.lgs. 15.11.1993, n. 507, recante –tra l’altro– la “revisione ed armonizzazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province”, dove invero rispettivamente si legge al comma 3 del predetto art. 38 che tale tassa “si applica, altresì, alle occupazioni realizzate su tratti di aree private sulle quali risulta costituita, nei modi e nei termini di legge, la servitù di pubblico passaggio” e all’art. 39 predetto che “la tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio”.
Sul punto, Cass. civ., SS.UU. 08.03.1999, n. 158, e 08.07.1998, n. 6633, hanno infatti a loro volta avuto modo di evidenziare che la parificazione delle aree demaniali o del patrimonio indisponibile a quelle private soggette a servitù di uso pubblico, operante ai fini dell’applicazione della tassa (oggi canone) per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, trova la sua ratio nella circostanza che la parziale occupazione di tali aree comporta comunque una sottrazione della superficie occupata all’uso pubblico cui la stessa è destinata, giustificando, così, la debenza della tassa in parola da parte dell’occupante quale corrispettivo della limitazione apportata al godimento della collettività: ma ciò attiene esclusivamente al piano dei rapporti tributari e comporta, tutt’al più, che il Comune possa pretendere quella tassa da chi occupi gli spazi abusivamente o in virtù di contratto con il privato proprietario, o anche che possa interferire, inibendolo o subordinandolo a propria autorizzazione, in forza della suindicata ratio, sul diritto di tale proprietario di cedere a terzi l’uso di porzioni dell’area, ma non può giammai indurre a configurare, salva un’espressa previsione del titolo costitutivo della servitù pubblica di passaggio, un suo autonomo potere concessorio, assolutamente incompatibile, come si è detto, con il diritto dominicale del privato, sia pure limitato dall’esistenza di tale servitù.
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1.1. Gli attuali appellanti, signor Al.Pi., e signora Mo.Vi., rivestono rispettivamente la qualità di condomino e di amministratrice del condominio “Pi.Gi.”, situato a Montebelluna in via ... (rectius: ...) n. 45 in posizione frontistante al complesso edilizio costituito dal locale Ospedale civile.
Essi espongono che il condominio, distinto in catasto al foglio n. 31, mappale n. 31, è sorto su iniziativa dei signori Gi.Pi., Ma.Fa. e No.Ba., ai quali sono poi subentrati la El. di Ge.Pi. & C. S.a.s. e la PI. di Gi.Pi. & C. S.a.s.
L’edificazione è avvenuta in base ad un Piano di recupero di iniziativa privata approvato a’ sensi degli allora vigenti artt. 11, comma 1, n. 2, lett. b), e 60 della l.r. 27.06.1985, n. 61, con deliberazione del Consiglio comunale di Montebelluna n. 150 dd. 05.06.1989, seguito dalla stipulazione in data 05.09.1991 di un’apposita convenzione urbanistica (cfr. doc.ti n. 3 usque 6 del fascicolo di primo grado della parte ivi ricorrente).
Va sin d’ora precisato che i quattro piani fuori terra del condominio si estendono su tre lati di un quadrilatero, al cui centro è stata realizzata una piazzola, di proprietà del condominio medesimo, complessivamente estesa per una superficie di mq. 120 e aperta sul quarto lato confinante su via ..., dalla quale vi si accede.
In buona sostanza, quindi, l’edificio condominiale assume la forma c.d. “a ferro di cavallo” prospiciente la via ....
Tale piazzola risultava inizialmente destinata all’epoca dei fatti di causa, a’ sensi dell’art. 35, comma 6, delle Norme tecniche di attuazione dell’allora vigente Piano regolatore generale del Comune, a “verde pubblico”, destinato a “parchi e ad aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti”, con conseguente possibilità di realizzare ivi “bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini (con esclusione di attrezzature o campi sportivi” (cfr. doc. 2 di parte appellante, riprodotto anche nel presente grado di giudizio).
A questo riguardo va sin d’ora evidenziato che l’art. 3 della predetta convenzione urbanistica prevedeva la costituzione sulla piazzola sopradescritta di un vincolo di uso pubblico come standard di Piano urbanistico attuativo (PUA).
L’invero singolare riconduzione della piazzola di proprietà condominiale a “verde pubblico” trova spiegazione, secondo gli appellanti, nella necessità - affermata dalla Relazione illustrativa del predetto Piano di recupero - di assicurare una dotazione minima di spazi pubblici, tra cui circa mq. 100 di spazi a verde, e nella correlativa circostanza che il progetto del condominio prevedeva un eccesso di mq. 120 di area a verde, corrispondente –per l’appunto– alla superficie della piazzola (cfr. pag. 7 dell’atto introduttivo del presente giudizio, nota 3).
Il susseguente art. 4 della medesima convenzione, nell’elencare le opere di urbanizzazione primaria, menzionava quindi anche le piazze “coperte e scoperte” (espressione, questa, che gli appellanti considerano del tutto “vaga e generica, considerato oltretutto che di piazza ne era prevista una soltanto”: cfr. ibidem).
Sulla medesima piazzola prospetta un pubblico esercizio denominato “Il.Ba.”, i cui locali rientrano sempre nel sopradescritto complesso condominiale, al quale è stato attribuito il numero civico n. 35 della medesima via ... e di cui è titolare la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c.
Tale esercizio “osserva l’orario di apertura dalle ore 07.00 alle ore 22.00” e “serve quasi esclusivamente i parenti dei ricoverati” nell’attiguo ospedale (cfr. pag. 2 del controricorso nel presente grado di giudizio presentato dalla medesima società).
Gli attuali appellanti riferiscono peraltro che alcuni anni dopo l’ultimazione dei lavori di costruzione del condominio la proprietà del predetto bar aveva iniziato a costruire sulla piazzola una grande tettoia allo scopo di dotare di una copertura le sedie e i tavolini riservati agli avventori.
Tale iniziativa della società aveva incontrato una risoluta opposizione da parte degli altri condomini, i quali non avevano prestato il proprio assenso alla realizzazione di tale struttura, “preoccupati dal fatto che la copertura avrebbe non solo ostruito le loro vedute verso la piazzola interna, ma soprattutto trasformato l’area a pertinenza esclusiva del medesimo bar, con prevedibile costante disturbo della quiete, diurna e notturna” (cfr. pag. 5 dell’atto introduttivo del presente giudizio).
L’amministratore del condominio, in tale contesto, aveva anche segnalato la circostanza all’Amministrazione comunale affinché fosse verificata la regolarità edilizia di tale intervento e, in caso contrario, assumesse i conseguenti provvedimenti sanzionatori.
Riferiscono sempre gli appellanti che l’opera in questione è risultata in effetti non assistita da un titolo edilizio e che i lavori erano stati pertanto sospesi con un provvedimento dell’Amministrazione comunale adottato in data 08.08.2000 quando peraltro la copertura risultava ormai di fatto già realizzata anche con un suo prolungamento fino all’ingresso del bar.
Gli appellanti precisano quindi che la società titolare del bar ha potuto ottenere la sanatoria per la realizzazione della tettoia verosimilmente in quanto gli elaborati del Piano di recupero raffiguravano -in effetti- al centro della piazzola condominiale un’opera di arredo, costituita –per l’appunto– da una copertura, peraltro destinata ad essere non già edificata quale opera di urbanizzazione, bensì quale opera privata che sarebbe stata quindi realizzata soltanto se e quando i condomini avessero voluto determinarsi in proposito: tanto che –rilevano sempre i medesimi appellanti– la stessa Amministrazione comunale, nell’assentire la sanatoria dell’opera, non ne ha scomputato il relativo importo dal contributo di concessione, riconoscendone sotto questo profilo la natura di opera privata.
Tuttavia –allo stesso tempo– la sanatoria è stata rilasciata a beneficio della società che l’aveva chiesta con atto della Giunta comunale mediante deliberazione n. 6 dd. 25.06.2001, nella quale si afferma che agli effetti della sanatoria medesima, disposta a’ sensi dell’allora vigente art. 77 della l.r. 27.06.1985, n. 61, l’opera assumeva natura di pubblica utilità (cfr. doc. 12 di parte ricorrente in primo grado).
Va anche precisato che tale provvedimento è stato impugnato sub R.G. n. 899 del 2001 innanzi al TAR per il Veneto dalle predette PI. S.a.s. di A.Pi. & C. e El. S.a.s. di Pi.Ge. & C., nella loro qualità di proprietarie pro tempore di alcune unità immobiliari facenti parte del condominio, deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:
   1) violazione dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985, posto che la tettoia non costituiva un’opera di urbanizzazione, ossia di un’opera di pubblica utilità; né tanto meno poteva riguardarsi quale opera pubblica;
   2) eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico, in quanto la realizzazione della medesima tettoia neppure rispondeva ad un pubblico interesse, bensì risultava esclusivamente funzionale all’interesse privato e commerciale della Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c., tanto da prolungarsi per un tratto fino al bar da essa gestito, essendosi pertanto l’Amministrazione comunale avvalsa del potere di cui all’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del 1985 per perseguire fini diversi da quelli per cui il potere stesso è stato attribuito;
   3) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto l’Amministrazione comunale aveva del tutto travisato i presupposti di fatto sulla cui base si era determinata, in particolare ritenendo erroneamente:
a) che la piazzola su cui realizzare la copertura fosse di proprietà pubblica, o almeno che fosse destinata a divenirlo;
b) che la tetttoia realizzata dalla Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c. fosse conforme a quella prevista dal Piano di recupero, mentre la prima recava –a differenza della seconda– un vistoso prolungamento e l’appoggio al muro condominiale, proprio in corrispondenza del bar;
   4) eccesso di potere per contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà, posto che l’Amministrazione comunale non aveva considerato la tettoia quale opera di pubblica utilità allorquando si era discusso di scomputarla dagli oneri di urbanizzazione, mentre l’aveva reputata opera di urbanizzazione, e cioè di pubblica utilità, allorquando si era trattato di approvare il progetto in sanatoria a’ sensi dell’anzidetto art. 77 della l.r. n. 61 del 1985;
   5) violazione sotto ulteriore profilo dell’art. 77 della l.r. n. 61 del 1985 per incompetenza, in quanto la disciplina in esso contenuta rimetteva al Consiglio comunale –e non all’organo giuntale– l’approvazione sostitutiva del titolo edilizio mancante.
Tale causa è stata chiamata in decisione dal giudice adito soltanto alla pubblica udienza del 06.03.2018, e nella sentenza che ha definito il relativo giudizio si legge “considerato che le parti hanno presentato … istanza congiunta di rinvio della trattazione della causa, per la pendenza di trattative volte alla composizione bonaria della lite”: istanza che peraltro il giudice medesimo non ha accolto, “ritenuta la mancanza dei presupposti ….. attesi il carattere risalente (della controversia), la genericità del riferimento alle trattative pendenti e l’essere la causa matura per la decisione”, dichiarando quindi, con sentenza semplificata resa a’ sensi dell’art. 74 c.p.a,. il ricorso inammissibile per omessa sua notifica alla controinteressata Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c. a’ sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a. (ma forse sarebbe stato più corretto richiamare al riguardo l’art. 21, primo comma, della l. 06.12.1971, n. 1034, vigente all’epoca della proposizione dell’impugnativa) (cfr. sentenza n. 290 dd. 06.03.2018 resa dalla Sez. I del TAR per il Veneto, prodotta quale doc. n. 12 dal Comune di Montebelluna in data 31.10.2019 agli atti del presente giudizio).
Tale sentenza non è stata impugnata e risulta pertanto passata in giudicato.
Ritornando agli originari atti di causa, tre anni dopo l’intervenuta sanatoria della tettoia, con atto Rep. n. 6176 dd. 29.09.2004, in esecuzione di quanto previsto dalla ormai risalente convenzione urbanistica dd. 05.09.1991, è stato formalmente costituito da tutti i condomini “un vincolo perpetuo” di “servitù di uso pubblico a favore del Comune di Montebelluna … sulle aree adibite a servizi, parcheggio e verde pubblici, così censite: Comune di Montebelluna, NCEU, Foglio 1, Mapp. n. 2552 … sub. 53, mq. 40,10 lastrico solare; Mapp. N. 2552, sub. 54, mq. 79,80 lastrico solare” (cfr. ibidem, doc. n. 15), corrispondenti alla piazzola sopradescritta.
Va rilevato sin d’ora che, a’ sensi dell’art. 2 dell’atto costitutivo di tale vincolo servile, “le parti private costituenti la servitù in oggetto dichiarano di essere divenute proprietarie in forza di titoli validi ed efficaci. A tal fine garantiscono la proprietà della quota a ciascuno spettante delle aree oggetto della presente costituzione di servitù, così come risultanti anche dal regolamento di condominio con annesse tabelle millesimali…”.
A questo punto la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c. ha chiesto all’Amministrazione comunale di occupare il “suolo pubblico in via ..., civico n. 35 per posa tavoli e sedie a servizio dell’esercizio pubblico, nei giorni dal 09.08.2006 al 31.12.2006”.
Con provvedimento n. 154/2005 dd. 03.08.2005 a firma del Dirigente preposto al Settore Terzo – Servizio gestione patrimonio demanio del Comune di Montebelluna tale autorizzazione è stata rilasciata “in via precaria–temporale”, “Eseguito il sopralluogo sul posto unitamente al Servizio Viabilità”, “Visto il parere favorevole della Giunta Comunale” non meglio specificato nei suoi estremi, nonché “Visti gli artt. 20 e 21 del Codice della Strada (d.lgs. n. 285 del 1992) e artt. dal n. 29 al n. 43 del Regolamento (d.P.R. n. 495 del 1992)”.
Tale autorizzazione, comportante l’occupazione di una superficie di mq. 75,52 (quindi pari a quasi due terzi della complessiva estensione della piazzola), è stata testualmente rilasciata “senza il pregiudizio del diritto di terzi” ed è stata contestualmente “vincolata all’osservanza” di alcune “prescrizioni speciali”, tra cui, in particolare, “che il suolo pubblico non venga manomesso, eventualmente sia ripristinato a regola d’arte”.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. n. 2706 del 2005 innanzi al TAR per il Veneto i signori Al.Pi. e Mo.Vi. hanno chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo, quale censura assorbente la circostanza che l’area interessata non era di proprietà pubblica e che, comunque, essa non era utilizzabile come plateatico da parte di un singolo in ragione della sua destinazione servile a beneficio della collettività.
1.3. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Montebelluna, sollevando eccezioni preliminari e concludendo comunque per la reiezione del ricorso.
1.4. Si è parimenti costituita nel medesimo primo grado di giudizio la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c., rassegnando analoghe conclusioni.
1.5. Con ordinanza n. 1025 dd. 13.12.2005, emessa a’ sensi dell’allora vigente art. 21, ottavo comma, della l. 06.12.1971, n. 1034, come aggiunto dall’art. 3 della l. 21.07.2000, n. 205, la Sezione III dell’adito TAR ha accolto la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, “considerato che pare opportuno richiamare il principio che vieta l’aggravamento della servitù, sicché l’atto impugnato appare confliggere con detto principio”.
1.6. Susseguentemente, con deliberazione n. 162 dd. 24.07.2006 la Giunta comunale di Montebelluna ha adottato un atto di indirizzo al fine di “rivitalizzare il centro storico della città tramite il rilascio da parte dei Dirigenti competenti di autorizzazioni e/o provvedimenti idonei alla realizzazione di costruzioni e/o impianti ad uso bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini, ecc. … previo apposito convenzionamento, sulle aree a verde pubblico, siano di demanio comunale ovvero gravate da uso pubblico, fatti salvi i diritti dei terzi”.
1.7. In conseguenza di ciò, con provvedimento Prot. n. 34538 dd. 07.09.2006 il medesimo Dirigente preposto al Settore Terzo -medio tempore ridenominato Servizio patrimonio demanio– del Comune di Montebelluna ha accolto una nuova richiesta della medesima società intesa ad ottenere “la occupazione temporanea di suolo pubblico in Viale (sic) ... (civico n. 35) con sedie e tavoli a servizio del proprio esercizio”; e ciò,
   - “Vista la convenzione rep. 3647/1991 con la quale i proprietari del terreno si impegnavano tra l’altro a ‘costituire vincolo di destinazione perpetua a titolo gratuito delle aree da destinare a … area a verde di mq. 120’”;
   - “Vista la delibera della Giunta Comunale n. 162 del 24.07.2006 con la quale è stato fissato un atto di indirizzo atto a rivitalizzare il centro storico della città tramite il rilascio da parte dei Dirigenti competenti di autorizzazioni e/o provvedimenti idonei alla realizzazione di costruzioni e/o impianti ad uso bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini ecc. su aree a verde pubblico anche gravate da uso pubblico;
   - Visto il parere dell’Ufficio Legale Contratti dell’01.09.2006;…
   - Visti gli artt. 20 e 21 del Codice della Strada (d.lgs. n. 285 del 1992) e artt. dal n. 29 al n. 43 del Regolamento (d.P.R. n. 485 del 1992)
”.
L’occupazione in tal caso è stata assentita per una superficie complessiva di mq. 50,99 (quindi minore rispetto a quanto assentito con il precedente provvedimento), precisando –altresì– che potevano essere collocati ivi 10 tavolini del diametro di cm. 0,60 e 40 sedie,
1.8. Con motivi aggiunti di ricorso il Pi. e la Vi. hanno pertanto chiesto l’annullamento anche di tali ulteriori provvedimenti.
1.9. L’Amministrazione comunale e la società controinteressata hanno aderito anche a tale ulteriore contraddittorio, parimenti concludendo per la reiezione della nuova impugnativa avversaria.
1.10. Con sentenza 04.02.2009 n. 258, recante un’ampia e dettagliata motivazione, la medesima Sezione III dell’adito TAR ha respinto l’originario ricorso e i motivi aggiunti susseguentemente proposti, rilevando innanzitutto che, secondo la tesi fondamentalmente dedotta dai ricorrenti, l’area di cui trattasi non sarebbe compatibile con l’uso a plateatico, e che tale assunto comportava pertanto la necessità “di un accertamento incidentale, pregiudiziale alla decisione sulla legittimità del provvedimento impugnato, e, dunque, ammissibile anche davanti a questo giudice (art. 7, l. 1034/1971).
   2.1. Il primo motivo del ricorso principale è rubricato nella violazione degli artt. 20 e 21 del d.lgs. 285/1992, nonché degli artt. 29-43 del d.P.R. 495/1992, e nell’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto d’istruttoria.
Esso muove dall’affermazione che il cortile interno, interessato dai due successivi provvedimenti, non sarebbe un’area pubblica, ma un’area privata “soggetta a semplice servitù d’uso pubblico, la cui proprietà è stata trasferita e appartiene per millesimi ai singoli titolari delle unità immobiliari in base a contratti regolarmente trascritti”.
L’errore sarebbe confermato dall’incongruo richiamo, contenuto nell’autorizzazione, alle disposizioni appena citate, le quali stabiliscono i requisiti necessari per il rilascio dell’autorizzazione ad occupare suolo pubblico.
Al contrario, l’area in questione non sarebbe una strada pubblica, ovvero un altro spazio pubblico quanto un’area scoperta, “pertinenziale di un edificio condominiale, caratterizzata … dal peso di una servitù di uso pubblico”.
Ciò risulterebbe da una sequenza documentale, costituita:
   a) dal piano di recupero, approvato con deliberazione 05.06.1989, n. 150, del consiglio comunale di Montebelluna, seguito dalla convenzione urbanistica 05.09.1991: essi prevedono la realizzazione della corte interna, e la costituzione gratuita di un vincolo di uso pubblico;
   b) dei contratti di vendita delle unità immobiliari incluse nel condominio, le quali comprendono una quota dell’area de qua;
   c) il decreto 10.09.2004, n. 171 con cui il dirigente del settore comunale urbanistica autorizza la costituzione di una servitù perpetua d’uso pubblico sull’area, seguita dall’atto di costituzione della stessa servitù, di data 24.09.2004, il quale, specificano i ricorrenti, “riguarda ancora e soltanto un diritto parziale costituito su un’area di proprietà privata”.
   2.2. Per altro verso, poi, il provvedimento sarebbe viziato da grave carenza d’istruttoria, e ciò anche qualora l’area fosse effettivamente pubblica, poiché, prima di autorizzare il plateatico, si sarebbe dovuto procedere alla comparazione dei diversi interessi, anche privati, qui contrapposti accertando se l’autorizzazione non compromettesse la vivibilità di un’unità immobiliare privata.
   2.3. Il secondo motivo –concretamente irrilevante, come si vedrà– è rubricato nella violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39 del d.lgs. 507/1993, nonché nell’eccesso di potere per travisamento dei fatti sotto altro profilo.
Rilevano, infatti, i ricorrenti –richiamando Cass. s.u., 18.03.1999, n. 158– come la titolarità di una servitù di pubblico passaggio su un’area privata, consenta all’Ente d’esercitare “i soli poteri che siano rivolti a garantire e disciplinare l’uso generale da parte della collettività, nell’ambito del pubblico interesse giustificativo della servitù medesima”.
Pertanto, ove il titolo costitutivo della servitù non lo consenta espressamente, non si possono concedere ad un singolo usi eccezionali e particolari su porzioni di detto immobile, non potendo, d’altro canto, neppure farsi discendere dalla parificazione delle aree private soggette a servitù di pubblico passaggio, a quelle del demanio o del patrimonio indisponibile, operata ex artt. 38 e 39 cit. agli effetti dell’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
Tale parificazione, fondata sulla circostanza che l’occupazione limita il godimento della servitù da parte della collettività e, dunque, può importare un corrispettivo, attiene esclusivamente al piano dei rapporti tributari e comporta soltanto che il Comune può pretendere la tassa da chi occupa l’area in forza di contratto con il privato proprietario o possa interferire, inibendolo o subordinandolo a propria autorizzazione, in ragione della suindicata giustificazione, sul diritto del proprietario di cedere a terzi l’uso di porzioni dell’area.
   3.1. Invero, soprattutto dopo l’esposizione del secondo motivo di ricorso, pare chiaro a questo Collegio come la vertenza proceda da un fraintendimento –l quale traspare anche dal provvedimento cautelare emesso da questa Sezione- e cioè che sull’area in questione, certamente privata, gravi una servitù prediale pubblica di passaggio.
   3.2. È anzitutto opportuno rammentare che i diritti reali pubblici parziali su beni privati, comunque definiti, non possono essere contenuti nell’ambito delle servitù prediali: ex art. 825 c.c., i diritti reali spettanti agli Enti territoriali su beni appartenenti ad altri soggetti, sono sottoposti al regime del demanio pubblico, anzitutto quando i diritti stessi sono costituiti “per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti” -e qui, indubbiamente, il riferimento più immediato è alle servitù prediali– ma, altresì, “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”.
   3.3. Secondo questa specifica disposizione, dunque, si possono avere in astratto dei diritti reali pubblici (ovvero, utilizzando una comune locuzione, delle servitù d’uso pubblico) che non richiedono un vincolo funzionale con altri beni pubblici (qui, ad esempio, la corte non è di passaggio tra due spazi pubblici) ed hanno il loro limite nello scopo, ed un contenuto stabilito dal titolo, il quale può essere costituito da un atto, volontario o coattivo, ovvero da una situazione di fatto tipica (usucapione, dicatio ad patriam).
Per questi diritti non si pone, invero, una questione d'aggravamento della servitù, ma di compatibilità dell’utilizzazione, data al bene privato dall’Ente pubblico, con il contenuto del diritto reale pubblico, secondo il suo titolo costitutivo: ed è appunto questo a dover formare ora oggetto di esame.
   4.1. Nella fattispecie, invero, come già accennato, il diritto reale è sorto pattiziamente: e per determinarne natura e contenuto è necessario considerare quegli stessi atti cui accennano i ricorrenti nel primo motivo di ricorso
   4.2. Orbene, il 05.09.1991, fu sottoscritta la convenzione per l’attuazione del piano di recupero tra il Comune e la proprietà: quest'ultima s’impegnò (art. 3) a costituire “un vincolo di destinazione perpetua a titolo gratuito delle aree da destinare a: area a servizi e parcheggio di m² 635; area a verde m² 120”, e quindi, per un totale di m² 755.
Realizzato l’edificio, furono cedute le unità immobiliari, richiamando negli atti di compravendita la stessa convenzione, divenuta così vincolante anche per gli aventi causa.
   4.3. Dopo che, nel 2004, fu infine emesso il certificato di collaudo per le opere d’urbanizzazione relative al piano, venne formato l’atto pubblico 24.09.2004, sottoscritto dal Comune e dalla proprietà.
L’art. 1 di questo stabilisce che, in ottemperanza degli obblighi assunti nella predetta convenzione, “i comparenti costituiscono servitù di uso pubblico a favore del Comune di Montebelluna, che accetta, e precisamente sulle aree adibite a servizi, parcheggio e verde pubblici”, per una superficie complessiva di m² 771 “in eccedenza a quanto previsto dalla convenzione in oggetto, rientrante nei limiti di tolleranza catastale”.
Tra questi sono le aree, qualificate come lastrico solare, a mapp. n. 2552 sub 53, per m² 40,10, e sub 54 per m² 79,90: nel complesso esse –la documentazione in atti non lascia dubbi– identificano la corte interna e costituiscono i m² 120 aventi, sin dal 1991, destinazione a verde pubblico.
   4.4. Attraverso l’atto de quo è stata dunque pattiziamente costituita in perpetuo una servitù a verde pubblico (e non, si badi bene, una servitù prediale pubblica, di passaggio o di altro genere) in cui, al peso gravante sul fondo servente, si vuol far corrispondere immediatamente un vantaggio in favore di una comunità di persone considerate uti civies.
La servitù pubblica de qua è dunque un diritto reale pubblico dell’Ente, costituito (non è superfluo ribadirlo) per perseguire “fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono” i beni demaniali –o patrimoniali indisponibili– del Comune, ex art. 825 c.c., e non invece per l’utilità di un determinato suo bene pubblico, rispetto al quale l’area privata si possa qualificare come servente, e per la quale si possa porre una questione di aggravamento.
   5.1. La questione successiva, a questo punto, è di stabilire quale sia il contenuto della servitù in questione, ovvero quali poteri e facoltà essa attribuisca all’Ente pubblico sul bene che ne costituisce oggetto. Il titolo –e cioè l’atto pubblico del 2004– non contiene per vero alcun elemento risolutivo; a sua volta, la convenzione del 1991 stabilisce che la ditta attuatrice s’impegna a costituire vincolo di destinazione perpetua a titolo gratuito delle aree da destinare a servizi e parcheggio e ad area a verde, e ciò all’art. 3, intitolato “vincolo di destinazione perpetua di uso pubblico delle aree per le opere di urbanizzazione primaria”.
   5.2. Ancora –e quanto si esporrà è forse utile, per restituire le giuste dimensioni alla vicenda– già la relazione del dicembre 1988 alla proposta privata per il piano di recupero poi approvato, nel paragrafo “indici e standards urbanistici”, dopo aver individuato la superficie utile da edificare, e le relative destinazioni, puntualizza come, ex art. 9 delle norme d’attuazione del piano regolatore generale, fosse necessaria una determinata dotazione minima di spazi pubblici, tra cui circa m² 100 di spazi a verde: e aggiunge che, in progetto, erano stati in eccesso previsti m² 120 d’area a verde (e si tratta del noto cortile, dunque liberamente scelto dal proponente).
   5.3. Considerato che fonte del vincolo di destinazione è la disciplina urbanistica locale, è dunque a questa, che si deve fare rinvio per determinare il contenuto della destinazione a verde, e, specificatamente, all’art. 35 (zone per spazi pubblici a servizio della residenza) delle citate n.t.a. del piano.
Segnatamente, il paragrafo 6 è appunto intitolato alle zone a verde pubblico, destinate “a parchi e ad aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti”: in esse, seguita la previsione, possono essere realizzate unicamente “costruzioni ad uso bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini (con esclusione di attrezzature o campi sportivi)”.
   5.4. Ora, sebbene sia evidente che la disposizione non sia stata immaginata per una corte condominiale, la stessa si può ben applicare anche a quest’ultima: sedie e tavolini sono infatti qualificabili come “attrezzature che servono al riposo degli adulti”; e, d’altra parte, se in un’area verde si possono realizzare costruzioni ad uso bar e chioschi di ristoro, a fortiori vi potranno essere installati sedie e tavolini, che ne sono meri accessori.
E, va aggiunto, proprio questa stessa disposizione, nulla specificando sulla proprietà di tali costruzioni, non preclude in alcun modo che queste siano private, e neppure che siano assentite con un provvedimento comunale che permetta un uso particolare, sebbene parziale e strumentale, di un’area a verde pubblico.
   6.1. In sintesi, secondo la disciplina applicabile, non v’è contrasto –o, almeno, questo non esiste nei termini proposti in ricorso– tra la destinazione a verde pubblico del cortile del condominio Pi., e l’autorizzazione al plateatico oggetto del ricorso principale, essendone tale utilizzo pienamente conciliabile, secondo quanto sin qui esposto, con la destinazione ad area verde.
Inoltre, non c’è dubbio che la servitù di uso pubblico consenta all’Ente di utilizzare il bene, seppure privato, in tutti i modi conciliabili con la servitù d’uso medesima, e quindi anche destinandolo a plateatico di un bar.
   6.2. Il primo motivo di ricorso è quindi infondato, e ciò vale anche per la parte in cui si censura il provvedimento perché l’Amministrazione non avrebbe verificato la compatibilità della destinazione con l’interesse dei vicini.
In sé, invero, l’autorizzazione ad occupare uno spazio d’uso pubblico di norma non determina lo svolgimento di un’attività pregiudizievole, tale da richiedere una valutazione preliminare di pericolosità da parte dell’Amministrazione.
Spettava dunque ai ricorrenti indicare quali peculiari elementi non siano stati tenuti nella dovuta considerazione dall’Amministrazione, o quale singolare pregiudizio –prevalente sugli altri interessi coinvolti– sia derivato dall’apertura del plateatico: ma nulla di tutto ciò è esposto in ricorso, il quale si limita ad esporre doglianze del tutto generiche.
   6.3. Inammissibile è poi il secondo motivo di ricorso, il quale, in realtà, più che individuare un profilo d’illegittimità del provvedimento impugnato, è destinato a confutare un possibile suo fondamento normativo: ma quanto sopra esposto rende del tutto irrilevante il contenuto della censura.
   7.1. I motivi aggiunti, proposti contro la seconda autorizzazione, disposta per un breve intervallo nel 2006, perdono interesse, una volta accertata la legittimità del primo provvedimento, il quale comprende anche l’intervallo relativo al secondo.
   7.2. In ogni caso, dei motivi nuovi proposti (per altra parte le censure corrispondono a quelle formulate con il ricorso principale) è certamente infondato quello che assume la nullità della nuova autorizzazione per contrasto con il “giudicato cautelare”, asseritamente intervenuto per effetto della mancata impugnazione in termini dalla citata ordinanza 1025/2005 della Sezione.
   7.3. Orbene, anzitutto il rimedio per il caso che l’Amministrazione non presti ottemperanza alle misure cautelari concesse, non è il ricorso ordinario di legittimità, ma l’istanza di cui all’art. 21, XIV comma, della l. 1034/1971.
In ogni caso, è bensì nullo ex art. 21-septies l. 241/1990 il provvedimento adottato in elusione od in violazione del giudicato, ma tale deve intendersi la statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato formale e non in un’ordinanza cautelare, provvedimento in sé provvisorio ed interinale, e dunque privo dei caratteri di stabilità e definitività perché le sue prescrizioni possano essere qualificate come un giudicato.
   7.4. La seconda censura è quella di violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, non essendo stato il nuovo provvedimento preceduto dal prescritto avviso d’avvio nei confronti del condominio e degli ulteriori controinteressati.
Peraltro, può qui trovare agevolmente applicazione l’art. 21-octies della l. 241/1990: è stato cioè dimostrato in giudizio che le parti controinteressate, e qui ricorrenti, non disponevano di validi argomenti perché il plateatico non fosse autorizzato, e l’avviso era pertanto superfluo.
   8. Il ricorso va dunque nel complesso rigettato, ma le incertezze nella corretta ricostruzione del titolo nella disponibilità dell’Amministrazione inducono all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti
.”.
2.1. Con l’appello in epigrafe i Signori Al.Pi. e Mo.Vi. chiedono ora la riforma della surriportata sentenza, deducendo al riguardo i seguenti ordini di motivi:
   i) erronea e falsa applicazione dell’art. 35.6 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Montebelluna; violazione dell’art. 11 del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380; erronea qualificazione giuridica e sostanziale capovolgimento dei termini del rapporto costituito per servitù di uso pubblico; carenza assoluta di motivazione su un punto decisivo della controversia;
   ii) error in iudicando rispetto ai presupposti di fatto degli atti impugnati: inesistenza del presupposto del “suolo pubblico” ai fini delle autorizzazioni; error in iudicando con riferimento alla mancata comparazione degli interessi, come riverberatasi anche nel mancato avvio del procedimento all’esito del quale è stata emessa la seconda autorizzazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990;
   iii) error in iudicando con riferimento al diritto di uso pubblico; violazione dell’art. 825 c.c.;
   iv) error in iudicando rispetto al secondo motivo di ricorso: violazione e falsa applicazione di legge: artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 507 del 1993; eccesso di potere per travisamento dei fatti sotto altro profilo.
2.2. Si è costituita anche nel presente grado di giudizio la Fo. e Pr.Id. & C. S.n.c., eccependo in via preliminare l’improcedibilità dell’appello in epigrafe per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione, posto che dopo la sua proposizione sono state puntualmente rilasciate dall’Amministrazione comunale, anno per anno, ben 13 analoghe autorizzazioni ad occupare con tavoli e sedie una porzione della piazzola, ivi compresa quella n. 10/2019 dd. 17.01.2019, da ultimo emessa.
Tali ulteriori provvedimenti, debitamente prodotti nel presente grado di giudizio dalla medesima società, ad avviso della stessa sostanzierebbero ad oggi una posizione giuridica degli attuali appellanti riconducibile ad una sopravvenuta acquiescenza della nuova situazione attualmente venutasi a determinare, in quanto da loro mai giudizialmente contestati.
In subordine tale parte insiste per la reiezione dell’appello.
2.3. Si è parimenti costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di Montebelluna, producendo identica documentazione e rassegnando analoghe conclusioni.
...
3.2.3. Venendo ora al caso di specie, invero fondatamente il giudice di primo grado ha escluso che la servitù di uso pubblico in questione sia riconducibile ad una servitù prediale pubblica, riferendone correttamente l’origine al Piano urbanistico attuativo di iniziativa privata approvato dal Consiglio comunale nell’ormai lontano 1989 e alla conseguente convenzione stipulata due anni più tardi tra il Comune e l’impresa costruttrice del condominio, laddove segnatamente l’art. 3 della convenzione medesima prevede la costituzione sulla piazzola di cui trattasi di un vincolo di uso pubblico come standard di piano, disciplinandone la destinazione, a’ sensi di quanto disposto dall’art. 35, comma 6, delle Norme tecniche di attuazione dell’allora vigente Piano regolatore generale del Comune, a “verde pubblico”, comprendente “parchi e ad aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti”, con conseguente possibilità di realizzare ivi “bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini (con esclusione di attrezzature o campi sportivi)”.
Questo Collegio -peraltro- a sua volta rimarca che se è vero che l’adibizione della piazzola di cui trattasi a standard urbanistico va ricondotta a una c.d. “monetizzazione” dell’opera a scomputo degli oneri di urbanizzazione previsti dall’allora vigente art. 3 della l. 28.02.1985, n. 47 (oggi sostituito dall’art. 12 e ss. del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e dalla tutt’oggi vigente disciplina contenuta negli artt. 81 e ss. della l.r. 27.06.1985, n. 61, e successive modifiche, ciò è nella specie avvenuto senza prefigurare, secondo l’id quod plerumque accidit sancito anche dall’art. 28 della l. 17.08.1942, n. 1150, come modificato dall’art. 8 della l. 06.08.1967, n. 765, l’obbligo di trasferire il bene immobile realizzato dal privato a scomputo degli oneri predetti in proprietà al Comune, oltre a tutto -si badi- non già ascrivendolo al demanio comunale, bensì al suo patrimonio indisponibile, a’ sensi di quanto espressamente disposto al riguardo dall’art. 16, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380, già entrato in vigore all’epoca in cui è stato sottoscritto l’atto di cessione (29.09.2004), e -quindi- con l’applicazione per tali beni delle norme contenute negli artt. 826 e 828 c.c.
Nel caso di specie, evidentemente, la parte pubblica e quella privata in sede di convenzione e, successivamente, in sede di atto di cessione dell’area di cui trattasi, hanno dunque inteso agire diversamente, fuoriuscendo dallo schema della disciplina sin qui descritta e prefigurando, quindi, per la piazzola in questione, la conservazione della proprietà privata, peraltro funzionalizzandola al pubblico interesse mediante l’istituzione su di essa del diritto parziario -esso, sì, qualificato ex lege come demaniale- di cui all’art. 825 c.c
Al riguardo la lettera degli artt. 3 e 4 dell’atto di cessione Rep. n. 6176 dd. 29.09.2004, così come riferiti al § 1.1 della presente sentenza, risulta inequivoca, posto che mediante l’atto medesimo tutti i condomini unilateralmente istituiscono sull’immobile in questione “un vincolo perpetuo” di “servitù di uso pubblico a favore del Comune di Montebelluna”.
Ma vi è di più.
Il medesimo atto di cessione, negli anzidetti artt. 3 e 4, descrive complessivamente -e genericamente- le aree su cui il vincolo è costituito come “adibite a servizi, parcheggio e verde pubblici”, ma poi testualmente e in via del tutto inequivocabile indica lo stato reale dei due subalterni nn. 53 e 54 del mappale n. 2552 corrispondenti per la piazzola in questione come “lastrici solari”, ossia con una connotazione ben diversa rispetto a quanto le parti fino a quel momento avevano tra di loro stabilito in termini di destinazione urbanistica, e cioè quella di “verde pubblico”.
Tale circostanza si riconnette per certo a quanto già dianzi rilevato al § 1.1 della presente sentenza in ordine alla coincidenza della complessiva estensione della piazzola (mq. 120) con il “verde pubblico” realizzato in eccesso rispetto alle previsioni del piano attuativo della relativa convenzione; ma, se è così, e se è altrettanto vero che nella convenzione medesima testualmente si prevedeva anche la realizzazione di “piazze” e che –per l’appunto– di queste ne è stata indubitabilmente realizzata una soltanto, pare evidente che in sede di atto di cessione le parti hanno voluto dare atto di tutto quanto sopra, conseguentemente precisando che il diritto parziario demaniale del Comune non veniva più materialmente fatto gravare su di un bene che fino a quel momento soltanto per fictio era stato definito come “area verde”, ma veniva a quel momento istituito sulla predetta “piazza”, rectius sui due lastrici formanti la piazzola facente parte del condominio: un luogo, insomma, dove certamente non poteva essere creato un “parco” come previsto dal predetto art. 35, comma 6, delle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale a quel tempo vigente, e che di per sé potrebbe fors’anche ospitare, ma in modo decontestualizzato rispetto alla ivi non più attuata area di “verde pubblico” -e, quindi, soltanto per espressa, ma qui per l’appunto mancante, nuova pattuizione tra le parti- le altre infrastrutture previste dalla disciplina di piano in precedenza richiamata e ivi non più di fatto vigente, ossia le “aree attrezzate per il gioco dei bambini e dei ragazzi e per il riposo degli adulti”, con la conseguente possibilità di parimenti realizzarvi “bar, chioschi di ristoro, tettoie aperte, servizi igienici, gioco bambini”: ma, giova ribadire, solo previo espresso accordo in tal senso tra le parti.
Per contro, la convenzionalmente disposta “scissione”, intervenuta nel 2004 in sede di stipula dell’atto d’obbligo costitutivo della servitù di uso pubblico, tra il contenuto della predetta previsione di piano e la ricognizione della qualità intrinseca dell’area asservita come non rientrante tra il “verde pubblico”, ragionevolmente riconduce il contenuto della servitù medesima a un quid che non si discosta, con riguardo alla concreta caratteristica dei luoghi, a un asservimento che si esaurisce –nell’acclarato difetto di specifiche pattuizioni in senso contrario- nell’esercizio di un mero diritto di passaggio su di una corte di proprietà privata.
Ma, anche in disparte tutto ciò, il punto nodale della questione risiede nella circostanza che dapprima il Comune, e il giudice di primo grado poi, hanno nella specie completamente travisato il contenuto del diritto parziario demaniale che è stato istituto, estendendolo oltre misura ed in via del tutto illegittima fino a cancellare di fatto la proprietà privata pur expressis verbis conservata nell’anzidetto atto di cessione del 2004.
Giova a questo riguardo evidenziare che nel contesto dell’art. 825 c.c. l’ente pubblico non può disporre in ordine alle aree private assoggettate a servitù pubblica oltre i limiti necessari per garantire la perdurante insistenza sul bene del diritto di proprietà del privato.
In tal senso, infatti, l’ente pubblico titolare del diritto parziario demaniale non può esercitare, sui beni assoggettati a diritto di uso pubblico, i poteri che di norma spettano all’ente medesimo sui beni integralmente rientranti nel proprio demanio, e in primis quello di concedere a singoli privati un uso eccezionale dei beni medesimi.
Infatti, la concessione di un uso esclusivo a un terzo del bene privato “funzionalizzato” a’ sensi dell’art. 825 c.c. all’uso pubblico, violerebbe per certo l’utilizzo del bene uti cives da parte dell’intera comunità di cui il Comune –nella specie– è, nondimeno, il soggetto esponenziale nonché garante dei relativi diritti e interessi.
Allo stesso tempo il Comune, disponendo a favore di un singolo il godimento in via esclusiva del bene di cui non è integralmente titolare ma in ordine al quale esercita unicamente un diritto parziario finalizzato al perseguimento del pubblico interesse, violerebbe altrettanto certamente il pur funzionalizzato diritto di proprietà di cui il privato è titolare: e ciò, dunque, infrangendo la ben nota regula iuris di diritto comune -ma, all’evidenza, valida anche in diritto pubblico- per cui nemo plus iuris in alium transferre potest, quam ipse habet, (D. 50.17.54 – Ulpianus, liber XLVI, Ad edictum).
Va qui anche opportunamente precisato che l’uso “speciale” (o altrimenti definito “eccezionale”) del bene si determina anche attraverso una sua occupazione non soltanto permanente, ma anche temporanea, da parte di colui che se ne avvale uti singulus.
Tali principi sono chiaramente espressi da una giurisprudenza risalente nel tempo, ma ancor oggi del tutto consolidata e –soprattutto– assolutamente coerente con la disciplina contenuta nell’art. 825 c.c. e dianzi illustrata al § 3.2.2 della presente sentenza.
Cass. civ., Sez. I, 02.03.1964 n. 469, e 29.11.1979 n. 6272, hanno infatti già avuto modo di affermare che l’Amministrazione comunale, titolare di una servitù di uso pubblico su di un’area privata, può su di essa esercitare i soli poteri che siano rivolti a garantire e disciplinare l’uso generale da parte della collettività, nell’ambito del pubblico interesse giustificativo della servitù medesima, e che pertanto, ove non sia espressamente consentito dal titolo, il Comune medesimo non può concedere al singolo usi eccezionali e particolari su porzioni di tale immobile (nella specie l’erezione di un’edicola per la rivendita di giornali).
Né può sostenersi che l’Amministrazione comunale potrebbe comunque consentire, a prescindere dalla volontà del privato proprietario, l’uso eccezionale da parte di un terzo del bene asservito all’uso pubblico con riguardo a quanto disposto dagli artt. 38 e 39 del d.lgs. 15.11.1993, n. 507, recante –tra l’altro– la “revisione ed armonizzazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province”, dove invero rispettivamente si legge al comma 3 del predetto art. 38 che tale tassa “si applica, altresì, alle occupazioni realizzate su tratti di aree private sulle quali risulta costituita, nei modi e nei termini di legge, la servitù di pubblico passaggio” e all’art. 39 predetto che “la tassa è dovuta al comune o alla provincia dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio”.
Sul punto, Cass. civ., SS.UU. 08.03.1999, n. 158, e 08.07.1998, n. 6633, hanno infatti a loro volta avuto modo di evidenziare che la parificazione delle aree demaniali o del patrimonio indisponibile a quelle private soggette a servitù di uso pubblico, operante ai fini dell’applicazione della tassa (oggi canone) per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, trova la sua ratio nella circostanza che la parziale occupazione di tali aree comporta comunque una sottrazione della superficie occupata all’uso pubblico cui la stessa è destinata, giustificando, così, la debenza della tassa in parola da parte dell’occupante quale corrispettivo della limitazione apportata al godimento della collettività: ma ciò attiene esclusivamente al piano dei rapporti tributari e comporta, tutt’al più, che il Comune possa pretendere quella tassa da chi occupi gli spazi abusivamente o in virtù di contratto con il privato proprietario, o anche che possa interferire, inibendolo o subordinandolo a propria autorizzazione, in forza della suindicata ratio, sul diritto di tale proprietario di cedere a terzi l’uso di porzioni dell’area, ma non può giammai indurre a configurare, salva un’espressa previsione del titolo costitutivo della servitù pubblica di passaggio, un suo autonomo potere concessorio, assolutamente incompatibile, come si è detto, con il diritto dominicale del privato, sia pure limitato dall’esistenza di tale servitù.
Traslando tali assunti al caso di specie, quindi, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto concedere alla Fo. e Pr. & C. S.n.c. l’area di cui trattasi solo ed esclusivamente previo assenso da parte del condominio, al fine di rispettarne il suo perdurante diritto di proprietà.
Pare evidente, infatti, che l’insistenza dell’occupazione anche parziale della piazzola in questione da parte del pubblico esercizio, limitandone la fruizione uti cives e sostanziando un uso eccezionale di tale porzione dell’immobile uti singulus, si configura quale circostanza che fuoriesce dallo “statuto” della proprietà del bene asservito, e richiede –sempre e comunque– l’assenso del tutto condizionante da parte dei condomini.
Ove tale assenso manchi, all’Amministrazione comunale è inibito il rilascio dell’autorizzazione al plateatico, e in caso contrario essa adotta un provvedimento del tutto illegittimo, emesso in carenza di potere e suscettivo di arrecare danno alla privata proprietà, in tal modo compressa contra legem.
Del resto, tutto ciò risulta a sua volta coerente con il corollario di tale ordine di assunti recentemente affermato dalla medesima giurisprudenza, secondo cui, essendo -come si è detto- le servitù di uso pubblico dei diritti reali atipici e sui generis appartenenti ad una determinata collettività, finalizzati al soddisfacimento di un interesse pubblico e costituendo essi una figura diversa dal diritto d’uso civilisticamente inteso, non è possibile porre a carico del Comune, che esercita tale diritto di servitù su un immobile, il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) di cui al d.lgs. 30.12.1992, n. 504, posto che il Comune medesimo è il rappresentante della collettività, e che quest’ultima –a sua volta– “nel nostro ordinamento non ha alcuna capacità giuridica e di agire”.
Ne consegue che al soggetto proprietario dell’immobile oggetto di tali servitù compete comunque il pagamento dell’imposta, correlativamente mantenendo tutti i poteri del dominus sul bene, in ordine al quale sussiste soltanto una circoscritta limitazione del godimento (così Cass. civ., sez. trib, 30.09.2019, n. 24264).
Riassuntivamente, quindi, l’appello in epigrafe va accolto in quanto i motivi in esso contenuti evidenziano come la sentenza impugnata ha totalmente omesso di disaminare quali fossero i limiti del potere del Comune in relazione alla servitù gravante sull’area in questione, tralasciando quindi di considerare che il relativo problema non assumeva –di per sé– una mera rilevanza urbanistico–edilizia, bensì dominicale, dovendosi semmai accertare, in esito alla proposizione delle impugnative avverso le autorizzazione di plateatico rilasciate sull’area medesima, non già quali opere fossero ivi realizzabili, bensì fino a che punto, con quali modalità e per quali finalità il diritto di proprietà dei condomini poteva essere limitato per motivi di pubblico interesse.
La totale obliterazione della posizione dei soggetti proprietari dell’area è stata addirittura statuita nella sentenza impugnata anche sotto il profilo procedimentale attraverso un invero non condivisibile richiamo all’art. 21-octies della l. 07.08.1990, n. 241, affermando in tal modo la legittimità dell’esito del procedimento di rilascio delle autorizzazioni di plateatico nel senso che il Comune potrebbe abnormemente comportarsi sull’area di cui trattasi uti dominus, usurpandone di fatto la proprietà e concedendone l’uso esclusivo ad un solo soggetto.
Né, da ultimo, va sottaciuto che in tal modo sono stati nella specie travalicati i limiti della servitù di uso pubblico sia dal punto di vista oggettivo (essendo alquanto discutibile, anche al di à dell’improprio richiamo alle prescrizioni del P.R.G. per le aree a “verde pubblico” riferite ad un’area non più tale, che ciò comunque sia sufficiente a legittimare l’esercizio sull’area medesima di un’attività economica privata svolta uti singulus), sia da quello oggettivo, essendo a quest’ultimo riguardo del tutto pertinente il rilievo degli appellanti secondo cui, anche a voler seguire il ragionamento del giudice di primo grado, a poter occupare l’area poteva essere al più autorizzato il condominio stesso quale proprietario, ma non certo soggetti terzi –ancorché condomini– i quali agiscano comunque senza il consenso del condominio medesimo.
Da ultimo, va precisato che dall’annullamento dei provvedimenti impugnati nel primo grado di giudizio consegue anche quello di tutti gli analoghi atti meramente confermativi succedutisi, in prosieguo di tempo, di anno in anno (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.05.2020 n. 2999 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAPer costante giurisprudenza <<una strada vicinale pubblica può essere qualificata come tale solo allorché sussistano determinati elementi di fatto, consistenti nella configurabilità di un effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, dalla concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale (anche per il collegamento con la pubblica via), nonché dall'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico, non essendo sufficienti l'iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali e la mancanza di un provvedimento comunale di declassamento>>.
L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico non ha natura costitutiva bensì dichiarativa, e costituisce soltanto una presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria che esclude l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.
Pertanto, la qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto, presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti cives).
Peraltro “la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione, può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico”.
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1. Come ha sostenuto il Consiglio di Stato (cfr. sez. V – 16/03/2020 n. 1870), per costante giurisprudenza <<una strada vicinale pubblica può essere qualificata come tale solo allorché sussistano determinati elementi di fatto, consistenti nella configurabilità di un effettivo passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale, dalla concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale (anche per il collegamento con la pubblica via), nonché dall'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico, non essendo sufficienti l'iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali e la mancanza di un provvedimento comunale di declassamento (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 29.05.2017, n. 2531)>>.
1.1 L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico non ha natura costitutiva bensì dichiarativa, e costituisce soltanto una presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria che esclude l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività (Consiglio di Stato, sez. IV – 19/03/2015 n. 1515; TAR Puglia Bari, sez. III – 30/05/2017 n. 559).
Pertanto, la qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto, presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti cives) (TAR Lombardia Brescia, sez. II – 29/11/2018 n. 1132, che risulta appellata).
Peraltro “la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione, può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico” (Consiglio di Stato, sez. IV – 10/10/2018 n. 5820) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 12.05.2020 n. 316 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAUn’area privata può essere assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando tale uso interessi una collettività indeterminata di soggetti titolari di un interesse pubblico di carattere generale e non di soggetti titolari di una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
La giurisprudenza afferma, infatti, che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse allo loro privata utilizzazione oppure rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici.
In definitiva, perché una strada privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio è necessario che sia intrinsecamente idonea a tale uso e che esso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone.
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9.1. Non essendo in discussione che la strada in questione sia di proprietà del condominio appellante, si deve considerare che un’area privata può essere assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando tale uso interessi una collettività indeterminata di soggetti titolari di un interesse pubblico di carattere generale e non di soggetti titolari di una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
La giurisprudenza afferma infatti che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse allo loro privata utilizzazione (Cass. civ., sez II, 23.05.1995, n. 5637) oppure rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., sez. I, 22.06.1985, n. 3761; Cons. Stato, sez. V, 14.02.2012, n. 7289).
In definitiva, perché una strada privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio è necessario che sia intrinsecamente idonea a tale uso e che esso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 09.03.2020 n. 1708 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: G.U. 28.01.2020 n. 22 "Revisione delle reti stradali relative alle Regioni Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto" (D.P.C.M. 21.11.2019).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Che una via sia inserita nell’elenco delle strade ad uso pubblico e che sia dotata di illuminazione e di sottoservizi tali circostanze, come è noto, costituiscono una mera presunzione di pubblicità dell'uso di cui è possibile fornire prova contraria.
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Come chiarito dalla giurisprudenza, l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal privato sia conseguenza immediata e diretta dell’illegittimità del provvedimento impugnato, mentre si è fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un provvedimento favorevole, che si assume illegittimo, si configuri solo come uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda sulla capacità del provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del suo patrimonio, che consegue a tale affidamento.
Ciò vale anche in ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle quali, come nel caso di specie, il soggetto leso denuncia una lesione della sua integrità patrimoniale derivante dall’affidamento incolpevole sulla legittimità dell’attribuzione favorevole ritenuta illegittima, che dà luogo ad una situazione soggettiva, che si ritiene lesa, qualificabile come diritto soggettivo, rispetto alla quale il comportamento che si assume lesivo dell’Amministrazione non consiste nella sola illegittimità dell’agire, ma nella violazione del principio generale del neminem laedere.
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I ricorrenti sono proprietari di un terreno nel Comune di San Martino di Venezze a lato di una strada denominata via Trento, per il quale hanno ottenuto il permesso di costruire n. 52/2008 del 07.10.2008, per la realizzazione di un’abitazione unifamiliare.
Tale abitazione non è stata costruita perché un vicino, sostenendo di essere proprietario esclusivo del tratto terminale di via Trento, ha impedito ai ricorrenti l’accesso al proprio fondo.
I ricorrenti con nota del 28.08.2012, hanno chiesto al Comune di intervenire per rendere accessibile la strada, sostenendo che la stessa è pubblica o quantomeno ad uso pubblico.
Il Segretario comunale con nota prot. n. 7533 del 05.12.2012 ha respinto l’istanza rilevando che la porzione di strada oggetto di contestazione è del controinteressato e che la stessa non ha le caratteristiche per poter essere definita d’uso pubblico.
Tale provvedimento non è stato impugnato.
Successivamente i ricorrenti con atto di diffida del 26.07.2017, hanno quindi chiesto nuovamente al Comune il ripristino in via d’urgenza dell’uso pubblico della strada, per consentire la prosecuzione dei lavori sul proprio fondo e per recuperare al pubblico accesso e transito la via.
Il Comune, previa acquisizione di un parere legale, con decreto sindacale n. 10 del 16.10.2017, ha risposto in senso negativo alla richiesta, riconfermando in sostanza le argomentazioni già illustrate nella precedente nota del 2012.
Con il ricorso in epigrafe tale provvedimento è impugnato con un unico ed articolato motivo con il quale i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 15 del D.L.L. 01.09.1918, n. 1446, dell’art. 378 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. F, il difetto e la falsità di presupposti, la contraddittorietà rispetto a precedenti comportamenti dell’Amministrazione e lo sviamento.
Inoltre, con domanda di risarcimento, i ricorrenti pretendono il ristoro dei danni causati dal ritardo del Comune nel rilascio del provvedimento di autotutela possessoria o comunque di apprensione del bene per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, ovvero da mancata realizzazione dell’immobile, in caso di reiezione del ricorso, per la lesione dell’affidamento indotto dall’Amministrazione all’atto di rilascio del permesso di costruire assentito, in modo illegittimo, nonostante l’inesistenza di una via di accesso al fondo.
Per quanto riguarda la domanda di annullamento in particolare i ricorrenti lamentano che erroneamente il Comune ha rifiutato di esercitare i propri poteri in ordine al ripristino della viabilità pubblica sulla strada ad uso pubblico, e che ciò avrebbe dovuto fare sulla base della semplice circostanza che la predetta strada risulta iscritta nell’elenco delle strade di uso pubblico del Comune, che costituisce una presunzione di demanialità.
...
L’eccezione di difetto di giurisdizione deve essere respinta.
Nel caso in esame il petitum sostanziale è la verifica di legittimità del provvedimento con il quale il Comune ha respinto l’istanza di esercizio dei poteri di autotutela possessoria in tema di strade al fine di garantirne il libero transito alla generalità delle persone, con richiesta di un accertamento solamente incidentale e senza efficacia di giudicato della proprietà della strada ai sensi dell’art. 8 cod. proc. amm. (ex pluribus cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 04.07.2019, n. 1530; Consiglio di Stato, Sez. V, 16.10.2017, n. 4791; Tar Campobasso, Sez. I, 19.05.2016, n. 212), diversamente da quanto accaduto nei precedenti giurisprudenziali richiamati nelle difese del Comune (cfr. Tar Veneto, Sez. I, 28.02.2019, n. 250) in cui il soggetto che si proclamava proprietario della strada agiva nei confronti del Comune non per la verifica del corretto esercizio dei poteri amministrativi, ma sostanzialmente con un’azione di negatoria servitutis.
Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Infatti è vero che via Trento è inserita nell’elenco delle strade ad uso pubblico ed è dotata di illuminazione e di sottoservizi. Tuttavia tali circostanze, come è noto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.10.2018, n. 5820; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 12.07.2016, n. 7967), costituiscono una mera presunzione di pubblicità dell'uso di cui è possibile fornire prova contraria.
Nel caso di specie va osservato che effettivamente, come già documentato dal Comune nel provvedimento, analogo a quello impugnato in questa sede, del Segretario comunale prot. n. 7533 del 05.12.2012 (cfr. doc. 5 allegato alle difese del Comune) e allora non impugnato, vi sono una pluralità di elementi che depongono nel senso dell’insussistenza dei requisiti propri dell’uso pubblico del tratto di strada oggetto di contestazione.
Infatti il predetto tratto di strada di proprietà del controinteressato che in origine costituiva l’area cortilizia pertinenziale della sua abitazione, è stato delimitato da un cancello in tempi non recenti, e il Comune, quando nel 2008 ha realizzato delle opere di urbanizzazione sulla strada, ha acquisito il sedime della stessa esclusivamente con riguardo alle aree comprese nel Foglio 14, mappale n. 39, di mq 1030, che corrisponde al tratto iniziale della strada, con espressa esclusione del terreno di proprietà del controinteressato delimitato dal cancello (cfr. la deliberazione della Giunta comunale n. 21 del 05.03.2008 contenente disposizioni di indirizzo per l’acquisizione della strada, la deliberazione della Giunta comunale n. 36 del 04.04.2008 avente ad oggetto l’approvazione dell’elenco dei proprietari e l’atto di determinazione dell’indennità nonché il provvedimento dirigenziale prot. n. 3524 del 20.05.2008, di acquisizione, di cui ai docc. nn. 6, 7 e 8 allegati alle difese del Comune).
Peraltro la circostanza che il predetto tratto di strada sia delimitato da un cancello fin da epoca risalente (almeno dal 2010 per ammissione degli stessi ricorrenti; il Comune sostiene invece che la chiusura risale almeno al 2008, come attestato da una lettera dei ricorrenti del 2011 in cui affermano di aver potuto realizzare le fondazioni del fabbricato attraverso un accesso provvisorio da nord, ammettendo in tal modo implicitamente che il passaggio dal fondo del controinteressato gli era precluso) impedisce di configurare nella fattispecie un acquisito per usucapione da parte del Comune, e denota l’insussistenza dei requisiti necessari per poter affermare l’esistenza del transito da parte di chiunque e il protrarsi dello stesso per lungo periodo, come specificato dal provvedimento del Segretario comunale prot. n. 7533 del 05.12.2012, non impugnato, con cui era stata respinta un’istanza analoga a quella che ha dato luogo all’adozione del provvedimento impugnato in questa sede (cfr. doc. 5 allegato alle difese del Comune).
Pertanto, poiché allo stato si deve ritenere che la strada pubblica termini proprio al confine con il terreno dei controinteressati nel punto delimitato dal cancello, il provvedimento del Comune si rivela immune dai vizi dedotti dalla parte ricorrente, con conseguente reiezione del ricorso nella sua parte impugnatoria.
Quanto alle due domande di risarcimento proposte, la prima deve essere respinta, la seconda, come indicato alle parti nel corso dell’udienza pubblica ai sensi dell’art. 73 cod. proc. amm., deve essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione.
Infatti la prima domanda di risarcimento è espressamente proposta per l’ipotesi di accoglimento del ricorso, ed ha ad oggetto la richiesta di ristorare i danni subiti a causa del ritardo con il quale il Comune è intervenuto ad esercitare i propri poteri di autotutela possessoria sulla strada al fine di garantirne il libero transito alla generalità delle persone che, come sopra chiarito, il Comune ha invece legittimamente rifiutato di esercitare.
La seconda domanda, proposta per l’ipotesi di reiezione del ricorso, è volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per aver confidato nella legittimità del permesso di costruire rilasciato nel 2008 che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, deve invece considerarsi illegittimo in quanto il Comune in quella sede non avrebbe verificato l’esistenza di un accesso al lotto dalla pubblica via.
Rispetto a tale domanda il Comune sostiene di non essere tenuto a svolgere tale tipo di verifiche, perché non può negare il rilascio del permesso di costruire per la mancanza di un accesso dalla pubblica via, potendo supplire al problema l’eventuale costituzione di una servitù coattiva di passaggio in favore del fondo intercluso.
Orbene, la domanda risarcitoria, così formulata, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
Infatti come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. Un., id. 04.09.2015, n. 17586; id. 22.05.2017, n. 12799; id., 23.01.2018, n. 1654; id., 24.09.2018, n. 22435; id. 13.12.2018, n. 32365) l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal privato sia conseguenza immediata e diretta dell’illegittimità del provvedimento impugnato, mentre si è fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un provvedimento favorevole, che si assume illegittimo, si configuri solo come uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda sulla capacità del provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del suo patrimonio, che consegue a tale affidamento.
Ciò, ha inoltre chiarito la sopra citata giurisprudenza, vale anche in ipotesi di giurisdizione esclusiva nelle quali, come nel caso di specie, il soggetto leso denuncia una lesione della sua integrità patrimoniale derivante dall’affidamento incolpevole sulla legittimità dell’attribuzione favorevole ritenuta illegittima, che dà luogo ad una situazione soggettiva, che si ritiene lesa, qualificabile come diritto soggettivo, rispetto alla quale il comportamento che si assume lesivo dell’Amministrazione non consiste nella sola illegittimità dell’agire, ma nella violazione del principio generale del neminem laedere.
In definitiva pertanto il ricorso deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 26.11.2019 n. 1284 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Corte di Cassazione ha costantemente affermato “…che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione”.
La giurisdizione del giudice amministrativo non può radicarsi in forza dell'articolo 133, comma 1, lett. f) cpa, poiché tale giurisdizione presuppone che l'amministrazione abbia agito con atti idonei a influire sullo statuto proprietario, determinando l'affievolimento dei diritti soggettivi in interessi legittimi, circostanza che non è riscontrabile nel caso di specie ove è stato assunto un atto di natura meramente dichiarativa.
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Una controversia circa il riconoscimento del diritto di uso pubblico su una strada privata è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario poiché –come già rilevato– investe l'accertamento dell'esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi dei privati o della pubblica amministrazione, senza che a tale conclusione possa frapporsi l'esistenza di un formale atto di classificazione della strada.
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FATTO
A. I ricorrenti sono comproprietari di un appartamento nel condominio Is., che insiste in Via X giornate, strada interclusa classificata di uso pubblico. Riferiscono in punto di fatto che in corrispondenza del n. civico 14, l’arteria si allarga, e il tratto viene utilizzato dai residenti sia come parcheggio sia per consentire le manovre di inversione di marcia.
B. Rappresentano che, malgrado ciò, nell’autunno 2011 soggetti terzi hanno posizionato cavalletti e catene presso lo slargo al termine della strada.
C. La diffida trasmessa al Comune restava senza riscontro, cosicché il 24/1/2012 veniva depositata un’istanza di accesso agli atti amministrativi. Con nota 26/03/2012 l’amministrazione:
   - informava dell’assenza sia di pratiche o istanze per collocare paletti o strutture sulla strada sia di ordinanze o atti autorizzatori che assentissero gli interventi in corso;
   - precisava però che Via X Giornate sarebbe stata dichiarata strada privata ad uso pubblico, ad eccezione dello slargo posto al termine stessa.
D. Sostengono gli esponenti che il titolo abilitativo rilasciato ai controinteressati nel 1975 recava la prescrizione di arretrare il fabbricato in costruzione e il muro di recinzione per lasciare uno spazio sufficiente a creare uno slargo di manovra per l’utilizzo collettivo (cfr. parere della Commissione edilizia nella seduta del 19/11/1974 – doc. 6 e 7). La vocazione dei beni all’uso pubblico sarebbe stata confermata nelle tavole di azzonamento del PGT, poiché le aree sono comprese nel sistema viario pubblico (doc. 12, 13 e 14).
E. Dopo l’instaurazione del contraddittorio, con l’atto impugnato (doc. 1) l’Ente locale ha preso atto che Via X giornate è privata ad uso pubblico e soggetta a pubblico transito, ma lo slargo corrispondente al civico ... –individuato tra il mappale 265 (area di sedime stradale) e 532 (porzione appartenente ai Sigg.ri Pa.)– è di proprietà esclusivamente privata, come si desume dall’estratto di mappa.
...
DIRITTO
I ricorrenti censurano il provvedimento della Giunta comunale che ha qualificato il tratto della strada denominata Via X Giornate.
0. Nella memoria conclusionale la parte controinteressata ha dedotto il difetto di giurisdizione del giudice adito sulle questioni inerenti all’accertamento della proprietà (pubblica o privata) di una strada o all’esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata.
La prospettazione è condivisibile.
0.1 Come evidenziato da TAR Lombardia Milano, sez. II – 19/07/2018 n. 1767, la Corte di Cassazione ha costantemente affermato “…che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, poiché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione (Cass. civ., SS.UU., 23.12.2016, n. 26897; Id., 27.01.2010, n. 1624)”.
La giurisdizione del giudice amministrativo non può radicarsi in forza dell'articolo 133, comma 1, lett. f) cpa, poiché tale giurisdizione presuppone che l'amministrazione abbia agito con atti idonei a influire sullo statuto proprietario, determinando l'affievolimento dei diritti soggettivi in interessi legittimi, circostanza che non è riscontrabile nel caso di specie ove è stato assunto un atto di natura meramente dichiarativa.
0.2 Anche se la domanda proposta con il ricorso introduttivo è formalmente intesa all'annullamento di un provvedimento amministrativo, il petitum sostanziale ha natura di accertamento petitorio dell'esistenza del diritto di uso pubblico sul tratto finale di Via X Giornate. Gli esponenti radicano una controversia circa il riconoscimento del diritto di uso pubblico su una strada privata, che è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario poiché –come già rilevato– investe l'accertamento dell'esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi dei privati o della pubblica amministrazione, senza che a tale conclusione possa frapporsi l'esistenza di un formale atto di classificazione della strada (cfr. TAR Liguria, sez. I – 08/04/2019 n. 315; TAR Campania Napoli, sez. VII – 02/07/2019 n. 3589).
0.3 I principi suesposti sono stati riepilogati anche nella sentenza di questa Sezione 23/10/2017 n. 1268.
0.4 In conclusione, il gravame introduttivo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con contestuale declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto, nei termini e per gli effetti di cui all'art. 11 del Codice del processo amministrativo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 08.11.2019 n. 970 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATADicatio ad patriam.
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L’accertamento sul carattere pubblico di una strada, a ben vedere, non eccede l’ambito della competenza del giudice amministrativo ove detto carattere costituisca un presupposto del provvedimento contestato, dovendosi rammentare che la giurisdizione s’individua in base alla qualificazione della pretesa azionata, prescindendo dagli accertamenti incidentali su situazioni soggettive di diverso tipo.
Il Collegio non ignora l’orientamento della Cassazione, secondo cui la valutazione in ordine alla contestazione dei provvedimenti di classificazione di una strada –come di proprietà pubblica o dedita all’uso pubblico– è rimessa alla competenza del giudice civile, involgendo pretese di accertamento di un diritto soggettivo; ma, laddove oggetto della controversia non sia il provvedimento di classificazione bensì, come nella fattispecie in esame, altro e diverso provvedimento che ha ordinato al ricorrente di rimuovere l’impedimento frapposto al passaggio, in tal caso è evidente che la decisione sull’impugnazione di tale provvedimento involge l’accertamento della sussistenza di una servitù di uso pubblico, che può essere esperito in via incidentale dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del codice del processo amministrativo.
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La “dicatio ad patriam” rappresenta un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività “uti cives”, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima.
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono, quindi:
   (i) nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone;
   (ii) nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale;
   (iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività
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Per consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico, “è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici …”.
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Come noto, la cd. dicatio ad patriam richiede un comportamento del proprietario del bene che deponga in modo univoco nel senso della spontanea messa a disposizione del bene medesimo a favore di una collettività indeterminata di cittadini.
Quanto alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici, ricorda il Collegio come le stesse non possano da sole costituire diritti reali in favore dell’Amministrazione pubblica, con la conseguenza che un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico.
Inoltre, come noto, per dimostrare la sussistenza di una effettiva destinazione del bene all’uso pubblico occorrono una pluralità di interventi pubblici sul bene stesso dai quali desumere che esso è posto a disposizione di tutta la collettività dei consociati.
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MASSIMA
6) In via pregiudiziale, il Collegio ritiene utile chiarire, per dissipare eventuali dubbi sollevati al riguardo dalle difese di parte ricorrente, come la controversia in esame rientri nella giurisdizione del giudice adito.
La situazione giuridica di cui il Condominio chiede tutela, assumendone la lesione ad opera del cattivo esercizio del potere da parte del Comune di Valtravaglia, sfociato nelle impugnate ordinanze nn. 24 e 28 del 2016, è in effetti qualificabile come interesse legittimo.
L’accertamento sul carattere pubblico di una strada, a ben vedere, non eccede l’ambito della competenza del giudice amministrativo ove detto carattere costituisca un presupposto del provvedimento contestato, dovendosi rammentare che la giurisdizione s’individua in base alla qualificazione della pretesa azionata, prescindendo dagli accertamenti incidentali su situazioni soggettive di diverso tipo (cfr. Cons. St., V, 31.8.2017, n. 4141; TAR Lazio, Latina, 22.03.2018, n. 126).
Il Collegio non ignora l’orientamento della Cassazione, secondo cui la valutazione in ordine alla contestazione dei provvedimenti di classificazione di una strada –come di proprietà pubblica o dedita all’uso pubblico– è rimessa alla competenza del giudice civile, involgendo pretese di accertamento di un diritto soggettivo; ma, laddove oggetto della controversia non sia il provvedimento di classificazione bensì, come nella fattispecie in esame, altro e diverso provvedimento che ha ordinato al ricorrente di rimuovere l’impedimento frapposto al passaggio, in tal caso è evidente che la decisione sull’impugnazione di tale provvedimento involge l’accertamento della sussistenza di una servitù di uso pubblico, che può essere esperito in via incidentale dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del codice del processo amministrativo (cfr. TAR Liguria, II, 29.03.2017, n. 267; TAR Umbria 29.04.2015, n. 191; TAR Lombardia, Brescia, I, 28.04.2014, n. 451).
Nell’ipotesi in esame oggetto principale di contestazione è l’ordinanza n. 24, del 18.07.2016, avente ad oggetto la rimozione della sbarra d’ingresso alla strada Monte Sole, di cui il ricorrente condominio deduce la relativa proprietà in assenza di servitù di uso pubblico. In siffatte evenienze, le contestazioni di legittimità dei provvedimenti adottati sulla base dell’affermazione dell’inesistenza della servitù possono essere conosciute dal giudice amministrativo nei limiti di cui all’art. 8 del c.p.a. e dunque senza effetti di giudicato tra le parti (TAR Lazio, Roma, II-ter 18.12.2018, n. 12336; id., sentenza nr. 9243/2017 e nr. 3634/2017).
7) Passando all’esame del merito, in relazione al primo motivo il Collegio osserva quanto segue.
La giurisprudenza ha da tempo affermato che la “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima” (cfr. Cons. Stato, IV, 15.03.2018, n. 1662; id., 22.05.2017, n. 2368; id., V, 16.11.2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass., II, 14.06.2018, n. 15618; 21.02.2017, n. 4416; I, 11.03.2016, n. 4851; II, 12.08.2002, n. 12167; I, 07.05.1993, n. 5262; SS.UU., 03.02.1988, n. 1072).
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono, quindi:
   (i) nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone;
   (ii) nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale;
   (iii) in un titolo valido a costituire il diritto ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili, cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 22.08.2019, n. 5785; id., 10.09.2018, n. 5286; Cass., SS. UU., n. 1072/1988).
Ciò posto, reputa il Collegio, sulla base di quanto allegato e documentato in atti dalle parti, che non sia stata qui raggiunta, da parte dell’Amministrazione, la prova della destinazione ad uso pubblico della strada Monte Sole.
Difetta, in primo luogo, la prova dell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da parte di una collettività di persone. Ciò che emerge, infatti, sia dalla lettera del Condominio, pervenuta in Comune il 15.04.2010 (allegata sub n. 8 della produzione resistente), che dalla risposta ad essa del Comune del 27.12.2010, è l’uso della strada de qua limitato «alle sole categorie autorizzate per lo svolgimento dei servizi di pubblico interesse (Vigili del Fuoco, Carabinieri, …» o comunque ai «gestori dei pubblici servizi (Comune incluso)» e alle «Autorità di pubblica sicurezza» (cfr. la comunicazione comunale allegata sub n. 9 della produzione resistente).
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, invero, affinché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico, “è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761)…” (TAR Lombardia, Milano, IV, 05/09/2017, n. 1781; Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 728 del 14/02/2012; TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 12/05/2008, n. 1328, per cui: “… l'ubicazione della suddetta strada lascia agevolmente presumere che essa sia stata in realtà utilizzata dai soli comproprietari frontisti; utilizzo questo che, come è noto, non può ritenersi sufficiente a costituire una servitù di uso pubblico o addirittura a rendere pubblica la strada stessa”).
L’uso limitato della strada da parte di proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi è esattamente quanto si riscontra nella fattispecie in esame dove, come comprovato dalle note, allegate dalla stessa parte resistente (cfr., la lettera del 18/11/2013, proveniente dai sigg.ri Ma., Ma. e Bi., tutti residenti in via ... nn. 10, 10/A e 10/B, allegata sub n. 12 della produzione resistente; la lettera del 29.12.2014, proveniente sempre dagli stessi residenti di via ..., allegata sub n. 13 e la lettera del 14.09.2015, dell’Avv. Ro., sempre per conto dei sigg.ri Ma., Ma. e Bi., allegata sub n. 14), richiamate nella stessa ordinanza di rimozione, l’uso della strada è reclamato soltanto da alcuni residenti di via ....
È allora evidente come da tali note non si ricavi affatto un uso della strada Monte Sole ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, bensì un uso uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi quanto alla prova della “dicatio ad patriam”, atteso che, ciò che si ricava dalle documentate interlocuzioni fra Comune e Condominio è la volontà di quest’ultimo di assicurare l’accesso e la percorrenza della strada in parola, non già, alla generalità, bensì, ai gestori di pubblici servizi e alle Autorità di pubblica sicurezza.
Come noto, invece, la cd. dicatio ad patriam richiede un comportamento del proprietario del bene che deponga in modo univoco nel senso della spontanea messa a disposizione del bene medesimo a favore di una collettività indeterminata di cittadini (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27/02/2019, n. 1369).
Quanto alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici, ricorda il Collegio come le stesse non possano da sole costituire diritti reali in favore dell’Amministrazione pubblica, con la conseguenza che un’area privata rimane tale anche se lo strumento urbanistico la classifichi come area pubblica o come area destinata ad uso pubblico (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 02.02.2015, n. 1881; TAR Toscana, sez. III, 23.12.2014, n. 2149).
Nessun intervento pubblico sulla strada in parola risulta, d’altro canto, documentato da parte resistente, benché, come noto, per dimostrare la sussistenza di una effettiva destinazione del bene all’uso pubblico occorrano una pluralità di interventi pubblici sul bene stesso dai quali desumere che esso è posto a disposizione di tutta la collettività dei consociati (cfr. TAR Lombardia, Milano, 04/06/2019, n. 1275; TAR Valle d'Aosta, 15.03.2016, n. 12).
È incontestato, al riguardo, che la manutenzione della strada è sempre stata effettuata ad opera del Condominio e mai del Comune.
Non risulta, poi, adeguatamente comprovata da parte del Comune neppure l’oggettiva idoneità della strada a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù. Al riguardo, giova osservare che, come indicato nella relazione della Polizia Locale depositata dallo stesso Comune (sub allegato n. 17), la strada che attraversa il Condominio è ad unica carreggiata, priva di marciapiedi ed ha una larghezza media di 5 metri con una pendenza media del 12%. Si tratta di caratteristiche che, come evidenziato da parte ricorrente, lungi dal rivelare un’idoneità all’uso generalizzato della strada, pongono in luce il pericolo per la pubblica incolumità e la sicurezza stradale sotteso all’utilizzo in modo indifferenziato della stessa da parte della collettività.
Non appare, infine, dirimente quanto affermato dal Comune in ordine alla legittimità dell’ordinanza di rimozione della sbarra per pretese ragioni di viabilità, che –a ben vedere- postulano l’esistenza ma non creano un diritto di pubblico passaggio (cfr. TAR Lombardia, Milano, sentenza citata n. 1257/2019) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 14.10.2019 n. 2145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento in via incidentale dell’esistenza di un uso pubblico su aree di proprietà privata.
Il TAR Brescia affronta il tema dell’ampiezza del potere del giudice amministrativo e ricorda che la giurisprudenza ha chiarito che rientra nella giurisdizione del G.A., ai sensi dell’art. 8 c.p.a. (secondo cui il G.A. stesso può conoscere, seppur solo in via incidentale e senza efficacia di giudicato tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale), l’esame dell’eccezione (di tipo riconvenzionale), avanzata in via incidentale dalla P.A., tendente a far valere l’usucapione su un bene oggetto di una procedura espropriativa, al fine di pervenire ad un’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di interesse.
Aggiunge il TAR che è stato anche osservato, sotto altro profilo, che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico passaggio su una strada privata compete all’autorità giudiziaria ordinaria, mentre il giudice amministrativo può esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale, senza poter fare stato con la propria decisione sulla questione, e al solo e limitato fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione che forma specifico oggetto di ricorso: quindi il giudice amministrativo può accertare incidenter tantum, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., l’esistenza di un uso pubblico consolidato su aree di proprietà privata, laddove tale accertamento sia indispensabile al fine di delibare la legittimità di un provvedimento (come, ad esempio, l’atto di rigetto di un’istanza di rilascio di un titolo edilizio motivato sull’esistenza di un diritto di uso pubblico sull’area su cui ricade l’intervento)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.08.2019 784 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
4.1 Come ha statuito questo TAR nella sentenza della sez. I – 09/10/2018 n. 961 (che non risulta appellata), in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001 il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV – 28/03/2018 n. 1949, il quale ha precisato che “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990)”.
4.2 L’onere del Comune è dunque quello ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio, senza che l’Ente locale debba comprovare –prima del rilascio– la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo, dato che ciò comporterebbe l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”, ad essa non assegnato dall’ordinamento.
4.3 Orbene, in linea di diritto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto (Consiglio di Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121).
Si è tuttavia anche specificato che l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore”, e che “la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili” (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n. 2397).
4.4 Nel caso di specie, l’art. 27 delle NTA al PGT (doc. 16 ricorrenti), nella parte rubricata “Scarichi acque meteoriche” (inizio di pag. 41) dispone che “Nel caso di realizzazione di serre di qualsiasi tipologia, è fatto obbligo all’imprenditore agricolo di provvedere alla richiesta di concessione di scarico all’Ente competente gestore del canale ricettore (Comune o Consorzio di Bonifica). All’istanza dovrà essere allegato apposito studio idrologico, secondo quanto verrà richiesto dall’Ente gestore dei canali”.
Tra i documenti finalizzati al rilascio del permesso di costruire, il Comune era dunque tenuto ad acquisire il nulla osta dell’Ente pubblico preposto alla gestione del canale. L’amministrazione resistente ha correttamente accertato il possesso del titolo autorizzatorio, emesso dal Consorzio di Bonifica Vaso Gattinardo in data 27/03/2013. L’atto predetto (doc. 54 ricorrenti) autorizza Carini Agostino all’attraversamento del vaso precisando che “per quanto riguarda lo scarico pioggia meteorica dovuta alla realizzazione di tunnel per la coltivazione di ortaggi, nella Vs. stessa lettera citate che l’acqua piovana non assorbita dal terreno sarà convogliata in un vaso a sud della proprietà (fg. 11, mappale 29), canale che sfocia nel vaso consorziale. Lo stesso Consorzio precisa di non avere nessuna obiezione a ricevere tali acque, salvo che non vengano lesi diritti dei terzi”.
4.5 A questo punto conviene affrontare il tema dell’ampiezza del potere del giudice amministrativo sulla vicenda. Il C.G.A. Sicilia, con sentenza 14/01/2013 n. 9 (richiamata dalla sentenza della sez. II di questo TAR – 10/06/2014 n. 628), ha chiarito che “Rientra nella giurisdizione del G.A., ai sensi dell’art. 8 c.p.a. (secondo cui il G.A. stesso può conoscere, seppur solo in via incidentale e senza efficacia di giudicato "tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale"), l’esame dell’eccezione (di tipo riconvenzionale), avanzata in via incidentale dalla P.A., tendente a far valere l’usucapione su un bene oggetto di una procedura espropriativa, al fine di pervenire ad un’eventuale declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di interesse”.
E’ stato anche osservato, sotto altro profilo, che l’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico passaggio su una strada privata compete all’autorità giudiziaria ordinaria, mentre il giudice amministrativo può esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale (cfr. art. 8, comma 1, CPA), senza poter fare stato con la propria decisione sulla questione, e al solo e limitato fine di pronunciarsi sulla legittimità della determinazione che forma specifico oggetto di ricorso (Consiglio di Stato, sez. V – 05/12/2014 n. 5985; si veda anche Consiglio di Stato, sez. IV – 18/11/2014 n. 5676): quindi il giudice amministrativo può accertare incidenter tantum, ai sensi dell’art. 8 cod. proc. amm., l’esistenza di un uso pubblico consolidato su aree di proprietà privata, laddove tale accertamento sia indispensabile al fine di delibare la legittimità di un provvedimento (come, ad esempio, l’atto di rigetto di un’istanza di rilascio di un titolo edilizio motivato sull’esistenza di un diritto di uso pubblico sull’area su cui ricade l’intervento).

EDILIZIA PRIVATALa cd. “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima”.
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività.
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4.1. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e della Corte di cassazione ha da tempo affermato che la cd. “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima” (cfr. Cons. Stato, IV, 15.03.2018, n. 1662; 22.05.2017, n. 2368; V, 16.11.2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass., II, 14.06.2018, n. 15618; 21.02.2017, n. 4416; I, 11.03.2016, n. 4851; II, 12.08.2002, n. 12167; I, 07.05.1993, n. 5262; SS.UU., 03.02.1988, n. 1072).
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili, cfr. inter multis Cons. Stato, n. 6460/2018, cit.; V, 10.09.2018, n. 5286; 09.07.2015, n. 3446; 24.05.2007, n. 2621 e 2622; Cass., SS. UU., n. 1072/1988, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.08.2019 n. 5785 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo principi consolidati “le risultanze catastali non fanno piena prova circa la titolarità della proprietà e degli altri diritti reali, … in assenza di titoli di proprietà o atti di trasferimento depositati”.
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Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada.
Imvero, "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale".
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Sebbene secondo principi consolidati “le risultanze catastali non fanno piena prova circa la titolarità della proprietà e degli altri diritti reali, … in assenza di titoli di proprietà o atti di trasferimento depositati” (TAR Marche, Ancona, sez. I, 06.11.2017, n. 840), emerge in tutta evidenza che il tecnico del Comune non ha indicato atti idonei a stabilire in modo certo la natura della via, essendosi egli limitato ad affermare di non aver rilevato elementi tali da confermare la proprietà privata, pur richiamata nell’atto di divisione fra i fratelli Farina del 12.02.1972 del vicolo in questione.
Sulla base di queste sole risultanze, senza addurre alcun ulteriore elemento di prova circa la titolarità della proprietà e, dunque, in assenza di alcuna ulteriore attività istruttoria, il Comune ha dato per accertata la natura pubblica del vicolo, provvedendo per questo alla modifica dello stradario comunale e all’adozione degli atti di annullamento in autotutela e di ingiunzione alla rimozione del cancello.
Giova sul punto richiamare la giurisprudenza ai sensi della quale "per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada" [v. Cons. Stato, sez. VI, 08.10.2013, n. 4952; v., altresì, TAR Trento, sez. 1, 21.11.2012, n. 341, per cui "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale"]” (Cons. Stato, sez. IV, sent. 5820/2018 cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 24.07.2019 n. 4063 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATADeve osservarsi come l’accertamento pieno e diretto della natura demaniale di un bene (o comunque della sussistenza di servitù e diritti di uso pubblico gravanti sullo stesso bene) rientri nell’ambito della giurisdizione ordinaria. Infatti, è stato affermato che “Rientra nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, e non già in quella del giudice amministrativo, la cognizione della controversia avente ad oggetto l'accertamento della natura demaniale, o non, di un determinato bene, in quanto le questioni relative alla natura demaniale o privata di un bene e, quindi, alla titolarità del diritto dominicale, attengono a situazioni giuridiche di diritto soggettivo ed esulano pertanto dalla giurisdizione del g.a.; conseguentemente appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia in cui la demanialità di un bene sia fatta valere quale ragione di nullità del contratto con il quale un Comune, agendo iure privatorum, abbia ceduto a terzi quel suolo”.
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Più di recente, la giurisprudenza ha ribadito che “La controversia relative alla proprietà, pubblica o privata, di una strada, così come quella relativa all'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione”.
Deve anche rilevarsi che –sebbene l’accertamento della natura del bene spetti in via diretta alla giurisdizione ordinaria– non risulta in atto promosso (o, quanto meno, non è stata fornita piena prova di tale circostanza) un giudizio innanzi all’a.g.o. che abbia la citata finalità, non potendosi ritenere funzionale a tale scopo il procedimento civile menzionato dal ricorrente, che appare rivolto meramente alla tutela di una situazione di fatto –il possesso del bene immobile– piuttosto che all’accertamento del suo status giuridico.
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La giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, nel richiamare il metodo di acquisto della dicatio ad patriam, ha rammentato che si tratta di un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima.
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In via preliminare, deve osservarsi come l’accertamento pieno e diretto della natura demaniale di un bene (o comunque della sussistenza di servitù e diritti di uso pubblico gravanti sullo stesso bene) rientri nell’ambito della giurisdizione ordinaria. Infatti, è stato affermato che “Rientra nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, e non già in quella del giudice amministrativo, la cognizione della controversia avente ad oggetto l'accertamento della natura demaniale, o non, di un determinato bene, in quanto le questioni relative alla natura demaniale o privata di un bene e, quindi, alla titolarità del diritto dominicale, attengono a situazioni giuridiche di diritto soggettivo ed esulano pertanto dalla giurisdizione del g.a.; conseguentemente appartiene alla giurisdizione ordinaria la controversia in cui la demanialità di un bene sia fatta valere quale ragione di nullità del contratto con il quale un Comune, agendo iure privatorum, abbia ceduto a terzi quel suolo” (Tar Catania, 3840/2010).
La massima appena riportata riguarda un caso molto simile a quello ora in esame, poiché la natura demaniale del bene costituiva –in quella vicenda– motivo di nullità di un contratto, mentre –nel caso a mani– costituisce lo spartiacque tra l’illegittimità e la legittimità del provvedimento adottato dal Comune in materia edilizia.
Più di recente, la giurisprudenza ha ribadito che “La controversia relative alla proprietà, pubblica o privata, di una strada, così come quella relativa all'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, deve essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione” (Tar Napoli 2252/2019; in termini analoghi, Tar Lecce 269/2019).
Deve anche rilevarsi che –sebbene l’accertamento della natura del bene spetti in via diretta alla giurisdizione ordinaria– non risulta in atto promosso (o, quanto meno, non è stata fornita piena prova di tale circostanza) un giudizio innanzi all’a.g.o. che abbia la citata finalità, non potendosi ritenere funzionale a tale scopo il procedimento civile menzionato dal ricorrente, che appare rivolto meramente alla tutela di una situazione di fatto –il possesso del bene immobile– piuttosto che all’accertamento del suo status giuridico.
Fatte tali premesse, questo giudice è chiamato nella vicenda in esame ad operare una valutazione meramente incidentale circa la natura delle grotte –valutazione consentita dall’art. 8 del c.p.a., nella parte in cui consente al giudice amministrativo di conoscere, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui soluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale- al limitato scopo di statuire sulla legittimità o illegittimità del provvedimento comunale che ha negato al ricorrente l’autorizzazione ad eseguire lavori sull’area antistante le grotte stesse.
Alla luce di quanto precisato, e negli stretti limiti del potere di “cognizione” esercitabile nella fattispecie, il Collegio rassegna le seguenti conclusioni:
   a) il sig. Ca. è proprietario dell’area sopraelevata e delle sottostanti grotte per averle regolarmente acquistate; peraltro, tale diritto di proprietà non sembra essere stato messo in discussione dalla amministrazioni che, a vario titolo, si sono occupate della vicenda;
   b) ciononostante, il diritto di proprietà privata sulle grotte sembra aver subìto, già da molti decenni, una consistente limitazione a beneficio della collettività, quale conseguenza dell’uso pubblico che di tali grotte è stato fatto sin dagli anni ’40 del secolo scorso;
   c) la sussistenza di tale uso appare comprovata sia dalle antiche fotografie prodotte in giudizio, che ritraggono le grotte come luogo adibito a ricovero delle barche dei locali pescatori, sia dall’atto meramente “ricognitivo” adottato dal Ministero delle infrastrutture e trasporti – Delegazione di spiaggia di Salina, prot. 233 del 28.03.2013, che lo menziona come risalente dato di fatto;
   d) a ciò vanno aggiunti i documentati interventi con i quali l’amministrazione pubblica ha inteso procedere direttamente alla eliminazione della situazione di pericolo pubblico che discendeva dalla stabilità precaria delle grotte; circostanza questa che lascia intendere come l’amministrazione sia prontamente intervenuta a protezione dei terzi “utilizzatori” delle grotte;
   e) infine, l’uso pubblico dei citati beni appare compatibile con la collocazione dell’ingresso delle grotte proprio a ridosso della spiaggia di Rinella, ed a pochi metri dal mare.
In base alla esposte considerazioni, il provvedimento che ha negato al ricorrente il diritto di recintare (in parte qua) il proprio fondo risulta legittimo, in quanto teso a garantire il perpetuarsi del continuato “uso pubblico”; correlativamente, risultano infondate le censure articolate in ricorso, anche perché queste sono dirette essenzialmente a negare la natura demaniale del bene, ed a confermarne l’incidenza nell’ambito della proprietà privata, ma non tengono conto della diversa connotazione dei beni che l’amministrazione ha messo in risalto (ossia, dell’esistenza di un uso pubblico, compatibile con la proprietà privata) al fine di negare il rilascio del provvedimento autorizzatorio richiesto.
Ai fini dell’inquadramento giuridico della ricostruzione sopra operata appare utile richiamare la seguente massima: “La giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, nel richiamare il metodo di acquisto della dicatio ad patriam, ha rammentato che si tratta di un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità e dunque senza precarietà o spirito di tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima (Cons. Stato, IV, 15.03.2018 n. 1662; Cass. civ., I, 11.03.2016, n. 4851)” (Cons. Stato, V, 6460/2018) (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 09.07.2019 n. 1726 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura e uso pubblico di una strada.
La verifica in ordine alla esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada in esame o della sua demanialità è finalizzata a stabilire se i provvedimenti comunali impugnati siano o meno legittimi.
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Secondo una costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dalla esistenza di tre concorrenti elementi, che sono:
   a) l’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis publicae da una moltitudine indistinta di persone qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’Ente ovvero del suo uso pubblico.
E’ stato anche precisato che l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine, quale ad esempio la proprietà del sedime stradale in capo ad un soggetto pubblico
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MASSIMA
1. In via preliminare, va affermata la giurisdizione del Giudice amministrativo con riferimento alla parte della domanda con cui si chiede l’annullamento degli atti impugnati, atteso che il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di diritti soggettivi quando tale sindacato è necessario per accertare la legittimità di un provvedimento amministrativo.
Difatti, la verifica in ordine alla esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada in esame o della sua demanialità è finalizzata a stabilire se i provvedimenti comunali impugnati siano o meno legittimi (cfr. Consiglio di Stato, V, 16.10.2017, n. 4791; VI, 10.05.2013, n. 2544; altresì, TAR Lombardia, Milano, III, 11.03.2016, n. 507).
1.1. Quanto, invece, alla domanda di accertamento del trasferimento del diritto di proprietà della porzione della stradella della Zoccascia, pro-quota, in capo ai ricorrenti, la stessa risulta inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, giacché come evidenziato dalla difesa comunale, si tratta di decidere l’assetto proprietario di un bene e quindi la sussistenza o meno di un diritto soggettivo, facente capo alla giurisdizione del Giudice ordinario (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, V, 16.10.2017, n. 4791).
...
2. Passando all’esame del merito della domanda di annullamento, la stessa è infondata.
3. Con la prima censura si assume il difetto di istruttoria e motivazione in ordine alla sussistenza di un effettivo uso pubblico della stradella della Zoccascia e al suo regime demaniale, trattandosi piuttosto di un’area di passaggio di proprietà di soggetti privati, peraltro non più destinata all’uso pubblico attesa l’inidoneità della stessa.
3.1. La doglianza è infondata.
Va premesso che, secondo una costante giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la natura e l’uso pubblico di una strada dipendono dalla esistenza di tre concorrenti elementi, che sono:
   a) l’esercizio del passaggio e del transito iuris servitutis publicae da una moltitudine indistinta di persone qualificate dall’appartenenza ad un ambito territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, le esigenze di carattere generale e pubblico;
   c) un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile (comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto d’uso della strada).
Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all’Ente ovvero del suo uso pubblico (Cass., SS. UU., 16.02.2017, n. 713; nonché, Consiglio di Stato, VI, 20.06.2016, n. 2708; IV, 19.03.2015, n. 1515; diffusamente, da ultimo, Consiglio di Stato, IV, 10.10.2018, n. 5820).
E’ stato anche precisato che l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine, quale ad esempio la proprietà del sedime stradale in capo ad un soggetto pubblico (cfr. Consiglio di Stato, V, 16.10.2017, n. 4791; TAR Campania, Napoli, VIII, 04.01.2019, n. 42).
Nella fattispecie de qua –a fronte dell’assenza di prove di segno contrario prospettate da parte dei ricorrenti, tali non potendo considerarsi le apodittiche affermazioni in punto di insussistenza di un interesse della collettività all’utilizzo della detta via, in relazione all’ipotizzata assenza di sbocchi e alla sua effettiva conformazione– il Comune ha evidenziato come nel P.R.G. risalente all’anno 1980 e in vigore fino al 1995, la strada vicinale della Zoccascia risulta essere indicata (cfr. all. 29 del Comune); anche nel P.G.T. vigente la via risulta riprodotta nella cartografia del Piano (cfr. all. 31 del Comune). Inoltre, come ammesso dagli stessi ricorrenti, sulla predetta strada è stata realizzata la pubblica fognatura (all. 10 del Comune).
Ad abundantiam, va richiamata l’ordinanza comunale di ripristino dello stato dei luoghi n. 488 del 07.05.1982, la quale dimostra che la predetta strada sia stata già in passato oggetto di attività di tutela comunale e i proprietari dell’epoca non avessero affatto contestato la proprietà pubblica della medesima (cfr. all. 17, 18 e 19 al ricorso). Nemmeno corrisponde ad un dato reale la circostanza che la strada sarebbe priva di sbocco, visto che dall’aerofotogrammetria risulta il contrario, ossia la percorribilità della predetta via (cfr. all. 28 del Comune), e i provvedimenti impugnati sarebbero proprio finalizzati a ripristinare tale collegamento, attraverso la rimozione delle strutture realizzate dai ricorrenti.
Sulla scorta dei predetti indici appare evidente la natura pubblica della strada e quindi la legittimità dell’intervento comunale.
3.2. Ciò determina il rigetto della prima doglianza (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.07.2019 n. 1530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza àncora una servitù di diritto pubblico ai presupposti consistenti:
   a) nell’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione “uti singuli”, finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata;
   b) nell'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
   c) nel protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione.
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6.3. In tale contesto l’iniziativa processuale di parte ricorrente non è, soltanto, comprensibile (in quanto non certamente mossa da un “evidente travisamento dei presupposti di diritto”, come deduce il Comune) ma risulta fondata. Infatti, il ricorso trae origine dal rigetto dell’osservazione presentata che, pur riconoscendo la natura privata del passaggio, gli assegna un uso pubblico “per consuetudine”.
Ma tale provvedimento risulta in parte qua contrario ai presupposti a cui la giurisprudenza àncora una servitù di diritto pubblico consistenti:
   a) nell’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione “uti singuli”, finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata;
   b) nell'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù;
   c) nel protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. II, 29.11.2017, n. 28632).
Nel caso di specie, difetta, quindi, l’asservimento del bene ad uso pubblico con conseguente illegittimità delle provvedimenti impugnati nella parte in cui questi postulano (senza, come detto, la necessaria chiarezza) la sussistenza di una servitù e la conseguente possibilità di inserire il passaggio nei percorsi ciclopedonali previsti dal Comune (pur se, allo stato, mai realizzati).
7. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.06.2019 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAL'accertamento dell'uso pubblico di un bene, quale una strada, deve essere condotto non già sulla mera base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova.
Ai fini dell'accertamento della proprietà di un'area, i dati catastali hanno valore indiziario e ad essi può essere attribuito maggior peso probatorio solo quando non risultino contraddetti da specifiche determinazioni negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del contenuto dell'atto al quale deve farsi risalire la titolarità dell'area medesima.
L’accertamento della proprietà pubblica richiede l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, o che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.
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L'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone, oppure quando vi sia stato, mediante la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù.
Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale a una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo, non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse col regime giuridico della medesima.
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È orientamento della giurisprudenza amministrativa ritenere che l'accertamento dell'uso pubblico di un bene quale una strada deve essere condotto non già sulla mera base delle risultanze catastali, ma mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova (cfr.: Cons. Stato IV, 17.09.2013, n. 4625).
Ai fini dell'accertamento della proprietà di un'area, i dati catastali hanno valore indiziario e ad essi può essere attribuito maggior peso probatorio solo quando non risultino contraddetti da specifiche determinazioni negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del contenuto dell'atto al quale deve farsi risalire la titolarità dell'area medesima (cfr.: Cons. Stato IV, 04.04.2012, n. 1990).
L’accertamento della proprietà pubblica richiede l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, o che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (cfr.: Cons. Stato V, 28.06.2011, n. 3868).
Il Comune di Agnone, prima del ricevimento dell’esposto di tale Di Mario Nicola, non aveva mai effettuato alcuna rivendica né accampato diritti sulla natura pubblica del viottolo. Solo con la nota datata 10.01.2013, inviata ai ricorrenti e all’Ufficio del Territorio di Isernia, veniva proposta dal Comune una “rettifica del foglio di mappa nr. 156 presso gli Uffici dell’Agenzia del Territorio di Isernia”, chiedendosi di far conoscere “se dalla data dell’impianto del catasto (1956), al 01.10.1987, data di redazione dell’atto divisionale rep. 597324, risultano eseguite eventuali variazioni planimetriche sul foglio di mappa nr. 156 del Comune di Agnone”.
L’Agenzia delle Entrate - Ufficio del Territorio di Isernia, con la nota di riscontro, comunicava al Comune di Agnone che “il tratto di via comunale, compreso tra le particelle 98, 99 e parte della 101, evidenziato in giallo nell’allegato stralcio di mappa, non è stato interessato da alcuna variazione catastale”. Tale affermazione -invero non molto chiara, poiché non fornisce precisazioni sulla natura pubblica del viottolo- non contrasta con la prospettazione dei ricorrenti i quali riconoscono che il viottolo, in epoca remota, costituisse una “strada vicinale privata” utilizzabile da proprietari frontisti. Non vi è, viceversa, prova che il sentiero tracciato sul foglio di mappa catastale, sia stato e permanga una strada di proprietà comunale, né tampoco che si tratti di un bene pubblico demaniale, come affermato dal Comune.
L'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone, oppure quando vi sia stato, mediante la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr.: Cons. Stato, IV 10.10.2018, n. 5820; Tar Campania Napoli VI, n. 106/2010).
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù. Per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale a una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo, non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse col regime giuridico della medesima (cfr.: Cons. Stato VI, 08.10.2013, n. 4952; Tar Trentino A.A. – Trento, 21.11.2012, n. 341) (TAR Molise, sentenza 24.04.2019 n. 140 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Realizzazione di nuova strada da parte di privati con spese ed oneri a loro carico – successiva cessione delle aree stradali al Comune – parere (Legali Associati per Celva, nota 26.03.2019 - tratto da www.celva.it).

EDILIZIA PRIVATA: La circostanza dell’uso pubblico o solo privato di una strada rileva ai sensi dell’articolo 15, del d.lgt. 01.09.2018, n. 1446, atteso che per le strade vicinali soggette ad uso pubblico all'ente pubblico spetta una ingerenza straordinaria, che si concreta in poteri di polizia e di regolamentazione della circolazione e dell'ordine e della sorveglianza; spettando al sindaco “ordinare che siano rimossi gli impedimenti all’uso delle strade e all’esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate”, mentre per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può provvedere solo quando ne sia richiesto (ultimo comma articolo 15 d.lgt. cit.).
Peraltro anche nell’ipotesi di uso pubblico “La responsabilità per i danni derivanti dalla mancata manutenzione di strade vicinali private non può gravare sull'amministrazione comunale, atteso che i compiti di vigilanza e polizia, come il potere di disporre l'esecuzione di opere di ripristino a spese degli interessati, che ad essa competono su dette strade, non comportano anche l'obbligo di provvedere a quella manutenzione, facente carico esclusivamente ai proprietari interessati”.
Per giurisprudenza consolidata “per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere verificato:
   - il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   - la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse;
   - un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica”.
Le questioni inerenti l’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investono l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione, potendo il giudice amministrativo conoscere di tali questioni solo in via incidentale qualora l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente impugnato.
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Con ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a. depositato in data 08.01.2019, il sig. Kr.Jo.Go., proprietario di un’immobile insistente sul mappale 1679 del Comune di Tremosine sul Garda - località Vagne, espone che nel gennaio del 2014, a seguito del distacco di materiale roccioso dalla parete posta a monte della strada vicinale privata denominata “via Vagne”, una frana si riversava su detta via e sui terreni a valle, tra i quali quello di sua proprietà.
A tutela della pubblica incolumità il sindaco con ordinanza n. 39/2014 disponeva la chiusura e l’interdizione al transito veicolare e pedonale della strada vicinale, all’altezza dei mappali 1716-1717-9094, demandando ogni ulteriore “provvedimento di messa in pristino correlato all’evento in argomento al perfezionamento delle procedure di verifica in atto da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale, il quale dovrà individuare puntualmente le concause che hanno determinato il fenomeno”.
Lamenta il ricorrente che nonostante gli incontri successivamente tenutisi tra il tecnico da lui incaricato ed il Sindaco, l’Amministrazione -a distanza di anni- non ha mai comunicato l’esito dell’istruttoria né adottato i conseguenti provvedimenti di rimessa in pristino dell’area.
Con istanze di data 29.11.2017 e 27.11.2018 egli ha sollecitato il Comune intimato all’avvio del procedimento finalizzato all’effettuazione delle verifiche tecniche e all’adozione delle misure di messa in sicurezza del versante franato, alle quali però non è stato dato alcun riscontro.
Con l’odierno gravame l’esponente denuncia -quindi- l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione intimata, in ragione degli obblighi di intervento posti sia in capo all’ente comunale sia, individualmente, in capo al sindaco dalla normativa nazionale e regionale in materia di protezione civile, nell’ambito dei compiti di prevenzione, eliminazione dei pericoli e mitigazione dei rischi derivanti da eventi calamitosi. Conseguentemente chiede accertarsi l’obbligo di provvedere sulle istanze sollecitatorie presentate e di avviare e concludere il procedimento istruttorio disposto con l’ordinanza sindacale n. 49/2014.
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Il ricorso è fondato nei termini di seguito illustrati.
Le parti non hanno posizione univoca sulla questione inerente l’apertura o meno della strada vicinale in questione al pubblico transito, atteso che il ricorrente ritiene che l’utilizzo pubblico sussista in ragione del collegamento con la viabilità comunale e dell’uso del percorso da parte di numerosi escursionisti, mentre l’amministrazione resistente eccepisce che il tracciato viario non solo è di proprietà privata, ma è di uso esclusivo dei proprietari degli immobili che la stessa raggiunge.
La circostanza dell’uso pubblico o solo privato rileva ai sensi dell’articolo 15, del d.lgt. 01.09.2018, n. 1446, atteso che per le strade vicinali soggette ad uso pubblico all'ente pubblico spetta una ingerenza straordinaria, che si concreta in poteri di polizia e di regolamentazione della circolazione e dell'ordine e della sorveglianza; spettando al sindaco “ordinare che siano rimossi gli impedimenti all’uso delle strade e all’esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate”, mentre per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può provvedere solo quando ne sia richiesto (ultimo comma articolo 15 d.lgt. cit.).
Peraltro anche nell’ipotesi di uso pubblico “La responsabilità per i danni derivanti dalla mancata manutenzione di strade vicinali private non può gravare sull'amministrazione comunale, atteso che i compiti di vigilanza e polizia, come il potere di disporre l'esecuzione di opere di ripristino a spese degli interessati, che ad essa competono su dette strade, non comportano anche l'obbligo di provvedere a quella manutenzione, facente carico esclusivamente ai proprietari interessati” (Cass. civ. Sez. III 25/02/2009, n. 4480).
Per giurisprudenza consolidata “per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici). Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di Stato, IV, n. 1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n. 29/1997; TAR Toscana, Sez. III; n. 1385/2003; TAR Sicilia Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn. 20405/2010 e 7718/1991). Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013, n. 1322)” (Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 04.09.2017, n. 4233).
Le questioni inerenti l’accertamento della proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investono l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della pubblica amministrazione (Cass., sez. un., ord. 27.01.2010, n. 1624), potendo il giudice amministrativo conoscere di tali questioni solo in via incidentale qualora l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente impugnato (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18.09.2013, n. 2170).
Nel caso di specie l’uso pubblico della strada, che dovrebbe essere rigorosamente provato, è stato affermato ma non dimostrato dal ricorrente.
Tanto premesso, la questione nel caso di specie non rileva ai fini della decisione, atteso che l’ordinanza del 2014, consolidatasi per mancata impugnazione e i cui effetti sono tuttora operanti, così come l’odierno ricorso traggono diversamente fondamento non già su dette disposizioni, ma sull’articolo 54 del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana”, nonché sui compiti e gli obblighi dell’amministrazione previsti dalla normativa in materia di protezione civile.
La controversia verte pertanto sulla sussistenza di un obbligo del Comune, ovvero del sindaco, di adottare specifiche disposizioni attinenti l’accertamento delle cause dell’evento franoso e gli interventi di ripristino necessari.
Tanto premesso, occorre evidenziare che l’amministrazione resistente all’esito dell’evento franoso ha tempestivamente adottato un provvedimento di inibizione al transito finalizzato a preservare l’incolumità e la sicurezza pubblica.
Come espressamente previsto nell’ordinanza sindacale adottata, la chiusura dell’accesso alla via costituiva una misura di carattere transitorio, preliminare ad una successiva fase di approfondimento tecnico delle cause dell’evento e alla conseguente adozione delle misure di ripristino dello stato dei luoghi e di apprestamento delle misure necessarie per prevenire successivi dissesti.
Nell’ordinanza del 2014 lo stesso comune riconosceva che “il presidio interessati dall’evento franoso appare attualmente in condizioni di precaria stabilità, per cui potrebbero verificarsi ulteriori crolli con conseguente rischio per la pubblica incolumità”.
L’amministrazione subordinava inoltre ogni ulteriore provvedimento di messa in pristino “al perfezionamento delle procedure di verifica in atto da parte dell’Ufficio tecnico comunale, il quale dovrà individuare puntualmente le concause che hanno determinato il fenomeno”.
Deve pertanto rilevarsi che, ancorché opportune, le interlocuzioni informali con i singoli proprietari delle aree interessate e la presa d’atto degli approfondimenti e degli interventi di ripristino dagli stessi proposti non esauriscono i compiti riconducibili all’amministrazione comunale, che rimane garante, a fini di tutela della pubblica incolumità, della verifica della permanenza di condizioni di pericolo e della individuazione degli interventi necessari per assicurare il ripristino dello stato dei luoghi e la prevenzione di ulteriori eventi dannosi per le persone e le cose.
Si ritiene conseguentemente di accogliere il ricorso, ai fini della declaratoria dell’obbligo del comune di pronunciarsi formalmente, nei limiti delle relative competenze, anche sulla base degli approfondimenti tecnici condotti dai privati e delle interlocuzioni informali già avvenute, accertando la permanenza della situazione di pericolo, le cause dell’evento franoso e disponendo le misure necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi, che dovranno essere realizzate a cura e carico dei proprietari utilizzatori della via.
La formale definizione delle misure necessarie per la definitiva messa in sicurezza dell’area risulta preordinata anche ai fini della successiva rimozione dell’ordinanza sindacale di inibizione al transito. Resta fermo che il Comune non è tenuto a dirimere conflitti tra i privati destinatari dei suoi provvedimenti, in particolare sul riparto degli oneri per gli interventi di ripristino.
Alla luce dell’attività di approfondimento già svolta dai proprietari interessati e -informalmente- dal Comune, si ritiene congruo assegnare all’Amministrazione il termine di giorni 60 (sessanta) giorni dalla notificazione, o, se anteriore, dalla comunicazione della presente decisione per adottare i conseguenti provvedimenti, rinviando la nomina di un Commissario ad acta –su richiesta di parte ricorrente– all’inutile spirare di tale termine (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.03.2019 n. 258 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire alternativamente o a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam, integrata dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco lo stesso a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico, ovvero attraverso l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione.
Come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa: “affinché un'area -nel caso di specie una strada- possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico, oltre che l'intrinseca idoneità del bene, è necessario che l'uso dello stesso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e, inoltre, per soddisfare un interesse pubblico generale”.
Ed invero: “L'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine; in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l'intervento della usucapione ventennale, fermo restando che, relativamente a quest'ultimo titolo di acquisto del diritto, va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico”.
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Come dedotto dall’appellante, la costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire alternativamente o a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam, integrata dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco lo stesso a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico, ovvero attraverso l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione.
Come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa: “affinché un'area -nel caso di specie una strada- possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico, oltre che l'intrinseca idoneità del bene, è necessario che l'uso dello stesso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e, inoltre, per soddisfare un interesse pubblico generale” (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 10.10.2018, n. 5820). Ed invero: “L'esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine; in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell'esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l'intervento della usucapione ventennale, fermo restando che, relativamente a quest'ultimo titolo di acquisto del diritto, va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico” (Cons. Stato, sez. V, 31.08.2017, n. 4141).
Nessuno di tali elementi risulta ricorrere nella specie, perché la strada è a fondo cieco e viene usata solo dai condomini. Né il comune ha fornito alcuna prova circa l'esistenza di una servitù pubblica di passaggio sulla strada privata, neppure essendo stato provato l'uso di detta strada e la sua utilità pubblica, mentre dalle planimetrie prodotte risulta inequivocabilmente che tale strada è aperta solo da una parte e va a servire esclusivamente il condominio ricorrente.
Neppure è stata fornita la prova della manutenzione della strada ad opera del Comune, risultando in contrario dalla documentazione versata in atti dall’appellante che la manutenzione della stessa è effettuata ad opera del condominio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.02.2019 n. 1369 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAL’accertamento in via principale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico passaggio rientra nella giurisdizione del Giudice Ordinario -trattandosi di questione riguardante l'accertamento dell'esistenza ed estensione di diritti soggettivi (e non di interessi legittimi)–.
Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto comunque sussistente in capo al Giudice Amministrativo il potere di esercitare una cognizione incidentale sulla questione (cfr. art. 8, comma 1, CPA), senza poter fare stato sulla medesima.
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Il Consiglio di Stato ha chiarito che “La cosiddetta dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità” -“(non di precarietà e tolleranza)”- “un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives” -“e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato”- “indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto”.
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Osserva il Collegio che, nella fattispecie in esame, la sostanziale esistenza della servitù di uso pubblico posta dalla P.A. a fondamento del provvedimento negativo de quo si palesa come dirimente, e di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento gravato.
Premesso che l’accertamento in via principale dell’effettiva esistenza di una servitù di pubblico passaggio (come nel caso di specie) rientra nella giurisdizione del Giudice Ordinario -trattandosi di questione riguardante l'accertamento dell'esistenza ed estensione di diritti soggettivi (e non di interessi legittimi)– si rileva che il Consiglio di Stato ha ritenuto comunque sussistente in capo al Giudice Amministrativo il potere di esercitare una cognizione incidentale sulla questione (cfr. art. 8, comma 1, CPA), senza poter fare stato sulla medesima (ex multis: Consiglio di Stato, V, 14.02.2012 n. 728).
Orbene, nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, la sussistenza della servitù di uso pubblico sull’area che occupa è pacifica tra le parti.
Invero, secondo la ricostruzione dei fatti ad opera delle stesse ricorrenti, l’area de qua è utilizzata dalla generalità degli utenti, tanto è vero che ne chiedono la recinzione prevedendo l’apertura di un passaggio della larghezza di circa tre metri per permettere comunque la fruizione della strada e garantire la possibilità di parcheggiare.
Peraltro, detta servitù è venuta a costituirsi in conseguenza dei successivi frazionamenti e vendite di quella che era l’intera proprietà della dante causa delle sigg.re Li., sig.ra Ep.. Ed infatti l’intera area è stata frazionata e venduta con successivi atti e l’edificazione dei singoli lotti è avvenuta previa destinazione di parte di quelle aree a strada.
Come rilevato dalla difesa del Comune, il Consiglio di Stato (ex multis: n. 3446/2015) ha chiarito che “La cosiddetta dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità” -“(non di precarietà e tolleranza)” (così Cassazione Civile, I, 11.03.2016, n. 4851)- “un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives” -“e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato” (Consiglio di Stato, V, 14.02.2012, n. 728)- “indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto” (in termini, Cassazione Civile, II, 13.02.2006, n. 3075) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 19.02.2019 n. 269 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Strada consortile – fattispecie caratterizzata da rischio per incolumità di persone e cose - obblighi di legge in capo all’Amministrazione comunale - parere (Legali Associati per Celva, nota 01.02.2019 - tratto da www.celva.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada in parola, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può (anzi, deve) valutare, incidenter tantum, ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati, la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale.
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Circa la sussistenza degli indici e dei presupposti riconosciuti essenziali da parte della giurisprudenza per qualificare una strada come strada a uso pubblico si deve, in particolare, far riferimento ai seguenti elementi evidenziati al riguardo che:
   “- consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso;
   - è collegata con la viabilità generale;
   - è connotata da un uso pubblico protratto da tempo;
   - è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte del Comune;
   - è inclusa nella Stradario Comunale agli atti del servizio di toponomastica“.
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Ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale e pubblica”, si deve avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo a determinate condizioni:
   1. consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso, ammettendo l’irrilevanza che la via sia chiusa da un lato senza sbocco su altra strada (c.d. vicolo cieco) qualora sussistano numerosi e plurimi indici fattuali che denotano il regime giuridico del vicolo, quale strada privata assoggettata a uso pubblico;
   2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
   3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada;
   4. è collegata con la viabilità generale;
   5. è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico;
   6. dalla destinazione della strada ad uso pubblico discende poi l’applicazione della disciplina stradale.
In termini diversi, ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale pubblica”, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, non essendo sufficiente l’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione “iuris tantum”, superabile con la prova contraria, che escluda l’esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.
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   - per quanto attiene alla qualificazione in termini di strada a uso pubblico del tratto che interessa -premesso che, se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada in parola, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può (anzi, deve) valutare, incidenter tantum, ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati, la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale- si ritiene che la rinnovata e più approfondita istruttoria espletata da parte dell’amministrazione comunale al riguardo nonché la conseguente più diffusa e argomentata motivazione resa a supporto dell’ordinanza impugnata rendano adeguatamente conto della sussistenza degli indici e dei presupposti riconosciuti essenziali da parte della giurisprudenza nella materia ai predetti fini, ossia per qualificare la strada che interessa, nel tratto rilevante in questa sede, come strada a uso pubblico e si fa in particolare riferimento ai seguenti elementi evidenziati al riguardo:
   “- consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso;
   - è collegata con la viabilità generale;
   - è connotata da un uso pubblico protratto da tempo;
   - è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte del Comune di Termini Imerese (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 08.06.2011, n. 3509);
   - è inclusa nella Stradario Comunale agli atti del servizio di toponomastica... essendo ubicata <<tra via Luigi Sturzo e via Del Mazziere, con numerazione civica dal n. 1 al n. 6 [...]
” “;
   - infatti, ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale e pubblica”, si deve avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo a determinate condizioni:
      1. consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso, ammettendo l’irrilevanza che la via sia chiusa da un lato senza sbocco su altra strada (c.d. vicolo cieco) qualora sussistano numerosi e plurimi indici fattuali che denotano il regime giuridico del vicolo, quale strada privata assoggettata a uso pubblico;
      2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
      3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada;
      4. è collegata con la viabilità generale;
      5. è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico;
      6. dalla destinazione della strada ad uso pubblico discende poi l’applicazione della disciplina stradale;
   - in termini diversi, ai fini della qualificazione di una strada come “vicinale pubblica”, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato “iure servitutis pubblicae” da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, non essendo sufficiente l’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione “iuris tantum”, superabile con la prova contraria, che escluda l’esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività;
   - nella fattispecie l’amministrazione ha richiamato più di uno dei sopra esposti elementi e la difesa di parte ricorrente, in particolare, nulla risulta avere in concreto dedotto in ordine alla circostanza che l’area interessata è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico se non che non sono stati indicati gli interventi di manutenzione che legittimerebbero il preteso uso pubblico e che i pali dell'illuminazione pubblica sono installati solamente al termine dei parcheggi di proprietà dei ricorrenti;
   - e, peraltro, come emerge con evidenza da quanto sopra evidenziato, la titolarità della proprietà privata dell’area non assume alcuna rilevanza ai fini che interessano e non viene messa in discussione nella presente sede;
   - la destinazione a parcheggio non permette di superare le argomentazioni di cui sopra atteso che parimenti alla strada anche il parcheggio può essere reso oggetto di una servitù di uso pubblico e altrettanto è a dirsi quanto alla circostanza che ogni singolo posto auto riporta “a caratteri cubitali” la dicitura proprietà privata atteso che, comunque, l’accesso all’area e la sosta risultano essere effettuati senza alcuna distinzione, e considerata, altresì, l'assenza di impedimenti all'ingresso di terzi;
   - per quanto attiene alla dedotta violazione dell’art. 381, comma 5, del D.P.R. n. 495/1992 -il quale dispone che “5. Nei casi in cui ricorrono particolari condizioni di invalidità della persona interessata, il comune può, con propria ordinanza, assegnare a titolo gratuito un adeguato spazio di sosta individuato da apposita segnaletica indicante gli estremi del "contrassegno di parcheggio per disabili" del soggetto autorizzato ad usufruirne (fig. II.79/a). Tale agevolazione, se l'interessato non ha disponibilità di uno spazio di sosta privato accessibile, nonché fruibile, può essere concessa nelle zone ad alta densità di traffico, dietro specifica richiesta da parte del detentore del "contrassegno di parcheggio per disabili".”- si rileva che la norma prevede che la spazio di sosta privato debba essere sia “accessibile” che “fruibile” di tal che non è sufficiente che l’interessato sia nella dimostrata proprietà di uno spazio privato se non è altresì dimostrato in giudizio che il predetto spazio abbia entrambe le specifiche e dirimenti caratteristiche indicate (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 28.12.2018 n. 2785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura pubblica o privata di una strada interpoderale.
Al fine di poter stabilire se una strada interpoderale sia pubblica oppure privata non rileva il fatto che la stessa risulti inserita negli elenchi delle strade vicinali, poiché l’iscrizione non ha valore costitutivo, ma soltanto dichiarativo, consentendo soltanto di presumere che la strada sia pubblica, ma senza darne la certezza.
Aggiunge il TAR che il riconoscimento della natura pubblica della strada, dipende, invece, dalla coesistenza effettiva di tre condizioni, quali:
   1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
   3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 29.11.2018 n. 1132 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
La classificazione delle strade ai fini propri del codice della strada (e cioè in relazione alla regolazione del traffico sulle stesse) non può essere utile allo scopo di determinarne il soggetto proprietario. Per comune riconoscimento, sia della giurisprudenza, che della dottrina in argomento, le strade vicinali si possono distinguere in pubbliche e private.
Sono private le vie cosiddette agrarie o vicinali private costituite da passaggi in comunione incidentale tra i proprietari dei fondi latistanti serviti da quei medesimi passaggi. Tra le tante basti ricordare la sentenza del Tribunale Chieti, 15/10/2009, n. 748, nella quale si legge: "La via agraria, cioè la strada privata che i proprietari dei fondi latistanti aprono e mantengono per transitarvi secondo le esigenze della coltivazione, viene formata mediante conferimento di suolo (cd. "collatio agrorum privatorum") o di altro apporto dei vari proprietari, in modo da fondare una comunione ("communio incidens"), per la quale il godimento della strada non è "iure servitutis" ma "iure proprietatis" e, pur avendo di regola, fondi fronteggianti, può essere utilizzata, in relazione alla necessità del tracciato, da più fondi in consecuzione, fermo restando il principio che essa possa servire a tutti i proprietari dei fondi in tutte le direzioni, onde ciascuno ne abbia per tutta la sua lunghezza la proprietà "pro indiviso").
Sono vicinali pubbliche le vie di proprietà privata, soggette a pubblico transito. In concreto, il sedime della vicinale, compresi accessori e pertinenze, è privato, di proprietà dei titolari dei terreni latistanti, mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito a norma dell’art. 825 c.c..
Tale diritto può essere costituito nei modi più diversi, ossia mediante un titolo negoziale, per usucapione o attraverso gli istituti dell’“immemorabile”, cioè dell’uso della strada da parte
della collettività da tempo, appunto, immemorabile o della “dicatio ad patriam”, che si configura quando i proprietari mettono a disposizione del pubblico la strada, assoggettandola all’uso collettivo (cfr. Cass. Civ. Sent. n. 12181/1998 "la c.d. Dicatio ad patriam ha come suo indefettibile presupposto, l’asservimento del bene all’uso pubblico nello stato in cui il bene stesso si trovi, e non in quello realizzabile a seguito di manipolazioni quali quelle conseguenti alle irreversibili trasformazioni che caratterizzano il (diverso) istituto dell’accessione invertita".
Al fine di poter stabilire se una strada interpoderale sia pubblica oppure privata, non rileva, dunque, il fatto che la stessa risulti inserita negli elenchi delle strade vicinali, poiché l’iscrizione non ha valore costitutivo, ma soltanto dichiarativo, consentendo soltanto di presumere che la strada sia pubblica, ma senza darne la certezza (TAR Sicilia, Catania, 29.11.1996, n. 2124); assunto, questo, sostenuto sia dal dato normativo di cui all’art. 20 della L. 20.03.1865, n. 2248, secondo il quale, la classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio, sia dalla giurisprudenza costante (cfr, tra le tante, Sezione II, Cassazione civile, n. 4938/1992; Sezione III, n. 6337/1994). Il riconoscimento della natura pubblica della strada, dipende, invece, dalla coesistenza effettiva di tre condizioni, quali:
   1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
   2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
   3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile, (TAR Toscana, Sez. III, 11.04.2003, n. 1385; conformi, tra le molte: TAR Umbria, Perugina, 13.01.2006, n. 7; id., 21.09.2004, n. 545; ed in precedenza: Cons. di Stato, Sez. IV, n. 1155/2001; Cons. di Stato, Sez. V, n. 5692/2000; Cass. civ., Sez. II, n. 7718/1991).
La giurisprudenza è dunque costante nel ritenere che ciò che caratterizza le strade vicinali pubbliche è il loro concreto utilizzo da parte della collettività (Sezione III, Cassazione civile, n. 10139 del 1994, IV Sezione penale della Corte di Cassazione n. 8950/1990 e Tar della Puglia, sentenza n. 491 del 1994). Pertanto, la qualificazione di una strada come di uso pubblico discende non tanto dal fatto che su di essa possano transitare persone diverse dal proprietario o dal fatto che essa si colleghi ad una pubblica via, quanto, piuttosto, presuppone che essa sia posta a servizio di una collettività di utenti (uti cives).
Riassumendo, dunque, a prescindere dal fatto che esse siano pubbliche o private, per le strade vicinali che risultino interessate dalla circolazione di pedoni, veicoli e animali, debbono trovare applicazione le norme disciplinanti la circolazione stradale, ai sensi dell’art. 3, comma 2, punto 52.
Il codice della strada, però, non si occupa minimamente del profilo proprietario di dette strade, che esula completamente dalla materia dallo stesso disciplinata.
L’iscrizione della strada nell’elenco di quelle vicinali tenuto dal Comune determina una presunzione (semplice) della sussistenza della pubblicità dell’uso della via (Cass., sez. II, 14.05.2018 n. 11676).
Stabilire se tale presunzione operi anche nel caso di specie risulta essere determinante, in quanto, se così fosse, con riferimento alla strada di cui si controverte, l’estensione del suo utilizzo anche a favore dei proprietari che risultano interclusi dalla soppressione del passaggio a livello prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità non comporterebbe un ulteriore aggravio della servitù pubblica su di essa insistente e, conseguentemente, nemmeno la corresponsione di un’indennità di asservimento, così come ritenuto da RFI.
L’assenza di mutamento nell’utilizzo della strada determinerebbe, perciò, l’infondatezza della pretesa fatta valere dei ricorrenti e, in particolare, dei motivi di illegittimità correlati alla mancata considerazione della natura privata della strada.
Nel caso di specie, però, la presunzione suddetta non pare poter operare, atteso che il Comune stesso, nell’ambito del giudizio civile promosso dai ricorrenti, ha dichiarato di non avere mai avuto e di non avere nessun interesse alla strada vicinale in questione, che, pertanto, deve ritenersi di natura privata.
Sebbene, infatti, nella relazione di parte resistente si sostenga che il Comune, cui sarebbero stati chiesti chiarimenti circa la natura pubblica della strada vicinale, evidenziata nelle mappe come distinta dai confinanti mappali, non avrebbe affatto dichiarato che la strada non sia pubblica, non pare possa attribuirsi altro significato logico all’affermazione secondo cui la strada “non è di interesse pubblico”. E che la strada non sia di natura pubblica appare confermato da quanto si dirà a breve, seguendo un percorso logico che prende le mosse dall’orientamento da ultimo confermato dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 31/08/2017, n. 4141, secondo cui la semplice indicazione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa: principio che deve valere, a maggior ragione, nel caso in cui la strada, come quello in esame, seppur definita vicinale, non risulti inserita nel relativo elenco del Comune di Crema.
Deve, pertanto, riconoscersi rilevanza alle circostanze oggettive che escludono la natura di uso pubblico della strada, quali, il fatto che la strada non è utilizzata da persone diverse dai suoi comproprietari, è stata asfaltata a cura e spese esclusive dei suoi comproprietari, senza che il Comune di Crema abbia mai effettuato alcuna opera manutentiva, nel suolo sottostante non sono interrati impianti ed essa è totalmente priva di illuminazione pubblica, all’imbocco di tale strada da sempre esiste un cartello, apposto dai ricorrenti, che ne segnala la “proprietà privata – divieto di accesso”, senza che ciò abbia mai formato oggetto di contestazione e, infine, la strada è chiusa e conduce esclusivamente alla Cascina Colombera ed ai terreni di proprietà dei ricorrenti.
In linea, dunque, con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 28/10/2015, n. 4940, la quale ha chiarito che “Una strada cieca che si esaurisce di fronte ad un immobile privato non è idonea a soddisfare le esigenze della collettività, vale a dire un numero indeterminato di cittadini, allorché sia del tutto priva oltre l'accesso, di qualsiasi altro collegamento con la viabilità comunale del centro abitato.”, proprio le caratteristiche oggettive della strada in questione, ora descritta, non possono che portare a concludere per la sua natura privata (principio recentemente ribadito anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5280/2018).
Dunque, il Collegio ritiene di dover confermare la conclusione cui è addivenuto in sede cautelare, laddove ha ritenuto che la qualificazione come strada vicinale della via di accesso denominata Colombera -che RFI ha individuato come parte del percorso per garantire gli accessi preclusi a seguito della soppressione di taluni passaggi a livello- non ne fa venire meno la natura privata, né ne legittima l’uso pubblico, dal momento che essa non risulta classificata tra le strade vicinali di uso pubblico e risulta destinata al servizio esclusivo dei proprietari frontisti, tanto che il Comune ha negato ogni interesse pubblico al suo utilizzo.
Né può rilevare, al fine della classificazione come strada pubblica, la mancanza dell’elemento identificativo nella mappa catastale, il quale evidenzia la presenza della strada, ma non può determinarne il regime giuridico, pubblico o privato. Dunque, precisato che la proprietà dei frontisti non è mai stata revocata in dubbio da RFI, che ha sempre affermato la sussistenza di un uso pubblico del bene di proprietà privata denominato “strada vicinale Colombera”, non operando la presunzione semplice derivante dall’inclusione della strada nell’elenco comunale di quelle vicinali e non avendo RFI fornito alcun principio di prova dell’esistenza di un uso pubblico della stessa, l’onere della prova del fatto che esso non sussiste deve ritenersi adeguatamente assolta dai ricorrenti.
Dunque, la mancata inclusione, tra i beni da espropriare e/o asservire coattivamente, di tale porzione di strada, che deve presumersi di proprietà privata, in ragione della sua stessa natura, comporta l’incompletezza della dichiarazione di pubblica utilità e l’impossibilità di eseguire l’opera così come progettata.
Quanto alla possibilità di procedere alla costituzione della sola servitù di uso pubblico, in luogo dell’espropriazione, si ritiene necessario un preliminare distinguo.
Poiché la legge n. 2359 del 1865 consentiva solo l’estinzione di diritti e non anche la loro costituzione, solo attraverso una faticosa ricostruzione giurisprudenziale si è arrivati ad ammettere anche l’imposizione della servitù coattiva mediante ricorso al procedimento di espropriazione per pubblica utilità.
Superando l’ambiguità dell’art. 1 del DPR 327/2001, che si limita a delineare l’ambito di applicazione della procedura espropriativa, prevedendo il ricorso alla stessa per l’acquisto “di ogni diritto relativo a beni immobili”, ora tale possibilità è stata espressamente riconosciuta dal legislatore con l’art. 3 della legge 166/2002, che ha stabilito che “Le procedure impositive di servitù previste dalle leggi in materia di trasporti, telecomunicazioni, acque, energia, relative a servizi di interesse pubblico, si applicano anche per gli impianti che siano stati eseguiti e utilizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge, fermo restando il diritto dei proprietari delle aree interessate alle relative indennità”.
Indiscusso, dunque, che il procedimento ablatorio possa essere utilizzato anche per l’imposizione coattiva di una servitù, essa è ammissibile solo nel caso in cui ricorrano, a tal fine, le condizioni previste dal codice civile o dalle leggi speciali che ne riconoscono la possibilità della costituzione.
Presupposto perché si disponga la costituzione di una servitù, in luogo dell’espropriazione è, oltre alla tipicità del diritto che si va a costituire, che il perseguimento dell’interesse pubblico sia compatibile con la conservazione della proprietà del bene, nel senso che l’imposizione della servitù determini una costrizione nella fruizione della proprietà che, pur limitandone l’esercizio, non escluda totalmente l’uso proprio da parte del proprietario.
Ogni volta che l’uso pubblico precluda totalmente l’uso privato della porzione di proprietà in questione lo strumento non può che essere quello dell’espropriazione del diritto dominicale.
Quanto alla servitù di passaggio, inoltre, lo schema tipico dell’asservimento comporta che essa possa essere costituita coattivamente solo laddove sia specificamente individuato un fondo dominante.
Applicando il principio alla fattispecie in esame, dunque, il ricorso alla costituzione della servitù coattiva deve ritenersi legittimo, in quanto, come emerge dall’”Elenco ditte” allegato alla relazione tecnica prodotta a corredo del progetto approvato e dichiarato di pubblica utilità, il procedimento avviato risulta essere preordinato a costituire il diritto di passo solo a favore di fondi specifici, risultati interclusi dalla soppressione del passaggio a livello e non anche a perseguire il risultato di trasformare quella che è una viabilità privata (sia nel tratto definito come strada vicinale, in ragione di quanto sopra, che nel tratto in cui sul terreno si rinviene una mera capezzagna), in una viabilità aperta al pubblico transito. La fattispecie, infatti, in tal caso esulerebbe da quello che è lo schema tipico della servitù, imponendo sui fondi dei ricorrenti un peso che ne escluderebbe ogni facoltà di autonomo godimento, così legittimando la pretesa del ricorso all’esproprio, in luogo del mero asservimento, con conseguente imputazione degli oneri di manutenzione, oltre che di realizzazione, a carico dell’ente pubblico e trasferimento di ogni forma di responsabilità derivante dalla proprietà della strada stessa.
Chiarito, quindi, che il provvedimento impugnato è illegittimo per aver escluso dall’elenco dei beni da asservire la strada vicinale della Colombera, ma non anche per aver previsto l’imposizione coattiva di una servitù di passaggio, in luogo dell’espropriazione dei terreni necessari per la realizzazione di una strada pubblica, a favore dei soli fondi privati dell’accesso dalla soppressione del passaggio a livello, si può passare all’esame del profilo attinente alla localizzazione dell’opera pubblica.
Quanto alla seconda doglianza, va rilevato che il termine per la presentazione delle osservazioni non ha natura perentoria (riservata ai soli termini esplicitamente classificati come tali) e, conseguentemente, l’ente espropriante è tenuto a prendere in considerazione tutte le osservazioni anche tardivamente pervenute, se lo siano in un momento in cui l’attività istruttoria non si è ancora conclusa con la dichiarazione di pubblica utilità. Ciò che è accaduto nel caso di specie, atteso che avrebbero dovuto essere prodotte entro 30 gg. decorrenti dal 17 agosto e, quindi, entro il 16 settembre e quelle del sig. Ca. sono state spedite il 15 settembre e ricevute il 19 successivo. Poiché, però, il decreto dichiarante la pubblica utilità è stato adottato solo il 23.11.2017, esse avrebbero dovuto essere comunque prese in considerazione.
Secondo parte resistente, la mancata valutazione delle osservazioni in sede di approvazione del progetto sarebbe stata sopperita dall’invio della risposta personale ai ricorrenti, ma la tesi non può essere condivisa.
Oltre al fatto che essa risulta essere del tutto generica, in specie considerato che R.F.I. avrebbe dovuto replicare alla puntuale relazione di parte ricorrente, che individuava tutti gli aspetti tecnici di vantaggio della soluzione alternativa proposta e tutte le difficoltà di realizzazione della scelta progettuale operata dall’ente espropriante, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che la risposta alle osservazioni dei proprietari, sebbene predisposta ed elaborata dal dirigente o dal RUP che l’ha istruita, dovrebbe essere fatta propria dall’organo (giunta o consiglio comunale, a seconda che l’opera sia o meno prevista dal piano regolatore) deputato all’approvazione del progetto, in quanto parte integrante dello stesso. Diversamente opinando non avrebbe alcun senso la disposizione di cui all’art. 16 del DPR 327/2001, secondo cui l’accoglimento delle osservazioni comporta la modifica del progetto, modifica che non può che competere allo stesso organo preposto all’approvazione del progetto stesso (cfr. in tal senso, TAR Brescia, sentenze n. 2424/2010 e 87/2009).
Ciononostante, l’applicazione dei principi posti alla base dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990, estendibili alla fattispecie in quanto trattasi pur sempre di una omissione della garanzia della partecipazione al procedimento, permette di considerare comunque legittimo il rigetto delle osservazioni presentate dai ricorrenti, in ragione di quanto rappresentato nella relazione di RFI depositata in giudizio, in cui si legge che “La soluzione alternativa ivi proposta dai Sigg.ri Ca.–Re. è stata ritenuta non attuabile in quanto prevedeva il transito dei mezzi agricoli da una zona di alta densità abitativa (circostanza in seguito confermata da tecnico comunale)”. Gli aspetti di sicurezza che la sconsigliano rendono, dunque, ragionevole e non illogica la scelta progettuale discrezionalmente operata da RFI nel rigetto dell’ipotesi di tracciato alternativo individuato dai ricorrenti.
Analogo discorso può valere con riferimento all’ulteriore tracciato alternativo proposto dai ricorrenti solo nel ricorso e rispetto a cui il Collegio aveva ravvisato l’opportunità di un confronto fra le parti che, anziché in sede procedimentale, ha, di fatto, avuto luogo attraverso lo scambio di scritti difensivi.
Ne è emersa una proposta progettuale che parte ricorrente non ha saputo suffragare con argomenti idonei a superare le criticità individuate dall’ente espropriante, ma prima di approfondire tale profilo nel merito, appare opportuno premettere che parte ricorrente non è venuta a conoscenza del rigetto delle proprie osservazioni fino a febbraio 2018 e dunque non aveva altra possibilità di proporre un’ulteriore alternativa se non in sede impugnatoria.
In considerazione di ciò e, più in generale, del fatto che la presentazione delle osservazioni in fase procedimentale non può essere considerata conditio sine qua non dell’ammissibilità di una successiva censura in sede giudiziale, volta ad evidenziare il più adeguato contemperamento di interessi pubblici e privati raggiungibile con la diversa soluzione proposta dai ricorrenti, quanto evidenziato negli scritti difensivi di parte resistente appare idoneo a dimostrare come la soluzione tecnica individuata nel progetto resista alla censura di illegittimità mossa al progetto scaturito dall’esercizio discrezionale del potere, avvenuto senza prendere in considerazione il tracciato alternativo che preserverebbe la proprietà dei ricorrenti, ancorché tale motivazione non sia stata puntualmente esternata nel corso del procedimento.
Invero, la difesa di parte resistente ha ben evidenziato come la nuova soluzione prospettata non potrebbe rappresentare una valida alternativa a quella individuata da RFI in sede di progettazione, considerate la sua validità sul piano tecnico, l’efficacia nel raggiungimento dello scopo e i diversi interessi contrapposti (e, in particolare quello all’individuazione di soluzioni tecniche atte ad ovviare alla preclusione dei fondi generata dalla realizzazione dell’opera pubblica che gravino maggiormente sul soggetto beneficiario della costituzione della servitù, con minor aggravio sul terzo, proprietario dei fondi serventi).
Essa, infatti, ingenererebbe problematiche connesse al posizionamento di due tubolari autoportanti per l’attraversamento, definiti ingressi esistenti, che andrebbero ad interferire con una pista ciclopedonale, il cui transito con mezzi agricoli e relativi carichi non è stato adeguatamente valutato dalle parti proponenti.
Per sfruttare tale ingresso, occorrerebbe interferire con i mezzi direttamente sulla pista ciclopedonale e creare una nuova viabilità (di circa 700 mt) a Nord del mappale 185, proseguendo verso Ovest sino alla S.S. 235, per poi proseguire verso Sud ad incontrare la vicinale dei Campolesi. Tale opera risulta più complessa di quella progettata da R.F.I., essendo più estesa la strada da realizzare, con ben più rilevanti e (per la collettività) disagevoli operazioni di movimentazione terra riguardanti una pluralità di fondi appartenenti a diversi proprietari.
Tutto ciò a fronte di una danno limitato alla proprietà dei ricorrenti, atteso che l’assoggettamento alla servitù di passaggio riguarderebbe porzioni di terreni già destinate al transito di mezzi pesanti, per garantire l’accesso alle (di fatto poche) proprietà che risulterebbe intercluse dalla soppressione del sottopasso che garantiva loro l’accesso e, quindi, destinate non a un transito pubblico in senso stretto, ma limitato a soddisfare l’interesse di uno scarso numero di soggetti.
Respinte, dunque, le censure n. 2 e 4, per quanto riguarda, infine, la lamentata omissione, nella fattispecie, della, asseritamente necessaria, apposizione di un vincolo preordinato all’esproprio, la censura non può trovare positivo apprezzamento. Infatti, laddove la realizzazione dell’opera di pubblico interesse comporti, come nel caso di specie, il mero assoggettamento di una strada privata, conforme alle previsioni del PRG e del P.T.C.P., ad una servitù di passaggio, conservandone, anche a seguito dell’esecuzione del progetto, le caratteristiche dimensionali e la medesima classificazione, l’apposizione del vincolo espropriativo non risulta necessaria, al pari dell’acquisizione del parere della Soprintendenza e di quello per i profili idraulici.
Anche la terza censura risulta, dunque, infondata.
L’accoglimento del ricorso introduttivo nei limiti di cui in motivazione, con conseguente necessità di integrare la dichiarazione di pubblica utilità, estendendola alla strada vicinale “Colombera”, che dovrà essere inclusa nell’elenco dei beni da asservire, con conseguente corresponsione della relativa indennità, determina anche l’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti per ragioni di invalidità derivata.
Il decreto che autorizza l’occupazione anticipata dei beni oggetto di asservimento risulta, infatti, immune dai vizi dedotti, in quanto la mancata inclusione tra gli immobili da asservire della strada vicinale non comporta, automaticamente, l’illegittimità dell’occupazione degli altri beni, regolarmente assoggettati, per tutto quanto sopra, agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità.
Ciò nondimeno la mancata inclusione della strada vicinale nell’elenco dei beni da asservire non può non determinare l’impossibilità oggettiva di portare ad esecuzione l’autorizzazione all’occupazione dei beni, rendendo illegittima la previsione di essa come limitata alla sola capezzagna collocata sul lato sud dei mappali 33 e 76.
Il solo parziale accoglimento del ricorso introduttivo e la natura derivata dell’illegittimità dell’occupazione d’urgenza legittimano la compensazione delle spese del giudizio.

EDILIZIA PRIVATA: E' ben noto che per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa “l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù".
Tal iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.
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Senza alcuna pretesa di completezza, si rammenta in proposito che costituirebbero principi consolidati quelli secondo cui:
  
"per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada". Invero:
- "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale";
  
ulteriore necessaria precisazione sarebbe che "una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico";
  
del resto, "l'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale". Invero:
- "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse";
- "ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, [...], la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. Qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti";
  
peraltro "la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione, può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente [incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico]".

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2. Nel merito, (e considerato che il capo con il quale il Tar ha affermato la propria giurisdizione è rimasto inimpugnato) come in premessa anticipato l’appello è infondato in quanto:
   a) è ben noto che per consolidata giurisprudenza civile ed amministrativa (tra le tante, Cassazione civile, sez. un., 23/12/2016, n. 26897 Cons. di Stato sez. IV, n. 1515 del 19.03.2015; Cons. di Stato sez, VI, n. 4952 dell'08.10.2013; Cass. Civ. n. 21125 del 19.10.2015 TAR Napoli, (Campania), sez. VIII, 10/10/2016, n. 4640 “l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù;”;
   b) tale iscrizione è quindi superabile con la prova contraria della sua natura privata e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività;
   c) sennonché, nel caso di specie, tale prova non è stata fornita, ed anzi l’appellante continua a fare riferimento al proprio atto di acquisto, ma non apporta alcun elemento atto a contestare la tesi del comune.
   d) come è noto, la questione concernente la riconducibilità di una strada ad uso pubblico è stata assai sovente esaminata dalla giurisprudenza amministrativa e civile.
Senza alcuna pretesa di completezza, si rammenta in proposito che costituirebbero principi consolidati quelli secondo cui:
  
"per l'attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all'uso pubblico concorra l'intervenuto acquisto, da parte dell'ente locale, della proprietà del suolo relativo (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d'esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima, né la natura pubblica di una strada può essere desunta dalla prospettazione della mera previsione programmatica di tale destinazione, dall'espletamento su di essa, di fatto, del pubblico transito per un periodo infraventennale, o dall'intervento di atti di riconoscimento dell'amministrazione medesima circa la funzione assolta da una determinata strada" [v. Cons. Stato, sez. VI, 08.10.2013, n. 4952; v., altresì, TAR Trento, sez. 1, 21.11.2012, n. 341, per cui "affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva ed attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titulo dell'area da parte della p.a.) né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale"];
  
ulteriore necessaria precisazione sarebbe che "una strada rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato jure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell'esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico" (v. Cass. 05.07.2013, n. 16864);
  
del resto, "l'adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle dí un bene demaniale" (v. Cons. Stato, sez. IV, 21.10.2013, n. 5116; v., altresì, Cons. Stato, sez. IV, 25.06.2012, n. 3531, per la quale "affinché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltre che l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse"; TAR Milano, sez. Il, 09.01.2013, n. 42; v. TAR Lecce, sez. I, 11.02.2013, n. 297 "ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, [...], la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. Qualora difetti l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico (iscrizione costituente presunzione iuris tantum, superabile con la prova contraria, dell'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività), è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare, con rigorosa istruttoria, la sussistenza dei sopra indicati requisiti" (v. TAR Napoli, sez. VIII, 19.12.2012, n. 5250; v., altresì, TAR Napoli, sez. II, 17.07.2008, n. 8869);
  
peraltro "la sdemanializzazione di un bene pubblico -ed a fortiori la sottrazione di un bene patrimoniale indisponibile alla sua originaria destinazione- oltre che frutto di una esplicita determinazione, può essere il portato di comportamenti univoci tenuti dall'Amministrazione proprietaria che si appalesano in modo concludente [incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico]" (v. Cons. Stato, sez. VI, 27.11.2002, n. 6597; TAR Pescara 17.10.2005, n. 580).
3.1. Nel caso di specie, la vicenda è connotata dalle seguenti emergenze processuali:
   a) l’inclusione della via sulla cui natura si controverte nell’elenco delle strade comunali ai sensi della L. 12.02.1958 n. 126 con correlativa presunzione (seppur iuris tantum) della natura pubblicistica della stessa;
   b) l’ulteriore dato della insistenza, sulla predetta via della pubblica illuminazione (così la giurisprudenza sin da tempo risalente TAR, Lazio, sez. II, 19/03/1990, n. 729 “l'insistenza di segnaletica stradale, la percorrenza di linee pubbliche urbane, l'illuminazione, la funzione di raccordo con altre strade ed a sbocco su piazza e su pubbliche vie sono tutti elementi univoci per il riconoscimento della qualità di strada comunale all'interno degli abitati ai sensi dell'art. 7 sub c) l. 12.02.1958 n. 126.”);
   c) l’assenza di prove di segno contrario prospettate da parte appellante, tali non potendo considerarsi le apodittiche affermazioni in punto di insussistenza di un interesse della collettività all’utilizzo della detta via.
4.Alla stregua dei superiori dati, l’appello deve essere quindi in parte dichiarato inammissibile, ed in parte respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.10.2018 n. 5820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: Affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione), né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente all'uso pubblico (inequivocabile è in tal senso l'inciso "se appartengono ... ai comuni" proprio dell'art. 824, primo comma, cod. civ.).
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6.3.2. Ne consegue che la sentenza qui impugnata non merita condivisione laddove –al punto 3.5 della relativa motivazione– assume come corretta l’affermazione della sentenza n. 818/2004 (sulla questione peraltro riformata dal giudice d’appello) della sussistenza di una servitù di uso pubblico, basata sul mero riconoscimento da parte del Comune di Brindisi che la via in questione è usata dalla collettività.
Ha ragione, infatti, il Comune appellante quando afferma che, non solo il diritto di proprietà, ma anche il diritto reale di servitù presuppone un titolo giuridicamente idoneo alla sua costituzione (ex art. 825 cod. civ.), tale non essendo una situazione di mero fatto.
In proposito, non si può che ribadire il principio di diritto, richiamato dall’appellante, per il quale “Affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione), né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta, ma è necessario che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente all'uso pubblico (inequivocabile è in tal senso l'inciso "se appartengono ... ai comuni" proprio dell'art. 824, primo comma, cod. civ.)” (così Cass. civ., sez. II, 25.01.2000, n. 823, cui è conforme la giurisprudenza di legittimità successiva, fino, tra le altre, a Cass. civ., sez. II, 28.09.2010, n. 20405 e 02.02.2017, n. 2795) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2018 n. 5643 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl dissuasore fai-da-te non può restare sulla strada.
Il comune deve ordinare la rimozione urgente degli eventuali impedimenti posizionati dal privato per limitare la circolazione davanti a casa. In particolare se si tratta di tubolari di ferro sporgenti qualche centimetro sulla sede stradale.

Lo ha chiarito il TAR Campania-Napoli, Sez. VII, con la sentenza 24.07.2018 n. 4930.
Un cittadino esasperato per il pericolo causato dal transito dei veicoli davanti alla sua abitazione posizionata in prossimità di una strettoia ha deciso di posizionare dei dissuasori artigianali, ovvero dei tubolari di ferro sporgenti qualche centimetro dal muro di casa. Contro questa misura singolare e creativa il comune ha reagito con una ordinanza urgente di rimozione.
E il privato ha presentato censure al collegio ma senza successo. È evidente che la regolazione del traffico veicolare compete al comune, specifica il tribunale amministrativo. Anche se il comune ha rilasciato un generico parere sulle difficoltà che derivano dalla circolazione in una sede stradale molto stretta non compete certo al privato installare dei dissuasori. E in particolare strumenti pericolosi come posso essere dei tubolari di ferro
(articolo ItaliaOggi dell'11.08.2018).
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1. - Mi.Ru., proprietaria dell’immobile sito in via ..., n. 23/A del Comune di Massa Lubrense, ha impugnato l’ordinanza n. 77 prot. 11454 del 03.05.2016, con cui l’ente locale ha disposto la rimozione, ad horas e comunque entro due giorni, dei tubolari in ferro, in funzione di dissuasori, collocati sul muro di confine dalla sede stradale.
Ha premesso che i n. 6 tubolari, di 6/7 cm di sporgenza verso la sede stradale e posti ad altezza media di cm 35, sono stati collocati previa acquisizione del parere favorevole del comandante della Polizia Municipale prot. 6459 del 09.03.2016 e prot. n. 865 del 09.03.2016, assoggettato alla condizione di assicurare il transito in sicurezza dei veicoli di larghezza massima di mt. 1,30.
...
5. - Il provvedimento gravato si inserisce nell’ambito di una vicenda caratterizzata dall’emissione da parte della civica amministrazione di una precedente ordinanza, n. 241 del 31.12.2015, volta anch’essa alla rimozione di n. 6 tubolari installati sul muro di confine dell’immobile di proprietà della ricorrente, eseguita dalla sig.ra Ru..
5.1. - L’ordinanza n. 77/2016, impugnata con il ricorso in esame, si fonda sulla comunicazione prot. 11117 del 22.04.2016 del Comando della Polizia Municipale che, in seguito a sopralluogo, ha riscontrato nuovamente la presenza dei tubolari in ferro, identici per numero e dimensioni a quelli rimossi.
5.2. - La ricorrente si duole dell’omesso riferimento, in quest’ultimo provvedimento, ad un elemento sopravvenuto ritenuto dirimente: il parere del comandante della Polizia Municipale prot. 6459, PM. 865, del 09.03.2016.
Nel suddetto atto si esprime parere favorevole all’installazione dei dissuasori sulla proprietà della sig.ra Ru., a condizione che venga rispettata la possibilità di transito in sicurezza per i veicoli di larghezza massima di mt. 1,30.
5.3. - Dalla perizia di parte depositata dalla ricorrente si desume che:
   - in data 07.05.2016 il personale del Comune ha provveduto alla rimozione forzata dei tubolari contestati;
   - nella via in questione è presente apposita segnaletica stradale volta ad interdire il passaggio ai veicoli con larghezza superiore ai mt. 1,30;
   - nel tratto interessato dall’apposizione dei tubolari, la strada presenta una larghezza media di mt. 1,48/1,55.
5.4. - Il Comune nel provvedimento impugnato ha espressamente affermato che “le esigue dimensioni in larghezza della strada in questione non permettono alcun tipo di ulteriore restringimento, senza pregiudizio della già limitata e difficile percorribilità e fruibilità veicolare e pedonale della strada stessa”.
6. – Dalla ricostruzione della vicenda si desume che la ricorrente non ha ottenuto alcun titolo abilitativo per poter procedere alla nuova apposizione dei dissuasori e che l’amministrazione, nella valutazione dell’interferenza dei tubolari con la fruibilità della via pubblica, ha tenuto conto sia della circolazione veicolare che di quella pedonale, ritenendo l’interesse all’apposizione dei suddetti manufatti recessivo rispetto all’esigenza di tutela della pubblica incolumità e della sicurezza del relativo transito.
Su tali profili nulla rileva la nota del Comando di Polizia Municipale che, peraltro, è indirizzata solo alla ricorrente ed è antecedente al sopralluogo effettuato in data 22.04.2016 dal medesimo Comando.
In essa si fa unicamente riferimento alla necessità di assicurare il transito in sicurezza dei veicoli di larghezza di mt. 1,30, mentre nulla si rileva circa le misure idonee a garantire le esigenze di sicurezza della circolazione veicolare e pedonale. Non si rinviene alcun riferimento alle caratteristiche dei tubolari e alle relative modalità di interferenza di questi ultimi con le condizioni di circolazione nel relativo tratto viario che, come risulta anche dai rilievi fotografici in atti risulta particolarmente stretto, attesa la presenza di muri di confine su entrambi i lati.
Tale nota, inoltre, risulta conforme a quanto già segnalato sulla pubblica via circa il divieto di transito per veicoli di larghezza superiore a mt. 1,30.
In proposito giova rilevare che attiene ad un diverso profilo l’obbligo di rispetto di quest’ultimo divieto, da assicurare attraverso le modalità ritenute più utili e opportune da parte della pubblica amministrazione, ivi compresa l’adozione di sanzioni sul piano amministrativo avverso le condotte contrarie al Codice della strada, al fine di tutelare, oltre la pubblica incolumità e la circolazione sicura, anche la proprietà privata della ricorrente.
7. - Deve, pertanto, ritenersi che l’operato dell’amministrazione risulta esente dai dedotti vizi e che il provvedimento gravato si configuri come atto dovuto, adottato nell’esercizio delle competenze proprie del Comune, tanto che anche le violazioni procedimentali (sulla cui sussistenza è lecito dubitare essendo la vicenda caratterizzata dall’adozione di plurimi atti pregressi, noti alla ricorrente) come quelle di cui agli articoli 7 della legge n. 241/1990, in conformità al modello legale di cui all’articolo 21-octies della legge n. 241/1990, dequotano a mere irregolarità non invalidanti.
8. - Per tutto quanto esposto il ricorso deve essere respinto, risultando irrilevante ogni approfondimento sul Regolamento per la tassa di occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui alla D.G.C. n. 64 del 15.07.1994.

EDILIZIA PRIVATA: L’atto di declassificazione non determina di per sé stesso la perdita dell’uso pubblico della strada, qualora quest’ultima conservi la condizione di bene idoneo a garantirne un’utilizzazione pubblica.
Né «il disuso protratto nel tempo» né «l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico» sono sufficienti a dimostrarne «l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di cessazione della demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico
».
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8.3. Ebbene, secondo un principio consolidato in giurisprudenza, l’atto di declassificazione non determina di per sé stesso la perdita dell’uso pubblico della strada, qualora quest’ultima conservi la condizione di bene idoneo a garantirne un’utilizzazione pubblica.
8.4. Inoltre, la giurisprudenza amministrativa anche più recente ha ribadito che né «il disuso protratto nel tempo» né «l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico» sono sufficienti a dimostrarne «l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di cessazione della demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico» (Cons. St., Sez. IV, 28.10.2013, n. 5207, nonché Cons. St., Sez. V, 30.11.2011, n. 6338; Sez. VI, 09.02.2011, n. 868; Sez. IV, 07.09.2006, n. 5209, Sez. V, 01.12.2006, n. 7081) (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 16.01.2018 n. 41 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Per la giurisprudenza consolidata, per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile.
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica.
Ed ancora la giurisprudenza ha osservato che, affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione.

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Condivisibile giurisprudenza ritiene che, in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, come risulta dalle certificazioni del Comune prodotte in giudizio da parte ricorrente, l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada da parte dell’amministrazione, il quale deve essere condotto mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova.
E’, infatti necessario, in mancanza di un atto valido a dimostrare la sussistenza del diritto di uso pubblico, che il fatto della protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, quale titolo parimenti idoneo a sorreggere l’affermazione di tale diritto, venga rigorosamente provato da parte dell’Amministrazione, su cui incombe il relativo onere.
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Il Collegio, posto che il Comune, come peraltro ammesso dal Comune stesso nel provvedimento impugnato, non vanta alcun titolo di proprietà del terreno su cui insiste la strada per cui è causa, deve verificare se tale strada possa essere qualificata area ad uso pubblico, come sostenuto nel medesimo provvedimento.
Ed invero, per la giurisprudenza consolidata, per poter considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Deve quindi essere verificato: il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. di Stato, IV, n. 1155/2001; V, n. 5692/2000; n. 1250/1998; n. 29/1997; TAR Toscana, Sez. III; n. 1385/2003; TAR Sicilia Catania, n. 2124/1996; Cass. civ. II, nn. 20405/2010 e 7718/1991).
Non è pertanto configurabile l’assoggettamento di una via vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o potrebbe servire da collegamento con una via pubblica (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013, n. 1322).
Ed ancora la giurisprudenza ha osservato che, affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 10.05.2013, n. 2544).
Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame alla luce della richiamata giurisprudenza, occorre innanzitutto rilevare che il provvedimento deve ritenersi carente di motivazione, in quanto non indica in modo chiaro i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Ciò in quanto nella fase istruttoria l’organo che ha adottato il provvedimento aveva richiesto i rispettivi pareri al Corpo di Polizia Municipale e all’Area “AA.GG., Legale e URP” di Teano ma, immotivatamente, nel provvedimento decisorio se n’è discostato ponendo a fondamento del provvedimento stesso unicamente il parere precedentemente dato (nel 2014) dal suddetto Corpo di Polizia Municipale.
Occorre premettere che il Corpo di Polizia Municipale di Teano, nel verbale di sopralluogo prot. n. 2136/PM dell’08.10.2014, aveva concluso che la strada per cui è causa potesse essere classificata come area ad uso pubblico sulla base delle seguenti motivazioni: la stessa pavimentazione della strada principale, la stessa illuminazione pubblica, la mancanza di scritta o struttura o altro segno che inibisce a chicchessia la sosta o il transito e/o la circolazione dei pedoni, la circostanza che il Ci., con regolare licenza, avesse gestito per più di vent’anni un pubblico servizio che aveva unico ingresso ed accesso da detto stradone, l’autorizzazione di un passo carrabile rilasciata in favore di Ma.Vi..
Ed invero, nel parere n. 30 del 31.03.2016, il Responsabile dell’Area AA.GG., Legale e URP aveva rappresentato, andando in contrario avviso rispetto alle conclusioni del Corpo di Polizia Municipale del 2014, di “convergere, sostanzialmente, sulle ricerche fatte dagli avvocati dei tecnici di parte”, dando atto che dalla lettura del rispettivo parere prot. n. 615 del 29.03.2016 anche il Comando di PM, seppur ribadendo l’impostazione del precedente parere dell’08.10.2014, “apre a soluzione alternative”.
Ciò in quanto il Responsabile della suddetto Comando pur “confermando tutto quanto in essa” -dell’08.10.2014– “dedotto ed affermato” ha concluso rappresentando che “Appare chiaro che il diritto di uso pubblico diventa acquisito de iure allor quando il Comune invochi, avochi ed imponga la servitù incontestata con apposito atto amministrativo. A tutt'oggi niente vieta al Comune di non invocare come necessario e come pretesa tale diritto, (che comporrebbe tra l'altro ulteriori spese di manutenzione), riconoscendo al legittimo proprietario la piena fruibilità, senza vincolo dei propri beni.”.
Il Responsabile dell’Area Legale, dal canto suo, ha concluso dicendo di essere “del parere che -manchino o sono insufficienti- gli elementi fondamentali per ipotizzare una servitù pubblica di passaggio sulla strada privata nel Borgo di S. Marco, come individuata dagli istanti, sul doppio presupposto che: 1)- gli attuali proprietari abbiano dimostrato, con atti tra vivi o mortis causa, che essa sia privata; 2)- che il palo venga immediatamente disattivato dalla pubblica illuminazione e che i proprietari paghino una somma forfetaria -calcolata dall'Ufficio Tecnico- a ristoro della fornitura di energia dalla sua messa in opera fino all'interruzione della fornitura.”.
Peraltro, in riferimento a detto palo, già con nota prot. n. 3300 del 23.02.2016 la stessa Responsabile dell’Area Tecnica, firmataria del provvedimento oggetto di impugnazione, aveva accolto la richiesta di eliminazione del punto luce ubicato nella zona interessata, rappresentando di aver dato inizio alle procedure amministrative propedeutiche alla rimozione dello stesso.
Il Collegio, confermando quanto già sostenuto da questa Sezione nell’ordinanza n. 2157 del 22.12.2016, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare proposta dal ricorrente, e concordando con quanto rappresentato nel parere n. 30 del 31.03.2016 dal Responsabile dell’Area AA.GG., Legale e URP del Comune di Teano, ritiene che non si ravvisino elementi certi circa la sussistenza dell’uso pubblico della strada su cui insistono le opere oggetto del provvedimento impugnato (cfr. TAR Napoli, Sez. VIII, 06.12.2016, n. 5810).
Ed invero, alla luce delle risultanze dell’istruttoria, non può ritenersi provato il requisito principale del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale da tempo immemorabile, non potendo ritenersi tale circostanza fondata unicamente sulla presenza, nel passato, di un esercizio commerciale di cui era titolare uno dei ricorrenti.
Ciò in quanto la condivisibile giurisprudenza ritiene che, in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, come risulta dalle certificazioni del Comune di Teano prodotte in giudizio da parte ricorrente, l'esercizio del potere di autotutela è condizionato al preventivo rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada da parte dell’amministrazione, il quale deve essere condotto mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova (cfr. (TAR Palermo, Sez. II, 12.06.2013, n. 1322 cit., TAR Lazio, Sez. II, 29.03.2004, n. 2922).
E’, infatti necessario, in mancanza di un atto valido a dimostrare la sussistenza del diritto di uso pubblico, che il fatto della protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, quale titolo parimenti idoneo a sorreggere l’affermazione di tale diritto, venga rigorosamente provato da parte dell’Amministrazione, su cui incombe il relativo onere (TAR Marche, Ancona, Sez. I, 01.02.2016, n. 48).
Inoltre dalla documentazione anche fotografica, prodotta in atti, emerge che tale strada e cieca e consente unicamente l’accesso alla strada principale (via Aldo Moro), ma non si rinviene l’oggettiva idoneità della strada stessa all’attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici); né risultano effettuati lavori di manutenzione della strada stessa da parte dell’amministrazione comunale (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 04.09.2017 n. 4233 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum", superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.
In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione in ipotesi di contestazione, resta fermo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "l'iscrizione di una strada nell'elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico, superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività.".
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L'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può derivare, oltre che dalla volontà del proprietario e dal mutamento della situazione dei luoghi, con conseguente inserimento della stessa nella rete viaria cittadina, anche da un immemorabile uso pubblico, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada.
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7. Passando ai motivi del presente appello, si rileva che con il primo motivo il Consorzio sostiene che, costituendo il Consorzio stradale permanente degli utenti della rete viaria del centro turistico di Marsia, il Comune di Tagliacozzo avrebbe violato la disposizione dell’art. 14 della legge n. 126/1958, la quale prevedrebbe la costituzione di un consorzio stradale obbligatorio per la manutenzione soltanto delle strade vicinali pubbliche e non invece di quelle pubbliche.
Anche in questo caso si può prescindere dall’eccezione di inammissibilità per novità della censura, stante la sua infondatezza.
Infatti nella proposta di deliberazione del Consiglio comunale n. 26/P del 14.09.2009, è espressamente affermato che “La disciplina dei consorzi stradali obbligatori si applica a tutte le strade private aperte al pubblico transito, a prescindere che si tratti di strade vicinali o meno; le strade del centro turistico di Marsia, a prescindere da chi sia il proprietario, sono sicuramente aperte al pubblico transito; ciò è previsto, tra l’altro, dall’art. 7 del verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al Commissario Regionale agli Usi Civici dell’Aquila in data 19.07.1968, Cron. N. 136 (e ribadito, nello stesso senso, nel verbale di conciliazione in data 01.04.1971, n. 171: “Le strade, i piazzali, i larghi destinati all’uso collettivo sono soggetti all’uso pubblico di circolazione, a norma delle leggi in materia, salvi gli oneri della società Marsia e suoi aventi causa per la costruzione, sistemazione e manutenzione delle strade”), ed è stato di recente confermato dalla sentenza del TAR dell’Aquila n. 232 del 2003 (divenuta definitiva per non essere stata impugnata da alcuno); pertanto, anche per esse trovano applicazione le disposizioni del d.lgs. n. 1446/1918 e dell’art. 14 della legge n. 126/1958”.
Inoltre, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1515), ai fini della qualificazione di una strada come vicinale pubblica, occorre avere riguardo alle sue condizioni effettive, in quanto una strada può rientrare in tale categoria solo qualora rilevino il passaggio esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone appartenenti a un gruppo territoriale, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile. L'iscrizione della strada nell'elenco delle strade vicinali di uso pubblico costituisce presunzione "iuris tantum", superabile con la prova contraria, che escluda l'esistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività.
In disparte ogni problematica in ordine alla giurisdizione in ipotesi di contestazione, resta fermo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 07.11.1994, n. 9206) secondo cui "l'iscrizione di una strada nell'elenco formato dalla P.A. delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva, ma è dichiarativa della pretesa della P.A. La stessa iscrizione pone in essere una mera presunzione "iuris tantum" di uso pubblico, superabile con la prova dell'inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività.".
8. Inoltre, questa Sezione (sentenza 22.12.2014, n. 6197), confermando la sentenza n. 230 del 2003 del TAR per l’Abruzzo, ha definitivamente accertato la presenza di un immemorabile uso pubblico delle strade e delle piazze ricadenti all’interno del centro turistico di Marsia.
Ciò conferma risolutivamente che sussistevano i presupposti affinché, ai sensi dell’art. 14 L. n. 126/1958, fosse costituito dal Comunità di Tagliacozzo il consorzio stradale permanente degli utenti della rete viaria del centro turistico di Marsia.
Come già ricordato, l'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può derivare, oltre che dalla volontà del proprietario e dal mutamento della situazione dei luoghi, con conseguente inserimento della stessa nella rete viaria cittadina, anche da un immemorabile uso pubblico, inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione, pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica, di esercitare il diritto di uso della strada.
In ogni caso, si rileva che nella proposta di deliberazione del Consiglio comunale n. 26/P del 14.09.2009, è espressamente affermato (pag. 4) che “Nessuna delle strade ricomprese nel comprensorio del centro turistico di Marsia può essere classificata come “strada comunale” ai sensi della vigente normativa, per cui tutte queste strade rientrano nella definizione di “strade private” soggette ad uso pubblico, e come tale soggette alla competenza del Consorzio stradale che si intende costituire”.
Tali rilievi sono sufficienti a dimostrare la legittimità degli atti impugnati sotto il profilo denunciato, restando salve altre ed ulteriori questioni di diritto proprietario che non sono comunque di competenza di questo plesso giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.2017 n. 2531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente in questione, ovverosia l’uso per pubblico transito della strada o l’esistenza di altre ragioni che rendevano indispensabile il ripristino in via d’urgenza della sua accessibilità, deve essere provata dall’amministrazione che adotta il provvedimento.
Ciò tanto più in quanto il Comune in questione non ha formalmente utilizzato il potere sindacale contemplato dall'art. 378 l. n. 2248/1865 all. F, quale ipotesi di autotutela possessoria “iuris publici” in tema di strade sottoposte all'uso pubblico -che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l'uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni- ma ha adottato una ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54, comma 4, del D.Lgs. 267 del 2000, tipologicamente volta ad affrontare situazioni a carattere straordinario ed imprevedibile, in rapporto alle quali non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti approntati dall'ordinamento giuridico, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua motivazione.
Inoltre, i requisiti affinché una strada possa essere considerata pubblica sono il passaggio esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale e la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e il diritto di uso pubblico di una strada deve essere rigorosamente provato.
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2) Il secondo ricorso per motivi aggiunti si rivela fondato.
L’ordine di rimozione si basa sui presupposti logico-giuridici della natura di strada vicinale e dell’uso pubblico della strada in questione, utilizzata dalla collettività per l’accesso ad altri lotti e ai capannoni industriali, nonché dell’esistenza di infrastrutture pubbliche funzionali all’esercizio di servizi pubblici essenziali per la popolazione.
La sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza sindacale contingibile e urgente in questione, ovverosia l’uso per pubblico transito della strada o l’esistenza di altre ragioni che rendevano indispensabile il ripristino in via d’urgenza della sua accessibilità, deve essere provata dall’amministrazione che adotta il provvedimento.
Ciò tanto più in quanto il Comune in questione non ha formalmente utilizzato il potere sindacale contemplato dall'art. 378 l. n. 2248/1865 all. F, quale ipotesi di autotutela possessoria “iuris publici” in tema di strade sottoposte all'uso pubblico -che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l'uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni- ma ha adottato una ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 54, comma 4, del D.Lgs. 267 del 2000, tipologicamente volta ad affrontare situazioni a carattere straordinario ed imprevedibile, in rapporto alle quali non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti approntati dall'ordinamento giuridico, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e congrua motivazione (Cons, Stato, Sez. V, 16/02/2010, n. 868).
Inoltre, i requisiti affinché una strada possa essere considerata pubblica sono il passaggio esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale e la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e il diritto di uso pubblico di una strada deve essere rigorosamente provato.
Nel caso di specie il Comune non ha provato la sussistenza dell’uso pubblico della strada posto a base dell’ordinanza impugnata, né specifiche ragioni di pubblica utilità ostative all’installazione della sbarra.
La documentazione allegata dal medesimo Comune, e posta a base dell’atto impugnato, difatti, non comprova che la strada fosse stata stabilmente adibita a pubblico transito, considerata anche la circostanza che si tratta di una strada sostanzialmente chiusa e sulla quale si affacciano tre soli lotti, né ha comprovato la presenza di infrastrutture pubbliche e che l’impedimento alla libera transitabilità pone a rischio l'incolumità pubblica, non essendo presente sulla strada altro che il tratto di allaccio della rete fognaria ai lotti in questione.
Inoltre, non appare chiara e di univoca lettura la documentazione depositata inerente alla supposta realizzazione da parte del Comune della strada in questione.
In sostanza, pertanto, si rileva la sussistenza del difetto di istruttoria rispetto all’ordinanza adottata, non risultando comprovati i presupposti necessari ai fini del potere ripristinatorio dello stato dei luoghi esercitato (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 06.03.2017 n. 1289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo la giurisprudenza, la destinazione di strade vicinali ad uso pubblico necessariamente comporta il loro coinvolgimento in un transito generalizzato con la conseguenza che, anche a prescindere della proprietà del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il Comune possa vantare sulla strada vicinale, ai sensi dell'art. 825 c.c., un diritto reale di transito.
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Nel disporre la verificazione la Sezione aveva declinato le caratteristiche richieste perché le strade possano essere definite strade vicinali, ossia:
   - che siano interessate dal passaggio iure servitutis pubblicae da parte della collettività sul territorio,
   - che siano quindi concretamente idonee a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e
   - che siano anche di fatto destinate a tale uso pubblico da tempo immemorabile,
prescrivendo dunque che l’accertamento della natura della strada predetta fosse effettuato non soltanto alla stregua di quanto previsto nel relativo elenco e secondo le risultanze catastali, bensì anche in relazione alle caratteristiche effettive in cui la strada si trova, verificando l’ubicazione della strada in seno a centri abitati, l’impiego a transito generalizzato da parte della collettività (e non da parte, per esempio, di singoli proprietari di fondi prospicienti sulla strada medesima) in maniera consolidata e duratura nel tempo, l’idoneità della strada a fare da congiunzione fra altre strade pubbliche, nonché le attività ordinariamente svolte dal Comune in relazione alla gestione e manutenzione di essa.
Una strada vicinale può, infatti, considerarsi aperta al pubblico transito, quando ricorrono i seguenti tre presupposti:
   a) il passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività indeterminata di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento alla via pubblica, esigenze di interesse generale;
   c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico.
In particolare, l'accertamento in ordine all'effettiva destinazione ad uso pubblico di una strada presuppone, necessariamente, l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o ancora, l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione stessa circa la funzione da essa assolta.
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4.2. Osserva il Collegio che la natura privata della strada in questione, unita all’avvenuto accertamento della mancanza di infrastrutture di servizio e della assenza dei requisiti per essere classificata come strada aperta al pubblico transito, alla stregua della disciplina dettata dal Codice della strada, esclude in radice che il Comune di Leonessa possa vantare alcuna pretesa sulla stessa né, tanto meno, che possa ritenersi leso da quella che va qualificata attività di recinzione di una proprietà privata, dunque legittimamente posta in essere dall’Ente proprietario.
In proposito deve rammentarsi che la Sezione, fin dall’ordinanza n. 2482 del 23.02.2016, aveva chiarito che, secondo la giurisprudenza, la destinazione di strade vicinali ad uso pubblico necessariamente comporta il loro coinvolgimento in un transito generalizzato con la conseguenza che, anche a prescindere della proprietà del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze, il Comune possa vantare sulla strada vicinale, ai sensi dell'art. 825 c.c., un diritto reale di transito (cfr. Cons. Stato IV, 21.09.2015, n. 4398).
Pertanto, nel disporre la verificazione, la Sezione aveva declinato le caratteristiche richieste perché le strade possano essere definite strade vicinali, ossia che siano interessate dal passaggio iure servitutis pubblicae da parte della collettività sul territorio, che siano quindi concretamente idonee a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via, e che siano anche di fatto destinate a tale uso pubblico da tempo immemorabile, prescrivendo dunque che l’accertamento della natura della strada predetta fosse effettuato non soltanto alla stregua di quanto previsto nel relativo elenco e secondo le risultanze catastali, bensì anche in relazione alle caratteristiche effettive in cui la strada si trova, verificando l’ubicazione della strada in seno a centri abitati, l’impiego a transito generalizzato da parte della collettività (e non da parte, per esempio, di singoli proprietari di fondi prospicienti sulla strada medesima) in maniera consolidata e duratura nel tempo, l’idoneità della strada a fare da congiunzione fra altre strade pubbliche, nonché le attività ordinariamente svolte dal Comune in relazione alla gestione e manutenzione di essa.
Una strada vicinale può, infatti, considerarsi aperta al pubblico transito, quando ricorrono i seguenti tre presupposti:
   a) il passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività indeterminata di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale;
   b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento alla via pubblica, esigenze di interesse generale;
   c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico.
In particolare, l'accertamento in ordine all'effettiva destinazione ad uso pubblico di una strada presuppone, necessariamente, l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia costituita una servitù di uso pubblico e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o ancora, l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'Amministrazione stessa circa la funzione da essa assolta (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 03.08.2016, n. 4013).
La relazione del verificatore ha dato risposta esaustiva e documentata ai quesiti posti dall’ordinanza, escludendo la sussistenza di tutti i richiamati presupposti perché la strada in esame possa considerarsi strada vicinale di uso pubblico: infatti, ferma restando la proprietà della strada in capo al Comune di L’Aquila, circostanza non contestata, il Collegio osserva che, anche dai rilievi fotografici prodotti a corredo della relazione, è agevole verificare ictu oculi che si tratta di un tratturo non adatto al pubblico transito e, comunque, privo di segni visibili sia di un abituale transito di veicoli sia di infrastrutture o di attività di manutenzione della strada da parte del Comune.
4.3. Da quanto precede discende l’illegittimità dell’ordinanza di rimozione impugnata, poiché adottata dal Comune di Leonessa in radicale assenza del presupposto fondante, ossia che la sbarra impedisca la fruibilità della strada, che erroneamente ha qualificato come vicinale di uso pubblico, nonché il raggiungimento di fontanili ed acque, anche in questo caso erroneamente qualificati come pubblici.
Conclusivamente, assorbiti gli ulteriori motivi, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, l’atto impugnato deve essere annullato.
All’annullamento dell’ordinanza di rimozione consegue, quale effetto conformativo, il ripristino della sbarra illegittimamente rimossa, a cura e spese del Comune di Leonessa (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 17.02.2017 n. 2571 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: La strada di campagna non esclude l'uso pubblico.
Il privato che ottiene il via libera all'allargamento del sentiero comunale per la realizzazione di uno scivolo carrabile non può contestualmente limitarne il passaggio agli altri utenti. Al massimo potrà richiedere una licenza di passo carrabile per agevolare il passaggio dei veicoli.

Lo ha chiarito il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con la sentenza 04.05.2016 n. 868.
Un privato ha ottenuto dal comune la regolare licenza edilizia necessaria per la realizzazione di uno scivolo, in allargamento di un sentiero comunale, per agevolare l'uso del proprio garage con i mezzi a motore.
Contestualmente alla realizzazione del manufatto però il cittadino ha anche installato dei paletti a delimitazione della proprietà oggetto di un provvedimento urgente di rimozione da parte del sindaco. Contro questa determinazione l'interessato ha proposto ricorso ma senza successo.
L'assenso comunale è limitato alla realizzazione dello scivolo. Non anche alla limitazione dell'uso pubblico del sentiero, di proprietà comunale, da sempre destinato a uso pubblico. Per evitare l'ostruzione del varco sarà sufficiente richiedere un regolare passo carrabile, conclude il Tar (articolo ItaliaOggi del 07.06.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Tar Sicilia. Il sentiero privato può essere chiuso.
Se il comune vuole impedire a un privato di sbarrare l'accesso pedonale alla spiaggia deve dimostrare l'esistenza di una servitù di uso pubblico. Non basta avere iscritto la strada nella toponomastica locale.

Lo ha evidenziato il TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, con la sentenza 01.04.2016 n. 836.
Un comune siciliano ha negato la licenza per l'installazione di un cancello in una stradella utilizzata per l'accesso alle spiagge pubbliche. Contro questa determinazione gli interessati hanno proposto con successo ricorso al collegio.
La legge regionale n. 37/1985 che si occupa di ripristino degli accessi al mare chiusi abusivamente dai privati non è applicabile trattandosi in questo caso di un'area privata, specifica innanzitutto la sentenza. E neppure il comune ha provato l'esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada in questione.
L'indicazione del tracciato pedonale nella toponomastica comunale riveste una funzione puramente dichiarativa, specificano i giudici. Non basta ad accertare l'uso pubblico (articolo ItaliaOggi del 26.04.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Spetta al comune dimostrare l'uso pubblico della strada di accesso alla spiaggia che insiste su una proprietà privata.
E’ quasi superfluo precisare che affinché un qualsiasi bene possa essere destinato a un uso pubblico è necessario che rientri nel patrimonio pubblico.
Ove l’amministrazione ravvisi la necessità di acquisire un bene privato nel proprio patrimonio, per la soddisfazione di un interesse pubblico, la legge predispone gli strumenti idonei affinché la P.A. possa acquisire quel bene.

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L'asservimento a uso pubblico di una strada privata, in forza del quale essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale, può derivare o dall'inserimento nella rete viaria cittadina riconducibile alla volontà del proprietario che si manifesta nel mutamento della situazione dei luoghi, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni, oppure da un immemorabile uso pubblico che va inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada.
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Quanto alla identificazione della strada nella toponomastica comunale va precisato che tale iscrizione non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.
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... per l'annullamento del diniego della domanda di autorizzazione n. 31930 del 15.11.2013, per la collocazione di un cancello a chiusura della stradella sul terreno, sito in C.da San Giorgio, in catasto al foglio 150, p.lla 108.
...
Il ricorso è fondato.
E’ quasi superfluo precisare che, affinché un qualsiasi bene possa essere destinato a un uso pubblico, è necessario che rientri nel patrimonio pubblico.
Ove l’amministrazione ravvisi la necessità di acquisire un bene privato nel proprio patrimonio, per la soddisfazione di un interesse pubblico, la legge predispone gli strumenti idonei affinché la P.A. possa acquisire quel bene.
Sulla base di tali principi è evidente che il Comune resistente può imporre l’apertura al pubblico della stradella per cui è causa solo in quanto il terreno su cui insiste rientri nel suo patrimonio; diversamente, ove ne ravvisi la necessità, dovrà prima espropriare la stradella ai suoi attuali proprietari.
In questa logica si muove la previsione dell’art. 12 della legge regionale n. 37/1985, laddove prevede, per un verso l’apertura al pubblico delle strade di accesso al mare rientranti nel patrimonio pubblico che sono state abusivamente chiuse da privati e, per altro verso, stabilisce che, in sede di pianificazione urbanistica, siano individuati gli accessi al mare necessari a soddisfare l’interesse della collettività, al fine di poterne disporre l’espropriazione e, quindi, trasformarli in accessi pubblici al mare.
Nel caso in esame, parte ricorrente però afferma che la stradella per cui è causa rientra nel suo patrimonio personale e il Comune di Sciacca non è stato in grado di smentire tale circostanza.
Risulta perciò fondato il secondo motivo di ricorso poiché il Comune resistente ha negato l’autorizzazione rispetto a un bene che non è pubblico.
Ove l’amministrazione volesse perseguire il proprio interesse all’apertura al pubblico della strada per cui è causa, avrebbe dovuto provarne la natura pubblica –circostanza neanche affermata nel provvedimento impugnato– ovvero disporne l’espropriazione nei modi e nei tempi di legge.
Né il Comune ha provato l’esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada in questione.
Va, a tal proposito, richiamato l’incontroverso orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'asservimento a uso pubblico di una strada privata, in forza del quale essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale, può derivare o dall'inserimento nella rete viaria cittadina riconducibile alla volontà del proprietario che si manifesta nel mutamento della situazione dei luoghi, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni, oppure da un immemorabile uso pubblico che va inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada (ex plurimis Cons. di Stato, V, 09.06.2008, n. 2864; 24.05.2007, n. 2618 e 04.02.2004, n. 373).
Ebbene, sulla stradella per la quale è lite il Comune di Sciacca non ha dimostrato di avere svolto alcun servizio pubblico di illuminazione, manutenzione, pulizia viaria e raccolta di rifiuti.
Tale circostanza costituisce, ad avviso del Collegio, indice inequivocabile del fatto che la strada non è gravata da uso pubblico, dovendosi ricondurre il passaggio per l’accesso al mare alla tolleranza dei proprietari, i quali non hanno mai inteso rinunziare al loro diritto tant’è che hanno chiesto di potere collocare il cancello, che, peraltro, potrebbe, ipoteticamente, anche consentire il passaggio pedonale.
Quanto alla identificazione della stradella nella toponomastica comunale va precisato che tale iscrizione non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività (Cons. Stato, V, 01.12.2006; TAR Sicilia, Palermo, III, 05.12.2012, n. 2545; Cass. civ., sez. un., n. 1624/2010) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 01.04.2016 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAStrada vicinale, quando sussiste il diritto di uso pubblico?
Le caratteristiche indispensabili della servitù di uso pubblico in una sentenza del Tar Lombardia-Milano.
La costante giurisprudenza amministrativa, che il Tar Lombardia condivide nella sentenza n. 507/2016, afferma che affinché il diritto di uso pubblico della strada possa ritenersi sussistente “occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato”.
Tale indirizzo è perfettamente conforme a quello della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.

La destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza.
Non è quindi sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale (commento tratto da www.casaeclima.com).
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Affinché il diritto di uso pubblico della strada possa ritenersi sussistente <<occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale>>
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... per l’annullamento
quanto al ricorso n. 3588 del 2014:
   - dell’ordinanza n. 95 dell’11.12.2014, notificata il 18.12.2014, con la quale il Sindaco di Teglio ha ordinato al ricorrente di astenersi da qualsiasi comportamento che possa recare ostacolo o comunque modificare l’originaria possibilità di pubblico transito lungo il tratto di strada vicinale indicato nelle premesse, rimuovendo ogni opera o segnaletica idonee a pregiudicare la piena fruizione pubblica della strada vicinale, il tutto entro il termine perentorio di 15 giorni decorrenti dal ricevimento dell’ordinanza, avvertendo che in caso di mancata ottemperanza entro il termine di cui sopra, il ripristino sarebbe stato attuato d’ufficio, ponendo le relative spese a carico degli inadempienti;
   - nonché di ogni altro atto o provvedimento alle stesse presupposto, conseguente o comunque connesso;
quanto al ricorso n. 868 del 2015:
   - del provvedimento 01.04.2015 prot. n. 2975, concernente il divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione di una recinzione in rete metallica e paletti;
   - nonché di ogni altro atto allo stesso presupposto, conseguente o comunque connesso ivi inclusa l’ordinanza 23.03.2015 n. 2356 e la comunicazione del Comune di Teglio 27.02.2015 n. 1737, nonché ogni norma contenuta nel PGT da cui possa emergere che la recinzione sia non conforme alla previsione del PGT stesso approvato in data 24.07.2013 e, occorrendo, specificamente, l’art. 13 delle NTA del PdS e relativa tavola inviata in data 13.04.2015 in risposta all’istanza di accesso agli atti inviata il 13.04.2015.
...
6. Passando all’esame del merito dei ricorsi, possono essere esaminate congiuntamente le censure aventi carattere assorbente, contenute in entrambi i gravami, attraverso le quali si eccepisce l’illegittimità dei provvedimenti comunali inibitori, in ragione della non classificabilità, quale strada vicinale ad uso pubblico, della fascia di terreno prospiciente l’abitazione del ricorrente.
6.1. Va premesso che i provvedimenti impugnati con entrambi i ricorsi –ovvero l’ordinanza sindacale n. 95 dell’11.12.2014, con cui si impone al ricorrente di rimuovere qualsiasi opera in grado di impedire il pubblico transito nella strada vicinale situata nel terreno di sua proprietà e il provvedimento comunale del 01.04.2015 prot. n. 2975, concernente il divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione di una recinzione in rete metallica e paletti– sono motivati sostanzialmente con la circostanza che la recinzione impedirebbe il transito su un’area destinata a strada di uso pubblico, non essendo state invece indicate le ragioni del contrasto della predetta recinzione con le previsioni del PGT, solo genericamente affermata nel secondo provvedimento.
A ciò consegue che non assume rilievo determinate la circostanza fattuale, su cui le parti sembrano in disaccordo, in ordine alla identità o meno della recinzione originaria con quella di cui alla SCIA del 27.03.2015 (c.d. intervento 1 e 2) e non appare nemmeno decisiva l’assenza di un titolo idoneo per realizzare la recinzione, visto che nel primo provvedimento comunale tale aspetto non viene in rilievo.
6.2. Il Comune di Teglio, per affermare la natura di strada vicinale ad uso pubblico del terreno di proprietà del ricorrente su cui è stata apposta la recinzione, ha evidenziato come il predetto tratto stradale risulterebbe notoriamente utilizzato dalla collettività –sia a piedi che con automezzi prevalentemente ad uso agricolo– da tempo immemore, come dimostrato altresì dalle numerose dichiarazioni di cittadini e confermato dalle risultanze documentali del sistema informativo territoriale della Regione Lombardia, in particolare dalla Carta tecnica regionale del 1981 e dai coevi rilievi aerofotogrammetrici.
Inoltre il tratto stradale in questione soddisferebbe esigenze di carattere generale giacché, oltre a collegare le strade comunali Via San Giacomo per Carona e Via delle Tavole, farebbe parte di un sistema di viabilità secondaria particolarmente importante per una realtà montana, avente caratteristiche morfologiche peculiari, e sarebbe destinato garantire la migliore fruizione possibile del territorio.
6.3. Come evidenziato dalla costante giurisprudenza amministrativa, che il Collegio condivide, affinché il diritto di uso pubblico della strada possa ritenersi sussistente <<occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Sez. V, 14.02.2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15.05.2012, n. 2760; Sez. V, 05.12.2012, n. 6242, quest’ultima citata dall’appellante).
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall’utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa (Sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell’uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale
>> (Consiglio di Stato, V, 19.04.2013, n. 2218).
Nel caso di specie, il Comune, pur evidenziando l’assenza di un elenco di strade ad uso pubblico, ha cercato di dimostrare la sussistenza dell’uso pubblico con le dichiarazioni rese da alcuni cittadini e con il riferimento alla documentazione ricavabile dal sistema cartografico regionale. Quanto a quest’ultimo aspetto va evidenziato come il riferimento risulti assolutamente generico e quindi inidoneo a fungere da prova dell’uso pubblico della strada.
Con riguardo invece alla dichiarazione resa da un gruppo di cittadini (all. 8 del Comune al ricorso R.G. n. 3588/2014) e prescindendo dalla loro concreta identificabilità (sul valore probatorio di tali dichiarazioni, cfr. TAR Lombardia, Brescia, I, 28.03.2015, n. 473), va evidenziato come nella stessa si afferma che “tale opera (ovvero la recinzione) impedisce ai proprietari di raggiungere i propri terreni percorrendo la strada interpoderale su cui, da più di 50 anni, esiste un passaggio mappato”. Ciò non sembra concretare il presupposto dell’utilizzo generalizzato della strada, quanto piuttosto un uso da parte dei proprietari dei fondi contigui. Inoltre, il ricorrente ha allegato al ricorso delle dichiarazioni di alcuni cittadini residenti o abitanti a Teglio che smentiscono quanto affermato dal Comune (all. 6 al ricorso R.G. n. 3588/2014).
Anche dalle fotografie prodotte in giudizio dal Comune (all. 6) non si è in grado di stabilire se la strada sia effettivamente oggetto di un transito generalizzato, vista la sua collocazione tra un fabbricato e altri manufatti, da cui potrebbero scaturire problemi di sicurezza sia per coloro che transitano sia per coloro che abitano in loco o lo frequentano (in tal senso, Consiglio di Stato, VI, 10.05.2013, n. 2544; sul contesto in cui dovrebbero essere collocate le strade ad uso pubblico, TAR Lombardia, Brescia, I, 28.03.2015, n. 473).
6.4. Pertanto, non può dirsi provato con certezza l’uso pubblico della strada e nemmeno l’esistenza stessa di un tratto viario idoneo a consentire il passaggio di automezzi (cfr. le fotografie allegate al ricorso R.G. n. 3588/2014; sulla necessità di una compiuta ed esauriente istruttoria in tali fattispecie, cfr. Consiglio di Stato, V, 23.09.2015, n. 4450; TAR Lombardia, Brescia, I, 28.03.2015, n. 473).
6.5. In senso contrario, non appaiono dirimenti nemmeno le ulteriori considerazioni contenute nella memoria del Comune resistente, attesa la loro non decisività e comunque configurabili alla stregua di una motivazione postuma, generalmente non ammessa in sede giurisdizionale (TAR Lombardia, Milano, III, 05.03.2015, n. 628).
6.6. Pertanto, le scrutinate censure devono ritenersi fondate (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 11.03.2016 n. 507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIO: La lite sulla proprietà della strada spetta al giudice ordinario. Dismissioni immobiliari. L’iscrizione nell’elenco delle vie pubbliche ha portata dichiarativa, non ablativa.
Stop al Tar sull’accertamento di proprietà della strada inclusa nel piano comunale delle cessioni immobiliari: si va al giudice ordinario.
La questione è importante perché è possibile che un privato veda il proprio immobile compreso nell’elenco del Piano comunale delle alienazioni immobiliari. Il privato ha ragione di preoccuparsi, perché l’immobile sembra, inopinatamente, essere divenuto di proprietà pubblica. A quale giudice dovrà rivolgersi per far accertare che l’immobile è di sua proprietà? Il Tar Campania ha risposto: il giudice ordinario.
Vediamo i termini della questione.
L’articolo 58 del Dl 112/2008 stabilisce che per procedere al riordino e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri enti locali, ciascun ente individua, redigendo un elenco sulla base della documentazione esistente presso i propri archivi, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione o dismissione.
La VII Sez. del TAR Campania-Napoli, con la sentenza 18.02.2016 n. 870 ha ritenuto che l’elenco del Piano delle alienazioni immobiliari abbia natura puramente dichiarativa e non costitutiva del diritto di proprietà. Pertanto non trattandosi di un atto autoritativo di carattere ablativo della proprietà, la giurisdizione in merito all’accertamento della natura privata o pubblica del bene spetta al giudice ordinario, con il rito decisamente più lungo e complesso.
Nel caso di specie, due condòmine avevano impugnato la delibera comunale che aveva incluso nel Piano delle alienazioni immobiliari un viale che le stesse affermavano essere di proprietà del condominio.
Il Tar ricorda che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie in tema di proprietà pubblica o privata delle strade, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l’accertamento dell’esistenza di diritti soggettivi, sia dei privati che della Pubblica Amministrazione. Pertanto la contestazione circa la possibilità di sua inclusione nel Piano di alienazioni immobiliari, in considerazione della natura privata del viale in questione, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario.
Il Tar richiama il principio secondo il quale l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune; essa pone una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù in sede giudiziaria civile
(articolo Il Sole 24 Ore del 29.03.2016).
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MASSIMA
... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia:
a) della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Lettere n. 20 del 06.07.2015, pubblicata mediante affissione all'albo pretorio dal 15.07.2015 al 30.07.2015, ad oggetto "Approvazione piano delle alienazioni e delle valorizzazioni dei beni strumentali", nella parte in cui include nel piano delle alienazioni e delle valorizzazioni immobiliari previsto dall'art. 58 della L. 06.08.2008 n. 133 il tratto di strada individuato nella particella 649, foglio 13 ed indicato quale prolungamento di "Via Casa Marangi";
b) della successiva deliberazione dello stesso Consiglio Comunale di Lettere, n. 26 del 31.8.2015, pubblicata mediante affissione all'albo pretorio dal 04.09.2015 al 19.09.2015, avente ad oggetto "Mozione per la revoca in autotutela della delibera di Consiglio Comunale n. 20 del 06/07/2015, ai sensi dell'art. 21-quinques legge 241/1990, art. 43, comma 1, D.lgs. 267/2000, art. 13, comma 1 e 2, del vigente Statuto Comunale, artt. 15, 16 e 17 del Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale", con la quale si delibera "di non approvare relativamente all'argomento in oggetto la suddetta mozione di deliberazione così come formulata a cura del consigliere Manzo Filippo, facendo proprio il contenuto della proposta sindacale";
...
7.
Il Collegio al riguardo, richiamandosi ai propri precedenti in materia (da ultimo Tar Campania, sez. VII sent. n. 1752 del 25/03/2011; n. 1397 del 12/03/2010; n. 1651 del 25/03/2010; n. 16427 del 29/06/2010) non può che rilevare il difetto di giurisdizione dell’adito G.A..
7.1 Va ribadito, infatti, che,
secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr. Cass. civ. Sez. U., ordinanza n. 1624 del 27/01/2010; Sez. U, ordinanza n. 6406 del 17/03/2010; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5422 del 10.09.2009; Consiglio di Stato sez. V, n. 522 del 07.04.1995; Cass. SS. UU. n. 5457 del 13.10.1980; Cass. SS.UU. n. 3302 del 12.06.1979; TAR Valle d’Aosta n. 86 del 13.11.2009; TAR Campania Napoli n. 2040 del 20.04.2009; TAR Liguria n. 2053 del 27.11.2008; TAR Trentino Alto Adige-Trento n. 286 del 10.11.2008; TAR Lazio-Roma n. 3419 del 19.04.2007), rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle strade e circa l’esistenza di diritti di uso pubblico su strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, sia dei privati che della pubblica Amministrazione.
7.2 Ed invero, nell’ipotesi di specie, parte ricorrente contesta l’esistenza stessa dei presupposti per l’inserimento della strada de qua fra le strade pubbliche e pertanto la possibilità di sua inclusione nel piano di alienazioni immobiliari, in considerazione della natura privata del viale in questione.
7.3 Né al riguardo rilevano le specifiche censure dedotte da parte ricorrente sub specie di difetto di istruttoria, in quanto
è noto che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il "petitum" sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (fra le altre Cass. civ. Sez. U., ordinanza n. 12378 del 16/05/2008; Sez. U, ordinanza n. 15323 del 25/06/2010).
7.4 A tal riguardo è indubbio che la posizione fatta valere da parte ricorrente sia di diritto soggettivo in quanto per la giurisprudenza prevalente sia della Suprema Corte che del Consiglio di Stato (da ultimo Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624 cit.; Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.12.2010 n. 8624) “
l’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù"; analogamente Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 01.12.2006 n. 7081 ritiene che l’iscrizione di una strada vicinale nell’elenco delle strade di uso pubblico del Comune comporta una presunzione di pubblicità della strada stessa, superabile solo con l’accertamento in sede giudiziaria civile della sua natura privata.
7.6. Né vale a fondare il radicamento della giurisdizione dell’adito G.A. la circostanza che il carattere pubblico della strada sia stato rappresentato negli atti impugnati ai fini della sua inclusione nel pieno di alienazioni immobiliari, in quanto, come correttamente rappresentato dalla difesa della controinteressata, nella stessa prima delibera di C.C. n. 20 del 2015 oggetto di impugnativa si afferma che l’inserimento dei beni immobili nel Piano ne determina la classificazione come bene disponibile e la destinazione urbanistica, anche in variante, ai vigenti strumenti urbanistici e che la stessa ha effetto dichiarativo della proprietà, anche in assenza di precedente trascrizione, producendo gli effetti previsti dall’art. 2644 c.c..
La natura puramente dichiarativa dell’elenco del Piano delle Alienazioni immobiliari di cui alle citate delibere, al pari di quella discendente dall’iscrizione della strade tra quelle pubbliche o di uso pubblico, non lascia pertanto spazi per la sussistenza della giurisdizione dell’adito G.A., non potendo detta inclusione, in quanto di carattere meramente dichiarativo –e non costitutivo- e pertanto di natura paritetica, rilevare come atto autoritativo di carattere ablativo della proprietà privata.
7.5 Né può ritenersi la sussistenza della giurisdizione dell’adito G.A. ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. n. 80/1998 (ora ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.) in quanto come ritenuto dal Consiglio di Stato sez. V, con sentenza del 10.09.2009, n. 5422, (avente ad oggetto l’annullamento di una nota comunale di inclusione di una strada privata fra le strade vicinali, ossia fra le strade ad uso pubblico) la disposizione citata va interpretata in senso costituzionalmente orientato (Corte Cost. n. 204/2004 e n. 191/2006 ) e, quindi, deve escludersi che essa abbia esteso l'alveo della giurisdizione amministrativa a liti -come la presente- non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere.
8.
Va quindi dichiarato il difetto di giurisdizione dell’adito G.A. in favore del G.O., con conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso.
9.
Restano salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al G.O. nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presene sentenza, ex art. 11 c.p.a. (traslatio iudicii).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATAQuando vi è l’alterazione dello stato dei luoghi di una strada (pubblica o privata) adibita al pubblico transito, il Comune deve senza alcuna esitazione emanare il provvedimento di autotutela iuris pubblici, e conseguentemente darvi esecuzione.
La necessità che sia senza indugio ripristinato il pubblico transito non tollera alcuna perdita di tempo e nella specie ha giustificato la circostanza che il provvedimento comunale, adottato il 12.08.2004 (a seguito di accertamenti della polizia municipale e della relazione resa il 12.08.2004 dall'ufficio tecnico comunale), abbia ordinato di ripristinare la situazione quo ante, in assenza della comunicazione di avvio del procedimento: l'amministrazione deve senza indugio porre fine ad una situazione che pregiudica l’interesse pubblico, con un atto avente natura vincolata (il che rileva anche al fine della applicazione dell'art. 21-octies, comma II, della legge n. 241/1990).
Quanto al fondamento normativo del provvedimento comunale, osserva la Sezione che per la risalente e pacifica giurisprudenza non importa che il provvedimento amministrativo menzioni la specifica disposizione di legge sulla quale esso si basi: tale principio a maggior ragione va ribadito quando si tratti di un atto da emanare senza indugio per il carattere urgente, e che risulti espressione di un potere desumibile da un principio generale del diritto pubblico, del quale hanno un carattere ricognitivo le disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446.
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La sussistenza di un diritto pubblico di transito su di una via è provata quanto meno dalla circostanza che la manutenzione della strada è da tempo effettuata dal Comune e che nella strada si trova interrata la condotta dell'acquedotto comunale.
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E' principio consolidato che va ricondotta alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la via che:
a) consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è (eventualmente) connotata da un uso pubblico protratto da tempo;
d) è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico.
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Anche le proteste pervenute in Comune, subito dopo l'apposizione delle catene e la chiusura del passaggio, possono ritenersi, infine, ulteriori elementi presuntivi, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza rilevanti ai sensi dell'art. 2729 c.c., della effettiva sussistenza della servitù di uso pubblico della strada: anche la prossimità temporale delle proteste rispetto all'apposizione delle catene rende non plausibile l'affermazione dell’appellante secondo cui il passaggio pubblico -nella via de qua- non sarebbe stato mai consentito.
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L'appello è infondato e va respinto.
2.- Con il primo motivo di censura, l'appellante lamenta la violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 7 della legge n. 241/1990.
L'appellante sostiene che, solo in presenza di un'accertata situazione di urgenza, l'amministrazione può omettere la comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990, mentre i giudici di prime cure hanno ritenuto che tale comunicazione non fosse necessaria in ragione delle esigenze di particolare celerità volte a ripristinare il pubblico transito su una strada vicinale.
2b.- Al riguardo, sulla base della documentazione prodotta dall'amministrazione comunale, deve osservarsi che via Tarì, pur non essendo una strada principale, non è utilizzata dai soli proprietari dei fondi limitrofi ad essa e ciò è confermato dallo stesso appellante, quando evidenzia che l'ostacolo al transito è stato apposto in un mese (agosto) in cui la circolazione veicolare è molto ridotta.
Proprio tale considerazione, infatti, è probante del fatto che la circolazione di veicoli su tale strada sussiste, anche se con diversa incidenza temporale nei vari periodi dell’anno.
Il genere di abuso attuato, in quanto impeditivo della circolazione nel tratto di strada, non può che giustificare la necessità, avvertita dal Comune, di rimuovere con urgenza gli ostacoli apposti dal privato.
Infatti, quando vi è l’alterazione dello stato dei luoghi di una strada (pubblica o privata) adibita al pubblico transito, il Comune deve senza alcuna esitazione emanare il provvedimento di autotutela iuris pubblici, e conseguentemente darvi esecuzione.
La necessità che sia senza indugio ripristinato il pubblico transito non tollera alcuna perdita di tempo e nella specie ha giustificato la circostanza che il provvedimento comunale, adottato il 12.08.2004 (a seguito di accertamenti della polizia municipale e della relazione resa il 12.08.2004 dall'ufficio tecnico comunale), abbia ordinato di ripristinare la situazione quo ante, in assenza della comunicazione di avvio del procedimento: l'amministrazione deve senza indugio porre fine ad una situazione che pregiudica l’interesse pubblico, con un atto avente natura vincolata (il che rileva anche al fine della applicazione dell'art. 21-octies, comma II, della legge n. 241/1990).
3.- Con il secondo motivo di censura l'appellante lamenta la violazione degli articoli 1 e 14 del D.lgs.l.gt. n. 1446/1918.
L'appellante sostiene che il TAR avrebbe errato nel ritenere via Tarì una strada privata ad uso pubblico, in quanto sarebbero assenti i presupposti elaborati dalla giurisprudenza per poter ritenere tale tratto stradale come «strada vicinale».
Il sig. Te. assume, in particolare, che mancherebbe la «consapevolezza» della collettività che la strada sia soggetta a pubblico transito e non sarebbe presente il requisito dell'idoneità a soddisfare esigenze di interesse generale e l'uso "immemorabile della strada".
3b.- Tale censura non è condivisibile.
Come evidenziato dal TAR, infatti, la sussistenza di un diritto pubblico di transito su via Tarì è provata quanto meno dalla circostanza che la manutenzione della strada è da tempo effettuata dal Comune e che nella strada si trova interrata la condotta dell'acquedotto comunale.
Per di più la medesima strada è di collegamento con una via comunale (via Bracchio) e con un'altra strada vicinale (via delle Groppole).
La funzione di collegamento della strada è evidenziata non solo nella nota del responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Mergozzo del 12.08.2004, ma anche dai cittadini firmatari dell'esposto presentato per censurarne la chiusura abusiva.
L’esposto –oltre ad essere circostanziato– è stato corroborato sul piano istruttorio dagli ulteriori accertamenti effettuati in loco dagli organi comunali ed è idoneo a dimostrare come –prima dell’attività posta in essere dall’appellante– la strada era utilizzata dalla collettività locale.
Orbene, è principio consolidato che va ricondotta alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la via che:
a) consente il passaggio esercitato iure servitutis publicae da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è (eventualmente) connotata da un uso pubblico protratto da tempo;
d) è stata, o è, oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 08.06.2011, n. 3509).
Come documentato dal Comune, e come emerge dalla relazione dell'ufficio tecnico comunale in data 12.08.2004, «la via Tarì è inclusa nello Stradario agli atti del servizio di toponomastica… e essa risulta tra le aree di circolazione», essendo ubicata «tra via Bracchio e l'abitazione Maruzzi, con numerazione civica dal n. 1 al n. 9 e il sig. Te. risiede al civico n. 5, a metà del percorso stradale».
L'estratto di P.R.G.C., allegato alla relazione dell'U.T.C., inoltre, individua la via Tarì come strada pubblica, con previsione di allargamento a mt. 7,00, costituendo il collegamento tra la via comunale Bracchio e la via vicinale "delle Groppole", anch'essa gravata da servitù di pubblico transito e in via di diventare strada comunale.
Quanto al fondamento normativo del provvedimento comunale, osserva la Sezione che per la risalente e pacifica giurisprudenza non importa che il provvedimento amministrativo menzioni la specifica disposizione di legge sulla quale esso si basi: tale principio a maggior ragione va ribadito quando si tratti di un atto da emanare senza indugio per il carattere urgente, e che risulti espressione di un potere desumibile da un principio generale del diritto pubblico, del quale hanno un carattere ricognitivo le disposizioni del decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446.
3c.- Come sopra si è rilevato, anche le proteste pervenute in Comune, subito dopo l'apposizione delle catene e la chiusura del passaggio, possono ritenersi, infine, ulteriori elementi presuntivi, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza rilevanti ai sensi dell'art. 2729 c.c., della effettiva sussistenza della servitù di uso pubblico della strada: anche la prossimità temporale delle proteste rispetto all'apposizione delle catene rende non plausibile l'affermazione dell’appellante secondo cui il passaggio pubblico -nella via de qua- non sarebbe stato mai consentito.
4.- Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto, perché manifestamente infondato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.09.2015 n. 4450 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'uso pubblico della strada privata.
DOMANDA:
Si chiede un parere in merito a dei lavori di installazione di una nuova recinzione che se eseguita impedirà il transito ai veicoli una strada esistente da decenni. Tale strada è indicata sullo strumento urbanistico vigente del comune come "strada esistente". Si presenta come strada bianca, cioè in terra battuta è lunga circa cento metri e collega due strade comunali. Catastalmente risulta essere in proprietà privata.
All'inizio, in ambo le parti, sono stati posti dei segnali di divieto di transito con il panello integrativo con la dicitura "proprietà privata". Il posizionamento dei segnali è stato fatto dal proprietario per tutelarsi in caso di sinistri stradali o richieste danni. Il transito è fatto soprattutto da bici e qualche veicolo nell'arco della giornata.
RISPOSTA:
La problematica esposta nel quesito risulta strettamente connessa all’accertamento o meno, da parte dell’amministrazione, di un eventuale uso pubblico sulla strada in questione. E’ chiaro infatti che, al di là della circostanza che l’area su cui insiste la strada sia catastalmente qualificata come privata, nulla toglie, che in concreto su di essa si eserciti di fatto un uso pubblico o di interesse pubblico.
Al riguardo va ricordato che, come ritenuto in giurisprudenza (cfr. tra le varie CDS sez. V, sentenza n. 728/2012) “poiché un’area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio è necessario, oltre all’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761)..” (cfr. Cons. di Stat. Sez. V, sentenza n. 728 del 14/02/2012).
Il comune potrà dunque verificare al fine di decidere sulla legittimità o meno della richiesta di recinzione, se sussista o meno in concreto, un uso pubblico sulla strada accertando p.es. se essa sia utilizzata per il transito di tutti gli utenti della zona e comunque tenendo conto di altri indici sintomatici di un eventuale uso pubblico come l’ubicazione della strada stessa, l’inclusione nella toponomastica del Comune, l’apposizione della numerazione civica; l’apposizione di segnaletica stradale, la presenza di aree destinate a parcheggio, la presenza di illuminazione pubblica, la manutenzione della sede stradale, la eventuale funzione di raccordo con altre strade e sbocco su pubbliche vie ovvero per l’essere la stessa parte integrante della sede viaria stradale ecc..
In sintesi, dunque, il Comune potrà applicare tali criteri anche nel caso di specie per valutare se la strada privata possa considerarsi assoggettata o meno ad uso pubblico e cioè se la stessa sia oggettivamente idonea o meno all’attuazione di un pubblico interesse ovvero a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di interesse generale (link a http://www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATALa questione del carattere privato ovvero pubblico di una data strada, è sottoposta, di per sé, alla giurisdizione ordinaria, in quanto inerente a diritti soggettivi, di proprietà ovvero di servitù; può peraltro essere conosciuta in via incidentale, e quindi con efficacia limitata al processo, da questo giudice amministrativo allorquando, come nella specie, rilevi per decidere della legittimità di un provvedimento, come l’ordinanza qui impugnata, che in senso ampio imponga una certa regolamentazione dell’uso della strada stessa.
Ciò presuppone infatti che di uso pubblico e non privato si tratti, e quindi che appunto si sia di fronte ad una strada non privata.
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Per classificare una data strada come pubblica l’atto di inclusione nei relativi elenchi, di valore soltanto dichiarativo, costituisce una presunzione semplice, superabile avuto riguardo alla concreta situazione della strada stessa. La strada pubblica, infatti, si caratterizza anzitutto per appartenere all’ente pubblico in virtù di un atto o fatto, che come tale va provato, acquisitivo del corrispondente diritto di proprietà o servitù.
La strada pubblica è poi tale perché interessata dal passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse.
Tale ultimo requisito del “collegamento” va poi inteso in modo corretto, perché alla lettera prova troppo: nessuno penserebbe infatti di considerare soggetta ad uso pubblico una viabilità che non è in alcun modo raggiungibile dalla generalità dei cittadini, come ad esempio la strada panoramica interna ad una tenuta privata, che certo non si connette in alcun modo alla pubblica via.
Per collegamento con la via pubblica, secondo ragione, va quindi inteso non il semplice accesso alla stessa, ma un collegamento per così dire organico, che inserisca la strada in questione nel sistema della viabilità, rendendola normale via di transito per compiere un certo tragitto.
A tali elementi se ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della strada ed eventualmente adeguandola al transito della generalità dei cittadini.

... per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento 18.02.2013 prot. n. 2749 e n. 12 reg. ordinanze, notificata il 23.02.2013, con il quale il Responsabile del servizio del Comune di Bonate Sopra ha ordinato a G.D. di demolire in quanto eseguite in assenza del necessario titolo abilitativo opere costituite dalla chiusura di un tratto di strada mediante posizionamento in lato est di un cancello carrale per accesso alla proprietà e di rete metallica in lato ovest e dal sopralzo del piano stradale, il tutto alla locale via Bonzanni sul terreno distinto al locale catasto al foglio 9 mappale 4118;
...
4. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sul presunto carattere privato della porzione di strada occupata, e più in generale, del viottolo cui essa appartiene, è parimenti infondato.
5. Per chiarezza va premesso che la relativa questione appunto il carattere privato ovvero pubblico di una data strada, è sottoposta, di per sé, alla giurisdizione ordinaria, in quanto inerente a diritti soggettivi, di proprietà ovvero di servitù; può peraltro essere conosciuta in via incidentale, e quindi con efficacia limitata al processo, da questo giudice amministrativo allorquando, come nella specie, rilevi per decidere della legittimità di un provvedimento, come l’ordinanza qui impugnata, che in senso ampio imponga una certa regolamentazione dell’uso della strada stessa.
Ciò presuppone infatti che di uso pubblico e non privato si tratti, e quindi che appunto si sia di fronte ad una strada non privata: sul punto, da ultimo, C.d.S. sez. V 10.01.2012 n. 42 e, nella giurisprudenza della Sezione, sez. I 21.12.2011 n. 1772, ove ampie ulteriori citazioni.
6. Ciò detto in punto giurisdizione, va affrontata, appunto come questione pregiudiziale, quella concernente il presunto carattere pubblico del tratto di via Bonzanni di cui in premesse, sul quale in ricorrente ha ritenuto di intervenire con le opere per cui è causa.
In proposito, va ricordato, in accordo con la costante giurisprudenza amministrativa, che per classificare una data strada come pubblica l’atto di inclusione nei relativi elenchi, di valore soltanto dichiarativo, costituisce una presunzione semplice, superabile avuto riguardo alla concreta situazione della strada stessa. La strada pubblica, infatti, si caratterizza anzitutto per appartenere all’ente pubblico in virtù di un atto o fatto, che come tale va provato, acquisitivo del corrispondente diritto di proprietà o servitù: così da ultimo C.d.S. sez. VI 08.10.2013 n. 4952 e C.G.A. 13.09.2013 n. 749.
7. La strada pubblica è poi tale perché interessata dal passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse: così fra le molte C.d.S. sez. IV 15.06.2012 n. 3531 nonché la citata TAR Lombardia Brescia sez. I 21.12.2011 n. 1772.
8. Tale ultimo requisito del “collegamento”, come già argomentato nella citata sentenza 1772/2011 di questo TAR, va poi inteso in modo corretto, perché alla lettera prova troppo: nessuno penserebbe infatti di considerare soggetta ad uso pubblico una viabilità che non è in alcun modo raggiungibile dalla generalità dei cittadini, come ad esempio la strada panoramica interna ad una tenuta privata, che certo non si connette in alcun modo alla pubblica via.
Per collegamento con la via pubblica, secondo ragione, va quindi inteso non il semplice accesso alla stessa, ma un collegamento per così dire organico, che inserisca la strada in questione nel sistema della viabilità, rendendola normale via di transito per compiere un certo tragitto.
9. A tali elementi, sulla scorta di C.d.S. sez. V 07.12.2010 n. 8624, se ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della strada ed eventualmente adeguandola al transito della generalità dei cittadini.
10. Alla luce dei principi illustrati e dell’istruttoria documentale svolta, vi sono allora sufficienti elementi per affermare il carattere pubblico della via considerata (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.03.2015 n. 473 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., non potendo reputarsi a tal fine elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall'art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F.
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Per essere riconosciuta ed accertata la servitù pubblica di un passaggio necessitano di tre presupposti:
a) il sentiero deve essere posto al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale,
b) il sentiero deve essere oggettivamente idoneo a soddisfare le esigenze di interesse generale,
c) deve sussistere un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico che, nella maggior parte dei casi, si identifica con la dimostrazione dell'uso da tempo immemorabile da parte della collettività pubblica.

Ed invero, è noto come secondo la giurisprudenza "l'appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., non potendo reputarsi a tal fine elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall'art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F" (cfr. Cass. Civ., Sez. 11, 09.11.2009, n. 23705) e che “per essere riconosciuta ed accertata la servitù pubblica di un passaggio necessitano di tre presupposti: a) il sentiero deve essere posto al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale, b) il sentiero deve essere oggettivamente idoneo a soddisfare le esigenze di interesse generale, c) deve sussistere un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico che, nella maggior parte dei casi, si identifica con la dimostrazione dell'uso da tempo immemorabile da parte della collettività pubblica” (TAR Bolzano 16/01/2013 n. 14 o ancora in termini cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643).
Orbene, nel caso di specie possono ritenersi sussistenti sia l'urbanizzazione del vicolo (attesa la presenza di un palo d’illuminazione pubblica sia pure posizionato in una corte di proprietà esclusiva privata, come evidenziato dallo stesso ricorrente), sia l’assenza di un altrettanto breve percorso pedonale di collegamento tra le due strade pubbliche di Piazza dei Caduti e Via 13 Giugno (cfr. nota prot. n. 6271 dell’01.09.2014 depositata in data 02.09.2014), sia l’utilizzo da tempo immemorabile ed indiscriminato del passaggio da parte dei cittadini di Calimera.
A tale ultimo riguardo, la presenza di numerose e-mail di protesta pervenute in Comune subito dopo l’apposizione dei cancelli, nonché di un articolo di stampa e di un’apposita interrogazione riguardante il vicolo oggetto del giudizio presentata al Consiglio Comunale di Calimera immediatamente dopo la chiusura del passaggio, possono ritenersi elementi presuntivi, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., della sussistenza della servitù di uso pubblico nella fattispecie che occupa; peraltro, l’immediatezza temporale delle proteste rispetto all’apposizione dei cancelli destituiscono di fondamento l’affermazione fatta dal Sig. T. nel ricorso, secondo cui il passaggio pubblico nel vicolo de quo non sarebbe stato mai consentito né tollerato dai proprietari del medesimo.
Quanto alle altre censure di carattere procedimentale, le stesse possono essere ritenute parimenti prive di fondamento, posto che nella specie risulta essere stato consentito l’apporto partecipativo del privato e comunque l’esistenza di una servitù di uso pubblico non è incompatibile con l’appartenenza del passaggio ai privati.
Conclusivamente il ricorso va rigettato quanto all’ingiunto ordine di demolizione dei cancelli, mentre va invece accolto con riferimento all’ingiunta demolizione del corpo di fabbrica realizzato senza titolo abilitativo sulle particelle individuate al catasto terreni al foglio 5, mappali 91 e 1629 e 87.
Ed invero, appare sicuramente condivisibile e fondata la doglianza relativa alla mancanza, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, dell’esatta individuazione dei manufatti presuntivamente abusivi oggetto di demolizione, circostanza che rende parzialmente illegittimo l’atto impugnato che va pertanto annullato in parte qua (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 05.01.2015 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Sulla sussistenza -o meno-  su di una strada (privata) della servitù ad uso pubblico.
E’  controversa la sussistenza sulla predetta via di una servitù ad uso pubblico.
Si tratta di una circostanza la cui prova, ai sensi dell’art. 64, comma 1, c.p.a., spettava al Comune.
La predetta norma, infatti, diversamente dall’art. 2697 c.c., non ripartisce l’onere della prova solo in base al criterio che il fatto controverso sia stato posto a fondamento di una domanda o di una eccezione ma anche sulla scorta del parametro della disponibilità della prova. Per cui il ricorrente che affermi o contesti un fatto che può essere dimostrato attraverso la produzione di atti o documenti che sono nella esclusiva disponibilità della p.a. non ha anche l’onere di provarlo, dovendo essere questa ad offrire al giudice gli elementi atti a confermare o a smentire le affermazioni contenute nel ricorso.
Al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico della p.a. non può, peraltro, sopperire il potere di istruzione officiosa, conseguendo, invece, ad esso l’applicazione la regola di giudizio di cui al secondo comma dell’art. 64 c.p.a. secondo il quale la mancata prova di un fatto contestato che si aveva l’onere di provare determina l’impossibilità per il giudice di tener conto dello stesso.
Il potere acquisitivo del giudice, che nella vigenza dell’art. 44 del RD 1054 del 1923 aveva una connotazione ampiamente discrezionale, oggi deve essere, infatti, esercitato “fermo restando l’onere della prova a carico delle parti” (art. 63, comma, 1 c.p.a.) ed assume, quindi, un carattere residuale, potendo il giudice intervenire autonomamente nei soli casi in cui la parte che ne era onerata senza sua colpa non sia riuscita ad a raggiungere la prova completa dei fatti che avrebbe dovuto dimostrare e dovendosi, invece, applicare nelle situazioni ordinarie le regole di giudizio e di riparto dell’onere della prova contemplate nell’art. 64 c.p.a.
La nuova impostazione seguita dal codice deriva peraltro dall’esigenza di adeguare il rito processuale amministrativo ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 della Costituzione non essendo con essi compatibile un sistema che consentisse al giudice di sopperire alla inerzia istruttoria di una delle parti anche qualora gli elementi di prova fossero nella sua disponibilità o che attribuisse al giudice una incontrollata discrezionalità nel ripartire i carichi probatori attraverso l’esercizio de potere acquisitivo.
Al fine di dare la prova relativa alla sussistenza di una servitù di uso pubblico il Comune avrebbe, quindi, dovuto produrre un estratto del registro delle strade a uso pubblico (idoneo a creare quantomeno una presunzione della sussistenza del diritto affermato) o produrre il titolo di acquisito della affermata servitù.

Nel merito il ricorso è fondato.
Non è in contestazione la proprietà privata della via che il Comune di Campi Bisenzio assume essere abusivamente occupata. Tale fatto risulta implicitamente ammesso dalle stesse ordinanze impugnate laddove esse affermano che si tratterebbe di strada “ad uso pubblico”, ed è espressamente ammesso nella nota del Sindaco del Comune di campi Bisenzio in data 28.04.2010 nella quale si dichiara che il tratto di strada di Via S. Martino dal civico 1 al civico 9 risulta essere privato ad uso pubblico.
E’, invece, controversa la sussistenza sulla predetta via di una servitù ad uso pubblico.
Si tratta di una circostanza la cui prova, ai sensi dell’art. 64, comma 1, c.p.a., spettava al Comune di campi Bisenzio.
La predetta norma, infatti, diversamente dall’art. 2697 c.c., non ripartisce l’onere della prova solo in base al criterio che il fatto controverso sia stato posto a fondamento di una domanda o di una eccezione ma anche sulla scorta del parametro della disponibilità della prova. Per cui il ricorrente che affermi o contesti un fatto che può essere dimostrato attraverso la produzione di atti o documenti che sono nella esclusiva disponibilità della p.a. non ha anche l’onere di provarlo, dovendo essere questa ad offrire al giudice gli elementi atti a confermare o a smentire le affermazioni contenute nel ricorso.
Al mancato assolvimento dell’onere probatorio posto a carico della p.a. non può, peraltro, sopperire il potere di istruzione officiosa, conseguendo, invece, ad esso l’applicazione la regola di giudizio di cui al secondo comma dell’art. 64 c.p.a. secondo il quale la mancata prova di un fatto contestato che si aveva l’onere di provare determina l’impossibilità per il giudice di tener conto dello stesso.
Il potere acquisitivo del giudice, che nella vigenza dell’art. 44 del RD 1054 del 1923 aveva una connotazione ampiamente discrezionale, oggi deve essere, infatti, esercitato “fermo restando l’onere della prova a carico delle parti” (art. 63, comma, 1 c.p.a.) ed assume, quindi, un carattere residuale, potendo il giudice intervenire autonomamente nei soli casi in cui la parte che ne era onerata senza sua colpa non sia riuscita ad a raggiungere la prova completa dei fatti che avrebbe dovuto dimostrare e dovendosi, invece, applicare nelle situazioni ordinarie le regole di giudizio e di riparto dell’onere della prova contemplate nell’art. 64 c.p.a.
La nuova impostazione seguita dal codice deriva peraltro dall’esigenza di adeguare il rito processuale amministrativo ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 111 della Costituzione non essendo con essi compatibile un sistema che consentisse al giudice di sopperire alla inerzia istruttoria di una delle parti anche qualora gli elementi di prova fossero nella sua disponibilità o che attribuisse al giudice una incontrollata discrezionalità nel ripartire i carichi probatori attraverso l’esercizio de potere acquisitivo.
Al fine di dare la prova relativa alla sussistenza di una servitù di uso pubblico il Comune di Campi Bisenzio avrebbe, quindi, dovuto produrre un estratto del registro delle strade a uso pubblico (idoneo a creare quantomeno una presunzione della sussistenza del diritto affermato) o produrre il titolo di acquisito della affermata servitù.
Ciò, tuttavia, non è stato fatto.
Nei verbali sulla base dei quali è stata adottata l’ordinanza impugnata si afferma in modo apodittico la sussistenza di un diritto di uso pubblico sulla via S. Mauro ma non viene indicato il titolo in forza del quale tale diritto sarebbe insorto.
In giudizio il Comune si è difeso affermando che il resede sarebbe urbanisticamente destinato a viabilità e su di esso sarebbe stata apposta la segnaletica stradale.
Nessuna delle predette circostanze, tuttavia, può comprovare la sussistenza di una servitù di uso pubblico: la destinazione impressa dal PRG non è idonea a costituire immediatamente un diritto reale su cosa altrui e l’apposizione della segnaletica è una circostanza di mero fatto che non incide sul regime dominicale del suolo.
In mancanza della prova del fatto che giustifica l’esercizio del potere esercitato, il provvedimento impugnato deve, quindi, essere annullato (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 23.12.2014 n. 2149 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAffinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area privata occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione.
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento del proprietario che metta il bene a disposizione dei cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.

4. Né può rilevare il fatto che la strada di proprietà privata di accesso alla c.da S. Antonio sia senza uscita, atteso che anche un mero cortile (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sent. n. 2700 del 12.11.2003), se aperto al pubblico ed al traffico automobilistico indifferenziato dà luogo ad un "uso pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare l'intervento dell'Amministrazione; e nella fattispecie, come già detto, sussiste la prova, ex art. 2700 cod. civ., che detta strada: è stata asfaltata dal Comune; immette in un tratto viario che a sua volta incrocia, dopo qualche decina di metri, una "via comunale"; è manutenzionata dal Comune medesimo ed è servita di tutti i servizi pubblici necessari per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili prospicienti.
Peraltro la collocazione della numerazione civica, risulta già in una attestazione del Sindaco di Messina datata 19.03.1990 e resa in relazione alla costruzione di un fabbrica da parte di tale C.F. (cfr. all. 6 della produzione del controinteressato cit.); verosimilmente il medesimo ricorrente di cui alla sent. della Corte di Cassaz. n. 7573/2012 cit..
Di rilievo appare, poi, la circostanza che i ricorrenti non deducono, né tanto meno provano, che il libero accesso alla strada/cortile de qua, mediante autovetture, sia in effetti impedito (mediante apposti accorgimenti: quali cancelli, recinzioni, barre di accesso, servizio di guardiania … ecc.); e quindi sia consentito ai soli proprietari degli immobili prospicienti sulla strada stessa.
E' da ritenere, quindi, alla stregua degli atti di causa, che qualsiasi cittadino possa di fatto accedere liberamente alla strada/cortile in argomento, a piedi o con automezzi, e che parimenti possa uscirne per immettersi nella viabilità comunale ("via Comunale" o "via Paolo la Badessa"); in un'area, peraltro, caratterizzata da una forte pendenza, nei pressi del ripido ed ampio torrente S. Filippo. E ciò è sufficiente per ritenere che il tratto viario per cui è causa abbia in effetti una funzione di libero collegamento dell'area in questione con le pubbliche vie circostanti e sia destinato al transito di un numero indifferenziato di persone uti cives, e non uti singuli.
Come da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area privata occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione (cfr. tra le tante Cons. Stato Sez. VI sent. n. 2544 del 10.05.2013 che conferma TAR Toscana, 29.07.2008 n. 1834).
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento del proprietario che metta il bene a disposizione dei cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr. Cons. Stato Sez. IV sent. n. 3531 del 15.06.2012, che annulla TAR Lazio, 06.08.2009 n. 7932; Cons. di Stato, Sez. I, parere n. 4361 dell'11.07.2011) (TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 06.11.2014 n. 2912 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Strada privata. Adibizione al pubblico transito. Indici probatori.
1. Va ritenuto attestato l'uso pubblico di strada privata che risulti asfaltata, servita da impianti a rete ed aperta al pubblico transito in base ad atti formali dell'Amministrazione, dotati, fino a querela di falso, di fede privilegiata ex art. 2700 c.c.
2. Al fine di escludere che una strada privata sia adibita a pubblico transito non rileva il fatto che sia senza uscita, atteso che anche un mero cortile, se aperto al pubblico ed al traffico automobilistico indifferenziato dà luogo ad un "uso pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare l'intervento dell'Amministrazione (nella fattispecie risultava che la strada senza uscita fosse stata asfaltata dal Comune; immettesse in un tratto viario che a sua volta incrocia con una "via comunale"; fosse manutenzionata dal Comune e fosse servita di tutti i servizi pubblici necessari per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili prospicienti).
3. Laddove risulti che qualsiasi cittadino possa di fatto accedere liberamente alla strada\cortile di proprietà privata, a piedi o con automezzi, e che parimenti possa uscirne per immettersi nella viabilità comunale, ciò è sufficiente per ritenere che il tratto viario de quo abbia in effetti una funzione di libero collegamento dell'area in questione con le pubbliche vie circostanti e sia destinato al transito di un numero indifferenziato di persone uti cives, e non uti singuli.
4. Affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area privata occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione.
5. L'adibizione ad uso pubblico di una strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento del proprietario che metta il bene a disposizione dei cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.

Dunque, la prova dell'uso pubblico dell'area (che l'AGO ha riconosciuto in effetti essere di proprietà privata, in relazione a talune clausole contrattuali in cui si parla di uno "spazio di isolamento e di accesso" ai realizzati o realizzandi fabbricati), risulta attestata in atti formali dell'Amministrazione, dotati, fino a querela di falso, di fede privilegiata ex art. 2700 c.c.; atti ai quali questo Decidente non può che attenersi, quale che sia stata la valutazione fattane dall'AGO in altre controversie rese inter alios.
Né può rilevare il fatto che la strada di proprietà privata di accesso alla c.da S. Antonio sia senza uscita, atteso che anche un mero cortile (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sent. n. 2700 del 12.11.2003), se aperto al pubblico ed al traffico automobilistico indifferenziato dà luogo ad un "uso pubblico" (art. 2 cod. str.) tale da giustificare l'intervento dell'Amministrazione; e nella fattispecie, come già detto, sussiste la prova, ex art. 2700 cod. civ., che detta strada: è stata asfaltata dal Comune; immette in un tratto viario che a sua volta incrocia, dopo qualche decina di metri, una "via comunale"; è manutenzionata dal Comune medesimo ed è servita di tutti i servizi pubblici necessari per l'abitabilità e/o agibilità degli immobili prospicienti. Peraltro la collocazione della numerazione civica, risulta già in una attestazione del Sindaco di Messina datata 19.03.1990 e resa in relazione alla costruzione di un fabbrica da parte di tale Cucinotta Francesco (cfr. all. 6 della produzione del controinteressato cit.); verosimilmente il medesimo ricorrente di cui alla sent. della Corte di Cassaz. n. 7573/2012 cit..
Di rilievo appare, poi, la circostanza che i ricorrenti non deducono, né tanto meno provano, che il libero accesso alla strada/cortile de qua, mediante autovetture, sia in effetti impedito (mediante apposti accorgimenti: quali cancelli, recinzioni, barre di accesso, servizio di guardiania … ecc.); e quindi sia consentito ai soli proprietari degli immobili prospicienti sulla strada stessa.
E' da ritenere, quindi, alla stregua degli atti di causa, che qualsiasi cittadino possa di fatto accedere liberamente alla strada/cortile in argomento, a piedi o con automezzi, e che parimenti possa uscirne per immettersi nella viabilità comunale ("via Comunale" o "via Paolo la Badessa"); in un'area, peraltro, caratterizzata da una forte pendenza, nei pressi del ripido ed ampio torrente S. Filippo. E ciò è sufficiente per ritenere che il tratto viario per cui è causa abbia in effetti una funzione di libero collegamento dell'area in questione con le pubbliche vie circostanti e sia destinato al transito di un numero indifferenziato di persone uti cives, e non uti singuli.
Come da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su di una strada realizzata in area privata occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della Pubblica amministrazione (cfr. tra le tante Cons. Stato Sez. VI sent. n. 2544 del 10.05.2013 che conferma TAR Toscana, 29.07.2008 n. 1834).
Del resto, è noto che l'adibizione ad uso pubblico di una strada (o comunque di un'area) può anche avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, per effetto del comportamento del proprietario che metta il bene a disposizione dei cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lungo tempo, di guisa che il bene stesso venga ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (cfr. Cons. Stato Sez. IV sent. n. 3531 del 15.06.2012, che annulla TAR Lazio, 06.08.2009 n. 7932; Cons. di Stato, Sez. I, parere n. 4361 dell'11.07.2011) (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. III, sentenza 06.11.2014 n. 2912 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimamente l'Amministrazione comunale ingiunge la rimozione di manufatto edilizio insistente su porzione di strada comunale onde rendere fruibile all'uso pubblico il tratto di strada secondo il percorso originario, laddove sia incontestata la natura demaniale della porzione di strada vicinale comunale sul cui sedime è stato realizzato il manufatto edilizio.
L'immanenza dei poteri di polizia demaniale esclude ogni rilevanza all'esistenza di tracciato alternativo e l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e all'uso pubblico giustifica il provvedimento di rimozione, risultando irrilevante che, per effetto del medesimo provvedimento ripristinatorio, possa avvantaggiarsi terzo privato inciso da tracciato alternativo non conforme a quello originario realizzato proprio in relazione all'usurpazione della porzione della strada vicinale comunale che l'ha sottratta all'uso pubblico.

L'appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.
Infatti, incontestata la natura demaniale della porzione di strada vicinale comunale sul cui sedime è stato realizzato il corpo di fabbrica in ampliamento al preesistente fabbricato, l'immanenza dei poteri di polizia demaniale esclude ogni rilevanza all'esistenza di tracciato alternativo e l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e all'uso pubblico giustifica il provvedimento impugnato in primo grado, risultando irrilevante che, per effetto del medesimo, possa avvantaggiarsi terzo privato inciso da tracciato alternativo non conforme a quello originario realizzato proprio in relazione all'usurpazione della porzione della strada vicinale comunale che l'ha sottratta all'uso pubblico (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.10.2014 n. 4941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl diritto pubblico di transito può coincidere con una servitù privatistica a favore di un ente pubblico, ma può anche emergere in modo autonomo dalla sistemazione dei luoghi impressa dall’amministrazione per una finalità di interesse collettivo.
Normalmente il tempo di formazione di un diritto pubblico di transito coincide con quelli dell’usucapione ordinaria. Si può tuttavia osservare la costituzione del diritto pubblico in un termine molto inferiore, se il titolo in base al quale è stata acquisita la proprietà lo consente e se sull’area si è insediata un’attività di interesse collettivo.

Sul diritto pubblico di transito.
14. Passando al punto centrale del ricorso, occorre precisare che il diritto pubblico di transito può coincidere con una servitù privatistica a favore di un ente pubblico, ma può anche emergere in modo autonomo dalla sistemazione dei luoghi impressa dall’amministrazione per una finalità di interesse collettivo.
15. Normalmente il tempo di formazione di un diritto pubblico di transito coincide con quelli dell’usucapione ordinaria. Si può tuttavia osservare la costituzione del diritto pubblico in un termine molto inferiore, se il titolo in base al quale è stata acquisita la proprietà lo consente e se sull’area si è insediata un’attività di interesse collettivo (v. TAR Brescia Sez. II 08.05.2013 n. 440).
16. Questo è quanto si è verificato nel caso in esame. L’atto di acquisto del 15.06.1989 menziona espressamente un diritto di transito sui mappali n. 416 e 737. Si tratta di una ricognizione di diritti costituiti o acquisiti in epoca anteriore, che corrisponde allo stato dei luoghi, rimasto immutato. Pertanto, anche se il contratto è intercorso tra il Comune e soggetti diversi dai danti causa dei ricorrenti, si può ravvisare in questo documento la prova dell’esistenza di una servitù di passo, o quantomeno il presupposto materiale di un simile diritto. Da qui in avanti gli approfondimenti sul piano privatistico spettano al giudice ordinario, ma per quanto rileva nel presente giudizio occorre sottolineare che su questo presupposto si è innestata l’azione amministrativa. Il Comune ha infatti ristrutturato gli edifici acquistati e ha attribuito agli stessi una funzione pubblica, nella specie dell’edilizia residenziale pubblica. Di conseguenza, essendo intervenuta una finalità di interesse collettivo, il transito ha acquistato un rilievo pubblicistico.
17. Si sono dunque combinati gli elementi (titolo privatistico non contrastante, apparenza dei luoghi, asservimento a una funzione pubblica) che, indipendentemente dal tempo trascorso, consentono di individuare la presenza di un diritto pubblico di transito. Questa conclusione trova sostegno nell’art. 22, comma 3, della legge 2248/1865 all. F. In base a tale norma devono essere qualificati come parte della viabilità pubblica tutti gli spazi e i vicoli interni all’abitato, a meno che il titolo di proprietà non vi si opponga, e purché ricorrano le seguenti caratteristiche: (a) adiacenza alla via pubblica; (b) accesso dalla via pubblica; (c) potenziale utilizzazione collettiva.
18. Si può quindi ritenere che sui mappali n. 416 e 737 si sia stabilito, da quando il condominio comunale è stato integrato nel programma di edilizia residenziale pubblica, un diritto pubblico di transito.
19. La presenza di un accesso diretto tra il condominio comunale e via Libertà non appare in contrasto con questa ricostruzione. Si tratta infatti di un accesso autonomo, che non è mai stato messo in qualche relazione con il transito sui mappali n. 416 e 737. Inoltre, le caratteristiche e le dimensioni di questo accesso non sono tali da consentire il passaggio agevole dei veicoli, e neppure la sicurezza dei pedoni. È quindi ragionevole supporre che il transito con veicoli si sia sempre indirizzato verso i mappali n. 416 e 737.
20. In quanto titolare di un diritto pubblico di transito, il Comune è tenuto a esercitare i poteri di regolamentazione secondo gli ordinari principi che dirigono l’azione amministrativa. Di conseguenza, il Comune non può limitarsi a reprimere i tentativi di chiusura del percorso, ma deve assicurarsi, attraverso la predisposizione di norme di comportamento e l’effettuazione di controlli, che il transito avvenga in condizioni di sicurezza e che i disagi per i proprietari del sedime e dei fabbricati circostanti siano ridotti al minimo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.10.2014 n. 1023 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIO: La sdemanializzazione di un bene pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da altri atti o comportamenti univoci da parte dell’amministrazione proprietaria i quali siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare la destinazione del bene stesso all’uso pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non configurabile un'ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene.
Ne consegue che la sdemanializzazione non si può desumere dal mero fatto che il bene non sia più adibito, per un certo tempo a detto uso.

In ogni caso il Collegio ritiene che nel caso in esame debba essere richiamato l’orientamento secondo cui la sdemanializzazione di un bene pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da altri atti o comportamenti univoci da parte dell’amministrazione proprietaria i quali siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare la destinazione del bene stesso all’uso pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non configurabile un'ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene. Ne consegue che la sdemanializzazione non si può desumere dal mero fatto che il bene non sia più adibito, per un certo tempo a detto uso (in tal senso: Cons. Stato, IV, 14.12.2002, n. 6923) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.07.2014 n. 3408 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Affinché una strada possa essere qualificata “pubblica” è necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la stessa risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale.
A tal fine non è invece sufficiente la mera iscrizione della strada nell’elenco delle strade comunali, la quale ha natura meramente dichiarativa e presuppone –ma non sostituisce– la titolarità del diritto di proprietà in capo all’ente pubblico e la concreta destinazione del bene all’utilizzo da parte di una collettività indeterminata di persone (e non soltanto di quei soggetti che si trovano in posizione qualificata rispetto al bene gravato).

Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi formulata dalla difesa comunale, dal momento che sia il ricorso che i motivi aggiunti prospettano censure specifiche e chiaramente comprensibili, sostanzialmente finalizzate alla dimostrazione della natura “non pubblica” della stradina in contestazione, con conseguente insussistenza del presupposto essenziale di entrambi gli atti impugnati.
Nel merito, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti sono fondati e vanno accolti, nei termini e nei limiti qui di seguito precisati.
Entrambi gli atti impugnati si fondano sul presupposto secondo cui la strada Campagnola sarebbe di proprietà comunale: il che sarebbe dimostrato, sia dall’inclusione della predetta strada nella classificazione delle strade comunali operata dal consiglio comunale di Alpignano con una delibera del 1979, sia dall’esame di una “mappa catastale della zona” da cui risulterebbe che anche il tratto di strada antistante il mappale 148 di proprietà della società ricorrente farebbe parte della predetta strada Campagnola.
Osserva il collegio che gli elementi addotti dal Comune non sono sufficienti ad attestare la proprietà comunale della strada in contestazione.
Affinché una strada possa essere qualificata “pubblica” è necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la stessa risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base ad un atto o fatto (fra cui anche l'usucapione) idoneo a trasferire il dominio, ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale (Consiglio di Stato, sez. VI, 08.10.2013, n. 4952; TAR Piemonte, sez. II, 27.06.2013, n. 820; TAR Trento, sez. I 21.11.2012, n. 341).
A tal fine non è invece sufficiente la mera iscrizione della strada nell’elenco delle strade comunali, la quale ha natura meramente dichiarativa e presuppone –ma non sostituisce– la titolarità del diritto di proprietà in capo all’ente pubblico e la concreta destinazione del bene all’utilizzo da parte di una collettività indeterminata di persone (e non soltanto di quei soggetti che si trovano in posizione qualificata rispetto al bene gravato) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.06.2014 n. 1055 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAi fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice (vale a dire nella domanda di annullamento di atti amministrativi) ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi cioè dell'intrinseca natura della controversia dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione.
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Rientrano nella giurisdizione del g.o. le controversie relative all’impugnazione di provvedimenti amministrativi allorché la parte ricorrente contesti la demanialità dell'area stessa in quanto non investano vizi dell'atto amministrativo, ma si esauriscano nell'indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, rivolte alla tutela di posizioni di diritto soggettivo.
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L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù; ne consegue che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della p.a..
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Secondo giurisprudenza pacifica è da ricondurre alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la strada che:
a) per le sue dimensioni, struttura, e condizioni consente un generale passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà o condominio;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è contraddistinta da un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile;
d) è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, sopra o sotto di essa, di infrastrutture di servizio da parte dell'ente pubblico (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).
E’ altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all'uso pubblico, occorrendo fatti concludenti ed univoci atti a comprovare il venir meno delle esigenze di utilizzo generale.
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Il questionario fatto compilare dal Comune ad un gruppo di cittadini appartenenti al bacino d’utenza della strada non è di per sé sufficiente allo scopo poiché, tuttalpiù, esso comprova la generica permanenza dell’interesse all’uso della strada “uti singuli” da parte di un gruppo limitato di persone e non già di una collettività indeterminata “iure servitutis publicae”; inoltre, la mera tolleranza dei proprietari interessati, secondo costante giurisprudenza, impedisce la costituzione sia di una servitù pubblica di passaggio per uso ultraventennale sia per effetto di dicatio ad patriam.
Parimenti non costituiscono elementi decisivi idonei a comprovare l’uso pubblico né l’inserimento nella toponomastica comunale, né l’avvenuta posa in opera di una tubazione idrica per servire alcuni utenti, in assenza di altri elementi comprovanti la manutenzione pubblica della strada vicinale.

Come noto, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice (vale a dire nella domanda di annullamento di atti amministrativi) ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi cioè dell'intrinseca natura della controversia dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez IV 02.03.2011, n. 1360; Cassazione Sezioni Unite 26.01.2011, n. 1767; TAR Campania - Napoli, sez. V, 01.04.2011, n. 1909).
Con l’azione in epigrafe l’odierna ricorrente, al di là della formale domanda di annullamento degli atti impugnati, contesta la sussistenza dei presupposti per il ripristino dell’uso pubblico della strada vicinale per cui è causa, ed in particolare lamenta l’illegittimità dell’esercizio del potere con cui l’Amministrazione ha ripristinato l’idoneità all’uso pubblico, implicitamente revocando le proprie opposte e ripetute precedenti manifestazioni di volontà espresse al riguardo.
Ciò premesso, secondo giurisprudenza consolidata da cui il Collegio non ha ragione di discostarsi, rientrano nella giurisdizione del g.o. le controversie relative all’impugnazione di provvedimenti amministrativi allorché la parte ricorrente contesti la demanialità dell'area stessa (ex multis Consiglio di Stato sez. VI 14.11.2012, n. 5741; id. sez. IV 05.
06.2012 n. 3298; id. sez. VI, 29.05.2002, n. 2972; TAR Campania-Napoli, sez VII, 07.06.2012, n. 2715; Cassazione civile Sez. Un. 27.01.2010, n. 1624; id. Sez. Un. 18.04.2003, n. 6347) in quanto non investano vizi dell'atto amministrativo, ma si esauriscano nell'indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, rivolte alla tutela di posizioni di diritto soggettivo.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù; ne consegue che la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di una strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata, è devoluta alla giurisdizione del g.o., giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della p.a. (Cassazione civile sez. un. 27.01.2010 n. 1624).
Nel caso di specie, è invece evidente la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la controversia investe esattamente la legittimità dell’esercizio di un potere autoritativo, riconducibile all’autotutela con funzione di riesame, seppur implicita, rispetto a precedenti manifestazioni di volontà incompatibili con l’impugnato provvedimento, da ascriversi alla materia del “governo del territorio”, devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133, c. 1, lett. f) cod. proc. amm.). Entro tale ambito di giurisdizione, spetta al giudice amministrativo oltre la cognizione diretta sul corretto esercizio del potere di ripristino del pubblico transito, quella in via incidentale ex art. 8 cod. proc. amm. sui sottostanti diritti reali, se necessaria per pronunciare sulle questioni principali (ex multis TAR Calabria-Catanzaro 05.03.2003, n. 523; TAR Emilia Romagna-Parma 25.05.2005, n. 287).
Va pertanto affermata la giurisdizione dell’adito TAR.
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Come noto e ben riassunto dalle stesse difese, secondo giurisprudenza pacifica (ex multis Consiglio di Stato sez. IV 08.06.2011, n. 3509; id. sez. V 19.04.2013 n. 2218; Cassazione civ. sez. II n. 7718/1991; TAR Toscana sez. I 28.01.2013, n. 136; TAR Campania Napoli 19.12.2012, n. 5250) è da ricondurre alla nozione di strada vicinale di uso pubblico la strada che:
a) per le sue dimensioni, struttura, e condizioni consente un generale passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà o condominio;
b) è collegata con la viabilità generale;
c) è contraddistinta da un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile;
d) è stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, sopra o sotto di essa, di infrastrutture di servizio da parte dell'ente pubblico (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche).
E’ altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all'uso pubblico, occorrendo fatti concludenti ed univoci atti a comprovare il venir meno delle esigenze di utilizzo generale (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V 30.11.2011, n. 6338; id. sez. IV, 07.09.2006 n. 5209; TAR Liguria sez. II 19.05.2011, n. 799; TAR Umbria 21.09.2004, n. 545).
L’Amministrazione resistente, sulla base di precise ricognizioni effettuate nel periodo 1997-2006 dai propri organi tecnici depositate in giudizio (sopra specificate) sulle condizioni morfologiche dei luoghi, ha escluso non solo l’idoneità all’uso pubblico ma anche la stessa qualificazione quale strada, in considerazione, tra l’altro:
- dell’irregolarità del sedime (in alcuni tratti sterrato ed in altri costituito da terreno vegetativo)
- del pessimo stato di manutenzione e della notevole pendenza di alcuni tratti (tale da impedire il transito dei veicoli)
- dell’assenza di collegamento con la strada pubblica e l’esistenza di tratti di strade alternativi per il collegamento tra San Carlo e San Bartolomeo.
Conseguentemente, ha coerentemente deciso di procedere all’espressa sdemanializzazione della strada vicinale in questione.
Di li a poco, e precisamente nel mese di novembre 2006, ha esercitato un repentino “ius poenitendi” senza effettuare l’indispensabile valutazione tecnica sull’opportunità di considerare tutt’ora prevalente l’esigenza pubblica del ripristino della situazione precedente per tutta o solo una parte della strada stessa, si da contravvenire alle risultanze precedentemente raggiunte, come accertato dalla sentenza 592/2009 di annullamento delle deliberazioni di revoca.
Come condivisibilmente argomentato dalla difesa della ricorrente, la nuova deliberazione C.C. 270/2010 qui impugnata, da una parte, interviene a disciplinare la questione dell’uso pubblico in costanza di proprie precedenti deliberazioni tutt’ora valide ed efficaci, per effetto della sentenza 592/2009 la quale, nell’annullare la revoca in autotutela, ne ha pienamente ripristinato ogni efficacia; d’altra parte, la deliberazione impugnata è espressione del potere dell’Amministrazione di rinnovare le proprie precedenti valutazioni, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti dalla sentenza, vale a dire effettuando una più approfondita valutazione tecnica sullo stato dei luoghi e sulla idoneità all’uso pubblico.
Non ritiene il Collegio che la suesposta rinnovata valutazione sia idonea a dimostrare la sopravvenienza di fatti o la logica diversa valutazione di circostanze già accertate dai numerosi pareri tecnici dell’Amministrazione poste a fondamento della deliberazione di sdemanializzazione, oltre che dalle risultanze emerse dalle perizie disposte in sede penale e dalla CTU depositata in sede civile.
Da una parte, il questionario fatto compilare dal Comune ad un gruppo di cittadini appartenenti al bacino d’utenza della strada non è di per sé sufficiente allo scopo poiché, tuttalpiù, esso comprova la generica permanenza dell’interesse all’uso della strada “uti singuli” da parte di un gruppo limitato di persone e non già di una collettività indeterminata “iure servitutis publicae”; inoltre, la mera tolleranza dei proprietari interessati, secondo costante giurisprudenza, impedisce la costituzione sia di una servitù pubblica di passaggio per uso ultraventennale (Consiglio di Stato sez. V 28.01.1998 n. 102) sia per effetto di dicatio ad patriam (Cassazione civ. sez. II 12.08.2002, n. 12167).
D’altronde, la contraddittorietà dell’operato del Comune traspare apertamente dalla stessa motivazione della deliberazione impugnata, laddove si afferma che in alcuni tratti la strada sarebbe addirittura inesistente (pag. 4/5) mentre alla successiva pag. 6 si evince che la strada sarebbe aperta al pubblico transito da tempo immemorabile.
Se è vero che con l'introduzione dell'art. 21-quinquies della L n. 241/1990, il potere di revoca ricomprende sia il c.d. “ius poenitendi”, ossia la mutata valutazione soggettiva dell’interesse pubblico, sia ogni diversa valutazione per il sopravvenuto mutamento delle circostanze di fatto o di diritto che costituivano il fondamento della decisione (Consiglio di Stato sez. V 05.07.2011 n. 4028; id. sez. V 21.04.2010, n. 2244), esso non può certo spingersi sino al disconoscimento dei fatti obiettivamente accertati, nella specie la natura e la morfologia della strada, posti a fondamento dell’attività oggetto dell’autotutela, a pena di evidente travisamento e sviamento della funzione pubblica.
Parimenti non costituiscono elementi decisivi idonei a comprovare l’uso pubblico né l’inserimento nella toponomastica comunale, né l’avvenuta posa in opera di una tubazione idrica per servire alcuni utenti, in assenza di altri elementi comprovanti la manutenzione pubblica della strada vicinale
(TAR Umbria, sentenza 23.05.2013 n. 304  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della classificazione e declassificazione delle strade, le definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3, cod. str., non impediscono di ricomprendere le piazze nella nozione di strada a mente del comma 1 del medesimo articolo secondo cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali>>.
Tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<… attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in correlazione con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2, cod. str. -secondo cui <<1. La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. 2. La circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali sulle strade è regolata dalle norme del presente codice…>>- e dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248, all. F (disposizione non abrogata, ed espressamente mantenuta in vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale include tra le strade comunali, fra l’altro, anche le piazze; in armonia con il delineato quadro normativo si colloca la consolidata giurisprudenza, che individua a tutti i fini (civili, penali, tributari) la nozione di strada in senso ampio, facendo leva sulla caratteristica della destinazione ad uso pubblico.

Ai fini della classificazione e declassificazione delle strade, le definizioni di cui all’art. 2, co. 2 e 3, cod. str., non impediscono di ricomprendere le piazze nella nozione di strada a mente del comma 1 del medesimo articolo secondo cui: <<1. Ai fini dell’applicazione del presente codice si definisce <<strada>> l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali>>; tanto emerge, in prospettiva sistematica, anche dalla norma sancita dall’art. 190, co. 3, cod. str. -che, nel disciplinare la circolazione dei pedoni, vieta loro di <<… attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali.>>- specie se letta in correlazione con quanto stabilito dall’art. 1, co. 1 e 2, cod. str. -secondo cui <<1. La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. 2. La circolazione dei pedoni, dei veicoli, e degli animali sulle strade è regolata dalle norme del presente codice…>>- e dall’art. 22, co. 3, l. 20.03.1865 n. 2248, all. F (disposizione non abrogata, ed espressamente mantenuta in vita dal d.lgs. n. 179 del 2009), il quale include tra le strade comunali, fra l’altro, anche le piazze; in armonia con il delineato quadro normativo si colloca la consolidata giurisprudenza, che individua a tutti i fini (civili, penali, tributari) la nozione di strada in senso ampio, facendo leva sulla caratteristica della destinazione ad uso pubblico (cfr., fra le tante, Cass. pen., sez. IV, 17.12.2010, n. 2582; Cass. sez. trib., 06.08.2009, n. 18052; Cass. civ., sez. II, 25.06.2008, n. 17350; sez. II, 07.04.2006, n. 8204) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.05.2014 n. 2447 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La strada in questione risulta inserita nella delibera di Giunta municipale n. 436/993, contenente la classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero civico e la strada medesima è dotata della segnaletica stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade pubbliche.
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia compiuto alcune opere sulla strada stessa.

Il ricorso è infondato.
Come documentato dal Comune resistente, e non contestato dal ricorrente, la strada in questione risulta inserita nella delibera di Giunta municipale n. 436 del 1993, contenente la classificazione delle nuove strade ad uso pubblico, inoltre tutte le abitazioni che vi si affacciano hanno il numero civico e la strada medesima è dotata della segnaletica stradale.
Ad avviso del Collegio, pertanto, sussistono gran parte degli indizi di pubblicità della strada, e in particolare la segnaletica verticale, l’uso da tempo immemorabile da parte della comunità e l’inserimento nell’elenco delle strade pubbliche (cfr. Tar Catanzaro, sentenza n. 643 del 2008).
Tali indizi appaiono univoci e significativi, proprio perché risalenti nel tempo (almeno ad oltre venti anni fa, stando alla classificazione delle strade), e soprattutto perché tra essi vi è quello sostanziale e prevalente, ossia l’uso pubblico da tempo immemorabile, sicché essi non appaiono superati dalla circostanza che il ricorrente stesso abbia compiuto alcune opere sulla strada stessa.
Tanto più che l’unica opera veramente incompatibile con la proprietà pubblica e soprattutto con l’uso pubblico della medesima è stata la recinzione del terreno, che ha appunto determinato la reazione dell’Amministrazione mediante i provvedimenti impugnati.
La strada, peraltro, come risulta dalla relazione tecnica allegata alla d.i.a., ha funzione di collegamento e raccordo con la viabilità esistente, ed anche questo elemento depone in modo rilevante per la natura pubblica della stessa (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 5596 del 2013).
La circostanza, dedotta nel ricorso, che essa non sia idonea alla circolazione veicolare (con auto o moto) non elimina l’uso pubblico che finora ne è stato fatto, ma semmai riguarda la possibilità che la medesima possa essere utilizzata a tal fine per l’avvenire, da parte dell’Amministrazione proprietaria, la quale dovrà ovviamente verificare ed impedire tale uso veicolare qualora, e nei limiti in cui, esso sia effettivamente in contrasto con le norme di sicurezza e di circolazione stradale (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 05.05.2014 n. 212 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Classificazione di una strada come pubblica.
Costante giurisprudenza amministrativa afferma che per classificare una data strada come pubblica l’atto di inclusione nei relativi elenchi, che ha valore soltanto dichiarativo, costituisce una presunzione semplice, superabile avuto riguardo alla concreta situazione della strada stessa.
La strada pubblica, infatti, si caratterizza per essere interessata dal passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; per essere assistita da “titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile”.
A tali elementi, se ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della strada ed eventualmente adeguandola al transito della generalità dei cittadini.

1. Alla decisione del presente ricorso si applicano i principi e criteri evidenziati per analoga fattispecie nella sentenza di questo Tribunale sez. I 21.11.2011 n. 1772, che si riassumono di seguito per chiarezza espositiva.
2. In tema di riparto di giurisdizione allorquando, come nella specie, sia controverso il carattere pubblico ovvero privato di una strada, un costante orientamento giurisprudenziale afferma anzitutto che spetta non al Giudice amministrativo adito nella sede presente, ma alla Autorità giudiziaria ordinaria, la giurisdizione sulla “controversia promossa dal privato per negare che il proprio fondo sia gravato da una servitù di pubblico transito affermata da un provvedimento della P.A.”, il quale in tal caso assume efficacia meramente dichiarativa, non già costitutiva.
3. In tal caso, l’attore chiede infatti l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di un diritto soggettivo, in quanto “contesta in radice il potere dell'amministrazione comunale di ‘classificazione’ delle strade di uso pubblico, per mancanza del suo presupposto”; non si duole invece dei criteri seguiti per l’esercizio del potere stesso, ipotesi nella quale sussisterebbe invece la giurisdizione del giudice amministrativo: in tali esatti termini, Cass. civ. S.U. 17.03.2010 n. 6406, da cui tutte le citazioni; conforme altresì, fra le più recenti, anche Cass. civ. S.U. 27.01.2010 n. 1624.
4. Solo apparentemente contraria, sempre nella giurisprudenza recente, è Cass. civ. S.U. 24.12.2009 n. 27366, la quale, come risulta a lettura della motivazione completa, riguarda una vicenda di segno opposto, in cui un Comune, evidentemente con un atto di carattere autoritativo, aveva preteso di escludere il pubblico passaggio su una strada, considerandola privata.
5. Ad escludere la giurisdizione ordinaria in favore di quella amministrativa, infine, non vale nemmeno la presenza di un “provvedimento” di classificazione come pubblica della strada per la quale è causa: tale preteso provvedimento, infatti, meglio si qualificherebbe come mero atto, dal momento che ha efficacia soltanto dichiarativa, e non già costitutiva, come puntualizzato dalla citata Cass. civ. 1624/2010.
6. In tali termini, non va condivisa la isolata TAR Umbria 22.11.2002 n. 845 da essa citata, secondo il quale una controversia di tal tipo dovrebbe comunque rientrare nella giurisdizione amministrativa in quanto inerente in generale ad un “uso del territorio” e quindi ricompresa nel disposto dell’allora vigente art. 34 d.lgs. 31.03.1998 n. 34. Si risponde, sulla scorta della giurisprudenza successiva, e in primo luogo della nota C. cost. 06.07.2004 n. 204, oltre che della già citata Cass. 6406/2010, che la giurisdizione esclusiva in parola ha pur sempre come presupposto un agire autoritativo della p.a., e quindi una compresenza nella fattispecie di diritti soggettivi ed interessi legittimi; non può quindi estendersi a casi in cui, come nella specie, si controverta esclusivamente di diritti soggettivi.
7. Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale –e all’evidenza rientrante nella sua giurisdizione- concernente la legittimità di un provvedimento che in senso ampio imponga una certa regolamentazione dell’uso della strada: ciò presuppone infatti che di uso pubblico e non privato si tratti, e quindi che appunto si sia di fronte ad una strada non privata. In tali termini, fra le molte, C.d.S. sez. IV 07.09.2006 n. 5209 e, fra le pronunce di primo grado, TAR Campania Salerno sez. II 07.06.2010 n. 8536; Sardegna sez. II 17.03.2010 n. 312; Valle d'Aosta 13.11.2009 n. 86; Calabria Catanzaro sez. I 01.04.2009 n. 323 e Toscana sez. III 06.11.2007 n. 3599.
8. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, la prima conseguenza è la necessità di dichiarare il difetto di giurisdizione in favore dell’A.G.O. così come in dispositivo quanto alla domanda di “annullamento” della deliberazione consiliare del Comune di Mapello 54/2007, nella parte in cui classifica come comunale la via Quarenghi per cui è causa.
9. Così come affermato, fa le molte, da C.d.S. sez. V 17.09.2012 n. 4317, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo, “rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale” il quale va identificato “in funzione dell'intrinseca natura della controversia dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto all'interno del quale essi si manifestano”.
10. In tali termini, è allora chiaro che la domanda di annullamento in questione, essendo volta, come obiettivo concreto, a contestare il carattere comunale della via Quarenghi, va riqualificata come domanda di accertamento negativo di tale carattere, fondata sull’incertezza che l’atto comunale, ancorché non provvedimentale, ha creato in merito, e come tale, per quanto detto, appartiene alla giurisdizione dell’A.G.O. In tal sede, quindi, si dibatterà anche delle eventuali questioni che coinvolgono Santo Gandolfi.
11. Va invece decisa nel merito, e risulta fondata, la domanda di annullamento della nota 23.10.2006 prot. n. 8340, che come risulta a semplice lettura intende disciplinare autoritativamente la circolazione sulla via Quarenghi, nella specie diffidando i frontisti, sul presupposto evidente che di strada pubblica si tratti, dal posizionarvi segnali di divieto a protezione dei loro domicili.
12. L’unico motivo dedotto in rapporto a tale atto, incentrato sul carattere invece privato della via sulla quale il Comune è intervenuto, è fondato e va accolto. In generale, costante giurisprudenza amministrativa afferma che per classificare una data strada come pubblica l’atto di inclusione nei relativi elenchi, che come ricordato ha valore soltanto dichiarativo, costituisce una presunzione semplice, superabile avuto riguardo alla concreta situazione della strada stessa. La strada pubblica, infatti, si caratterizza per essere interessata dal passaggio di una collettività di persone appartenenti ad un medesimo gruppo territoriale, tipicamente i cittadini del Comune o di una frazione; per essere in concreto idonea a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse; per essere assistita da “titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile”: così fra le molte C.d.S. sez. V 04.02.2004 n. 373 nonché TAR Lazio Roma sez. II 03.11.2009 n. 10781; Lazio Latina 14.03.2008 n. 199 e Marche 10.10.2007 n. 1595.
13. A tali elementi, la recente C.d.S. sez. V 07.12.2010 n. 8624 ne aggiunge uno ulteriore, ovvero la necessità di considerare “il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica”, ovvero in termini banali di verificare se il Comune il quale assume l’uso pubblico si sia mai preoccupato di garantirlo, curando la manutenzione della strada ed eventualmente adeguandola al transito della generalità dei cittadini.
14. A fronte di tutto ciò, i ricorrenti (cfr. loro documenti f-h, copie atti notarili) hanno provato la loro proprietà del sedime, e non è controverso che, allo stato, la strada in questione serva solo ad accedere ai loro domicili privati. Di contro il Comune non è stato in grado di provarne un generalizzato uso pubblico, né un impegno pubblico nella relativa manutenzione, a ciò non bastando (v. memoria Comune 10.03.2014 p. 4) l’eventuale carattere di opera di urbanizzazione della strada stessa, carattere che in astratto può essere proprio anche di strade private.
15. Per completezza, va aggiunto che tutto ciò prescinde da successivi eventuali interventi del Comune, fermo che gli interessati potranno, secondo le regole generali, tutelarsi in giudizio nei confronti dei relativi atti e provvedimenti, e che quindi è infondata l’eccezione di improcedibilità che su tale asserito ulteriore intervento si fonda (memoria Gandolfi 14.03.2014) (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.04.2014 n. 451 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costante giurisprudenza ritiene legittimi presupposti per l’esercizio del potere di tutela possessoria di diritto pubblico di una strada vicinale –ai sensi dell’art. 378 dell’allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi dell’art. 15 D.Lgt. 01.09.1918 n. 1446- l'accertata preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada (anche non da tempo immemorabile, presupposto questo necessario solo in sede petitoria innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria) e della sopravvenienza di un’alterazione dei luoghi che costituisca impedimento alla sua utilizzazione da parte della collettività.
Con la precisazione che, ai fini dell’accertamento di tale uso, non sono determinanti le risultanze catastali o l’inclusione nell'elenco delle strade pubbliche -la classificazione delle strade avendo, infatti, efficacia presuntiva e dichiarativa, non costitutiva- bensì le condizioni effettive in cui il bene si trova, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare (anche per collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale, di un titolo valido ad affermare il diritto di uso pubblico (che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile).

In materia, costante giurisprudenza ritiene legittimi presupposti per l’esercizio del potere di tutela possessoria di diritto pubblico di una strada vicinale –ai sensi dell’art. 378 dell’allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi dell’art. 15 D.Lgt. 01.09.1918 n. 1446- l'accertata preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada (anche non da tempo immemorabile, presupposto questo necessario solo in sede petitoria innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria) e della sopravvenienza di un’alterazione dei luoghi che costituisca impedimento alla sua utilizzazione da parte della collettività (cfr., C.G.A.R.S., 18.06.2003 n. 244).
Con la precisazione che, ai fini dell’accertamento di tale uso, non sono determinanti le risultanze catastali o l’inclusione nell'elenco delle strade pubbliche -la classificazione delle strade avendo, infatti, efficacia presuntiva e dichiarativa, non costitutiva- bensì le condizioni effettive in cui il bene si trova, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare (anche per collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale, di un titolo valido ad affermare il diritto di uso pubblico (che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile) (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 01.12.2003, n. 7831; id., 24.10.2000 n. 5692; id., Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 23.04.2014 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La semplice indicazione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non è sufficiente al fine di accertarne la natura pubblica, atteso che tali elenchi hanno natura dichiarativa e non costitutiva.
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La sussistenza dei presupposti necessari per poter qualificare ad uso pubblico una strada sono:
a) il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità della strada, anche per il collegamento con la via pubblica, a soddisfare esigenze di interesse generale;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione di uso pubblico.

Nemmeno, poi, risulta decisiva in contrario l’affermazione secondo cui “il tratto di strada denominata via Lamma, con inizio da piazza Matteotti e fine alla via Incoronata, è di proprietà comunale ed è inventariata nei beni demaniali di cui all’allegato C al n. 54, come riportato nella deliberazione di C.C. n. 9/1965”, in quanto la semplice indicazione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non è sufficiente al fine di accertarne la natura pubblica, atteso che tali elenchi hanno natura dichiarativa e non costitutiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 1624 del 27.01.2010; Cons. di Stato sez. V, n. 8624 del 07.12.2010; TAR Valle d’Aosta n. 86 del 13.11.2009; TAR Calabria-Catanzaro n. 141 del 05.02.2008).
Peraltro, va notato, a quest’ultimo proposito, che l’operato amministrativo risulta comunque connotato da poca chiarezza (se non da errori), atteso che l’elenco di cui all’allegato C della delibera di C.C. n. 9/1965, oltre a riferirsi alle strade vicinali (e quindi non a quelle demaniali), si ferma al n. 43 (e va detto che, verificando i detti elenchi, una via Lamma “da piazza Trivione a via Incoronata” si rinviene al n. 5 dell’allegato A - strade comunali urbane; ma ancora nella memoria del 04.10.2013, il Comune intimato ribadisce che la “strada comunale Lamma è riportata ancora oggi nei beni demaniali del Comune di Gragnano, al n. 54 dell’allegato C alla delibera di Consiglio Comunale n. 9 del 10.04.1965. Non è stata mai sdemanializzata, né avrebbe potuto essere oggetto di trasferimento tra privati”).
In definitiva, quindi, deve giudicarsi che la strada Lamma in discussione, la quale il verificatore afferma essere stata probabilmente esistente in loco in un tempo anteriore al 1943, al più dovesse essere una via vicinale privata, non essendovi prova della sussistenza dei presupposti necessari per poterla qualificare ad uso pubblico [ovvero: a) il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; b) la concreta idoneità della strada, anche per il collegamento con la via pubblica, a soddisfare esigenze di interesse generale; c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione di uso pubblico]; con la conseguenza che deve presumersi che, caduta in disuso, ben avrebbe potuto essere compravenduta dai privati proprietari (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.02.2014 n. 1151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'inserimento di una via nell'elenco delle vie pubbliche non ha alcuna valenza provvedimentale, trattandosi di mero atto ricognitivo di una situazione di fatto di cui è presupposta una posizione dominicale (proprietà o servitù di uso pubblico), la cui cognizione è pacificamente devoluta al giudice ordinario.
Una cognizione incidentale sulla classificazione pubblica o privata di una via è consentita al giudice amministrativo solo ove finalizzata alla risoluzione di un contenzioso avente ad oggetto in principalità un provvedimento amministrativo (si pensi all'ipotesi in cui la classificazione della via rilevi al fine di valutare la legittimità di un titolo edilizio rilasciato in relazione a quella particolare area).
Ove, per contro, la controversia sia in realtà volta a stabilire la sussistenza di un diritto di proprietà o di una servitù di uso pubblico, l'oggetto della controversia è devoluto alla cognizione del giudice ordinario.
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E' consolidato l'orientamento interpretativo che predica l’equiparazione delle strade vicinali assoggettate a pubblico transito alle strade pubbliche in senso proprio, per ciò che concerne l’assoggettamento alla disciplina delle distanze dalle costruzioni.

Il terzo profilo di censura attiene alla contestata natura pubblica della strada, dalla quale dovrebbe calcolarsi la distanza dei 5,00, mt, ai sensi dell'art. 11, punto A.2 delle n.t.a..
Il vincolo distanziale rileva per i manufatti B-C-D-E-M. La parte ricorrente sostiene che la strada dal cui ciglio dovrebbero dipartirsi il margine dei 5 metri è di proprietà privata, e come tale è esente da qualsiasi fascia di rispetto. Ciò si desumerebbe dal fatto che la cartografia del P.R.G. non classifica la strada come pubblica.
La parte resistente, per contro, fa rilevare come la strada in questione sia da tempo inserita nell’elenco delle vie comunali, sub 46, con la denominazione “strada comunale Chiovenda”.
A chiarimento sui limiti della giurisdizione del giudice amministrativo in subiecta materia, occorre ricordare che l'inserimento di una via nell'elenco delle vie pubbliche non ha alcuna valenza provvedimentale, trattandosi di mero atto ricognitivo di una situazione di fatto di cui è presupposta una posizione dominicale (proprietà o servitù di uso pubblico), la cui cognizione è pacificamente devoluta al giudice ordinario. Una cognizione incidentale sulla classificazione pubblica o privata di una via è consentita al giudice amministrativo solo ove finalizzata alla risoluzione di un contenzioso avente ad oggetto in principalità un provvedimento amministrativo (si pensi all'ipotesi in cui la classificazione della via rilevi al fine di valutare la legittimità di un titolo edilizio rilasciato in relazione a quella particolare area).
Ove, per contro, la controversia sia in realtà volta a stabilire la sussistenza di un diritto di proprietà o di una servitù di uso pubblico, l'oggetto della controversia è devoluto alla cognizione del giudice ordinario.
Nel caso di specie risulta evidente che oggetto di impugnazione è un provvedimento amministrativo e che la parte ricorrente ha interesse a che si riconosca la sussistenza della natura privata della via solo in funzione della declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato.
Considerato, quindi, il petitum sostanziale della pretesa azionata, non può che rilevarsi che il medesimo è devoluto alla cognizione del giudice amministrativo.
La confutazione della natura pubblica della strada discenderebbe, secondo i rilievi della parte ricorrente, dal dissidio tra la descrizione contenuta nell’elenco delle strade comunali (“dalla strada comunale due Fonne - n. 45 - si dirige verso giorno e poi svolta verso mattino”) e l’effettivo andamento del tracciato che cinge la proprietà ricorrente, il quale svolta (non già vero mattino ma) verso sera.
L’argomento, tuttavia, non appare decisivo, per una serie di considerazioni che di seguito si vanno a esporre.
Innanzitutto, il tracciato in questione, come riportato sulle mappe, nel suo primo tratto si indirizza verso giorno (est), poi svolta verso mattino (sud) e solo nel suo ultimo tratto si orienta verso sera (ovest). La descrizione contenuta nell’elenco delle strade comunali è quindi parziale o imprecisa, ma non del tutto incoerente con la conformazione effettiva della strada.
Ciò che più conta, poi, è che tanto la larghezza (3 mt) quanto la lunghezza (240 mt) della strada (riportate nel citato elenco), non sono state contestate come inveritiere da parte ricorrente e pertanto, per quanto consta, corrispondono a quelle del tracciato effettivamente confinante con il mappale 74.
Ancora, appare di rilievo il fatto che non sia stata fornita alcuna indicazione plausibile circa l’esistenza di ulteriori tracciati viari eventualmente confondibili con quello per cui è causa e ai quali potrebbe attagliarsi la descrizione contenuta al sub 46 nell’elenco delle vie comunali.
Ferme le considerazioni che precedono, l’argomento decisivo a favore della sussistenza del limite distanziale lo si ricava dal fatto che nella stessa cartografia allegata al PRG la strada in questione è indicata come “vicinale”, e su questa definizione minima paiono concordare le stesse parti contendenti. A ciò si aggiunge il dato, suffragato, almeno in via presuntiva, dalle stesse allegazioni delle parti e dagli elementi descrittivi versati in atti, dell’assoggettamento ad uso pubblico della strada (cfr. Cass. civ., sez. II, 10.10.2007, n. 21245).
In tal senso rileva il fatto che lungo il suo tracciato non si riscontrino opere di interclusione al libero passaggio; che quindi la stessa conformazione del tracciato rende plausibile la sua libera percorrenza a vantaggio della collettività; che, infine, non vi siano tracce di attività di gestione o di manutenzione della strada riconducibili ad iniziative e interessi privati. Non sussistono elementi, pertanto, per ipotizzare che la strada rientri nell’esclusiva disponibilità dei proprietari dei fondi antistanti, sì da configurarsi come strada vicinale preclusa all’accesso pubblico.
Dai dati evidenziati, si desume al contrario l’assoggettamento della strada all’uso pubblico, dal che consegue il suo legittimo inserimento nel sistema viario cittadino preso in considerazione dalle N.T.A. ai fini della regolamentazione delle fasce di rispetto.
A questa conclusione si perviene in ragione del consolidato orientamento interpretativo che predica l’equiparazione delle strade vicinali assoggettate a pubblico transito alle strade pubbliche in senso proprio, per ciò che concerne l’assoggettamento alla disciplina delle distanze dalle costruzioni (Cass. civ. sez. II, 19.02.1993, n. 2025; Id. 12.02.1994, n. 1429; id 27.12.2011, n. 28938).
Nello stesso senso depone l’art. 11 delle N.T.A. del P.R.G.C., il quale, nell’imporre l’osservanza della fascia di rispetto dalle pubbliche vie, fa riferimento a tutte le strade appartenenti alla rete viaria di interesse pubblico, siano esse di proprietà pubblica o semplicemente subordinate all’uso pubblico. Sicché anche una strada vicinale assoggettata ad uso pubblico, in quanto rilevante ai fini della fruizione collettiva, deve intendersi assoggetta al regime della fasce di rispetto.
In conclusione, dovendosi riconoscere la vincolatività del limite distanziale non rispettato, va respinta la dedotta illegittimità delle determinazioni provvedimentali impugnate. Il ricorso iscritto ad R.G. 1389/2007 non può quindi trovare accoglimento
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.02.2014 n. 323 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il concetto di “utente” di strada vicinale soggetta a pubblico transito, come emergente dall’art. 1 del D.L.Lgt. n. 1446 del 1918, deve necessariamente essere considerato e interpretato in senso maggiormente estensivo rispetto alla definizione (oltremodo restrittiva) datane in ricorso; ciò in coerenza e nel rispetto della ratio della norma stessa.
L’art. 1, al primo comma, stabilisce infatti che: “Gli utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a pubblico transito, possono costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse”.
La norma intende individuare detta utenza mediante un criterio del tutto oggettivo, che pone a confronto la situazione dei luoghi e delle proprietà e/o dei soggetti utilizzatori dei terreni, con il percorso della strada vicinale, in modo da includere nell’elenco dei soggetti utenti della strada tutti coloro i cui terreni siano oggettivamente, direttamente raggiungibili percorrendo la strada vicinale e ciò evidentemente a prescindere da quale sia l’effettivo concreto utilizzo di quel percorso da parte dei soggetti interessati e, ulteriormente, a prescindere dall’esistenza, in zona, di altri tragitti che consentono di accedere ai loro fondi.
In buona sostanza, il concetto di utente della strada voluto dalla citata disposizione, individua il soggetto i cui fondi possono essere direttamente raggiunti percorrendo la stessa.
Nella fattispecie in esame, pertanto, ove non è contestato che i terreni di proprietà della ricorrente siano raggiungibili direttamente percorrendo la strada vicinale di cui è causa, anche attraverso il tratto di essa non soggetto all’uso pubblico, il Collegio ritiene che del tutto legittimamente, sulla base delle motivate argomentazioni svolte nella deliberazione consiliare impugnata, il Comune abbia incluso la ricorrente tra gli utenti della strada vicinale obbligati a consorziarsi.

... per l'annullamento della deliberazione del Consiglio comunale di Monzuno avente ad oggetto l’approvazione della costituzione del consorzio obbligatorio della strada vicinale di uso pubblico “Montorio – Pieve di Montorio – Molinelli” tra gli utenti della strada, nella parte in cui si respinge il reclamo della ricorrente diretto ad essere esclusa dall’elenco degli utenti consorziati.
...
Il Collegio osserva che il ricorso non merita accoglimento.
Le argomentazioni della ricorrente sono dirette a contrastare l’inclusione della stessa nell’elenco dei soggetti partecipanti al Consorzio obbligatorio per la gestione della strada vicinale di uso pubblico “Montorio – Pieve di Montorio – Molinelli”, conferendo rilevanza a considerazioni circa l’effettivo mancato utilizzo della strada vicinale sia da parte della ricorrente –proprietaria dei fondi– sia da parte del soggetto affittuario dei fondi stessi. La ricorrente ritiene, in definitiva, di non essere e di non potere essere in alcun modo considerata “utente” della strada vicinale, mancando il necessario presupposto, indicato nel D.L.lgt. n. 1446 del 1918, di essere soggetto che per accedere alla sua proprietà deve necessariamente utilizzare, ed in concreto, utilizza, la strada.
Secondo la prospettazione della ricorrente, anche lo Statuto del Consorzio avallerebbe detta oltre modo restrittiva interpretazione della normativa statale, ove, all’art. 3 si dispone che “…fanno parte del Consorzio tutti i proprietari di terreni e fabbricati, attività agricole, artigianali ed industriali, che per accedere alle proprietà di pertinenza debbano servirsi totalmente o anche solo parzialmente della strada”. Pertanto, a dire della ricorrente, per essere considerato quale utente della strada vicinale e, quindi, obbligato al Consorzio, occorre che lo stato dei luoghi imponga la necessità di servirsi proprio di quel percorso; nella specie, invece, tale situazione non si verificherebbe, dato che i fondi di cui è proprietaria non fronteggiano la strada vicinale e dato che sia essa stessa sia il coltivatore affittuario non si servano di quel tragitto per accedere ai propri fondi.
Il Collegio ritiene che le predette considerazioni non possano essere condivise, stante che il concetto di “utente” di strada vicinale soggetta a pubblico transito, come emergente dall’art. 1 del D.L.Lgt. n. 1446 del 1918, debba necessariamente essere considerato e interpretato in senso maggiormente estensivo rispetto alla definizione (oltremodo restrittiva) datane in ricorso; ciò in coerenza e nel rispetto della ratio della norma stessa.
L’art. 1, al primo comma, stabilisce infatti che: “Gli utenti delle strade vicinali, anche se non soggette a pubblico transito, possono costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la sistemazione o ricostruzione di esse”. La norma intende individuare detta utenza mediante un criterio del tutto oggettivo, che pone a confronto la situazione dei luoghi e delle proprietà e/o dei soggetti utilizzatori dei terreni, con il percorso della strada vicinale, in modo da includere nell’elenco dei soggetti utenti della strada tutti coloro i cui terreni siano oggettivamente, direttamente raggiungibili percorrendo la strada vicinale e ciò evidentemente a prescindere da quale sia l’effettivo concreto utilizzo di quel percorso da parte dei soggetti interessati e, ulteriormente, a prescindere dall’esistenza, in zona, di altri tragitti che consentono di accedere ai loro fondi.
In buona sostanza, il concetto di utente della strada voluto dalla citata disposizione, individua il soggetto i cui fondi possono essere direttamente raggiunti percorrendo la stessa.
Nella fattispecie in esame, pertanto, ove non è contestato che i terreni di proprietà della ricorrente siano raggiungibili direttamente percorrendo la strada vicinale di cui è causa, anche attraverso il tratto di essa non soggetto all’uso pubblico (v. doc. n. 1 del Comune), il Collegio ritiene che del tutto legittimamente, sulla base delle motivate argomentazioni svolte nella deliberazione consiliare impugnata, il Comune abbia incluso la ricorrente tra gli utenti della strada vicinale obbligati a consorziarsi.
Per le suesposte ragioni, il ricorso è respinto (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 11.02.2014 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DICATIO AD PATRIAM, NOZIONE E PRESUPPOSTI.
La dicatio ad patriam -quale modo di costituzione di servitù di uso pubblico- consiste nella destinazione volontaria, definitiva e gratuita, della proprietà immobiliare al servizio della collettività, in assenza di riserve o reazioni dei proprietari, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, indipendentemente dai motivi per i quali tale comportamento sia tenuto.
Tale accertamento, costituendo indagine di mero fatto, è riservato al giudice del merito ed è perciò insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

Alcuni privati convennero avanti il Tribunale ordinario una amministrazione comunale, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per occupazione illegittima e irreversibile trasformazione di suoli di loro proprietà, utilizzati per il completamento della viabilità urbana. Il Comune chiese il rigetto della domanda deducendo che quelle strade erano state realizzate non solo in epoca risalente (prima del 1970) ma anche che da sempre erano state utilizzate dalla collettività e solo in un secondo momento sistemate dall'amministrazione con opere di bitumazione e interramento di condotte e sotto-servizi.
Il Tribunale rigettò la domanda, al pari della Corte d’appello che, qualificatala come di “occupazione usurpativa” (poiché lo spossessamento operato dal Comune non era stato preceduto da dichiarazione di p.u.) recepì la tesi comunale secondo cui i suoli, sui quali insistevano le strade, erano stati in precedenza oggetto di dicatio ad patriam, sicché agli attori non spettava corrispettivo o risarcimento alcuno.
La sentenza è gravata in Cassazione con ricorso dei privati -con richiesta d’integrale riforma- e con ricorso incidentale condizionato del Comune.
La Suprema Corte muove dalla considerazione che la Corte del merito abbia ritenuto, fin dagli anni sessanta, che le odierne parti private avessero iniziato a vendere parti della loro proprietà immobiliare secondo un più ampio progetto di lottizzazione (ritenuta abusiva) di cui le strade, realizzate contestualmente alla costruzione delle prime unità abitative, costituivano parte indispensabile. Questo, osserva la Corte, è evincibile dagli stessi atti di vendita successivi al 1970, ove i medesimi privati riservarono a sé la proprietà delle fasce di suolo destinate a strade e concessero la servitù di passaggio agli acquirenti. Tali strade, già dotate di sotto-servizi, furono aperte al transito dei cittadini per consentire agli acquirenti dei lotti di raggiungere le loro abitazioni: in questo contesto, il Comune provvide ad asfaltarle e a costruire i marciapiedi.
La presenza di un tale contesto permette di ritenere presente una dicatio ad patriam consistente nella destinazione volontaria, definitiva e gratuita, della proprietà immobiliare al servizio della collettività, in assenza di riserve o reazioni dei proprietari i quali, al contrario, erano implicitamente consenzienti e avevano lucrato da quella destinazione pubblicistica.
Osserva la Corte che la dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, in modo univoco e con carattere di continuità (non di mera precarietà o di tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività assoggettandolo al correlativo uso al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività uti cives, ossia indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento sia tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima. Tale accertamento di fatto, riservato al giudice del merito, è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria (v. Cass. n. 12167/2002, n. 5262/1993).
Occorre quindi che sia verificato, da parte del giudice di merito, se l’utilizzo delle strade era proprio della collettività, indistintamente, oppure dei soli frontisti o comproprietari dei lotti urbanizzati: solo nel primo caso potrebbe astrattamente ammettersi l'esistenza di un uso pubblico rilevante ai fini della dicatio ad patriam desumibile dal solo fatto che il proprietario abbia consentito il passaggio pubblico su parte del proprio fondo (Cass. n. 4597/2013) o su una strada privata di accesso ad alcuni edifici e di collegamento tra strade pubbliche (Cass. n. 4207/2012). Né, soprattutto, la dicatio è configurabile con riguardo a strade destinate al servizio d’un determinato edificio o complesso di edifici, indipendentemente dal fatto che esse manchino di recinzioni e siano inserite nella rete viaria pubblica della zona (Cass. n. 3761/1985).
Ancora, va escluso l'uso pubblico quando il passaggio sia esercitato dai soli proprietari di determinati fondi per la particolare ubicazione degli stessi o da chi abbia occasione di accedervi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cons. Stato, sez. V, n. 728/2012) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 05.02.2014 n. 2557 -
tratto da Urbanistica e appalti n. 4/2014).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: LA CREAZIONE DI STRADE DI PERCORRENZA ALL’INTERNO DI UN FONDO LOTTIZZATO NON COSTITUISCE DI PER SÉ STESSA DICATIO AD PATRIAM.
Il comportamento del proprietario di un fondo suddiviso in lotti, che abbia riservato spazi di transito su cui un Comune abbia eseguito lavori di miglioramento delle strade e realizzato opere di urbanizzazione non necessariamente comporta l’asservimento, a uso pubblico dei fondi da parte del privato.
In tali casi è compito del giudice di merito -laddove tale azione pubblica non sia stata anticipata da declaratoria di p.u.- verificare se vi sia stata dicatio ad patriam che -quale modo di costituzione di una servitù- postula un comportamento del  proprietario che destini volontariamente all’uso di una collettività indistinta il bene di sua proprietà, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza.

Un Comune appellava due sentenze, l'una parziale e l'altra definitiva, di accoglimento della domanda proposta da un privato per ottenere la condanna dell'Ente locale al risarcimento del danno patito per effetto dell'occupazione illegittima accompagnata dall’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria su parte dei terreni di proprietà del privato, destinati a vie di accesso a circa duecento piccoli lotti in cui il privato aveva suddiviso il proprio fondo, ai fini della vendita a terzi per edilizia residenziale privata.
La Corte di appello, in accoglimento del gravame rigettava l’originaria domanda del privato e dichiarava asserviti a uso pubblico gli spazi destinati a strade e urbanizzati, esistenti sul fondo in questione. Riteneva che non fosse configurabile alcuna occupazione acquisitiva da parte dell'ente, perché il Comune –in assenza di declaratoria di pubblica utilità– aveva eseguito lavori di miglioramento delle preesistenti strade e realizzato opere di urbanizzazione su strade, pur già individuate e realizzate dallo stesso privato all'interno del suo fondo abusivamente lottizzato.
Ancora, statuiva che andasse riconosciuto l'asservimento a uso pubblico delle strade in questione per dicatio ad patriam, come chiesto in riconvenzione dal Comune, perché era emerso, dagli atti di causa, che il privato avesse suddiviso i propri fondi in una serie di lotti da destinare all'edificazione lasciando - ai loro margini - appositi spazi per accedervi e che solo successivamente questi fossero stati destinati al passaggio dei diversi proprietari ed avessero costituito le strade di accesso a tutti i lotti. Il passaggio, quindi, era stato permesso a quisque de populo, sicché era avvenuto per l'apertura a pubblico transito e non per esercizio di concesse singole servitù.
La sentenza è gravata dal privato per Cassazione, che cassa con rinvio la sentenza, per due motivi. Osserva il Giudice nomofilattico che la dicatio ad patriam, quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento da parte del proprietario che destini volontariamente ad uso pubblico il bene di sua proprietà, seppur non intenzionalmente ma con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza). Deve trattari di una collettività indeterminata di persone, uti cives, con assoggettamento del bene al relativo uso (cfr. Cass. n. 3761/1985; n. 875, 6924 e 7481/2001; n. 12167/2002; n. 4207 e 4597/2012).
La conclusione dell'intervenuta costituzione della servitù pubblica di uso in virtù di dicatio ad patriam, presuppone, oltre all'uso pubblico del bene, la volontà del proprietario di porlo a disposizione della collettività (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 31.01.2014 n. 2121 -
tratto da Urbanistica e appalti n. 4/2014).

EDILIZIA PRIVATAUna prima considerazione attiene alla valenza da attribuire alla deliberazione di giunta municipale che abbia individuato, a seguito della delimitazione del centro abitato, i tratti di strade statali, regionali o provinciali che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti.
E’ indubbio che tale delibera costituisce di per sé titolo per il passaggio di proprietà alla stregua degli altri titoli indicati dalla norma e, quindi, è idoneo presupposto per la consegna delle strade o di tronchi di strade tra gli enti, ove la delimitazione del centro abitato ne comporti la classificazione come strada appartenente ad ente diverso da quello della precedente classificazione.
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Altra questione riguarda il concetto di “centro abitato” ed in particolare se la individuazione e delimitazione del centro abitato, effettuata dalla giunta comunale ai fini del citato art. 4 del Codice della Strada, sia derogabile ove il Comune sia effettivamente articolato in più centri abitati e se il riferimento demografico ai fini del passaggio delle strade tra enti debba essere riferito al “centro abitato” individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada o ai centri abitati in cui è articolato il Comune dal punto di vista topografico.
Ritiene il Collegio che la disciplina dettata dal Codice della Strada non consente deroghe e per tutti gli aspetti considerati dalla suddetta disciplina non possa che farsi riferimento al “centro abitato” individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada.
L’art. 2, comma 7, del Codice si riferisce a questa accezione di centro abitato, atteso che parla di strade comprese nel centro abitato.
Ne consegue in base alla medesima disposizione di legge, che sono comunali le strade urbane di scorrimento, di quartiere e locali che ricadono all’interno del centro abitato delimitato con popolazione superiore ai diecimila abitanti, mentre sono tratti interni di strade statali, regionali e provinciali quelle che sono delimitate all’interno di un centro abitato con popolazione inferiore ai diecimila abitanti.
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Dalla disciplina citata emerge con certezza che l’elemento demografico non può che essere riferito al “centro abitato” o ai “centri abitati” individuati ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada.
Va da sé che l’individuazione del “centro abitato” o dei “centri abitati” nella ratio del Codice della Strada risponde a criteri funzionali all’applicazione delle diverse discipline previste dal codice della strada e dal regolamento all'interno ed all'esterno del centro abitato, con i conseguenziali limiti territoriali di competenza e di responsabilità tra il comune e gli altri enti proprietari di strade.
Non può, quindi, essere determinata da finalità diverse, quale in ipotesi il conseguimento del minore aggravio possibile degli oneri di manutenzione delle strade, né rispondere ad esigenze di natura urbanistica (non coincide infatti con la ripartizione urbanistica di una città in centro storico, zone residenziali, periferia) o coincidere con la ripartizione amministrativa della città in municipi.
Ugualmente è irrilevante che il comune si sviluppi in maniera disordinata, articolandosi in agglomerati di case sparse lungo le arterie principali, atteso che il concetto di centro abitato nella ratio del Codice della Strada risponde solamente a criteri funzionali alla circolazione stradale.
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In conclusione deve ritenersi che la delimitazione del centro abitato o dei centri abitati risponde ai soli criteri fissati dal Codice della strada ed è funzionale solamente alla circolazione; essa tuttavia comporta, sempre e per effetto automatico, il passaggio delle strade ai diversi enti territoriali secondo i criteri su esposti, non assumendo rilevanza l’effettiva articolazione dello sviluppo edilizio in più centri abitati da un punto di vista topografico.

La questione in esame attiene all’interpretazione delle norme del codice della strada e del relativo regolamento in relazione ai c.d. “centri abitati” ed alla classificazione delle strade interne conseguente alla individuazione dei “centri abitati”.
L’art. 3, comma 8, del codice della strada individua il “centro abitato” con riferimento ad un agglomerato di almeno 25 edifici sebbene intervallati da strade, giardini od altro.
L’art. 4, stabilisce la competenza della giunta comunale in ordine alla individuazione e delimitazione del centro abitato secondo i criteri dettati dal codice e dal regolamento: “Ai fini dell’attuazione della disciplina della circolazione stradale, il Comune entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, provvede con delibera della giunta alla delimitazione del centro abitato…La deliberazione…è pubblicata all’Albo Pretorio…; ad essa viene allegata idonea cartografia nella quale sono evidenziati i confini sulle strade di accesso”.
L’art. 4 del Regolamento del Codice della Strada (d.p.r. n. 285 del 1992), ai commi 4 e 5 stabilisce che “I tratti di strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati a seguito della delimitazione del centro abitato prevista dall’art. 4 del codice, sono classificati quali strade comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale con la quale si procede alla delimitazione medesima.
Successivamente all’emanazione dei provvedimenti di classificazione e di declassificazione delle strade previsti dagli articoli 2 e 3, all’emanazione dei decreti di passaggio di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei tronchi di strade fra gli enti proprietari
”.
Una prima considerazione attiene alla valenza da attribuire alla deliberazione di giunta municipale che abbia individuato, a seguito della delimitazione del centro abitato, i tratti di strade statali, regionali o provinciali che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti.
E’ indubbio che tale delibera costituisce di per sé titolo per il passaggio di proprietà alla stregua degli altri titoli indicati dalla norma e, quindi, è idoneo presupposto per la consegna delle strade o di tronchi di strade tra gli enti, ove la delimitazione del centro abitato ne comporti la classificazione come strada appartenente ad ente diverso da quello della precedente classificazione.
Altra questione riguarda il concetto di “centro abitato” ed in particolare se la individuazione e delimitazione del centro abitato, effettuata dalla giunta comunale ai fini del citato art. 4 del Codice della Strada, sia derogabile ove il Comune sia effettivamente articolato in più centri abitati e se il riferimento demografico ai fini del passaggio delle strade tra enti debba essere riferito al “centro abitato” individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada o ai centri abitati in cui è articolato il Comune dal punto di vista topografico.
Ritiene il Collegio che la disciplina dettata dal Codice della Strada non consente deroghe e per tutti gli aspetti considerati dalla suddetta disciplina non possa che farsi riferimento al “centro abitato” individuato ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada.
L’art. 2, comma 7, del Codice si riferisce a questa accezione di centro abitato, atteso che parla di strade comprese nel centro abitato.
Ne consegue in base alla medesima disposizione di legge, che sono comunali le strade urbane di scorrimento, di quartiere e locali che ricadono all’interno del centro abitato delimitato con popolazione superiore ai diecimila abitanti, mentre sono tratti interni di strade statali, regionali e provinciali quelle che sono delimitate all’interno di un centro abitato con popolazione inferiore ai diecimila abitanti.
Tanto è dettagliatamente esposto nel Regolamento del Codice della Strada, che all’art. 5, precisa che “la delimitazione del centro abitato, come definito all'articolo 3, comma 1, punto 8, del codice, è finalizzata ad individuare l'ambito territoriale in cui, per le interrelazioni esistenti tra le strade e l'ambiente circostante, è necessaria da parte dell'utente della strada, una particolare cautela nella guida, e sono imposte particolari norme di comportamento (la delimitazione del centro abitato individua pertanto i limiti territoriali di applicazione delle diverse discipline previste dal codice e dal regolamento all'interno ed all'esterno del centro abitato).
La delimitazione del centro abitato individua altresì, lungo le strade statali, regionali e provinciali, che attraversano i centri medesimi, i tratti di strada che:
a) per i centri con popolazione non superiore a diecimila abitanti costituiscono «i tratti interni»;
b) per i centri con popolazione superiore a diecimila abitanti costituiscono «strade comunali», ed individua, pertanto, i limiti territoriali di competenza e di responsabilità tra il comune e gli altri enti proprietari di strade
”.
Dalla disciplina citata emerge con certezza che l’elemento demografico non può che essere riferito al “centro abitato” o ai “centri abitati” individuati ai fini dell’art. 4 del Codice della Strada.
Va da sé che l’individuazione del “centro abitato” o dei “centri abitati” nella ratio del Codice della Strada risponde a criteri funzionali all’applicazione delle diverse discipline previste dal codice della strada e dal regolamento all'interno ed all'esterno del centro abitato, con i conseguenziali limiti territoriali di competenza e di responsabilità tra il comune e gli altri enti proprietari di strade.
Non può, quindi, essere determinata da finalità diverse, quale in ipotesi il conseguimento del minore aggravio possibile degli oneri di manutenzione delle strade, né rispondere ad esigenze di natura urbanistica (non coincide infatti con la ripartizione urbanistica di una città in centro storico, zone residenziali, periferia) o coincidere con la ripartizione amministrativa della città in municipi.
Ugualmente è irrilevante che il comune si sviluppi in maniera disordinata, articolandosi in agglomerati di case sparse lungo le arterie principali, atteso che il concetto di centro abitato nella ratio del Codice della Strada risponde solamente a criteri funzionali alla circolazione stradale.
Significativo in tal senso è la prescrizione di cui al comma 4 dell’art. 4 del Regolamento del Codice della Strada (“Nel caso in cui l'intervallo tra due contigui insediamenti abitativi, aventi ciascuno le caratteristiche di centro abitato, risulti, anche in relazione all'andamento planoaltimetrico della strada, insufficiente per un duplice cambiamento di comportamento da parte dell'utente della strada, si provvede alla delimitazione di un unico centro abitato, individuando ciascun insediamento abitativo con il segnale di località. Nel caso in cui i due insediamenti ricadano nell'ambito di comuni diversi si provvede a delimitazioni separate, anche se contigue, apponendo sulla stessa sezione stradale il segnale di fine del primo centro abitato e di inizio del successivo centro abitato”).
In conclusione deve ritenersi che la delimitazione del centro abitato o dei centri abitati risponde ai soli criteri fissati dal Codice della strada ed è funzionale solamente alla circolazione; essa tuttavia comporta, sempre e per effetto automatico, il passaggio delle strade ai diversi enti territoriali secondo i criteri su esposti, non assumendo rilevanza l’effettiva articolazione dello sviluppo edilizio in più centri abitati da un punto di vista topografico (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.01.2014 n. 403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Strade private di uso pubblico e diritti soggettivi (commento critico a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2013 n. 5596) (12.12.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa c.d. “sdemanializzazione tacita” di una strada è altro discorso, dovendosi considerare, a tale proposito, che secondo la giurisprudenza tale evenienza ricorre solo quando, oltre al prolungato disuso di un bene demaniale da parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza osservata da quest’ultimo rispetto ad una occupazione da parte di privati, si constati l’esistenza di comportamenti inequivocabili ed incompatibili con la volontà di conservare quella destinazione, così da non lasciare adito ad altre ipotesi se non a quella che l’Amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino del bene pubblico.
Che “la via vecchia di Novi Ligure” non sia stata, per decenni, utilizzata in tutta la sua lunghezza quale via pubblica, ossia quale viabilità di collegamento con altre strade pubbliche, non pare dunque seriamente contestabile.
Che detta circostanza abbia comportato anche la c.d. “sdemanializzazione tacita” della strada è invece altro discorso, dovendosi considerare, a tale proposito, che secondo la giurisprudenza tale evenienza ricorre solo quando, oltre al prolungato disuso di un bene demaniale da parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza osservata da quest’ultimo rispetto ad una occupazione da parte di privati, si constati l’esistenza di comportamenti inequivocabili ed incompatibili con la volontà di conservare quella destinazione, così da non lasciare adito ad altre ipotesi se non a quella che l’Amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino del bene pubblico (ex multis: C.d.S. sez. V, 30.11.2011 n. 6338) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.11.2013 n. 1251 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sia il disuso protratto nel tempo che l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico non sono sufficienti a dimostrare l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di cessazione della demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico.
In questa sede il Collegio non può che ribadire i consolidati principi secondo cui sia il disuso protratto nel tempo che l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico non sono sufficienti a dimostrare l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di cessazione della demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico (cfr. Cons. St., Sez. V, 30.11.2011, n. 6338; Sez. VI, 09.02.2011, n. 868; Sez. IV, 07.09.2006, n. 5209, Sez. V, 01.12.2006, n. 7081) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.10.2013 n. 5207 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non uti singuli.
Del pari, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone, oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.

Ebbene, ritiene il Collegio che la tesi dell’amministrazione sia condivisibile, atteso che, in particolare, non risulta dimostrato che la strada in questione (vicolo della Valle) sia privata, e sussistendo, invece, precisi indici rivelatori circa l’esistenza di una servitù di passaggio iure pubblico su detta via.
Un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non uti singuli (Cons. Stato sez. V 14.02.2012 n. 728).
Del pari, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato Sez. V 07.12.2010 n. 8624), oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civile Sez. II 21.05.2001 n. 6924) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.10.2013 n. 5116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In merito alla sussistenza dei presupposti fattuali che rivelano l’esistenza di un uso pubblico del passaggio, i presupposti che possono così identificarsi: passaggio esercitato da una collettività di persone, idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, protrazione del diritto di uso pubblico da tempo immemorabile ed eventuale inserimento del sentiero in un elenco istituito presso il Comune.
Sui requisiti rivelatori dell’uso pubblico di un bene, recentemente il CdS ha così statuito: <<La giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione
>>.
Con provvedimento prot. 5317 del 27.11.2012, il Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Chiesa in Valmalenco (SO), diffidava il Condominio “Chalet La Genziana”, a rimuovere i cancelli e a ripristinare il pubblico transito di un sentiero asserito di collegamento fra due strade comunali, ritenuto dal Comune medesimo di uso pubblico.
...
La questione fondamentale della presente controversia riguarda l’esistenza o meno di una servitù di pubblico passaggio sul sentiero adiacente il Condominio ove risiedono gli esponenti.
Sul punto, attese le opposte posizioni delle parti, il Collegio ha disposto istruttoria mediante verificazione, per l’accertamento della sussistenza dei presupposti fattuali che rivelano l’esistenza di un uso pubblico del passaggio, presupposti che possono così identificarsi: passaggio esercitato da una collettività di persone, idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, protrazione del diritto di uso pubblico da tempo immemorabile ed eventuale inserimento del sentiero in un elenco istituito presso il Comune [sui requisiti rivelatori dell’uso pubblico di un bene, si veda –fra le più recenti– Consiglio di Stato, sez. VI, 10.05.2013, n. 2544, nella quale si legge che: <<La giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa: a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale; c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.02.2011, n. 1240; IV, n. 2760 del 2012, cit.)>>; oltre a Cassazione civile, sez. II, 05.07.2013, n. 16864].
Ciò premesso, dalla lettura della relazione depositata in giudizio dal verificatore risulta chiaramente che:
- mancano elementi certi per affermare che sul sentiero vi sia un passaggio esercitato iure servitutis publicae;
- il sentiero soddisfa esigenze di collegamento con altri sentieri e non con le pubbliche vie;
- non vi sono elementi certi per avvalorare la tesi di un uso pubblico protratto nel tempo;
- il Comune, con propria nota allegata dal verificatore alla sua relazione, ha dichiarato di non avere accertato se il sentiero sia inserito in elenchi tenuti dall’Amministrazione.
Viste le risultanze della verificazione, è giocoforza concludere che non vi è idonea prova dell’uso pubblico del sentiero, sicché risulta priva di fondamento la pretesa del Comune stesso di rimozione dei cancelli collocati dal privato per la salvaguardia del Condominio e dei residenti nel medesimo.
A diversa conclusione non induce la documentazione prodotta da parte resistente in data 24.06.2013, la quale attesta semplicemente l’acquisto della segnaletica da parte della Giunta Comunale nel 1990 e l’avvenuta pulizia del sentiero, sempre nel 1990, ma che non appare idonea a scalfire le conclusioni raggiunte dall’incaricato della verificazione.
Il ricorso deve quindi accogliersi, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.10.2013 n. 2283 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIO: Divieto di transito per veicoli a motore su strade in aree collinari e boschive.
Tra le strade non appartenenti al demanio pubblico, rimangono estranee alla disciplina pubblicistica, venendo regolate da norme di diritto privato, le c.d. vie agrarie (chiamate anche 'vicinali private').
Sono, di conseguenza, assai circoscritte le possibilità offerte dalla legge alle amministrazioni locali per limitare la circolazione su dette strade onde impedire danneggiamenti all'ambiente circostante, mentre dovrebbe essere nell'interesse dei proprietari dei fondi interessati intervenire, utilizzando gli strumenti forniti dal diritto privato e dal diritto penale, a tutela del proprio diritto di proprietà e dell'integrità dei terreni ai quali questo diritto si riferisce.

Il Comune riferisce che, in un'area collinare e boschiva, sita nell'ambito del proprio territorio, sussistono diverse strade che attraversano proprietà private. Tra di esse vi è una strada che pare essere stata realizzata diverso tempo fa dall'Esercito. Quest'ultimo, interpellato riguardo alla stessa, sembra abbia dichiarato informalmente il proprio disinteresse senza però produrre un ufficiale atto di dismissione.
Poiché tali strade, che non sono pubbliche o ad uso pubblico, vengono spesso percorse da motoveicoli fuoristrada, che si spingono anche al di fuori dei sentieri tracciati, inoltrandosi nei boschi e scavando profondi solchi nell'ambiente circostante, l'Ente chiede di sapere in che modo possa legittimamente interdire la circolazione ai veicoli a motore, con l'eccezione dei mezzi agricoli appartenenti ai proprietari del fondo, anche se i terreni in argomento non costituiscono aree soggette a vincolo idrogeologico di cui alla legge regionale 23.04.2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali)
[1].
In via preliminare, il Comune dovrebbe verificare se la strada menzionata appartenga tuttora all'Esercito ovvero se vi sia stata una sdemanializzazione, anche tacita, della stessa
[2].
In caso di appartenenza della via al demanio militare, spetterebbe, infatti, all'ente proprietario della stessa la predisposizione di eventuali misure idonee a contrastare abusi e fenomeni di degrado come quelli segnalati dal Comune
[3].
Le strade che non risultano essere militari e neppure statali, provinciali o comunali e che, quindi, non appartengono al demanio pubblico, sono, secondo una normativa piuttosto risalente, ripresa dalla giurisprudenza e dalla dottrina, le strade vicinali
[4] e le strade agrarie (quest'ultime chiamate anche vicinali private) [5].
Le vie vicinali sono strade private o pubbliche, non iscritte nei registri delle pubbliche vie, che sono idonee al pubblico transito ed assoggettate al medesimo regime giuridico delle strade pubbliche. Titolare del diritto d'uso delle vie vicinali è il comune, ma chi lo esercita è la collettività considerata come complesso di persone
[6].
Le vie agrarie sono strade private costituite dai passaggi interpoderali che sono in comunione incidentale tra i proprietari dei fondi latistanti i quali si servono, iure domini, di quei percorsi per l'accesso e l'utilizzo dei terreni. Su tali vie i proprietari partecipanti alla comunione vantano un diritto d'uso riservato ed esclusivo
[7].
Si osserva, quindi, che mentre le vie vicinali sono di interesse amministrativo, rimangono, invece, estranee alla disciplina pubblicistica, venendo regolate da norme di diritto privato (in particolare da quelle relative alla comunione), le vie agrarie
[8].
Sembrano, perciò, essere assai circoscritte le possibilità offerte dalla legge al Comune instante per limitare la circolazione sulle strade interpoderali de quibus le quali, inoltre, non possono nemmeno godere della protezione fornita con la L.R. 9/2007 non ricadendo all'interno di territori sottoposti a vincolo idrogeologico per i quali sono previste apposite disposizioni riguardanti la circolazione fuori strada
[9].
A dimostrazione di un tanto, si riscontra che unicamente nelle vie vicinali si applicano le disposizioni del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) in quanto solo esse rientrano nella definizione fornita dall'art. 2 di questa normativa che definisce come "strada" l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. In particolare, ai sensi dell'art. 3, comma 1, n. 52, del Nuovo codice della strada, è definita strada vicinale la 'strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico'. Inoltre, ai sensi dell'art. 2, comma 6, del decreto, le strade vicinali sono assimilate alle strade comunali.
Per questa ragione, per le strade private non soggette ad uso pubblico, è esclusa la possibilità per il sindaco del comune competente, prevista in relazione alle strade vicinali, di emettere le ordinanze, di cui agli artt. 5, comma 3 e 6, comma 4, del Nuovo codice della strada, grazie alle quali l'ente proprietario può stabilire anche obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente, anche per determinate categorie di veicoli, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade.
Diversa è anche la disciplina per i due tipi di strade che deriva dal decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446 (Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse)
[10].
L'art. 15 di tale decreto ha affidato al sindaco compiti di vigilanza e polizia su tutte le strade vicinali, ma tali poteri, che sembrano comunque esulare dagli aspetti di regolamentazione del traffico
[11], possono essere autonomamente esercitati solamente nell'ipotesi in cui le vie vicinali siano gravate da pubblico transito, mentre, nel caso di strade private non soggette ad uso pubblico, il sindaco può attivarsi solamente a seguito di un'istanza dei consorzi eventualmente costituiti fra gli utenti [12].
Al contrario, poiché le strade in argomento risultano essere di proprietà privata e non soggette ad uso pubblico, dovrebbe essere nell'interesse dei proprietari dei fondi interessati intervenire, utilizzando gli strumenti forniti dal diritto privato e dal diritto penale, a tutela del proprio diritto di proprietà e dell'integrità dei terreni ai quali questo diritto si riferisce
[13].
Un intervento da parte di un comune su strade private, non interessate dalla pubblica circolazione, potrebbe quindi giustificarsi solamente qualora sorgessero importanti esigenze di carattere pubblico.
Tale è evidentemente l'ipotesi in cui si integrino i presupposti, nel caso de quo difficilmente riscontrabili, per l'emissione delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui all'art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 che richiedono la sussistenza di gravi ed imminenti pericoli per la pubblica incolumità e la sicurezza urbana
[14]. Tali provvedimenti rimangono comunque limitati nel tempo, essendo per loro natura provvisori e sono soggetti a particolare cautela nella loro applicazione nel caso riguardino beni di proprietà privata [15].
In relazione, infine, alla possibilità, fatta propria da alcune amministrazioni comunali, di prevedere, all'interno dei propri regolamenti di polizia rurale
[16], disposizioni che pongono il divieto di ingresso nei fondi altrui, si rileva che risulta abrogato ormai da anni l'art. 110 del Regio decreto 12.02.1911, n. 297 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge comunale e provinciale) [17].
---------------
[1] Tale normativa ha abrogato la legge regionale 15.04.1991, n. 15 (Disciplina dell'accesso dei veicoli a motore nelle zone soggette a vincolo idrogeologico o ambientale. Modifica della legge regionale 22.01.1991, n. 3).
[2] La sdemanializzazione può avvenire grazie ad un provvedimento di declassificazione, assunto ai sensi dell'art. 3, comma 6, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495, oppure in forma tacita, come precisato dalla Corte di cassazione: 'La sdemanializzazione di una strada può anche verificarsi senza l'adempimento delle formalità previste dalla legge in materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi della Pubblica Amministrazione, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico. Né il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario possono essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all'uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la Pubblica Amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo' (Cassazione civile, Sez. II, 30.08.2004, n. 17387).
[3] Ai sensi dell'art. 5, comma 3, del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), 'I provvedimenti per la regolamentazione della circolazione sono emessi dagli enti proprietari, attraverso gli organi competenti a norma degli articoli 6 e 7, con ordinanze motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti segnali'.
[4] L'art. 3, comma 1, n. 52, del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) reca la definizione della sola strada vicinale come 'strada privata fuori dei centri abitati ad uso pubblico'.
[5] La distinzione tra i due tipi di strade vicinali deriva dal diritto romano ed è stata ripresa dal decreto legislativo luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446. V. 'Il regime giuridico delle strade provinciali, comunali, vicinali e private', Pietro La Rocca, 2006, Maggioli Editore, pagg. 209-290.
[6] Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché una strada possa rientrare nella categoria delle strade vicinali pubbliche, devono sussistere: il requisito del passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di interesse generale; un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (Cfr. Cass. civ., sez. II, 12.07.1991, n. 7718; TAR Sardegna, 21.12.2000, n. 1246; Consiglio di Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7831).
[7] 'Le vie vicinali agrarie formate "ex collazione privatorum agrorum" traggono la loro origine da situazioni oggettive di diversa natura, le quali possono essere determinate dalla volontà coincidente, anche se non concorde, di tutte le parti, manifestata attraverso il fatto materiale del conferimento in relazione all'effettiva esigenza dei fondi (Cass. 27.07.2006 n. 17111) [...] l'insorgenza della comunione presuppone inevitabilmente che tutti i partecipanti abbiano in vario modo o misura contribuito a conferire il sedime della strada, non essendo ipotizzabile che alla comunione partecipi un soggetto che nulla abbia conferito, a meno che non ricorra un diverso titolo negoziale (Cass. 11.02.2005 n. 2751)', Cassazione civile, sez. II, 05.07.2013, n. 16864.
[8] Come osservato in dottrina, 'le strade private agrarie sono proprietà comune pro indiviso dei proprietari dei fondi latistanti [...] e le strade medesime sono completamente assoggettate alla regolamentazione e alla disciplina privatistica del condominio' ('Le strade nell'attuale disciplina legislativa', A. Romano, in 'Amm. It', n. 4, aprile 1963 e n. 5, maggio 1963, pagg. 309 e ss.)
[9] Tale normativa in particolare prevede, per i territori soggetti a vincolo idrogeologico o appartenenti ad aree protette di cui alla legge regionale 30.12.1996, n. 42, il divieto di circolazione e sosta dei veicoli a motore sui percorsi fuoristrada, fatte salve alcune eccezioni tra le quali il passaggio di veicoli per la conduzione dei fondi e per l'accesso ai beni immobili in proprietà o possesso (artt. 71-73).
[10] Ai sensi dell'art. 3 del decreto, il comune è tenuto a contribuire alle spese di manutenzione e sistemazione/ricostruzione delle strade vicinali soggette a pubblico traffico da 1/5 fino a metà delle stesse, mentre ha solo la facoltà di farlo per quelle private e solo fino ad un massimo di 1/5 della spesa..
[11] L'art. 15, comma 1, specifica che al sindaco spetta 'ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate'.
[12] V. Tar Sardegna, 05.12.1979, n. 399 e Tar Piemonte, sez, I, 16.03.1989, n. 203.
[13] V. gli artt. 633 (Invasione di terreni ed edifici), 635 (Danneggiamento), 637 (Ingresso abusivo su fondo altrui) del Codice.
[14] Ai sensi dell'art. 1 del decreto del Ministero dell'interno 05.08.2008, 'per incolumità pubblica si intende l'integrità fisica della popolazione e per sicurezza urbana un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell'ambito delle comunità locali. del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale'.
[15] 'Quando si tratti, dunque, di un caso di pericolo gravante esclusivamente su beni privati sottratti a qualsiasi forma di uso e transito pubblici, il vaglio di legittimità dell'esercizio del suddetto potere di ordinanza ex art. 54 cit. deve essere ancor più penetrante e severo, soprattutto al fine di impedire che il ricorso a tale invasivo strumento imperativo, sviando dalla funzione pubblica, si risolva in una inutile e indebita interferenza in liti tra privati (magari già incardinate dinanzi al competente giudice civile)' (Tar Campania, Napoli, sez. V, 19.04.2007, n. 4992).
[16] 'I regolamenti di polizia urbana e rurale solitamente disciplinano, in conformità ai principi generali dell'ordinamento giuridico ed in armonia con le norme speciali e con le finalità degli statuti, comportamenti ed attività comunque influenti sulla vita della comunità cittadina e rurale al fine di salvaguardare la convivenza civile, la sicurezza dei cittadini, la decenza, il decoro, la più ampia fruibilità dei beni comuni e di tutelare la qualità della vita e dell'ambiente, con attività di prevenzione, ma anche con attività diretta all'attuazione e all'osservanza da parte dei singoli cittadini delle leggi e dei regolamenti emessi dallo Stato e da altri enti' (v. 'La disciplina della polizia locale nell'ambito dell'autonomia regolamentare degli enti locali', Regione Piemonte, Assessorato Polizia locale, promozione della sicurezza, 2013, pag. 10).
[17] Tale articolo stabiliva -prima dell'abrogazione avvenuta con la legge 08.06.1990, n. 142- che i comuni, con i regolamenti di polizia rurale, provvedessero, tra l'altro, a 'evitare i passaggi abusivi nelle private proprietà'. Nulla di simile è stato successivamente previsto dalla stessa L. 142/1990, dal Tuel o da altre disposizioni di legge
(11.10.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’impugnata deliberazione di classificazione della strada in questione come strada comunale deve ritenersi illegittima sulla base dell’assorbente rilievo dell’insussistenza del presupposto della proprietà pubblica o di una servitù di uso pubblico sulle aree interessate dal tracciato stradale, alla luce dell’ivi richiamato consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui per l’attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all’uso pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente locale, della proprietà del suolo relativo o di altro diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune, l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima.
In reiezione del secondo, complesso motivo d’appello, è sufficiente rilevare che:
- la natura di strada forestale, propria di lunghi tratti della strada in questione, non incide sull’assetto dominicale dei fondi attraversati dal tracciato stradale, nel caso di specie in parte di proprietà di soggetti privati;
- come accertato con la sentenza, che definisce il giudizio parallelo trattenuto in decisione all’udienza del 04.06.2013 (ricorso in appello n. 3282 del 2013), l’impugnata deliberazione di classificazione della strada in questione come strada comunale deve ritenersi illegittima sulla base dell’assorbente rilievo dell’insussistenza del presupposto della proprietà pubblica o di una servitù di uso pubblico sulle aree interessate dal tracciato stradale, alla luce dell’ivi richiamato consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui per l’attribuzione del carattere di demanialità comunale ad una via privata è necessario che con la destinazione della strada all’uso pubblico concorra l’intervenuto acquisto, da parte dell’ente locale, della proprietà del suolo relativo o di altro diritto reale immobiliare (per effetto di un contratto, in conseguenza di un procedimento d’esproprio, per effetto di usucapione o dicatio ad patriam, ecc.), non valendo, in difetto dell’appartenenza della sede viaria al Comune, l’iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima (v. sul punto, per tutte, Cass. civ., sez. II, 28.09.2010, n. 20405; Cass. civ., sez. I, 26.08.2002, n. 12540; Cass. civ., Sez. II, 07.04.2006, n. 8204);
- la contestazione dell’illegittimità ab imis dell’impugnata deliberazione di classificazione, per difetto del presupposto di una strada di uso pubblico, deve ritenersi insita nell’impianto difensivo della Provincia, ricavabile da un’interpretazione sistematica del ricorso di primo grado, nonché riproposta in appello nei relativi atti difensivi (v. anche le difese svolte dall’appellata Provincia in replica al primo motivo d’appello), con la conseguenza che, sotto un profilo processuale, la questione in esame rientra nei limiti dell’oggetto del presente giudizio.
La rilevata insussistenza della presupposta situazione giuridica reale impone la conferma dell’appellata statuizione annullatoria dell’impugnata delibera di classificazione stradale, con sequela di caducazione dell’ordinanza sindacale recante la disciplina della circolazione sulla strada medesima, sul presupposto (insussistente) della sua natura comunale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 08.10.2013 n. 4953 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’eventuale iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso che è superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte di coloro che sono al riguardo legittimati mediante un'azione negatoria di servitù e che, conseguentemente, la controversia circa la sussistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata è comunque devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che essa investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, dei privati ovvero del Comune medesimo; né diversamente accade per l’accertamento dei presupposti dell’anzidetto istituto della dicatio ad patriam, parimenti rientrante nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario.
Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada privata –eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam- allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale -e all’evidenza rientrante nella sua giurisdizione- concernente la legittimità di un provvedimento del tipo di quello qui impugnato.
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Il titolo idoneo ad affermare il diritto di uso pubblico deve infatti essere rigorosamente provato; e a tal fine in giudizio deve essere fornita la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, non essendo sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua ovvero per mera tolleranza dei legittimi proprietari.
Il pubblico transito iure servitutis publicae sussiste infatti soltanto se esercitato da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, e la circostanza (qui comunque non comprovata per un lasso di tempo almeno ventennale) del pregresso parcheggio nell’area in questione da parte di terzi non significa -di per sé- che costoro abbiano intenzionalmente agito quali componenti della collettività usando il bene in modo continuativo uti cives con contestuale disconoscimento del diritto del proprietario.
Va anche soggiunto che l’avvenuta installazione della predetta cabina telefonica su di un’evidentemente ristretta porzione dell’area di cui trattasi non significa per certo che l’eventualmente intervenuta acquisizione di un qualsivoglia diritto al riguardo da parte del gestore del servizio telefonico dell’epoca possa riguardare la sorte dell’intera area per la quale è causa, e che l’avvenuta installazione di segnali stradali da parte del Comune non può essere considerata -avendo propriamente riguardo ai limiti dell’incidentalità dell’accertamento richiesto a questo giudice- come piena dimostrazione circa la sussistenza di un diritto reale del Comune sull’area di cui trattasi.

Ciò posto, va premesso che l’eventuale iscrizione di una strada nell’elenco delle vie gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso che è superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte di coloro che sono al riguardo legittimati mediante un'azione negatoria di servitù e che, conseguentemente, la controversia circa la sussistenza di diritti di uso pubblico su una strada privata è comunque devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, posto che essa investe l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione di diritti soggettivi, dei privati ovvero del Comune medesimo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cass. Civ., SS.UU., 17.03.2010 n. 6406); né –per quanto qui segnatamente interessa- diversamente accade per l’accertamento dei presupposti dell’anzidetto istituto della dicatio ad patriam, parimenti rientrante nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario (cfr. sul punto Cass. Civ., SS.UU., 18.03.1999 n. 158)
Il giudice amministrativo, invece, può e deve risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada privata –eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam- allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale -e all’evidenza rientrante nella sua giurisdizione- concernente la legittimità di un provvedimento del tipo di quello qui impugnato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Se così è, dall’analisi della documentazione versata in atti risulta che, in effetti, le tavole di viabilità e della zonizzazione del P.R.G. del 1968 riportano l’area in questione assoggettandola ad allargamento della sede stradale (cfr. doc. 14 di parte resistente in primo grado): ma, all’evidenza, tale elaborato grafico assume al più valenza programmatoria dell’allargamento medesimo, non sostanziando alcuna imposizione di vincoli servili sull’area di cui trattasi; né l’apposizione sull’area medesima di cartelli stradali e la realizzazione sullo stesso sedime di una cabina telefonica, ovvero di recinzioni (cfr. ibidem, doc. ti 7 e 11), o anche la tolleranza prestata al parcheggio da parte di terzi (cfr. ibidem, doc.ti 9 e 10) possono a tale fine costituire idonea comprova del sopravvenuto asservimento pubblico.
Il titolo idoneo ad affermare il diritto di uso pubblico deve infatti essere rigorosamente provato; e a tal fine in giudizio deve essere fornita la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, non essendo sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua ovvero per mera tolleranza dei legittimi proprietari (così, ad es., (Cass. Civ., Sez. II, 09.12.1989 n. 5452).
Il pubblico transito iure servitutis publicae sussiste infatti soltanto se esercitato da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, e la circostanza (qui comunque non comprovata per un lasso di tempo almeno ventennale) del pregresso parcheggio nell’area in questione da parte di terzi non significa -di per sé- che costoro abbiano intenzionalmente agito quali componenti della collettività usando il bene in modo continuativo uti cives con contestuale disconoscimento del diritto del proprietario (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., Sez. II, 17.06.2004 n. 11346).
Va anche soggiunto che l’avvenuta installazione della predetta cabina telefonica su di un’evidentemente ristretta porzione dell’area di cui trattasi non significa per certo che l’eventualmente intervenuta acquisizione di un qualsivoglia diritto al riguardo da parte del gestore del servizio telefonico dell’epoca possa riguardare la sorte dell’intera area per la quale è causa, e che l’avvenuta installazione di segnali stradali da parte del Comune non può essere considerata -avendo propriamente riguardo ai limiti dell’incidentalità dell’accertamento richiesto a questo giudice- come piena dimostrazione circa la sussistenza di un diritto reale del Comune sull’area di cui trattasi.
Semmai –come rettamente considerato dal giudice di primo grado– dall’esame della documentazione complessivamente versata in atti, ed in ispecie della nota di trascrizione di vincolo a favore del Comune da parte della S.I.C.E.A. , incontrovertibilmente emerge la sussistenza di un vincolo di non ulteriore edificabilità dell’area in questione, da asservire a verde a vantaggio delle erigende costruzioni, ossia a beneficio degli attuali appellati.
Tale ulteriore circostanza conforta quindi ancor di più -a ben vedere- l’insussistenza di una destinazione dell’area in questione a pubblico transito o al pubblico parcheggio, e quindi la carenza del presupposto invocato dal Comune a fondamento dell’ordinanza da esso emessa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4844 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 22, comma 3, all. f), l. n. 2248/1865 stabilisce espressamente che “nell’interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti sul suolo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni ed i diritti acquisiti”.
Con questa disposizione, il legislatore ha introdotto una presunzione di uso pubblico delle aree adiacenti il suolo pubblico, presunzione che può trovare conferma in un formale provvedimento classificatorio dell’amministrazione ovvero nella destinazione urbanistica dell’area.
Qualora questi elementi siano assenti, l’uso pubblico di un’area può ugualmente ricavarsi da indici rilevatori, individuati, secondo l’elaborazione giurisprudenziale sul tema, tra l’altro nelle seguenti circostanze:
- passaggio continuativo esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
- concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche con il collegamento ad una via pubblica;
- presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico.
Viene anche affermato che l’onere della prova della esistenza di tali elementi grava sul Comune.
In sintesi, come chiarito dalla giurisprudenza, dunque, la destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile in particolare dall' uso pubblico effettivo della stessa.

Oggetto della controversia è l’asserito diritto della ricorrente di delimitare ed acquisire ad uso esclusivo privato una strada che il comune asserisce essere pacificamente adibita, da oltre trent’anni, ad uso pubblico.
Sul punto, si rammenta che l’art. 22, comma 3, all. f), l. n. 2248/1865 stabilisce espressamente che “nell’interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti sul suolo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni ed i diritti acquisiti”.
Con questa disposizione, il legislatore ha introdotto una presunzione di uso pubblico delle aree adiacenti il suolo pubblico, presunzione che può trovare conferma in un formale provvedimento classificatorio dell’amministrazione ovvero nella destinazione urbanistica dell’area.
Qualora questi elementi siano assenti, l’uso pubblico di un’area può ugualmente ricavarsi da indici rilevatori, individuati, secondo l’elaborazione giurisprudenziale sul tema, tra l’altro nelle seguenti circostanze:
- passaggio continuativo esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale;
- concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche con il collegamento ad una via pubblica;
- presenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico (cfr. TAR Marche, Ancona, I, 15.04.2009, n. 217; TAR Abruzzo, Pescara, I, 10.12.2008, n. 955; TAR Lazio, Roma, II; 03.11.2009, n. 10781 e I, 06.08.2009, n. 7932; TAR Campania, Salerno, sez. II, 11.04.2011, n. 660).
Viene anche affermato che l’onere della prova della esistenza di tali elementi grava sul Comune (cfr. TAR Marche n. 217/2009 cit.).
In sintesi, come chiarito dalla giurisprudenza, dunque, la destinazione ad uso pubblico di una strada è desumibile in particolare dall' uso pubblico effettivo della stessa (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 23.06.2003, n. 3716).
Nella fattispecie in esame, non mancano indici rivelatori della destinazione pubblica della strada, in particolare per quanto riguarda l’uso continuativo e frequente della strada da parte della collettività.
La sussistenza di questo elemento di fatto è infatti confermato dalla nota della polizia municipale prot. n. 121/A2 del 25.05.2010, nella quale si dichiara espressamente che la via oggetto di disputa è in uso pacifico ed ininterrotto, da oltre trent’anni, da parte della cittadinanza.
La strada è peraltro usata con frequenza, attesa la sua utilità nell’accorciare le distanze dai fabbricati con il pubblico parcheggio delle scuole elementari nonché la postazione del deposito dei rifiuti solidi urbani.
Proprio in relazione all’uso pubblico, l’amministrazione ha realizzato nel corso degli anni la pubblica illuminazione, la condotta idrica e quella fognaria, tutte opere di utilità collettiva che forniscono un’ulteriore conferma della destinazione pubblica della strada in questione.
Per quanto sopra il ricorso è infondato e va quindi respinto (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 27.09.2013 n. 1990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Opere abusive e uso pubblico della strada.
La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle strade pubbliche.
Per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio
(massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.09.2013 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisdizione del g.a. non viene meno ancorché gli venga richiesto di accertare, in via incidentale, la sussistenza o meno del diritto della collettività sul suolo pubblico o soggetto ad uso pubblico.
Se è vero, infatti, che non rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo l'accertamento in via principale di una servitù pubblica di passaggio, essendo detta questione devoluta alla giurisdizione del Giudice Ordinario, è altrettanto vero che ricorre la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente impugnato, cosicché la valutazione della sua sussistenza si ponga come questione da valutare, incidenter tantum, al limitato fine di verificare la legittimità degli atti gravati, non ravvisandosi alcuna pregiudiziale obbligatoria, in siffatte questioni, a favore del Giudice Ordinario.
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Infondato si appalesa, poi, il secondo motivo, atteso che, la presenza di una doppia sottoscrizione (del Sindaco e del Dirigente) non fa di certo venire meno l’assunzione della paternità dell’ordinanza al soggetto ex lege legittimato alla sua adozione (nel caso di specie, il Sindaco, ex art. 15 cit.), così rendendo l’atto in questione soggettivamente perfetto e immune dalle dedotte censure.
Da ciò si ricava anche l’infondatezza del terzo motivo, atteso che l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 non ha inteso privare il Sindaco delle competenze ad esso specificamente attribuite dalle previgenti previsioni normative, laddove si resti comunque al di fuori dei compiti di gestione (cfr. artt. 107, co. 5 e 50, co. 4 d.lgs. n. 267/2000). Infatti, in disparte la circostanza che l’ordinanza in esame non rientra tra i “compiti” espressamente attribuiti, ai sensi del comma 3 dell’art. 107 cit. alla competenza dirigenziale, in ogni caso essa non è riconducibile fra i “compiti di attuazione degli obiettivi o dei programmi definiti con gli atti di indirizzo”.
Ne consegue che, legittimamente l’ordinanza in esame reca la firma del Sindaco, in conformità del chiaro disposto di cui all’art. 15 d.l.lgt. cit..
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Le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali sono esercitate dal sindaco, a cui spetta ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico, il sindaco dispone l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il termine prefisso agli ordini ricevuti. La nota di spese è resa esecutoria dal prefetto, sentiti gli interessati, ed è riscossa nelle forme e con i privilegi fiscali. Sono altresì applicabili per queste strade gli artt. 374 a 377 della legge sulle opere pubbliche.
Per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può solo provvedere quando ne sia richiesto, e può autorizzare il Consorzio ad eseguire i lavori di ripristino anche in pendenza di ricorsi.
Come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, i presupposti che legittimano l'esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco ai sensi della su riportata norma, sono:
a) la preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada, anche se questa sia del tutto privata;
b) la sopravvenienza di un'alterazione del preesistente stato di fatto, che abbia frapposto impedimenti all'uso pubblico della strada medesima.
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L’iscrizione della strada nell’elenco delle strade vicinali soggette ad uso pubblico, comporta, per la sua natura dichiarativa, in adesione a consolidata giurisprudenza, una presunzione della sussistenza del diritto di pubblico transito sulla strada, che può essere vinta solo con l’esperimento dell’actio negatoria servitutis di fronte al giudice ordinario, ai sensi del disposto dell’art. 20, II comma, dell’all. “F” alla legge n. 2248 del 1865.
Al contempo, quindi, alla stregua del medesimo indirizzo giurisprudenziale, la sussistenza di tale iscrizione costituisce il presupposto che fonda la legittimazione del Comune all’esercizio del potere di ripristino dell’uso pubblico stesso, estrinsecazione del potere di autotutela possessoria, di cui all’art. 15 copra richiamato.
Non si può dire, infatti, che la parte ricorrente abbia adempiuto all’onere probatorio conseguentemente ravvisabile a suo carico, in ordine alla prova della mancanza di un uso pubblico della strada de qua, essendosi la difesa attorea limitata a richiamare, al riguardo, l’attuale stato di inservibilità della strada.
Sennonché, giova osservare al riguardo come, sempre per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio.
Per completezza, è utile richiamare anche quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato, secondo cui: “La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969), ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l'esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell'elenco delle strade comunali, l'uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell'acqua nera e l'interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo della realizzazione sull'area stradale di opere edilizie abusive.

Si è costituito il Comune di Garlasco, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando, altresì, eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del gravame.
In particolare, il Comune ha rilevato come la pretesa sostanziale azionata con l’odierna impugnazione verta sull’accertamento della natura privata della strada vicinale Milano, sicché essa è sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo e riconducibile a quella dell’A.G.O., alla stregua dell’actio negatoria servitutis, finalizzata ad accertare che la strada non è soggetta all’uso pubblico.
La difesa civica ha, altresì, rilevato come il ricorso sia inammissibile per mancata impugnazione di atto presupposto, autonomamente lesivo, consistente nella delibera del Consiglio comunale n. 78/1981 di classificazione della strada de qua come vicinale d’uso pubblico.
Con ordinanza n. 1179 del 24.08.2012 è stata accolta la formulata domanda cautelare.
In prossimità dell’udienza fissata per la discussione del merito entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche.
All’udienza pubblica del 02.05.2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Il Collegio rileva, in via preliminare, la pacifica sussistenza della propria giurisdizione sulla fattispecie, poiché l'impugnata ordinanza, qualificabile ai sensi dell'art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918, integra una fattispecie di autotutela possessoria in via amministrativa o "iure publico" - finalizzata all'immediato ripristino dello stato di fatto preesistente di una strada, volto a reintegrare la collettività nel godimento del bene (cfr. Cons. St., Sez. V, sent. 08.01.2009, n. 25; TAR Piemonte, Torino, Sez. I, Sent. 20.03.2013, n. 341; TAR Salerno, Sez. I, sent. 29.05.2012, n. 1058; TAR Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, sent. 08.04.2011, n. 184).
La giurisdizione del g.a. non viene meno ancorché gli venga richiesto di accertare, in via incidentale, la sussistenza o meno del diritto della collettività sul suolo pubblico o soggetto ad uso pubblico. Se è vero, infatti, che non rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo l'accertamento in via principale di una servitù pubblica di passaggio, essendo detta questione devoluta alla giurisdizione del Giudice Ordinario, è altrettanto vero che ricorre la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora l'esistenza della servitù pubblica risulti costituire un presupposto dell'atto eventualmente impugnato, cosicché la valutazione della sua sussistenza si ponga come questione da valutare, incidenter tantum, al limitato fine di verificare la legittimità degli atti gravati, non ravvisandosi alcuna pregiudiziale obbligatoria, in siffatte questioni, a favore del Giudice Ordinario (cfr. in tal senso, sempre TAR Piemonte, Torino Sez. I, Sent., n. 341/2013; TAR Friuli-Venezia Giulia Sez. I, n. 184/2011; Cass. SS.UU. 02.10.1989, n. 3950, 23.01.1991, n. 596, 07.11.1994, n. 9206).
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Si può, a questo punto, prescindere dall’esame della residua questione preliminare, essendo il ricorso infondato nel merito.
In tal senso, re melius perpensa rispetto a quanto deciso in sede di cognizione sommaria, preme al Collegio evidenziare come l’ordinanza di cui trattasi, pur richiamando nelle proprie premesse almeno un duplice ordine di presupposti normativi (da un lato, il d.P.R. n. 380/2001, la l.reg. n. 12/2005 e il d.lgs. n. 42/2004 e, dall’altro, l’art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918), radichi, di fatto, la disposta ingiunzione sull’esercizio del potere di autotutela possessoria, spettante al Sindaco ai sensi dell’art. 15 del d.l.lgt. n. 1446/1918.
In effetti, è proprio sul potere in esame che risulta calibrata la motivazione del provvedimento, che, dopo avere descritto lo stato della strada interessata dal cumulo di materiale inerte, richiama, nelle premesse, nell’ordine, la delibera del Consiglio comunale recante l’elenco delle strade vicinali ad uso pubblico, i presupposti applicativi dell’art. 15 cit. e, quindi, il prevalente interesse pubblico al ripristino della preesistente viabilità. In siffatte circostanze, reputa il Collegio che il provvedimento in questione costituisca esplicazione del predetto potere di autotutela e come tale debba essere valutato, tenendo conto della normativa ad esso applicabile.
Non va dimenticato, infatti, che l’esatta qualificazione giuridica del provvedimento amministrativo impugnato, fondandosi sull'analisi del suo contenuto effettivo e della sua causa reale, spetta al giudice investito dalla controversia, il quale può, addirittura, legittimamente prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall'amministrazione all'atto adottato (cfr. ex multis, da ultimo, TAR Lazio Roma Sez. II, Sent., 22.05.2013, n. 5144).
Su tali premesse, il primo motivo di ricorso appare inammissibile, prima ancora che infondato, poiché non riferibile all’ordinanza che qui ci occupa, così come correttamente intesa alla stregua di provvedimento adottato nell’esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali, potere di spettanza sindacale. Esso, a ben vedere, appare riferito ad un ipotetico provvedimento, conclusivo del procedimento avviato con la comunicazione del 29.09.2011, per l’abusiva trasformazione permanente del suolo in edificato, non ravvisabile -a parere del Collegio- nell’ordinanza per cui è causa. Quest’ultima, proprio in virtù della sua specifica connotazione, non necessita di previa comunicazione di avvio, rivestendo natura tipicamente cautelare e urgente, diretta a recuperare nell’immediato l’uso pubblico della strada di cui trattasi (cfr. Cons. di Stato, sent. 01.12.2006 n. 7081).
Analogamente infondato si appalesa, poi, il secondo motivo, atteso che, la presenza di una doppia sottoscrizione (del Sindaco e del Dirigente) non fa di certo venire meno l’assunzione della paternità dell’ordinanza al soggetto ex lege legittimato alla sua adozione (nel caso di specie, il Sindaco, ex art. 15 cit.), così rendendo l’atto in questione soggettivamente perfetto e immune dalle dedotte censure.
Da ciò si ricava anche l’infondatezza del terzo motivo, atteso che l’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 non ha inteso privare il Sindaco delle competenze ad esso specificamente attribuite dalle previgenti previsioni normative, laddove si resti comunque al di fuori dei compiti di gestione (cfr. artt. 107, co. 5 e 50, co. 4 d.lgs. n. 267/2000). Infatti, in disparte la circostanza che l’ordinanza in esame non rientra tra i “compiti” espressamente attribuiti, ai sensi del comma 3 dell’art. 107 cit. alla competenza dirigenziale, in ogni caso essa non è riconducibile fra i “compiti di attuazione degli obiettivi o dei programmi definiti con gli atti di indirizzo”.
Ne consegue che, legittimamente l’ordinanza in esame reca la firma del Sindaco, in conformità del chiaro disposto di cui all’art. 15 d.l.lgt. cit..
Si può, così, passare all’esame del quarto motivo, con cui si lamenta, in sostanza, il difetto dei presupposti di cui all’art. 15 richiamato.
Ebbene, tale norma (introdotta con il d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446, convertito in legge dalla L. 17.04.1925, n. 473, le cui disposizioni -delle quali l'art. 2, d.l. 22.12.2008, n. 200, aveva previsto l’abrogazione a decorrere dal 16.12.2009- sono state sottratte all’effetto abrogativo in base al comma 2 dell’art. 1, d.lgs. 01.12.2009, n. 179), così dispone: “Le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali sono esercitate dal sindaco, a cui spetta ordinare che siano rimossi gli impedimenti all'uso delle strade e all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico, il sindaco dispone l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il termine prefisso agli ordini ricevuti. La nota di spese è resa esecutoria dal prefetto, sentiti gli interessati, ed è riscossa nelle forme e con i privilegi fiscali. Sono altresì applicabili per queste strade gli artt. 374 a 377 della legge sulle opere pubbliche.
Per le strade non soggette ad uso pubblico il sindaco può solo provvedere quando ne sia richiesto, e può autorizzare il Consorzio ad eseguire i lavori di ripristino anche in pendenza di ricorsi
”.
Come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, i presupposti che legittimano l'esercizio del potere di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco ai sensi della su riportata norma, sono:
a) la preesistenza di fatto dell'uso pubblico della strada, anche se questa sia del tutto privata;
b) la sopravvenienza di un'alterazione del preesistente stato di fatto, che abbia frapposto impedimenti all'uso pubblico della strada medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 151 del 09.05.1983; di recente, TAR Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 21.01.2013, n. 20).
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Come correttamente rilevato dalla difesa comunale, infatti, l’iscrizione della strada nel tratto che qui interessa nell’elenco delle strade vicinali soggette ad uso pubblico, comporta, per la sua natura dichiarativa, in adesione a consolidata giurisprudenza (cfr. Cons. di Stato sez. V, sent. 22.06.2010 n. 3891), una presunzione della sussistenza del diritto di pubblico transito sulla strada, che può essere vinta solo con l’esperimento dell’actio negatoria servitutis di fronte al giudice ordinario, ai sensi del disposto dell’art. 20, II comma, dell’all. “F” alla legge n. 2248 del 1865.
Al contempo, quindi, alla stregua del medesimo indirizzo giurisprudenziale, la sussistenza di tale iscrizione costituisce il presupposto che fonda la legittimazione del Comune all’esercizio del potere di ripristino dell’uso pubblico stesso, estrinsecazione del potere di autotutela possessoria, di cui all’art. 15 copra richiamato.
Non si può dire, infatti, che la parte ricorrente abbia adempiuto all’onere probatorio conseguentemente ravvisabile a suo carico, in ordine alla prova della mancanza di un uso pubblico della strada de qua, essendosi la difesa attorea limitata a richiamare, al riguardo, l’attuale stato di inservibilità della strada.
Sennonché, giova osservare al riguardo come, sempre per giurisprudenza consolidata, i provvedimenti sindacali di autotutela possessoria delle strade (emanati ai sensi dell'articolo 378 dell'allegato F della legge 20.03.1865 n. 2248, ovvero ai sensi degli articoli 15 e 17 del d.l.lgt. 01.09.1918 n. 1446) ben possono essere emanati anche quando da tempo la strada non è stata utilizzata dalla collettività ed anche quando sia diventata impraticabile al carreggio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 522 del 07.04.1995).
Per completezza, è utile richiamare anche quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, Sent., 14.05.2013, n. 2611), secondo cui: “La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell'assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell'elenco delle strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969), ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l'esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell'elenco delle strade comunali, l'uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell'acqua nera e l'interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo della realizzazione sull'area stradale di opere edilizie abusive (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.06.2012, n. 3531; sez. V, 04.02.2004, n. 373; sez. V, 24.10.2002, n. 5692; Cass. civ., sez. II , 10.10.2000, n. 13485; 07.04.2000, n. 4345; Sez. I, 03.10.2000, n. 13087, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.09.2013 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura pubblica di una strada.
Domanda
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche comporta la natura pubblica della strada?
Risposta
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche non comporta la natura pubblica della strada.
L'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha infatti natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste una funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada.
Stante pertanto la natura dichiarativa degli elenchi delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico, è necessario individuare altri elementi costitutivi da valutarsi al fine dell'accertamento della natura pubblica di una strada, quali l'uso pubblico (inteso come l'utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l'ubicazione della strada all'interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla p.a. nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica.
Ciò posto e ribadito pertanto che l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche non comporta la natura pubblica della strada, avendo l'inserimento una sola valenza dichiarativa, è opportuno precisare però che chi intende affermare la natura privata della strada o negare l'esistenza della servitù non può limitarsi a sostenere che l'elenco non ha valenza costitutiva, ma deve fornire prove idonee a dimostrare la diversa connotazione della strada (Tar Veneto, Sezione II, n. 1555 del 13/12/2012) (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.07.2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Vanno attribuiste alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a.
Altresì, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione.
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Il danno da occupazione illegittima si ricollega a una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem); il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.
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Quanto al dedotto intervento dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone.
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.
Insomma, perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam; 2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.

E’ oramai consolidato l'orientamento che attribuisce alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un'occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 22.10.2007, nr. 12; id., 30.07.2007, nr. 9; id., 30.08.2005, nr. 4; C.g.a.r.s., 10.11.2010, nr. 1410; Cons. Stato, sez. IV, 06.11.2008, nr. 5498).
E’ stato anche affermato che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 04.02.2011, n. 804).
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Devono respingersi le eccezioni sollevate dalla difesa civica con le quali si eccepisce oltre alla prescrizione del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni subiti, anche la c.d. “dicatio ad patriam” ossia l’acquisto della natura demaniale di una strada privata.
Escluso che la realizzazione dell’opera pubblica determini l’acquisizione dell’area alla mano pubblica, secondo l’indirizzo giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene di aderire (Cfr. Cass. civ., sez. I, 07.03.2011, nr. 5381; Cons. Stato, sez. IV, 02.08.2011, nr. 4590), il danno da occupazione illegittima si ricollega a una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile.
Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem); il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.
Nella specie, il ricorrente ha inviato una prima richiesta con racc. del 22.09.1995, una successiva con nota del 25.03.1997 e un’altra in data 04.02.2002 sicché, essendo intervenuti atti interruttivi della prescrizione, questa non risulta maturata, con conseguente diritto al risarcimento a far data dalla occupazione del bene, ossia dal 23.11.1992 ( come risulta dal processo verbale di consegna del 23.11.1992).
Quanto al secondo aspetto, ossia al dedotto intervento dell’istituto della c.d. dicatio ad patriam, questo presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000 n. 4345; idem, 28.11.1988 n. 6412) nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2012 n. 728).
In sintesi, l'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam , con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto nel tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21.05.2001 n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti afferma che perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam; 2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.
Nella specie, non vi è stato alcun atto del privato idoneo a dar luogo alla dicatio ad patriam e comunque l’amministrazione comunale non ha in alcun modo provato la sussistenza degli elementi costitutivi all’uopo necessari
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 22.05.2013 n. 1174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuando la strada vicinale non è iscritta negli appositi elenchi (di cui all’art. 20 L. n. 2248/1865 all. F), l’amministrazione deve porre a base delle sue determinazioni idonei accertamenti da cui risulti un titolo di acquisto del relativo diritto da parte della collettività.
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Il Comune ha voluto desumere l'uso pubblico (della strada) dal fatto che il passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari di determinati immobili, in dipendenza della loro particolare ubicazione.
In siffatte evenienze, non può dirsi dimostrato che la strada in questione sia al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa da parte dei soli residenti che se ne servono per raggiungere i fabbricati ivi ubicati.
Nel caso di specie, in definitiva, non vengono indicati elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c.. e neanche la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di dimostrare l’asservimento della stessa all'uso pubblico.
Prima di emettere il provvedimento impugnato, per contro, l’amministrazione avrebbe dovuto accertare attraverso un'adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione dell'ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare la strada in questione come strada destinata ad uso pubblico.

... per l'annullamento dell’ordinanza del Responsabile del servizio “Ufficio lavori pubblici e gestione del territorio” n. 11/2005 del 2.12.2005, di immediata rimozione dei manufatti (pali metallici e catena) installati su strada posta al servizio della località Roccolo.
...
Dalla documentazione versata in atti da entrambe le parti non emerge in modo univoco la natura giuridica della strada, né si rinvengono elementi idonei a provare l’esistenza di una servitù di uso pubblico su di essa, e, neppure ricorrono elementi atti a deporre per la sua demanialità.
L’istruttoria compiuta dall’Amministrazione comunale si rivela semplicistica e superficiale, anche perché non tiene conto del fatto che, quando la strada vicinale non è iscritta negli appositi elenchi (di cui all’art. 20 L. n. 2248/1865 all. F), l’amministrazione deve porre a base delle sue determinazioni idonei accertamenti da cui risulti un titolo di acquisto del relativo diritto da parte della collettività. Allo stesso modo, risultano carenti gli altri requisiti a tal fine necessari, ovvero, il passaggio abituale esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale, nonché la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di pubblico interesse.
L’amministrazione si è limitata, infatti, ad affermare ma non ha dimostrato la “notorietà pubblica” della strada, né ha documentato quali sarebbero le “dichiarazioni degli utenti interessati”, a cui si fa solo cenno nelle premesse dell’atto impugnato.
Le mappe versate in giudizio, poi, non chiariscono il regime giuridico della strada, atteso che, specie quella risalente al 1860 (tratta dall’archivio di Stato del comune di Como), pur recando l’indicazione della strada in questione, non ne fornisce alcuna qualificazione, a differenza della contigua strada per Rovenzola, ivi indicata come “comunale”.
Non risulta, quindi, che la P.A. abbia posto a fondamento del provvedimento impugnato accertamenti idonei in ordine alla sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso, condotti mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova (cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, 04.02.2004 n. 373; id. 07.04.1995 n. 522; TAR Catanzaro, I, 19.12.2011 n. 1634; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 29.03.2004, n. 2922 TAR Valle d'Aosta, I, n. 86/2009) o mediante la verifica che l'uso pubblico possa aver luogo ad opera di una collettività indeterminata di persone, per soddisfare un interesse pubblico generale. Sembra, al contrario, che il Comune abbia voluto desumere l'uso pubblico dal fatto che il passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari di determinati immobili, in dipendenza della loro particolare ubicazione.
In siffatte evenienze, non può dirsi dimostrato che la strada in questione sia al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa da parte dei soli residenti che se ne servono per raggiungere i fabbricati ivi ubicati (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sentenza 19.12.2011, n. 1634; TAR Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005 n. 287).
Nel caso di specie, in definitiva, non vengono indicati elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c.. e neanche la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di dimostrare l’asservimento della stessa all'uso pubblico (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618; id. 01.12.2003, n. 7831; id. 24.10.2000 n. 5692; id., Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155).
Prima di emettere il provvedimento impugnato, per contro, l’amministrazione avrebbe dovuto accertare attraverso un'adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione dell'ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare la strada in questione come strada destinata ad uso pubblico.
Deve, quindi, essere ribadita la fondatezza del suesposto motivo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.05.2013 n. 1270 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche, ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l’esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua nera e l’interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive.
L’asserita privatizzazione della strada “ab immemore” sulla quale insiste la difesa del Grassini, appare priva di consistenza, atteso che l’istituto richiamato dall’interessato, presuppone il disuso del bene demaniale per un tempo superiore a cinquanta anni, ovvero il verificarsi di fatti naturali che abbiano mutato l’originaria consistenza e funzione del bene.
Nel caso non risulta che ci siano stati eventi naturali significativi e l’unico elemento portato a suffragio di tale ricostruzione giuridica è la costruzione di opere abusive, avvenuta solamente quindici anni prima dell’ordinanza di rimozione qui in questione e che, verosimilmente è stata la causa dello spostamento che la strada avrebbe subito.
La circostanza che il Comune non sia intervenuto tempestivamente nell’assumere iniziative per il ripristino della viabilità interrotta o nel provvedere alla demolizione delle opere abusive realizzate in loco, non solo non può ribaltare la presunzione iuris tantum di uso pubblico della strada discendente dalla sua iscrizione nell’elenco delle strade pubbliche (giusta delibera comunale n. 57 del 1969), ma, secondo i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, non è in grado di assumere alcun significato nella vicenda in esame, i cui elementi significativi sono l’esistenza di una strada vicinale iscritta come tale nell’elenco delle strade comunali, l’uso da parte della collettività uti cives, la concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse per il collegamento con la pubblica via del santuario dell’acqua nera e l’interruzione e trasformazione da parte del ricorrente, proprietario di suolo confinante, a mezzo la realizzazione sull’area stradale di opere edilizie abusive (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.06.2012, n. 3531; sez. V, 04.02.2004, n. 373; sez. V, 24.10.2002, n. 5692; Cass. civ., sez. II, 10.10.2000, n. 13485; 07.04.2000, n. 4345; Sez. I, 03.10.2000, n. 13087, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d) c.p.a.)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2611 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione.

La giurisprudenza, con orientamento costante cui la Sezione aderisce, ritiene che affinché possa considerarsi esistente una servitù pubblica di passaggio su una strada occorre che essa:
a) sia utilizzata da una collettività indeterminata di persone e non soltanto da quei soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
b) sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
c) sia oggetto di interventi di manutenzione da parte della pubblica amministrazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.02.02011, n. 1240; IV, n. 2760 del 2012, cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.05.2013 n. 2544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accesso carrabile e pedonale da un’area privata su strada ad uso pubblico senza il consenso del proprietario.
L’amministrazione comunale non può, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso carrabile e pedonale, da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso da parte del proprietario.
La compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.
Se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.

Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società cooperativa edilizia avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo con cui è stato accolto il ricorso proposto da una società cooperativa controinteressata e, per l’effetto, è stato disposto l’annullamento del titolo edilizio rilasciato in suo favore nel dicembre del 2004 per la parte in cui le ha consentito di realizzare un accesso carrabile su una strada privata (ma ad uso pubblico) di proprietà della ricorrente in primo grado.
Il thema decidendum consiste nello stabilire se legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso –carrabile e pedonale– da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi: vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario
Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita risposta in senso negativo.
Al riguardo si osserva in primo luogo:
- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria viaria in parte di proprietà comunale e in parte di proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si configura –almeno in parte– come strada privata di suo pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via Abruzzo e la Via della Scuola);
- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare della società appellante ricade in toto nella porzione della via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della provincia dell’Aquila).
Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una controversia avente ad oggetto la delimitazione della consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.
Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai fini della definizione della presente controversia, nel cui ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti e degli obblighi delle parti private in lite viene in rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.
In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove ha osservato che la compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.
Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitù sostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.
Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 09.06.2008, n. 2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).
Si osserva al riguardo:
- che quella sentenza ha compendiato i princìpi giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo) relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti altresì che l’amministrazione possa –in assenza o in contrasto con la volontà del proprietario– consentire un accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;
- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata comporta che questa diviene soggetta alla normale disciplina stradale “e la proprietà privata si riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale”, per altro verso essa non ha affatto affermato che ciò comporti necessariamente la possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi dell’articolo 1032 del Codice civile) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.05.2013 n. 2416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' pacifico che l'Amministrazione comunale, sulle aree gravate da una servitù di passaggio su un'area privata, debba esercitare il potere diretto a garantire ed a disciplinare l'uso generale del bene da parte della collettività, nell'ambito del pubblico interesse giustificativo della servitù medesima, concedendo l’uso particolare (cfr. l’art. 38, comma 3, del Dlgs. 15.11.1993, n. 507, che infatti assoggetta ad autorizzazione e al pagamento della relativa tassa l’occupazione di suolo privato ad uso pubblico).
Nel caso di specie tali poteri sussistono in quanto, quand’anche la striscia di terreno fosse da qualificare come privata, quell’area è sicuramente assoggettata all’uso pubblico, in quanto gravata da lunghissimo tempo da una servitù di pubblico passaggio pedonale costante ed indiscriminato a favore della generalità di persone.

Considerato:
- che con il provvedimento impugnato il Comune di Villa Estense ha ordinato la rimozione di fioriere, panchine e vasi che sono stati apposti alla ricorrente sulla via Cavour, nella parte esterna alla carreggiata non asfaltata prospiciente il muro di cinta del giardino pertinenziale dell’edificio di proprietà;
- che tale provvedimento è impugnato per le censure di violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, perché la precedente comunicazione del 15.06.2012 faceva riferimento a problematiche inerenti l’occupazione di suolo pubblico, mentre il provvedimento impugnato è motivato con la necessità di evitare che tali manufatti siano lasciati in stato di abbandono, divenendo ricettacolo di sporcizia e deposito rifiuti, causa di propagazione di vegetazione infestante con conseguenti problematiche igienico sanitarie, e per prevenire situazioni di intralcio alla circolazione veicolare e pedonale che siano causa di situazioni di pericolo;
- che con ulteriore censura si lamenta il difetto di istruttoria e di motivazione, l’illogicità e la disparità di trattamento in quanto non è comprovata la sussistenza delle condizioni di degrado indicate nell’ordinanza, e in mancanza delle fioriere e delle panchine vi è il rischio che vengano parcheggiate delle automobili, mettendo a rischio lo stato di conservazione del muro di cinta, e comunque, come risulta dalla perizia allegata al ricorso, la striscia di terreno è di proprietà privata;
- che si è costituito in giudizio il Comune di Villa Estense eccependo l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse nonché per la mancata notifica del medesimo ai controinterssati, e concludendo per la sua reiezione;
- che per economicità di giudizio si può prescindere dall’esaminare le eccezioni di inammissibilità perché il ricorso è infondato nel merito;
- che infatti, contrariamente a quanto dedotto, il provvedimento impugnato non presuppone neppure l’accertamento della proprietà comunale della porzione di terreno sulla quale sono presenti le fioriere e le panchine, ma l’esistenza o meno di poteri del Comune a disciplinare l’uso generale di quel suolo da parte della collettività;
- che infatti è pacifico che l'Amministrazione comunale, sulle aree gravate da una servitù di passaggio su un'area privata, debba esercitare il potere diretto a garantire ed a disciplinare l'uso generale del bene da parte della collettività, nell'ambito del pubblico interesse giustificativo della servitù medesima, concedendo l’uso particolare (cfr. l’art. 38, comma 3, del Dlgs. 15.11.1993, n. 507, che infatti assoggetta ad autorizzazione e al pagamento della relativa tassa l’occupazione di suolo privato ad uso pubblico);
- che nel caso di specie tali poteri sussistono in quanto, quand’anche la striscia di terreno fosse da qualificare come privata, quell’area è sicuramente assoggettata all’uso pubblico, in quanto gravata da lunghissimo tempo da una servitù di pubblico passaggio pedonale costante ed indiscriminato a favore della generalità di persone;
- che pertanto va respinta la censura di cui al secondo motivo, in quanto l’abusività dell’installazione delle fioriere e delle panchine è sufficiente a sorreggere l’ordine di rimozione e, come dedotto dal Comune nelle proprie difese, la presenza di tali manufatti è oggettivamente idonea a costituire un intralcio alla manutenzione del ciglio della strada, con conseguente degrado della stessa, ed intralcio alla circolazione dei veicoli e dei pedoni (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 22.04.2013 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Affinché la servitù di uso pubblico possa dirsi sorta occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Anche la Cassazione ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa.
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza.

Oggetto del presente giudizio è l’ordinanza sindacale n. 45 del 14.09.1995 con la quale il Comune di Trevignano ha ingiunto a U.T. di demolire la recinzione in muratura posta a delimitazione del fabbricato di civile abitazione, con annesso terreno, di sua proprietà, censito al foglio 20, mappale n. 123, di detto comune.
Il provvedimento in questione si fonda sullo sconfinamento di tale recinzione su “un tratto di strada pubblica e la sede di corso d’acqua demaniale”, e cioè, rispettivamente, sulla strada vicinale “della Brentella”, qualificata nel provvedimento come strada vicinale gravata da servitù d’uso pubblico e “catastalmente” pubblica, nonché su un canale consorziale.
...
L’elemento di fatto valorizzato dal TAR non è infatti sufficiente a costituire una servitù di uso pubblico.
Nel supplemento di istruttoria richiamato nell’ordine di demolizione si afferma che, in base alle mappe catastali e a non meglio precisate “informazioni assunte sul posto” la strada risulta essere utilizzata “dai proprietari dei fondi latistanti”, nonché dal personale dei consorzi di gestione dei canali irrigui (Solagna e della Vittoria) per la normale manutenzione.
Tuttavia, per giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato, ancora di recente riaffermata, e dalla quale non vi è motivo di discostarsi, affinché il diritto reale in questione possa dirsi sorto occorre che il bene privato sia idoneo ed effettivamente destinato al servizio di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Sez. V, 14.02. 2012 n. 728; in senso conforme: Sez. IV, 15.05.2012, n. 2760; Sez. V, 05.12.2012, n. 6242, quest’ultima citata dall’appellante).
L’indirizzo ora citato è perfettamente conforme a quello della Cassazione, nel quale ha da ultimo ribadito che la servitù di uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione da parte di una collettività indeterminata di persone del bene privato idoneo al soddisfacimento di un interesse della stessa (Sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333).
Caratteristiche indispensabili di questo diritto sono:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Va poi soggiunto che la destinazione delle strade vicinali “ad uso pubblico”, imposta dal codice della strada di cui al d.lgs. n. 285/1992 (art. 3, comma 1, n. 52) fa sì che queste debbano necessariamente interessate da un transito generalizzato, tale per cui, a fronte della proprietà privata del sedime stradale e dei relativi accessori e pertinenze (spettante ai proprietari dei fondi latistanti), l’ente pubblico comunale possa vantare su di essa, ai sensi dell’art. 825 cod. civ., un diritto reale di transito, con correlativo dovere di concorrere alle spese di manutenzione della stessa (pro quota rispetto al consorzio privato di gestione ai sensi dell’art. 3 D.lgs.lgt. n. 1446/1918, “Facoltà agli utenti delle strade vicinali di costituirsi in Consorzio per la manutenzione e la ricostruzione di esse”), onde garantire la sicurezza della circolazione che su di essa si realizza.
Non è dunque sufficiente che l’utilizzo della strada avvenga in favore di proprietari di fondi vicini, né di personale dei consorzi irrigui incaricati della gestione del canale.
Del resto, l’amministrazione resistente, che della prova dell’uso generale è onerata, non ha in alcun modo riferito di segnalazioni o esposti della cittadinanza tendenti a denunciare un diminuito godimento del diritto transito per effetto della (pur risalente) opera muraria oggetto dell’ordine di demolizione.
Va infine dato atto che nel supplemento di istruttoria si desume l’uso pubblico dall’inserimento della strada vicinale nello “strumento urbanistico vigente che individua un “percorso ambientale” che collega la strada comunale Via alloro con la strada provinciale Via Villette”.
Ma anche questo elemento è all’evidenza del tutto inidoneo a provare l’asservimento effettivo all’uso della collettività.
Pertanto, il provvedimento qui impugnato è effettivamente contrastante con l’art. 825 cod. civ. e carente di istruttoria e motivazione sullo specifico punto dell’asservimento all’uso pubblico della strada vicinale.
Tale vizio risulta ancora una volta inficiante in modo decisivo l’ordine di demolizione impugnato, perché lo priva di un fondamentale presupposto fattuale. Esso fa infatti emergere, al di là della sintomatica contraddittorietà in ordine alla natura di tale strada quale incontestabilmente emergente nella vicenda qui in decisione, l’assenza di un abuso sanzionabile con l’ordine di demolizione, visto che per quanto concerne l’altra situazione di illegalità in detto provvedimento enucleata, consistente nello sconfinamento sul canale consorziale, è stata rimossa in seguito all’ottenimento della concessione idraulica in sanatoria, come debitamente comprovato in via documentale dall’appellante (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.04.2013 n. 2218 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi degli artt. 2, comma 7, e 3, comma 1, p. 52, del D.L.vo 30.04.1992 n. 285 (codice della strada), l'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può derivare proprio dall’uso pubblico risalente nel tempo.
Ai sensi del richiamato codice della strada, quanto alla disciplina del traffico su strade di proprietà privata ricadenti all'interno del centro abitato, queste sono assoggettate agli ordinari poteri di regolamentazione assegnati al Sindaco dall'art. 7 D.L.vo n. 285 cit..

Occorre rilevare che le strade di cui è questione, interessate al disposto temporaneo divieto di sosta finalizzato alla esecuzione sulle stesse di lavori di asfaltatura, sono strade private aperte al pubblico transito. Sono esattamente strade consortili appunto aperte al pubblico transito, facenti parte del Consorzio stradale distacchi convenzionati Via Marconi – Comprensorio B, tuttavia non più operante poiché sciolto in data 01.11.1991.
Del resto, ai sensi degli artt. 2, comma 7, e 3, comma 1, p. 52, del D.L.vo 30.04.1992 n. 285 (codice della strada), l'assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata può derivare proprio dall’uso pubblico risalente nel tempo (cfr. TAR Trento, 13.01.2012 n. 15).
Così come occorre anche ricordare che ai sensi del richiamato codice della strada, quanto alla disciplina del traffico su strade di proprietà privata ricadenti all'interno del centro abitato, queste sono assoggettate agli ordinari poteri di regolamentazione assegnati al Sindaco dall'art. 7 D.L.vo n. 285 cit..
Risulta pertanto legittima la determinazione dirigenziale con cui, attesa propria la fruizione pubblica delle strade, si è disposto per (soli) tredici giorni il divieto di sosta per consentire di asfaltare le strade medesime. La chiara ed inequivoca necessità di tutelare il pubblico interesse alla sicurezza della circolazione stradale è ragione sufficiente a reggere la avversata determinazione.
Deve in effetti il Collegio anche rilevare che appare difficile cogliere nella determinazione avversata contestata un pregiudizio grave ed irreparabile alla sfera giuridica dei ricorrenti in ragione del disposto divieto di sosta, finalizzato a mezzo dei lavori di asfaltatura a migliorare la circolazione sulle strade interessate e quindi la loro sicurezza, con beneficio innanzitutto di chi, come i ricorrenti, maggiormente ne usufruisce (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.04.2013 n. 3348 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di una strada vicinale, per questo come tale giuridicamente equiparata alle strade comunali, non possono esservi dubbi sulla sussistenza del rispetto delle relative fasce stradali inedificabili.
Al riguardo deve premettersi che, per l’art. 2, VI° co., lett. D), ultimo periodo del d.lgs. n. 285/1992 Codice della Strada: “… Ai fini del presente codice, le strade "vicinali" sono assimilate alle strade comunali…”.
Nel caso in esame, l’estratto delle mappe catastali del PRG (allegate all’appello sub 2) individua come “Strada Cavallara” il sedime della via che, intersecando la Provinciale n. 18, ricollega le case sparse “Cason” e la proprietà Schio alla medesima strada provinciale.
Tale ultimo particolare, da solo, esclude assolutamente la natura meramente campestre o interpoderale del tracciato, come indica anche il segno grafico identificativo, che è quello di una “strada vicinale”.
E’ dunque evidente l’errore sui presupposti della decisione del TAR, che ha qualificato come interpoderale Via Cason, ed ha indebitamente escluso l’esigenza di rispettare le relative fasce stradali.
Al contrario, dato che la strada in questione era vicinale, e per questo come tale giuridicamente equiparata alle strade comunali, non possono esservi dubbi sulla sussistenza nel caso in esame di un vincolo di inedificabilità stradale.
In tali considerazioni, nelle quali restano assorbiti i restanti profili di censura, l’appello deve essere accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.03.2013 n. 1700 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Determinazione dell'appartenenza di una strada al demanio comunale.
Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al demanio comunale, costituiscono indici di riferimento, oltre che l’uso pubblico, cioè l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale, isolatamente considerato, potrebbe essere indicativo soltanto di una servitù di passaggio), le risultanze delle mappe catastali, la ubicazione della strada all'interno dei luoghi abitati (tenuto conto che, in base all'art. 16, lett. b, della legge 20.03.1985, n. 2248, allegato F, si presumono comunali le strade site all'interno dei centri abitati), l’attività di manutenzione effettuata dall’ente, i comportamenti tenuti dalla pubblica amministrazione che presuppongano la natura pubblica della strada e l'assoggettamento dei cittadini alle prassi determinate da tali comportamenti.
Alla inclusione o, rispettivamente, alla mancata inclusione della strada nell’elenco delle strade comunali (già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958) deve riconoscersi mero valore dichiarativo e ricognitivo, ma non costitutivo della proprietà del suolo da parte dell'ente locale. Si tratta, perciò, di circostanze che non possono ritenersi decisive per affermare o escludere la natura pubblica e, nonostante il difetto dell'iscrizione, l'appartenenza di una strada al demanio comunale ben può essere desunta da altri elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 cod. civ. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2013 n. 4145 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa natura pubblica della strada costituisce il presupposto per l’adozione dell’ordine di rimozione (di un cancello), e, qualora difetti, l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade comunali e vicinali di uso pubblico è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare con rigorosa istruttoria la sussistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico e la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità.
... per l'annullamento:
1) dell’ordinanza n. 47 del 09/08/2012, con la quale il Sindaco del Comune di Sant’Agata li Battiati -nell’esercizio dei propri poteri di massima autorità di Protezione Civile nell’ambito della pianificazione d’emergenza comunale e rilevata la necessità, l’urgenza e l’indifferibilità dell’adozione del provvedimento- ha imposto ai ricorrenti, la rimozione a propria cura e spese, entro il termine di 30 giorni, del cancello esistente dopo il civico 1 e 2 della via Lavatoio e della porzione di muro adiacente al cancello;
...
RITENUTO che -a prescindere dalle censure sulla competenza del Sindaco (che appaio comunque fondate, non essendo ravvisabili i presupposti per l’adozione di un’ordinanza in relazione alle esigenze di “salvaguardia della pubblica incolumità”, nella quale, tuttavia, non risultano indicate le specifiche ragioni di pericolo la pubblica incolumità, né il rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica, riferendosi esclusivamente alla circostanza che il cancello “può rappresentare un ostacolo all’ingresso dei mezzi di soccorso...”)- i profili di doglianza concernenti il difetto d’istruttoria e la contraddittorietà della motivazione, sono fondati e assorbenti di ogni altra censura.
Infatti, in disparte ogni questione sull’accertamento della proprietà della strada che, ovviamente, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo ed è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacché investe l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi, dei privati o della p.a. (Cassazione civile, Sezioni unite, 27.01.2010, n. 1624), va rilevato, tuttavia, come la natura pubblica della strada costituisce il presupposto per l’adozione dell’ordine di rimozione, e, qualora difetti, come nel caso di specie, l'iscrizione della strada nell'elenco delle strade comunali e vicinali di uso pubblico, è l'Amministrazione che ha l'onere di accertare con rigorosa istruttoria la sussistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618) e la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità.
Pertanto, l'Amministrazione, prima di emettere il provvedimento impugnato, avrebbe dovuto accertare attraverso un’adeguata attività istruttoria -i cui contenuti ed esiti avrebbero dovuto essere riportati nella motivazione dell’ordinanza di rimozione- se effettivamente nel caso di specie sussistessero tutti i requisiti per poter qualificare la strada in questione come strada destinata ad uso pubblico. Istruttoria che, nella specie, s’imponeva in considerazione alcune determinazioni di Uffici comunali cha avevano affermato la natura privata della strada in questione. (cfr. in particolare, nota del 25/06/2005, nella quale il Capo Settore UTC, dopo aver rilevato che “… tutta l’altra documentazione, agli atti di questo ufficio, dimostra (a partire almeno dal 1942) la proprietà privata della strada” e che “non esistono altri elementi che possano far presupporre la proprietà comunale della stradella”, ha informato il Sindaco della inesistenza di validi presupposti per reclamare la proprietà comunale della strada affermando che “Il Comune non è in possesso di altri elementi che possano dimostrare la proprietà del bene” e che “la strada allo stato attuale non è di nessun interesse pubblico, in quanto non ha sbocco ed è di limitata sezione, a fondo naturale e priva di illuminazione”.
E’ evidente, quindi, una situazione di obiettiva incertezza e contraddittorietà sullo stato dei luoghi, che avrebbe dovuto indurre il Comune, prima di emettere il provvedimento impugnato, ad eseguire un’idonea istruttoria sulla natura della strada che, nella specie, è, invece, mancata, non potendo nemmeno supplire l’integrazione della motivazione contenuta nella memoria difensiva, laddove si fa riferimento a circostanze (presenza della numerazione civica e riconoscimento della natura pubblica della strada da parte di un privato in una bozza di convenzione di lottizzazione) assolutamente inidonee a qualificare gli indici rilevatori della natura "pubblica" della strada (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7831; Cons. Stato, Sez. V, 24.10.2000 n. 5692; id., Sez. IV, 02.03.2001 n. 1155).
RITENUTO, quindi, che l’omissione di un rigoroso accertamento circa gli elementi di fatto e di diritto rilevatori della natura "pubblica" della strada in questione evidenzia il difetto istruttorio in cui è incorso il Comune di Sant’Agata Li Battiati nell'adozione dell’ordine di rimozione impugnato.
CONSIDERATO che per quanto sopra, il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l'Amministrazione potrà adottare in esito ad una rinnovata ed idonea attività istruttoria (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 18.01.2013 n. 176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATALa semplice inclusione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non ha efficacia costitutiva e, ciò, considerando come tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù".
Stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi in questione, la giurisprudenza ha precisato l’esistenza di ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell'accertamento della natura “pubblica” di una strada, quali l'uso pubblico (inteso come l'utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l'ubicazione della strada all'interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica.

La risoluzione della controversia si sposta quindi sull’esistenza o meno della connotazione di “strada pubblica” di Via Tagliamento, presupposto quest’ultimo per sancire l’applicabilità o meno del disposto di cui al Decreto Ministeriale sopra citato.
Sul punto va rilevato come questo il Collegio sia consapevole come la semplice inclusione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non abbia efficacia costitutiva e, ciò, considerando come tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624)”.
Stante la natura meramente dichiarativa degli elenchi in questione, la giurisprudenza ha precisato l’esistenza di ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell'accertamento della natura “pubblica” di una strada, quali l'uso pubblico (inteso come l'utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l'ubicazione della strada all'interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica.
Tutto ciò premesso va comunque rilevato che l’inclusione di cui si tratta, sancisce comunque un effetto quanto meno “presuntivo” e per quanto ritiene la qualificazione di una strada pubblica.
Fermo restando detto criterio presuntivo, e i criteri fatti propri dall’orientamento sopra ricordato, parte ricorrente avrebbe dovuto individuare, nel concreto, quegli elementi, quelle caratteristiche, suscettibili di connotare diversamente la strada di cui si tratta e, ciò, senza limitarsi (come in realtà è avvenuto nel ricorso) a porre in essere una generica contestazione del carattere presuntivo sopra ricordato.
Al contrario il Comune di Venezia ha rilevato come Via Tagliamento sia una strada aperta al pubblico; ha, altresì, precisato come essa costituisca un tratto viario che unisce le pubbliche strade di Via Rio Cimetto e Via Muggia; elementi tutti così elencati che, non solo avvalorano il carattere presuntivo sopra citato, ma consentono di ritenere insussistente la violazione dell’art. 8 del DM 1444/1968 sostenuta da parte ricorrente.
Il primo motivo deve, pertanto, ritenersi infondato (Tar Veneto, Sezione II, sentenza 13.12.2012 n. 1555 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La PA deve operare accertamenti in ordine alla sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso nonché in ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, condotte mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova.
Sicché, è illegittimo il comportamento comunale che si limita a desumere apoditticamente l'uso pubblico dal fatto che il passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari degli immobili confinanti nonché coloro che devono recarsi alla centralina idroelettrica, costruita a seguito di procedure ablative che non hanno interessato la suddetta stradina e che avrebbero dovuto, se del caso, interessarla, in presenza di eventuali connesse esigenze di pubblica utilità.
Non risulta, dunque, dimostrato che la stradina in questione sia al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa da parte dei soli residenti che se ne servono per raggiungere i fondi.
Nel caso di specie, quindi, non vengono indicati elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c. e neanche viene indicata la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di dimostrare l’asservimento della stradella in questione all'uso pubblico.
Rafforza tale significativo quadro fattuale la circostanza inerente l’omesso inserimento della strada in questione nell’elenco comunale, come confermato dallo stesso Comune resistente, anche a voler prescindere dalla considerazione secondo cui detta inclusione, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 126 del 1958, non risulta dirimente, ha natura dichiarativa e non costitutiva ed ha carattere di mera presunzione di demanialità, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F, superabile con la prova contraria dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù.
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Viene impugnata l’epigrafata ordinanza, con cui viene imposto al ricorrente di rimuovere una sbarra metallica, apposta dal ricorrente sul tratto di strada privata denominato “Taverna-Monti”, di proprietà del ricorrente.
In punto di fatto, non risulta in contestazione che la stradella in questione sia mai stata rilevata o censita, come ammesso dallo stesso Comune con nota prot. 2545 del 24.11.2008, sebbene sia utilizzata dai proprietari dei vari fondi agricoli limitrofi e serva per arrivare alla Centralina Idroelettrica Comunale, realizzata mediante procedure ablative che non hanno interessato il sito su cui sorge detta stradina.
Risulta altresì che pende presso il Tribunale di Cosenza un giudizio civile, intrapreso dal ricorrente con citazione del 09.03.2006 nei confronti del Comune.
Non risulta che la P.A. abbia posto a fondamento del provvedimento impugnato idonei accertamenti in ordine alla sussistenza di un eventuale uso pubblico pregresso nonché in ordine alla concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, condotte mediante un approfondito esame della condizione effettiva in cui il bene si trova (conf.: Cons. St., Sez. V, 07.04.1995, n. 522; Tar Lombardia, Brescia, 07.09.1999, n. 769; TAR Sardegna, 21.12.2000, n. 1246; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 29.03.2004, n. 2922 TAR Valle d'Aosta, I, n. 86/2009), limitandosi a desumere apoditticamente l'uso pubblico dal fatto che il passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari degli immobili confinanti nonché coloro che devono recarsi alla centralina idroelettrica, costruita a seguito di procedure ablative che non hanno interessato la suddetta stradina e che avrebbero dovuto, se del caso, interessarla, in presenza di eventuali connesse esigenze di pubblica utilità.
Non risulta, dunque, dimostrato che la stradina in questione sia al servizio della generalità indifferenziata dei cittadini uti cives e non uti singuli e non risulta neanche comprovata l’utilizzazione continuativa da parte dei soli residenti che se ne servono per raggiungere i fondi.
Nel caso di specie, quindi, non vengono indicati elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c. e neanche viene indicata la concreta idoneità della strada a soddisfare attualmente esigenze di pubblica utilità, al fine di dimostrare l’asservimento della stradella in questione all'uso pubblico.
Rafforza tale significativo quadro fattuale la circostanza inerente l’omesso inserimento della strada in questione nell’elenco comunale, come confermato dallo stesso Comune resistente, anche a voler prescindere dalla considerazione secondo cui detta inclusione, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 126 del 1958, non risulta dirimente, ha natura dichiarativa e non costitutiva ed ha carattere di mera presunzione di demanialità, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F, superabile con la prova contraria dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624; Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705).
Ritiene, dunque, il Collegio che, in punto di fatto, risulti ammessa la natura privata della strada in questione e non risulta dimostrata alcuna situazione di demanialità o di uso pubblico nel caso di specie, sebbene in via di fatto la stradina sia ritenuta molto utile per accedere alla centrale comunale idroelettrica: ma tanto non basta a consentire al Comune l’esercizio di poteri autoritativi, nei confronti del ricorrente, in assenza di atti ablativi, né tanto meno mediante lo strumento atipico dell’ordinanza contingibile ed urgente, difettandone, nella specie, ab imis i presupposti legittimanti (sebbene il ricorso non sia incentrato su questo aspetto).
In definitiva, gli elementi acquisiti al giudizio depongono per la fondatezza del gravame.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va accolto e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori e legittimi provvedimenti dell’Autorità Amministrativa (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 08.02.2012 n. 157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIOSSERVATORIO VIMINALE/ Il concorso del contributo comunale entro limiti fissati per legge. I privati usano e pagano. Per la manutenzione delle strade vicinali.
Quesito
Qual è l'attuale disciplina dei consorzi per le strade vicinali a uso pubblico e la misura della partecipazione alle spese da parte dell'ente locale, posto che l'unica disposizione in vigore in materia sembrerebbe essere l'art. 14 della legge 12/02/1958, n. 126, sulla base del presupposto che il d.l. lgt. 01/09/1918, n. 1446 risulterebbe abrogato dal dl 22/12/2008, n. 200, convertito dalla legge 18/02/2009, n. 9?
Risposta
Dalla ricostruzione dei passaggi normativi che hanno interessato la disciplina in materia, emerge che il d.l. lgt. n. 1446/1918 era stato mantenuto in vigore dalla citata legge 18/02/2009 n. 9 fino al 15.12.2009.
Tuttavia, il decreto legislativo 01.12.2009, n. 179, ha sottratto all'effetto abrogativo le disposizione di cui al suddetto d.l. lgt. 01/09/1918, n. 1446 (art. 1, comma 2, all. 2); inoltre ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore dell'art. 14 della legge 12/02/1958, n. 126, relativamente all'obbligo della costituzione di consorzi per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico (art. 1, comma1, in combinato disposto con l'allegato 1 al dlgs n. 179/ 2009).
Ciò stante, la disciplina relativa alla manutenzione e riscossione delle strade vicinali, ed alla facoltà per gli utenti delle stesse di costituirsi in Consorzio, può essere tutt'ora ricondotta alle disposizioni di cui al d.l. lgt. 01/09/1918, n. 1446 e all'art. 14 della legge n. 126 del 1958.
Occorre, peraltro, distinguere se si tratti di strade vicinali soggette ad uso pubblico o esclusivamente ad uso privato.
Nel primo caso, infatti, quando il comune è titolare di un diritto reale di uso pubblico sulla strada vicinale, che è sempre di proprietà privata, la costituzione di consorzi per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione di dette strade, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 126 del 12/02/1958, è obbligatoria, mentre rimane facoltativa nel secondo caso.
Dalla sussistenza o meno del pubblico utilizzo deriva anche l'obbligo, per il comune, di concorrere alle spese; in applicazione, infatti, dell'art 3 del citato d.l. lgt. n. 1446 del 1918, che fissa i limiti di compartecipazione per le strade vicinali soggette al pubblico transito, il comune è tenuto a concorrere alle spese di manutenzione, sistemazione e ricostruzione nella misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, a seconda dell'importanza della strada.
Detti limiti, che riguardano il comune, sono inderogabili in quanto con tale disciplina, tenuto conto dello speciale regime giuridico di queste strade, il legislatore ha già contemperato a monte gli interessi pubblici e privati in gioco, demandando ai comuni solo la possibilità di scegliere in concreto l'ammontare della contribuzione all'interno dei limiti minimi e massimi consentiti, motivando esaurientemente tale scelta (in tal senso la Corte dei conti, sez. reg. di controllo per il Veneto n. 140/2008).
Pertanto, nella fattispecie prospettata, che riguarda i consorzi per le strade vicinali ad uso pubblico, nella ritenuta applicazione dell'art. 14 della legge n. 126/1958 –che rende obbligatoria la costituzione della forma associativa– e degli artt. 1 e 3 del d.d. lgt. n. 1446/1918, si deduce che gli oneri per la manutenzione e sistemazione delle strade vicinali gravano essenzialmente sui soggetti privati che le utilizzano, salvo il concorso del contributo comunale nei limiti e termini stabiliti dalla legge (articolo ItaliaOggi del 07.12.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Lecito il no all'esposizione di merce anche su una ''porzione'' di marciapiede.
E' legittimo il provvedimento con cui un ente locale ha rigettato un'istanza tendente a ottenere il rinnovo di una concessione di suolo pubblico riguardante una ristretta porzione di marciapiede per l'esposizione di merce, motivato con riferimento alla circostanza che il marciapiede è stato da sempre destinato all'uso della collettività e consente un generale passaggio esercitato iure servitutis publicae da una quantità indeterminata di persone.

La ricorrente, titolare di un esercizio commerciale deputato alla vendita di oggetti di ferramenta, ha impugnato il provvedimento con cui il Comune le aveva negato il rinnovo della concessione di occupazione di un suolo pubblico (una porzione di marciapiede) per l’esposizione della merce.
In particolare, ha esposto che il menzionato atto negativo era stato adottato sulla base della circostanza per cui, a seguito di alcuni lavori, la dimensione del predetto marciapiede era risultata talmente ridotta da non consentire più alcuno spazio espositivo.
Pertanto, insorto avverso siffatto diniego, la deducente ha contestato la violazione dell’art. 20, D.Lgs. n. 285/1992, nonché svariati profili di eccesso di potere per travisamento di fatti ed erronea presupposizione, atteso che -a suo ritenere– lo spazio antistante il proprio locale commerciale sarebbe stato di proprietà privata e, così, destinato al servizio dell’immobile principale.
Il ricorso è stato respinto.
Il Collegio di Perugia, con riferimento all’inosservanza delle disposizioni contenute nel Codice della Strada, ha esaminato la questione attinente la presunta contraddittorietà tra l’impugnato provvedimento e l’originaria concessione nel cui contesto era stato richiamato il menzionato decreto.
Invero, il giudicante, prescindendo dalla genericità del suddetto richiamo formale, ha evidenziato l’insussistenza del suddetto vizio, atteso che l’errore commesso in sede di rilascio della prima concessione non avrebbe potuto costringere l’Amministrazione a rinnovarla.
Sul proposito, ha infatti precisato che il contestato atto rinviava a una nota istruttoria con cui la civica P.A., nell’evidenziare la larghezza del marciapiede nel tratto della richiesta occupazione per esposizione di materiali in vendita, aveva dichiarato l’impossibilità di procedere al rinnovo della concessione, in quanto lo stesso avrebbe riguardato una zona destinata alla circolazione dei pedoni per un’ampiezza pari a due metri.
Del resto, l’art. 20, comma 3, D.Lgs. n. 285/1992, sancisce espressamente che: “Nei centri abitati, ferme restando le limitazioni e i divieti di cui agli articoli e commi precedenti, l'occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole o altre installazioni può essere consentita fino a un massimo della metà della loro larghezza, purché in adiacenza ai fabbricati e sempre che rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno di 2 metri. Le occupazioni non possono comunque ricadere all'interno dei triangoli di visibilità delle intersezioni, di cui all'art. 18, comma 2. Nelle zone di rilevanza storico-ambientale, ovvero quando sussistano particolari caratteristiche geometriche della strada, è ammessa l'occupazione dei marciapiedi a condizione che sia garantita una zona adeguata per la circolazione dei pedoni e delle persone con limitata o impedita capacità motoria”.
Sicché, all’adito G.A. è risultato evidente che il contestato diniego era stato adottato dal Comune al fine di garantire alla collettività la fruizione del bene pubblico che in alcun modo avrebbe potuto essere “piegato” alle esigenze (commerciali) di un unico cittadino.
Peraltro, il Collegio è giunto alla medesima conclusione anche in relazione alla circostanza opposta dall’interessata, secondo cui lo spazio oggetto dell’istanza di concessione di suolo pubblico sarebbe stato di proprietà della ricorrente, in tal modo escludendo la configurabilità di un marciapiede.
Al proposito, richiamando il disposto di cui all’art. 3 C.d.s., ha rilevato che il tratto di marciapiede in questione era stato da sempre destinato all’uso della collettività; peraltro, la suddetta disposizione prevede che il marciapiede è: “… una parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni”.
Al contempo, il TAR perugino, sempre con riferimento ai “marciapiedi”, ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale per cui: “Secondo i principi generali in materia, sussiste servitù di uso pubblico nel caso in cui il bene abbia un’intrinseca idoneità a essere utilizzato da parte di una collettività, configurandosi un uso a carattere generale e non uti singuli per un periodo prolungato nel tempo” (Cons. Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3509; TAR Veneto, Sez. II, 18.11.2004, n. 4035).
Dunque, quanto alla vicenda, ha osservato che il marciapiede de quo consentiva un generale passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività indeterminata di persone, in assenza di restrizioni all’accesso o di vincoli di proprietà o condominio.
Per siffatte ragioni, il G.A. di Perugia, ritenendo che lo spazio antistante l’esercizio commerciale della ricorrente era destinato esclusivamente alla pubblica fruizione, ha respinto il gravame e, per l’effetto confermato la legittimità del provvedimento di diniego di rinnovo della concessione dell’area pubblica (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Umbria, sentenza 28.11.2012 n. 502 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPuò essere definita giuridicamente "strada" anche un’area di proprietà privata ove essa sia asservita all’uso pubblico.
Quest’ultimo, però, non può essere meramente affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova, oltreché dell'intrinseca idoneità del bene, dell’uso continuo e pubblico ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione.
Simmetricamente, la giurisprudenza civile ha puntualizzato che “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione) … né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta”, ma che è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (fra anche l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, “ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'Ente, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale”.
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Vari sono gli “indici di riferimento” individuati dalla giurisprudenza per integrare l’asservimento all’uso pubblico da tempo immemorabile da parte della collettività dei cittadini, fra i quali rileva l'uso continuo della strada da parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad essa dell’Amministrazione nei settori dell'edilizia e dell'urbanistica, la sua inclusione in un centro abitato e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio.

Quanto al secondo presupposto, ossia l’asserita esistenza di un uso pubblico, si deve osservare che può essere definita giuridicamente "strada" anche un’area di proprietà privata ove essa sia asservita all’uso pubblico.
Quest’ultimo, però, non può essere meramente affermato ma esige di essere dimostrato tramite la prova, oltreché dell'intrinseca idoneità del bene, dell’uso continuo e pubblico ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse (cfr., in termini, C.d.S., sez. IV, 15.06.2012, n. 3531).
Segnatamente, la costituzione su di una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cosiddetta dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che mette spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (cfr., C.d.S., sez. V, 28.06.2011, n. 3868).
Simmetricamente, la giurisprudenza civile ha puntualizzato che “affinché un'area assuma la natura di strada pubblica, non basta né che vi si esplichi di fatto il transito del pubblico (con la sua concreta, effettiva e attuale destinazione al pubblico transito e la occupazione sine titolo dell'area da parte della pubblica amministrazione) … né l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta”, ma che è invece necessario, ai sensi dell'art. 824 c.c., che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (fra anche l’usucapione) idoneo a trasferire il dominio, “ovvero che su di essa sia stata costituita a favore dell'Ente una servitù di uso pubblico e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'Ente, all'uso pubblico, ossia per soddisfare le esigenze di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale” (cfr., Cass. Civ., sez. II, 07.04.2006, n. 8204; sez. I, 26.08.2002, n. 12540).
5b. Nella specie, risulta che:
- a detta della ricorrente l’accesso all’area di passaggio de qua è chiuso da una stanga (visibile dalla documentazione fotografica dimessa) chiusa con lucchetto, del quale l’Amministrazione possiede la chiave solo per poter accedere dapprima all’area gravata dalla servitù di passo e, quindi, tramite un viottolo, ad un fondo del Comune (situato oltre la proprietà della deducente) sul quale insiste una stazione di pompaggio della fognatura;
- il Comune conferma di aver autorizzato la posa della stanga ma sostiene che essa preclude l’accesso solo nel periodo estivo, quando sono presenti gli ospiti minori di Sos Feriendorf, mentre nel resto dell’anno essa rimane aperta per consentire il libero transito. In proposito produce una nota, inviata alla direzione della Società ricorrente nel dicembre 2006, con cui il Sindaco, su segnalazione di un censito (che, invero, lamentava una serie di inadempienze del Comune in ordine alla donazione di terreni ricevuta dalla Società consortile Lago di Caldonazzo) ha chiesto di rimuovere la stanga per “garantire il passaggio al pubblico” (cfr., doc. n. 13 in atti del Comune).
5c. Orbene, i principi giurisprudenziali esposti rendono ancor più evidente l’insufficienza dei dati allegati in questa sede dal Comune di Caldonazzo per suffragare la dedotta esistenza dell’uso pubblico. L’Amministrazione intimata, in altri termini, ha affidato ad una sola nota, con cui in un’occasione ha chiesto di aprire la stanga della quale un terzo lamentava la frequente chiusura, il compito di integrare la probatio della sussistenza di una servitù di uso pubblico.
Ne consegue che il Comune di Caldonazzo non ha adeguatamente provato:
- né l'avvenuto acquisto del tratto in questione per usucapione per decorso del termine ventennale;
- né ha rigorosamente dimostrato la sussistenza degli “indici di riferimento” individuati dalla giurisprudenza per integrare l’asservimento all’uso pubblico da tempo immemorabile da parte della collettività dei cittadini, fra i quali rileva l'uso continuo della strada da parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad essa dell’Amministrazione nei settori dell'edilizia e dell'urbanistica, la sua inclusione in un centro abitato e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (cfr., Cass. Civ., sez. II, 28.09.2010, n. 20405) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 21.11.2012 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono legittimi i presupposti per l’intervento ripristinatorio di autotutela possessoria da parte dell’Amministrazione laddove vi sia l’accertata preesistenza di fatto dell’uso pubblico della strada e la turbativa e alterazione dei luoghi che impedisce l’utilizzazione da parte della collettività.
L'esercizio dei poteri di autotutela possessoria (ex art. 823 cod. civ. e art. 15 d.lgs. 01.09.1918, n. 1446) presuppone la persistenza dei requisiti “di fatto” necessari per la configurabilità di tale tipo di strade: un passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di persone, la concreta idoneità della strada a soddisfare il collegamento con la via pubblica, ma anche esigenze di carattere generale (accesso al parco pubblico), l'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico.

In relazione a ciò occorre richiamare la giurisprudenza costante che ritiene legittimi i presupposti per l’intervento ripristinatorio di autotutela possessoria da parte dell’Amministrazione laddove, come nella specie, vi sia l’accertata preesistenza di fatto dell’uso pubblico della strada e la turbativa e alterazione dei luoghi che impedisce l’utilizzazione da parte della collettività (cfr. ex multis, Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, 18.06.2003, n. 244: Tar Lazio, Roma, sez. I, 19.04.2007, n. 3419; idem, sez. II-ter, 03.11.2009, n.10781; Tar Sardegna, sez. II, 17.03.2010, n. 312; Cons. Stato, sez. V, 25.06.2010, n. 4064; Tar Piemonte, sez. I, 08.04.2011, n. 376).
A ciò va richiamato che l'esercizio dei poteri di autotutela possessoria (ex art. 823 cod. civ. e art. 15 d.lgs. 01.09.1918, n. 1446) presuppone la persistenza dei requisiti “di fatto” necessari per la configurabilità di tale tipo di strade: un passaggio esercitato "iure servitutis publicae" da una collettività di persone, la concreta idoneità della strada a soddisfare il collegamento con la via pubblica, ma anche esigenze di carattere generale (accesso al parco pubblico), l'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico (atto d’obbligo 28.01.1969); nella specie, si tratta di requisiti che risultano accertati con adeguata istruttoria ed esplicitati nella motivazione del provvedimento di autotutela, che pertanto come risulta dimostrato non può ritenersi –nel senso asserito dal Condominio (sesto mezzo)- mera riedizione del precedente provvedimento repressivo adottato dal Comune nei confronti dello stesso.
Né varrebbe obiettare, come sostiene parte ricorrente (quarto e quinto mezzo), che non vi sarebbero documenti atti a provare che la strada in questione sia pubblica, posto che mancherebbe anche la prova da parte del Comune dello svolgimento di attività manutentiva sulla strada medesima. Ebbene, riguardo a ciò va riservata analoga prognosi di infondatezza, in quanto appare invece dimostrato in modo evidente dalla documentazione in atti che la predetta strada è compresa nell’elenco delle strade la cui manutenzione è a carico del Municipio XIII (vedi elenco prot. n. 117531 del 30.12.2010; nota Municipio XIII, 10.12.2007, prot. n. 114721), così come indicato nell’atto impugnato.
Pertanto, l’Amministrazione comunale con il provvedimento impugnato, e in esecuzione del pregresso giudicato, ha esercitato correttamente il potere di autotutela possessoria iuris publici in relazione alla strada in questione interessata da uso pubblico, per favorire l’accesso al parco pubblico da parte della collettività (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 05.11.2012 n. 9045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada; si tratta di presunzione “iuris tantum”, cioè superabile con la prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività, avendo riguardo alle condizioni effettive del bene.
E’ cioè necessario che la strada sia posta all’interno di un centro abitato, che sia concretamente idonea a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale.

Ora, va rilevato che, per pacifica giurisprudenza, la semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada (cfr., Cons. di Stato, sez. V, 07.12.2010, n. 8624; Cass. Civ., sez. II, 09.11.2009, n. 23705); si tratta di presunzione “iuris tantum”, cioè superabile con la prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o di godimento della strada da parte della collettività (cfr., Cass., sez. I, 26.08.2002, n. 12540; Cons. di Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7831), avendo riguardo alle condizioni effettive del bene.
E’ cioè necessario che la strada sia posta all’interno di un centro abitato, che sia concretamente idonea a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che sulla stessa si esplichi di fatto il pubblico transito, “jure servitutis publicae”, da parte di una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale (cfr., ex multis, Cons. di Stato, sez. V, 24.05.2007, n. 2618) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 16.10.2012 n. 1612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa semplice intitolazione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente al fine di accertare la sua natura pubblica, attesa la natura non costitutiva dell'adempimento (l. n. 1188/1927), per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica di una strada.
Né, ancora, per tale finalità è sufficiente l'individuazione della strada nell'inventario del Comune redatto ai sensi dell'(ormai abrogato, ma vigente ratione temporis) art. 72 d.lgs. 25.02.1995, n. 77, poi trasposto nell'art. 230 d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (entrambi efficaci nel territorio regionale siciliano per effetto del rinvio "dinamico" di cui all'art. 1 della l.r. 11.12.1991, n. 48).

Come si legge nella sentenza TAR Sicilia Palermo Sez. III, 06-12-2011, n. 2275, infatti, “La semplice intitolazione di una strada nell'elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente al fine di accertare la sua natura pubblica, attesa la natura non costitutiva dell'adempimento (l. n. 1188/1927), per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica di una strada; né, ancora, per tale finalità è sufficiente l'individuazione -cosa che qui non è peraltro neppure provata– della strada nell'inventario del Comune redatto ai sensi dell'(ormai abrogato, ma vigente ratione temporis) art. 72 d.lgs. 25.02.1995, n. 77, poi trasposto nell'art. 230 d.lgs. 18.08.2000, n. 267 (entrambi efficaci nel territorio regionale siciliano per effetto del rinvio "dinamico" di cui all'art. 1 della l.r. 11.12.1991, n. 48)” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 03.09.2012 n. 1494 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Strada privata ad uso pubblico.
La proprietà privata di un’area non esclude l’uso pubblico della stessa, infatti, un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un interesse pubblico di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Inoltre, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie, e che sia effettivamente utilizzata dalla collettività uti cives. L’uso del bene da parte della collettività indifferenziata per lunghissimo tempo comporta l’assunzione da parte del bene di caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale, ciò non può che comportare l’uso altresì pubblico dell’area per parcheggio regolamentato in quanto strumentale all’avvicinamento all’arenile, risultando invero illogico e ingiustificato che ai cittadini, innovando rispetto al consolidato e risalente stato dei luoghi, venga consentito il libero accesso al mare vietando loro un’attività risalente nel tempo e volta al medesimo fine.

Per la giurisprudenza consolidata:
a) la proprietà privata di un’area non esclude l’uso pubblico della stessa;
b) un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un interesse pubblico di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato;
c) costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie, e che sia effettivamente utilizzata dalla collettività uti cives;
d) l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata per lunghissimo tempo comporta l’assunzione da parte del bene di caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cons. Stato, Sez. IV, 15.06.2012, n. 3531; Sez. V, 10.01.2012, n. 43)
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.07.2012 n. 4386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Servitù di uso pubblico. Strade vicinali. Iscrizione nell'elenco comunale dei percorsi/transiti ad uso pubblico. Obblighi di manutenzione.
1) Per la individuazione dell'organo competente ad effettuare la classificazione delle strade vicinali si ritiene si possa applicare, per analogia, l'art. 17 della legge 2248/1865 relativo alla formazione degli elenchi delle strade comunali il quale attribuisce alla giunta il compito della loro formazione ed al consiglio comunale la successiva approvazione dello stesso.
2) Circa le opere di manutenzione sussiste sul Comune un obbligo di compartecipazione a tali spese, in attuazione di quanto dispone l'articolo 3 del D.L.Lgt. 1446/1918 il quale obbliga il Comune a concorrere alla spesa per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali in una misura che varia a seconda dell'importanza della strada: da un minimo di un quinto della spesa, sino ad arrivare alla metà.

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Il Comune chiede di conoscere un parere in merito alla disciplina giuridica relativa a servitù di uso pubblico. Più in particolare, riferisce che sul territorio comunale sussiste, da tempo, una 'viabilità secondaria' (rappresentata, per lo più, da sentieri di bosco, mulattiere e similari) che collega due zone pubbliche o il cui transito permette di raggiungere luoghi pubblici. In relazione ad essa l'Ente desidera sapere se può introdurla nell'elenco comunale dei percorsi/transiti ad uso pubblico; quale sia l'organo competente all'approvazione di tale elenco; se tale inserimento legittimi il Comune ad eseguire opere di manutenzione della viabilità in argomento.
Con l'espressione servitù ad uso pubblico si intendono quei diritti reali spettanti allo Stato, alle Province ed ai Comuni per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Si tratta di diritti reali di godimento costituiti a carico di un bene privato a vantaggio di una collettività e per il raggiungimento di un fine di pubblico interesse.[1]
Con riferimento specifico ai transiti costituenti la c.d. viabilità secondaria, di cui al quesito in riferimento, si ritiene che essi vadano annoverati tra le c.d. strade vicinali pubbliche, tali essendo, per l'appunto, le vie di proprietà privata, soggette a pubblico transito.[2] In concreto, il sedime della strada vicinale, compresi accessori e pertinenze, è privato, di proprietà dei titolari dei terreni latistanti, mentre l'ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito.[3]
La giurisprudenza,[4] in diverse occasioni, ha precisato che la natura pubblica della strada dipende dalla coesistenza effettiva delle tre condizioni di seguito indicate:
1. il passaggio esercitato iure servitutis pubblicae, da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
2. la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, anche per il collegamento con la pubblica via;
3. un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.
Alla luce della qualificazione giuridica che, come sopra affermato, può essere attribuita alla viabilità secondaria esistente sul territorio del Comune che ha posto il quesito, segue che la stessa possa essere inserita nell'elenco comunale delle strade vicinali.
Circa l'individuazione dell'organo competente all'approvazione di tale elenco si osserva che l'unica disposizione di legge che concerne, in generale, la compilazione da parte del Comune dell'elenco delle vie vicinali soggette al pubblico transito si rinviene nell'allegato 4 all'articolo 83 del regolamento per l'esecuzione della legge comunale e provinciale,[5] approvato con regio decreto 12.02.1911, n. 297, il quale, tuttavia, non indica la procedura da osservare per la formazione degli elenchi delle strade vicinali. Tale articolo è stato, peraltro, abrogato dall'articolo 64, comma 1, lettera a), della legge 08.06.1990, n. 142.[6]
La dottrina,[7] tuttavia, ritiene che, in mancanza di norme specifiche per la classificazione delle strade vicinali, si possano seguire, per analogia, le disposizioni riguardanti la formazione degli elenchi delle strade comunali, atteso che le strade vicinali hanno interesse pubblico al pari di quelle comunali perché soggette a servitù del pubblico, anche se di secondaria importanza.
Al riguardo, l'articolo 17 della legge 20.03.1865, n. 2248 attribuisce alla giunta municipale il compito della formazione dell'elenco delle strade da classificarsi fra le comunali precisando, altresì, al secondo comma, che 'questo elenco sarà per la durata di un mese depositato in una delle sale della residenza comunale ed affisso in copia all'albo pretorio. Gli interessati verranno con pubblico avviso invitati a prenderne cognizione ed a presentare in iscritto entro il termine suddetto le loro osservazioni ed i loro reclami. Spirato quel termine, il Consiglio comunale, deliberando sulla proposta della Giunta e sui reclami dei privati, stabilirà l'elenco delle strade comunali [...]'.
Con riferimento alle opere di manutenzione delle strade vicinali si osserva che l'articolo 14 del decreto legislativo 285/1992 prevede che: 'Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta'. Il successivo comma 4 dispone, poi, che 'Per le strade vicinali di cui all'art. 2, comma 7, i poteri dell'ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal comune'.
Tra i compiti attribuiti al Comune vi sono, pertanto, anche quelli volti a garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, e di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade e delle pertinenze. I comuni, tuttavia, sono chiamati ad assolvere a tali obblighi di manutenzione solo in caso di inadempimento da parte dei soggetti a ciò tenuti, - ossia i consorzi per la manutenzione delle strade vicinali, da costituirsi con la procedura di cui all'articolo 2 del decreto legge luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446,[8] o qualora si tratti di interventi urgenti.
Alla luce di un tanto segue l'impossibilità per l'ente locale di farsi integralmente carico degli oneri di sistemazione delle strade vicinali. Sul Comune sussiste, invece, un obbligo di compartecipazione a tali spese, in attuazione di quanto dispone l'articolo 3 del D.L.Lgt. 1446/1918[9] il quale obbliga il Comune a concorrere alla spesa per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali in una misura che varia a seconda dell'importanza della strada: da un minimo di un quinto della spesa, sino ad arrivare alla metà. Nel caso in cui L'Ente anticipi tali somme sussisterà, a suo favore, l'obbligo di recuperare le somme di altrui spettanza.[10]
Circa l'inderogabilità dei limiti di compartecipazione stabiliti dall'articolo 3 del D.L.Lgt. 1446/1918 si è espressa la Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, con la sentenza del 07.11.2008, n. 140 la quale ha precisato che 'il legislatore con tale disciplina, tenendo conto dello speciale regime giuridico di tali strade, ha già contemperato a monte gli interessi pubblici e privati in gioco, demandando ai comuni solo la possibilità di scegliere in concreto l'ammontare della contribuzione all'interno dei limiti minimi e massimi consentiti. Tale scelta, corredata da esaustiva motivazione anche in relazione al grado di fruizione pubblica della strada oggetto di intervento, dovrà ovviamente seguire criteri di trasparenza, parità di trattamento, economicità e razionalità di gestione, e dovrà tener conto anche delle disponibilità finanziarie complessive dell'ente'.
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[1] Sul punto si veda Cassazione civile, sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 333 la quale recita: 'La servitù ad uso pubblico è caratterizzata dall'utilizzazione, da parte di una collettività indeterminata di persone, di un bene il quale sia idoneo al soddisfacimento di un interesse collettivo'.
[2] Si precisa, altresì, che una definizione di strada vicinale si ritrova nell'articolo 3, comma 1, n. 52 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) il quale definisce la strada vicinale (o Poderale o di Bonifica) quale 'strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico'.
[3] Interessante, al riguardo, è la sentenza del TAR Lombardia, Brescia, sez. I, dell'11.11.2008, n. 1602 relativa ad un sentiero di montagna soggetto ad uso pubblico per finalità turistiche, naturalistiche, ricreative, e anche al servizio delle attività agricole della zona, in riferimento alla quale il giudice amministrativo ha affermato che 'Se una strada può essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi non può essere negata la presenza del pubblico transito solo perché materialmente la strada si presenta disagevole in alcuni tratti e poco frequentata nel complesso. L'uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva, legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al traffico, ad esempio vietando l'uso di alcuni mezzi (specie di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in particolari periodi, come per il resto della viabilità comunale. L'apposizione di limiti e divieti non fa venire meno la caratteristica del pubblico transito'.
[4] Tra le altre, Cassazione civile, sez. II, sentenza del 10.01.2011, n. 354; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sentenza del 09.01.2008, n. 48; TAR Marche, Ancona, sez. I, sentenza del 10.10.2007, n. 1595.
[5] Recita l'articolo 83 del r.d. 297/1911: 'In ogni Comune il segretario deve tenere in corrente e in ordine cronologico le leggi e i decreti appartenenti all'edizione ufficiale, i registri, gli elenchi e gli atti indicati nell'allegato n. 4, obbligatori per i Comuni, oltre a quelli speciali prescritti da leggi e da regolamenti. [...]'. L'allegato 4 del regolamento n. 297 del 1911 comprende, al n. 4, l'elenco delle strade comunali e di quelle private soggette a servitù pubblica, ma non indica la procedura da osservare per la formazione degli elenchi delle strade vicinali.
[6] Si ricorda che la legge 142/1990 è stata successivamente abrogata dall'articolo 274, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267.
[7] Cfr. P. La Rocca, 'Il regime giuridico delle strade provinciali, comunali, vicinali e private', Maggioli editore, 2006, pag. 257.
[8] Si consideri, al riguardo, anche la legge 12.02.1958, n. 126 che prescrive, all'articolo 14, l'obbligatorietà della costituzione dei consorzi per le strade vicinali di uso pubblico fra utenti e Comune per il concorso nelle spese di manutenzione.
[9] Per completezza espositiva, si segnala che il D.L.Lgt. 1446/1918 era stato abrogato, a decorrere dal 16.12.2009, dall'articolo 2, comma 1, del D.L. 22.12.2008, n. 200. Successivamente, tuttavia, l'efficacia dell'indicato decreto è stata ripristinata dall'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 01.12.2009, n. 179.
[10] In questo senso si veda, anche, il parere rilasciato dal Ministero dell'Interno, del 16.10.2009 e quello della Regione Emilia Romagna, Servizio affari istituzionali e delle autonomie locali, del 23.04.2010.
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L 20.03.1865, n. 2248, art. 17; D.L.Lgt. 01.09.1918, n. 1446, art. 3
(25.07.2012 - link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fermo restando che per l’acquisto del carattere demaniale sono prescritti specifici requisiti, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie nonché l’essere destinata al transito di un numero indifferenziato di persone.
In particolare, sotto quest’ultimo aspetto, un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato.
Del pari, la giurisprudenza ha avuto cura di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di un’area possa avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lunghissimo tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale.
Insomma, perché un’area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse.

L’argomento introdotto consente di precisare come la problematica giuridica oggetto della presente controversia coinvolge due profili, quello della proprietà della strada e quello dell’utilizzazione della strada stessa, se all’uso generale della collettività oppure a quello dei soli abitanti frontisti.
Fermo restando che per l’acquisto del carattere demaniale, sono prescritti specifici requisiti (Cons. Stato, Sez. V, 24.05.2007 n. 2618), secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 07.04.2000 n. 4345; idem, 28.11.1988 n. 6412) nonché l’essere destinata al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010 n. 8624).
In particolare, sotto quest’ultimo aspetto, un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14.02.2012 n. 728).
Del pari, la giurisprudenza ha avuto cura di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di un’area possa avvenire mediante la c.d. dicatio ad patriam, con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto per lunghissimo tempo, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21.05.2001 n. 6924; idem, 13.02.2006 n. 3075).
Insomma, la giurisprudenza con gli enunciati sopra esposti afferma che perché un’area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l’intrinseca idoneità del bene, che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.06.2012 n. 3531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa disciplina delle distanze minime fra gli edifici tra i quali sono interposte strade destinate al traffico di veicoli è quella di cui all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui questa disposizione fa riferimento, in linea con l’art. 1 del codice della strada, va riferita alle sole aree ad uso pubblico destinate alla circolazione, essendo tali norme finalizzate a disciplinare le fasce di rispetto delle costruzioni ai fini della sicurezza della circolazione.
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L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta

L'art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore comunale disciplina le distanze minime fra gli edifici tra i quali sono interposte strade destinate al traffico di veicoli, riproducendo le prescrizioni di cui all'art. 9, d.m. n. 1444/1968.
La definizione di strada cui queste disposizioni fanno riferimento, in linea con l’art. 1 del codice della strada, va riferita alle sole aree ad uso pubblico destinate alla circolazione, essendo tali norme finalizzate a disciplinare le fasce di rispetto delle costruzioni ai fini della sicurezza della circolazione (si richiamano al riguardo le motivazioni espresse, in una fattispecie analoga, dal Consiglio di Stato, sez. V, 28.06.2011, n. 3868).
Nel caso di specie, l'amministrazione ha invece ritenuto applicabile la normativa in questione per il solo fatto che si tratta di strada con passaggio di veicoli, circostanza meramente fattuale che non coincide con l'uso pubblico della strada.
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone, invero, l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente, a tal fine, l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (Cassazione civile, sez. II, 07.04.2006, n. 8204).
Il provvedimento impugnato è quindi affetto dai vizi di difetto di istruttoria e di motivazione. Le ulteriori censure possono essere assorbite.
La domanda di risarcimento dei danni deve essere respinta perché la società ha tempestivamente ottenuto la tutela cautelare richiesta ed anche poiché non è stata offerta, in corso di giudizio, una prova dei danni derivanti del ritardo nella edificazione, mediante l'allegazione di precise circostanze di fatto.
Per le ragioni esposte la domanda di annullamento è fondata e va quindi accolta. Va invece respinta la domanda di risarcimento dei danni (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.06.2012 n. 1612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’inserimento della strada nel contesto della rete viaria comunale, in quanto idonea a soddisfare le esigenze di carattere generale della comunità territoriale mediante l’uso pubblico, non ne fa venire meno la natura di strada “vicinale”, cui occorre fare riferimento ai fini della distanza da applicare ai sensi dell’art. 26, che non contiene alcuna distinzione tra uso pubblico o privato delle strade vicinali.
Infondato è anche l’ulteriore mezzo, con cui l’appellante censura la sentenza di primo grado per avere erroneamente giudicato non violato l’obbligo di distanza di 20 metri dalle strade locali comunali, sancito dall’art. 26, c. 2, D.P.R. 495/1992, rilevandosi una distanza inferiore tra l’impianto e la strada “Carruttata”.
Va, preliminarmente, osservato che ai sensi dell’art. 26, comma 2, del Regolamento di cui al D.P.R. n. 495 del 1992, la distanza delle costruzioni dalla sede stradale è di 20 metri per le strade di tipo F (ossia di interesse locale) diverse dalle strade vicinali, e di 10 metri per le strade vicinali.
Nella specie, la c.d. strada Carruttata risulta dalla certificazione comunale del 20.09.2010 e dalla pianta allegata come strada comunale esterna denominata “strada vicinale Carottata”.
L’inserimento della strada nel contesto della rete viaria comunale, in quanto idonea a soddisfare le esigenze di carattere generale della comunità territoriale mediante l’uso pubblico, non ne fa venire meno la natura di strada “vicinale” (cfr. Cons. Stato Sez. V, 23-05-2005, n. 2584), cui occorre fare riferimento ai fini della distanza da applicare ai sensi dell’art. 26, che non contiene alcuna distinzione tra uso pubblico o privato delle strade vicinali.
La sentenza di primo grado fa, quindi, corretta applicazione della disciplina in materia di distanze dalle strade vicinali, che è di 10 metri e nella specie risulta rispettata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.06.2012 n. 3343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza insegna:
● che costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone;
● che il connotato di interclusione dell'area servita esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti;
● che un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale;
● che ai fini della dicatio ad patriam occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives.
In coerenza con gli enunciati appena esposti, può, dunque, escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici.

Ad avviso di questo Collegio, a nulla rileva, conseguentemente, che detta strada privata sia stata inserita nelle tavole di piano quale viabilità esistente e che le sia stata impressa una funzione di viabilità di servizio e distribuzione per l’area produttiva di tipo D2, dato che il suo utilizzo pubblico meramente prospettico, ma non sicuramente attuale, la rende, allo stato, priva di quel requisito di pubblica percorribilità, idonea a soddisfare esigenze di carattere generale, alla cui tutela è da ritenersi preordinata la disposizione di cui all’art. 26.3 delle NTA.
Come recentemente ricordato dalla V Sezione del Consiglio di Stato (sentenza n. 728 in data 14.02.2012), “la giurisprudenza insegna, invero, che costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone: C.d.S., V, 07.12.2010, n. 8624; che il connotato di interclusione dell'area servita esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti: C.d.S., V, 18.12.2006, n. 7601; che un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale: Cassazione civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; che ai fini della dicatio ad patriam occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives: Cass. Civ., II, 13.02.2006, n. 3075”.
In coerenza con gli enunciati appena esposti, può, dunque, escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761).
Nel caso di specie, manca –come s’è visto- proprio il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 24.05.2012 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione”.
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.

Come risulta dalla giurisprudenza costante, “la costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione”.
Simmetricamente, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza civile …, l'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (Cassazione civile, sez. II, 07.04.2006 , n. 8204)” (Cons. Stato, sez. V, 28.06.2011, n. 3868) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.05.2012 n. 1384 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’Amministrazione comunale fonda le proprie pretese su porzione della fascia di rispetto controversa sulla presunzione di proprietà pubblica delle strade ex art. 22 della legge n. 2248/1865, All. F, di cui in particolare per quanto qui rileva, sono considerati parte integrante –testualmente- “i fossi laterali che servono unicamente o principalmente agli scoli..”; e per vincere tale presunzione -iuris tantum- è necessario fornire –piena- prova contraria del carattere privato dell’area.
Il punto che resta controverso è dunque la natura pubblica o privata di una porzione tale area (si ribadisce quella sulla quale insisterebbe il canale di scolo), il cui accertamento rileva ai fini del dimensionamento della volumetria edificabile. L’atto impugnato contiene un chiaro riferimento alla “...discrepanza derivante dalla non corrispondenza tra la realtà e la restituzione del rilievo catastale...” per cui vi sarebbe “...una consistente quota di suolo che la ditta ha sostenuto che facesse parte della superificie sulla quale far sorgere l’immobile privato…”.
La quota mancante, secondo la prospettazione di parte ricorrente, coinciderebbe con l’intera fascia di rispetto in discussione. A riprova dell’assunto, la stessa allega l’atto di compravendita del 23.05.2006 a rogito del notaio D’Agosto, dal quale in effetti emerge l’acquisto di un’area con superficie reale dichiaratamente più estesa di quella catastale (mq. 536 a fronte di mq. 336), ricadente “...nel vigente PdF parte in zona B1 (zona di completamento) e parte su fascia di rispetto stradale”.
Tali risultanze sono tuttavia insufficienti a fornire la prova decisiva della proprietà privata secondo l’insegnamento della Suprema Corte (Cass. n. 3568/2002); parallelamente, tuttavia, non sono dirimenti le risultanze catastali, le quali hanno semplice valore indiziario (Cass., Sez. II, 09.07.1980, n. 4372).
L’Amministrazione comunale fonda invece le proprie pretese su porzione della fascia di rispetto controversa -come detto- sulla presunzione di proprietà pubblica delle strade ex art. 22 della legge n. 2248/1865, All. F , di cui in particolare per quanto qui rileva, sono considerati parte integrante –testualmente- “i fossi laterali che servono unicamente o principalmente agli scoli..”; e per vincere tale presunzione -iuris tantum- è necessario fornire –piena- prova contraria del carattere privato dell’area (cfr. Cass. civ., sez. II, 02.03.2007 n. 4975 e 09.11.2009, n. 23705; in termini Sez. II, 27.05.2002, n. 7708) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 18.05.2012 n. 957 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Per la definizione di “strada”, assume rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà.
L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.

In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”, assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350 del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni confinanti con il “corpo stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d. leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, qualora non vi siano atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto, come nel suo caso, il “confine stradale” è identificato “nel piede della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio superiore della scarpata se la strada è in trincea”, gli obblighi manutentivi ed il taglio dei sensi insistenti sulla strada e involgenti le scarpate non sono legittimamente addossabili ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare adottato in violazione della suddetta normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in questione, diretta a soggetti responsabili di terreni privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate, ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del confinante che abbia illecitamente operato sulla sede stradale medesima (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 09.05.2012 n. 2158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”.
Pertanto, “l’assoggettamento…ad uso pubblico della strada Ateleta……non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio.
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Il Comune non può consentire, senza l’accettazione espressa dei proprietari, l’accesso di terzi attraverso la strada privata e se lo fa vìola l’art. 11 del D.P.R. 380/2001 consentendo l’edificazione a chi non dispone del titolo (limitatamente al disposto accesso) per farlo.
E ciò, si ribadisce, per quanto sopra detto, nonostante la natura pubblica del passaggio attraverso il tratto privato di strada.

I. I ricorrenti impugnano il permesso di costruire rilasciato alla controinteressata nella parte in cui consente gli accessi, carrabili e pedonali, attraverso una strada che i ricorrenti qualificano di loro esclusiva proprietà.
I.1) E’ accaduto che il Comune dell’Aquila ha autorizzato la costruzione di un fabbricato in L’Aquila su area riportata al N.C.T. al foglio 90, part.lle nn. 1664, 2644, sulla base (anche) di una dichiarazione della cooperativa controinteressata (in produzione di parte ricorrente, doc. n. 3) attestante che “gli accessi del futuro edificio avverranno dall’antistante strada privata di uso pubblico via Ateleta. Viabilità in corso di cessione al Comune da parte delle cooperative”.
La circostanza che la strada attraverso la quale realizzare gli accessi non fosse nella disponibilità della cooperativa richiedente, e neppure del Comune, era dunque ben chiara alla stessa richiedente (come comprovato dalla prudenziale aggiunta alla succitata dichiarazione in ordine alla “viabilità in corso di cessione al comune”, che, a ben vedere, corregge la qualificazione di “strada privata di suo pubblico”) e dello stesso comune (a margine della dichiarazione succitata il funzionario istruttore attesta che “via Ateleta a tutt’oggi risulta strada privata aperta al pubblico transito. Si ritiene di dover chiedere l’autorizzazione agli attuali proprietari dell’area”).
Nello stesso senso si esprime il Settore territorio del Comune di L’Aquila che attestava (doc. n. 4 in produzione di parte ricorrente) che “per la realizzazione dell’accesso al lotto d’intervento risulta necessario acquisire specifico assenso da parte dei proprietari dell’area di fatto utilizzata come viabilità. L’attuale via Ateleta, sebbene aperta al pubblico transito, risulta essere strada privata”.
Il settore Opere pubbliche (doc. n. 2 in produzione di parte ricorrente) del pari certificava che “la strada denominata via Ateleta in località Torretta, di collegamento tra via Abruzzo e via della Scuola, è di natura privata, aperta al pubblico transito”.
II. Osserva il Collegio che, sulla base della relazione tecnica commessa dal TAR al Dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della Provincia dell’Aquila, può senz’altro addivenirsi alla conclusione che la contestata Via Ateleta, nel tratto in contestazione, sia “strada privata aperta al pubblico transito”, come del resto riconoscono pacificamente sia il Comune resistente che la controinteressata; e ciò non solo per quanto attestato dal Comune e risultante dalla documentazione esibita in atti, ma per la circostanza del tutto evidente che via Ateleta è arteria di collegamento (di proprietà privata) tra due strade pubbliche (via Abruzzo e via della Scuola); se non altro per il passaggio generalizzato, ripetuto e prolungato, per la finalità suindicata, l’uso pubblico non può ragionevolmente escludersi.
II.1) Il tecnico nominato ha invero sul punto chiarito che “dalla documentazione prodotta dalle parti si evince che un tratto di via Ateleta è privato in quanto i terreni su cui insiste la stessa sono di proprietà degli assegnatari degli alloggi della Cooperativa giusta atto del Notaio Antonio Battaglia rep. n. 92043 del 16.02.1996. Un altro tratto di strada è di proprietà del Comune di L’Aquila il quale l’ha acquisita con atto del notaio Franca Fanti del 12.07.2006, n. rep. 37786 di cessione gratuita di area tra la soc.cooperativa edilizia Eccezione a r.l. ed il Comune stesso. Lungo il tratto privato di via Ateleta insiste il terreno su cui è stata realizzata dalla Orione Costruzioni Generali s.r.l. la palazzina situata al n. civico 26 di via Ateleta previo permesso a costruire n. 512 del 28.12.2004…Il progetto allegato al permesso di costruire prevedeva la realizzazione di un accesso pedonale e di uno carrabile che effettivamente insistono sulla parte privata di via Ateleta di proprietà degli assegnatari degli alloggi della cooperativa edilizia Novità”.
Conclude il tecnico, condivisibilmente, che: “1. La strada via Ateleta è parte di proprietà comunale parte di proprietà privata; 2. La strada via Ateleta è di effettivo uso pubblico ed in particolare di pubblico transito; 3. L’uso pubblico è manifesto sin dalla realizzazione delle n.2 cooperative e quindi almeno dal 1981”.
III. Ma tale circostanza (uso pubblico della strada) non comporta affatto, come sia il Comune che la controinteressata intendono, che la strada possa essere utilizzata come accesso alla proprietà privata di altri che non sia il proprietario della strada medesima.
L’uso pubblico, come sopra detto, serve (e tali sono i limiti della servitù imposta) per collegare, carrabilmente e pedonalmente, via degli Abruzzo e via della Scuola.
Tale è la conclusione cui è pervenuto il giudice civile (sentenza tribunale L’Aquila, n. 202/2009) pronunciandosi sulla controversia inter partes incentrata sulla esatta consistenza dei diritti reciproci sulla strada in questione.
Puntualmente, il giudicante evidenziava che “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, “l’assoggettamento…ad uso pubblico della strada Ateleta……non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.
III.1) Giova aggiungere che proprio la natura privata della strada (riconosciuta dallo stesso Comune) non avrebbe in ogni caso consentito l’automatica possibilità di apertura dell’accesso, quand’anche assoggettata a pubblico passaggio, considerato che finanche per le strade pubbliche l’accesso è consentito solo per espressa “concessione” dell’ente proprietario ed è regolamentato, nei casi specifici, ricorrendone le condizioni di legge (cfr, ad esempio, art. 27 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di L’Aquila, pagg. 3 e 4 , in produzione di parte controinteressata).
III.2) L’intervenuto accertamento della effettiva consistenza dei “diritti” reciproci comporta conseguentemente l’illegittimità del permesso di costruire nella parte in cui consente l’accesso privato traverso il tratto di via Ateleta di proprietà privata dei ricorrenti.
Il Comune pertanto non avrebbe comunque potuto consentire, senza l’accettazione espressa dei proprietari, l’accesso di terzi attraverso la strada privata e nel farlo ha violato, come esattamente rilevato dai ricorrenti nel primo motivo di ricorso, l’art. 11 del D.P.R. 380/2001 consentendo l’edificazione a chi non disponeva del titolo (limitatamente al disposto accesso) per farlo.
E ciò, si ribadisce, per quanto sopra detto, nonostante la natura pubblica del passaggio attraverso il tratto privato di strada.
IV. Il ricorso va pertanto accolto con l’annullamento del permesso di costruire impugnato in parte de qua in positiva delibazione del motivo sopra illustrato, con assorbimento del secondo, terzo e quarto motivo (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 29.03.2012 n. 208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento della natura di strada pubblica o privata. Autorizzazione edilizia per l’installazione di una barra di accesso ad una strada.
L’accertamento giurisdizionale dell’effettiva esistenza della servitù di pubblico passaggio compete all’autorità giudiziaria ordinaria, trattandosi di materia di diritto soggettivo e non di interesse legittimo. Il Giudice amministrativo può invece esercitare, al riguardo, esclusivamente una cognizione incidentale sulla questione (ex art. 8, comma 1, c.p.a.), senza poter fare stato sulla medesima con la propria decisione, e al solo fine di pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento che riguarda la strada (nella specie è stata ritenuta sussistente la giurisdizione amministrativa, atteso che la controversia riguardava il diniego di autorizzazione per l’installazione di una sbarra automatizzata destinata a regolare il traffico di una strada, rispetto al quale la determinazione della natura -privata o pubblica- della strada costituiva accertamento incidentale).
Costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (1). Il connotato di interclusione dell'area servita, infatti, esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti (2).
Un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (3).
E’ illegittimo un provvedimento con cui un dirigente comunale ha negato l’assenso all’installazione di una sbarra automatizzata destinata a regolare il traffico in entrata e in uscita da una strada privata appartenente a un condominio, limitandosi ad affermare che si tratta di una strada pubblica, senza argomentare ulteriormente dagli indici che la giurisprudenza ha da tempo individuato per dedurre la natura pubblica di una via, atteso peraltro che nella specie il terreno destinato a via consente l’accesso ed il recesso da alcuni condomini alla via pubblica, e non risulta provato che sia stato destinato all’uso pubblico indifferenziato da tempo immemore.
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(1) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.12.2010, n. 8624
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18.12.2006, n. 7601
(3) Cfr. Cass. civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; v. anche Cass. civ., II, 13.02.2006, n. 3075 secondo cui, ai fini della dicatio ad patriam, occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives.
V. inoltre Cass. civ., II, 23.05.1995, n. 5637, secondo cui, perché un'area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessario, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse. Ne consegue che deve escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761).
In applicazione del principio nella specie è stato escluso l’uso pubblico della strada, trattandosi di strada per la quale l’unico uso possibile era quello funzionale alla mera utilità dei residenti dei condomini interessati; tale strada, infatti, non era mai proseguita oltre tali edifici, nel collegamento dei quali alla strada pubblica ha dunque sempre visto esaurita la propria concreta funzione.
Mancavano quindi i presupposti perché sulla strada potesse effettivamente svolgersi un uso generale, facendo difetto, in particolare, il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati.
In senso contrario, secondo la sentenza in rassegna, non valeva opporre l’inclusione della previsione della strada nell’ambito dell’antica lottizzazione, in quanto i relativi piani possono prevedere anche strade private non soggette a transito pubblico, quali sono, appunto, tutte quelle che abbiano il mero scopo di dare accesso solo a singoli edifici privati
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2012 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Caratteri distintivi che consentono di qualificare una strada come "strada pubblica" o "strada privata sottoposta a servitù di passaggio pubblico".
La giurisprudenza insegna che costituisce una strada pubblica quel tratto viario che non è cieco, ma assume una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone: C.d.S., V, 07.12.2010, n. 8624; che il connotato di interclusione dell'area servita esclude che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata, e fa invece concludere per un'utilità limitata ai soli proprietari frontisti: C.d.S., V, 18.12.2006, n. 7601; che un'area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato; oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l'asservimento del bene da parte del proprietario all'uso pubblico, analogamente, di una comunità indeterminata di soggetti considerati sempre uti cives, di talché il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale: Cassazione civile, sez. II, 21.05.2001, n. 6924; che ai fini della dicatio ad patriam occorre pur sempre il requisito dell’idoneità intrinseca del bene a soddisfare un’esigenza comune della collettività dei consociati uti cives: Cass. Civ., II, 13.02.2006, n. 3075.
In coerenza con gli enunciati appena esposti, la giurisprudenza afferma in definitiva che, perché un'area privata possa ritenersi sottoposta ad una servitù pubblica di passaggio, è necessario, oltre all'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone e per soddisfare un pubblico, generale interesse.
Ne consegue che deve escludersi l'uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. Civ., II, 23.05.1995, n. 5637), oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. civ., I, 22.06.1985, n. 3761) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.02.2012 n. 728 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

LAVORI PUBBLICI: Pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo privato.
Non risulta possibile eseguire la pavimentazione di marciapiedi comprendenti porzioni di suolo privato senza procedere alla preventiva acquisizione di tali beni, atteso che l'intervento comunale si tradurrebbe -con riferimento a dette porzioni- in un'indebita spesa pubblica.
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, al Comune, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede.

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Il Comune rappresenta che:
· negli anni 1970-1980 ha posto in opera le cordonate stradali lungo alcune strade comunali, ma non ha ancora provveduto alla pavimentazione dei marciapiedi;
· lo spazio sterrato utilizzato quale marciapiede è compreso tra le predette cordonate ed i recinti privati, alcuni dei quali, però, sono stati costruiti in arretramento rispetto al confine di proprietà;
· non risulta evidente, in loco, quale sia il limite tra proprietà pubblica e proprietà privata[1], cosicché la collettività utilizza lo spazio nella sua totalità;
· l'Amministrazione comunale intende procedere alla pavimentazione anche dei predetti spazi sterrati, al fine di renderli più decorosi, sicuri e conformi alla norme sul superamento delle barriere architettoniche.
Pur avendo già fatto ricorso, in altre circostanze, alla procedura semplificata per l'accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, prevista dall'art. 31, commi 21 e 22, della legge 23.12.1998, n. 448, il Comune chiede di conoscere se possa eseguire la pavimentazione suddetta, che insisterebbe anche su porzioni di suolo privato utilizzate da illo tempore quale viabilità pedonale pubblica, senza dover procedere alla preventiva acquisizione di tali porzioni e, conseguentemente, al frazionamento catastale, in quanto questo risulterebbe oneroso per l'Amministrazione e materialmente difficoltoso.
Al quesito si ritiene di dover fornire risposta negativa, atteso che, pur risultando necessario provvedere all'integrale pavimentazione dei marciapiedi, in relazione alle preminenti necessità di garantire la sicurezza degli utenti e di provvedere al superamento delle barriere architettoniche, l'intervento comunale non preceduto dall'acquisizione delle aree si tradurrebbe -quanto alla porzione di opera ricadente sul suolo privato- in un'indebita spesa pubblica, alla quale potrebbero far seguito ulteriori esborsi a carico del bilancio dell'Ente, anche a seguito dell'instaurazione di possibili contenziosi, sia da parte dei soggetti catastalmente titolari della proprietà, quanto dei pedoni che ritengano di vantare indennizzi per lesioni subite in tali tratti privati (ma apparentemente di proprietà pubblica).
Inoltre, l'assenza del titolo non consentirebbe, all'Ente, di provvedere alla manutenzione dei predetti tratti di marciapiede.
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[1] Mentre esso risulta rilevabile dai rilievi catastali eseguiti dal Comune (19.08.2011 - link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATAI beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale pubblico.

Quanto alla considerazione degli interessi dei privati al mantenimento (alla legittimazione) della situazione di fatto, non è superfluo ricordare che i beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2006, n. 5209; V, 06.10.2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 08.07.2009, n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20.06.2009, n. 445; TAR Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005, n. 291) (TAR Umbria, sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I beni demaniali non sono suscettibili di usucapione in mancanza di previa sdemanializzazione.
I beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'articolo 823, c.c. non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione, e sono tutelabili mediante i poteri di autotutela possessoria.
In particolare, il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l'inerzia dell'amministrazione nella cura della stessa e/o nell'intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all'uso pubblico (c.d. sdemanializzazione tacita), occorrendo che detti indizi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze tali da non lasciare adito ad altre ipotesi, salva quella che la stessa abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell'uso stradale pubblico (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2006, n. 5209; V, 06.10.2009, n. 6095; TAR Lombardia, Brescia, I, 08.07.2009, n. 1450; TAR Abruzzo, Pescara, I, 20.06.2009, n. 445; TAR Emilia Romagna, Parma, 25.05.2005, n. 291)
(TAR Umbria, sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Servitù di uso pubblico.
Domanda.
In quali modi può costituirsi la servitù di uso pubblico?
Risposta.
La servitù di uso pubblico può costituirsi con un regolare atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del terreno, ma anche mediante l'effettivo uso pubblico dell'area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio, oppure mediante l'istituto della c.d. dicatio ad patriam.
Orbene, siffatto istituto, quale titolo costitutivo di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale od ablatorio, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività quali cittadini (07.07.2011 - commento tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione.
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta.

La costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatioad patriam -costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico-, ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione (cfr. C.d.S., sez. V, 24.05.2007, n. 2618).
L'accertamento in ordine alla natura pubblica di una strada presuppone necessariamente l'esistenza di un atto o di un fatto in base al quale la proprietà del suolo su cui essa sorge sia di proprietà di un ente pubblico territoriale, ovvero che a favore del medesimo ente sia stata costituita una servitù di uso pubblico, e che la stessa sia destinata all'uso pubblico con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente medesimo, senza che sia sufficiente a tal fine l'esplicarsi di fatto del transito del pubblico, né la mera previsione programmatica della sua destinazione a strada pubblica, o l'intervento di atti di riconoscimento da parte dell'amministrazione medesima circa la funzione da essa assolta (Cassazione civile, sez. II, 07.04.2006 , n. 8204) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2011 n. 3868 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una servitù di uso pubblico può costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del terreno, anche mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure mediante l’istituto della dicatio ad patriam.
A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae", da parte di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale..
E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, almeno ultraventennale.
Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto giuridico del comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima.
Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada.

Con i motivi nn. 1 del ricorso e 5 dei motivi aggiunti, il ricorrente espone le censure portanti del gravame, con le quali si insiste sulla proprietà privata del cortile e si nega l’esistenza d’una servitù pubblica di passaggio. In quest’ottica, pertanto, le censure inerenti il carattere abusivo o meno dei cancelli passano in secondo piano, degradando a mera variabile dipendente della questione principale.
Sul punto occorre precisare che, dagli atti dell’istruttoria procedimentale (verbale di contravvenzione n. 2 del 10/09/2010) risulta che la polizia municipale, dietro segnalazione di alcuni cittadini residenti in San Fele, effettuava un sopralluogo a seguito del quale accertava che “il tratto di strada di via Francesco Stia che si collega con Vico II La Vista è stato interdetto al transito pedonale dal signor D’Onofrio Gerardo, Michele, Pietro, mediante l’apposizione di due cancelli abusivi, di cui uno in ferro, apposto a monte del fabbricato di sua proprietà e l’altro in legno, a valle del medesimo fabbricato, ubicato al civico 4 della strada de quo, in assenza di relative autorizzazioni da parte del Comune di San Fele, trattandosi di strada pubblica come confermato dagli accertamenti eseguiti sia presso l’ufficio tecnico comunale, giusta nota di riscontro prot. n. 6748 del 23/08/2010…….sia presso i competenti Uffici Regionali del Territorio”. La difesa dell’amministrazione ha depositato quest’ultima nota alla quale sono allegate planimetrie catastali dalle quali, secondo il responsabile del procedimento, risulterebbe che l’area è di proprietà comunale.
Tutto ciò esposto occorre anzitutto rilevare che il ricorrente non fornisce prova della proprietà dell’area di cui si discute. In allegato alla perizia giurata depositata l’08.10.2010 esiste un rogito del 1926 con cui il padre dell’attuale ricorrente acquistava la proprietà e il possesso di alcune case dirute fra cui Palazzo Stia ma tale atto, di per sé, non prova in modo specifico la proprietà dell’area di cui si discute.
La restante documentazione depositata dal ricorrente mira a risalire alla prova della proprietà delle aree attraverso alcuni elementi di fatto minori (la denominazione di vico, ritenuta, ad avviso del Collegio, erroneamente equivalente a strada cieca e quindi priva di accesso sulla pubblica via, la numerazione civica posta sul piedritto destro del portale, la diversa pavimentazione presente nell’androne rispetto a quella di via Stia e dal fatto che la muratura che contiene il portale di ingresso è della stessa altezza del palazzo) palesemente insufficienti a fondare tale prova.
Quanto agli altri elementi, alla luce delle planimetrie depositate dall’amministrazione e della speculare, precisa descrizione dei luoghi riportata nella relazione in data 10/11/2010 del settore tecnico comunale (sub n. 15), va anzitutto smentita la configurazione e la definizione di “cortile” (ancorché ripresa in mappe presentate dal dante causa del ricorrente nel 1939) attribuita dall’istante a quello che invece è un vero e proprio “slargo” su cui via Francesco Stia, dopo un tratto rettilineo di circa 150 metri si apre all’interno d’uno spazio in concreto non definibile cortile (pertinenziale a Palazzo Stia) sia perché sullo stesso si affaccia non solo Palazzo Stia, ma anche Palazzo Lubrino e sia per l’evidente, fisica appartenenza dello stesso al tracciato di via Francesco Stia, come peraltro confermato dal fatto che nelle mappe catastali fornite al Comune dall’Agenzia del Territorio di Potenza la parola Stia (della dicitura Via Federico Stia), ricade proprio su detto slargo. Il transito lungo di esso introduce poi a un passaggio ricadente sotto Palazzo Stia indicato con segni tratteggiati nella mappa catastale ora citata e denominato, nel gergo locale, “supporto” e di lì, dopo breve percorso, a Vico II Luigi La Vista e, percorso quest’ultimo, si giunge a via Luigi La Vista.
Ora, secondo il Collegio, le aree “de quibus”, in quanto spazi, interni all’abitato e adiacenti e/o aperti sul suolo pubblico (vedi art. 22, co. 3, allegato F della legge 20/03/1865 n. 2248) e in comunicazione diretta con esso, sono assistiti da una presunzione legale di demanialità cioè, appunto, di appartenenza al demanio di detti spazi. Nella specie, la prova contraria, che pur potrebbe vincere la presunzione “de qua”, non risulta essere stata resa dal ricorrente dato che non è stato prodotto alcun titolo valido, certificante, per così dire, la titolarità di precisi diritti, anche di solo godimento, sulle aree in questione (e tale non potendosi ritenere neppure la documentazione allegata al ricorso).
Oltretutto, come osservato dalla difesa dell’amministrazione, nella mappa catastale allegata alla relazione tecnica (all. 2 del doc. n. 15) e in quella rilasciata dall’Agenzia del Territorio di Potenza figura il corpo principale dell’immobile nell’area di colore chiaro (particella n. 76) che presenta solo il giardino come sola pertinenza aggraffata alla particella in questione mentre l’area di collegamento fra le due strade non ha numeri identificativi a livello catastale e non appare riferibile quale pertinenza della particella 76.
Ma anche a voler prescindere da questioni inerenti la prova della proprietà e l’evidente idoneità dei sopra specificati percorsi a formare un sistema unico di circolazione pedonale che congiunge via Stia, per il tramite del passaggio a Vico II Stia e in tal modo a via Luigi la Vista, c’è da dire che lo stesso ricorrente, con la nota inviata al Sindaco di San Fele in data 27/08/2010, a pochi giorni dal sopralluogo effettuato dai vigili, dopo aver dichiarato che “il cancello” sarebbe stato apposto circa 25 anni fa, pur insistendo sulla proprietà privata del cortile antistante Palazzo Stia, fa espresso riferimento al “diritto di passaggio del popolo, che gli attuali proprietari tollerano, tant’è che i cancelli sono apribili da parte di chicchessia”.
Tali riferimenti, al di là di ogni altra considerazione, convalidano pertanto l’affermazione del Comune secondo cui i tratti di collegamento fra via Stia e Vico II sono stati da sempre o comunque da lungo tempo utilizzati per il libero passaggio pedonale (vedi relazione tecnica sub-15 della produzione comunale). Il Collegio ritiene cioè comunque esistente una servitù di uso pubblico, essendosi la stessa costituita a seguito di prolungato esercizio del diritto d’uso pubblico o, quantomeno, per dicatio ad patriam e che la stessa è, pertanto, opponibile al ricorrente.
Come di recente ricordato in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia cit.), una servitù di uso pubblico può costituirsi, oltre che con un regolare atto negoziale di costituzione da parte del proprietario del terreno, anche mediante altre forme ed in particolare, per l’effettivo uso pubblico dell’area di pertinenza stradale per un tempo immemorabile e, comunque, almeno pari ad un ventennio oppure mediante l’istituto della dicatio ad patriam.
A tale riguardo, la costituzione di una servitù di uso pubblico su un’area stradale privata per passaggio del tempo presuppone l’uso pubblico ovverosia la concreta idoneità a soddisfare (anche per il collegamento con la pubblica via) esigenze di interesse generale e che la stessa sia di fatto accessibile al pubblico, "jure servitutis publicae", da parte di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale (Cons. Stato, Sez. V - sentenza 24.05.2007 n. 2618; TAR Lombardia Milano, Sez. II - 18.04.2008 n. 1229 ).
E’ inoltre necessario dimostrare la protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 04.02.2004, n. 373; C.d.S., Sez. V, 01.12.2003, n. 7831; TAR Abruzzo, Pescara, 04.03.2006, n. 144; TAR Toscana, sez. III, 19.07.2004, n. 2637; TAR Lazio, sez. II, 29.03.2004, n. 2922; TAR Campania–Napoli, Sez. VIII - sentenza 01.06.2007, n. 5906), almeno ultraventennale (Cons. Stato, Sez. V – sentenza 04.02.2004 n. 373; Cons. Stato, Sez.. V - sentenza 04.02.2004, n. 373; TAR Puglia-Lecce, Sez. I - sentenza 09.01.2008 n. 48).
Il diritto di uso pubblico può altresì costituirsi tramite dicatio ad patriam, che consiste nel mero fatto giuridico del comportamento del proprietario che, se pur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità e anche tramite condotte omissive, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, che ne perfeziona l'esistenza, senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che lo anima. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 12167 del 12-08-2002; Sez. II, sent. n. 7481 del 04-06-2001; Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 10574 del 10-12-1994; Cons. Stato, Sez. V - sentenza 24.05.2007 n. 2618).
Per quanto riguarda una strada privata, l’assoggettamento ad uso pubblico può derivare: a) dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesatosi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere per varie ragioni e situazioni; b) da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile); tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada (Cons. Stato, Sez. V - sentenza 09.06.2008 n. 2864).
Nel caso di specie il Collegio ritiene che sussistano tutti i requisiti affinché possa ritenersi essere venuta in esistenza una servitù di uso pubblico per uso ultraventennale o, in ogni caso, per dicatio ad patriam. Risulta cioè maturato secondo il collegio un periodo di pubblico uso ultraventennale tale da aver determinato, per quanto in precedenza indicato, la costituzione di una servitù di uso pubblico sulle aree in questione (TAR Basilicata, sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI: L'ordinanza di ripristino del pubblico transito di una strada, nella specie nel ripristino d’un passaggio di uso pubblico su di una strada che si assume utilizzata dalla collettività, si connota sicuramente come atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267.

Il D.Lgs. n. 267 del 2000 ha, come è noto, sancito, nell’art. 107, un criterio di ripartizione delle attribuzioni di competenza in ambito comunale che affida alla dirigenza gli atti gestionali e lascia agli organi di governo, quale il Sindaco, solo gli atti attinenti alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi comunali.
A norma del principio sancito dall'art. 107 del citato D.Lgs., la competenza ad adottare provvedimenti amministrativi, consistenti in atti autoritativi posti in essere dalla p.a. nell'espletamento di una potestà amministrativa e aventi rilevanza esterna, è stata devoluta ai dirigenti degli enti locali -fatti salvi solo l’esercizio dei poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo spettanti agli organi di governo– con l’attribuzione ai dirigenti dei compiti non compresi espressamente dalla legge o dallo statuto fra le funzioni degli organi di governo o fra quelle del segretario comunale o del direttore generale.
L’art. 107 del D.Lgs. in questione prevede altresì che, a decorrere dalla data di sua entrata in vigore, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo dell’ente "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54".
L'articolo 50, comma 3, prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 107, il sindaco e il presidente della provincia "esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia".
L’articolo 54 descrive le attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale indicando che lo stesso sovraintende, quale ufficiale del Governo: "a) all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalla legge e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica; b) allo svolgimento delle funzioni affidategli dalla legge in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria; c) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto".
Alla luce di tale premessa la censura si rivela infondata, come evidenziato di recente in giurisprudenza (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, I, 08/04/2011 n. 184).
In primo luogo, il Collegio ritiene che l’Amministrazione abbia agito in virtù di un più ampio potere di autotutela amministrativa spettante alla stessa sui beni demaniali ex art. 823 cod. civ. (ed in forza dell’art. 825 cod. civ. anche sui diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti quando sono stati costituiti per l'utilità di beni demaniali o per il conseguimento di fini di pubblico interesse) che esula dallo stretto disposto dell’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, riallacciandosi, nel caso in esame, l’azione dell’amministrazione al più ampio potere di tutela dei beni demaniali e dei diritti reali ad uso pubblico.
In questo senso, pertanto, l’atto posto in essere si connota sicuramente come atto gestionale di spettanza della dirigenza comunale senza che vengano in rilievo le specifiche problematiche di competenza sollevate per l’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F.
In ogni caso, anche con riguardo al potere specificamente previsto dal suddetto art. 378, è da ritenere che tale competenza si sia trasferita in capo alla dirigenza comunale a seguito del principio introdotto dall’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, che ha devoluto ai dirigenti l’adozione di tutti gli di gestione e dei provvedimenti amministrativi già spettanti agli organi di governo dell’ente, salvo le ipotesi ivi previste.
L’esercizio del potere di cui all’art. 378 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, da un lato, difatti, si qualifica come atto gestionale, a tutela dell’uso dei beni pubblici, scevro da profili di indirizzo e controllo politico-amministrativo e come tale attribuito alla competenza generale della dirigenza comunale, dall’altro non rientra nelle ipotesi previste dagli indicati artt. 50, comma 3, e 54.
A quest’ultimo riguardo il potere attribuito dall’art. 378 non rientra tra i compiti conferiti al sindaco quale ufficiale del Governo di cui all’art. 54. Inoltre, alla luce dell’indicata natura del potere attribuito ai sensi dello stesso art. 378 -che risulta volto non alla stretta salvaguardia della circolazione stradale bensì in modo più ampio a tutela delle strade pubbliche e quindi non è limitato al profilo della loro fruibilità- si ritiene comunque che lo stesso non rientri nelle leggi in materia di ordine e sicurezza pubblica legge, di cui all’art. 54 del D.Lgs. 18-08-2000, n. 267 (TAR Basilicata, sentenza 22.06.2011 n. 370 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865, all. F, configura non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni.
- L'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico. Con la conseguenza che, a prescindere dall'effettiva esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di passaggio o dall'esistenza di una pubblica via vicinale (che tra l'altro prescinde anche dall'inclusione della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali ostativi al libero transito con le modalità esistenti anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio.

Per l’Amministrazione Comunale appellante, l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 l. n. 2248/1865, all. F, configura non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì un’ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade di uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (cfr. Consiglio Stato n. 25/2009).
Nel caso, la qualificazione pubblica della via sarebbe stata dimostrata in particolare: dalle ripetute nel tempo asfaltature da parte del Comune; dall’apposizione di un cartello “fine divieto di sosta” da oltre dieci anni, e dalle dichiarazioni scritte di dieci cittadini sull’uso pubblico da tempo immemorabile.
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Come la concorde giurisprudenza ha sempre riconosciuto l'art. 378, L. 20.03.1865 n. 2248, all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio, volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico.
Con la conseguenza che, a prescindere dall'effettiva esistenza di un diritto reale di servitù pubblica di passaggio o dall'esistenza di una pubblica via vicinale (che tra l'altro prescinde anche dall'inclusione della via stessa dagli elenchi comunali), sussiste il potere dell'amministrazione comunale di rimuovere i materiali ostativi al libero transito con le modalità esistenti anteriormente e, quindi, di ripristinare lo stato dei luoghi, quando sussista una situazione di fatto di oggettivo pregiudizio del pubblico passaggio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 08.01.2009, n. 25; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2006, n. 5209; Consiglio Stato, sez. IV, 06.04.2000, n. 1975) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3509 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
Seppure è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che annette all’iscrizione delle strade nell’elenco di quelle vicinali un effetto meramente dichiarativo e non costitutivo, è altresì pacifico che la mancata utilizzazione di essa da parte della generalità degli utenti, protrattasi anche per un lungo lasso di tempo, non depone ex se per la cessata destinazione all’uso pubblico (cfr., Cons. St., sez. IV, 07.09.2006 n. 5209).
Alla medesima stregua, anche il non tempestivo esercizio dei poteri pubblicistici di gestione e tutela della strada vicinale non comporta affatto il mutamento di destinazione.
È semmai rilevante la situazione di fatto, consolidatasi per un lungo tempo, che palesi in modo univoco l’impossibilità da parte della collettività di utilizzare la strada.
Impossibilità di fatto che, -è bene sottolineare- con specifico riguardo a quanto ne occupa, non deve essere imputabile all’esecuzione di opere abusive realizzate dal privato avente interesse contrario all’utilizzazione pubblica.
Proprio alla luce di questi parametri oggettivi risulta che la strada per cui si discute va annoverata fra quelle vicinali: in primo luogo, detta strada fa parte della rete viaria che dalla strada comunale via Mareschino conduce in località Fratin, funzionale al transito di mezzi agricoli per il trasporto di legnami e generi vari (cfr., dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), né, ad ulteriore testimonianza della permanenza attuale e concreta dell’interesse pubblico all’utilizzazione di essa da parte della collettività, va passato sotto silenzio il fatto che la strada in questione, inclusa negli itinerari del CAI, è altresì funzionale alla pratica turistico-alpina; in secondo luogo, la preclusione all’attuale utilizzo pubblico scaturisce non già da fattori naturali, sedimentatisi nel tempo, bensì esclusivamente dai lavori abusivi eseguiti ricorrente: quali la duplice apposizione di congegni preordinati a precludere l’accesso sia a monte che a valle della strada e la pavimentazione di parte del suolo di transito.
La realizzazione di tale opere pregiudica l’uso pubblico, la cui tutela è presidiata dal potere pubblicistico di cui all’art. 14 l. 20.03.1865 n. 2248, correttamente esercitato dal Comune resistente (ex multis, Tar Liguria, sez. II, 08.01.2003 n. 23).
Infine la natura vincolata del potere esercitato dal Comune, in ragione degli interessi in gioco, depone nel senso che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato anche qualora fosse stato preceduto dal contraddittorio con il ricorrente, sollecitato a mezzo della comunicazione d’avvio del procedimento (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 19.05.2011 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico.

Ai sensi dell’art. 20 della L. 20/03/1865, n. 2248, parte 2^, la classificazione ufficiale delle strade ha efficacia presuntiva e dichiarativa, ma non costitutiva della pubblicità o meno del passaggio.
Al riguardo deve ricordarsi come una strada può rientrare nella nozione di strada vicinale di uso pubblico quando sussistono alcuni elementi, quali:
- le condizioni effettive della via, atte a dimostrare la sussistenza dei requisiti del generale passaggio, direttamente collegato e non limitato da vincoli di proprietà o condominio, nonché esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all’accesso;
- la concreta idoneità della strada a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale;
- la sussistenza di titoli validi ad affermare il diritto di uso pubblico, identificabili anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile;
- l’effettuazione di interventi di manutenzione della via o l’installazione sopra o sotto di essa di infrastrutture di servizio da parte dell’ente pubblico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 1240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

LAVORI PUBBLICI: Quali rimedi ha il cittadino nel caso in cui il Comune non provveda a eseguire la manutenzione delle strade? Distinzione tra strade normali e strade vicinali.
Ci giungono frequentemente quesiti riguardanti i rimedi a disposizione del cittadino nel caso in cui il Comune non provveda a effettuare la manutenzione delle strade.
Pubblichiamo una nota dell'avv. Marta Bassanese, che approfondisce la questione, distinguendo a seconda che si tratti delle normali strade pubbliche oppure delle strade vicinali (private oppure di uso pubblico), dato che vengono in rilievo normative differenti (link a
http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: La semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali non è sufficiente a comprovarne la natura pubblica o privata.
La complessa vicenda processuale di cui ci occupiamo trae origine dal ricorso proposto dagli appellanti, proprietari di immobili interessati da una determinata strada, contro la Deliberazione del Consiglio Comunale di un Comune piemontese avente ad oggetto: la costituzione di un Consorzio sulla stessa.
Invero, ad avviso degli appellanti, la strada in questione avrebbe natura comunale e, pertanto, risulterebbe illegittima la costituzione del Consorzio in questione, in quanto esclusivamente in ipotesi di strade vicinali l’istituzione di un Consorzio per la loro manutenzione, sistemazione e ricostruzione sarebbe ammissibile.
Il Comune, invece, sostiene, di aver dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, la natura privata della strada in questione e la conseguente legittimità della costituzione del Consorzio, ribadendo che la strada in menzione, oltre a non essere mai stata inclusa negli elenchi delle vie comunali (essendo stata, al contrario, inserita nelle liste delle vie private), non possiede le caratteristiche ed i requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza formatasi in materia al fine di tale qualificazione.
Ma a tale riguardo, i giudici del Consiglio di Stato osservano che la semplice indicazione di una strada nell’elenco delle strade comunali (o vicinali) non risulta dirimente, considerato che tali elenchi hanno natura meramente dichiarativa, e non costitutiva, per cui detta inclusione non è di per sé sufficiente a comprovare la natura pubblica o privata di una strada.
In tal senso, infatti, ricordano i giudici d’appello, si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, secondo cui "L’iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù” (Cass. Civ., Sez. Un., 27.01.2010, n. 1624).
Considerata la natura meramente dichiarativa degli elenchi in questione, la giurisprudenza ha elencato ulteriori requisiti da valutarsi al fine dell’accertamento della natura di una strada, quali l’uso pubblico (inteso come l’utilizzo da parte di un numero indeterminato di persone), l’ubicazione della strada all’interno di luoghi abitati, nonché il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica.
Di recente, inoltre, un’ulteriore pronuncia della Suprema Corte ha affermato che “L’appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l’inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall’art. 8 della legge n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, all. F” (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto ad una strada natura comunale in forza di plurime circostanze e, segnatamente, dall’inclusione nelle mappe catastali, dalla classificazione come comunale da parte del Consiglio dell’ente territoriale, dall’attività di manutenzione effettuata dall’ente, dall’inclusione nella top onomastica cittadina con attribuzione di numerazione civica e, infine, dalla mancanza di elementi validi a sostegno del contrario assunto sulla natura privata della strada medesima: Cass. Civ., Sez. II, 09.11.2009, n. 23705) (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.12.2010 n. 8624 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel costituire una servitù di uso pubblico il requisito della protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile deve essere rigorosamente dimostrato.
Come ripetutamente rilevato in giurisprudenza, affinché su di un’area possa dirsi costituita una servitù di uso pubblico, devono sussistere i tre requisiti del passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze di interesse generale e di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, potendo tale ultimo requisito identificarsi nell’acquisto per usucapione (per decorso del termine ventennale) ovvero nella protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile –la quale tuttavia deve essere rigorosamente dimostrata–, onde si rende necessaria la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, per non essere sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza del legittimo proprietario, tanto più che anche la costituzione di una servitù di uso pubblico mediante dicatio ad patriam postula un comportamento del proprietario univocamente rivolto, con carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a porre a disposizione del pubblico una cosa propria oggettivamente idonea al soddisfacimento di un’esigenza comune alla collettività (v. in questi termini, TAR Lombardia, Brescia, n. 1365/2005 cit.).
Nella fattispecie, però, l’Amministrazione comunale non ha fornito elementi che dimostrino l’uso continuativo del bene da parte della comunità locale per un periodo di tempo utile alla costituzione dell’invocata servitù di uso pubblico, essendosi la stessa limitata a richiamare tale circostanza senza fornire riscontri oggettivi di alcun tipo, salva l’esibizione di fotografie che evidenzierebbero sì il pregresso libero accesso all’area ma non anche la risalenza e l’ininterrotto protrarsi nel tempo di tale situazione, e neppure risulta documentato, o in altro modo comprovato, l’asserito ripetersi degli interventi di manutenzione e delle altre attività che, a dire dell’ente locale, contraddistinguerebbero l’uso pubblico del bene.
E’ pur vero, poi, che la ricorrente aveva dato il proprio assenso ai lavori comunali di riqualificazione della zona comprendenti l’area in esame, ma non aveva ella in tal modo inteso anche prestare acquiescenza ad una destinazione pubblica del bene, rispetto al quale anzi aveva comunicato all’Amministrazione la volontà di “…conservazione dei diritti di utilizzazione della piazza come attualmente esistenti e/o esercitati, senza alcuna rinuncia al riguardo …” (v. nota del 04.02.2004) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.11.2010 n. 487 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: OSSERVATORIO VIMINALE/ Strade vicinali.
Quale disciplina è applicabile ai consorzi di strade vicinali, già esistenti, in considerazione dell'abrogazione del dlgs n. 1446/1918, disposta dall'art. 2 del dl n. 200/2008?

La Corte dei conti, sezione regionale Emilia Romagna, con deliberazione n. 244/2009, ha affermato che «l'abrogazione della norma sopra citata (dlgs n. 1446/1918) non può aver influito sulla sorte dei soggetti già esistenti», proprio in considerazione della particolare connotazione formale che caratterizza i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico, quali soggetti dotati di personalità giuridica (articolo ItaliaOggi del 17.09.2010, pag. 37).

EDILIZIA PRIVATA: L'installazione di un cancello su una strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47.
Conseguentemente, l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi.

L'installazione di un cancello su una strada privata soggetta a uso pubblico è assimilabile alla costruzione su aree di proprietà del Comune ai sensi dell'art. 32, commi 5 e 6, L. 28.02.1985 n. 47 (TAR Lombardia Brescia, 13.09.2005, n. 833).
Ne consegue che l'amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria, come avviene per il rilascio della concessione edilizia, anche se l’atto autorizzativo è rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, deve verificare che esista il titolo per intervenire sulla proprietà su cui si chiede di realizzare il manufatto.
Tuttavia deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri diritti reali da parte di terzi che potrebbero essere limitati dal manufatto a realizzarsi, atteso che il provvedimento autorizzativo in discorso è un atto amministrativo che rende legittima l'attività autorizzata nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che, in relazione a quell'attività, si genera tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso.
Ne discende che, non essendo tale atto amministrativo suscettibile di attribuire al beneficiario diritti soggettivi in conseguenza all'attività stessa, eventuali situazioni di contitolarità del diritto, ovvero di diritti tra loro configgenti, devono essere fatte valere alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune dovendosi escludere, in tal senso, un’attività ulteriore dell’amministrazione che ad essa non compete (arg. ex Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; anche TAR Lombardia Milano, sez. II, 06.02.2009, n. 1157).
Appartengono, infatti, alla giurisdizione ordinaria le controversie in tema di proprietà, pubblica o privata, delle strade, nonché circa l'esistenza di diritti di uso pubblico ovvero di servitù in favore di fondi privati su strade private, in quanto tali questioni hanno ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'ampiezza di diritti soggettivi, sia dei privati che della P.A. (cfr. TAR Emilia Romagna Parma, 12.07.2005, n. 383)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Affinché una strada privata possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche necessario che la strada sia posta al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale.
In mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).

Affinché una strada privata possa essere considerata ad uso pubblico non basta che essa possa servire da collegamento con una via pubblica e sia adibita al transito di persone diverse dal proprietario, ma è anche necessario che la strada sia posta al servizio di una collettività indeterminata di cittadini portatori di un interesse generale.
Non è, quindi, da considerare ad uso pubblico una strada che:
1) è utilizzata prevalentemente dagli abitanti dei comparti edilizi che su essa prospettano;
2) è priva di marciapiedi e, pertanto, non si presenta destinata alla circolazione dei pedoni come richiede, invece, l'art. 2 del codice della strada allorché definisce il concetto di strada;
3) è a vicolo cieco e, dunque, per essa non può valere il principio della presunzione di uso pubblico che opera solo qualora il tratto di strada colleghi due strade pubbliche (TAR Veneto Venezia, sez. II, 24.01.2008, n. 169).
Peraltro, costituisce jus receptum che, in mancanza di espressa classificazione di una strada privata nell'elenco delle strade vicinali, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada privata è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all'attuazione di un pubblico interesse consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici).
Deve quindi essere verificato:
a) il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale;
b) la concreta idoneità della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via pubblica, esigenze di generale interesse;
c) un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile (cfr. TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 10.06.2008, n. 643)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 16.06.2010 n. 1863 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'esercizio del potere comunale di autotutela possessoria sulle strade vicinali richiede la sussistenza di requisiti di fatto (un passaggio esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività di persone, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, l'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico) che la parte ricorrente non ha fatto oggetto di contestazione, essendosi la deducente limitata a rimarcare le caratteristiche oggettive che imporrebbero di configurare l’arteria in questione come un semplice sentiero di campagna.
Tali caratteristiche, peraltro, non ne escludono la riconducibilità alla categoria delle strade, poiché l’art. 3 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, definisce il sentiero (o mulattiera o tratturo) come la strada a fondo naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di animali.

Rimane da considerare il terzo motivo posto a fondamento dei provvedimenti impugnati, riferito all’esistenza di una strada comunale che attraversa il fondo dei ricorrenti e che sarebbe stata interrotta dalla recinzione.
Il provvedimento ripristinatorio specifica ulteriormente, al riguardo, che l’esistenza della recinzione impedisce la regolare circolazione sulla strada e l’accesso a un tombino di derivazione dell’acqua potabile ivi esistente; il tombino è posto a servizio di un limitrofo fabbricato di proprietà di terzi, cosicché si verificherebbe nella specie l’interruzione del pubblico servizio di manutenzione dell’acquedotto.
Tale corredo motivazionale prescinde, quindi, da esigenze di tutela di valori urbanistici o ambientali e presuppone, invece, l’esercizio del potere comunale di autotutela possessoria sulle strade vicinali, finalizzato alla rimozione degli ostacoli che si frappongono all’uso pubblico delle strade, tuttora previsto dall’art. 15 del decreto legge luogotenenziale 01.09.1918, n. 1446, convertito nella legge 17.04.1925, n. 473.
L'esercizio di tale potere richiede la sussistenza di requisiti di fatto (un passaggio esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività di persone, la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale, l'esistenza di un titolo valido a fondamento del diritto di uso pubblico) che la parte ricorrente non ha fatto oggetto di contestazione, essendosi la deducente limitata a rimarcare le caratteristiche oggettive che imporrebbero di configurare l’arteria in questione come un semplice sentiero di campagna.
Tali caratteristiche, peraltro, non ne escludono la riconducibilità alla categoria delle strade, poiché l’art. 3 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, definisce il sentiero (o mulattiera o tratturo) come la strada a fondo naturale formatasi per effetto del passaggio di pedoni o di animali.
Né il potere comunale di autotutela esercitato nella fattispecie avrebbe potuto essere escluso dal diritto, riconosciuto dall’art. 841 cod. civ., del proprietario di chiudere il proprio fondo, poiché la facoltà di chiusura non può esercitarsi con modalità tali da impedire (o da rendere difficoltoso) l’esercizio della preesistente servitù
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 15.02.2010 n. 950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Strade pubbliche e private - strade vicinali - uso pubblico - polizia demaniale - autotutela - limite.
In materia di polizia demaniale, ex art. 823 c.c., l'amministrazione dispone di un potere alternativo sia ai mezzi ordinari di difesa della proprietà sia ai mezzi ordinari di difesa del possesso, e può qualificarsi tanto come possessore dei beni demaniali quanto come proprietario degli stessi (ovvero come titolare dei diritti demaniali), con facoltà, in questa seconda ipotesi, di adottare e far eseguire provvedimenti che mirano al recupero dei beni, o alla tutela dei diritti, senza incontrare i limiti temporali e sostanziali previsti per le azioni possessorie: il vero limite dell'autotutela da parte della pubblica amministrazione è costituito dalla sdemanializzazione tacita (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

PATRIMONIO: Demanio e patrimonio - Sdemanializzazione - Non determina di per sé il trasferimento al patrimonio della P.A. di ciò che era e rimane di proprietà privata ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso.
Il procedimento di sdemanializzazione muta il regime giuridico di ciò che è già di proprietà pubblica, dismettendo la destinazione all'uso pubblico del bene o dell'area pubblica o gravata da servitù di uso pubblico, ma non determina, di per sé, il trasferimento al patrimonio della P.A. di ciò che era e rimane di proprietà privata ancorché gravato dall'uso pubblico dismesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 5365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Modalità calcolo altezza fabbricato. Normativa fosse biologiche. Accesso agli atti. Acquisizione strade nel demanio.
Il Comune richiedente pone una serie di quesiti in materia urbanistica e di accesso ai documenti amministrativi e precisamente: 1) Modalità di calcolo dell’altezza di un fabbricato; 2) Normativa vigente in materia di fosse biologiche; 3) Accesso ai documenti amministrativi; 4) Acquisizione di strade nel demanio comunale (Regione Piemonte, parere n. 141/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

COMPETENZE GESTIONALI: La disciplina della circolazione sulle strade comunali rientra nelle competenze della dirigenza comunale anche se il Codice della Strada del 1992 afferma il contrario, in quanto dalla data di entrata in vigore del nuovo T.U. degli enti locali l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi spetta ai dirigenti.
Deve, preliminarmente, stabilirsi quale potere il Sindaco abbia inteso esercitare nell’emanare l’impugnata ordinanza.
Ad avviso del Collegio sussistono pochi dubbi sul fatto che questa sia stata emanata ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. 30/04/1992 n.285 (nuovo codice della strada) e non, invece, ex art. 54, comma 4 del D. Lgs. 18/08/2000 n.267, come pretendono tanto il comune quanto il consorzio.
Ed invero, nell’ordinanza è esplicitamente richiamata la norma di cui al citato art. 7 e, del resto, l’atto manifesta i contenuti tipici del provvedimento descritto nella suddetta disposizione, dettando prescrizioni volte a regolare la circolazione stradale nella zona considerata. Sono assenti, invece, indizi che manifestino l’intendimento del Sindaco di agire con un provvedimento extra ordinem. Manca, difatti, qualunque indicazione circa l’esistenza di un pericolo incombente non altrimenti fronteggiabile con gli ordinari strumenti. E del resto, le prescrizioni date hanno il carattere della continuità e stabilità, mentre le ordinanze contingibili ed urgenti hanno, per loro natura, efficacia temporalmente limitata. Il che induce ad escludere, in mancanza di elementi ermeneutici di segno contrario, che il Sindaco abbia agito ai sensi dell’art. 54, comma 4, del citato D. Lgs. n. 267/2000.
Ciò premesso,
deve ritenersi che spettasse al dirigente competente per settore provvedere.
Infatti, in tema di disciplina della circolazione sulle strade comunali, rientrano nelle competenze della dirigenza comunale i provvedimenti che siano diretti a regolamentare la circolazione su singole strade del centro abitato, a nulla rilevando, in contrario, che il combinato disposto di cui agli articoli 6 e 7 del codice della strada, precedentemente emanato, attribuisca al sindaco la regolamentazione della circolazione nei centri abitati e che i provvedimenti in questione non risultino specificamente tra quelli enumerati dall'articolo 107, terzo comma, del d.lgs. n. 267 del 2000, atteso che:
a) il quinto comma del citato art. 107 stabilisce espressamente che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico in cui la norma è contenuta, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo degli enti l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, “si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”;
b) l’elenco delle competenze dirigenziali contenuto nella disposizione ha natura meramente esemplificativa (TAR Calabria–Catanzaro 23/09/2003 n. 2730; TAR Lombardia–Brescia 28/04/2003 n. 464; TAR Piemonte 27/11/2002 n. 2000; Cass. Sez. II, 06/11/2006 n. 23622).
Occorre, infine, rilevare che, contrariamente a quanto le controparti sostengono, nessun rilievo può avere il fatto che le strade interne al comprensorio siano private, atteso che è incontroverso che le stesse siano adibite ad uso pubblico; del resto, ove così non fosse, il Consorzio non avrebbe avuto alcuna necessità di rivolgersi al Sindaco per regolare il traffico veicolare nelle aree in contestazione; gli sarebbe bastato avvalersi della ordinaria facoltà di cui all’art. 841 cod. civ., che consente al proprietario di chiudere il fondo in qualunque momento (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Strade vicinali e spese dei consorzi obbligatori.
Pubblichiamo una nota dell'avvocato Marta Bassanese del foro di Vicenza sulle spese per la manutenzione delle strade vicinali. La nota segnala la differenza tra le strade vicinali a uso pubblico e quelle non a uso pubblico e spiega quali sono i presupposti per la formazione di un consorzio obbligatorio per la manutenzione delle strade vicinali (http://venetoius.myblog.it).

LAVORI PUBBLICI: Parere richiesto dal Sindaco del Comune di Castel San Pietro Terme riguardante gli effetti del D.L. 22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge 18.02.2009 n. 9, che ha abrogato il D.L. Lgt. 1446/1918, con il quale era stato stabilito che i Comuni dovessero concorrere alle spese per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, parere 26.06.2009 n. 244).
... la materia dei consorzi per la manutenzione e ricostruzione delle strade vicinali, era stata organicamente disciplinata dal citato decreto legge luogotenenziale del 1918, che aveva stabilito la competenza dell’autorità comunale, sia per la costituzione dei consorzi, che per la sovrintendenza nelle varie fasi della loro esistenza. Per i casi in cui le strade vicinali fossero destinate all’uso pubblico, era inoltre prescritto l’obbligo del Comune di accollarsi una quota degli oneri necessari alla loro manutenzione e ricostruzione.
A tale disciplina era seguita nel 1958 la legge n. 126, in materia di classificazione e manutenzione delle strade destinate ad uso pubblico, che, nell’art. 14, ribadiva l’obbligatorietà della costituzione dei consorzi previsti dal D.L. Lgt. 1446/1918, e stabiliva che, in caso assenza di iniziativa degli utenti o dei comuni, la costituzione poteva essere disposta d’ufficio dal Prefetto. Quest’ultima norma, a differenza di quanto accaduto al D.L. Lgt. di cui qui si tratta, non risulta espressamente abrogata dal D.L. 22.12.2008 n. 200, convertito nella legge nella legge 18.02.2009 n. 9.
Prescindendo comunque dall’attuale incongruo assetto normativo, e venendo al quesito posto dal Sindaco di Castel San Pietro Terme, si chiarisce che l’abrogazione del D.L. Lgt. 1446/1918 non comporta, a parere di questo Collegio, la eliminazione dei consorzi già costituiti in base a tale antica normativa.
Ciò in considerazione dl fatto che l’atto costitutivo del Consorzio, quale originaria manifestazione della volontà dei proprietari delle strade vicinali (approvata, secondo l’art. 2 del citato D.L. Lgt. 1446/1918, con delibera del Consiglio comunale), non ha perso il suo valore a seguito dell’abrogazione della norma che ab origine disciplinò gli effetti di tale legittima manifestazione di volontà.
Va detto, inoltre, che per i consorzi riguardanti le strade vicinali di uso pubblico che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, sono dotati di personalità giuridica pubblica, tale ultimo elemento di carattere formale, avvalora ancor più l’opinione che l’abrogazione della norma sopracitata non possa avere influito sulla sorte di soggetti già esistenti.
Va considerato, infine, che il fondamento per un eventuale sostegno finanziario comunale a favore dei consorzi già costituiti, che a suo tempo era indicato espressamente nelle disposizioni del D.L. Lgt. 1446/1918, può oggi rinvenirsi nella qualità riconosciuta ai Comuni di enti esponenziali degli interessi della comunità locale, e quindi abilitati anche a garantire, con adeguati interventi finanziari, l’efficienza della viabilità minore di uso pubblico.

EDILIZIA PRIVATA: Strumenti legittimi per la tutela delle strade ad uso pubblico.
In caso di realizzazione di una recinzione che ostruisce il pubblico uso di un percorso, è legittimo l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F, il quale configura, non già un provvedimento repressivo in materia edilizia, bensì una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico, che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.01.2009 n. 25 - link a www.altalex.com).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Interventi su area privata.
Il sindaco del Comune di XXX, chiede se sia possibile acquisire, per soddisfare un pubblico interesse, al patrimonio comunale una strada agro-silvo-pastorale, con stipula di atto pubblico di compravendita; oppure se, in alternativa, il Comune possa “acquisire” esclusivamente l’uso pubblico al transito, mantenendo il sedime privato.
In questa seconda evenienza il sindaco chiede parere sulla legittimità di interventi a cura del Comune su area privata (Regione Piemonte, parere n. 167/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICI: Viabilità agro-silvo-pastorale - Strada vicinale - Manutenzione - Oneri a carico dei Comuni - Soggezione a pubblico transito - Soggezione a uso pubblico - Differenze.
La misura della partecipazione dei comuni agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali va definita sulla base dell'art. 3 del DLLgt. 1446/1918, il quale prevede una misura variabile da 1/5 fino a metà della spesa a seconda dell'importanza delle strade.
Condizione essenziale perché possa sorgere l'obbligo di contribuzione è che le vicinali siano soggette a pubblico transito. Se una strada vicinale può essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi, non può essere negata la presenza del pubblico transito solo perché materialmente la strada si presenta disagevole in alcuni tratti e poco frequentata nel complesso.
L'uso pubblico, assimilabile a una servitù collettiva, legittima i comuni a introdurre alcune limitazioni al traffico, ad esempio vietando l'uso di alcuni mezzi (specie di quelli molto impattanti) in modo continuativo o in particolari periodi, come per il resto della viabilità comunale ma l'apposizione di limiti e divieti non fa venire meno la caratteristica del pubblico transito e quindi non esime i comuni dall'obbligo di contribuire alla manutenzione.
L’esistenza dell’obbligo in capo ai comuni è indipendente dalla formazione di un consorzio tra gli utenti, sia nella forma facoltativa di cui all’art. 2 del DLLgt. 1446/1918 sia nella forma obbligatoria di cui all’art. 14 della legge 12.02.1958 n. 126. La costituzione del consorzio è necessaria per imporre la ripartizione delle spese tra i privati, mentre nei confronti del comune competente per territorio l’obbligo di finanziamento è una conseguenza automatica del diritto di uso pubblico secondo il principio generale dell’art. 1069 cc. in materia di opere necessarie per la conservazione della servitù. Poiché l’uso pubblico è il risultato di un insieme di comportamenti omogenei ripetuti nel tempo, il contenuto del diritto ha un’estensione mediana e riflette l’utilità collettiva e non quella di ogni singolo utente. Pertanto i comuni non sono tenuti a introdurre nelle strade vicinali caratteristiche tecniche idonee a soddisfare speciali esigenze di transito di alcuni utenti.
Tuttavia la manutenzione deve tenere conto degli interessi pubblici collegati alla viabilità, e in particolare dell’utilizzazione della strada per il servizio antincendio, le emergenze sanitarie e gli interventi di protezione civile. Queste considerazioni riassumono i criteri con cui deve avvenire il riparto della spesa tra i comuni e i privati.
Un ulteriore criterio è costituito dalla presenza di un “consumo notevole” della strada da parte di un singolo utente o un gruppo ristretto ai sensi dell’art. 9 del DLLgt. 1446/1918. In effetti se vi è uno squilibrio nell’utilizzazione, nel senso che la strada è di fatto al servizio di pochi anziché della collettività, l’onere economico deve gravare in misura proporzionale su questi ultimi, a prescindere dalla formale istituzione di un consorzio (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 11.11.2008 n. 1602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Provvedimento di rifiuto di rilascio di autorizzazione edilizia - Chiusura con cancelli carrai di una piazza privata - Servitù pubblica di passaggio su una strada privata - Prova - Non sussiste.
2. Provvedimento di rifiuto di rilascio di autorizzazione edilizia - Chiusura con cancelli carrai di una piazza privata - Motivi di pubblica sicurezza - Limitazione del diritto di proprietà - Illegittimità.

1. L'esistenza di una servitù pubblica di passaggio su una strada o una piazza privata, non si suppone, ma va dimostrata attraverso la prova dell'uso e dell'utilità pubblica di detta strada. In particolare non emergendo dagli atti, e non avendo il Comune fornito in giudizio ulteriori elementi in tal senso, se la transitabilità della piazza in questione si sia protratta nel tempo per una durata almeno ultraventennale, il provvedimento di diniego di autorizzazione edilizia per la chiusura con cancelli carrai della piazza, motivato sull'esistenza di un diritto di uso pubblico (non dimostrato), è illegittimo.
2. L'esigenza inerente a motivi di pubblica sicurezza di non interrompere un tratto di viabilità (per il passaggio dei mezzi di soccorso) si può porre come limitativa del diritto di proprietà del privato solo qualora fatta valere tramite adeguati strumenti di carattere pubblicistico, che ben l'amministrazione può adottare, volti ad imporre vincoli o limitazioni al diritto dominicale con le modalità e forme previste dalla legge, ma in assenza di tali provvedimenti, la mera sussistenza di esigenze riconducibili ad interesse pubblico non è motivo da solo sufficiente per rifiutare l'autorizzazione edilizia a chiudere l'accesso ad una piazza privata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.07.2008 n. 2926).

URBANISTICA: Richiesta di parere del Sindaco del Comune di Segrate (Mi) circa la necessità che l’Ente debba agire giuridicamente per il riconoscimento dell’uso pubblico di strade ed opere inserite in un piano di lottizzazione scaduto, per le quali era prevista una cessione al Comune, mai avvenuta, a titolo di urbanizzazione primaria, ma che ad oggi sono da ritenersi di uso pubblico; e se le spese ordinarie e straordinarie, di tali opere, debbano ritenersi a carico della pubblica amministrazione (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Lombardia, parere 11.06.2008 n. 42).

EDILIZIA PRIVATAL’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata, in forza del quale essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale e la proprietà privata si riduce al fatto che l’area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale, deriva o dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni oppure da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile).
Tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada

Vanno preliminarmente richiamati i principi vigenti in materia di costituzione dell’uso pubblico delle strade, esposti nelle sentenze impugnate e confermati con le decisioni non definitive indicate in epigrafe e desumibili, ora, dagli articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n. 52, del codice della strada emanato con decreto legislativo 30.04.1992 n. 285 cioè che:
- l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata, in forza del quale essa diviene soggetta alla normale disciplina stradale e la proprietà privata si riduce al fatto che l’area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale, deriva o dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni (vedasi, in aggiunta ai precedenti già citati nella sentenza impugnata e nelle decisioni non definitive della Sezione, la decisione 23.06.2003 n. 3716),
- oppure da un immemorabile uso pubblico (a sua volta indice di un comportamento del proprietario verificatosi in epoca remota e imprecisabile).
Tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione -pur essa palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica- di esercitare il diritto di uso della strada (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.06.2008 n. 2864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Interclusione a strade soggette a servitù di pubblico transito - È illegittima - Esigenza dei requisiti del passaggio, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico - Sussiste.
È illegittima ogni interclusione a strade, anche private o vicinali, soggette a servitù di pubblico transito. A tal fine si richiede la sussistenza dei requisiti del passaggio (esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un comunità territoriale), della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il collegamento con la pubblica via) e del titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.04.2008 n. 1229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La classificazione delle strade comunali ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada.
La preesistenza -di fatto- dell'uso pubblico di una strada, anche se questa sia del tutto privata, è uno dei presupposti che legittimano l'esercizio dei poteri di autotutela possessoria delle strade vicinali, attribuito al Sindaco dall'art. 15 D.L. Lgt. n. 1446 cit. (C.g.a. 18.06.2003, n. 244; Cons. St., Sez. V, 12.08.1998, n. 1250; 07.04.1995, n. 522; 23.01.1991, n. 64; TAR Lazio, Latina, 15.05.2004, n. 332; TAR Lazio, Roma, 29.03.2004, n. 2922; TAR Calabria, Catanzaro, 15.01.2002, n. 17; TAR Calabria Catanzaro, 02.03.1999, n. 255; TAR Sicilia, Catania, 29.09.1994, n. 2147).
La stessa classificazione delle strade comunali ha valore solo dichiarativo, con la conseguenza che i provvedimenti di autotutela possessoria delle strade stesse non presuppongono necessariamente che la strada tutelata sia iscritta nei registri del Comune, sicché ove manchi l'iscrizione, o essa sia stata annullata per illegittimità, l'esercizio del relativo potere da parte del sindaco è solamente condizionato al preventivo e rigoroso accertamento dell'uso pubblico della strada (cfr. TAR Piemonte, Torino con sentenza n. 22 del 13.01.2000).
Nello stesso senso è stato osservato in giurisprudenza che il potere di ordinanza in materia di polizia demaniale si configura come una forma di autotutela di carattere possessorio da parte della P.A. per la conservazione dello stato di fatto dei beni demaniale o dei beni soggetti a servitù pubbliche e tale potere si pone su di un piano di parallelismo con le azioni possessorie, di guisa che il potere ex art. 15 D.L. Lgt. 1446/1918 deve intendersi finalizzato al ripristino dello stato di fatto preesistente in ordine all'uso pubblico della strada, indipendentemente dalla natura e spettanza dei diritti reali sulla strada medesima (cfr. TAR Umbria, Perugia, 22.09.1994, n. 562) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 311 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Convenzione per realizzazione strade da parte di privati.
Il sindaco del Comune XXX pone un quesito che interessa molte amministrazioni locali: strade realizzate da privati, in ambito di convenzione edilizia, gravate da uso pubblico. I proprietari del sedime stradale chiedono al Comune di farsi carico della manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di assumersi la responsabilità per eventuali danni a terzi (Regione Piemonte, parere n. 79/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

LAVORI PUBBLICI: Strada privata, destinata ad uso pubblico - Realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la posa di asfalto - Inversione del possesso - Esclusione - Fondamento - Occupazione usurpativa - Esclusione - Art. 43 t.u. n. 327/2001.
La realizzazione della rete pubblica di illuminazione e la posa di asfalto (interventi che non possono essersi tradotti in una occupazione della strada privata da parte della p.a. ma più semplicemente a delle attività di manutenzione e sistemazione di una strada privata, destinata ad uso pubblico; attività necessarie al fine di scongiurare pericoli per la pubblica incolumità), costituiscono delle utilità per il proprietario ricorrente e, oltre a non essere idonee a stravolgere l'identità del bene, sono conformi al contenuto del diritto di uso pubblico, con l'ulteriore conseguenza che non costituiscono opere pubbliche tali da determinare un'inversione del possesso, da contenuto del diritto reale pubblico di passaggio a diritto reale di proprietà pubblica. Nella specie, non si è verificata, alcuna ipotesi di occupazione usurpativa (la quale, tra l'altro, ex articolo 43 del t.u. n. 327 del 2001, non determinerebbe da sola il trasferimento alla p.a. del diritto di proprietà, in difetto di un atto formale, benché postumo, di trasferimento da parte dell'Autorità amministrativa o giurisdizionale).
Servitù pubblica di passaggio - Elementi per l’esistenza - Fattispecie: diritto reale d'uso pubblico ultraventennale.
Ai fini dell'esistenza di una servitù pubblica di passaggio, non è determinante l'inclusione negli elenchi delle strade pubbliche, atteso che, perché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche, devono sussistere i requisiti del passaggio (esercitato "iure servitutis pubblicae" da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale); della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse (anche per il collegamento con la pubblica via); nonché il titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico (che può identificarsi anche nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile) (Consiglio di Stato 24/10/2002, n. 5692). Nella specie, il comune deve ritenersi titolare di un diritto reale d'uso pubblico ultraventennale delle aree in questione che ne legittimano l'utilizzo e la manutenzione da parte dello stesso per soddisfare specifici interessi pubblicistici di cui è portatore (garantire la sicurezza della viabilità) e primario responsabile (Consiglio di Stato, sentenza n. 373 del 2004) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 09.01.2008 n. 48 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione passo carraio.
Il Comune XXX ha formulato al Servizio di consulenza regionale un quesito attinente alla possibilità di autorizzare l’apertura di un passo carraio caratterizzato dalla particolarità data dal fatto che il passo carraio medesimo consente l’accesso non già direttamente su di una strada o piazza pubblica, bensì su di un’area di proprietà di terzi asservita all’uso pubblico, e più specificatamente a parcheggio pubblico (Regione Piemonte, parere n. 69/2007 - link a www.regione.piemonte.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: Strada - Servitù di passaggio - Presupposti - Limiti - Dicatio ad patriam - Fattispecie.
Affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (C.d.S. Sezione V, 28.01.1998, n. 102).
Nella specie, il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame facendo concludere per una utilità limitata ai soli proprietari frontisti (quando l’uso avvenga in favore di soggetti considerati uti singuli, e non uti cives, non può darsi uso pubblico di passaggio né per usucapione di servitù, né per dicatio ad patriam: Cass. 21.05.2001, n. 6924; 13.02.2006, n. 3075) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.12.2006 n. 7601 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Strada vicinale: circostanze e requisiti per l’attribuzione del carattere pubblico.
La iscrizione di una strada vicinale nell’elenco delle strade di uso pubblico del Comune comporta una presunzione di pubblicità della strada stessa che può essere superata solo con l’accertamento in sede giudiziaria civile della sua natura privata.
In primo luogo si deve precisare che l’utilizzo della strada sia per il transito pedonale che con mezzi a motore, anche se si ritiene che sia necessario percorrerla con fuoristrada o con mezzi agricoli, non esclude la transitabilità e anche se la strada, ove sottoposta ad idonei interventi di manutenzione, potrebbe consentire il suo utilizzo anche con autoveicoli ordinari.
In secondo luogo, la strada vicinale consente un collegamento più breve, anche se al momento come si è detto non agevole ma pur sempre alternativo.
La circostanza che alcuni appezzamenti di terreno di proprietà di terzi siano raggiungibili con la vicinale depone ulteriormente per il suo carattere pubblico
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.12.2006 n. 7081 - link a www.altalex.com).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: Ai proprietari di immobili frontisti è riconosciuta una posizione di uso speciale della strada dalla quale hanno accesso ai loro beni, poiché da essa essi traggono un’utilità diversa e maggiore di quella accordata alla collettività, non limitandosi a transitarvi, ma utilizzandola quale tramite per l’accesso alle loro proprietà, senza bisogno di costituire servitù di passaggio, sicché sono titolari di una posizione di interesse legittimo nei confronti dell’amministrazione proprietaria.
In linea con tali rilievi, del resto, si è posta parte della giurisprudenza, affermando che “ai proprietari di immobili frontisti è riconosciuta una posizione di uso speciale della strada dalla quale hanno accesso ai loro beni, poiché da essa essi traggono un’utilità diversa e maggiore di quella accordata alla collettività, non limitandosi a transitarvi, ma utilizzandola quale tramite per l’accesso alle loro proprietà, senza bisogno di costituire servitù di passaggio, sicché sono titolari di una posizione di interesse legittimo nei confronti dell’amministrazione proprietaria” (Cassazione civile, Sezione III, 18.07.2003 n. 11242) (TAR Campania-Salerno Sez. II, sentenza 25.05.2005 n. 834 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATASi ha uso pubblico, che comporta l’assoggettamento della strada alla disciplina delle strade comunali anche se esse siano “vicinali” ossia fuori dal centro abitato (decreto legislativo 30.04.1992 n. 285, contenente il codice della strada, articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n. 52) quando un’area privata venga dal proprietario destinata ad essere inserita nella rete viaria pubblica, o mediante atto negoziale oppure, in modo simile a quanto è previsto dall’articolo 1062 del codice civile per la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi nella quale sia implicita la realizzazione di una strada per uso pubblico, seguita da uso pubblico effettivo.
Inoltre ha ragione il comune a rilevare che, anche indipendentemente dall’efficacia del negozio di cessione, si era verificato un uso pubblico della strada, per comportamento esplicito e spontaneo del proprietario.
Si ha uso pubblico, che comporta l’assoggettamento della strada alla disciplina delle strade comunali anche se esse siano “vicinali” ossia fuori dal centro abitato (decreto legislativo 30.04.1992 n. 285, contenente il codice della strada, articoli 2, comma 7, e 3, comma 1, definizione n. 52) quando un’area privata venga dal proprietario destinata ad essere inserita nella rete viaria pubblica, o mediante atto negoziale oppure, in modo simile a quanto è previsto dall’articolo 1062 del codice civile per la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, mediante una sistemazione dei luoghi nella quale sia implicita la realizzazione di una strada per uso pubblico, seguita da uso pubblico effettivo.
Nella specie la cessione del dottor G.T., seguita dall’uso pubblico effettivo, dalla toponomastica e dall’illuminazione pubblica, ha appunto realizzato in modo conclamato quanto meno la destinazione ad uso pubblico della strada, indipendentemente, anche qui, dalle vicende del procedimento amministrativo di lottizzazione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2003 n. 3716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).